Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Trentino-Alto Adige

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Silvana SCIARRA; Giudici : Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 43, 71 e 108, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12 ottobre 2022, depositato in cancelleria il 17 ottobre 2022, iscritto al n. 78 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2022. Visti l’atto di costituzione della Regione Siciliana, nonché l’atto di intervento di F.M. D.; udito nell’udienza pubblica del 6 giugno 2023 il Giudice relatore Francesco Viganò; uditi l’avvocato Agatino Cariola per F.M. D. e l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il Presidente del Consiglio dei ministri; deliberato nella camera di consiglio del 6 giugno 2023. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2022 e depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 43, 71 e 108, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie). 1.1.– L’art. 13, comma 43, della legge impugnata apporta modifiche alla legge della Regione Siciliana 4 agosto 2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane), sostituendo, all’art. 6, comma 2, e all’art. 14-bis, comma 7, le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022» con le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2023» e, all’art. 51, comma 1, le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2022» con le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2023». Ad avviso del ricorrente, tale modifica «rinvia al 2023 l’elezione dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, e proroga al 31 agosto 2023 le funzioni degli attuali commissari straordinari che svolgono le funzioni di presidente dei liberi Consorzi comunali», in attesa delle elezioni di secondo livello previste dalla legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, ma «da allora mai indette in quanto sempre rinviate». Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che, prima dell’approvazione della legge de qua, «la Regione ha rinviato per ben undici volte le elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane, prorogando contemporaneamente la gestione commissariale di tali enti di area vasta». Tale reiterato rinvio delle elezioni e le conseguenti proroghe dei commissariamenti si porrebbero in contrasto con numerosi parametri costituzionali. Sarebbero innanzi tutto violati «i principi di democraticità di cui all’articolo 1, primo comma, Cost., in quanto i referendum e le elezioni (ancorché indirette) rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare» (è citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2014), nonché gli artt. 5 e 114 della Costituzione, «in quanto l’autonomia e la rappresentatività degli enti de quibus sono svuotate da un commissariamento che di fatto dura sine die». La disposizione impugnata si porrebbe altresì in contrasto con «il principio di ragionevolezza desumibile dall’articolo 3 Cost.», poiché la «situazione di eccezionalità che poteva giustificare, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della disciplina di riforma, la proroga originariamente disposta nel 2016, non può infatti porsi come plausibile ragione giustificativa delle successive 10 proroghe che si sono susseguite in un arco temporale di sei anni: ciò che stabilizza l’eccezionalità oltre ogni ragionevole limite». Ancora, il rinvio delle elezioni e la proroga dei commissariamenti si porrebbero in palese contrasto con l’art. 114 Cost., il quale, «nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale “città metropolitana”, ha imposto alla Repubblica il dovere di istituirlo» (è citata la sentenza n. 168 del 2018). Infine, per mezzo della legge impugnata, la Regione Siciliana avrebbe disatteso le disposizioni della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), che si imporrebbero anche alle regioni a statuto speciale quali principi di grande riforma economico-sociale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 168 del 2018 e n. 160 del 2021), con conseguente violazione degli artt. 14, primo comma, lettera o), e 15, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. Mentre infatti la legge n. 56 del 2014 «concepisce gli enti di area vasta come espressione del livello di governo inferiore (comunale)», il continuo protrarsi dei commissariamenti di tali enti avrebbe di fatto determinato «una derivazione e dipendenza degli stessi dall’ente regionale». 1.2.– È poi impugnato l’art. 13, comma 71, il quale dispone che «[t]rovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell’articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all’articolo 38 bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni». Nella sua formulazione originaria, l’art. 38-bis del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, allo scopo di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell’industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevedeva che fino al 31 dicembre 2021, «per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l’organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, [fosse] sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall’interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo». L’efficacia di tale disposizione è stata poi prorogata al 31 dicembre 2022 dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52. Nell’impugnare l’art. 13, comma 71, della legge regionale in esame, il Presidente del Consiglio dei ministri premette che, nel resto d’Italia, le funzioni di rilascio delle licenze in materia di pubblici spettacoli di cui agli artt. 68 e 69 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza) e agli articoli da 116 a 151 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza), originariamente di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza, sono state trasferite ai comuni dall’art. 19, primo comma, numeri 5) e 6), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382). Successivamente, il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo), convertito, con modificazioni, nella legge 7 ottobre 2013, n. 112, ha modificato gli artt. 68 e 69 TULPS, prevedendo, a determinate condizioni, la sostituzione della licenza in esame con la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Nota tuttavia l’Avvocatura generale dello Stato che l’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990 espressamente esclude dall’ambito di applicazione della SCIA gli atti «rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze […]». L’impossibilità di sostituire con la SCIA le licenze di pubblica sicurezza rimaste nell’alveo di competenza statale, e segnatamente delle autorità di pubblica sicurezza, sarebbe poi stata successivamente confermata dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante «Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», che avrebbe previsto la SCIA come «regime amministrativo tipico per numerose tipologie di attività economiche (esercizi di vicinato, strutture ricettive, stabilimenti balneari), devolute alla competenza dei comuni, ovvero per attività che non rivestono profili di diretto e primario interesse per l’Amministrazione dell’Interno». Nella Regione Siciliana, invece, il trasferimento delle funzioni in esame ai comuni e la loro successiva semplificazione non si sarebbero verificati, non essendo ancora state adottate le norme di attuazione dello statuto speciale necessarie a tale scopo. L’art. 22 della legge della Regione Siciliana 2 gennaio 1979, n. 1 (Attribuzione ai Comuni di funzioni amministrative regionali), infatti, dispone sì, al primo comma, che siano attribuite ai comuni le «funzioni di polizia amministrativa di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 733 [recte: 773], e successive modifiche»; ma prevede anche, al secondo comma, che «[l]’ esercizio delle stesse funzioni sarà determinato sulla base delle relative norme di attuazione dello Statuto». Non essendo ancora state adottate queste ultime, in Sicilia, le licenze per i pubblici spettacoli sarebbero ancora di competenza del questore. Ad avviso del ricorrente, tale conclusione sarebbe confermata dalla giurisprudenza amministrativa (è citata Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 29 giugno 1989, n. 236) e dal parere del Consiglio di Stato, prima sezione, 26 giugno 2022, n. 1510, che avrebbe ribadito che «ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana e alle province e ai comuni della stessa Regione, non siano ammissibili procedure diverse da quella prevista dall’art. 43 dello Statuto speciale». L’Avvocatura generale dello Stato ritiene dunque che, mentre il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa contemplate dal TULPS ai comuni siciliani assumerebbe «valore pregiudiziale sia rispetto al loro esercizio in concreto che, a fortiori, per la loro semplificazione», la Regione Siciliana avrebbe invece, con la disposizione impugnata, recepito una norma statale di semplificazione (appunto l’art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito) «senza aver preliminarmente attuato la trasposizione delle predette funzioni di polizia amministrativa ai comuni». L’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, pertanto, sarebbe «in contrasto con le previsioni statutarie (articolo 43 dello Statuto regionale) e costituzionali (articolo 116 Cost., e Legge cost. n. 2/1948), nonché lesiv[o] delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. h), Cost.». 1.3.– È infine impugnato l’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, il quale dispone che nelle more della formazione ed approvazione dei piani urbanistici generali (PUG), «i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo». Ad avviso del ricorrente, la disposizione in esame si discosterebbe dall’art. 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), pur espressamente richiamato, sotto un duplice profilo. Da una parte, renderebbe «permanente il cambio d’uso che la legge nazionale, invece, prevede come destinato a cessare in caso di venir meno dell’uso effettivo prima del ventesimo anno»; dall’altra stabilirebbe che «gli immobili destinati, in deroga agli strumenti urbanistici, all’uso da parte delle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi, possano essere destinati a usi non residenziali e/o commerciali, su richiesta degli “aventi titolo”, entro sei mesi dall’entrata in vigore della L. R. n. 16/2022». In questo modo la disposizione impugnata tradirebbe la ratio della norma statale citata, che persegue la finalità di soddisfare le esigenze abitative e riabilitative dei soggetti con disabilità, «piegando l’effetto di variante agli strumenti urbanistici a finalità che risultano estranee alle necessità di tutela delle persone con disabilità». L’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, infatti, stabilizzerebbe «l’effetto di variante, che in base alla norma nazionale è legato all’uso effettivo dell’immobile da parte delle comunità-alloggio e dei centri socio-riabilitativi», e consentirebbe inoltre, «una volta ottenuto tale effetto, di destinare l’immobile a usi non residenziali, e quindi slegati dalle attività proprie di tali comunità e centri», peraltro alla condizione, difficilmente spiegabile, che le istanze siano presentate entro il ristretto termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale. Secondo il ricorrente, la disposizione in esame sarebbe in primo luogo in contrasto «con i principi di ragionevolezza e buon andamento della Pubblica Amministrazione, in quanto sacrifica l’esigenza di ordinato assetto del territorio, connaturata alla pianificazione urbanistica, non più in vista dell’interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo», con conseguente violazione del «combinato disposto degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione». Parimenti violato sarebbe l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, «il quale attribuisce la materia dell’urbanistica alla competenza legislativa esclusiva regionale, ma pur sempre “senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano”, e comunque con il limite delle norme statali di grande riforma economico sociale». L’art. 13, comma 108, della legge regionale impugnata, infatti, si porrebbe in contrasto con le «previsioni relative alla “zonizzazione” dei territori comunali, con l’individuazione della relativa disciplina d’uso e dei relativi limiti di edificazione» di cui all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), le quali rappresenterebbero norme di grande riforma economico-sociale. Infine, la disposizione impugnata, non facendo salva, a differenza dell’art. 10 della legge n. 104 del 1992, l’applicazione della disciplina in materia paesaggistica, produrrebbe un abbassamento della tutela del paesaggio, determinando così la violazione dell’art. 14, primo comma, lettera n), dello statuto reg. Siciliana, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143, 145 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 5, lettera d), e 6, lettere d) ed e), della Convenzione europea del paesaggio, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000). 2.– La Regione Siciliana, pur costituita in giudizio, non ha svolto difese rispetto alle questioni qui in esame. 3.– In data 12 dicembre 2022, ha spiegato atto di intervento, limitatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, F.M. D., il quale afferma che la sua legittimazione all’intervento deriva tanto dalla sua qualità di cittadino elettore iscritto nelle liste del Comune di Aci Castello e quindi «interessato alla conformazione delle strutture istituzionali in cui si esprime il circuito della rappresentanza e della responsabilità politica», quanto, soprattutto, «dalla circostanza di aver provocato il giudizio in cui è stata adottata la pronuncia di codesta Corte costituzionale 7 dicembre 2021, n. 240». Riferisce infatti l’interveniente che è nell’ambito del giudizio dallo stesso instaurato di fronte al Tribunale ordinario di Catania al fine di veder accertato il proprio diritto di partecipare alla costituzione dell’organo di vertice della Città metropolitana di Catania, e in particolare nella fase di secondo grado di fronte alla Corte d’appello di Catania, che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale decisa con la sentenza di questa Corte n. 240 del 2021. Secondo F.M. D., la circostanza che nell’odierno giudizio questa Corte sarebbe chiamata a «chiarire l’efficacia della sentenza n. 240 del 2021 e, particolarmente, delle avvertenze contenute al n. 8 del Considerato in diritto» unita al fatto che il giudizio instaurato dall’interveniente di fronte alla giurisdizione ordinaria è tuttora pendente davanti alla Corte di cassazione a seguito del ricorso dello stesso F.M. D. avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Catania, prima sezione civile, 27 aprile-12 maggio 2022, n. 1873, conferirebbe a F.M. D. una posizione differenziata e specifica rispetto a tutti gli altri cittadini elettori siciliani, che ne legittimerebbe l’intervento nel presente giudizio. In altre parole, l’interesse fatto valere dall’interveniente non sarebbe «quello adespota o diffuso di ogni cittadino elettore siciliano, ma quello specifico e differenziato a far definire l’efficacia della sentenza n. 240 del 2021 cui ha dato luogo la sua azione, iniziata avanti il Tribunale di Catania e tuttora pendente in Cassazione». In due memorie depositate il 10 febbraio 2023 e il 15 maggio 2023, F.M. D. ha ribadito e ulteriormente argomentato le ragioni dell’ammissibilità del suo intervento, dando conto, tra l’altro, dell’intervenuta pronuncia della Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 23-30 gennaio 2023, n. 2765, che ha rigettato il ricorso dell’odierno interveniente avverso la pronuncia della Corte d’appello di Catania. Considerato in diritto 1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 43, 71 e 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022. 2.– Preliminarmente deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata a questa sentenza, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio spiegato da F.M. D. 3.– È impugnato, anzitutto, l’art. 13, comma 43, che modifica la legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, sostituendo: a) all’art. 6, comma 2, e all’art. 7, comma 14-bis, le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022» con le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2023»; b) all’art. 51, comma 1, le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2022» con le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2023». 3.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata – rinviando di un anno le elezioni, già più volte posposte, dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, e prorogando contestualmente il mandato dei commissari straordinari nominati dalla Regione che svolgono attualmente le funzioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali – violerebbe «i principi di democraticità di cui all’articolo 1, primo comma, Cost.», nonché gli artt. 5 e 114 Cost., e si porrebbe altresì in contrasto con «il principio di ragionevolezza desumibile dall’articolo 3 Cost.». Inoltre, con tale disposizione il legislatore siciliano sarebbe venuto meno al dovere di istituire le città metropolitane imposto dall’art. 114 Cost., e avrebbe anche disatteso le disposizioni della legge n. 56 del 2014, richiamate quali norme di grande riforma economico-sociale, con conseguente violazione degli artt. 14, primo comma, lettera o), e 15 dello statuto speciale. 3.2.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 3, 5 e 114 Cost. sono fondate. 3.3.– Giova preliminarmente ricordare che, a seguito di quello che la sentenza n. 168 del 2018 (punto 4 del Considerato in diritto) ha definito come «un travagliato iter di riforma, connotato da un altalenante rapporto di omogeneità-disomogeneità rispetto alla legge statale n. 56 del 2014», gli organi di governo degli enti di area vasta in Sicilia sono attualmente oggetto di una disciplina, dettata dal legislatore regionale ai sensi dell’art. 14, primo comma, lettera o), dello statuto, sostanzialmente coincidente con quella stabilita dalla legge n. 56 del 2014, caratterizzata dalla elezione indiretta di tali organi. In particolare, per quanto specificamente interessa il presente giudizio, i presidenti dei liberi Consorzi comunali – che «nella Regione siciliana […] hanno preso il posto delle province (art. 15, primo e secondo comma, dello statuto siciliano)» (sentenza n. 230 del 2001, punto 3.1. del Considerato in diritto) – sono eletti con voto ponderato dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica dei comuni che li compongono, fra i sindaci dei comuni appartenenti allo stesso libero Consorzio comunale il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni (art. 6, commi da 4 a 6, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, nel testo oggi vigente a seguito delle numerose modifiche intervenute). Quanto ai Consigli metropolitani, invece, essi sono composti dal sindaco metropolitano e da quattordici o diciotto membri a seconda della popolazione residente nella città metropolitana, eletti con voto ponderato dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica dei comuni appartenenti alla città metropolitana, fra i sindaci e i consiglieri comunali in carica (art. 14-bis, commi 5 e 6, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015). 3.4.– Questo assetto istituzionale degli enti di area vasta siciliani, tuttavia, è rimasto sinora sostanzialmente inattuato. Come sottolinea l’Avvocatura generale dello Stato, infatti, la disposizione oggetto di impugnazione si inserisce in un contesto normativo segnato dal continuo rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta in Sicilia. Sebbene l’art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, prevedesse inizialmente che le elezioni di secondo grado dei presidenti dei liberi Consorzi comunali dovessero svolgersi, in sede di prima applicazione, «in una domenica compresa tra l’1 ottobre ed il 30 novembre 2015», a rinviare le consultazioni elettorali sono intervenute, nell’ordine: 1) la legge della Regione Siciliana 12 novembre 2015, n. 28 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 in materia di elezione degli organi degli enti di area vasta e proroga della gestione commissariale), che, sopprimendo all’art. 6, comma 2, le parole «[i]n sede di prima applicazione della presente legge, l’elezione si svolge in una domenica compresa tra l’1 ottobre ed il 30 novembre 2015», determinava il mancato svolgersi di tali elezioni; 2) la legge della Regione Siciliana 1° aprile 2016, n. 5 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 «Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane»), ai sensi della quale le elezioni in esame si sarebbero dovute svolgere «in una domenica compresa tra il 30 giugno ed il 15 settembre 2016», insieme alle elezioni dei neoistituiti Consigli metropolitani; 3) la legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 in materia di elezione dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani e di proroga della gestione commissariale), che rinviava le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani a una domenica compresa tra il 1° ottobre e il 30 novembre 2016; 4) la legge della Regione Siciliana 27 ottobre 2016, n. 23 (Norme transitorie in materia di elezione degli organi degli enti di area vasta), ai sensi della quale le elezioni in esame si sarebbero dovute tenere in una domenica compresa tra il 1° dicembre 2016 e il 26 febbraio 2017; 5) la legge della Regione Siciliana 26 gennaio 2017, n. 2 (Norme transitorie in materia di elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane), la quale «[a]l fine di evitare sovrapposizioni con le elezioni amministrative e regionali e consentire al Parlamento di modificare la legge di riassetto delle ex province regionali e delle Città metropolitane, in seguito all’esito referendario del 4 dicembre 2016», rinviava le elezioni a una domenica compresa tra il 1° e il 31 dicembre 2017; 6) la legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 17 (Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano), che, nell’introdurre l’elezione diretta dei presidenti e dei Consigli dei liberi Consorzi comunali, nonché dei Sindaci metropolitani e dei Consigli metropolitani, stabiliva che le elezioni che qui interessano dovessero svolgersi, in sede di prima applicazione «alla prima tornata elettorale utile per le elezioni amministrative del 2018»; 7) la legge della Regione Siciliana 18 aprile 2018, n. 7 (Norme transitorie in materia di elezione degli organi dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane e proroga commissariamento), che, nelle more del giudizio di questa Corte poi sfociato nella sentenza n. 168 del 2018, disponeva il rinvio delle elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi e deli organi delle città metropolitane stabilendo che tali elezioni si svolgessero «in concomitanza del turno straordinario delle elezioni amministrative disciplinato dall’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modifiche ed integrazioni, da tenersi in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 dicembre 2018, previa dichiarazione di decadenza degli organi insediati in forza della previgente normativa»; 8) la legge della Regione Siciliana 29 novembre 2018, n. 23 (Norme in materia di Enti di area vasta), la quale, dando seguito alla sentenza di questa Corte n. 168 del 2018 nel frattempo intervenuta, reintroduceva, fra l’altro, l’elezione indiretta dei presidenti dei liberi Consorzi comunali, che si sarebbero dovuti eleggere «in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 30 giugno successiva alla data di indizione dei comizi del turno ordinario annuale delle elezioni amministrative», e dei Consigli metropolitani, da eleggersi, in sede di prima applicazione della legge «in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 30 giugno 2019»; 9) la legge della Regione Siciliana 7 giugno 2019, n. 8 (Norme per lo sviluppo del turismo nautico. Disciplina dei marina resort. Norme in materia di elezioni degli organi degli enti di area vasta), con cui le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali già indette per il 30 giugno 2019 venivano annullate e rinviate, insieme a quelle dei Consigli metropolitani, a una domenica compresa tra il 1° aprile e il 30 aprile 2020; 10) la legge della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n. 6 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni varie), che rinviava le elezioni in esame a una domenica compresa tra il 15 settembre e il 15 ottobre 2020; 11) la legge della Regione Siciliana 21 maggio 2020, n. 11 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti locali e degli enti di area vasta per l’anno 2020), la quale, «[a]llo scopo di contenere i rischi sanitari derivanti dalla diffusione della pandemia Covid-19» posticipava a «una data compresa tra il 15 settembre ed il 15 novembre 2020» il turno elettorale amministrativo ordinario 2020, già fissato dalla Giunta regionale per domenica 14 giugno 2020 e contestualmente stabiliva che le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani si sarebbero dovute svolgere «entro sessanta giorni dalla proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale per l’anno 2020»; 12) la legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2020, n. 34 (Disposizioni urgenti per il rinnovo degli organi elettivi dei comuni e degli enti di area vasta), la quale, sempre «[a]l fine di contenere i rischi sanitari connessi all’emergenza epidemiologica da Covid-19», rinviava le elezioni per il rinnovo ordinario degli organi dei comuni già previste per il mese di novembre 2020 a una data compresa tra il 1° marzo 2021 ed il 31 marzo 2021, e conseguentemente rinviava le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani a una domenica compresa tra il 15 marzo 2021 ed il 31 marzo 2021; 13) la legge della Regione Siciliana 17 febbraio 2021, n. 5 (Norme in materia di enti locali), che rinviava ulteriormente le elezioni in esame disponendo che le stesse si dovessero svolgere «entro trenta giorni dall’insediamento degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale ordinario per l’anno 2021»; 14) la legge della Regione Siciliana 15 giugno 2021, n. 13 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti locali e degli enti di area vasta per l’anno 2021. Disposizioni varie), la quale, «[a]llo scopo di contenere i rischi sanitari derivanti dal perdurare dell’emergenza epidemiologica da Covid-19», rinviava il turno elettorale amministrativo ordinario 2021 a una data compresa tra il 15 settembre ed il 15 ottobre 2021, e, conseguentemente, rinviava anche le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, da svolgersi «entro sessanta giorni dalla data dell’ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale da svolgersi nell’anno 2021»; 15) la legge della Regione Siciliana 18 dicembre 2021, n. 31 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta), che, «[n]elle more della riorganizzazione delle ex province regionali in ordine alle funzioni e agli organi elettivi», disponeva un ulteriore rinvio delle elezioni in esame, da svolgersi entro sessanta giorni dalla data dell’ultima proclamazione degli eletti, nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022. Salvo l’ultima, ciascuna delle leggi regionali menzionate, unitamente al rinvio delle elezioni, disponeva altresì proroghe successive del termine ultimo entro cui doveva cessare il commissariamento regionale degli organi degli enti di area vasta. La legge reg. Siciliana n. 31 del 2021, pur mantenendo ferma – e ulteriormente prorogando – la gestione commissariale delle funzioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali, ha invece stabilito che le funzioni del Consiglio metropolitano siano svolte dalla Conferenza metropolitana, che assume temporaneamente il ruolo di organo di indirizzo politico e di controllo dell’ente di area vasta. 3.5.– È dunque evidente che la legge regionale ora sottoposta al sindacato di questa Corte altro non rappresenta che l’ultimo anello di una catena di rinvii, che ha fatto sì che le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali – che la legge reg. Siciliana n. 15 del 2015 aveva originariamente previsto dovessero svolgersi fra il 1° ottobre e il 30 novembre 2015 –, nonché quelle dei Consigli metropolitani – che avrebbero dovuto svolgersi tra il 30 giugno e il 15 settembre 2016 ai sensi della legge reg. Siciliana n. 5 del 2016 –, ancora non abbiano avuto luogo. 3.6.– Una tale situazione si palesa, anzitutto, in contrasto con gli artt. 5 e 114 Cost. 3.6.1.– Nell’esercizio della competenza legislativa di cui all’art. 14, primo comma, lettera o), dello statuto speciale, il legislatore siciliano è tenuto a istituire i liberi Consorzi comunali (che, ai sensi dell’art. 15 del medesimo statuto prendono il posto delle soppresse circoscrizioni provinciali e devono essere «dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria») e le città metropolitane; ed è altresì tenuto a farlo nel rispetto della loro natura di enti autonomi garantita dagli artt. 5 e 114 Cost., nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali dettate dal legislatore statale (sentenza n. 168 del 2018, punto 4.3. del Considerato in diritto). Questa Corte ha infatti già avuto occasione di ricordare che «il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta istituzione» e ha altresì affermato la «natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’art. 114 Cost., come “costitutivi della Repubblica”, ed il carattere autonomistico ad essi impresso dall’art. 5 Cost.» (sentenza n. 50 del 2015, punti 3.4.1. e 3.4.3., rispettivamente, del Considerato in diritto; successivamente, sentenza n. 168 del 2018, punto 4.3. del Considerato in diritto). Di tale autonomia, il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo – che non viene meno nel caso di elezioni di secondo grado (sentenza n. 50 del 2015, punto 3.4.3. del Considerato in diritto) – rappresenta un «tratto essenziale e caratterizzante» (sentenza n. 286 del 1997, punto 8 del Considerato in diritto). 3.6.2.– Attraverso la menzionata serie di rinvii e proroghe, la Regione è venuta meno a tale dovere, con riferimento tanto ai liberi Consorzi comunali, quanto alle città metropolitane. Quanto ai primi, il continuo rinvio delle elezioni dei loro presidenti, e conseguentemente anche delle elezioni dei consigli, ha determinato la mancata costituzione dei due organi elettivi dei liberi Consorzi, le cui funzioni sono svolte ormai da numerosi anni da un commissario nominato dalla Regione. Quanto alle seconde, il continuo rinvio dell’elezione dei Consigli metropolitani ha fatto sì che nessuno dei tre organi di governo delle città metropolitane abbia al momento carattere elettivo. Non il sindaco metropolitano, individuato ope legis nel sindaco del comune capoluogo: soluzione questa già censurata da questa Corte nella sentenza n. 240 del 2021, ma tuttora vigente, non essendosi ad oggi concretato l’intervento legislativo urgentemente sollecitato nella pronuncia appena richiamata, affinché il funzionamento dell’ente metropolitano si svolga in conformità ai canoni costituzionali dell’eguaglianza del voto e della responsabilità politica. Non la Conferenza metropolitana, composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana. Non, appunto, i Consigli metropolitani, che ancora non sono stati costituiti a causa del protratto rinvio delle loro elezioni più volte ricordato. In definitiva, attraverso interventi puntuali e continui nel corso di otto anni, il legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia, in spregio a quanto prescritto dagli artt. 5 e 114 Cost. 3.7.– L’ennesimo rinvio previsto dalla disposizione impugnata si pone, altresì, in contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. A differenza di alcune almeno delle norme regionali precedentemente richiamate, che invocavano espressamente una ragione del rinvio delle elezioni, la disposizione oggetto del presente giudizio non menziona alcuna giustificazione per il rinvio di un anno delle mai celebrate elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani. Né una simile giustificazione emerge dai lavori preparatori della disposizione stessa o è stata fornita dalla Regione, che, come detto, non si è difesa relativamente a questa parte del giudizio. L’art. 13, comma 43, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, pertanto, in assenza di qualsivoglia ragione, consolida, prolunga e aggrava la situazione di sostanziale disconoscimento degli obblighi contenuti negli artt. 5 e 114 Cost. che caratterizza l’assetto delle autonomie locali in Sicilia ormai da numerosi anni. 3.8.– Deve essere quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 5 e 114 Cost., l’art. 13, comma 43, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, che ha prolungato di un anno una situazione in contrasto con la Costituzione. A tale situazione deve essere posto rimedio senza ulteriori ritardi, attraverso il tempestivo svolgimento delle elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, affinché anche in Sicilia gli enti intermedi siano istituiti e dotati dell’autonomia loro costituzionalmente garantita, e si ponga fine alla più volte prorogata gestione commissariale. Restano assorbite le ulteriori censure proposte nei confronti della medesima disposizione. 4.– È poi impugnato l’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, che dispone: «[t]rovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell’articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all’articolo 38 bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni». L’art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, allo scopo di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell’industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevedeva nella sua formulazione originaria che, fino al 31 dicembre 2021, «per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l’organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, [fosse] sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall'interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo». L’art. 10, comma 1, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, ha quindi esteso l’efficacia di tale disposizione al 31 dicembre 2022. Infine, successivamente all’entrata in vigore della legge regionale impugnata, l’art. 7-sexies del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, ha ulteriormente prorogato l’efficacia della disposizione in esame al 31 dicembre 2023, modificandone inoltre l’ambito applicativo, che ricomprende ora anche le «proiezioni cinematografiche» e, in generale, gli spettacoli che si svolgono «in un orario compreso tra le ore 8.00 e le ore 1.00 del giorno seguente». 4.1.– Secondo il ricorrente, la semplificazione procedimentale operata dalle disposizioni statali richiamate presupporrebbe logicamente che le funzioni di polizia amministrativa originariamente attribuite dagli artt. 68 e 69 TULPS al questore e all’autorità locale di pubblica sicurezza siano già state trasferite ai comuni. Poiché in Sicilia tale trasferimento non è mai avvenuto a causa della mancata adozione delle norme di attuazione statutaria indispensabili a tale scopo, la disposizione in esame si porrebbe «in contrasto con le previsioni statutarie (articolo 43 dello Statuto regionale) e costituzionali (articolo 116 Cost., e Legge cost. n. 2/1948)» e sarebbe altresì lesiva delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 4.2.– Le censure sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e all’art. 43 dello statuto speciale. 4.3.– Con riferimento alle regioni a statuto ordinario, le funzioni di polizia amministrativa previste dagli artt. 68 e 69 TULPS sono state trasferite ai comuni dall’art. 19, primo comma, numeri 5) e 6), del d.P.R. n. 616 del 1977, che recita: «[s]ono attribuite ai comuni le seguenti funzioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni: […] 5) la concessione della licenza per rappresentazioni teatrali o cinematografiche, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, altri simili spettacoli o trattenimenti, per aperture di esercizio di circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione, di cui all’art. 68; 6) la licenza per pubblici trattenimenti, esposizioni di rarità, persone, animali, gabinetti ottici ed altri oggetti di curiosità o per dare audizioni all’aperto di cui all’art. 69». Con riguardo alle regioni a statuto speciale invece – in ossequio al risalente e costante orientamento di questa Corte, secondo cui la «sostituzione di uffici dello Stato, nella loro organizzazione obiettiva, concernente le funzioni, e subiettiva, concernente il personale, non [è] ammissibile se non in seguito a speciali norme di attuazione» (così la sentenza n. 12 del 1959, che richiama le sentenze n. 6, n. 9, n. 11 e n. 19 del 1957, nonché le sentenze n. 1 e n. 45 del 1958) – il medesimo trasferimento di funzioni statali ai comuni ha richiesto l’adozione delle norme di attuazione statutaria previste dai rispettivi statuti speciali. Più in generale, come sottolineato da questa Corte nella sentenza n. 180 del 1980, alla necessità che il trasferimento delle funzioni statali avvenga, per le regioni ad autonomia differenziata, nel rispetto delle procedure prescritte da ogni singolo statuto, risultano informati nel loro complesso sia «il primo passaggio di funzioni, uffici e personale dallo Stato alle Regioni di diritto comune, disposto dagli undici decreti presidenziali del 14-15 gennaio 1972; tanto è vero che si sono resi […] indispensabili per conseguire i medesimi effetti in Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e nel Friuli-Venezia Giulia specifici atti statali con forza di legge, adottati nelle forme previste per le discipline di attuazione dei relativi Statuti speciali»; sia il secondo trasferimento di funzioni, attuato con d.P.R. n. 616 del 1977, «il quale stabilisce anzi espressamente nell’art. 119 che le funzioni amministrative degli enti pubblici estinti, già trasferiti alle Regioni ordinarie in virtù del contestuale art. 113, continuino “ad essere esercitate nelle regioni a statuto speciale mediante uffici stralcio, fino a quando non sarà diversamente disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali o di altre leggi dello Stato”» (punto 3 del Considerato in diritto). Allo stesso criterio si è del resto attenuto, in maniera ancor più esplicita, anche il terzo trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e agli enti locali. L’art. 10 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59) dispone infatti espressamente che «[c]on le modalità previste dai rispettivi statuti si provvede a trasferire alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in quanto non siano già attribuite, le funzioni e i compiti conferiti dal presente decreto legislativo alle regioni a statuto ordinario». Conformemente a tale criterio, questa Corte non ha mancato, anche con specifico riferimento alla Regione Siciliana, di dichiarare l’illegittimità costituzionale di leggi statali che avevano inteso operare un trasferimento di funzioni alle regioni ad autonomia speciale «tramite un procedimento normativo non conforme a quello che, allo scopo, è previsto dagli artt. 56 dello statuto della Regione Sardegna e 43 dello statuto della Regione Sicilia, vale a dire il procedimento previsto per l’adozione delle norme di attuazione degli statuti speciali medesimi, tra le quali rientrano, per conforme giurisprudenza di questa Corte, quelle che determinano il passaggio delle funzioni dallo Stato alle regioni speciali» (sentenza n. 377 del 2000, punto 3.1. del Considerato in diritto). Parallelamente, questa Corte ha constatato che, in mancanza dell’adozione delle norme di attuazione di cui all’art. 43 dello statuto reg. Siciliana, il trasferimento di determinate funzioni disposto direttamente dal legislatore statale per le regioni ordinarie, non si era verificato invece nella Regione Siciliana (sentenza n. 128 del 2017, relativa al mancato trasferimento alla stessa Regione autonoma delle funzioni in materia di indennizzi di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati»). 4.4.– Con specifico riferimento alle funzioni di polizia amministrativa di cui agli artt. 68 e 69 TULPS, le norme di attuazione di cui all’art. 43 dello statuto reg. Siciliana non sono mai state adottate, a differenza di quanto avvenuto nelle altre regioni a statuto speciale (si veda, ad esempio, l’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica, 19 giugno 1979, n. 348, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616», che opera il medesimo trasferimento con riguardo alla Regione autonoma Sardegna). Successivamente all’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il Consiglio di Stato, richiesto di un parere sulla possibilità, nel nuovo quadro costituzionale, di attuare il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana con modalità diverse da quelle di cui all’art. 43 dello statuto speciale, ha concluso che «allo stato, ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla regione Sicilia e alle Province e ai Comuni della stessa Regione non [sono] possibili procedure diverse da quella prevista dall’art. 43 dello Statuto della Regione», escludendo inoltre espressamente che nel caso in esame si rientri «in una delle ipotesi in cui la Corte costituzionale ha ritenuto che le Regioni a statuto speciale possano esercitare funzioni amministrative nelle materie previste dagli statuti senza la preventiva emanazione delle relative norme di attuazione» (Consiglio di Stato, sezione prima, parere del 26 giugno 2002, n. 1510). In sintesi, risulta da quanto sinora richiamato che in Sicilia le funzioni di polizia amministrativa di cui agli artt. 68 e 69 TULPS non sono state trasferite ai comuni; né potrebbero esserlo se non attraverso l’adozione di apposite norme di attuazione statutaria ai sensi dell’art. 43 dello statuto speciale. 4.5.– Il mancato trasferimento ai comuni delle funzioni in esame ha fatto sì che, in Sicilia, queste non venissero incise dalle disposizioni di semplificazione adottate a partire dall’entrata in vigore dell’art. 7, comma 8-bis, del d.l. n. 91 del 2013, come convertito, che ha disposto che le licenze e autorizzazioni previste dagli artt. 68 e 69 TULPS siano sostituite da SCIA ex art. 19 della legge n. 241 del 1990, «[p]er eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio», disposizioni tra le quali si iscrive lo stesso art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito. Operanti nel resto del territorio nazionale, tali semplificazioni non hanno trovato applicazione in Sicilia, poiché, come rileva correttamente l’Avvocatura generale dello Stato, è la stessa legge n. 241 del 1990 a escludere dall’ambito di applicazione della SCIA gli «atti rilasciati dalle amministrazioni preposte […] alla pubblica sicurezza […]», quali sono, in Sicilia, le autorizzazioni di cui agli artt. 68 e 69 TULPS. 4.6.– Con la disposizione ora sottoposta al giudizio di questa Corte, il legislatore siciliano ha dunque inteso recepire nel territorio regionale, con proprio intervento unilaterale, le semplificazioni già operanti nel resto d’Italia, con riferimento però a funzioni tuttora di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza statale. In tal modo, il legislatore regionale da un lato ha interferito con la disciplina dettata dagli artt. 68 e 69 TULPS e fatta salva dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che è espressione della competenza esclusiva statale nella materia «ordine pubblico e sicurezza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Dall’altro, ha disatteso l’art. 43 dello statuto speciale, ai sensi del quale il trasferimento delle funzioni in esame ai comuni, che è prius logico rispetto alla loro semplificazione, richiede l’adozione di norme di attuazione statutaria che non possono essere sostituite da un intervento unilaterale del legislatore regionale. Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. e dell’art. 43 dello statuto speciale, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura. 5.– È infine impugnato l’art. 13, comma 108, ai sensi del quale «[n]elle more della formazione ed approvazione dei PUG, i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all'area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo». 5.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe: – i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui al «combinato disposto degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione», poiché sacrificherebbe l’interesse all’ordinato assetto del territorio non già per il perseguimento dell’«interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo»; – l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, in relazione alle «previsioni relative alla “zonizzazione” dei territori comunali, con l’individuazione della relativa disciplina d’uso e dei relativi limiti di edificazione» di cui all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, le quali rappresenterebbero norme di grande riforma economico-sociale; – l’art. 14, primo comma, lettera n), dello statuto reg. Siciliana, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143, 145 e 146 cod. beni culturali, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 5, lettera d), e 6, lettere d) ed e), della Convenzione europea del paesaggio, poiché, non facendo salva l’applicazione della disciplina in materia paesaggistica, produrrebbe un abbassamento della tutela del paesaggio. 5.2.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sono fondate. 5.3.– Come da tempo questa Corte ha rilevato, la legge n. 104 del 1992 è diretta ad assicurare la tutela della persona con disabilità in settori diversi, che spaziano «dalla ricerca scientifica ad interventi di tipo sanitario ed assistenziale, di inserimento nel campo della formazione professionale e nell’ambiente di lavoro, di integrazione scolastica, di eliminazione di barriere architettoniche e in genere di ostacolo all’esercizio di varie attività e di molteplici diritti costituzionalmente protetti» (sentenza n. 406 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto). In questo contesto, l’art. 10 prevede che i comuni possano realizzare comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone disabili in situazione di gravità (comma 1), oppure contribuire mediante appositi finanziamenti alla realizzazione e al sostegno delle stesse strutture, promosse da enti, associazioni, fondazioni, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, società cooperative e organizzazioni di volontariato iscritte negli albi regionali (comma 3). Il successivo comma 6 prevede che costituisce variante del piano regolatore l’approvazione di progetti edilizi concernenti immobili da destinare a tali comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi, con vincolo di destinazione almeno ventennale all’uso effettivo dell’immobile per gli scopi dichiarati, laddove tali immobili siano localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione. In altre parole, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, l’approvazione del progetto da parte del Consiglio comunale ha, eccezionalmente, il valore e gli effetti propri della variante agli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 29 aprile 2011, n. 2548). Il menzionato comma 6, tuttavia, circonda di alcune opportune cautele tale deroga alle ordinarie regole della pianificazione urbanistica. Oltre a fare salva l’applicazione della disciplina a tutela del paesaggio, esso prevede che «[i]l venir meno dell’uso effettivo per gli scopi di cui alla presente legge prima del ventesimo anno comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area». Con ciò il legislatore statale intende all’evidenza escludere che della deroga possano beneficiare immobili poi non effettivamente destinati al soddisfacimento delle esigenze preminenti delle persone disabili per un arco temporale sufficientemente esteso, in modo da prevenire la possibilità di un utilizzo abusivo di tale deroga. Nel giudicare della legittimità costituzionale di tale disposizione, la sentenza n. 406 del 1992 di questa Corte ne ha escluso il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., valorizzando proprio le specifiche cautele previste dalla disposizione in esame. Si è infatti osservato che «la rimessione, nel caso di specie, di poteri decisionali definitivi alle autorità comunali e la mancata previsione dell’approvazione delle varianti da parte delle Regioni ha il suo fondamento giustificativo nella necessità di snellire ed accelerare al massimo la realizzazione, da parte di enti pubblici o sotto il controllo di questi, di opere destinate a fronteggiare preminenti e pressanti esigenze di soggetti portatori di handicaps in situazione di gravità; d’altra parte la previsione di simili varianti automatiche non è sprovvista di contestuali cautele e vincoli intesi ad assicurare una equilibrata soddisfazione dei diversi interessi afferenti al governo del territorio» (punto 3 del Considerato in diritto). 5.4.– La disposizione impugnata interviene a modificare gli effetti dei titoli abilitativi rilasciati ai sensi dell’art. 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992. Mentre infatti ai sensi della legge n. 104 del 1992 il venir meno dell’uso effettivo dell’immobile come comunità-alloggio o centro socio-riabilitativo prima del ventesimo anno «comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area», la disposizione impugnata prevede che, sussistendo due condizioni – che gli immobili siano già stati realizzati, e che i titoli abilitativi siano stati rilasciati almeno diciotto mesi prima della data di entrata in vigore della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio) –, la modifica della destinazione urbanistica abbia carattere permanente; e ciò anche qualora l’immobile non sia stato effettivamente destinato a comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone disabili. Inoltre, tale permanente modifica si impone al nuovo piano urbanistico generale, che deve «tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio». Ancora, nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge regionale impugnata, gli «aventi titolo» possono chiedere il cambio di destinazione urbanistica dell’immobile, purché esso venga destinato a usi diversi da quelli residenziali e commerciali (ad esempio, turistico/ricettivo o industriale). In sintesi, la disposizione impugnata fa sì che l’effetto di variante del piano urbanistico che la legge statale eccezionalmente prevede, ma a condizione che l’immobile venga effettivamente utilizzato come comunità-alloggio o centro socio-riabilitativo per persone disabili per almeno vent’anni, si verifichi anche qualora l’immobile non venga utilizzato a tal scopo per tale tempo minimo. Vengono così a cadere proprio quelle cautele e quei vincoli che, nella sentenza n. 406 del 1992, avevano consentito a questa Corte di escludere la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Se infatti l’art. 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992 ha definito un bilanciamento non irragionevole fra l’ordinato sviluppo urbano e i diritti delle persone disabili, la legge della Regione Siciliana in esame ha significativamente alterato tale punto di equilibrio, consentendo il sacrificio dei vari interessi afferenti all’ordinato governo del territorio, senza che ciò sia giustificato dal reale perseguimento delle finalità di integrazione e socializzazione delle persone disabili, che rischiano così di non essere realmente perseguite, ma soltanto strumentalmente invocate per il perseguimento di altri, diversi, interessi. Di qui l’irragionevolezza della disposizione in esame e, assieme, la sua incidenza negativa sul buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 Cost. 5.5.– È altresì fondata la questione promossa in riferimento all’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, in relazione all’art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942. Consentendo deroghe alla disciplina urbanistica comunale non giustificate dalla necessità di tutela degli interessi delle persone disabili, la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio della programmazione urbanistica che trova il proprio fondamento generale nei commi ottavo e nono dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, anche di recente qualificati dalla giurisprudenza di questa Corte come principi fondamentali della materia «governo del territorio» (sentenza n. n. 240 del 2022, punto 3.5.1. del Considerato in diritto), che si impongono anche alla competenza legislativa primaria in materia di urbanistica che l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto speciale attribuisce alla Regione Siciliana, quali norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 90 del 2023, punto 9.3.3. del Considerato in diritto). 5.6.– Deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 13, comma 108, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché dell’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, quest’ultimo in relazione all’art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942. Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe; 1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 43, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie); 2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022; 3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2023. F.to: Silvana SCIARRA, Presidente Francesco VIGANÒ, Redattore Igor DI BERNARDINI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2023. Il Cancelliere F.to: Igor DI BERNARDINI Allegato: Ordinanza letta all'udienza del 6 giugno 2023 ORDINANZA Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 13, comma 43, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022). Rilevato che, con atto depositato il 12 dicembre 2022, è intervenuto nel giudizio F.M. D.; che F.M. D. afferma che la sua legittimazione all'intervento deriverebbe tanto dalla sua qualità di cittadino elettore iscritto nelle liste del Comune di Aci Castello, e quindi «interessato alla conformazione delle strutture istituzionali in cui si esprime il circuito della rappresentanza e della responsabilità politica», quanto «dalla circostanza di aver provocato il giudizio in cui è stata adottata la pronuncia di codesta Corte costituzionale 7 dicembre 2021, n. 240»; che l'interveniente riferisce in particolare che è nell'ambito del giudizio da lui stesso instaurato di fronte al Tribunale ordinario di Catania al fine di veder accertato il proprio diritto di partecipare alla costituzione dell'organo di vertice della Città metropolitana di Catania che sono state sollevate le questioni di legittimità costituzionale decise con sentenza di questa Corte n. 240 del 2021; che, sempre a detta dell'interveniente, le circostanze che nell'odierno giudizio questa Corte sarebbe chiamata a «chiarire l'efficacia della sentenza n. 240/2021 e, particolarmente, delle avvertenze contenute al n. 8 del considerato in diritto», e che il giudizio instaurato dall'interveniente di fronte alla giurisdizione ordinaria è tuttora pendente davanti alla Corte di cassazione, gli conferirebbero «una posizione differenziata e specifica» rispetto a «tutti gli altri cittadini elettori siciliani», che ne legittimerebbe l'intervento nel presente giudizio. Considerato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il giudizio di legittimità costituzionale in via principale si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa e non ammette l'intervento di soggetti che ne siano privi; che tale orientamento è stato mantenuto fermo anche a seguito delle modifiche delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale apportate con la delibera di questa Corte 8 gennaio 2020, «non incidendo esse sui requisiti di ammissibilità degli interventi nei giudizi in via principale» (ordinanza letta all'udienza del 25 febbraio 2020 e allegata alla sentenza n. 56 del 2020); che ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta in numerose occasioni successive (ex plurimis, tra le più recenti, sentenze n. 76 del 2023, punto 2 del Considerato in diritto, n. 259 del 2022, punto 2 del Considerato in diritto, n. 221 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto e n. 121 del 2022, punto 3 del Considerato in diritto; ordinanza n. 134 del 2022), osservando, in particolare, che la possibilità ora prevista dagli artt. 6 e 31 delle Norme integrative di presentare a questa Corte un'opinione scritta in qualità di amici curiae «rafforza, e non già invalida, la preclusione dell'intervento» (ordinanza letta all'udienza del 22 marzo 2022 e allegata alla sentenza n. 117 del 2022); che tali assorbenti argomenti esimono questa Corte dal confrontarsi con le motivazioni addotte dall'interveniente e di cui si è dato conto in precedenza; che, dunque, l'intervento di F.M. D. deve essere dichiarato inammissibile. per questi motivi la corte costituzionale dichiara inammissibile l'intervento in giudizio di F.M. D. F.to: Silvana Sciarra, Presidente

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 85 del 2023, proposto da Gr. Bo. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Na. Ca. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 57 del 2.3.2023, ricevuta in data 22.3.2023; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 31.10.2022 del Comune di (omissis) di avviso di avvio del procedimento amministrativo ex 10 L. 241 /1990 e ss. mm.; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 28.9.2022 del Comune di (omissis) di diffida ad adempiere al contratto n. 15554 del 25.2.2009; - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 71 del 10.2.2009 del Comune di (omissis) di approvazione dello schema di contratto preliminare e di compravendita; - del parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato del 2022 richiesto dal Comune di (omissis) con nota prot. n. 18196 del 5.12.2022, non conosciuto; e, per quanto occorrer possa - di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e conseguente e con riserva di proporre motivi aggiunti e agire per il risarcimento dei danni subiti Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 35, comma 1, lettera b), c.p.a.; Visto l'art. 60 c.p.a.; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 il consigliere Antonia Tassinari e udita per la parte ricorrente l'avvocato Ad. Ba. in sostituzione dell'avvocato Na. Ca. e per il Comune di (omissis) l'avvocato distrettuale dello Stato Da. Be., come specificato nel relativo verbale; Sentite ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con contratto di compravendita sottoscritto il 25 febbraio 2009 repertorio n. 15554 raccolta n. 6534 avanti il dott. Fl. Na., notaio in (omissis) (Trento), il Comune di (omissis) ha trasferito al Gr. Bo. s.r.l., in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, la piena proprietà della p.f. (omissis) p.t. (omissis) C.C. (omissis) per il prezzo complessivo di euro 454.000,00. Va dunque sin d'ora evidenziato che il Comune ha nella specie utilizzato, al fine del trasferimento al privato di una sua proprietà, uno strumento contrattuale ai sensi dell'art. 1321 e ss. cod. civ. e, segnatamente, disciplinato dall'art. 1470 e ss. cod. civ. e dall'art. 2 del Regio Decreto 28 marzo 1929, n. 499: vale a dire un atto di natura non autoritativa bensì paritetica, ossia agendo secondo le norme di diritto privato in applicazione della disciplina di principio contenuta nell'art. 1 comma 1bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e per quanto segnatamente attiene alla Provincia Autonoma di Treno e agli Enti locali ricadenti in tale territorio, nell'art. 2, comma 2, della legge provinciale 30 novembre 1992, n, 23, così come sostituito dall'art. 2 della legge provinciale 27 marzo 2007, n. 7, a sua volta modificato dall'art. 2 della legge provinciale 3 aprile 2009, n. 4 e - da ultimo - dall'art. 15 della legge provinciale 24 gennaio 2023, n. 2 (cfr. ivi: "L'amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente"). La società acquirente, ai sensi dell'art. 5 del suddetto contratto, ha assunto l'obbligo di destinare l'immobile alla realizzazione di uno stabilimento, inclusa la costruzione di edifici civili e per scopi sociali a servizio dello stabilimento, occupandovi 11 unità lavorative. La costruzione e la messa in attività dello stabilimento sarebbe dovuta avvenire entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto e la destinazione a stabilimento avrebbe dovuto essere mantenuta per 25 anni. Nel caso di ritardo nella costruzione e/o nella messa in produzione dello stabilimento l'art. 7 del medesimo contratto di compravendita ne ha previsto la risoluzione di diritto a norma dell'art. 1456 c.c. con la restituzione dell'area al Comune e la corresponsione di penali da parte della società acquirente. 2. Va ora evidenziato che la legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, "Interventi della Provincia autonoma di Trento per il sostegno dell'economia e della nuova imprenditorialità locale" ha previsto anche la partecipazione dei Comuni nell'ambito delle iniziative di aiuto rivolte alle imprese per sostenerne e promuoverne l'attività . Per quanto qui di interesse, i Comuni, in armonia con gli strumenti urbanistici in vigore, intervengono in particolare con la cessione di aree e strutture ad imprese che risultino assegnatarie delle stesse a seguito di confronto tra gli aspiranti all'assegnazione nel caso di domande concorrenti sul medesimo lotto o su una stessa struttura. Il Comune di (omissis) ai fini di cui alla anzidetta legge ha approvato il Piano di lottizzazione dell'area industriale artigianale della località (omissis); le superfici relative, dotate delle infrastrutture primarie realizzate a cura della Provincia Autonoma di Trento, sono state riservate ad insediamenti produttivi e soggette a vincolo di destinazione ad attività compatibili con quella produttiva. Il Gr. Bo. s.r.l. (in seguito Bo.) ha presentato il 10 giugno 2008 domanda di assegnazione di un terreno ricompreso nell'area lottizzata da destinare, come si è detto, alla realizzazione di uno stabilimento; nello specifico il progetto riguarda lo stoccaggio temporaneo di rifiuti. Risulta pertanto assodato che il sopradescritto contratto di compravendita è stato stipulato tra le parti quale atto che trova il proprio essenziale presupposto in tale legge provinciale, come del resto inequivocabilmente risulta dal suo testo (cfr. ivi la premessa A: "La Giunta provinciale di Trento ha approvato i criteri e le modalità per l'applicazione della legge 13 dicembre 1999, n. 6 con deliberazione n. 2607 di data 16 ottobre 2000, modificata ed integrata con deliberazioni n. 2770 di data 25 ottobre 2001 e n. 444 di data 28 febbraio 2003", nonché ibidem la premessa I "Il presente contratto è stipulato in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999, n. 6, Capo III, Sezione II"). 3. Con determinazione n. 57 del 2 marzo 2023, preceduta da avviso di avvio del procedimento, il Responsabile del Servizio Tecnico-Gestionale del Comune di (omissis) ha provveduto alla risoluzione ex art. 1456 c.c. del contratto stipulato con Bo. nel 2009 chiedendo a quest'ultima ai sensi dell'art. 7 comma 2 del contratto medesimo in particolare il versamento della penale di euro 454.000,00 pari al corrispettivo versato alla sottoscrizione dello stesso e la restituzione dell'area contraddistinta dalla p.f. (omissis).. Secondo quanto evidenziato in tale provvedimento Bo. non ha infatti adempiuto agli obblighi stabiliti dall'art. 5 del contratto non avendo realizzato e messo in attività nei termini ivi prescritti lo stabilimento produttivo, e ciò nonostante la ripetuta proroga dei termini medesimi accordata in suo favore. Il provvedimento richiama il parere al riguardo espresso dall'Avvocatura distrettuale di Trento secondo cui gli obblighi suddetti sono vincolanti ed inderogabili per le parti, in quanto sottoscritti ex 1372, comma 1, c.c. In calce alla medesima determinazione n. 57 del 2023 risulta apposta l'indicazione del T.R.G.A. di Trento quale autorità innanzi alla quale è possibile impugnare tale provvedimento. 4. Con nota dd. 17 aprile 2023 l'attuale patrocinio della ricorrente ha evidenziato al Comune, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, che la giurisdizione nella specie spettava e spetta al riguardo al Giudice ordinario, per cui "al fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in oggetto e onde evitare inutile attività processuale che comporti la dichiarazione di inammissibilità dei gravami proposti per carenza di giurisdizione, si chiede a Codesta Spett.le Amministrazione di voler richiedere tempestivamente un parere all'Avvocatura Distrettuale dello Stato al fine di valutare l'opportunità di una rettifica dei provvedimenti in oggetto, eliminando il riferimento alla giurisdizione amministrativa e ai conseguenti termini decadenziali, confermando la giurisdizione del Giudice Ordinario. In difetto, lo scrivente sarà costretto ad adire prudenzialmente il Giudice amministrativo nei termini indicati nei ridetti provvedimenti". Con nota dd. 20 aprile 2023 - alquanto paradossale nel suo contenuto - il predetto Responsabile dei Servizi Tecnico - Gestionali del Comune rispondeva alla surriferita nota del patrocinio dell'attuale ricorrente affermando "che la supposta erronea indicazione dell'Autorità cui ricorrere avverso la risoluzione contrattuale in parola configurerebbe comunque una mera irregolarità, condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratterebbe, quindi, di una condizione diversa dall'invalidità : a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l'annullamento di atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme. (Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28 luglio 2015, n. 3710 per la quale la mancanza delle indicazioni richieste dall'art. 3, comma 4, della l. n. 241 del 1990, concernenti il termine per l'impugnazione e l'Autorità cui ricorrere, non solo non è causa autonoma di illegittimità, rappresentando soltanto una mera irregolarità, ma non giustifica, di per sé, neppure l'automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Ed infatti tale riconoscimento può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie, a contrasti giurisprudenziali od al comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un'assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico) 5. Con il ricorso in esame Bo., anche al dichiarato fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in epigrafe, ha quindi adito questo Tribunale chiedendo in principalità l'annullamento della determinazione n. 57 del 2 marzo 2023 nell'assunto della nullità del presupposto contratto di compravendita, o quantomeno degli artt. 5 e 7 del medesimo, sottoscritto nel 2009 con il Comune. A dire della ricorrente qualora l'acquisto del lotto avvenga a prezzo di mercato come nel caso in esame l'unico obbligo cui il privato sarebbe tenuto è il vincolo di destinazione produttiva del terreno (cfr. art. 29, comma 7, della l.p. n. 7 del 1999). Viceversa nel caso di vendita a prezzo agevolato il contratto può prevedere l'assunzione di ulteriori obblighi. Solo in tal modo infatti sarebbe assicurato il debito equilibrio del sinallagma contrattuale. 6. L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio con una memoria di mero stile avvalendosi del patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116 7. Alla camera di consiglio, convocata per la trattazione dell'incidente cautelare, le parti presenti sono state avvisate della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. Quindi il ricorso è stato trattenuto in decisione. 8. In via preliminare, il Collegio ritiene che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, a norma dell'art. 60 c.p.a., secondo il quale "In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione...", ricorrendone i presupposti poiché il contraddittorio è integro, l'istruttoria è completa e le parti costituite non hanno manifestato l'intenzione di proporre motivi aggiunti o un ricorso incidentale o regolamento di competenza ovvero regolamento di giurisdizione. 9. Premesso tutto quanto precede, è appena il caso di sottolineare che non vale a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo la natura di provvedimento, conclusivo di un procedimento, dell'atto contestato e neppure lo sviluppo in termini procedimentali, appunto, della vicenda con l'applicazione delle garanzie partecipative e procedimentali di cui agli artt. 7 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (corrispondenti agli artt. 25 e 27 bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23). La giurisdizione del giudice amministrativo secondo il tradizionale criterio di riparto, trova infatti idoneo fondamento nell'esercizio di poteri autoritativi di norma connotati dall'ampia discrezionalità che di tale potere costituisce l'essenza. Quindi se il cattivo esercizio di tale potere determina la spettanza della cognizione della controversia al giudice amministrativo, alla carenza di tale potere consegue viceversa la giurisdizione del giudice ordinario. Detto altrimenti e in estrema sintesi: la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria qualora si faccia questione dell'esercizio di un "diritto potestativo governato dal diritto comune e non di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell'amministrazione pubblica nei confronti del privato" (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543). 10. Vale allora considerare che la ricorrente si duole della risoluzione per inadempimento a cui con il provvedimento in principalità impugnato si è determinata l'Amministrazione comunale ex art. 1456 c.c., disposizione quest'ultima espressamente richiamata all'art. 7 (Inadempimenti) del contratto sottoscritto nel 2009. Ebbene la giurisprudenza ha affermato non solo che le controversie le quali hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione del contratto adottato per inadempimento "sono devolute alla cognizione del giudice ordinario perché attinenti alla fase esecutiva, dovendo l'atto risolutivo essere qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla Pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato" ma, altresì, che "allo stesso modo, qualora l'amministrazione pubblica ottenga la risoluzione del contratto invocando la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., ivi contenuta, la controversia tra le parti contraenti appartiene alla giurisdizione ordinaria" (T.A.R. Toscana, sez. I, 29 maggio 2023, n. 525; T.A.R. Toscana, sez. I, 29 dicembre 2022, n. 1548; Cons. Stato, sez. III, 5 luglio 2022, n. 5589; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 27 gennaio 2022, n. 20). "Ciò indipendentemente dalla veste formalmente amministrativa della determinazione adottata dalla committente, la quale non ha natura provvedimentale, nonostante il carattere unilaterale della risoluzione" (TAR Toscana, sez. I, sent. 1625/2021, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, n. 2128). Non essendo stato, nella specie, esercitato un potere - anche solo mediatamente autoritativo - di risoluzione contrattuale che implichi valutazioni di carattere discrezionale circa la convenienza di proseguire nel rapporto contrattuale in essere, la presente questione si prospetta semmai quale attività paritetica dell'Amministrazione finalizzata a dare applicazione a regole predeterminate che prefigurano una posizione di diritto soggettivo (T.A.R. Toscana, sez. I, 23 giugno 2022, n. 849). In ragione di ciò la cognizione della questione qui sottoposta va ricondotta alla giurisdizione ordinaria. 11. A riguardo del fuorviante avviso apposto in calce all'impugnato provvedimento, poi, è innanzitutto vero in linea di principio che, come rilevato dall'Amministrazione, nella sua nota del 20 aprile 2023, l'omessa o, come nel caso di specie, anche l'erronea indicazione, dell'Autorità cui è possibile ricorrere, indicazione di natura meramente agevolativa prevista dal comma 4 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, rappresenta una mera irregolarità e non un'illegittimità dell'atto. (cfr. sul punto, ad es., la recente sentenza di T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 maggio 2023, n. 1696 con espressa citazione in essa della più che consolidata giurisprudenza risalentemente formatasi al riguardo, quale Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2014 n. 4623; id IV, 13 ottobre 2017 n. 4758; id. VI, 17 maggio 2018, n. 2984). Ma, anche se vale in linea di principio l'assunto secondo cui è pur sempre il ricorrente il soggetto su cui grava l'onere di individuare gli strumenti di tutela giurisdizionale azionabili e in particolare l'Autorità giudiziaria competente a conoscerne (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2019, n. 8889), non può essere nella specie sottaciuto che la parte qui ricorrente aveva puntualmente fatto constare all'Amministrazione Comunale l'erroneità, nella predetta determina n. 57 del 2023, dell'avvenuta indicazione di questo Tribunale quale Giudice titolare della giurisdizione sulla controversia insorta tra le parti, e che a fronte della richiesta di rettifica di ciò che sebbene costituisca una irregolarità comunque ingenera equivoci, la medesima Amministrazione ha pretestuosamente ricusato di provvedere in proposito richiamandosi ad una giurisprudenza non conferente al caso di specie in quanto presupponente, al fine della non corretta individuazione della giurisdizione da parte del destinatario del provvedimento, la sussistenza di "una situazione normativa ambigua o confusa... uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma", ovvero la sussistenza di una " particolare complessità della fattispecie", oppure ancora di "contrasti giurisprudenziali", quando - a ben vedere - l'unica ipotesi conferente al caso di specie richiamata nella citazione da parte dell'Amministrazione medesima del precedente di Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2015, n. 3710 è - semmai - proprio quella del "comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti". D'altra parte, la stessa attuale ricorrente, proprio in quanto di fatto (e a ragione) intimamente convinta della sussistenza al riguardo della giurisdizione del Giudice ordinario, meglio avrebbe fatto ad adirlo con immediatezza, anche a prescindere dall'erronea indicazione sulla giurisdizione pur caparbiamente riaffermata dal Comune, lasciando pertanto a quest'ultimo il ben grave onere di ribadirne il relativo assunto in sede di giudizio. 12. Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando la controversia alla cognizione del giudice ordinario, dinanzi al quale l'attuale parte ricorrente potrà pertanto riassumere la causa nei termini di cui all'art. 11 c.p.a. Le spese e gli onorari del presente giudizio non possono che essere integralmente compensati tra le parti, stante la reciprocamente erronea loro condotta che, in via alquanto deprecabile, ha determinato l'inutile proposizione del presente ricorso in una sede di giudizio manifestamente a ciò inidonea. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 85 del 2023 in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, rientrando la controversia nella cognizione devoluta al giudice ordinario dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nei termini di legge. Spese compensate Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; nel giudizio introdotto con il ricorso numero di registro generale 84 del 2023, proposto da Er. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Na. Ca. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 64 del 6.3.2023, ricevuta in data 22.3.2023; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 31.10.2022 del Comune di (omissis) di avviso di avvio del procedimento amministrativo ex 10 L. 241 /1990 e ss. mm.; - della nota del Responsabile dei Servizi Tecnico Gestionali del 28.9.2022 del Comune di (omissis) di diffida ad adempiere al contratto n. 15555 del 25.2.2009; - della Determinazione del Responsabile del Servizio n. 57 del 3.2.2009 del Comune di (omissis) di approvazione dello schema di contratto preliminare e di compravendita; - del parere dell'Avvocatura distrettuale dello Stato del 2022 richiesto dal Comune di (omissis) con nota prot. n. 18196 del 5.12.2022, non conosciuto; e, per quanto occorrer possa - di ogni ulteriore atto connesso, presupposto e conseguente e con riserva di proporre motivi aggiunti e agire per il risarcimento dei danni subiti Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 35, comma 1, lettera b), c.p.a.; Visto l'art. 60 c.p.a.; Visto il decreto del Presidente di questo Tribunale n. 9 del 29 marzo 2023; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 il consigliere Antonia Tassinari e udita per la parte ricorrente l'avvocato Ad. Ba. in sostituzione dell'avvocato Na. Ca. e per il Comune di (omissis) l'avvocato distrettuale dello Stato Da. Be., come specificato nel relativo verbale; Sentite ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con contratto di compravendita sottoscritto il 25 febbraio 2009 repertorio n. 15555 raccolta n. 6535 avanti il dott. Fl. Na., notaio in (omissis) (Trento), il Comune di (omissis) ha trasferito alla Er. s.r.l., in esecuzione della legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, la piena proprietà della p.f. (omissis) p.t. (omissis) C.C. (omissis) per il prezzo complessivo di euro 459.000,00. Va dunque sin d'ora evidenziato che il Comune ha nella specie utilizzato, al fine del trasferimento al privato di una sua proprietà, uno strumento contrattuale ai sensi dell'art. 1321 e ss. cod. civ. e, segnatamente, disciplinato dall'art. 1470 e ss. cod. civ. e dall'art. 2 del Regio Decreto 28 marzo 1929, n. 499: vale a dire un atto di natura non autoritativa bensì paritetica, ossia agendo secondo le norme di diritto privato in applicazione della disciplina di principio contenuta nell'art. 1 comma 1bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, per quanto segnatamente attiene alla Provincia Autonoma di Treno e agli Enti locali ricadenti in tale territorio, nell'art. 2, comma 2, della legge provinciale 30 novembre 1992, n, 23, così come sostituito dall'art. 2 della legge provinciale 27 marzo 2007, n. 7, a sua volta modificato dall'art. 2 della legge provinciale 3 aprile 2009, n. 4 e - da ultimo - dall'art. 15 della legge provinciale 24 gennaio 2023, n. 2 (cfr. ivi: "L'amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente"). La società acquirente, ai sensi dell'art. 4 del suddetto contratto, ha assunto l'obbligo di destinare l'immobile alla realizzazione di uno stabilimento, inclusa la costruzione di edifici civili e per scopi sociali a servizio dello stabilimento, occupandovi 11 unità lavorative. La costruzione e la messa in attività dello stabilimento sarebbe dovuta avvenire entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto e la destinazione a stabilimento avrebbe dovuto essere mantenuta per 25 anni. Nel caso di ritardo nella costruzione e/o nella messa in produzione dello stabilimento l'art. 6 del medesimo contratto di compravendita ne ha previsto la risoluzione di diritto a norma dell'art. 1456 c.c. con la restituzione dell'area al Comune e la corresponsione di penali da parte della società acquirente. 2. Va ora evidenziato che la legge provinciale 13 dicembre 1999 n. 6, "Interventi della Provincia autonoma di Trento per il sostegno dell'economia e della nuova imprenditorialità locale" ha previsto anche la partecipazione dei Comuni nell'ambito delle iniziative di aiuto rivolte alle imprese per sostenerne e promuoverne l'attività . Per quanto qui di interesse, i Comuni, in armonia con gli strumenti urbanistici in vigore, intervengono in particolare con la cessione di aree e strutture ad imprese che risultino assegnatarie delle stesse a seguito di confronto tra gli aspiranti all'acquisizione in proprietà nel caso di domande concorrenti sul medesimo lotto o su una stessa struttura. Il Comune di (omissis) ai fini di cui alla anzidetta legge ha approvato il Piano di lottizzazione dell'area industriale artigianale della località Mala; le superfici relative, dotate delle infrastrutture primarie realizzate a cura della Provincia Autonoma di Trento, sono state riservate ad insediamenti produttivi e soggette a vincolo di destinazione ad attività compatibili con quella produttiva. Er. s.r.l. (in seguito Er.) ha presentato il 13 giugno 2008 domanda di assegnazione di un terreno ricompreso nell'area lottizzata da destinare, come si è detto, alla realizzazione di uno stabilimento; nello specifico il progetto riguarda un impianto di produzione di energia elettrica e termica alimentato a biogas. Risulta pertanto assodato che il sopradescritto contratto di compravendita è stato stipulato tra le parti quale atto che trova il proprio essenziale presupposto in tale legge provinciale, come del resto inequivocabimente risulta dal suo testo (cfr. ivi la premessa A: "La Giunta provinciale di Trento ha approvato i criteri e le modalità per l'applicazione della legge 13 dicembre 1999, n. 6 con deliberazione n. 2607 di data 16 ottobre 2000, modificata ed integrata con deliberazioni n. 2770 di data 25 ottobre 2001 e n. 444 di data 28 febbraio 2003", nonché ibidem la premessa I "Il presente contratto è stipulato in esecuzione della legge provinciale 13dicembre 1999, n.,. Capo III, Sezione II"). 3. Con determinazione n. 64 del 6 marzo 2023, preceduta da avviso di avvio del procedimento, il Responsabile del Servizio Tecnico-Gestionale del Comune di (omissis) ha provveduto alla risoluzione ex art. 1456 c.c. del contratto stipulato con Er. nel 2009 chiedendo a quest'ultima ai sensi dell'art. 6 comma 2 del contratto medesimo in particolare il versamento della penale di euro 459.000,00 pari al corrispettivo versato alla sottoscrizione dello stesso e la restituzione dell'area contraddistinta dalla p.f. (omissis). Secondo quanto evidenziato in tale provvedimento Er. non ha infatti adempiuto agli obblighi stabiliti dall'art. 4 del contratto non avendo realizzato e messo in attività nei termini ivi prescritti lo stabilimento produttivo, e ciò nonostante la ripetuta proroga dei termini medesimi accordata in suo favore. Il provvedimento richiama il parere al riguardo espresso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento secondo cui gli obblighi suddetti sono vincolanti ed inderogabili per le parti, in quanto sottoscritti ex 1372, comma 1, c.c. In calce alla medesima determinazione n. 64 del 2023 risulta apposta l'indicazione del T.R.G.A. di Trento quale autorità innanzi alla quale è possibile impugnare tale provvedimento. 4. Con nota dd. 17 aprile 2023 l'attuale patrocinio della ricorrente ha evidenziato al Comune, sulla scorta di consolidata giurisprudenza, che la giurisdizione nella specie spettava e spetta al riguardo al Giudice ordinario, per cui "al fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in oggetto e onde evitare inutile attività processuale che comporti la dichiarazione di inammissibilità dei gravami proposti per carenza di giurisdizione, si chiede a Codesta Spett.le Amministrazione di voler richiedere tempestivamente un parere all'Avvocatura Distrettuale dello Stato al fine di valutare l'opportunità di una rettifica dei provvedimenti in oggetto, eliminando il riferimento alla giurisdizione amministrativa e ai conseguenti termini decadenziali, confermando la giurisdizione del Giudice Ordinario. In difetto, lo scrivente sarà costretto ad adire prudenzialmente il Giudice amministrativo nei termini indicati nei ridetti provvedimenti". Con nota dd. 20 aprile 2023 - alquanto paradossale nel suo contenuto - il predetto Responsabile dei Servizi Tecnico - Gestionali del Comune rispondeva alla surriferita nota del patrocinio dell'attuale ricorrente affermando "che la supposta erronea indicazione dell'Autorità cui ricorrere avverso la risoluzione contrattuale in parola configurerebbe comunque una mera irregolarità, condizione del provvedimento caratterizzato da una difformità, rispetto allo schema normativo, il cui rilievo non è tale da viziare il provvedimento. Si tratterebbe, quindi, di una condizione diversa dall'invalidità : a essa la giurisprudenza fa spesso riferimento proprio per evitare l'annullamento di atti la cui anormalità non sia tale da pregiudicare gli interessi tutelati dalle norme. (Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28 luglio 2015, n. 3710 per la quale "la mancanza delle indicazioni richieste dall'art. 3, comma 4, della l. n. 241 del 1990, concernenti il termine per l'impugnazione e l'Autorità cui ricorrere, non solo non è causa autonoma di illegittimità, rappresentando soltanto una mera irregolarità, ma non giustifica, di per sé, neppure l'automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Ed infatti tale riconoscimento può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell'atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie, a contrasti giurisprudenziali od al comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un'assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico" . Si rimane a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti"). 5. Con il ricorso in esame Er., anche al dichiarato fine di non incorrere in decadenze che comportino l'inoppugnabilità dei provvedimenti in epigrafe, ha quindi adito questo Tribunale chiedendo in principalità l'annullamento della determinazione n. 64 del 6 marzo 2023 nell'assunto della nullità del presupposto contratto di compravendita, o quantomeno degli artt. 4 e 6 del medesimo, sottoscritto nel 2009 con il Comune. A dire della ricorrente qualora l'acquisto del lotto avvenga a prezzo di mercato come nel caso in esame l'unico obbligo cui il privato sarebbe tenuto è il vincolo di destinazione produttiva del terreno (cfr. art. 29, comma 7, della l.p. n. 7 del 1999). Viceversa nel caso di vendita a prezzo agevolato il contratto può prevedere l'assunzione di ulteriori obblighi. Solo in tal modo infatti sarebbe assicurato il debito equilibrio del sinallagma contrattuale. 6. L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio con una memoria di mero stile avvalendosi del patrocinio dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato, ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49 come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116 7. Alla camera di consiglio, convocata per la trattazione dell'incidente cautelare, le parti presenti sono state avvisate della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a. Quindi il ricorso è stato trattenuto in decisione. 8. In via preliminare, il Collegio ritiene che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, a norma dell'art. 60 c.p.a., secondo il quale "In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall'ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione...", ricorrendone i presupposti poiché il contraddittorio è integro, l'istruttoria è completa e le parti costituite non hanno manifestato l'intenzione di proporre motivi aggiunti o un ricorso incidentale o regolamento di competenza ovvero regolamento di giurisdizione. 9. Premesso tutto quanto precede, è appena il caso di sottolineare che non vale a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo la natura di provvedimento, conclusivo di un procedimento, dell'atto contestato e neppure lo sviluppo in termini procedimentali, appunto, della vicenda con l'applicazione delle garanzie partecipative e procedimentali di cui agli artt. 7 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 (corrispondenti agli artt. 25 e 27 bis della legge provinciale 30 novembre 1992, n. 23). La giurisdizione del giudice amministrativo secondo il tradizionale criterio di riparto, trova infatti idoneo fondamento nell'esercizio di poteri autoritativi, di norma connotati dall'ampia discrezionalità che di tale potere costituisce l'essenza. Quindi se il cattivo esercizio di tale potere determina la spettanza della cognizione della controversia al giudice amministrativo, alla carenza di tale potere consegue viceversa la giurisdizione del giudice ordinario. Detto altrimenti e in estrema sintesi: la controversia appartiene alla giurisdizione ordinaria qualora si faccia questione dell'esercizio di un "diritto potestativo governato dal diritto comune e non di poteri autoritativi di matrice pubblicistica dell'amministrazione pubblica nei confronti del privato." (Cons. Stato, sez. V, 19 aprile 2019, n. 2543). 10. Vale allora considerare che la ricorrente si duole della risoluzione per inadempimento a cui con il provvedimento in principalità impugnato si è determinata l'Amministrazione comunale ex art. 1456 c.c., disposizione quest'ultima espressamente richiamata all'art. 6 (Inadempimenti) del contratto sottoscritto nel 2009. Ebbene la giurisprudenza ha affermato non solo che le controversie le quali hanno ad oggetto il provvedimento di risoluzione del contratto adottato per inadempimento "sono devolute alla cognizione del giudice ordinario perché attinenti alla fase esecutiva, dovendo l'atto risolutivo essere qualificato come una forma di autotutela contrattuale riconosciuta alla Pubblica amministrazione che incide sul diritto soggettivo del contraente privato" ma, altresì, che "allo stesso modo, qualora l'amministrazione pubblica ottenga la risoluzione del contratto invocando la clausola risolutiva espressa ex art. 1456 cod. civ., ivi contenuta, la controversia tra le parti contraenti appartiene alla giurisdizione ordinaria" (T.A.R. Toscana, sez. I, 29 maggio 2023, n. 525; T.A.R. Toscana, sez. I, 29 dicembre 2022, n. 1548; Cons. Stato, sez. III, 5 luglio 2022, n. 5589; T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 27 gennaio 2022, n. 20). "Ciò indipendentemente dalla veste formalmente amministrativa della determinazione adottata dalla committente, la quale non ha natura provvedimentale, nonostante il carattere unilaterale della risoluzione" (TAR Toscana, sez. I, sent. 1625/2021, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, n. 2128). Non essendo stato nella specie esercitato un potere - anche solo mediatamente autoritativo - di risoluzione contrattuale che implichi valutazioni di carattere discrezionale circa la convenienza di proseguire nel rapporto contrattuale in essere, la presente questione si prospetta - semmai - quale attività paritetica dell'Amministrazione finalizzata a dare applicazione a regole predeterminate che prefigurano una posizione di diritto soggettivo (T.A.R. Toscana, sez. I, 23 giugno 2022, n. 849). In ragione di ciò la cognizione della questione qui sottoposta va ricondotta alla giurisdizione ordinaria. 11. A riguardo del fuorviante avviso apposto in calce all'impugnato provvedimento, poi, è innanzitutto vero in linea di principio che, come rilevato dall'Amministrazione nella qui impugnata sua nota del 20 aprile 2023, l'omessa o, come nel caso di specie, anche l'erronea indicazione dell'Autorità cui è possibile ricorrere, indicazione di natura meramente agevolativa prevista dal comma 4 dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, rappresenta una mera irregolarità e non un'illegittimità dell'atto (cfr. sul punto, ad es., la recente sentenza di T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 22 maggio 2023, n. 1696 con espressa citazione in essa della più che consolidata giurisprudenza risalentemente formatasi al riguardo, quale Cons. Stato, Sez. VI, 11 settembre 2014 n. 4623; id IV, 13 ottobre 2017 n. 4758; id. VI, 17 maggio 2018, n. 2984). Ma, anche se vale in linea di principio l'assunto secondo cui è pur sempre il ricorrente il soggetto su cui grava l'onere di individuare gli strumenti di tutela giurisdizionale azionabili e in particolare l'Autorità giudiziaria competente a conoscerne (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2019, n. 8889), non può essere nella specie sottaciuto che la parte qui ricorrente aveva puntualmente fatto constare all'Amministrazione Comunale l'erroneità, nella predetta determina n. 64 del 2023, dell'avvenuta indicazione di questo Tribunale quale Giudice titolare della giurisdizione sulla controversia insorta tra le parti, e che a fronte della richiesta di rettifica di ciò che sebbene costituisca una irregolarità comunque ingenera equivoci, la medesima Amministrazione ha pretestuosamente ricusato di provvedere in proposito richiamandosi ad una giurisprudenza non conferente al caso di specie in quanto presupponente, al fine della non corretta individuazione della giurisdizione da parte del destinatario del provvedimento, la sussistenza di "una situazione normativa ambigua o confusa... uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma", ovvero la sussistenza di una " particolare complessità della fattispecie", oppure ancora di "contrasti giurisprudenziali", quando - a ben vedere - l'unica ipotesi conferente al caso di specie richiamata nella citazione da parte dell'Amministrazione medesima del precedente di Cons. Stato, Sez. V, 18 luglio 2015, n. 3710 è - semmai - proprio quella del "comportamento dell'Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti". D'altra parte, la stessa attuale ricorrente, proprio in quanto di fatto (e a ragione) intimamente convinta della sussistenza al riguardo della giurisdizione del Giudice ordinario, meglio avrebbe fatto ad adirlo con immediatezza, anche a prescindere dall'erronea indicazione sulla giurisdizione pur caparbiamente riaffermata dal Comune, lasciando pertanto a quest'ultimo il ben grave onere di ribadirne il relativo assunto in sede di giudizio. 12. Il ricorso deve, in definitiva, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, spettando la controversia alla cognizione del giudice ordinario, dinanzi al quale l'attuale parte ricorrente potrà pertanto riassumere la causa nei termini di cui all'art. 11 c.p.a. Le spese e gli onorari del presente giudizio non possono che essere integralmente compensate tra le parti, stante la reciprocamente erronea loro condotta che, in via alquanto deprecabile, ha determinato l'inutile proposizione del presente ricorso in una sede di giudizio manifestamente a ciò inidonea. P.Q.M. Il Tribunale Regionale di giustizia amministrativa per la Regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 84 del 2023 in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, rientrando la controversia nella cognizione devoluta al giudice ordinario dinanzi al quale la causa potrà essere riassunta nei termini di legge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023, con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere Antonia Tassinari - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 40 del 2022, proposto da Fe. Fl. e Ro. Ni., rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento via (...), presso lo studio del predetto avvocato; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 1 febbraio 1973, n. 49, come sostituito dall'art. 1 del d.lgs. 14 aprile 2004, n. 116, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Trento, largo (...), presso gli uffici della predetta Avvocatura; nei confronti Pa. Al. ed altri, Condominio Re. Vi. Nu., in persona dell'amministratore Re. Sa., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021 in data 21 dicembre 2021, nonché tutti gli elaborati che ne costituiscono parte integrante, - di tutti i provvedimenti ivi richiamati e, in particolare, l'Autorizzazione della Commissione per la pianificazione e il paesaggio della Comunità delle Giudicarie di (omissis), con le relative prescrizioni, il parere della Commissione edilizia comunale riunitasi in data 28 settembre 2021, nella parte in cui si accerta la accerta la conformità urbanistica dell'edificio da sanare alla data della domanda e si esprime parere favorevole alla sanatoria, - di ogni altro atto connesso, presupposto o consequenziale; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2023 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visti gli articoli 36, comma 2, e 66 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I signori Fe. Fl. e Ro. Ni. - comproprietari del terreno contraddistinto dalla particella fondiaria (omissis) CC (omissis), confinante con il terreno sul quale sorge l'edificio contraddistinto dalla particella edificiale (omissis) CC (omissis), di proprietà dei controinteressati - con il ricorso in epigrafe indicato, notificato in data 18 febbraio 2022, hanno impugnato il permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021 in data 21 dicembre 2021, rilasciato dal Comune di (omissis) a seguito della domanda presentata in data 29 luglio 2021, ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, dal signor Re. Sa., in qualità di amministratore del Condominio Re. Vi. Nu., e intesa a ottenere la "sanatoria per difformità a carico del Condominio Re. Vi. Nu. - p.ed. (omissis) in CC (omissis)". I ricorrenti premettono che, avuta notizia del rilascio del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, essi hanno richiesto al Comune di (omissis) copia integrale dei titoli edilizi nel tempo rilasciati (ivi compreso il predetto permesso di costruire in sanatoria) e in data 8 febbraio 2022 il Comune ha trasmesso la documentazione relativa alla concessione edilizia n. 30/1990, in base alla quale è stato realizzato l'edificio di cui trattasi, comunicando che a seguire sarebbe stata trasmessa l'ulteriore documentazione richiesta, che però non è stata a tutt'oggi esibita. I ricorrenti premettono altresì che essi hanno interesse all'annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, perché intendono edificare sul fondo contraddistinto dalla predetta particella fondiaria (omissis), e che essi, avuta notizia dell'istanza di sanatoria presentata dall'amministratore del Condominio Re. Vi. Nu., si sono recati presso gli Uffici comunali per segnalare "l'invasione della loro proprietà con l'edificazione del garage e con una siepe, nonché il mancato rispetto delle distanze legali", ed hanno chiesto all'Amministrazione di eseguire controlli sulla presenza di abusi sull'interrato dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) e sul rispetto delle distanze legali con riferimento alle facciate est dell'edificio stesso. Ciononostante è stato rilasciato l'impugnato permesso di costruire in sanatoria. 2. Quindi i ricorrenti di tale provvedimento di sanatoria chiedono l'annullamento, affidando la propria domanda ai seguenti motivi. I) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà tra provvedimenti, istruttoria carente o falsa, carenza di motivazione. I provvedimenti impugnati sono stati adottati su documentazione non corrispondente al vero, ossia a fronte di una domanda di sanatoria incompleta e carente di elementi essenziali per la corretta rappresentazione dello stato dei luoghi. Sia la relazione tecnico-illustrativa datata 28 luglio 2021, recante un puntuale elenco delle difformità tra lo stato di fatto e quanto autorizzato con la concessione edilizia n. 30/1990, sia la tavola 7, denominata "stato di raffronto", non indicano "importanti difformità rispetto a quanto autorizzato dalla concessione edilizia n. 30/1990 in ordine al garage interrato". Trattasi di difformità, per forma e dimensione, riscontrabili attraverso un semplice confronto tra le tavole allegate alla concessione edilizia n. 30/1990 e quelle allegate alla concessione 21/2021. In particolare nella predetta relazione tecnico-illustrativa non sono indicate tutte le difformità esistenti, mentre la tavola 7 reca una falsa rappresentazione dello stato di fatto. Si configura, quindi, una carenza di istruttoria in quanto l'Amministrazione comunale ha fatto affidamento su dichiarazioni di parte che però risultano smentite sia dagli allegati alla concessione edilizia del 1990, sia dalle istanze dei ricorrenti, che hanno chiesto di eseguire controlli per accertare la presenza di abusi. Inoltre la documentazione allegata alla domanda di sanatoria manca di "una quotatura", a differenza delle tavole allegate alla concessione edilizia 30/1990. Tuttavia la quotatura, così come il raffronto tra le predette tavole, avrebbero consentito di accertare che "quanto realizzato è difforme da quanto autorizzato anche quanto al sedime, in presenza di una rotazione in senso orario" e che "l'edificio fuori terra è a distanza inferiore di ml 5,00 dal confine", in violazione della "distanza legale prevista dagli strumenti urbanistici in vigore ora e allora". In definitiva l'Amministrazione comunale non ha tenuto nella dovuta considerazione la segnalazione dei ricorrenti e in motivazione non ha indicato alcunché al riguardo. II) Violazione dell'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015, dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, dell'art. 59, comma 2, della legge provinciale n. 15/2015 e dell'art. 8 delle Disposizioni provinciali in materia di distanze, di cui alla delibera della Giunta provinciale n. 2023 in data 3 settembre 2010 e ss.mm.ii. La sanabilità di un intervento edilizio presuppone necessariamente che non sia stata commessa "alcuna violazione di tipo sostanziale", essendo richiesta la "regolarità edilizia degli interventi realizzati". Invece nel caso in esame mancano i presupposti per il rilascio di una concessione edilizia ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, sia perché non sono rispettate le distanze dai confini di proprietà, prevista in un minimo di 5,00 mt e misurata in ogni punto ed in tutte le direzioni, sia perché non è stato rispettato il titolo di proprietà dei ricorrenti. In particolare, posto che il permesso di costruire in sanatoria riguarda una costruzione realizzata in parte sulla p.f. (omissis), manca il requisito della conformità dell'intervento edilizio da sanare alla vigente normativa urbanistica in quanto l'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015 postula che chi richiede il permesso di costruire sia in possesso di un titolo di proprietà o di altro titolo idoneo. Invece nel caso in esame la dichiarazione del richiedente il permesso di costruire in sanatoria non è conforme al vero perché l'edificio oggetto della domanda di sanatoria è "di estensione maggiore verso est rispetto a quella assentita (che già era a confine)", e ciò trova conferma nella documentazione allegata alla domanda di sanatoria che "attesta una realizzazione in difformità più estesa verso est rispetto a quanto assentito e come tale insistente sulla p.f. (omissis) di proprietà altrui". Inoltre, quanto alla denunciata violazione delle distanze dal confine con la p.f. (omissis), manca il requisito della conformità dell'intervento edilizio da sanare alla vigente normativa urbanistica, nella fattispecie costituita dall'art. 8 delle disposizioni provinciali in materia di distanze di cui alla delibera della Giunta provinciale n. 2023 in data 3 settembre 2010 e ss.mm. ii., perché l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis), è stato costruito a una distanza inferiore a quella di m 5,00 dal confine tra la p.ed. (omissis) e la p.f. (omissis), e in assenza del consenso del proprietario confinante. III) Violazione dell'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008, dell'art. 21 del piano di fabbrica, dell'art. 18.1 del P.U.C. e dell'art. art. 32 del P.d.F.. Premesso che l'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008 richiede la conformità urbanistica degli interventi realizzati con riferimento sia al momento della realizzazione, sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria, l'impugnata concessione in sanatoria è illegittima anche perché è stata rilasciata in violazione del combinato disposto dell'art. 135 della legge provinciale n. 1/2008 con gli strumenti urbanistici del Comune di (omissis), e in particolare, con l'art. 21 del piano di fabbrica (P.d.F.), l'art. 18.1 del Piano urbanistico comunale (P.U.C.) e l'art. art. 32 del medesimo P.d.F.. 3. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e con memoria depositata in data 16 maggio 2023 ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, evidenziando di aver prodotto "tutta la documentazione necessaria ai fini del decidere", mentre la parte ricorrente non ha allegato, né tanto meno provato lo specifico pregiudizio derivante dal provvedimento impugnato, che non comporta l'esecuzione di lavori, né modifiche dello stato dei luoghi, e che la presente controversia ha ad oggetto "rapporti privatistici di vicinato, i quali rimangono notoriamente impregiudicati dal titolo edilizio". Sempre in via preliminare il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione di questo Tribunale invocando il principio secondo il quale i titoli edilizi sono sempre emanati con salvezza dei diritti di terzi, i quali possono agire innanzi alla competente Autorità giudiziaria, ossia innanzi al Giudice ordinario. Nel merito il Comune ha eccepito innanzi tutto che, stante il suddetto principio, l'Amministrazione comunale nell'ambito dell'istruttoria avviata a seguito dell'istanza per il rilascio di un titolo edilizio "non è tenuta a effettuare approfondite e autonome indagini sui rapporti di vicinato e, in particolare, non ha il dovere di dirimere controversie tra i confinanti". Inoltre il Comune ha eccepito che le suesposte censure, per come sono state formulate, si pongono in "contrasto (logico e concettuale) con la nozione stessa di sanatoria" che presuppone, per l'appunto, la necessità di sanare un intervento edilizio realizzato in assenza o in difformità dal prescritto titolo edilizio e comunque, quanto alla dedotta violazione dell'art. 81 della legge provinciale n. 15/2015, la censura è inammissibile, per carenza di interesse, in quanto i ricorrenti "non si presentano come concorrenti del Condominio in rapporto all'immobile che forma oggetto del titolo d'intervento". 4. I ricorrenti con memoria depositata in data 22 maggio 2023 hanno insistito per l'accoglimento del ricorso, precisando in particolare che con il terzo motivo è stata denunciata la mancanza de requisito della c.d. doppia conformità in quanto l'intervento da sanare è in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti sia al momento della realizzazione dell'intervento stesso, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria, ed hanno chiesto al Tribunale di disporre una consulenza tecnica d'ufficio per accertare che: A) l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) è stato realizzato in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis); B) il garage di pertinenza dell'edificio è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis) e comunque in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis). Inoltre i ricorrenti con memoria depositata in data 30 maggio 2023 hanno replicato alle eccezioni processuali di controparte invocando i principi di diritto affermati nella sentenza dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 9 dicembre 2021, n. 22, ed osservando che gli accertamenti omessi dall'Amministrazione comunale non consistono in mere indagini sui rapporti di vicinato, bensì in una doverosa verifica dei presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, perché il fatto che l'edificio di cui trattasi è stato realizzato in violazione delle distanze dai confini "non è dichiarato nella domanda di sanatoria, ma emerge per tabulas ed è oggetto di richiesta di accertamento da parte dei titolari di interessi legittimi". 5. Alla pubblica udienza del 22 giugno 2023 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente il Collegio ritiene che le eccezioni processuali dell'Amministrazione resistente non possano essere accolte. 2. Innanzi tutto il Collegio ritiene che la presente controversia rientri nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Difatti, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 dicembre 2022, n. 10715), per le controversie concernenti le distanze fra costruzioni o di queste dai confini vige il regime della c.d. "doppia tutela", per cui il soggetto, che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia di distanze è titolare, da un lato, del diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei confronti del responsabile dell'attività edilizia illecita (con conseguente giurisdizione del Giudice ordinario) e, dall'altro, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento amministrativo illegittimo con cui tale attività sia stata autorizzata o permessa (con conseguente giurisdizione del Giudice amministrativo). 3. Inoltre è priva di fondamento l'eccezione di inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse, sollevata dall'Amministrazione resistente sul presupposto che il provvedimento impugnato non comporta l'esecuzione di lavori, né una modifica dello stato dei luoghi, con particolare riferimento ai due fondi confinanti. A tal riguardo giova rammentare che l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 9 dicembre 2021, n. 22, ha affermato i seguenti principi di diritto: A) "Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato"; B) "L'interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall'intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall'insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso"; C) "L'interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d'ufficio dal giudicante, nel rispetto dell'art. 73, comma 3, c.p.a."; D) "Nelle cause in cui si lamenti l'illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale con l'immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell'accertamento dell'interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l'annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo". Ciò posto, non essendovi controversia tra le parti sull'esistenza del requisito della c.d. vicinitas, è sufficiente evidenziare che non vi è motivo di ritenere che l'azione dei ricorrenti sia sorretta da un intento emulativo, non essendo stato eccepito alcunché a tal riguardo, mentre i ricorrenti stessi hanno chiarito che l'interesse all'annullamento del provvedimento impugnato discende sia dal fatto che essi hanno interesse a costruire sul terreno di loro proprietà, nel qual caso evidentemente rileverebbe la distanza tra gli edifici realizzati su terreni confinanti, sia dal fatto che i ricorrenti stessi lamentano altresì che il garage di pertinenza dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis). 4. Inoltre è ben vero che - come ricordato dall'Amministrazione resistente e in più occasioni evidenziato da questo Tribunale (T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 19 febbraio 2020, n. 29; id. 15 giugno 2020, n. 89) - la disposizione dell'art. 81, comma 1, della legge provinciale n. 15/2015 impone al Comune di accertare che il richiedente sia in possesso di un titolo civilistico astrattamente idoneo in relazione alla tipologia dell'intervento proposto, mentre non spetta al Comune "dirimere controversie tra i confinanti", in quanto aventi natura esclusivamente privatistica. Tuttavia, secondo una condivisibile giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745; T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. II, 26 luglio 2022, n. 2415) la regola generale per cui il permesso di costruire è rilasciato salvi i diritti dei terzi (sui quali il Comune non è tenuto a svolgere particolari indagini), trova un limite nei casi in cui il Comune stesso abbia notizia che il diritto di chi richiede il titolo abilitativo è contestato, perché in tal caso,l'Ente è tenuto a compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano o meno fondate, e a conseguentemente denegare il rilascio del titolo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto. Dunque nel caso in esame rileva la circostanza che i ricorrenti, avuta notizia della domanda di sanatoria presentata in data 29 luglio 2021, abbiano chiesto all'Amministrazione comunale di eseguire controlli per accertare la presenza di abusi sull'interrato dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) e il mancato rispetto delle distanze legali con riferimento alle facciate est dell'edificio stesso (cfr. l'istanza a firma della signora Ro. Ni., acquisita dal Comune di (omissis) al prot. n. 5221 del 19 novembre 2021). 5. Passando al merito, il Collegio osserva che, come si evince dalla relazione tecnico-illustrativa allegata alla domanda presentata in data 29 luglio 2021, nonché dalla motivazione del permesso di costruire in sanatoria n. 21/2021, tale titolo è stato chiesto e rilasciato ai sensi dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008. Giova allora rammentare che la legge provinciale della Provincia di Trento 4 marzo 2008, n. 1, in materia di "Pianificazione urbanistica e governo del territorio", disciplina all'art. 135 l'istituto della concessione in sanatoria delle opere realizzate in assenza del previsto permesso di costruire o in difformità da tale titolo edilizio. In particolare, secondo il primo comma dell'art. 135, "Fino alla scadenza dei termini per l'esecuzione dell'ingiunzione prevista dall'articolo 129, comma 1, il responsabile dell'abuso o altro soggetto avente titolo possono chiedere la concessione in sanatoria se l'opera è conforme agli strumenti urbanistici in vigore e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda". Inoltre, secondo il settimo comma dell'art. 135, "Fermo restando quanto previsto dal comma 1, resta salvo il potere, ai soli fini amministrativi, di rilasciare la concessione edilizia quando è regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate, anche se l'opera per la quale è richiesta è già stata realizzata abusivamente. In tal caso le sanzioni pecuniarie previste dai commi 4 e 5 sono aumentate del 20 per cento". 6. Ciò posto, il Collegio non può esimersi dal rilevare che secondo una giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato sez. VI, 23 novembre 2022, n. 10317) l'istituto della c.d. "sanatoria giurisprudenziale" deve ritenersi recessivo rispetto alla vigente normativa nazionale e ai principi dalla stessa desumibili in materia di abusiva trasformazione del territorio, essendo il permesso in sanatoria ottenibile soltanto in presenza dei presupposti delineati dall'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda. Difatti l'istituto in questione anche se recepito in norme di legge regionali o provinciali - come l'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008, che in deroga alla disposizione del primo comma del medesimo art. 135 (il quale richiede il requisito della c.d. doppia conformità ) consente il rilascio della concessione in sanatoria "quando è regolarmente richiesta e conforme, al momento della presentazione della domanda, alle norme urbanistiche vigenti e non in contrasto con quelle adottate, anche se l'opera per la quale è richiesta è già stata realizzata abusivamente" - si pone in contrasto con la Costituzione, come dichiarato dalla Corte costituzionale in più occasioni (cfr., ad esempio, la sentenza n. 232 in data 8 novembre 2017, avente ad oggetto l'art. 14, commi 1 e 3, della legge della Regione Sicilia n. 16 del 2016). Risulta, quindi, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 135, comma 7, della legge provinciale n. 1/2008. Difatti - anche a voler ritenere che la disciplina ivi prevista non invada la competenza esclusiva statale in materia di "ordinamento penale" di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., perché il legislatore provinciale ha previsto che la disciplina stessa operi "ai soli fini amministrativi" - tuttavia non può sottacersi che la Corte costituzionale, nel riconoscere che la disciplina dell'accertamento di conformità attiene al governo del territorio, ha rimarcato che "spetta al legislatore statale la scelta sull'an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l'articolazione e la specificazione di tali disposizioni" (così la citata sentenza n. 232 in data 8 novembre 2017). Pertanto sarebbe comunque prospettabile la violazione dell'art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del principio di uguaglianza e del principio di ragionevolezza, nonché del combinato disposto degli articoli 4 e 8 dello Statuto di autonomia della Regione Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, nella parte in cui subordinano l'esercizio della potestà legislativa delle Province di Trento e Bolzano in materia di "urbanistica e piani regolatori" al rispetto dei "principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica". Del resto la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 93 in data 12 maggio 2023 ha da ultimo ribadito che "La previsione regionale di una sanatoria extra ordinem viola, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, i criteri di riparto della potestà legislativa in tema di condono edilizio, e si traduce nella lesione di un principio fondamentale nella materia di governo del territorio, con conseguente violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. Spettano, infatti, alla legislazione statale le scelte di principio e, in particolare, quelle relative all'an del condono, con la conseguenza che "esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale" (sentenze n. 70 del 2020, n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, oltre che, ancora, il precedente specifico costituito dalla sentenza n. 68 del 2018)". 7. Peraltro il rinvio, d'ufficio, della predetta questione alla Corte costituzionale (non prospettata dalla parte ricorrente) presuppone in via preliminare la verifica della rilevanza della questione stessa nel presente giudizio. Difatti, se fosse acclarato che il provvedimento impugnato è stato adottato nonostante la non conformità dell'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) alla disciplina in materia di distanze vigente al momento della presentazione della domanda di sanatoria (come segnalato dai ricorrenti già nell'ambito del procedimento amministrativo volto al rilascio della concessione in sanatoria), il provvedimento stesso andrebbe comunque annullato, in accoglimento delle specifiche censure formulate con il ricorso in esame. 8. Pertanto - avendo i ricorrenti fornito quantomeno un principio di prova in ordine ai vizi denunciati, attraverso il raffronto tra le tavole allegate alla concessione edilizia n. 30/1990 - sussistono i presupposti per disporre, in parziale accoglimento dell'istanza istruttoria formulata dai ricorrenti stessi con la memoria depositata in data 22 maggio 2023, l'esecuzione di una verificazione, ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm., per accertare se: A) l'edificio contraddistinto dalla p.ed. (omissis) CC (omissis) è stato realizzato in violazione delle distanze legali dal confine con la p.f. (omissis) CC (omissis); B) il garage di pertinenza dell'edificio è stato realizzato in parte sulla p.f. (omissis) e/o in violazione delle distanze legali dal confine con la medesima p.f. (omissis). L'incarico di eseguire la verificazione può essere affidato al dirigente responsabile del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento, con facoltà di delega ad uno dei tecnici operanti nell'ambito degli Uffici dipendenti dal predetto Sevizio, e dovrà concludersi con il deposito di una sintetica relazione motivata nel termine di giorni 60 (sessanta) dalla comunicazione e/o notifica della presente ordinanza. La Segreteria del Tribunale metterà tempestivamente a disposizione del verificatore, a sua richiesta, il fascicolo di causa, affinché egli possa consultarlo ed estrarne copia. Il verificatore potrà chiedere ai ricorrenti di accedere al terreno contraddistinto dalla p.f. (omissis) per accertare lo stato di fatto. Con separato provvedimento sarà fissato il compenso spettante al verificatore, su sua richiesta, avuto riguardo alla quantità e qualità del lavoro svolto. P.Q.M. Il Tribunale regionale di giustizia amministrativa per la regione autonoma del Trentino - Alto Adige/Sü dtirol, sede di Trento, non definitivamente pronunciando sul ricorso n. 40 del 2022, respinge le eccezioni preliminari sollevate dall'Amministrazione resistente e, riservata ogni ulteriore pronuncia in rito, sul merito e sulle spese, dispone l'esecuzione della verificazione di cui in motivazione secondo le modalità ed i termini ivi specificati. Fissa, per la prosecuzione del merito del giudizio, l'udienza pubblica del 9 novembre 2023. Ordina alla Segreteria del Tribunale di provvedere alla comunicazione della presente ordinanza, a mezzo PEC, al dirigente responsabile del Servizio Urbanistica e Tutela del Paesaggio della Provincia Autonoma di Trento. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Trento nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Fulvio Rocco - Presidente Carlo Polidori - Consigliere, Estensore Antonia Tassinari - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10013 del 2021, proposto dalla Provincia Autonoma di Trento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Bo., Gi. Be., Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Bo. in Trento, piazza (...); contro -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Eu. Pi., Ro. Mi.-OMISSIS-, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di -OMISSIS- e di -OMISSIS- e di -OMISSIS- e di -OMISSIS- e di -OMISSIS-; Visto il ricorso incidentale depositato dalle parti appellate in data -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Vista l'istanza congiunta di passaggio in decisione senza preventiva discussione depositata dalle parti appellate in data -OMISSIS-; Vista l'istanza di passaggio in decisione senza preventiva discussione depositata dalla parte appellante in data -OMISSIS-; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2023 il Cons. Marco Valentini, nessuno è comparso per le parti; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Avanti il giudice di prime cure, i ricorrenti, genitori di alunni minori, hanno impugnato: - i provvedimenti con cui il Sostituto del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-, ha denegato la richiesta di ritiro dalla scuola pubblica per l'istituzione dell'istruzione parentale nei confronti dei minori -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-; - i provvedimenti del Sostituto del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-, aventi ad oggetto la mancata frequenza scolastica per i minori -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-; - la lettera del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-, di rifiuto di sospensione delle segnalazioni; - le deliberazioni della Giunta della provincia autonoma di Trento (in parte qua) del 13/12/2019 n. 2039 e del 22/07/2020 n. 1030; - ogni altro eventuale atto connesso, precedente, presupposto e consequenziale, ordinando all'autorità amministrativa di provvedere in conformità con la pronuncia giurisdizionale. Gli originari ricorrenti hanno altresì richiesto al primo giudice: - l'accertamento del diritto costituzionalmente garantito all'istruzione parentale/familiare e la dichiarazione del diritto dei ricorrenti stessi a svolgere, secondo le proprie indicazioni, tale istruzione e - per l'effetto - la condanna della dirigenza scolastica e più in generale della Provincia autonoma di Trento al rispetto di tali diritti costituzionalmente garantiti e ad astenersi dallo straripamento delle proprie attribuzioni; - l'accertamento del danno subito dai ricorrenti per tutti i fatti meglio dedotti e la condanna della pubblica amministrazione alla corresponsione degli stessi quantificati, in via tuzioristica, nella misura di un milione di euro o nella maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia; - con un'interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla normativa comunitaria. In fatto, emerge dagli atti di causa che nell'anno scolastico 2020/2021 i minori -OMISSIS-, -OMISSIS-e -OMISSIS-- entro il termine del 31 gennaio 2020 previsto dalla deliberazione della Giunta provinciale n. 2039 del 13 dicembre 2019 - sono stati iscritti dai genitori alla -OMISSIS-, così come la minore -OMISSIS-alla -OMISSIS-, della scuola primaria presso l'Istituto -OMISSIS--OMISSIS- - -OMISSIS-. Il dirigente di tale istituzione (-OMISSIS--) esercita le medesime funzioni attribuite ai dirigenti scolastici dalla legislazione statale e provinciale. Rappresentano gli originari ricorrenti che, successivamente all'iscrizione alla scuola pubblica, in prossimità dell'inizio dell'anno scolastico, hanno deciso di provvedere all'assolvimento del dovere e diritto di istruire i figli mediante "istruzione parentale o familiare", al di fuori, quindi, del sistema educativo provinciale e, a tal fine, hanno comunicato alla Scuola l'intenzione di ritirare i figli dall'Istituto. In particolare, i genitori hanno dichiarato al dirigente di voler ritirare dalla scuola il proprio figlio per sopravvenute esigenze organizzative familiari e di voler provvedere autonomamente all'istruzione del proprio figlio, nonché di far sostenere presso la sede e nei tempi indicati dal dirigente scolastico dell'Istituto -OMISSIS-l'esame annuale di idoneità alla classe successiva, dichiarando altresì di avere i requisiti e i mezzi idonei per provvedere all'istruzione del proprio figlio. I ricorrenti hanno contestualmente comunicato che la didattica si sarebbe svolta a -OMISSIS-, peraltro non allegando alla comunicazione medesima alcun "progetto educativo per l'anno scolastico". La Scuola ha denegato il ritiro, rilevando l'insussistenza del carattere di eccezionalità richiesto dalla normativa vigente per l'accoglimento delle domande pervenute oltre il termine di iscrizione alla scuola (31 gennaio 2020). Ciò nonostante i minori hanno iniziato il percorso di "istruzione parentale". In seguito la Scuola, considerata l'assenza dei minori dalle lezioni, ha invitato i genitori a far frequentare ai figli gli studi nel plesso scolastico di iscrizione, avvertendo dell'obbligo di segnalazione al Comune nel caso di mancata frequenza alle lezioni. Conseguentemente, i genitori hanno diffidato la Scuola a non procedere con le preannunciate segnalazioni, cui la Scuola ha opposto diniego per insufficienza delle motivazioni allegate. Con la sentenza impugnata, il Tribunale adito ha accolto parzialmente il ricorso, nei limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, ha annullato i provvedimenti del Sostituto del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-. In particolare il primo giudice ha osservato che: I) nonostante la mancata impugnazione della deliberazione della Giunta provinciale n. 2033 del 4 dicembre 2020, la quale ha previsto che "la facoltà di provvedere direttamente all'istruzione dei giovani soggetti all'obbligo scolastico è esercitata dai genitori, a norma dell'art. 32 della legge provinciale di data 7 agosto 2006, n. 5, perentoriamente nel periodo compreso tra lunedì 4 -OMISSIS- e lunedì 25 -OMISSIS-", permane l'interesse al ricorso da parte dei ricorrenti, con riferimento all'esercizio dell'istruzione parentale, limitatamente all'anno scolastico 2020/2021, da cui consegue l'ammissibilità del ricorso; II) quanto al merito, nei termini che seguono, ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento con riferimento agli impugnati provvedimenti del Sostituto del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-, di diniego al ritiro dei minori dalla scuola pubblica, di invito alla frequenza scolastica nel plesso scolastico di iscrizione e di rifiuto della sospensione della segnalazione all'autorità in ordine alla mancata frequenza. In particolare, il primo motivo, con cui vengono censurati la carenza di motivazione e lo sviamento di potere che caratterizzerebbero i provvedimenti dirigenziali suddetti, il contrasto dei medesimi con la legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 e con la deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento del 13.12.2019 n. 2039, nonché l'incompetenza alla loro adozione da parte del Sostituto del -OMISSIS-- della Scuola, è risultato al giudice di prime cure condivisibile. Sono state invece rigettate le censure relative all'asserito difetto di legittimazione del sostituto dirigente ad assumere le contestate decisioni riguardanti l'istruzione parentale, nonché di sviamento determinato dal fatto che - a dire dei ricorrenti - l'agire della Provincia autonoma di Trento adombrerebbe l'intendimento di indirizzare i bambini verso la scuola pubblica dell'obbligo ignorando le norme costituzionali ed ordinarie di legge che consentono l'istruzione parentale. L'illegittimità dei provvedimenti negativi del Sostituto dirigente, come evidenziato dall'ulteriore e dirimente censura in cui si articola il primo motivo dell'originario ricorso, deriverebbe, invece, dalla violazione dell'art. 32 della legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5 ("1. Qualora i genitori provvedano privatamente o direttamente all'assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione al di fuori del sistema educativo provinciale, essi sono tenuti a comunicare di anno in anno al dirigente dell'istituzione di riferimento che intendono avvalersi di tale diritto, dimostrando di avere la capacità tecnica ed economica adeguata. Il dirigente dell'istituzione di riferimento attiva le necessarie forme di controllo, anche per accertare l'apprendimento al termine di ogni anno scolastico.") nonché della deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento del 13.12.2019 n. 2039 e della deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento del 22.07.2020 n. 1030. A fronte delle comunicazioni dei genitori, presentate successivamente alla scadenza del termine di iscrizione alla scuola, di voler provvedere autonomamente all'istruzione dei propri figli e delle dichiarazioni di avere i requisiti e i mezzi per provvedervi, il dirigente non ha accolto le richieste in quanto le motivazioni addotte, a suo dire, non presentavano carattere di eccezionalità . Tuttavia, argomenta il primo giudice che, stante le considerazioni circa il quadro giuridico che disciplina l'istruzione familiare-parentale, diritto-dovere presidiato da norme costituzionali, i genitori, al fine di avvalersi di tale modalità di istruzione per i propri figli, non sono vincolati, a pena di decadenza ad alcun termine, né sono tenuti a rappresentare le cause, siano queste di eccezionale gravità o meno, che ne hanno motivato l'attivazione o che eventualmente hanno determinato il superamento di detto termine. I provvedimenti del dirigente, che esprimono un diniego in ragione della mancanza di cause eccezionali per richiedere l'istruzione parentale (o per presentare tardivamente la relativa domanda), evidenzierebbero un contrasto stridente con la norma provinciale e, altresì, la carenza di motivazione denunciata dai ricorrenti, risultando pertanto palesemente illegittimi. Motiva la sentenza impugnata che l'esercizio da parte dei genitori entro un termine preciso, quello cioè di presentazione delle iscrizioni, della facoltà di provvedere direttamente all'istruzione dei giovani soggetti all'obbligo scolastico, nonché la presenza di cause di eccezionale gravità ai fini dell'accoglimento della relativa intempestiva richiesta, sono stati disposti dalla deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento del 13.12.2019 n. 2039. Inoltre, con la deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento del 22.07.2020 n. 1030, è stato anche precisato che le motivazioni di carattere eccezionale non possono fondarsi sulla presunta mancanza di sicurezza determinata dalla condizione di emergenza sanitaria. Il primo giudice osserva che non irragionevolmente le disposizioni citate prevedono che la dichiarazione o comunicazione relativa all'istruzione parentale sia di norma inviata al dirigente dell'istituzione scolastica entro il termine di presentazione delle iscrizioni. Sussistono, infatti, comprensibili ragioni organizzative per dettare una tale regola di comportamento, risultando opportuno che la scuola abbia tempestivamente contezza del numero di studenti che frequenteranno l'anno scolastico. Per un altro verso, tuttavia, la comunicazione di volersi avvalere dell'istruzione parentale non può essere subordinata, a pena di decadenza dall'esercizio di tale facoltà, dal rispetto di tale termine, né, se intempestiva, può essere condizionata, sempre a pena di decadenza, dalla presenza di cause di eccezionale gravità né, tantomeno, da tali cause eccezionali può essere esclusa la situazione di emergenza da Covid 19, non essendo espressamente contemplata la decadenza nelle ipotesi suddette. In definitiva, secondo il primo giudice, il dirigente avrebbe dovuto considerare il termine in questione come ordinatorio - senza, quindi, riconnettere alla sua inosservanza effetti sfavorevoli, interpretando in tale senso, conformemente all'art. 30 della Costituzione, le richiamate deliberazioni della Giunta della Provincia autonoma di Trento, ed in particolare la n. 2039 del 13.12.2019. Per conseguenza, ad avviso del giudice di prime cure, i provvedimenti negativi del dirigente risultano viziati anche per violazione delle anzidette deliberazioni della Giunta, proprio in quanto le stesse risultano prive di qualsivoglia qualificazione del termine di scadenza come perentorio. La sentenza impugnata osserva poi che, quanto all'onere di allegare alla richiesta il progetto educativo per l'anno scolastico di riferimento, previsto dalla deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 2039 del 13.12.2019, i relativi progetti non sono stati allegati, bensì presentati soltanto su richiesta infine avanzata dal dirigente scolastico. Al riguardo, va considerato, secondo la sentenza impugnata, che la dimostrazione da parte dei genitori di avere la capacità tecnica ed economica adeguata rappresenta l'unica condizione prevista dall'art. 32 della l.p. n. 5 del 2006 al fine di poter ricorrere all'istruzione parentale. Tuttavia, poiché il dirigente scolastico si è determinato per il non accoglimento delle richieste in quanto le motivazioni addotte non presentavano carattere di eccezionalità, privilegiando una decisione basata su di un ben diverso, ed intrinsecamente illegittimo, presupposto motivazionale, questi non si è posto in grado di valutare la capacità di istruzione dei figli da parte dei genitori. Per contro, per il primo giudice, non può essere accolto il secondo motivo di ricorso, che avversa le deliberazioni della Giunta provinciale n. 2039 del 13 dicembre 2019 e n. 1030 del 22 luglio 2020, deducendo il contrasto con le norme sovranazionali e nazionali anche di rango costituzionale concernenti la materia dell'istruzione. Quanto alla domanda di accertamento del diritto ad avvalersi dell'istruzione parentale posta dai ricorrenti, deriva dalle notazioni che precedono, secondo la sentenza impugnata, che il diritto all'istruzione parentale è subordinato alla verifica della capacità tecnica ed economica adeguata, altresì configurandosi quale diritto in una certa misura conformabile in relazione ai provvedimenti d'ordine organizzativo che ad esso si riconnettono. La sentenza impugnata ha consequenzialmente escluso l'accertamento richiesto, non potendo il Giudice sostituirsi all'Amministrazione, disattendo altresì la domanda di risarcimento genericamente avanzata dai ricorrenti poiché, anche a seguito delle misure cautelari nelle more disposte, i loro figli hanno potuto usufruire dell'istruzione parentale senza interruzione della continuità didattica e, conseguentemente, senza alcun deficit di apprendimento o pregiudizi emotivi. DIRITTO In sede di appello, l'appellante Provincia autonoma di Trento, premesse considerazioni in fatto e ricostruito il quadro normativo, ha dedotto: - Violazione e falsa applicazione dell'art. 35 c.p.a. - Carenza di una condizione dell'azione - Mancata rilevazione della carenza di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti - Violazione e falsa applicazione degli articoli 316, 320 e 337 ter cc. Osserva l'appellante che il giudizio di primo grado è stato promosso solo dalle madri degli alunni coinvolti, e non da entrambi i genitori. Ciò avrebbe dovuto portare alla rilevazione d'ufficio della carenza di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti. Infatti, i genitori hanno la rappresentanza giudiziale del minore, in applicazione dell'art. 320 c.c., che viene esercitata congiuntamente per gli atti di straordinaria amministrazione e disgiuntamente per quelli di ordinaria amministrazione. Solo gli atti di ordinaria amministrazione possono quindi essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. Sul punto, si osserva come la Circolare del Ministero dell'Istruzione dd. 12.11.2020, avente ad oggetto "Iscrizioni alle scuole dell'Infanzia e alle scuole di ogni ordine e grado per l'anno scolastico 2021 - 2022", esplicita il richiamo alle citate norme del codice civile, oltre a sottolineare, in più punti, come sia doveroso il rispetto dei termini fissati per le iscrizioni. Nel caso di specie però, secondo l'appellante, viene in considerazione una questione che non può essere qualificata come atto di ordinaria amministrazione, data la natura dell'atto che viene posto in essere. Le madri hanno infatti promosso un ricorso teso a veder loro riconosciuto il diritto di provvedere autonomamente all'istruzione dei propri rispettivi figli. È evidente che una decisione di tale portata, capace di incidere significativamente sulle modalità e sulla qualità dell'istruzione impartita a un minore, non può essere considerata quale atto di ordinaria amministrazione. Ne deriva, secondo l'appellante, che anche la relativa azione giudiziale andava necessariamente promossa da parte di entrambi i genitori. L'appellante ravvisa al riguardo un evidente difetto di legittimazione attiva. - Violazione e falsa applicazione dell'art. 152, comma 2, c.p.c. - violazione e falsa interpretazione dell'art. 32 della l.p. 7 agosto 2006, n. 5, violazione e falsa applicazione della deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 2039 di data 13/12/2019, nonché della deliberazione della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 1030 di data 22/07/2020 Circa la natura del termine previsto dai provvedimenti dell'Amministrazione provinciale entro cui i genitori o i responsabili di minori devono presentare al dirigente scolastico dell'Istituto -OMISSIS-competente per territorio la comunicazione di volersi avvalere dell'istruzione parentale, tale termine, che corrisponde, nel caso di specie, al 31.01.2020, è ritenuto perentorio dall'Amministrazione, tanto è vero che la delibera citata stabilisce che la richiesta di istruzione parentale può essere presentata oltre il termine di presentazione delle iscrizioni "unicamente in presenza di cause di eccezionale gravità debitamente rappresentate, che il dirigente dell'istituzione ha l'obbligo di valutare al fine dell'accoglimento della richiesta medesima". L'appellante considera pertanto non condivisibile la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il dirigente avrebbe dovuto considerare il termine in questione come ordinatorio, giudicando illegittimi i provvedimenti negativi del dirigente per violazione delle deliberazioni della Giunta. Non è di ostacolo all'accertamento della natura perentoria di un termine fissato per l'esercizio di un diritto, secondo l'appellante, l'assenza di una espressa previsione in tal senso, ben potendo desumersi tale qualità in via interpretativa, ove dal contesto negoziale e dalla funzione dell'istituto risulti (anche implicitamente, ma in modo chiaro e univoco) che la perdita del diritto è conseguenza immediata della mancata osservanza del termine. La natura perentoria del termine può essere desunta dunque dalla sua funzione e perciò il termine può essere perentorio anche in assenza di una sua esplicita qualificazione in tal senso. Peraltro, ad avviso dell'appellante, la fissazione di una data certa consente di assicurare ai genitori interessati un termine entro il quale rendere evidente all'amministrazione scolastica il proprio convincimento di provvedere all'istruzione del minore attraverso la modalità parentale; garantisce poi, alle scuole, un'informazione certa in ordine alla presenza o meno in classe dello studente; permette, inoltre, di dare informazioni essenziali al dirigente scolastico, che gli permettano di effettuare una serie di operazioni di verifica e monitoraggio anche per escludere ipotesi di evasione dell'obbligo scolastico. Rileva la parte appellante che il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 6094/2014, ha affermato che in materia di perentorietà dei termini sostanziali (siano essi contrattuali o procedimentali), non si applica l'art. 152 c.p.c., secondo cui "i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori" (che vale per i soli termini processuali), bensì deve farsi riferimento alla disciplina privatistica, alla materia oggetto del contratto ed all'intenzione delle parti. Nello stesso senso si è pronunciata l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 10/2014), secondo cui "l'individuazione del termine come perentorio è basata anzitutto sulla ratio dello stesso in rapporto alla fase del procedimento in cui si colloca l'adempimento...per cui l'art. 152 c.p.c. che definisce i termini processuali come ordinatori salvo quelli espressamente qualificati come perentori, vale esclusivamente per i termini processuali". La medesima tesi è sostenuta, ribadisce la parte appellante, anche dalla Corte di Cassazione, secondo la quale, sebbene l'art. 152 c.p.c. disponga che i termini stabiliti dalla legge siano ordinatori, salvo che questa li dichiari espressamente perentori, ritiene che non si può dalla norma in questione dedurre che, ove manchi un'esplicita dichiarazione in tal senso, debba senz'altro escludersi la perentorietà del termine, dovendosi invece verificare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, debba essere rigorosamente osservato a pena di decadenza e sia quindi perentorio (ex plurimis, Cassazione 17978/2008, Cassazione 14692/2007 e 1064/2005). Alla luce di quanto sopra, evidenzia l'appellante, correttamente l'Amministrazione ha ritenuto non accoglibile la domanda di istruzione parentale pervenuta oltre il termine del 31.01.2020. In data -OMISSIS- è stato depositato dalla parte appellata ricorso incidentale. Con tale atto, si è eccepito: A) in via pregiudiziale, la cessazione della materia del contendere ex art. 34 c.p.a. o la sopravvenuta carenza di interesse ex art. 35 c.p.a, alla luce delle richiamate circostanze: 1) la comunicazione di istruzione parentale per gli scolari interessati e l'impugnato diniego sono relativi all'anno scolastico 2020/2021; 2) l'anno scolastico 2020/2021 è stato svolto dagli studenti in istruzione parentale per tutto l'anno senza interruzioni; 3) a -OMISSIS- i genitori degli scolari hanno comunicato al dirigente la Scuola che anche per l'anno 2021/2022 si sarebbero avvalsi dell'opzione di istruzione parentale; 4) a -OMISSIS- genitori degli scolari hanno richiesto al dirigente la -OMISSIS- la verifica annuale di idoneità al termine dell'anno scolastico 2020/2021; 5) -OMISSIS- gli scolari hanno sostenuto l'esame di idoneità, lo hanno superato e -OMISSIS- i genitori hanno comunicato al Dirigente la -OMISSIS- l'esito positivo dell'esame di idoneità alla classe successiva; 6) per l'anno 2021/2022 gli scolari si stanno avvalendo dell'opzione di istruzione parentale, sinora senza alcuna interruzione; 7) anche le Deliberazioni della Giunta provinciale impugnate hanno una validità temporale limitata all'anno scolastico 2020/2021, come riportato nelle stesse deliberazioni (per gli anni successivi sono state adottate deliberazioni diverse e distinte, così come accade ogni anno scolastico). Gli scolari hanno terminato l'anno scolastico 2020/2021 con profitto e hanno sostenuto la verifica annuale di idoneità come prescritto dalla legge e frequentano ora l'anno scolastico 2021/2022 sotto la supervisione ed il controllo del dirigente scolastico della -OMISSIS- come prescritto dalla legge. Ne consegue, secondo gli appellanti incidentali, che i provvedimenti impugnati, e cioè i provvedimenti di diniego del dirigente scolastico e le Delibere della Giunta provinciale, non hanno più alcuna efficacia perché limitati nel tempo all'anno scolastico 2020/2021, ormai terminato, e perché gli scolari hanno superato con profitto l'esame di idoneità per il passaggio all'anno successivo che stanno frequentando tuttora. È quindi evidente, per gli appellanti incidentali, che sia cessata la materia del contendere o vi sia sopravvenuta carenza di interesse da parte dell'amministrazione, essendo terminato l'anno scolastico 2020/2021 oggetto dei provvedimenti del dirigente scolastico impugnati ma, soprattutto, essendo gli scolari iscritti al successivo anno scolastico 2021/2022 con la comunicazione ed accettazione del dirigente la -OMISSIS- ed avendo essi già sostenuto e superato con esito positivo l'esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva. I provvedimenti del dirigente non esplicherebbero, dunque, né potrebbero esplicare, ad oggi, alcun effetto, così come le delibere della Giunta provinciale che hanno esaurito i loro effetti essendo limitate all'anno 2020/2021 e sostituite dalle Delibere dettate per gli anni scolastici successivi. Il giudizio sarebbe quindi improcedibile per cessata materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse. Che si voglia inquadrare come cessazione di materia del contendere o difetto di interesse, in ogni caso il giudizio, per gli appellanti incidentali, è improcedibile. B) Nel merito: 1) Sul punto 1 dell'impugnazione principale gli appellanti incidentali osservano che, con norma direttamente precettiva, la Costituzione, agli articoli 30, 33 e 34 riserva ai genitori il diritto/dovere di mantenere, istruire ed educare i figli. Il d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 disciplina le norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento, e sancisce che la legislazione provinciale deve essere adeguata ai principi e norme costituenti i limiti indicati dagli articoli 4 e 5 dello Statuto speciale e recati da atto legislativo dello Stato. La provincia Autonoma di Trento, quindi, nella propria potestà legislativa concorrente, non solo deve rispettare i principi generali dell'ordinamento giuridico dello stato e le grandi leggi di riforma economica nazionale ed i principi desumibili dalle leggi dello Stato, ma anche gli atti di indirizzo e coordinamento emanati dal Governo della Repubblica. Anche sotto tale aspetto è chiaro, per gli appellanti incidentali, come la Giunta provinciale sia andata in straripamento dei poteri. Da un lato le leggi dello Stato per l'anno scolastico 2020/2021 non ponevano alcun limite temporale perentorio per la dichiarazione di ritiro dalla scuola pubblica, anche per rispettare le esigenze sopravvenute delle singole famiglie, ma men che mai poneva un limite e un filtro all'accettazione delle domande pervenute dopo la scadenza del termine temporale indicato dalla Provincia Autonoma di Trento né che dovesse trattarsi di casi di eccezionale gravità debitamente documentati. 2) A confutazione del secondo motivo dell'impugnazione principale, gli appellanti incidentali osservano quanto segue. Il motivo afferisce alla pretesa mancanza di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti. Secondo gli appellanti incidentali la parte appellante confonde il diritto alla scelta all'istruzione parentale con l'azione giudiziale esperita contro i provvedimenti di diniego del dirigente scolastico al ritiro dalla scuola pubblica. La scelta del percorso scolastico di istruzione parentale è stata fatta da entrambi i genitori, che hanno sottoscritto congiuntamente la comunicazione rivolta al dirigente scolastico, proprio perché consci dell'importanza della decisione da assumere, necessariamente con l'accordo di tutta la famiglia, quali atti non solo di straordinaria amministrazione, ma atti incidenti la vita ed il futuro dei minori. L'azione giudiziale è invece stata esperita da un solo genitore poiché non vi era in discussione la scelta del percorso educativo degli alunni ma la sola reazione giudiziale al diniego del dirigente scolastico. Nel caso di specie, è pacifico che entrambi i genitori di tutti gli alunni hanno scelto per i figli l'istruzione parentale presentando congiuntamente il modello al dirigente scolastico e che, in sede di ricorso, solo uno dei genitori ha sottoscritto il mandato alle liti divenendo parte processuale semplicemente per difendere la scelta fatta di comune accordo e sulla quale i genitori erano del tutto concordi. L'eccezione, sollevata per la prima volta in sede di impugnazione, è comunque irrituale, tardiva, e assolutamente non fondata e se ne chiede il rigetto. 3) A confutazione del terzo motivo di impugnazione principale, gli appellanti incidentali sostengono i seguenti argomenti. Il terzo motivo è relativo alla perentorietà della natura del termine previsto dai provvedimenti amministrativi della Provincia autonoma di Trento entro il quale i genitori devono presentare la comunicazione di scelta di istruzione parentale al dirigente scolastico. La difesa della pubblica amministrazione pretende di far discendere la perentorietà del termine dal fatto che il termine "è ritenuto perentorio dall'Amministrazione" contestando la sentenza di prime cure che denota il termine come ordinatorio sia perché la perentorietà deve discendere dalla stessa legge che pone il termine sia perché la stessa legge ne deve disciplinare le conseguenze in caso di mancato rispetto. Una semplice delibera come la 2039/2019 della Giunta provinciale e quindi un atto di natura regolamentare, si argomenta, non può attribuire carattere di perentorietà ad un termine. Da un lato le leggi dello Stato non pongono alcun limite, né perentorio né ordinatorio, per la dichiarazione di ritiro dalla scuola pubblica purché la comunicazione abbia cadenza annuale, anche per rispettare le esigenze sopravvenute delle singole famiglie, ma men che mai pone un limite e un filtro all'accettazione delle domande pervenute dopo tale termine né che debba trattarsi di casi di eccezionale gravità debitamente documentati. A confutazione del punto 4 del ricorso principale, gli appellanti espongono quanto segue. 4) I requisiti dettati dalla legge statale e provinciale sono, ancora una volta, relativi alla competenza e capacità tecnica ed economica adeguata da parte dei genitori. Nulla è mai stato paventato nell'originario ricorso in ordine a motivazioni di ordine sanitario o mancanza di volontà di protocolli sanitari adottati nelle scuole per fronteggiare la pandemia. L'argomento è del tutto nuovo e se ne eccepisce l'irritualità e la tardività . C) In sede di appello incidentale sono articolati due motivi. Il primo attiene a "motivi diretti contro la deliberazione della Giunta provinciale di Trento 13.12.2019 allegato A pag. 13, punto 6, e contro la deliberazione della Giunta provinciale di Trento 22.07.2020 n. 1030 allegato A pagina 14 punto 6 "Istruzione parentale". Il secondo motivo riguarda la presunta "invalidità derivata dal provvedimento del Dirigente scolastico per illegittimità delle Deliberazioni della Giunta provinciale impugnate poste in violazione degli articoli 32 e 33 della Legge PAT n. 5/2006". Quanto al primo motivo, sono solo richiamati diversi profili di presunta illegittimità costituzionale, ed altri profili di gravame, non argomentati. Relativamente al secondo, i ricorrenti incidentali deducono che i provvedimenti del dirigente scolastico sono automaticamente illegittimi per invalidità derivata. Si propone, pertanto, ricorso incidentale subordinato all'accoglimento dell'avverso ricorso in appello formulato in punto di perentorietà del termine dettato per la scelta della istruzione parentale allo scopo e al fine di scongiurare una eventuale interpretazione non conforme alla norma già fatta propria dalla provincia ricorrente-appellante. Che la Giunta provinciale sia andata in straripamento dei poteri, è comprovato, secondo gli appellanti incidentali, dal riferimento al caso COVID, come motivo inidoneo al ritiro (delibera 1030/2020). Ne consegue che, poiché si è ampiamente dimostrata l'invalidità /nullità delle Deliberazioni della giunta provinciale impugnate in prime cure, i provvedimenti del dirigente scolastico sono automaticamente illegittimi per il vizio della invalidità derivata. In vista dell'udienza di discussione, sono state presentate memorie. Con memoria depositata il -OMISSIS-gli originari ricorrenti hanno contestato il deposito in giudizio da parte dell'appellante di n. 5 documenti formulando istanza di cessazione della materia del contendere ovvero sopravvenuta carenza di interesse. Con memoria depositata il -OMISSIS- l'amministrazione appellante evocava nuovi fatti consistenti nell'intervenuto contenzioso concernente l'idoneità dell'immobile che ha ospitato, ed ospita anche oggi, i bambini le cui mamme hanno richiesto alla amministrazione scolastica provinciale l'autorizzazione alla "scuola parentale". Nell'ambito di tale contenzioso, la Provincia autonoma di Trento illustrava la disciplina dell'istruzione parentale, rammentando che questa deve rappresentare un reale percorso di studi, assicurato dalla famiglia presso la propria abitazione. Infatti, la normativa in vigore non prevede la possibilità di svolgimento dell'istruzione parentale all'interno di un albergo, in particolare nell'alloggio del gestore. Con sentenza n. -OMISSIS-il TRGA respingeva il ricorso della citata struttura ricettiva con plurime argomentazioni. Con ricorso in appello notificato in data -OMISSIS-l'-OMISSIS- di -OMISSIS- -OMISSIS-, impugnava la sopracitata sentenza del TRGA di Trento. Sul controricorso e sul ricorso incidentale, la parte appellante precisa che la scuola parentale non è un istituto, ma una modalità di insegnamento ammessa nel nostro ordinamento, con i limiti già ampiamente indicati nell'atto di ricorso in appello. Valga solo evidenziare che le famiglie oggi rappresentate in giudizio dalle sole genitrici, hanno agito in aperto dispregio del diniego ottenuto, senza attendere la decisione del giudice, violando l'obbligo scolastico. Sulla presunta cessazione della materia del contendere, si osserva che il fatto che l'anno scolastico 2020 - 2021 sia concluso e che i minori abbiano superato con successo l'esame di idoneità, non sembra incidere in alcun modo né sugli aspetti formali eccepiti, né sulle ragioni sostanziali che hanno determinato l'Amministrazione provinciale a promuovere l'appello: assicurare, attraverso il rispetto delle regole statali e provinciali, l'istruzione, sia essa pubblica, privata o parentale. La vicenda richiamata in fatto attinente il diniego, da parte del Comune di -OMISSIS-, del titolo edilizio richiesto per trasformare l'Albergo che ospita i bambini in una scuola, conferma quanto fin da subito è stato eccepito dalla P.A.T.: l'autorizzazione richiesta, peraltro tardiva e immotivata, non riguardava l'esercizio del diritto all'istruzione parentale per i propri figli, ma il riconoscimento de facto di una modalità di istruzione che l'ordinamento non ammette, che sfugge ad ogni tipo di verificazione. Non è scuola parentale, argomenta l'appellante, quella che viene somministrata da un soggetto terzo in forma di classe, con indicazioni provenienti ancora una volta dall'esterno, senza alcun riconoscimento giuridico come scuola privata riconosciuta, senza nessun controllo del rispetto delle norme igieniche, sanitarie, alimentari; senza autorizzazione relative all'immobile, alla sua idoneità, alla sua destinazione d'uso. Sulla perentorietà del termine per la presentazione delle domande di istruzione parentale, si rileva che la richiesta di istruzione parentale, proprio perché legata alla scelta di come esercitare il proprio diritto - dovere di istruzione, ha gli stessi termini della iscrizione a scuola. Generalmente, tale termine è fissato per la fine di gennaio: la Provincia, che custodisce l'anagrafica scolastica, opera un riscontro puntuale sulla coincidenza dei dati, che permette non solo di distribuire risorse alle scuole su tutto il territorio, ma anche di verificare l'assolvimento all'obbligo scolastico. In molte procedure amministrative il termine indicato dall'amministrazione ha carattere perentorio, a tutela della procedura posta in essere, dei controinteressati, ma anche degli stessi interessati. La certezza del diritto si assicura anche sul piano amministrativo: il carattere, definito da controparte quasi con dispregio, "regolamentare", nulla toglie, secondo la richiamata memoria, alla legittimità dell'apposizione di un termine, perché le procedure amministrative non possono non trovare una definizione. Il regolamento ammette delle eccezioni, non sussistenti nel caso che ci occupa. Sul ricorso incidentale, si rileva nella memoria di che trattasi che questo risulta subordinato all'ipotesi di accoglimento del ricorso in appello della PAT, laddove il Collegio volesse accogliere le considerazioni svolte sul carattere perentorio della disposizione contenuta nel provvedimento della Giunta provinciale, e richiama i motivi diretti contro le deliberazioni della Giunta provinciale già fatti oggetto di impugnazione nel ricorso introduttivo. In sintesi, secondo la richiamata memoria, i profili di presunta illegittimità costituzionale, sarebbero sussistenti solo nell'ipotesi di accoglimento del motivo di gravame legato al carattere perentorio del termine per l'istanza di autorizzazione all'istruzione parentale, di fatto trasformata in una dichiarazione di volontà, scevra da limiti, regole, controlli. Invero, la pur contestata sentenza del TRGA di Trento, ben distingue in ogni caso la disciplina normativa di carattere generale dalla disciplina amministrativa che regola l'iter di iscrizione dei bambini soggetti ad obbligo scolastico. Rimane in ogni caso indimostrata, secondo la parte appellante, la denunciata invalidità derivata del provvedimento del dirigente scolastico. Con memoria di replica depositata il -OMISSIS-gli appellanti incidentali ribadiscono che l'istruzione è stata somministrata, per quattro minori, dai genitori, con il mero coordinamento logistico e supporto tecnico della dott.ssa -OMISSIS- Ritengono estranei a questo giudizio il ricorso presentato dinanzi al TRGA di Trento e poi appellato, con la pretesa (contestata) di trasformare un'attività alberghiera in scuola. Sulla cessazione della materia del contendere ex art. 34 c.p.a. o sulla sopravvenuta carenza di interesse ex art. 35 c.p.a., si ribadisce che i provvedimenti impugnati riguardano solo l'anno scolastico 2020/2021. I quattro minori interessati hanno svolto regolarmente l'istruzione parentale per quell'anno senza interruzioni e con verifica annuale di idoneità sostenuta con esito positivo a giugno 2021. Gli scolari hanno terminato con profitto anche l'anno scolastico 2021/2022 sostenendo con esito positivo la verifica annuale di idoneità a giugno 2022 sotto la supervisione del Dirigente scolastico della -OMISSIS- (istituto comprensivo di riferimento) e frequentano ora regolarmente l'anno scolastico 2022/2023. Non ci sono provvedimenti repressivi per gli anni 2021/2022 e 2022/2023. Tutti i provvedimenti impugnati, ribadiscono gli appellanti incidentali nella memoria, non hanno più efficacia né esplicano alcun effetto attuale perché limitati nel tempo all'anno scolastico 2020/2021. Nulla c'entra con il parallelo giudizio che, appunto, sarà discusso in autonomia perché oggetto di fatti e censure diversi. Il giudizio è quindi improcedibile per cessata materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse. Con memoria di replica depositata il -OMISSIS- l'amministrazione ribadisce che ancora oggi la disciplina dell'istruzione parentale prevede che la stessa garantisca un reale percorso di istruzione assicurata dalla famiglia presso la propria abitazione. Rimane in ogni caso indimostrata la denunciata invalidità derivata del provvedimento del dirigente scolastico. Anche con riferimento alla presunta cessazione della materia del contendere o alla sopravvenuta carenza di interesse, le circostanze rappresentate dagli originari ricorrenti, odierni appellati (il fatto che l'anno scolastico 2020 - 2021 sia concluso e che i minori abbiano superato con successo l'esame di idoneità ) non fanno di certo venir meno l'interesse all'appello dalla PAT: l'interesse risiede, come detto, nella tutela della disciplina che ancora oggi regolamenta la scuola parentale e nella volontà di assicurare, attraverso il rispetto delle regole statali e provinciali e con atti amministrativi anche da parte delle Scuola, l'istruzione in tutte le modalità in cui essa è resa. In punto di perentorietà del termine per la presentazione delle domande di istruzione parentale, nuovamente si evidenzia come quello oggetto di contestazione sia il termine per l'autorizzazione di istruzione parentale e non di ritiro dalla scuola. Al fine di garantire un corretto espletamento dell'attività scolastica, la certezza del diritto e la tutela degli interessi di tutte le parti coinvolte, rende perentorio la previsione di un termine entro cui compiere determinati adempimenti. Nel caso di specie, il rispetto del termine avrebbe permesso una accurata verifica dei requisiti per autorizzare lo svolgimento dell'istruzione parentale e il percorso educativo proposto. L'appello principale è fondato. Osserva il Collegio, preliminarmente, come da parte dell'amministrazione appellante si avvalori -anche attraverso la preliminare ricostruzione del quadro normativo di riferimento -l'ipotesi che il ricorso alla formula di istruzione parentale sottintenda nei fatti il ricorso da parte dei genitori a una struttura scolastica alternativa, in ciò andando oltre la ratio dell'istituto con l'implicazione di dover valutare la legittimità del funzionamento di siffatta struttura. Quanto al primo motivo di appello, ritiene il Collegio che gli argomenti rappresentati non siano fondati in termini di carenza di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti. Va premesso che, contrariamente a quanto eccepito dagli appellati, la questione riguardante la capacità processuale della parte ricorrente in primo grado può essere rilevata, anche di ufficio, in sede di appello, poiché sul punto non si è formato alcun giudicato implicito. La prospettiva indicata dalla Provincia appellante è condivisibile nella parte in cui evidenzia che le scelte educative riguardanti i minori presuppongono una decisione congiunta dei genitori esercenti la potestà . Dagli atti di causa emerge con assoluta certezza che i genitori dei minori hanno consensualmente optato per il metodo educativo della scuola parentale, attivando le conseguenti iniziative in sede amministrativa. A fronte di questa univoca volontà congiunta, la determinazione di agire in giudizio, conferendo la delega al difensore, è coerente con tale valutazione e costituisce esercizio disgiunto di un'attività di "straordinaria amministrazione", condivisa da entrambi i genitori. Non vi è ragione di dubitare, allo stato degli atti, che i minori agiscano in giudizio sulla base di una regolare e condivisa determinazione di entrambi i genitori. Tale conclusione è coerente con le norme del codice civile che delimitano i casi in cui è necessario l'esercizio congiunto della rappresentanza del minore per gli atti di straordinaria amministrazione. È invece fondato il secondo motivo di appello, con cui la Provincia ribadisce la legittimità del diniego dell'istanza di "ritiro" degli alunni, per tardività della richiesta e per assenza di eccezionali ragioni derogatorie. A tale proposito, sono persuasive le argomentazioni espresse dall'amministrazione provinciale, incentrate sulla riscontrata natura perentoria dei termini previsti dalla normativa di settore e sulla loro intrinseca ragionevolezza. Il Collegio rileva che, nel sistema costituzionale, viene tutelato il diritto del minore ad ottenere un'educazione adeguata, insieme al diritto-dovere dei genitori di educare i figli. In tale contesto, l'ordinamento prevede la realizzazione di una rete scolastica caratterizzata da piena sinergia tra iniziative private e controllo pubblico. Il sistema riconosce pienamente anche il diritto allo svolgimento dell'educazione parentale, secondo modalità idonee a salvaguardare il primario interesse del minore, in coerenza con le scelte compiute dai genitori. In tale cornice, non possono considerarsi lesive del diritto dei genitori prescrizioni organizzative correlate alla programmazione annuale dei percorsi educativi compiuti, alternativamente, nell'ambito della scuola pubblica (o parificata), o all'interno delle strutture dell'educazione parentale. In particolare, la previsione di tempi certi in ordine alle modalità di assolvimento dell'obbligo scolastico costituisce il presupposto imprescindibile per l'efficacia dell'attività educativa e assicura la massima efficacia alle attività di controllo demandate alle istituzioni competenti. Nel caso di specie, i termini stabiliti dalla normativa provinciale per indicare l'opzione educativa prescelta dagli interessati non sono particolarmente ristretti e assicurano il pieno rispetto dei diritti fondamentali di cui all'art. 30 della Costituzione. D'altro canto, la regolamentazione vigente non impedisce a priori la possibilità che, nel corso dell'anno scolastico, possa modificarsi l'originaria scelta compiuta dai genitori. Ciò è possibile, tuttavia, solo in presenza di eccezionali circostanze, che, nel caso concreto, non sono emerse. Il riferimento alle vicende pandemiche, infatti, è stato correttamente considerato inidoneo all'accoglimento dell'istanza. La ricordata disciplina è finalizzata ad impedire inopportune alterazioni del percorso educativo del minore e a garantire un ordinato svolgimento delle attività scolastiche ed amministrative connesse. Sul piano strettamente formale, poi, non è condivisibile quando statuito dal TAR in ordine all'asserito carattere "ordinatorio" dei termini previsti dalla normativa di settore. Al riguardo, correttamente l'appellante richiama la giurisprudenza di questo Consiglio - e, in particolare, la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 10/2014 - e della Suprema Corte, dalla quale si desume da un lato la stretta applicabilità dell'art. 152 c.p.c. ai termini processuali, dall'altro un'interpretazione funzionale dell'apposizione di un termine, in assenza di una specifica definizione di esso quale ordinatorio o perentorio, che va desunta dalla finalità che l'apposizione di tale termine è destinata a perseguire nello specifico procedimento. Ora, appare indubbia e fondata l'esigenza dell'amministrazione scolastica, per ovvie ragioni di carattere organizzativo legate anche alla somministrazione della didattica, di conoscere entro un termine prestabilito il numero degli allievi destinati a frequentare le classi, anche ai fini di verifica dell'adempimento dell'obbligo scolastico. Da tale finalità, che si connette direttamente all'interesse pubblico di assicurare l'ordinato ed efficiente svolgimento del servizio scolastico, discende la non irragionevole qualificazione del termine stabilito del 30 gennaio in termini di perentorietà, determinandosi in difetto un possibile vulnus all'equilibrio e alla razionale programmazione dell'istruzione scolastica per i minori, sia dal punto di vista logistico che qualitativo. Relativamente, poi, al terzo motivo di appello, invero formulato in modo generico, mentre non pare dimostrato un nesso diretto tra gli effetti della pandemia da Covid-19 e il riferito aumento da parte di molte famiglie al ricorso all'istruzione parentale, è certamente condivisibile che una disciplina legislativa e amministrativa rigorosa volta a garantire il corretto esercizio dell'obbligo scolastico risponda - anche attraverso la puntuale verifica dei requisiti previsti per il legittimo accesso all'istruzione parentale - ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali volti a garantire il diritto all'istruzione. Alla luce di tali considerazioni, non può dunque esser condiviso l'accoglimento, in parte qua, del primo motivo di ricorso, da parte del giudice di prime cure, non ravvisandosi alcuna illegittimità negli impugnati provvedimenti del Sostituto del -OMISSIS-- della -OMISSIS- - -OMISSIS-. Conseguentemente, l'appello principale va accolto. Quanto al ricorso incidentale proposto dalle parti appellate, in disparte i motivi a confutazione dell'atto di impugnazione, sostanzialmente ripropositivi degli argomenti sviluppati in sede di primo giudizio, è necessario pronunciarsi sulla eccezione di cessazione della materia del contendere o di sopravvenuta carenza di interesse per i motivi dettagliatamente elencati in precedenza. Essa trova fondamento, in sintesi, nella circostanza che i fatti, e la stessa normativa di riferimento, si riferiscono all'anno scolastico 2020/2021 e che le modalità di istruzione parentale sono poi proseguite negli anni successivi senza ulteriori contestazioni. Il Collegio ritiene di accogliere, al riguardo, le ragioni rappresentate dall'amministrazione relative al permanere dell'interesse a veder affermati in giudizio i principi formali e sostanziali che hanno motivato l'originario atto di appello, anche a fronte di una normativa che, seppure rinnovata di anno in anno, presenta connotati sostanzialmente sovrapponibili. Tale interesse è, ad avviso del Collegio, meritevole di tutela nella sede giurisdizionale e pertanto l'eccezione relativa alla cessata materia del contendere e alla sopravvenuta carenza di interesse va respinta. Analogamente, non possono trovare accoglimento, in ragione di quanto detto a proposito della perentorietà del termine in relazione al secondo motivo di appello, i motivi di presunta violazione di norme costituzionali, peraltro non argomentati, e di illegittimità derivata del provvedimento del dirigente scolastico, di cui al punto sub C) del ricorso incidentale che, di conseguenza, va respinto. In particolare, non è ravvisabile alcuna illegittimità per straripamento di poteri da parte delle Deliberazioni della Giunta provinciale impugnate, per asserita violazione degli articoli 32 e 33 della Legge PAT n. 5/2006, in quanto tali Deliberazioni, mentre da un lato non evidenziano alcun contrasto, come detto, con le norme costituzionali evocate, non configurando alcun profilo di contraddizione con la tutela del diritto all'istruzione parentale, neppure appaiono confliggere con la legge PAT n. 5/2006, rappresentando al contrario una declinazione in termini ordinativi - senza che ciò configuri alcuna forma di arbitraria limitazione - delle modalità di concreto esercizio di tale diritto, al fine di consentire alla pubblica amministrazione di assicurare l'adempimento dei propri doveri attraverso un adeguato bilanciamento dei diversi interessi da tutelare. Da qui, come detto, l'insussistenza di profili di invalidità derivata degli atti posti in essere dal dirigente scolastico. Conclusivamente, il Collegio è dell'avviso che la sentenza di primo grado meriti di essere riformata e l'appello accolto. Il ricorso incidentale va respinto. Sono salvi e impregiudicati gli effetti dell'attività amministrativa giunta a compimento nelle more della definizione del presente giudizio. Sussistono peculiari motivi per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede: - Accoglie l'appello principale e respinge l'appello incidentale; - Per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado: - Compensa le spese del doppio grado di giudizio; - Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera f), del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di riproduzione e diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità del minore, dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela e di ogni altro dato idoneo ad identificare i medesimi interessati ivi citati. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Massimiliano Noccelli - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Marco Valentini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 475 del 2020, proposto da An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa., rappresentate e difese dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per l'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per l'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale per il Molise, Ufficio Scolastico Regionale per l'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Trentino Alto Adige, Ministero della Pubblica Amministrazione e l'Innovazione, Ministero della Funzione Pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, non costituiti in giudizio; An. Ga. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Mi. Ro. Lu. Li., Mi. Mi. e St. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Gi. Ri. ed altri, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 2114 del 2020, proposto da Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); contro Gi. Ca. ed altri, non costituiti in giudizio; Ve. Ap. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Mi. Ro. Lu. Li., Mi. Mi. e St. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ro. Qu., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ca. e An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Ca. in Potenza, largo (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 09261/2019, resa tra le parti, concernente l'annullamento e/o la riforma, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III bis, 12 luglio 2019 n. 9261, come rettificata per correzione di errore materiale con ordinanza 12 settembre 2019 n. 10904. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per la Funzione Pubblica, e di An. Ga. ed altri ; Visto l'atto di costituzione in giudizio proposto dal ricorrente incidentale Gi. Ma. Se. e Si. Ce., rappresentati e difesi dagli avvocati Mi. Ro. Lu. Li., Mi. Mi. e St. Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Mi. Ro. Lu. Li., St. Vi. e Mi. Mi. in sostituzione degli avvocati An. Pa. e Gi. Ca.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio gli originari ricorrenti invocavano l'annullamento dei decreti direttoriali numeri 105, 106 e 107 del 23 febbraio 2016, con i quali il Ministero aveva indetto il concorso per il reclutamento del personale docente in attuazione dell'art. 1, commi 110 e 114, della legge 13 luglio 2015, n. 107, nella parte in cui la partecipazione veniva riservata ai soli docenti in possesso del titolo abilitante. 2. Il primo giudice, preso atto dell'annullamento con la sentenza n. 3705/18 del Consiglio di Stato della clausola del bando contenuta nell'art. 3, che non ammetteva la partecipazione dei docenti non abilitati, accoglieva il ricorso nei confronti di tutti coloro che non avevano mai avuto la possibilità di intraprendere un percorso abilitante "ordinario" (e, quindi, per tutte le classi per le quali non fosse stato almeno astrattamente possibile conseguire l'abilitazione stessa in via ordinaria, ovvero all'esito di un percorso aperto ad ogni interessato). La domanda, invece, veniva rigettata per i ricorrenti non rientranti nella citata categoria, per i quali, al contrario, non si estendeva il descritto giudicato di annullamento, sicché il collegio non riteneva sussistenti adeguate ragioni per consentire la partecipazione a una procedura concorsuale in assenza del titolo abilitativo. 3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propongono distinti appelli, da un lato, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e altre amministrazioni; dall'altro, gli originari ricorrenti Ga. e Sa.. Infine, gli altri originari ricorrenti spiegano appello incidentale nel gravame proposto dalle Amministrazioni. Gli appelli principali sono stati riuniti da questa Sezione con ordinanza n. 4924/2021, che dispone incombenti istruttori a carico del Ministero, onerandolo di depositare in giudizio documentazione idonea a comprovare, per tutte le classi di concorso oggetto del presente giudizio, l'attivazione di percorsi ordinari per il conseguimento dell'abilitazione. La detta richiesta è stata reiterata con ordinanza n. 6597/2022, nella quale si dà avviso che, in caso di persistente inottemperanza, il comportamento processuale dell'Amministrazione sarà utilizzato come argomento di prova. Con successiva ordinanza n. 10196/2022, la Sezione ha disposto che la parte più diligente depositi una nota in cui vengano specificatamente indicati i nominativi dei docenti, ricorrenti in primo grado, concorrenti per classi di concorso per i quali non era stata mai disposta l'attivazione di percorsi ordinari per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento (neppure attraverso l'istituzione del Tirocinio Formativo Attivo), negli anni accademici antecedenti l'indizione della procedura di reclutamento per cui è causa, i soli soggetti (dell'originario ricorso collettivo) ai quali poteva essere riferito, per quanto sopra evidenziato, l'effetto annullatorio della sentenza di primo grado. 4. Con memoria depositata il 2 marzo 2023 la difesa degli appellati trascrive l'elenco, suddiviso per classi di concorso, dei nominativi dei ricorrenti che hanno interesse alla conservazione degli effetti della sentenza di primo grado, in quanto vincitori del concorso indetto con DDG 106/2016, al quale erano stati ammessi con riserva in esecuzione delle ordinanze cautelari di codesto Consiglio di Stato. Tali ricorrenti sono stati destinatari di contratto di lavoro a tempo indeterminato, e hanno partecipato al concorso per discipline per le quali non si erano svolti i TFA nel numero programmato e nelle rispettive regioni di appartenenza. Di seguito l'elenco in questione: classe di concorso A012 (discipline letterarie negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado): 1) An. Ga. - classe di concorso A001 (arte e immagine nella scuola secondaria di primo grado); 2) Ma. Sa. - classe di concorso A60 (tecnologie nella scuola secondaria di secondo grado); 3) Do. Pa. Mi.; 4) Ro. Ro. - classe di concorso AB24 (Inglese); 5) Si. Ca. - classe di concorso A060 (tecnologie nella scuola secondaria di primo grado); 6) La. Ri. - classe di concorso A022 (italiano, storia geografia scuola secondaria di primo grado); 7) Fr. Ap.; 8) Lu. Ma. - classe di concorso A041 (scienze e tecnologie informatiche); 9) Pa. Be.; 10) Ni. Lu. Ma. - classe di concorso A026 (matematica); 11) Ch. Ma.; 12) Ma. Za.; 13) Lo. Gu. - classe di concorso A028 (matematica e scienze); 14) Ma. Gi. Se.; 15) Lu. An. Ca.; 16) Ce. An. - classe di concorso A046 (scienze giuridiche ed economiche); 17) Sp. Ro.; 18) Ar. Fr. - classe di concorso A008 (discipline geometriche architettura design e arredamento e scenotecnica); 19) Be. Ta. - classe di concorso AD01 (arte e immagine nelle scuole secondarie); 20) Ve. Ap.; 21) To. Ba. (A01-AD17) - classe di concorso A010 (discipline grafico pubblicitarie); 22) Di. Bi.; 23) Ma. Ro. - classe di concorso A027 (matematica e fisica); 24) Gi. Br. - classe di concorso A034 (scienze e tecnologie chimiche); 25) Ce. Si. - classe di concorso A043 (italiano storia e geografia istituti di primo grado); 26) Cr. Co. - classe di concorso A50 (scienze naturali chimiche e biologiche); 27) Lu. De. Ch. - classe di concorso A017 (disegno e storia dell'arte negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado); 28) To. De. Ri. - classe di concorso A48 (scienze motorie); 29) La. Fi.; 30) Fr. Gu. - classe di concorso A009 (discipline pittoriche); 31) Ga. Ru. - classe di concorso A021 (geografia); 32) Gr. Ma. Ra. - classe di concorso A023 (lingua italiana per discenti di lingua straniera); 33) Fr. Le.; 34) Al. Si.; 35) Ma. Gl. To. - classe di concorso A042 (scienze e tecnologie meccaniche); 36) Li. Ma.; 37) To. Le. Ra.; 38) Ma. Tu. - classe di concorso A049 (scienze motorie e sportive negli istituti di istruzione secondaria di primo grado); 39) Gi. Ma. Se. - classe di concorso A015 (discipline sanitarie); 40) Za. As. - classe di concorso A030 (musica nella scuola secondaria di primo grado); 41) Ma. Em.. 5. Con memoria depositata in data 17 febbraio 2023 An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa. precisano che non è stata mai disposta l'attivazione di percorsi ordinari per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento negli anni accademici antecedenti l'indizione della procedura di reclutamento per cui è causa. Con le memorie depositate in corso di causa specificano, inoltre, di aver superato le prove preselettive e di merito, alle quali erano state ammesse in forza di provvedimenti cautelari di questo Consiglio, e di aver ottenuto un giudizio di idoneità concorsuale e quindi aver conseguito l'abilitazione all'insegnamento ex art. 400, co. 12, del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297. 6. Dalle memorie delle parti private discende che la sentenza di prime cure va in parte annullata in relazione ai nominativi diversi da quelli riportati nell'elenco suddetto e delle appellanti principali An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa., essendo stato dichiarato un difetto di interesse alla conservazione degli effetti favorevoli della pronuncia. Sicché da ciò consegue che nei confronti di quest'ultimi (nominativi diversi da quelli suindicati) va annullata senza rinvio la sentenza di primo grado, dovendosi dichiarare l'improcedibilità del ricorso proposto dinanzi al TAR. Inoltre, va dichiarata l'improcedibilità, per difetto di interesse, dell'appello incidentale spiegato da Ba. To. per avere quest'ultima espressamente dichiarato di non avervi più interesse. 7. Con l'appello proposto da An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa. si lamenta che: a) il primo giudice non avrebbe tenuto nella debita considerazione il consolidamento del loro diritto a partecipare alla procedura selettiva derivante dal loro status di candidati idonei/vincitori; b) in mancanza di continuità, regolarità e massima accessibilità delle SISS o dei TFA, non verrebbero garantite ai docenti quelle giuste possibilità di intraprendere percorsi formativi utili a perseguire l'obbiettivo professionale di intraprendere stabilmente la carriera di docente, con inserimento nei ruoli dell'Amministrazione. Pertanto, il Giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere che l'annullamento della clausola dettata dalla lex specialis sia avvenuto solo in relazione alle classi concorsuali per le quali non consta l'attivazione di neanche un percorso abilitante; c) la lettura coordinata e ragionata della disciplina di settore, invero, porterebbe a riconoscere la perdurante validità del regime transitorio dettato dall'art. 402 del D.Lgs. n. 297/1994 nel caso di mancata attivazione dei percorsi formativi per ciascuna classe concorsuale con adeguata continuità temporale, diffusione sul territorio nazionale ed aperta accessibilità, onde evitare profili di palese incostituzionalità ; d) la sentenza gravata sarebbe erronea nella parte in cui non riconosce comunque ammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, co. 110, della L. 13 luglio 2015 n. 107 per violazione dei canoni fondamentali di ragionevolezza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), libertà di insegnamento (art. 33 Cost.), diritto al lavoro (art. 35 Cost.) e parità di accesso alle funzioni pubbliche (art. 51 Cost.). Nel ricorso introduttivo, la suddetta questione era stata proposta sulla scorta di dettagliate considerazioni in merito alla patente discriminazione subita dai docenti privi di abilitazione ai quali, seppure in possesso di valida qualifica professionale per l'esercizio dell'attività lavorativa in questione, era preclusa ogni possibilità di concorrere per la copertura dei posti in organico, venendo così ad essere confinati in uno stato di perdurante precarietà . 8. L'appello delle Amministrazioni contesta l'erroneità della sentenza di prime cure atteso che: a) l'annullamento pronunciato andrebbe riferito esclusivamente ai ricorrenti insegnanti tecnico pratici o di strumento musicale per i quali non era stato avviato in tempo utile il percorso abilitante richiesto dal bando, che non può che, conseguentemente, avere un'efficacia esclusivamente inter partes, non estendibile ai ricorrenti di specie posti invero nelle condizioni di partecipare ai percorsi abilitanti richiesti dal bando; b) la mancanza di abilitazione per la classe di concorso di interesse non sarebbe affatto dipesa da una mancata attivazione dei percorsi di abilitazione (TFA). Ne deriverebbe che, ai fini della partecipazione al concorso, il mancato conseguimento del titolo abilitativo non potrebbe essere imputato alla oggettiva "mancata attivazione del corso", bensì a circostanze soggettive riguardanti eventualmente la parte ricorrente in primo grado. Ciò in quanto, per la fattispecie oggetto dell'odierno giudizio, le classi venute in evidenza avevano visto l'attivazione di percorsi ordinari per il conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento, perlomeno attraverso l'istituzione del Tirocinio Formativo Attivo (TFA) in due distinti cicli di partecipazione avviati ex DM 249/10 (TFA I ciclo) ed ex DM 312/14 (TFA II ciclo) negli anni accademici antecedenti l'indizione della corrente procedura concorsuale di reclutamento dei docenti in discussione. In altri termini, per le classi indicate sarebbero attivati i percorsi ordinari costituiti dalle SSIS prima e dai due cicli di TFA finora esperiti; c) la sentenza del Tar non preciserebbe esattamente la portata dei suoi effetti caducatori, prendendo espressamente in considerazione il solo art. 3 del bando impugnato, ma disponendo al contempo l'annullamento "degli atti impugnati" stante l'asserita fondatezza del ricorso. Per scrupolo difensivo sarebbe, dunque, opportuno contestare la pronuncia anche nella parte in cui sembrerebbe annullare il successivo art. 4, comma 1, D.D.G. n. 106/2016, concernente le modalità di presentazione della domanda di partecipazione. 8.1. L'appello incidentale proposto dagli originari ricorrenti contesta la sentenza del primo giudice, lamentandone l'erroneità per le seguenti ragioni: a) si sostiene l'illegittimità in radice della previsione dell'art. 3 del bando laddove richiede l'abilitazione all'insegnamento per partecipare al concorso, dovendo invece ritenersi che debba applicarsi loro quanto disposto dall'art. 402 del d.lgs. n. 297/1994; b) sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che per alcune classi di concorso sarebbero stati attivati i percorsi formativi; c) avrebbe errato nel non sollevare la questione di costituzionalità dell'art. 1, comma 110, l. n. 107/2015; d) il richiedere il possesso di un titolo abilitativo ai fini della partecipazione al concorso per l'assunzione come docente si porrebbe in contrasto con le prescrizioni di cui al d.lgs. 206/2007. 8.2. Costituitasi in giudizio in data 26 ottobre 2022 in relazione all'appello proposto dalle Amministrazioni, la sig.ra Qu. Ro. sostiene il consolidamento nei suoi confronti del titolo conseguito in ragione del fatto che è risultata vincitrice del concorso indetto con D.D.G. n. 106 del 23/02/2016 ed è stata assunta dall'Ufficio Regionale Scolastico della Basilicata con contratto a tempo indeterminato del 18/10/2019. 9. Occorre premettere che l'odierno thema decidendi non può che essere perimetrato in ragione dell'azione caducatoria spiegata in primo grado per come recepita nella sentenza gravata e contestata con i motivi di appello sopra ricostruiti. Inoltre, non può che essere valorizzato ai fini del decidere il comportamento processuale serbato dall'amministrazione appellante che, più volte interrogata sull'attivazione dei percorsi ordinari per il conseguimento dell'abilitazione per tutte le classi di concorso, è rimasta silente. Tanto chiarito, l'appello delle Amministrazioni deve ritenersi in parte fondato, in parte infondato e in parte inammissibile. Va dichiarata, inoltre, la tardività delle note di udienza della signora Quagliano depositate in data 17 marzo 2023, perché in violazione di quanto disposto dall'art. 73, comma 1, c.p.a. 9.1. Fondato risulta il primo motivo di appello, dal momento che non può ritenersi che l'annullamento operato dalla sentenza n. 3705/18 del Consiglio di Stato dell'art. 3 del bando di concorso di cui trattasi possa avere efficacia erga omnes, dovendosi, invece, ritenere che la sentenza in questione valga solo per i ricorrenti in quel giudizio insegnanti tecnico pratici o di strumento musicale per i quali non era stato avviato in tempo utile il percorso abilitante richiesto dal bando. 9.2. Infondato è invece il secondo motivo di appello anche in ragione del comportamento processuale spiegato dall'amministrazione, atteso che non si può ritenere che quest'ultima abbia provato di aver attivato tempestivamente i necessari percorsi di abilitazione, sicché non risulta smentita la conclusione raggiunta dal primo giudice al riguardo. 9.3. Quanto, invece, al terzo motivo lo stesso deve ritenersi inammissibile, dal momento che, nonostante l'imprecisione contenuta nel dispositivo della pronuncia, dall'esame della motivazione della sentenza impugnata deve evincersi che la caducazione debba intendersi limitata alla clausola dell'art. 3 del bando di concorso, sicché l'amministrazione non aveva interesse ab imis a contestare la detta statuizione. 10. Quanto, invece, all'appello di An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa. lo stesso deve ritenersi in parte infondato e in parte inammissibile. 10.1. Infondato è il primo motivo dal momento che l'azione spiegata in primo grado è di tipo caducatorio, sicché il giudice di prime cure, muovendosi nel solco del thema decidendi, non poteva, né doveva, accertare il consolidamento del loro diritto a partecipare alla procedura selettiva derivante dallo status di candidati idonei/vincitori. Inoltre, non può farsi applicazione del principio del consolidamento, dal momento che esso configura un istituto eccezionale, da interpretare in senso restrittivo e inapplicabile a fattispecie diverse da quelle per cui è espressamente tipizzato: il consolidamento della posizione di vantaggio conseguita in esecuzione di un ordine cautelare costituisce una deroga ai principi di strumentalità ed interinalità della tutela cautelare, avente la tipica funzione di proteggere la sfera giuridica della parte processuale nelle more della definizione del giudizio, senza pregiudicare la soluzione nel merito della controversia (Cons. St., Sez. VI, 26 luglio 2022, n. 6576). Inoltre, deve rammentarsi che deve escludersi la possibilità di utilizzare in via generale tale principio, estendendolo ai casi in cui la positiva partecipazione ad una selezione pubblica, grazie ad un provvedimento cautelare di ammissione con riserva, con superamento delle prove previste dal bando, abbia consentito l'inserimento del candidato nella graduatoria di merito finale. Infatti, detto principio, positivizzato con riguardo ad una classe di ipotesi circoscritte dall'art. 4, comma 2-bis, D.L. n. 115 del 2005, non si applica ai concorsi pubblici, ma solo agli esami di abilitazione, atteso che questi ultimi sono volti ad accertare l'idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale (cfr. Cons. St., Sez. VI, 26 luglio 2022, n. 6576). 10.2. Con il secondo motivo di appello si contesta che il TAR ha circoscritto gli effetti del pronunciamento ai soli candidati concorrenti in classi concorsuali nelle quali non sia mai stato attivato alcun percorso abilitante. Ma, secondo quanto dichiarato dalle stesse appellanti, queste sono candidate concorrenti in classi concorsuali nelle quali non è mai stato attivato alcun percorso abilitante, sicché non si ravvisa alcun interesse alla decisione del motivo di appello in questione. 10.3. E' infondato il terzo motivo di appello dal momento che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Sezione (cfr. ex plurimis Cons. St., Sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1419) in materia di accesso alla professione di docente, la possibilità di essere ammessi alla partecipazione di un concorso a cattedre per una specifica classe di concorso resta subordinato al conseguimento del titolo di studio unitamente alla relativa abilitazione all'insegnamento. Inoltre, non residua un effettivo interesse alla valutazione richiesta stante l'avvenuta ammissione degli originari ricorrenti per i quali non permane l'interesse all'odierna decisione, essendosi accertato che il mancato conseguimento del titolo abilitante nel termine utile alla partecipazione al concorso è dipeso esclusivamente da cause addebitabili alle competenti amministrazioni, intempestive nell'organizzazione e gestione dei corsi in oggetto ed incapaci di garantire il medesimo coordinamento temporale tra tutti gli aspiranti insegnanti, in tal modo procurando una effettiva disparità di trattamento tra coloro che si siano trovati a concludere il percorso abilitante prima della data indicata nel bando di concorso e coloro che, come gli odierni interessati, non sono stati messi nelle stesse condizioni. 10.4. E' infondato anche il quarto motivo di appello con il quale si contesta la mancata remissione da parte del primo giudice della questione di costituzionalità, dal momento che le odierne appellanti hanno in concreto potuto partecipare alla procedura concorsuale, sicché l'applicazione dell'art. 1, co. 110, della L. 13 luglio 2015 n. 107 non risulta oramai lesiva della loro posizione. 11. Passando all'esame dell'appello incidentale, le cui doglianze sono in gran parte coincidenti con quelle dell'appello principale esaminato appena sopra e speculari rispetto a quello proposto dalle Amministrazioni, deve rilevarsi che: a) la prima doglianza non è fondata per le ragioni sopra indicate. Inoltre, gli appellanti incidentali non mantengono un valido interesse a coltivarla, atteso che gli stessi hanno in concreto potuto partecipare alla procedura concorsuale in forza dei provvedimenti giurisdizionali; b) la seconda doglianza non merita di essere scrutinata dal momento che si è già sopra accertato che, in relazione alla situazione degli appellanti incidentali, che hanno conservato un interesse a ricorrere, i percorsi formativi non sono stati attivati; c) anche la terza doglianza relativa alla mancata remissione della questione di costituzionalità relativa all'art. 1, co. 110, della L. 13 luglio 2015 n. 107, è infondata per le ragioni sopra illustrate; d) infondato è anche il quarto motivo di appello, dal momento che la direttiva 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE (e la successiva direttiva 2006/100/CE) cui il d.lgs. 206/2007 intende dare applicazione ha come finalità la costruzione di una disciplina per il riconoscimento delle qualifiche professionali tra gli Stati membri, per consentire l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri. Né la normativa statale in tema di abilitazione all'insegnamento, né i provvedimenti attuativi che ne fanno applicazione si pongono in contrasto con le norme introdotte a seguito del recepimento delle citate direttive europee, ostacolandone le finalità . Da ultimo occorre precisare che non risulta rilevante la questione dell'eventuale contrarietà con la disciplina unionale dell'art. 1, comma 110, L. n. 107/2015, considerato che gli odierni appellanti incidentali hanno comunque potuto, in forza delle pronunce di questo giudice, partecipare alla procedura concorsuale. 12. Pertanto, l'appello delle Amministrazioni deve essere dichiarato in parte fondato, in parte infondato e in parte inammissibile. Infine, lo stesso va dichiarato anche in parte improcedibile per ciò che concerne gli originari ricorrenti non compresi nell'elenco di cui sopra e diversi dagli appellanti principali, atteso che, con memoria del 2 marzo 2023, quest'ultimi hanno dichiarato di non avere interesse alla coltivazione dell'originario ricorso di prime cure. L'appello proposto da An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa. deve essere dichiarato in parte infondato e in parte inammissibile. L'appello incidentale degli originari ricorrenti va dichiarato in parte improcedibile per quegli appellanti incidentali diversi da quelli indicati al punto 4 della motivazione, che hanno rinunciato agli effetti della sentenza di primo grado e per i quali il ricorso di primo grado va dichiarato improcedibile; per gli altri va dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato. 13. Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della novità delle questioni trattate. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti: a) dichiara in parte fondato, in parte infondato, in parte inammissibile e in parte improcedibile l'appello delle Amministrazioni; b) dichiara l'appello proposto da An. Ma. Ga. e Ma. Lu. Sa. in parte infondato e in parte inammissibile; c) dichiara improcedibile l'appello incidentale proposto dai soggetti diversi da quelli indicati al punto 4 della motivazione, per i quali il ricorso di primo grado va dichiarato improcedibile e, per l'effetto, annulla senza rinvio nei loro confronti la sentenza di primo grado; d) dichiara improcedibile l'appello incidentale di Ba. To.; e) dichiara l'appello incidentale dei soggetti indicati al punto 4 della motivazione in parte inammissibile e in parte infondato. Per l'effetto di ciò conferma la sentenza di primo grado con diversa motivazione. Compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe - Presidente Luigi Massimiliano Tarantino - Consigliere, Estensore Davide Ponte - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4778 del 2017, proposto dalla società La. Fo. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e dai signori Pa. Gr., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Fa. Li., ed altri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Li. in Roma, via (…); contro il Comune di Verona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Mi. e Fu. Sq., domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro 13; nei confronti della signora Vi. Fr., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, (Sezione Seconda), n. 1375 del 14 dicembre 2016, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Verona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2023 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO e DIRITTO Giunge alla decisione del Consiglio di Stato l’appello proposto dalla società “La. Fo.” ed altri avverso la sentenza del T.a.r. per il Veneto n. 1375 del 14 dicembre 2016. Il giudizio ha ad oggetto la decisione della Giunta comunale del Comune di Verona che ha respinto l’istanza di approvazione del piano urbanistico attuativo della zona residenziale denominata “(Omissis)”, sita nel territorio del Comune di Verona, località (Omissis). Con la delibera del consiglio comunale del 23 dicembre 2011, è stato approvato il Piano degli interventi (P.I.), entrato in vigore il 13 marzo 2012, che ha individuato l’area predetta come ambito di trasformazione, la cui edificabilità è stata disciplinata da alcune prescrizioni di Piano (contenute nel repertorio normativo, sez. I, progr. 200 e nella relativa scheda norma n. 159). 3.1. Si è previsto, in sintesi, che all’interno dell’area possano essere realizzati fabbricati, con un massimo di 3 piani fuori terra, con una superficie utile lorda (SUL) di 15.000,00 mq, destinati ad un uso abitativo e che – così come previsto dall’art. 156, delle NTO – vengano cedute aree destinate a “Verde, servizi pubblici e d’interesse collettivo” (VS) di 18.750 mq, pari al 50% della superficie territoriale. La concreta realizzabilità della trasformazione urbanistica è stata poi subordinata alla sottoscrizione di un accordo di pianificazione pubblico privato ex. art. 6 legge Regione Veneto n. 11/2004. 3.2. Con la delibera n. 11 del 18 aprile 2013, la Giunta comunale ha approvato il testo dell’accordo. 3.3. In data 25 luglio 2013, è stato poi sottoscritto l’accordo di pianificazione tra i proprietari delle aree e il Comune di Verona. 3.4. Il 23 dicembre 2013 è stata presentata l’istanza di approvazione del PUA denominato “i Tigli”, con conseguente avvio del relativo procedimento e della sua fase istruttoria. 3.5. Dopo alcune vicende procedimentali che non rilevano nel presente giudizio, in data 26 maggio 2015, è stata convocata la conferenza dei servizi istruttoria, che è stata sospesa per consentire ai proponenti di depositare la “documentazione adeguata al PUA e dell’opera”, depositata in data 25 e 30 giugno 2015. 3.6. Nella riunione della conferenza di servizi del 9 luglio 2015 è stato emesso il parere favorevole all’adozione del PUA, attestando espressamente la conformità dello stesso alle norme e agli strumenti urbanistici vigenti. 3.7. Il 3 agosto 2015, i proponenti hanno presentato ulteriori elaborati per adeguarsi alle risultanze della conferenza di servizi. 3.8. Il competente dirigente comunale ha dunque formulato alla Giunta comunale la proposta di deliberazione di adozione del PUA in esame. 3.9. Con la delibera n. 227 del 3 agosto 2015, la Giunta comunale ha deciso di discostarsi dalla proposta di deliberazione formulata dagli uffici ed ha deliberato di non adottare il PUA. In particolare, la Giunta comunale ha richiamato il parere reso da un avvocato “depositato in data 31 luglio 2015 PG n. 227267 del 3.8.2015”, riportando integralmente le motivazioni del parere e deliberando: “1) di fare proprie le motivazioni contenute nel parere depositato in data 31.7.2015 PG n. 227267 del 3.8.2015 redatto dall’avv.to Baciga Stefano, allegato; 2) per quanto approvato al precedente punto 1) di discostarsi dagli altri parere contenuti o richiamati nella proposta degli uffici; 3) di non adottare il progetto di PUA, redatto dalla ditta La. Fo. srl, per le ragioni di seguito riassunte: i) eccessiva riduzione della superficie destinata alla realizzazione della zona sportiva; ii) previsione nell’ambito di quest’ultima id un edificio destinato a bar-ristorante, non previsto dal Repertorio normativo e dall’accordo di pianificazione; iii) eliminazione del canale irriguo con la relativa vegetazione individuata dal PI come elemento del paesaggio storico e della rete ecologica secondaria; iv) totale alterazione della porzione di area coincidente con l’ambito delle risorgive; v) necessità di modifica di alcune norme dello schema di convenzione riguardanti il collegamento tra opere di urbanizzazione, permessi di costruire e certificati di agibilità; in quanto si ritiene opportuna una elaborazione adeguata alle ragioni sopra riportate; […]” Con il ricorso n.r.g. 1375 del 2016, gli appellanti hanno impugnato la deliberazione n. 227 del 3 agosto 2015, con la quale la Giunta comunale del Comune di Verona ha restituito il PUA “(Omissis)”, respingendo l’istanza presentata dagli appellanti in data 23 dicembre 2013, e ogni altro provvedimento pregresso, prodromico, correlato e/o consequenziale alla suddetta deliberazione, formulando cinque autonomi motivi di impugnazione. 4.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Verona, resistendo al ricorso. Con la sentenza n. 1375/2016, il T.a.r. ha respinto il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite. 5.1. Segnatamente, il T.a.r.: a) ha esaminato per primo il terzo motivo di ricorso, affermando che, per consolidata giurisprudenza, la Giunta comunale dispone di un ampio potere discrezionale sull’approvazione o sulla restituzione del Piano attuativo, non essendo limitata ad un mero riscontro di conformità del piano attuativo agli strumenti urbanistici sopraordinati; b) ha esaminato e respinto il quarto motivo di ricorso, in quanto la sottoscrizione di una convenzione fra le parti non vincola la Giunta comunale all’approvazione del piano, essendo consentito a quest’ultima “valutare le modalità con le quali il piano attuativo ha dato esecuzione all’accordo, e non la sua validità ed efficacia”; c) ha esaminato e respinto il primo motivo di ricorso, ritenendo che l’istruttoria della Giunta comunale basata anche sul parere di un legale esterno all’ente fosse legittima e priva di vizi di legittimità; d) ha esaminato e respinto il secondo motivo di ricorso, evidenziando la legittimità di ciascuna delle ragioni giustificatrici poste a sostegno della decisione di non approvazione del piano attuativo, e) ha esaminato e respinto il quinto motivo di ricorso, non ritenendo adeguatamente provato lo sviamento stigmatizzato dalla ricorrente. La sentenza è stata impugnata dalla società e dagli altri proponenti il Piano. 6.1. Con il primo motivo di appello, gli appellanti censurano il capo della sentenza che ha respinto il terzo motivo di ricorso, evidenziando che, in base all’art. 20 della legge regionale n. 11 del 2004, la Giunta comunale sarebbe priva del potere discrezionale di negare l’adozione del piano urbanistico attuativo per ragioni che non siano quelle collegate esclusivamente alla violazione dello strumento urbanistico sovraordinato. I precedenti cui ha fatto riferimento il T.a.r. si riferirebbero alla differente fase dell’approvazione. 6.1.1. Con il secondo motivo di appello, gli appellanti censurano il capo della sentenza che ha respinto il primo motivo di ricorso. Si evidenzia che il T.a.r. avrebbe travisato la censura formulata in primo grado, finalizzata ad evidenziare che il parere del legale non avrebbe tenuto conto dell’ampia istruttoria fino a quel momento svolta dagli uffici comunali e, a sua volta, non sarebbe stato adeguatamente ponderato dalla Giunta comunale, tenendo conto tale attività istruttoria. 6.1.2. Con il terzo motivo di appello, si censura il capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso, evidenziandosi che: i) se il P.I. avesse voluto salvaguardare il filare di alberi pregiudicato dall’intervento edilizio non avrebbe previsto l’edificazione della zona, collocando l’area di concentrazione volumetrica in altra parte del fondo; ii) il Comune e il T.a.r. hanno travisato la reale consistenza delle opere relative a “verde, servizi pubblici e d’interesse collettivo (denominata VS dal piano interventi)”; iii) la possibilità di modificare alcune norme dello schema di convenzione avrebbe potuto trovare soddisfazione mediante l’apposizione di alcune prescrizioni con gli atti di adozione e approvazione del piano. 6.1.3. Con il quarto motivo di appello, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il quarto motivo di ricorso, evidenziando che, in base alla convenzione intercorsa tra le parti, il Comune aveva l’obbligo di ricercare una soluzione che permettesse la realizzazione del piano, mentre la sua condotta è stata improntata ad impedirne la realizzazione. La decisione del Comune, contrariamente a quanto statuito in sentenza, non si limita a sindacare le modalità con le quali il piano ha dato esecuzione all’accordo, ma la possibilità di realizzare l’accordo stesso, ponendosi in contrasto con le valutazioni già operate dal P.I. 6.1.4. Con il quinto motivo di appello, si censura, infine, il capo della sentenza che ha respinto il quinto motivo del ricorso di primo grado, ribadendosi come l’intento perseguito dal Comune mediante la mancata adozione del piano sia stato quello di svincolarsi dall’accordo, senza però pagare l’indennità prevista per il recesso. 6.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Venezia, resistendo all’appello, osservando: i) quanto al primo motivo, che la delibera è diffusamente motivata; ii) quanto al secondo, si evidenziano le ragioni che hanno portato al diniego; iii) quanto al terzo, si evidenzia che non vi sarebbe la conformità fra PUA e disciplina urbanistica sovraordinata, in quanto “la Giunta municipale, disattendendo il parere difforme dei propri uffici, ha rilevato e contestato la difformità e il contrasto del PUA con le previsioni del Repertorio normativo, dell'accordo di pianificazione e degli articoli 57, 58, 59, 60, 61 e 65 delle NTO del P.I.”. In ogni caso, l’approvazione del PUA non sarebbe atto dovuto anche laddove sussiste la suddetta corrispondenza; iv) quanto al quarto motivo, si evidenzia che “la Giunta municipale non ha inteso né intende disconoscere la validità dell'accordo di pianificazione, alla cui corretta esecuzione ha, invece, richiamato i sottoscrittori privati”; v) quanto al quinto motivo, non vi sarebbe prova dello sviamento. 6.3. Il 20 febbraio 2023, gli appellanti hanno depositato un’ulteriore memoria difensiva. All’udienza del 23 marzo 2023, la causa è stata trattenuta in decisione. Il Collegio ritiene che deve essere esaminato con priorità sugli altri motivi di impugnazione formulati il secondo motivo di appello, sia in ragione del principio della “ragiona più liquida”, risultandone palese la fondatezza sia in ragione della circostanza che le censure con esso formulato sono logicamente antecedenti rispetto alle altre censure. 8.1. Con il motivo in esame, gli odierni appellanti deducono che la decisione della Giunta comunale sarebbe inficiata da un vizio di difetto d’istruttoria, in quanto l’accurata istruttoria compiuta dai servizi e dagli uffici comunali, protrattasi per un anno e mezzo, e relativa a “tutti gli aspetti del progetto con riferimento alla sua incidenza sul territorio e all’organizzazione dei servizi pubblici”, sarebbe stata “superata” mediante il parere legale, reso non soltanto su aspetti e profili prettamente giuridici, ma esteso anche ad aspetti relativi all’opportunità o ad elementi tecnici del Piano di natura non giuridica. Il predetto parere, peraltro, sarebbe stato acquisito il medesimo giorno della riunione di Giunta comunale e valutato in quell’occasione. 8.2. Il Collegio premette che la conferenza istruttoria, prevista e definita dall’art. 14, comma 1, legge n. 241/1990, pur non avendo una valenza decisoria, al pari dell’eponima conferenza prevista e definitiva dall’art. 14, comma 2, legge n. 241/1990, costituisce il “metodo” o “modulo” procedimentale – e, dunque, il “luogo” e il “momento” - individuato dall’ordinamento per effettuare “l’esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo o in più procedimenti amministrativi connessi”. 8.3. Conseguentemente, risulta violare la corretta dinamica del procedimento amministrativo quella decisione che esterna valutazioni di opportunità e di legittimità mediante l’integrale e non motivato recepimento di un parere legale, da un lato, senza investire nuovamente gli organi tecnici dell’amministrazione sui profili di ritenuta incompatibilità del progetto presentato con la pianificazione sovraordinata e sugli altri profili di illegittimità riscontrati dal parere, aventi carattere eminentemente tecnico (quali le ragioni giustificatrici indicate come “ii”, “iii” e “iv”), e, dall’altro, senza fornire alcuna ponderata e autonoma giustificazione sui profili di opportunità (ragioni giustificatrici indicate come “i” e “v”), che, di fatto, vengono così rimessi all’apprezzamento di un soggetto esterno sia alla compagine politica che a quella tecnica dell’amministrazione. 8.4. Si evidenzia che un simile modus procedendi conculca, inoltre, la parte proponente della possibilità di interloquire sui profili rilevati, mentre un simile momento partecipativo si sarebbe potuto estrinsecare se la Giunta comunale, piuttosto che negare l’adozione del Piano, avesse riaperto la fase istruttoria sia per i profili direttamente attinenti alle violazioni della pianificazione sovraordinata (o dell’accordo stipulato) sia per i profili più direttamene attinenti al merito. 8.5. Infine, la decisione della Giunta comunale spezza quel fisiologico legame che deve sussistere fra gli organi tecnici e quelli di governo dell’amministrazione, creando una sorta di “amministrazione parallela”. Ben può, come rilevato dal T.a.r., l’amministrazione comunale richiedere un parere legale (sia pure nei noti limiti più volte enunciati dalla Corte dei conti: cfr. Corte conti, Sez. giur. Trentino-alto Adige, 18 marzo 2022 n. 28; Sez. giur. Lazio, 8 giugno 2021 n. 509), ma se tale parere risulta vertere su aspetti già investiti dall’istruttoria e favorevolmente apprezzati dagli uffici competenti all’istruttoria, risulta necessario, allora, quantomeno investire nuovamente l’organo tecnico-amministrativo competente, per legge, a conoscerne, anche al fine di evitare intrinseche contraddizioni in seno al medesimo procedimento, sulla stessa vicenda. 8.6. Conseguentemente, va annullata la deliberazione di Giunta comunale n. 227 del 3 agosto 2015, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione. Per l’eventuale riedizione del potere, l’amministrazione comunale, laddove ritenga di avvalersi del parere legale già reso, quale ulteriore acquisizione da ponderare nell’ambito del procedimento, è onerata a sottoporre gli aspetti tecnici agli uffici competenti (e, se del caso – laddove incida sulle medesime funzioni esercitate in sede di conferenza di servizi – a intervenire in via di autotutela, riaprendo la conferenza di servizi per condurre a un contrarius actus: cfr. anche il parere reso dalla commissione speciale di questo Consiglio di Stato n. 890 del 15 marzo 2016, il particolare il punto 10.3), mentre all’organo politico è rimessa la ponderazione delle valutazioni di opportunità relativi agli aspetti collegati alla “eccessiva riduzione della superficie destinata alla realizzazione della zona sportiva”, previa eventuale approfondimento istruttorio di questo aspetto, se necessario. L’accoglimento del motivo di appello esaminato assorbe tutte le altre censure, la cui disamina, qualora effettuata, andrebbe ad investire, altrimenti, profili nuovamente rimessi all’attività provvedimentale dell’amministrazione, in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.. Nel tenore delle questioni controverse, si ravvisano le eccezionali ragioni sancite dal combinato disposto degli artt. 26 comma 1 c.p.a. e 92 comma 2 c.p.c. per compensare integralmente le spese dell’intero giudizio, fermo restando che il contributo unificato è da porsi a carico integrale ed esclusivo del Comune di Verona. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 4778/2017, lo accoglie, e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, annulla la deliberazione n. 227 del 3 agosto 2015, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione. Compensa le spese dell’intero giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone, Presidente Vincenzo Lopilato, Consigliere Luca Lamberti, Consigliere Silvia Martino, Consigliere Michele Conforti, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7916 del 2020, proposto da Federazione Pr. Su. ed altri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ju. Se., Fa. Ca. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Lu. Gr. in Roma, via (...); nei confronti Gi. Jo. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pe. Pl. e Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa - Sez. Aut. di Bolzano n. 174 del 09.07.2020, con cui lo stesso Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalle odierne appellanti Federazione Pr. Su. ed altri per l'annullamento e/o la declaratoria di nullità della delibera della Giunta provinciale della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige del 10 settembre 2019, n. 762, con oggetto "Interventi integrativi previsti per lo sviluppo delle zone sciistiche "Mo. Cu." e "Va." nel Comune di (omissis). Approvazione con condizioni", pubblicata nel Bollettino Ufficiale n. 40/Sez. gen. del 03/10/2019 della Regione Trentino/Alto Adige, nonché di ogni altro provvedimento amministrativo presupposto e successivo, anche non conosciuto, qualora autorizzi, sostenga o renda possibile l'intervento integrativo in oggetto. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Gi. Jo. Spa e della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2022 il Cons. Ulrike Lobis e uditi per le parti gli avvocati Al. Te. in sostituzione dell'avv. Lu. Ma., Lu. Gr. e Al. Ba.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in esame, la ricorrente Federazione Pr. Su. ha impugnato la sentenza del TRGA di Bolzano n. 174/2020 che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la deliberazione della giunta provinciale di Bolzano del 10 settembre 2019 numero 762 avente ad oggetto "Interventi integrativi previsti per lo sviluppo delle zone sciistiche Mo. Cu. e Va. nel comune di Rio Pu., approvazione con condizioni", con la quale è stato approvato lo studio di fattibilità per l'ampliamento delle zone sciistiche Mo. cu. e Va. a condizione che per la progettazione della stazione a Monte del impianto di risalita Kl. venisse richiesto il parere al comitato provinciale per la cultura architettonica e il paesaggio. 1.1. La società proponente soc. Gi. Jo. aveva presentato, in data 17.11.2017, uno studio di fattibilità per l'approvazione di un intervento integrativo ai sensi dell'art. 9bis del DPGP 3/2012, nella cui relazione sono state approfondite le strategie di sviluppo della zona sciistica e gli investimenti possibili. Il progetto si inserisce fra i cosiddetti "Interventi integrativi in zone sciistiche" disciplinati dall'art. 5 della legge provinciale n. 14/2010, ai sensi del quale possono essere realizzate infrastrutture su superfici situate in parte esternamente alle zone sciistiche inserite nel piano di settore. Lo studio di fattibilità prevedeva il rinnovamento dell'impianto di risalita Mi., con contestuale ampliamento della zona sciistica in direzione del monte "Pi. Cu.". Secondo i ricorrenti in primo grado, sarebbero stati previsti nello specifico la realizzazione di un nuovo impianto di risalita ("Pi. Cu."- impianto ad ammorsamento automatico con portata di 1.800-2.400 persone/ora) e di tre piste da sci ("Pi. Cu.", "Kl." "Mi. II"). Dopo l'approvazione dello studio di fattibilità in oggetto da parte del Consiglio comunale di (omissis) con delibera n. 54 del 30.11.2017, l'AVS Sezione di Bressanone ha manifestato la propria contrarietà all'intervento depositando osservazioni durante la fase di pubblicazione dello studio di fattibilità . All'esito del periodo di pubblicazione il Sindaco di (omissis) ha provveduto a trasmettere lo studio di fattibilità approvato dal Consiglio comunale alla Ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo del territorio. Di seguito è pervenuta la "valutazione della rispondenza degli interventi integrativi con i principi dello sviluppo sociale, economico e turistico" dd. 19.12.2018 ad opera della Commissione introdotta dall'art. 5, co. 2, della L.P. 14/2010, che ha concluso in maniera favorevole all'intervento. L'intervento è stato quindi valutato anche dal Comitato ambientale in occasione della seduta del 3.4.2019, all'esito della quale è stato emesso il parere n. 3/2019 del 15.4.2019 di contenuto negativo in ordine all'intervento proposto. Nonostante il parere negativo del Comitato ambientale l'intervento integrativo in oggetto è stato approvato dalla Giunta provinciale con delibera n. 762 del 2019. 1.2. Con ricorso al TRGA i ricorrenti in primo grado, a fondamento del ricorso hanno dedotto due motivi: I) Violazione dell'art. 7 co. 1 della L.P. 17/1993 alla luce della valutazione "autonoma" degli aspetti positivi e negativi da parte della Giunta provinciale. Violazione dell'art. 9bis, co. 3, del DPGP 3/2012 per non essersi tenuto conto del parere del Comitato ambientale. Eccesso di potere per contraddittorietà . II) Violazione dell'art. 7, co. 1, della L.P. 17/1993 per istruttoria carente ovvero falsamente rappresentata, nonché per motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente rispetto alla presunta localizzazione periferica e rispetto all'affermazione per cui, in mancanza di autorizzazione dell'intervento, "la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche". Eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e irrilevanza della prescrizione prevista. Difetto di interesse pubblico. Eccesso di potere per mancato riferimento al Piano di settore per gli impianti di risalita e le piste da sci, approvato con delibera della Giunta provinciale n. 1545/2014. 1.3. Il TRGA di Bolzano, con sentenza n. 88/2021 dopo aver ritenuto sussistente la legittimazione a ricorrere in capo alle associazioni ricorrenti, ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di interesse a ricorrere in quanto l'approvazione dello studio di fattibilità non avrebbe recato ancora alcun pregiudizio per gli interessi ambientalistici rappresentati dalle associazioni; secondo il Giudice di prime cure, la impugnata delibera si sarebbe trovata ancora nella prima fase del complesso procedimento amministrativo, il quale, secondo la sentenza n. 55/2020 dello stesso TRGA, non avrebbe avuto per oggetto il progetto definitivo pronto per essere realizzato, per cui lo studio di fattibilità non avrebbe arrecato alcun pregiudizio agli interessi rappresentati dai ricorrenti; l'interesse sarebbe sussistente qualora fosse direttamente riconducibile al provvedimento impugnato e non, come nel caso concreto, ad un provvedimento futuro (approvazione del progetto). 2. Avverso tale pronuncia le associazioni appellanti ha formulato i seguenti motivi di appello: (1) Erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado da FPS, AVS e dall'AVS Sektion Brixen per asserito difetto dell'interesse a ricorrere avverso il provvedimento impugnato. Violazione ed errata applicazione dell'art. 9bis del DPGP 3/2012 (regolamento di attuazione della L.P. 14/2010). Violazione ed errata applicazione degli artt. 100 c.p.c. nonché 9 co. 2, 32 e 117 Cost. in relazione agli artt. 24 e 118 Cost. Violazione dell'art. 11 d.lgs. 152/2006 e della direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica. Violazione dell'art. 9 della Convenzione di Aarhus (sottoscritta dalla Comunità europea e dai suoi stati membri nel 1998), approvata a nome della Comunità europea con la Decisione 2005/370/CE del Consiglio (17 febbraio 2005). (2) Erroneità della sentenza appellata per mancata pronuncia - discendente dall'illegittima declaratoria di inammissibilità per asserito difetto di interesse a ricorrere - sui motivi di ricorso proposti in primo grado. Riproposizione di tali motivi in sede di appello. (3) In subordine: erroneità della condanna alle spese disposta dalla sentenza appellata alla luce dell'imprevedibile mutamento nella giurisprudenza del TRGA successivamente alla notifica e al deposito del ricorso di primo grado. Violazione ed errata applicazione dell'art. 92 co. 2 c.p.c. 2.1 Secondo gli appellanti, l'approvazione dell'intervento integrativo costituirebbe il presupposto per l'autorizzazione della realizzazione concreta del progetto, la quale porterebbe ad una compromissione del paesaggio e quindi dell'ambiente, oltre a rappresentare una minaccia per la flora e la fauna, come osservato nel parere del Comitato ambientale. 2.2. Si sono costituiti la Provincia autonoma di Bolzano e la soc. Gi. Jo. con articolate memorie, chiedendo entrambe il rigetto dell'appello. 2.3. Secondo la Gi. Jo. la questione sulla proponibilità del ricorso in questa fase non riguarderebbe la domanda se l'approvazione dello studio di fattibilità può essere impugnata, bensì quando essa può essere impugnata; nel procedimento di approvazione dello studio di fattibilità non sarebbe prevista una relazione sull'impatto paesaggistico; una tale relazione sarebbe richiesta solo al momento della presentazione del progetto definitivo nell'ambito della procedura di approvazione ex art. 9 del DPGP n. 3/2012 (si veda a questo proposito anche l'art. 10, comma 3, lettera g) del citato decreto del Presidente della Giunta Provinciale. Sebbene l'art. 9-bis del DPGP preveda, al comma 3, che il Comitato ambientale esprima un parere motivato sull'impatto ambientale del progetto nell'ambito della procedura di approvazione, il comma 5 dello stesso articolo precisa che solo il progetto definitivo presentato ai sensi dell'art. 9 del DPGP n. 3/2012 va sottoposto alla valutazione di impatto ambientale. 2.4. Secondo la difesa della Provincia con la deliberazione n. 762/2019 la Giunta provinciale di Bolzano non sarebbe andata ad innestare nuove infrastrutture dello sci nella zona sciistica di Rio Pu., ma avrebbe solo acconsentito allo svolgimento successivo di tutte le verifiche ambientali necessarie per approvare un progetto; tale progetto, in base alle indicazioni di massima contenute nel relativo studio di fattibilità, risulterebbe conforme alla strumentazione urbanistica (Piano provinciale degli impianti di risalita e delle piste da sci, piano paesaggistico, piano urbanistico comunale) e in possibile contrasto con la disciplina ambientale per quanto attestato dal parere del Comitato ambientale debitamente richiamato che costituisce la valutazione ambientale strategica del piano-progetto. La giurisprudenza richiamata da parte appellante, che ammette pacificamente l'interesse a ricorrere delle associazioni ambientaliste avverso i provvedimenti di natura pianificatoria, in particolare ove emanati all'esito di procedimenti comprendenti la valutazione ambientale strategica ai sensi della direttiva VAS 2001/42/CE, non sarebbe pertinente, proprio perché la deliberazione giuntale non rappresenterebbe una decisione pianificatoria definitiva, avendo solo valore endoprocedimentale all'interno della valutazione di un determinato progetto; pertanto sarebbe destinata a perdere ogni efficacia qualora quel progetto non venisse realizzato. Infine, non sussisterebbe alcuna violazione delle disposizioni sulla valutazione ambientale strategica (VAS) in quanto la deliberazione della Giunta provinciale avrebbe debitamente richiamato il giudizio ambientale negativo del Comitato ambientale, che costituisce nella fattispecie la valutazione ambientale strategica; non sussisterebbe nessuna violazione dell'art. 11 co. 5 del d.lgs. 152/2006, ai sensi del quale la VAS prevista dalla direttiva 2001/42/CE "costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione", con l'espressa previsione che "i provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge". 2.5. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno depositato memorie (Provincia autonoma di Bolzano, soc. Gi. Jo.) e memoria di replica (Federazione Pr. Su.). 2.6. All'udienza del 22.10.2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 3. L'appello è fondato. 3.1 Con il primo motivo di appello (rubricato: Erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado da FPS, AVS e dall'AVS Sektion Brixen per asserito difetto dell'interesse a ricorrere avverso il provvedimento impugnato. Violazione ed errata applicazione dell'art. 9bis del DPGP 3/2012 (regolamento di attuazione della L.P. 14/2010). Violazione ed errata applicazione degli artt. 100 c.p.c. nonché 9 co. 2, 32 e 117 Cost. in relazione agli artt. 24 e 118 Cost. Violazione dell'art. 11 d.lgs. 152/2006 e della direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica. Violazione dell'art. 9 della Convenzione di Aarhus (sottoscritta dalla Comunità europea e dai suoi stati membri nel 1998), approvata a nome della Comunità europea con la Decisione 2005/370/CE del Consiglio (17 febbraio 2005), le associazioni appellanti censurano la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato l'inammissibilità del loro ricorso per difetto di interesse, sostenendo che il Giudice di prime cure avrebbe errato laddove ha ritenuto che l'approvazione dello studio di fattibilità relativo agli interventi integrativi alle zone sciistiche ai sensi dell'art. 9-bis del DPGP n. 3/2012 non rappresenterebbe un provvedimento lesivo degli interessi da loro rappresentati. Secondo l'appellante, la lesività dello studio di fattibilità deriverebbe (i) dal fatto che gli interventi integrativi alle zone sciistiche costituiscono atti di pianificazione attuativa; (ii) dalla circostanza che mediante l'approvazione dell'intervento integrativo "il proponente può presentare un progetto per la realizzazione di nuove infrastrutture sciistiche, il quale - in difetto di approvazione dell'intervento integrativo ai sensi dell'art. 9bis - dovrebbe essere, invece, rigettato a priori per difetto dei requisiti di legge". La giurisprudenza ammetterebbe pacificamente l'interesse a ricorrere delle associazioni ambientaliste avverso i provvedimenti di natura pianificatoria, in particolare ove emanati all'esito di procedimenti comprendenti la valutazione ambientale strategica. La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che ai sensi dell'art. 11, comma 5 del DLgs n. 152/2006 i provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sarebbero annullabili per violazione di legge e - come sarebbe stato chiarito dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2651/2019 - la valutazione ambientale strategica deve essere obbligatoriamente effettuata ancorché la realizzazione dei progetti costituisca una mera eventualità . Da un tanto discenderebbe l'interesse delle associazioni ambientaliste ad impugnare i provvedimenti adottati in seguito alla procedura VAS anche nel caso in cui - come quello in oggetto - tale procedura costituisce solo il presupposto per la presentazione del vero e proprio progetto. 3.2. Il Collegio osserva che nello specifico l'intervento oggetto del provvedimento impugnato - concernente la realizzazione di un nuovo impianto di risalita ("Pi. Cu."- impianto ad ammorsamento automatico con portata di 1.800-2.400 persone/ora) e di tre piste da sci ("Pi. Cu.", "Kl." "Mi. II")- è ascrivibile, ai sensi dell'art. 9/bis del d.P.P. n. 3/2012, fra gli interventi "integrativi". Per interventi integrativi alle zone sciistiche, la deliberazione di approvazione di uno studio di fattibilità adottata ai sensi dell'art. 9-bis DPGP 12 gennaio 2012, n. 3 (Regolamento d'esecuzione alla legge provinciale 23 novembre 2010, n. 14, "Ordinamento delle aree sciabili attrezzate") - che concludendo il sub-procedimento modifica la preesistente pianificazione del territorio tutelato al fine di consentire l'intervento integrativo sull'area sciistica - assume carattere immediatamente lesivo, poiché si tratta del presupposto indefettibile per la presentazione di un progetto per la realizzazione di nuove strutture sciistiche, nel senso che quest'ultima è possibile solo all'esito della positiva conclusione della procedura ex art. 9-bis cit., che prevede la presentazione, ad opera del proponente, di un rapporto ambientale ex art. 5 della direttiva 2001/42/CE e l'adozione di un parere motivato sull'impatto ambientale dell'intervento da parte del Comitato ambientale, di cui la Giunta provinciale deve tener conto in sede di approvazione dell'intervento (cfr. in termini, Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2021 n. 4022). 3.3. Si deve, pertanto, affermare la sussistenza di un interesse concreto e attuale all'impugnazione della delibera di approvazione dello studio di fattibilità al fine di eliminare/caducare un presupposto giuridico di approvazione del progetto per la realizzazione di una nuova infrastruttura sciistica ai sensi del precedente art. 9, che si fondi su tale atto (v. art. 9-bis, comma 4, DPGP. n. 3/2012, secondo il quale "in caso di approvazione dello studio di fattibilità l'avente titolo può presentare il progetto definitivo, corredato della documentazione prevista. Il progetto definitivo è sottoposto alla procedura di approvazione di cui all'articolo 9"). 3.4. Per le ragioni sopra esposte, è fondato il primo motivo di appello avverso la sentenza del TRGA che ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di interesse a ricorrere. 4. Accertato l'interesse a ricorrere, il Collegio passa al vaglio dei motivi del ricorso di primo grado, riproposti in questa sede. 4.1. Con il primo motivo di ricorso (rubricato: Violazione dell'art. 7 co. 1 della L.P. 17/1993 alla luce della valutazione "autonoma" degli aspetti positivi e negativi da parte della Giunta provinciale. Violazione dell'art. 9bis, co. 3, del DPGP 3/2012 per non essersi tenuto conto del parere del Comitato ambientale. Eccesso di potere per contraddittorietà ), i ricorrenti in primo grado lamentano che la Giunta provinciale, essendo il parere socioeconomico e quello del Comitato ambientale tra loro discordanti, avrebbe proceduto ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi, senza approfondire il contenuto dei due pareri, in particolare la Giunta non avrebbe tenuto conto del parere negativo del Comitato ambientale. 4.1.1. Con il secondo motivo di impugnazione (rubricato: Violazione dell'art. 7, co. 1, della L.P. 17/1993 per istruttoria carente ovvero falsamente rappresentata, nonché per motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente rispetto alla presunta localizzazione periferica e rispetto all'affermazione per cui, in mancanza di autorizzazione dell'intervento, "la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche". Eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e irrilevanza della prescrizione prevista. Difetto di interesse pubblico. Eccesso di potere per mancato riferimento al Piano di settore per gli impianti di risalita e le piste da sci, approvato con delibera della Giunta provinciale n. 1545/2014), i ricorrenti di primo grado sostengono che la motivazione della deliberazione conterrebbe delle valutazioni (stazione sciistica adatta alle famiglie, posizione periferica e aumento dell'attrattività turistica) che risulterebbero prive di qualsivoglia fondamento istruttorio e oltretutto non sarebbe stato spiegato quale sia l'interesse pubblico dell'intervento. 4.2. Le doglianze, le quali possono essere trattate congiuntamente, sono fondate. La deliberazione della Giunta provinciale qui impugnata, la quale con l'approvazione dello studio di fattibilità effettua una modifica della preesistente pianificazione del territorio tutelato, non ha minimamente preso posizione sul parere negativo del comitato ambientale n. 3/2019, il quale, ha tra l'altro rilevato che "L'intera zona ha una tipica conformazione da ambito ventoso che quindi durante l'inverno è coperta da uno scarso strato di neve che si esaurisce molto prima rispetto ai pendii localizzati più in basso. Questo aspetto, assieme alla qualità del manto vegetale esistente, identificato come habitat Natura 2000 codice 6150, fanno dell'intera zona un ruolo di prim'ordine ed un habitat interessante ed ecologicamente pregevole per differenti specie di flora e fauna. Inoltre le zone interessate dagli interventi in progetto sono ampiamente utilizzate dal fagiano di monte come zona di accoppiamento. L'ambito ventoso e povero di neve soprattutto nei mesi invernali è relativamente tranquillo, durante i mesi invernali, e rappresenta una delle poche zone rimaste in cui il fagiano di monte può trascorrere il periodo invernale. Il fagiano di monte (gallo cedrone, gallo forcello e simili) è elencato nell'Allegato I della Direttiva Uccelli (Direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio - specie di uccelli in pericolo o in via di estinzione). Ai sensi dell'articolo 4, comma 1 della direttiva, per le specie elencate nell'Allegato I sono da predisporre particolari misure di tutela in relazione ai loro habitat, in modo da garantire la sopravvivenza e riproduzione. Ai sensi dell'articolo 5 di questa direttiva, per le specie di uccelli che ricadono nella tutela dell'Allegato I, vige il divieto di disturbare intenzionalmente questi habitat, nel caso in cui il disturbo arrecato sia rilevante per la sopravvivenza e la riproduzione nella zona di diffusione delle specie. Gli interventi di costruzione in progetto e i movimenti di terra incidono fortemente sulla particolare qualità delle superfici del terreno, distruggendo il particolare microrilievo e il manto vegetale esistente. Inoltre l'attività sciistica provoca il disturbo a lungo termine della fauna selvatica, dato che le piste e gli impianti di risalita rendono l'intera zona inadeguata per la fauna selvatica..(..)" Infatti, la deliberazione impugnata si è limitata a accertare e statuire che " Il Comitato ambientale, presa visione del parere tecnico-scientifico di qualità espresso dal gruppo di lavoro in materia ambientale ai sensi dell'articolo 3 della legge provinciale del 13 ottobre 2017, n. 17, e considerata l'osservazione dell'Alpenverein Sü dtirol, (AVS) sezione di Bressanone, del 23 gennaio 2018, in data 3 aprile 2019, ha esaminato lo studio di fattibilità e il rapporto ambientale ed ha espresso un parere negativo (parere n. 3/2019) sull'impatto ambientale degli interventi integrativi. I pareri espressi dalla Commissione ai sensi dell'articolo 5, comma 2 della LP 14/2010 e dal Comitato ambientale sono tra loro discordanti, la Giunta provinciale pertanto procede ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi e giunge alla conclusione che prevalgono le considerazioni socioeconomiche. Trattandosi infatti di una stazione sciistica adatta alle famiglie e localizzata in periferia la popolazione locale e gli ospiti, nel caso non venisse realizzato quanto prospettato, andrebbero a recarsi in altre stazioni sciistiche. La Giunta provinciale approva pertanto gli interventi integrativi alle zone sciistiche "Mo. Cu." e "Va." ma con la prescrizione che per la progettazione della stazione di monte dell'impianto di risalita "Kl." sia richiesto un parere al Comitato provinciale per la cultura architettonica ed il paesaggio. La Giunta provinciale rigetta pertanto l'osservazione dell'Alpenverein Sü dtirol, (AVS) sezione di Bressanone, del 23 gennaio 2018" 4.2.1. La deliberazione - nonostante l'art. 9bis, comma 3 del DPGP n. 3/2012 prevedesse che "La giunta provinciale delibera sull'intervento integrativo, tenendo conto del parere espresso dal Comitato ambientale"- non solo non entra nemmeno con una parola sul contenuto del parere negativo del comitato ambientale, omettendo l'indicazione di argomentazioni e motivazioni poste a fondamento della decisione di discostarsi da tale parere negativo, ma non indica nemmeno un argomento plausibile in base al quale ritiene prevalenti le considerazioni socio economiche; inoltre manca qualsiasi esplicitazione su quali valutazioni ed argomentazioni fonda la propria conclusione che si tratterebbe di una zona sciistica adatta alle famiglie e localizzata in periferia. 4.2.2. Nonostante si legga nella deliberazione che la "Giunta provinciale pertanto procede ad una valutazione autonoma degli aspetti positivi e negativi " non si rinviene nell'atto impugnato la minima traccia di un istruttoria effettuata, rispettivamente delle risultanze dell'istruttoria e tantomeno di una valutazione dettagliata dei presupposti posti a fondamento della decisione presa di approvare gli interventi integrativi e di rigettare le osservazioni dell'Alpenverein -Sezione di Bressanone, per cui la decisone adottata, per quanto attiene la motivazione della stessa in merito al discostamento dal parere obbligatorio del comitato ambientale, è priva dei connotati della sufficienza, logicità e comprensibilità, in quali sono richiesti anche al fine di giustificare l'uso legittimo del potere autoritativo. 4.2.3. Sulla base delle considerazioni svolte ai punti precedenti si ritiene fondata anche la doglianza delle associazioni appellanti fatta valere con il secondo motivo di impugnazione, relativa alla statuizione della Giunta che la stazione sciistica in oggetto sarebbe "adatta alle famiglie", in quanto non è stato esposto in nessuna parte della deliberazione impugnata la ragione per la quale la circostanza che si tratterebbe di una stazione sciistica "adatta alle famiglie" debba prevalere sugli aspetti ambientali negativi indicati nel parere del comitato ambientale. Anche per quanto attiene l'affermazione che la stazione sciistica sarebbe "localizzata in periferia" non si rinviene nella delibera impugnata alcuna motivazione, nemmeno per relationem, per cui, in accoglimento delle doglianze fatte valere, si deve concludere per l'annullamento degli atti impugnati. 4.3. Per quanto attiene, infine, l'ultimo motivo di impugnazione, formulato in subordine e concernente la censura della condanna alle spese disposta dalla sentenza appellata alla luce dell'imprevedibile mutamento nella giurisprudenza del TRGA successivamente alla notifica e al deposito del ricorso di primo grado, sostenendo che sarebbe stato quantomeno doverosa l'applicazione del disposto di cui all'art. 92 co. 2 c.p.c., con conseguente compensazione delle spese tra le parti, si rileva che sulla base dello sviluppo della giurisprudenza nella specifica materia si ritiene giustificata la compensazione delle spese per entrambi i gradi. 4.4. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). 4.5. Concludendo, l'appello va accolto come da motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso in primo grado va accolto con conseguente annullamento dell'atto impugnato. 5. Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio di entrambi i gradi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato in quella sede. Spese compensate di entrambi i gradi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Ulrike Lobis - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2702 del 2018, proposto da -OMISSIS-S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Br. e Ug. Br., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Br. in Brescia, via (...); contro Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Co., Vi. Tr. e Vi. St., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato Vi. St. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, sezione-OMISSIS-, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 marzo 2023, tenuta da remoto, il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Br. e St.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.La società -OMISSIS-, esercente attività di progettazione, produzione e commercio di motori elettrici per prodotti di largo consumo e per applicazioni varie nel settore metalmeccanico (d'ora in avanti anche solo la società o l'appellante) ha impugnato la sentenza segnata in epigrafe che ha rigettato il suo ricorso avverso il rigetto delle domande di Cassa Integrazione Ordinaria dal 15.2.2016 al 14.5.2016 e dal 16.5.2016 al 2.7.2016, prot. INPS.-OMISSIS-, comunicato in data 17.11.2016; prot. INPS.-OMISSIS- comunicato in data 30.11.2016; - prot. INPS.-OMISSIS-comunicato in data 21.12.2016; nonché per l'annullamento del provvedimento di silenzio rigetto dell'INPS sul suo ricorso in via amministrativa depositato online in data 17.2.2017. Le domande sono state presentate, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. b) del D.lgs. n. 148 /2015 per contrazione o sospensione dell'attività produttiva determinate da situazioni temporanee di mercato ed erano state rigettate dall'Amministrazione con la motivazione della "mancanza dei requisiti della temporaneità, della ripresa effettiva dell'attività lavorativa e la ricorrenza di un esubero di personale". 2. L'adito T.A.R. ha così motivato il rigetto del ricorso: "Rilevato:- che il beneficio di cui si controverte è finalizzato a consentire all'impresa di superare situazioni critiche di natura transitoria in vista della concreta probabilità che l'impresa stessa possa in tempi ragionevoli riassumere i dipendenti posti in cassa integrazione; - che l'aiuto economico garantisce un reddito ai lavoratori in caso di eventi aziendali congiunturali che possono ridurre o addirittura far venir meno la retribuzione, e allo stesso tempo rappresenta una forma di aiuto e sostegno al sistema delle imprese, che, in attesa di riprendere la normale attività produttiva, vengono sollevate dai costi della manodopera non utilizzata, evitando così i licenziamenti; - che si ricorre, infatti, a tale strumento quando la crisi dell'azienda dipende da eventi temporanei, non imputabili all'imprenditore, e deve sussistere la ragionevole prevedibilità che i lavoratori possano essere riassunti entro tempi brevi e che l'impresa continui ad operare nel mercato (Consiglio di Stato, sez. IV - 31/7/2003 n. 4420; T.A.R. -OMISSIS- Milano, sez. III - 18/4/2014 n. 1003); - che la giurisprudenza amministrativa ha da tempo precisato che l'ammissione all'integrazione salariale è subordinata alla valutazione discrezionale della sussistenza di due requisiti, ossia il carattere transitorio della riduzione o della sospensione dell'attività d'impresa e la non imputabilità degli eventi causali al datore di lavoro o ai lavoratori; - che in argomento, la giurisprudenza ha anche affermato che la natura dell'istituto della cassa integrazione guadagni, la quale "opera in via di eccezione alla regola della sinallagma dell'obbligo retributivo con assunzione dello stesso a carico della collettività ", impone che le relative regole - alla luce "dell'interpretazione sistematica del dato normativo" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI - 22/11/2010 n. 8129) - debbano ritenersi "di stretta interpretazione, tenuto conto delle finalità sociali e assistenziali dell'istituto e dell'impiego al riguardo di risorse pubbliche ad eccezionale attenuazione del rischio di impresa" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI - 25/7/2012 n. 4234; si veda anche T.A.R. Basilicata - 12/4/2016 n. 358); - che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il sindacato del giudice amministrativo sul provvedimento di diniego dell'ammissione ha dei limiti connessi con l'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'INPS sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale ai sensi dell'art. 1 della legge n. 164 del 1975 e, pertanto, le scelte dell'ente sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti o inattendibili ovvero viziate per palesi travisamenti in fatto (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI - 20/6/2016 n. 2713; T.A.R. -OMISSIS- Milano, sez. III - 9/3/2017 n. 569, sospesa in appello; T.A.R. Piemonte, sez. II - 27/11/2015 n. 1653; sentenza sez. I - 19/1/2017 n. 57); - che tale valutazione della temporaneità della situazione di crisi e delle probabilità di ripresa ha carattere prognostico e, quindi, deve essere effettuata soltanto sulla base delle informazioni disponibili ex ante e, naturalmente, in primis fornite dallo stesso imprenditore richiedente (cfr., in termini, T.A.R. Trentino Alto Adige Trento - 27/1/2016 n. 55, che risulta appellata, e i numerosi precedenti citati; Evidenziato: - che l'istanza della Società ricorrente risulta presentata ai sensi dell'art. 11, punto 1, lett. b), del D. Lgs. 148/2015, per contrazione o sospensione dell'attività produttiva determinate da situazioni temporanee di mercato; - che l'art. 11 citato specifica che la CIGO è un ammortizzatore al quale si può ricorrere per breve durata e per eventi di natura transitoria; - che le richieste di proroga successive ai primi tre mesi sono subordinate allo stesso requisito, ma evidentemente è diverso il potere di controllo dell'amministrazione, in quanto la progressiva consumazione del periodo massimo consentito è già da sola un indice di aggravamento della situazione aziendale, mentre sull'altro versante, avvicinandosi la scadenza del termine, incombe all'impresa richiedente l'onere di fornire indicazioni sempre più chiare sulle prospettive di ripresa lavorativa (cfr. ordinanza Sezione 13/2/2017 n. 94); Considerato: - che il provvedimento amministrativo censurato si fonda sulla mancanza dei requisiti di transitorietà, ripresa effettiva dell'attività lavorativa e sul rilievo di un esubero di lavoratori; - che la prospettazione dell'Ente merita condivisione; - che la Società ha ripetutamente beneficiato di strumenti di ammortizzazione (cfr. decreti per cassa integrazione in solidarietà - per la durata di 1 anno - emessi nel 2010, 2012, 2013, 2014, 2015 - cfr. doc. 2 INPS); - che la medesima ha usufruito anche di periodi di Cassa Integrazione Ordinaria tra il 2008 e il 2012 (cfr. doc. 3); - che il 24/5/2016, in occasione dell'incontro con in sindacati, la Società ha dato atto della necessità di compiere interventi strutturali sul personale (per un esubero di almeno 28 unità lavorative - doc. 6 amministrazione); - che dal 4/7/2016 al 3/7/2018 è stato autorizzato un periodo di integrazione salariale straordinaria (cfr. doc. 7); - che con cassetto previdenziale del 12 dicembre 2016 (doc. 9 INPS) la stessa ricorrente riconosceva che tutta una serie di importanti società sue clienti non aveva confermato gli ordini; - che l'esponente, nella stessa nota, ammetteva che "è venuta meno la transitorietà della mancanza di commesse, transitorietà che si era presupposta al momento della stipula degli accordi sindacali per la cassa ordinaria con prevedibile ripresa della normale attività lavorativa al termine dei periodi concordati di sospensione, La ripresa, prevista inizialmente come da piani produttivi ed ordinativi in essere, non è mai avvenuta nella sua totalità ma solo parzialmente, in quanto è stata sostituita dal Contratto di Solidarietà, visto l'aggravarsi della situazione produttiva inerente la carenza di ordini anche per il secondo semestre del 2016"; Evidenziato: - che la cronicità della crisi aziendale è inconciliabile con la transitorietà dell'evento di contrazione dell'attività ; - che l'accordo di solidarietà attualmente in essere integra una misura di ammortizzazione straordinaria che, seppur non automaticamente ostativa alla concessione della Cassa integrazione ordinaria, introduce un ulteriore indice di persistenza della situazione di grave difficoltà aziendale; - che, in definitiva, la prognosi sfavorevole formulata ex ante dall'INPS risulta nel contesto descritto immune da vizi logici e irragionevolezza; - che, in conclusione, il gravame è infondato e deve essere respinto". 3. La società ha chiesto la riforma della sentenza, lamentandone l'erroneità e l'ingiustizia alla stregua di un unico articolato motivo, rubricato "Illogica e contraddittoria valutazione dei fatti posti a fondamento della domanda di CIGO da parte di -OMISSIS- e dell'applicazione della normativa disciplinante l'ammissione all'istituto di cassa integrazione e guadagni" In sostanza, secondo l'appellante, il giudice di prime cure avrebbe travisato, al pari dell'INPS, la portata della documentazione versata in atti e, di conseguenza, l'applicazione concreta della norma sulla base delle evidenze documentali, individuando inspiegabilmente un carattere di cronicità della crisi aziendale che sarebbe inconciliabile con la temporaneità dell'evento di contrazione dell'attività aziendale e, in ragione dell'ampia discrezionalità tecnica riconosciuto in materia all'Amministrazione, avrebbe erroneamente ritenuto corretto e non censurabile i provvedimento di rigetto dell'INPS in assenza di evidenti illogicità, incongruenza e/o inattendibilità della valutazione. Secondo l'appellante la sentenza impugnata da un lato non avrebbe correttamente valutato e apprezzato la documentazione presentata; dall'altro non avrebbe tenuto conto dell'assenza di una congrua motivazione di rigetto da parte dell'INPS. Infatti il diniego di concessione della Cassa Integrazione Ordinaria deve essere il risultato di un apprezzamento sia delle particolari congiunture negative riguardanti le singole imprese, sia del contesto economico - produttivo in cui le medesime operano, con l'esplicito e non superabile limite della riferibilità di tale giudizio all'epoca in cui ha avuto inizio la contrazione dell'attività lavorativa, non rilevando le circostanze sopravvenute al termine del periodo per il quale è stata chiesta l'integrazione salariale e che hanno impedito la continuazione dell'attività d'impresa. L'appellante ha altresì evidenziato che il TAR non avrebbe apprezzato il macroscopico difetto di motivazione che inficiava i provvedimenti impugnati, dovendo i dinieghi: - contenere una congrua motivazione che menzioni gli elementi documentali e di fatto presi in considerazione e le ragioni che hanno determinato l'adozione del provvedimento, anche in relazione alla prevedibilità ex ante della ripresa dell'attività (punto n° 3, 10° alinea della Circolare INPS n° 139 del 2016); - essere il risultato di un apprezzamento sia delle particolari congiunture negative riguardanti le singole imprese sia del contesto economico - produttivo in cui le medesime operano. Peraltro il tribunale avrebbe inopinatamente individuato il venir meno della transitorietà della crisi aziendale, collegandola alla richiesta di adesione ai contratti di "solidarietà per il periodo 4.7.2016 - 3.7.2018, laddove l'INPS, nella medesima Circolare n° 139/2016, si era espresso nel senso di considerare il periodo di solidarietà come ipotesi di continuità dell'impresa, cosa che nei fatti si era puntualmente verificata con la salvaguardia di tutti i posti di lavoro e la ripresa della piena occupazione (il successivo ricorso a un nuovo periodo di solidarietà non poteva essere considerato come elemento ostativo al riconoscimento della CIGO, ma anzi confermativo della effettiva ripresa dell'attività lavorativa). Ciò senza contare che la società si stava adeguando alla nuova situazione di mercato: se nel periodo pre-crisi la sua politica aziendale, concordemente al modus generale imperante, era stata di mantenere una produzione costante di prodotti così da garantirsi sufficienti scorte di magazzino che potessero soddisfare in ogni momento i ragguardevoli quantitativi richiesti dai clienti, abituali e non, la necessità di ottimizzare ogni risorsa aziendale a causa della crisi l'aveva indotta, così come gran parte delle aziende di qualsiasi settore operanti sul mercato, ad applicare una politica di contenimento dei costi e dei tempi attraverso la massimizzazione dell'operatività non più sul lungo periodo, ma sul breve periodo, ricevendo ed evadendo ordini non più a lunga scadenza e per grandi quantitativi, ma giornalmente/settimanalmente e per limitate quantità . La catena produttiva e di mercato si era quindi dovuta adeguare alla crisi, modificando totalmente il proprio ciclo di vita che, necessariamente, aveva mutato anche le aspettative là dove la circolazione delle merci era ora strettamente legata non solo a fatti propri dell'impresa ma, anche e soprattutto, agli adempimenti di parti terze. In definitiva il tribunale, seppur correttamente richiamando principi astrattamente condivisibili, aveva errato nelle proprie valutazioni nella misura in cui non aveva adattato quei principi alle mutate condizioni economico/produttive cogenti, che erano una costante nel mercato italiano e mondiale da quasi un decennio. Non aveva quindi tenuto conto che la società si trovava in una situazione di evidente, graduale ripresa degli ordini, delle produzioni e delle vendite nel periodo intercorrente dal luglio 2016 al giugno 2017, come evidenziato dalla circostanza che nel periodo considerato vi era stata una progressiva e costante riduzione dell'utilizzo degli ammortizzatori sociali (CIGO e contratti di solidarietà ) utilizzati nel periodo, che erano passati a una percentuale media di utilizzo del 35% per il periodo luglio - dicembre 2016 a una percentuale media di utilizzo del 23% nel periodo gennaio - giugno 2017; inoltre nel periodo in questione non ci erano stati esuberi di personale e non era stato effettuato alcun licenziamento, mentre il ricorso a un nuovo periodo di solidarietà avrebbe dovuto essere considerato come pacifica ripresa e continuazione dell'attività d'impresa e prova, o comunque indice, di effettiva ripresa economica, produttiva e lavorativa per tutti gli addetti. Quanto all'asserita assenza del carattere di transitorietà dello stato di crisi e sulla asserita cronicità della stessa, la società appellante ha dedotto che la crisi era stata generata da fattori totalmente esterni all'azienda e ai lavoratori, improvvisi e non preventivabili, caratterizzati dalla sospensione del perfezionamento di ordini già trattati ed acquisiti nel corso del 2015; al riguardo il TAR non avrebbe considerato che nell'arco temporale tra il 2010 ed il 2017 la congiuntura era stata continuativa e estremamente severa e che proprio in funzione di questa generale condizione economica l'INPS aveva varato la circolare n. 139 / 2016, con la quale aveva inteso proprio regolare la situazione di alternanza di periodi di solidarietà a periodi di CIGO, affermando come in siffatta circostanza la richiesta di solidarietà dopo un periodo di CIGO avrebbe dovuto essere considerata come una effettiva ripresa dell'attività d'impresa. Quanto all'asserita mancanza di effettiva ripresa, la società appellante ha sostenuto che l'INPS aveva erroneamente applicato le indicazioni regolamentari ed interpretative contenute nella propria circolare n. 139/2016 secondo cui i presupposti del provvedimento di autorizzazione dovevano essere valutati nel momento dell'inizio della relativa sospensione, senza che fosse possibile desumere dalla successiva richiesta della cassa integrazione straordinaria elementi per una eventuale valutazione retroattiva di non sussistenza del requisito della temporaneità . La società ha ribadito che nel periodo successivo a quello per il quale aveva fatto richiesta di CIGO, ossia nel secondo semestre 2016, aveva avuto una sostanziale ripresa dell'attività e della occupazione, con un risultato economico complessivo della gestione annuale del 2016 più soddisfacente rispetto all'annata precedente. Quanto all'asserita presenza di esuberi la società appellante ha sottolineato che era pacifico che dal 2012 al 2016 aveva effettuato ingenti e strutturali investimenti nell'ammodernamento dei macchinari esistenti e in nuova tecnologia industriale (progetto e messa in produzione del nuovo motore elettrico -OMISSIS-) per un ammontare di euro 3.842.507 (cfr. doc. 10/a) e, soprattutto, aveva mantenuto interamente la forza lavoro, non effettuando alcun licenziamento individuale o collettivo. Le contrazioni dell'orario di lavoro non integravano affatto la fattispecie di esubero di personale, essendo piuttosto una mera modalità di gestione della riduzione dell'attività produttiva, che confermava la continuità dell'attività d'impresa e lavorativa; ulteriori importanti investimenti per circa Euro 200.000,00 erano stati effettuati nel primo semestre del 2017. 4. Si è costituito in giudizio l'INPS, deducendo l'infondatezza dell'avverso gravame e chiedendone il rigetto. 5. All'udienza pubblica dell'8.3.2023, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. L'appello è infondato. 2. E' utile in via preliminare rammentare i consolidati indirizzi giurisprudenziali, anche recenti (Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2023, n. 2330), sul fondamento e i limiti di applicabilità dell'istituto della Cassa integrazione guadagni ordinaria. Nello specifico, l'art. 11, comma 1, del Decreto legislativo del 14 settembre 2015, n. 148 - come in sostanza precedentemente previsto dall'art. 1, comma 1, n. 1 della legge. 164 del 20 maggio 1975 - dispone che agli operai dipendenti da imprese industriali che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto è dovuta l'integrazione salariale ordinaria nei seguenti casi: lett. a) " situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all'impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali "; lett. b) "situazioni temporanee di mercato". In presenza di tali presupposti è prevista la corresponsione dell'integrazione salariale ordinaria, chiesta dalla società ricorrente, in due ipotesi, l'una correlata a situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all'imprenditore e agli operai, e l'altra a situazioni temporanee di mercato, ipotesi che fanno riferimento a situazioni dipendenti da caso fortuito o forza maggiore indipendenti dal normale andamento dell'azienda. L'istituto della cassa integrazione guadagni opera in via di eccezione rispetto alla regola del sinallagma dell'obbligo retributivo, con assunzione dello stesso a carico della collettività, così che la disciplina è di stretta interpretazione quanto ai presupposti che danno luogo all'intervento di garanzia del lavoratore. Secondo la giurisprudenza gli eventi idonei a giustificare l'ammissione alla C.I.G.O. possono consistere "tanto in fatti naturali quanto in fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l'ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa", quali "il caso fortuito, la forza maggiore, il factum principis ovvero il fatto o l'illecito del terzo" (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2009), specificando inoltre che il requisito della "non imputabilità " all'imprenditore, previsto dal succitato art. 1 della l. n. 164 del 1975, deve intendersi nel senso che "i fatti che hanno causato la contrazione o la sospensione dell'attività di impresa devono risultare estranei non solo all'imprenditore ma anche ad altri soggetti che con lo stesso hanno concluso contratti, in quanto, diversamente, l'istituto dell'integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità ad esso estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio d'impresa" (cfr. Cons. Stato n. 1251 del 2019; sez. III, 11 dicembre 2019 n. 8434; 15 ottobre 2019, n. 7000; 19 agosto 2019 n. 5743; 30 luglio 2019 n. 5398; Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 497 e 23 febbraio 2011, n. 1131). Deve poi rilevarsi che la "transitorietà " della contingente situazione aziendale va valutata in termini di prevedibilità della ripresa produttiva al momento della presentazione della domanda, secondo un giudizio prognostico ex ante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2010, n. 8129); più in generale, la valutazione dei requisiti di ammissione all'integrazione salariale ha carattere prognostico e, quindi, deve essere effettuata soltanto sulla base delle informazioni disponibili ex ante e, naturalmente, in primis fornite dallo stesso imprenditore richiedente (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4084/2013; n. 3783/2013; n. 2503/2012). Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti di diniego dell'ammissione alla cassa integrazione guadagni, sia essa ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi all'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale, di modo che le scelte dell'amministrazione sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti, inattendibili ovvero viziate da travisamento in fatto (ex multis, cfr. Cons. Stato sez. III, 12 ottobre 2021, n. 6851; id. 30 luglio 2019, n. 5398; Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084 e 15 luglio 2013, n. 3783). 3. Passando all'esame del caso di specie deve rilevarsi come l'ampio margine di discrezionalità tecnico-amministrativa di cui è titolare l'amministrazione si estende anche alla valutazione della "mancanza dei requisiti della temporaneità, della ripresa effettiva dell'attività lavorativa e la ricorrenza di un esubero di personale" ovverosia dell'effettiva ricorrenza o meno delle condizioni di ammissibilità della richiesta di cassa integrazione ordinaria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2503; Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 497; Sez. II, 28 dicembre 2021, n. 8685; Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084, Sez. VI, 20 giugno 2016, n. 2713, Sez. III, 10 agosto 2017, n. 3987)) e implica la verifica di come l'amministrazione abbia hanno fatto corretta applicazione della disposizione contenuta nell'art. 11, comma 1, del D.Lgs. 14/09/2015, n. 148. Al riguardo il giudice di primo grado ha ampiamente motivato in ordine alla correttezza della valutazione dell'Amministrazione sulla circostanza che non sussistesse una situazione di natura transitoria e che si versasse invece in una situazione di cronicità della crisi aziendale, senza la concreta prospettiva che l'impresa stessa potesse in tempi ragionevoli riassumere i dipendenti posti in cassa integrazione, senza che tale valutazione presenti macroscopici profili di irragionevolezza o illogicità . D'altra parte la società appellante non ha fornito elementi concreti, valutabili ex ante cioè con riferimento al momento della presentazione delle domande, dai quali si potesse ragionevolmente prevedere se e quando sarebbe potuta avvenire una effettiva ordinaria e integrale ripresa lavorativa di tutte le maestranze sospese. Il requisito della temporaneità della sospensione dell'attività lavorativa e, di converso, la probabilità dell'ordinaria ripresa dell'attività lavorativa al termine del periodo di integrazione salariale -ovverosia di una sostanziale prospettiva di riavvio dell'attività lavorativa a pieno organico - deve, infatti, essere valutata ex ante, con riferimento alla presentazione della domanda di integrazione salariale, con un giudizio di c.d. prognosi postuma. Nell'ipotesi in esame, invece, come evidenziato dalla sentenza impugnata, e prima ancora dalla congrua motivazione dell'Amministrazione, il quadro istruttorio aveva evidenziato un uso degli ammortizzatori sociali e cioè di cassa integrazione ordinaria e contratti di solidarietà, sistematica e continuativa, senza soluzione alcuna, nonché infine di cassa integrazione, straordinaria con la conseguenza che la valutazione di cronicità della crisi aziendale, con l'assenza di una concreta prospettiva di riavvio dell'attività lavorativa a pieno organico, non risulta irragionevolmente motivata. Peraltro, come indicato il sede difensiva dall'Amministrazione, la deduzione dell'appellante che nell'arco temporale tra il 2010 e il 2017 la congiuntura era stata continuativa e estremamente severa, deponeva in senso contrario alla probabile ripresa a breve dell'attività produttiva, tanto da imporre un massiccio e continuativo ricorso agli ammortizzatori sociali nel medesimo arco temporale e in specie ai contratti di solidarietà, soprattutto per i periodi immediatamente precedente e successivo a quelli oggetto di controversia, passando di volta in volta, dalla straordinaria alla ordinaria ai contratti di solidarietà per poi ritornare a quella straordinaria e così di seguito, senza mai effettuare la piena effettiva ripresa lavorativa. Né gli elementi allegati dall'appellante depongono per la transitorietà della situazione di crisi aziendale: - non i chiarimenti della nota del 12.12.2016, che evidenziano la crisi generale del mercato, la sospensione degli ordini ricevuti, la possibile ipotetica ripresa degli ordini, ma non contengono elementi concreti di probabile ripresa della situazione aziendale; - non l'evidenziata riduzione degli ammortizzatori sociali (nel periodo gennaio - giugno 2017 rispetto a quello luglio - dicembre 2016), considerato che, seppure in misura percentuale minore, il ricorso agli ammortizzatori sociali è rimasto costante e, in ogni caso, la valutazione di transitorietà deve essere effettuata ex ante. Risulta poi condivisibile la conclusione raggiunta dal Tribunale, secondo cui l'accordo di solidarietà attualmente in essere integra una misura di ammortizzazione straordinaria che, seppur non automaticamente ostativa alla concessione della Cassa integrazione ordinaria, introduce un ulteriore indice di persistenza della situazione di grave difficoltà aziendale. Allo stesso modo rilevante è la circostanza indicata nella sentenza di primo grado (e non contestata dall'appellante) "che con cassetto previdenziale del 12 dicembre 2016 (doc. 9 INPS) la stessa ricorrente riconosceva che tutta una serie di importanti società sue clienti non aveva confermato gli ordini; - che l'esponente, nella stessa nota, ammetteva che "è venuta meno la transitorietà della mancanza di commesse, transitorietà che si era presupposta al momento della stipula degli accordi sindacali per la cassa ordinaria con prevedibile ripresa della normale attività lavorativa al termine dei periodi concordati di sospensione, La ripresa, prevista inizialmente come da piani produttivi ed ordinativi in essere, non è mai avvenuta nella sua totalità ma solo parzialmente, in quanto è stata sostituita dal Contratto di Solidarietà, visto l'aggravarsi della situazione produttiva inerente la carenza di ordini anche per il secondo semestre del 2016"; Indicativo risulta infine che, come evidenziato dalla difesa dell'Amministrazione, il trattamento di integrazione di solidarietà per il contratto di solidarietà riconosciuto con il D.M. n. 90396 del 4 giugno 2015 (allegato agli atti del giudizio di primo grado dell'Istituto) terminava il 12 febbraio 2016 e, per altro verso, già in data 2 febbraio 2016, in sede di procedure sindacali prodromiche alla domanda di integrazione salariale ordinaria, la società appellante aveva indicato un "attuale andamento negativo del mercato di riferimento" (verbale di accordo sindacale del 2 febbraio 2016). In sostanza non risulta irragionevole la valutazione dell'Amministrazione (e del Tar in sede di giudizio di primo grado) secondo cui già al momento della presentazione delle domande di ammissione e di proroga del beneficio de quo e della sospensione dell'attività produttiva, sussisteva un quadro generale di estrema difficoltà operativa della società incompatibile con un giudizio di probabilità di superamento; d'altra parte, come già rilevato, l'appellante non ha assolto l'onere di provare gli elementi sulla base dei quali poteva ritenersi sussistente il necessario requisito della temporaneità della crisi e della verosimile successiva ripresa dell'attività, che andava assolto mediante idonei e specifici elementi. 4. L'appello va in definitiva rigettato. Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Condanna parte appellante al pagamento in favore dell'INPS delle spese del presente grado di appello, quantificate in euro 4.000,00, oltre accessori se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm., con l'intervento dei magistrati: Carlo Saltelli - Presidente Raffaello Sestini - Consigliere Giovanni Sabbato - Consigliere Fabrizio D'Alessandri - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6035 del 2021, proposto da 1. AL. CA. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Wa. Mi., C.F. (omissis), PEC (omissis), con studio in (...) (PA) nella Via (...), tel/fax (omissis) e Ni. Za., C.F. (omissis), PEC (omissis), fax (omissis), con studio in (...) (VI) nella Piazza (...), elettivamente domiciliati nello studio dell'Avv. Sa. Ru. in Roma, via (...) contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Territoriale per la Provincia dell'Aquila, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia Chieti e Pescara Sede Chieti, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Potenza, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Matera, Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Crotone, Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Vibo Valentia, Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Avellino, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Benevento, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Caserta, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Ferrara, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Modena, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Parma e Piacenza Se, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Ravenna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Xi Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Gorizia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Territoriale per la Provincia di Trieste, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Udine, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Rieti, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Frosinone, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Latina, Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Viterbo, Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di La Spezia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Imperia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Como, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Cremona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lecco, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lodi, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Mantova, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Monza e Brianza, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Pavia, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Sondrio, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Varese, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Brescia, Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Macerata, Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro Urbino, Uff Scolastico Reg Molise Ambito Territoriale per la Provincia di Campobasso, Uff Scolastico Reg Molise A, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Alessandria, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Novara, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Biella, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Vercelli, Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Brindisi, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, Uff Scolastico Reg Puglia Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Sassari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Nuoro, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ambito Territoriale per la Provincia di Agrigento, Ambito Territoriale per la Provincia di Aosta, Ambito Territoriale per la Provincia di Arezzo, Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, Ambito Territoriale per la Provincia di Belluno, Ambito Territoriale per la Provincia di Caltanissetta, Ambito Territoriale per la Provincia di Catania, Ambito Territoriale per la Provincia di Enna, Ambito Territoriale per la Provincia di Firenze, Ambito Territoriale per la Provincia di Grosseto, Ambito Territoriale per la Provincia di Isernia, Ambito Territoriale per la Provincia di Livorno, Ambito Territoriale per la Provincia di Lucca, Ambito Territoriale per la Provincia di Massa-Carrara, Ambito Territoriale per la Provincia di Messina, Ambito Territoriale per la Provincia di Padova, Ambito Territoriale per la Provincia di Palermo, Ambito Territoriale per la Provincia di Parma, Ambito Territoriale per la Provincia di Perugia, Ambito Territoriale per la Provincia di Piacenza, Ambito Territoriale per la Provincia di Pisa, Ambito Territoriale per la Provincia di Pistoia, Ambito Territoriale per la Provincia di Prato, Ambito Territoriale per la Provincia di Ragusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Rimini, Ambito Territoriale per la Provincia di Rovigo, Ambito Territoriale per la Provincia di Siena, Ambito Territoriale per la Provincia di Siracusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Terni, Ambito Territoriale per la Provincia di Trapani, Ambito Territoriale per la Provincia di Treviso, Ambito Territoriale per la Provincia di Venezia, Ambito Territoriale per la Provincia di Verona, Ambito Territoriale per la Provincia di Vicenza, Ufficio Scolastico Regionale per il Trentino Alto Adige, Ufficio Scolastico Regionale Valle D'Aosta, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 13406/2020 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione, dell'Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, dell'Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, dell'Ufficio Scolastico Regionale Calabria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Campania, dell'Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, dell'Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Lazio, dell'Ufficio Scolastico Regionale Liguria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Marche, dell'Ufficio Scolastico Regionale Molise, dell'Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, dell'Ufficio Scolastico Regionale Puglia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, dell'Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, dell'Ufficio Scolastico Regionale Toscana, dell'Ufficio Scolastico Regionale Umbria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Veneto, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Territoriale per la Provincia dell'Aquila, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia Chieti e Pescara Sede Chieti, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, dell'Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Potenza, dell'Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Matera, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Crotone, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Vibo Valentia, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Avellino, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Benevento, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Caserta, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Ferrara, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Modena, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Parma e Piacenza Se, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Ravenna, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Xi Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Gorizia, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Territoriale per la Provincia di Trieste, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Udine, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Rieti, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Frosinone, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Latina, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Viterbo, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di La Spezia, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Imperia, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Como, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Cremona, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lecco, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lodi, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Mantova, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Monza e Brianza, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Pavia, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Sondrio, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Varese, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Brescia, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Macerata, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro Urbino, dell'Uff Scolastico Reg Molise Ambito Territoriale per la Provincia di Campobasso, dell'Uff Scolastico Reg Molise A, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Alessandria, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Novara, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Biella, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Vercelli, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Brindisi, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Sassari, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Nuoro, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Oristano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 il Cons. Marco Morgantini; Nessun avvocato presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza del Miur del 10 luglio 2020, n. 60, recante procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all'art. 4, commi 6-bis e 6-ter, della l. n. 124 del 1999 e di conferimento delle relative supplenze, nella parte in cui non consente l'inserimento dei ricorrenti quali ITP (Insegnanti Tecnico Pratici). La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. Il diploma ITP non ha valore abilitante né tale valore può desumersi dal decreto ministeriale 30 giugno 1998 n. 39 in quanto tale decreto si è limitato ad ordinare le classi di concorso e, pertanto, non sussistono i presupposti giuridici perché gli insegnanti in possesso del diploma in esame abbiano diritto all'iscrizione nelle graduatorie di circolo e di istituto di seconda fascia. Quanto alla Direttiva 2005/36/CE, come recepita dal d.lgs. n. 206 del 2007, essa non ha escluso che lo Stato membro possa subordinare l'accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali. Il Tar ha altresì osservato che non emerge un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell'ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. I sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti. La sentenza appellata fa altresì riferimento alla circostanza che, per quanto concerne la predisposizione di percorsi abilitanti, l'eventuale mancata previsione di percorsi non sostituisca l'abilitazione né si traduca nell'irrilevanza del titolo abilitativo ai fini della partecipazione al concorso o dello svolgimento dell'attività . L'abilitazione costituisce, infatti, un requisito per l'iscrizione cui segue lo svolgimento dell'attività didattica, individuando l'ordinamento giuridico altri strumenti per tutelare la situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti (silenzio inadempimento, risarcimento del danno). 2. Gli appellanti premettono di essere tutti insegnanti tecnico pratici - in sigla ITP e ritengono di essere in possesso di un titolo di studio idoneo ai fini dell'insegnamento tecnico-pratico negli istituti di istruzione secondaria per le classi di concorso di cui alla Tab. C del D.M. 30 gennaio 1998, n. 39, oggi Tabella B del D.P.R. n. 19/2016. Lamentano violazione del combinato disposto degli artt. 5, comma 3, del d. m. 131/2007 e dell'art. 22, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59. Violazione dell'articolo 2, comma 4-ter, della legge 06 giugno 2020, n. 41. Osservano che il Ministero, con l'ordinanza n. 60 del 10 luglio 2020 ha emanato disposizioni specifiche per disciplinare l'aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze da disporre sui posti vacanti in organico di diritto (con scadenza al 31 agosto) e sui posti vacanti in organico di fatto (con scadenza al 30 giugno). Nel far ciò il Ministero dell'Istruzione avrebbe violato il criterio discretivo utilizzato dal regolamento emanato con il DM 131/2007 per la collocazione nelle diverse fasce delle graduatorie valide per il conferimento delle supplenze. Ai sensi dell'art. 5, comma 3, del DM 131/2007, ciò che distingueva gli insegnanti collocati nella seconda oppure nella terza fascia delle graduatorie d'istituto, infatti, era il possesso (o il mancato possesso) di un titolo valido per partecipare ai concorsi a cattedre: nell'ultima fascia delle graduatorie, più precisamente, trovavano collocazione gli insegnanti che - pur in possesso del titolo di studio d'accesso alla professione docente ai sensi del D.M. 30 gennaio 1998, n. 39, oggi D.P.R. n. 19/2016 - non potevano partecipare ai concorsi a cattedre riservati agli abilitati; nella fascia gerarchicamente superiore di tali graduatorie, invece, potevano accedere i docenti in possesso del titolo valido per la partecipazione ai concorsi: ossia l'abilitazione o altra "idoneità al concorso" (cioè altro titolo valido per la partecipazione al concorso). Ciò significa, secondo gli appellanti, che il Ministero dell'Istruzione, nel disciplinare le nuove GPS, avrebbe dovuto utilizzare il medesimo criterio discretivo previsto dal regolamento per le supplenze, collocando nella medesima prima fascia tutti i docenti in possesso del titolo di studio valido per partecipare ai concorsi. E, quindi, non soltanto gli insegnanti abilitati, ma anche gli insegnanti tecnico-pratici in possesso di un titolo di studio interinalmente valido per accedere alle procedure selettive. Secondo gli appellanti gli insegnanti tecnico pratici sarebbero assoggettati a un regime derogatorio e transitorio ai fini dell'accesso all'insegnamento richiesto e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Il titolo di studio degli insegnanti tecnico pratici, infatti, sarebbe titolo idoneo per l'accesso all'insegnamento richiesto ai sensi della tabella C del decreto ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998 e valido per la partecipazione al concorso a cattedre già ai sensi dell'art. 402 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Richiamano l'art. 3, comma 2, del d p r n. 19/2016, recante disposizioni per il riordino delle classi di concorso, che, nell'abrogare per incorporazione la tabella c del dm del 30 gennaio 1998, ha espressamente stabilito che (...) il possesso dell'idoneità all'insegnamento in una delle classi di concorso di cui alla tabella c, allegata al decreto del ministro della pubblica istruzione 30 gennaio 1998, costituisce titolo per la partecipazione ai concorsi per titoli ed esami. Chiedono in via subordinata la condanna del ministero dell'istruzione - come risarcimento del danno in forma specifica - ad attivare i percorsi ordinamentali di abilitazione per gli insegnanti tecnico pratici. I ricorrenti, infatti, affermano che non hanno mai potuto conseguire il titolo di abilitazione per fatto e colpa dell'amministrazione oggi resistente. Il Ministero dell'Istruzione, infatti, non ha mai attivato i percorsi di abilitazione ordinamentali (cioè aperti a tutti i docenti in possesso del titolo di studio) per gli insegnanti tecnico-pratici. Tale situazione risulterebbe illegittima ed ingiusta in quanto, in base all'art. 2, L. n. 244/2007 e al D.M. n. 249/2010, gli ITP, al pari dei docenti laureati che prestano insegnamenti teorici, hanno diritto di conseguire un'adeguata formazione, strumentale all'ottenimento dell'abilitazione, e, quindi, avevano ed hanno pieno titolo a poter partecipare ai corsi T.F.A. ordinari. Gli appellanti richiamano decisioni del giudice amministrativo con cui sono stati dichiarati illegittimi i decreti istitutivi dei PAS regolamentati dal D.M. 25.3.2013 n. 81, con particolare riferimento proprio al computo dell'anzianità di servizio ai fini dell'integrazione dei requisiti di ammissione (540 giorni in tre anni con il minimo di 180 all'anno), che ne avevano ridotto sensibilmente la fruibilità (cfr., in specie, Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4751). 3. Gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe. hanno rinunciato all'appello, come da note depositate in giudizio rispettivamente in data 12 agosto 2022 e 7 dicembre 2022. 4. Per gli altri appellanti l'appello è infondato. Deve essere confermata l'osservazione, contenuta nella sentenza appellata, riguardo la legittimità della differenza di trattamento per gli insegnanti tecnico-pratici tra requisiti richiesti ai fini della partecipazione ad una procedura concorsuale per la futura immissione in ruolo e quelli più stringenti richiesti per l'inserimento nelle graduatorie, mancando in quest'ultimo caso il filtro di una valutazione della preparazione professionale del docente (così Consiglio di Stato VII n° 810 del 25 gennaio 2023). Le disposizioni del D.P.R. n. 19 del 2016 individuano, in realtà, i titoli validi ai fini della partecipazione a procedure di carattere concorsuale e non invece ai fini dell'inserimento nelle graduatorie. Parimenti l'art. 22 del D. lgs. 13 aprile 2017 n. 59 (che sospende, a beneficio dei docenti ITP, l'obbligo di acquisire i 24 CFU sino all'a. s. 2024/2025, consentendo loro di partecipare alle tornate di reclutamento al pari dei docenti muniti di abilitazione all'insegnamento) fa esclusivo riferimento alle procedure concorsuali e non all'inserimento nelle graduatorie. Tale esito ermeneutico non appare contrario alla Costituzione. Va infatti considerata una sostanziale differenza tra i soggetti provvisti di abilitazione e quelli che invece ne siano privi, ai fini dell'accesso diretto all'insegnamento, anche se, come invocato dagli appellanti, siano stati svolti tre anni di servizio. L'abilitazione è, infatti, il titolo che attesta il conseguimento di quel complesso di conoscenze e abilità che rende un diplomato o un laureato un vero e proprio docente ed è, quindi, ragionevole e non discriminatoria (oltre che rispondente al principio di buon andamento dell'azione amministrativa) la scelta di consentire solo ai soggetti che di tale titolo siano muniti la possibilità di accedere in via diretta all'insegnamento. Né a conclusioni diverse induce la circostanza che i percorsi abilitanti non sarebbero in concreto stati attivati per le suddette categorie di docenti. D'altro canto l'azione subordinata di condanna per l'attivazione dei percorsi di abilitazione aperta a tutti gli insegnanti tecnico - pratici è infondata, considerando che l'amministrazione ha emanato il decreto dipartimentale n. 497 del 21 aprile 2020 (i cui termini sono stati prorogati con decreto direttoriale del 1 luglio 2020), avente ad oggetto la procedura per l'accesso ai percorsi di abilitazione all'insegnamento, aperta anche agli insegnanti tecnico - pratici. La possibilità di partecipare ai concorsi per l'insegnamento, cui fa riferimento parte appellante, è giustificata dalla circostanza che comunque in tal caso vi sarebbe una verifica di idoneità all'insegnamento operata attraverso il filtro della procedura concorsuale. Diversamente, l'inserimento nelle graduatorie consente l'accesso diretto all'insegnamento. Tale disciplina non si presta a dubbi di costituzionalità, in base alla consolidata lettura del principio di eguaglianza, che non esclude l'introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti (cfr. Corte Cost. 28 marzo 1996, n. 89 e 24 ottobre 2014, n. 241). Nella situazione in esame, appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (considerando - in caso di trasformazione del rapporto di lavoro - le vicende del precedente rapporto a termine come intervenute in un unico contratto a tempo indeterminato sin dall'origine: Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, C-307/05, Del Cerro Alonso). Il collegio osserva che le disposizioni normative in esame sono coerenti con la disciplina comunitaria, in quanto appunto volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato. Ove le tesi difensive in esame fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del perseguimento del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibile; nella presente sede di giudizio di legittimità, pertanto, è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza ulteriori problematiche a livello costituzionale o comunitario (così Consiglio di Stato VII n° 2852 del 14 aprile 2022). Inoltre i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti. In conclusione: - riguardo gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe. l'appello viene dichiarato estinto per rinuncia; - per gli altri appellanti l'appello deve essere respinto. Spese del grado d'appello compensate come in primo grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: dichiara l'estinzione dell'appello per rinuncia riguardo gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe.; per gli altri appellanti respinge l'appello. Spese dell'appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2389 del 2019, proposto da: Regione autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Ma. Lu., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, (...) contro Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via (...) nei confronti Regione Sicilia, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione autonoma Trentino-Alto Adige, Regione autonoma Valle D'Aosta, Provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano, non costituite in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 8923/2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in epigrafe; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza straordinaria del giorno 3 febbraio 2023, l'avvocato Pa. Iv. D'A., in sostituzione dell'avvocato Ma. Lu., per la parte appellante; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Regione autonoma della Sardegna ha impugnato dinanzi al TAR Lazio la nota in data 23 luglio 2012, prot. n. 525437 del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, Ufficio VIII, avente ad oggetto "Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16", con la quale "si rendono noti gli accantonamenti che saranno effettuati nell'anno 2012 e a decorrere dall'anno 2013 per ciascuna autonomia speciale", nonché, fra gli atti presupposti, la nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, del 9 agosto 2012, prot. n. 3244/2012/Uff. X, avente ad oggetto "Soppressione addizionale comunale e provinciale dell'accisa sull'energia elettrica". Con sentenza n. 8923 in data 8 agosto 2018, il TAR ha dichiarato improcedibile il ricorso. Tale sentenza è stata impugnata dalla Regione autonoma della Sardegna con l'appello in epigrafe. La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze si sono costituiti nel presente grado di giudizio solo formalmente. All'udienza straordinaria del 3 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante riporta come segue i fatti di causa. Con nota del 23 luglio 2012 il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato individuava i contributi straordinari di finanza pubblica per l'anno 2012 che gravano sulle Regioni a statuto speciale e sulle Province di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, dall'art. 35, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012 e dall'art. 4 del decreto legge n. 16 del 2012; a tale individuazione faceva seguito la ripartizione tra gli stessi Enti. La Regione autonoma della Sardegna ne lamentava innanzi al TAR Lazio l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere poiché lo Stato avrebbe imposto, a suo dire, oneri in misura superiore a quella prevista dalla legge, attraverso non già lo strumento del "contributo" versato dalla regione, bensì mediante "accantonamenti" diretti. Al contempo, la Regione Sardegna sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del decreto legge n. 1 del 2012 e dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011. Su tali questioni, la Corte Costituzionale si pronunciava rispettivamente con sentenze n. 65 del 2015 e n. 82 del 2015. All'esito del giudizio, il TAR Lazio dichiarava il ricorso improcedibile rilevando che l'accordo di finanza pubblica stipulato tra la Regione Sardegna e il MEF, in data 21 luglio 2014, si è formato nel rispetto delle prerogative costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica nazionale. L'accordo, dunque, è dotato di forza propria e, conseguentemente, si impone al giudice amministrativo a prescindere dalle modalità con cui lo stesso ha fatto ingresso nel processo. Inoltre osservava che il giudice può desumere dagli atti di causa, dai fatti che intervengono nelle more del processo e dal comportamento delle parti, argomenti di prova in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse alla decisione e, quando tale accertamento dia esito positivo, il giudice deve pervenire ad una pronuncia di improcedibilità del ricorso, al pari delle ipotesi in cui rinvenga ragioni ostative alla pronuncia sul merito. 3. L'appellante, non condividendo tale impostazione, ha formulato i motivi di seguito sintetizzati. 1) "Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 84 cod. proc. amm.". La sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto di dichiarare improcedibile il ricorso in ragione dell'accordo di finanza pubblica tra Stato e Regione autonoma della Sardegna del 21 luglio 2014. L'appellante sostiene che il giudice potrebbe dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione solo in presenza di un atto di impulso di parte in tal senso, previo accertamento dell'assenza di ogni possibile utilità in capo alla ricorrente. Nel caso di specie, invece, dalla pronuncia nel merito, a parere dell'appellante, le sarebbero derivati due ordini di effetti favorevoli. Da un lato, sul piano pratico, poiché l'oggetto del contenzioso è il riparto degli oneri di finanza pubblica tra Stato, Regioni e Province a statuto speciale, dall'accoglimento del ricorso sarebbe derivata una rimodulazione degli oneri a carico della Regione Sardegna. Ciò ne avrebbe comportato la possibilità di recuperare risorse di propria spettanza, in ragione del principio dell'equilibrio dinamico di bilancio. Poiché, tuttavia, oggetto del contenzioso sarebbe anche il riparto del contributo di finanza pubblica, previsto unilateralmente dallo Stato nelle more dell'intesa con i singoli enti, tra le cinque Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, la corretta definizione del contenzioso determinerebbe anche effetti conformativi dei rapporti tra le parti coinvolti. Non sarebbe corretto desumere dall'accordo stesso, in quanto sorto con "l'impegno di rinunciare ai ricorsi promossi in materia di finanza pubblica" da parte della stessa Regione Sardegna, una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso: una simile circostanza, in virtù del principio dispositivo del giudizio, sarebbe dovuta essere inequivocabilmente espressa dalle parti. Viepiù tale ricostruzione sarebbe corretta tenuto conto che la sola sussistenza dell'accordo non ha impedito alla Corte costituzionale, con la sentenza n. 155/2015, di scrutinare nel merito le questioni sollevate dalla Regione Sardegna per fatti attinenti al tempo precedente alla stipula dell'accordo. Ciò sebbene la difesa della Regione ne abbia reso nota l'avvenuta stipula, depositandone copia in data 22 ottobre 2014. L'appellante, dunque, pone in luce che ciò che non ha rappresentato ostacolo per la Corte costituzionale, in modo incongruente lo sarebbe stato per il giudice amministrativo il quale, invece, avrebbe dovuto rilevare l'illegittimità del riparto degli oneri di finanza pubblica disposto dal provvedimento impugnato. L'appellante, ancora, si è soffermata sulla prospettata insussistenza di una condotta di abuso del processo in ragione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dinanzi alla Corte costituzionale e a cui ha rinunciato proprio in ragione dell'accordo. La Regione Sardegna avrebbe agito soltanto per ottenere il rispetto dell'autonomia statutaria in materia di finanza pubblica. 2) Con il secondo motivo di ricorso, superata la dimostrazione della ammissibilità dell'originario ricorso, la Regione ha riproposto i motivi formulati in primo grado. 2.1.) "Violazione dell'art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201; eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria, insufficienza e contraddittorietà della motivazione; violazione degli artt. 7 e 8 della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante Statuto speciale per la Sardegna, e 119 Cost. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto speciale per la Sardegna e 117 e 119 Cost.". La nota del MEF avrebbe asseritamente dato applicazione dell'art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201. Tuttavia, dalla quota di 860.000.000,00 Euro (ottocentosessanta milioni/Euro), quale contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome, si dovrebbe dedurre, a carico della Regione Sicilia, il risparmio che lo Stato consegue in forza dell'aumento dell'addizionale regionale IRPEF. Sarebbe, dunque, dall'addizionale IRPEF riscossa in Sicilia che dovrebbe discendere il maggior gettito di 130.000.000,00 Euro (centotrenta milioni/Euro). Diversamente, il trattamento specifico della sanità siciliana non inciderebbe sulla ripartizione degli oneri di finanza pubblica. Con il provvedimento impugnato, invece, a parere dell'appellante, si sarebbe determinato un contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome pari a 860 milioni di euro; a ciò si è aggiunto il contributo per la sanità siciliana pari a 130 milioni di euro. In questo modo, tuttavia, il totale ripartito sarebbe stato erroneamente pari a 900 milioni di euro e questa cifra sarebbe stata poi erroneamente ripartita in maniera proporzionale tra tutti gli Enti interessati. Un tale modalità di computo avrebbe determinato una sottrazione dell'importo di 130 milioni di euro da tutta la quota complessivamente intesa, e non, invece, dalla sola quota dovuta dalla Regione Sicilia. Ciò avrebbe comportato per la Regione Sardegna un accantonamento maggiore, per oltre 20.000.000,00 di euro. Viceversa il MEF avrebbe calcolato la somma pari a 152.704.694,82 di euro in luogo della corretta somma di 132.870.000,00 di euro, in violazione proprio dell'art. 28 cit. che l'Amministrazione statale ha inteso applicare. La Regione inoltre ha evidenziato che l'accoglimento del ricorso non comporterebbe oneri aggiuntivi a carico dello Stato, giacché non si attingerebbe al dal bilancio dello stesso. In caso di mancato accoglimento, si dovrebbe comunque ritenere illegittimo il provvedimento impugnato per violazione dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201/2011. L'appellante, infatti, ha evidenziato che sarebbero vulnerati i rapporti finanziari tra Stato e Regione Sardegna, poiché si determinerebbe una limitazione indiretta dell'autonomia di spesa di quest'ultima ad opera di vincoli definitivi, in spregio a quanto predicato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 82 del 2007 e n. 193 del 2012. Per questi motivi, l'appellante ha chiesto di sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, per violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119. A tanto non parrebbe ostare la circostanza che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 82 del 2015, si è già pronunciata sulla suddetta disposizione normativa rigettando le censure allora formulate dalle Regioni Val d'Aosta e Sicilia atteso che le censure mosse in quella sede sarebbero state attinenti a profili differenti da quelli dedotti nel presente giudizio. 2.2.) "Violazione dell'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012 e dell'art. 4 del d.l. n. 16 del 2012; violazione degli artt. 7 e 8 della l. cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, e 119 Cost.; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto speciale per la Sardegna e 117 e 119 Cost. (riproposizione del secondo motivo dell'originario ricorso)." Espone l'appellante che con la riforma introdotta dall'art. 35, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012, nonché dell'art. 4, commi 10 e 11, del decreto legge n. 16 del 2012, il regime delle accise sui consumi di energia elettrica è stato modificato nel senso di maggiorare le accise erariali e di sopprimerne le accise comunali e provinciali. Tale riforma sarebbe stata ispirata al principio della neutralità finanziaria, principio che, invece, risulterebbe violato dal provvedimento impugnato, giacché la somma dell'accantonamento a carico della Regione Sardegna sarebbe dovuta essere ridotta. Ciò in aggiunta alla violazione di legge che vizierebbe il provvedimento gravato, mutuata dall'illegittimità delle disposizioni di legge così come attuate dall'amministrazione resistente. Tali disposizioni sono state oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale che, con sentenza n. 65 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, commi 4 e 5, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 "nella parte in cui l'incremento della misura del concorso alla finanza pubblica è unilateralmente imposto alle Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallé e d'Aoste e Regione siciliana". Da tale pronuncia, secondo l'appellante, discenderebbe non solo la fondatezza del ricorso ma anche la necessità di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione di legge, nella parte in cui si applica alla Regione Sardegna, evidenziandone l'antinomia con gli artt. 7 e 8 dello Statuto sardo. 4. La sentenza impugnata deve essere confermata. Il Ministro dell'economia e delle finanze e il Presidente della Regione Sardegna hanno infatti sottoscritto, in data 21 luglio 2014, un accordo in materia di finanza pubblica, stipulato ai sensi dell'articolo 1, commi 454 e 456, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il richiamato comma 454, nel testo a quella data applicabile, disponeva che "Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2017, l'obiettivo in termini di competenza eurocompatibile, determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella tabella di cui all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183; b) del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, come rideterminato dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44; c) degli importi indicati nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016, emanato in attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; d) degli importi indicati nella seguente tabella: (...) d-bis) degli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali. A tal fine, entro il 31 marzo di ogni anno, il Presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze. Per l'anno 2014 la proposta di Accordo di cui al periodo precedente è trasmessa entro il 30 giugno 2014". In base al successivo comma 456, inoltre "In caso di mancato accordo di cui ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio, gli obiettivi delle regioni Sardegna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta sono determinati sulla base dei dati trasmessi, ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, ridotti degli importi previsti dal comma 454. (...)". In applicazione delle predette disposizioni, l'accordo stipulato tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione Sardegna ha, tra l'altro: - stabilito il livello di spese per l'anno 2013, certificando in via definitiva il rispetto del patto di stabilità per quell'anno da parte della Regione Sardegna (paragrafo 1); - riconosciuto alla Regione, per l'anno 2014, un ampliamento del tetto di spesa derivante dalla legislazione vigente ai fini del patto di stabilità interno di 320 milioni e concordato l'obiettivo programmatico per il medesimo anno 2014 (paragrafo 2); - previsto che, a decorrere dall'anno 2015, alla Regione Sardegna non si applica il limite di spesa di cui al comma 454 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 e che la stessa Regione si impegna a garantire il pareggio di bilancio (paragrafo 3). Nell'ambito di questo accordo, diretto a regolare complessivamente i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, al paragrafo 5 è previsto che "La Regione si impegna a ritirare, entro il 16 settembre 2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente Accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-17 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento". 4.1. Come correttamente rilevato dal TAR, il contenzioso oggetto del presente giudizio rientra a pieno titolo tra quelli oggetto della clausola da ultimo riportata. Infatti la previsione si riferisce a tutti i ricorsi contro lo Stato promossi prima della stipulazione dell'accordo, "relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica". Si tratta di una formula ampia che include sia le impugnazioni nelle quali si controverte della legittimità costituzionale delle leggi di finanza pubblica, sia i ricorsi che riguardano gli atti applicativi delle predette leggi, indipendentemente dai vizi allegati (di illegittimità propria o derivata dall'illegittimità costituzionale della legge). L'accordo si riferisce espressamente, inoltre, ai ricorsi "pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni". Ne discende che la clausola in rassegna non riguarda i soli giudizi promossi innanzi alla Corte costituzionale, mediante impugnazione di leggi in via d'azione o attraverso la promozione di conflitti di attribuzioni, ma anche a quelli incardinati innanzi al giudice amministrativo, fra i quali rientra, a pieno titolo, il presente giudizio. 4.2. Non coglie nel segno la tesi di parte appellante secondo cui la natura pubblicistica dell'accordo di finanza pubblica non equivarrebbe all'adozione di un provvedimento che, per aver integralmente sostituito in maniera satisfattiva per la parte quello impugnato, determinerebbe il venir meno dell'interesse ad agire. Si tratta di argomentazione infondata, dal momento che non è in discussione la portata satisfattiva o meno dell'accordo (che, peraltro, avrebbe condotto ad una pronuncia di merito di cessazione della materia del contendere), bensì viene in rilievo una pattuizione contrattuale di rinuncia al contenzioso. Come correttamente rilevato dal TAR, una clausola di rinuncia alle impugnazioni proposte non può avere altro significato, se non quello di imporre al soggetto obbligato di recedere dalla prospettazione del dedotto profilo di illegittimità e di dimostrare per ciò stesso la carenza di interesse alla sua ulteriore coltivazione, pena l'inutilità della stessa clausola di rinuncia. 4.3. Né rileva, in questo caso, il più volte invocato principio dispositivo. In proposito il Collegio rileva che se è vero che, ove la parte abbia dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso, ne discende l'improcedibilità dello stesso, non potendo in tal caso il giudice, in omaggio al principio dispositivo, decidere la controversia nel merito né procedere d'ufficio sostituendosi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 novembre 2022, n. 10367), non è vera la proposizione contraria. La mera affermazione della parte circa il persistente interesse alla decisione va sempre valutato dal giudice alla stregua della concreta situazione di fatto sopravvenuta e della possibile utilità della pronuncia. Infatti, la pronuncia di cessazione della materia del contendere definisce la controversia nel merito, accertando che la pretesa dedotta in giudizio è stata integralmente soddisfatta dalla successiva attività amministrativa; la dichiarazione di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di interesse, invece, presuppone il verificarsi di una situazione di fatto o di diritto, nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per essere venuta meno, per il ricorrente, l'utilità della pronuncia del giudice (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 23 settembre 2022, n. 8176). È quanto si è verificato nel caso di specie in cui, stante la richiamata clausola pattizia, anche qualora venisse adottata una pronuncia di merito, a prescindere dal relativo contenuto, la stessa non sarebbe eseguibile né a vantaggio né a svantaggio della parte appellante, restando la eventuale pronuncia inutiliter data. 4.4. Non è pertinente neanche il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2015 atteso che in quel caso, come peraltro riferisce la stessa appellante, la Corte "non ha dichiarato né l'estinzione del giudizio per rinuncia né la cessazione della materia del contendere, come avrebbe fatto se avesse condiviso la medesima posizione abbracciata dalla sentenza gravata, ma ha dichiarato l'inammissibilità delle censure regionali solo perché una pronuncia di accoglimento avrebbe determinato l'invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore (statale)" (così a pag. 12 dell'appello). Le stesse argomentazioni di parte appellante smentiscono la tesi a sostegno della quale sono prodotte: nel caso di specie il TAR non ha adottato una pronuncia (di merito) di cessazione della materia del contendere, in ipotesi affermando che con l'accordo in questione siano state soddisfatte le pretese azionate dalla Regione, ma si è limitato ad una pronuncia (di rito) di improcedibilità dell'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse determinata dall'impegno assunto in via pattizia di rinunciare a tutto il contenzioso pendente. 4.5. Non è fondata neanche la tesi secondo cui la previsione pattizia non potrebbe trovare applicazione laddove ne derivi la compressione di attribuzioni costituzionali della Regione, per loro natura non negoziabili. Ciò sia perché la regolazione pattizia dei rapporti tra lo Stato e la Regione è prevista dalle specifiche previsioni legislative innanzi richiamate, della cui legittimità costituzionale la parte appellante non dubita, sia perché si tratta di una regolazione che non incide sulle rispettive prerogative costituzionali, che restano immutate, ma è finalizzata a definire consensualmente il concreto dispiegarsi dei rapporti finanziari fra le parti e a perseguire in modo condiviso degli obiettivi di finanza pubblica, in ossequio al principio costituzionale di leale collaborazione. Non è revocabile in dubbio che, con l'accordo in questione, la Regione non ha rinunciato ad alcuna attribuzione costituzionale, ma soltanto a coltivare i ricorsi già pendenti. 4.5. Né può ritenersi che l'accordo attribuisse alla regione la facoltà, in alternativa, di rinunciare ai soli effetti positivi derivanti da eventuali pronunce di accoglimento per gli anni 2014-17 dal momento che la clausola in questione non prevede alcuna facoltà alternativa a favore della Regione, ma stabilisce espressamente, in capo a quest'ultima, l'obbligo a rinunciare ai contenziosi pendenti, entro una data ben determinata (16 settembre 2014). Interpretazione, questa, che, oltre a discendere dal chiaro tenore letterale della pattuizione è confermata anche dal fatto che la stessa Regione ha rinunciato, in esecuzione di tale accordo, all'impugnazione dell'articolo 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011 proposta in via d'azione innanzi alla Corte costituzionale. Va, al contrario, rilevato che la clausola prevede un ulteriore e diverso impegno a carico della Regione, ossia quello a non avvalersi "comunque" (e non "in alternativa"), per un triennio, degli effetti - sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto - derivanti da eventuali sentenze favorevoli all'Ente comunque emesse. Si tratta di un inciso teso a scongiurare gli effetti di eventuali pronunce rese senza che, per qualunque ragione, l'esistenza dell'accordo fosse stata portata a conoscenza del giudice prima del passaggio in decisione della causa, ovvero nel caso di sentenze emesse in esito a giudizi promossi innanzi alla Corte costituzionale da parte di più regioni, e quindi destinati a una decisione nel merito nonostante la rinuncia della Regione Sardegna. L'oggetto dell'accordo non contempla solo effetti limitati al triennio 2014-2017, né si riferisce unicamente alla definizione del saldo netto da finanziare e dell'indebitamento netto, ma prevede impegni della Regione anche non strettamente attinenti alla determinazione di tali variabili, e da attuare anche con modifiche permanenti del corpus legislativo regionale (v. ad esempio il paragrafo 6 dell'accordo). 4.6. Stante la ricostruita portata dell'accordo e l'inequivocabile tenore della clausola di impegno, da parte della Regione, a rinunciare al contenzioso relativo alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, perde di pregio anche la richiesta, su cui l'appellante insiste, di nuova sottoposizione alla Corte della questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, per violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119. Per accedere alla invocata rimessione questo giudice, oltre a doversi pronunciare sulla non manifesta infondatezza della questione, su cui la Consulta si è già espressa con la sentenza n. 82 del 2015, dovrebbe prospettare alla Corte la "rilevanza" della questione nel presente giudizio. Rilevanza esclusa in radice dall'evidenza che il presente giudizio può essere definito indipendentemente da ogni sindacato sulla conformità a costituzione della suindicata norma: ciò stante il dato fattuale, portato dalla più volte richiamata clausola pattizia, che impone alla Regione appellante di abbandonare tutti i giudizi "relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica", "pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni" ad una certa data. 4.7. In altri termini, come condivisibilmente rilevato dal TAR, l'accordo tra il Governo e la Regione, che costituisce l'esito di una ponderazione di interessi pubblici espressa, ai più alti livelli istituzionali, da Enti costituzionali, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica nazionale, "si impone oggettivamente, per forza propria, al giudice amministrativo, il quale è tenuto necessariamente a prenderne atto, a prescindere dalle modalità attraverso le quali venga veicolato nel processo" rappresentando, la rinuncia al ricorso, ove fosse stata ritualmente formalizzata, soltanto il veicolo processuale atto a condurre all'emissione di una pronuncia di estinzione del giudizio, ai sensi dell'articolo 35, comma 2, lett. c), e dell'articolo 84 c.p.a.. Ne discende che, come già rilevato, anche in assenza di una formale rinuncia, il giudice "può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa" (articolo 84, comma 4, c.p.a), dovendo pervenire a una pronuncia di improcedibilità del ricorso sia quando accerti il sopravvenuto difetto di interesse delle parti alla decisione, sia laddove comunque sopravvengano "altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito" (articolo 35, comma 1, lett. c) c.p.a.). 4.8. Né il tenore della clausola inserita nell'accordo del 2014 può essere intesa, come opina l'appellante, solo quale impegno a compiere una precisa attività processuale, consistente nella formalizzazione della rinuncia che, in questo caso, mancherebbe, trattandosi di prospettazione che non tiene conto sia del contenuto esplicito della clausola in questione, sia della natura propria dell'accordo tra il Governo e la Regione Sardegna, che costituisce l'esito di una ponderazione di interessi di rilievo costituzionale, attuata nell'esercizio dell'alta funzione di coordinamento tra gli attori dell'ordinamento, ed è diretto a definire l'assetto dei rapporti istituzionali tra tali soggetti nei termini maggiormente rispondenti all'interesse pubblico, dal quale la Regione non può sciogliersi unilateralmente. Conclusivamente, per le considerazioni che precedono, che esauriscono l'analisi delle tematiche introdotte in giudizio (essendo state ritenute irrilevanti eventuali questioni non espressamente menzionate, ivi compresa quella relativa all'abuso del processo), l'appello deve essere respinto. 5. In ragione della complessità delle questioni trattate e della costituzione solo formale delle amministrazioni centrali appellate, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2023, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 486 del 2019, proposto dalla ditta Tr. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lu. e Fe. Sc., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fe. Sc. in Roma, via (...); contro la Provincia Autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio; nei confronti di Vo. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ca., Lu. Ma. e Ma. Vi., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Ma. in Roma, via (...); il Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; della sentenza del Tribunale regionale di Giustizia amministrativa della Regione autonoma Trentino - Alto Adige/Sudtirol n. 228 del 19 ottobre 2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vo. It. s.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2022 la Cons. Emanuela Loria; Viste le conclusioni delle parti presenti, o considerate tali ai sensi di legge, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'oggetto del presente contenzioso è costituito: a) dalla determinazione del dirigente del Servizio gestioni patrimoniali e logistica della Provincia autonoma di Trento (di seguito "Provincia") n. 762 dd. 21dicembre 2017 di autorizzazione all'espropriazione ai sensi dell'art. 6 l.p. 19 febbraio 1993 n. 6 dell'area ove insiste la Stazione Radio Base Vo. "2O. SA."; b) dalla comunicazione del Comune di Trento n. prot. 77402 dd. 3 aprile 2017 di avvio del procedimento ad istanza di Vo. It. s.p.a. per l'espropriazione di mq. 136 della p.ed. (omissis) C.C. Trento, ove risulta già realizzata la Stazione Radio Base Vo. "Sa."; c) dagli atti presupposti, connessi e consequenziali ed in particolare dal decreto di espropriazione ai sensi dell'art. art. 8 della l.p. n. 6 del 1993, nonché dai pareri del Servizio autorizzazione e valutazioni ambientali della Provincia del 10 agosto 2017, del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio della Provincia del 4 settembre 2017 e del Servizio gestioni patrimoniali e logistica della Provincia del 4 gennaio 2017, e delle note istruttorie del Comune di Trento del 12 ottobre 2016, del 10 gennaio 2017 e del 10 marzo 2017. 2. L'appellante è proprietaria di un compendio immobiliare che comprende più particelle edificiali (tra le quali, per quanto di interesse nella vicenda contenziosa in esame, la p.ed. (omissis)) ricadenti integralmente in zona H1 "servizi privati" (art. 71 N.T.A. del PRG) e, in minima parte, in fascia di rispetto ferroviario (zona F3 art. 67) e in zona "verde di protezione ed arredo" (zona F4 art. 68) in prossimità della città di Trento attualmente utilizzate quale area di parcheggio per camper. 2.1. La ricorrente, con contratto in data 25 novembre 2002, ha concesso in locazione alla società Vo. Om., ora Vo. It. (di seguito denominata "Vo.") una porzione di 160 mq della originaria p.ed. 5604 (poi p.ed. (omissis)), al fine di consentire l'installazione di una stazione radio base (di seguito "SRB") per il servizio pubblico di telefonia mobile, pattuendo un canone annuo di 20.000,00 euro per la durata di nove anni, rinnovabili tacitamente di sei anni, con decorrenza dal primo giorno successivo al rilascio dei necessari titoli edilizi, e ha formalmente delegato la locataria a richiedere i prescritti titoli edilizi. 2.2. Con una successiva scrittura privata notarile del 19 giugno 2003 Vo. si è impegnata nei confronti del Comune di Trento: A) a "rimuovere i vincoli generati dai volumi di rispetto determinati ai sensi del D.P.G.P. 29 giugno 2000 n. 13-31/Leg. e successive modificazioni, anche mediante lo spostamento dell'impianto, qualora varianti al Piano Regolatore Generale del Comune di Trento rendano edificabili aree interessate da detti volumi o qualora importino il rispetto di quanto disposto dall'art. 10 delle sopra richiamate direttive circa i divieti di installazione"; b) ad "adempiere agli impegni di cui al precedente punto 1 entro un anno dall'entrata in vigore delle nuove previsioni urbanistiche e comunque prima del rilascio delle concessioni e/o autorizzazioni edilizie relative ai nuovi edifici realizzabili". 2.3. Vo. ha quindi provveduto a realizzare la Stazione radio base e, in seguito, con contratto in data 1 novembre 2007 ha pattuito con la ricorrente il rinnovo del rapporto di locazione per un periodo di nove anni (con scadenza al 31 ottobre 2016), prorogabile per altri sei anni in assenza di formale disdetta, portando il canone a 18.078,00 euro (poi ulteriormente modificato in 18.205,00 euro). 2.4. Vo., con nota in data 8 febbraio 2016, ha proposto alla ricorrente l'acquisto del diritto di superficie sull'intera p.ed. (omissis), per un periodo di 99 anni, al prezzo di euro 54.600,00, sì da poter mantenere la suddetta SRB anche oltre la scadenza del 31 ottobre 2016, riservandosi, in caso di non accettazione, di "rivedere, secondo parametri maggiormente coerenti con l'andamento dei valori immobiliari, la valutazione dell'importo per ottenere la disponibilità dell'area". 2.5. A fronte della mancata accettazione di tale proposta, Vo. in data 24 maggio 2016 ha chiesto al Comune di Trento l'adozione di un provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità e contestuale apposizione del vincolo preordinato all'esproprio sull'area ove insiste la predetta SRB, nonché l'avvio del procedimento ablatorio, ai sensi dell'art. 6 della legge provinciale n. 6/1993 in combinato disposto con l'art. 90 del decreto legislativo n. 259/2003, rappresentando l'esigenza di "mantenere ed aggiornare la propria rete radiomobile... e garantire la continuità e la qualità del servizio di telecomunicazione", a fronte della "oggettiva difficoltà di sostituzione attraverso la realizzazione di un nuovo diverso impianto e la indisponibilità di idonee aree alternative", nonché l'impossibilità di addivenire ad un accordo bonario per l'acquisizione dell'area. Con nota del 12 ottobre 2016 il Comune ha chiesto a Vo. di produrre alcuni documenti, ivi compresa la dichiarazione di pubblica utilità rilasciata dalla Provincia di Trento; al riguardo il Servizio gestioni patrimoniali e logistica della Provincia, con nota del 4 gennaio 2017, ha rappresentato che nel provvedimento di autorizzazione all'esecuzione delle espropriazioni "verrà fatta menzione del fatto che la pubblica utilità dell'opera discende direttamente dalla legge", ossia dall'art. 90, comma 1, del decreto legislativo 259 del 2003. Inoltre, a fronte di un'ulteriore richiesta istruttoria del Comune, Vo., con nota del 23 marzo 2017, ha precisato che la sua istanza doveva intendersi volta all'acquisizione dell'intera p.ed. (omissis), e non del solo diritto di superficie. Quindi con nota del 3 aprile 2017 è stato comunicato alla ricorrente l'avvio del procedimento di esproprio della p.ed. (omissis), con assegnazione un termine di trenta giorni per presentare osservazioni. 2.6. Entro tale termine l'appellante, con nota del 30 maggio 2017, ha rappresentato quanto segue: A) l'insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 90 del decreto legislativo n. 259/2003, essendo il ricorso alla procedura espropriativa consentito ai gestori del servizio radiomobile di comunicazione (di seguito denominati "gestori") solo per la realizzazione di nuove SRB, e non per legittimare il mantenimento di impianti già esistenti; B) il distorto utilizzo della procedura espropriativa, in quanto finalizzata a consentire alla Vo. di evitare di pagare i concordati canoni di locazione, fermo restando che il contratto di locazione in essere (rinnovato sino al 31 ottobre 2022) costituisce un valido titolo per mantenere in esercizio la SRB, con conseguente radicale preclusione all'avvio della procedura di esproprio. 2.6. Inoltre il Servizio autorizzazione e valutazione ambientali della Provincia con nota del 10 agosto 2017 - premesso che il decreto legislativo n. 259 del 2003 "non trova applicazione nella nostra Provincia per quanto attiene agli aspetti urbanistici, radioprotezionisti ed autorizzativi", stante la previsione dell'art. 61, comma 7, della legge provinciale n. 10/1998, e che l'installazione delle SRB comunque "non necessita di specifiche previsioni, né di adeguamento degli strumenti di pianificazione territoriale", stante la previsione dell'art. 3, comma 2, del D.P.P. 25-100 del 2012 - ha però espresso parere negativo sull'istanza della Vo. evidenziando: A) la mancanza di valide motivazioni a fondamento dell'istanza stessa in quanto "la disponibilità delle aree a lungo termine può derivare anche da forme di uso delle aree diverse dalla proprietà (ad es. locazione)"; B) la necessità di documentare "ogni azione condotta dalla società al fine di valutare la presenza e localizzazione di aree alternative idonee e le ragioni della loro indisponibilità "; C) il carattere eccezionale della procedura espropriativa, cui si può ricorrere "solo laddove l'esproprio si dimostri l'unica soluzione perseguibile ai fini del mantenimento del servizio e della sua buona qualità ". 2.7. Il Servizio urbanistica della Provincia, a sua volta, con parere del 4 settembre 2017 - premessa l'applicabilità degli articoli 90, 91 e 92 del decreto legislativo n. 259 del 2003 - ha ritenuto non necessaria la procedura di variante urbanistica per l'apposizione del vincolo espropriativo, osservando che per la realizzazione delle SRB "non è necessaria la presenza di una specifica previsione urbanistica", perché trattasi di opere di urbanizzazione primaria, e che i predetti articoli "riconoscono, ope legis, il carattere di pubblica utilità a questi impianti, nonché la legittimazione soggettiva degli enti gestori ad accedere alla procedura espropriativa". Sono state, quindi, acquisite le osservazioni di Vo., la quale con nota del 6 novembre 2017 ha rappresentato che, a fronte della possibilità di ricorrere alla procedura espropriativa per ottenere la disponibilità di un'area ove insiste una SRB, deve ritenersi semmai "anomalo" il ricorso ad un contratto di locazione, e che la legge non subordina il ricorso alla procedura espropriativa all'impossibilità di reperire aree alternative o alla sussistenza di peculiari esigenze tecniche, fermo restando che nella fattispecie non vi è ragione - né dal punto di vista tecnico, né dal punto di vista economico - per cercare soluzioni alternative. 2.8. All'esito del procedimento, il dirigente del Servizio gestioni patrimoniali e logistica della Provincia, con la determina n. 762 del 21 dicembre 2017, ritenendo condivisibili le osservazioni di Vo., ha autorizzato l'esecuzione del piano delle espropriazioni, fissando i termini per l'inizio e la fine della procedura di esproprio, ma non quelli per l'inizio e la fine dei lavori "in quanto gli stessi sono stati già eseguiti", ed ha determinato l'indennità di esproprio nella misura di euro 35.360,00 (quantificazione avverso la quale è stato proposto un separato ricorso amministrativo). 3. Avverso tutti gli atti sopra indicati Tr. s.r.l. ha proposto ricorso dinanzi al T.R.G.A. di Trento articolando cinque motivi - da pag. 8 a pag. 20: 1) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 79 l.p. 15/2015, 11 del Regolamento urbanistico, 61 della l.p. 10/1998 e 3 del DPP 25-100 del 2012 in relazione agli artt. 8 - 11 d.P.R. 327/2001 e artt. 37-39 L.P. 15/2015; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità, ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione. 2) Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 Lg. 166/2002 in relazione all'art. 61 l.p. 10/1998 e D.P.P. 20.12.2012 n. 25-100/Leg. e art. 1 e ss. l.p. 6/1993; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per sviamento di potere, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione. 3) Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 Lg. 166/2002 e degli art. 1 e ss. DPR 327/2001 e L.P. 6/1993 in relazione anche agli artt. 1372 e 1375 c.c.; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per sviamento di potere, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione. 4) Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 Lg. 166/2002; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione. 5) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 4 e 6 l.p. 6/1993 in relazione anche agli artt. 24 e 27 L.P. 23/1992 e artt. 7 e 10 Lg. 241/1990; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per violazione del principio del giusto procedimento, per manifesta illogicità, ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione. 4. Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, con la sentenza impugnata, ha respinto il ricorso e ha compensato le spese di giudizio. 5. Con l'appello in esame la società Tr. s.r.l. ha proposto appello avverso la sentenza del T.R.G.A n. 228 del 19 ottobre 2018 e ha sostanzialmente riproposto i motivi di primo grado. 5.1. La ditta Vo. s.p.a. si è costituita in giudizio e ha depositato memorie in data 19 febbraio 2019 e 27 giugno 2022; anche l'appellante ha depositato memoria il 28 giugno 2022 e memoria di replica il 1 luglio 2022. 5.2. Alla camera di consiglio del 21 febbraio 2019, il Presidente del collegio, su concorde richiesta delle parti ha disposto l'abbinamento al merito della domanda cautelare. 6. Alla pubblica udienza del 14 luglio 2022 la causa è stata discussa. Nelle camere di consiglio del giorno 14 luglio e in quella rinviata del giorno 27 luglio 2022, la causa è stata spedita in decisione. 6. Preliminarmente: i) il collegio osserva che l'appellante ha riproposto con l'atto di appello i motivi già proposti dinanzi al giudice di primo grado; ii) conseguentemente, a seguito dell'appello e della sostanziale riproposizione da parte dell'appellante dei motivi già proposti dinanzi al T.r.g.a., è riemerso l'intero thema decidendum del giudizio di primo grado, per cui, per linearità espositiva, saranno prese in esame direttamente le censure poste a sostegno del ricorso proposto in prime cure (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016; sez. V, n. 5865 del 2015; sez. V, n. 5868 del 2015), non potendo trovare ingresso i nuovi motivi e i nuovi documenti proposti per la prima volta in questa sede in violazione del divieto dei nova sancito dall'art. 104 c.p.a.; iii) non essendo stata riproposta la domanda cautelare la stessa si intende assorbita. 7. Con il primo motivo del ricorso introduttivo la ricorrente ha dedotto la "Violazione ed erronea applicazione degli artt. 79 l.p. 15/2015, 11 del Regolamento urbanistico, 61 della l.p. 10/1998 e 3 del DPP 25-100 del 2012 in relazione agli artt. 8 - 11 d.P.R. 327/2001 e artt. 37-39 l.p. 15/2015; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per travisamento dei fatti e per manifesta illogicità, ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione", con il quale ha rappresentato che l'art. 8 del d.P.R. n. 327 del 2001 prevede che per attivare e definire un qualsiasi procedimento espropriativo "l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio". In altri termini, perché si possa procedere ad espropriare un bene privato occorrono due indefettibili presupposti: a) la conformità urbanistica dell'intervento (l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico); b) l'apposizione del vincolo espropriativo (sia apposto il vincolo preordinato all'esproprio). Trattasi di due distinti e specifici presupposti che - in tesi - devono sussistere congiuntamente (e) e non alternativamente. Nella fattispecie in esame, pur avendo Vo. espressamente richiesto l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio (evidentemente nella consapevolezza della necessità di tale presupposto) in uno al rilascio del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità e all'avvio del procedimento espropriativo, l'Amministrazione provinciale ha decretato l'autorizzazione all'esecuzione della pretesa espropriazione in difetto della necessaria conformità urbanistica e della previsione dello specifico vincolo espropriativo. In particolare, la particella ed. n. (omissis) ricade in zona H1 "servizi privati" e l'attuale P.R.G. non prevede specificamente su tale realità la realizzazione di una stazione radio base per le comunicazioni elettroniche. L'amministrazione provinciale, nel provvedimento n. 762/2017, avrebbe confuso lo specifico requisito della "conformità urbanistica" con il generico concetto di "compatibilità urbanistica" e, conseguentemente, per ignorare il preliminare procedimento pianificatorio preordinato alla specifica ed espressa apposizione del vincolo espropriativo nei termini di cui al combinato disposto degli artt. 9 -11 d.P.R. n. 327 del 2001 e degli artt. 37-39 l.p. n. 15/2015. La determinazione espropriativa impugnata risulterebbe quindi illegittima per difetto della necessaria conformità urbanistica e della specifica previsione del vincolo finalizzato all'espropriazione della p.ed. (omissis) per il mantenimento definitivo della Stazione radio base siccome realizzata e gestita da Vo.. Sarebbe inoltre mancato una meditata, ponderata e partecipata valutazione da parte degli Enti titolari del potere pianificatorio anche delle diverse aspettative edificatorie dei soggetti proprietari dell'area interessata, tenuto conto di ogni diversa alternativa e dei criteri localizzativi ex art. 3 d.P.P. 20.12.2012 n. 25-100/Leg., nonché della possibilità ex lege di imporre a Vo. la coubicazione e condivisione materiale di un'altra stazione radio base, realizzata da altro operatore telefonico nelle immediate vicinanze all'area interessata e con le medesime caratteristiche strutturali e funzionali. 7.1. Il motivo è fondato. L'art. 8 prevede le fasi del procedimento espropriativo. Il decreto di esproprio può essere emanato qualora: a) l'opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed efficacia equivalente, e sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio; b) vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità ; c) sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l'indennità di esproprio. L'art. 12 prevede altresì che la dichiarazione di pubblica utilità si intende disposta: a) quando l'autorità espropriante approva a tale fine il progetto definitivo dell'opera pubblica o di pubblica utilità, ovvero quando sono approvati il piano particolareggiato, il piano di lottizzazione, il piano di recupero, il piano di ricostruzione, il piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi, ovvero quando è approvato il piano di zona; b) in ogni caso, quando in base alla normativa vigente equivale a dichiarazione di pubblica utilità l'approvazione di uno strumento urbanistico, anche di settore o attuativo, la definizione di una conferenza di servizi o il perfezionamento di un accordo di programma, ovvero il rilascio di una concessione, di una autorizzazione o di un atto avente effetti equivalenti. Qualora non sia stato apposto il vincolo preordinato all'esproprio la dichiarazione di pubblica utilità diventa efficace al momento di tale apposizione a norma degli articoli 9 e 10. 7.2. Il legislatore ha in tal modo disegnato i presupposti e i passaggi procedimentali del procedimento espropriativo sancendo che perché si possa procedere all'esproprio di un bene privato sono necessari due presupposti che devono sussistere congiuntamente: la conformità urbanistica dell'intervento e l'apposizione del vincolo espropriativo. Il procedimento è quindi articolato nelle tre fasi dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio, nella dichiarazione di pubblica utilità dell'opera che deve intervenire entro cinque anni, e nel decreto di esproprio: si tratta della cosiddetta procedura trifasica che ha sostituito, in chiave maggiormente garantistica del diritto di proprietà e di maggiore trasparenza e ponderazione delle motivazioni di interesse pubblico che portano alla scelta da parte della pubblica amministrazione dell'annullamento del diritto domenicale, quella bifasica prevista dalla legge n. 2359 del 1865 e dalla legge n. 1 del 1978. 7.3. Per quanto concerne le comunicazioni elettroniche e la realizzazione delle relative infrastrutture il d.lgs. 1 agosto 2003, nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, e in particolare, il suo art. 90, prevede che: "1. Gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, ovvero esercitati dallo Stato, e le opere accessorie occorrenti per la funzionalità di detti impianti hanno carattere di pubblica utilità, ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327. 2. Gli impianti di reti di comunicazioni elettronica e le opere accessorie di uso esclusivamente privato possono essere dichiarati di pubblica utilità con decreto del Ministro dello sviluppo economico, ove concorrano motivi di pubblico interesse. (346) 3. Per l'acquisizione patrimoniale dei beni immobili necessari alla realizzazione degli impianti e delle opere di cui ai commi 1 e 2, può esperirsi la procedura di esproprio prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327. Tale procedura può essere esperita dopo che siano andati falliti, o non sia stato possibile effettuare, i tentativi di bonario componimento con i proprietari dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici tecnici erariali competenti." 7.4. Da tale disposizione si desume che gli impianti di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, per il loro carattere di pubblica utilità conferito dal legislatore, possono essere considerati "compatibili" sotto il profilo urbanistico in quanto parificati alle opere di urbanizzazione primaria. Diverso invece è l'aspetto della conformità urbanistica che vi è soltanto quando la destinazione urbanistica dell'area consente espressamente la realizzazione dell'opera pubblica o di pubblica utilità e si debba procedere all'esproprio poiché non vi è l'assenso del proprietario. Il comma 3 della disposizione sopra citata è chiaro nel suo significato: prima deve essere tentato un bonario componimento con i proprietari dei fondi con l'offerta di un prezzo di vendita; se con il tentativo di bonario componimento non si riesce a realizzare l'obiettivo dell'acquisizione dell'area, l'Amministrazione pubblica può valutare se procedere a mezzo del procedimento espropriativo per come delineato dal d.P.R. n. 387 del 2001 ossia secondo il modello trifasico. Pertanto, dalla chiara interpretazione dell'art. 90 d.lgs. cit. si desume che non vi è un dovere dell'Amministrazione di esercitare i propri poteri espropriativi "per la realizzazione degli impianti e delle opere": il potere può essere attivato, secondo il modello procedimentale trifasico, dopo aver valutato e ponderato tutti gli interessi in conflitto: in proposito giova rilevare che non vi è un mero potere accertativo in capo all'Amministrazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio del potere espropriativo, ma la norma citata lascia integri i poteri valutativi dell'Amministrazione non solo circa la sussistenza degli indefettibili presupposti tratteggiati dalla legge, ma, altresì, dell'opportunità del ricorso allo strumento ablatorio, che deve essere considerato quale rimedio estremo per la realizzazione di una rete di telecomunicazione ad uso pubblico. Di tale procedimento elemento essenziale è la fase di apposizione del vincolo espropriativo che, secondo la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 9 del 2007, "apre e qualifica originariamente... l'intero procedimento nel cui alveo si innestano tendenzialmente attuativa i singoli segmenti", con la conseguenza che il vincolo espropriativo costituisce presupposto indefettibile e di carattere generale del procedimento espropriativo. 7.5. Alla luce di dette coordinate ermeneutiche di carattere generale va inquadrata la fattispecie in esame. Ivi le esigenze di concentrazione e di semplificazione valgono a caratterizzare il procedimento edilizio di rilascio dell'autorizzazione unica, ma non sono state indicate dal legislatore - per la chiarezza dei disposti normativi sopra richiamati e per la ratio di fondo delle garanzie che devono presiedere alla tutela del diritto di proprietà - quale fondamento giustificativo e legittimante la deroga alla disciplina trifasica sancita dal d.P.R. n. 327 del 2001. 7.6. Nel caso in esame, le coordinate ermeneutiche sopra indicate trovano un loro rafforzamento applicativo in ragione della già avvenuta, in punto di fatto, realizzazione dell'impianto sull'area di proprietà della ricorrente, di cui Vo. già aveva la piena e legittima disponibilità, confermata dalla reiterazione del rapporto locatizio. Alla luce della già avvenuta realizzazione dell'impianto, pertanto, l'ambito di esercizio del potere espropriativo ai sensi dell'art. 90, comma 3, d.lgs. n. 29 del 2003 era da ritenere fortemente limitato e comunque condizione da una adeguata ponderazione di tutte le posizioni egualmente meritevoli di tutela. 8. Con il secondo motivo del ricorso di primo grado la ricorrente ha dedotto la "Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 lg. 166/2002 in relazione all'art. 61 l.p. 10/1998 e d.P.P. 20.12.2012 n. 25-100/Leg. e art. 1 e ss. l.p. 6/1993; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per sviamento di potere, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione." L'art. 61 comma 7 della l.p. n. 10 del 1998 prevede espressamente che "la disciplina delle procedure di autorizzazione stabilita dalla legge provinciale n. 9 del 1997, dal regolamento che sarà emanato ai sensi del presente articolo e dal regolamento richiamato al comma 5 (d.P.P. 20.12.2012 n. 25-100/leg.) prevale sulle corrispondenti disposizioni della legge n. 36 del 2001 e del decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche)". Il provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con la richiamata normativa provinciale, che escluderebbe l'applicabilità delle prerogative procedurali, autorizzatorie ed espropriative previste dalla disciplina statale nelle materie che rientrano nella potestà legislativa ed amministrativa esclusiva della Provincia autonoma di Trento. 8.1. Il motivo è infondato. La disposizione dell'art. 61 comma 7 delle l.p. n. 10 del 1998 deve essere interpretata nel senso che si riferisce soltanto alle "procedure di autorizzazione" di cui agli artt. 86 e 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, per cui resta ferma l'applicazione della normativa statale in materia espropriativa e segnatamente del d.P.R. n. 327 del 2001. 9. Con il terzo motivo del ricorso di primo grado la ricorrente ha dedotto la "Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 lg. 166/2002 e degli art. 1 e ss. d.P.R. n. 327 del 2001 e l.p. 6/1993 in relazione anche agli artt. 1372 e 1375 c.c.; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per sviamento di potere, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione." 9.1. La ricorrente sostiene che, in applicazione della normativa statale e provinciale in materia espropriativa, l'esercizio del potere espropriativo possa esplicarsi unicamente per acquisire un bene privato se ed in quanto necessario alla realizzazione degli impianti (art. 90 co. 3 d.lgs. n. 259 del 2003) o alla realizzazione degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni o di terreni (art. 1 co. 2 d.P.R. n. 327 del 2001), ovvero in relazione ad un'opera o ad un intervento di interesse pubblico ancora da realizzare. Ciò risulta coerente con il principio di legalità del potere espropriativo (e dei connessi principi di tipicità e nominatività dell'azione amministrativa), che può essere esercitato nei soli casi espressamente previsti dalla legge (art. 2 d.P.R. n. 327 del 2001 e art. 1 l.p. n. 6 del 1993). Sono altre infatti le disposizioni di legge che possono consentire, al ricorrere degli stringenti ed eccezionali presupposti, l'acquisizione postuma e l'utilizzo di un bene privato senza titolo per scopi di interesse pubblico. 9.2. Sotto ulteriore profilo i provvedimenti impugnati risulterebbero illogici ed ingiusti, in quanto finirebbero per legittimare a posteriori un comportamento da parte di Vo. che si porrebbe in stridente contrasto con gli stessi canoni di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., cui era ed è tenuta ad osservare nella vigenza ed esecuzione del rapporto contrattuale. Tale comportamento si sarebbe concretizzato nel fatto che Vo. non ha richiesto l'attivazione del procedimento espropriativo quando avrebbe potuto richiederlo e inoltre ha stipulato nuovamente il contratto di locazione del 1 novembre 2007, manifestando anche in tale occasione il dichiarato intento di continuare a gestire la stazione radio base per ulteriori anni 9; successivamente e senza soluzione di continuità, Vo. ha rinnovato il rapporto sino al 30 ottobre 2022, rafforzando così in capo alla ricorrente il legittimo convincimento e affidamento ad una stabilità, continuità e certezza del rapporto contrattuale a cui successivamente la stessa Vo. ha inteso sottrarsi. Sarebbero altresì evidenti i profili di sviamento, di difetto di istruttoria e di motivazione non avendo Vo. fornito un adeguato riscontro ai rilievi critici evidenziati dal Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali della Provincia, che ha osservato: a) la mancanza di valide motivazioni a fondamento della pretesa richiesta espropriativa, "posto che la disponibilità delle aree a lungo termine può derivare anche da forme di uso delle aree diverse dalla proprietà (ad es. locazione)"; b) la necessità di documentare "ogni azione condotta dalla società al fine di valutare la presenza e localizzazione di aree alternative idonee e le ragioni della loro indisponibilità "; c) il carattere eccezionale dello strumento espropriativo, a cui si può ricorrere "solo laddove l'esproprio si dimostri l'unica soluzione perseguibile ai fini del mantenimento del servizio e della sua buona qualità ". 9.3. Il motivo è fondato. Non può essere sottaciuto come il legislatore abbia senz'altro conferito il dovuto rilievo al servizio di telecomunicazioni e alla sua finalizzazione a soddisfare esigenze di pubblica utilità, come anche è evidente che l'utilizzo dello strumento espropriativo, una volte riconosciute le ragioni di interesse generale per l'acquisizione in mano pubblica del bene, è rimesso alla ampia valutazione di merito dell'Amministrazione in relazione alla singola fattispecie concreta e all'esigenza di perseguire gli interessi di rilievo pubblico a mezzo del bene oggetto di ablazione. Proprio dall'applicazione di tali affermazioni al caso in esame si desume come i provvedimenti impugnati si connotino per essere incorsi nei rilevati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione giacché : I. il potere espropriativo è stato esercitato con riferimento ad una stazione radio base già realizzata per il cui mantenimento la società aveva ancora un titolo legittimo in corso (contratto di locazione); II. l'esercizio del potere espropriativo, in un caso così peculiare, avrebbe richiesto una più ampia valutazione circa il suo concreto esercizio in relazione agli interessi in conflitto apparendo insufficiente la sola considerazione per cui "l'impianto è già esistente e regolarmente autorizzato" da parte del Servizio gestioni patrimoniali e logistica con la determinazione n. 762 del 21 dicembre 2017; III. anche una volta effettuata la scelta discrezionale circa l'esercizio del potere espropriativo non sono state prese in considerazioni alternative localizzative né è stato dato riscontro alle osservazioni del Servizio del Servizio autorizzazioni e valutazioni ambientali della stessa Amministrazione. 10. Con il quarto motivo del ricorso di primo grado la ricorrente ha dedotto la "Violazione ed erronea applicazione dell'art. 90 e ss. d.lgs. 259/2003 e dell'art. 3 Lg. 166/2002; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per travisamento della realtà, per manifesta contraddittorietà, illogicità ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione." 10.1. L'art. 90, comma 3, d.lgs. n. 259 del 2003 prescrive, quale presupposto procedurale per l'avvio della procedura di esproprio, che "siano andati falliti o non sia stato possibile effettuare, tentativi di bonario componimento con i proprietari dei fondi sul prezzo di vendita offerto, da valutarsi da parte degli uffici tecnici erariali competenti". Nel caso in esame non si sarebbero verificati i presupposti previsti dalla disposizione citata poiché il tentativo di bonario componimento di Vo. ha riguardato un diritto diverso rispetto al diritto di proprietà ("diritto di superficie" a termine per un periodo di anni 99), una superficie maggiore e un prezzo determinato unilateralmente (e non invece "valutato da parte degli uffici tecnici erariali competenti") rispetto a quanto disposto nella successiva fase espropriativa con il decreto impugnato. 10.2. Il motivo è fondato giacché risulta che il tentativo di "bonario componimento" sia stato effettuato con la proposta dell'8 febbraio 2016 in relazione alla acquisizione di un diritto di superficie a termine mentre la procedura espropriativa avviata dall'Amministrazione ha avuto riguardo al diritto di proprietà sull'area della ricorrente su cui insiste l'impianto di stazione radio base. Vi è quindi un disallineamento tra il tentativo di bonario componimento ex art. 90, comma 3, d.lgs. cit. e quanto in concreto proposto. 11. Con il quinto morivo del ricorso di primo grado la ricorrente ha dedotto la "Violazione ed erronea applicazione degli artt. 4 e 6 l.p. 6/1993 in relazione anche agli artt. 24 e 27 l.p. 23/1992 e artt. 7 e 10 lg. 241/1990; eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, per violazione del principio del giusto procedimento, per manifesta illogicità, ingiustizia ed irragionevolezza; omessa e comunque erronea motivazione." 11.1. Il decreto provinciale che ha autorizzato Vo. all'esecuzione dell'espropriazione ai sensi dell'art. 6 l.p. 6/1993 e la dichiarazione di pubblica utilità non risulterebbero motivatamente disposte, né avrebbero espressamente menzionato che l'espropriazione potrebbe discendere da una precisa e cogente norma di legge. 11.2. Inoltre non sarebbe stato garantito alla proprietà dell'area incisa il diritto al doveroso contraddittorio ex artt. 24 e 27 l.p. 23/1992, a fronte delle ulteriori deduzioni formulate da Vo. in data 11 dicembre 2017 in pretesa "replica" alle sole osservazioni invece consentite alla deducente ricorrente, ciò che sarebbe stato necessario attesa la istruttoria "sbilanciata" del procedimento espropriativo. 11.3. La prima censura è infondata in relazione a quanto affermato al § 8 e 8.1. in relazione alla applicabilità della l.p. n. 6 del 1993 alla fattispecie in esame. 11.4. La seconda censura coglie nel segno ed è fondata poiché, da un lato, la incisione del diritto di proprietà in costanza del rapporto locatizio avrebbe necessitato di un contraddittorio pieno in presenza di ulteriori osservazioni recate dalla Vo. nel procedimento con le note del 27 giugno 2017 e con la relazione tecnica del 6 novembre 2017, dall'altro, non è trova applicazione l'art. 21 octies l. n. 241 del 1990 s.m.i. poiché l'amministrazione (né Vo. per tutte le motivazioni sopra espresse) non ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. 12. Conclusivamente l'appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado. 13. La complessità e la novità delle questioni trattate consentono la compensazione delle spese del giudizio tra le parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello r.g.n. 486/2019, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado. Compensa le spese di giudizio tra le parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 14 luglio e 27 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Gambato Spisani - Presidente FF Alessandro Verrico - Consigliere Nicola D'Angelo - Consigliere Michele Conforti - Consigliere Emanuela Loria - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1263 del 2018, proposto da Ma. Ho., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Co. e Ma. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Co. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione Autonoma di Bolzano, n. 244/2017, resa tra le parti, declaratoria della nullità rispettivamente inefficacia dei seguenti atti amministrativi: 1. ordinanza Nr. 9/2015, protocollo E/2792 del 16 novembre 2015 del Sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (ordinanza per il ripristino dello stato dei luoghi dei lavori irregolari sulla p.f. (omissis), CC (omissis)); 2. ordinanza Nr. 8/2015, protocollo E/2303 del 23 settembre 2015 del sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (ordinanza di immediata sospensione dei lavori irregolari sulla p.f. (omissis), CC (omissis)); 3. (ove occorrente) dell'ivi menzionato protocollo dell'8 settembre 2015 dal tecnico comunale Ha. St. e dal poliziotto comunale Ar. Br.; 4. (ove occorrente) comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo protocollo Nr./1982 del 24 agosto 2015; 5. ordinanza Nr. 17/2016, protocollo BM2893 del 31 ottobre 2016 del sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire ordinata con provvedimento n. 9/2015 del 16/11/2015 e ordinanza in riguardo a provvedimenti necessari); 6. ogni altro atto presupposto e preparatorio, nonché ogni altro atto successivo ed esecutivo, anche ove non conosciuto rispettivamente non menzionato esplicitamente. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Thomas Mathà e uditi per la parte appellante l'avvocato Ma. Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. A seguito di segnalazioni da parte dei Vigili del Fuoco (comunicazione del 7.7.2015) e dei soccorritori della Croce Bianca (nota del 9.7.2015) nonché effettuato un sopralluogo dal tecnico comunale (verbale del 8.9.2015), su un'area di comproprietà della signora Ma. Ho., il Comune di (omissis) ha accertato lavori in corso per una modifica abusiva di una strada privata insistente sulla p.f. (omissis) del C.C. (omissis), che serve all'accesso agli edifici residenziali paese n. (omissis). 2. L'abusività veniva ritenuta in base di opere consistenti in cordoli di pietra e paracarri che hanno ristretto la carreggiata, e tale restringimento della careggiata risulta senza previo titolo edilizio. Questo comportava l'impossibilità per i mezzi di soccorso a raggiungere altri edifici e, stante anche il pericolo in caso di incendi o necessità di soccorso sanitario, il Comune prima comunicava, con lettera del 24.8.2015 ai comproprietari e l'amministratore condominiale, l'avvio della procedura di accertamento dell'abuso, seguito dall'ordinanza n. 8/2015, disponendo il fermo dei lavori e l'ordinanza n. 9/2015, con la quale ingiungeva - per le medesime opere - la demolizione ed il ripristino, ed infine l'ordinanza n. 17/2016 - stante l'inottemperanza - disponeva il ripristino dello stato quo ante d'ufficio. 3. Ritenendo i provvedimenti repressivi illegittimi, la signora Ho. li ha impugnati con ricorso al T.R.G.A. del Trentino-Alto Adige/Sü dtirol, Sezione Autonoma di Bolzano, deducendo sette motivi di censure. Il Comune di (omissis) è rimasto contumacie. L'adito Tribunale, con sentenza 20/7/2017, n. 244, lo ha rigettato, respingendo tutte le doglianze. 4. Avverso la sentenza la signora Ho. ha proposto appello, la quale ha poi ulteriormente argomentato le proprie tesi con successiva memoria. 5. Nonostante la rituale evocazione dell'amministrazione intimata, il Comune di (omissis) non si è costituto neanche nel grado di appello. 6. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023 la causa è, definitivamente, passata in decisione. 7. I motivi di censura, sostanzialmente riproposti anche se adattati alla decisione di primo grado, non meritano condivisione. 8. Con il primo motivo (riguardante il primo motivo di primo grado e consistente a censura l'illegittimità delle ordinanze n. 8 e 9 del 2015 per mancata comunicazione) si denuncia l'errore commesso dal Tribunale nel ritenere che l'ordinanza di ripristino poteva anche essere notificata al solo esecutore dell'opera abusiva e non necessariamente anche ai singoli proprietari, comportante eventualmente l'inefficacia nei suoi confronti. L'appellante invece sostiene che la mancata notificazione comporti l'eccesso di potere, avendo prima comunicato a lei l'avvio del procedimento. Dall'inefficacia dell'ordinanza deriverebbe l'inoppugnabilità e l'inutilità in merito agli atti successivi. 8.1 La doglianza non ha pregio, potendo su questo punto confermare l'assunto del T.R.G.A., sulla scorta del costante orientamento della Giustizia Amministrativa che l'ingiunzione di provvedimenti di repressione edilizia prevista dall'art. 31 del DPR 380/2001 è notificata anche solo all'autore (presunto) dell'abuso, chiarendo che "L'omessa o irregolare notificazione dell'ordine di demolizione non incide, infatti, sulla legittimità dell'atto, bensì sulla sua efficacia, tenuto conto che la mancata piena conoscenza della determinazione amministrativa, pur impedendo la decorrenza dei termini (sostanziali) di ottemperanza all'ordine demolitorio o (processuali) di impugnazione giurisdizionale, non determina l'illegittimità della determinazione provvedimentale assunta, non incidendo sulla completezza dei suoi elementi costitutivi (Consiglio di Stato, sez. sez. VI, 19 gennaio 2018, n. 345; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. II,20 maggio 2019, n. 3215, secondo cui "quanto la notificazione, in ossequio ad un consolidato insegnamento giurisprudenziale, consiste in un'attività partecipativa, di integrazione dell'efficacia, estrinseca alla formazione della volontà dell'Amministrazione")" (Cons. Stato, Sez. VI, n. 1745/2020). 9. Con la seconda censura l'appellante critica la sentenza del TRGA nella parte che ha respinto il secondo ordine di censure di primo grado, e concernenti la mancata considerazione delle controdeduzioni rese dalla ricorrente dopo l'avvio della procedura. Orbene, la signora Ho. afferma che lo scambio di opinioni menzionato dal TRGA era avvenuto prima della comunicazione dell'avvio del procedimento e non sostituirebbe una presa di posizione, da collocarsi all'interno del provvedimento conclusivo del procedimento avviato. La dialettica formalizzata prevista dalla normativa sul procedimento amministrativo non potrebbe essere sostituita dal colloquio informale. La circostanza che il Comune di (omissis) non aveva ritenuto apprezzabile la posizione dei condomini non costituirebbe una dimostrazione dell'efficacia del contributo dei privati al procedimento amministrativo. La sentenza appellata violerebbe i principi di partecipazione, oltre ad essere viziata per carenza motivazionale e contraddittorietà, considerando irrilevante la mancanza di una presa di posizione del Comune di (omissis) sulle osservazioni presentate. 9.1 Anche questa censura è destituita di fondamento. Al di là dell'effettivo dia tra cittadino ed amministrazione, avvenuto nel caso di specie, ed è ininfluente in quale momento, essendo l'oggetto dell'abuso rimasto sempre identico, che comporta che la ratio della norma sia stata rispettata senza che l'istituto diventi art pour l'art (come correttamente ritenuto dal primo Giudice), è giurisprudenza consolidata non solo che gli abusi edilizi non perdono la legittimità se non sono preceduti dall'avvio del procedimento, essendo di natura vincolata, (da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, n. 348/2023) ma è anche stato chiarito più volte che la mancata considerazione delle rispettive controdeduzioni, stante la natura vincolata dell'atto e che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato ai sensi dell'art. 21-octies della legge 241/1990, non è illegittimo (ex multis Cons. Stato, sez. VI, n. 395/2023). La mancanza di un qualsiasi previo titolo abilitativo nel caso di specie è sufficiente per giungere a tale conclusione. 10. Con la terza doglianza viene riproposto il terzo motivo del ricorso di primo grado, volto a denunciare il mancato rispetto del termine procedimentale di cui all'art. 80 della legge urbanistica provinciale, che invece il T.R.G.A. ha respinto, accertando che tale termine (tra fermo lavori e demolizione) non è decadenziale. 10.1 Il motivo è manifestamente infondato, essendosi l'appellante limitata ad affermare che dall'intempestività dell'intervento del Comune emergerebbe che questo non avrebbe agito per reprimere un presunto abuso edilizio, ma avrebbe cercato di intervenire a favore di alcuni concittadini mediante i descritti provvedimenti in materia di edilizia, mentre la successiva adozione delle ordinanze comproverebbe il contrario. Ma l'appellante non riesce a confutare con nessun ulteriore argomento la natura decadenziale (che non c'è ) del termine, e l'affermazione che tale comportamento del Comune non seguirebbe la sua pubblica funzione, ma avrebbe favorito altri privati, non solo è inopportuna e.d illogica, ma non è supportata da nulla. 11. Il Collegio giunge ora al quarto motivo del ricorso, che - riprendendo il quarto motivo di prime cure (e che i lavori non potrebbero essere qualificati come una modifica edilizia del territorio e quindi sarebbero opere di edilizia libera) - critica l'assunto del Giudice bolzanino che abbia errato a considerare le opere sulla strada un intervento che necessita il previo titolo abilitativo. 11.1 Su questo punto il T.R.G.A, ha chiarito che "Come risulta dall'impugnata ordinanza di demolizione, si tratta nella fattispecie in esame delle seguenti opere: "- che la strada d'accesso ai edifici d'abitazione a (omissis) paese n. (omissis), n. (omissis) e alla area agricola sottostante, sulla p.f. (omissis), C.C. di (omissis), è stata modificata rilevante risp. restringinto con cordoli e pietre verticali di granito di altezza ca. 0,70 metri (paracarri); - che la strada d'accesso presente solamente una larghezza di 2,34 metri al passaggio più stretto; - che l'accesso ai parcheggi ormai è stata ampliata dalla strada comunale; ". Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente non si tratta nella fattispecie in esame di semplici interventi edilizi privi di rilevanza urbanistica. La giurisprudenza, che comprende quella di questo Tribunale, ha ripetutamente accertato che tutte le opere edilizie ancorate stabilmente al terreno, che hanno cioè un collegamento duraturo fisico e funzionale con lo stesso e che modificano la struttura territoriale preesistente nel senso che comportino una modifica tale da esplicare effetti sull'ambiente e sull'aspetto o anche solo sulla funzione, rappresentano una trasformazione sotto il profilo urbanistico ed edilizio. Una trasformazione urbanistica del territorio sussiste quindi sempre quando le opere eseguite siano rilevanti per l'area, sia di tipo estetico che di tipo funzionale. In particolare sono soggetti a concessione tutti gli interventi che comportino una modifica permanente dell'area e ciò anche quando non si tratti di opere in muratura, ma soltanto di un manufatto che poggi sul terreno. In tal senso vanno viste le opere di delimitazione eseguite sulla strada d'accesso e costituite da un cordolo di pietre e da paracarri di 70 cm di altezza, i quali sono soggetti a concessione, per cui la loro realizzazione in assenza di concessione edilizia rappresenta un abuso edilizio. Non coglie il segno nemmeno il raffronto con le opere indicate all'art. 6 della legge 380/2001. Non si tratta qui della pavimentazione di una strada o di piccole opere di contorno dell'area esterna, ma della messa in opera, tra l'altro, di paracarri di 70 cm di altezza. In tale contesto va anche sottolineato che i motivi per l'esecuzione di tali opere sono del tutto irrilevanti ai fini dell'obbligatorietà della concessione edilizia e non possono mai essere tali da escludere questo obbligo. Per questo è irrilevante che le opere di cui qui è causa siano state realizzate a scopo di manutenzione resasi necessaria dall'attività edilizia del Comune di (omissis) sull'area di pertinenza dell'edificio. Per valutare se per la realizzazione di un determinato manufatto sia necessaria una concessione edilizia vale esclusivamente il criterio suddetto della trasformazione urbanistico edilizia del territorio. L'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato originario è pertanto legittima." 11.2 Con il motivo in oggetto l'appellante ritorna però in sostanza all'argomentazione spesa in primo grado, ma come esaminato prima puntualmente scrutinato dal T.R.G.A., senza che la ricorrente aggiunga nulla di nuovo. Non comportando, a dire della signora Ho., un aggravio al carico urbanistico non sarebbe dovuto un contributo per una concessione edilizia (art. 66 L.U.P.), inoltre sarebbe inconferente il richiamo giurisprudenziale del primo Giudice, il caso de quo non avrebbe invece trattato strutture appoggiate al terreno senza esservi ancorate ("bar apreski"). Le opere contestate non rientrerebbero nella tipologia di interventi previsti dalla normativa urbanistica. 11.3 Anche questa censura non convince il Collegio, che invece deve richiamare l'orientamento sereno di questo Consiglio di Stato che ha chiarito più volte che, non solo l'aumento di volume di cubatura o superficie utilizzabile ai fini urbanistici è decisivo per la necessità che l'ente preposto rilasci un titolo edilizio abilitativo, ma quando la stabile trasformazione del terreno implichi un notevole cambiamento dell'assetto urbanistico (Cons. Stato, sez. VI, n. 200/2023; n. 9068/2022; id., sez. VII, n. 10847/2022; id., sez. II, n. 8778/2022). L'appellante non riesce ad avviso del Collegio a confutare il corretto e puntuale ragionamento del T.R.G.A. che ha dedotto, e la Sezione non vede alcun motivo per discostarsi, che la restrizione di una strada è idonea a comportare una trasformazione permanente e non precaria ed alterare la situazione viabilistica connondo chiaramente (anche in termini di superficie) la modifica urbanistica. L'aspetto "qualitativo" (mancante) invocato da parte dell'appellante e la tesi che si sarebbe solo sostituito una situazione preesistente non coglie nel segno, essendo effettivamente irrilevante nel caso di specie, come ha correttamente delibato il primo giudice. Né si può seguire la ricorrente nell'asserita violazione del principio di proporzionalità e sviamento, in quanto la pubblica sicurezza è sicuramente un valido motivo per l'intervento dell'ente locale, e non eccede l'obiettivo perseguito dalla misura ripristinatoria. 12. Per quanto riguarda il quinto motivo di censura (riguardante il quinto motivo di primo grado, volto a dolersi della mancanza di comunicazione di avvio di procedimento per l'ordinanza di demolizione), è sufficiente richiamare quanto già accertato sub 9.1 in merito alla legittimità di questi atti repressori di abusi edilizi, che non sono preceduti da una previa comunicazione dell'avvio di procedimento. 13. Il sesto ordine di censure (avente come oggetto la sesta censura spiegata in primo grado, con il quale si denunciava, sotto altro profilo, l'irrilevanza delle opere riscontrate e la loro insussistente abusività ) concerne la statuizione del T.R.G.A. che non avevo condiviso che la previa acquisizione dell'area interessata costituisca una violazione del principio di proporzionalità, che doveva essere notificata ai proprietari. 13.1 Il primo giudice, affrontando la specifica censura, ha ritenuto che "Nell'impugnato provvedimento n. 17/2016 l'amministrazione si richiama espressamente ai commi 2 e 3 dell'articolo 81 della legge urbanistica provinciale. Il comma 2 dispone: "L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per l'intavolazione nel libro fondiario, che deve essere eseguita gratuitamente". Dalla lettera del citato comma 2 risulta che in mancanza della notifica ai proprietari l'ordinanza non costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per l'intavolazione nel libro fondiario, pertanto, non essendo stata notificata l'ordinanza ai proprietari, nella fattispecie in esame va esclusa la possibilità dell'immissione in possesso e intavolazione. Come risulta inoltre dal provvedimento impugnato l'amministrazione in palese applicazione di tale norma ha anche evitato qualsiasi richiamo ad un eventuale acquisizione, limitandosi a disporre la demolizione in conformità al successivo comma 2. Tale comma 3 dispone quanto segue: "L'opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali". Come risulta dal provvedimento impugnato l'amministrazione ha esplicitamente rinunciato a deliberare sull'eventuale acquisizione dell'opera abusiva ordinandone solo la demolizione." 13.2 L'appellante ritiene che tale assunto sia contraddittorio e traviserebbe i fatti, oltre il dato letterale della norma, in quanto l'amministrazione comunale doveva far riferimento all'art. 95 e non all'art. 81 della legge urbanistica provinciale (n. 13/1997, ratione temporis vigente). 13.3 La doglianza non ha pregio. Come è noto, l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale è l'ultima fase della procedura repressiva, ma l'amministrazione comunale ha voluto (e dovuto) procedere prioritariamente al ripristino della legalità, disponendo la demolizione ed il ripristino della carreggiata preesistente (che, come si è visto, è stato lamentato da Vigili del Fuoco e Croce Bianca per evidenti ragioni di allerta). Da questo discende la legittimità dell'operato dell'ente comunale, potendo, infine, sempre procedere all'ultima serie di sanzione, che, in caso di inottemperanza alla demolizione, prevede appunto il passaggio del possesso e della proprietà alla P.A. Ma solo la circostanza che il comma 3 (demolizione) dell'art. 81 sia collocato dopo il comma 2 (acquisizione gratuita) non costituisce necessità di procedere previamente ad acquisire prima il sedime dell'area per poter procedere alla demolizione d'ufficio. 14. Con l'ultimo motivo d'appello viene criticata la parte della sentenza gravata che aveva rigettato il settimo motivo di primo grado, teso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 95 della L.U.P., l'eccesso di potere per abuso di poteri pubblici, difetto di istruttoria, travisamento di fatti, difetto di motivazione e motivazione contraddittoria nonché grave illogicità . L'odierna appellante aveva affermato che il Comune avesse incaricato una ditta per eseguire i lavori di demolizione senza una previa valutazione tecnica- finanziaria e senza richiedere la proposta di cinque nominativi da parte del direttore dell'ufficio regionale per l'edilizia pubblica. Inoltre, la ricorrente contestava l'ammontare delle spese. Il TRGA invece era dell'avviso che il provvedimento è scevro di censure, avendo l'ordinanza n. 17/2006 affidato i lavori ad un'impresa abilitata, senza alcun preciso elemento da parte della ricorrente che potesse provare la violazione della norma, accertando anche l'impossibilità (stante la mancanza di una fattura allegata) di esprimersi sul quantum. 14.1 Anche questo motivo non può essere condiviso. L'appellante afferma nel ricorso che "sembra che i lavori di ripristino siano stati eseguiti da un un'impresa incaricata dal Comune di (omissis) senza previa valutazione tecnico-economica, e senza ricorrere alle procedure previste dall'articolo 95, commi 2 e 3 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13" e "Anzi: sembra proprio che non vi sia stato nessun affidamento formale e che i lavori siano stati eseguiti dalla medesima impresa che aveva effettuato i lavori contestati dal Comune medesimo." Orbene, questo Collegio non ritiene che ciò possa integrare un valido "principio" di prova, onere a suo carico in base all'art. 64 cod. proc. amm., ma risulta generico e approssimativo (se non speculativo), limitandosi ad affermare di aver effettuato ricerche sul sito istituzionale del Comune (senza però allegare nulla). Nulla poi viene dedotto sulle spese neanche in questo grado di appello, che il Comune avrebbe nel frattempo caricato all'autore dell'abuso. 15. L'appello va, in definitiva, respinto. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza gravata. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Andrea Pannone - Presidente FF Alessandro Maggio - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1266 del 2018, proposto da As. Ma. Pl., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Co. e Ma. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Co. in Roma, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del T.R.G.A. - Sezione Autonoma di Bolzano, n. 243/2017, resa tra le parti, declaratoria della nullità rispettivamente inefficacia dei seguenti atti amministrativi: 1. ordinanza Nr. 9/2015, protocollo E/2792 del 16 novembre 2015 del Sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (ordinanza per il ripristino dello stato dei luoghi dei lavori irregolari sulla p.f. (omissis), CC (omissis)); 2. ordinanza Nr. 8/2015, protocollo E/2303 del 23 settembre 2015 del sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (ordinanza di immediata sospensione dei lavori irregolari sulla p.f. (omissis), CC (omissis)); 3. (ove occorrente) dell'ivi menzionato protocollo dell'8 settembre 2015 dal tecnico comunale Ha. St. e dal poliziotto comunale Ar. Br.; 4. (ove occorrente) comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo protocollo Nr./1982 del 24 agosto 2015; 5. ordinanza Nr. 17/2016, protocollo BM2893 del 31 ottobre 2016 del sindaco del Comune di (omissis) avente per oggetto (accertamento dell'in ottemperanza alla ingiunzione a demolire ordinata con provvedimento n. 9/2015 del 16/11/2015 e ordinanza in riguardo a provvedimenti necessari); 6. ogni altro atto presupposto e preparatorio, nonché ogni altro atto successivo ed esecutivo, anche ove non conosciuto rispettivamente non menzionato esplicitamente. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Thomas Mathà e uditi per la parte appellante l'avvocato Ma. Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. A seguito di segnalazioni da parte dei Vigili del Fuoco (comunicazione del 7.7.2015) e dei soccorritori della Croce Bianca (nota del 9.7.2015) nonché effettuato un sopralluogo dal tecnico comunale (verbale del 8.9.2015), su un'area di comproprietà della signora As. Ma. Pl., il Comune di (omissis) ha accertato lavori in corso per una modifica abusiva di una strada privata insistente sulla p.f. (omissis) del C.C. (omissis), che serve all'accesso agli edifici residenziali paese n. (omissis) e (omissis). 2. L'abusività veniva ritenuta in base di opere consistenti in cordoli di pietra e paracarri che hanno ristretto la carreggiata, e tale restringimento della careggiata risulta senza previo titolo edilizio. Questo comportava l'impossibilità per i mezzi di soccorso a raggiungere altri edifici e, stante anche il pericolo in caso di incendi o necessità di soccorso sanitario, il Comune prima comunicava, con lettera del 24.8.2015 ai comproprietari e l'amministratore condominiale, l'avvio della procedura di accertamento dell'abuso, seguito dall'ordinanza n. 8/2015, disponendo il fermo dei lavori e l'ordinanza n. 9/2015, con la quale ingiungeva - per le medesime opere - la demolizione ed il ripristino, ed infine l'ordinanza n. 17/2016 - stante l'inottemperanza - disponeva il ripristino dello stato quo ante d'ufficio. 3. Ritenendo i provvedimenti repressivi illegittimi, la signora Pl. li ha impugnati con ricorso e con motivi aggiunti al T.R.G.A. del Trentino-Alto Adige/Sü dtirol, Sezione Autonoma di Bolzano, deducendo quattro motivi di censure con il ricorso introduttivo e sei motivi aggiunti. Il Comune di (omissis) è rimasto contumacie. L'adito Tribunale, con sentenza 19/7/2017, n. 243, lo ha rigettato, ritenendo il ricorso introduttivo ed i primi 4 dei 6 motivi aggiunti inammissibili, respingendo per il resto le doglianze in quanto infondate. 4. Avverso la sentenza la signora Pl. ha proposto appello, la quale ha poi ulteriormente argomentato le proprie tesi con successiva memoria. 5. Nonostante la rituale evocazione dell'amministrazione intimata, il Comune di (omissis) non si è costituto neanche nel grado di appello. 6. Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023 la causa è, definitivamente, passata in decisione. 7. I motivi di censura non meritano condivisione e l'appello va rigettato. 8. Con il primo motivo del ricorso l'appellante contesta la sentenza del T.R.G.A. nella parte che ha ritenuto inammissibile il ricorso introduttivo, per mancanza di firma della procura sulla copia notificata e depositata, e per derivazione anche i motivi aggiunti 1-4. 8.1 Il TRGA ha motivato l'inammissibilità "ai sensi dell'art. 35, comma 1, lettera b) c.p.a. per mancanza della procura alle liti. Ai sensi dell'art. 22 c.p.a. nei giudizi davanti al Tribunale amministrativo il patrocinio legale è obbligatorio. A tale scopo è necessaria una procura alle liti (art. 24 c.p.a. e art. 83 c.p.c.) che può essere rilasciata su foglio separato o essere apposta, in forma di procura speciale, a margine del ricorso (art. 83, comma 3, c.p.c). La procura a margine del ricorso deve riportare la firma del ricorrente autenticata dall'avvocato. Ai sensi dell'art. 40, comma 1, lettera g) c.p.a. nel ricorso firmato dal solo avvocato deve essere indicata la procura speciale. In mancanza di tale indicazione ovvero della procura speciale a margine del ricorso, la firma dell'avvocato non è valida, e il ricorso, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera a) c.p.a. è nullo (ex multis: Consiglio di Stato, IV sezione, n. 5054/2014; Consiglio di Stato, VI sezione, n. 5054/2014; TAR Campania, Napoli, V sezione n. 7273/2002; TAR Campania, Salerno, n. 993/2002). La nullità del ricorso non è sanabile con presentazione di una copia non notificata del ricorso con procura a margine. Di conseguenza il ricorso introduttivo, ai sensi dell'art. 35, comma 1, lettera b) c.p.a., va dichiarato inammissibile." 8.2 La ricorrente fonda la censura sui seguenti ragionamenti: - la giurisprudenza della Cassazione avrebbe chiarito che sarebbe un onere del Giudice di "avviare una sanatoria" e sarebbe stato necessario concedere l'errore scusabile, ponendo al prudente apprezzamento di fatti e circostanze, di conseguire una ragionevole certezza in ordine alla provenienza dalla parte del potere di rappresentanza ed alla riferibilità della procura stessa al giudizio di cui trattasi; - nel caso oggetto del giudizio la ricorrente avrebbe rilasciato la procura ad impugnare l'ordinanza 9/2015 che ordinava il ripristino, ma poi anche rilasciato una separata procura per impugnare la successiva ordinanza 17/2016; - la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione in tema di inammissibilità o improcedibilità dei ricorsi sarebbe da tempo interessata da un'impronta coerenziatrice di questo segno, ispirata dall'art. 6 p. 1 della Convenzione EDU, che tutela il "diritto a un tribunale", di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto particolare; - secondo l'appellante, il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione "può " assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, ma questo dovrebbe essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dall'art. 46, comma 2, della l. n. 69 del 2009, nel senso che il giudice "deve" promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali; - il T.R.G.A. avrebbe dichiarato l'inammissibilità richiamando in modo sintetico gli articoli 22, 35, 40 e 44 del codice del processo amministrativo, ma non avrebbe considerato invece l'articolo 39 del cod. proc. amm., che a sua volta contiene il cosiddetto rinvio esterno ed al comma 1 reca: Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali; - la giurisprudenza riportata dal T.R.G.A. a sostegno della decisione (del Consiglio di Stato e del TAR per la Campania) sarebbe solo parzialmente conferente; - si dovrebbe presumere che il ricorso sia stato esaminato già in fase cautelare ed un rilievo da parte dell'organo giudicante avrebbe permesso una rinotifica tempestiva. 8.3 La Sezione rileva che sul punto la sentenza gravata resiste alle critiche, dovendo confermare l'inammissibilità del ricorso introduttivo, e, per chiara derivazione a cascata, anche i primi quattro motivi aggiunti (presupponendo la validità dell'impugnazione del provvedimento presupposto mediante ricorso introduttivo). In primis, in quanto la citata sentenza della Quarta Sezione (n. 5054/2014) non sarà totalmente identica al caso di specie, ma è comunque sovrapponibile, essendo stato scrutinato una vertenza con domande simili, ove il TAR Veneto prima, confermato dal Consiglio di Stato, hanno accertato la procura mancante, e poi la impossibile sanatoria considerando che "non appare revocabile in dubbio che l'art. 44 comma 1, lett. a) del cpa, prevede espressamente la sanzione della nullità del ricorso nella ipotesi di mancanza di sottoscrizione. (...) Della insanabilità del vizio in simili ipotesi non appare possibile controvertere (ex aliis Cass. civ. Sez. I, 25-09-1998, n. 9620). (...) "solo l'avvocato munito di procura alle liti può eseguire direttamente le notifiche, la notifica eseguita dal procuratore semplice domiciliatario è da ritenere inesistente anziché nulla, con conseguente impossibilità di applicare l'istituto della sanatoria per raggiungimento dello scopo, prevista per i soli casi di nullità dall'art. 156 cod. proc. civ.")." Da tale assunto anche questo Collegio non vede nessun motivo per discostarsi, nel caso di specie, anche se la decisione richiamata non si occupava dell'art. 39 cod. proc. amm., in merito al rinvio esterno al c.p.c., irrilevante nel caso di questo giudizio. In secundis, non coglie nel segno che la prova (ex post) di ulteriori procure firmate erano fatte, se non conosciute all'atto della notifica e del deposito del ricorso, per ovvia garanzia della difesa delle parti chiesta dal legislatore. Inconferente risulta anche la doglianza che l'errore doveva essere contestato in sede di cautelare, essendo tale scrutinio per natura solo di sommaria cognizione, e senza che il Giudice possa esaminare approfonditamente tutti gli aspetti del ricorso. Nemmeno convince la tesi che esista un "dovere" del Giudice a concedere la sanatoria, dove il tenore letterale della norma parla di "può ", e sul resto è solo l'interpretazione dell'appellante a "codificare" tale obbligo. Deve essere richiamata invece la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che recentemente ha ribadito che "l'art. 40, co. 1, lett. g), c.p.a., stabilisce che il ricorso deve contenere "la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale". L'art. 44, co. 1, lett. a) prevede che il ricorso è nullo se manca la sottoscrizione. L'appello in esame non reca alcuna sottoscrizione del difensore, per il quale non è allegata la procura, né con firma digitale, ai sensi dell'art. 136, comma 2-bis, c.p.a., né con firma autografa. Pertanto l'appello deve essere dichiarato inammissibile." (Cons. Stato, sez. II, n. 9611/2022). 9. In ordine al secondo motivo di appello (riguardante il quinto dei motivi aggiunti, con il quale si denunciava l'irrilevanza delle opere riscontrate e la loro insussistente abusività ) concerne la statuizione del T.R.G.A. che non avevo condiviso che la previa acquisizione dell'area interessata costituisca una violazione del principio di proporzionalità, che doveva essere notificata ai proprietari. 9.1 Il primo giudice, affrontando la specifica censura, ha ritenuto che "Nell'impugnato provvedimento n. 17/2016 l'amministrazione si richiama espressamente ai commi 2 e 3 dell'articolo 81 della legge urbanistica provinciale. Il comma 2 dispone: "L'accertamento dell'inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma, previa notifica all'interessato, costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per l'intavolazione nel libro fondiario, che deve essere eseguita gratuitamente". Dalla lettera del citato comma 2 risulta che in mancanza della notifica ai proprietari l'ordinanza non costituisce titolo per l'immissione nel possesso e per l'intavolazione nel libro fondiario, pertanto, non essendo stata notificata l'ordinanza ai proprietari, nella fattispecie in esame va esclusa la possibilità dell'immissione in possesso e intavolazione. Come risulta inoltre dal provvedimento impugnato l'amministrazione in palese applicazione di tale norma ha anche evitato qualsiasi richiamo ad un eventuale acquisizione, limitandosi a disporre la demolizione in conformità al successivo comma 2. Tale comma 3 dispone quanto segue: "L'opera acquisita deve essere demolita con ordinanza del sindaco a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali". Come risulta dal provvedimento impugnato l'amministrazione ha esplicitamente rinunciato a deliberare sull'eventuale acquisizione dell'opera abusiva ordinandone solo la demolizione." 9.2 L'appellante ritiene che tale assunto sia contraddittorio e traviserebbe i fatti, oltre il dato letterale della norma, in quanto l'amministrazione comunale doveva far riferimento all'art. 95 e non all'art. 81 della legge urbanistica provinciale (n. 13/1997, ratione temporis vigente). 9.3 La doglianza non ha pregio. Come è noto, l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale è l'ultima fase della procedura repressiva, ma l'amministrazione comunale ha voluto (e dovuto) procedere prioritariamente al ripristino della legalità, disponendo la demolizione ed il ripristino della carreggiata preesistente (che, come si è visto, è stato lamentato da Vigili del Fuoco e Croce Bianca per evidenti ragioni logiche). Da questo discende la legittimità dell'operato dell'ente comunale, potendo, infine, sempre procedere all'ultima serie di sanzione, che, in caso di inottemperanza alla demolizione, prevede appunto il passaggio del possesso e della proprietà alla P.A. Ma solo la circostanza che il comma 3 (demolizione) dell'art. 81 sia collocato dopo il comma 2 (acquisizione gratuita) non costituisce necessità di procedere previamente ad acquisire prima il sedime dell'area per poter procedere alla demolizione d'ufficio. 10. Con l'ultimo motivo d'appello viene criticata la parte della sentenza gravata che aveva rigettato il sesto motivo aggiunto di primo grado, teso a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 95 della L.U.P., l'eccesso di potere per abuso di poteri pubblici, difetto di istruttoria, travisamento di fatti, difetto di motivazione e motivazione contraddittoria nonché grave illogicità . L'odierna appellante aveva affermato che il Comune avesse incaricato una ditta per eseguire i lavori di demolizione senza una previa valutazione tecnica-finanziaria e senza richiedere la proposta di cinque nominativi da parte del direttore dell'ufficio regionale per l'edilizia pubblica. Inoltre, la ricorrente contestava l'ammontare delle spese. Il T.R.G.A. invece era dell'avviso che il provvedimento è scevro di censure, avendo l'ordinanza n. 17/2006 affidato i lavori ad un'impresa abilitata, senza alcun preciso elemento da parte della ricorrente che potesse provare la violazione della norma, accertando anche l'impossibilità (stante la mancanza di una fattura allegata) di esprimersi sul quantum. 10.1 Anche questo motivo non può essere condiviso. L'appellante afferma nel ricorso che "sembra che i lavori di ripristino siano stati eseguiti da un un'impresa incaricata dal Comune di (omissis) senza previa valutazione tecnico-economica, e senza ricorrere alle procedure previste dall'articolo 95, commi 2 e 3 della legge provinciale 11 agosto 1997, n. 13" e "Anzi: sembra proprio che non vi sia stato nessun affidamento formale e che i lavori siano stati eseguiti dalla medesima impresa che aveva effettuato i lavori contestati dal Comune medesimo." Orbene, questo Collegio non ritiene che ciò possa integrare un valido "principio" di prova, onere a suo carico in base all'art. 64 cod. proc. amm., ma risulta generico e approssimativo (se non speculativo), limitandosi ad affermare di aver effettuato ricerche sul sito istituzionale del Comune (senza però allegare nulla). Nulla poi viene dedotto sulle spese neanche in questo grado di appello, che il Comune avrebbe nel frattempo caricato all'autore dell'abuso. 11. La conferma dell'inammissibilità del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti 1-4 di primo grado esclude di dover esaminare i motivi riproposti e non esaminati dal T.R.G.A. 12. L'appello va, in definitiva, respinto. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando la sentenza gravata. Nulla per le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Andrea Pannone - Presidente FF Alessandro Maggio - Consigliere Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9510 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Pi. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (...); contro Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati La. Fa., Mi. Pu., Al. Ro., Lu. Pl., Cr. Be. e Lu. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Gr. in Roma, via (...); Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del T.r.g.a. - Sezione Autonoma della Provincia di Bolzano n. -OMISSIS-/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati Pi. Ad. e Lu. Gr.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso del 2021 l'arch. -OMISSIS- ha chiesto al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto Adige - Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano l'annullamento: a) del Decreto del Direttore Provinciale della Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige n. 26173/2020, pubblicato sul portale della Provincia autonoma di Bolzano in data 16 gennaio 2021, che approva la graduatoria definitiva di merito della Classe di concorso A060 del "Concorso straordinario per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente delle scuole secondarie di I e II grado a carattere statale in lingua italiana della Provincia di Bolzano"; b) di tutti i verbali della Commissione, nella parte in cui valutano la prova della ricorrente; c) di qualsivoglia altro atto e provvedimento presupposto, conseguente e/o, comunque, connesso a quelli impugnati in via principale, ancorché sconosciuto. 1.1 La ricorrente esponeva le seguenti circostanze in punto di fatto: - la legge 20 dicembre 2019, n. 159, recante ("Disposizioni urgenti in materia di reclutamento e abilitazione del personale docente nella scuola secondaria") ha autorizzato l'attivazione di un bando di concorso straordinario per titoli ed esami teso: a) all'assunzione di unità di insegnanti; e b) all'abilitazione all'insegnamento nella scuola secondaria; - la ricorrente contestava la mancata abilitazione e non la mancata classificazione tra i soggetti vincitori; - in data 22 luglio 2020 veniva pubblicato il "Bando di concorso straordinario per titoli ed esami per il reclutamento di personale docente delle scuole secondarie di I e II grado a carattere statale in lingua italiana della Provincia di Bolzano"; - all'art. 1, comma 2, del Bando veniva indicato il numero dei posti messi a concorso a livello provinciale; - per la classe A060-Tecnologia nella scuola secondaria di primo grado, venivano messi a bando 3 posti; - la prova di concorso era unicamente scritta, attributiva di 80 punti su 100. La parte restante del punteggio era attribuita per titoli; - in data 21 dicembre 2020, il Direttore Provinciale Scuole comunicava la graduatoria provvisoria di merito del concorso in oggetto, per la classe di concorso A060. Risultava unica vincitrice la candidata -OMISSIS- con punteggio totale pari a 70,2/100 (56,20/80 per la prova scritta; 14/20 per titoli); - l'arch. -OMISSIS- aveva ottenuto un punteggio totale dei quesiti pari a 20,2/80; - nel giudizio sintetico della Commissione si legge: "Il/la candidato/a ha dimostrato delle conoscenze e competenze disciplinari disorganiche e confuse. Le competenze didattiche appaiono sommarie e imprecise. L'esposizione è lacunosa e basata su un lessico generico"; - in data 15 gennaio 2021, il Direttore Provinciale, con decreto n. 26173/2020 approvava la graduatoria di merito definitiva per la classe di concorso A060-Tecnologia nella scuola secondaria di I grado, che confermava la graduatoria provvisoria. 1.2 A sostegno dell'impugnativa veniva formulato il seguente motivo di ricorso: Violazione di legge - Violazione del Decreto Dipartimentale del Ministero dell'Istruzione n. 510 del 23 aprile 2020. Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta. Si sosteneva che la Commissione: - era incorsa sia in un errore di interpretazione della procedura, sia in un errore di valutazione della prova della ricorrente; - aveva adottato, escludendo in relazione a tutte le classi di concorso ben l'80% dei candidati dal percorso abilitante, parametri valutativi della prevista prova scritta eccessivamente severi, così tradendo la ratio sottesa alla l. n. 159/2019 da rinvenirsi nell'obiettivo di stabilizzare gli insegnanti precari; - aveva impiegato, nei confronti della ricorrente in particolare, un criterio valutativo erroneo che non ha tenuto conto del fatto che i quesiti d'esame erano strutturati come UDA (unità didattica di apprendimento), sicché le risposte erano da articolare secondo tale schematico modello, cosa che la ricorrente, a differenza della controinteressata, avrebbe compiutamente fatto. 2. Nel giudizio di primo grado si costituiva l'Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso perché inammissibile e infondato. 3. Con sentenza n. -OMISSIS-/2021 il T.r.g.a. adito ha rigettato il ricorso. 3.1 Il primo giudice: - ha preliminarmente rilevato la tardività della censura che investe la legittimità della Commissione, perché proposta per la prima volta con la memoria conclusiva del 14.7.2021; - ha disatteso con decisione la premessa da cui muove parte ricorrente, che ritiene come il concorso in questione avesse quale unico scopo quello di risolvere o attenuare il problema del precariato nella scuola, posto che questo fine, pur presente, proprio per la previsione di una prova d'esame, andava indubbiamente coniugato con la verifica di capacità e competenze dei docenti che si andavano a immettere nel servizio scolastico pubblico, a garanzia di qualità dello stesso; - ha ritenuto infondate le doglianze che miravano a sovrapporre e sostituire al giudizio della Commissione un proprio personale giudizio, sollecitando il Giudice adito a un'inammissibile intromissione nel merito amministrativo, per sua natura sottratto al sindacato giurisdizionale. 4. Avverso la sentenza del T.r.g.a. ha proposto appello l'arch. -OMISSIS- per i motivi che saranno più avanti esaminati. 5. Si è costituita in giudizio la Provincia di Bolzano chiedendo il rigetto dell'appello. 6. All'udienza del 20 dicembre 2022 l'appello è stato trattenuto per la decisione. 7. L'appello è infondato. 8. Il motivo di appello è rubricato: Grave erroneità in fatto e in diritto della sentenza di primo grado, in relazione al primo motivo di ricorso (Violazione di legge, violazione del Decreto Dipartimentale del Ministero dell'Istruzione n. 510 del 23 aprile 2020. Eccesso di potere per errore sui presupposti e conseguente travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia grave e manifesta). Si afferma che: - la pronuncia appellata merita di essere riformata laddove afferma che, nel caso di specie, non è stato superato il limite dell'evidente irragionevolezza, e della rilevabilità ictu oculi, dell'errore di giudizio e dello sviamento logico, da parte della Commissione; - la sentenza di primo grado non si sofferma su un punto essenziale, evidenziato nel ricorso: la procedura non prevedeva solo dei posti per i vincitori, ma anche l'ammissione a percorsi abilitanti, riservati a chi conseguisse almeno 56/80 nelle prove; - nell'intera Provincia di Bolzano pochissimi candidati sono stati dichiarati idonei e nessun candidato è stato ammesso al percorso abilitante previsto dalla norma: si tratterebbe di un esito statisticamente impossibile. La circostanza comproverebbe una scelta, compiuta prima delle valutazioni, di disattendere la norma di legge, che prevedeva un percorso abilitante riservato a coloro che sono precari da anni nella scuola; - la sentenza ha interpretato questo rilievo, riferito nel ricorso, come autonomo motivo di giudizio, non ritualmente sollevato; per tale ragione non lo ha valutato. In effetti, però, tale rilievo non doveva essere inteso come autonomo motivo di ricorso, ma come indicatore di illogicità e sviamento complessivo da parte della Commissione, e dunque di complessivo fraintendimento del proprio ruolo; - si è in presenza di un comportamento amministrativo contraddittorio perché sono stati avviati ad insegnare (con futuri incarichi annuali) insegnanti precari cui in stragrande maggioranza sono stati attribuiti voti molto bassi e quindi ritenuti impreparati; - l'irragionevolezza della valutazione della prova della ricorrente deve essere considerata in questo specifico contesto: il precetto giurisprudenziale, condivisibilmente applicato ai normali concorsi, non viene meno; ma a fronte di un grave indizio di fraintendimento della funzione da parte della Commissione (normale valutazione/certificazione di una competenza che si deve presumere acquisita), la soglia di rilevabilità dell'errore di fatto e dello sviamento deve essere rivista; - di fronte ad una prova finalizzata a favorire l'immissione in ruolo, che prevede la possibilità di essere ammessi ai percorsi abilitanti, laddove sia rilevata anche una attuale insufficienza, l'onere motivazionale deve essere più rigoroso, ed il candidato va escluso dal percorso abilitante solo a fronte di una comprovata incapacità, non solo presente, ma anche futura. Il giudizio dovrebbe spiegare perché esso non possa conseguire la sufficienza neanche dopo un apposito corso abilitante; - nel caso di specie si trattava di compilare un'UDA, ossia un programma schematico di un corso, denominato Unità didattica di apprendimento. É, quindi, semplice verificare se ci sono tutti gli elementi richiesti, confrontandole con le reali UDA di provenienza ministeriale o scolastica; - l'appellante ha svolto una prova eccellente, in termini oggettivi e ha svolto una prova migliore di quella dell'unica candidata giudicata vincitrice; - il divario tra giudizio assegnato e prova in concreto svolta è talmente ampio da rendere possibile un rilievo ictu oculi; - stesso dicasi per il giudizio in termini relativi: scorrendo la prova della ricorrente e quella della candidata vincitrice è immediato il rilievo per cui, mentre la ricorrente ha svolto il compito richiesto, sulla base dello schema richiesto, inserendo gli elementi richiesti, previsti negli schemi di riferimento, la vincitrice non ha fatto la stessa cosa. 8.1 L'appellante ripropone argomentazioni già sollevate in primo grado con riferimento a: I. Il concorso. Si sostiene che: - l'appellante è stata giudicata inidonea ad intraprendere un percorso abilitante malgrado vanti un curriculum di tutto rispetto e già insegni da molti anni; - in Provincia di Bolzano nessuno è stato ammesso al percorso abilitante; nella classe di concorso dell'appellante, un solo insegnante su sei concorrenti partecipanti alla prova scritta è stato giudicato abilitato; -la Commissione del concorso non era composta da docenti universitari ma essenzialmente da docenti di ruolo, che avevano un curriculum pari o inferiore alla ricorrente; - la Commissione ha commesso marchiani errori; - la sentenza di primo grado ha commesso un errore non rilevando il fatto che un professore di latino presiedesse la Commissione, come elemento in sé invalidante. II. Erronea valutazione della prova scritta. Si sostiene che: - l'arch. -OMISSIS- ha seguito lo schema dell'UDA; - la controinteressata non ha seguito detto schema; - se è sufficiente il compito della controinteressata non può non esserlo quello dell'appellante; - la Commissione ha ritenuto più corrette le risposte legate all'insegnamento 'tradizionalè, piuttosto che le metodologie più attuali; - se la prova viene denominata UDA, va strutturata come tale; - non si richiedeva al candidato di mostrare (direttamente) le proprie competenze in materia, ma di predisporre una unità didattica, completa di tutti gli elementi. Si mettono a confronto le risposte dell'appellante e della controinteressata in relazione ad una pluralità di motivi per dimostrare la netta superiorità delle prime rispetto a quanto richiesto. III. Gli esiti delle prove. Si sostiene che: - se il compito della vincitrice è stato valutato, mediamente 4/5, il compito dell'appellante deve ottenere un punteggio più elevato; - la valutazione negativa della Commissione ("disorganicità ", "esposizioni schematiche"), evidenzia l'adozione di un criterio valutativo erroneo; - trattandosi di una procedura di abilitazione finalizzata alla stabilizzazione di docenti che insegnano da molti anni, si deve presumere che gli stessi abbiano già le conoscenze tecniche richieste per lo svolgimento dell'attività di insegnamento e valutare solo se siano in grado di redigere quanto oggi è richiesto ai docenti, ossia un percorso didattico; - anche la valutazione sul criterio qualità dell'esposizionè è stata condizionata dal giudizio negativo sull''esposizione schematica. In tal modo, l'appellante è stata danneggiata, perla disorganicità, sul primo criterio, e per la modalità espositiva su due criteri (il secondo ed il terzo), attributivi complessivamente di 50 punti (mentre l'appellante ne ha ottenuti 12). 8.2 Le censure sono tutte infondate. Nella sostanza l'appellante chiede al Collegio di rifare il giudizio sulla base di criteri che lo stesso Collegio non può adottare. Tutto questo non è possibile in quanto si chiede al giudice un inammissibile svolgimento di attività amministrativa di merito. Le commissioni esaminatrici, chiamate a fissare i parametri di valutazione e poi a giudicare su prove di esame o di concorso, esercitano non una ponderazione di interessi, ma un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, sulla quale il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere in particolari ipotesi-limite, riscontrabili dall'esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza) (Cons. Stato, sez. V, 16/08/2022, n. 7134). Come correttamente rilevato dalla sentenza di primo grado non sussiste alcun elemento che sia idoneo, "...neanche a livello minimale del'principio di provà, a denotare o lasciar trasparire la sussistenza di un vizio del processo logico, nel quale la Commissione sarebbe incorsa esprimendo il controverso giudizio negativo, e a supportarne l'affermata arbitrarietà e irragionevolezza, così da consentire il sindacato da parte del giudice amministrativo". Nemmeno una eventuale sinteticità dei giudizi può precludere o condizionare la valutazione dal punto di vista della completezza, correttezza ed efficacia, avendo essi un peso essenzialmente qualitativo e sostanziale, pur nell'ambito di un apprezzamento necessariamente tecnico-discrezionale, ragionevolmente autolimitato. In definitiva, nella specie, l'assegnazione dei punteggi risulta idonea a dare evidenza del percorso logico-motivazionale seguito nella valutazione delle prove. 8.2.1 Non si possono condividere le conseguenze che l'appellante trae dal fatto che si trattasse di un concorso "straordinario", in quanto tale meramente finalizzato a favorire l'immissione in ruolo dei docenti precari, volto quindi solo a "confermare", e quindi non a verificare, "una preparazione che si doveva presumere esistente". La prova scritta era finalizzata alla valutazione delle conoscenze e delle competenze disciplinari e didattico metodologiche dei candidati. Come affermato anche dal Giudice di primo grado, il concorso straordinario, sia nazionale che provinciale, "era comunque fondato, non solo sulla valutazione dei titoli, ma anche sullo svolgimento di una prova scritta, a comprova delle competenze e delle capacità richieste per l'insegnamento nelle rispettive classi di concorso". 8.2.2 Non si possono condividere le tesi esposte dall'appellante a proposito dei candidati non idonei, ma ammessi al percorso abilitante. Secondo il decreto dipartimentale MI 23 aprile 2020, n. 510 (articoli 13- 15), alla formazione della graduatoria (dei candidati vincitori) per classi di concorso sulla base dei contingenti assegnati per ciascuna di esse doveva far seguito la formazione di un elenco non graduato di candidati idonei che avessero superato la prova scritta con un punteggio di 56/80 ma che non fossero rientrati in tali contingenti. Solo a tali soggetti era quindi permesso l'accesso alle procedure abilitanti. La disciplina non prevede la categoria del candidato non idoneo ammesso al percorso abilitante. 8.2.3 Non si possono condividere le conseguenze che l'appellante riconnette al fatto che a Bolzano pochissimi candidati sono stati dichiarati idonei (il primo giudice avrebbe interpretato tale rilievo come autonomo motivo di giudizio, non ritualmente sollevato, mentre invece avrebbe dovuto essere valutato come indicatore di illogicità e sviamento complessivo da parte della Commissione). L'asserita severità non può ridondare in illogicità . Valgono le considerazioni già svolte a proposito dei limiti alla sindacabilità dei giudizi delle Commissioni di concorso. 8.2.4 Non si può condividere la tesi secondo cui ci troveremmo di fronte ad un comportamento amministrativo contraddittorio perché docenti considerati impreparati un domani potranno comunque essere chiamati ad insegnare in quanto inseriti in graduatoria. La Commissione ha valutato gli elaborati e in questo si esauriva il suo compito. L'inserimento nelle graduatorie è frutto di altre procedure. 8.2.5 Non possono essere esaminate le censure rivolte contro la composizione della Commissione esaminatrice già dichiarate inammissibili in primo grado condividendo il giudice d'appello tale statuizione. 8.2.6 Non si possono condividere le considerazioni fatte dall'appellante circa il fatto che la prova non era a tema libero, ma prevedeva la compilazione di un'UDA (Unità di Apprendimento), ossia di percorsi didattici tematici. Come rilevato dal primo giudice non ci sono elementi che fanno trasparire la sussistenza di un vizio del processo logico, nel quale la Commissione sarebbe incorsa esprimendo il controverso giudizio negativo, e a supportarne l'affermata arbitrarietà e irragionevolezza, così da consentirne il sindacato da parte del giudice amministrativo. Ogni altra valutazione circa la compilazione adeguata dell'UDA entra nel merito dell'operato della Commissione valutatrice del concorso. 8.2.7 Non ha fondamento, infine, la lunga digressione operata sui quesiti proposti nella prova di concorso e sulle risposte ad essi forniti dall'appellante e dalla controinteressata. Questo Collegio non può sostituirsi alla Commissione per le ragioni più volte esposte. Del pari non spetta al Collegio comparare le prove dei candidati. 9. L'appellante ha chiesto al Collegio di valutare l'opportunità di disporre una verificazione, o consulenza, in merito alla modalità di valutazione della costruzione di una Unità Didattica di Apprendimento, ai suoi elementi essenziali, ed alla presenza dei medesimi negli elaborati dell'appellante (eventualmente in confronto con quelli dell'unica concorrente giudicata sufficiente). Per questa via si giungerebbe, in ipotesi, a ripetere il concorso, evenienza esclusa dai limiti del sindacato giurisdizionale riservato al Collegio. La proposta, pertanto, non merita accoglimento. 10. Per le ragioni esposte l'appello deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giancarlo Montedoro - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Stefano Toschei - Consigliere Giovanni Pascuzzi - Consigliere, Estensore Ulrike Lobis - Consigliere

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