Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Umbria

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno  Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, proposto da An.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Co.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58; e con l'intervento di ad opponendum: Vin.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303: diniego di fiscalizzazione degli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2024 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Col ricorso in epigrafe, Cu.An. (in appresso, C. A.) impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, col quale il Responsabile dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia, Demanio ed Urbanistica del Comune di Omissis aveva rigettato l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 prot. n. 18518 del 6 ottobre 2020 ed aveva disposto l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Le opere abusive sottoposte a fiscalizzazione, ex ante contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, resistite alla relativa impugnazione, respinta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 3204 del 29 marzo 2023 (pronunciata in parziale riforma della sentenza di questa Sezione n. 1934 del 14 dicembre 2020) afferivano alle unità immobiliari in proprietà del ricorrente, ricomprese nell’edificio ubicato in Omissis, via (...), censito in catasto al foglio 24, particella 616, e distribuito su tre livelli fuori terra (piano terraneo, primo e secondo mansardato) ed un livello seminterrato. Si trattava, in particolare, delle seguenti opere, rimaste sine titulo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire (PdC) in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e del PdC n. 4279 del 27 marzo 2015, che era stato pronunciato - in accoglimento del ricorso straordinario ex artt. 8 ss. del d.p.r. n. 1199/1971, proposto da Cuono Vincenzo (in appresso, C. V.) e in base al precipuo rilievo dell’illecita prosecuzione degli abusi sottoposti a condono ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985 con istanza del 29 marzo 1986, prot. n. 802 - con decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) del 27 marzo 2017 (R.S. 2491/P), previo parere conforme del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2459 del 29 ottobre 2018: - realizzazione (assentita con l’annullato PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015) ed ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano secondo mansardato; - ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano primo, mediante realizzazione sul terrazzo esistente di un corpo di fabbrica sormontato da lastrico solare. Il gravato diniego di fiscalizzazione era essenzialmente motivato in base al rilievo che la natura non già formale, bensì sostanziale dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015 impediva ogni ulteriore valutazione circa la rappresentata impossibilità di ripristino dello status quo ante. Nell’avversare siffatta determinazione, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che il Comune di Omissis: a) in violazione del dictum giurisdizionale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, nonché in difetto di istruttoria e di motivazione, avrebbe omesso di valutare - così come richiestogli con l’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518 - la condizione di fiscalizzazione costituita dall’impossibilità di riduzione in pristino, ai fini dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza tener conto delle analisi strutturali fornitegli dall’interessato dietro proprio apposito invito; b) in difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, non avrebbe considerato che - come dimostrato dalla dettagliata documentazione tecnica elargita dall’interessato - la rimozione delle opere abusive avrebbe compromesso l’equilibrio statico delle porzioni legittime dell’intero edificio, anche in proprietà di terzi; c) avrebbe richiamato, in termini del tutto inconferenti, l’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023, inerente ad un manufatto (pergolato) a sé stante rispetto alle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, nonché non sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria; d) avrebbe obliterato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518. Costituitosi l’intimato Comune di Omissis eccepiva l’inammissibilità (per carenza di interesse ad agire) e l’infondatezza del gravame esperito ex adverso. Si costituiva, altresì, in giudizio il Ministero della Cultura. Interveniva, infine, ad opponendum C. V., in veste di proprietario confinante col compendio immobiliare in titolarità di C. A., eccependo l’inammissibilità (per omessa notifica nei suoi confronti) e l’infondatezza del ricorso. All’udienza pubblica del 30 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso. Tanto può esimere, quindi, il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti. Innanzitutto, gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 3.a-b, si infrangono contro il chiaro tenore sia della sentenza di primo grado n. 1934 del 14 dicembre 2020 sia della sentenza di appello n. 3204 del 29 marzo 2023, le quali hanno unanimemente escluso l’applicabilità della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame. 8.1. In particolare, questa Sezione ha statuito che: «A ripudio delle proposizioni attoree, milita, innanzitutto, l’approccio ermeneutico restrittivo suggellato in subiecta materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020. “La disposizione in commento - recita la pronuncia richiamata - fa specifico riferimento ai vizi ‘delle proceduré, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘proceduralé, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di ‘rimozione del viziò afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione). La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che ‘l'espressione ‘vizi delle procedure amministrativé non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i ‘vizi sostanzialì, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenutò. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria). Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il’bene della vità cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che ‘i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozioné”. Sulla base di tali premesse, va ribadito l’indirizzo rigoroso invalso anche presso la Sezione. In particolare, come osservato nella sentenza n. 1417 del 10 ottobre 2018 (confermata in appello da Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2019, n. 6852), “la regola immanente all’art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale, la quale, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come dalla sua mancanza ab origine: cfr. art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 cit.), non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. Nel caso di annullamento del titolo abilitativo edilizio, in disparte l'ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto consequenziale è, infatti, proprio quello dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all'interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento del permesso di costruire si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, alcun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore; mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela realé privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124; sez. VIII, 7 gennaio 2015, n. 34; 10 marzo 2016, n. 1397; 7 aprile 2016, n. 1746; 8 luglio 2016, n. 3490; sez. IV, 4 gennaio 2017, n. 68; TAR Veneto, Venezia, 21 aprile 2016, n. 417)”». 8.2. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha statuito che: «La sentenza di prime cure ha fatto piana e corretta applicazione dell’orientamento consolidatosi a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 17 del 2020, secondo cui l’art. 38 cit. fa specifico riferimento ai vizi "delle procedure", avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l'operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'an e il quomodo dell'attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all'amministrazione l'obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un'attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell'esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall'art. 21 nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un'illegittimità di natura "procedurale", essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest'ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di "rimozione del vizio" afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all'impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto, sarebbe suscettibile di convalida e che, per le motivate valutazioni espressamente fatte dall'amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Nel caso di specie, se per un verso (peraltro dirimente, a fini di inapplicabilità della norma evocata) i vizi che hanno portato all’annullamento delle sanatorie non hanno il predetto mero carattere procedurale, riguardando piuttosto la consistenza e la sostanza degli abusi, per un altro verso non appaiono oggetto di adeguata smentita le puntuali considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito alla insussistenza della presunta impossibilità tecnica della demolizione della porzione abusiva (piano secondo mansardato) dell’edificio. In proposito, rispetto alle relazioni tecniche di parte depositate in giudizio dall’odierno appellante, assumono rilievo preminente sia la nota del Responsabile dell’Area Governo del Territorio, Patrimonio e Demanio del Comune di Omissis prot. n. 24008 del 29 novembre 2019 (ove si rileva che “trattasi di opere di sopraelevazione, autonome ed indipendenti, la cui eliminazione anche in base alle progettazioni che versano agli atti non può ritenersi di pregiudizio né alla parte conforme dell’edificio né alle proprietà viciniori”), sia la relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellato costituito, ove si illustra come il secondo piano mansardato del fabbricato in questione non sia collegato strutturalmente all’adiacente corpo di fabbrica in proprietà di V. C., cosicché la sua rimozione sarebbe insuscettibile di compromettere l’equilibrio statico di quest’ultimo». 8.3. Ciò posto, il Comune di Omissis, nel ripudiare la proposta fiscalizzazione, ha fatto buon governo delle regole applicative dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 declinate in via pretoria nelle pronunce citate sulla scorta dell’indirizzo nomofilattico sancito da Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, allorquando ha arrestato ogni valutazione circa la possibilità o meno del ripristino dello status quo ante al rilievo ostativo pregiudiziale della natura sostanziale - e, quindi, non emendabile in via pecuniaria - dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015. 8.4. Né vale a menomare il superiore approdo l’inciso, contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, secondo cui «l’ordine di demolizione delle opere edilizie costituisce un atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, nel caso in cui questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un'eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione». Tale inciso sta, infatti, a indicare soltanto che la monetizzazione dell’abuso esulava dalla fase di irrogazione della sanzione demolitoria - la quale aveva formato oggetto del giudizio definito con la suindicata pronuncia -, afferendo, invece, alla successiva fase della sua esecuzione. Sta, cioè, a rappresentare la carenza di interesse concreto e attuale a dolersi di una determinazione non ancora assunta né assumibile al momento dell’allora gravata ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. 8.5. Ad ulteriore ripudio delle proposizioni attoree, è appena il caso di rammentare che la Sezione, nella sentenza n. 1934 del 14 dicembre 2020, ha affermato anche che: «... l’invocata fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 neppure sarebbe configurabile, allorquando a formare oggetto dell’annullamento giurisdizionale sia non già un titolo edilizio rilasciato preventivamente alla realizzazione dell’intervento in progetto, bensì - come, appunto, nella specie - un titolo edilizio rilasciato in sanatoria, posteriormente alla realizzazione di opere abusive, rispetto al cui mantenimento in loco non è ragionevolmente predicabile la generazione di alcun legittimo affidamento in favore del relativo autore o proprietario. In questo senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 novembre 2016, n. 5364 ha statuito che: “L'art. 38 del d.p.r. n. 380/01, prevedendo una ipotesi di sanatoria mediante pagamento di una sanzione pecuniaria per le ipotesi di annullamento del permesso di costruire, è volto a tutelare l'affidamento del soggetto che abbia edificato in virtù di titolo edilizio solo successivamente annullato. Detto disposto normativo non può trovare applicazione nel caso in cui le opere siano state realizzate ab initio ‘sine titulò, rilasciato solo successivamente a sanatoria e annullato in sede giurisdizionale, in quanto difettano i presupposti per la tutela dell'affidamento dell'istante (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2014, n. 5261)”». Stante la natura plurimotivata del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, l’acclarata legittimità del rilievo di inapplicabilità dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ai titoli edilizi infirmati da vizi sostanziali induce a predicare l’inammissibilità del profilo di censura rubricato retro, sub n. 3.c, e rivolto avverso l’ulteriore rilievo di emissione dell’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023: ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’intangibilità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento - per carenza di interesse e per finalità di economia processuale - delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale del provvedimento gravato. Non riveste, infine, portata invalidante la denunciata obliterazione del preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (cfr. retro, sub n. 3.d). Al riguardo, giova rammentare che l'ultimo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, stabilisce che «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis». Nei casi di violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, è, cioè, esclusa l'applicazione del solo secondo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, a tenore del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Rimane, invece, applicabile la disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, della l, n. 241/1990, in base alla quale «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». In questo senso, il Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2022, n. 6708 e 23 dicembre 2022, n. 11289 ha precisato che solo in caso di provvedimento discrezionale l'eventuale violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 determina l'annullamento del provvedimento, così inquadrando la portata dell'art. 21 octies, nella versione successiva alla riforma di cui all'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020. Ed invero, seppure la centralità del contraddittorio procedimentale consente l'emersione di fatti e circostanze che, sottoposte alla valutazione dell'amministrazione, possono indurre ad una favorevole conclusione del procedimento, questo aspetto diviene recessivo quando, in presenza di specifici presupposti individuati dal legislatore, una sola può essere la scelta legittima dell'amministrazione in conformità con la legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2023, n. 752). Nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838 ha affermato che: «Le previsioni di cui all'art. 10 bis l. n. 241/1990 devono essere coordinate con quelle di cui all'art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990. Il primo periodo del comma due del predetto art. 21 octies opera tuttora in relazione alla violazione procedimentale del menzionato art. 10 bis. Ciò anche dopo le modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, le quali incidono propriamente sull'applicazione del secondo periodo del comma due dell'art. 21 octies L. n. 241/1990 in esame, secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]". La lettura coordinata dei menzionati artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, esclude che il provvedimento sia annullabile qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella in concreto adottata. In questi casi, l'attivazione del contraddittorio procedimentale - per il tramite della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza - risulterebbe non utile, in quanto non contribuirebbe in alcun modo a modificare il contenuto sostanziale della decisione. Ne consegue che l'annullamento del provvedimento negativo in relazione esclusivamente al vizio formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto ed una volta accertata l'infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato, si tradurrebbe in un'antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, dopo la caducazione dell'atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto ed un dispositivo diverso da quello proprio della decisione annullata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925; 12 febbraio 2020, n. 1081; 17 settembre 2019, n. 6209; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562...)». Ebbene, nel caso in esame, alla luce delle considerazioni svolte, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso, siccome fondato sul rilievo oggettivo e preclusivo della natura sostanziale dei vizi infirmanti i titoli edilizi giurisdizionalmente annullati, costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto del preavviso di rigetto (cfr., in termini, TAR Umbria, Perugia, 2 aprile 2024, n. 225). In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto. Quanto alle spese di lite, appare equo compensarle interamente tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Olindo Di Popolo - Consigliere, Estensore Laura Zoppo, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Olindo Di Popolo Nicola Durante IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 1017 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Questura di Perugia, non costituita in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 30 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. Fo., El. Ma. e An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia, Questura di Perugia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento 1. quanto al ricorso n. 1017 del 2023: per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del decreto della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, Area I - Ordine e Sicurezza Pubblica e Tutela della Legalità Territoriale, notificato il -OMISSIS-, con il quale "è fatto divieto (al ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso, che dovranno essere ritirate dal Comando Stazione Carabinieri di -OMISSIS-, unitamente alla licenza di porto di fucile di cui il predetto è titolare, all'atto della notifica del presente decreto. Si ingiunge al predetto di cedere le stesse a persona non convivente entro e non oltre il termine di 150 giorni dalla data di notifica del presente decreto, ammonendolo che, scaduto tale termine, se inadempiente, le armi e le munizioni si intenderanno confiscate e saranno versate, a cura della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- e in assenza di ulteriori comunicazioni da parte di questa Prefettura, alla competente Direzione Artiglieria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 6 della Legge 22.5.1975, n. 152", con ogni riconnessa sanzione e/o conseguenza pregiudizievole; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto e/o consequenziale, anche allo stato non conosciuto ove lesivo degli interessi del ricorrente, ivi inclusa la nota della Stazione Carabinieri di -OMISSIS- n. -OMISSIS--1 del -OMISSIS-; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 16/2/2024: - del decreto prot. n. -OMISSIS-, emesso in data -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale il Questore di Perugia ha revocato al ricorrente il porto d'armi ad uso venatorio n. -OMISSIS- per quanto riguarda gli ulteriori motivi aggiunti presentati il 19/4/2024: del decreto della Prefettura di Perugia n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, notificato il -OMISSIS-, con il quale è stato definito il procedimento amministrativo avviato in esecuzione dell'Ordinanza del TAR Umbria n. -OMISSIS- e confermato il precedente provvedimento n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, con il quale è stato fatto divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni. 2. quanto al ricorso n. 30 del 2024: - del decreto nr. -OMISSIS- del -OMISSIS- della Prefettura di Perugia - Ufficio Territoriale del Governo, notificato in pari data, con il quale è stato "fatto divieto al (ricorrente) di detenere le armi e le munizioni in suo possesso"; - del decreto prot. nr. -OMISSIS- emesso in data -OMISSIS- dal Questore della Provincia di Perugia e notificato il -OMISSIS-, con il quale è stata revocata la licenza di porto d'armi uso venatorio n. -OMISSIS-, rilasciata al (ricorrente) il -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-; di ogni altro atto presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato. Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Perugia e Questura di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 maggio 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. All'origine delle cause in esame vi è la conflittualità esistente tra gli odierni ricorrenti, padre e figlio, residenti in appartamenti ubicati in piani diversi dello stesso stabile. 1.1. In particolare, in data -OMISSIS-, si è verificata tra i due un'accesa lite (con minacce da parte del figlio) all'interno della stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-; venti giorni prima, a dire del padre, il figlio lo aveva aggredito fisicamente, causandogli un ematoma all'addome. 1.2. Secondo quanto riferito nel rapporto redatto dai Carabinieri in quell'occasione (e non confutato, sotto il profilo fattuale, dagli interessati, salvo quanto appresso specificato), il figlio rimprovera al padre di intrattenere una relazione sentimentale, di aver trascurato ed offeso la madre, da cui è separato, malgrado sia affetta da una grave malattia che richiede assistenza quotidiana, e di aver sperperato il patrimonio di famiglia; mentre il padre, lamenta che il figlio non perda occasione per insultarlo ed abbia un carattere aggressivo. 1.3. Ciò ha indotto l'UTG di Perugia a disporre, nei loro confronti, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, il divieto di detenzione di armi e munizioni, in applicazione dell'art. 39, del TULPS; e, conseguentemente, il Questore di Perugia a revocare, mediante distinti provvedimenti in data -OMISSIS-, le licenze di porto d'armi ad uso venatorio da essi possedute. 1.4. Nei provvedimenti di divieto si sottolinea che le armi di entrambi sono custodite all'interno di un caveau, ubicato nel sottoscala dell'edificio; e si afferma, in sintesi, che "La richiamata situazione di conflittualità famigliare, tenuto conto della sua attualità e gravità, risulta del tutto incompatibile con una sicura detenzione delle armi da parte di tutti i soggetti coinvolti" (nel provvedimento riguardante il figlio, viene sottolineata anche "un'insufficiente capacità di controllo dei propri impulsi ed emozioni"). 2. Il primo dei ricorsi in esame (NRG -OMISSIS-) è stato proposto dal padre nei confronti del provvedimento di divieto. 2.1. Il ricorrente ha lamentato, in sostanza: la mancanza dei presupposti richiesti dall'art. 39, in combinato disposto con l'art. 11, del TULPS, in ragione dell'omessa considerazione della sua situazione personale complessiva (ha la licenza di caccia da cinquant'anni e non ha mai dato adito a rilievi negativi); il travisamento dei fatti (essendo l'accaduto, ed in particolare l'atteggiamento violento, interamente addebitabili al figlio, abitando i due in diverse unità immobiliari ed essendo le armi custodite in un caveau di cui il ricorrente ha la esclusiva disponibilità ); l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale. In conclusione, i provvedimenti risulterebbero sproporzionati, impedendo al ricorrente di svolgere la propria attività lavorativa (è -OMISSIS- di un'azienda agrituristico-venatoria). 2.2. Questo Tribunale ha esaminato il ricorso in sede cautelare, accogliendo con ordinanza n. -OMISSIS- la domanda di sospensiva, ai soli fini del riesame. 2.3. Con motivi aggiunti, il ricorrente ha poi impugnato il provvedimento di revoca, riproponendo, oltre a censure di invalidità derivata, quelle dedotte con il ricorso introduttivo. 2.4. L'UTG di Perugia ha eseguito il riesame, adottando in data -OMISSIS- un provvedimento che conferma il divieto di detenzione, sulla base di una motivazione più argomentata, che prende in considerazione (oltre all'esistenza di alcune denunce pregresse nei confronti del ricorrente, laddove nel primo divieto risultava indicata solo la pendenza di un procedimento penale per -OMISSIS-): - la situazione di conflittualità famigliare, e sottolinea, in particolare, come "la circostanza di risiedere nel medesimo immobile favorisce di per sé la possibilità di frequenti incontri tra i predetti, che potrebbero costituire occasione di ulteriori, gravi alterchi; (...) pur non risultando imputabili al (ricorrente per motivi aggiunti) i comportamenti aggressivi verificatisi in ambito familiare, la detenzione di armi da parte del predetto appare comunque inopportuna. Non può, infatti, escludersi, sulla base di un giudizio prognostico, il pericolo di abuso delle stesse, sia da parte del medesimo (...) a seguito di reazioni inconsulte che potrebbero derivare da ulteriori accesi alterchi con il figlio (...), sia da parte di quest'ultimo, il quale potrebbe impossessarsi delle armi del genitore custodite nel caveau (ad uso promiscuo) di famiglia"; - l'incidenza del divieto sull'attività lavorativa, sottolineando che non preclude il mantenimento dell'incarico di -OMISSIS- dell'azienda agrituristica venatoria, potendo la vigilanza durante le battute di caccia essere delegata a guardiacaccia, di cui l'azienda dispone. 2.5. Il ricorrente lo ha impugnato mediante ulteriori motivi aggiunti, sostenendo il carattere meramente confermativo del provvedimento, e comunque riproponendo, con argomentazioni più articolate, le censure sostanzialmente già dedotte. In particolare, ha stigmatizzato che non sia stata adeguatamente considerata la motivazione del remand, in cui era stata sottolineata la possibilità "che la doverosa cautela nel rilascio (mantenimento) dei titoli autorizzativi relativi alle armi venga assicurata mediante strumenti diversi dal divieto di detenzione nei confronti del ricorrente", ed ha ribadito le caratteristiche di sicurezza ed accesso controllato del caveau dove sono custodite le armi. 3. Il secondo ricorso (NRG n. -OMISSIS-) è stato proposto dal figlio avverso entrambi i provvedimenti che lo riguardano, il quale ha lamentato, in sostanza, l'ingiustificata omissione della partecipazione procedimentale, la mancanza dei presupposti richiesti dagli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, il travisamento dei fatti. 3.1. Il giudizio di inaffidabilità non sarebbe supportato da un'adeguata istruttoria e motivazione, anche considerato che si è trattato di uno semplice "sfogo tra padre e figlio", senza alcun episodio di violenza (l'episodio dell'aggressione riferito dal padre sarebbe "del tutto indimostrato e privo di qualsiasi riscontro oggettivo") e senza che sia stata presa in esame la complessiva personalità e condotta di vita del ricorrente. 3.2. Il divieto difetta comunque di proporzionalità ; l'accaduto avrebbe ben potuto ed anzi dovuto indurre l'Amministrazione a disporre, in via cautelativa, la sospensione temporanea della licenza, in applicazione dell'art. 10 del TULPS, in considerazione dei rilevanti profili di incertezza e indeterminatezza che connotano la vicenda, tali da non permettere un'attendibile valutazione sulla pericolosità e non affidabilità del ricorrente. 3.3. Anche il secondo ricorrente sottolinea il pregiudizio alla propria attività lavorativa di -OMISSIS- di sistemi di sicurezza, compresi quelli di puntamento delle armi. 4. In entrambi i giudizi, l'Amministrazione si è costituita ed ha controdedotto puntualmente, ribadendo che la condotta dei ricorrenti e la situazione in cui si trovano giustificava l'adozione del divieto, e chiedendo il rigetto dei ricorsi. 5. Le parti hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le rispettive difese. 6. I ricorsi possono essere riuniti, risultando evidente la loro connessione oggettiva e soggettiva. 7. Occorre anzitutto precisare che il provvedimento adottato in esecuzione della misura cautelare di riesame (NRG -OMISSIS-) non ha carattere meramente confermativo, come sostiene il ricorrente, bensì confermativo in senso proprio, risultando l'esito di un approfondimento degli elementi rilevanti, supportato da una più estesa motivazione. 8. Il Collegio sottolinea poi che, a seguito dei depositi documentali in corso di giudizio, non è più in discussione l'incidenza negativa concreta del divieto sullo svolgimento delle attività lavorative dei ricorrenti. Peraltro, risulta anche accertato che tale incidenza investe solo una parte delle attività potenzialmente ricomprese nei rispettivi incarichi professionali, e sarebbe in qualche modo ovviabile (anche se, è presumibile, ciò comporterebbe oneri o svantaggi). 9. Le acquisizioni processuali hanno anche consentito di accertare che le armi erano e sono custodite in un caveau situato al piano terra dell'immobile in cui entrambi i ricorrenti (ancorché in distinte unità immobiliari) risiedono, le cui chiavi sono attualmente detenute da un altro figlio, estraneo (così come un terzo figlio) alla conflittualità in questione. 10. Occorre a questo punto ricordare, sul piano dei principi, che, secondo la giurisprudenza consolidata (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 358-OMISSIS- e n. 923/2023; TAR Umbria, n. 655/2023; vedi anche, idem, n. -OMISSIS-): - il potere di rilasciare le licenze in materia di armi costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 c.p. e dall'art. 4, comma 1, legge 110/1975; la regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l'autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell'Autorità di pubblica sicurezza prevenire; - infatti, la Corte Costituzionale ha sottolineato, sin dalla sentenza n. 440/1993, che "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse" e che "dalla eccezionale permissività del porto d'armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell'autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti"; cosicché "deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell'ambito di bilanciamenti che - entro il limite della non manifesta irragionevolezza - mirino a contemperare l'interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d'armi per motivi giudicati leciti dall'ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l'incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi" (sent. n. 109/2019); - la giurisprudenza amministrativa, nel solco dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, è consolidata nel ritenere che il porto d'armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un'eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (cfr., ex multis, Cons. Stato, III, n. 1972/2019 e n. 3435/2018); - ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del TULPS, l'Amministrazione può legittimamente fondare il giudizio di "non affidabilità " del titolare del porto d'armi valorizzando il verificarsi di situazioni genericamente non ascrivibili alla "buona condotta" dell'interessato, non rendendosi necessario al riguardo né un giudizio di pericolosità sociale del soggetto né un comprovato abuso nell'utilizzo delle armi (Cons. Stato, III, nn. 6812/2018, 4955/2018, 2404/2017, 4518/2016, 2987/2014, 4121/2014; VI, n. 107/2017) in quanto, ai fini della revoca della licenza, l'Autorità di pubblica sicurezza può apprezzare discrezionalmente, quali indici rivelatori della possibilità di abuso delle armi, fatti o episodi anche privi di rilievo penale, indipendentemente dalla riconducibilità degli stessi alla responsabilità dell'interessato, purché l'apprezzamento non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo (Cons. Stato, VI, n. 107/2017; III, nn. 3502/2018, 2974 del 2018), trattandosi di un provvedimento, privo di intento sanzionatorio o punitivo, avente natura cautelare al fine di prevenire possibili abusi nell'uso delle armi a tutela delle esigenze di incolumità di tutti i consociati (Cons. Stato, III, n. 2974/2018); - il giudizio che riguardo a detti profili compie l'Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell'interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati, oltre che un giudizio di completa affidabilità del soggetto istante basato su rigorosi parametri tecnici; nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l'Amministrazione compie nell'adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso; la peculiarità deriva dal fatto che, stante la ricordata assenza di un diritto assoluto al porto d'armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell'Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all'incolumità delle persone, rispetto a quello del privato; - l'apprezzamento discrezionale rimesso all'Autorità di pubblica sicurezza involge soprattutto il giudizio di affidabilità del soggetto che detiene le armi o aspira ad ottenerne il porto; a tal fine, l'Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione in ordine al pericolo di abuso delle armi, secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico; - tale esegesi è peraltro confermata sul piano legislativo dalla formulazione dell'art. 39 del TULPS, laddove, nel prevedere che "il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne", considera sufficiente l'esistenza di elementi che fondino solo una ragionevole previsione di un uso inappropriato. 11. Con specifico riferimento a vicende analoghe a quella in esame, è stato ritenuto, condivisibilmente, che una situazione di conflittualità familiare nella sua oggettività è valido motivo per l'emanazione di provvedimenti interdittivi in tema di armi, a prescindere dalla responsabilità della sua causazione (cfr. TAR Toscana, II, n. 1305/2022). In tali situazioni, infatti, ciò che l'amministrazione è chiamata a valutare è il pericolo che la situazione di conflitto familiare in atto, nella sua oggettività ed a prescindere da chi ne sia responsabile, possa degenerare in fatti antigiuridici, le cui conseguenze potrebbero essere ulteriormente aggravate dalla disponibilità delle armi (cfr. TAR Umbria, n. 303/2023). 12. Ciò stante, la conflittualità tra i ricorrenti - che, secondo quanto emerge dagli atti, è dovuta a vicende personali, ha radici profonde e non è venuta meno - la vicinanza delle abitazioni dei ricorrenti e l'ubicazione del luogo di custodia delle armi (ancorché il caveau sia sottoposto a sistemi di videosorveglianza) fanno sì che risulti tutt'altro che illogico il giudizio di inaffidabilità nella detenzione delle stesse formulato dall'Amministrazione nei confronti di entrambi, quali che possano ritenersi le responsabilità di ciascuno di essi nell'aver determinato tale situazione. 13. In altri termini, la situazione fattuale è stata presa in esame dall'Amministrazione e ritenuta, con valutazione che risulta immune dalle censure formulate dai ricorrenti, sufficiente a giustificare il divieto di detenzione delle armi e la revoca dei titoli autorizzatori di p.s. conseguenti (che del primo costituisce una conseguenza naturale e praticamente vincolata - cfr. Cons. Stato, III, nn. 3583/2024, 1292/2013). Detta situazione, si ripete, a prescindere da ogni ulteriore considerazione in ordine alle condotte dei ricorrenti, è stata reputata suscettibile di costituire il sostrato di fatti antigiuridici ben più gravi ed una simile valutazione non risulta irragionevole, tenuto conto che lo scopo del potere attribuito in materia alla pubblica amministrazione è proprio quello di evitare che tali fatti abbiano a verificarsi. Pertanto, non può nemmeno ritenersi sproporzionata l'utilizzazione dello strumento cautelare del divieto (con correlata sottrazione della disponibilità materiale delle stesse), non essendo sufficiente a conseguire lo scopo la mera sospensione della licenza di uso delle armi. 14. In conclusione, i ricorsi sono infondati e devono pertanto essere respinti. 15. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dell'Amministrazione, della somma di euro 1.000,00 (mille/00), oltre agli oneri ed accessori di legge, ciascuno, per spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 94 del 2017, proposto da -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Bu. Vi., Ma. Fr., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. Bu. Vi. in Perugia, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); nei confronti -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad adiuvandum: -OMISSIS- S.r.l. unipersonale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento emesso dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di diniego di accesso alle agevolazioni ex art. 14, comma 1, lett. c), del D.M. 592/2000, con riguardo ad un'attività di ricerca industriale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 aprile 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. -OMISSIS- s.r.l. in data -OMISSIS- presentava domanda di accesso alle agevolazioni di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) del D.M. n. 593/2000, riconosciute in relazione alla "attribuzione di specifiche commesse o contratti per la realizzazione delle attività di cui al comma 6 del medesimo art. 14" - ovvero un'attività di ricerca industriale commissionata al laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l. (già -OMISSIS- s.p.a.). Con nota prot. -OMISSIS-del -OMISSIS- il Ministero dell'Università e della Ricerca (di seguito "MIUR"), comunicava l'ammissibilità del progetto di ricerca ad una agevolazione complessiva di euro 206.582,75 nella forma del credito d'imposta, richiedendo quindi "ai fini dell'effettivo riconoscimento della predetta agevolazione" una serie di integrazioni documentali. 2. -OMISSIS- s.r.l. inviava il contratto di ricerca stipulato con -OMISSIS- s.p.a. in data -OMISSIS- con oggetto denominato come "Studi, analisi, ricerche, progettazioni e sviluppo sperimentale, volti al potenziamento dei servizi di ricerca industriale e di ingegneria integrata a favore delle p.m.i., anche in termini di strumentazioni, attrezzature e software, per conseguire un notevole miglioramento dei suddetti servizi forniti all'utenza nell'ottica dell'integrazione di sistemi aziendali"; il MIUR con nota del -OMISSIS- preavvisava la società circa la "...non accoglibilità del contratto stipulato con il -OMISSIS-oratorio -OMISSIS- s.p.a." in ragione del parere acquisito dal Gruppo di Lavoro incaricato dell'istruttoria, secondo cui "Dall'esame del documento tecnico allegato al contratto risulterebbe che il progetto si propone l'integrazione di energia geotermica con l'energia prodotta da motori a combustione interna o esterna tipo Stirling, alimentati da biogas prodotto da rifiuti organici di un edificio per coprire i fabbisogni energetici dell'edificio stesso. Il progetto, a partire dal suo titolo risulta generico, velleitario, inadeguato come presupposti, attività, contenuti e obiettivi e mancante in modo assoluto non solo dei requisiti scientifici ma anche dei presupposti tecnici necessari". -OMISSIS- provvedeva ad inviare le proprie osservazioni con missiva del -OMISSIS-, alla quale allegava documentazione integrativa; inoltre modificava il titolo del progetto. 3. In seguito il MIUR comunicava la sospensione della valutazione istruttoria delle varie domande di agevolazione a vario titolo connesse con il laboratorio -OMISSIS- -OMISSIS- S.r.l.; infatti l'Amministrazione il -OMISSIS- aveva effettuato una segnalazione alla Procura della Repubblica in merito ad eventuali illeciti o irregolarità emersi in seguito ad una serie di operazioni ritenute "sospette" dal Gruppo di Lavoro che si era trovato ad esaminare l'istruttoria di numerose domande di finanziamento in cui l'istante o il -OMISSIS-oratorio di ricerca -OMISSIS- -OMISSIS- (ex -OMISSIS- srl) erano alternativamente soggetto proponente la domanda di finanziamento ovvero laboratorio contraente del contratto di ricerca. In buona sostanza i due soggetti presentavano plurime domande di ammissione a finanziamento e si candidavano talvolta come -OMISSIS-oratorio, talvolta come soggetto beneficiario, quindi in alcuni casi la prima affidava commesse alla seconda e in altri viceversa. Da accertamenti risultava poi che il medesimo -OMISSIS- dal 2010 era stato Presidente del CdA del laboratorio contraente e Amministratore Unico della ricorrente, ed inoltre aveva incarichi sia nell'azienda Commissionaria che nel -OMISSIS-oratorio affidatario, cosi come alcuni suoi familiari. 4. Il MIUR, con nota prot. -OMISSIS- del -OMISSIS-2016 preannunciava, nuovamente, il rigetto della domanda di agevolazione segnalando: - che dopo il primo preavviso di non accoglibilità la società istante, in sede di invio di documentazione integrativa, aveva cambiato il titolo e l'oggetto del progetto e dunque quello originario doveva ritenersi abbandonato perché le relative criticità non erano state sanate; - in merito al nuovo progetto, che "Dalla documentazione integrativa trasmessa è evidente che essa tratta del tentativo di trasferire conoscenze tecnico scientifiche dal -OMISSIS-oratorio Affidatario al Soggetto Beneficiario, senza alcun ulteriore sforzo di ricerca industriale in quanto dagli obiettivi realizzativi e dalle attività svolte si è in presenza di una palese ed evidentissima attività di progettazione e sviluppo industriale. Infatti, tutta la documentazione non evidenzia significativi elementi di innovatività scientifica e tecnologica riconducibili ad attività di Ricerca Industriale. Le attività descritte si configurano palesemente come una concretizzazione di metodi e tecniche presenti allo stato dell'arte ai fini della realizzazione del nuovo progetto e non possono che considerarsi di prevalente ricerca industriale. (..) I brevetti allegati sono, altresì, una evidenza ulteriore che il progetto tratta della concretizzazione di conoscenze già note e, non sono in alcun modo, nel caso di specie, evidenza del fatto che l'attività svolta nell'ambito del progetto sia di prevalente Ricerca industriale. Anche il nuovo progetto presentato, seppur dal punto di vista della creatività appare di un qualche interesse, non ha alcun elemento caratterizzante che lo configuri come progetto a contenuti di prevalente Ricerca Industriale ma piuttosto esso appare essere in tutta la sua descrizione un esempio di progettazione creativa e sviluppo industriale con al più elementi di sviluppo sperimentale. (..) In definitiva, alla luce di quanto sopra descritto, anche la documentazione presentata per il progetto dal nuovo titolo è tale da potersi considerare correlata ad una iniziativa di progettazione, sviluppo industriale e, al più, con presenza di attività di sviluppo sperimentale; essa è assolutamente carente di tutte le caratteristiche che ragionevolmente possono far ritenere la stessa di prevalente Ricerca Industriale.". 5. -OMISSIS- s.r.l. presentava le proprie osservazioni il -OMISSIS- 2016, alle quali allegava anche la rendicontazione relativa alle spese del progetto di ricerca per il quale è stata richiesta l'agevolazione di che trattasi, nonché documentazione relativa ai brevetti riconosciuti in riferimento alla stessa attività oggetto di finanziamento. 6. In data -OMISSIS- 2016 seguiva il provvedimento definitivo, con il quale il MIUR comunicava la non accoglibilità dell'istanza di agevolazioni, facendo altresì riferimento al verbale della Commissione del -OMISSIS- 2016 e affermando che dalla documentazione integrativa presentata emergeva palese "che l'attività di ricerca presentata, non solo non è assolutamente di prevalente ricerca industriale, ma alla luce dei fatti rilevati, dalla carenza documentale e dall'analisi del materiale prodotto, non vi è alcuna prova che essa sia stata svolta, anzi tutt'altro. In ogni caso l'eventuale attività di ricerca industriale svolta non è in alcun modo documentata. Del resto lo sviluppo di un brevetto già depositato non richiede, in gran parte dei casi, prevalenza di attività di ricerca industriale (che magari è stata già svolta precedentemente alla domanda di brevetto) ma solo sviluppo industriale (attività routinaria di aziende di progettazione e di laboratori di ricerca) e/o sviluppo pre- competitivo (...) in ogni caso non erano presenti nella documentazione di rito e non sono presenti nella documentazione successivamente prodotta, elementi che possano far ritenere che sia stata svolta attività di ricerca industriale per "sviluppare" tale brevetto". 7. -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento del -OMISSIS- 2016 articolando tre motivi di impugnazione. 7.1. Con un primo motivo si censura la violazione dell'art. 10 bis della l. 241/90 e il difetto di motivazione, oltre all'asserita violazione del principio di partecipazione e della leale collaborazione tra cittadino e P.A., affermando che l'esito finale di non finanziabilità sarebbe stato reso sulla base di un parere del Gruppo di esperti del -OMISSIS- 2016, quindi successivo al preavviso di rigetto, che la ricorrente aveva potuto conoscere solo in sede di provvedimento negativo finale, così impedendo il contraddittorio su tale ultimo parere; inoltre l'Amministrazione non avrebbe in alcun modo controdedotto in merito alle osservazioni presentate dalla ricorrente il -OMISSIS- 2016. 7.2. Con un secondo motivo si asserisce la violazione degli artt. 3 e 6 del d.lgs. 297 del 27 luglio 1999, degli artt. 3, 5 e 7 del decreto interministeriale n. 275 del 22 luglio 1998, e degli artt. 2 e 14 del d.m. 593 dell'08 agosto 2000; nonché infine la violazione del principio dell'affidamento. Dal quadro normativo sopra richiamato emergerebbe che il Ministero aveva escluso da finanziamento il progetto della ricorrente operando illegittimamente un inedito controllo sul contenuto del contratto allorchè il progetto era già stato ritenuto ammissibile: la verifica sul contenuto del contratto di ricerca sarebbe non già condizione per l'ammissibilità della domanda bensì soltanto per la liquidazione del beneficio, perché l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere deliberata solo sulla base della domanda, avendo la procedura di verifica carattere esclusivamente automatico. Inoltre la scelta di non finanziare il progetto sarebbe stata presa dal Ministero "appiattendosi" sui pareri espressi rispettivamente il -OMISSIS-2016 e il successivo -OMISSIS- dal Gruppo di Esperti, nonostante tale organo non abbia alcuna competenza circa la valutazione dei progetti di ricerca, né sarebbe prevista per legge l'emissione di un suo parere nell'ambito della procedura di che trattasi. 7.3. Infine con il terzo motivo la ricorrente censura il difetto di motivazione, la violazione del principio dell'affidamento, l'eccesso di potere per sviamento, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l'ingiustizia manifesta. Innanzitutto poiché la domanda di finanziamento sarebbe stata presentata ai sensi dell'art. 2 del D.M. 593 del 2002 sarebbero senz'altro ammissibili le attività di ricerca industriale non esclusiva, come quella in oggetto. Inoltre già dal titolo del progetto emergerebbe pacificamente che il progetto presentato da -OMISSIS- avrebbe carattere di ricerca industriale; il rilascio dei brevetti depositati nel procedimento dimostrerebbe peraltro come l'attività di ricerca per la quale è stata richiesta l'agevolazione rientrerebbe pienamente tra quelle ammissibili perché attesterebbe che il risultato della ricerca è dotato di novità, originalità ed industrialità anche ai sensi del Codice della Proprietà Industriale. Infine il medesimo rilascio di detti brevetti dimostrerebbe che l'attività di ricerca sia stata effettivamente svolta, in contrasto con quanto ritenuto dal MIUR nel provvedimento definitivo. 8. La ricorrente con atto di cessione del -OMISSIS- 2017 ha ceduto a -OMISSIS- s.r.l.s. l'intero ramo di azienda inerente i Servizi di Progettazione di Ingegneria Integrata, con tutti i cespiti occorrenti per lo svolgimento dell'attività aziendale ceduta. Quindi la cessionaria ha notificato il -OMISSIS-2020 e depositato nel presente giudizio il successivo 28 agosto atto di intervento ad adiuvandum, precisando che secondo la prevalente giurisprudenza, in conformità alle previsioni di cui all'art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l'esercizio di un'impresa determina l'automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali - di carattere non personale - che attengono all'azienda ceduta. Pertanto la cessionaria sarebbe dotata di legittimazione ad intervenire nel presente giudizio in quanto titolare nei confronti del MIUR del diritto di credito al finanziamento oggetto del presente giudizio. 9. Si è costituito il giudizio il Ministero dell'Istruzione e della ricerca, che ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, trattandosi di domanda di contributo economico soggetto a procedura di valutazione automatica, nella cui valutazione la P.A. era priva di discrezionalità, dovendo limitarsi ad accertare la ricorrenza dei presupposti di legge. Quindi l'Amministrazione ha contestato la legittimazione all'intervento di -OMISSIS- srl, in quanto la cessione di azienda è avvenuta in epoca successiva all'emanazione del provvedimento impugnato, che aveva escluso il sorgere del credito: discende da ciò che il credito non può essere stato trasferito nel patrimonio della cessionaria perché inesistente nel patrimonio della cedente. Al contrario se la società fosse effettivamente titolare del diritto di credito sarebbe cointeressata, quindi avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del -OMISSIS- 2016 autonomamente. Nel merito la difesa erariale confutava partitamente i singoli motivi di impugnazione. 10. Nel frattempo era emerso che il Sig. -OMISSIS-, legale rappresentante di -OMISSIS- srl e di -OMISSIS-srls, in concorso con altri soggetti tra cui il figlio -OMISSIS-, era stato rinviato a giudizio avanti al Tribunale di Perugia (R.G.N.R. -OMISSIS-/13) per il reato di cui all'640 bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) integrato mediante presentazione di domande di finanziamenti per attività di ricerca in concreto mai svolta nonchè emissione di fatture per operazioni inesistenti. Da documentazione versata in atti risultava che nel maggio 2018 il predetto procedimento si trovava nella fase dell'udienza preliminare. 11. Con sentenza n. -OMISSIS- 2018 il Tribunale di Perugia ha dichiarato il fallimento della ricorrente, evento poi dichiarato nel presente giudizio con memoria del 21 settembre 2020; questo Tar con sentenza n. -OMISSIS- 2020 ha dichiarato l'interruzione del processo con decorrenza dalla data in cui la parte ha fatto la dichiarazione nella memoria, ovvero il 21 settembre 2020. 12. -OMISSIS-, interveniente ad adiuvandum, ha riassunto il processo con atto notificato in data 27 dicembre 2020 e depositato il 5 gennaio del 2021; senonchè il Tar Umbria con sentenza n. -OMISSIS- 2022 ha dichiarato l'estinzione del processo per mancata riassunzione nel termine perentorio di 90 giorni decorrenti dalla data di conoscenza legale dell'evento interruttivo, ovvero dalla memoria del 21 settembre 2020. 13. A seguito di appello, il Consiglio di Stato con sentenza n. -OMISSIS- 2023 ha riformato la sentenza di primo grado in punto di decorrenza dell'interruzione del processo, considerando che "a seguito dell'intervenuto mutamento del quadro normativo verificatosi a far tempo dal 1° settembre 2021, per l'entrata in vigore dell'art. 143, comma 3, del d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, in attuazione della l. n. 155/2017), il quale ha previsto che a seguito dell'apertura della liquidazione giudiziale (già dichiarazione di fallimento), il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre da quando l'interruzione è dichiarata dal giudice." Sulla base di tale principio la conoscenza legale dell'evento interruttivo doveva ritenersi fissata non già dalla data di deposito della memoria della ricorrente, bensì dalla pubblicazione della sentenza con cui il Tar Umbria aveva dichiarato l'interruzione, ovvero il -OMISSIS-: rispetto a tale data la riassunzione doveva ritenersi sicuramente tempestiva. Il Consiglio di Stato ha ritenuto altresì che, vertendosi in uno dei casi tassativi di rimessione in primo grado, "All'esito del rinvio, pertanto, il primo giudice andrà a esaminare per la prima volta tutte le altre questioni di rito e di merito, compresa quella della possibilità, per l'interveniente ad adiuvandum, di riassumere il giudizio interrotto", ed ha rimesso il processo al Tar Umbria. 14. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie. All'udienza pubblica del 9 aprile 2024, uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Deve essere disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione spiegata dalla difesa erariale sul presupposto che, essendo il contributo disciplinato direttamente dalla legge, all'Amministrazione è demandato esclusivamente il compito di accertare la sussistenza dei presupposti specificamente indicati dalla normativa, senza spendita di alcun potere discrezionale. Sul punto è noto l'orientamento giurisprudenziale in tema di contributi pubblici secondo cui la controversia deve essere devoluta al Giudice Ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, ed alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l'effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l'an, il quid, il quomodo dell'erogazione, ovvero qualora la vertenza attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento dei beneficiari alle condizioni statuite in sede di lex specialis, in quanto in tal caso il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione; al contrario è configurabile una situazione soggettiva d'interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la questione riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr. fra le tante, T.A.R. Marche, sez. I, 27 febbraio 2024, n. 187, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 04 dicembre 2023, n. 6660, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 05 giugno 2023, n. 1383). Nel caso de quo è oggetto di contenzioso il provvedimento con cui si dichiarava la "non accoglibilità del contratto" ovvero in buona sostanza la non meritevolezza del progetto, principalmente perché l'attività oggetto del contratto di ricerca non era stata ritenuta di ricerca industriale, bensì di mero sviluppo industriale, oltre alle perplessità circa l'effettivo svolgimento dell'attività . Trattavasi evidentemente di valutazione di merito, non a caso svolta dalla Commissione di esperti istituita con Decreto del MIUR n. -OMISSIS- 2005, collegio che quindi valutava il contenuto del progetto in maniera approfondita facendo uso anche di discrezionalità tecnica. Deve quindi confermarsi la giurisdizione del presente Giudice, trovandosi la società ricorrente in posizione di interesse legittimo rispetto all'erogazione di un contributo la cui attribuzione dipende da provvedimenti discrezionali. 2. Come chiarito dal Consiglio di Stato, che riteneva la riassunzione del processo tempestiva, va preliminarmente esaminata la questione della legittimazione dell'interveniente a riassumere il processo interrotto, giacchè se si ritenesse che l'interveniente fosse carente di tale potere, il processo dovrebbe dichiararsi estinto, con la conseguente perdita di interesse alla delibazione delle ulteriori questioni. 2.1. Secondo un orientamento "Nel processo amministrativo, chi sia intervenuto "ad adiuvandum" non può ampliare la materia del contendere e non può sottoporre al collegio istanze processuali autonome e diverse da quelle del ricorrente in ordine allo svolgimento del giudizio. Pertanto sono inammissibili le istanze processuali dell'interventore relative allo spostamento della udienza, formulate sotto forma di istanza di differimento dell'udienza al 28.9.2023 e di anticipazione al 14.9.2023, e le istanze inerenti la composizione del Collegio giudicante, sottoposte in data anteriore alle istanze analoghe di parte ricorrente, come già osservato con i decreti presidenziali 13.9.2023 nn. 3752 e 3753." (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487). Dunque l'interventore ad adiuvandum non potendo estendere l'oggetto del processo non potrebbe neppure riassumere il processo interrotto in assenza di iniziativa delle altre parti costituite. 2.2. Senonchè lo scrutinio della sussistenza della legittimazione dell'interveniente alla riassunzione del processo presuppone la qualificazione dell'effettiva tipologia dell'intervento spiegato da -OMISSIS-, che sebbene espressamente qualificato ad adiuvandum dalla parte non ne presenta i requisiti di sostanza. Nel processo amministrativo è espressamente contemplato l'intervento volontario oppure jussu iudicis del controinteressato pretermesso (art. 28 primo comma cod. proc. amm.) ovvero l'intervento di chi vanta un interesse dipendente dalla posizione giuridica di un'altra parte e ne sostiene o avversa le ragioni (intervento ad adiuvandum o ad opponendum). In particolare "l'intervento ad adiuvandum può essere svolto da colui il quale vanti una posizione di fatto, dipendente o collegata alla situazione fatta valere con il ricorso principale (cd. intervento adesivo-dipendente), escludendosi invece tale possibilità nei riguardi del cointeressato (cd. intervento autonomo/principale), cioè di colui il quale vanti un interesse personale e diretto all'impugnazione del provvedimento oggetto di censura" (Cons. Stato, sez. III, 04 aprile 2023, n. 3442). In altri termini le condizioni che legittimano la proposizione dell'intervento adesivo sono rappresentate: dalla alterità dell'interesse vantato rispetto a quello che legittimerebbe alla proposizione del ricorso in via principale, visto che l'intervento è volto a tutelare un interesse diverso, ma collegato, rispetto a quello fatto valere dal ricorrente principale - cosicchè la posizione dell'interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della parte principale - e dalla configurabilità di un vantaggio derivante, anche in via mediata e indiretta, dall'accoglimento del ricorso principale. E', pertanto, inammissibile l'intervento ad adiuvandum promosso da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l'interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all'impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che deve essere azionato mediante proposizione di ricorso principale nei prescritti termini decadenziali. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 settembre 2022, n. 8114, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 10 marzo 2023, n. 4169, T.A.R. Umbria, 05 luglio 2023, n. 435). 2.3. -OMISSIS-srl, pur potendo identificare il proprio interesse in senso tecnico come dipendente e/o collegato a quello del ricorrente principale - dato che, quale cessionario di azienda della ricorrente deriva il proprio interesse dal contratto di cessione con quest'ultima - e dunque potendo definirsi in astratto quale interveniente ad adiuvandum, non vanta un interesse indiretto all'accoglimento del ricorso, nè ha una posizione diversa ma collegata al ricorrente principale, ma ha precisamente il medesimo interesse di quest'ultimo. La società interveniente, quale successore a titolo particolare nel diritto (rectius, nell'interesse) controverso, all'esito della cessione è l'unico titolare di tale interesse perché -OMISSIS- si è disfatta in suo favore del relativo ramo di azienda. L'interveniente può qualificarsi quale cointeressata all'impugnazione principale, sebbene in via solamente successiva, poiché quale potenziale destinataria del finanziamento in seguito alla cessione di azienda si trova ora nell'identica posizione della ricorrente, ma non era onerata dell'impugnativa del provvedimento nei termini - come opinato dalla difesa erariale - perché essendo stata operata la cessione solo successivamente, allora non era portatrice di alcun interesse neppure di mero fatto all'impugnazione. Dunque deve dichiararsi la legittimazione di -OMISSIS-ad intervenire nel presente processo quale successore a titolo particolare di -OMISSIS- srl, ed in virtù di tale interesse qualificato all'annullamento del provvedimento impugnato era senz'altro legittimata a riassumere il processo interrotto perché abilitata alle medesima facoltà spettanti alle altre parti processuali. 3. Ciò chiarito deve procedersi all'esame del merito del ricorso, che si appalesa integralmente infondato. 4. Non può essere condiviso il primo gruppo di censure, incentrato sulla presunta obliterazione delle garanzie procedimentali correlate al preavviso di rigetto, unitamente all'asserita omessa valutazione delle osservazioni della parte privata con riguardo al contenuto del provvedimento finale. 4.1. Innanzitutto, non corrisponde al vero che il provvedimento finale sarebbe stato adottato sulla base del verbale del gruppo di lavoro del -OMISSIS- 2016 - dunque in una riunione successiva all'invio del preavviso di rigetto - recante motivazioni nuove e non condivise con la ricorrente, che sulle stesse avrebbe dovuto potersi difendere prima dell'adozione del provvedimento di diniego definitivo. Il preavviso di diniego del -OMISSIS-2016 era basato principalmente su tre ragioni: a) le perplessità sul ruolo di amministratore/socio svolto dallo stesso soggetto (-OMISSIS-) sia nella società beneficiaria del contributo sia nel laboratorio affidatario, i quali enti in altre domande di finanziamento si scambiavano i ruoli; b) la riconducibilità delle attività svolte a mera progettazione e sviluppo industriale, senza alcun significativo elemento di innovatività scientifica e tecnologica che afferisse alla richiesta attività di ricerca industriale; c) l'irrilevanza sotto il precedente profilo dei brevetti ottenuti dalla ricorrente nel medesimo campo oggetto di ricerca, brevetti che anzi confermavano l'assenza di attività originale ulteriore rispetto ai brevetti stessi. Tali argomenti erano i medesimi su cui si basava anche il provvedimento finale di rigetto e su cui aveva abbondantemente interloquito la ricorrente nelle osservazioni dell'ottobre 2016, senza apportare alcun elemento che inducesse il Ministero a determinarsi differentemente. 4.2. Peraltro il contenuto del verbale del gruppo degli esperti non introduceva alcun sostanziale elemento di novità rispetto a quanto già oggetto di discussione tra le parti, dato che oltre a specificare ulteriormente il concetto di ricerca industriale e il contenuto della circolare 2474 del 2005 sullo svolgimento dell'istruttoria dei progetti - di cui si dirà infra - il Gruppo di lavoro svolgeva alcune osservazioni sul contenuto della relazione illustrativa inviata da -OMISSIS- nel 2011 (in risposta al primo preavviso di rigetto) sostenendo che detto scritto era una sorta di "collage" di testi scientifici e tesi di laurea reperibili in argomento sul web, e che non apportava alcun elemento di novità idoneo a dimostrare l'esistenza di effettiva ricerca industriale. In conclusione l'interlocuzione tra il Ministero e la parte privata era stata varia ed approfondita, e comunque le osservazioni critiche del Gruppo di lavoro attenevano a difetti strutturali del progetto, certamente non superabili con l'eventuale presentazione di deduzioni difensive già comunque presentate in precedenza sui medesimi argomenti. 5. Non è meritevole di positiva valutazione neppure il secondo motivo di ricorso laddove pretende di trarre dalla normativa applicabile argomenti a favore dell'esercizio da parte del Gruppo di lavoro di un controllo non previsto dalla lex specialis che aveva portato all'esclusione del progetto della ricorrente in seguito ad una valutazione sul contenuto del contratto di ricerca, mentre secondo la ricorrente l'ammissibilità del progetto avrebbe dovuto essere riconosciuta solo sulla base delle mere dichiarazioni della ricorrente, o comunque della comprova dell'avvenuta stipulazione del contratto senza poterne valutare i contenuti. 5.1. Il D.M 275 del 1998 agli artt. 4 e 5 opera una scansione ben precisa degli adempimenti procedurali prodromici all'ammissibilità a finanziamento del contratto di ricerca: - scaduti i termini per la presentazione delle domande, il Ministero controlla il contenuto delle dichiarazioni entro i 60 giorni successivi e la formazione di un elenco dei soggetti ammissibili sulla base delle eventuali priorità ; - i soggetti collocati nell'elenco entro i 30 giorni successivi inviano al Ministero copia dei contratti di ricerca ovvero in alternativa una dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante della beneficiaria del finanziamento, attestante l'avvenuta stipula del contratto con i laboratori di ricerca o altri soggetti, di cui vanno indicati gli estremi identificativi, oltre all'attività di ricerca oggetto del contratto; - solo sulla base delle sopra indicate comunicazioni o documentazioni il MIUR forma l'elenco dei soggetti beneficiari, che pubblica nella Gazzetta Ufficiale, dandone comunicazione anche per via telematica ai soggetti medesimi. E' vero che il procedimento di cui sopra non contempla espressamente alcuna forma di controllo approfondito da svolgersi in via preventiva sul contenuto del contratto, ma ai sensi dell'art. 7 sono previste forme di controllo e di monitoraggio a campione che successivamente potranno portare alla revoca del beneficio. 5.2. Non può tuttavia condividersi l'interpretazione di tali disposizioni secondo cui il contenuto del contratto di ricerca condizionerebbe non l'ammissibilità della domanda bensì solo la liquidazione del beneficio: è evidente il palese contrasto con il buon andamento della PA e l'economia degli atti giuridici di una lex specialis che per ipotesi consentisse, in assenza di idonee verifiche, di attribuire un beneficio economico ad un progetto non meritevole - salvo il recupero delle provvidenze in un secondo momento all'esito di un controllo più approfondito - con l'evidente rischio di non recuperare in seguito soldi pubblici messi a disposizione in carenza di adeguata istruttoria. 5.3. Proprio per porre rimedio all'inadeguatezza di un'istruttoria di progetti spesso scientificamente complessi operata mediante procedura standardizzata, nel 2005 con Decreto del MIUR n. 3247/Ric del 6 dicembre 2005, è stato istituito formalmente un Gruppo di Lavoro incaricato di esaminare la documentazione trasmessa dai soggetti proponenti nell'ambito delle domande di agevolazione "ai fini del più efficace svolgimento delle complessive attività di selezione, controllo e monitoraggio, previste ai sensi dell'art. 14 del decreto ministeriale n. 593 dell'8 agosto 2000, comma 2, è istituito uno specifico Gruppo di esperti con il compito di assicurare il necessario supporto alle attività di competenza del Ministero". Quanto invece alla necessità "di rendere più efficace l'attività di individuazione delle richieste ammissibili alla concessione delle agevolazioni descritte" con la circolare n. 2474 del 17 ottobre 2005, pubblicata sulla G.U. n. 251 del 27 ottobre 2005, è stata modificata la fase di valutazione preventiva dell'ammissibilità delle domande che ha previsto - per l'agevolazione di interesse nella presente sede - l'obbligo di invio nella fase antecedente alla formazione dell'elenco delle domande finanziabili del contratto di ricerca che dovrà obbligatoriamente contenere: l'indicazione dettagliata e motivata della criticità tecnico- scientifica dell'iniziativa, la descrizione dettagliata degli obiettivi, attività e programma delle attività, il diagramma temporale dell'iniziativa, il quadro economico dettagliato dei costi, le modalità di pagamento, oltre a numerose altre informazioni sull'altro contraente. 5.4. Quindi nel 2007 la domanda di finanziamento presentata dalla ricorrente era sottoposta all'approfondita istruttoria preventiva svolta dal Gruppo di esperti all'uopo nominato, e sulla base di tali parametri il progetto presentato da -OMISSIS- veniva ritenuto incompleto, non conforme agli obiettivi e quindi non accoglibile. Né poteva ritenersi sorto alcun legittimo affidamento della ricorrente all'erogazione del beneficio, dato che l'ammissibilità solo provvisoria del progetto era stata deliberata in assenza di controlli documentali, al cui invio era seguito subito, già nel gennaio 2011, il preavviso di diniego dell'accoglibilità della misura. 6. Anche il terzo motivo deve essere respinto. 6.1. La domanda di ammissione a beneficio è stata presentata ai sensi del D.M. 593 del 2002 che all'art. 2 comma 2 prevede: "L'intervento di sostegno può estendersi anche a non preponderanti attività di sviluppo precompetitivo consistenti nella concretizzazione dei risultati delle attività di ricerca industriale in un piano, un progetto o un disegno relativo a prodotti, processi produttivi o servizi nuovi, modificati, migliorati, siano essi destinati alla vendita o all'utilizzazione, compresa la creazione di un primo prototipo non idoneo a fini commerciali" tuttavia tale previsione va letta in combinato disposto con il comma 3, che prevede che le predette "attività di sviluppo precompetitivo sono ammissibili purché necessarie alla validazione dei risultati delle attività di ricerca industriale". Quindi non solo le attività di ricerca industriale devono sussistere, ma devono essere altresì preponderanti, perché le eventuali attività di sviluppo precompetitivo devono avere valenza strettamente ancillare rispetto alla ricerca industriale. Già da tale considerazione discenderebbe il rigetto di tale motivo di censura, dato che non è controverso che la ricerca industriale non fosse preponderante nel progetto in esame, ma il Gruppo di esperti ha ritenuto completamente assente tale attività dal contratto di ricerca, che involgerebbe al più attività di sviluppo industriale. 6.2. Peraltro rispetto a tale valutazione caratterizzata da discrezionalità tecnica, il sindacato di questo Tribunale deve arrestarsi al riscontro di eventuali elementi sintomatici di illogicità, irragionevolezza, travisamento, che appaiono palesemente assenti nel caso de quo e del resto non sono stati neppure enunciati in maniera specifica dalla ricorrente. Né il titolo del progetto di ricerca né l'avvenuta presentazione di una domanda di brevetto in materia analoga bastavano a dimostrare che trattavasi di attività di ricerca industriale, come ritenuto in maniera ragionevole dal Gruppo di esperti che sul punto ha motivato diffusamente. E' pienamente condivisibile il ragionamento per cui, se una domanda di brevetto riguarda una determinata attività di ricerca, allorchè tale brevetto sia rilasciato la ricerca è evidentemente conclusa e quella stessa attività non può costituire l'oggetto di un ulteriore contratto di ricerca da finanziarsi con il beneficio in contestazione, ma al più, come ritenuto dall'Amministrazione può implicare attività ulteriore di mero sviluppo industriale. Peraltro è la stessa ricorrente ad ammettere l'identità dell'attività oggetto di brevetto e di quella oggetto del contratto di ricerca, allorchè sostiene che la prova dell'effettuazione dell'attività di ricerca industriale assegnata a -OMISSIS- -OMISSIS- è l'avvenuto rilascio del brevetto. Dunque la domanda di agevolazione è diretta a finanziare non una nuova attività di ricerca, ma attività già svolta e oggetto di privativa, ed è stata correttamente ritenuta non ammissibile dall'Amministrazione. 6.3. Le osservazioni della Commissione di esperti in merito alla mancata documentazione dell'effettuazione dell'attività di ricerca non sono neppure confutate in maniera convincente né nel ricorso né nelle osservazioni del 2016: d'altro canto il documento denominato "relazione dettagliata delle attività svolte" datata -OMISSIS- 2012, che avrebbe dovuto, a ricerca conclusa, dare conto dei costi delle attività e dei risultati raggiunti non conteneva nulla di tutto ciò, ma si limitava a riportare stralci di documenti scientifici collazionati, ed in punto di costi riferiva dell'avvenuta emissione di una serie di fatture da parte del laboratorio contraente senza una specifica analisi degli importi. 7. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente e l'interveniente ad adiuvandum in solido al pagamento delle spese di lite in favore del Ministero, che si liquidano complessivamente in euro 2.000 (duemila/00), oltre agli oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le altre parti di causa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2335 del 2023, proposto da Ch. Fr., rappresentata e difesa dall'avvocato Ni. La., con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio Regione Toscana, in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Vi., con domicilio digitale p.e.c. in registri di giustizia Agenzia del Demanio, Agenzia del Demanio - direzione regionale per la Toscana e l'Umbria, Ufficio territoriale del Governo Lucca, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati, in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (sezione terza) n. 1393/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Toscana e dell'Agenzia del Demanio, dell'Agenzia del Demanio - direzione regionale per la Toscana e l'Umbria e dell'Ufficio territoriale del Governo di Lucca; Viste le memorie e tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2023 il consigliere Fabio Franconiero, sulle istanze di passaggio in decisione delle parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana la signora Ch. Fr. impugnava il diniego di rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 209 della legge urbanistica regionale toscana (legge 10 novembre 2014, n. 65) per i seguenti interventi edilizi: "realizzazione di ampliamento di porzione di fabbricato ad uso residenziale, sostituzione della copertura di manufatto pertinenziale con cambio di destinazione d'uso in locali ad uso residenziale, costruzione locale termo"; realizzati in assenza di titolo sull'immobile di sua proprietà sito in (omissis), via (omissis), a suo tempo edificato su un tratto tombato del rio (omissis) (o Fr. o F.), in forza di nulla osta idraulico del Genio civile - Ufficio di Lucca del Ministero dei lavori pubblici (provvedimento in data 25 novembre 1963, n. prot. 15581), sulla cui base l'amministrazione comunale rilasciava il titolo ad edificare (concessione edilizia del 25 novembre 1964, n. 384). 2. A fondamento del diniego di sanatoria (provvedimento di prot. n. 70290 del 24 ottobre 2017) era posto un duplice ordine di ragioni ostative. Esse consistevano nel fatto che gli abusi erano stati realizzati "all'interno della fascia di mt 10,00 da corso d'acqua incluso nel reticolo idrografico principale", ai sensi dell'art. 1 della (allora vigente) legge regionale 21 maggio 2012, n. 21 (Disposizioni urgenti in materia di difesa dal rischio idraulico e tutela dei corsi d'acqua); e, sotto il profilo urbanistico, nel fatto che la sostituzione d'uso della copertura del manufatto pertinenziale aveva comportato un incremento volumetrico, mentre l'ampliamento di quello principale aveva interessato una preesistente unità immobiliare avente una superficie utile originaria inferiore a quella di 40 mq richiesta a livello locale (artt. 26 e 19 del regolamento urbanistico comunale). 3. Con motivi aggiunti l'impugnazione era estesa ai seguenti atti della Regione Toscana - settore genio civile Toscana nord: - nota in data 17 giugno 2017 (prot. n. 30990) con cui, premesso che il nulla osta idraulico a suo tempo rilasciata non risultava ai propri atti, in riscontro all'istanza di nulla osta alla sanatoria edilizia, aveva dato atto che l'intero compendio immobiliare di proprietà della ricorrente, e quindi non solo le opere oggetto di quest'ultima, era stato a suo tempo abusivamente realizzato sul demanio idrico, e comunque in violazione della fascia di rispetto dal corso d'acqua (rio (omissis)), ai sensi dell'art. 96, comma 1, lettera f), del regio decreto 25 luglio 1904, n. 523 (Testo unico sulle opere idrauliche), - nota in data 31 gennaio 2022, con la quale a seguito di sopralluogo era confermata l'abusiva occupazione del demanio idrico da parte dei fabbricati di proprietà della signora Francesconi ("occupazione di area demaniale del Fosso del Fr.") e si invitavano pertanto le competenti autorità ad esercitare i conseguenti poteri repressivi. 4. Con la sentenza indicata in epigrafe l'adito Tribunale amministrativo: - declinava in parte la propria giurisdizione, a favore del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), e precisamente nei confronti delle censure dirette a contestare l'abusiva edificazione in violazione della fascia di rispetto a tutela della sicurezza idraulica, sul rilievo che queste afferiscono "all'esistenza dei titoli autorizzatori e concessori legittimanti gli interventi realizzati nel corso del tempo, dalla ricorrente e dai suoi danti causa, in corrispondenza e a ridosso dell'alveo, e involgono anch'esse questioni direttamente attinenti al governo e alla tutela delle acque pubbliche". - respingeva nel merito le ulteriori censure nei confronti delle ragioni ostative di carattere urbanistico. 5. A quest'ultimo riguardo, dopo avere riscontrato l'assenza di "un'idonea motivazione del diniego" di sanatoria relativamente al presupposto della preesistente superficie utile minima per l'immobile principale, considerava invece legittimo il diniego fondato sulla violazione della normativa regolamentare locale per quanto riguarda la sostituzione della copertura del fabbricato pertinenziale (ex ripostiglio). Sul punto la sentenza accertava che "l'altezza del fabbricato è passata da 3,40 a 3,68 m al colmo, e da 2,95 a 2,99 m alla gronda, con corrispondente aumento di volumetria", e che la circostanza era stata "sostanzialmente ammessa dalla ricorrente, il cui tecnico, nelle controdeduzioni al preavviso di diniego, riferisce che l'utilizzo di tegole in cotto per la costituzione del nuovo manto di copertura avrebbe reso necessario aumentare la pendenza delle falde per consentire un migliore deflusso delle acque meteoriche". La sentenza considerava non sufficiente la ragione tecnica addotta a giustificazione dell'incremento volumetrico, consentito dal sopra citato art. 26 del regolamento urbanistico unicamente "per gli edifici a due piani" - ipotesi non ricorrente nel caso di specie. 6. Contro la pronuncia di primo grado i cui contenuti sono così sintetizzabili la signora Francesconi ha proposto il presente appello, in resistenza del quale si sono costituiti la Regione Toscana e, in via collettiva l'Agenzia del Demanio, la Direzione regionale per la Toscana e l'Umbria di questa e l'Ufficio territoriale del Governo di Lucca. DIRITTO 1. Con un primo ordine di censure l'appello contesta la giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche sulla presente controversia, ai sensi del sopra citato art. 143 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. In contrario deduce che i provvedimenti in materia di edilizia impugnati nel presente giudizio sono privi di incidenza diretta sul demanio idrico e le relative opere idrauliche, quand'anche essi siano in parte fondati sul presupposto dell'inesistenza di validi titoli di occupazione del demanio in questione. Sotto un distinto profilo, svolto in via subordinata, si contesta lo sdoppiamento dell'unitaria controversia conseguente alla declinatoria parziale di giurisdizione, per le negative ricadute sul principio di effettività della tutela giurisdizionale. 2. In relazione alle statuizioni di merito contenute nella sentenza di primo grado sfavorevoli alla ricorrente, concernenti l'incremento volumetrico dell'ex ripostiglio pertinenziale, si contesta l'assunto della sentenza secondo cui l'ipotesi sarebbe stata ammessa dall'interessata. In contrario viene sottolineato che in sede procedimentale erano stati forniti i calcoli dai quali non era emerso alcun incremento, laddove l'ipotesi dell'incremento derivante da ragioni di adeguamento del fabbricato alle normative vigenti era stata prospettata solo "in via subordinata e ipotetica, a supporto della conformità dell'opera esaminata alla normativa urbanistica". Si aggiunge inoltre che se anche effettivamente realizzato ("pur ammettendo ipoteticamente un lieve aumento del volume"), il diniego di sanatoria sarebbe carente sotto il profilo motivazionale, perché privo dell'indicazione delle effettive ragioni di incompatibilità con l'art. 26 del regolamento urbanistico più volte richiamato. 3. Con un ultimo ordine di censure sono riproposte le contestazioni relative al preteso sconfinamento dell'immobile nel demanio idrico da parte dell'intervento di ampliamento dell'immobile principale di proprietà della ricorrente, formulate in primo grado con motivi aggiunti. In relazione ad esse si lamenta l'omessa pronuncia da parte della sentenza, per avere questa erroneamente supposto che le censure erano state indirizzate ai provvedimenti regionali anziché al provvedimento comunale di diniego di sanatoria. 4. Così sintetizzate le censure di cui si compone il presente appello, sono infondate quelle concernenti l'incremento volumetrico dell'ex ripostiglio derivante dall'intervento di sostituzione della relativa copertura. La conseguente conferma del diniego di sanatoria impugnata sotto il profilo in questione, idoneo di per sé a sorreggere il provvedimento impugnato, consente quindi di soprassedere dall'esame delle contestazioni invece rivolte alla declinatoria parziale di giurisdizione pronunciata in primo grado. 5. L'incremento volumetrico è innanzitutto ricavabile sul piano oggettivo dall'aumento delle altezze del fabbricato, riscontrato dalla polizia municipale di (omissis) all'esito del sopralluogo in data 5 ottobre 2015 - da 2,95 a 2,99 la minima e da 3,40 a 3,68 la massima - nei confronti del quale non sono formulate contestazioni. Come inoltre statuito in sentenza, la medesima circostanza è stata in positivo riconosciuta dalla ricorrente, a mezzo della relazione tecnica integrativa depositata in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado. In essa si afferma infatti quanto segue: "in merito alla maggior altezza dell'ex ripostiglio, è stato necessario aumentare la pendenza delle falde per permettere un miglior deflusso delle acque meteoriche. Infatti la precedente copertura in eternit consentiva di avere anche minor pendenza, mentre l'uso delle tegole in cotto per la costituzione del nuovo manto di copertura imponeva l'uso di una pendenza maggiore secondo le normali tecniche costruttive". 6. Sennonché le finalità di "adeguamento igienico sanitario" a sostegno dell'intervento, e la sua pretesa legittimità sotto tale profilo, in virtù della deroga ai limiti di incremento volumetrico prevista con decreto regionale n. 64 dell'11 novembre 2013, richiamato nella relazione tecnica in esame, è solo ivi affermata, ed avrebbe in ogni caso dovuto essere oggetto di preventiva verifica da parte dell'amministrazione comunale. 7. In relazione al medesimo presupposto a fondamento del diniego di sanatoria, va inoltre escluso che esso sia carente di motivazione, come ulteriormente dedotto dalla ricorrente. Il provvedimento impugnato enuncia chiaramente la norma urbanistica violata (art. 26 del regolamento comunale di settore), che come statuito dalla sentenza di primo grado "non ammette gli aumenti volumetrici mediante rialzamento se non per gli edifici a due piani", come si evince dalla sua formulazione ("(p)otranno avvenire con rialzamenti, solo per gli edifici a due piani con un'altezza contenuta in quella attuale incrementata di ml 3..."). Il contrasto dell'intervento abusivamente realizzato è dunque evincibile dal richiamo alla norma regolamentare e alle difformi caratteristiche dell'immobile da esso interessato, quali accertate in sede istruttoria dall'amministrazione comunale ed oggetto di contraddittorio sulla base della comunicazione di avvio del procedimento. A conferma di quanto ora esposto va rilevato che la ricorrente ha potuto formulare nel presente giudizio censure puntuali nei confronti della ragione ostativa alla sanatoria in questione. 8. Deve infine escludersi quanto ipotizzato nell'ultimo motivo d'appello, e cioè che le ulteriori contestazioni formulate in primo grado nei confronti del provvedimento comunale, con motivi aggiunti, dirette ad escludere l'abusiva occupazione del demanio idrico, non sarebbero coperte dalla declinatoria di giurisdizione parziale. Questa pronuncia concerne infatti tutte le questioni al riguardo devolute nel presente giudizio dalla ricorrente e che, pertanto, potranno eventualmente essere dalla stessa riproposte davanti al giudice indicato dalla sentenza di primo grado come munito di giurisdizione, ai sensi dell'art. 11, comma 1, cod. proc. amm., e cioè il Tribunale superiore delle acque pubbliche. 9. L'appello deve conseguentemente essere respinto per le assorbenti considerazioni che precedono, con conseguente conferma della sentenza di primo grado. Le spese di causa possono nondimeno essere compensate, per la natura delle questioni controverse. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere, Estensore Massimiliano Noccelli - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. DE AMICIS Gaetano - Presidente Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere Dott. VILLONI Orlando - Consigliere Dott. APRILE Ercole - rel. Consigliere Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato in (OMISSIS); avverso la sentenza del 19/01/2022 della Corte di appello di Perugia; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Simone Perelli, che ha concluso chiedendo l'inammissibilita' del ricorso; uditi l'avv. (OMISSIS), difensore e procuratore speciale della parte civile Regione Umbria, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore, e l'avv. (OMISSIS), difensore e procuratore speciale della parte civile (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, i quali, anche riportandosi alle memorie depositate rispettivamente il (OMISSIS), hanno concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito l'avv. (OMISSIS), difensore dell'imputato, che, anche riportandosi alle memorie depositate il 21 marzo e il 16 maggio 2023, ha concluso chiedendo l'inammissibilita' o il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Perugia, in riforma della pronuncia di primo grado del 23 gennaio 2020 - con la quale il Giudice per le indagini preliminari, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato in relazione ai reati ascritti ai sensi degli articoli 81, 56 e 317, 317 c.p. assolveva (OMISSIS), "per non aver commesso il fatto" dal delitto contestatogli in termini di concussione consumata e "perche' il fatto non sussiste" dal delitto addebitatogli in termini di tentata concussione. In particolare, la Corte territoriale rilevava come gli elementi di prova acquisiti non fossero idonei a dimostrare che il (OMISSIS), aveva concorso nella concussione commessa da (OMISSIS) e (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS), amministratore della (OMISSIS) s.p.a., per avere, in (OMISSIS), abusando delle loro qualita' rispettivamente di dirigente e di funzionario della Direzione regionale salute della Regione Umbria, costretto il (OMISSIS) ad assumere, come dipendente di una delle strutture del gruppo (OMISSIS), (OMISSIS), compagna di un dipendente della farmacia facente capo alla famiglia del (OMISSIS) e figlia di una ex collega del (OMISSIS) e dell' (OMISSIS); ne' fossero idonei a comprovare che il (OMISSIS) aveva, unitamente al (OMISSIS), tentato di costringere il (OMISSIS) a riconoscergli un ruolo di maggior rilievo nella direzione della attivita' di nuova sede della Riabilitazione estensiva extraospedaliera all'interno della (OMISSIS). 2. Contro tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Perugia, il quale ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorieta' e manifesta illogicita', per avere i giudici di secondo grado effettuato una valutazione parcellizzata degli elementi di prova raccolti, anche travisandone la portata dimostrativa: da un lato, irragionevolmente trascurando il contributo conoscitivo offerto dalla persona offesa (OMISSIS), che aveva piu' volte fatto riferimento al condizionamento subito per le iniziative degli imputati; da altro lato, ingiustificatamente tenendo distinte le vicende che avevano visto protagonista il (OMISSIS), il quale aveva operato sempre d'intesa con il (OMISSIS), come era pure risultato confermato dalle dichiarazione ammissive rese dal coimputato (OMISSIS) in merito ai rapporti tra il (OMISSIS) e il (OMISSIS), nonche' dagli esiti delle intercettazioni di comunicazioni effettuate durante le indagini. 3. Con una lunga e articolata memoria (ripresa da un successivo analogo atto difensivo) il difensore dell'imputato ha esposto le ragioni poste a sostegno della propria richiesta di declaratoria di inammissibilita' o di rigetto del ricorso, in particolare evidenziando come il, Pubblico Ministero impugnante si fosse limitato a denunciare un travisamento dei fatti, inteso come non consentito tentativo di sollecitare una differente valutazione delle prove e una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella privilegiata dalla Corte distrettuale. Tali argomentazioni sono state motivatamente contrastate dai difensori delle due parti civili con le memorie innanzi richiamate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Perugia vada accolto, per le ragioni di seguito precisate. 2. Prima di esaminare le specifiche doglianze del ricorrente, appare necessario, per comodita' di esposizione, formulare una premessa. I risultati dfaccertamenti compiuti dai giudici di entrambi i gradi del merito concordano sullaa circostanza che l'intera vicenda, oggetto del processo, "ruota" intorno alla pratica amministrativa gestita dai coimputati (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, funzionari della direzione salute della Regione Umbria, ebbero ad occuparsi della specifica questione del rilascio da parte della amministrazione di appartenenza dell'autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di riabilitazione estensiva extraospedaliera (r.e.e.) mediante la creazione di una struttura con 20 posti letto. Tale autorizzazione era stata inizialmente concessa nel 2010 all'odierno imputato (OMISSIS), legale rappresentante della societa' (OMISSIS) s.r.l., e da tale impresa collettiva in seguito volturata nel dicembre 2014 alla (OMISSIS) s.p.a., di cui era legale rappresentante (OMISSIS), sulla base di un contratto di cessione di ramo di azienda che prevedeva un'associazione in partecipazione del (OMISSIS), nell'attivita' che sarebbe stata gestita da quella Casa di cura. Risulta, altresi', appurato che le verifiche fattuali avevano riguardato le condotte tenute dai vari protagonisti della vicenda nell'arco temporale a partire dai mesi antecedenti al dicembre 2014 fino all'aprile 2015; e che le indagini dell'autorita' inquirente non erano state avviate sulla base di una specifica denuncia, bensi' valorizzando i dati di conoscenza acquisiti nel corso delle intercettazioni di comunicazioni autorizzate in relazione a ulteriori ipotesi di reato connesse all'attivita' amministrativa svolta dal (OMISSIS). 3. Cio' premesso, va detto che le censure formulate nella fattispecie dal Pubblico ministero ricorrente sono fondate. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il giudice d'appello che, riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l'obbligo di rinnovare l'istruzione dibattimentale mediante l'esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve comunque offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (in questo senso Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430). Di tale regula iuris la Corte di appello di Perugia non ha fatto corretta applicazione, avendo sostenuto, con un apparato argomentativo qualificato da gravi aporie e da marcate forme di manifesta illogicita', di non condividere le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado. In particolare, nella sentenza impugnata si e' scritto che l'imputato doveva essere assolto dai delitti ascritti perche' gli elementi di conoscenza a disposizione facevano dubitare che lo stesso avesse compiuto, in concorso con funzionari pubblici, atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere (OMISSIS) a riconoscergli un ruolo diverso e di maggior peso nella direzione della avvianda attivita' del reparto di riabilitazione estensiva extraospedaliera all'interno della (OMISSIS); ovvero che il (OMISSIS) avesse concorso con il (OMISSIS) nella commissione della concussione consumata ai danni del (OMISSIS), il quale, allo scopo di ottenere il rilascio dell'autorizzazione per la gestione di quel reparto in regime di convenzione regionale, era stato costretto ad assumere una segretaria, tal (OMISSIS), in una delle cliniche del suo gruppo imprenditoriale. E pero', nel formulare tali conclusioni la Corte territoriale si e' sostanzialmente limitata ad una elencazione delle prove a disposizione, esaminandone in maniera parziale la valenza dimostrativa a differenza di quanto era stato fatto, in una piu' coerente visione unitaria, nella sentenza oggetto dell'appello. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia aveva, invero, considerate tutte le prove acquisite nel giudizio in primo grado ed aveva congruamente spiegato come le relazioni tra il pubblico funzionario (OMISSIS) e il privato (OMISSIS) fossero state caratterizzate da un costante collegamento operativo tra le connesse iniziative poste in essere dai due imputati, lo stesso (OMISSIS) e il (OMISSIS). In dettaglio, il giudice di primo grado aveva convincentemente chiarito che era stato il (OMISSIS) nel 2013 a cercare di favorire l'assegnazione alla societa' del (OMISSIS) di ulteriori posti da letto al reparto di riabilitazione, la cui attivita' imprenditoriale LIIsperrIoNritosrOltjilgra stato autorizzato formalmente ad avviare, ma che non era stata mai concretamente realizzata; e che era stato il (OMISSIS), abusando delle sue qualita' di pubblico ufficiale ed assumendo, nonostante una parvenza di confidenzialita', un atteggiamento minaccioso, a farsi promotore dell'intesa imprenditoriale per la cessione della titolarita' di quella autorizzazione amministrativa dal (OMISSIS) al (OMISSIS): soluzione a quest'ultimo indicata dal (OMISSIS) come l'unica possibile per poter avviare la realizzazione di un reparto di terapia estensiva extraospedaliera e la gestione di una attivita' convenzionata con la regione Umbria. Il Giudice per le indagini preliminari aveva perspicuamente posto quelle circostanze in collegamento con il fatto che era stato ancora il (OMISSIS) a ritardare, con speciose richieste di approfondimento istruttorio, la definizione di quella pratica di voltura, significativamente proprio nel momento in cui il (OMISSIS) aveva iniziato a manifestare al (OMISSIS) il proprio dissenso per il mancato riconoscimento di un suo diretto ruolo gestionale nella avvianda attivita' di quel nuovo reparto; nonche' con la circostanza che il (OMISSIS), in quello stesso periodo, aveva pure presentato negli uffici regionali una richiesta di accesso agli atti, solo formalmente legittima, ma avente un'analoga finalizzazione ostruzionistica rispetto allo sviluppo del procedimento di rilascio della nuova autorizzazione. Ne' era stato trascurato che era stato sempre il (OMISSIS), alla vigilia del suo pensionamento, nel corso di un colloquio durante il quale aveva assunto toni apertamente minacciosi verso l'interlocutore ( (OMISSIS): "mi rimprovero' aspramente (...) il (OMISSIS) urlo' (...) mi disse che andando via lui il rilascio dell'autorizzazione sarebbe stato molto piu' lento o addirittura incerto (...) ora che vado via io, non so cosa puo' succedere"), a pretendere che il (OMISSIS) assumesse, in una delle aziende del gruppo da questi diretto, l' (OMISSIS) ( (OMISSIS): "...in quel momento non potevo rifiutare di assumere la signora (OMISSIS) (...) Trascorso qualche giorno...(appresi) che il rilascio dell'autorizzazione era stato ritardato a causa dell'accesso agli atti effettuato (dal) (OMISSIS)... avendo compreso le ragioni dell'attesa dell'esito della domanda di autorizzazione, convocai la signora (OMISSIS) (...) e le comunicai... la sua assunzione"): la quale, all'epoca compagna di un dipendente della farmacia facente capo alla famiglia del (OMISSIS) e figlia di una ex dipendente regionale, collega dello stesso (OMISSIS) e dell' (OMISSIS), era stata effettivamente assunta da (OMISSIS) per sostituire altra segretaria assentatasi perche' in stato in gravidanza, non prima di aver incontrato, in quegli stessi giorni, proprio il (OMISSIS) che significativamente le aveva anticipato che "da li' a poco sarebbero partiti con una nuova struttura e che...(avrebbero) avuto bisogno di sostituire una dipendente in maternita'". Il Giudice per le indagini preliminari aveva, cosi', sottolineato come l'esistenza di una stretta correlazione tra l'operato prevaricatore del (OMISSIS) e il complementare comportamento del (OMISSIS) avesse trovato logico riscontro nel contenuto di alcune captazioni captate dagli inquirenti, che avevano comprovato, in particolare, come tutte le iniziative nei confronti del (OMISSIS) fossero state concordate dal (OMISSIS) con il (OMISSIS); e come fosse stato il coimputato (OMISSIS) a confessare che il (OMISSIS), suo diretto superiore gerarchico, non solamente gli aveva anticipato che "il suo amico Pantelis, avrebbe dovuto ricevere l'incarico di responsabile della gestione delle attivita' terapeutiche" di quel nuovo reparto, ma gli aveva anche espressamente confidato che siccome il (OMISSIS) temeva che il (OMISSIS) non "avrebbe rispettato quella clausola...(egli)... avrebbe ritardato il rilascio dell'autorizzazione chiedendo un supplemento di istruttoria". Dati e indicazioni fattuali/queste/ che erano state analiticamente valorizzate nella sentenza di primo grado (v. pagg. 40-58 sent. primo grado), a fronte dei quali molto piu' sbrigativi sono risultati i riferimenti contenuti nella sentenza gravata e le relative valutazioni probatorie. Emergenze processuali, quelle segnalate nella sentenza di primo grado, con le quali fa Corte di appello ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, giustificando la riforma della pronuncia gravata solo con una motivazione apparente: limitandosi ad elencare i dati informativi a disposizione (v. pagg. 2-19 sent. impugn.), dilungandosi su ininfluenti tematiche di natura strettamente amministrativa (v. pagg. 38-44, sent. impugn.) e formulando assertive notazioni di dissenso sui giudizi espressi dal giudice primo grado (" (OMISSIS) non si era mai sentito minacciato nelle sue determinazioni" (...) "l'intero iter amministrativo non appare particolarmente lungo" (...) "ritiene la Corte come la condotta contestata come minacciosa o costrittiva sia stata in effetti posta in essere dal solo (OMISSIS), non emergendo con chiarezza un diretto coinvolgimento (del (OMISSIS))" - pagg. 34-38 e 46, sent. impugn.). Tanto ha fatto la Corte territoriale frazionando artificiosamente il materiale informativo e, soprattutto, omettendo di considerare una serie di decisivi elementi di conoscenza che pure le carte del processo avevano offerto, che oggi appaiono palesemente idonei a disarticolare l'impianto logico della decisione assolutoria. Le doglianze del Pubblico ministero ricorrente/percio', lungi dal costituire una mera sollecitazione ad una rilettura delle carte del processo, sono fondate, proprio perche' capaci di far emergere la presenza nella sentenza impugnata di un quadro argomentativo incongruo nel rapporto tra premesse e conclusioni e, soprattutto, basato su una palesemente incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione: sentenza di riforma nella quale manca quell'analitico riesame del materiale probatorio vagliato dal primo giudice che sarebbe stato necessario, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale idonea a dare adeguata ragione delle difformi conclusioni assunte. 4. La sentenza impugnata va, dunque, annullata con rinvio alla Corte di appello di Firenze che, nel nuovo giudizio, si atterra' all'indicato principio di diritto, colmando le lacune e superando le aporie motivazionali che caratterizzato la pronuncia cassata, nonche' provvedendo, se del caso, sulle richieste avanzate nell'interesse delle parti civili di rifusione delle spese di questo grado di giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1051 del 2023, proposto da Nu. Pi. Na. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocato Ed. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocato Da. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via (...); Agenzia del Demanio, non costituita in giudizio; per la revocazione della sentenza n. 5246 del 27 giugno 2022 di questa sezione VII del Consiglio di Stato che, riformando la sentenza n. 225 del 10 febbraio 2016 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ha dichiarato inammissibili il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dalla ricorrente contro gli atti di introito del canone per la concessione demaniale marittima. visti il ricorso in appello e i relativi allegati; visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Agenzia del Demanio Direzione Regionale Toscana e Umbria e del Comune di (omissis); visti tutti gli atti della causa; relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 maggio 2023 il Consigliere Massimiliano Noccelli, mentre nessuno è comparso per le parti costituite; viste le conclusioni delle parti come da verbale.; ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'odierna ricorrente, Nu. Pi. Na. s.r.l., chiede, ai sensi dell'art. 395, comma secondo, n. 4, c.p.c. e dell'art. 106 c.p.a., la revocazione della sentenza n. 5246 del 27 giugno 2022 di questa sezione VII del Consiglio di Stato che, riformando la sentenza n. 225 del 10 febbraio 2016 del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, ha dichiarato inammissibili il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dalla ricorrente contro gli atti di introito del canone per la concessione demaniale marittima. 1.1. La concessione demaniale n. 3 del 28 ottobre 2013 prevedeva, all'art. 2, che il corrispettivo della concessione era stabilito in Euro 222.302,94 sulla base dei commi 250/257 dell'articolo unico della legge 296/2006 (finanziaria per il 2006). 1.2. L'atto lesivo degli interessi dell'originaria ricorrente, secondo la sentenza revocanda, non era costituito quindi dagli impugnati ordini di introito, meramente esecutivi e contenenti un semplice calcolo matematico del provvedimento concessorio, ma la stessa concessione costituente atto presupposto non impugnato che, firmata senza riserva, prevedeva la determinazione del canone concessorio proprio in applicazione dei criteri previsti dall'articolo 1, comma primo, n. 2 della legge 296 del 2006. 1.3. Questo Consiglio di Stato, nell'accogliere l'eccezione di inammissibilità dell'originario ricorso proposto dal Comune appellante, ha così statuito che la inoppugnabilità della concessione, a causa della mancata tempestiva impugnazione, rende inammissibile il ricorso proposto avverso gli atti di introito, in relazione ai quali non sono fatti valere vizi propri. 2. Avverso tale sentenza propone ora ricorso per revocazione Nu. Pi. Na. s.r.l., deducendo invece che la sentenza sarebbe incorsa in errore di fatto revocatorio, ai sensi dell'art. 395, comma secondo, n. 4, c.p.c., nel non essersi avveduta, come invece si era avveduto il primo giudice, che essa aveva contestato i canoni in precedenza richiesti e che tale eccezione, relativa alla mancanza di qualsivoglia acquiescenza da parte della ricorrente, era stata ritualmente sollevata dalla società, senza tuttavia essere esaminata dal giudice d'appello, che si sarebbe determinato dunque nel senso della inammissibilità del ricorso sulla base di un evidente, a suo dire, abbaglio dei sensi. 2.1. La ricorrente ha proposto, sul piano rescissorio, tutti i motivi di censura già articolati nel giudizio di impugnazione, ad iniziare dalla dedotta nullità della concessione demaniale del 2013, e ha chiesto di respingere l'appello a suo tempo proposto dal Comune di (omissis) contro la sentenza n. 225 del 2016 del Tribunale. 2.2. Si sono costituiti il Comune di (omissis) e l'Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Toscana e Umbria per chiedere la reiezione dell'impugnativa. 2.3. Nell'udienza pubblica del 30 maggio 2023 il Collegio, sulle conclusioni come rassegnate agli atti e a verbale, nell'assenza dei difensori, ha trattenuto la causa in decisione. 3. Il ricorso per revocazione è inammissibile per difetto, a tacer d'altro, di decisività perché, come afferma costantemente la giurisprudenza di questo Consiglio, il nesso causale che avvince l'errore revocatorio e la decisione impugnata non inerisce alla realtà storica, ma costituisce un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto e non degli accadimenti concreti, sicché la falsa percezione della realtà processuale deve dunque riguardare un punto decisivo, anche se non espressamente controverso, della causa (Cons. St., sez. IV, 1° marzo 2023, n. 2196). 4. Invero Nu. Pi. Na. s.r.l. sostiene che la sentenza di questo Consiglio di Stato sarebbe incorsa in un "abbaglio dei sensi" nel non essersi avveduta che l'odierna ricorrente aveva contestato la misura dei canoni precedentemente dovuti in separato giudizio, come aveva rilevato il Tribunale nella sentenza n. 225 del 10 febbraio 2016 in un passaggio motivazionale rimasto incontestato dal Comune appellante, sicché il Consiglio di Stato, di fronte all'eccezione della società, articolata nei § § 19-23 della memoria del 23 aprile 2022, secondo cui il primo motivo di appello del Comune sarebbe stato inammissibile per non avere il Comune contestato questo rilievo del primo giudice (la impugnazione dei canoni in precedenza richiesti in altro giudizio), sarebbe incorso in un evidente errore revocatorio nell'accogliere il primo motivo di appello, proposto dal Comune. 4.1. Ma il motivo qui dedotto dalla ricorrente per revocazione è evidentemente privo di decisività, ai fini rescindenti, perché la contestazione giudiziale dei canoni riguardava quelli determinati sulla base della precedente concessione demaniale del 2003 - la n. 84 del 2003 - e, in particolare, i canoni dovuti dal 2007 al 2013, come aveva osservato la sentenza di primo grado, e non già quelli richiesti e maturati in forza della nuova concessione demaniale del 2013, che non risulta mai essere stata impugnata, come ha bene rilevato la sentenza di questo Consiglio di Stato oggetto dell'odierna impugnativa. 4.2. L'appello del Comune, diversamente da quanto sostiene la ricorrente che non può pretendere in questa sede di celebrare un inammissibile terzo grado di giudizio, non poteva considerarsi in parte qua inammissibile per non avere contestato questa specifica considerazione del primo giudice che, di per sé, non solo non era decisiva, ma neppure rilevante per ritenere che la società non avesse prestato acquiescenza alle clausole della rinnovata concessione del 2013. 4.3. La ratio decidendi della sentenza impugnata non è dunque in nulla scalfita dal motivo qui proposto, dato che la sentenza stessa ha rilevato, appunto, che la mancata impugnativa della concessione demaniale n. 3 del 2013 ha determinato la radicale inammissibilità del ricorso proposto in primo grado, senza dare alcun rilievo (nemmeno espresso a livello grafico della motivazione), correttamente, alla impugnativa di canoni pregressi rispetto alla concessione del 2013, non potendosi evincere dall'impugnativa dei canoni determinati sulla base della precedente concessione demaniale del 2003 alcuna volontà di impugnare, ancorché implicitamente, anche la concessione demaniale del 2013, che infatti non è mai stata impugnata, né nel giudizio definito dalla sentenza revocanda né in altro giudizio. 5. Di qui l'inammissibilità del motivo rescindente, proposto dalla ricorrente, quantomeno per difetto di decisività, nei sensi sopra esposti (v. § 3), nel presunto "abbaglio dei sensi" qui denunciato. 6. La mancata tempestiva impugnativa della concessione demaniale del 2013, qui definitivamente e incontestabilmente acclarata, e la conseguente inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti, doverosamente dichiarata dalla sentenza revocanda, rende irrilevanti le censure relative alla presunta nullità di detta concessione nella parte in cui qualifica come pertinenze demaniali i beni asseritamente di proprietà di Nu. Pi. Na. s.r.l. 7. L'inammissibilità del ricorso per revocazione preclude qualsivoglia esame, sul piano rescissiorio, delle censure qui riproposte e, in particolare, quelle relative all'ermeneusi dell'art. 49 cod. nav. e delle questioni della sua compatibilità con il diritto unionale, stante la mancata impugnativa, appunto, della concessione demaniale, inoppugnata e, ormai, inoppugnabile. 8. Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza di Nu. Pi. Na. s.r.l. nei confronti del Comune, che si è difeso con un'articolata memoria. 9. Dette spese possono essere compensate, invece, nei confronti dell'Agenzia del Demanio, che nella sostanza non ha svolto attività difensiva al di là della mera costituzione. 9.1. Rimane definitivamente a carico di Nu. Pi. Na. s.r.l. anche il contributo unificato richiesto per la proposizione del gravame. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione, proposto da Nu. Pi. Na. s.r.l., lo dichiara inammissibile. Condanna Nu. Pi. Na. s.r.l. a rifondere in favore del Comune di (omissis) le spese del presente giudizio, che liquida nell'importo di Euro 4.000,00, oltre gli accessori come per legge. Compensa interamente le spese del giudizio tra Nu. Pi. Na. s.r.l. e l'Agenzia del Demanio - Direzione Regionale Toscana e Umbria. Pone definitivamente a carico di Nu. Pi. Na. s.r.l. il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 maggio 2023, con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere, Estensore Daniela Di Carlo - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 10342 del 2021, proposto dai signori Ch. Am. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Gu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Usr - Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, non costituito in giudizio; nei confronti Signora An. Li., non costituita in giudizio; per la riforma della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 10905/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio degli Uffici del Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sez. III bis, n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021, con la quale veniva dichiarato inammissibile il ricorso collettivo proposto avverso le graduatorie definitive ed il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), nella parte in cui prevede una prova scritta selettiva da intendersi superata con il conseguimento del punteggio minimo pari a 56/80 (art. 13), nonché nella parte in cui prevede la formazione di una graduatoria di vincitori e/o idonei all'assunzione (art. 15). 2 - Il Ministero argomenta ampiamente circa l'inammissibilità del ricorso collettivo di primo grado e, comunque, circa la legittimità della previsione della soglia di sbarramento impugnata in primo grado. 3 - In sede di sommaria delibazione il Consiglio di Stato, con ordinanza del 24 gennaio 2022, ha respinto la domanda cautelare motivando circa l'assenza del fumus. 4 - In particolare, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli odierni appellanti rappresentavano di essere tutti docenti precari in possesso di un'anzianità di servizio pre-ruolo almeno triennale, maturata su posti vacanti e disponibili, e quindi chiedevano di veder stabilizzato il proprio rapporto lavorativo sulla base di procedure di assunzioni di tipo idoneativo e non selettivo. Essi pertanto impugnavano le graduatorie definitive nonché il d.D.G. 23 aprile 2020 n. 510, recante bando di indizione della procedura straordinaria di reclutamento del personale ai sensi dell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. dalla L. 20 dicembre 2019 n. 159), siccome delineavano un meccanismo concorsuale altamente competitivo che determinava la concorrenza su un novero di posti estremamente limitato. Al riguardo venivano articolate plurime censure intese a contestare l'impianto della procedura, alla quale gli odierni appellanti avevano comunque partecipato non superando la prova scritta. Veniva inoltre dedotta una specifica questione incidentale di legittimità costituzionale. Costituitosi il Ministero resistente, a seguito della Camera di Consiglio cautelare del 6 settembre 2021, con ordinanza interlocutoria n. 9548/2021 del 7 settembre 2021 il giudice di primo grado sottoponeva al contraddittorio delle parti la questione di ammissibilità del ricorso collettivo per asserita carenza dei presupposti, e all'esito della Camera di consiglio del 19 ottobre 2021, con sentenza n. 10905/2021 depositata in data 25 ottobre 2021 emessa in forma breve ex art. 60 cod. proc. amm., dichiarava il ricorso inammissibile in quanto collettivo e cumulativo, confermando un precedente in termini della medesima Sezione. 5 - Avverso la predetta sentenza viene proposto appello, deducendo gli appellanti i motivi di seguito sintetizzati. 5.1 - In primo luogo viene dedotta l'erroneità della sentenza appellata per "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 e 113 cost. violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 35 e 40 cod. proc. amm. violazione e falsa applicazione dei principi in tema di proposizione del ricorso in forma collettiva. motivazione incongrua e perplessa". La sentenza impugnata, infatti, dichiarerebbe inammissibile la domanda giudiziale sulla scorta di motivazioni che non attengono al merito della controversia o alla sussistenza dei presupposti di accesso alla tutela interinale, ma si fondano invece sull'ammissibilità del ricorso per la proposizione dell'azione in forma collettiva, con una visione ritenuta rispondente a "meri schemi formali ed atomistici", il cui effetto sarebbe solo la produzione di decine o centinaia, di cause-fotocopia, sulla base dell'erroneo assunto secondo cui il ricorso sarebbe e finalizzato ad impugnare graduatorie distinte e non riferibili a ciascun candidato e, quindi, alla parte processuale collettivamente intesa. Vi sarebbe però un manifesto errore di percezione in ordine all'oggetto del giudizio, tenuto conto del petitum sostanziale del ricorso proposto. Il diritto azionato, infatti, era da individuarsi nella pretesa ad ottenere la stabilizzazione della propria posizione lavorativa, siccome docenti muniti di anzianità di servizio almeno triennale, mediante procedure idoneative e non selettive. Di talché, da un lato, con impugnazione parziale del bando concorsuale volta quindi all'eliminazione della soglia di idoneità della prova scritta ed alla previsione di una graduatoria di soli vincitori, gli odierni appellanti intendevano ottenere la trasformazione della procedura in canale a scorrimento integrale, e, dall'altro, con espressa domanda di accertamento, essi chiedevano il riconoscimento del diritto in parola sulla base della costante giurisprudenza europea e nazionale. In tal modo l'accoglimento del ricorso avverso l'atto generale non sarebbe stato suscettibile di caducare integralmente le graduatorie medio tempore approvate. 5.2 - In secondo luogo vengono dedotti i vizi di "error in iudicando. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 60, 74 e 88 cod. proc. amm. omessa pronuncia sui motivi di ricorso". Ciò in quanto la sentenza impugnata ometterebbe qualsiasi disamina delle censure sollevate nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure, ritenendo erroneamente che ogni valutazione sia impedita dalla sussistenza di una questione preliminare di inammissibilità . Gli appellanti al riguardo rinviano quindi ai motivi di impugnazione (di seguito sintetizzati) non esaminati dal TAR. 5.3 - In particolare in primo grado gli odierni appellanti, premessa la giurisdizione del TAR, la competenza del TAR del Lazio e l'ammissibilità del ricorso in forma collettiva, deducevano la "violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 97 e 117 cost. violazione e falsa applicazione della direttiva 1999/70/ce. violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81. violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 70 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165. violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del d.l. 13 maggio 2011 n. 70 (conv. con l. 12 luglio 2011 n. 106). violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.l. 25 settembre 2009 n. 134 (conv. con l. 24 novembre 2009 n. 167)", ritenendo i provvedimenti impugnati non idonei ad assicurare piena ed integrale tutela nei confronti dei docenti precari che avevano maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della L. 3 maggio 1999 n. 124, e pertanto non consentivano il ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. 5.4 - Veniva inoltre dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi di ragionevolezza, congruità e proporzionalità di cui agli artt. 3 e 97 cost. violazione e falsa applicazione dei principi di par condicio, trasparenza ed imparzialità di cui all'art. 1 della l. 7 agosto 1990 n. 241. violazione e falsa applicazione delle regole della concorsualità e del principio meritocratico. violazione e falsa applicazione del principio del favor partecipationis. violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 14 e 16 della direttiva comunitaria 2005/36/ce (modificata dalla direttiva 2013/55/ue). violazione del principio di proporzionalità . mancata valutazione dell'esperienza professionale maturata. eccesso di potere. irragionevolezza. manifesta illogicità . difetto di motivazione. difetto istruttorio. illegittimità della soglia di idoneità in quanto sensibilmente superiore alla sufficienza", dal momento che i provvedimenti impugnati comportavano l'esclusione di candidati che, all'esito della prova, avevano comunque conseguito un giudizio positivo, avendo ottenuto un punteggio almeno pari - se non superiore - alla sufficienza aritmetica espressa in centesimi (60/100). In tal senso, il mancato adeguamento della soglia di ammissione al reale fabbisogno di personale avrebbe prodotto una ingiustificata lesione del favor partecipationis nonché una evidente vanificazione del confronto concorrenziale fra i candidati rimasti nel concorso, il cui numero sarebbe stato corrispondente o, in alcuni casi, inferiore ai posti vacanti e disponibili messi a concorso. 5.5 - Da ultimo, veniva altresì proposta una questione incidentale di legittimità costituzionale, in quanto i provvedimenti impugnati violerebbero il diritto alla stabilizzazione dei ricorrenti scaturito dall'illecita reiterazione di incarichi a tempo determinato per un periodo complessivo pari ad almeno 36 mesi, in patente violazione della direttiva 1999/70/Ce secondo quanto già accertato dalla Corte di Giustizia UE. Le disposizioni normative contenute nell'art. 1 del d.l. 29 ottobre 2019 n. 126 (conv. con L. 20 dicembre 2019, n. 159), così come modificato e integrato dall'art. 2 del d.l. 8 aprile 2020 n. 22 (conv. con L. 6 giugno 2020 n. 22), si porrebbero pertanto in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e trasparenza (art. 3 Cost.), imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.), di tutela del lavoro (art. 4 Cost.), di uguaglianza di accesso alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché di conformità ai principi e delle norme dell'ordinamento europeo (art. 117 Cost.). 7 - L'Amministrazione contro deduce, con propria ampia relazione, la piena legittimità della procedura concorsuale, l'esattezza della sentenza impugnata e l'inammissibilità ed infondatezza dell'appello. 8 - Osserva il Collegio, preliminarmente, che, come rilevato dagli appellanti, il Tar ha errato nel dichiarare inammissibile il ricorso in quanto collettivo. Al riguardo, come recentemente affermato dalla Sezione in fattispecie analoghe (Cons. Stato, VII, n. 3998/2023), deve essere in primo luogo considerato che il ricorso originario appartiene ad una ricorrente serialità di impugnazioni aventi ad oggetto questioni identiche o analoghe. In relazione a ciò, non è infondato considerare legittimo un approccio giurisdizionale c.d. sostanzialistico che, in linea con quanto affermato nella sentenza n. 7045/2021 di questo Consiglio, richiamata da parte appellante sebbene afferente ad altro contesto, consenta di realizzare i principi di concentrazione e ragionevole durata del processo, evitando il proliferare di innumerevoli ricorsi identici su medesime censure di legittimità . Si tratta, come pure evidenziato dalla richiamata giurisprudenza, di accedere a una concezione non formalistica, fondata sull'identità del bene della vita oggetto del ricorso in riferimento all'interesse azionato dai ricorrenti. Nella controversia di cui è causa, sebbene le graduatorie impugnate non sono comuni a tutti i ricorrenti e le posizioni sono relative a ognuno di essi, non può essere condivisa la conclusione del primo giudice che fa discendere da ciò il difetto di qualsiasi interesse a impugnare, mediante ricorso cumulativo, graduatorie per le quali non è stata presentata domanda di inserimento. Si tratta, evidentemente, di prendere in considerazione un'eccezione al principio secondo cui ogni distinto provvedimento si impugna con distinto ricorso, eccezione tuttavia giustificata alla luce delle richiamate circostanze di contesto che, in questo come in altri casi analoghi, senza rappresentare un vulnus per i principi in materia di ricorsi collettivi, correttamente indicati dal giudice di primo grado, consenta tuttavia di non confliggere con altri rilevanti principi dello svolgimento del processo, come quelli richiamati di concentrazione e ragionevole durata. D'altro canto, va pure considerato che, nell'atto d'appello, con il quale si impugna il bando, viene rappresentato come la finalità dell'impugnazione fosse diretta a lamentare la disciplina generale del procedimento concorsuale, ritenuta lesiva, e come rispetto a questa, specificamente, sussistano l'identità della posizione sostanziale dei ricorrenti, l'identità dei motivi di censura, l'identità del tipo di pronuncia richiesto al giudice ed infine l'identità degli atti impugnati. E' pur vero che oggetto di impugnazione avanti il primo giudice sono state anche le distinte graduatorie. Tuttavia, può essere accolta la deduzione di parte appellante che la circostanza dell'impugnazione anche di distinte graduatorie non sia sufficiente a determinare nel caso di specie l'inammissibilità del ricorso collettivo, tenuto conto dell'affermata impugnazione tuzioristica di queste, al solo fine di evitare pronunce di inammissibilità, ma soprattutto alla luce della disamina dei motivi di ricorso e degli argomenti a tal fine sviluppati, che effettivamente non pongono in diretta contestazione la formazione di dette graduatorie. 9 - Con gli ulteriori motivi di appello, vengono riproposte le censure sollevate nel primo giudizio e non esaminate dal giudice, in quanto impedite dalla preliminare pronuncia di inammissibilità . Tali censure sono infondate e, conseguentemente, va respinto il ricorso di primo grado. 9.1 - La giurisprudenza amministrativa si è, infatti, già pronunciata nel senso della legittimità della previsione di una soglia di sbarramento, sotto forma di punteggio concorsuale minimo, ai fini dell'inserimento nella graduatoria di riferimento. In particolare, il decreto legge 29 ottobre 2019 n. 126, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 2019, n. 159, recante "Misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti", e il decreto legge 08 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato" convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, hanno dettato la disciplina della procedura concorsuale straordinaria finalizzata all'immissione in ruolo del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado in numero di 32.000 insegnanti in organico dall'a.s. 2021/22, bandita con decreto dipartimentale del Ministero dell'istruzione 23 aprile 2020 n. 510 e ulteriormente modificata con D.D. 8 luglio 2020 n. 783. In tale quadro, l'art. 1, comma 10, prevede espressamente il superamento della prova scritta della predetta selezione per i soli candidati "che conseguano il punteggio minimo di sette decimi o equivalente". La pretesa di vedere eliminare la predetta soglia comporterebbe pertanto l'eliminazione del carattere concorsuale della procedura in materia di reclutamento stabile nei ruoli dell'Amministrazione, in violazione dell'art. 97 Cost. con la corrispondente violazione dei principi del merito, del pubblico concorso e del buon andamento dell'amministrazione perseguibile attraverso la scelta del miglior candidato. 9.2 - Con riferimento alla ragionevolezza della soglia stabilita, considera altresì il Collegio che, avendo il procedimento in oggetto carattere concorsuale e non di abilitazione, l'amministrazione ben poteva stabilire una soglia rapportata al numero dei candidati piuttosto che al numero di risposte giuste fornite da parte del candidato. 9.3 - Quanto, poi, alla previsione del requisito di conoscenza al livello B2 della lingua inglese, la stessa non appare né ultronea né irragionevole rispetto alla previsione dell'art. 37 del d.lgs. 165/2001, come modificato dall'art. 7 d.lgs. 75/2017, secondo la quale i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni prevedono l'accertamento della conoscenza della lingua inglese nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere. La citata disposizione normativa, infatti, da un lato indica espressamente la lingua inglese quale idioma straniero di cui si prevede l'accertamento della conoscenza, dall'altro si riferisce ad altre lingue straniere a condizione che sia ritenuto opportuno in relazione al profilo professionale richiesto. In tale cornice primaria, risulta evidentemente rimessa alla discrezionalità dell'amministrazione, che nel caso di specie è stata esercitata in modo ragionevole, determinare in sede di bando di concorso la lingua prescelta, mentre per converso non risulta provato che le relative prove richiedano o abbiano richiesto una conoscenza "eccezionalmente approfondita", come lamentato da parte appellante. 9.4 -Neppure risultano fondate le censure di violazione della normativa e della giurisprudenza euro unitaria in tema di abusiva reiterazione dei contratti a termine, risultando manifestamente infondata la dedotta questione di legittimità costituzionale. Gli appellanti contestano la legittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non idonei ad assicurare piena e integrale tutela nei confronti dei docenti precari che hanno maturato un'anzianità di servizio pari a 36 mesi ovvero tre annualità complete ai sensi dell'art. 11, co. 14 della legge 3 maggio 1999, n. 124, e pertanto non idonei a soddisfare la pretesa al ristoro dei pregiudizi patiti a causa dell'illecita reiterazione di contratti a tempo determinato. La questione è stata già affrontata in plurime decisioni di questa Sezione, qui richiamate e condivise, alla luce delle quali (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3699/2023) " (....) l'Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11 ha chiarito che "la normativa in esame, così come interpretata e ricostruita non solleva...dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea", evidenziando in proposito che "nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (...). Come chiarito dalla giurisprudenza, tuttavia, spetta al giudice nazionale una delicata valutazione - da condurre caso per caso - al fine di verificare la sussistenza, o meno, di "ragioni oggettive", che a norma della medesima direttiva possono giustificare un trattamento differenziato dei lavoratori a tempo determinato (Corte di Giustizia, Valenza e a. - da C-302/11 a C-305/11). Per l'individuazione di tali ragioni, in effetti, non si rinvengono parametri di riscontro nella direttiva 1999/70/CE, ma la Corte di Giustizia (Grande sezione, sentenza del 4 luglio 2006, causa C-212/04 -Adeneler) ha precisato che il significato e la portata della relativa nozione debbono essere determinati in funzione dell'obiettivo perseguito dall'accordo-quadro e, in particolare, del contesto in cui si inserisce la clausola 5, n. 1, lettera a) dello stesso (...) "È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato (....)". Ed inoltre (Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 3077/2023) " (....) - nella stessa sentenza Mascolo la Corte di Giustizia ha ritenuto aleatoria la possibilità per un docente che abbia effettuato supplenze, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 124/1999, in una scuola statale di ottenere la trasformazione dei suoi contratti di lavoro a tempo determinato successivi in un contratto o in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con immissione in ruolo per effetto dell'avanzamento in graduatoria; con la conseguenza che tale possibilità non potrebbe comunque essere considerata una sanzione a carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (punti 116 e 117); - in ogni caso, dall'accordo quadro in esame e dalla sentenza Mascolo non è possibile evincere un dovere di stabilizzazione in favore degli appellanti in termini di effetti reali (cfr. anche Corte Cost. n. 187 del 2016) (.....) Tale pronuncia (Mascolo) si limita a prevedere che "quando, come nel caso di specie, il diritto dell'Unione non prevede sanzioni specifiche nell'ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro" (punto 77). 27.3 In riferimento a quest'ultima precisazione, va ricordato, dovendosi sul punto escludere ogni contrasto con i principi generali di uguaglianza e di non discriminazione tra dipendenti pubblici e privati, che la diversità di tutele tra lavoro pubblico e privato - dove l'illegittimo ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato comporta, in caso di violazione delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, la conversione del rapporto (ex plurimis, Cass., 23 agosto 2006, n. 18378) - è stata ritenuta legittima non soltanto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 89 del 2003), ma anche dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, che ha ritenuto la disciplina nazionale astrattamente compatibile con il diritto europeo, purché sia assicurata altra analoga misura sanzionatoria effettiva, proporzionata e dissuasiva (Corte di Giustizia 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, cfr. anche sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a., C-212/04 e del 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04) (......) parimenti, la previsione di piani straordinari di assunzione è volta a fornire una soluzione, sia pur graduale, del fenomeno del precariato, contemperando la pressante esigenza di stabilizzazione di esso con la regola generale del pubblico concorso; a tali fini risulta differente la posizione dei soggetti iscritti a pieno titolo nelle graduatorie ad esaurimento, avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare le "sole più antiche posizioni di "precariato storico" per evidenti ragioni sociali" (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 dicembre 2017, n. 11) (....)". Va aggiunto che l'assimilazione al servizio di "ruolo" di quello "pre-ruolo" quale requisito per l'ammissione a procedure concorsuali è possibile soltanto se prevista espressamente (Cons. Stato sez. VI, 10/7/2013 n. 3658; 19/10/2009 n. 6384), atteso che il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost. impone di trattare in modo uguale situazioni ragionevolmente uguali ed in modo diverso situazioni ragionevolmente diverse. Neppure la prospettata questione di legittimità costituzionale palesa pertanto i necessari profili di non manifesta infondatezza. 10 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, pronunciando sul ricorso in appello, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado e lo respinge. Condanna gli appellanti alla rifusione in favore delle amministrazioni appellate delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 4.000 (quattromila/00), oltre ad IVA e CPA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1138 del 2022, proposto da Do. An. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ni. Za., Wa. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Sa. Ru. in Roma, via (...); contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera, Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone, Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia, Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro, Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza, Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine, Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina, Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo, Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova, Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia, Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona, Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata, Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino, Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso, Uff Scolastico Reg Molise A, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Novara, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IX Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Vercelli, Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia, Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari, Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ambito Territoriale per la Provincia di Agrigento, Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, Ambito Territoriale per la Provincia di Belluno, Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, Ambito Territoriale per la Provincia di Catania, Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, Ambito Territoriale per la Provincia di Firenze, Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, Ambito Territoriale per la Provincia di L'Aquila, Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, Ambito Territoriale per la Provincia di Messina, Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, Ambito Territoriale per la Provincia di Padova, Ambito Territoriale per la Provincia di Palermo, Ambito Territoriale per la Provincia di Parma, Ambito Territoriale per la Provincia di Perugia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro-Urbino, Ambito Territoriale per la Provincia di Pescara, Ambito Territoriale per la Provincia di Pistoia, Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, Ambito Territoriale per la Provincia di Siracusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, Ambito Territoriale per la Provincia di Trapani, Ambito Territoriale per la Provincia di Treviso e Verona, Ufficio Scolastico Regionale per L'Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria, Ufficio Scolastico Regionale per la Campania, Ufficio Scolastico Regionale per L'Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale per Le Marche, Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, Ufficio Scolastico Reginale per la Puglia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia, Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Ufficio Scolastico Regionale per L'Umbria, Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza Bis n. 08128/2021, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione e di Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo e di Ufficio Scolastico Regionale Basilicata e di Ufficio Scolastico Regionale Calabria e di Ufficio Scolastico Regionale Campania e di Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna e di Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia e di Ufficio Scolastico Regionale Lazio e di Ufficio Scolastico Regionale Liguria e di Ufficio Scolastico Regionale Lombardia e di Ufficio Scolastico Regionale Marche e di Ufficio Scolastico Regionale Molise e di Ufficio Scolastico Regionale Piemonte e di Ufficio Scolastico Regionale Puglia e di Ufficio Scolastico Regionale Sardegna e di Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale e di Ufficio Scolastico Regionale Toscana e di Ufficio Scolastico Regionale Umbria e di Ufficio Scolastico Regionale Veneto e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Terr per la Provincia dell'Aquila e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Chieti e Pescara Sede Chi e di Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Terr per la Provincia di Teramo e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Terr per la Provincia di Potenza e di Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Matera e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Crotone e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Vibo Valentia e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Catanzaro e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cosenza e di Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Calabria e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Avellino e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Benevento e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Caserta e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Napoli e di Uff Scolastico Reg Campania Ambito Terr per la Provincia di Salerno e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Bologna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Ferrara e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Forlà Cesena Rimini e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Modena e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Parma e Piacenza Se e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Terr per la Provincia di Ravenna e di Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff XI Ambito Terr per la Provincia di Reggio Emilia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Gorizia e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Pordenone e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Terr per la Provincia di Trieste e di Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Udine e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff IX Ambito Terr per la Provincia di Rieti e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Roma e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Frosinone e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Latina e di Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Terr per la Provincia di Viterbo e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Terr per la Provincia di Genova e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Terr per la Provincia di La Spezia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Terr per la Provincia di Imperia e di Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Terr per la Provincia di Savona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Bergamo e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Como e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Cremona e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lecco e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Lodi e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Mantova e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Milano e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Monza e Brianza e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Pavia e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Sondrio e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Varese e di Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Terr per la Provincia di Brescia e di Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Terr per la Provincia di Ancona e di Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo e di Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Terr per la Provincia di Macerata e di Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Pesaro Urbino e di Uff Scolastico Reg Molise Ambito Terr per la Provincia di Campobasso e di Uff Scolastico Reg Molise A e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Cuneo e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Terr per la Provincia di Torino e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Alessandria e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Terr per la Provincia di Novara e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Asti e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Terr per la Provincia del Verbano Cusio Ossola e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Terr per la Provincia di Biella e di Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Terr per la Provincia di Vercelli e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Terr per la Provincia di Foggia e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Terr per la Provincia di Bari e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Terr per la Provincia di Brindisi e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Lecce e di Uff Scolastico Reg Puglia Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Taranto e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Terr per la Provincia di Cagliari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Terr per la Provincia di Sassari e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VII Ambito Terr per la Provincia di Nuoro e di Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VIII Ambito Terr per la Provincia di Oristano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2023 il Cons. Marco Valentini, nessuno è presente per le parti; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso collettivo avanti il giudice di prime cure sono state impugnate le disposizioni dell'ordinanza ministeriale n. 60/2020 con cui sono state disciplinate, per gli anni scolastici 2020/21 e 2021/22, le graduatorie provinciali per le supplenze (GPS), nella parte in cui non consentono l'iscrizione degli originari ricorrenti nella seconda fascia per mancato possesso dei 24 CFU o in alternativa del possesso dell'abilitazione in altra classe di concorso o del precedente inserimento nelle graduatorie d'istituto. Col medesimo gravame i ricorrenti hanno chiesto, oltre all'annullamento degli atti impugnati, che comprendono anche le graduatorie redatte dai diversi Uffici scolastici regionali, anche l'accertamento del loro diritto ad essere inseriti nelle GPS. Il ricorso è stato giudicato in primo grado infondato anche in aderenza a giurisprudenza ormai consolidata relativa alla natura non abilitante del titolo ITP. In particolare, il giudice di prime cure ha richiamato la sentenza di questo Consiglio, Sezione VI, n. 4095/2021, secondo cui "(...) il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha valore di per sé abilitante, pertanto non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI; presupposto necessario per l'accesso alle stesse è che gli ITP siano in possesso di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, diversa dal ed ulteriore al titolo di studio posseduto in illo tempore (diploma) e conseguita a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 6 luglio 2018 n. 3158; id., 23 luglio 2018 n. 4503; id., 8 aprile 2019 n. 2268; id., 9 luglio 2019 n. 4820; id., 24 aprile 2020 n. 2632 - infatti, di regola il possesso del diploma rilasciato da un Istituto tecnico professionale non ha di per sé valore abilitante, onde non è idoneo all'inserimento nelle GAE e nella II fascia delle GI, per accedere alle quali occorre che gli ITP siano effettivamente in possesso d'un titolo di abilitazione o d'idoneità all'insegnamento, conseguiti a seguito di concorsi per titoli e/o per esami, anche ai soli fini abilitanti, o di uno degli specifici titoli di abilitazione previsti dal vigente ordinamento; - in particolare, il predetto diploma non ha in sé valore abilitante, né tale valore può desumersi dal DM 39/1998, poiché quest'ultimo si limitò ad ordinare le classi di concorso, senza incidere sulle vigenti norme inerenti all'abilitazione all'insegnamento ed ai modi per conseguirla per il vigente ordinamento, sicché il mero possesso del diploma ITP, sol perché conseguito in un sistema che non si curava della concreta formazione del personale da destinare all'insegnamento, è adesso divenuto sempre inopponibile ed insufficiente all'iscrizione nella II fascia delle GI; - neppure convince la mancanza di percorsi abilitanti ordinari per i diplomati ITP nel previgente ordinamento, in quanto, a parte che più volte tali percorsi furono attivati per gli insegnanti tecnico-pratici -onde chi non volle parteciparvi, imputet sibi-, tal vicenda non è invocabile a guisa di sanatoria per consentire comunque l'iscrizione al personale sprovvisto del prescritto titolo di abilitazione (che s'aggiunge al e non si confonde col titolo di studio del vecchio ordinamento) a detta II fascia, la quale, com'è noto, permette l'accesso direttamente l'insegnamento (....)". Il ricorso è stato respinto in quanto infondato. DIRITTO In sede di appello, è stato dedotta l'erroneità della decisione del TAR. In particolare sono dedotti i seguenti motivi: I.VIOLAZIONE DEL REGIME TRANSITORIO E DEROGATORIO PREVISTO, PER GLI INSEGNANTI TECNICO PRATICI, DALL'ART. 402 DEL D. LGS N. 297/1994, DALL'ART. 3, COMMA 2, DEL DPR N. 19/2016 E DALL'ART. 22, COMMA 2, DEL DECRETO LEGISLATIVO 13 APRILE 2017 Preliminarmente, gli appellanti evidenziano che l'art. 4 della L. 124/1999 distingue tre tipologie di supplenze del personale docente - che danno luogo al conferimento di incarichi a tempo determinato - e indica a quali graduatorie attingere per le nomine: ( (supplenze annuali (fino, cioè, al 31 agosto), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie ad esaurimento (GAE); ( (supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche (fino, cioè, al 30 giugno), per la copertura di cattedre e posti di insegnamento non vacanti, di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico, ovvero per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario (intendendo per posti orario gli abbinamenti di spezzoni che non raggiungono l'orario di cattedra). Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le GAE; ( (supplenze temporanee più brevi, nei casi diversi da quelli citati. Per il conferimento di tali supplenze si utilizzano le graduatorie di circolo o di Istituto. La disciplina per l'affidamento delle supplenze è stata definita più nel dettaglio con il regolamento emanato con DM 131/2007. Nello specifico, evidenziano gli appellanti che in base all'art. 5: la prima fascia delle graduatorie d'istituto comprende gli aspiranti inseriti nelle GAE per il medesimo posto o classe di concorso cui è riferita la graduatoria di circolo o di istituto; la seconda fascia comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente GAE ma forniti di specifica abilitazione; la terza fascia comprende gli aspiranti che, come i ricorrenti, sono semplicemente forniti di titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento richiesto. Rispetto al quadro esposto, l'art. 1-quater del decreto legge 29 ottobre 2019, n. 126 - recante misure di straordinaria necessità ed urgenza in materia di reclutamento del personale scolastico e degli enti di ricerca e di abilitazione dei docenti - ha previsto "al fine di ottimizzare l'attribuzione degli incarichi di supplenza" la costituzione di nuove graduatorie provinciali (in sigla G.P.S) da utilizzare, in subordine alle GAE, dall'a.s. 2020/2021 per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze fino al termine delle attività didattiche. Infine, il decreto-legge 8 aprile 2020, n. 22, recante "Misure urgenti sulla regolare conclusione e l'ordinato avvio dell'anno scolastico e sullo svolgimento degli esami di Stato nonché in materia di procedure concorsuali e di abilitazione e per la continuità della gestione accademica", convertito, con modificazioni, dalla legge 06 giugno 2020, n. 41, con l'articolo 2, comma 4-ter, ha previsto che in considerazione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, le procedure di istituzione delle graduatorie di cui all'articolo 4, commi 6-bis e 6-ter, della legge 3 maggio 1999, n. 124, come modificato dal comma 4 dello stesso articolo, e le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza, siano disciplinate, in prima applicazione e per gli anni scolastici 2020/2021 e 2021/2022, anche in deroga all'articolo 4, comma 5, della predetta legge, con ordinanza del Ministro dell'istruzione ai sensi del comma 1, al fine dell'individuazione nonché della graduazione degli aspiranti. Evidenziano gli appellanti che il Ministero oggi resistente, ai sensi dell'articolo 2, comma 4-ter, del decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2020, n. 41, con l'ordinanza n. 60 del 10 luglio 2020 ha emanato disposizioni specifiche per disciplinare l'aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze da disporre sui posti vacanti in organico di diritto (con scadenza al 31 agosto) e sui posti vacanti in organico di fatto (con scadenza al 30 giugno) distinguendole in due fasce: la prima riservata ai docenti in possesso di specifica abilitazione o idoneità al concorso; e la seconda aperta ai docenti abilitati in altre classi di concorso, oppure già inseriti nelle precedenti graduatorie d'istituto o, infine, in possesso dei titoli necessarie per la partecipazione ai concorsi a cattedre ai sensi dell'art. dell'articolo 5, commi 1, lettera b), e 2, lettera b), del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59 (ossia, in possesso del titolo di studio valido per l'accesso all'insegnamento e di 24 crediti formativi universitari o accademici). Osservano gli appellanti che, coerentemente con il dato normativo, il Ministero resistente ha collocato nella seconda fascia delle GPS tutti i docenti che fossero in possesso dei requisiti d'accesso al concorso ordinario (oppure che fossero inseriti nella terza fascia delle G.I). Nel far ciò, tuttavia, secondo gli appellanti l'amministrazione convenuta ha omesso di considerare che gli insegnanti tecnico pratici sono assoggettati a un regime derogatorio e transitorio ai fini dell'accesso all'insegnamento richiesto e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Il titolo di studio degli insegnanti tecnico pratici è, ad avviso degli appellanti, idoneo per l'accesso all'insegnamento richiesto ai sensi della tabella C del Decreto Ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998 e valido per la partecipazione al concorso a cattedre già ai sensi dell'art. 402 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Se, dunque, rilevano gli appellanti, i corsi di sostegno didattico sono riservati esclusivamente al personale docente abilitato e/o in possesso di un titolo di studio idoneo per la partecipazione ai concorsi a cattedre, se ne deduce che la negazione dell'idoneità del titolo ITP ai fini dell'inserimento nelle GPS, insieme agli altri docenti in possesso di un titolo di studio valido per l'accesso ai concorsi e per la partecipazione ai corsi di specializzazione didattica per le attività di sostegno, sarebbe del tutto illogica e incoerente con il descritto quadro normativo. E ciò anche perché, ribadiscono gli appellanti, ai sensi dell'art. 2 della legge 06 giugno 2020, n. 41, l'ordinanza ministeriale istitutiva delle GPS avrebbe potuto disciplinare unicamente "le procedure di conferimento delle relative supplenze per il personale docente ed educativo, ad esclusione di ogni aspetto relativo alla costituzione e alla composizione dei posti da conferire a supplenza". II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO L'illegittimità degli atti impugnati, infine, deriva secondo gli appellanti anche dalla lesione del principio dell'affidamento, che a sua volta discende dalla legittima aspettativa degli interessati sulla transitoria validità del titolo di studio posseduto ai fini del conferimento delle supplenze. L'affidamento si sostanzia nella fiducia, nella delusione della fiducia e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla fiducia mal riposta; si tratta, in sostanza, di "un'aspettativa di coerenza e non contraddittorietà del comportamento dell'amministrazione fondata sulla buona fede" (così Cass. civ., sez. un., ord. 28 aprile 2020, n. 8236). I principi posti in luce dalla giurisprudenza in materia di tutela dell'affidamento calzano perfettamente, secondo gli appellanti, alle vicende di cui è causa. I ricorrenti, invero, sapevano di possedere un titolo di studio interinalmente valido per la stipula dei contratti a tempo indeterminato e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Onde la lesione della legittima aspettativa dei ricorrenti sulla validità di tale titolo di studio ai fini dell'inserimento nelle nuove graduatorie provinciali per le supplenze. III. SULL'ILLEGITTIMITÀ DELLE DISPOSIZIONI SECONDO LE QUALI LE DOMANDE DEVONO ESSERE PRESENTATE ESCLUSIVAMENTE CON MODALITÀ TELEMATICA PER VIOLAZIONE DELL'ART. 51, COMMA 1, DELLA COSTITUZIONE E DELL'ART. 4, COMMI 1 E 2, DEL DPR 487/1994. È altresì evidente l'illegittimità, secondo gli appellanti, per violazione dell'art. 51, comma 1, della Costituzione, di un atto amministrativo che determini una aprioristica preclusione alla stessa presentazione delle domande di partecipazione al concorso. La possibilità di produrre domanda esclusivamente con modalità via web, violerebbe anche l'art. 4, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 487/1994, ai sensi del quale le domande di ammissione al concorso possono essere redatte in carta semplice. L'attualizzazione della normativa concorsuale determina la possibilità di presentare le domande di partecipazione ad una procedura non già in via esclusiva ma, come modalità alternativa, anche in via telematica. Risulterebbe quindi evidente come l'Amministrazione oggi resistente non avrebbe potuto considerare tamquam non essent le domande redatte in carta semplice e tempestivamente indirizzate dai ricorrenti a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. In conclusione, gli appellanti formulano richiesta di accoglimento dell'appello, con conseguente obbligo conformativo dell'amministrazione resistente di inserire i ricorrenti nelle GPS di rispettivo interesse. L'appello non può essere accolto in quanto non fondato. Osserva il Collegio che, a partire dall'orientamento espresso dalla sentenza n. 4503/2018, si è sviluppata una costante giurisprudenza di questo Consiglio dalla quale si evince la distinzione tra titoli abilitanti e titoli di accesso all'insegnamento: nell'ambito di questi ultimi si colloca il diploma tecnico posseduto dagli appellanti. Da ultimo, con la sentenza della Sezione n. 11598/22, si è ribadito che "La giurisprudenza di questo consesso, dopo la sentenza n. 4503 del 2018, si è orientata nel ritenere, da un lato, che per l'iscrizione - che consente l'accesso diretto all'attività di insegnamento - sia necessario il possesso di un titolo abilitante, e, dall'altro, che il diploma di insegnante tecnico-pratico posseduto dagli attuali appellanti non attribuisce il predetto titolo". Nessuno dei tre motivi dedotti nell'atto di appello, pertanto, in conformità alla richiamata giurisprudenza della Sezione, qui condivisa, può essere accolto. Sussistono nondimeno peculiari motivi per la compensazione delle spese della presente fase tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza di primo grado. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere Marco Valentini - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1765 del 2017, proposto da Sp. & Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pi. Pi., Gi. Ma. Di Pa., con domicilio eletto presso lo studio Pi. Pi. in Roma, via (...); contro Anas Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Anas S.p.A. - Compartimento della Viabilità per L'Umbria, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima n. 591/2016. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Anas Spa; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l'avvocato An. in sostituzione di Pi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sentenza impugnata, in parziale accoglimento del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo proposto dalla parte appellata, ha ritenuto applicabile, nella determinazione delle misure compensative spettanti alla parte appellante per l'incremento dei prezzi dei materiali necessari all'esecuzione del contratto, la previsione di cui al comma 2 lett. o) dell'art. 4 della Legge n. 70 del 2011, che prevede un abbattimento della metà, per i costi eccedenti il 10% dell'originario importo. Avverso la decisione sono sollevati i seguenti motivi di appello, così rubricati: I) ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA IMPUGNATA NELLA PARTE IN CUI AFFERMA CHE GLI IMPORTI RELATIVI ALL'AUMENTO DEI MATERIALI PER L'ANNO 2011 VADANO ABBATTUTI PER METÀ DELLA PERCENTUALE ECCEDENTE IL 10%. INGIUSTIZIA ED ILLEGITTIMITÀ DELLA SENTENZA PER TRAVISAMENTO DEI PRESUPPOSTI DI FATTO E DI DIRITTO. ILLEGITTIMITÀ PER VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 133, CO. 4 DEL D.LGS. N. 163/2006 E DELL'ART. 4. CO. 2, LETT. O) DEL D.L.13.5.20111, N. 70. ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, ILLOGICITÀ . 2. Si è costituita in giudizio ANAS S.p.a. contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. 3. La parte appellante è risultata aggiudicataria della gara pubblica indetta da ANAS per i lavori di realizzazione di svincoli e connessioni con la viabilità locale di S. Maria degli Angeli (Assisi) lungo la S.S. 75 (Centrale Umbra) e la S.S. 147. Nel corso dell'esecuzione del contratto si era verificato un eccezionale aumento dei prezzi medi sicché aveva presentato due richieste di compensazione, ai sensi dell'art. 133 del d.lgs. 163 del 2006, rispettivamente per l'anno 2009 e per l'anno 2011, alle quali era corrisposto l'invito inviato ad ANAS alla Condirezione generale Tecnica ad autorizzare il pagamento della somma complessiva di euro 94.160,01. A tale invito non era seguito alcun concreto pagamento, costringendo la parte appellante a richiedere ed ottenere un decreto ingiuntivo al TAR Umbria. Opposto quest'ultimo da parte dell'appellata, la sentenza gravata lo ha parzialmente accolto nei termini sopra ricordati. 4. Tanto premesso, l'unico motivo di appello contesta alla sentenza impugnata di aver ritenuto che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 4 comma 2 lett. o) del decreto legge n. 70 del 2011, gli importi relativi alle compensazioni, relative a lavori eseguiti e contabilizzati a decorrere dall'1 gennaio del 2011, debbano essere abbattuti per la metà, una volta oltrepassata la percentuale eccedente il 10 % di aumento. In questo senso - sostiene il motivo - il Tar ha ritenuto di dare rilevanza al momento in cui i lavori sono stati eseguiti, piuttosto che al momento in cui è sorta la relativa obbligazione contrattuale, impropriamente valorizzando il momento funzionale a scapito di quello genetico del rapporto negoziale. Per contro, il motivo in esame ritiene che al d.l. n. 70 del 2011 non possa riconoscersi siffatta efficacia retroattiva sui contratti già stipulati e conclusi, a maggior ragione in relazione ad importi, quali quelli in esame, che risultano consolidati nella contabilità e che hanno rispettato le procedure di cui all'art. 171 del D.p.R. 207 del 2010. A voler diversamente opinare, sostiene la parte appellante, la disposizione sarebbe ingiusta nonché lesiva del legittimo affidamento maturato dall'impresa aggiudicataria del contratto. La ratio perseguita dalla misura in esame sarebbe composita: da un lato vuole evitare il rischio per la finanza pubblica che il corrispettivo del contratto subisca aumenti incontrollati nel corso del tempo, dall'altro persegue anche lo scopo di tenere indenni gli appaltatori da aumenti inaspettati o comunque esagerati dei fattori di produzione che potrebbero indurlo, in caso di significativo ed imprevisto incremento, a eseguire la fornitura, o a svolgere il servizio, in condizioni deteriori a quanto pattuito, o, nella peggiore delle ipotesi, persino a rifiutarsi di eseguire le prestazioni contrattuali in quanto non produttive di utili. La funzione delle misure compensative in esame imporrebbe dunque, per la parte appellante, di ritenere, a maggior ragione nel caso di specie, che le sopravvenute modifiche nei criteri di calcolo delle stesse non possono incidere su di un rapporto già in corso, ma sono destinate ad operare solo avuto riguardo alle future stipulazioni. D'altro canto, osserva ancora il motivo, a tutto voler concedere la modifica in esame è intervenuta a metà del 2011, essendo il d.l. stato modificato dalla legge n. 106 del 12 luglio del 2011, cioè in un periodo nel quale l'impresa aggiudicataria aveva già acquistato il materiale necessario ad eseguire le prestazioni, e dunque, a maggior ragione, sarebbe ingiusto applicare alla stessa un trattamento deteriore. 4.1. Il motivo è infondato innanzitutto in considerazione del tenore letterale del comma 4 dell'art. 5 del d.l. n. 70 del 2011 la norma che prevede la riduzione delle misure compensative. Testualmente, come ivi si legge, essa è applicabile "a tutti i lavori eseguiti e contabilizzati a decorrere dall'1 gennaio 2011", cioè utilizza una terminologia onnicomprensiva che non lascia dubbi in ordine alla ricomprensione in essa di tutti i contratti la cui esecuzione è in corso a quella data, tra i quali rientra quello controverso. In secondo luogo, come condivisibilmente osservato dal giudice di prime cure, per la natura della pretesa azionata- che ha ad oggetto il rimborso di parte dei costi dovuti all'incremento dei materiali necessari all'esecuzione del contratto - è evidente che quest'ultima sorge solo al momento dell'attuazione del rapporto contrattuale, mentre invece neppure esiste al momento genetico dell'obbligazione, momento nel quale non è dato conoscere né se l'incremento si verificherà, né tanto meno l'entità dello stesso. In altre parole è la natura stessa del diritto alla compensazione che lo lega alla fase attuativa del rapporto. Ricostruita in questi termini la situazione giuridica dedotta in giudizio, non ha senso parlare di una applicazione retroattiva della norma in questione, e tanto meno è prospettabile una lesione dell'affidamento maturato dalla parte appellante, dal momento che quest'ultimo sorge, al momento in cui la parte richiede l'applicazione della misura compensativa e non in quello, anteriore, della stipula del contratto. Quanto alla circostanza che la modifica legislativa sarebbe intervenuta in un momento successivo a quello nel quale la parte appellante ha acquistato i beni, innanzitutto è indimostrata in fatto. In secondo luogo l'obiezione non considera che la previsione calmieratrice della misura non è entrata in vigore a metà luglio, quanto piuttosto il 13 maggio del 2011, essendo già prevista nel decreto legge poi convertito. Infine, il parametro temporale rilevante per l'individuazione della normativa applicabile, come detto, va individuato nella data di presentazione della richiesta che, per l'anno 2012, è stata formulata dall'aggiudicataria il 13 luglio del 2012, ossia quando la normativa modificativa era già pienamente in vigore. 5. I motivi che precedono inducono a rigettare l'appello. Le ragioni della controversia e la novità delle questioni trattate, giustificano la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Fabio Franconiero - Presidente FF Giovanni Sabbato - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Giorgio Manca - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9855 del 2022, proposto dai signori Al. De Si. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Br. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima n. 830/2022, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 il Cons. Raffaello Sestini, nessuno presente per le parti costituite.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Gli appellanti impugnano la sentenza n. 830/2022 del Tar per l'Umbria, sede di Perugia, Sezione prima, pubblicata il 21 novembre 2022, non notificata, che ha dichiarato inammissibile il loro ricorso per l'esecuzione del giudicato formatosi sul decreto depositato il 3 ottobre 2017. 2 - Gli stessi appellanti con ricorso proposto davanti alla Corte d'Appello di Perugia ai sensi della legge n. 89/2001 avevano depositato istanza di indennizzo per l'eccessiva durata di un processo svoltosi davanti alla magistratura amministrativa. 3 - La Corte d'Appello di Perugia accoglieva la domanda condannando la convenuta amministrazione al pagamento della somma di Euro 5.458,33 per ogni ricorrente oltre agli interessi legali dalla domanda. 4 - Il decreto, munito di formula esecutiva in data 17 ottobre 2017 dalla competente Cancelleria, veniva notificato il 13 novembre 2017 alla convenuta amministrazione. I ricorrenti, inoltre, invitavano l'amministrazione convenuta al pagamento, rimettendo alla stessa le relative dichiarazioni di pagamento secondo i modelli predisposti dal Ministero mediante mail pec dell'amministrazione in data 17 ottobre 2018. Decorreva pertanto il termine di sei mesi di cui alla normativa predetta senza che l'amministrazione convenuta provvedesse al pagamento. 5 - Veniva dunque proposto ricorso davanti al TAR. 6 - Il Ministero si costituiva per resistere al ricorso, senza peraltro formulare deduzioni sulla pretesa di parte ricorrente, limitandosi a precisare le ragioni ostative al tempestivo adempimento degli obblighi di indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 tramite produzione di nota del M.E.F. Chiedeva inoltre che, quale commissario ad acta, fosse nominato il Direttore generale della Direzione dei Servizi del Tesoro del Ministero. 7 - Alla camera di consiglio del 4 ottobre 2022 il TAR per l'Umbria rilevava d'ufficio la questione della possibile inammissibilità in relazione alla mancata dimostrazione, da parte dei ricorrenti, dell'invio delle dichiarazioni di cui all'art. 5-sexies della legge n. 89/2001, in quanto sostituite da una procura speciale anche all'incasso conferita al legale, ed al mancato deposito dell'attestazione di cancelleria della definitività del titolo della cui ottemperanza si trattava. 8 - Il Tar, dunque, dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo che, ai sensi dell'art. 5 sexies, commi 9 e 10, della legge n. 89/2001, la procura all'incasso fosse ammissibile solo per importi inferiori ad euro 1000.00. Pertanto, per conseguire il pagamento sarebbe stato necessario che la parte fornisse coordinate bancarie intestate al beneficiario e non già a terzi soggetti non essendo, in mancanza, il pagamento consentito dalla legge. 9 - Con l'appello in epigrafe i ricorrenti chiedono la riforma o l'annullamento della predetta decisione, lamentando l'illegittimità della mancata esecuzione in sede di ottemperanza del giudicato formatosi sul decreto della Corte d'appello di Perugia n. 2651/2017, recante la condanna dell'Amministrazione al pagamento di somme a titolo di equa riparazione (c.d. legge Pinto). 10 -Secondo l'appellata sentenza, stante il carattere di specialità delle disposizioni di riferimento la documentazione da esse richiesta non poteva considerarsi surrogabile con una dichiarazione rilasciata da un unico procuratore dei creditori. Peraltro, argomenta il giudice di primo grado, lo stesso art. 5-sexies della legge n. 89/2001, ai commi 9 e 10, stabilisce che le operazioni di pagamento delle somme dovute a norma della stessa legge si effettuano mediante accreditamento sui conti correnti o di pagamento dei creditori, ammettendo la delega in favore di un legale rappresentante munito di procura speciale soltanto per l'incasso e solo per la riscossione per cassa o tramite vaglia cambiario di importi non superiori a 1000 Euro. 11 - Il Collegio non ritiene di poter condividere la predetta tesi. In particolare, così come ampiamente argomentato dagli appellanti, alla luce dell'art. 12 delle c.d. preleggi al codice civile la legge n. 89/2001 non può essere interpretata nel senso della introduzione di una disciplina "speciale" in materia di delegazione a ricevere il pagamento, destinata a prevalere su quella generale prevista dal codice civile. Peraltro, erra il giudice di primo grado nel ritenere che il limite dei 1000 euro si applichi alla delega in favore di un legale rappresentante, costituendo detto importo invece solo un tetto al di sopra del quale non è ammessa la possibilità di pagamento per cassa. Alla interpretazione del Tar si oppone, infatti, sia il dato testuale della norma, sia una interpretazione sistematica delle disposizioni in esame e di quelle codicistiche, sia la stressa ratio legis, rispetto alla quale appare estranea una applicazione formale della procedura diretta a rendere potenzialmente più lunga, onerosa e complessa la soddisfazione di un credito già volto a compensare una eccessiva complessità e quindi una eccessiva lunghezza dell'organizzazione amministrativa della Giustizia in Italia. 12 - L'appello deve essere pertanto accolto, risultando le dichiarazioni di cui all'art. 5-sexies della legge n. 89/2001 sostituite da una procura speciale anche all'incasso conferita al legale, il quale ha poi inviato a proprio nome al Ministero la dichiarazione prevista dalla citata disposizione, unitamente al deposito dell'attestazione di cancelleria della definitività del titolo della cui ottemperanza si tratta. 13 - In riforma dell'appellata sentenza del TAR, l'Amministrazione intimata deve essere pertanto condannata all'esatto adempimento del decreto della Corte d'appello di Perugia n. 2651/2017, recante la condanna dell'Amministrazione al pagamento, a titolo di equa riparazione (c.d. legge Pinto), della somma di Euro 5.458,33 per ogni ricorrente oltre agli interessi legali dalla domanda, nominando fin da ora un Commissario ad acta in caso di protratto inadempimento. 14 - Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma dell'appellata sentenza di primo grado, condanna il Ministero dell'economia e delle finanze all'esatto adempimento del decreto della Corte d'appello di Perugia n. 2651/2017 mediante il pagamento della somma di Euro 5.458,33 (cinquemilaquattrocentocinquantotto,33) per ciascuno degli appellanti indicati in epigrafe, oltre agli interessi legali dalla domanda. Per il caso di inadempimento protratto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente sentenza ovvero dalla sua notifica a cura di parte se anteriore, nomina quale commissario ad acta il Direttore generale della Direzione dei Servizi del Tesoro del medesimo Ministero con possibilità di subdelega affinché entro i successivi trenta giorni provveda al medesimo adempimento a nome ed a spese dell'Amministrazione. Condanna il Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento delle spese di giudizio sostenute dagli appellanti, forfetariamente liquidate in complessivi Euro 4.000,00 (quattromila). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Chieppa - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 737 del 2020, proposto da SI. s.n. c. di Cr. Ma. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Bu. Vi. e Ma. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Perugia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Ze., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'Umbria, non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria, Sezione Prima, n. 557 del 4 novembre 2019. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Perugia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2023, il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Ma. Fr. e Lu. Ze.; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Considerato che la controversia ha ad oggetto l'ordinanza n. 17 del 19 settembre 2018, con cui il Comune di Perugia ha ordinato alla SI. s.a.s. di Cr. Ma. & C. di rimuovere le opere realizzate in assenza della necessaria segnalazione certificata di attività ed autorizzazione paesaggistica, ripristinando lo stato originario dei luoghi, nonché il provvedimento n. 8 del 22 marzo 2019, con cui il Comune di Perugia ha negato il rilascio dell'accertamento di compatibilità paesaggistica per le dette opere; Considerato che le opere in discorso consistono in: a) realizzazione di una serra solare avente superficie di circa 16 mq; b) realizzazione di una tettoia in legno di pertinenza dell'abitazione sul lastrico solare di un manufatto per attività sportiva adibito a spogliatoio; Considerato che il Comune di Perugia, con memoria depositata in data 11 aprile 2023, ha evidenziato come l'avversa impugnativa sia divenuta improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto l'appellante ha medio tempore dato parziale attuazione all'intimazione di ripristino con l'eliminazione della tettoia contestata e, con riferimento all'altro abuso, che il sig. Cr. ha nuovamente domandato il rilascio dell'assenso paesaggistico con la procedura semplificata ex art. 3 del d.P.R. n. 31 del 2017, ma l'Amministrazione ha ancora una volta denegato l'intervento con il provvedimento n. 11 del 31 gennaio 2023, con contestuale rinnovo dell'ordine demolitorio n. 17 del 2018; Considerato che l'appellante, con memoria depositata in data 17 aprile 2023, ha rappresentato di avere provveduto alla rimozione della tettoia contestata, per cui sarebbe sopravvenuto il difetto di interesse alla definizione del ricorso con riguardo alla detta tettoia, mentre permarrebbe l'interesse alla definizione del giudizio in relazione alla serra solare, per la quale ha evidenziato il succedersi di diverse interlocuzioni con funzionari dell'Amministrazione comunale, oltre che con quelli della locale Soprintendenza, per cui, essendo prossima a presentare nuova istanza di sanatoria/accertamento di compatibilità paesaggistica, ha chiesto il rinvio dell'udienza, auspicando nella risoluzione della vicenda; Considerato che, con la memoria depositata in data 26 aprile 2023, per quanto attiene alla richiesta di rinvio dell'udienza di discussione in ragione della prospettazione interlocuzione che sarebbe stata avviata anche con la Soprintendenza ai fini della regolarizzazione dell'abuso, il Comune di Perugia si è rimesso alla decisione di questo Collegio; Considerato che, alla udienza pubblica del 18 maggio 2023, da un lato, il difensore della parte appellante ha ribadito che la tettoia contestata è stata demolita, per cui, in parte qua, ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del ricorso, mentre, in relazione alla serra solare, ha ribadito che sono in corso interlocuzioni con l'Amministrazione comunale e la competente Soprintendenza per chiarire gli aspetti controversi, dall'altro, il difensore del Comune di Perugia si è rimesso al Collegio; Ritenuto che, con riferimento alla contestata tettoia, in ragione della sua demolizione, l'appello possa essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse; Ritenuto che, con riferimento alla serra solare, in ragione di quanto rappresentato dalle parti ed al fine di accertare una possibile ed eventuale sopravvenuta carenza di interesse dell'appello anche in tale parte, possa essere disposto un rinvio della definizione della controversia all'udienza pubblica del 30 novembre 2023. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe (R.G. n. 737 del 2020), riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese, così provvede: - dichiara improcedibile l'appello con riferimento alla contestata tettoia; - rinvia la definizione del giudizio, con riferimento alla contestata serra solare, all'udienza pubblica del 30 novembre 2023. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Sergio De Felice - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere Roberto Caponigro - Consigliere, Estensore Giovanni Gallone - Consigliere Marco Poppi - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8315 del 2022, proposto da Il. Ma. Ci. Lo., Ga. La., rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Istruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ufficio Scolastico Regione Calabria, Ufficio Scolastico Regione Sicilia, Ufficio Scolastico Regione Lazio, Ufficio Scolastico Regione Lombardia, Ufficio Scolastico Regione Campania, Ufficio Scolastico Regione Veneto, Ufficio Scolastico Regione Piemonte, Ufficio Scolastico Regione Puglia, Ufficio Scolastico Regione Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regione Abruzzo, Ufficio Scolastico Regione Liguria, Ufficio Scolastico Regione Umbria, Ufficio Scolastico Regione Marche, Ufficio Scolastico Regione Friuli Ven Giulia, Ufficio Scolastico Regione Toscana, Ufficio Scolastico Regione Molise, Ufficio Scolastico Regione Basilicata, Ufficio Scolastico Regione Sardegna, non costituiti in giudizio; nei confronti Cl. Ca., non costituito in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 4187/2022; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 il Cons. Sergio Zeuli e udito l'avvocato Ma. Da..; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante ha chiesto l'annullamento dell'esclusione di tutti i ricorrenti dalla procedura concorsuale di cui al Bando di concorso emanato con Decreto del Direttore Generale per il personale scolastico n. 106 del 26 febbraio 2016, avente ad oggetto l'indizione del concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado, pubblicato nella G.U. IV Serie Speciale n. 16 del 26 febbraio del 2016. A tal proposito la parte appellante precisa che detta esclusione era stata disposta, malgrado tutti gli originari ricorrenti fossero in possesso del titolo professionale abilitante all'insegnamento conseguito in un paese dell'Unione Europea, e fossero in attesa di decreto di riconoscimento del Ministero Istruzione, successivamente intervenuto ai sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 206 del 2007. Avverso il provvedimento gravato sono sollevati i seguenti motivi di appello, così rubricati: A) ERRATA MOTIVAZIONE DELLA PRONUNCIA DI PRIMO GRADO NELLA PARTE IN CUI APPLICA AL CASO DE QUO, I PRINCIPI IN TEMA DI PROCEDURE CONCORSUALI RISERVATE DI CUI AL DDG N° 85/2018, E NON QUELLI RELATIVI AL CONCORSO ORDINARIO DI RECLUTAMENTO DI CUI AL BANDO DI CONCORSO DI CUI AL DDG N° 106/2016, CUI HANNO PRESO PARTE GLI APPELLANTI B) OMESSA VALUTAZIONE IN SENTENZA DI QUANTO DISPOSTO DALL'ORDINANZA CAUTELARE DEL CONSIGLIO DI STATO N° 5380/2016 DI AMMISSIONE CON RISERVA AL CONCORSO A FAVORE DEI RICORRENTI POICHE' ALL'ATTO DELLA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI PARTECIPAZIONE AL CONCORSO, IL TERMINE DI LEGGE PREVISTO PER L'ESPLETAMENTO DELLA PROCEDURA DI RICONOSCIMENTO DEL TITOLO, ERA SPIRATO SENZA ALCUNA DEFINIZIONE AMMINISTRATIVA DA PARTE DEL MINISTERO ISTRUZIONE B.1) OMESSA VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DELL'ORDINANZA CAUTELARE DEL CONSIGLIO DI STATO N° 5380/2016 DI AMMISSIONE CON RISERVA AL CONCORSO:I RICORRENTI ALL'ATTO DELLO SVOLGIMENTO PROVE ERANO IN POSSESSO DEL DECRETO DI RICONOSCIMENTO DEL TITOLO, ED HANNO SUPERATO SIA LE PROVE CHE IL PERIODO DI PROVA CON CONSEGUENTE CONFERMA DEL RUOLO C) LA SENTENZA DEL TAR LAZIO N° 4187/2022 DEVE ESSERE RIFORMATA E/O ANNULLATA, POICHÉ GRAVEMENTE INGIUSTA, ILLOGICA E CONTRADDITTORIA PER I SEGUENTI MOTIVI DI DIRITTO GIA' RIPROPOSTI IN PRIMO GRADO. 1)QUANTO ALLA VIOLAZIONE DELLA DIRETTIVA 2005/36/CE DEL 7/09/2005, DELL'ARTICOLO 45 DEL T.F.U.E., DEGLI ARTT. 17, 18, 47 E 149 DEL TRATTATO U.E. (CITTADINANZA DELL'UNIONE, LIBERA CIRCOLAZIONE, COOPERAZIONE TRA STATI MEMBRI IN MATERIA DI ISTRUZIONE), NONCHÈ DEL DECRETO LEGISLATIVO 6/11/2007, N. 206, E DELL'ART. 1 DELLA LEGGE N. 241/1990. DI CUI AL PUNTO N 1 OMESSA VALUTAZIONE DELLA TABELLA ALLEGATA AL BANDO E MANCATA APPLICAZIONE DELLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA IN TEMA DI VALUTAZIONE DEL TITOLO CONSEGUITO ANCHE SE IN ATTESA DI RICONOSCIMENTO. 1.1) LA SENTENZA DI PRIMO GRADO N° 4187/2022 HA OMESSO DI VALUTARE/ MOTIVARE INGIUSTAMENTE "SPECIFICHE RICHIESTE DI PARTE RICORRENTE" AD OGGETTO LA ILLEGITTIMITA' DEL CO.110 DELL'ART.1 DELLA L.N° 107/2015 NELLA PARTE IN CUI ESCLUDE DAL CONCORSO I RICORRENTI IN ATTESA DI DECRETO DI RICONOSCIMENTO. 1.2) OMESSA VALUTAZIONE/ MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA NELLA PARTE IN CUI NON TIENE CONTO CHE L'ART.1 CO.110 DELLA L.N° 107/2015, LIMITA LA PARTECIPAZIONE CONCORSUALE AI RICORRENTI IN ATTESA DI RICONOSCIMENTO IN PALESE VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 97 COST. NONCHÉ DEI PRINCIPI DI IMPARZIALITÀ E BUON ANDAMENTO, DEL PRINCIPIO DELL'AFFIDAMENTO E DEL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DI RAGIONEVOLEZZA DELLA LEGISLAZIONE CONSACRATO NELL'ART. 3 DELLA COST. 1.3 OMESSA VALUTAZIONE/ MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA NELLA PARTE IN CUI NON TIENE CONTO CHE L'ART.1 CO.110 DELLA L.N° 107/2015 ESCLUDE LA PARTECIPAZIONE CONCORSUALE AI RICORRENTI IN ATTESA DI RICONOSCIMENTO, IN VIOLAZIONE DEI PRINCIPI COMUNITARI DI BUONA FEDE ED AFFIDAMENTO. 1.4 OMESSA VALUTAZIONE/ MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA NELLA PARTE IN CUI NON DISPONENDO LA DISAPPLICAZIONE DELL'ART. 1, COMMA 110, DELLA L. N. 107/2015, ESCLUDE DALLA PARTECIPAZIONE CONCORSUALE I RICORRENTI IN ATTESA DI RICONOSCIMENTO, VIOLANDO I PRINCIPI DI PARI OPPORTUNITÀ E NON DISCRIMINAZIONE, SOTTESI AL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA, DI CUI AL CAPO III DELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA E DELL'ART. 1 DELLA LEGGE N. 241/1990. 1.5) OMESSA VALUTAZIONE/ MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA NELLA PARTE IN CUI NON DISPONENDO LA DISAPPLICAZIONE DELL'ART. 1, COMMA 110, DELLA L. N.107/2015, ESCLUDE DAL CONCORSO I RICORRENTI IN ATTESA DI RICONOSCIMENTO, VIOLANDO IL PRINCIPIO DI BUONA AMMINISTRAZIONE DI CUI ALL'ART. 41 DELLA "CARTA DI NIZZA" 2) QUANTO AL PUNTO DI DIRITTO N° 2, VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 51 E 97 DELLA COSTITUZIONE, COSÌ COME RECEPITI DALL'ART. 2 DELLA LEGGE N. 124/1999 E DALL'ART. 401 DEL T.U. 297/94, OSSIA DELLE NORME CHE HANNO SANCITO IL PRINCIPIO MERITOCRATICO QUALE UNICO CRITERIO PER L'ASSUNZIONE DEGLI INSEGNANTI DELLA SCUOLA PUBBLICA (CFR.PG.7 SENTENZA TAR E PG.10-11 RICORSO PRIMO GRADO AL TAR LAZIO) 3) QUANTO AL PUNTO DI DIRITTO N° 3 AD OGGETTO LA VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 400 E 402 D.LGS. 16 APRILE 1994, N. 297 (TESTO UNICO IN MATERIA DI ISTRUZIONE), DEGLI ARTT. 1 E 2 DEL DECRETO INTERMINISTERIALE 24 NOVEMBRE 1998, N. 460, DEGLI ARTT. 2, 3, 9, 51 E 97 DELLA COSTITUZIONE. ECCESSO DI POTERE IN TUTTE LE SUE FIGURE SINTOMATICHE: ASSOLUTA ILLOGICITÀ ED IRRAZIONALITÀ, INGIUSTIZIA MANIFESTA, ERRATA VALUTAZIONE DEI PRESUPPOSTI, CARENZA DI ISTRUTTORIA, DIFETTO DI MOTIVAZIONE, OMESSA PONDERAZIONE DI INTERESSI RILEVANTI, SVIAMENTO, CONTRADDITTORIETÀ INTRINSECA ED ESTRINSECA DELL'ATTO.(CFR.PG.7 E 8 SENTENZA TAR E PG.12-16 RICORSO PRIMO GRADO AL TAR LAZIO) A)LA SENTENZA OMETTE DI PRONUNCIARSI SULLA MANCATA ATTUALIZZAZIONE DELLA DISCIPLINA TRANSITORIA GIÀ DETTATA PER IL PRIMO CONCORSO A CATTEDRA, SUCCESSIVO ALL'ENTRATA IN VIGORE DEL SISTEMA UNIVERSITARIO DI ABILITAZIONE ALL'INSEGNAMENTO, CHE CONSENTE LA PARTECIPAZIONE AL CONCORSO IN ESAME ANCHE AL PERSONALE SPROVVISTO DI ABILITAZIONE AL MOMENTO DELLA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA, E CONTENUTO NELLO SPECIFICO PUNTO DEL RICORSO 4)QUANTO AL PUNTO DI DIRITTO N° 4 AD OGGETTO ILLEGITTIMITÀ DELLA PREVISIONE CHE IMPONE LA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI PARTECIPAZIONE AL CONCORSO IN FORMA ESCLUSIVAMENTE TELEMATICA PER VIOLAZIONE DELL'ART. 4, COMMI 1 E 2, DEL D.P.R. 487/1994 E DELL'ARTICOLO 4 DEL DPR 11 FEBBRAIO 2005, N. 68. RIFORMARE LA SENTENZA DEL TAR NELLA PARTE IN CUI DICHIARA LA INFONDATEZZA (RINVENIBILE NEL PUNTO 10.1 E 10.2 PG.12), DICHIARANDO LA ILLEGITTIMITA'DEL BANDO NELLA PARTE IN CUI ESCLUDE LA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA IN FORMA DIVERSA DA QUELLA CARTACEA PER VIOLAZIONE DEGLI ART. 3, 51 E 97 DELLA COSTITUZIONE (CFR.PG.16-17RICORSO PRIMO GRADO AL TAR LAZIO). 2. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Istruzione, contestando l'avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame. DIRITTO 3. In diritto si osserva che il concorso, le cui clausole sono impugnate con il ricorso introduttivo, ha il suo fondamento nell'articolo 1 comma 110 della legge n. 107 del 2015 che riserva le procedure di reclutamento, in attesa di una compiuta riforma del sistema nazionale di istruzione, ai candidati che siano in possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento. Si tratta, dunque, di un reclutamento straordinario che tra le altre finalità persegue anche quella del riassorbimento del cd. "precariato storico." La clausola in contestazione consente la partecipazione a coloro che abbiano conseguito l'abilitazione all'estero, purché abbiano già ottenuto il relativo decreto ministeriale di riconoscimento. Da qui la doglianza di tutti gli odierni appellanti, abilitati in virtù di titolo estero, che non era ancora stato riconosciuto al momento della scadenza del Bando. 4. Prima di esaminarne le relative doglianze converrà ricordare quanto, in via generale, ritenuto dalla Corte Costituzionale con riferimento alle procedure straordinarie di reclutamento nella scuola. La Consulta ha affermato in proposito che il concorso pubblico è la forma generale ed ordinaria di reclutamento del personale della pubblica amministrazione, in quanto meccanismo imparziale che, offrendo le migliori garanzie di selezione tecnica e neutrali dei più capaci sulla base del merito, garantisce l'efficienza dell'azione amministrativa (ex plurimis, sentenze n. 134 del 2014; n. 277, n. 137, n. 28 e n. 3 del 2013). Cionondimeno il giudice delle leggi ha affermato che l'indefettibilità del concorso pubblico come canale di accesso pressoché esclusivo nei ruoli delle pubbliche amministrazioni non può ritenersi assoluta e che ad essa può derogarsi in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (sentenze n. 7 del 2015; n. 134 del 2014; n. 217 del 2012). Forme diverse di reclutamento e di copertura dei posti devono però essere legislativamente disposte per singoli casi e secondo criteri che, pur involgendo necessariamente la discrezionalità del legislatore, rispondano a criteri di ragionevolezza che non contraddicano i principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione. L'area delle eccezioni al principio del concorso è stata delimitata in maniera assai rigorosa. Sono ritenute legittime le sole deroghe giustificate dall'esigenza di garantire alla pubblica amministrazione competenze consolidatesi all'interno dell'amministrazione stessa e non acquisibili dall'esterno, a maggior ragione in un settore, come quello dell'istruzione scolastica, che, in occasione delle periodiche fibrillazioni che lo attraversano, causate, come negli anni di interesse, dall'avvio di riforme strutturali significative, può rendere necessario un reclutamento straordinario con assorbimento del cd. "precariato storico". Tale evenienza non ricorre invece in presenza di indiscriminate procedure di stabilizzazione del personale precario, prive cioè di riferimenti alla peculiarità delle competenze e funzioni di cui l'amministrazione abbisogna e che quindi si risolvono in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenze n. 3 del 2013, n. 310 del 2011, n. 189 del 2011, n. 195 del 2010). La stabilizzazione dei contratti di lavoro precario è peraltro ammissibile solo entro limiti percentuali tali da non pregiudicare il prevalente carattere aperto delle procedure di assunzione nei pubblici uffici (sentenze n. 7 del 2011, n. 235 del 2010). Nel caso di specie, le suindicate ragioni giustificative e la scelta di consentire la partecipazione al reclutamento ai soli soggetti abilitati, si rivelano ragionevoli e non disparitarie; può dunque pacificamente escludersi che la normativa sopraemarginata, e il decreto dirigenziale che ne è attuazione, siano contrari ai principi costituzionali. 5. La normativa in esame, così come interpretata e ricostruita, non solleva neppure dubbi di contrarietà con l'ordinamento dell'Unione Europea, come osservato anche dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 20 dicembre 2017, n. 11. Va, ancora evidenziato che nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario. D'altronde, come è noto, la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell'ordinamento nazionale e i requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non contrastano con puntuali disposizione di diritto europeo. Sul punto, (cfr. parere Cons. St. n. 963 del 2019) deve ad abundantiam osservarsi che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più ad imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti (Cons. giust. Ue, VIII, 17.12.2009, n. 586; sul tema si veda anche Cons. Stato, 6868/2018). Il margine di discrezionalità, lasciato al riguardo agli Stati membri dell'Unione, resta comunque contenuto dalla necessità di garantire i risultati ed i principi imposti dal diritto comunitario. Ed è di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela i situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nell'interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato. 6. Tanto premesso, e venendo al caso di specie, la parte appellante basa tutti i motivi di gravame, ad eccezione di quello rubricato sub B1), sulla considerazione che tutti i ricorrenti avevano titolo a partecipare alla procedura concorsuale, avendo ottenuto l'abilitazione all'insegnamento in altro stato membro dell'Unione Europea, nonostante l'abilitazione, al momento dello spirare dei termini di cui al Bando, non fosse stata ancora riconosciuta dal Ministero dell'Istruzione. La critica di cui al gravame si appunta dunque sulla legittimità della clausola del Bando che avrebbe illegittimamente posticipato, solo alla positiva valutazione dell'autorità ministeriale sull'equipollenza fra l'abilitazione da loro posseduta, e quella italiana, la loro possibilità di partecipare al concorso. 6.1. Il motivo è infondato. La questione controversa attiene alla valenza da attribuire al decreto di riconoscimento del titolo che il Ministero dell'Istruzione deve emettere. Il Bando le attribuisce efficacia costitutiva, al contrario la parte appellante ritiene che esso abbia natura meramente dichiarativa. In merito si osserva che, ricostruendo la dinamica della procedura comparativa valutativa per il riconoscimento dell'equipollenza fra i titoli, la sentenza della Corte di Giustizia UE 6 ottobre 2015, C-298-14, Brouillard, dopo aver premesso che " la libera circolazione delle persone non sarebbe pienamente realizzata qualora gli Stati membri potessero negare il godimento di dette disposizioni a quei loro cittadini che abbiano fatto uso delle agevolazioni previste dal diritto dell'Unione e che abbiano acquisito, grazie a queste ultime, qualifiche professionali in uno Stato membro diverso da quello di cui essi possiedono la cittadinanza. Questa considerazione si applica parimenti quando il cittadino di uno Stato membro ha acquisito, in un altro Stato membro, una qualifica universitaria complementare alla sua formazione di base, della quale egli intenda avvalersi dopo il suo ritorno nel proprio paese d'origine.", ha affermato che ". 54. In tale contesto, occorre ricordare che le autorità di uno Stato membro, investite di una domanda di autorizzazione, presentata da un cittadino dell'Unione, ad esercitare una professione il cui accesso, in base alla normativa nazionale, è subordinato al possesso di un diploma o di una qualifica professionale, o ancora a periodi di tirocinio pratico, sono tenuti a prendere in considerazione il complesso dei diplomi, certificati e altri titoli, nonché l'esperienza pertinente dell'interessato, effettuando un confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e tale esperienza e, dall'altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla normativa nazionale (v. sentenze Vlassopoulou, C-340/89, EU:C:1991:193, punto 16; Ferná ndez de Bobadilla, C-234/97, EU:C:1999:367, punto 31; Dreessen, C-31/00, EU:C:2002:35, punto 24, nonché Morgenbesser, C-313/01, EU:C:2003:612, punti 57 e 58). 55. Tale procedura di valutazione comparativa deve consentire alle autorità dello Stato membro ospitante di assicurarsi obiettivamente che il diploma straniero attesti da parte del suo titolare il possesso di conoscenze e di qualifiche, se non identiche, quantomeno equipollenti a quelle attestate dal diploma nazionale. Questa valutazione dell'equipollenza del diploma straniero deve effettuarsi esclusivamente in considerazione del livello delle conoscenze e delle qualifiche che questo diploma, tenuto conto della natura e della durata degli studi e della formazione pratica di cui attesta il compimento, consente di presumere in possesso del titolare (v. sentenze Vlassopoulou, C-340/89, EU:C:1991:193, punto 17; Morgenbesser, C-313/01, EU:C:2003:612, punto 68, e Pesla, C-345/08, EU:C:2009:771, punto 39). 56 Nel quadro di quest'esame, uno Stato membro può prendere tuttavia in considerazione differenze oggettive relative sia al quadro giuridico della professione in questione nello Stato membro di provenienza, sia all'ambito di attività di quest'ultima (v. sentenze Vlassopoulou, C-340/89, EU:C:1991:193, punto 18; Morgenbesser, C-313/01, EU:C:2003:612, punto 69, e Pesla, C-345/08, EU:C:2009:771, punto 44). 57. Se, in esito a detto esame comparativo dei diplomi, accerta che le conoscenze e le qualifiche attestate dal diploma straniero corrispondono a quelle richieste dalle disposizioni nazionali, lo Stato membro è tenuto a riconoscere che tale diploma soddisfa i requisiti da queste imposti. Se, invece, a seguito di tale confronto emerge una corrispondenza solo parziale tra dette conoscenze e qualifiche, lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere che l'interessato dimostri di aver maturato le conoscenze e le qualifiche mancanti (v. sentenze Vlassopoulou, C-340/89, EU:C:1991:193, punto 19; Fernandez de Bobadilla, C-234/97, EU:C:1999:367, punto 32; Morgenbesser, C-313/01, EU:C:2003:612, punto 70, e Pesla, C-345/08, EU:C:2009:771, punto 40). 58. A questo proposito, spetta alle autorità nazionali competenti valutare se le conoscenze acquisite nello Stato membro ospitante nel contesto di un ciclo di studi, ovvero anche di un'esperienza pratica, siano valide ai fini dell'accertamento del possesso delle conoscenze mancanti (v. sentenze Vlassopoulou, C-340/89, EU:C:1991:193, punto 20; Ferná ndez de Bobadilla, C-234/97, EU:C:1999:367, punto 33; Morgenbesser, C-313/01, EU:C:2003:612, punto 71, e Pesla, C-345/08, EU:C:2009:771, punto 41). 59. Poiché qualsiasi esperienza pratica nell'esercizio di attività collegate può aumentare le conoscenze di un richiedente, spetta all'autorità competente prendere in considerazione qualsiasi esperienza pratica utile all'esercizio della professione a cui viene richiesto l'accesso. Il valore preciso da attribuire a quest'esperienza dovrà essere determinato dall'autorità competente alla luce delle funzioni specifiche esercitate, delle conoscenze acquisite e applicate nell'esercizio di tali funzioni nonché delle responsabilità conferite e del grado di indipendenza accordati all'interessato in questione (v. sentenza Vandorou e a., C422/09, C-425/09 e C-426/09, EU:C:2010:732, punto 69). Or bene, nonostante qualche perplessità dovuta al fatto che, in qualche passaggio, la Corte di giustizia - almeno nel caso in cui il procedimento comparativo di equipollenza si concluda con esito positivo, nel senso di ritenere pienamente equivalenti i due titoli - sembra attribuire al relativo decreto di riconoscimento valenza meramente dichiarativa, è opinione del Collegio, ciò non pertanto, che la clausola di Bando controversa, per come è articolata, non sia contraria ai principi unionali, anche per come essi emergono dai passaggi della sentenza appena riportata. Tanto si opina innanzitutto per l'intuibile motivo che, per come si evince dalla stessa decisione, il procedimento valutativo e comparativo fra i due titoli può anche concludersi con l'adozione, da parte dell'amministrazione, di un provvedimento che imponga al possessore del titolo un periodo pratico di tirocinio onde acquisire la professionalità (ritenuta) mancante nella qualificazione ottenuta all'estero. Il che inevitabilmente fa propendere per la natura costitutiva del provvedimento di riconoscimento e/o comunque per la legittimità della detta clausola di Bando che, se diversamente interpretata, consentirebbe la partecipazione al concorso di un candidato che, non avendo ancora completato il periodo mancante di tirocinio, finirebbe per essere ammesso senza titolo alla relativa procedura. In secondo luogo, la soluzione di consentire l'accesso ai soli possessori di titolo (già accertato come) equivalente sembra la più corretta, per ovvie ragioni di par condicio fra i candidati, prestandosi l'altra soluzione a rischi di incertezza ed arbitrio da parte dell'autorità che gestisce la procedura. Infine, e non da ultimo, nelle procedure straordinarie di reclutamento è d'uso, per ovvie ragioni di efficienza, individuare una soglia temporale di sbarramento, interdicendo la partecipazione ai soggetti che abbiano ottenuto i titoli necessari oltre una certa data, e, con le sentenze ricordate in premessa, la Corte Costituzionale ha sempre convalidato tali scelte legislative, giustificandole con ragion di assorbimento del precariato storico, che giustificano a loro volta il reclutamento straordinario. La clausola di cui si discute, sia pure con alcune specificità, riproduce la medesima ratio e pertanto, anche in questa prospettiva, non si rivela né illegittima né disparitaria. In definitiva può escludersi alla luce di quanto precede che la clausola preclusiva di cui si discute fosse illegittima, il che esclude la fondatezza della pretesa qui azionata. 6.2. Deve ritenersi altresì infondata la doglianza con la quale la parte appellante si duole del fatto che l'unico modo per presentare la domanda fosse quello della modalità on line. In disparte l'infondatezza in sé della censura, dal momento che il Bando dettagliava con chiarezza e precisione le modalità di presentazione della domanda, in relazione a tal censura si osserva che non potendosi ritenere gli appellanti legittimati a partecipare alla procedura, per le ragioni appena viste, non hanno comunque interesse a coltivare il relativo motivo. 7. Con un ulteriore motivo, rubricato sub B1, la parte appellante contesta al giudice di prime cure di non aver considerato che il Consiglio di Stato in sede cautelare, in accoglimento della richiesta di ammissione con riserva, aveva consentito a tutti i ricorrenti, che peraltro, nel frattempo, avevano ottenuto il decreto di riconoscimento dell'abilitazione, di partecipare alla procedura e che questo dovrebbe valere come indiretta sanatoria e conferma della loro prospettazione. 7.1. Il motivo è infondato, innanzitutto perché inverte il rapporto che, processualmente, dovrebbe sussistere tra processo cautelare, che è interinale e strumentale, e processo di merito, che rappresenta il momento di definitiva soluzione della controversia. In ogni caso la prospettazione è comunque errata perché omette di valutare le strutturali precarietà e temporaneità dei provvedimenti cautelari, destinati, qualunque ne sia l'esito, ad essere riassorbiti e, se del caso, modificati, dalla successiva decisione nel merito della controversia. 8. Questi motivi inducono a rigettare l'appello. Le ragioni della controversia giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lipari - Presidente Massimiliano Noccelli - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere, Estensore Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VERGA Giovanna - Presidente Dott. BORSELLINO Maria D. - Consigliere Dott. COSCIONI Giuseppe - Consigliere Dott. DI PISA Fabio - rel. Consigliere Dott. RECCHIONE Sandra - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato ad (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 27/10/2021 della CORTE APPELLO di PERUGIA; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere FABIO DI PISA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FULVIO BALDI, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; uditi l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS), l'Avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) nonche' l'avvocato (OMISSIS) in difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l'accoglimento dei rispettivi ricorsi. RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 12/02/2019, confermava la sentenza del 12/09/2016 con cui il Giudice dell'udienza preliminare dello stesso Tribunale, all'esito di giudizio abbreviato, aveva assolto (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di peculato. Secondo la prospettazione accusatoria gli imputati - (OMISSIS) e (OMISSIS), nella qualita' di presidenti dei gruppi consiliari regionali; (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di consiglieri regionali, ritenuti anch'essi pubblici ufficiali- ed in concorso con i Presidenti dei rispettivi gruppi consigliari e (OMISSIS) nella qualita' di responsabile della Segreteria del gruppo consigliare ed in concorso con il presidente del gruppo - si erano appropriati dei fondi pubblici della Regione (OMISSIS), previsti per il finanziamento delle attivita' dei Gruppi consiliari dalla Legge Regionale n. 34 del 10 agosto 1988. 2. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20535/2020, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Ancona, annullava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia. In tale pronunzia la Suprema Corte formulava tutta una serie di principi in ordine: - alla natura giuridica dei gruppi Consiglieri ed al vincolo di destinazione delle somme erogate; - alla nozione di "spese rimborsabili "; - alla prova della condotta appropriativa. Nel rilevare che i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione dei principi di diritto indicati ha, quindi, onerato la Corte di appello di Perugia in sede di rinvio di verificare, applicando i principi indicati, in ordine alle singole posizioni processuali ed alle singole categorie di spese se, ed in che termini, fosse configurabile il reato contestato. 3. La Corte di appello di Perugia, con sentenza in data 27 ottobre 2021, pronunziando in sede di rinvio, per quello che ancora in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) limitatamente ai reati loro ascritti riferiti all'anno 2008 per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126), limitatamente alle spese postali e convegnistiche; ha condannato (OMISSIS) alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per talune delle spese di ristorazione. Con provvedimento in data 17 gennaio 2022 la Corte di appello, rilevata la sussistenza di un errore materiale nel dispositivo, in relazione alla omessa statuizione di confisca, ha disposto correggersi il dispositivo inserendo l'inciso: "visto l'articolo 322-ter c.p.p. ordina la confisca della somma di Euro 4.600,00 nei confronti di (OMISSIS) e della somma di Euro 21.500,00 + Euro 1.800,00 dei confronti di (OMISSIS) o dei beni di cui gli imputati avessero la disponibilita' per un valore equivalente". 4. Contro detta sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione entrambi i predetti imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia. 4.1. (OMISSIS), con un primo ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS), formula i seguenti motivi. Con il primo motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, valutati anche i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi, non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato. Rileva che avendo il primo giudice espressamente valorizzato le dichiarazioni del (OMISSIS) ai fini assolutori e posto che la corte di merito aveva operato una "svalutazione" del peso probatorio di tali dichiarazioni, si rendeva indispensabile una rinnovata audizione dello stesso al fine di effettuare i necessari chiarimenti in ordine alla percezione dei rimborsi ed al legame istituzionale delle spese effettuate con la propria attivita' all'interno del gruppo consiliare. Con il secondo motivo denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), vizio di motivazione per non essersi il giudice del rinvio conformato ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione. Lamenta per l'anno 2009 che: - quanto alla ritenuta illegittimita' delle spesa di ristorazione di Euro 200,00 la Corte territoriale nell'affermare che non era dato sapere se la stessa fosse collegata ad un evento di natura istituzionale, per un verso, aveva finito per rovesciare l'onere della prova a carico dell'imputato e, per altro verso, aveva del tutto trascurato di prendere in esame le giustificazioni fornite dall'imputato nel corso del proprio interrogatorio e del proprio esame; in ordine alla ulteriore spesa di Euro 200,00 per un rimborso legato ad un convegno indetto dal Ministero del lavoro era palese il vizio motivazionale in quanto la Corte di merito aveva omesso di considerare che non e' possibile, da parte del giudice penale, sindacare l'attivita' politica e le scelte di merito del Presidente di un gruppo consiliare. Osserva, quanto all'anno 2010 ed all'anno 2011, che gli addebiti riguardavano spese postali inerenti la spedizione di auguri natalizi corredati da una newsletter, in relazione alle quali non poteva ritenersi, come apoditticamente affermato dalla Corte di appello, che le stesse erano "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardavano mera attivita' propagandistica del consigliere. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione alla nozione di disponibilita' giuridica del denaro in capo all'imputato. Nel premettere che presupposto indefettibile ai fini della configurabilita' del reato di peculato e' che il pubblico ufficiale abbia il possesso o, comunque, la concreta disponibilita' del denaro osserva che i giudici territoriali avevano omesso di considerare che, come precisato dal ricorrente, lo stesso non aveva mai gestito direttamente di denaro ovvero avuto la disponibilita' di carta di credito o di fondo cassa generalizzato e preventivo per le proprie spese. Con il quarto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 110- 314 c.p. nonche' vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso dell'imputato nei delitto di peculato con i capi-gruppo pro-tempore. Rileva che la sentenza aveva del tutto omesso di motivare in relazione alla condotta concorrente del Consigliere Regionale (OMISSIS) con i tre capi-gruppo succedutisi nella Presidenza del Gruppo Consiliare, non potendosi ritenere l'attivita' concorrente integrata nella richiesta di rimborsi aventi ad oggetto attivita' regolarmente realizzate dal consigliere regionale, ove anche ritenuti non dovuti. Il medesimo (OMISSIS), con altro ricorso a firma dell'Avv. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988 nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione desumibile in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- Gruppo Tutela Spesa Pubblica; esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 e relazione della Dott.ssa (OMISSIS) Direzione Generale Assemblea Reg. (OMISSIS) depositata con memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Osserva che, in disparte la considerazione che la Corte di appello aveva affermato la responsabilita' dell'imputato per l'illecito rimborso di Euro 400,00 per spese per "convegni/convegnistiche" sebbene nella parte ricostruttiva si elencavano "per convegni" solamente Euro 350,00 - dato questo sintomatico della illogicita' del ragionamento - i giudici di appello, dopo avere rilevato il rimborso di Euro 350,00 per spese convegnistiche, constatando che almeno 150,00 Euro di quelle spese erano lecite e giustificate, aveva condannato, del tutto illogicamente, l'imputato per essersi fatto rimborsare Euro 400,00 di spese per convegni. Evidenzia, ancora, che quanto alle spese di Euro 200,00 per la cena con otto commensali al Ristorante "(OMISSIS)", estranee alla suindicata tipologia, a parte la mancanza di coordinamento rispetto alla condanna ritenuta in dispositivo, il dato relativo alla mancanza di documentazione coeva non appariva decisivo, contrariamente a quanto affermato dai giudici di merito, alla luce dei principi fissati alla giurisprudenza di legittimita' in tema di irrilevanza della semplice carenza documentale. Rileva che la sentenza della Corte di appello, in relazione alla ritenuta carenza di documentazione giustificativa coeva, da un lato si poneva in contrasto con il dictum della Cassazione e, per altro verso, appariva il frutto di un errore percettivo in quanto i giudici non avevano tenuto conto di quanto dichiarato dall'imputato in sede di indagini. In ordine alla spesa di Euro 200,00 per il convegno organizzato dalla Fondazione (OMISSIS) con oggetto "Oltre l'ideologia della crisi- lo sviluppo, l'etica ed il mercato nell'enciclica (OMISSIS) con conclusioni del Ministro del Lavoro Sacconi, rileva che la Corte di appello nel affermarne la "non inerenza" aveva violato i principi affermati dalla Suprema Corte in sede di annullamento, non considerando che tale partecipazione costituiva espressione di una scelta politica e che l'evento corrispondeva appieno a quelli che sono gli obiettivi ed i compiti del gruppo consiliare e del singolo consigliere. Con il secondo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi alla Procuratore Generale della Corte dei Conti in data 15/10/2015; provvedimento di archiviazione del Procuratore Generale della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale per le (OMISSIS) in data 12/06/2016 e documenti depositati unitamente alla memoria ex articolo 415-bis c.p.p. Deduce che la Corte di appello non aveva considerato che quanto alle "spese postali" ne era previsto il rimborso ai sensi dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34 del 1988, spese in relazione alle quali il Procuratore Generale della Corte dei Conti aveva disposto l'archiviazione e che del tutto erronee erano le conclusioni cui erano pervenuti i giudici in ragione di una asserita insufficienza documentale. Osserva che, nella specie, le spese postali riguardavano gli auguri natalizi inviati dal (OMISSIS) nell'ambito dell'attivita' istituzionale espletata e che il foglio notizie allegato - stampato senza ricorrere a fondi istituzionali - aveva il solo scopo di informare gli elettori della attivita' istituzionale posta in essere dal gruppo, e che i giudici appello aveva omesso di prendere in esame le dichiarazioni rese dall'imputato il quale aveva chiarito la insussistenza di qualunque fine propagandistico. Con il terzo motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 516 e 522 c.p.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Assume che la condanna dell'imputato era stata basata su una asserita carenza documentale per tutti i capi, non tenendo conto che lo stesso era stato archiviato in sede contabile e che aveva riguardato, nella sostanza, fatti del tutto diversi sostenendosi la non inerenza di spese che, per contro, non apparivano per nulla eccentriche rispetto a quelle ammesse dalla legge regionale. Con il quarto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. inoltre, vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016 nonche' spontanee dichiarazioni rese dall'imputato innanzi alla Corte nel precedente grado di appello. Rileva che, in ragione della riforma della pronunzia assolutoria alla luce di quanto in precedenza dichiarato dall'imputato, la corte di appello, al fine di accertare la responsabilita' oltre ogni ragionevole dubbio avrebbe dovuto procedere d' ufficio alla rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'audizione dell'imputato. Con il quinto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, violazione dell'articolo 314 c.p. nonche' violazione del disposto di cui all'articolo 627 c.p.p. in relazione a quanto statuito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 20535/2020 ed, inoltre, vizio di motivazione. Osserva che dal momento che la giustizia contabile aveva escluso anche profili di colpa dell'imputato la Corte di appello avrebbe dovuto motivare in relazione all'elemento psicologico del reato, profilo in relazione al quale la motivazione era assai carente. Con il sesto motivo lamenta, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p. violazione degli articoli 314 e 640 c.p. nonche' vizio di motivazione in relazione ai seguenti atti processuali: interrogatorio reso innanzi al Nucleo Polizia Tributaria (OMISSIS)- (OMISSIS); esame reso innanzi al G.U.P. in data 12/06/2016. Osserva che la Corte di appello non aveva considerato che dalle complessive risultanze istruttorie era emerso che il (OMISSIS) non aveva la disponibilita' di somme sicche', in ipotesi, si era in presenza del reato di truffa. L'Avv. (OMISSIS) ha depositato in data 18 gennaio 2023 nell'interesse dell'imputato memoria, contenente motivi nuovi, con la quale ha precisato che all'esito del giudizio dibattimentale instaurato nell'ambito del medesimo procedimento nei confronti di alcuni imputati che non avevano optato per il rito abbreviato, la Corte d'appello di (OMISSIS), con sentenza del 23 maggio 2022, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2022 stante l'omessa impugnazione da parte del Procuratore generale, aveva assolto gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) (oltre a (OMISSIS)) dall'accusa di peculato contestata agli stessi in qualita' di "Presidenti pro-tempore del Gruppo Consiliare (OMISSIS)", gruppo di cui (OMISSIS) era consigliere. Ha precisato che agli stessi era contestato di essersi appropriati indebitamente di importi assegnati al gruppo e nella loro disponibilita' "a titolo di rimborso delle spese sostenute per ristorazioni, valori bollati, omaggi, telefonia, affitti, stampe, manifesti e servizi televisivi" (in parte riferibili agli imputati personalmente, in parte "genericamente al gruppo"), addebiti fondati sul rilievo per cui "le spese non erano fornite di documentazione idonea a giustificare il costo e la sua riconducibilita' ad attivita' funzionali al Gruppo", rilevando che dalle motivazioni della sentenza della Corte d'Appello di Ancona si aveva riscontro della piena sovrapponibilita' - rispetto al presente giudizio di legittimita' - delle categorie di spesa esaminate (spese per ristorazione, spese postali e spese di rappresentanza), vuoi delle modalita' di documentazione (documentazione contabile coeva alla spesa) vuoi degli indici presuntivi dell'addebito (l'asserita mancanza di idonea giustificazione successiva delle spese da parte degli imputati). Ha, ancora, rilevato che (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita' di Capigruppo del Gruppo consiliare di (OMISSIS) ((OMISSIS)), erano stati irrevocabilmente assolti, quindi, da due contestazioni coincidenti con quelle per le quali l'odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato condannato in concorso proprio con i predetti capigruppo. Ha ribadito che, come rilevato nell'atto di ricorso, la decisione impugnata aveva omesso di esaminare il profilo relativo al contributo concorsuale di (OMISSIS) rispetto alla disposizione dei rimborsi operata da quegli stessi Capigruppo, definitivamente ritenuti estranei ad ogni ipotesi appropriativa e che allo stato la conferma della sentenza di appello avrebbe implicato l'accertamento di un dolo di concorso rispetto alla condotta dei capogruppo, la cui illiceita' e' stata definitivamente esclusa nel collegato processo penale. Ha, ancora, osservato che la sentenza della Corte d'appello di (OMISSIS), che aveva assolto i Presidenti del Gruppo consiliare al quale apparteneva l'odierno ricorrente, (OMISSIS), rileva nel presente giudizio di legittimita' anche con riferimento alla definizione del perimetro di legalita' delle spese dei gruppi regionali, fondato specificamente sull'interpretazione della legge regionale vigente al momento dei fatti (I. r. 34/1998), ribadendo come una corretta ermeneusi della disciplina della Regione (OMISSIS) riferita all'epoca dei fatti faceva riferimento a quel parametro indicato dalla Corte in sede di annullamento per sindacare la legittimita' delle spese (sono illegittime le spese "del tutto scisse" dalle iniziative del Gruppo consiliare), radicalmente disatteso dal giudice del rinvio, come gia' dedotto in ricorso. 4.2. (OMISSIS) formula i seguenti motivi. Con il primo motivo, articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese telefoniche ed all'acquisto di messagistica (OMISSIS), denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988; violazione del diritto di difesa per mancata audizione del teste (OMISSIS). Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare l'assoluzione sul punto, aveva affermato che trattavasi di "invii evidentemente finalizzati ad informare la popolazione su attivita' politico istituzionali in corso" da ritenere ammissibili in forza della normativa regionale laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare il contenuto dei singoli messaggi per verificare se avessero un mero fine di propaganda elettorale, come ritenuto e che nel pervenire alle proprie conclusioni i giudici del rinvio non si erano conformati ai principi di diritto fissati dalla Suprema Corte quanto alla verifica della legittimita' delle spese in questione non chiarendo per quale ragione le stesse dovevano essere ritenute "scisse" dall'attivita' consiliare e riguardanti mera attivita' propagandistica del consigliere. Deduce, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di considerare che le spese per la messagistica (OMISSIS) alla luce del disposto di cui all'articolo 34 L.Reg. 34/1998 erano da ritenere legittime. Assume, altresi', che in ragione della riforma della sentenza assolutoria in primo grado si rendeva necessaria ex articolo articolo 603 comma 3-bis c.p.p. la rinnovazione dell'audizione del teste (OMISSIS) sentito in sede di indagini difensive ed il cui verbale di audizione era stato allegato alla memoria in data 4 marzo 2015, teste il quale aveva reso delle dichiarazioni decisive in relazione alla finalizzazione dei messaggi in questione. Con il secondo motivo articolato in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese per la spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" denuncia, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), omissione della motivazione rafforzata a seguito della riforma della sentenza di primo grado nonche' omessa disamina della memoria difensiva ed omessa valutazione del dolo del reato contestato; violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p.; violazione del combinato disposto dell'articolo 314 c.p. in relazione all'articolo 1-bis Legge Regionale Marche n. 34 del 1988. Assume che la corte di appello, nel riformare la pronunzia assolutoria di primo grado, non si era adeguatamente confrontata con la ricostruzione del giudice di primo grado il quale, nel pronunziare, l'assoluzione sul punto aveva affermato che trattavasi di spese lecite "aventi ad oggetto tematiche strettamente connesse a questioni di interesse regionale ed all'attivita' consiliare e del suo Presidente " da ritenere legittime in forza della normativa regionale ex articolo 1-bis Legge Regionale (OMISSIS) n. 34/1988, laddove la corte di appello, del tutto apoditticamente, aveva concluso nel senso che si trattava di attivita' totalmente avulsa da quella istituzionale. Rileva che la motivazione, in proposito, era gravemente carente in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare l'autonomia della scelta del politico di veicolare nel modo ritenuto opportuno le prospettive e le attivita' del gruppo, come ritenuto dal primo giudice, omettendo di considerare che, nel caso in esame, trattavasi di gruppo unipersonale composto dal solo (OMISSIS) e che, peraltro, non potevano immaginarsi mere finalita' propagandistiche in quanto i fatti risalivano agli anni 2008-2009 mentre le elezioni regionali si sarebbero svolte nel 2010. Osserva, ancora, che la corte di merito non aveva adeguatamente motivato sul punto, non aveva rispettato i dicta della Suprema Corte in sede di annullamento ed aveva omesso di considerare che le spese in questione, riguardanti le riviste "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)", erano da ritenere legittime alla luce del disposto di cui all'articolo 1 bis- L.Reg. 34 del 1998. Assume che risultando evidente che dette spese erano legittime e che mancava una condotta distrattiva doveva essere pronunzia sentenza di proscioglimento nel merito in luogo della dichiarata prescrizione per i fatti del 2008. Con il terzo motivo articolato, in piu' censure, in relazione alla condanna relativa alle spese di ristorazione denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera b) c) ed e), c.p.p., violazione dell'articolo 546 comma 3 c.p.p. in relazione all'articolo 81 c.p., violazione dell'articolo 627 comma 3 c.p.p. nonche' vizio di motivazione. Evidenzia che la sentenza doveva essere ritenuta viziata sul punto in quanto nella parte dispositiva si faceva riferimento alla condanna per le spese di ristorazione di cui alla parte motiva in relazione ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) ma in seno a tali capi difettava una esatta indicazione dei singoli fatti contestati. Osserva che la corte di appello da un lato non aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto fissati dalla Suprema Corte in sede di annullamento e, per altro verso, aveva finito per operare una invasione di campo laddove aveva ritenuto che all'imputato era precluso la possibilita' di svolgere la propria attivita' istituzionale con lo strumento ritenuto piu' idoneo. Con il quarto motivo denuncia, ex articolo 606, comma 1, lettera c), c.p.p., nullita' della sentenza in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. Assume che, pure valutati i principi fissati dalla Corte EDU, nel caso in esame risultava palese la violazione dei diritti difensivi non essendosi proceduto alla rinnovazione dell'audizione dell'imputato il quale nel corso dell'interrogatorio aveva chiarito che tutte le spese erano finalizzate a fare conoscere l'attivita' del gruppo. Con il quinto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione degli articoli 81 nonche' vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Assume che la corte non aveva in alcun modo motivato in relazione ai singoli aumenti di pena in continuazione. Con il sesto motivo deduce, ex articolo 606, comma 1, lettera b) ed e) c.p.p., violazione dell'articolo 130 c.p.p. in combinato disposto con l'articolo 546 comma 3 c.p.p. e dell'articolo 81 c.p. Assume che in ragione dell'esatto ammontare dei profitti non era possibile procedere alla confisca nella forma di correzione di un errore materiale. Gli avv. ti (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori del sig. (OMISSIS), hanno depositato in data 19 gennaio 2023 memoria contenente motivi nuovi con cui hanno ribadito che la sentenza impugnata aveva male individuato il perimetro delle spese legittimamente realizzate dai Presidenti dei Gruppi consiliari alla luce della legge regionale in vigore al tempo nella Regione (OMISSIS) (I. r. 34 del 1998). Hanno rilevato che la patologia che aveva inficiato l'iter valutativo di cui in motivazione della sentenza impugnata appariva ancor piu' evidente sulla scorta dal parallelo giudizio intervenuto nei confronti di alcuni degli altri Presidenti di Gruppi consiliari istituiti in seno all'Assemblea regionale marchigiana definito con sentenza irrevocabile. Hanno assunto che i rilievi contenuti - per la piena omogeneita' del contesto (normativo), della tipologia di spese (spese per ristorazione, spese postali, spese di rappresentanza) e delle contestazioni mosse (mancanza di adeguata giustificazione "successiva") - sgombravano il campo da ogni dubbio in ordine alla legittimita' dei rimborsi ottenuti dal Presidente del Gruppo (OMISSIS), risultando evidente la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza gravata e il mancato adeguamento della stessa ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento con riferimento ai tre insiemi di spese per i quali era intervenuta la condanna dell'imputato e in relazione ai quali erano stati partitamente esposte le doglianze nell'atto di ricorso: le spese di telefonia e concernenti il servizio di messaggistica (OMISSIS) (doglianze raccolte nel motivo n. 1); le spese relative alla spedizione dei periodici "(OMISSIS)" e (OMISSIS)" (doglianze di cui al motivo n. 2); le spese di ristorazione (doglianze di cui al motivo n. 3). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi meritano accoglimento per le ragioni appresso specificate. 2. Appare opportuno un preliminare richiamo ai principi fissati dalla Suprema Corte nella pronunzia di annullamento, indispensabile al fine di valutare la fondatezza delle censure formulate. 2.1. Relativamente alla prima questione, avente ad oggetto la natura giuridica dei gruppi Consigliari ed il vincolo di destinazione delle somme erogate, nel precisare che trattavasi di un argomento rilevante ai fini della corretta definizione delle finalita' in ragione delle quali sarebbe stato possibile fare uso delle somme messe a disposizione dei gruppi consigliari regionali da parte del Consiglio della Regione (OMISSIS), la Corte di Cassazione ha richiamato, in primo luogo, la sentenza n. 1130 del 1988 della Corte Costituzionale in cui e' stato affermato che " dal momento che i gruppi sono gli organi nei quali si raccolgono e si organizzano all'interno dell'assemblea i consiglieri eletti al fine di elaborare congiuntamente le iniziative da intraprendere e di trovare in essi gli adeguati supporti organizzativi per poter svolgere adeguatamente i propri compiti, non e' arbitrario che i gruppi consiliari vengano dotati di mezzi adeguati e di personale idoneo, affinche' ogni consigliere sia messo in grado di concorrere all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale e, in particolare, all'elaborazione dei progetti di legge, alla preparazione degli atti di indirizzo e di controllo, all'acquisizione di informazioni sull'attuazione delle leggi e sui problemi emergenti dalla societa', alla stesura di studi, di statistiche e di documentazioni relative alle materie sulle quali si svolgono le attivita' istituzionali del Consiglio regionale". Ha evidenziato che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 187 del 1990, aveva avuto modo di precisare che "i gruppi consiliari sono organi del Consiglio regionale, caratterizzati da una peculiare autonomia in quanto espressione, nell'ambito del Consiglio stesso, dei partiti o delle correnti politiche che hanno presentato liste di candidati al corpo elettorale, ottenendone i suffragi necessari alla elezione dei consiglieri. Essi, pertanto, contribuiscono in modo determinante al funzionamento e all'attivita' dell'assemblea, curando l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Dunque, i gruppi consigliari sono organi del Consiglio regionale al cui interno esprimono i partiti o le correnti che hanno presentato liste di candidati. I gruppi contribuiscono al funzionamento dell'attivita' assemblare ed ogni consigliere deve essere messo in condizione di concorrere, nel modo indicato, all'espletamento delle molteplici e complesse funzioni attribuite al Consiglio regionale; un'attivita', quella dei gruppi consigliari, funzionale a quella del Consiglio regionale. Ha, quindi, ulteriormente precisato: " Si tratta di affermazioni riprese in seguito dalla stessa Corte costituzionale che, con la sentenza n. 39 del 2014, richiamando una precedente pronuncia delle Sezioni Unite civili di questa Corte (Sez. U, n. 609 del 01/09/1999, Rv. 529547), ha chiarito e valorizzato ulteriormente la connotazione pubblicistica delle funzioni svolte dai gruppi 5 costituiti in seno ai consigli regionali, definendoli non solo come organi del consiglio e proiezioni dei partiti politici in assemblea regionale, ma anche "come uffici comunque necessari e strumentali alla formazione degli organi interni del consiglio", in quanto funzionalmente inerenti all'istituzione regionale. Nello stesso senso Corte Cost. n. 107 del 2015, in cui si e' aggiunto significativamente che i gruppi consiliari contribuiscono in modo determinante al funzionamento ed all'attivita' dell'assemblea regionale, assicurando "l'elaborazione di proposte, il confronto dialettico fra le diverse posizioni politiche e programmatiche, realizzando in una parola quel pluralismo che costituisce uno dei requisiti essenziali della vita democratica". Si tratta di principi recepiti dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 8145 del 2010, ha concorso a delineare ulteriormente la connessione tra gruppi consigliari e partiti politici. Secondo il giudice amministrativo infatti: "(...) in via generale il gruppo consiliare non e' un'appendice del partito politico di cui e' esponenziale, ma ha una specifica configurazione istituzionale come articolazione del consiglio regionale, i cui componenti esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato dai partiti e dagli elettori (...)". Il Gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non diversamente, le Sezioni Unite civili sono giunte alle stesse conclusioni con l'ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23257 (cui hanno fatto seguito le ordinanze 21 aprile 2015, n. 8077, 28 aprile 2015, n. 8570, e 29 aprile 2015, n. 8622) con riguardo alla gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali ed alla ritenuta giurisdizione della Corte dei conti in ordine alla responsabilita' erariale del componente del gruppo, autore di "spese di rappresentanza" prive di giustificativi. Si e' affermato che: a) i gruppi consiliari hanno "natura pubblicistica" "in rapporto all'attivita' che li attrae nell'orbita della funzione istituzionale del soggetto giuridico, assemblea... regionale, nel cui ambito sono destinati ad operare"; b) i contributi pubblici sono erogati ai gruppi consiliari "con gli specifici vincoli ad essi impressi dalla legge": vincoli "dettagliatamente predefiniti... con esplicito esclusivo asservimento a finalita' istituzionali del consiglio regionale e non a quelle delle associazioni partitiche o, tanto meno, alle esigenze personali di ciascun componente"; c) tenuto conto della qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'articolo 357 c.p., comma 1, che la giurisprudenza penale della Corte attribuisce al presidente del gruppo partitico del consiglio regionale, questi, nel suo ruolo, partecipa alle modalita' progettuali ed attuative della funzione legislativa regionale, nonche' alla procedura di controllo del vincolo di destinazione dei contributi erogati al gruppo". (in tal senso, Sez. 6, n. 1561 del 14/01/2019, Fiorito, Rv. 274940). In questo contesto assume rilevante valenza Sez. U. civ. n. 12 marzo 2019, n. 10772 in cui la Corte, richiamando le proprie precedenti pronunce (Sez. U, 31 ottobre 2014, n. 23257; Sez. U, 21 aprile 2015, n. 8077; Sez. U, 28 aprile 2015, n. 8570; Sez. U, 29 6 aprile 2015, n. 8622; Sez. U, 8 aprile 2016, n. 6895; Sez. U, 7 settembre 2018, n. 21927; Sez. U., 17 dicembre 2018, n. 32618; Sez. U, 16 gennaio 2019, n. 1035 e 1034, quest'ultima con riferimento alla Regione Emilia Romagna) ha ulteriormente chiarito che "la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali e' soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilita' erariale, sia perche' a tali gruppi - pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica - va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell'organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell'origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo". Nell'occasione, le Sezioni unite, richiamando Corte Cost. n. 235 del 2015, hanno ulteriormente precisato che: a) in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilita' amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti); b) l'accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinche' non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non puo' investire l'attivita' politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di "merito" dal medesimo effettuate nell'esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell'alveo di un giudizio di conformita' alla legge dell'azione amministrativa (articolo 1 della L. n. 20 del 1994), come ribadito anche dalla Corte costituzionale (n. 235 e 107 del 2015) e che la riconducibilita' delle spese sostenute dai singoli consiglieri a determinate categorie di spesa, pur astrattamente previste, non vale, di per se', a fare escludere necessariamente la possibilita' che le singole spese siano "non inerenti" all'attivita' del gruppo, nei casi in cui non sia rispettato il parametro di ragionevolezza, soprattutto con riferimento alla entita' o proporzionalita', oltre che all'effettivita' delle spese, anche sotto il profilo della veridicita' della relativa documentazione; c) in siffatto alveo rimane la verifica, rimessa alla Corte dei conti, della "manifesta difformita'", in cio' consistendo propriamente il giudizio di non "inerenza" delle attivita' di gestione del contributo erogato ai gruppi consiliari rispetto alle finalita', di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, in termini di congruita' e di collegamento teologico delle singole voci di spesa ammesse al rimborso alle finalita' pubblicistiche dei gruppi. Dunque: 1) un collegamento teleologico tra spese e finalita' di preminente interesse pubblico da verificare in termini di congruita'; 2) una verifica che non attiene al merito delle scelte ovvero all'attivita' politica, ma alla conformita' alla legge dell'azione amministrativa, in cui l'astratta riconducibilita' delle spese a determinate categorie, pur teoricamente previste, non esclude che le stesse siano non inerenti rispetto all'attivita' dei gruppo, come definita dalla Corte costituzionale; 3) una verifica che si realizza anche attraverso il parametro di ragionevolezza, in relazione all'entita', alla proporzionalita', alla effettivita' delle spese, alla veridicita' della relativa documentazione e che puo' condurre 7 alla manifesta difformita' della spesa rispetto al perseguimento delle finalita' sottese al funzionamento del Gruppi consigliari. Un denaro, quello attribuito ai gruppi consigliari regionali, pubblico, gestito da pubblici ufficiali, funzionalmente vincolato nel senso indicato; il gruppo consigliare non e' un'appendice del partito politico a cui appartiene il singolo consigliere. Non e' in discussione il principio secondo cui, a seguito delle modifiche apportate alla norma incriminatrice di cui all'articolo 314 co. pen., con la L. n. 86 del 1990, l'origine o - se si preferisce-la natura pubblica o privata del denaro altrui e/o delle altre cose mobili altrui, che costituiscono l'oggetto materiale del peculato, e' un dato irrilevante ai fini del perfezionamento del reato, che e' integrato dal fatto appropriativo di denaro o cosa mobile "altrui" di pertinenza di qualunque soggetto giuridico, pubblico o privato, individuale o collettivo, e non piu' dal denaro o dalla cosa mobile "appartenente alla p.a." secondo la previgente disciplina normativa. Il tema, decisivo rispetto ai fatti oggetto del processo, attiene invece al se ed in che limiti l'attivita' del singolo consigliere componente di un gruppo consiliare, esterna rispetto alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, debba essere scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, nel senso indicato dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza richiamata. La questione e' quella di definire la portata del vincolo di destinazione impresso ai contributi erogati dall'ente al gruppo consiliare e, quindi, i limiti entro cui di quei contributi e' possibile fare uso legittimo da parte del singolo consigliere. Limiti in relazione ai quali divenga possibile tracciare, con criteri compatibili con il principio di determinatezza delle condotte pena/mente rilevanti, la pertinenzialita' dell'avvenuto impiego (spendita) da parte del gruppo (e per esso del suo presidente e dei singoli consiglieri) dei contributi gli scopi e obiettivi che di essi contributi costituiscono causa. Sulla base della ricostruzione normativa compiuta e dei principi richiamati, discende in negativo che: a) non possono essere imputate al fondo per il funzionamento dei Gruppi consigliari le spese connesse all'attivita' politica dei partiti, di cui i consiglieri sono espressione, che non siano espressione e connesse ad iniziative del gruppo, volte, cioe', al funzionamento del gruppo; b) non possono essere imputate al fondo le spese che i singoli consiglieri sostengono per la loro personale attivita' politica, spese volte alla "cura" del proprio consenso politico, delle relazioni personali sul territorio con esponenti della societa' civile, con l'informazione, con gli elettori; rapporti finalizzati alla conservazione o all'incremento del consenso politico soggettivo, della visibilita' personale del consigliere, ma del tutto scissi da iniziative e dalle funzioni del gruppo consigliare, nel senso indicato; 8 c) non possono essere imputate al fondo le spese che i consiglieri hanno in ragione dei rapporti personali tra essi, ovvero per l'organizzazione di iniziative politiche che non trovino nel gruppo consigliare la fonte di riferimento e di legittimazione; d) non possono chiaramente essere imputate le spese connesse alle esigenze private del consigliere. Affermare che anche il singolo consigliere possa dare attuazione alle attivita' del gruppo non consente di ritenere che le spese derivanti da ogni atto o comportamento del consigliere possano essere imputate al fondo solo in ragione del rapporto con lo status di consigliere; affermare che le iniziative del gruppo consigliare possano essere attuate anche attraverso il singolo consigliere non consente di ritenere che ogni condotta, ogni comportamento, ogni partecipazione del singolo consigliere ad un evento, anche pubblico, sia espressione dell'iniziativa del gruppo consigliare e che quindi ogni spesa- in quanto di per se' legata all'attivita' del singolo consigliere- sia imputabile al Fondo per il funzionamento. Sul tema si evoca spesso un precedente giurisprudenziale di questa Sezione (Sez. 6, n. 33069 del 12/5/2003, Tretter, Rv. 226531), secondo cui l'attivita' di un gruppo consiliare, estranea alla diretta partecipazione ai lavori dell'assemblea dell'ente pubblico territoriale, sarebbe sempre scandita da nessi di collegamento funzionale con la vita e le esigenze del gruppo, inteso come proiezione del partito politico dei cui progetti e interessi e' portatore". Nell'osservare che con la sentenza impugnata la Corte di merito aveva affermato il principio secondo cui " non risponde del delitto di peculato il presidente di un gruppo consiliare provinciale che si appropri di contributi ottenuti dalla provincia per l'esplicazione dei compiti del proprio gruppo, impiegandoli per sostenere spese di propaganda politica o di rappresentanza (nella specie, per l'acquisto di materiale propagandistico e di oggetto-regalo di modesto valore per gli elettori, per pranzi e rinfreschi in occasione di incontri pre-elettorali), trattandosi di attivita', benche' non istituzionali, comunque legate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del gruppo" ha evidenziato la necessita' di una rivisitazione di dette considerazioni in ragione dei principi generali evidenziati. 2.2. In ordine al concetto di spese rimborsabili ed al tema delle spese "c.d. di rappresentanza e di quelle di ristorazione" la Corte di Cassazione ha precisato che il legislatore ha individuato le singole categorie di spesa di rappresentanza ed e' stata la giurisprudenza, soprattutto contabile, a specificare una serie di criteri e principi necessari per delimitarne l'ammissibilita' e la liceita', precisando che vi sono cioe' degli elementi sostanziali e formali che consentono di delimitare la nozione di spesa di rappresentanza e chiarendo che: " La spesa deve essere strettamente correlata con le finalita' istituzionali dell'ente; pertanto, "le spese di rappresentanza possono essere ritenute lecite, solo se sono rigorosamente giustificate e documentate, con l'esposizione, caso per caso, dell'interesse istituzionale perseguito, della dimostrazione del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa, della qualificazione del soggetto destinatario e dell'occasione della spesa" (cfr., Corte dei conti, Sez. 2, 20 marzo 2007, n. 64). La spesa deve avere inoltre uno scopo anche promozionale per l'ente; essa deve essere effettuata per l'immagine o per l'attivita' dell'ente: "Le attivita' di rappresentanza, in altri termini, garantiscono una proiezione esterna dell'amministrazione verso la collettivita' amministrata e sono finalizzate ad apportare vantaggi che l'ente trae dall'essere conosciuto"(cfr. Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 30 luglio 2012, n. 356) Se, quindi, la spesa viene effettuata a fini promozionali di un singolo, per quanto rappresentativo dell'ente (es. il sindaco), la stessa non e' ammissibile e non puo' essere considerata quale spesa di rappresentanza appena delineata (cosi', testualmente, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466). Inoltre, si sottolinea, la spesa deve rispondere a criteri di ragionevolezza, sobrieta', sia con riguardo all'evento eventualmente realizzato, sia con riferimento ai valori di mercato. (cfr., fra gli altri, Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l'Abruzzo, sentenza 30 ottobre 2008, n. 394). Ancora, secondo la Corte dei conti, affinche' possano essere considerate legittime le spese di rappresentanza, esse devono avere i caratteri dell'ufficialita' e dell'eccezionalita'. Nel primo senso, devono, quindi, finanziare "manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l'attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell'attivita' amministrativa. L'attivita' di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento" (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione 5 novembre 2012, n. 466, citata.) Ovviamente, come ripetuto sovente dalla giurisprudenza, la spesa non puo' essere rivolta nei confronti di politici o di dipendenti interni all'ente, ma dev'essere rivolta all'esterno (cfr., fra le altre, Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Umbria, sentenza 30 marzo 2000, n. 160). Si aggiunge che, alla luce dei principi di trasparenza e del generale obbligo di motivazione, e' necessario fornire una rigorosa giustificazione del fine istituzionale perseguito e del rapporto tra l'attivita' dell'ente e la spesa; le spese devono essere rendicontate analiticamente, evidenziandone, in modo documentale, la natura, le circostanze che hanno generato la spesa, i modi e i tempi di tali erogazioni (Cfr. Corte 10 dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Toscana, sentenza 5 luglio 2013, n. 246). Una nozione di spesa di rappresentanza rigorosa ma coerente con i principi generali in precedenza indicati; una nozione di spesa conforme alla consolidata definizione che di essa fornisce anche la Corte di cassazione secondo cui per "spese di rappresentanza" devono intendersi solo quelle destinate a soddisfare la funzione rappresentativa esterna dell'ente pubblico al fine di accrescere il prestigio dell'immagine dello stesso e darvi lustro nel contesto sociale in cui si colloca (fra le tante, Sez. 6, n. 36827 del 04/07/2018, M, Rv. 274023; Sez. 6, n. 16529 del 23/02/2017, Ardigo', Rv. 270794; Sez. 6, n. 10135 Raimondi, Rv, 254763). Si tratta di principi che certo non possono essere derogati per i gruppi consigliari regionali, atteso che: a) questi non sono "altro" o "cosa diversa" rispetto all'ente Regione; b) i gruppi consigliari gestiscono denaro pubblico della stessa Regione; c) le somme erogate per il fondo per il funzionamento dei gruppi fanno parte del bilancio della Regione; d) le somme erogate devono essere utilizzate per le finalita' di cui si e' detto; e) rispetto a quelle somme vi era un intrinseco dovere di giustificazione e di controllo. Il tema non e' quello del se l'iniziativa e l'attivita' del gruppo possa essere attuata dal singolo consigliere, quanto, piuttosto, come gia' detto, del se esista una "iniziativa" del gruppo in ragione della quale il singolo consigliere regionale opera. Le somme erogate per il funzionamento dei Gruppi consigliari non costituiscono una sorta di "zona franca", di elargizione liberale di denaro da parte della Regione che i singoli consiglieri possono "modellare" e "piegare" liberamente in ragione del senso politico personale, del loro status, come se fossero state somme di cui si possa disporre per creare o gestire il consenso politico del singolo o per tessere relazioni personali in prospettiva di convenienze e di utilita' della propria carriera politica, all'interno o all'esterno del partito di appartenenza. Dunque, ad esempio, non sono spese di rappresentanza e non sono spese di ristorazione rimborsabili quelle prive di uno specifico collegamento con il gruppo, quelle cioe' non imputabili al gruppo nel senso indicato, quelle aventi ad oggetto donativi del singolo consigliere in occasione di feste o ricorrenze, quelle giustificate in ragione dell'attivita' politica e della visibilita' della sola persona; non sono spese di rappresentanza quelle relative ad incontri con colleghi interni all'ente di appartenenza; non sono spese di rappresentanza quelle sostenute in occasione di incontri con avventori casuali, quelle sostenute per cene o pasti con i propri collaboratori, quelle sostenute in occasioni di incontri con politici, ma pur sempre sganciate da funzioni di visibilita' del gruppo consigliare. Non sono spese di rappresentanza, cioe', tutte quelle estranee alla rappresentanza del gruppo, all'accrescimento della sua capacita' operativa all'interno del Consiglio, e connesse solo alla proiezione esterna ed alle esigenze di visibilita' del consigliere o del partito di appartenenza". Ha, infine, chiarito che: "le considerazioni esposte assumono rilievo anche per le altre categorie di spese, nel senso che, pur volendo prescindere dal tema del se all'epoca in cui i fatti sarebbero stati commessi, fosse o meno previsto un trattamento economico onnicomprensivo anche per quel che concerne le spese rimborsabili, il tema che deve essere verificato e' se le "ulteriori" spese, anche diverse da quelle espressamente disciplinate, siano sostenute per il funzionamento del gruppo consigliare e per il perseguimento delle finalita' ad esso sottese, cosi' come indicate". 2.3. Per quanto concerne la prova della condotta appropriativa, nel rilevarevtale concetto "non coincide affatto con l'assenza di giustificazione della spesa" ha evidenziato che ai fini della prova della responsabilita' penale e della condotta di appropriazione, secondo quanto affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimita': " a) non puo' darsi di per se' rilievo alla mancanza di coeva giustificazione, nel senso che non puo' intendersi come intrinsecamente illecita la spesa per il solo profilo formale, salva la sua concreta verifica; b) la prova della condotta appropriativa deve essere fornita dalla Pubblica Accusa. (Sez. 6, n. 38245 del 03/07/2019, De Luca Cateno, Rv. 276712; Sez. 6, n. 35683 del 01/06/2017, Adamo, Rv. 270549). In tale contesto, si pone il tema: a) delle c.d. spese ambivalenti, cioe' di spese la cui natura strutturale non sia di per se' rivelatrice della loro incompatibilita' ontologica rispetto alle finalita' pubbliche attributive del potere di spesa; b) della impossibilita', ai fini penali, di far discendere la prova della condotta appropriativa per le c.d. spese ambivalenti da una giustificazione incerta, incompleta dubbia, non univoca (Sez. 6, n. 2166 del 09/04/2019, Marino, Rv. 276067). Si tratta di un tema che risente tuttavia di quanto gia' in precedenza detto in ordine: a) all'onere oggettivo in capo ai consiglieri di documentazione della spesa e della sua giustificazione, derivante dalla natura del denaro e dalla sua destinazione funzionale; b) alla necessita' che la spesa sia finalizzata al perseguimento degli scopi per cui le somme erano erogate al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari; c) all'esatta individuazione delle finalita' del Fondo, di cui pure si e' detto. Il giudizio di ambivalenza, ovvero quello della strutturale incompatibilita' della spesa rispetto alle finalita' istituzionali del gruppo, e' un giudizio di relazione che viene formulato avendo come polo di riferimento la corretta individuazione, nel senso indicato, della 12 finalita' dei gruppi consigliari; la spesa e' davvero ambivalente se e' in astratto compatibile con le reali finalita' del fondo, queste ultime correttamente individuate. Quanto alle spese effettivamente ambivalenti, il tema dell'appropriazione deve senza dubbio prescindere da meccanismi presuntivi e di distribuzione dell'onere della prova; in tal senso va in parte rimodulato il principio affermato da Sez. 6, n. 23066 del 2009, Provenzano, secondo cui integra il delitto di peculato l'utilizzazione di denaro pubblico accreditato su un capitolo di bilancio intestato a "spese riservate", quando non si dia una giustificazione certa e puntuale del suo impiego per finalita' strettamente corrispondenti alle specifiche attribuzioni e competenze istituzionali del soggetto che ne dispone, tenuto conto delle norme generali della contabilita' pubblica, ovvero di quelle specificamente previste dalla legge. La questione ha una dimensione fattuale e probatoria, oltre che giuridica. La prova della finalita' illecita della spesa per cui si chiede ed ottiene il rimborso e' innanzitutto direttamente proporzionale alla "distanza", al "quantum" che intercorre tra la causa apparente della spesa rispetto alla ragione giustificativa dell'attribuzione del potere di spesa. La necessita' di approfondire sul piano probatorio la causale della spesa si pone dunque in senso progressivo rispetto alla capacita' dimostrativa della documentazione "ex ante" prodotta, cioe' al momento in cui viene chiesto il rimborso; quanto piu' sara' neutra o ambigua la documentazione originaria, tanto piu' potra' essere evidente la necessita' di approfondire ed investigare. E' possibile che le indagini colorino di significato indiziario l'originaria documentazione, ed allora, davanti a richieste di spiegazioni, puo' assumere rilievo la capacita' dimostrativa della documentazione "ex post", eventualmente prodotta nell'ambito dello sviluppo dialettico del procedimento, ovvero le giustificazioni fornite. In situazioni come quella in esame, la prova dell'appropriazione e' connessa innanzitutto alla rilevanza causale apparente della spesa, alla sua specificita' originaria, per come rappresentata al momento in cui fu richiesto il rimborso, nel senso che e' possibile che sin dall'inizio la spesa abbia una giustificazione documentale pienamente compatibile ovvero, viceversa, strutturalmente incompatibile con le finalita' giustificative del potere di spesa (es., in astratto, spesa per una festa di compleanno di un parente, per pagare stanze di albergo a soggetti terzi, o per un regalo privato) In questi ultimi casi la prova della condotta appropriativa, per certi versi, e' docu mentale. Nel caso in cui, invece, la documentazione originaria sia causalmente muta (uno scontrino relativo ad una consumazione tra due o piu' persone, o ad un acquisto da un dato negozio, una ricevuta di ristorazione) ovvero sia indicativa di una causale astrattamente compatibile con quelle giustificanti la spesa, ma tuttavia generica (es. "spese di rappresentanza" "spese di ristorazione"), il tema della prova della condotta 13) appropriativa assume una valenza indiziaria e si sposta all'interno dell'accertamento processuale. La questione si pone nei casi in cui, a fronte di una documentazione originaria muta od opaca, vi siano risultanze di indagini che colorino quella documentazione originaria di significato penalmente rilevante sotto molteplici profili; ci si puo' riferire: a) ai casi in cui venga accertato che il consigliere si trovasse in un posto diverso da quello in cui risulta emesso il documento contabile per il quale si e' chiesto il rimborso; b) ai casi in cui, nel corso dello stesso giorno, risultino emessi piu' scontrini in luoghi diversi e distanti tra loro; c) ai casi in cui risultino una quantita' di scontrini o di documenti che, per frequenza e sistematicita', riveli una finalita' non compatibile con quella istituzionale, perche' esplicita la sostanziale inesistenza di una iniziativa del gruppo; d) ai casi in cui la documentazione contabile riguardi spese avvenute in luoghi ovvero in giorni che solitamente si frequentano in periodi di vacanza, quando l'attivita' istituzionale dei gruppi consigliari e' sospesa; e) ai casi in cui le contabili di prelievi dal conto corrente del gruppo siano anticipate e temporalmente distanti dalla data della documentazione per cui si chiede il rimborso. Si tratta di situazioni in cui le risultanze investigative si sviluppano sulla base di una documentazione "neutra" e portano a far emergere una situazione in cui il difetto di giustificazione della spesa si manifesta in modo chiaro e stringente, atteso il numero, il tipo, la sequenza, la sistematicita', l'oggetto, le coordinate di tempo e di luogo delle spese, le modalita' di gestione complessiva del denaro. In tali contesti la dialettica probatoria puo' rivelare e fare emergere l'esistenza di situazioni altamente significative sul piano probatorio della condotta appropriativa. Non si intende fare riferimento ai casi in cui, a fronte di situazioni come quelle appena indicate ed ad una fisiologica richiesta di spiegazioni a seguito delle risultanze di indagini, il soggetto interessato produca documenti o alleghi circostanze che, pur incomplete, pur non decisive, lascino il fondato, ragionevole dubbio che quella spesa possa essere stata comunque sostenuta per il conseguimento delle finalita' istituzionali. Assumono invece i casi in cui l'interessato, in situazioni come quelle descritte, non fornisca nessuna spiegazione - ad esempio del perche' sia stato chiesto il rimborso di una spesa sostenuta in un luogo ed in un tempo in cui egli era altrove - ovvero adduca spiegazioni o produca documenti che, al di la' dei convincimenti soggettivi (che al piu' possono assumere rilievo sul piano dell'accertamento del dolo), confermino, anche solo implicitamente, la causale esterna della spesa rispetto alle finalita' attributive del potere e finiscono per provare l'interversione del possesso. Un procedimento probatorio indiziario complesso, in cui il requisito della molteplicita' degli indizi, che consente una valutazione di concordanza, e quello di gravita' si completano a vicenda; un ragionamento indiziario in cui elementi singoli di limitata valenza possono assumere rilievo per il loro numero elevato e per la loro cadenza 14 sistematica e possono accompagnarsi ad altri indizi, forse numericamente minori, ma di maggiore consistenza dimostrativa del fatto da provare. (ex multis Sez. 5, n. 16397 del 21/2/2014, P.G. in proc. Maggi, Rv. 259552) ". 3. Cio' premesso occorre muovere da un primo dato che inficia la tenuta logica della sentenza impugnata con riferimento alla posizione di entrambi gli imputati, non risultando rispettato il dictum della Cassazione quanto alla esatta individuazione delle "spese non rimborsabili". 3.1. Secondo quanto stabilito in dispositivo (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 80), 125) e 126): "limitatamente alle spese postali e convegnistiche" e (OMISSIS) e' stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per i reati di peculato ascritti ai capi 72), 73), 74), 75) e 76) "limitatamente alle spese per i periodici "(OMISSIS)" e "(OMISSIS)" e per la messaggistica "(OMISSIS)" e per quelle di ristorazione meglio indicate in motivazione", risultando evidente la (parziale) "indeterminatezza" del dispositivo. Orbene i rapporti che regolano la motivazione ed il dispositivo della sentenza penale sono complessi e non sono soggetti ad un'unica disciplina, perche' la regola secondo la quale il rapporto esistente nel processo penale tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, regola che si risolve nel ritenere quest'ultima inidonea a svolgere una autonoma efficacia giuridica, capace di incidere, a posteriori, sul contenuto essenziale del dispositivo, puo' essere derogata nei casi in cui, essendo la motivazione ed il dispositivo emessi contestualmente, la prima puo' possedere l'attitudine ad incidere sul comando giuridico che dalla sentenza penale deriva, posto che entrambe le parti essenziali di essa trovano una simultanea origine, capace di rendere intelligibile il comando stesso. Tuttavia, fuori dai casi di emanazione contestuale di motivazione e dispositivo della sentenza penale, e' alla pronuncia di quest'ultimo che e' affidata nel processo penale la funzione dell'applicazione della legge al fatto contestato all'imputato, mentre la motivazione adempie ad una finalita' meramente strumentale per cui e' improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti col dispositivo. Ne consegue che la motivazione non puo', di regola, supplire alle eventuali omissioni del dispositivo. Nel caso in esame la mancata esatta indicazione delle spese "non rimborsabili" oggetto delle contestate condotte di peculato nel dispositivo non poteva essere integrata dalla motivazione ove, peraltro, i giudici di merito, quanto alla specifica posizione del (OMISSIS), hanno introdotto un altro elemento di confusione ed incertezza in quanto hanno indicato come non consentite "spese per ristorazione" che non possono logicamente ricomprendersi nelle speSe "convegnistiche", non comprendendosi, quindi, per quali esatti fatti, alla lettura del dispositivo, il suindicato imputato e' stato ritenuto responsabile. Altrettanto "anomala" appare la condanna dello (OMISSIS) ritenuto responsabile per fatti di peculato individuati solo ex posta fronte di una ben piu' ampia contestazione contenuta nel capo di imputazione riguardante numerose spese. Sotto questo profilo, ove non volesse ritenersi sussistente una vera e propria nullita' ex articolo 546 c.p.p., sussiste certamente un vizio di motivazione decisivo in quanto la suddetta carenza si ripercuote sulla coerenza e logicita' del complessivo impianto motivazionale. 4. Risultano, parimenti, fondate le censure relative alle gravi carenze motivazionali della pronunzia de qua con la quale e' stato operato un parziale "overturning" rispetto alla pronunzia assolutoria di primo grado, senza che la Corte territoriale si sia, peraltro, conformata al thema decidendum come delineato nella sentenza di annullamento. La giurisprudenza di questa Corte si e' ripetutamente occupata del tema del "ribaltamento" della sentenza assolutoria di primo grado. Secondo una prima elaborazione giurisprudenziale la sentenza che, in riforma totale della decisione di primo grado, sostituisce l'assoluzione dell'imputato con l'affermazione di colpevolezza, deve contenere una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte. Ne discende che il giudice di appello dovra' confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l'integrale riforma senza limitarsi ad inserire delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire un percorso argomentativo, nuovo e compiuto, che dimostri, in primo luogo, con una rigorosa analisi, "l'incompletezza o l'incoerenza" della decisione appellata, "non essendo altrimenti razionalmente giustificata la riforma" (Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231679; Sez. U, n. 6682 del 4/2/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. U, n. 45276 del 30/10/200.3, Andreotti, Rv. 226093). Per la riforma di una sentenza assolutoria nel giudizio di appello non basta, in mancanza di elementi sopravvenuti, una mera diversa valutazione del materiale probatorio gia' acquisito in primo grado ed ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, ma occorre invece una "forza persuasiva superiore", tale da far venire meno "ogni ragionevole dubbio". La condanna, infatti, come significativamente evidenziato da Sez. 6, n. 40159 del 3/11/2011, Galante, Rv. 251066 "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza". Orbene appare evidente che la corte territoriale ha posto a fondamento i medesimi elementi di prova gia' valorizzati dal Tribunale per pervenire ad una pronuncia liberatoria, fornendone una lettura prospettata come piu' plausibile. Nel delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, non ha, pero', proceduto alla necessaria confutazione delle difformi valutazioni del primo giudice, mettendone in luce le carenze o le aporie o, quanto meno, dando conto delle ragioni dell'incompletezza o incoerenza dei piu' rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza. In particolare la Corte territoriale, senza affrontare funditus il tema delle spese c.d. ambivalenti e di quelle del tutto scisse da iniziative e dalle funzioni del gruppo consiliare (ed in tal modo violando anche il disposto di cui all'articolo 627 c.p.), si e' limitata a richiamare genericamente il tenore della documentazione in atti ed ha ritenuto ininfluenti le dichiarazioni rese dagli imputati sulle quali era stata fondata la pronunzia assolutoria proprio in ragione dei chiarimenti forniti circa la legittimita' delle stesse, pervenendo, del tutto apoditticamente, alla conclusione circa la finalita' di "propaganda politica personale" delle spese per cui e' intervenuta la statuizione di condanna. E sebbene il G.U.P., nel pervenire alla pronunzia assolutoria, aveva anche esaminato la documentazione prodotta dagli imputati e le loro memorie (vedi, in particolare, quanto al (OMISSIS) memoria con allegato provvedimento di archiviazione da parte della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale delle (OMISSIS) della Corte dei Conti in data 19/11/2015 e quanto allo (OMISSIS) la messagistica (OMISSIS) e le riviste con allegate memorie) la Corte di appello di Perugia non ne ha fatto cenno alcuno (se non per sommi capi) ovvero ne ha richiamato il contenuto con considerazioni del tutto generiche ed apodittiche Il ribaltamento dello scrutinio di responsabilita' compiuto nel processo di appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado doveva essere, comunque, sorretto da 20 argomenti dirimenti, conseguenti alla rinnovata disamina delle prove tale da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella di appello, non piu' razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di responsabilita', procedimento nel caso in esame non correttamente seguito. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, in accoglimento dei motivi sin qui esaminati dedotti dai suindicati ricorrenti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Firenze, che, nella piena liberta' delle valutazioni di merito di sua competenza, dovra' porre rimedio alle rilevate carenze motivazionali, uniformandosi ai richiamati principi di diritto. Giova rilevare che, a fronte dei cennati vizi e delle anzidette gravi lacune motivazionali, la questione relativa alla nullita' della sentenza impugnata in ragione della mancata rinnovazione della prova dichiarativa in violazione del disposto di cui all'articolo 603 comma 3-bis c.p.p. rimane di fatto assorbita: spettera' al giudice del rinvio valutare, se a fronte di quanto argomentato dal primo giudice - le cui argomentazioni dovranno costituire punto di partenza ed oggetto "adeguato confronto" - appaia indispensabile, per esigenze legate ad una rivalutazione di prove dichiarative ritenute decisive, disporre la rinnovazione dell'attivita' istruttoria. Rimangono assorbiti tutti i rimanenti motivi perche' afferenti a questioni la cui delibazione resta logicamente subordinata all'esito del nuovo scrutinio del tema, principale, della responsabilita', fermo restando che gia' in questa sede deve rilevarsi che, alla luce del devoluto e di quanto statuito dalla Suprema Corte con la suddetta sentenza, non potra' piu' essere messa in discussione la qualificazione dei fatti in questione quale ipotesi di peculato ex articolo 314 c.p. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Firenze.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTED'APPELLO DI PERUGIA - SEZIONE LAVORO - composta dai magistrati: Dr. Vincenzo Pio Baldi - Presidente Dr.ssa Alessandra Angeleri - Consigliera Dr.ssa Simonetta Liscio - Consigliera rel. Scaduto il termine di deposito delle note di trattazione scritta ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. all'esito della camera di consiglio ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 104 dell'anno 2022 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass. promossa da (...), nata C. (C.) il (...), C.F. (...) , rappresentata e difesa, per procura allegata alla busta telematica contenente l' atto di appello, formata ed inviata ai sensi dell'art. 83, comma 3, c.p.c., dagli Avv.ti Fr.Ce. (C.F. (...), Pec (...)), Me.Co. (C.F. (...), Pec (...)), Wa.Mi. (C.F. (...) - Pec (...)), Fa.Ga. (C.F. (...), Pec (...)), Gi.Ri. (C.F. (...), Pec (...)), elettivamente domiciliata in Perugia, Via (...) presso lo studio dell'Avv. Fr.Ce. - appellante - contro Ministero dell'Istruzione e del Merito (CF (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, - Ufficio scolastico Regionale dell'Umbria, patrocinati dall'Avvocatura Distrettuale dello stato di Perugia (CF (...)), presso la cui sede sono domiciliati in Perugia via degli Offici n. 12 (PEC: (...)) Appellati - AVENTE AD OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 46/2022 del Tribunale di Perugia -giudice del lavoro pubblicata il 2 marzo 2022 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E CONCLUSIONI DELLE PARTI Con la sentenza n. 46/2022 il giudice del lavoro di Perugia ha respinto il ricorso che l'insegnante R.G. aveva proposto contro il Ministero dell'Istruzione e la sua articolazione territoriale per l'Umbria onde vedersi riconoscere giudizialmente il diritto al pagamento in suo favore dell'indennità sostitutiva delle ferie non godute nel corso degli incarichi temporanei di insegnamento che si erano susseguiti sin dall'anno scolastico 2015/2016 e fino all'anno scolastico 2018/2019 compreso, prima cioè dell'immissione in ruolo del 1.9.2019. Nel giudizio si era costituito tardivamente il Ministero contestando la domanda della ricorrente, allegando una serie di prospetti, per ciascuno degli anni scolastici in questione, relativi alle giornate di sospensione delle attività didattiche ed alla certificazione rilasciata dal dirigente dell'istituto scolastico delle ferie godute dalla docente. Il Tribunale ha ricostruito l'articolato quadro normativo di riferimento precisando che "mentre l'articolo 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, convertito in L. n. 135 del 2012, nella sua originaria formulazione prevedeva che le ferie dovevano essere godute e non potevano essere monetizzate nemmeno in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, a qualunque causa dovuta, l'art. 1, comma 55, della L. n. 228 del 2012, aggiunto in calce all'articolo 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012 convertito in L. n. 135 del 2012, ha introdotto una deroga per il personale scolastico assunto a tempo determinato, ammettendo la possibilità di sostituire con il corrispondente trattamento economico le ferie di cui questi lavoratori, proprio in ragione della durata limitata del loro rapporto di lavoro, non abbiano potuto usufruire.". Ha allora ritenuto che i lavoratori a tempo determinato non possano rivendicare il pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie laddove non dimostrino che non sia stata loro consentita la fruizione "in quanto l'eccezione normativa alla regola, in favore dei lavoratori a tempo determinato, si giustifica proprio se e solo se, per la peculiare conformazione temporale dei loro rapporti di lavoro, ad essi sia stata preclusa oggettivamente la possibilità di fruire, nel corso del rapporto e per intero, le ferie maturate". In base all'art. 1, commi 54 e 55, L. n. 228 del 2012 ha poi rilevato che l'elemento valutativo decisivo per stabilire se possa riconoscersi un diritto all'indennità sostitutiva delle ferie in favore dei lavoratori con contratto a tempo determinato sino al termine delle attività didattiche non consiste nel verificare se residuino dei giorni di ferie maturati eccedenti quelli di fatto fruiti, bensì se residuino giorni di ferie maturati eccedenti quelli astrattamente ed ipoteticamente fruibili e sotto tale angolo prospettico ha ritenuto, alla luce dei calendari regionali, che i giorni successivi alla fine delle lezioni, essendo la ricorrente insegnante di scuola primaria, fossero, in astratto, anch'essi utilizzabili per il godimento delle ferie e, perciò solo, computabili da parte dell'Amministrazione al fine di stabilire se spettasse, alla ricorrente, l'indennità sostitutiva per eventuali giorni residui di ferie. Tale raffronto conduceva ad escludere che la ricorrente potesse vantare giornate di ferie non godute, per nessuno degli anni scolastici in discussione. La lavoratrice propone appello avverso la decisione in tali termini motivata, sostenendone l'erroneità argomentativa. In particolare, sostiene l'appellante che il Tribunale: - ha erroneamente interpretato restrittivamente l'art. 1, comma 55 della L. n. 228 del 2012 con la conseguenza, sotto il profilo probatorio, che ha ritenuto spettare al docente dimostrare che non gli è stata consentita la fruizione delle ferie, in tal modo trascurando i profili di conformità di una tale lettura alla normativa costituzionale ed europea; - ha ritenuto che l'elemento valutativo decisivo per stabilire se si potesse riconoscere un diritto all'indennità sostitutiva delle ferie in favore dei lavoratori a contratto a tempo determinato fosse "non se residuano dei giorni di ferie maturati eccedenti quelli di fatto fruiti, ma se residuino giorni di ferie maturati eccedenti quelli astrattamente e ipoteticamente fruibili"; - ha erroneamente ritenuto gravante sulla ricorrente l'onere della prova di aver effettuato la domanda di fruizione ferie all'amministrazione, trascurando il principio, ribadito anche di recente dalla Corte di Cassazione, ordinanza n. 14268/2022 del 05.05.2022, secondo cui una normativa che preveda la perdita del diritto alle ferie può ritenersi in linea con i principi comunitari solo laddove sia il datore di lavoro a dimostrare di avere invitato il lavoratore a fruire delle ferie informandolo al contempo che la mancata fruizione comporterà la perdita delle ferie. Fissata l'udienza di discussione orale della causa, si è costituto il Ministero appellato contestando la fondatezza dell'impugnazione avversaria, ricostruendo, anno per anno, le giornate di sospensione delle attività didattiche ed il numero delle ferie fruite dalla docente, ribadendo, in particolare, la correttezza del computo, tra le giornate fruibili come ferie, anche del periodo successivo alla fine delle lezioni fino al termine delle attività didattiche fissato al 30 giugno in coincidenza con il termine finale di ciascun incarico temporaneo di insegnamento conferito alla docente. In udienza il rappresentante dell'Avvocatura dello Stato ha dichiarato che la costituzione in giudizio avrebbe dovuto intendersi riguardare anche l'Ufficio scolastico regionale dell'Umbria, anch'essa costituita nel giudizio di primo grado. Sentite le conclusioni delle parti la Corte ha differito la causa per consentirne la decisione insieme ad altre di analogo tenore già fissate in altra data. I difensori delle parti hanno nella medesima sede espresso consenso alla sostituzione della discussione orale con la trattazione scritta di cui all'art. 127 ter c.p.c.. Assegnato alle parti il termine fino all'8 marzo per il deposito delle note scritte, entrambe le parti vi hanno provveduto nel rispetto del termine, insistendo nelle rispettive, opposte, conclusioni. Con la presente sentenza la Corte provvede a definire il giudizio nel termine di legge. MOTIVI DELLA DECISIONE E' incontroverso che R.G. sia stata destinataria, in ciascuno degli anni scolastici dal 2015/2016 al 2018/2019 di incarichi di docenza a tempo determinato sino al termine dell'attività didattica, cioè con termine finale fissato al 30 giugno. Sulla disciplina delle ferie nel pubblico impiego è intervenuto il legislatore nell'anno 2012 dapprima con l'articolo 5, comma otto, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95 come modificato, in sede di conversione, dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, che ha così disposto: "Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione.., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto. La violazione della presente disposizione, oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile". Nello stesso anno 2012 il legislatore è però nuovamente intervenuto- con l'articolo 1, commi da 54 a 56, della L. 24 dicembre 2012, n. 228- dettando una disciplina speciale delle ferie proprio per il personale della scuola. Secondo il comma 54 del suddetto articolo 1, il personale docente- senza alcuna distinzione tra docenti a termine e docenti a tempo indeterminato- fruisce delle ferie nei giorni di sospensione delle lezioni definiti dai calendari scolastici regionali, ad esclusione di quelli destinati agli scrutini, agli esami di Stato e alle attività valutative. Durante la rimanente parte dell'anno la fruizione delle ferie è consentita per un periodo non superiore a sei giornate lavorative, subordinatamente alla possibilità di sostituire il personale che se ne avvale senza che vengano a determinarsi oneri aggiuntivi per la finanza pubblica. Il successivo comma 55 ha aggiunto un ultimo periodo all'articolo 5, comma otto, del D.L. n. 95 del 2012, precisando che la sua disciplina non si applica "al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario supplente breve e saltuario o docente con contratto fino al termine delle lezioni o delle attività didattiche, limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui è consentito al personale in questione di fruire delle ferie". Infine il comma 56 dello stesso articolo 1, ha disposto che la disciplina dei commi 54 e 55 non può essere derogata dai contratti collettivi nazionali di lavoro e che le clausole contrattuali contrastanti sono disapplicate dal 1° settembre 2013. In sostanza per il personale docente " precario", con incarichi brevi o fino al termine delle attività didattiche è consentita, a decorrere dall'anno scolastico 2013/2014 la monetizzazione delle ferie non godute limitatamente alla differenza tra i giorni di ferie spettanti e quelli in cui a tale personale è consentito di godere delle ferie, come disciplinate dal comma 54 dell'art. 1 della L. n. 228 del 2012. Secondo il Tribunale il raffronto deve allora essere svolto tra le ferie spettanti e quelle fruibili nell'intero arco di durata dell'incarico di docenza, ivi comprese le giornate successive al termine delle lezioni, fino al 30 giugno, esclusi i giorni di impegno lavorativo in scrutini ed esami di Stato. Sempre secondo il Tribunale, poi, sul lavoratore grava l'onere di dimostrare che, al netto delle giornate di ferie obbligatoriamente fruite nei giorni di sospensione delle attività didattiche ( individuati anno per anno nel calendario regionale), per il residuo maturato gli sia rimasta preclusa oggettivamente la possibilità di fruirne. Tanto, nel caso di specie, precluderebbe l'accoglimento della pretesa monetizzazione, assumendo il Tribunale la fruibilità di tale residuo nel periodo successivo al termine delle lezioni, in assenza di prova dell'impossibilità concreta per il docente di assentarsi dal servizio. Il percorso argomentativo seguito dal primo giudice non può condividersi ed i motivi di appello articolati, da trattarsi unitariamente, sono fondati. Non è in contestazione il numero dei giorni di ferie spettanti, per ciascun anno scolastico, in favore della docente, evidentemente proporzionali all'intera durata dell'incarico di supplenza ( comprensiva anche del periodo successivo al termine delle lezioni e fino al 30 giugno di ogni anno). Non sono contestabili, per altro verso, neppure le giornate di ferie che la docente ha dichiarato avere fruito nel corso di ciascun anno scolastico, in coincidenza con la sospensione delle lezioni nel periodo intercorrente tra la data iniziale di ciascun incarico di supplenza e la data fissata dal calendario regionale come termine delle lezioni. Al riguardo, infatti, la ricostruzione parzialmente differente delle giornate di ferie effettivamente fruite, offerta dal Ministero già in primo grado con la sua memoria di costituzione tardiva, deve ritenersi per ciò solo inammissibile. Quanto alla differenza tra il numero delle giornate maturato e quello delle giornate fruite, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale è sul datore di lavoro che incombe l'onere di allegare e provare di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie; di averlo nel contempo avvisato? in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora fruibili? del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse. Trascura il primo giudice che nell'applicazione del diritto interno deve offrirsene, laddove possibile, una interpretazione compatibile con il diritto Unionale ( art. 7 della direttiva 2003/88/CE) e con i principi enunciati dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea, in merito al diritto del lavoratore alle ferie retribuite ed alla corrispondente indennità sostitutiva, con le tre sentenze della grande sezione del 6 novembre 2018 (in cause riunite C-569 e C-570/2016 (...); in causa C-619/2016 S. W. K.; in causa C- 684/2016 (...)). Come ricostruito esaustivamente nella recente sentenza n. 21780/2022 dalla Corte di Cassazione, in quella sede la Corte di Giustizia ha offerto l'esatta interpretazione del diritto dell'Unione nei seguenti termini: "- L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare questo diritto che tale direttiva gli conferisce (sentenza cit. punto 35); - E' necessario assicurarsi che l'applicazione di simili norme nazionali non possa comportare l'estinzione dei diritti alle ferie annuali retribuite maturati dal lavoratore laddove quest'ultimo non abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitarli (sent. cit. punto 38); - Sebbene il rispetto dell'obbligo derivante, per il datore di lavoro, dall'articolo 7 della direttiva 2003/88 non può estendersi fino al punto di costringere quest'ultimo ad imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente il loro diritto a ferie annuali retribuite, resta il fatto che il datore di lavoro deve, per contro, assicurarsi che il lavoratore sia messo in condizione di esercitare tale diritto (sent. cit. punto 44); - A tal fine, il datore di lavoro è segnatamente tenuto ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo - in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire - del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest'ultima si verifica nel corso di un simile periodo (sent. cit., punto 45 e sentenza S. W. K., punto 52); - L'onere della prova, in proposito, incombe al datore di lavoro; ove quest'ultimo non sia in grado di dimostrare di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché il lavoratore fosse effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite alle quali aveva diritto, si deve ritenere che l'estinzione del diritto a tali ferie e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il correlato mancato versamento di un'indennità finanziaria per le ferie annuali non godute violino, rispettivamente, l'articolo 7, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 (sent. (...), punto 46); - Se, invece, detto datore di lavoro è in grado di assolvere l'onere probatorio gravante sul medesimo a tale riguardo, e risulti quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, l'articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2003/88 non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un'indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute (sent. (...), punto 47)". Da tali principi consegue che in nessun caso il docente a termine potrebbe perdere il diritto alla indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie, anche dopo il termine delle lezioni, se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva (così Cass. sez. lav. n. 1268/2022). Facendo applicazione di tali principi nel caso in esame deve allora accogliersi la domanda dell'appellante R.G.. Il Ministero appellato non ha infatti dato prova che a fronte dei giorni di ferie e di festività soppresse maturati dalla docente nel corso di ciascuno degli anni scolastici 2015/2016, 2016/2017, 2017/2018 e 2018/2019, come indicati nel prospetto inserito nel ricorso di primo grado, (...) avesse potuto fruire, per essere stata adeguatamente informata, di giornate di ferie ulteriori rispetto alle giornate di sospensione dell'attività didattica di anno in anno previste durante il corso delle lezioni. Come già sopra osservato, alcun diverso conteggio delle giornate fruite effettivamente può ora opporre il Ministero appellato in ragione della tardività della sua costituzione in primo grado che preclude l'ammissione della documentazione ( peraltro costituita da certificazioni provenienti dagli Istituti scolastici di tenore del tutto apodittico) pure in tal senso vanamente allegata. Non è stato contestato il conteggio dell'indennità sostitutiva eseguito dall'appellante sulla base della retribuzione giornaliera contrattuale. Il Ministero appellato- di cui l'Ufficio scolastico costituisce una mera articolazione territoriale- deve dichiararsi pertanto tenuto a corrispondere in favore dell'appellante (...) la somma complessiva di Euro 1.573,11 cui dovranno aggiungersi i soli interessi legali - ex art. 22, comma 36 L. n. 724 del 1994 - dalla scadenza annuale delle singole componenti del credito complessivo (Euro 67,36 al 30 giugno 2016, pari a giorni 1,08; Euro 95,75 al 30 giugno 2017, pari a giorni 1,83; Euro 688,98 al 30 giugno 2018, pari a giorni 10,75 ed Euro 721,02 al 30 giugno 2019, pari a giorni 11,25) sino al saldo effettivo. La regolazione delle spese processuali deve tenere conto del solo recente approdo della giurisprudenza di legittimità, a fronte di orientamenti differenti manifestati nel tempo dai giudici del merito. Tanto giustifica una compensazione, che si ritiene equa per la metà, tra le parti delle spese processuali. La residua parte - essa liquidata in dispositivo sulla base dei criteri di cui al D.M. n. 247 del 2022 per valore e per attività defensionale svolta ( in assenza di istruttoria)- resta a carico dell'appellato Ministero che ne rifonderà l'importo all'appellante, con distrazione in favore dei suoi difensori che se ne sono dichiarati anticipatari. P.Q.M. La Corte, nel contraddittorio cartolare tra le parti, in accoglimento dell'appello proposto da (...) ed in riforma dell'impugnata sentenza n. 46/2022 del Giudice del lavoro di Perugia dichiara tenuto e condanna il Ministero dell'Istruzione e del merito, in persona del Ministro pro-tempore, a corrispondere all'appellante la somma complessiva di Euro. 1.573,11 a titolo di indennità di ferie maturate e non fruite negli anni scolastici dal 2015/2016 al 2018/2019 compreso, somma da maggiorarsi con interessi legali dalla maturazione annuale di ogni singola frazione sino al saldo. Dichiara compensate per metà tra le parti le spese del doppio grado di giudizio e condanna l'appellato Ministero a rifonderne all'appellante la residua parte, essa liquidata in Euro 1.000,00 per il primo grado ed Euro 900,00 per il presente, oltre CPA ed IVA e rimborso spese generali nella misura del 15%, da distrarsi in favore dei difensori dell'appellante, Avv. Fr.Ce., Me.Co., Wa.Mi., Fa.Ga. e Gi.Ri. che se ne sono dichiarati antistatari. Così deciso in Perugia il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTED'APPELLO DI PERUGIA - SEZIONE LAVORO - composta dai magistrati: Dr. Vincenzo Pio Baldi - Presidente Dr.ssa Alessandra Angeleri - Consigliera Dr.ssa Simonetta Liscio - Consigliera rel. All'udienza del giorno 8 marzo 2023 all'esito della camera di consiglio pubblicando il dispositivo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 148 dell'anno 2022 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass. promossa da (...), nato a C. (A.), il (...) (C.F.: (...)), residente in (...) (P.), Viale F., 57, elettivamente domiciliato in Perugia, alla Via Baldo, 7, presso e nello studio dell'Avv. Ro.To., C.F.: (...), che lo rappresenta e difenda giusta procura; - appellante - contro (...) S.p.A. (già (...) S.p.A.), Ente Pubblico Economico istituito con D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, con Sede legale in R. (C.A.P. 00142), alla Via G. G. n. 14, Iscritta al n. RM. (...) del repertorio Economico Amministrativo presso il C.C.I.A.A. di Roma, con C.F., P.IVA e numero di iscrizione al Registro delle Imprese di Roma (...) (PEC: (...)) Ente Strumentale dell'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 1 del suddetto Decreto Legge, ed elettivamente - domiciliata in Napoli, alla Via (...), presso lo Studio Legale (...) dell'Avv. Al.Mi. che la rappresenta e difende come da procura apposta su atto depositato in via telematica in allegato alla memoria di costituzione, rilasciata - in virtù di Procura Speciale Notarile alle liti per Notar (...) del (...), Rep. (...), raccolta nr. (...), Registrata presso l'Ufficio Entrate di Roma 2 il 02/05/2022 al n. 14781, Serie -1T- dalla Dott.ssa (...), nata a T. il (...), codice fiscale (...), in qualità di Responsabile del Contenzioso Regionale Umbria. - appellata - OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 169/2022 del Tribunale di Spoleto-opposizione ad esecuzione esattoriale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con la sentenza n. 169/2022 il giudice del lavoro di Spoleto ha dichiarato inammissibile il ricorso che (...) aveva proposto dinanzi a quel giudice ai sensi dell'art. 615 c.p.c. per contestare il diritto di agenzia delle entrate -riscossione di agire in via esecutiva- come aveva iniziato notificando in data 10 agosto 2019 al terzo debitore di (...) atto di pignoramento delle somme dal terzo dovute a F.- per il recupero della contribuzione previdenziale che (...) aveva omesso di versare all'INPS, quantificata nella cartella esattoriale n. (...) notificata in data 8 luglio 2009. L'adito giudice del lavoro ha infatti qualificato l'azione proposta ai termini dell'art. 617, secondo comma c.p.c., così derivandone la tardività dell'opposizione agli atti esecutivi proposta dopo la scadenza del termine di venti giorni decorrenti dall'atto di pignoramento. Il Tribunale ha infine regolato le spese processuali del grado onerando il debitore opponente della refusione della somma di Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, in favore della costituita controparte (...). Contro la sentenza propone appello (...) denunciandone vizi processuali e sostanziali. In particolare lamenta l'omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell'INPS, soggetto legittimato a resistere sulle eccezioni di prescrizione del credito e di violazione dei limiti di pignorabilità, chiedendo la rimessione della causa al primo giudice ex art. 354 c.p.c.. In subordine chiede che sia accertata in ogni caso l'illegittimità del pignoramento per la maturata prescrizione del credito portato nella cartella esattoriale, sia anteriore alla presunta notifica della stessa, sia comunque ad essa successiva, in assenza di atti interruttivi del termine prescrizionale quinquennale. Chiede infine la sospensione dell'esecuzione della sentenza. Fissata udienza per la discussione sulla istanza cautelare proposta, nessuno si è costituito per la appellata (...). All'udienza fissata, all'esito della camera di consiglio, con ordinanza pubblicata in data 17 gennaio 2023 l'istanza cautelare è stata motivatamente respinta. In vista dell'udienza di discussione del merito della controversia, con memoria depositata tempestivamente in data 24 febbraio 2023 si è costituita (...) contestando la fondatezza delle argomentazioni avversarie e chiedendo il rigetto dell'appello. In udienza i difensori delle parti si sono limitati a riportarsi agli originari atti di costituzione insistendo per l'accoglimento delle relative, opposte, conclusioni. Questa Corte ha definito il giudizio pubblicando il dispositivo che ora si riporta in calce alla motivazione che lo sostiene. MOTIVI DELLA DECISIONE Il Tribunale ha così motivato la sua decisione: "(...) posto che è iniziata l'esecuzione, trova applicazione quanto disposto dall'art. 617, comma 2, c.p.c., nella parte in cui prevede che "Le opposizioni di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima dell'inizio dell'esecuzione e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai singoli atti di esecuzione si propongono con ricorso al giudice della esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal primo atto di esecuzione, se riguardano il titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui i singoli atti furono compiuti.". Ebbene, il pignoramento veniva notificato all'odierno opponente l'8.8.2019 (non il 10.8.2019) ... laddove il presente ricorso veniva depositato il 29.4.2020 (neanche il 6.11.2019, come scritto da parte opposta). Oltre, quindi, il previsto termine.". La conclusione cui è pervenuto il Tribunale è errata. In realtà il debitore (...) aveva proposto già dinanzi al giudice dell'esecuzione in data 6 novembre 2019, qualificando l'azione ex art. 615, secondo comma c.p.c., opposizione avverso l'atto di pignoramento presso terzi, convenendo in giudizio l'esecutante (...) e denunciando l'illegittimità del pignoramento sotto diversi aspetti. In particolare aveva eccepito l'omessa notifica della cartella di pagamento, l'omessa notifica, precedente al pignoramento, dell'avviso previsto ai sensi dell'art. 50, II del D.P.R. n. 602 del 1973, l'omessa indicazione, nell'atto di pignoramento, dell'importo dei crediti, l'illegittimità del pignoramento presso terzi per violazione dei limiti di pignorabilità previsti dall'art. 72 ter D.P.R. n. 602 del 1973 ed, ancora, l'illegittimità della pretesa impositiva per intervenuta prescrizione del credito contributivo ex art. 3, L. n. 335 del 1995, oltre che delle somme aggiuntive e degli interessi di mora. A tale ultimo riguardo aveva rilevato che, tenuto conto della risalenza nel tempo della contribuzione asseritamente omessa e riportata nella cartella esattoriale, tra il sorgere delle singole pretese e la notifica del pignoramento erano ampiamente decorsi i termini prescrizionali previsti per la tipologia del contributo (5 anni), in assenza di atti interruttivi medio tempore interposti; ma anche qualora si fosse ritenuta avvenuta la notifica della cartella n. (...), il credito richiesto si sarebbe comunque prescritto successivamente per essere decorso un tempo più lungo di cinque anni tra la data di notifica di questa e la data di notifica del pignoramento. Il giudice dell'esecuzione aveva sospeso l'esecuzione e assegnato termine fino al 31 maggio 2020 per l'introduzione del giudizio di merito. Con il ricorso proposto al giudice del lavoro in data 29 aprile 2020 (nel rispetto dunque del termine assegnato dal G.E.) (...) ripropose le medesime doglianze rappresentate al giudice dell'esecuzione chiedendo accertarsi l'illegittimità del pignoramento e della stessa pretesa impositiva quale conseguenza di tutti i vizi denunciati. Alla luce di tale ricostruzione - di cui non fa menzione il Tribunale- appare chiaro che il debitore abbia agito esclusivamente nei confronti del soggetto tenuto alla riscossione coattiva facendo valere tanto dei presunti vizi attinenti alla formazione dell'atto di pignoramento ed, ancor prima, del titolo esecutivo costituito dalla cartella esattoriale (asseritamente mai notificata), quanto vizi che inficerebbero l'esistenza stessa del debito a causa della denunciata maturata prescrizione, sia anteriore che successiva alla formazione del titolo, oltre che la portata del vincolo pignoratizio. In sostanza il debitore ha inteso proporre con il medesimo atto tanto una azione recuperatoria dell'opposizione alla cartella esattoriale ( sul presupposto che essa non fosse stata notificata) per fatti estintivi del credito iscritto, quanto una opposizione all'esecuzione, ovverosia una azione di accertamento negativo del credito contributivo ( sul presupposto che il titolo esecutivo non fosse idoneo a legittimare la riscossione coattiva per maturata prescrizione, così come per la denunciata inosservanza dei limiti di pignorabilità), quanto, ancora, una opposizione agli atti esecutivi ( dolendosi dei vizi insiti nell'atto di pignoramento). Da tale osservazione discendono due conseguenze: -La prima conseguenza è che il primo giudice ha errato nel qualificare l'azione esclusivamente ai sensi dell'art. 617 secondo comma c.p.c., dal momento che con riguardo all'opposizione proposta in forza dell'eccepita prescrizione del credito contributivo e della pignorabilità dei crediti l'azione deve qualificarsi certamente come opposizione all'esecuzione ascrivibile alle ipotesi di cui all'art. 615, secondo comma c.p.c., in quanto tale esercitabile al di là dei termini di decadenza dell'art. 617 c.p.c.. In tal senso deve dunque condividersi la contestazione mossa dall'appellante. - La seconda conseguenza è che dinanzi ad una azione così composita non può ritenersi la legittimazione passiva esclusiva dell'Istituto titolare del credito (Sez. U. n.7514 del 08/03/2022) come, peraltro non coerentemente, sembra ora ritenere l'appellante. Nè può ritenersi sussistere un caso di litisconsorzio necessario con INPS, come del pari preteso dall'appellante, per essere stato l'interesse ad agire del debitore chiaramente manifestato nella paralisi dell'azione esecutiva iniziata dall'esattore con il pignoramento presso terzi, previo accertamento ( anche) della maturata prescrizione dei crediti contributivi. Ed, allora, sarebbe stato, semmai, onere della sola convenuta (...) avvalersi dell'art. 39 D.Lgs. n. 112 del 1999, a mente del quale "Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l'ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite.". Si tratta di una facoltà che esclude in radice la sussistenza di un litisconsorzio necessario. La Corte di cassazione (cfr. Cass. n.17027 del 2006; n. 14102 del 2003) ha, infatti, affermato che "al di fuori dei casi in cui la legge espressamente impone la partecipazione di più soggetti al giudizio istaurato nei confronti di uno di essi, vi è litisconsorzio necessario solo allorquando l'azione tenda alla costituzione o alla modifica di un rapporto plurisoggettivo unico, ovvero all'adempimento di una prestazione inscindibile comune a più soggetti; pertanto, non ricorre litisconsorzio necessario allorché il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest'ultimo, ma restano limitati alle parti in causa". Ne consegue l'infondatezza della richiesta di rimessione degli atti al primo giudice ai sensi dell'art. 354 c.p.c. formulata dall'appellante. Tanto premesso, è allora necessario procedere - e tanto sarebbe stato necessario in primo grado da parte del Tribunale- ad esaminare il merito delle doglianze che il debitore aveva mosso avverso l'atto di pignoramento riguardanti, come appena chiarito, la sussistenza stessa del credito fatto valere da (...) in via esecutiva, onde paralizzarne la riscossione coattiva. Al riguardo, a fronte della prova documentale offerta da (...) ( avverso la quale nessuna contestazione specifica ha mai mosso la difesa dell'opponente debitore) della notifica del titolo esecutivo costituito dalla cartella esattoriale, l'eccezione di prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella esattoriale ( 8 luglio 2009) e prima della notifica dell'intimazione di pagamento ( del maggio 2019) precedente il pignoramento del 10 agosto 2019, risulta fondata, per essere decorso un tempo - in assenza di documentati atti interruttivi- ben superiore ai cinque anni. Nel caso di specie i crediti, per quanto emerge dall'estratto di ruolo ( doc n. 5 appellata (...)) afferivano a contribuzione previdenziale dovuta- e rimasta insoluta - per le mensilità comprese nel periodo da novembre 1993 ad agosto 1996. In forza di quanto previsto dalla L. n. 335 del 1995 articolo 3, comma 9, il termine di prescrizione è diventato quinquennale a decorrere dal 1 gennaio 1996. Non sono documentati atti interruttivi dell'originario termine decennale precedenti all'entrata in vigore della legge che possano consentire di ritenere conservato anche dopo il 31 dicembre 1995 il detto termine lungo. Dovendosi allora ritenere il termine quinquennale di prescrizione la ( comunque raggiunta) definitività della cartella esattoriale ( per mancata opposizione nel termine) non ha prodotto l'effetto di trasformare il termine in decennale. Ed, infatti "il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell'art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti - in ogni modo denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l'opposizione, non consente di fare applicazione dell'art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo." ( Cass. sez. Un. n. 23397/2016). Ne consegue che, in assenza di validi atti interruttivi, tenuto conto della notifica della cartella esattoriale in data 8 luglio 2009, il pignoramento presso terzi notificato da parte di (...) nei confronti di (...) (in data 8 agosto 2019) e del terzo (...) S.r.l., preceduto dall'atto di intimazione notificato solo nel maggio 2019, deve ritenersi invalido per essere intervenuto oltre il termine prescrizionale dei crediti agiti in via esecutiva. Sono quindi indebite le somme eventualmente già riscosse da (...) in forza del pignoramento e delle stesse va condannata (...) alla restituzione in favore dell'appellante. La regolazione delle spese processuali tra le parti deve tenere conto della riforma parziale (con riguardo alla qualificazione dell'azione)della sentenza del Tribunale, con effetti sostanziali però determinanti per l'accoglimento della domanda attorea. L'esito complessivo del giudizio, favorevole all'odierno appellante, conduce, secondo la regola della soccombenza, ad onerare delle spese del doppio grado l'appellata (...). La liquidazione è stata fatta in dispositivo per ciascun grado sulla scorta dei criteri di cui al D.M. n. 147 del 2022 tenendo conto del valore controverso di cui all'atto di pignoramento e dell'effettiva attività defensionale svolta in assenza di istruttoria. Deve darsi atto che per errore materiale nel dispositivo sono state omesse le parole "le spese processuali" dopo la parola "importo". P.Q.M. In riforma della sentenza impugnata, dichiara illegittimo il pignoramento presso terzi n. (...) notificato da (...) in data 8 agosto 2019, per essere il credito agito in via esecutiva già estinto per prescrizione. Per l'effetto dichiara indebite le somme eventualmente già riscosse da (...) in forza del pignoramento e la condanna alla restituzione in favore dell'appellante. Dichiara tenuto e condanna l'appellata (...) a rifonderne l' importo all'appellante, questo liquidato in Euro 5.000,00 per il primo grado ed Euro 4.000,00 per il presente grado, oltre rimborso spese generali, CPA ed Iva come per legge. Così deciso in Perugia l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

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