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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 132 del 2024, proposto da Ar. Ti., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Da., Mo. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Am., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - dell'ordinanza di demolizione e remissione in pristino del Comune di (omissis), prot. n. 43903 del 01.12.2023, notificata in data 23.12.2023, con cui si è ingiunto al Sig. Ti. Ar., in qualità di affittuario ed esecutore materiale dell'abuso, la rimozione e restituzione in pristino delle opere eseguite in assenza del prescritto titolo abilitativo presso l'area, distinta catastalmente al Fg. (omissis), part. lle (omissis), sita in località (omissis); - dell'ordinanza prot. n. 43903 del 01.12.2023 del Comune di (omissis), notificata in data 23.12.2023, con la quale si avvertiva che, in caso di inottemperanza all'ordine di ripristino, si sarebbe provveduto, ai sensi dell'art. 31, comma 4 bis del DPR 380/2001 e dell'art. 143, comma 5 della L.R. 1/2015, all'acquisizione di diritto e a titolo gratuito al patrimonio del Comune di (omissis) dei beni e dell'area di sedime; - di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali, ivi inclusi gli esiti del primo sopralluogo dell'11.11.2022 e delle note dell'Ufficio SUE, della USL Umbria 2 e dei Carabinieri Forestali di cui al prot. n. 41024 del 14.11.2022, del secondo sopralluogo del 22.02.2023 e delle note dell'Ufficio SUE e dei Carabinieri Forestali di cui al prot. n. 7835 del 02.02.2023, del referto tecnico prot. n. 42787 del 28.11.2023, del referto tecnico Prot. n. 13312 del 14.04.2023, dell'ordinanza di sospensione prot. n. 26213 del 20.07.2023, tutti richiamati nel provvedimento impugnato e di cui non si conosce il contenuto; nonché per l'accertamento dell'insussistenza dei presupposti per l'intimazione dell'effetto acquisitivo ex lege al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 31, comma 4 bis del DPR 380/2001 e dell'art. 143, comma 5 della L.R. 1/2015 dei beni oggetto di contestazione con i provvedimenti impugnati. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Sig. Ar. Ti. impugna l'ordinanza di demolizione e remissione in pristino n. 43903 del 1° dicembre 2023, con la quale il Comune di (omissis) gli ha ingiunto, in qualità di affittuario ed esecutore materiale dell'abuso, la rimozione e restituzione in pristino delle opere eseguite in assenza di permesso di costruire, nonché autorizzazione paesaggistica (in area soggetta altresì a vincolo idrogeologico) presso l'area, adiacente alla sua abitazione di residenza, sita in (omissis), località (omissis): trattavasi di una serie di manufatti destinati al ricovero di animali, composta da recinzioni, box parzialmente tamponati e coperti e da un manufatto denominato "baracca", oltre ad un altro box posto in adiacenza ai ricoveri per animali. 2. Il ricorrente espone in punto di fatto di essersi trasferito nell'attuale immobile, dotato di un ampio giardino, in quanto aveva la necessità di alloggiare i suoi 21 cani, particolarmente ingombranti perché di razza lupo cecoslovacco; l'Asl Umbria 2, dopo apposito sopralluogo avvenuto il 21 luglio 2022, gli impartiva una serie di prescrizioni per il benessere degli animali, tra le quali: rialzare la rete dei box (la cui recinzione era alta 1,70 cm) in modo che la stessa arrivasse sino alla tettoia, provvedere alla impermeabilizzazione del fondo dei box, rendere almeno una parete coibentata e idonea a proteggere da pioggia e vento, delimitare un'area di sgambamento di almeno 10 mq. per ciascun animale. Il Sig. Ti. dunque affermava di aver effettuato alcune innovazioni necessarie per adempiere alle prescrizioni dell'Asl, tra cui la sostituzione delle recinzioni, senza comunque utilizzare materiali duraturi come il cemento. 3. A seguito di sopralluogo dell'11 novembre 2022, l'Ufficio tecnico del Comune di (omissis) ha accertato la presenza di una recinzione con rete metallica zincata sorretta da pali in ferro infissi nel terreno, dotata all'ingresso di doppio cancello per evitare la fuga degli animali, e di 9 box modulari a parchetto per la lunghezza complessiva di 18 metri con sovrastante telo ombreggiante, rete metallica e pavimentazione con stabilizzato, la cui parete lato est era tamponata con pannelli coibentati, nonché ulteriori 5 box modulari sprovvisti di coperture. In seguito ad un successivo sopralluogo del 22 febbraio 2023 i tecnici accertavano la realizzazione di ulteriori due manufatti: una baracca posta in aderenza alla zona di accesso al recinto e un ulteriore box posto in prossimità dei ricoveri per cani, composto da una parte tamponata e da una parte delimitata da struttura metallica analoga agli altri box e dotata di elemento rigido di copertura. Nel successivo referto tecnico del 14 aprile 2023 si precisava che la distanza del manufatto oggetto di accertamento nel punto più prossimo all'abitazione era di circa 24 metri, mentre la parte relativa ai box si trovava ad una distanza di oltre 30 metri. 4. Con ordinanza n. 26213 del 20 luglio 2023, il Comune di (omissis) ingiungeva al Sig. Ti. la sospensione dei lavori ai sensi dell'art. 141, comma 2, della L.R. 1/2015, a valere anche quale comunicazione di avvio del procedimento; quindi con ordinanza di demolizione e remissione in pristino n. 43903 del 1° dicembre 2023, veniva ingiunto al Sig. Ti., unitamente alla proprietaria Sig.ra Pi., la rimozione e restituzione in pristino dei manufatti oggetto di accertamento, i quali - esclusane la natura pertinenziale ai sensi all'art. 21 del R.R. 2/2015 - venivano classificati quali nuove costruzioni di cui all'art. 7, comma1, lett. e), punto 5 della L. R. 1/2015 (ovvero installazione di manufatti leggeri e di strutture di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), punto e.5) del D.P.R. 380/2001) per le quali era necessario il permesso di costruire. Nell'ordinanza veniva altresì precisato che l'area su cui insistono le costruzioni ha secondo il vigente PRG la destinazione ad "aree boscate", soggette a divieto assoluto di edificazione, con l'eccezione di interventi sul patrimonio edilizio esistente e relative pertinenze; inoltre si tratta altresì di zona soggetta a vincolo paesaggistico e vincolo idrogeologico. 5. Con la successiva ordinanza prot. n. 43903 del 1° dicembre 2023, notificata in data 23.12.2023, il Comune avvertiva il ricorrente che, in caso di inottemperanza all'ordine di ripristino, si sarebbe provveduto, ai sensi dell'art. 31, comma 4 bis, del DPR 380/2001 e dell'art. 143, comma 5, della L.R. 1/2015, all'acquisizione di diritto e a titolo gratuito al patrimonio comunale dei beni e dell'area di sedime. 6. Con ricorso notificato il 21 febbraio 2024, il Sig. Ti. ha impugnato l'ordinanza di demolizione spiegando quattro motivi. 6.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 10, 3 del D.P.R. n. 380/2001, anche in relazione all'art. 31 D.P.R. n. 380/01 e dell'art. 143, 2° comma, L.R. 1/2015. Con il primo motivo si è censurata la riconduzione dei manufatti a nuove costruzioni soggette a permesso di costruire, in quanto strutture facilmente amovibili e leggere: ciò ne escluderebbe l'idoneità ad operare una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e a costituire presupposto per la demolizione. 6.2. Violazione ed erronea e omessa applicazione dell'art. 142, comma 1, lett. g) del D.lgs. n. 42/2004 in relazione anche al D.P.R. n. 31 del 2017. A seguito delle prescrizioni dell'Asl di competenza, il ricorrente si sarebbe limitato ad eseguire dei semplici interventi di adeguamento e manutenzione su strutture preesistenti, dunque le recinzioni non provocherebbero alcun effettivo impatto sul territorio e non sarebbero soggetti ad autorizzazione paesaggistica a norma degli allegati A12 ed A13 del D.P.R. 31 del 2017. 6.3. Violazione dell'art. 85, L.R. 1/2015 e art. 21 R.R. Umbria n. 2/2015. I manufatti in contestazione sarebbero ammissibili in aree boscate come quelle oggetto di causa perché pertinenze a servizio dell'abitazione principale, realizzate entro la distanza di 30 metri da quest'ultima. 6.4. Violazione ed erronea applicazione del Regio Decreto 30.12.1923, n. 3267, D.lgs. 42/2004, art. 142 Lettera c). Nel provvedimento impugnato l'Amministrazione ipotizza che i manufatti contestati si trovino in area compresa nella perimetrazione del "Pa. fl. del Te.", affermando dunque in via dubitativa il vincolo idrogeologico, che comunque sarebbe, per quanto già esposto nei precedenti motivi, da esentare da autorizzazione paesaggistica. 6.5. Violazione dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990 e difetto di motivazione. L'ordinanza gravata sarebbe viziata dal difetto di istruttoria perchè l'Amministrazione non avrebbe dato adeguato conto dei contributi istruttori forniti dal ricorrente nella fase procedimentale a mente dei quali avrebbe dovuto preferirsi la riconduzione degli interventi contestati nel regime di edilizia libera. 7. Si è costituito in giudizio il Comune di Terni, il quale ha in prima battuta eccepito l'irricevibilità del ricorso, poiché l'ordinanza di demolizione era stata notificata al ricorrente con la procedura ex art. 140 c.p.c. il 5 dicembre 2023, stante la temporanea assenza del destinatario, e l'avviso di avvenuta notifica è stato immesso nella cassetta postale in pari data; conseguentemente la notifica si sarebbe perfezionata per il destinatario il 15 dicembre 2023, e dunque la notifica del ricorso avvenuta il 21 febbraio 2023 sarebbe tardiva. Nel merito i manufatti contestati non potevano essere soggetti al regime di edilizia libera perchè i box per i cani non erano costituiti da semplici recinzioni, bensì si trattava di opere permanenti e non precarie rientranti pacificamente nella definizione che l'art. 3, comma 1, lett. e.5), del D.P.R. n. 380 del 2001 disegna delle nuove costruzioni soggette a titolo edilizio. Inoltre non poteva parlarsi neppure di pertinenze per ciò solo esenti da autorizzazione paesaggistica, ostando a ciò, da un lato, la mancanza di subordinazione funzionale all'abitazione principale, dall'altro la distanza eccessiva e la mancanza di prova circa la preesistenza delle recinzioni rispetto agli interventi del ricorrente. 8. Con ordinanza n. 22 del 10 aprile 2024 questo T.A.R ha accolto la domanda cautelare di parte ricorrente e, nel bilanciamento degli opposti interessi, ivi compresa la doverosa tutela del benessere animale, ha ritenuto di dover dare prevalenza all'esigenza di mantenere la res adhuc integra fino alla definizione del merito. 9. In vista della discussione del ricorso, il Comune ha depositato una memoria riepilogativa, mentre il ricorrente ha replicato diffusamente contestando l'eccezione di irricevibilità, in considerazione del fatto che la notifica dell'ordinanza sarebbe stata tentata in un luogo che non ha alcun collegamento con il Sig. Ti. (nella relata di notifica si leggeva "località (omissis)" invece che "frazione" e senza l'indicazione del numero civico); inoltre nella relata non si sarebbe fatto cenno né all'indirizzo di tentata notifica, né alle vane ricerche, né al compimento di alcuna delle formalità che legittimano il ricorso alla notifica ai sensi dell'art. 140 c.p.c.. 10. Alla pubblica udienza del 23 luglio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 11. Il Collegio ritiene di prescindere dall'esame dell'eccezione di irricevibilità del ricorso perché l'impugnazione è infondata nel merito. 12. Il primo motivo deve essere esaminato congiuntamente al terzo, per l'omogeneità delle questioni trattate, ovvero il presunto esonero degli abusi realizzati dal permesso di costruire perché, da un lato, si tratterebbe di opere complessivamente precarie e di facile amovibilità quindi non idonee a configurare nuove costruzioni, dall'altro, anche perché qualificabili come pertinenze ai sensi dell'art. 21 del regolamento regionale 2/15. Entrambe i motivi devono essere respinti. 12.1. Il Comune di (omissis) ha irrogato la demolizione delle costruzioni contestate (ovvero in buona sostanza 9 box per cani composti da rete metallica parzialmente tamponata con panelli coibentati e sovrastante telo ombreggiante, altri 5 privi di copertura, oltre a una baracca adibita a deposito ed un ulteriore box realizzato in aderenza alle recinzioni per i cani, e la recinzione che delimita complessivamente l'area adibita a ricovero e sgambamento dei cani, realizzata in rete metallica elettrosaldata posta su pali in ferro alti 1,80 metri), ritenendo tale complesso una nuova costruzione soggetta a previo titolo edilizio ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. 380 del 2001, riprodotto altresì dall'art. 7, comma 1, lettera 5e) della L.R. 1/15. Tali norme si riferiscono a "manufatti leggeri, anche prefabbricati, e strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee"; il confronto, in questo caso si pone con l'articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo che riconduce all'edilizia libera le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee. 12.2. Decisiva per l'individuazione della norma di riferimento è dunque la natura precaria dei manufatti in contestazione, che impedirebbe di qualificarli nuove costruzioni. In ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie (così ex multis, Cons, Stato, sez. VI, 05 luglio 2024, n. 5977). La medesima pronuncia, ricostruendo l'orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario ha quindi ritenuto che: a) è necessario un titolo edilizio per la realizzazione di "tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, (...) ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato"; b) "la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante" (Consiglio di Stato, Sez. VII, 12 dicembre 2022, n. 10847) (Cons. Stato, Sez. VII, 28 agosto 2023, n. 7999)." 12.3. Seguendo le coordinate ermeneutiche sopra tracciate deve escludersi che le costruzioni di causa costituiscano opere precarie, dato che pur trattandosi di manufatti leggeri e facilmente amovibili non sono destinati a perseguire esigenze meramente temporanee: i box sono stati tamponati proprio per garantire il benessere dei cani durante i mesi invernali, la recinzione è stata rialzata (fino ad 1,80 metri) e rafforzata (venendo realizzata su pali in ferro) per evitare la fuga degli animali e quindi sono tutte opere destinate ad un uso prolungato nel tempo. Anche le dimensioni dell'intervento (i 9 box coperti sviluppano un ingombro di metri 19,00 x 4,00, gli altri 5 box di metri 13,5 x 4,00) inducono a propendere per opere non temporanee e comunque idonee a realizzare una trasformazione edilizia del territorio. Non induce a mutare avviso il precedente citato da parte ricorrente, ovvero T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 2 gennaio 2020, n. 4, poiché in quel caso i box per cani erano composti da una mera recinzione metallica, mentre invece nel caso oggetto di contenzioso i box risultano tamponati da un lato, coperti da telo ombreggiante e la recinzione raggiunge la copertura, così da realizzare un ingombro permanente del terreno. Questo Tribunale, in un caso ana (sentenza n. 434 del 7 agosto 2013), aveva avuto modo di affermare che "i box, le gabbie e le mangiatoie, pur se non infissi al suolo, ma solo aderenti in modo più o meno stabile, sono destinati ad un'utilizzazione perdurante nel tempo (...) Guardandosi alla destinazione naturale dei manufatti in questione, difetta la destinazione ad un uso molto limitato nel tempo, per fini specifici e temporanei (in termini Cons. Stato, Sez. IV, 22 dicembre 2007, n. 6615), che caratterizza la precarietà funzionale, a prescindere da ogni valutazione soggettiva del costruttore, con il corollario che risulta alterato lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale (in tale senso, con riguardo a fattispecie similari, T.A.R. Lazio, Sez. II ter, 4 maggio 2007, n. 3973; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, 30 agosto 2011, n. 422)." I manufatti in oggetto, correttamente qualificabili come nuove costruzioni, andavano realizzati previo permesso di costruire, e in mancanza dello stesso, il Comune di (omissis) legittimamente ne ha ingiunto la demolizione. 12.4. La destinazione edilizia dell'area di riferimento, ovvero "aree boscate" ai sensi dell'art. 85 della L.R. 1/15, vieta le nuove costruzioni ma consente la realizzazione di opere pertinenziali rispetto a fabbricati già esistenti; tuttavia i manufatti in oggetto non sembrano potersi ricondurre a pertinenze per un duplice ordine di ragioni. L'art. 21 del R.R. 2/15 al comma 1 definisce opere pertinenziali i manufatti che, "pur avendo una propria individualità ed autonomia sono posti in durevole ed esclusivo rapporto di proprietà, di subordinazione funzionale o ornamentale, con uno o più edifici principali di cui fanno parte e sono caratterizzati: a) dalla oggettiva strumentalità ; b) dalla limitata dimensione; c) dalla univoca destinazione d'uso; d) dalla collocazione in aderenza o a distanza non superiore a 30 metri lineari dall'edificio principale (...)". 12.4.1. Innanzitutto deve escludersi la natura pertinenziale sotto il profilo delle distanze, poiché risulta dai vari sopralluoghi che il box realizzato in aderenza alla recinzione, nel punto più prossimo all'abitazione, è posto alla distanza di circa 24,00 ml, mentre i box per cani risultano essere posti ad una distanza superiore ai 30,00 ml. Tale circostanza di fatto non è mai stata smentita dalla parte ricorrente. 12.4.2. Inoltre l'intervento in oggetto non può costituire pertinenza anche per la mancanza degli altri requisiti che ne identificano la natura: in materia urbanistica ed edilizia, la nozione di pertinenza è meno ampia di quella definita dall'art. 817 cod. civ., dovendosi trattare di un manufatto non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale, non comportante significativo incremento di carico urbanistico, sicché gli interventi che, pur essendo accessori a quello principale, incidono con tutta evidenza sull'assetto edilizio preesistente, determinando un aumento del carico urbanistico, devono ritenersi sottoposti a permesso di costruire (cfr. T.A.R. Molise, 29 dicembre 2021, n. 475, nonché, conforme, T.A.R. Umbria, 22 gennaio 2024, n. 17); per aversi pertinenza urbanistica, dunque, ci si deve riferire ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un'opera principale (quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili), ma non anche ad opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto a quella principale e non siano coessenziali alla stessa, per cui non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica, dando così origine ad un corpo di fabbrica totalmente differente da quello principale assentito, a sua volta bisognoso di uno specifico titolo edilizio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2021, n. 6613). Nel caso di specie, le dimensioni non trascurabili dei manufatti di cui si discute (ben 14 box per cani, ciascuno di dimensione 3 metri x 4 e con altezza 2,50 m, oltre all'area di sgambamento e agli altri 2 box) così come l'assenza di alcuna precarietà, ed infine la carenza di una effettiva strumentalità rispetto all'edificio vicino, determinano indubitabilmente un aumento del carico urbanistico, tale da escludere che all'opera possa essere applicato il regime delle pertinenze urbanistico-edilizie. A conferma di ciò, l'art. 21 del già citato R.R. 2/15, al comma 3 lettera f) qualifica come pertinenze esenti da titolo edilizio "i manufatti per il ricovero di animali domestici o da compagnia o manufatti per ripostigli e barbecue di superficie utile coperta complessiva non superiore a metri quadrati 8 e altezza non superiore a metri lineari 2,40", laddove i box in oggetto sviluppano un ingombro di ben altre dimensioni. 13. Il secondo motivo non merita condivisione. L'area oggetto di causa si trova in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, né risulta applicabile l'esenzione da autorizzazione paesaggistica prevista dal D.P.R. n. 31 del 2017 all'allegato A, punti A13 e A12, che riguardano gli interventi di manutenzione, sostituzione o adeguamento di cancelli e recinzioni, e gli interventi da eseguirsi nelle aree di pertinenza degli edifici non comportanti significative modifiche degli assetti planimetrici e vegetazionali. Esclusa la natura pertinenziale degli interventi, gli abusi non sono consistiti soltanto nella sostituzione di recinzioni per impedire la fuga degli animali, ma hanno comportato interventi di ben diverso tenore. In ogni caso una recinzione realizzata in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico deve essere previamente assentita, e, in mancanza, l'ordine di demolizione si configura come un atto dovuto. (cfr. ex multis, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 29 maggio 2023, n. 1776, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 27 giugno 2022, n. 1507, T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 09 dicembre 2019, n. 5769). 14. E' infondato anche il quarto motivo di censura nella parte in cui sostiene che il Comune di (omissis) ipotizzi nell'ordinanza di demolizione la presenza nell'area oggetto di abusi di un vincolo idrogeologico. Ad essere affermato in forma dubitativa è solo il fatto che i manufatti contestati ricadano in area compresa nella perimetrazione del "Pa. fl. del Te.", soggetta a vincolo idrogeologico sotto ulteriore profilo rispetto a quello già enunciato - e non contestato - unitamente al vincolo paesaggistico. Peraltro il ricorrente difetta di interesse alla censura perché la correttezza dell'imposizione della necessità dell'autorizzazione paesaggistica è stata già enunciata in sede di rigetto del terzo motivo, pertanto anche l'eventuale fondatezza del quarto non apporterebbe alcuna utilità al Sig. Ti.. 15. Non è meritevole di condivisione neppure il quinto motivo. Come noto i provvedimenti di repressione degli illeciti urbanistici - edilizi, essendo atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali, "escludono la necessità di una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati; ne discende che essi sono sufficientemente motivati con riguardo all'oggettivo riscontro dell'abusività delle opere e alla sicura assoggettabilità di queste al regime dei titoli abilitativi edilizi e del corrispondente trattamento sanzionatorio, non rivelandosi necessario alcun ulteriore obbligo motivazionale, nemmeno in considerazione della particolarità degli interessi privati coinvolti" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 02 novembre 2023, n. 5941, Cons. Stato, sez. VI, 23 ottobre 2023, n. 9148). Peraltro l'ordinanza di demolizione impugnata è ampiamente motivata sia con riguardo agli atti istruttori prodromici che con riguardo alla qualificazione giuridica degli abusi, né risultano individuati gli eventuali contributi di parte ricorrente in sede procedimentale di cui l'Amministrazione avrebbe omesso di dare adeguato conto. 16. In conclusione il ricorso deve essere integralmente respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune di (omissis), che si liquidano in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA 1. sul ricorso numero di registro generale 888 del 2023, proposto da An. Mi., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Fe. e Gi. La Sp., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. La Sp. in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; 2. sul ricorso numero di registro generale 246 del 2024, proposto da An. Mi., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Fe. e Gi. La Sp., con domicilio eletto presso lo studio Gi. La Sp. in Perugia, via (...); contro - Comune di (omissis), non costituito in giudizio; - Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, anche domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); - Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, non costituiti in giudizio; per l'annullamento * quanto al ricorso n. 888 del 2023: - dell'ordinanza n. 144/23, datata 27/6/2023, concernente il ripristino di una piscina sita nella proprietà del ricorrente in (omissis), Viale (omissis); - di ogni altro atto presupposto e/o connesso e/o conseguente e di eventuali ulteriori atti non conosciuti da parte ricorrente; ** quanto al ricorso n. 246 del 2024: del provvedimento del Comune di (omissis) di archiviazione della s.c.i.a. presentata dal ricorrente n. 691/2023, nonché del parere reso dalla Soprintendenza prot. n. 39109 del 18/12/2023, a firma del Soprintendente Ing. Gi. La., comunicato dal Comune di (omissis) in uno con la predetta archiviazione in data 24/4/2024. L'impugnazione investe ogni altro atto presupposto e/o connesso e/o conseguente, ancorché non conosciuto dal ricorrente, con riserva di motivi aggiunti. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2024 il dott. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso introduttivo (NRG 888/2023), è stata impugnata l'ordinanza n. 144 in data 27 giugno 2023, con cui il Comune di (omissis), ai sensi degli artt. 31 del t.u.e. di cui al d.P.R. 380/2001 e 143 della l.r. Umbria 1/2015, ha disposto la riduzione in pristino di una piscina (m 12,13 x 3,52 - h 1,50) realizzata senza titolo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (d.m. 8 maggio 1956), oltre che a vincolo culturale indiretto (d.m. 8 aprile 1968 - stante la vicinanza con il tempio di Santa Maria (omissis)). 2. Il ricorrente, proprietario dell'area e realizzatore dell'intervento senza titolo, prospetta avverso detta sanzione due ordini di censure, appresso sintetizzate. 2.1. Vi è stata violazione dell'art. 31 del t.u.e. 380/2001 in relazione all'art. 817 c.c. e all'art. 3, comma 1, lett. e.6 del medesimo t.u.e., in quanto la piscina, per dimensioni e destinazione funzionale al servizio dell'abitazione, deve considerarsi pertinenza urbanistica, e come tale sottratta all'obbligo del permesso di costruire, salvo il rispetto del vincolo paesaggistico, che tuttavia può essere anche oggetto di richiesta di autorizzazione postuma. 2.2. In ogni caso, la sanzione non può operare, in quanto al momento dell'adozione dell'ordinanza di ripristino era già pendente la domanda di accertamento di conformità di cui alla s.c.i.a. pratica n. 691/2023 prot. n. 19012 del 26 giugno 2023, sulla quale il Comune di (omissis) non si è ancora pronunciato, essendo ancora in corso l'istruttoria da parte degli uffici comunali. 3. Il Comune di (omissis) non si è costituito in giudizio. 4. All'esito dell'udienza pubblica del 9 aprile 2024, con ordinanza n. 250/2024, questo Tribunale: - ha ravvisato l'opportunità di chiarire aspetti (se il ricorrente avesse provveduto a richiedere le autorizzazioni delle Amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli, paesaggistico e culturale indiretto, gravanti sull'area; quale sia il contenuto della s.c.i.a. per accertamento di conformità della quale il ricorrente ha depositato soltanto la ricevuta di presentazione; se, a seguito della presentazione della predetta s.ci.a., il Comune di (omissis) abbia o meno adottato un provvedimento) dai quali sarebbe potuta discendere l'inammissibilità o l'improcedibilità del gravame; - ha sottolineato l'orientamento secondo il quale "Il silenzio serbato dal Comune sull'istanza di accertamento di conformità urbanistica quindi non ha valore di silenzio-inadempimento, ma di silenzio-rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere; ciò comporta altresì il permanere della facoltà di provvedere espressamente, nella specie esercitata ragionevolmente, anche a fronte del supplemento istruttorio svolto dall'Amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 15/03/2023, n. 2704). Sul solco di queste considerazioni, correttamente il primo giudice ha ribadito che, come avviene per l'istanza di accertamento di conformità ex art. 36, d.p.r. 380/2001, anche ai sensi del successivo art. 37, d.p.r. 380/2001 in caso di produzione di istanza per autorizzazione paesaggistica ex art. 146, d.lgs. 42/2004, l'Amministrazione può adottare un provvedimento ripristinatorio, allorquando si sia formato il silenzio rifiuto sulla predetta istanza" (così, di recente, Cons. Stato, VI, n. 9148/2023); - in applicazione dell'art. 73, comma 3, cod. proc. amm., ha assegnato alle parti un termine per presentare memorie e documentazione; - ha fissato, ai fini di un ulteriore confronto tra le parti, l'udienza pubblica del 4 giugno 2024. 5. Il ricorrente - ottenuta in data 24 aprile 2024 dal Comune una pec con cui gli si comunicava che "In merito alla richiesta di accesso agli atti, si trasmette la prat. n. 459/2023, perchè la Scia n. 691/2023 è stata archiviata", ha depositato in giudizio alcuni atti, preannunciando l'impugnazione del provvedimento di archiviazione. 6. Detta impugnazione è stata proposta (anziché con motivi aggiunti) con un distinto ricorso (NRG 246/2024). Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale, si desume che: - il vincolo culturale indiretto non rileva nella presente controversia, posto che le obiezioni della Soprintendenza riguardano unicamente il profilo paesaggistico; - una precedente richiesta del ricorrente di autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un "fontanile per raccolta acqua" non era andata a buon fine a causa del parere negativo della Soprintendenza (cfr. nota prot. 15229 in data 6 maggio 2016); - con ordinanza n. 46 in data 15 febbraio 2023, notificata al ricorrente in data 28 marzo 2023, era stata disposta la sospensione dei lavori della piscina; - in data 10 maggio 2023, il ricorrente aveva chiesto al Comune di (omissis) l'accertamento della compatibilità paesaggistica della piscina ex art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. 42/2004 e s.m.i., e poi, su indicazione del Comune, aveva presentato la s.c.i.a. in sanatoria in data 26 giugno 2023 (pratica n. 691/2023) corredata del progetto e della documentazione necessaria; - nonostante il parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia nella seduta del 5 settembre 2023 (prat. n. 459/2023), la pratica (come risulta dalla pec in data 24 aprile 2024) sarebbe stata "archiviata", alla luce del parere (vincolante) della Soprintendenza prot. n. 39109 in data 18 dicembre 2023, secondo il quale la piscina, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del Codice, non sarebbe stata suscettibile di accertamento postumo quanto alla compatibilità paesaggistica, avendo determinato la creazione di un volume, seppure interrato; Il parere della Soprintendenza è stato versato in atti; non è stato invece depositato il provvedimento conclusivo del procedimento e la relativa comunicazione al ricorrente, il quale (implicitamente) assume di averne avuto notizia con la pec in data 24 aprile 2024. Avverso l'esito negativo del procedimento di sanatoria (pratica n. 459/2023), il ricorrente deduce due ordini di censure. 6.1. Il provvedimento di archiviazione (peraltro, atipico) è carente di motivazione, in violazione dell'art. 3 della legge 241/1990, ed è viziato da eccesso di potere, sotto i profili della manifesta illogicità, dal momento che la Commissione edilizia (integrata con la presenza dell'esperto richiesto dal Codice) e quindi lo stesso Comune ha ritenuto compatibile la piscina con il contesto paesaggistico, nonché della manifesta ingiustizia, posto che l'opera realizzata (una piscina di modeste dimensioni ad uso del proprietario del fabbricato, posta all'interno della sua proprietà, interamente recintata e non accessibile a terzi, completamente interrata e contornata da alberi di alto fusto, da ritenere pertinenza, secondo pacifica giurisprudenza) non costituisce volume, tanto da non necessitare del permesso di costruire (art. 3, comma 1, lett. e.6), del t.u.ed. 380/2001). 6.2. Il parere della Soprintendenza è illegittimo per violazione dell'art. 3 della legge 241/1990, dell'art. 167 del Codice, nonché per eccesso di potere. A dire del ricorrente, in particolare: - il riferimento ad un preteso "volume" in sede di compatibilità paesaggistica non è rilevante, laddove, come nel caso di specie, l'intervento sia di modeste dimensioni, non visibile e non percepibile e quindi inidoneo a compromettere il contesto paesaggistico; - ai fini della compatibilità paesaggistica non si può fare riferimento sic et simpliciter al principio del volume tecnico-urbanistico che vige solo per gli interventi edilizi, e quindi la Soprintendenza avrebbe dovuto fare riferimento al contesto dei luoghi, al sito ove è posta la piscina e verificare se la stessa, tenuto conto delle sue dimensioni, delle sue modalità costruttive, della sua posizione all'interno della proprietà del ricorrente non accessibile a terzi e ad uso esclusivo del proprietario dello stesso fabbricato, della sua posizione isolata dal contesto esterno e non visibile, perché circondata da alberi di alto fusto, comportasse o meno impatto con il contesto ambientale circostante; - tale valutazione è stata del tutto pretermessa, e perciò il parere reso dalla Soprintendenza incorre in difetto assoluto di motivazione ex art. 3 della legge 241/1990; - l'assunto della non sanabilità, in quanto volume interrato, basato sul richiamo della circolare ministeriale n. 38 del 4 settembre 2023 e su alcune sentenze, non è condivisibile; al contrario, secondo la circolare n. 42 prot. n. 21322 del 21 luglio 2017, la visibilità debba sussistere in concreto, cioé consistere nella percepibilità della trasformazione del territorio paesaggisticamente rilevante ad occhio nudo da un normale osservatore senza ricorso a strumenti o ausili tecnici; - peraltro, nel senso predetto, la questione è stata risolta dalla giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, n. 2250/2020; detta pronuncia, dopo aver ritenuto legittima la realizzazione di una piscina di modeste dimensioni a servizio di un immobile destinato ad attività ricettiva, in quanto pertinenza non suscettibile di creare volume urbanistico-edilizio e nemmeno tecnico (come già sancito con sentenza dello stesso Consiglio di Stato n. 6644/2019), ha ritenuto illegittimo il parere della Soprintendenza che ne aveva escluso la sanabilità paesaggistica postuma, proprio sull'erroneo rilievo che la piscina avrebbe costituito un preteso volume tale da impedirne la sanabilità ex art. 167 del Codice). 7. In tale giudizio si è costituita la Soprintendenza intimata, controdeducendo puntualmente e chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale prevalente che supporta il parere negativo espresso sulla domanda di sanatoria. 8. Il ricorrente ha depositato memorie in entrambi i ricorsi. In particolare, nell'ultima memoria (NRG 246/2024), sottolinea che: - il deposito documentale effettuato dalla difesa dell'Amministrazione in data 12 agosto 2024 è tardivo; - la giurisprudenza invocata dalla difesa dell'Amministrazione non è prevalente; anche la sentenza del Consiglio di Stato, VII Sez., n. 44/2024 (con le altre pronunce da essa richiamate), secondo la quale la piscina costituisce nuova costruzione e non pertinenza, si riferisce specificamente alle piscine che abbiano notevoli dimensioni, e quindi non si applica al caso in esame; - in ogni caso, in data 2 settembre 2024, sulla base della sopravvenuta disposizione dell'art. 36-bis del t.u.ed. 380/2001, introdotta dal d.l. 69/2024, convertito nella legge 105/2024, che ha previsto l'accertamento della compatibilità paesaggistica in sanatoria anche nell'ipotesi di nuova volumetria, il ricorrente ha presentato una nuova domanda di compatibilità paesaggistica postuma. Pertanto, a dire del ricorrente: - il ricorso deve essere accolto, in adesione all'orientamento giurisprudenziale che ammette l'accertamento di compatibilità paesaggistica delle piscine; - in caso contrario, il presente giudizio deve essere sospeso, in attesa della definizione del nuovo procedimento di sanatoria. 9. I ricorsi vanno riuniti, stante l'evidente connessione oggettiva, oltre che soggettiva. 10. Il deposito documentale da parte dell'Amministrazione in data 12 agosto 2024 risulta tempestivo, ai sensi dell'art. 73, cod. proc. amm., e comunque si tratta degli atti del procedimento oggetto dell'ordinanza n. 250/2024, rispetto ai quali il Collegio ha chiesto chiarimenti ed avrebbe comunque potuto disporre l'acquisizione d'ufficio; in ogni caso, il contenuto degli atti non risulta dirimente ai fini della decisione, senza contare che il ricorrente ha potuto pienamente tutelarsi con le proprie difese. 11. Quanto al ricorso avverso l'ordinanza di demolizione, va ricordato che l'orientamento di questo Tribunale è nel senso di ritenere l'improcedibilità del giudizio sulla legittimità dell'ordine di demolizione a seguito della presentazione di un'istanza di sanatoria (cfr. TAR Umbria, n. 327/2023, n. 628/2022, n. 514/2021), e che tale orientamento, pur dissonante rispetto all'orientamento ormai prevalente del giudice d'appello, "si giustifica anche in considerazione della necessità che, nell'eventualità del rigetto dell'istanza di sanatoria, al privato sia assegnato per la demolizione del manufatto abusivo un nuovo ed intero termine per adempiere, e ciò al fine di realizzare una più piena tutela della posizione del cittadino, tenuto conto che, diversamente, l'ormai intervenuta scadenza del termine assegnato con l'originaria ordinanza di ripristino determinerebbe l'automatica irrogazione delle sanzioni di cui all'art. 31, cc. 3, 4 e 4-bis, del D.P.R. n. 380/2001, che non potrebbero essere evitate dall'interessato" (sent. n. 327/2023, cit.). Tali considerazioni meritano conferma, anche tenuto conto che la decisione dell'Adunanza Plenaria n. 13/2024 ha affermato il principio secondo cui "la mancata ottemperanza - anche da parte del nudo proprietario - alla ordinanza di demolizione entro il termine previsto dall'art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, impone l'emanazione dell'atto di acquisizione del bene al patrimonio comunale, tranne il caso in cui sia stata formulata l'istanza prevista dall'art. 36 del medesimo d.P.R. o sia stata dedotta e comprovata la non imputabilità dell'inottemperanza; ". 12. Il ricorso NRG 888/2023 deve pertanto essere dichiarato improcedibile. Peraltro, le questioni con esso sollevate vengono sostanzialmente riproposte con il secondo ricorso NRG 246/2024. 13. Quanto al secondo ricorso, va anzitutto sottolineato che non vi è alcuna contraddizione tra il parere favorevole alla sanatoria espresso dalla Commissione edilizia comunale ed il provvedimento finale negativo (formalmente qualificato come archiviazione, ma sostanzialmente corrispondente ad un diniego di accertamento in sanatoria), in quanto quest'ultimo è stato determinato dal parere negativo espresso dalla Soprintendenza, che - in ragione della mancata adozione in Umbria di un piano paesaggistico, e comunque della mancanza di un'integrazione del vincolo paesaggistico in questione con le prescrizioni d'uso ai sensi dell'art. 141-bis - mantiene tuttora carattere vincolante, ai sensi dell'art. 146, comma 5, del Codice. 14. Il motivo dell'esito negativo del procedimento di sanatoria è assolutamente chiaro. La giurisprudenza più recente (così come la circolare ministeriale n. 38/2023) è orientata in senso diverso dalle pronunce invocate dal ricorrente. 14.1. Anzitutto, a fronte della pretesa a considerare mera pertinenza dal punto di vista urbanistico una piscina (in zona non vincolata), è stato affermato che: "La piscina è una struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, perciò configura una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 e non, come sostenuto dall'appellante, una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale. Per condivisibile giurisprudenza tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio cui accede. La piscina, infatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all'uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di svago. Né può essere considerata pertinenza la realizzazione della piscina, considerato che la stessa comporta una "durevole trasformazione del territorio" la quale, sotto il profilo urbanistico, presenta una funzione autonoma rispetto a quella propria dell'edificio cui accede e per tale ragione non può coincidere con la relativa nozione civilistica. Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8192; id., 4 gennaio 2016, n. 19; 24 luglio 2014, n. 3952; sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; sez. VI, n. 100/2020) sulla nozione di pertinenza urbanistica, che questo Collegio condivide, secondo cui tale nozione "è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione." (Cons. Stato, VI, n. 44/2024). Come è evidente, si tratta di affermazioni di principio che prescindono dalla consistenza maggiore o minore della piscina realizzata. 14.2. Soprattutto, riguardo alla portata applicativa della disciplina della sanatoria di cui all'art. 167 del Codice, è stato riassuntivamente affermato (da CGA, n. 34/2023 - a proposito della realizzazione abusiva anche di una piscina) che: "Secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato dalla quale non vi è ragione di discostarsi: -il rigore della suddetta disciplina "è strettamente connesso con la particolare rilevanza costituzionale dal legislatore attribuita ai beni ambientali" e persino "in presenza di incrementi di superficie o cubatura, anche di modesta entità, la norma impedisce tassativamente il rilascio della sanatoria paesaggistica, per cui la reiezione della relativa istanza assume carattere vincolato" (CdS sez. VII, sez. VII 29.12.2022 n. 11607 e la giur. ivi citata); -"la piscina e le opere ad essa pertinenziali... e la connessa pavimentazione circostante, eseguite abusivamente, hanno dato luogo ad incremento volumetrico e di superficie utile, alterando lo stato dei luoghi, sì da violare il vincolo paesaggistico gravante sull'area in cui gli interventi ricadono" (CdS sez. VI 12.12.2022 n. 10866); "Il giudice di prima istanza ha correttamente ritenuto che la posa in opera di una piscina non rientri tra gli interventi per i quali vige l'eccezione al divieto di autorizzazione postuma di cui al citato art. 167, in quanto comportante la realizzazione di volumi interrati o seminterrati soggetti al regime di insanabilità " (CdS sez. VI 12.10.2022 n. 8711); sulla "rilevanza urbanistica della piscina e delle opere alla stessa accessorie e pertinenziali, compresa la pavimentazione" che comportano, ai fini dell'art. 167 cit., "un incremento delle superfici e dei volumi" (CdS sez. VI 18.11.2021 n. 7724); ". 14.3. La medesima pronuncia n. 34/2023 ha preso in considerazione il profilo relativo alla caratteristica di volume "interrato" propria di una piscina, precisando che: "La questione è stata invero oggetto di contrastanti valutazioni giurisprudenziali, ma l'orientamento più rigoroso, che questo Collegio condivide, è divenuto ormai prevalente nella giurisprudenza più recente: riguardo a "locali fuori terra e seminterrati... è pacifico che, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del D.Lgs 22/1/2004, n. 42, il rilascio della compatibilità paesaggistica non è consentito in presenza di lavori che "abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati" senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno (Cons. Stato, Sez. VI, 21/4/2022, n. 3026; 19/10/2020, n. 6300; Sez. II, 24/6/2020, n. 4045)" (CdS sez. VI 18.10.2022 n. 8848); nel senso "che a fini paesaggistici abbiano rilievo i volumi interrati e seminterrati, con conseguente insanabilità degli stessi ove realizzati senza titolo" (CdS sez. VI 18.11.2021 n. 7724). La condivisibile ratio di tale orientamento è ben spiegata nella seguente pronuncia: - riguardo all'art. 167 cit., "l'intenzione legislativa è chiara nel senso di precludere qualsiasi forma di legittimazione del "fatto compiuto", in quanto l'esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell'intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull'assetto del bene vincolato"; - "Secondo l'orientamento più volte espresso dalla Sezione (sentenze n. 3579 e n. 5066 del 2012; n. 4079 del 2013; n. 3289 del 2015), il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, sia esso interrato o meno. Sul piano del metodo, va preliminarmente rimarcato che ciascun costrutto normativo deve essere osservato con la "lente" del suo specifico contesto disciplinare. Le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non sono automaticamente trasferibili quando si tratti di qualificare le opere sotto il profilo paesaggistico. La regola che in materia urbanistica porta ad escludere i "volumi tecnici" dal calcolo della volumetria edificabile, trova fondamento nel bilanciamento rinvenuto tra i vari e confliggenti interessi connessi all'uso del territorio. Non può pertanto essere invocata al fine di ampliare le eccezioni al divieto di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria, il quale tutela l'interesse alla percezione visiva dei volumi, del tutto a prescindere dalla loro destinazione d'uso. La conclusione, del resto, è avvalorata dalla stessa lettera della norma in discorso che, nel consentire l'accertamento postumo della compatibilità paesaggistica, si riferisce esclusivamente ai "lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati". Non è consentito all'interprete ampliare la portata di tale norma, che costituisce eccezione al principio generale delle necessità del previo assenso, per ammettere fattispecie letteralmente, e senza distinzione alcune, escluse" (CdS sez. VI 16.02.2022 n. 1150).". 14.4. In generale, sulla rilevanza non ostativa all'applicazione dell'art. 167, comma 5, della circostanza che i volumi realizzati abusivamente siano interrati, vedi anche Cons. Stato, VI, n. 8622/2023; II, n. 3317/2017. 14.5. Può aggiungersi che il precedente invocato dal ricorrente (Cons. Stato, VI, n. 2250/2020) è basato su un orientamento - quello secondo cui concetti come volumetria e superficie utile, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del Codice, debbano essere interpretati secondo il significato tecnico-giuridico che assumono in materia urbanistica - che risulta superato, come sopra esposto, dalla più recente giurisprudenza. 14.6. La circolare n. 42/2017, invocata dal ricorrente, non rileva in contrario, posto che non è in discussione che la piscina, seppur di modeste dimensioni, costituisca trasformazione del territorio paesaggisticamente rilevante ad occhio nudo da un normale osservatore senza ricorso a strumenti o ausili tecnici. Va, del resto, considerato, che la visibilità da luoghi pubblici o accessibili al pubblico, deve oggi essere intesa come comprensiva della conoscenza che dei beni paesaggistici si può avere dall'alto, mediante foto da droni o satellitari. Può richiamarsi, al riguardo, la giurisprudenza di questo Tribunale, secondo cui "... il requisito della "accessibilità " deve essere inteso in senso adeguato alla realtà contemporanea, e quindi comprensivo di tutte le opportunità di fruizione da parte della collettività oggi disponibili e destinate ad avere in futuro sempre maggiore diffusione. Può condividersi la tesi della Soprintendenza, nel senso che sarebbe erroneo limitare il significato della previsione normativa sull'accessibilità ad una visione dall'intorno e da breve distanza, escludendo la rilevanza di una visibilità -percepibilità satellitare o dall'alto, già da tempo diffusa quale forma di conoscenza preliminare di un territorio. Secondo un'interpretazione evolutiva di norme la cui formulazione risale sostanzialmente ad un'epoca lontana, le modalità di tutela devono andare di pari passo alle opportunità di fruizione del territorio e del patrimonio culturale che lo connota. Può anche condividersi che la modalità street view, non strettamente pertinente alla questione controversa, sia stata indicata dall'Amministrazione quale esempio di una forma già generalmente diffusa di conoscenza del territorio, che viene "percorso" virtualmente per individuarne i caratteri identitari da approfondire nel corso di uno studio o di un viaggio, o in mancanza della possibilità di fruirne in presenza. E' comunque dirimente, in questa prospettiva, quanto esposto nel parere riguardo alla conoscenza che si trae mediante la visione dall'alto, sottolineandosi che "nel caso dei tessuti urbani storici tale visione dall'alto consente di 'leggernè la struttura urbana nelle sue stratificazioni, con il circuito delle mura, gli invasi spaziali presenti, i rapporti tra organismi monumentali ed edilizia corale, nel susseguirsi e articolarsi di manti di copertura in laterizio dalle colorazioni tradizionali variegate e dei chiaroscuri derivanti dalle maggiori altezze di campanili e cupole emergenti e dalle articolazioni volumetriche dell'edificato storico. Tale visione è dunque non solo significativa, ma sostanziale per la conservazione dell'immagine consolidata di un tessuto urbano storico, in particolare ove il vincolo di tutela paesaggistica sia ex Art 136 c. 1 lett c) del D.lgs 42/2004 ss.mm.ii." (TAR Umbria, n. 211/2024). 14.7. Le dimensioni e le caratteristiche costruttive della piscina (e in generale ogni considerazione sul limitato impatto che ne deriverebbe) non possono perciò assumere rilevanza, dovendosi ritenere, per quanto esposto, escluso a priori l'accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria. 15. Infine, deve escludersi la necessità (ed anche la possibilità, alla luce dell'art. 73, comma 1-bis, cod. proc. amm.) di sospendere il giudizio, in dipendenza della sopravvenuta presentazione di una domanda ai sensi dell'art. 36-bis del t.u.ed. 380/2001, come novellato dal d.l. 69/2024, convertito nella legge 105/2024. Detta disposizione, infatti, prevede che "In caso di interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 34 ovvero in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 37, fino alla scadenza dei termini di cui all'articolo 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile possono ottenere il permesso di costruire e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle variazioni essenziali di cui all'articolo 32." (comma 1). Inoltre, "Qualora gli interventi di cui al comma 1 siano eseguiti in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'autorità preposta alla gestione del vincolo apposito parere vincolante in merito all'accertamento della compatibilità paesaggistica dell'intervento, anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l'aumento di quelli legittimamente realizzati." (comma 4). Pertanto, la deroga all'art. 167, comma 5 (oltre che all'art. 36 del t.u.ed.), in presenza di opere per le quali sia necessario il permesso di costruire, scatta soltanto se si tratti di una difformità dallo stesso, non anche in caso di completa assenza del titolo autorizzatorio per un intervento strutturalmente e funzionalmente autonomo, come invece deve ritenersi avvenga nel caso in esame. 16. In conclusione, il ricorso NRG 246/2024 è infondato e deve essere pertanto respinto. 17. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti: - riunisce i ricorsi; - dichiara improcedibile il ricorso NRG 888/2023; - respinge il ricorso NRG 246/2024; - condanna il ricorrente al pagamento in favore della Soprintendenza della somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre ad oneri ed accessori di legge, per spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente, Estensore Daniela Carrarelli - Primo Referendario Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 239 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto dai sig.ri -OMISSIS- e-OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Fa. Bu. e-OMISSIS-, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Fa. Bu. in Perugia, via (...); contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Au. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); nei confronti Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: dell'ordinanza del Sindaco di -OMISSIS- del -OMISSIS-, emessa ai sensi dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, notificata ai ricorrenti a mezzo posta il -OMISSIS-, nonché per l'annullamento di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato al menzionato provvedimento, ivi compresi, in particolare e per quanto occorra, i verbali di sopralluogo della Polizia Locale del Comune di -OMISSIS-, del -OMISSIS- (nel provvedimento indicato con l'anno 2023), prot. -OMISSIS- e dell'Area Governo del Territorio ed OO.PP. del Comune di -OMISSIS- del -OMISSIS- (nell'atto indicato come anno 2022), prot. -OMISSIS-, menzionati nell'ordinanza sindacale; Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dai ricorrenti in data 10 maggio 2023: per l'annullamento degli atti e provvedimenti già impugnati con il ricorso originario; Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dai ricorrenti in data 3 aprile 2024: per l'annullamento della nota del -OMISSIS-, della Responsabile dell'Area Tecnica Governo del Territorio e OO.PP. del Comune di -OMISSIS-, indirizzata anche ai ricorrenti ed inviata a mezzo pec -OMISSIS- successivo, con la quale è stato comunicato al Sindaco di -OMISSIS-, da un lato l'insussistenza della necessità e dei presupposti per l'adozione di ulteriori ordinanze contingibili ed urgenti, dall'altro, che le misure adottate da alcuni dei comproprietari sono conformi a quanto prescritto con l'ordinanza sindacale -OMISSIS- e sufficienti a scongiurare rischi per la sicurezza e l'incolumità pubblica, cosicché l'attività conformativa va ritenuta esaurita, nonché per l'annullamento di ogni altro e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato, ivi compreso, in particolare e per quanto occorra, la comunicazione di avvio del procedimento del -OMISSIS-, il verbale di sopralluogo del-OMISSIS-, le determinazioni, di estremi sconosciuti, con cui sono state acquisite e recepite le relazioni istruttorie di tecnici esterni all'Amministrazione Comunale, e tutti i molteplici atti adottati nel corso del procedimento. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-, del Ministero dell'Interno e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Gli odierni ricorrenti sono tra i destinatari dell'ordinanza del Sindaco del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, adottata ex art. 54, comma 4, d.lgs. n. 267 del 2000, con la quale, all'esito degli accertamenti istruttori effettuati a seguito del crollo di porzione del tetto, è stata dichiarata l'inagibilità parziale dell'immobile (con riferimento al sub. 2 in cui si è verificato il crollo) e, al fine di scongiurare la caduta di materiali sulla strada pubblica, è stata ingiunta la messa in sicurezza della copertura e delle facciate intonacate di due unità immobiliari, identificate al foglio -OMISSIS- (proprietà -OMISSIS-), rimessa sottostante, e subalterno 2, edificio principale abitativo sovrastante (proprietà -OMISSIS-). L'adozione del provvedimento è derivata, come ivi rappresentato, da segnalazioni acquisite dall'Ente locale in merito alla pericolosità dell'immobile e dall'esito delle successive verifiche tecniche svolte. 2. Parte ricorrente ha esposto in fatto una complessa e pluriennale vicenda avente al centro l'unità immobiliare sub. 2 che vede contrapporsi, in sede sia civile che penale, gli odierni ricorrenti - madre e figlio - e gli altri eredi (e successivi discendenti) della sig.ra -OMISSIS-, originaria proprietaria del fabbricato, deceduta -OMISSIS-. I ricorrenti dichiarano che la sig.ra -OMISSIS- è proprietaria dell'unità abitativa sub. 2 per la quota di 7/18 e mentre i due figli della stessa (tra cui il ricorrente-OMISSIS-) sono proprietari ciascuno di una quota di 1/18. Evidenziano, in particolare, i ricorrenti di non aver mai avuto l'effettiva disponibilità dell'immobile e che lo stesso versa in uno stato di abbandono e degrado a causa della mancata manutenzione da parte di coloro che lo hanno effettivamente occupato per diversi decenni. Per quanto qui rileva, va in primo luogo evidenziato che l'odierna ricorrente -OMISSIS- si è opposta alla domanda di usucapione dell'immobile avanzata dai sig.ri -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, che è stata rigettata con sentenza del Tribunale di Orvieto del -OMISSIS-. Successivamente il medesimo Tribunale di Orvieto, con sentenza definitiva del -OMISSIS- ha dichiarato lo scioglimento della comunione ereditaria tra le parti e l'assegnazione per intero dell'immobile per cui si discute alla sig.ra -OMISSIS-, subordinatamente al pagamento del prezzo (versamento mai effettuato); la pronuncia è stata confermata con della Corte d'Appello di Perugia con sentenza del -OMISSIS-, passata in giudicato (ma mai trascritta dall'interessata). Riferiscono ancora gli odierni ricorrenti di aver da tempo informato il Comune di -OMISSIS- delle molteplici circostanze dianzi illustrate, ivi compresa la totale estromissione della sig.ra -OMISSIS- dal possesso del bene, nonché del pessimo stato di conservazione del bene, dovuto alla totale mancanza della manutenzione ordinaria e straordinaria da parte degli occupanti che, a vario titolo, si sono succeduti dal 1936 alla data di emissione dell'ordinanza sindacale. 3. Avverso la richiamata ordinanza del Sindaco del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- sono state articolate con il ricorso introduttivo censure per: i. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. 267 del 2000, difetto di legittimazione passiva, eccesso di potere per difetto di istruttoria, violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 7 e 10 bis della l. n. 241 del 1990. Il provvedimento sarebbe viziato per non aver tenuto conto dell'indisponibilità del bene in capo ai ricorrenti e non aver fatto riferimento alle molteplici alle pregresse comunicazioni in tal senso da parte dell'avv. -OMISSIS-. Parte ricorrente lamenta, altresì, la violazione delle garanzie procedimentali, essendo stata omessa tanto la comunicazione di avvio del procedimento che il preavviso di rigetto e non essendo state prese in considerazione le osservazioni trasmesse dagli odierni ricorrenti. L'Amministrazione comunale avrebbe, inoltre, errato nell'individuazione dei legittimati passivi anche per aver fatto generico riferimento agli "eredi --OMISSIS-" e per omesso di includere nel novero degli stessi il sig. -OMISSIS- (coniuge di --OMISSIS-), contitolare della quota acquistata dalla stessa dai sig.ri -OMISSIS- e -OMISSIS- in costanza di comunione legale e nella disponibilità del bene in quanto cooccupante dell'immobile; ii. violazione dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, eccesso di potere in forma di sviamento, in quanto il provvedimento sarebbe stato adottato in assenza dei presupposti per ricorrere allo strumento dell'ordinanza contingibile e urgente; ad avviso di parte ricorrente, l'Amministrazione avrebbe illegittimamente utilizzato tale strumento al fine di ingerirsi tra privati in punto di individuazione dei soggetti tenuti all'ordinaria e straordinaria manutenzione de fabbricato in questione. 4. Con decreto n. -OMISSIS- è stata accolta l'istanza di misure cautelari monocratiche ex art. 56 cod. proc. amm., con fissazione per l'esame collegiale della camera di consiglio del -OMISSIS-. 5. Si è costituito il Comune di -OMISSIS- evidenziando, in punto di fatto, che l'edificio oggetto del gravato provvedimento, risalente al periodo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, sorge nel cuore della Frazione di -OMISSIS- a ridosso della torre civica, con accessi in -OMISSIS- ed in -OMISSIS-; non è contestato che l'unità immobiliare sub 2, a destinazione residenziale realizzata in pietrame misto con tetto a doppia falda e copertura in coppi, per le condizioni in cui versa costituisce un grave pericolo per gli abitanti di -OMISSIS- e per tutti coloro che, percorrendo la viabilità pubblica con cui confina, transitano in prossimità dello stesso (per la caduta di tegole, pianelle, calcinacci e di una porzione della gronda). Nel chiedere il rigetto delle censure attoree, la difesa resistente ha evidenziato come l'ordinanza n. -OMISSIS- l'Autorità sindacale non abbia imposto l'esecuzione di opere interne o che richiedano a chi deve eseguirle di accedere all'interno dell'edificio, bensì unicamente di opere esterne e provvisionali di facile realizzazione, purché idonee a porre argine, nell'immediato, al grave rischio che attualmente corre chi transita sulla viabilità pubblica circostante l'edificio. Senza volersi ingerire nell'annosa lite tra privati, l'ordinanza si rivolge chiaramente ai comproprietari dell'edificio corrispondente al sub 2, che è oggetto del presente giudizio, ed a quelli del più modesto - e, di gran lunga, meno pericoloso - manufatto identificato col sub 1 con misure distinte (riferendosi l'inagibilità solo al sub 2). Si osserva che, nonostante le liti in corso con altri soggetti che deterrebbero l'edificio senza averne titolo, nulla, giuridicamente e materialmente, impedisce, infatti, agli odierni ricorrenti di attuare le modeste (ma improcrastinabili) misure di sicurezza dettate dall'ordinanza, che si riducono tutte ad opere di messa in sicurezza esterne, che non necessitano che i ricorrenti o i tecnici di loro fiducia si introducano nell'edificio, che, peraltro, sono gli stessi interessati a descrivere come abbandonato da tempo (circostanza, quest'ultima, che contrasta con le affermazioni della stessa parte ricorrente circa l'"impossibilità materiale" di attuare, mediante accesso, qualunque opera interna). Quanto al secondo motivo di ricorso, la difesa comunale ha ribadito la perfetta aderenza dell'ordinanza sindacale gravata al dettato dell'art. 54, comma 4, TUEL, evidenziando come gli stessi ricorrenti non neghino la gravità della situazione e l'attualità del pericolo per l'incolumità pubblica derivante dalle continue cadute di tegole, coppi ed altro su coloro che transitano sulle strade pubbliche sulle quali affaccia l'edificio. 6. Si è costituito il Ministero dell'Interno, chiedendo la dichiarazione di difetto di legittimazione passiva, essendo l'adozione del provvedimento derivata, come ivi rappresentato, da segnalazioni acquisite dall'Ente locale in merito alla pericolosità dell'immobile e dall'esito delle successive verifiche tecniche svolte con riferimento ad una vicenda di rilevanza meramente locale. La difesa erariale ha comunque contestato la fondatezza del ricorso, evidenziando che l'azione del Comune di -OMISSIS- appare, allo stato degli atti, basata su adeguata istruttoria. 7. A seguito della trattazione camerale, con ordinanza del -OMISSIS- è stata respinta l'istanza cautelare, considerato che "- non è contestato che l'edificio in questione, posto nel centro storico della frazione di -OMISSIS-, costituisca, per le condizioni di abbandono in cui versa, un pericolo per il traffico pedonale e veicolare sulla prospicente pubblica via; ... l'ordinanza sindacale gravata, preso atto che "non si evidenziano particolari criticità di stabilità del fabbricato", ingiunge "la realizzazione di lavori di messa in sicurezza della copertura e delle facciate intonacate" in ragione dell'ammaloramento e del pericolo di caduta sulla pubblica via di "coppi e porzioni di legno e malta/muratura"; interventi che non necessitano, per la loro realizzazione, dell'accesso all'unità immobiliare; Considerato, altresì, che nelle prospettazioni di parte ricorrente non è rinvenibile alcun pregiudizio grave e irreparabile derivante dall'esecuzione della gravata ordinanza, stante la piena ristorabilità dell'eventuale pregiudizio economico - anche in regresso nei confronti dei coobbligati - ed il prevalente interesse alla pubblica incolumità ". 8. Con un primo atto per motivi aggiunti - notificato in data 20 aprile 2023 e depositato il successivo 10 maggio - la parte ricorrente ha proposto avverso gli atti e provvedimenti già gravati con il ricorso introduttivo un ulteriore (terzo) motivo in diritto, lamentando: violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Parte ricorrente lamenta la carenza dell'istruttoria che ha condotto all'adozione della gravata ordinanza, in quanto non preceduta da un sopralluogo dell'interno dello stabile (ritenuto indispensabile alla effettiva verifica delle condizioni dello stesso), nonché per la mancata individuazione delle responsabilità del degrado - previo accertamento dello stato di occupazione dell'immobile e delle modifiche apportate allo stesso, anche ai fini della verifica della loro legittimità urbanistico-edilizia - e degli interventi necessari per la messa in sicurezza del fabbricato. 9. Si è costituta per resistente in giudizio la sig.ra -OMISSIS-. 10. Facendo seguito all'istanza di rinvio presentata dalla parte ricorrente, cui hanno aderito le controparti, in ragione dell'esigenza di impugnazione con motivi aggiunti della nota del Comune di -OMISSIS- del -OMISSIS-, all'udienza pubblica del -OMISSIS- la trattazione è stata rinviata al 23 luglio 2024. 11. Con un secondo atto per motivi aggiunti - notificato in data 21 marzo 2024 e depositato il successivo 3 aprile - la parte ricorrente ha agito per l'annullamento della nota del -OMISSIS-, con la quale la Responsabile dell'Area Tecnica Governo del Territorio e OO.PP. del Comune di -OMISSIS- ha comunicato al Sindaco di -OMISSIS-, da un lato, l'insussistenza della necessità e dei presupposti per l'adozione di ulteriori ordinanze contingibili ed urgenti, dall'altro, che le misure adottate da alcuni dei comproprietari sono conformi a quanto prescritto con l'ordinanza sindacale -OMISSIS- e sufficienti a scongiurare rischi per la sicurezza e l'incolumità pubblica, così da ritenere esaurita l'attività conformativa; parte ricorrente ha unitamente gravato, quali atti presupposti, connessi o comunque collegati, la comunicazione di avvio del procedimento del -OMISSIS- ed il verbale di sopralluogo del -OMISSIS-. Dopo ampia ricostruzione dei fatti intervenuti successivamente alla trattazione cautelare - cui per esigenze di sinteticità si rinvia - la parte ricorrente ha articolato due ulteriori motivi in diritto per: iv. violazione e falsa e/o errata applicazione degli artt. 1 comma 2 bis, 8 e 10, nonché 10 bis della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Ad avviso di parte ricorrente, la nota gravata avrebbe prodotto l'arresto del procedimento finalizzato all'emanazione di una nuova ordinanza atta ad individuare le misure realmente indispensabili a raggiungere le finalità di cui all'art. 54 TUEL, da adottarsi all'esito di un procedimento a istanza di parte (su richiesta della ricorrente -OMISSIS- del -OMISSIS-) ed avviato con comunicazione del -OMISSIS-. Tale procedimento sarebbe stato, inoltre, condotto in violazione delle garanzie partecipative, essendo mancata la comunicazione del preavviso di rigetto e del termine entro il quale far pervenire osservazioni; v. eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, non avendo il provvedimento gravato dato conto del crollo di un ulteriore porzione del tetto verso l'interno dell'edificio intervenuta medio tempore (segnalata dalla ricorrente) e dell'effettivo stato di degrado dello stabile e delle misure necessarie per che si sarebbero potuti accertare solo con un sopralluogo interno; si lamenta l'insufficienza delle misure apprestate per la messa in sicurezza. La parte ricorrente ha avanzato istanza istruttoria, affinché, mediante CTU o verificazione, venga accertata la congruità dell'istruttoria svolta e la sua coerenza con le norme tecniche ed i vigenti standards di perizia, prudenza e diligenza, nonché la perdurante sussistenza di uno stato di pericolo concreto ed attuale per la pubblica incolumità, altresì accertando se le misure in concreto adottate (posa in opera di mantovane) siano sufficienti ed adeguate a scongiurare, anche interinalmente, il predetto pericolo sotto ogni possibile profilo. 12. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione. 12.1. La parte ricorrente ha, in particolare, insistito sul gravissimo stato di degrado dell'immobile, documentato in atti e causato dall'omissione negli anni della necessaria manutenzione ordinaria e straordinaria da parte degli occupanti, e sulla necessità di interventi interni, previo adeguato sopralluogo, per scongiurare ulteriori crolli, che potrebbero coinvolgere gli edifici confinanti. 12.2. La difesa dell'Amministrazione ha ribadito che gli interventi ordinati con il provvedimento gravato non necessitavano, per la loro realizzazione, dell'accesso all'interno dell'immobile, evidenziando come gli stessi siano stati eseguiti medio tempore. La difesa comunale ha evidenziato che, nonostante lo stato di abbandono in cui l'immobile versa da anni, l'odierna ricorrente non ha promosso nei confronti dei presunti responsabili (occupanti) o obbligati alcuna azione innanzi alle sedi opportune, ossia innanzi al g.o., per far valere i diritti che le sono stati riconosciuti dalla sentenza n. -OMISSIS- e per recuperare il possesso dell'immobile, né per far constare lo stato dei luoghi (accertamento tecnico preventivo), né, infine, per scongiurare ulteriori ammaloramenti (denuncia di nuova opera, di danno temuto, etc.); al contrario, la parte ricorrente reclama che sia l'Autorità sindacale, nell'esercizio del potere extra ordinem attribuitole dall'art. 54, comma 4, del TUEL, ad ingiungere il ripristino (anche) degli interni dell'edificio ed a porre il corrispondente onere economico a carico dei soli asseriti occupanti (esclusa, cioè, la proprietaria unica in pectore) o, peggio ancora, ad eseguire i lavori in danno e con spese a gravare sul bilancio comunale, per poi avviare il recupero di quanto anticipato con esiti, in un quadro così confuso, affatto scontati. Alla luce dell'intervenuta realizzazione delle necessarie opere di messa in sicurezza - idonee a neutralizzare i rischi per l'incolumità pubblica - la difesa resistente ha eccepito l'improcedibilità del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse. La difesa comunale ha, altresì, eccepito l'inammissibilità del secondo atto per motivi aggiunti in quanto è stato gravato un atto privo di natura provvedimentale e di autonoma portata lesiva; per contestare il mancato nuovo esercizio da parte del Sindaco del potere di cui all'art. 54, comma 4, TUEL, i ricorrenti avrebbero dovuto eventualmente attivare lo speciale rimedio di cui agli artt. 31 e 117 cod. proc. amm. 12.3. La controinteressata ha eccepito la cessazione della materia del contendere, a fronte dell'intervenuto spontaneo adempimento all'ordinanza gravata. 12.4. La parte ricorrente ha diffusamente controdedotto alle eccezioni di controparte ed insistito in merito all'istanza istruttoria. 13. All'udienza pubblica del 23 luglio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente, deve trovare accoglimento l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla difesa del Ministero dell'Interno, risultando il provvedimento gravato comunque imputabile all'Amministrazione comunale. Difatti, secondo un orientamento giurisprudenziale cui questo Tribunale ha in passato già aderito (cfr. T.A.R. Umbria, 7 settembre 2022 n. 675), "l'imputazione giuridica allo Stato degli effetti dell'atto del sindaco ha natura meramente formale, restando il Sindaco incardinato nel complesso organizzativo dell'Ente locale, senza alcuna modifica del suo status (cfr., ex plurimis, Cons. Stato Sez. V, Sent., 06 maggio 2015, n. 2272; id., Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2221; id., 3 marzo 2009, n. 1209; id., 7 settembre 2007, n. 4718; id., 13 agosto 2007, n. 4448; id., sez. V, 17 settembre 2008 n. 4434)" (T.A.R. Piemonte, sez. I, 11 novembre 2019; Id., 25 luglio 2019, n. 837). 2. Occorre premettere alla disamina delle censure di parte ricorrente che, nelle more del presente giudizio, vi sono state ulteriori interlocuzioni tra l'Amministrazione comunale ed i destinatari della gravata ordinanza, con ulteriore sopralluogo congiunto, svoltosi in data -OMISSIS- come da verbale in atti (doc. 59 deposito di parte ricorrente), senza possibilità di accesso all'interno per i riscontrati rischi all'incolumità delle persone. L'ordinanza sindacale ha trovato ottemperanza, su iniziativa dei proprietari del subalterno 1 cui ha aderito la sig.ra -OMISSIS-, con la collocazione di mantovane a giunto tubo a monte e a valle dell'arco fra -OMISSIS- e -OMISSIS- secondo le modalità concordate con i tecnici comunali, con ultimazione dei lavori in data -OMISSIS-. Di tale intervenuta ottemperanza gli Uffici comunali hanno dato atto nella nota del -OMISSIS-, indirizzata al Sindaco del Comune di -OMISSIS-, nella quale si evidenzia, anche a seguito di un ulteriore sopralluogo effettuato in data -OMISSIS- per la verifica dello stato dei luoghi, "che le misure adottate da alcuni dei comproprietari sono conformi a quanto prescritto con l'ordinanza sindacale -OMISSIS- e sufficienti a scongiurare rischi per la sicurezza e l'incolumità pubblica", ritenendo pertanto che "non sussistono i presupposti e, tanto meno, la necessità di adottare ulteriori ordinanze contingibili e urgenti" e che "l'attività conformativa imposta dall'Ordinanza Sindacale n. -OMISSIS-può, pertanto, ritenersi conclusa". 2.1. A fronte delle vicende sopra richiamate, la difesa comunale ha eccepito l'improcedibilità del gravame, mentre la controinteressata -OMISSIS- ha sostenuto il venir meno della materia del contendere. Entrambe le eccezioni non possono trovare accoglimento. Fatte salve le ulteriori considerazioni che verranno svolte nel prosieguo, l'interesse di parte ricorrente non può ritenersi venuto meno - né tantomeno la materia cessata - in quanto l'esecuzione delle opere da parte di terzi non esclude, allo stato, un'azione in regresso, pro quota, nei confronti dei ricorrenti. 3. La richiamata nota -OMISSIS- è stata oggetto di impugnativa da parte dei ricorrenti con il secondo atto di motivi aggiunti, con riferimento ai quali la difesa comunale ha sollevato eccezione di inammissibilità per difetto di interesse, attesa la natura meramente endoprocedimentale della nota stessa. L'eccezione si presenta fondata in quanto l'atto si palesa privo di natura provvedimentale, trattandosi con ogni evidenza di un atto istruttorio in cui sono riportati gli esiti delle verifiche circa l'ottemperanza alla ordinanza sindacale gravata con il ricorso introduttivo. Non meritevole di condivisione risulta essere la qualificazione di parte ricorrente della nota citata quale atto di arresto di un procedimento ad istanza di parte asseritamente avviato con la richiesta della sig.ra -OMISSIS- del -OMISSIS-. In tale lunga nota, difatti, la ricorrente ha avanzato, da un lato, istanza di accesso agli atti - che risulta essere stata nelle more riscontrata, e che rimane comunque estranea all'oggetto del decidere - dall'altro, la richiesta di effettuazione di ulteriori sopralluoghi che comprendessero anche l'interno dell'edificio. Posto che non può in alcun modo configurarsi l'esercizio di poteri extra ordinem come esito di un procedimento ad istanza di parte, quella sollecitata risultava essere una mera attività istruttoria, la partecipazione alla quale risulta essere stata ampiamente garantita dall'Amministrazione (come da convocazione del -OMISSIS-). Il secondo atto di motivi aggiunti deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. 4. Può procedersi alla trattazione congiunta delle censure di cui al ricorso introduttivo ed al primo atto per motivi aggiunti, in quanto rivolte avverso il medesimo provvedimento. Le censure si presentano infondate per le considerazioni di seguito esposte. 4.1. Giova rammentare che il potere di adozione di ordinanze contingibili ed urgenti attribuito al Sindaco dall'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 è collegato alla sussistenza di presupposti stringenti di "a) straordinarietà (intesa come impossibilità di far luogo ad atti tipici e nominati preordinati alla gestione degli interessi coinvolti, come nella specie quelli disciplinati dal Codice della strada); b) urgenza (intesa come impossibilità di differire, senza pericolo di compromissione di quegli interessi, l'azione amministrativa, con il ricorso alle tempistiche ordinarie); c) imprevedibilità delle situazioni di pericolo; d) contingibilità (intesa come emergenza provvisoria ed improvvisa) sicché l'esercizio del potere presuppone l'esistenza, oltre che la sua puntuale indicazione nel provvedimento impugnato, di una situazione di pericolo, da intendersi quale ragionevole probabilità che accada un evento dannoso nel caso in cui l'Amministrazione non intervenga prontamente (cfr. ex multis C.d.S., sez. V, 22 marzo 2016, n. 1189; Id., III, 29 maggio 2015, n. 2697; Id., V, 23 settembre 2015, n. 4466, Id., 2 marzo 2015, n. 988)" (T.A.R. Umbria, 22 luglio 2021, n. 582). Pertanto, fermi restando gli oneri che l'ordinamento civile pone a carico dei proprietari di immobili (attribuendo al contempo agli stessi gli strumenti giuridici per la difesa dei propri diritti) ed ai quali non può essere chiamata a supplire l'Amministrazione comunale, lo strumento di cui all'art. 54 TUEL può essere legittimamente impiegato solo laddove e nella misura in cui lo stato dell'edificio costituisca un pericolo attuale per la pubblica incolumità . Nel caso che occupa con l'ordinanza sindacale n. -OMISSIS-, a fronte di una non contestata condizione di fatiscenza dell'immobile posto nel centro storico della frazione di -OMISSIS-, rilevato che "non si evidenziano particolari criticità di stabilità del fabbricato", ma che "il fabbricato suddetto, prospicente una strada pubblica, è di passaggio frequente, sia pedonale che veicolare, e quindi possa esserci pericolo per la privata e pubblica incolumità ", è stata ingiunta "la realizzazione di lavori di messa in sicurezza della copertura e delle facciate intonacate" in ragione dell'ammaloramento e del pericolo di caduta sulla pubblica via di coppi e porzioni di legno e malta/muratura. Il pericolo per la pubblica incolumità è stato individuato dall'Amministrazione, allo stato, come connesso unicamente al pericolo di distacco di materiali e alla caduta degli stessi sulla via pubblica. 4.2. Con il primo mezzo i ricorrenti - che non hanno mai rinunciato alla quota di proprietà, anzi si sono opposti all'usucapione ed hanno ottenuto, a seguito dello scioglimento della comunione ereditaria, che la ricorrente -OMISSIS- fosse assegnataria della proprietà dell'intero immobile - lamentano, in primo luogo, il difetto di legittimazione passiva, non avendo gli stessi possibilità di accesso all'immobile, da tempo occupato da terzi. La censura non è meritevole di accoglimento. Non ignora il Collegio il consolidato orientamento giurisprudenziale che, in materia di ordinanze contingibili e urgenti ex art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000, con riguardo all'individuazione del destinatario dell'ordine di eseguire i lavori indispensabili per eliminare il pericolo, individua nella disponibilità del bene in capo a tale soggetto la condizione logica e materiale indispensabile per l'esecuzione dell'ordine impartito (cfr. C.d.S., sez. II, 22 gennaio 2020 n. 536). La medesima giurisprudenza, tuttavia, evidenzia che "in presenza di una conclamata condizione di pericolo per l'incolumità pubblica, per la legittimità dell'ordine è sufficiente che il Comune provveda ad individuarne i destinatari in base alla situazione di fatto che si presenta nell'immediato, indipendentemente da ogni laboriosa e puntuale ripartizione, di fronte a più soggetti eventualmente obbligati, dei rispettivi oneri di concorso all'eliminazione dell'accertata situazione di pericolo (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 12 novembre 2008, n. 5310; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 20 dicembre 2001, n. 2493; T.A.R. Campania, Napoli, 3 febbraio 2004 n. 166). Il fatto che l'ordine di esecuzione dei lavori è legittimamente indirizzato al soggetto nella condizione di eliminare la situazione di pericolo lascia impregiudicata, perché estranea alla funzione del provvedimento contingibile e urgente, la diversa e successiva questione dell'accollo economico dei costi dell'intervento in capo ai soggetti responsabili" (C.d.S. n. 536 del 2020, cit.). Nel caso che occupa è necessario tenere in debita considerazione le peculiari circostanze in cui si colloca l'intervento comunale. Difatti - in disparte ogni considerazione circa la contraddittorietà della lamentata occupazione con lo stato di abbandono dell'immobile ammesso dagli stessi ricorrenti - gli interventi ordinati con il provvedimento gravato attenevano unicamente all'esterno dell'edificio, pertanto realizzabili senza necessità di accedere allo stesso. Tali interventi, quindi, ben potevano essere posti in essere anche dagli odierni ricorrenti; né poteva esigersi che il Sindaco dovesse, prima di intervenire, risolvere d'autorità l'annosa sottesa controversia tra eredi. 4.3. Parimenti infondate si presentano le censure attinenti alla violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale che, per pacifica giurisprudenza, non trovano applicazione alla fattispecie che occupa, "considerato che il presupposto per l'adozione dell'ordinanza contingibile è la sussistenza e l'attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l'incolumità pubblica e per l'igiene, a nulla rilevando che la situazione di pericolo sia nota da tempo, e quindi le regole procedimentali poste a presidio della partecipazione del privato, ex art. 7 della L. n. 241 del 1990, sono incompatibili con l'urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, che può aggravarsi con il trascorrere del tempo (Consiglio di Stato, sez. V, 1 dicembre 2014, n. 5919; 19 settembre 2012, n. 4968), a pena di svuotamento di effettività e particolare celerità cui la legge preordina l'istituto (cfr. Cons. Stato Sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5308)" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 11 luglio 2022 n. 4653; cfr. ex multis C.d.S., sez. V, 16 aprile 2019, n. 2495). 4.4. Parimenti destituito di fondamento si presenta il secondo mezzo del ricorso introduttivo in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, il provvedimento comunale riposa su una adeguata motivazione sopra richiamata, nella quale viene dato conto dei pericoli per la pubblica incolumità . 4.5. Alla luce delle suesposte considerazioni, si presenta altresì infondato il motivo introdotto con il primo atto per motivi aggiunti, con cui si lamenta il difetto di istruttoria in quando il mancato sopralluogo all'interno dell'unità immobiliare sub. 2 (dichiarata inagibile con la medesima ordinanza n. -OMISSIS-, sul punto non contestata) avrebbe impedito di verificare le eventuali variazioni apportate (anche ai fini della loro legittimità urbanistico-edilizia) nonché lo stato di occupazione dell'immobile e la responsabilità dello stato di degrado dello stesso. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, "ai fini dell'adozione di un'ordinanza contingibile ed urgente, non rileva l'eventuale imputabilità soggettiva delle cause che abbiano ingenerato la situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere in quanto l'atto è diretto ad assicurare l'immediata tutela del bene pubblico dell'incolumità delle persone. Dunque, l'adozione della misura prescinde dall'accertamento delle responsabilità della provocazione del pericolo, poiché l'ordinanza sindacale, come si è chiarito in giurisprudenza, non ha natura sanzionatoria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 9 novembre 1998 n. 1585; Sez. IV, 25 settembre 2006, n. 5639; Sez. V, 26 maggio 2015, n. 1260; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 27 marzo 2000 n. 813; Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 678). In definitiva, ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell'attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, di tal che quest'ultimo prescinde dall'individuazione della responsabilità aquiliana in capo a chi abbia causato la situazione di pericolo, eventualmente da accertarsi in sede giurisdizionale" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 7 ottobre 2020, n. 4313; cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 24 maggio 2023, n. 1205). Dette ordinanze, pertanto, non hanno la finalità di attribuire responsabilità o di sanzionare comportamenti illegittimi, ma piuttosto quella di fronteggiare con immediatezza una situazione di natura eccezionale e imprevedibile oppure una condizione di pericolo concreto di un danno grave e imminente al momento dell'adozione del provvedimento, anche a prescindere dall'eventualità che la situazione emergenziale fosse sorta in epoca antecedente. Come già evidenziato, l'ordinanza sindacale gravata, nelle more ottemperata, è stata adottata unicamente allo scopo di scongiurare il pericolo di caduta di materiali derivanti dal fabbricato sulla pubblica via, né dai successivi accertamenti è emersa la sussistenza di ulteriori fonti di pericolo. L'Amministrazione comunale non era, pertanto, onerata di effettuare le approfondite sulla situazione interne dello stabile, in quanto non ritenuta dai tecnici fonte di imminente pericolo per la pubblica incolumità . Difatti, all'esito dei sopralluoghi effettuati in contraddittorio ed esaminati i contributi tecnici forniti dalle parti (relazioni dell'ing. -OMISSIS- e dell'ing. -OMISSIS-) i tecnici comunali hanno ritenuto "che le attuali condizioni dell'immobile ed, in particolare, delle parti di detto immobile prospicenti la viabilità pubblica... non presentano rischi diversi o ulteriori per l'incolumità e la sicurezza pubblica rispetto a quelli presi in esame... tali da legittimare e giustificare l'adozione di un ulteriore provvedimento contingibile e urgente" inoltre, successivamente agli interventi di installazione delle protezioni per la caduta di materiale dall'alto (mantovane), "il tecnico di fiducia del Comune di -OMISSIS- ha eseguito ad abundantiam un ulteriore sopralluogo in data -OMISSIS-, accertando e avendo conferma che le condizioni dell'immobile non sono mutate si da chiedere ulteriori interventi" (cfr. nota Area tecnica del -OMISSIS-). Anche dal progetto preliminare predisposto dell'ing. -OMISSIS- su incarico del Comune (doc. 49 della produzione di parte resistente) emerge che lo stato di ammaloramento dell'edificio non si pone, per quanto attiene al rischio crollo, come attuale pericolo per la pubblica incolumità (salva l'ipotesi di sollecitazioni eccezionali come le azioni sismiche), sebbene non sia da escludere in futuro una più complessiva compromissione della stabilità dello stesso come ulteriore esito dello stato di abbandono dello stesso. Pertanto, fermo restando il potere/dovere del Comune di attivarsi in caso di pericolo attuale per la pubblica incolumità, la necessità un sopralluogo interno - anche in considerazione dei rischi connessi - è stata ragionevolmente esclusa allo stato dai tecnici comunali. 5. In conclusione, per quanto esposto, il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti devono essere rigettati, mentre i secondi motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo; spese compensate nei riguardi del Ministeri dell'Interno. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui successivi motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, previa estromissione del Ministero dell'Interno: a) rigetta il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti; b) dichiara inammissibili i secondi motivi aggiunti. Condanna la parte ricorrente alla refusione delle spese di giudizio in favore del Comune di -OMISSIS- e della controinteressata -OMISSIS-, complessivamente liquidate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) ciascuno, oltre oneri e accessori di legge; spese compensate nei riguardi del Ministero dell'Interno e delle altre parti non costituite in giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Vista la richiesta dell'interessato e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare i ricorrenti e le altre persone fisiche citate in sentenza. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 989 del 2023, proposto da Società Agricola Qu. Società Semplice di Ca. e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Lu. Fa., Cr. Fe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); per l'annullamento del provvedimento del Comune di Comune di (omissis) - Responsabile Settore Suape, Urbanistica ed Edilizia - del 21.04.2023, notificato a mezzo pec il 21.04.2023, con il quale il Comune ha dichiarato "l'inefficacia della Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA) presentata in data 06.04.2023 prot. 12647 dal sig. Ca. Ma., in qualità di legale rappresentante della Società Agricola Qu. Società Semplice". Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Società Agricola Qu. è proprietaria nel Comune di (omissis) di due fabbricati regolarmente autorizzati, l'uno destinato a fienile e l'altro a rimessa attrezzi, entrambi utilizzati nell'allevamento di bovini ivi condotto. In data 30 agosto 2022 la Polizia Locale di Bastia Umbra ha effettuato un sopralluogo nel sito aziendale, all'esito del quale è stato redatto il verbale n. 53/2022, nel quale si contestava "il mutamento della destinazione d'uso sui due fabbricati sopra descritti, in assenza della preventiva Comunicazione d'Inizio lavori Asseverata", in quanto entrambi i manufatti di cui sopra venivano utilizzati come stalle per ricovero dei bovini. 2. Il Comune, con ordinanza n. 15 del 15 febbraio 2023, in considerazione del fatto che "l'art. 155 comma 4 della L.R. n. 1/2015 stabilisce che il diverso utilizzo dell'edificio, qualora non comporti il passaggio tra le categorie funzionali non costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso"; e che "il comma 8 dello stesso art. 155 stabilisce che il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è soggetto alla preventiva comunicazione di cui all'art. 118, commi 2 e 3 nel rispetto delle condizioni di cui al medesimo art. 118, commi 4, 5 e 6", e accertato altresì che la destinazione d'uso di entrambi gli edifici è quella "rurale", riteneva che il mutamento della destinazione d'uso, avvenuto all'interno della stessa categoria, non fosse soggetto a SCIA o a permesso di costruire. Nondimeno, considerato che i suddetti interventi erano stati eseguiti in assenza della CILA, applicava la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 1.000,00 ed ordinava la rimozione delle opere che avevano determinato la modifica della destinazione d'uso ed il ripristino dell'originario stato dei luoghi. La società Qu. provvedeva regolarmente al pagamento, quindi in data 06 aprile 2023 inoltrava al Comune di (omissis) Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata corredata dei pareri favorevoli della competente USL Umbria 1, per regolarizzare tale mutamento di destinazione d'uso, che concretamente veniva fatto risalire al 2000- 2001. 3. Senonchè il Comune di Bastia, con provvedimento notificato il 21 aprile 2023, comunicava l'inefficacia della CILA presentata dall'azienda agricola il 6 aprile precedente, invitandola a ricondurre gli immobili alla destinazione originaria, in quanto "l'art. 113 del Regolamento Comunale di Igiene, approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 17/04/2008 e s.m.i., che stabilisce le distanze delle stalle di nuova realizzazione o ampliamenti ed in particolare il punto c) per allevamenti superiori a 100 capi animali definisce tra l'altro le distanze minime di 200 metri da abitazioni altrui e 1000 metri dal centro abitato", chiarendo altresì che "da una verifica effettuata emerge che gli immobili in questione sono ubicati a distanze inferiori rispetto a quanto prescritto dal sopra citato Regolamento Comunale di Igiene". Il successivo 22 agosto 2023 funzionari della Polizia locale si sono recati in loco al fine di verificare l'ottemperanza della ricorrente a quanto prescritto nell'ordinanza 15/23 ed hanno redatto verbale in cui accertavano che entrambi i fabbricati erano tuttora adibiti a stalle ed ospitavano rispettivamente 34 e 40 bovini adulti, per un totale di 74 capi. 4. La Società Qu. ha proposto ricorso straordinario al capo dello Stato avverso tale ultimo provvedimento il 16 agosto 2023; a seguito di rituale istanza di trasposizione del Comune di (omissis), la ricorrente si è infine costituita avanti a questo T.A.R. in data 5 dicembre 2023, insistendo per l'accoglimento dei seguenti motivi di impugnazione. 4.1. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta e violazione del principio di affidamento. Il provvedimento impugnato sarebbe in contraddizione con l'ordinanza n. 15/23, che aveva riconosciuto l'ammissibilità del mutamento di destinazione entro la medesima categoria funzionale previa CILA, ed aveva dunque fatto sorgere l'affidamento della ricorrente circa l'assentibilità di tale operazione. 4.2. Violazione di legge per difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. La dichiarazione di inefficacia della CILA presentava una motivazione gravemente carente, in quanto, - a parte il richiamo all'art. 113 del Regolamento comunale di Igiene nella parte in cui fissava le distanze minime dei nuovi allevamenti in 200 metri dalle abitazioni altrui e in 1000 metri dal centro abitato - non precisava quanti erano i capi effettivamente detenuti nella stalla gestita dalla ricorrente, né quando sarebbero state effettuate le misurazioni delle effettive distanze e quali fossero in concreto. 4.3. Violazione di legge. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, carenza dei presupposti, inadeguatezza ed illogicità, difetto di ponderazione e di proporzionalità, sviamento di potere. Il provvedimento impugnato, qualificabile come diniego di CILA sarebbe nullo perché si tratterebbe di un potere non previsto dall'ordinamento e comunque esercitato in violazione dell'art. 6 bis del D.P.R. 380/01, che vieterebbe il controllo di ammissibilità del comune rispetto ad un atto sostanzialmente privatistico; inoltre la presentazione di una CILA in sanatoria (o tardiva), non diversamente da un ordinario accertamento di conformità, avrebbe determinato la caducazione della precedente ordinanza 15/23, che quindi non poteva più costituire idoneo fondamento per l'ordine di rimessione in pristino reiterato nella dichiarazione di inefficacia della CILA. 4.4. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà manifesta, assenza e insufficienza della motivazione e sua contraddittorietà, difetto dei presupposti ed ingiustizia manifesta. Il provvedimento impugnato è illegittimo perché non preceduto dal preavviso di rigetto; non poteva trovare applicazione all'ipotesi contestata il vigente Regolamento comunale di igiene, approvato nel 2008 (e quindi ad interventi già effettuati) ed anche per tale motivo la norma di riferimento non poteva comunque essere l'art. 113 - che si applica alle stalle di nuova realizzazione o agli ampliamenti - bensì l'art. 114 che disciplina le stalle già esistenti e le esonera dal rispetto delle distanze di cui all'articolo precedente. 5. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), che ha rivendicato la correttezza dell'applicazione del Regolamento di igiene attualmente vigente e nello specifico dell'art. 113 sulla base del principio tempus regit actum, che impone di guardare alla normativa vigente all'atto dell'autorizzazione, laddove le stalle non erano mai state autorizzate ma solo realizzate in via di fatto. Inoltre la CILA presentata dalla ricorrente non poteva avere effetto sanante proprio per la contrarietà alla disciplina igienico - sanitaria; e comunque l'ordinanza n. 15/23, lungi dal fondare l'affidamento della società agricola all'assentibilità dell'intervento aveva ordinato la rimessione in pristino. 6. La domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati è stata accolta con ordinanza n. 4 del 10 gennaio 2024 al fine di mantenere la res adhuc integra. 7. Dopo il deposito di memorie conclusionali, all'udienza pubblica del 23 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Il ricorso è fondato nella parte in cui lamenta il difetto di istruttoria e di adeguata motivazione a fondamento del provvedimento di dichiarazione di inefficacia della CILA. Segnatamente, come argomentato nel secondo motivo di impugnazione, il Comune di Bastia Umbria ha ritenuto di non poter assentire il mutamento di destinazione da fienile e rimessa attrezzi a stalle dei due manufatti contestati, oltre che facendo richiamo alla precedente ordinanza di rimessione in pristino n. 15 del 2023 - non superata dalla CILA successiva -, adducendo una motivazione nuova, non emergente dagli atti o sopralluoghi precedenti, ovvero l'asserita violazione da parte delle due stalle delle distanze minime individuate dal Regolamento comunale di igiene vigente. 8.1. Va premesso che il Regolamento di igiene applicabile alla fattispecie in contestazione è sicuramente quello vigente, ad onta dell'avvenuta approvazione di quest'ultimo soltanto nel 2008: è proprio il rispetto del principio del tempus regit actum - secondo cui i provvedimenti devono conformarsi alla normativa dell'epoca della loro emanazione e non già a quella della presentazione dell'istanza o dell'apertura del procedimento - che impone di ritenere applicabile il regolamento vigente al momento della "legittimazione" del mutamento di destinazione d'uso, restando irrilevante che quest'ultimo fosse stato in via di fatto già realizzato (nel 2000- 2001 tale mutamento di destinazione, operato al di fuori di ogni formalità non era stato certamente sottoposto ad alcun controllo, neppure sotto il profilo igienico - sanitario). Per lo stesso motivo deve ritenersi correttamente applicabile l'art. 113 del Regolamento comunale, riservato alle stalle di nuova realizzazione o agli ampliamenti, piuttosto che l'art. 114, che si occupa delle distanze delle stalle esistenti ovvero "regolarmente autorizzate conformemente al Regolamento di igiene vigente al momento": infatti le stalle della società Qu., prima dell'accertamento del mutamento di destinazione erano esistenti solo in fatto ma non formalmente, quindi non potevano ritenersi autorizzate in conformità al Regolamento di igiene allora vigente. 8.2. Ciò premesso, l'Amministrazione correttamente riteneva di applicare l'art. 113 del già citato Regolamento, ma ciò faceva in assenza di adeguata istruttoria, o quantomeno senza aver dato adeguatamente atto delle relative risultanze nel provvedimento impugnato. Innanzitutto il presupposto di applicabilità del richiamato art. 113, lettera c), è un allevamento con capacità superiore a 100 capi, e tale dato è affermato dal Comune in riferimento alle stalle della ricorrente senza fornire alcun elemento di fatto a supporto. Anzi, dal verbale di inottemperanza dell'ordinanza 15/23, redatto il 22 agosto 2023 - ovvero circa 3 mesi dopo la dichiarazione di inefficacia della CILA - è la stessa polizia locale a riscontrare la presenza di soli 74 bovini nelle due stalle. Né maggiore chiarezza deriva dalla relazione depositata in atti da parte ricorrente in data 10 giugno 2024, nella quale si afferma che dalla fondazione della società, avvenuta negli anni Novanta, le stalle gestite dalla ricorrente hanno avuto una costante diminuzione di capi - circostanza che non è cambiata con la destinazione a stalle dei due manufatti contestati - risultando da registro di stalla circa 172 capi. 8.3. Non solo. Premessa l'incertezza del numero di capi, da cui deriverebbe la potenziale applicabilità della lettera b) invece che della c) (che invece delle distanze di 200 metri da abitazioni altrui e di 1000 metri dal centro abitato, impone rispettivamente solo 100 metri dalle abitazioni e 200 dai centri abitati), non vi è adeguata prova neppure delle distanze effettive intercorrenti tra le stalle ed i recettori di riferimento. In motivazione si dà soltanto atto che in una occasione non ben precisata sarebbe stata effettuata una verifica da cui risulterebbe il mancato rispetto delle distanze regolamentari, senza tuttavia riportare alcun dato numerico a supporto. E' evidente l'insufficienza della motivazione a fondamento del provvedimento impugnato, che ne impone l'annullamento (fermo restando il potere dell'Amministrazione di adottare ulteriori provvedimenti). 9. L'accoglimento della censura consente di soddisfare l'interesse azionato e di omettere un approfondito esame degli altri motivi di ricorso. In ogni caso, riguardo ad essi, valgano le considerazioni che seguono. 10. Innanzitutto è infondato il terzo motivo di ricorso laddove assume che la dichiarazione di inefficacia della CILA sarebbe nulla perché l'attività edilizia soggetta a CILA sarebbe integralmente libera e quindi sottratta al controllo del Comune. 10.1. Il Consiglio di Stato, nel parere reso il 4 agosto 2016, n. 1784, ha qualificato la c.i.l.a. come "un istituto intermedio tra l'attività edilizia libera e la s.c.i.a.", ascrivibile, al pari del secondo, al genus della liberalizzazione delle attività private. In particolare, si è osservato, la c.i.l.a. ha carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili a quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 D.P.R. n. 380/2001 e riguardanti, rispettivamente, l'edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a.. Si tratta inoltre di un atto avente natura privatistica, come tale sicuramente non suscettibile di autonoma impugnazione (cfr. T.A.R. Catania, Sez. I, 16 luglio 2018, n. 1497). Operando un raffronto con la s.c.i.a., inoltre, il Consiglio di Stato, nel menzionato parere, ha rilevato inoltre che "l'attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall'amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio", conseguendo da ciò che "ci si trova... di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)". 10.2. Tuttavia non discende da quanto sopra che l'attività soggetta a CILA sia sottratta ad ogni controllo, giacchè in materia edilizia la P.A. è titolare, "sulla scorta del regime giuridico di cui all'art. 27, D.P.R. n. 380/2001, (di) un potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis, D.P.R. n. 380/2001 (cfr. Consiglio di Stato, Commissione speciale, cit.). In ragione di quanto evidenziato, quindi, la c.i.l.a. inoltrata dal privato alla P.A. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell'intervento da parte dell'Amministrazione comunale ma, al contempo, a quest'ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell'immobile oggetto di c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia. "(T.A.R. Veneto, sez. II, 17 settembre 2021, n. 1101, nonché, conformi, e T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 06 giugno 2022, n. 517, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 11 luglio 2022, n. 4625). Dunque il regime semplificato cui è assoggettato il mutamento di destinazione d'uso di un immobile all'interno della medesima destinazione funzionale non esonera tout court l'interessato dalla potestà di vigilanza dell'Amministrazione: il controllo comunale non è dunque di ammissibilità preventiva ma di conformità successiva. In questo senso il Comune di (omissis) allorchè notificava la dichiarazione di inefficacia della CILA per contrasto con la normativa regolamentare comunale stava esercitando un potere legittimamente conferitogli dall'Ordinamento. 10.3. Peraltro come correttamente ricordato dalla difesa comunale l'art. 118 co.5 della L.R 1/2015 subordina l'ammissibilità degli interventi soggetti a mera CILA al rispetto delle "normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia, ivi comprese quelle che prevedono l'acquisizione di pareri, assensi, nulla-osta, autorizzazioni comunque denominati e in particolare, delle norme antisismiche, come previsto all'articolo 114, comma 11, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative alla efficienza energetica, nonché delle disposizioni contenute nel d.lgs. 42/2004 e nell'atto di indirizzo di cui all'articolo 248, comma 1, lettere b) e g), nonché gli eventuali adempimenti fiscali e tributari, compresi gli atti di aggiornamento catastale nei termini di legge". In altri termini il mutamento di destinazione d'uso non è consentito in ogni caso, ma solo ove non contrasti con le disposizioni degli strumenti urbanistici comunali, prevedendo una riserva espressa in favore delle fonti regolamentari, le quali pertanto si impongono anche sulle norme di legge e in senso restrittivo, vietando interventi con le stesse contrastanti. 11. Del resto, se la CILA può essere dichiarata inefficace per contrasto con la disciplina edilizia, oltre che con altre discipline di settore, deve rigettarsi altresì l'argomento che la sua presentazione abbia l'effetto di caducare automaticamente il precedente provvedimento sanzionatorio degli abusi: indipendentemente dall'esito che avrà il riesercizio del potere da parte dell'Amministrazione, non sarebbe comunque la presentazione della CILA in sé ad incidere sull'efficacia dell'ordinanza 53/23, che nel caso di specie non è stata neppure impugnata dalla parte ricorrente nella parte in cui ordinava la rimessione in pristino dell'originaria destinazione dei manufatti. 12. Nel caso de quo peraltro deve escludersi altresì la denunciata contraddittorietà tra la predetta ordinanza 53/10 e la dichiarazione di inefficacia della CILA: in realtà entrambi i provvedimenti, sia pur sulla base di motivazioni parzialmente diverse, si pongono sullo stesso solco, intendendo denegare l'ammissibilità di un intervento effettuato in mancanza di una CILA preventiva. Per lo stesso motivo non poteva sorgere alcun legittimo affidamento sulla assentibilità dell'intervento dall'ordinanza di rimessione in pristino, che in realtà forniva alla ricorrente precise indicazioni di segno contrario. 13. Per quanto esposto, il ricorso deve essere accolto, con annullamento del provvedimento impugnato. Le spese di giudizio possono essere compensate, in considerazione della particolarità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 686 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. Do., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. To., Pa. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ma. To. in Roma, viale (...); contro Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale dell'Umbria - A.R.P.A. Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Amici, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ga. Pi., rappresentata e difesa dall'avvocato Ch. Eg. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Va. St., ed altri, non costituiti in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento di mancata ammissione della ricorrente alla prova orale del "Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di n. 1 dirigente chimico - ruolo tecnico - ccnl funzioni locali - da assegnare a Dipartimento Territoriale Umbria sud di Arpa - sede di Terni - cod. p12", nonché, occorrendo, e nei limiti dell'interesse della ricorrente, di ogni provvedimento, anche di estremi non noti, presupposto, consequenziale o comunque connesso, con particolare, ma non esclusivo, riferimento: all'avviso pubblicato sul sito istituzionale dell'ARPA Umbria in data 8 giugno 2023, recante "elenco dei candidati ammessi alla prova orale"; del "verbale relativo a tutte le sedute svolte" dalla Commissione esaminatrice, firmato digitalmente in data 20 giugno 2023, con particolare riferimento alle operazioni di fissazione dei criteri di valutazione dei titoli, nonché di valutazione dei titoli stessi; di fissazione dei criteri di svolgimento e di valutazione delle prove scritta e teorico-pratica; di valutazione dei risultati della prova teorico-pratica; di ammissione dei candidati alla prova orale; di fissazione delle modalità di svolgimento e di valutazione della prova orale, verbalizzati nella prima, seconda, terza, quarta, settima e ottava seduta; della graduatoria finale di merito pubblicata sul sito istituzionale dell'ARPA Umbria in data 22 giugno 2023, nella parte in cui non comprende il nominativo della ricorrente; in subordine, ove occorresse, della Determinazione del Direttore generale di ARPA Umbria, n. 198 del 4 aprile 2023, di nomina della Commissione esaminatrice, in una con ogni atto presupposto o comunque connesso. Per quanto riguarda i motivi aggiunti: - della Determinazione del Direttore Generale dell'ARPA Umbria, n. 41 del 6 febbraio 2024 e degli atti connessi; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di A.R.P.A. Umbria e di Ga. Pi.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Dott.ssa Ca. Do. impugna l'esito negativo della prova teorico- pratica del "concorso pubblico, per titoli ed esami, per l'assunzione a tempo pieno ed indeterminato di n. 1 dirigente chimico da assegnare all'ARPA Umbria, sede di Terni", e la conseguente mancata ammissione alla successiva prova orale, pubblicata sul sito web dell'ARPA in data 08 giugno 2023. Il concorso in oggetto si è articolato in una prima prova scritta, tenutasi il 24 maggio 2023, una successiva prova teorico-pratica, svolta il 7 giugno 2023, ed infine nella prova orale, svoltasi in data 19 giugno 2023. La partecipazione alla prova teorico- pratica e a quella orale era riservata ai soli candidati che avessero superato le prove precedenti, conseguendo il punteggio minimo di 21/30. 2. La ricorrente ha superato la prima prova scritta con il punteggio di 21/30, mentre alla successiva prova teorico-pratica ha ottenuto la votazione di soli 15/30, pertanto non è stata ammessa alla prova orale. Con Determina n. 315 del Direttore Generale di ARPA del 22 giugno 2023 è stata approvata la graduatoria finale di merito ed è stata dichiarata vincitrice la prima classificata, Ga. Pi.. Il successivo 3 luglio 2023 ARPA ha stipulato con la controinteressata Ga. Pi. il contratto di conferimento dell'incarico dirigenziale. 3. La Sig.ra Dominici ha impugnato la mancata ammissione alla prova orale e i successivi esiti della procedura selettiva, oltre ai verbali di riunione della Commissione Giudicatrice in cui sono stati fissati i criteri di valutazione delle prove, quelli in cui sono stati valutati i titoli dei concorrenti, ed infine i verbali di valutazione della prova teorico - pratica da cui è derivata la sua esclusione. 3.1. Con un primo articolato motivo di ricorso si è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 7 e 8 del D.P.R. n. 483 del 1997, dell'art. 3 del D.P.R. 487 del 1994, nonché del Regolamento per l'accesso agli impieghi dell'ARPA: sarebbe mancata la comunicazione individuale ai concorrenti di superamento delle singole prove e non sarebbe stato rispettato il termine dilatorio di 15 giorni tra una prova e l'altra. Infine sarebbe stato pubblicato l'elenco degli ammessi alla prova pratica ed a quella orale senza l'indicazione del punteggio che i candidati avevano ottenuto alla prova precedente. 3.2. Con il secondo motivo si è denunciata la violazione degli artt. 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16 del D.P.R. n. 483 del 1997 e del Regolamento per l'accesso agli impieghi dell'ARPA, il difetto di istruttoria e di motivazione, oltreché dei principi di trasparenza e imparzialità nonché di collegialità della valutazione. Innanzitutto si sostiene l'insufficienza del punteggio numerico a costituire idonea motivazione dell'elaborato pratico in presenza di criteri di valutazione assolutamente generici ed indeterminati, anche in considerazione della carente trasparenza della procedura, derivante dalla mancata specificazione dei singoli voti attribuiti da ciascun Commissario nella correzione dell'elaborato. Inoltre sarebbe erronea la valutazione attribuita dalla Commissione ai titoli di servizio di due concorrenti (segnatamente la vincitrice e Mara Galletti), le quali ottenevano entrambe più di 14 punti nei titoli di carriera, ad onta della previsione dell'art. 6 del bando che fissava il punteggio massimo per tale categoria in 10 punti; risultava inoltre mancante l'indicazione del punteggio attribuito nell'ambito del curriculum professionale all'incarico di posizione organizzativa. 3.3. Infine, in via subordinata, si asserisce la violazione dell'art. 45 del D.P.R. n. 483 del 1997, nonché del Regolamento per l'accesso agli impieghi dell'ARPA quanto all'illegittima composizione della Commissione esaminatrice, in cui uno dei componenti non era in possesso della qualifica richiesta dalla lex specialis, precisando tuttavia che tale motivo veniva proposto non già in un'ottica demolitoria dell'intera procedura, bensì soltanto quale dimostrazione dell'inattendibilità della valutazione ottenuta dalla ricorrente e della sua meritevolezza di essere riammessa nella procedura selettiva. La ricorrente ha presentato altresì domanda incidentale di sospensione degli atti impugnati specificando che il suo interesse non riguardava soltanto la vincita del concorso in oggetto ma anche l'eventuale collocamento quale idonea in graduatoria, da cui altri Enti potrebbero attingere entro 2 anni dalla pubblicazione, come previsto per legge. 4. Si sono costituite in giudizio l'ARPA e la controinteressata, che hanno proposto difese sostanzialmente conformi. Sul primo motivo si è evidenziato che alla luce delle previsioni di bando risultava legittima la pubblicazione sul solo sito internet dell'Amministrazione - in sostituzione della comunicazione individuale - di tutte le notizie inerenti il concorso; quindi in merito al difetto di motivazione si è richiamato l'orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario quanto alla sufficienza del punteggio numerico nelle selezioni pubbliche; infine quanto al terzo motivo se ne è eccepita l'inammissibilità per genericità . 5. Con ordinanza n. 133 del 12 ottobre 2023 il Tar Umbria, ritenuta "la assoluta genericità dei criteri di valutazione fissati dalla Commissione Esaminatrice per le prove scritte e teorico- pratiche, genericità che non consente di ritenere quale valutazione idonea il solo voto numerico, in assenza di altri indici motivazionali (cosi, di recente, Consiglio di Stato sez. II, 27.04.2023, n. 4247)", ha sollecitato l'Amministrazione a riconvocare la Commissione di concorso al fine di procedere "all'integrazione delle valutazioni degli elaborati della seconda prova (teorico-pratica), della ricorrente e degli altri candidati poi risultati vincitori o comunque inseriti nella graduatoria finale, con annotazioni o giudizi idonei a consentire il sindacato giurisdizionale sulla correttezza del punteggio numerico assegnato", contestualmente fissando l'udienza di merito per il 23 luglio 2024. 6. ARPA Umbria ha quindi riconvocato la Commissione di Concorso, che nella riunione del 13 novembre 2023 ha riaperto le buste degli elaborati relativi alla prova teorico- pratica e ha provveduto ad integrale rilettura degli stessi, attribuendo poi a ciascuno un giudizio analitico a corredo di quello sintetico già espresso precedentemente. Con Determina del Direttore Generale n. 41 del 06 febbraio 2024 l'Amministrazione ha preso atto delle motivazioni analitiche a sostegno delle votazioni numeriche ed ha comunque confermato gli esiti della selezione già raggiunti in precedenza. 7. La Sig.ra Dominici ha impugnato con atto di motivi aggiunti il verbale e la determina di presa d'atto dell'ulteriore fase procedimentale articolando due ulteriori motivi di impugnazione. 7.1. Con il primo, richiamando i parametri normativi già assunti come violati nel ricorso introduttivo, si sono introdotte censure in parte dubitative sull'effettività dell'esperimento della nuova valutazione in sede collegiale, dato che la riunione della Commissione sarebbe avvenuta il 13 novembre 2023, e gli allegati con le valutazioni analitiche sono stati depositati su foglio separato, non timbrato e non firmato, ed entrambi i documenti sono stati depositati in giudizio solo il 7 febbraio, quasi 4 mesi più tardi. Inoltre la Commissione nella modalità di correzione avrebbe travisato le indicazioni di questo Collegio in quanto si sarebbe limitato a corredare gli elaborati già corretti di una motivazione postuma, senza individuare più stringenti criteri di valutazione e senza dar conto, ancora una volta, della valutazione operata dai singoli Commissari. 7.2. Con il secondo motivo si è contestata la nuova valutazione effettuata dai Commissari dell'elaborato della ricorrente, ritenendola inattendibile e contraddittoria con particolare riferimento al quesito 2, che la Commissione ha ritenuto dotato di "sufficiente chiarezza espositiva e sufficiente capacità di sintesi" dando in buona sostanza un giudizio positivo, salvo poi affermare che l'elaborato sarebbe carente nella parte in cui "si focalizza unicamente sui contaminanti analizzabili a seguito di incendio e sui corrispondenti valori di riferimento normativi, descrivendo le relative tecniche analitiche." 8. In vista della pubblica udienza di discussione del ricorso le parti si sono scambiate documenti, memorie e repliche. La parte pubblica ha depositato copia firmata dai singoli Commissari dei giudizi analitici sulle prove teorico- pratiche, mentre la ricorrente ha depositato copia integrale del proprio elaborato, di quello della vincitrice del concorso e della seconda classificata Va. St., richiamando in memoria l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. non dovrebbe limitarsi al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì dovrebbe estendersi alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo, invitando implicitamente il Collegio ad esercitare un sindacato pieno sulla correttezza delle valutazioni della Commissione esaminatrice. La parte pubblica e la controinteressata hanno invece eccepito l'insindacabilità delle valutazioni delle Commissioni concorsuali che riposa sul limite che incontra la potestas iudicandi del Giudice Amministrativo circa la possibilità di esercizio di un sindacato sostitutivo; per il resto hanno contestato partitamente le censure della ricorrente. Alla pubblica udienza del 23 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Il ricorso è in parte improcedibile in ragione dell'avvenuta adozione di nuovi provvedimenti, poi impugnati con motivi aggiunti, ed in parte infondato. 10. Per ragioni di ordine logico devono essere esaminati prioritariamente il secondo motivo del ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti, che riguardano il segmento procedimentale successivo all'ordinanza cautelare n. 133 del 2023, avendo esplicitato la ricorrente di avere prioritario interesse all'utile collocamento in graduatoria. Le rimanenti censure verranno dunque esaminate secondariamente, essendo suscettibili di divenire improcedibili per difetto interesse nel caso di riscontrata infondatezza dei motivi di ricorso che mirano a rimettere in gioco la ricorrente e conseguentemente sovvertire la graduatoria. 11. A seguito della ritenuta fondatezza della censura di insufficienza motivazionale del solo punteggio numerico in presenza della riscontrata genericità dei criteri di valutazione degli elaborati scritti (che nella seduta del 27 aprile 2023 venivano fissati in "conoscenza dell'argomento proposto, chiarezza dell'atto elaborato, livello raggiunto nella soluzione del problema") la Commissione è stata invitata ad integrare la valutazione con giudizi analitici che consentissero di ricostruire le ragioni di un determinato punteggio assegnato in riferimento a criteri di valutazione eccessivamente ampi. All'esito della rilettura dell'elaborato della ricorrente- che aveva ottenuto il punteggio insufficiente di 15/30 - le veniva attribuita la seguente valutazione analitica: "Del tutto insufficiente e carente la descrizione delle attività di gestione delle emergenze e del coordinamento con gli altri enti coinvolti, come anche delle ripercussioni sulla catena alimentare locale. Si focalizza unicamente sui contaminanti analizzabili a seguito di incendio e sui corrispondenti valori di riferimento normativi, descrivendo le relative tecniche analitiche. Sufficiente chiarezza espositiva e sufficiente capacità di sintesi.". 12. Entrambi i motivi di impugnazione contenuti nell'atto di motivi aggiunti non possono essere condivisi. 12.1. Sono innanzitutto infondate le censure - contenute nel primo motivo aggiunto - di carattere metodologico sui lavori della Commissione che, lungi, dall'aver effettuato una semplice motivazione postuma degli elaborati, ha provveduto ad effettuare una rivalutazione di tutti gli elaborati, da cui è scaturita una motivazione analitica, che chiaramente sarebbe stata impossibile se la Commissione si fosse limitata a fornire una mera giustificazione a posteriori ai voti numerici già assegnati. Parimenti è evidente che a posteriori, ed a prove già svolte, non era possibile modificare i criteri di valutazione, ma in ogni caso i giudizi analitici stesi dalla Commissione appaiono idonei a ricostruire l'iter logico seguito ed a supportare l'obbligo motivazionale che deve assistere gli esiti delle prove concorsuali. 12.1.1. Del tutto infondata è la censura di mancata verbalizzazione dei singoli voti o giudizi assegnati da ciascun Commissario, incombente che non è imposto da alcuna norma di legge né dal Regolamento di settore dell'ARPA, anche posto che "le modalità di formazione del voto hanno un mero rilievo interno e che l'unico dato che assume rilievo esterno è il voto finale, quale sintesi di tutto l'iter compiuto e della valutazione effettuata, mentre, ai fini della validità degli atti posti in essere dalla Commissione giudicatrice in merito alla assegnazione dei voti, è sufficiente la verbalizzazione del punteggio complessivo attribuito al singolo candidato, attestante l'intero procedimento di valutazione [...]gli apprezzamenti dei commissari sono quindi destinati ad essere assorbiti nella decisione collegiale finale, costituente momento di sintesi della comparazione e composizione dei giudizi individuali (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2019, n. 2682; id, 27 dicembre 2019, n. 8869; Sez. V, 14 febbraio 2018, n. 952; Sez. III, 13 ottobre 2017 n. 4772; Sez. V, 8 settembre 2015, n. 4209 e Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810)" (ex multis, Cons. Stato, sez. VII, 28 dicembre 2022, n. 11464). 12.1.2. Non è meritevole di condivisione neppure la contestazione inerente la presunta mancata collegialità nonché contestualità della rivalutazione rispetto alla sua verbalizzazione: è noto infatti che in mancanza di circostanziate contestazioni sull'autenticità del verbale del 13 novembre 2023, il quale come tutti gli atti pubblici gode di pubblica fede fino a querela di falso (cfr. tra le tante, T.A.R Lazio, Roma, Sez. I, 3 settembre 2024, n. 16061), risultano infondate le argomentazioni che mirano a porne in dubbio la regolarità della sua formazione per il semplice decorso di alcuni mesi tra la sua formazione ed il deposito in giudizio di quest'ultimo. Si rammenta peraltro che il verbale non deve essere necessariamente prodotto ed approvato in contemporaneità con la seduta dell'organo collegiale, ma può essere formato anche in un momento successivo al provvedimento deliberativo adottato durante la seduta (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 2 agosto 2024, 15650). 12.2. Quanto poi alle censure del secondo motivo aggiunto che pretendono di sindacare il merito delle valutazioni dei Commissari, esse sono palesemente inammissibili in quanto le Commissioni di concorso esercitano una discrezionalità tecnico-valutativa caratterizzata da ampi margini di opinabilità, sulla quale il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di illegittimità per violazione delle regole procedurali e di quello di eccesso di potere in particolari ipotesi-limite, riscontrabili ab externo e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza) (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16 agosto 2022, n. 7134). Parte ricorrente, a parte valorizzare, in maniera inammissibile, i contenuti dell'elaborato della ricorrente - che, invece di riportare come le altre candidate i contenuti di protocolli e linee guida nazionali, avrebbe fornito più sintetici spunti tratti dalla sua esperienza personale - asserisce una presunta inattendibilità e contraddittorietà della valutazione laddove l'elaborato è stato ritenuto sufficientemente chiaro e sintetico ma contemporaneamente carente sotto molteplici profili (ovvero l'attività di gestione delle emergenze e di coordinamento con gli altri enti coinvolti, come anche le ripercussioni sulla catena alimentare locale). Nei limiti del sindacato consentito a questo Giudice si osserva che emerge ictu oculi dalla lettura degli elaborati che quello della ricorrente rispetto a quello delle altre due concorrenti è sicuramente meno completo e notevolmente carente proprio sotto i profili segnalati dalla Commissione; mentre il riscontro della sinteticità e della chiarezza, lungi dall'essere sintomo di contraddittorietà o eccesso di potere, documenta, invece, l'imparzialità e l'equilibrio della Commissione che, a fronte di un elaborato insufficiente nei contenuti, ne ha comunque valorizzato gli aspetti positivi, tuttavia non tali da rendere la ricorrente meritevole di ammissione all'orale. 13. Disattese le censure che miravano ad ottenere la riammissione della ricorrente alla procedura selettiva, è ora necessario esaminare le restanti censure contenute nel ricorso introduttivo, che sono in parte improcedibili ed in parte infondate. 13.1. La restante parte del secondo motivo del ricorso originario inerente la valutazione dei titoli operata dalla Commissione il 24 maggio 2023 - seppur fondato nella parte in cui contesta l'avvenuta attribuzione a due candidate per titoli di servizio di un punteggio superiore a quanto previsto nel bando (14 punti invece di 10) - deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse dato che la ricorrente è stata legittimamente esclusa dalla fase finale della procedura e non può venire pregiudicata da un punteggio scorretto attribuito ai titoli delle altre candidate. 13.2. Quanto poi all'esame del primo motivo del ricorso originario, esso di compone di tre censure di carattere formale, tutte quante non meritevoli di accoglimento. 13.2.1. In merito alla contestata validità della pubblicazione sul sito web dell'ARPA di tutte le comunicazioni della procedura in sostituzione della comunicazione individuale, era l'espressa previsione dell'art. 4 del bando di concorso a prevedere: "Ogni comunicazione inerente il presente concorso sarà effettuata dall'Agenzia esclusivamente mediante pubblicazione sul sito internet della stessa Agenzia. Tali comunicazioni avranno quindi valore legale di notifica a qualsiasi fine." Sotto tale profilo, quindi, era la lex specialis a derogare esplicitamente all'art. 7 del D.P.R. 483 del 1997. 13.2.2. Il rispetto del termine dilatorio di 15 giorni tra le singole prove, invece, non ha la funzione di assegnare al candidato più tempo per il completamento della preparazione, bensì quello di preavvertirlo con congruo anticipo della data di svolgimento degli esami, affinché vi possa partecipare. "Ne consegue che la violazione di tale termine dilatorio può assumere rilevanza solamente nel caso in cui il concorrente, avvertito in ritardo, non si presenti a sostenere l'esame. Se, invece, il candidato partecipa alla prova, senza sollevare obiezioni e senza chiedere un rinvio (come è avvenuto nel caso di specie), deve ritenersi che la comunicazione abbia raggiunto il suo scopo, con la conseguenza che il mancato rispetto del termine di preavviso non può più essere fatto valere e non può, quindi, inficiare la procedura concorsuale (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 08 luglio 2022, n. 9388). Dunque tale violazione, concretamente avvenuta per la seconda prova scritta, non rileva nel caso di specie, ove la ricorrente ha regolarmente partecipato alla prova senza contestare alcunché . 13.2.3. Infine la ricorrente difetta di interesse all'ultima contestazione. L'onere partecipativo nelle procedure concorsuali riguarda principalmente la necessità che la valutazione dei titoli venga effettuata prima della correzione delle prove scritte, a salvaguardia dell'imparzialità della Commissione e al fine di evitare indebite commistioni tra le varie fasi della procedura - ovvero quella di valutazione dei titoli e quella di valutazione delle prove (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 maggio 2015 n. 2584) - e che dette valutazioni vengano comunicate prima delle prove orali, onde garantire al candidato la possibilità di arrivare consapevolmente preparato all'ultima prova. Nel caso di specie risulta dal verbale del 24 maggio 2023 che effettivamente i titoli sono stati valutati dopo l'espletamento della prova scritta, ma poi non sono stati comunicati prima di quella orale; parimenti le votazioni della prima e della seconda prova scritta non sono state comunicate ai candidati che prima della prova orale hanno solo potuto visionare l'elenco degli ammessi ed implicitamente dei non ammessi. Tuttavia la ricorrente difetta di interesse ad entrambe le contestazioni, non essendo stata ammessa all'orale - correttamente, per quanto esposto - e non potendo quindi lamentare un pregiudizio da tale mancata comunicazione. 13.3. Il terzo motivo di ricorso coinvolge infine la corretta composizione della Commissione. Tale censura, proposta in forma assolutamente generica nel ricorso introduttivo, è stata successivamente specificata nella memoria depositata il 7 ottobre 2023 ove si è contestata l'idoneità del Commissario Piero Macellari ad essere componente dell'organo collegiale in quanto dirigente veterinario e non dirigente chimico come la figura professionale oggetto di concorso. Ai fini della legittima composizione della commissione di concorso è tuttavia sufficiente che i componenti siano esperti in discipline non estranee alle tematiche oggetto delle prove concorsuali; infatti l'esperienza della commissione va verificata nel suo complesso e con ragionevolezza, onde evitare che una interpretazione troppo rigorosa della qualifica di esperto comporti un intollerabile aggravamento del procedimento selettivo già nella fase della formazione dell'organo tecnico chiamato a operare le valutazioni sui titoli e le prove d'esame dei candidati (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. II, 19 ottobre 2021, n. 7031). Sul punto, a parte la possibile inammissibilità di una censura specificamente affrontata in una memoria non notificata - senza che se ne sia fatta alcuna menzione nei successivi motivi aggiunti - si osserva che, a ben vedere, le competenze di un dirigente veterinario, specie se già dipendente Usl, non appaiono estranee a quelle di un dirigente chimico da assumere all'ARPA; né la parte ricorrente offre specifiche deduzioni in senso contrario, così come è omessa del tutto non solo la dimostrazione ma neanche l'allegazione dell'idoneità causale che la partecipazione di un dirigente veterinario alla Commissione avrebbe avuto rispetto all'esito negativo della prova teorico-pratica. 14. In conclusione il ricorso va dichiarato in parte improcedibile e per la restante parte deve essere respinto. I motivi aggiunti vanno respinti. 15. Lo sviluppo del processo evidenzia la sussistenza dei presupposti per compensare le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte improcedibile e per la restante parte lo respinge; respinge i motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 470 del 2023, proposto da Co. Ci. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato St. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); per l'ottemperanza del giudicato formatosi sul decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 461 del 13 febbraio 2018 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Oggetto del presente giudizio è l'ottemperanza al decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 461 del 13 febbraio 2018, di riparazione del danno da ritardo giudiziario ai sensi della l. n. 89 del 2001, con il quale il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento in favore del Sig. Co. Ci. ed altri sette ricorrenti della somma di Euro 5.458,00 ciascuno, oltre interessi legali dal giorno della domanda giudiziale al saldo. Nel medesimo decreto è stata disposta la condanna al pagamento delle spese di lite, quantificate in Euro 675,00 per compensi, oltre IVA e CPA da distrarsi in favore del procuratore costituito avvocato St. Ia., dichiaratasi antistataria, oltre alla domanda di condanna al pagamento delle penalità di mora (cd. astreintes). 2. Il Ministero della Giustizia si è costituito senza contestare la pretesa creditoria vantata dai ricorrenti. 3. Alla camera di consiglio del 23 luglio 2024 il Collegio ha rilevato la possibile inammissibilità del ricorso per l'incompletezza della dichiarazione presentata dal ricorrente Gi. Ma., il cui documento d'identità risultava scaduto al momento della trasmissione della dichiarazione ex art. 5-sexies della L. 89/2001 al Ministero resistente. La causa è stata quindi trattenuta in decisione. 4. Il ricorso è parzialmente inammissibile. L'art. 5-sexies, c. 1, della legge n. 89/2001 stabilisce che al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della medesima legge, il creditore rilascia all'amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare degli importi che l'amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta, e trasmette la documentazione prevista dai decreti di cui al successivo comma. In attuazione del comma da ultimo ricordato è stato emanato il decreto del Ministro della Giustizia del 28.10.2016, che, all'art. 2, c. 2, stabilisce che alla dichiarazione sostitutiva, redatta secondo i modelli approvati con lo stesso decreto, deve essere allegata la copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità e del tesserino del codice fiscale o del tesserino sanitario del dichiarante. Il comma 4 del succitato art. 5-sexies della legge n. 89/2001 dispone che "(n)el caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l'ordine di pagamento non può essere emesso". Dalle disposizioni appena citate discende l'inammissibilità della domanda di ottemperanza formulata dal ricorrente Gi. Ma., avendo costui trasmesso all'Amministrazione debitrice la dichiarazione sostitutiva prevista dall'art. 5-sexies della legge n. 89/2001 in data 27 luglio 2022 con allegato il documento d'identità con scadenza 17 gennaio 2013. Rimane impregiudicata la riproponibilità del ricorso in ottemperanza, ricorrendone i presupposti sostanziali e processuali. 5. In riferimento alla restante parte dei ricorrenti il ricorso è meritevole di accoglimento. La pronuncia della Corte di Appello di Perugia risulta passata in giudicato, come da certificazione del suddetto ufficio giudiziario in data 1° settembre 2022. Risulta, inoltre, regolarmente inviata la dichiarazione di cui all'art. 5-sexies della legge n. 89/2001 in data 27 luglio 2022. 6. Ciò premesso, il Collegio rammenta che: - il giudizio d'ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso; - l'ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l'esecuzione civile, attesa la diversità ontologica delle due azioni; - l'esecuzione dell'ordine del Giudice costituisce un inderogabile dovere d'ufficio per l'Amministrazione cui l'ordine è rivolto nonché per i suoi rappresentanti e funzionari. 7. Fatta tale doverosa premessa, il Collegio osserva che la domanda di esecuzione del decreto della Corte di Appello spiegata dai ricorrenti è meritevole di accoglimento sia in riferimento al pagamento della somma riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale nonché quanto alla contestuale istanza di nomina di un commissario ad acta. 8. Alla stregua di quanto esposto, questo Tribunale dispone che il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, provveda entro il termine di 90 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme di cui sopra in favore di parte ricorrente. Al riguardo, si precisa che il debito per i diritti e gli onorari liquidati nel decreto da eseguire è un'obbligazione pecuniaria (art. 1224 cod. civ.), con la conseguenza che: - il ritardo nel pagamento produce automaticamente gli interessi legali; - la corresponsione di questi ultimi soddisfa ogni pretesa da ritardo. Si osserva altresì che detti interessi dovranno essere calcolati dal giorno della notifica del decreto di cui trattasi, connotandosi la notifica come costituzione in mora del debitore (art. 1219 cod. civ.). 9. Per il caso di inadempienza, il Tribunale nomina sin d'ora commissario ad acta il Dirigente responsabile dell'Ufficio I della Direzione Affari Giuridici e Legali del Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero soccombente. 10. Il commissario cosi designato provvederà a: a - prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; b - utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; c - utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del pagamento in conto sospeso. 11. Il commissario terminerà la sua opera, salvo proroghe da richiedersi a questo Tribunale, entro il termine di 90 giorni dalla richiesta che la parte interessata gli presenterà dopo che sia decorso inutilmente il termine di 90 giorni di cui al precedente paragrafo 8. 12. Quanto alla domanda di condanna al pagamento delle ulteriori somme richieste a titolo di indennità di mora (c.d. astreinte), il Collegio osserva quanto segue. 12.1. Secondo quanto stabilito dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 25 giugno 2014, n. 15), nell'ambito del giudizio di ottemperanza l'irrogazione della penalità di mora di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, nonché di corresponsione di indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001. Ferma restando tale ammissibilità, la stessa Adunanza plenaria non ha mancato di osservare come "la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nonché al momento dell'esercizio del potere discrezionale di graduazione dell'importo. Non va sottaciuto che l'art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltà nell'adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilità, spetterà allora al giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell'ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l'importo". 12.2. In definitiva, secondo il succitato autorevole arresto, pur escludendosi la sussistenza di preclusioni astratte sul piano della ammissibilità, è escluso ogni automatismo nel giudizio di applicazione della sanzione, dovendo il giudice tener conto delle circostanze esimenti stabilite dalla norma al fine di mitigarne l'importo o di negarne la stessa applicazione. 12.3. Orbene, il Collegio ritiene, alla luce della richiamata decisione dell'Adunanza plenaria (e dell'orientamento della giurisprudenza formatosi sul punto), che, nella specie, le note difficoltà di adempimento connesse anche alla perdurante crisi della finanza pubblica e l'ingente ammontare del debito pubblico giustifichino, in concreto, il rigetto della domanda di applicazione dell'indennità di mora (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 23 agosto 2018, n. 9022; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20 marzo 2018, n. 3101; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 giugno 2018, n. 3836). Va anche detto che tali ragioni ostative assumono rilievo, ex art. 115 c.p.c., in quanto fatti notori (cfr. al riguardo TAR Lazio, n. 3101/2018 cit.). In definitiva, alla luce di quanto precede, la domanda volta a conseguire la condanna dell'Amministrazione al pagamento della c.d. astreinte, non può essere accolta, essendo le circostanze sopra riferite sufficienti non solo a mitigarne l'importo ma ad escluderne la stessa applicazione, quali concrete "ragioni ostative". 13. Il complessivo esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e per la restante parte lo accoglie in parte, e, per l'effetto, ordina gli adempimenti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 681 del 2023, proposto da Zi. Bi. It. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 8629392F8A, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Ma., St. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Pu. S.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. De An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Sm. & Ne. S.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento - della determinazione dell'Amministratore Unico di Pu. S.c. a r.l. del 7 luglio 2023, con la quale è stata disposta l'esclusione della Ditta Zi. Bi. It. S.r.l. dal lotto 22 della procedura ristretta in forma centralizzata per la fornitura di protesi ortopediche e dei dispositivi correlati al loro impiego per le aziende sanitarie della Regione Umbria, ed è stata disposta l'aggiudicazione dello stesso in favore della concorrente seconda classificata in graduatoria Sm. & Ne. S.r.l.; - dei verbali delle sedute della Commissione giudicatrice, con particolare riferimento a quello del 14 giugno 2023, non trasmessi alla ricorrente; - di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale, ivi compresi, ove occorra, il bando, il disciplinare di gara e il capitolato tecnico e i loro allegati; nonché per la condanna della stazione appaltante, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 30, 119 e seguenti cod. proc. amm., previa dichiarazione di inefficacia del contratto medio tempore eventualmente stipulato, ad inserire l'odierna ricorrente nella graduatoria di gara alla posizione spettante, con pronuncia a valere quale reintegrazione in forma specifica del danno subito, conseguente alla illegittimità degli atti impugnati e dell'iter seguito dall'amministrazione nella procedura de qua; ovvero, in via subordinata, per la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno per equivalente, con conseguente declaratoria dei criteri in base ai quali la stazione appaltante dovrà formulare una proposta di pagamento del suddetto risarcimento, comprendente anche il lucro cessante che la società ricorrente avrebbe ottenuto se le fosse stato aggiudicato l'appalto, da liquidarsi anche in via equitativa ex art. 1226 cod. civ. e comunque in misura non inferiore al 10% del valore dell'affidamento, maggiorata di rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma rivalutata fino al giorno del saldo effettivo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Pu. S.c. a r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Zi. Bi. It. srl impugna la Determinazione dell'Amministratore Unico di Pu. S.c.a r.l. del 7 luglio 2023, con la quale è stata disposta la sua esclusione dal lotto 22 della "procedura ristretta in forma centralizzata per la fornitura di protesi ortopediche e dei dispositivi correlati al loro impiego per le aziende sanitarie della Regione Umbria", è stata revocata la precedente aggiudicazione in suo favore ed infine è stata disposta la nuova aggiudicazione in favore della concorrente seconda classificata in graduatoria Sm. & Ne. S.r.l.. 2. La ricorrente era stata precedentemente dichiarata aggiudicataria della procedura in oggetto in virtù di Determinazione dell'Amministratore Unico di Pu. del 20 marzo 2023; la seconda classificata Sm. & Ne. il 16 maggio 2023 ha però presentato istanza di riesame "della valutazione di idoneità tecnica dell'offerta della Ditta Zi. Bi. It. Srl", assumendo che il prodotto offerto da quest'ultima non fosse conforme a quanto richiesto dalla stazione appaltante. 3. La Commissione giudicatrice si è riunita in seduta riservata il 14 giugno 2023 per riesaminare tutta la documentazione inerente l'offerta tecnica di entrambe le concorrenti e, all'esito, ha rilevato che, "a causa di un errore di valutazione, il prodotto offerto dalla Ditta aggiudicataria Zi. Bi. It. Srl per il lotto n. 22 è stato ritenuto erroneamente rispondente al requisito minimo "con superficie ceramizzata cementata" e che "il dispositivo offerto dalla citata aggiudicataria risulta effettivamente carente della suddetta caratteristica tecnica minima. Infatti la finitura presentata dalla Zi. Bi. in nitruro di titanio e niobio non presenta parimenti le stesse caratteristiche tipologiche della superficie ceramizzata prevista dal capitolato tecnico". 4. La stazione appaltante ha quindi adottato la Determinazione dell'Amministratore Unico del 7 luglio 2023, con la quale è stata disposta l'esclusione di Zi. Bi. dal lotto 22, e la nuova aggiudicazione in favore della seconda graduata Sm. & Ne. S.r.l.. 5. Zi. ha impugnato gli esiti della procedura di gara, oltre agli atti lesivi prodromici con ricorso articolato in un unico motivo di impugnazione, previa richiesta di sospensione cautelare degli atti impugnati. La società ha denunciato la violazione e falsa applicazione della disciplina di gara quanto alle caratteristiche minime del prodotto oggetto della fornitura, nonché dell'art. 30 del D. lgs. 50/2016, con particolare riferimento ai principi di parità di trattamento, concorrenza e non discriminazione, oltre al difetto di istruttoria e motivazione. 5.1. La valutazione della stazione appaltante di non conformità alle previsioni di capitolato tecnico del prodotto offerto dalla ricorrente sarebbe erronea, in quanto il rivestimento in nitruro di titanio e niobio della protesi di Zi. sarebbe senz'altro superficie ceramizzata cementata: risulta dalle specifiche dell'offerta tecnica di quest'ultima che il nitruro di titanio e niobio (TiNbN) è un "dense ceramic coating that is applied to the entire surface of the implant" ovverosia un "denso rivestimento ceramizzato applicato all'intera superficie della protesi". Al fine di confermare le caratteristiche tecniche delle protesi offerte la ricorrente avanzava istanza di verificazione. 5.2. D'altro canto sarebbe l'offerta dall'aggiudicataria a non essere conforme alle caratteristiche minime richieste dal capitolato tecnico, dato che la sua protesi presenterebbe una superficie ceramizzata solo nel versante femorale e non nella tibia, quando invece tale caratteristica (che avrebbe lo scopo di evitare reazioni allergiche al paziente) avrebbe dovuto trovarsi su tutto il prodotto; né Sm. & Ne. aveva presentato una dichiarazione di equivalenza tecnica idonea a certificare la conformità sostanziale del prodotto offerto, quindi la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa per questo motivo. 6. Si è costituita per resistere in giudizio la sola stazione appaltante Pu. s.c.a.rl., la quale ha contestato le deduzioni di parte ricorrente segnalando che il metallo ceramizzato è il risultato di una trasformazione uniforme del metallo originale tramite calore alimentato da combustibile gassoso che crea un ossido ceramizzato, mentre il rivestimento ceramico è, per l'appunto, l'apposizione di uno strato ceramico esterno al metallo della protesi; tale distinzione rileverebbe in termini di funzionalità del metallo (maggiore resistenza e durezza), e non già al solo fine di sfruttare le caratteristiche anallergiche della ceramica, dato che le protesi riservate ai pazienti allergici ai metalli sono quelle di cui ai lotti 23 e 24 (e non di quello in contesa). 7. Con ordinanza n. 125 del 27 settembre 2024 è stata rigettata la domanda cautelare proposta dalla ricorrente in considerazione del fatto che la procedura gravata ha ad oggetto la fornitura di protesi ortopediche e dispositivi correlati per la durata di 48 mesi, pertanto in ipotesi di esito favorevole del giudizio la ricorrente potrà eventualmente subentrare all'attuale aggiudicataria. 8. In vista della discussione del ricorso Zi., in replica alle difese dell'Amministrazione, ha contestato, oltre al divieto di integrazione postuma della motivazione - in quanto la distinzione tra le due modalità di ceramizzazione non è presente nella documentazione di gara ed è stata richiamata da Pu. per la prima volta nelle memorie difensive del presente giudizio -, la violazione dell'art. 68, comma 6, del codice Appalti, in quanto il processo di ceramizzazione utilizzato dalla aggiudicataria per i suoi prodotti e preteso dalla Commissione Giudicatrice violerebbe il divieto normativo di rendere requisito minimo "un procedimento particolare caratteristico dei prodotti o dei servizi forniti da un operatore economico specifico". Inoltre la differenziazione introdotta dalla stazione appaltante tra una protesi dotata di rivestimento ceramico e una realizzata con materiale ceramizzato tramite ossidazione non sarebbe giustificata dal punto di vista funzionale, visto che lo scopo della superficie ceramizzata sarebbe esclusivamente quello di evitare che in pazienti allergici le parti metalliche delle protesi vengano a contatto con la carne viva, effetto che si ottiene in entrambi i casi. 9. Con ordinanza collegiale n. 54 del 2 febbraio 2024 questo TAR ha ritenuto che al fine di valutare la correttezza dell'operato della Commissione di gara in termini di ritenuta non conformità delle protesi offerte da Zi. alle prescrizioni della legge di gara fosse necessario chiarire l'esatta portata applicativa della previsione di capitolato tecnico inerente le specifiche tecniche del prodotto oggetto di fornitura. Poiché la corretta interpretazione del capitolato presuppone nozioni di carattere tecnico- scientifico il Collegio ha disposto verificazione - incaricando il Direttore dell'Area Dipartimentale Omogenea (ADO) Chirurgica e Ortopedica afferente al Dipartimento Neuromuscoloscheletrico e organi di senso dell'Azienda Ospedaliero Universitaria "Careggi" di Firenze - nei termini seguenti: a) se nella prassi delle forniture ospedaliere di protesi ortopediche - e nella scienza medica in generale - la nozione di "superficie ceramizzata cementata" si riferisca esclusivamente ad una trasformazione del metallo originale tramite calore, al fine di creare un ossido ceramizzato, oppure possa ricomprendere anche dispositivi medici in cui la ceramizzazione consista nell'apposizione di uno strato di nitruro di titanio e niomio (TiNbN), tramite un processo di deposizione fisica di vapore; b) nel caso venga indicata la prima delle due opzioni indicate nel quesito sub a), se - anche tenuto conto delle complessive previsioni del capitolato tecnico, dell'oggetto del lotto 22 e del fatto che nella procedura di gara in oggetto vi sono altri lotti (il 23 A e il 23 B) dedicati alle protesi per pazienti allergici ai metalli - la previsione del capitolato tecnico che imponga la ceramizzazione tramite trasformazione del metallo in ossido ceramizzato abbia una giustificazione di carattere funzionale (in relazione alla maggiore durabilità del metallo, alla maggiore resistenza allo sfregamento o alla corrosione, alla minore genesi di allergie o ad altre ragioni) rispetto ad una protesi in cui la ceramizzazione consista nell'apposizione di uno strato di nitruro di titanio e niomio tramite deposizione fisica di vapore." [nel testo è contenuto un errore materiale: "niomio", evidentemente, va corretto in "niobio"]. 10. Il verificatore ha depositato in giudizio l'elaborato peritale il 28 maggio 2024, fornendo i seguenti chiarimenti: - "il concetto di ceramizzazione di un metallo va unicamente riferito a quel processo nel quale una lega, generalmente di Zirconio e Niobio, riscaldata a temperatura di 700 ° C, in presenza di ossigeno forma uno strato superficiale di ossidazione di 5 mm sotto forma di diossido di Zirconio che viene comunemente definito ceramizzazione, e che modifica in maniera significativa le proprietà fisiche, chimiche e biomeccaniche del materiale. Al contrario non si definisce ceramizzazione l'apposizione di uno strato di nitruro di titanio e niomio (TiNbN), tramite un processo di deposizione fisica di vapore sulle componenti protesiche. In sintesi, nel primo caso si realizza una modificazione di superficie strutturale del metallo, nel secondo di una semplice apposizione di un secondo strato"; - La previsione del capitolato tecnico che impone la ceramizzazione tramite trasformazione del metallo in ossido ceramizzato ha una precisa giustificazione di carattere anche funzionale. È stato infatti dimostrato come il metallo così "ceramizzato" abbia, non solo proprietà anallergiche, ma anche una durezza superiore al cromo-cobalto-molibdeno, un coefficiente di frizione nettamente minore, una resistenza all'abrasione maggiore ed un'usura del polietilene inferiore rispetto alle leghe convenzionali. In sintesi, la ceramizzazione rende il materiale anallergico, ma allo stesso tempo ne modifica le proprietà tribologiche." [anche la verificazione, nel secondo periodo citato, è incorsa nell'errore materiale sopra indicato]. 11. In vista della pubblica udienza di discussione Zi. ha depositato un articolo scientifico integralmente in inglese dal titolo "Ceramic formation on Metallic Surfaces (Ceramization) for Medical Application" risalente al 1993 nel quale si sostiene che costituirebbero ceramizzazione tanto la trasformazione chimica del metallo della protesi, quanto il suo rivestimento con materiale ceramico, quindi in buona sostanza i due processi sarebbero equivalenti; Pu. ha replicato che il verificatore si era già pacificamente espresso su tale aspetto ribadendo che in assenza di ulteriori specificazioni da parte della lex specialis si deve ritenere che la stazione appaltante prescrivesse l'unico processo idoneo a trasformare il metallo in ossido ceramizzato. All'udienza pubblica del 23 luglio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 12. Il ricorso è infondato e deve essere respinto. 13. E' materia del contendere la legittimità dell'esclusione da gara di Zi. Bi., comminata dalla stazione appaltante in quanto la finitura in nitruro di titanio e niobio offerta dalla ricorrente non presenta "le stesse caratteristiche tipologiche della superficie ceramizzata prevista dal capitolato tecnico". 13.1. Il capitolato tecnico di gara richiede quali specifiche tecniche per il lotto 22 "PTG tricompartimentale con superificie ceramizzata cementata da primo impianto a piatto fisso o mobile, che preveda l'utilizzo di componenti femorali anatomici in versione Cr o Ps, di un piatto tibiale metallico ed inserti in PE disponibili in varie altezze": la protesi deve dunque possedere una superficie ceramizzata cementata, senza che sul punto vi siano ulteriori specificazioni. 13.2. Al fine di chiarire la latitudine interpretativa del concetto di superficie ceramizzata si è disposta verificazione in modo da stabilire se possa ritenersi tale anche l'apposizione di uno strato di nitruro di titanio e niobio (TiNbN), tramite un processo di deposizione fisica di vapore sulle componenti protesiche - come sostenuto dalla ricorrente - ovvero se esso debba limitarsi alla sola trasformazione del metallo in ossido ceramizzato, caratteristica posseduta dalla sola protesi della Sm. & Ne.. Il verificatore ha fornito una risposta molto netta sia in termini di diversità dei due processi di ceramizzazione e dei conseguenti materiali ottenuti, che in termini di giustificazione funzionale di una previsione di capitolato che ritenga non conforme al concetto di superficie ceramizzata l'apposizione di uno strato ulteriore sul metallo sottostante. 13.3. In merito al primo aspetto il verificatore ha chiarito che "il concetto di ceramizzazione di un metallo va unicamente riferito a quel processo nel quale una lega, generalmente di Zirconio e Niobio, riscaldata a temperatura di 700 ° C, in presenza di ossigeno forma uno strato superficiale di ossidazione di 5 mm sotto forma di diossido di Zirconio che viene comunemente definito ceramizzazione, e che modifica in maniera significativa le proprietà fisiche, chimiche e biomeccaniche del materiale" 13.3.1. Il verificatore non ha negato che i due procedimenti presentino numerose analogie e che in epoca più risalente (come quella dell'articolo segnalato dalla ricorrente, pubblicato nel 1993) la distinzione tra di essi non fosse affatto nitida; nondimeno egli ha affermato "non possiamo non credere che l'estensore del bando di gare non fosse a perfetta conoscenza dei due metodi e che pertanto, se avesse voluto indicarli entrambi, avrebbe avuto modo di specificarlo nel capitolato di gara, al contrario, indicando solo il termine superficie ceramizzata, riteniamo volesse unicamente fare riferimento alla modificazione di superficie. Ricordo, infine, a completamento di quando esposto che comunque anche nel linguaggio comune ortopedico e nella pratica clinica, i termini ceramizzazione e protesi rivestite hanno sembra avuto una valenza specifica e fra loro diversa ed autonoma". Dunque secondo motivata valutazione del verificatore dalla quale il Collegio non ravvisa motivi per discostarsi - anche in carenza di convincenti argomenti di segno contrario offerti dalla ricorrente - non esistono due tipi di ceramizzazione: la superficie ceramizzata è unicamente quella posseduta dalla protesi offerta da Sm. & Ne., ovvero la trasformazione della superficie del metallo in ossido ceramizzato dopo essere stato riscaldato ad altissime temperature in presenza di ossigeno. 13.3.2. Risulta dunque infondata la censura di violazione dell'art. 68, comma 6, del codice Appalti in punto di imposizione di specifiche tecniche corrispondenti ad un particolare procedimento offerto da uno specifico operatore economico: la trasformazione del metallo in ossido ceramizzato non è una particolare procedura nella disponibilità della sola aggiudicataria ma l'unica costituente superficie ceramizzata nella prassi ospedaliera. Dunque la ricorrente non ha offerto lo stesso prodotto dell'aggiudicataria pervenendo ad esso con un procedimento diverso, ma ha offerto un prodotto diverso, non conforme ai requisiti minimi di bando, dunque meritevole di esclusione. 13.3.3. Peraltro nel caso di specie non potrebbe neppure parlarsi di motivazione postuma in quanto la Commissione giudicatrice, già in sede di provvedimento di esclusione, aveva esplicitato, sia pure con motivazione alquanto stringata, la non conformità del prodotto per carenza del requisito della superfice ceramizzata: nelle memorie difensive depositate in giudizio l'Amministrazione si è limitata a specificare i fondamenti tecnici di tale esclusione, a seguito delle specifiche contestazioni della parte ricorrente. 13.4. Per quanto esposto, si è reso necessario valutare se l'imposizione a norma di capitolato tecnico di un requisito minimo obbligatorio sia giustificato da effettive esigenze concrete della stazione appaltante, risolvendosi altrimenti in un ostacolo ingiustificato alla massima partecipazione alle pubbliche gare. 13.4.1. In altri termini, ferma la non conformità formale del prodotto offerto da Zi., è necessario valutare se possa predicarsi la conformità sostanziale del prodotto offerto dalla ricorrente ai bisogni perseguiti dalla stazione appaltante con i requisiti minimi richiesti nella disposizione di lex specialis: trattasi di scrutinare l'applicabilità del principio di equivalenza sostanziale di carattere funzionale, emerso di recente nella giurisprudenza del Consiglio di Stato nell'ottica di favorire la massima partecipazione alle gare (cfr. da ultimo C.d.S., sez. III, 06 dicembre 2023, n. 10536, idem, 9 maggio 2024 n. 4155). Anche sotto tale profilo -e in assenza di esplicite indicazioni di Pu. nella lex specialis - soccorrono i chiarimenti del verificatore, che ha precisato che la pretesa della Commissione Giudicatrice della ceramizzazione tramite trasformazione del metallo in ossido ceramizzato trova la propria giustificazione funzionale nel fatto che "il metallo così "ceramizzato" abbia, non solo proprietà anallergiche, ma anche una durezza superiore al cromo-cobalto-molibdeno, un coefficiente di frizione nettamente minore, una resistenza all'abrasione maggiore ed un'usura del polietilene inferiore rispetto alle leghe convenzionali. In sintesi, la ceramizzazione rende il materiale anallergico, ma allo stesso tempo ne modifica le proprietà tribologiche". Quindi la protesi offerta da Zi. non poteva ritenersi equivalente neppure da un punto di vista funzionale a quella richiesta dalla stazione appaltante. 13.4.2. L'impossibilità di applicare all'offerta della ricorrente il principio di equivalenza sostanziale di carattere funzionale trova altresì conferma nell'interpretazione sistematica del bando, oltre che nelle ulteriori considerazioni del verificatore. E' incontestato che la ceramizzazione mediante deposizione di uno strato di ceramica mediante vapore - ovvero quella offerta da Zi. - non attribuisca alla protesi qualità ulteriori se non quella di prevenire le allergie, tanto è vero che la stessa ricorrente ha sostenuto l'irragionevolezza della lex specialis nella parte in cui impone a pena di esclusione la ceramizzazione tramite ossidazione del metallo se la finalità di evitare il contatto del metallo con la carne viva del paziente era ugualmente perseguita dal prodotto offerto da quest'ultima. Il punto è che il capitolato con la protesi oggetto del lotto 22 non intendeva semplicemente preservare i pazienti dalle allergie, dato che a tale specificità erano espressamente dedicati i lotti 23 e 24 - che nelle specifiche precisano "per pazienti allergici ai metalli"-. Tale precisazione è assente nel lotto oggetto di causa, che dunque evidentemente non prescrive un procedimento di ceramizzazione diretto unicamente a preservare dalle allergie, bensì richiede un prodotto più performante del metallo di partenza in termini di maggiore durezza, e resistenza all'abrasione, nonché minore coefficiente di frizione e inferiore usura del polietilene rispetto alle leghe convenzionali. 13.5. Il provvedimento di esclusione è immune quindi dai vizi prospettati dalla parte ricorrente, in quanto del tutto correttamente la Commissione Giudicatrice escludeva da gara Zi. Bi. per la riscontrata assenza nel prodotto offerto dei requisiti minimi obbligatori richiesti dalla lex specialis, nell'impossibilità, per quanto esposto, di applicare all'offerta tecnica il principio di equivalenza in termini funzionali. 14. In merito alle restanti parti della censura, si deve convenire sul fatto che la ricorrente, stabilita la legittimità della sua esclusione, non ha interesse a contestare la conformità dell'offerta dell'attuale aggiudicataria. In ogni caso si osserva che il capitolato tecnico di gara è chiaro nel limitare la superficie ceramizzata alla componente femorale della protesi (ovvero la parte mobile della protesi stessa) laddove in riferimento al piatto tibiale specifica espressamente che deve essere metallico, senza ulteriori specificazioni sull'eventuale ceramizzazione: ciò si giustifica in ragione di quanto sopra. Se infatti la finalità della ceramizzazione fosse stata quella di prevenire le allergie, avrebbe dovuto essere presente senz'altro su tutte le componenti della protesi, ma così non è . Al contrario la maggiore resistenza, durezza, resistenza all'usura e alla frizione si richiedono soltanto per la componente femorale della protesi, l'unica soggetta al tipico sfregamento (e alla conseguente usura) che deve sopportare l'articolazione del ginocchio, mentre tali necessità non si impongono per il piatto tibiale che invece è situato sotto la parte fissa dell'articolazione ed è meno soggetto a sollecitazioni. 15. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 16. Quanto al compenso e alle spese della verificazione, si ritiene equo porli integralmente a carico della parte ricorrente, nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre oneri di legge. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore di Pu. che si liquidano in Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre oneri ed accessori di legge. Nulla per la controinteressata non costituita. Liquida nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre oneri di legge il compenso del verificatore e lo pone a carico della parte ricorrente. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA NON DEFINITIVA sul ricorso numero di registro generale 937 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da Comunanza Agraria Ap. Gu., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Bu., Ma. Ri. Fi. e Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Ri. Fi. in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lu. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); Regione Umbria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Be. e An. Ri. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ro. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'ottemperanza per quanto riguarda il ricorso introduttivo, in via principale, alla sentenza del T.A.R. Umbria n. 421 del 28 settembre 2020, confermata con decisione del Consiglio di Stato n. 5022 del 1 luglio 2021, passata in giudicato, e per la declaratoria di nullità per violazione o elusione del giudicato di tutti gli atti e provvedimenti adottati dalle Amministrazioni intimate, come meglio indicati nei successivi punti 1 e 2; ovvero, in via subordinata, previa conversione del rito, per l'annullamento dei seguenti atti e provvedimenti: [1.] 1.A) dell'autorizzazione paesaggistica n. 6 dell'11 settembre 2023 del Comune di (omissis), conosciuta dalla ricorrente il successivo 21 settembre 2023 all'esito della richiesta di accesso alla documentazione amministrativa, con la quale è stata accertata la compatibilità paesaggistica dell'intervento realizzato da Ro. s.p.a. riguardante "Accertamento di conformità per parti residue dei cabinotti posti a protezione dei pozzi denominati R3 e R4, nonché della recinzione e delle opere di presa e captazione (parte idraulica impiantistica)" situate in loc. (omissis) nel Comune di (omissis), sull'area catastalmente distinta al foglio (omissis) particelle (omissis), nonché, in quanto occorra, del presupposto verbale di accertamento di ottemperanza dell'ordinanza di demolizione del 16 giugno 2022, della "Proposta di accoglimento accertamento di compatibilità paesaggistica" del 17 ottobre 2022, trasmessa con nota in pari data prot. 29106; 1.B) del parere favorevole espresso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio nella seduta del 16 giugno 2022; 1.C) del parere del 10 gennaio 2023 comunicato con nota prot. 436/22, anch'esso conosciuto dalla ricorrente il 21 settembre 2023, reso ai sensi degli artt. 167, comma 5, e 181, comma 1 quater, con il quale la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria si è favorevolmente espressa in riferimento alle opere oggetto di sanatoria; 1.D) del provvedimento in data 14 settembre 2023 del Comune di (omissis), mediante cui è stata dichiarata la conclusione del procedimento relativo all'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 154 della l.r. n. 1 del 2015 relativamente all'istanza di SCIA presentata da Ro. s.p.a., rif. istanza SUAPE 3.0 n. 343/2023, nonché in quanto occorra del provvedimento di determinazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, emesso dal Settore Lavori pubblici e ambiente del predetto Comune in data 15 maggio 2023; [2.] 2.A) dell'autorizzazione paesaggistica n. 7 del 13 settembre 2023 rilasciata dal Comune di (omissis), anch'essa conosciuta dalla ricorrente il successivo 21 settembre 2023, con la quale è stata accertata la compatibilità paesaggistica dell'intervento realizzato da Ro. s.p.a. riguardante "Accertamento di conformità per le opere poste a protezione del pozzo denominato R1, del pozzo comunale e delle relative opere di presa e captazione (parte idraulica impiantistica)" situate in loc. (omissis) nel Comune di (omissis), sull'area catastalmente distinta al foglio (omissis) particelle (omissis), foglio (omissis) particella (omissis), nonché, in quanto occorra, del presupposto verbale di accertamento di ottemperanza dell'ordinanza di demolizione in data 5 aprile 2022 prot. n. 10686, della "Proposta di accoglimento accertamento di compatibilità paesaggistica" del 10 maggio 2022 del Settore Territorio del Comune di (omissis), trasmessa con nota in pari data prot. 13767; 2.B) del parere favorevole espresso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio nella seduta del 12 aprile 2023; 2.C) del parere del 19 giugno 2023 comunicato con nota prot. 11638/23, anch'esso conosciuto dalla ricorrente il 21 settembre 2023, reso ai sensi degli artt. 167, comma 5, e 181, comma 1 quater, con il quale la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria ha disposto l'annullamento in autotutela della precedente istanza di non procedibilità e la sua sostituzione con il parere favorevole di compatibilità paesaggistica, con prescrizioni, dell'intervento realizzato da Ro., nonché dell'istanza di riesame a firma del responsabile del procedimento del Comune di (omissis), del 2 marzo 2023; 2.D) del provvedimento in data 14 settembre 2023 del Settore Territorio del Comune di (omissis), mediante cui è stata dichiarata la conclusione del procedimento relativo all'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 154 della l.r. n. 1 del 2015 relativamente all'istanza di SCIA presentata da Ro. s.p.a. (rif. istanza SUAPE 3.0 n. 344/2023), nonché, in quanto occorra, del provvedimento di determinazione della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, emesso dal Settore Lavori Pubblici e Ambiente del predetto Comune in data 23 giugno 2023; 2.E) dell'ordinanza n. 143 del 14 settembre 2023, anch'essa a firma del Responsabile del Settore Territorio del predetto Comune, con la quale è stata disposta l'esecuzione, nell'area censita al catasto terreni foglio (omissis), particelle (omissis), foglio (omissis), particella (omissis) e foglio (omissis), particella (omissis), previa acquisizione dei prescritti titoli abilitativi, delle opere previste nella proposta di riqualificazione presentata dalla stessa Ro. il 22 giugno 2023, nonché del parere favorevole espresso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio nella seduta tenutasi in pari data; nonché per l'annullamento di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e-o collegato a quelli sopraindicati: Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente in data 26 aprile 2024: per l'ottemperanza, in via principale, alla sentenza del T.A.R. Umbria n. 421 del 28 settembre 2020, confermata con decisione del Consiglio di Stato n. 5022 del 1 luglio 2021, e per la declaratoria di nullità per violazione o elusione del giudicato di tutti gli atti e provvedimenti già gravati con il ricorso introduttivo; ovvero, in via subordinata, previa conversione del rito, per l'annullamento dei medesimi degli atti e dei provvedimenti; Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente in data 6 maggio 2024: per l'ottemperanza - previa adozione delle idonee misure cautelari monocratiche e collegiali in riferimento ai provvedimenti sopravvenuti - alla sentenza del T.A.R. Umbria n. 421 del 28 settembre 2020, confermata con decisione del Consiglio di Stato n. 5022 del 1 luglio 2021, passata in giudicato, e per la declaratoria di nullità per violazione o elusione del giudicato di tutti gli atti e provvedimenti già gravati con il ricorso introduttivo, nonché ; A) per quanto riguarda il pozzo R4: A1) in riferimento al procedimento di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024: del parere favorevole della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio espresso nella seduta del 28 settembre 2023, non conosciuto; della relazione tecnica favorevole del Comune di (omissis), non conosciuta anche negli estremi, pervenuta alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria l'11 gennaio 2024 prot. 645; del parere favorevole con prescrizioni espresso ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024 dalla Soprintendenza per il nuovo cabinotto del 24 gennaio 2024, prot. 1477-P; della D.G.C. di (omissis), non conosciuta, del 5 marzo 2024 n. 40, che ha modificato la precedente delibera giuntale 7/2023, già oggetto del presente giudizio, in ordine all'esercizio della funzione per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024; dell'autorizzazione paesaggistica del Comune di (omissis) del 15 marzo 2024 n. 2; A2) in relazione al procedimento edilizio per il rilascio di un nuovo permesso di costruire: del parere dell'USL Umbria 1 dell'8 aprile 2024, prot. 66331 (rif. prot. comunale 10664 dell'8 aprile 2024), non conosciuto; del parere favorevole ex art. 15 della l.r. n. 22 del 2008, non conosciuto, espresso dalla Regione Umbria, Servizio risorse idriche, acque pubbliche, attività estrattive e bonifiche, identificato come "ns. rif. prot. n. 12540 del 25/04/2024"; del permesso di costruire del Comune di (omissis) del 3 maggio 2024 n. 13; B) per quanto riguarda il pozzo R1: B1) in riferimento al procedimento di autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024: del parere favorevole con prescrizioni della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio espresso nella seduta del 28 settembre 2023, non conosciuto; della relazione tecnica favorevole del Comune di (omissis), non conosciuta anche negli estremi, pervenuta alla Soprintendenza l'11 gennaio 2024, prot. 651; del parere favorevole con prescrizioni espresso ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024 dalla Soprintendenza per il nuovo cabinotto del 24 gennaio 2024, prot. 1476-P; della D.G.C. di (omissis), non conosciuta, del 5 marzo 2024 n. 40, che ha modificato la precedente delibera giuntale 7/2023, già oggetto del presente giudizio, in ordine all'esercizio della funzione per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2024; dell'autorizzazione paesaggistica del Comune di (omissis) del 15 marzo 2024 n. 3; B2) in relazione al procedimento edilizio per il rilascio di un nuovo permesso di costruire: del parere dell'USL Umbria 1 dell'8 aprile 2024, prot. 66331 (rif. prot. comunale 10664 dell'8 aprile 2024), non conosciuto; del parere favorevole ex art. 15 della l.r. n. 22 del 2008, non conosciuto, espresso dalla Regione Umbria, Servizio risorse idriche, acque pubbliche, attività estrattive e bonifiche, identificato come "ns. rif. prot. n. 12539 del 25/04/2024"; del parere favorevole, non conosciuto, del Servizio associato di Polizia locale di cui alla nota interno del 3 maggio 2024, prot. 810710; del permesso di costruire del Comune di (omissis) del 3 maggio 2024 n. 14; C) dell'ordinanza in deroga del Sindaco di (omissis) del 3 maggio 2024, prot. 0013242, comunicata alla Comunanza a mezzo pec in pari data, che ha autorizzato l'accesso ai luoghi dal 6 maggio 2024 al 28 giugno 2024 per la realizzazione nel suddetto periodo del nuovo cabinotto R4; ovvero, in via subordinata nell'eventualità in cui il ricorso per inottemperanza fosse dichiarato inammissibile e/o improcedibile e/o irricevibile e previa conversione del rito, per l'annullamento degli atti e dei provvedimenti già gravati con il ricorso introduttivo, nonché degli atti e provvedimenti di cui alle precedenti lettere A), B) e C). Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria, di Ro. s.p.a. e della Regione Umbria; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente gravame si inserisce nell'ambito di un articolato e pluriennale contenzioso che vede contrapposta la Comunanza ricorrente alle Amministrazioni regionale e comunale, nonché alla Società odierna controinteressata titolare della concessione per la captazione delle acque minerali in località "Ro."; per la ricostruzione di tale complessa pregressa vicenda si rinvia, per economia processuale, alle precedenti pronunce, in particolare C.d.S., sez. V, 1° luglio 2021, n. 5022; Id., 25 giugno 2021 n. 4865; T.A.R. Umbria, 28 settembre 2020 nn. 421 e 422. 1.1. Per quanto qui interessa, con sentenza 28 settembre 2020 n. 421 questo Tribunale amministrativo, in accoglimento del ricorso n. r.g. 448/2017, ha annullato i provvedimenti di accertamento di compatibilità paesaggistica nn. 2 e 4 del 30 agosto 2017 e, in parte qua, i permessi di costruire in sanatoria n. 45 del 2017 e n. 46 del 2017, di opere rispettivamente riferite ai "cabinotti" posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4. In particolare, nella richiamata sentenza sono state ritenute in parte fondate le censure - di cui al II, III e V motivo del ricorso introduttivo - rivolte tanto ai provvedimenti comunali che ai presupposti pareri vincolanti con i quali la competente Soprintendenza si è espressa favorevolmente circa la compatibilità paesaggistica, attinenti all'insussistenza dei presupposti per l'accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004, avuto particolare riguardo alla creazione di nuovi volumi, con conseguente declaratoria di illegittimità derivata, in parte qua, dei successivi titoli abilitativi edilizi in sanatoria rilasciati dal Comune di (omissis). 1.2. La pronuncia di primo grado è stata confermata in sede di appello dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza del 1° luglio 2021, n. 5022. 1.3. Facendo seguito alle citate pronunce, il Comune di (omissis), con ordinanza n. 106 del 20 luglio 2021 ha, per quanto qui rileva, ingiunto alla Ro. s.p.a. la demolizione delle opere eseguite in assenza di titolo ai sensi dell'art. 143 l.r. n. 1 del 2015 con riferimento ai Pozzi R1, R3-R4, consistenti in n. 3 cabinotti di protezione e relative recinzioni. 2. Lamenta l'odierna ricorrente che la Società interessata, anziché ottemperare all'ordine di demolizione impartito sulla scorta delle predette pronunce giurisdizionali, abbia presentato - come ricostruito dalla ricorrente all'esito di plurime richieste di accesso agli atti - due distinte istanze di accertamento di conformità e accertamento di compatibilità paesaggistica. 2.1. Emerge dagli atti di causa che, con riferimento ai pozzi R3 e R4, la Società proponeva una prima istanza acquisita al protocollo comunale il 5 ottobre 2021 al n. 27754 di permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 154 l.r. n. 1 del 2015 e, con contestuale richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004, "per opere realizzate sui cabinotti interrati posti a protezione dei pozzi denominai R3-R4 e relativa recinzione". In seguito alla notifica del preavviso di rigetto comunicato dal Comune in data 23 marzo 2022 - in cui si evidenziava che la richiesta di compatibilità paesaggistica, limitatamente alle opere murarie costituenti creazione di volume interrato, non era suscettibile di accoglimento ostandovi l'art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004 - la Ro. predisponeva un'ulteriore richiesta di autorizzazione paesaggistica semplificata in data 1° giugno 2022 prot. 16192. Nell'istanza la Società, dato atto degli interventi realizzati in ottemperanza all'ordinanza comunale (cfr. pag. 11 doc. 8 deposito di parte ricorrente), chiedeva l'accertamento di compatibilità per le opere non ripristinabili consistenti nel prolungamento delle tubature dei due pozzi finalizzate al posizionamento delle testate fuori terra, all'installazione di strutture provvisorie di protezione (gazebo in pvc con dimensioni 3,25x2,50 ed altezza 3,00 mt; coperchio in metallo per il pozzo R3) e recinzione con paletti in ferro e rete metallica plastificata per la perimetrazione delle pertinenze dei cabinotti. Nella medesima data i tecnici del Comune di (omissis) effettuavano un sopralluogo volto all'accertamento dell'ottemperanza dell'ordinanza n. 106 del 2021, all'esito del quale, con verbale del 16 giugno 2022, si è dato atto della demolizione delle opere murarie, con riempimento dei volumi interrati previo prolungamento delle tubature dei pozzi R3 e R4 al fine di portarle fuori terra (proteggendole rispettivamente con un coperchio metallico e con un gazebo con telo in pvc). Acquisito il parere favorevole della Commissione comunale per la qualità architettonica e il paesaggio in relazione alla compatibilità paesaggistica, nella seduta del 16 giugno 2022, nonché la documentazione integrativa presentata dall'istante, con nota del 17 ottobre 2022 prot. 29106 il Comune trasmetteva alla Soprintendenza proposta di accoglimento dell'istanza, unitamente alla relativa documentazione, ai fini dell'acquisizione del parere vincolante di cui all'art. 167, comma 5, e 181, comma 1 quater, del d.lgs. n. 42 del 2004. La Soprintendenza esprimeva parere favorevole di compatibilità paesaggistica in data 10 gennaio 2023 prot. 436. Con nota 12 maggio 2023 veniva determinata la sanzione pecuniaria di cui all'art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004 ed in data 11 settembre 2023 era rilasciata l'autorizzazione paesaggistica n. 6. Nelle more, in data 9 agosto 2023 prot. 22505, la Società presentava una SCIA in sanatoria in sostituzione della richiesta di permesso di costruire, depositando integrazioni documentali il successivo 4 settembre. Acquisita la valutazione di sicurezza e della compatibilità in materia idrogeologica e vista l'autorizzazione paesaggistica, con provvedimento del 14 settembre 2023 il Comune prendeva atto della conclusione del procedimento relativo all'accertamento di conformità . 2.2. Un iter similare è stato seguito con riferimento al pozzo R1, per cui in data 5 ottobre 2021 la Società presentava istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 154 l.r. n. 1 del 2015 (prot. 27755), per "le opere poste a protezione del pozzo denominato R1, con relativa recinzione e posa in opera di struttura provvisionale", successivamente l'interessata inviava documentazione integrativa. Il 5 aprile 2022 i tecnici comunali eseguivano un sopralluogo, come da verbale recante pari data, ed attestavano la parziale ottemperanza all'ordinanza di demolizione, essendo state demolite la parete frontale e la parete laterale destra del cabinotto posto a protezione del pozzo R1 e del pozzo comunale nonché il solaio di copertura, oltre alla recinzione posta a protezione dell'area e l'accesso carrabile con cancello metallico. Nel verbale si dà atto che "le strutture murarie residue (parete sinistra e parete retrostante), incastrate nella parete rocciosa, rimangono in essere con funzione di protezione dalla caduta dei detriti sulle opere di presa idrauliche (nell'area antistante è vietato l'accesso con ordinanze sindacali n. 1/2012 e 19/2012 per rischio caduta massi dal pendio roccioso soprastante)"; anche in questo caso in corrispondenza dei pozzi è stata posta un'opera provvisionale coperta da un telo impermeabile. A seguito del parere favorevole della espresso dalla Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio il 12 aprile 2022, con nota del 10 maggio 2022 (prot. 13767) il Comune trasmetteva alla Soprintendenza la documentazione unitamente ad una proposta di accoglimento. Con nota del 22 giugno 2022, prot. 0012375 la Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura dichiarava l'istanza di Ro. non procedibile. Facendo seguito alla richiesta di riesame avanzata dall'Amministrazione comunale con nota del 2 marzo 2023 prot. 6103, la Soprintendenza (con nota del 19 giugno 2023 prot. 11638, nella quale si evidenzia che "la parziale demolizione, eseguita nei termini previsti dall'Ordinanza n. 106/2021, ha determinato il venir meno delle condizioni ostative per la sanabilità delle opere, consistenti nella presenza di "superfici utili" o "volumi" realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica") annullava in autotutela la precedente determinazione ed esprimeva parere favorevole con la prescrizione che "a conclusione del procedimento in corso dovrà essere proposta una soluzione di chiusura del pozzo ai sensi dell'art. 146 del D.Lgs. 142/04 in modo da integrare correttamente l'intervento nel paesaggio". La Ro. presentava una proposta progettuale di riqualificazione (22 giugno 2023 prot. 17527), sulla quale la Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio esprimeva parere favorevole in pari data; dopo il pagamento della sanzione pecuniaria, stabilita con provvedimento del 23 giugno 2023, in data 13 settembre 2023 il Comune di (omissis) rilasciava l'autorizzazione paesaggistica n. 7. In sostituzione della richiesta di permesso di costruire in sanatoria originariamente presentata il 5 ottobre 2021, con nota del 9 agosto 2023 prot. 22506, la Ro. depositava una SCIA in sanatoria (pratica SUAPE 344/2023) per le opere poste a protezione del pozzo R1 e del pozzo comunale e delle relative opere di presa e captazione. Dopo l'acquisizione della valutazione di sicurezza e la certificazione di compatibilità idrogeologica, nonché della citata autorizzazione paesaggistica n. 7/2023, con nota del 14 settembre 2023 prot. 25528, il Comune, preso atto dell'intervenuto rilascio dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, vista la proposta progettuale di riqualificazione e ritenute soddisfatte le condizioni previste dall'art. 154 della l.r. n. 1 del 2015 per il rilascio del titolo in sanatoria, risultando l'intervento conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda, comunicava la positiva conclusione del procedimento di accertamento di conformità per l'istanza di SCIA pratica SUAPE 344/2023, precisando che "ai sensi dell'art. 23, comma 6, della L.R. 21/2004, il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria è condizionato all'ottemperanza delle prescrizioni imposte nel citato parere della Soprintendenza rilasciato il 19/06/2023 prot. 11638 e recepite nell'autorizzazione paesaggistica n. 7 del 13/09/2023 e oggetto di apposito atto da emanare da parte del responsabile del Settore Territorio". 2.3. Con ordinanza n. 143 del 14 settembre 2023 il Comune di (omissis) ha ordinato a Ro. di eseguire le opere previste dalla predetta proposta di riqualificazione, previa acquisizione dei necessari titoli autorizzatori nel termine di un anno dalla conclusione del procedimento di conformità . 3. Con il ricorso introduttivo, la Comunanza agraria "Appennino gualdese" ha agito in via principale per l'ottemperanza alla sentenza T.A.R. Umbria 421 del 28 settembre 2020, confermata C.d.S. n. 5022 del 1° luglio 2021 e la declaratoria di nullità : 1) degli atti e provvedimenti relativi all'accertamento di compatibilità ex art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004 e di conformità ex art. 154 l.r. n. 1 del 2015 delle opere poste a protezione dei pozzi R3 e R4; 2) degli atti e provvedimenti relativi all'accertamento di compatibilità ex art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004 e di conformità ex art. 154 l.r. n. 1 del 2015 delle opere poste a protezione del pozzo R1; 3) dell'ordinanza comunale n. 143 del 14 settembre 2023, per l'esecuzione di opere di riqualificazione edilizia ex art. 23, comma 6, l.r. n. 21 del 2004 di opere residue a seguito di parziale ottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 106 del 2021 (emessa a seguito del contenzioso) connesse con il pozzo R1 ed al pozzo comunale (porzioni di opere murarie con funzione di protezione dalla caduta di detriti, opere di presa e captazione, tratto di recinzione). In via subordinata, previa conversione del rito, la ricorrente ha chiesto l'annullamento dei medesimi atti e provvedimenti, articolando quattro motivi in diritto per: i. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, errata od omessa valutazione di presupposti essenziali ai fini del decidere non avendo il Comune di (omissis) acquisito, con riferimento all'istanza di accertamento di conformità, l'assenso della ricorrente Comunanza in qualità di proprietaria dei terreni sui cui insistono le opere abusivamente realizzate da Ro. s.p.a.; ii. violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, 143 e 145 l.r. n. 1 del 2015, 146, comma 4, 167, comma 4, e 181 del d.lgs. n. 142 del 2004, eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta, eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, errata od omessa valutazione dei presupposti essenziali ai fini del decidere, contestandosi la mancata adozione da parte del Comune dei successivi provvedimenti sanzionatori a fronte dell'inadempimento all'ordine di demolizione constatato con i verbali di sopralluogo, nonché le valutazioni della Soprintendenza; iii. violazione e/o falsa e/o errata applicazione sotto altri profili degli artt. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, 143 e 145 l.r. n. 1del 2015, 3 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e/o motivazione solo apparente, per difetto dei presupposti e difetto di istruttoria; iv. violazione e-o falsa e-o errata applicazione degli artt. 19 del d.lgs. n. 152 del 2006, 5 del d.P.R. n. 357 del 1997; eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, travisamento di fatto e difetto di istruttoria, per mancata considerazione della collocazione delle opere all'interno del Sito di importanza comunitaria (SIC) "Monti Maggio - Nero", nonché di ulteriori vincoli di inedificabilità . 3.1. Quanto all'azione di ottemperanza, che rileva in questa sede, la ricorrente ha denunciato la nullità per violazione e/o elusione del giudicato di cui alle sentenze T.A.R. Umbria 421 del 2020 e C.d.S. n. 5022 del 2021 tanto dei provvedimenti di accertamento di compatibilità paesaggistica che dei conseguenti titoli edilizi in sanatoria rilasciati dal Comune di (omissis) - sia in via derivata che per vizi autonomi - riferiti da un lato alle opere inerenti i pozzi R3 e R4 e, dall'altro, al pozzo R1. Le censure che parte ricorrente articola distintamente sono accomunate dalla denuncia della non completa ottemperanza della Ro. all'ordinanza di demolizione n. 160 del 2021, che avrebbe dovuto essere ritenuta dalle Amministrazioni competenti ostativa al rilascio dei titoli in sanatoria, con conseguente elusività della sanatoria delle opere residue; ad avviso di parte ricorrente, il giudicato avrebbe escluso la stessa possibilità di presentare ulteriori istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica e di conformità edilizia per opere già oggetto dei titoli annullati. 3.1.1. Con particolare riferimento alle opere inerenti i pozzi R3 e R4, si contesta che - dopo un primo preavviso di rigetto dell'istanza di accertamento di compatibilità in data 5 ottobre 2021 a fronte di una demolizione solo parziale - l'Amministrazione comunale e la Soprintendenza abbiano concluso positivamente i rispettivi procedimenti a fronte di interventi riempimento dei vuoti effettuati dal Ro. con ghiaia e copertura con terreno per ripristino dello strato erboso, pur avendo la Società mantenuto uno spazio vuoto all'interno dei pozzi in modo che le tubature continuassero ad attraversarli ed effettuato ulteriori opere, consistenti nel prolungamento delle tubature che attraversano i volumi in modo che le stesse fuoriuscissero comunque all'esterno, nonché realizzato un gazebo esterno, asseritamente provvisorio, per la protezione delle tubazioni emergenti all'esterno dei manufatti. Ad avviso di parte ricorrente, il Comune quanto la Soprintendenza avrebbero dovuto rilevare che le opere non demolite e per cui è stata chiesta la compatibilità postuma, non potevano essere oggetto di un accertamento a posteriori, ma demolite e rimosse integralmente. Al fine di ottemperare alle statuizioni giudiziali Ro. avrebbe dovuto chiudere in maniera totale e definitiva, ovvero rendere assolutamente impraticabili i cabinotti sotterranei in modo che gli stessi non consentissero, né l'attraversamento al loro interno delle tubazioni, né, tanto meno, la possibilità della loro prosecuzione all'esterno. Anche la recinzione non avrebbe potuto essere in alcun modo oggetto dell'ulteriore domanda di sanatoria, in quanto la sentenza aveva già statuito l'illegittimità della precedente istanza anche in ordine a questo manufatto; infine, il pozzetto di ispezione compreso tra i pozzi R3 e R4 non è stato ricolmato. 3.1.2. Con riferimento alle opere inerenti il pozzo R1, parte ricorrente articola censure analoghe, lamentando che solo alcuni dei manufatti inseriti nei titoli abilitativi annullati sono stati effettivamente demoliti, mentre per le strutture murarie residue e le opere di presa e captazione - dichiaratamente conservate al fine di non danneggiare né i pozzi in concessione a Ro., che costituirebbero patrimonio indisponibile della Regione Umbria, né il vicino pozzo comunale - sono stati chiesti, e concessi, i titoli in sanatoria sia paesaggistici che edilizi; anche in questo caso, a protezione delle opere residue sono state realizzate ulteriori opere temporanee. Ad avviso di parte ricorrente - in disparte le censure inerenti l'iter seguito per il rilascio del parere di compatibilità paesaggistica, che non rilevano in questa sede attenendo piuttosto all'eventuale annullabilità degli atti - il Comune sarebbe incorso in una palese violazione del giudicato laddove, in presenza delle domande di autorizzazione paesaggistica postuma presentate in data 5 e 25 ottobre 2021 per alcune delle opere già oggetto dei titoli annullati, piuttosto che rilevare la definitiva impossibilità del rilascio di ulteriori titoli in sanatoria, ha ritenuto le stesse ammissibili, avviando l'istruttoria e proponendone l'accoglimento. Analoga elusione vizierebbe il parere della Soprintendenza e la conseguente autorizzazione paesaggistica n. 7 del 2023; alla luce del rapporto di stretta connessione tra autorizzazione paesaggistica postuma ed accertamento di conformità edilizia la declaratoria di nullità della prima per violazione del giudicato dovrebbe comportare, di riflesso, la nullità del secondo (ovvero dell'atto del 14 settembre 2023 con cui il Comune ha dichiarato la conclusione del procedimento di accertamento di conformità per la SCIA). Parimenti elusiva del pregresso giudicato si presenterebbe l'ordinanza n. 143 del 2023 con la quale il Comune ha approvato, ai sensi dell'art. 23, comma 6, della l.r. n. 1 del 2004 - non applicabile al caso che occupa in quanto concernente le domande di condono ex art. 32 d.l. n. 269 del 2023 - il progetto di riqualificazione avanzato da Ro. in data 22 giugno 2023, previa acquisizione da parte della Società dei necessari, ulteriori titoli abilitativi, per gli ulteriori lavori necessari per l'inserimento del pozzo R1 nel contesto paesaggistico di riferimento, ordinando l'esecuzione dei lavori entro un anno dalla conclusione del procedimento di accertamento di conformità . 4. Si sono costituiti per resistere in giudizio il Comune di (omissis), il Ministero della Cultura e la controinteressata Ro. s.p.a. 4.1. Il Ministero della Cultura ha evidenziato come non siano formulate nel ricorso specifiche censure in ordine al contenuto delle autorizzazioni paesaggistiche relative alle nuove opere per le quali è stata presentata istanza dopo la sentenza n. 420 del 2021 del T.A.R. Umbria, limitandosi la parte ricorrente a lamentare l'inammissibilità delle rinnovate istanze (e dunque l'illegittimità del loro accoglimento) in quanto a seguito della sentenza la strada obbligata sarebbe stata quella di una demolizione integrale delle opere già realizzate, laddove Ro. ha proceduto ad una demolizione parziale al fine di depurare le opere esistenti dei "nuovi volumi" che ostavano alla loro autorizzazione in sanatoria. La difesa erariale ha evidenziato come la Soprintendenza, ricevuto l'inoltro dell'istanza di autorizzazione paesaggistica postuma con proposta di accoglimento dell'Autorità procedente, abbia esercitato - addivenendo a conclusioni non contestate nel contenuto dalla ricorrente - la discrezionalità tecnica rimessale ai fini della gestione del vincolo. 4.2. L'Amministrazione comunale resistente, ripercorrendo il pluriennale contenzioso in cui si inserisce la vicenda che occupa, ha sottolineato che la proroga della concessione mineraria "Ro." è stata conclusivamente ritenuta legittima (giusta anche l'ultima esegesi giurisdizionale posta dalla Corte di Cassazione con ordinanza delle Sezioni Unite n. 1886 del 2023); le opere edilizie a protezione dei punti di captazione, appunto da concessione mineraria legittimamente vigente, sono pertinenze minerarie a tutela dei giacimenti nell'ambito di zone di tutela assoluta guarentigiate dalla norma nazionale e regionale ratione temporis, non potendosi, pertanto, avallare inopinate pretese di demolizioni a oltranza o di ritombamenti. 4.3. La Società controinteressata ha evidenziato come, ancora prima dell'adozione dell'ordinanza n. 106 del 2021, la Ro. (con nota del 5 luglio 2021) avesse manifestato l'intenzione di "ottemperare immediatamente" alle pronunce richiamate e, pertanto, di procedere alla rimozione delle opere edilizie di cui era stata accertata l'illegittimità, anticipando che avrebbe presentato istanza per il rilascio di permesso a costruire, previa richiesta di autorizzazione paesaggistica, ai sensi e per gli effetti dell'art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto "la protezione dei pozzi di emungimento è aspetto necessario e indefettibile inerente al regolare svolgimento dell'attività estrattiva". Successivamente, nei termini di legge previsti dall'ordinanza di demolizione, Ro. ha provveduto alla celere rimozione delle opere sanzionate, il tutto sotto la vigilanza dell'Autorità edilizia, dando così attuazione alla sentenza n. 421 del 2020 di cui la ricorrente lamenta irragionevolmente l'omessa ottemperanza. Contestualmente la Società ha provveduto all'indispensabile messa in sicurezza temporanea dei pozzi, cui è tenuta in qualità di titolare della concessione mineraria per l'utilizzo e coltivazione di acqua minerale naturale, al fine di preservare e garantire la salubrità della risorsa idrica ed il corretto funzionamento degli impianti ivi presenti, ed ha avviato, al contempo, l'iter edilizio volto ad ottenere i necessari permessi a costruire per il ripristino della sicurezza dei luoghi, obbligo, quest'ultimo, sulla medesima incombente. Nel contestare le censure di parte ricorrente, la controinteressata ha sottolineato come le stesse si fondino su un completo travisamento dei fatti e non tengano conto della disciplina in tema di tutela dei giacimenti e di salvaguardia delle opere di pubblica utilità, di cui alla l.r. n. 22 del 2008, che pone a carico del titolare della concessione l'obbligo di protezione dei giacimenti sia per ragioni di sicurezza edilizia e tecnica che di tutela della salute e salubrità dell'ambiente, al fine di evitarne la contaminazione (cfr. artt. 16 e 23). In questa ottica, i cabinotti di cui si controverte sono da considerarsi pertinenze minerarie, i cui "oneri per la realizzazione e la manutenzione ordinaria e straordinaria... sono a carico del concessionario sino alla consegna delle stesse in caso di cessazione della concessione"; tali opere insistono su aree di tutela assoluta ex art. 23 l.r. n. 22 del 2008 e rappresentano interventi necessari ai fini della salvaguardia dei giacimenti. 5. In data 26 aprile 2024 - a seguito dell'acquisizione, in esito all'accesso agli atti, di ulteriori documenti inerenti le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate - la ricorrente ha depositato un primo atto per motivi aggiunti nel quale ha articolato in via principale (sub A) ulteriori argomentazioni a sostegno dell'azione di ottemperanza di cui al ricorso introduttivo, specificamente riferita alle opere inerenti il pozzo R1. In via subordinata, la parte ricorrente ha proposto un ulteriore motivo di annullamento denunciando (seguendo la pregressa numerazione): v. eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, errata od omessa valutazione di presupposti essenziali ai fini del decidere, difetto assoluto di motivazione, incompetenza dell'organo emanante. 6. In data 6 maggio 2024 la ricorrente ha depositato un secondo atto per motivi aggiunti, con istanza cautelare anche ai sensi dell'art. 56 cod. proc. amm., per la declaratoria di nullità o, in subordine l'annullamento, degli atti e provvedimenti già gravati con il ricorso introduttivo nonché ulteriori atti e provvedimenti in epigrafe meglio indicati, tra cui i sopravvenuti provvedimenti di permesso di costruire del 3 maggio 2024 n. 13 (per la realizzazione ex novo di un cabinotto a protezione pozzo R4) e n. 14 (per la realizzazione ex novo cabinotto a protezione pozzo R1), le relative autorizzazioni paesaggistiche nn. 2 del 15 marzo 2024 e 3 del 26 marzo 2024 rilasciate dal Comune di (omissis), previo parere favorevole della Soprintendenza (del 24 gennaio 2024 prot. 1476-p cabinotto pozzo R1 e 1477-p cabinotto pozzo R4 e pozzo comunale), nonché l'ordinanza in deroga del Sindaco di (omissis) del 3 maggio 2024, prot. 0013242 che ha autorizzato l'accesso ai luoghi dal 6 maggio al 28 giugno 2024 per la realizzazione nel suddetto periodo del nuovo cabinotto R4. In via principale, la ricorrente ha articolato ulteriori ragioni a fondamento dell'azione di ottemperanza e lamentato la nullità in via derivata dei titoli, paesaggistici ed edilizi, sopravvenuti relativi alla ricostruzione dei cabinotti posti a protezione dei pozzi R4 e R1. Pur evidenziando di non conoscere i progetti presentati dalla controinteressata, parte ricorrente denuncia che tali provvedimenti assumerebbero anch'essi una chiara finalità elusiva delle sentenze emesse, trovando il loro fondamento nelle parti non demolite dei cabinotti preesistenti e oggetto dei provvedimenti già adottati, risultando viziati a loro volta, in considerazione del nesso sussistente tra le parti non demolite e sanate dei cabinotti e le ulteriori opere da ultimo autorizzate per i medesimi. In via subordinata (sub B), la ricorrente ha articolato ulteriori motivi di annullamento, come segue: vi. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990, lamentando il mancato coinvolgimento procedimentale della Comunanza, proprietaria dell'area interessata dalle opere, e avente una posizione differenziata, facilmente identificabile alla luce dei molteplici giudizi pendenti; vii. violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 146 del d.lgs. 42 del 2004 ed 11 del d.P.R. n. 380 del 2001 essendo sia i titoli paesaggistici che quelli edilizi viziati, in quanto rilasciati ad un soggetto non legittimato e in assenza del consenso della Comunanza, proprietaria dell'area; viii. violazione e/o falsa e/o errata applicazione degli artt. 11 e 12 l. n. 1766 del 1927, 3 l. n. 168 del 2017, errata individuazione dei presupposti da valutare, omessa valutazione dei presupposti, travisamento dei fatti, in quanto, essendo le aree su cui dovranno sorgere i nuovi cabinotti assoggettate all'uso civico, l'adozione dei titoli, paesaggistici ed edilizi, avrebbe richiesto il rilascio del preventivo mutamento della destinazione d'uso; ix. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 3 l. n. 241 del 1990, eccesso di potere per difetto di motivazione e/o motivazione solo apparente, essendosi la Soprintendenza limitata a recepire acriticamente le risultanze delle istruttorie del Comune, senza alcuna indispensabile valutazione dell'impatto dei manufatti nel contesto di riferimento, caratterizzato da un eccezionale pregio naturalistico e ambientale e tralasciando di approfondire autonomamente le deteriori conseguenze sull'assetto paesaggistico derivanti dall'intrusione di elementi del tutto estranei e incongrui rispetto ai caratteri peculiari dei luoghi sottoposti a tutela; xi. violazione e/o falsa e/o errata applicazione dell'art. 3 l. n. 241 del 1990 (ulteriore profilo), eccesso di potere per difetto di motivazione e/o errata valutazione dei presupposti, in relazione a tutti gli ulteriori provvedimenti adottati (con riserva di articolare motivi aggiunti una volta acquisita la documentazione completa); xii. illegittimità derivata. 7. Alla camera di consiglio del 7 maggio 2024, preso atto dell'istanza di rinvio avanzata dalla difesa ricorrente in ragione dell'esigenza di proposizione di ulteriori motivi aggiunti e stante il consenso delle controparti, la trattazione è stata rinviata alla camera di consiglio del 23 luglio 2024. 8. Con decreto 8 maggio 2024 n. 28 è stata rigettata l'istanza ex art. 56 cod. proc. amm., fissando per la trattazione collegiale cautelare la camera di consiglio del 21 maggio 2024. 9. Le difese resistenti hanno specificato le argomentazioni già svolte. 9.1. In particolare, la controinteressata Ro. ha ribadito che opere a protezione dei pozzi si pongono come interventi necessari ai fini della salvaguardia dei giacimenti e "al fine di assicurare e mantenere le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque" (art. 23 l.r. n. 22 del 2008), obblighi di tutela specificamente ricadenti sul titolare della concessione; opere alle quali, ai sensi dell'art. 28 della stessa l.r. n. 22 del 2008 i proprietari ed i possessori dei fondi compresi nel perimetro dell'area del permesso di ricerca o della concessione non possono opporsi. 10. Si è costituita per resistere in giudizio la Regione Umbria, eccependo la propria carenza di legittimazione processuale, sia con riferimento alla domanda principale di ottemperanza del giudicato - che per ragioni di competenza non può avere come destinataria l'Amministrazione regionale - sia con riferimento alle ulteriori domande in quanto volte ad ottenere l'annullamento di atti del Comune di (omissis) ovvero della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell'Umbria o dell'USL Umbria 1. La difesa regionale ha, altresì, eccepito l'inammissibilità per carenza di interesse dell'impugnativa di cui al secondo ricorso per motivi aggiunti dei due "pareri" della Regione Umbria che costituiscono pareri meramente facoltativi (non rientrando tra quelli obbligatori e/o vincolanti e non essendo per di più previsti da alcuna norma di legge o regolamento) e rispondono unicamente all'esigenza di comunicazione di cui all'art. 15, comma 3, l.r. n. 22 del 2018. Nel chiedere il rigetto merito delle censure attoree, richiamata la normativa nazionale e regionale in merito alla necessità di protezione delle sorgenti o dei punti di emergenza (e quindi dei pozzi) a tutela delle risorse idriche, la Regione ha evidenziato come i contestati cabinotti debbano essere considerati locali tecnici a protezione delle opere di presa, pubbliche (acquisite al patrimonio indisponibile della Regione Umbria), finalizzate alla captazione dell'acqua minerale Ro.. Le opere di cui si controverte sono da considerarsi, pertanto, di pubblica utilità, insistendo su aree di tutela assoluta, e rappresentano interventi necessari ai fini della salvaguardia dei giacimenti e finalizzati ad assicurare e mantenere le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque, la tutela della salute e la salubrità ambientale; gli obblighi di tutela spettano al titolare della concessione, ossia alla Ro. s.p.a., che ha in tal senso prontamente provveduto, ottenendo i necessari permessi. 11. Alla camera di consiglio del 21 maggio 2024, preso atto della richiesta di abbinamento al merito dell'istanza cautelare formulata dalla difesa attorea, la trattazione è stata rinviata alla camera di consiglio già fissata per il 23 luglio 2024. 12. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione. La parte ricorrente non ha depositato ulteriori motivi aggiunti. 13. Alla camera di consiglio del 23 luglio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 14. Deve essere in questa sede esaminata la domanda proposta in via principale, tanto nel ricorso introduttivi che nei successivi motivi aggiunti, con la quale la ricorrente ha chiesto di accertarsi la nullità dei numerosi atti e provvedimenti in epigrafe indicati per violazione ed elusione del giudicato di cui alla sentenza del T.A.R. Umbria del 28 settembre 2020 n. 421, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza del 1° luglio 2021 n. 5022. 15. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla difesa della Regione Umbria. A prescindere dalla natura meramente consultiva dei pareri regionali gravati - che sarà esaminata nella corretta sede di cognizione - va evidenziato che la stessa difesa dell'Ente riconduce al patrimonio indisponibile regionale i pozzi R1 e R4, in quanto pertinenze minerarie della concessione di acqua minerale Ro.; da ciò discende che l'Amministrazione regionale non può ritenersi assolutamente estranea alla vicenda. 16. Le censure articolate in via principale dalla parte ricorrente si basano sull'assunto per cui il giudicato avrebbe escluso in radice la possibilità di mantenere qualsiasi opera relativa tanto ai pozzi R3 e R4 che del pozzo R1 (adiacente al pozzo comunale), incluse le opere di captazione; con il corollario, ad avviso di parte ricorrente, di precludere la presentazione di ulteriori istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica e di conformità edilizia per tutte le opere già oggetto dei titoli annullati (o comunque già esistenti all'epoca del pregresso contenzioso). Tali assunti si presentano fallaci sia sotto il profilo dell'estensione del pregresso giudicato che dal punto di vista fattuale, per le ragioni di seguito illustrate. 16.1. Sotto il primo profilo, non può essere condivisa la proposta lettura della citata sentenza di questo Tribunale amministrativo n. 421 del 2020, confermata in appello; si rende necessario, pertanto, delimitare correttamente l'oggetto del giudicato. Si legge nella motivazione della sentenza n. 421 del 2020 (§ 6) che "è necessario effettuare un distinguo alla luce della diversa consistenza degli interventi per cui è stata avanzata istanza di sanatoria. Per quanto attiene alle opere poste a protezione del Pozzo R1 l'accertamento di compatibilità paesaggistica n. 530 del 4 agosto 2017 - cui ha fatto seguito la gravata autorizzazione paesaggistica in sanatoria n. 2 del 30 agosto 2017 - ha riguardato la realizzazione ex novo di un "cabinotto completamente integrato nel costone roccioso con una parete scoperta per l'accesso a protezione del pozzo R1 e relativa recinzione perimetrale", su area distinta al catasto fg. 68 p.lla 11. Alla luce dei principi richiamati, le censure di parte ricorrente appaiono fondate con riferimento al "cabinotto", non sanabile sotto il profilo paesaggistico in quanto comportante la creazione di un nuovo volume, senza che rilevi la natura parzialmente interrata dello stesso. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo alle strutture realizzate a protezione dei pozzi R3 e R4. Emerge dagli atti di causa che l'accertamento di compatibilità paesaggistica ha ad oggetto - oltre ad una recinzione perimetrale, realizzata con paletti in ferro e rete metallica, ed un cancello di accesso - la realizzazione ex novo di due "cabinotti" interrati, opera eseguita, secondo quanto si legge dalla relazione istruttoria "con muri e solette in c.a., il piano di copertura risulta inferiore al piano di campagna con inerbimento dell'estradosso del solaio di copertura e la presenza di un'opportuna presa d'aria in pozzetto con sovrastante ghiera metallica". Riguardo a tali volumi non soccorre la previsione di cui al punto A.15 dell'allegato A del d.P.R. n. 31 del 2017, in quanto tale fattispecie sottrae alla necessità di previa autorizzazione paesaggistica la realizzazione e manutenzione di volumi completamente interrati solo "senza opere in soprasuolo", presenti, invece, nella fattispecie in esame, come evincibile anche dalla documentazione fotografica versata in atti. Differente si presenta la situazione per quanto attiene all'autorizzazione paesaggistica in sanatoria n. 3 del 30 agosto 2017 e relativi atti presupposti, riferita al cabinotto a protezione del pozzo R2 e relativa recinzione perimetrale su area distinta al catasto fg. 45 p.lla 6. In questo caso, infatti, sebbene tanto la determinazione comunale di accertamento di compatibilità paesaggistica n. 531 del 2017 faccia genericamente riferimento alla "costruzione di n. 1 cabinotto a protezione del pozzo R2 e relativa recinzione perimetrale", emerge dalla relazione istruttoria che la sanatoria è stata chiesta non per la realizzazione del citato "cabinotto" posto a protezione del pozzo R2, bensì per difformità di realizzazione del rivestimento esterno, del marciapiede e della copertura rispetto alla concessione edilizia n. 225 del 1987 alla quale avevano fatto seguito la DIA prot. 1259 del 1998 e l'autorizzazione paesaggistica n. 11/A del 1996. Risulta, altresì, realizzata in assenza di titolo una recinzione a protezione dell'area, con muretto e sovrastante rete metallica e paletti zincati, nonché un cancello metallico carrabile a due ante. In tale fattispecie, pertanto, non è ravvisabile la creazione di volumi o superfici utili e, pertanto, la lamentata violazione dell'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004.... 6.2. Dalla parziale fondatezza dei motivi sopra richiamati discende l'illegittimità in parte qua dei gravati provvedimenti - in epigrafe meglio individuati con riferimento al ricorso introduttivo sub 1) e sub 3) - in quanto riferiti ai "cabinotti" posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4.... a seguito dell'annullamento del provvedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica delle opere non può che ritenersi viziato anche il provvedimento comunale di accertamento di conformità urbanistica delle medesime ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. Di conseguenza deve essere dichiarata l'illegittimità in parte qua dei permessi di costruire in sanatoria n. 45 del 2017 e n. 46 del 2017, in quanto rispettivamente riferiti ai "cabinotti" posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4... 6.2. Dalla parziale fondatezza dei motivi sopra richiamati discende l'illegittimità in parte qua dei gravati provvedimenti - in epigrafe meglio individuati con riferimento al ricorso introduttivo sub 1) e sub 3) - in quanto riferiti ai "cabinotti" posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4.... Di conseguenza deve essere dichiarata l'illegittimità in parte qua dei permessi di costruire in sanatoria n. 45 del 2017 e n. 46 del 2017, in quanto rispettivamente riferiti ai "cabinotti" posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4". Con la sentenza n. 5022 del 2021 la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto l'appello proposto da Ro., confermando integralmente le valutazioni effettuate in primo grado. 16.2. Gli assunti di parte ricorrente risultano, pertanto, errati in quanto nelle citate pronunce si fa esclusivo riferimento a volumi utili con specifico riguardo ai cabinotti posti a protezione dei pozzi R1 e R3-R4, per cui non sono stati rinvenuti i presupposti per l'applicazione della fattispecie di cui al punto A.15 dell'allegato A del d.P.R. n. 31 del 2017. Da una corretta lettura delle citate sentenze emerge, in primo luogo, che non vi è alcun elemento che colleghi l'annullamento dei pregressi titoli in sanatoria alla presenza delle opere di captazione nel sottosuolo. Conseguentemente, non può condividersi la lettura di parte ricorrente che fa discendere l'elusione del giudicato dalla circostanza che tanto l'Amministrazione comunale che la Soprintendenza non abbiano ritenuto ostativo al rilascio dei titoli in sanatoria e, conseguentemente, dei successivi titoli abilitativi, la mancata rimozione di dette opere di captazione, né che le stesse siano state salvaguardate, in sede di adempimento all'ordinanza di demolizione n. 106 del 2021, con un temporaneo prolungamento delle tubazioni. Nella richiamata prospettiva, si presentano parimenti infondate le censure inerenti i pozzi R3 e R4, laddove parte ricorrente contesta le modalità del "riempimento", che non sarebbero state tali da rendere inservibili l'infrastrutturazione volta all'emungimento delle acque (non risultando peraltro pertinenti, stante la peculiarità del caso in esame, i precedenti giurisprudenziali invocati dalla ricorrente). Del resto il giudicato di cui si chiede l'ottemperanza non ha interessato la concessione ed il diritto di Ro. a proseguire nell'emungimento in forza della concessione prorogata dalla Regione Umbria con D.D. 18 dicembre 2015, n. 987, la cui validità è stata confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4865 del 2021, ed alla quale tali opere di prolungamento delle tubature e temporanea collocazione di gazebo di protezione sono funzionali. 16.3. Anche in punto di fatto si rendono necessarie alcune puntualizzazioni. Occorre evidenziare che dalla documentazione versata in atti (cfr. in particolare documentazione fotografica allegata alle domande di compatibilità paesaggistica, doc. 8, 11 e 19 della produzione di parte ricorrente, e verbali di sopralluogo del 5 aprile e 16 giugno 2022) emerge che l'odierna controinteressata si è effettivamente attivata per la rimozione dei citati volumi. In particolare, per quanto attiene alle opere edilizie poste a protezione dei pozzi R3 e R4, dal verbale redatto dai tecnici del Comune di (omissis) del 16 giugno 2022 risulta che i "volumi interrati, realizzati a protezione dei pozzi risultano rimossi" e che "si è provveduto al riempimento dei vuoti (vano tecnico e vano scale) con ghiaia e successivamente alla copertura con terreno vegetale per ripristinare lo stato erboso naturale". Le istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica e di conformità urbanistica, positivamente riscontrate, hanno riguardato le opere precarie realizzate successivamente al ripristino per la temporanea protezione dei pozzi. Per quanto attiene al pozzo R1, nel verbale del 5 aprile 2022 si dà atto della rimozione della parete frontale, della parete laterale destra e del solaio di copertura del cabinotto, oltre che della recinzione posta a protezione dell'area e del relativo cancello carrabile; non sono state rimosse la parete sinistra e parete retrostante in quanto "incastrate nella parete rocciosa, rimangono in essere con funzione di protezione dalla caduta dei detriti sulle opere di presa idrauliche (nell'area antistante è vietato l'accesso con ordinanze sindacali n. 1/2012 e 19/2012 per rischio caduta massi dal pendio roccioso soprastante)". La Ro. ha presentato accertamento di compatibilità e di conformità per la recinzione e le opere provvisionali realizzate a protezione del pozzo e destinate ad essere sostituite dalle strutture definitive, per le quali è stato poi chiesto ed ottenuto il permesso di costruire. 16.4. Alla luce della corretta ricostruzione dei fatti si presentano, altresì, infondate le censure di parte ricorrente avverso i sopravvenuti provvedimenti di sanatoria, in quanto basate sull'assunto, smentito dalle risultanze di causa, per cui le istanze avanzate da Ro. avrebbero avuto ad oggetto i medesimi manufatti cui è riferito il precedente giudicato. Al contrario, come visto al precedente paragrafo, la Società odierna controinteressata ha provveduto alla rimozione dei volumi precedentemente realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica - cui fa riferimento il pregresso giudicato - chiedendo contestualmente l'accertamento di compatibilità e di conformità per le opere temporanee realizzate a protezione dei pozzi stessi, pertanto per opere estranee al perimetro del giudicato e destinate ad essere sostituite dai manufatti definitivi per i quali nelle sono stati chiesti, ed ottenuti nelle more, i permessi di costruire, previa necessaria autorizzazione paesaggistica. 17. Da quanto sopra di discende, inoltre, l'infondatezza delle doglianze formulate in via principale con il primo atto di motivi aggiunti, nonché con il secondo atto per motivi aggiunti laddove la parte ricorrente censura in via derivata i permessi di costruire, e le relative autorizzazioni paesaggistiche, nelle more rilasciati per la ricostruzione dei cabinotti a protezione dei pozzi R1 e R4. 18. Le ulteriori questioni poste, incluse quelle relative all'errata applicazione dell'art. 23, comma 6, l.r. n. 21 del 2004, attenendo a profili di annullabilità dei provvedimenti gravati, dovranno essere esaminate nell'idonea sede di cognizione. Difatti, come già rilevato, la ricorrente ha proposto, in via subordinata, anche domanda di annullamento degli atti impugnati, articolando specifiche censure; la trattazione di tali censure deve, tuttavia, avvenire a seguito di giudizio celebrato secondo il rito ordinario, ragione per cui va preliminarmente disposto il mutamento del rito (C.d.S., A.P., 15 gennaio 2013, n. 2), previa rimessione della causa sul ruolo della udienza pubblica per la discussione del merito. 19. Per quanto esposto, la domanda di ottemperanza deve essere rigettata, disponendosi, per la discussione in udienza pubblica delle censure volte all'annullamento degli atti impugnati, la conversione del rito ai sensi dell'art. 32, comma 2, cod. proc. amm., e la fissazione, per il prosieguo della trattazione, della seconda udienza pubblica di gennaio 2025. Ogni statuizione sulle spese della presente fase è riservata alla sentenza definitiva. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, non definitivamente pronunciando sul ricorso e sui successivi motivi aggiunti, come in epigrafe proposti: a) rigetta la domanda di ottemperanza proposta in via principale tanto con il ricorso introduttivo che con i successivi motivi aggiunti; b) visto l'art. 32, comma 2, cod. proc. amm., dispone il mutamento del rito per la trattazione della domanda di annullamento formulata, in via subordinata, con il ricorso introduttivo ed i motivi aggiunti in epigrafe; c) fissa per il prosieguo della trattazione del ricorso la seconda udienza pubblica di gennaio 2025. Spese al definitivo. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
TAR Perugia
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 278 del 2023, proposto da Fr. Be. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Am. Re, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); sul ricorso numero di registro generale 152 del 2024, proposto da Lo. In. ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Am. Re, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); per l'ottemperanza sia quanto al ricorso n. 278 del 2023 che quanto al ricorso n. 152 del 2024: del giudicato formatosi sul decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 472/2020 del 30.12.2020 (corretto con ordinanza n. 38/2021 del 20.01.2021). Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; Visto l'art. 114 cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso n. 278/23 è stata chiesta l'ottemperanza al decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 972 del 30 dicembre 2020, di riparazione del danno da ritardo giudiziario ai sensi della l. n. 89 del 2001, con il quale il Ministero della Giustizia è stato condannato al pagamento in favore della Sig.ra Fr. Be. ed altri venti ricorrenti della somma di Euro 1.600,00 ciascuno, oltre interessi legali dal giorno della domanda giudiziale al saldo. Con il successivo ricorso n. 152/24 è stata chiesta l'ottemperanza del medesimo decreto di cui sopra, in riferimento però alla pretesa vantata da altri sei ricorrenti: in particolare è stata riconosciuta la somma di Euro 1.600,00 a ciascun ricorrente per l'intero, con l'eccezione dei Sigg.ri Fr. Ta. ed altri, quali eredi di Co. Ta., ai quali spetta la complessiva somma di Euro 1.600,00 da dividersi pro quota, oltre interessi e spese legali. Nel medesimo decreto è stata disposta la condanna al pagamento delle spese di lite, quantificate in Euro 1.198,50 per compensi ed Euro 27,00 per esborsi, oltre IVA e CPA. 2. In tutti i ricorsi è stata altresì spiegata domanda di condanna al pagamento delle penalità di mora (cd. astreintes) oltre alla refusione delle spese legali della presente fase di giudizio in favore del procuratore costituito Avv. Am. Re, dichiaratasi antistataria. 3. In data 10 aprile 2024 la parte ricorrente ha chiesto la riunione del ricorso n. 152/24 al più antico, ovvero il n. 278/23, avendo tutti ad oggetto analoga pretesa creditoria nascente dal medesimo decreto n. 972 del 30 dicembre 2020 della Corte d'Appello di Perugia. 4. Il Ministero della Giustizia si è costituito senza nulla osservare sul punto, e non ha contestato la pretesa creditoria vantata dai ricorrenti. 5. Alla camera di consiglio del 18 giugno 2024 il Collegio ha rilevato la possibile inammissibilità del ricorso per il mancato rispetto del termine semestrale per il deposito rispetto all'invio delle dichiarazioni ex art. 5 sexies L.89/2001, prescritto ai fini della procedibilità del ricorso, oltrechè per l'incompletezza della dichiarazione presentata dalla ricorrente Di Na. Ro., il cui documento d'identità risultava scaduto al momento della trasmissione della dichiarazione ex art. 5-sexies della L. 89/2001 al Ministero resistente. La causa è stata quindi trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente si dispone la riunione del ricorso n. 278/23 con quello rubricato al numero 152/24, trattandosi di giudizi vertenti sull'esecuzione del medesimo titolo giudiziale, ovvero il decreto della Corte d'Appello di Perugia n. 972 del 30 dicembre 2020. 7. Devono quindi esaminarsi i profili di inammissibilità dei ricorsi. 7.1. L'art. 5 sexies comma 7 della L. 89/2011 prescrive espressamente che il creditore non può proporre ricorso per l'ottemperanza del provvedimento prima che sia decorso il termine semestrale dall'invio dell'apposita dichiarazione sostitutiva ivi prevista. Il suddetto termine non risulta rispettato per i ricorrenti Ma. Ta. ed altri, le cui dichiarazioni ex art. 5 sexies risultano inviate al Ministero resistente il 14 marzo 2023, a fronte della notifica del ricorso introduttivo il 27 marzo 2023 e del successivo deposito il 3 aprile 2023. Il ricorso è dunque inammissibile per i ricorrenti Ma. Ta. ed altri in riferimento alla tardiva trasmissione della dichiarazione ex art. 5 sexies della L. 89/11. 7.2. Il ricorso è altresì inammissibile sotto altro profilo. L'art. 5-sexies, c. 1, della legge n. 89/2001 stabilisce altresì che al fine di ricevere il pagamento delle somme liquidate a norma della medesima legge, il creditore rilascia all'amministrazione debitrice una dichiarazione, ai sensi degli articoli 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000, attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l'esercizio di azioni giudiziarie per lo stesso credito, l'ammontare degli importi che l'amministrazione è ancora tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta, e trasmette la documentazione prevista dai decreti di cui al successivo comma. In attuazione del comma da ultimo ricordato è stato emanato il decreto del Ministro della Giustizia del 28.10.2016, che, all'art. 2, c. 2, stabilisce che alla dichiarazione sostitutiva, redatta secondo i modelli approvati con lo stesso decreto, deve essere allegata la copia fotostatica di un documento di identità in corso di validità e del tesserino del codice fiscale o del tesserino sanitario del dichiarante. Il comma 4 del succitato art. 5-sexies della legge n. 89/2001 dispone che "(n)el caso di mancata, incompleta o irregolare trasmissione della dichiarazione o della documentazione di cui ai commi precedenti, l'ordine di pagamento non può essere emesso". Dalle disposizioni appena citate discende l'inammissibilità della domanda di ottemperanza formulata dalla Sig.ra Ro. Di Na., avendo costei trasmesso all'Amministrazione debitrice la dichiarazione sostitutiva prevista dall'art. 5-sexies della legge n. 89/2001 in data 18 agosto 2022 con allegato il documento d'identità con scadenza 9 agosto 2022. Rimane impregiudicata la riproponibilità del ricorso in ottemperanza, ricorrendone i presupposti sostanziali e processuali. 8. In riferimento alla restante parte dei ricorrenti il ricorso è meritevole di accoglimento. La pronuncia della Corte di Appello di Perugia risulta passata in giudicato, come da certificazione del suddetto ufficio giudiziario in data 25 maggio 2022. Risulta, inoltre, regolarmente inviata la dichiarazione di cui all'art. 5-sexies della legge n. 89/2001 in data 18 agosto 2022. 9. Ciò premesso, il Collegio rammenta che: - il giudizio d'ottemperanza è limitato alla stretta esecuzione del giudicato del quale si chiede l'attuazione ed esula dal suo ambito la cognizione di qualsiasi altra domanda, comunque correlata al giudicato stesso; - l'ottemperanza è esperibile indipendentemente da ogni disposizione concernente l'esecuzione civile, attesa la diversità ontologica delle due azioni; - l'esecuzione dell'ordine del Giudice costituisce un inderogabile dovere d'ufficio per l'Amministrazione cui l'ordine è rivolto nonché per i suoi rappresentanti e funzionari. 10. Fatta tale doverosa premessa, il Collegio osserva che la domanda di esecuzione del decreto della Corte di Appello spiegata dai ricorrenti è meritevole di accoglimento sia in riferimento al pagamento della somma riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale nonché quanto alla contestuale istanza di nomina di un commissario ad acta. 11. Alla stregua di quanto esposto, questo Tribunale dispone che il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, provveda entro il termine di 90 giorni dalla notifica o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, al pagamento delle somme di cui sopra in favore di parte ricorrente. Al riguardo, si precisa che il debito per i diritti e gli onorari liquidati nel decreto da eseguire è un'obbligazione pecuniaria (art. 1224 cod. civ.), con la conseguenza che: - il ritardo nel pagamento produce automaticamente gli interessi legali; - la corresponsione di questi ultimi soddisfa ogni pretesa da ritardo. Si osserva altresì che detti interessi dovranno essere calcolati dal giorno della notifica del decreto di cui trattasi, connotandosi la notifica come costituzione in mora del debitore (art. 1219 cod. civ.). 12. Per il caso di inadempienza, il Tribunale nomina sin d'ora commissario ad acta il Dirigente responsabile dell'Ufficio I della Direzione Affari Giuridici e Legali del Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero soccombente. 10. Il commissario cosi designato provvederà a: a - prelevare le somme da qualsiasi capitolo di spesa del Ministero competente al pagamento, ovvero, in caso di incapienza, da qualsiasi altro capitolo di spesa dello Stato, scelto a sua discrezione secondo il criterio di buona amministrazione; b - utilizzare se necessario anche i fondi fuori bilancio; c - utilizzare in alternativa, sempre a sua scelta, l'istituto del pagamento in conto sospeso. 13. Il commissario terminerà la sua opera, salvo proroghe da richiedersi a questo Tribunale, entro il termine di 90 giorni dalla richiesta che la parte interessata gli presenterà dopo che sia decorso inutilmente il termine di 90 giorni di cui al precedente paragrafo 8. 14. Quanto alla domanda di condanna al pagamento delle ulteriori somme richieste a titolo di indennità di mora (c.d. astreinte), il Collegio osserva quanto segue. 14.1. Secondo quanto stabilito dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 25 giugno 2014, n. 15), nell'ambito del giudizio di ottemperanza l'irrogazione della penalità di mora di cui all'art. 114, c. 4, lett. e), cod. proc. amm. è ammissibile per tutte le decisioni di condanna di cui al precedente art. 113, ivi comprese quelle aventi ad oggetto prestazioni di natura pecuniaria, nonché di corresponsione di indennizzo a titolo di equa riparazione per eccessiva durata del processo di cui alla l. n. 89 del 2001. Ferma restando tale ammissibilità, la stessa Adunanza plenaria non ha mancato di osservare come "la considerazione delle peculiari condizioni del debitore pubblico, al pari dell'esigenza di evitare locupletazioni eccessive o sanzioni troppo afflittive, costituiscono fattori da valutare non ai fini di un'astratta inammissibilità della domanda relativa a inadempimenti pecuniari, ma in sede di verifica concreta della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nonché al momento dell'esercizio del potere discrezionale di graduazione dell'importo. Non va sottaciuto che l'art. 114, comma 4, lett. e), cod. proc. amm., proprio in considerazione della specialità, in questo caso favorevole, del debitore pubblico - con specifico riferimento alle difficoltà nell'adempimento collegate a vincoli normativi e di bilancio, allo stato della finanza pubblica e alla rilevanza di specifici interessi pubblici - ha aggiunto al limite negativo della manifesta iniquità, previsto nel codice di rito civile, quello, del tutto autonomo, della sussistenza di altre ragioni ostative. Ferma restando l'assenza di preclusioni astratte sul piano dell'ammissibilità, spetterà allora al giudice dell'ottemperanza, dotato di un ampio potere discrezionale sia in sede di scrutinio delle ricordate esimenti che in sede di determinazione dell'ammontare della sanzione, verificare se le circostanze addotte dal debitore pubblico assumano rilievo al fine di negare la sanzione o di mitigarne l'importo". 14.2. In definitiva, secondo il succitato autorevole arresto, pur escludendosi la sussistenza di preclusioni astratte sul piano della ammissibilità, è escluso ogni automatismo nel giudizio di applicazione della sanzione, dovendo il giudice tener conto delle circostanze esimenti stabilite dalla norma al fine di mitigarne l'importo o di negarne la stessa applicazione. 14.3. Orbene, il Collegio ritiene, alla luce della richiamata decisione dell'Adunanza plenaria (e dell'orientamento della giurisprudenza formatosi sul punto), che, nella specie, le note difficoltà di adempimento connesse anche alla perdurante crisi della finanza pubblica e l'ingente ammontare del debito pubblico giustifichino, in concreto, il rigetto della domanda di applicazione dell'indennità di mora (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 23 agosto 2018, n. 9022; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20 marzo 2018, n. 3101; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 8 giugno 2018, n. 3836). Va anche detto che tali ragioni ostative assumono rilievo, ex art. 115 c.p.c., in quanto fatti notori (cfr. al riguardo TAR Lazio, n. 3101/2018 cit.). In definitiva, alla luce di quanto precede, la domanda volta a conseguire la condanna dell'Amministrazione al pagamento della c.d. astreinte, non può essere accolta, essendo le circostanze sopra riferite sufficienti non solo a mitigarne l'importo ma ad escluderne la stessa applicazione, quali concrete "ragioni ostative". 15. Il complessivo esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, li dichiara in parte inammissibili e per la restante parte li accoglie in parte, e, per l'effetto, ordina gli adempimenti di cui in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
TAR Perugia
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6 del 2024, proposto da Azienda agraria Ro. di Ro. Fr. e C. s.a.s. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti "Il Co." società agricola semplice, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fr. Au. De Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, dell'ordinanza dirigenziale del Comune di (omissis) n. 66 del 6 novembre 2023, recante ordine di demolizione di opere difformi e di riapertura di strada comunale, e di ogni atto presupposto, conseguenziale e/o comunque connesso ad oggi non conosciuto. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della società agricola semplice "Il Co."; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso in epigrafe la dott.ssa Pa. Na., in qualità di liquidatore della società azienda agraria Ro., ha agito per l'annullamento dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 66 del 6 novembre 2023, recante l'ordine di demolizione di opere difformi realizzate nel completamento di una recinzione e di riapertura di un tratto di strada comunale. 2. Emerge dagli atti di causa che, con atto n. 144 del 10 luglio 1989, il Comune di (omissis) autorizzava il sig. An. Ro. ad eseguire il completamento di una recinzione sull'immobile all'epoca di sua proprietà, sito nel Comune in via dei colli e censito al foglio (omissis) part. (omissis); la recinzione è stata completata nel 1992. Con pec del 9 gennaio 2023, il Comune di (omissis) trasmetteva alla dott.ssa Pa. Na., nella sua qualità di liquidatore della società azienda agraria Ro., la comunicazione di avvio del procedimento per la verifica dell'ottemperanza delle prescrizioni della autorizzazione edilizia n. 144 del 1989. Con nota del 18 aprile 2023, avente ad oggetto "Annullamento dell'avvio del procedimento prot. 256 del 9/1/2023. Comunicazione avvio procedimento e sospensione lavori ex L. 241/1990 e L.R. Umbria n. 1/2015", l'Amministrazione comunale provvedeva all'annullamento della precedente comunicazione - volta all'adozione di un provvedimento di annullamento in autotutela del titolo abilitativo - ed all'avvio del procedimento finalizzato all'adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 143 e ss. l.r. n. 1 del 2015, in ragione delle difformità realizzative emerse, con contestuale ordine di sospensione dei lavori. Emerge da tale comunicazione che, a seguito di diverse segnalazioni pervenute al Comune riguardanti una presunta chiusura della strada vicinale insistente tra le particelle nn. (omissis), si era reso necessario un rilievo topografico (eseguito il 22 settembre 2021); in esito a tali verifiche l'Amministrazione aveva inizialmente ipotizzato un'illegittimità del titolo abilitativo ed avviato il procedimento con comunicazione del 9 gennaio 2023. Tuttavia, a seguito di ulteriori indagini, "veniva acclarato che la strada comunale compresa tra le part. nn. (omissis), foglio (omissis), era stata comunque rappresentata nella documentazione grafica allegata alla prativa edilizia... pertanto non sussistono in realtà i presupposti per poter procedere all'annullamento in autotutela del titolo abilitativo; viceversa dalle ulteriori verifiche sono emerse difformità al titolo assentito con autorizzazione edilizia n. 144 del 10.07.1989; in particolare, risulta che mentre la recinzione di progetto viene interrotta in corrispondenza del tracciato stradale, in realtà la recinzione realizzata taglia ed interrompe la strada di mappa, la quale contestualmente viene traslata parallelamente verso est e spostata interamente sulla particella 283". L'odierna ricorrente trasmetteva osservazioni a mezzo del proprio legale con pec del 14 luglio 2023, evidenziando che i lavori risultano da tempo terminati e che la strada contestata rientra nella proprietà privata dei Ro. almeno dal 1992, con conseguente tardività delle contestazioni mosse, anche in considerazione dell'intervenuta sdemanializzazione tacita per mancata volontà dell'Ente comunale di provvedere alla conservazione della destinazione del bene al passaggio pubblico. Con ordinanza dirigenziale n. 66 del 6 novembre 2023 veniva ordinata all'odierna ricorrente la demolizione di opere difformi eseguite sul sedime stradale della strada di mappa per una lunghezza di circa 6,50 metri e la riapertura del tracciato della strada attualmente classificata come comunale e compresa tra le partt. (omissis) del foglio (omissis) fino all'edificio part. (omissis). 3. Parte ricorrente ha articolato tre motivi in diritto per: i. violazione di legge dell'art. 3 l. n. 241 del 1990 per difetto di motivazione rafforzata, lamentando la tardività dell'intervento comunale, assunto ad oltre trent'anni dalla realizzazione dell'opera - non nascosta né di difficile contestazione - che comporterebbe un onere motivazionale aggravato in capo all'Amministrazione circa l'individuazione dell'interesse pubblico specifico all'emissione della sanzione demolitoria; ii. eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto i tecnici comunali non hanno effettuato alcun accesso alla proprietà dei sig.ri Ro.; inoltre l'Amministrazione non avrebbe riscontrato le osservazioni di parte ricorrente in merito all'intervenuta sdemanializzazione del tratto stradale; iii. violazione di legge dell'art. 829 cod. civ., sdemanializzazione tacita; ad avviso di parte ricorrente, non sussisterebbe allo stato un interesse pubblico da tutelare con l'emissione di un ordine di demolizione attesa l'intervenuta "sdemanializzazione tacita" della strada comunale prevista tra la partt. (omissis) del foglio (omissis). Tale tratto stradale, pur essendo inserito formalmente nell'elenco delle strade comunali, dovrebbe ad oggi deve essere necessariamente "sdemanializzato" per il mancato utilizzo da parte del Comune di (omissis) - che per oltre trent'anni non si è occupato della manutenzione della strada, sottratta per lungo tempo all'uso pubblico - nonché per la realizzazione di atti univoci ed incompatibili con la volontà di conservare la destinazione del bene al passaggio pubblico. 4. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis). Nell'argomentare circa l'infondatezza delle censure attoree, la difesa resistente ha evidenziato, in particolare, che l'iter istruttorio, a differenza di quanto sembrerebbe voler intendere parte ricorrente, non si è basato unicamente sul rilievo topografico, ma ha contemplato, come espresso nell'ordinanza impugnata, anche altre e successive verifiche, nonché l'esame delle planimetrie allegate al progetto al tempo assentito. Le memorie procedimentali di parte ricorrente, seppur tardivamente presentate, sono state comunque esaminate dall'Amministrazione, come risulta dallo stesso provvedimento gravato. La difesa comunale nega che possa ritenersi intervenuta l'invocata "sdemanializzazione tacita" della strada, fattispecie che richiede comportamenti inequivoci dell'ente proprietario, incompatibili con la volontà di conservare il bene all'uso pubblico e tali da non poter essere desunti dalla mera circostanza che un bene non sia più adibito anche da lungo tempo ad uso pubblico; l'usurpazione rispetto ad un bene pacificamente demaniale, direttamente ascrivile al contegno del privato che, per mezzo del predetto abuso, lo ha sottratto alla pubblica fruizione, non può ragionevolmente essere elemento significativo al fine di dimostrare la volontà dell'Ente esponente di sottrarre la strada all'uso pubblico. 5. Si è costituita in giudizio l'azienda agricola Il Co. s.a.s. Dopo aver proposto una propria ricostruzione dei fatti pregressi, la controinteressata ha sottolineato, in particolare, come la "sdemanializzazione" della "strada vicinale", adombrata dalla parte ricorrente in sede provvedimentale, nulla abbia a che vedere col procedimento sanzionatorio di cui all'art. 140 e ss. l.r. n. 1 del 2015, che ruota esclusivamente attorno a quella difformità tra l'assentito ed il realizzato, pacifica ed incontestata. Pertanto, la difesa controinteressata ha evidenziato come le digressioni di parte ricorrente siano eccentriche rispetto all'oggetto del giudizio, che riguarda un'ordinanza di demolizione, la quale, a prescindere dalla (mai avvenuta) sdemanializzazione tacita del sedime delle opere abusive, trova fondamento e giustificazione nel fatto, incontestato, che - in difformità rispetto al progetto assentito, che prevedeva che la recinzione si interrompesse in pRo.mità del tracciato stradale - "... in realtà ... taglia ed interrompe la strada di mappa, la quale contestualmente viene traslata parallelamente verso Est e spostata interamente sulla particella 283". 6. A seguito della trattazione camerale, con ordinanza del 23 gennaio 2024 n. 10 è stata accolta l'istanza cautelare "ritenuto... che debba darsi prevalenza all'esigenza di mantenere la res adhuc integra nelle more della decisione della controversia, considerata, altresì, la mancata opposizione delle difese di controparte espressa in sede di discussione camerale"; il merito è stato fissato al 23 luglio 2024. 7. Le parti hanno depositato documenti, memorie e repliche in vista della trattazione in pubblica udienza. 7.1. La parte ricorrente, con memoria ex art. 73 cod. proc. amm., ha per la prima volta contestato l'esatta individuazione del tratto di recinzione abusiva ed ha avanzato istanza istruttoria finalizzata a verificare l'esatto sedime della strada comunale e la conformità delle opere realizzate rispetto all'autorizzazione n. 144 del 1989. 7.2. Le controparti si sono opposte alle istanze di parte ricorrente, evidenziandone l'eccentricità rispetto al thema decidendum introdotto con il ricorso, nonché eccependo la tardività ed inammissibilità dei profili ulteriori introdotti con gli scritti difensivi rispetto a quelli denunciati con il ricorso. 8. All'udienza pubblica del 23 luglio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 9. Il ricorso non è meritevole di accoglimento. 9.1. Va preliminarmente evidenziato che risulta pacificamente ammessa nel ricorso introduttivo la difforme realizzazione, rispetto al titolo abilitativo n. 144 del 1989, della recinzione (in muratura per una altezza di 50 cm sovrastata da recinzione metallica di 60 cm) con conseguente interruzione di un tratto della strada vicinale c.d. "del Co.", già classificata tra le strade comunali con D.C.C. n. 42 del 5 giugno 1973, difformità descritta nella motivazione della gravata ordinanza n. 66 del 2023. Al riguardo risultano inammissibili le contestazioni circa l'esattezza dell'individuazione dell'abuso mosse dalla ricorrente solo in sede di memorie ex art. 73 cod. proc. amm., in quanto introdotte tardivamente e con memoria non notificata. 9.2. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente contesta esclusivamente il difetto di motivazione del gravato provvedimento che, secondo la prospettazione attorea, avrebbe dovuto essere assistito da motivazione rinforzata in ragione del lasso temporale trascorso tra la realizzazione dell'abuso e la contestazione dello stesso da parte dell'Amministrazione comunale. La censura è prova di pregio. Giova rammentare che per pacifica giurisprudenza amministrativa "non può avere rilievo, ai fini della validità dell'ordine di demolizione, il tempo trascorso tra la realizzazione dell'opera abusiva e la conclusione dell'iter sanzionatorio. La mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittim? in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata. Non si può applicare a un fatto illecito (l'abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell'interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell'autotutela decisoria. Non è in alcun modo concepibile l'idea stessa di connettere al decorso del tempo e all'inerzia dell'amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l'abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l'edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta - e inammissibile - forma di sanatoria automatica. Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull'ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l'illecito attraverso l'adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l'ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell'intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell'autotutela decisoria. Il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell'interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell'intervento. Anche nel caso in cui l'attuale proprietario dell'immobile non sia responsabile dell'abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse (così la sentenza dell'Adunanza plenaria n. 9 del 2017)" (C.d.S., sez. VI, 4 ottobre 2021, n. 6613). Costituisce, pertanto, jus receptum che "il provvedimento, con cui è ingiunta, sia pure a distanza di tempo, la demolizione di un immobile abusivo e non assistito da un titolo legittimo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al sussistere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nel caso in cui l'ingiunzione di demolizione sia disposta a distanza di tempo dalla realizzazione di tal abuso" (C.d.S., sez. VII, 11 aprile 2024, n. 3315; cfr. C.d.S., A.P., 17 ottobre 2017, n. 9; C.d.S., sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8617; Id., sez. VI, 23 agosto 2023, 7918). 9.3. Da quanto sopra consegue l'infondatezza tanto delle censure di difetto di motivazione, di cui al primo mezzo, che di difetto di istruttoria di cui al secondo motivo, atteso che in ragione dell'acclarata difformità del manufatto, il provvedimento comunale è atto dovuto e vincolato e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all'indicazione dei presupposti di fatto e all'individuazione e qualificazione degli abusi edilizi. Alcuna rilevanza assume nel caso che occupa la ricostruzione dell'esatto tracciato della strada comunale al di là dell'interruzione, in quanto la contestazione attiene alla realizzazione di una recinzione perimetrale in muratura oltre il limite assentito dal titolo, ammessa dalla parte ricorrente. 9.4. Né sussiste la pretesa violazione delle garanzie procedimentali, atteso che nel provvedimento gravato l'Amministrazione ha dato conto delle osservazioni presentate. Secondo condiviso orientamento costante, "Nel procedimento amministrativo l'onere di cui all'art. 10-bis, l. n. 241/1990 non comporta la puntuale confutazione analitica delle argomentazioni svolte dalla parte privata; al contrario, per giustificare il provvedimento conclusivo adottato, è sufficiente la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell'atto stesso, alla luce delle risultanze acquisite", "essendo, cioè, sufficiente che dalla motivazione si evinca, come nel caso di specie, che l'amministrazione abbia tenuto conto, nel loro complesso, di quelle osservazioni e controdeduzioni per la corretta formazione della propria volontà " (C.d.S., sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063); difatti, "non può essere aggravato un procedimento cadenzato dal rispetto di tappe ben precise da obblighi ulteriori oltre quelli "minimi" necessari ad assicurare al privato anticipatamente la conoscenza delle ragioni poste a fondamento del provvedimento finale e di poter interloquire in contraddittorio e collaborare all'istruttoria" (C.d.S., sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063). Del resto, alla luce delle considerazioni già svolte, alcun riflesso sull'adozione del provvedimento gravato potrebbe farsi discendere dalla presunta "sdemanializzazione tacita" del tratto stradale invocata dalla parte ricorrente, in quanto l'eventuale diversa proprietà del sedime non influirebbe sulla legittimità dell'ordine di ripristino, stante l'incontestata difformità dell'opera realizzata rispetto al titolo abilitativo. Conseguentemente, nel caso che occupa non sussistono i presupposti l'accertamento circa la proprietà, pubblica o privata, della strada, o circa l'esistenza di diritti di uso pubblico sulla strada medesima, accertamento sarebbe possibile incidentalmente ai sensi dell'art. 8, comma 1, cod. proc. amm. solo laddove necessario alla decisione, essendo la relativa giurisdizione rimessa al giudice ordinario (Cass., S.U., 23 dicembre 2016, n. 26897; C.d.S., sez. V, 26 giugno 2024, n. 5646). 10. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato, ravvisandosi, tuttavia, giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese per la particolarità della vicenda trattata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 790 del 2023, proposto da Di. Pi., in proprio e quale legale rappresentante della "Cooperativa della Lenticchia di (omissis)", rappresentati e difesi dall'avvocato Se. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ente Parco Nazionale dei Mo. Si. ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); Ma. Ro., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Regione Umbria, Servizio Urbanistica, nonché Servizio Rischio Idrogeologico Difesa Suolo, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio nei confronti Ad. Ot., Ca. Ot., non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell'ordinanza del Comune di (omissis) n. 75 del 21.7.2023 di "rimozione e rimessa in pristino per l'installazione di manufatti in assenza di comunicazione di cui all'art. 6, comma 1, lettera e-bis del D.P.R. n. 380/2001 e di pareri e nulla osta su area sita nel Comune di (omissis) distinta catastalmente al mappale Fg. (omissis), partt. (omissis) di proprietà dei Sig.ri Ot. Ad., Ot. Ca. e altri. Esecutore Sig. Pi. Di.-Annullamento e revoca ordinanza del Settore D n. 69 del 17/7/2023", notificata in data 25 luglio 2023; - di ogni altro atto ad esso presupposto, successivo, connesso, conseguente e/o consequenziale, ancorché non conosciuto, ed in particolare l'ordinanza del Comune di (omissis) n. 69 del 17.7.2023 - seppur revocata dall'ordinanza n. 75 del 21.7.2023 - notificata il 25 luglio 2023, le note della Regione Carabinieri Forestale, Stazione Parco di (omissis) n. 25/1-11/2023 del 8.6.2023 e n. 20/1-17/23 del 25.6.2023, la nota dell'Ente Parco Mo. Si. n. 6250 - 13.6.2023 e la nota del Comune di (omissis) n. 14149 del 16.6.2023, acquisite con istanza di accesso agli atti; e per l'accertamento - del diritto dei ricorrenti alla vendita al dettaglio dei propri prodotti agricoli su superfici all'aperto nell'ambito dell'azienda agricola senza previa comunicazione di inizio attività, e nello specifico sull'area sita nel Comune di (omissis), distinta catastalmente al mappale Fg. (omissis), part. (omissis); - della legittimità delle opere oggetto dell'ordinanza di rimozione n. 75/2023 con riguardo alla normativa igienico-sanitaria, urbanistica, paesaggistica ed ambientale vigente; con riserva di azione risarcitoria ex art. 30, comma 5, c.p.a. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Difesa, del Comando Carabinieri Forestale Umbria, della Soprintendenza e dell'Ente Parco, nonché dell'Ing. Ma. Ro.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2024 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il sig. Di. Pi., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della "Cooperativa della Lenticchia di (omissis)", impugna l'ordinanza n. 75 del 21 luglio 2023 di rimozione e rimessa in pristino di manufatti realizzati in assenza della comunicazione di cui all'art. 6, comma 1, lettera e-bis) del D.P.R. n. 380/2001, e dell'art. 118, comma 1, lettera l-septies) della L.R. 1/15 - nonchè di altri provvedimenti (autorizzazione paesaggistica, valutazione di incidenza e nulla osta dell'Ente Parco) - adottata dal Comune di (omissis) in riferimento al mappale di cui al foglio (omissis), part. (omissis), di proprietà dei Sig.ri Ot. Ad. e Ca., con la quale si annullava e revocava la precedente ordinanza comunale, n. 69 del 17 luglio 2023, sotto il profilo del termine per la rimozione dei manufatti, precedentemente fissato in 90 giorni e poi ridotto a soli 10 giorni. 2. Il ricorrente espone in punto di fatto che la Cooperativa della Lenticchia di (omissis) riunisce i produttori agricoli del luogo e, tra le varie attività, gestisce spacci e negozi per la vendita al dettaglio dei prodotti agricoli e zootecnici, ottenuti dalle lavorazioni sociali; il 20 aprile 2021 la Cooperativa inviava al Comune di (omissis) comunicazione di inizio attività per la vendita diretta su struttura mobile, specificando tuttavia che a norma dell'art. 4, comma 2, del D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228, la vendita al dettaglio di prodotti agricoli può essere esercitata da parte degli imprenditori agricoli su superfici all'aperto, nell'ambito dell'azienda agricola, senza necessità di comunicazione di inizio attività . Nello specifico la Cooperativa informava comunque il Comune di (omissis), significando che in tali strutture si sarebbero venduti anche panini farciti con salumi e formaggi degli associati, oltre alla lenticchia di (omissis). Il Comune, con nota del 10 maggio 2021, confermava che "per la vendita diretta su area privata di cui si abbia piena disponibilità non era richiesta alcuna comunicazione di inizio attività ", avvertendo tuttavia la ricorrente del divieto di manipolazione di alimenti e bevande e di apposizione di sedie e tavoli nell'area dove si effettua la vendita. Anche il Ministero dello Sviluppo Economico, a seguito di specifica richiesta di parere, aveva risposto il 12 maggio 2021, assentendo la richiesta della ricorrente. 3. Con istanza del 9 febbraio 2023, la Cooperativa presentava all'Ente Parco Nazionale dei Mo. Si. una richiesta di autorizzazione per lo "svolgimento di attività sportive o turistico-ricreative organizzate" consistenti in un ciclo di 6 eventi, da tenersi in altrettanti fine settimana estivi (a decorrere dal 18- 19 giugno 2023) con finalità di valorizzazione del territorio e dei prodotti tipici denominato "Love for (omissis)". A seguito di apposita istruttoria, poi conclusasi con parere positivo di screening di valutazione di incidenza ambientale, l'Ente Parco ha rilasciato alla ricorrente l'autorizzazione n. 102 del 5 aprile 2023 per gli eventi richiesti, specificando, tra le altre cose che: - l'atto era rilasciato "a condizione che siano rispettate specifiche prescrizioni volte a garantire la tutela degli ambienti naturali interessati anche in ottemperanza alle misure di salvaguardia del Parco"; - per lo svolgimento degli eventi sarebbe stato "possibile utilizzare un gazebo di dimensioni 4,5 x 3 m. e n. 8-10 sedie" e che le suddette attrezzature avrebbero dovuto essere "allestite per il tempo strettamente necessario allo svolgimento di ciascun evento (ore 10,30 - ore 17,00) e, quindi rimosse quotidianamente al termine delle attività " ed "esclusivamente per lo svolgimento degli eventi che rientrano nel finanziamento della Misura 19 del PSR Umbria 2014 - 2020", rimanendo precluso "qualsiasi altro uso diverso dal predetto, compresi usi di natura commerciale". 4. A seguito di appositi sopralluoghi svolti nelle giornate del 24, 27, 28 maggio 2023 i Carabinieri Forestali accertavano sulla particella n. (omissis) del Fg. (omissis), di proprietà dei Sig.ri Ot. e concessa in locazione alla Cooperativa, l'installazione di una struttura in legno, posta al di sopra di un rimorchio agricolo, in località Piano Grande del Comune di (omissis), ove si vendevano prodotti agricoli; nel terreno antistante erano altresì posizionate delle balle di fieno, ove le persone consumavano alimenti e bevande. Nel corso del sopralluogo del 2 giugno 2023, gli agenti acclaravano l'installazione di un'altra struttura - posta anch'essa su un rimorchio agricolo - con pareti in plexiglass trasparente poste su sostegni in ferro, con all'interno panche e tavoli. Tali strutture venivano rinvenute posizionate stabilmente nella particella di riferimento sia di giorno che di notte, senza che venissero rimosse nelle giornate in cui non si effettuava la vendita dei prodotti. 5. In seguito al successivo sopralluogo del 23 giugno 2023, i Carabinieri effettuavano una puntuale descrizione dei manufatti installati dalla Cooperativa della Lenticchia e segnatamente: - "1. Struttura destinata alla vendita di prodotto agricoli, con parete esterne in legno, tetto in lastre di finto coppo, realizzata al di sopra di un rimorchio agricolo delle seguenti dimensioni 7,04 x 4,10 x 2,40 metri; 2. Struttura al cui interno sono posizionate tavoli e sedie quindi destinata al consumo di alimenti, con telaio in ferro, pareti in plexiglass trasparente, tetto in pannelli sandwich, realizzata al di sopra di un rimorchio agricolo, delle seguenti dimensioni 7,0 x 6,26 x 2,17 metri ". 6. Nel frattempo veniva coinvolto anche il Parco Nazionale dei Mo. Si., che, con nota del 13 giugno 2023, affermava che le opere realizzate dalla ricorrente erano soggette al previo nulla osta dell'Ente Parco di cui all'art. 13 della L. 394/91, oltre alla valutazione d'incidenza ambientale, ai sensi dell'art. 5 del D.P.R. 357 del 1997, anche alla luce del fatto che nell'area dei Piani di (omissis) le misure di conservazione regolamentari (documento C) dei Siti Natura 2000 (riferibili, tra gli altri al D.M. 3 febbraio 2017) vietano all'art. 11, comma 1, "l'accampamento anche diurno con presenza di tende, gazebo o simili". 7. Seguiva l'ordinanza comunale n. 69 del 17 luglio 2023, poi superata (quanto all'indicazione di un termine più ristretto per la rimozione degli abusi) dall'ordinanza n. 75 del 21 luglio successivo, con cui si contestava alla Cooperativa il mancato invio al Comune della comunicazione ai sensi dell'art. 6, comma 1, lettera e-bis) del D.P.R. 380/01, e dell'art. 118, comma 1, lettera l- septies) della L.R. 1/15, oltre all'autorizzazione paesaggistica, al nulla osta dell'Ente Parco e alla valutazione d'incidenza, intimando, oltre al pagamento della sanzione pecuniaria, la rimozione dei manufatti non oltre 10 giorni. 8. Il Sig. Pi., con nota del 27 luglio 2023, comunicava di aver eseguito l'ordine di rimozione dei manufatti, ma senza acquiescenza al detto provvedimento, tanto è vero che avverso il medesimo notificava ricorso giurisdizionale in data 5 ottobre 2023, spiegando tre motivi di censura. 8.1. Con un primo motivo di impugnazione si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.lgs. 228/2001, nonché degli artt. 6, comma 1, lett. e-bis, del DPR 380/2001 e dell'art. 118, lettera l-septies) della L.R. Umbria 1/2015. I manufatti posti su rimorchio con ruote - dunque facilmente amovibili - non avrebbero richiesto la comunicazione edilizia necessaria per realizzare opere stagionali e temporanee, perché evidentemente strutture precarie, ed inoltre sarebbe stato lo stesso Comune di (omissis), oltre al Ministero dello Sviluppo Economico, ad assicurare alla ricorrente che la vendita al dettaglio di prodotti agricoli di propria produzione era consentita all'aperto senza alcuna comunicazione di inizio attività o, a tutto voler concedere, solo previa comunicazione al Comune, (ritualmente effettuata dalla Cooperativa) senza la necessità di alcun altro titolo, anche edilizio, diverso dalle autorizzazioni igienico- sanitarie. 8.2. Con un secondo motivo si contesta, sotto altro profilo, la violazione dell'art. 4 del D.lgs. 228/2001, dell'art. 13 della L. 394/1991, della D.G.R. Umbria n. 360/2021 e del D.P.R. 357/1997, nonché infine dell'art. 146 del D.Lgs. 42/2004, oltre al difetto di istruttoria, al travisamento dei fatti e al difetto di motivazione. I manufatti gestiti dalla Cooperativa sulla Piana di (omissis) avrebbero richiesto solo la comunicazione di vendita al dettaglio dei prodotti agricoli, non essendo soggetti - proprio per la loro facile amovibilità e precarietà - né all'autorizzazione paesaggistica (neppure nella sua procedura semplificata, rientrando nel punto A17) dell'allegato A al DPR 32 del 2017) né al nulla osta nè alla valutazione d'incidenza ambientale richiesta dall'Ente Parco, perché le norme suddette si riferirebbero ad interventi, impianti ed opere idonei ad avere un'incidenza significativa nell'ambiente naturale, cosa che non si verificherebbe nel caso di specie. 8.3. Con un terzo motivo di impugnazione si deduce infine la violazione degli artt. 143 e 146 della L.R. 1/2015, in quanto il termine di 10 giorni concesso per la rimozione dei manufatti sarebbe eccessivamente breve a fronte della previsione normativa di un termine non superiore a 120 giorni. 9. Si sono costituiti per resistere in giudizio il Comune di (omissis) e l'Ing. Ma. Ro., nella qualità di Dirigente responsabile dell'Ufficio Urbanistica del Comune di (omissis), che hanno presentato difese sostanzialmente conformi. 9.1. Segnatamente il Comune ha specificato che i manufatti rinvenuti dagli agenti forestali non potevano essere legittimati dall'autorizzazione concessa per l'evento "Love for (omissis)", sia perché installati già in epoca precedente ai fine settimana interessati dall'evento, sia per le limitazioni imposte dall'Ente Parco al detto evento (la presenza soltanto di un piccolo gazebo di circa 12 mq e di massimo 10 sedie, entrambi da rimuoversi nel pomeriggio al termine dell'evento) pacificamente non idonee a giustificare le opere oggetto dell'ordinanza di rimozione. 9.2. In diritto l'Ente ha eccepito preliminarmente l'inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in considerazione del fatto che i manufatti abusivi sono stati medio tempore rimossi, nonché l'ulteriore inammissibilità dell'impugnazione nella parte in cui domanda l'accertamento del diritto dei ricorrenti alla vendita al dettaglio dei propri prodotti agricoli su superfici all'aperto senza previa comunicazione di inizio attività, trattandosi di materia non rientrante nella giurisdizione esclusiva, nella quale dunque il Giudice amministrativo è privo del potere di accertare diritti soggettivi. Sarebbe parimenti inammissibile altresì la domanda di accertamento del diritto dei ricorrenti alla vendita al dettaglio dei prodotti agricoli con le modalità contestate dal Comune. 9.3. Nel merito il Comune ha contestato la fondatezza di tutti e tre i motivi di ricorso, segnalando, da un lato, la diversità di presupposti e di finalità tra la comunicazione di inizio attività di vendita presentata dal ricorrente e la comunicazione edilizia omessa - che quindi non poteva ritenersi superflua in virtù della presentazione della prima - e comunque la necessità di conseguire le autorizzazioni non richieste (paesaggistica, nulla osta dell'ente parco e la valutazione d'incidenza). Inoltre si è chiarito che, nell'ottica di individuare il regime edilizio applicabile e quindi la necessità o meno della comunicazione richiesta dal Comune, non rileverebbe tanto la maggiore o minore precarietà dei manufatti contestati, quanto la temporaneità delle esigenze che tali interventi sono diretti a soddisfare. 10. Si sono costituiti in giudizio altresì il Parco Nazionale dei Mo. Si., il Ministero dell'Interno, e la Soprintendenza, senza tuttavia presentare difese specifiche. 11. In vista della discussione del ricorso le parti hanno depositato memorie e repliche. Alla pubblica udienza del 4 giugno 2024 il giudizio è stato trattenuto in decisione. 12. In prima battuta deve disattendersi l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, motivata sul fatto che la Cooperativa ricorrente ha rimosso i manufatti contestati subito dopo la notifica dell'ordinanza impugnata: a parte la considerazione che una pronuncia nel merito presenta indubbi profili di rilevanza con riguardo ad eventuali installazioni future che la Cooperativa dovesse effettuare per le medesime finalità, la rimozione dei gazebo su ruota è stata effettuata (come da missiva al Comune del 27 luglio 2023) con espressa riserva di impugnativa, al fine di evitare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla mancata esecuzione del provvedimento. 13. Si può prescindere dall'esame degli altri eccepiti profili di inammissibilità perché il ricorso è infondato nel merito. 14. Va preliminarmente chiarita l'infondatezza dell'argomento su cui poggia buona parte dell'impugnazione della Cooperativa, ovvero che l'art. 4 del D.lgs. 228 del 2001, oltre a consentirle la vendita al dettaglio dei prodotti agricoli anche a prescindere dalla comunicazione formale effettuata al Comune, la esenterebbe ulteriormente dal rispetto della normativa urbanistico- edilizia (e segnatamente della comunicazione di inizio lavori) oltre che del vincolo paesaggistico e dalle discipline di tutela ambientale del Parco nazionale dei Mo. Si.. 14.1. Innanzitutto la ricorrente sovrappone discipline differenti con diverse finalità e ambiti di tutela: il decreto 228 del 2001 abilita semplicemente gli imprenditori agricoli alla vendita dei propri prodotti (oltre che di quelli derivanti in misura prevalente dalla propria attività ) previa comunicazione al comune, se in via itinerante, ovvero senza alcuna formalità, se la vendita avviene in occasione di sagre, fiere, manifestazioni a carattere religioso, politico o di promozione dei prodotti tipici o locali; mentre il Testo Unico Edilizia e la legge regionale 1/15 si occupano del governo del territorio, e, rispettivamente, all'art. 6 e all'art. 118 assoggettano ad un controllo, sia pur minimale, interventi edilizi precari e facilmente amovibili. Non è dunque fondatamente predicabile che la liberalizzazione della vendita al dettaglio esercitata da parte degli imprenditori agricoli li esenti contemporaneamente dal rispetto della disciplina urbanistico- edilizia quando il commercio è esercitato - come accaduto nel caso in esame - mediante manufatti che altrimenti sarebbero soggetti a controlli e formalità di carattere edilizio sulla regolarità degli stessi. 14.2. Innanzitutto una diversa interpretazione non è sorretta da alcuna norma espressa, sicuramente necessaria per derogare alle discipline di tutela del settore edilizio - paesaggistico - ambientale, né potrebbe farsi richiamo in via analogica ad alcuna norma di esenzione in tema di commercio in generale, vertendosi in materia di vendita di prodotti agricoli, già esentati dalla normativa sul commercio e soggetti ad una disciplina di favore: tale ratio di tutela della produzione agricola è dimostrata proprio dall'esenzione da qualsiasi comunicazione per il commercio al dettaglio esercitato all'aperto o in occasione di particolari eventi. In coerenza con quanto esposto, se la vendita dei prodotti agricoli avviene all'aperto, nell'ambito dell'azienda, e senza la necessità di insediarvi alcuna struttura o manufatto leggero, non è necessaria alcuna comunicazione, né quella di inizio attività latamente commerciale ai sensi del D.Lgs. n. 228/2001), né quella di "avvio lavori", prettamente edilizia (art. 118 comma 1, lett. l-septies cit.), ma così non è nel caso di specie, per quanto si dirà infra. 14.3. Con specifico riferimento, poi, all'autorizzazione paesaggistica, alla valutazione d'incidenza ambientale e al nulla osta dell'Ente Parco, gli interessi spiccatamente sensibili presidiati da tali provvedimenti inducono ad escludere che una norma dettata per favorire la vendita di prodotti agricoli possa sic et simpliciter esentare i produttori dal rispetto di titoli dettati a tutela dell'integrità dell'ambiente e del paesaggio, specie in un'area tutelata come i Piani di (omissis). 14.4. Peraltro nessun legittimo affidamento potrebbe essere sorto per la ricorrente dalla nota comunale (settore Commercio) del 10 maggio 2021 o dal parere del Ministero dello Sviluppo Economico del 12 maggio 2021, i quali, non solo non contenevano alcuna disposizione espressa di esenzione, ma comunque non avrebbero potuto operare diversamente, non potendo disporre di interessi pubblici dei quali non erano titolari. 15. Venendo ad esaminare le restanti censure oggetto del primo motivo di ricorso, le stesse non sono meritevoli di condivisione. 15.1. Il Comune di (omissis) ha correttamente intimato la rimozione e la rimessione in pristino delle due costruzioni poste su rimorchi dotati di ruote, mediante i quali gli avventori, dopo aver acquistato i prodotti offerti dalla Cooperativa della Lenticchia li consumavano sul posto: non appare revocabile in dubbio che detti manufatti costituiscano precisamente opere "dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni purché non utilizzate come abitazioni o ambienti di lavoro e purché non compromettano lo stato dei luoghi in modo irreversibile" come predicato dall'art. 118 comma 1, lettera l- septies della L. R. 1/15 e dall'omologa norma statale. Sotto tale profilo non coglie nel segno la difesa di parte ricorrente laddove, qualificando i rimorchi in legno e in ferro- plexiglass quali opere non stagionali bensì precarie e facilmente amovibili, ne fa discendere l'esenzione dalla comunicazione di inizio lavori imposta dal Comune di (omissis). 15.2. Il Consiglio di Stato (sez. VI, 05 luglio 2024, n. 5977) ha di recente operato una ricognizione dello stato della giurisprudenza sulle opere precarie, secondo cui: " "i) in base all'articolo 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001, è qualificabile come nuova costruzione "l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee"; ii) il successivo articolo 6, comma 1, lettera e-bis), del medesimo articolato normativo, include, invece, nell'attività edilizia libera "le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a centottanta giorni comprensivo dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto, previa comunicazione di avvio dei lavori all'amministrazione comunale"; iii) da tali previsioni la giurisprudenza ha desunto la nozione di opera precaria, non soggetta a titolo abilitativo; iv) in particolare, si è affermato che: "in ordine ai requisiti che deve avere un'opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un'esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un'opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un'opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie" (così Consiglio di Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776); v) è pertanto necessario un titolo edilizio - secondo la sentenza ora richiamata - per la realizzazione di "tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo e pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale, [...] ove comportino l'esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato"; vi) la natura precaria di un manufatto, non può, quindi, essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all'intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo; vii) nello stesso senso, è stato chiarito che "la precarietà dell'opera, che esonera dall'obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l'alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante" (Consiglio di Stato, Sez. VII, 12 dicembre 2022, n. 10847) [..] "sono quindi qualificati come "nuove costruzioni (sentenza Cons. St. 840/2021) "i manufatti leggeri, anche prefabbricati, purché siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi o magazzini, purché siano dotati di una propria autonomia funzionale""" (Cons. Stato, Sez. VII, 28 agosto 2023, n. 7999)." 15.3. Dunque la distinzione invalsa in giurisprudenza tra opere precarie o meno rileva ai fini dell'applicabilità del regime del permesso di costruire piuttosto che dell'edilizia libera, ma non è concludente nel caso di specie: se infatti si può convenire con la parte ricorrente che le opere di riferimento siano "dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee, purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità " (cfr. art. 118, comma 1, lettera l - septies della L.R. 1/15) tale precarietà le mantiene senz'altro nel regime dell'edilizia libera, ma impone comunque la comunicazione di inizio lavori al Comune, dalla cui omissione è dunque legittimamente derivato l'ordine di rimozione. Infatti i manufatti contestati, sicuramente leggeri e facilmente amovibili perché posti su ruote, erano stati posti nella particella dei Sigg.ri Ot. per esigenze transitorie, comunque non eccedenti la stagione estiva, anche se comunque non potevano essere ricondotti nell'autorizzazione rilasciata dall'Ente Parco per l'evento "Love for (omissis)" - dato che i Forestali accertavano la presenza dei manufatti anche di notte e al di fuori dei fine settimana, ed i medesimi presentavano una metratura di gran lunga più imponente rispetto a quella assentita dall'Ente -. La mancanza dell'elemento della temporaneità comporterebbe, del resto, la qualificazione dei medesimi manufatti leggeri ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. n. 380 del 2001 quali nuove costruzioni, dunque soggette non già a semplice comunicazione, bensì a permesso di costruire. 15.4. In altri termini, i manufatti contestati, in virtù della destinazione a finalità meramente temporanee, non possono essere qualificati quali nuove costruzioni, e sono soggetti quindi al regime dell'edilizia libera, previa opportuna comunicazione al Comune, che dunque introduce un regime di formalità a controllo attenuato. Peraltro lo stesso art. 118 della L. R. 1/15 al successivo comma 5 prevede, poi, che per i suddetti interventi "devono essere comunque rispettate le normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia, ivi comprese quelle che prevedono l'acquisizione di pareri, assensi, nulla osta, autorizzazioni comunque denominati [..] nonché delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 42/2004", previsione che conferma quanto sopra sostenuto in merito all'inidoneità della comunicazione di natura "commerciale" a fungere da titolo abilitativo anche ai fini edilizi, paesaggistici, ambientali, ecc. 16. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. E' già stato chiarito supra che la Cooperativa non poteva esercitare l'attività di vendita di prodotti agricoli su manufatti stabilmente presenti sul suolo (ancorchè facilmente amovibili) solo in virtù della comunicazione di inizio attività, ma doveva premurarsi di conseguire tutte le altre autorizzazioni necessarie, tra cui la comunicazione edilizia di inizio lavori. Dal rigetto del primo motivo di ricorso discende l'assorbimento degli altri, poiché l'ordinanza impugnata - come correttamente eccepito dal Comune di (omissis) - è un tipico esempio di atto plurimotivato, che ricorre allorchè le determinazioni negative ivi contenute si basino su più motivi, ognuno dei quali potenzialmente valido per sostenere il dispositivo del provvedimento: in tal caso è sufficiente che almeno uno di essi resista all'esame del giudice affinché il provvedimento nel suo insieme rimanga immune dalle censure proposte. (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 02 luglio 2024, n. 5816, id., sez. V, 07 giugno 2024, n. 5119). Si osserva comunque incidentalmente che l'autorizzazione paesaggistica, seppure in forma semplificata, appariva necessaria in considerazione del fatto che i manufatti contestati, posti su area vincolata, sembrano agevolmente ricondursi al punto B.26) dell'Allegato B del D.P.R. 31/2017, che ricomprende: "le verande e strutture in genere poste all'esterno (dehors), tali da configurare spazi chiusi funzionali ad attività economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico ricettive, sportive o del tempo libero; installazione di manufatti amovibili o di facile rimozione" piuttosto che nel punto A 17), dell'Allegato A che si riferisce invece a semplici "pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura". Sia i materiali sia la metratura delle strutture installate confliggono con l'esenzione da autorizzazione paesaggistica consentita dal predetto allegato A. Quanto infine alla valutazione d'incidenza ambientale, seppure parte ricorrente insista nel tenere ben distinto l'evento "Love for (omissis)" dai manufatti oggetto dell'ordinanza impugnata, non appare fondatamente sostenibile che lo screening prodromico alla valutazione d'incidenza sia stato effettuato per un'attività che consisteva materialmente nell'apposizione di 10 sedie e di un gazebo di 12 mq (rimossi al termine di ogni giornata) ed invece non fosse necessario in presenza di manufatti in legno e in plexiglass con struttura in ferro che sviluppavano rispettivamente una metratura di 28 e di 42 mq e che occupavano stabilmente il suolo anche di notte e nei giorni in cui non si esercitava la vendita, specie in un'area in cui le misure di salvaguardia vietavano anche il semplice campeggio. 17. Quanto al terzo motivo, la circostanza che parte ricorrente abbia rimosso i manufatti nel termine di 10 giorni fissato nell'ordinanza comunale, termine comunque rispettoso delle previsioni di legge, è la dimostrazione che lo stesso non era né irragionevole né incongruo. 18. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00) di cui la metà in favore del Comune di (omissis) e l'altra metà in favore dell'Ing. Ma. Ro.. Spese compensate nei confronti delle Amministrazioni statali costituite nonché nei confronti degli altri soggetti intimati non costituiti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Davide De Grazia - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 316 del 2024, proposto da Te. società cooperativa a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 0022361 del 30 aprile 2024, notificato in pari data, di rigetto della istanza per il rilascio di occupazione di suolo pubblico per la somministrazione; dell'Ordinanza n. 150 del 18 giugno 2024 del Comune di (omissis), notificata in pari data, avente ad oggetto "Occupazione di suolo pubblico priva di autorizzazione - provvedimento di rimozione - art. 3 comma 16 della Legge 94/2009"; e tutti gli altri ed ulteriori atti presupposti ivi compreso, se e per quanto occorre possa, il preavviso di rigetto del 19 marzo 2024 e ogni altro atto consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. Con il ricorso in epigrafe, notificato al Comune di (omissis) in data 28 giugno 2024, la Te. società cooperativa a r.l. ha agito per l'annullamento - previa sospensione dell'efficacia - dei provvedimenti in epigrafe in materia di occupazione di suolo pubblico per somministrazione esterna; la ricorrente ha, altresì, agito per la condanna del Comune al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non, patiti e patiendi, a seguito del provvedimento di rigetto e dell'ordinanza di rimozione. 2. Rappresenta la società ricorrente di aver presentato, in data 22 febbraio 2024, presso il Comune di (omissis) un'istanza di occupazione di suolo pubblico relativamente allo spazio antistante al proprio esercizio commerciale di bar, per la somministrazione esterna sino al 31 ottobre 2024; la richiesta, per complessivi 15,20 mq si poneva in continuità con le richieste degli anni precedenti, di cui l'ultima la concessione n. 38 del 27 marzo 2023. 2.1. Con pec del 19 marzo 2024, reiterata in data 26 marzo 2024, il Comune comunicava alla ricorrente il preavviso di rigetto, richiamando quanto affermato dalla Giunta comunale nelle direttiva dell'11 marzo 2024, ossia: "In relazione alla pratica presentata da Società Te.... Via (omissis), non esprime il proprio nulla osta, per quanto di competenza in quanto a seguito della concessione di suolo pubblico n. 71 del 6 marzo 2024, per l'installazione del cantiere per gli interventi di restauro e riqualificazione dell'edificio pubblico di proprietà comunale Pa. Va., si è reso necessario sopprimere con la medesima autorizzazione spazi di sosta per tutta la lunghezza del cantiere pari a ml. 18,60 e, pertanto, si ritiene di interesse pubblico prevalente recuperare, almeno parzialmente, detti spazi da destinarsi alla sosta dei veicoli dell'area che immediatamente precede il cantiere, al servizio dei cittadini. La Giunta comunale, per la stessa motivazione, ovvero per recuperare spazi di sosta su detto tratto viario, estremamente importante per la circolazione del centro storico, esprime sin da ora il proprio dissenso anche per l'eventuale richiesta di suolo pubblico per la somministrazione che dovesse pervenire da parte della attività che è ubicata immediatamente dopo il cantiere che ad oggi non ha presentato alcuna richiesta (Bar Ma., Via (omissis) ). Quanto sopra in coerenza con il redigendo piano di massima occupabilità delle aree pubbliche previsto dal Piano dell'Arredo Urbano approvato con DCC n. 47 del 30/10/2023". 2.2. Con il verbale n. 29871 del 26 marzo 2024 la Polizia locale di Assisi contestava alla Te. la violazione dell'art. 20, commi 1 e 4, del codice della strada, per occupazione senza la prescritta autorizzazione di parte della strada costituita da area di sosta a margine della carreggiata. 2.3. All'esito dell'accesso agli atti, in data 5 aprile 2024, la ricorrente presentava le osservazioni al preavviso di rigetto con cui lamentava: la mancata integrale ostensione della documentazione del procedimento; la scelta delle attività cui rigettare la richiesta di occupazione di suolo pubblico, per mancanza di motivazione e violazione del principio di uguaglianza ed imparzialità, in quanto non fondata su alcun principio giuridico e non preceduta da alcuna valutazione sulla possibilità di suddividere lo spazio da destinare all'area di sosta tra i concessionari della via; la mancata concessione di suolo pubblico almeno per il periodo di tempo precedente alla consegna dei lavori all'impresa esecutrice del restauro di Pa. Va.. 2.4. Con pec del 9 aprile 2024, il Comune produceva la ulteriore documentazione richiesta dalla Te. con l'accesso agli atti. 2.5. Con il verbale n. 29605 del 18 aprile 2024, la Polizia locale di Assisi contestava nuovamente alla Te. la violazione dell'art. 20, commi 1 e 4, del codice della strada, con la medesima motivazione del precedente verbale del 26 marzo 2024. 2.6. Con pec del 30 aprile 2024, il Comune di (omissis) trasmetteva alla ricorrente il provvedimento di rigetto prot. n. 0022361, nel quale sono state richiamate le motivazioni di cui al preavviso di rigetto e si è preso atto delle osservazioni dell'istante e dell'ulteriore direttiva della Giunta comunale del 18 aprile 2024 - che "ritenute prive di fondamento le osservazioni della interessata al preavviso di rigetto, conferma i contenuti della precedente direttiva". L'Amministrazione comunale, con riferimento alla proposta alternativa al diniego avanzata in sede di osservazioni, "ovvero alla ipotesi di ripartire lo spezio di sosta sottratto a causa del cantiere, tra le 6 (in realtà sono 7) attività che occupano suolo pubblico per la somministrazione in Via (omissis)", ha ritenuto non risolutiva la proposta, "in quanto la necessità di recuperare spazi di sosta per la cittadinanza riguarda quel tratto specifico di via (omissis); per tale motivo l'Amministrazione comunale si è determinata di non concedere l'occupazione di suolo pubblico alle 2 attività (non solo quella della Soc. Te.) più prossime agli spazi sottratti, ovvero quella richiesta dall'interessata (che precede il cantiere al civico (omissis)), e a quella richiesta dalla attività "Bar Ma." (che segue il cantiere al civico (omissis)). La proposta dell'interessato è risultata alla Amministrazione comunale puramente teorica, in quanto la situazione di fatto è rappresentata dalla necessità del recupero per i cittadini, almeno parzialmente, delle superfici prima destinate alla sosta. Non rilasciando le due concessioni l'Amministrazione ha inteso recuperare alla sosta complessivamente 16 metri lineari (contro i 18 occupati dal cantiere) e su questa superficie longitudinale, non essendo gli spazi delimitati in lunghezza, gli utenti possono parcheggiare con i loro veicoli di varie lunghezze in relazione allo spazio disponibili". 2.7. Con il verbale n. 29789 del 21 maggio 2024 la Polizia locale di Assisi contestava nuovamente alla Te. la violazione dell'art. 20, commi 1 e 4, del codice della strada, con la medesima motivazione dei precedenti verbali, oltre alla recidiva. Con ordinanza n. 150 del 18 giugno 2024, avente ad oggetto "Occupazione di suolo pubblico priva di autorizzazione - provvedimento di rimozione", il Comune di (omissis) ordinava alla Te. la rimozione dell'occupazione di suolo pubblico effettuata senza autorizzazione ed il ripristino dello stato dei luoghi. L'ordinanza veniva ottemperata, come da comunicazione al Comune del 19 giugno 2024. 3. Con unico ed articolato motivo in diritto, la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 1 e 3 l. n. 241 del 1990 e l'eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, di proporzionalità, imparzialità e buon andamento, difetto di motivazione, mancanza di proporzionalità in ordine alla valutazione tra interesse pubblico e privato. La ricorrente lamenta, in primo luogo, il difetto di motivazione del provvedimento di rigetto, non avendo l'Amministrazione motivato circa l'esigenza di reperire spazi di parcheggio in quello specifico tratto della via di (omissis) né avendo tenuto in debita considerazione l'affidamento del privato che ha visto rinnovata la medesima concessione per oltre venti anni. I provvedimenti sono, altresì, censurati per carenza di istruttoria e violazione garanzie partecipative, non avendo l'Amministrazione adeguatamente tenuto conto delle osservazioni di parte ricorrente e delle soluzioni alternative ivi proposte. Infine, ad avviso di parte ricorrente, risulterebbe violato l'art. 46 regolamento edilizio comunale, che consentirebbe di negare il rilascio di concessioni per ragioni di viabilità o altri interessi pubblici solo ove permanenti. 4. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis) sollevando preliminarmente eccezione di inammissibilità per mancata notifica ad un controinteressato, ed argomentando poi nel merito circa l'infondatezza delle censure attoree e l'insussistenza dei presupposti per la concessione dell'invocata tutela cautelare. 5. Alla camera di consiglio del 23 luglio 2024, uditi per le parti i difensori anche in merito alla possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente, si ravvisa la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 60 cod. proc. amm. per la definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata all'esito della trattazione cautelare, essendo la causa matura per la decisione e stante l'assenza di cause ostative, come convenuto dalle parti in sede di discussione. 7. Per ragioni di economia processuale, ritiene il Collegio di poter prescindere dall'esame delle ulteriori eccezioni in rito formulate dalla resistente, presentandosi il ricorso infondato nel merito per quanto di seguito esposto. 8. Giova rammentare che "l'occupazione di una porzione di suolo pubblico va considerata alla stregua di un provvedimento con il quale l'Amministrazione locale sottrae il predetto bene alla fruizione comune e lo mette a disposizione di soggetti particolari (c.d. uso particolare), al fine di perseguire il bene pubblico in via primaria o comprimaria unitamente alla tutela degli interessi privati coinvolti, sicché l'amministrazione mantiene ferma la propria discrezionalità nel negare il rinnovo della concessione o nel modificarne il contenuto, imponendo al concessionario diverse condizioni o prescrizioni in fase di rinnovo, ove più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse. L'amministrazione mantiene generalmente ferma la propria discrezionalità nel negare il rinnovo della concessione per occupazione di suolo pubblico o nel modificarne il contenuto, imponendo al concessionario diverse condizioni o prescrizioni in fase di rinnovo, ove più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse.... come ribadito più volte dalla giurisprudenza, "la discrezionalità valutativa della P.A. riguardo al diniego, o alle limitazioni, della concessione di occupazione di suolo pubblico è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in presenza di manifesta incongruità od illogicità "" (C.d.S., sez. V, 10 novembre 2022, n. 9847; cfr. Id., 2 dicembre 2015, n. 5447). Difatti, "la regolamentazione del traffico è una disciplina funzionale ad una pluralità di interessi pubblici meritevoli di tutela ed a diverse esigenze, ed il sindacato del giudice amministrativo va compiuto in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, per cui non possono porsi in dubbio le scelte compiute dall'amministrazione in ragione della loro incompatibilità con aspettative private, poiché un sindacato in tale materia è esperibile solo in presenza di vizi macroscopici determinati da errori di fatto o da manifesto travisamento o illogicità " (T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 17 ottobre 2022, n. 406). 9. Alla luce dei richiamati principi, le censure di parte ricorrente devono essere rigettate. Il Comune ha agito nel pieno esercizio della sua discrezionalità volta, nei limiti del principio di congruità e di ragionevolezza, ad individuare le misure ritenute idonee ad assicurare una corretta tutela dell'interesse pubblico tutelato a fronte dell'incontestata diminuzione delle aree disponibili per la sosta nel tratto viario interessato per la contingente presenza di un cantiere pubblico; né ricorrente può sostituirsi all'Amministrazione nella valutazione di tale interesse, surrogandosi nelle scelte di merito effettuate circa l'individuazione delle aree destinate alla sosta. Pertanto, il provvedimento comunale non si presenta né illogico né contraddittorio, in quanto il diniego della domanda di concessione di suolo pubblico è giustificato dall'esigenza di garantire il prevalente interesse pubblico al reperimento di posteggi per le auto nel medesimo tratto viario interessato dal cantiere per i lavori di restauro e risanamento di un edificio pubblico, con conseguente perdita temporanea di posti auto. Sempre alla luce della richiamata giurisprudenza, non può essere condivisa la ricostruzione proposta dalla parte ricorrente alla luce dell'art. 46 del regolamento edilizio comunale, per cui sarebbe consentito all'Amministrazione di negare il rilascio di concessioni per ragioni di viabilità o altri interessi pubblici solo ove la richiesta attenga ad occupazioni permanenti, e non temporanee come nel caso che occupa. L'esplicitazione contenuta nella disposizione richiamata solo con riferimento alla casistica delle concessioni permanenti non priva il Comune del suo potere/dovere di tutela dell'interesse pubblico a fronte di ogni istanza di concessione di occupazione di suolo pubblico. Né la circostanza che non sia stata ancora approvata una pianificazione complessiva delle aree occupabili, anche al fine di un approccio sistematico al problema della carenza dei parcheggi nel centro storico, preclude all'Amministrazione la valutazione dell'interesse pubblico relativamente a singole fattispecie; nel caso che occupa, inoltre, si è dinnanzi ad una casistica comunque eccezionale (legata, come detto, alla contingenza dell'effettuazione di lavori di restauro e riqualificazione di un edificio pubblico). Del tutto inconferenti si rivelano i richiami di parte ricorrente alla giurisprudenza in merito alla tutela dell'interesse del privato a fronte di un provvedimento di revoca, non ricorrendo nel caso in esame l'ipotesi di cui all'art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990. Quanto alla lamentata disparità di trattamento, va evidenziato che perché la stessa possa essere apprezzata occorre che sia provata la perfetta identità delle situazioni, in mancanza della quale le stesse non sono comparabili. Tale identità non si palesa nel caso che occupa con altre aree del centro storico o altri tratti della medesima via (omissis), atteso che la presenza di un cantiere pubblico nel medesimo tratto viario oggetto dell'istanza di occupazione caratterizza in modo peculiare la fattispecie per cui è causa. Emerge dagli atti di causa che, coerentemente, l'Amministrazione si è determinata nel senso di non concedere l'occupazione di suolo pubblico anche ad altra attività ugualmente prossima agli spazi sottratti. Deve essere disattesa anche la censura concernente la mancata concessione di suolo pubblico per il periodo di tempo precedente alla consegna dei lavori all'impresa esecutrice del restauro, atteso il brevissimo lasso temporale trascorso tra la comunicazione del preavviso di rigetto (del 19 marzo 2024) e la consegna del cantiere avvenuta in data 4 aprile 2024, ed essendo le osservazioni di parte ricorrente successive a tale data. 9.1. Alla luce degli atti di causa, non è ravvisabile neanche la lamentata violazione delle garanzie di partecipazione procedimentale, atteso che nel provvedimento di diniego si dà conto delle osservazioni trasmesse dall'interessata in data 8 aprile 2024, le quali sono state oggetto di un apposito approfondimento - con ulteriore direttiva di Giunta del 18 aprile 2024 - del quale è dato puntualmente conto nella motivazione richiamata al 2.6. Per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, non sussiste per l'Amministrazione un onere di analitica confutazione delle argomentazioni del privato, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso (C.d.S., sez. IV, 1 marzo 2024, n. 2011; cfr., ex multis, C.d.S., sez. II, 3 luglio 2023, n. 6420) e siano nella sostanza percepibili le ragioni del loro mancato recepimento (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 22 agosto 2023, n. 4826). Ed invero, "non può essere aggravato un procedimento cadenzato dal rispetto di tappe ben precise da obblighi ulteriori oltre quelli "minimi" necessari ad assicurare al privato anticipatamente la conoscenza delle ragioni poste a fondamento del provvedimento finale e di poter interloquire in contraddittorio e collaborare all'istruttoria" (C.d.S., sez. V, 30 agosto 2023, n. 8063; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 12 dicembre 2023, n. 6890). 9.2. Sebbene la parte ricorrente non muova specifiche censure avverso l'ordinanza n. 150 del 18 giugno 2024, va, infine, evidenziato che l'ordine di ripristino si regge legittimamente sull'unico presupposto della accertata inesistenza di un titolo di concessione valido ed efficace (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 9 gennaio 2017, n. 215). 10. Per quanto esposto, il ricorso deve essere integralmente rigettato. Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, attesa la particolarità della vicenda trattata e la conclusione all'esito della fase cautelare P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 299 del 2024, proposto da Ho. As. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Br. e Fr. Fa., con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Br. in Perugia, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento prot.n. 22369 del Comune di (omissis), Settore Polizia Municipale, Ufficio Attività Economiche e SUAP del 30 aprile 2024, notificato a mezzo PEC in pari data, avente ad oggetto "Provvedimento di rigetto della istanza per il rilascio di occupazione di suolo pubblico per la somministrazione di cui alle disposizioni del comma 5 dell'art. 9-ter del D.L. 28/10/2020 n. 137, convertito con modificazioni dalla Legge 18/12/2020 n. 176 per occupazione di suolo pubblico con le disposizioni di cui all'art. 11 c. 8 della Legge 20 dicembre 2023 n. 214", con il quale il dirigente del citato Servizio ha rigettato "la richiesta presentata in data 19 febbraio 2024 da Vi. Sa. nata a (omissis) (CE), in qualità di rappresentante legale della ditta "Ho. As. s.r.l." con sede in (omissis), Via (omissis), PI (omissis) - concernente il rilascio di una concessione di suolo pubblico per la somministrazione esterna della attività "Tr. degli Um." sita in P.zza (omissis), per una superficie complessiva dichiarata di mq 20,35"; nonché per l'annullamento di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, prodromico, consequenziale e comunque connesso o collegato a quello sopraindicato, ivi comprese, per quanto occorrer possa: della concessione di suolo pubblico n. 52 del 14 marzo 2024, con la quale è stata assentita la minore misura di mq 7,00, non in possesso della ricorrente; della delibera della Giunta comunale del 18 marzo 2024 e la planimetria esaminata in quella sede; della delibera della Giunta comunale n. 56 del 24 marzo 2016 e il Progetto di arredo urbano ad essa allegato; della nota prot. n. 14955 del Comune di (omissis), Settore Polizia Municipale, Ufficio Attività Economiche e SUAP del 19.3.2024, avente ad oggetto "Domanda per il rilascio di occupazione di suolo pubblico per la somministrazione di cui alle disposizioni del comma 5 dell'art. 9-ter del D.L. 28/10/2020 n. 137, convertito con modificazioni dalla Legge 18/12/2020 n. 176 per occupazione di suolo pubblico con le disposizioni di cui all'art. 11 c. 8 della Legge 20 dicembre 2023 n. 214 - Preavviso di rigetto parziale (art. 10-bis L. 241/1990)"; della delibera di Giunta comunale del 18 aprile 2024. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. La società ricorrente Ho. As. s.r.l., nel dicembre 2022, ha acquisito dalla Minerva di Andrea Brufani & C. s.n. c. l'attività di ristorazione "Tr. degli Um.", sita in (omissis), piazza (omissis). Riferisce parte ricorrente che, antecedentemente all'acquisto, la predetta attività era munita della concessione n. 134/2021, rilasciata in data 13 luglio 2021 dal Comune di (omissis), per l'occupazione del suolo pubblico antistante l'attività stessa per una superficie pari a mq 24,99. La predetta concessione è stata rilasciata in forza della normativa emergenziale dettata dal d.l. n. 34 del 2020 e successive proroghe, con validità fino al 31 dicembre 2021. L'occupazione del suolo pubblico antistante l'attività è stata poi rinnovata con successivi atti fino al 31 dicembre 2022 (atto n. 85/2022 del 22 aprile 2022, con validità fino al 30 giugno 2022, atto n. 179/2022 del 29 agosto 2022, con validità fino al 30 settembre 2022, e con atto n. 238/2022 del 30 novembre 2022, con validità fino al 31 dicembre 2022). Riferisce ancora la ricorrente che, a seguito del subentro nella gestione dell'attività di ristorazione, la Ho. As. s.r.l. ha continuato ad operare mediante il rilascio di concessioni temporanee, ma l'Ente comunale ha nel tempo ridotto la superficie di suolo pubblico consentita: con la concessione n. 49/2023, con validità dal 27 marzo 2023 al 31 ottobre 2023, l'occupazione di suolo è stata assentita per soli mq 18,91. 1.1. La Ho. As. s.r.l. ha presentato in data 19 febbraio 2024 istanza di rilascio di una nuova concessione temporanea di suolo pubblico per la somministrazione esterna, sino al 31 ottobre 2024, per una superficie complessiva dichiarata pari a mq 20,35. Con preavviso di rigetto parziale ai sensi dell'art. 10 bis l. n. 241 del 1990, notificato in data 19 marzo 2024, l'Ufficio Attività Economiche e SUAP del Comune di (omissis), preso atto dalla direttiva adottata dalla Giunta comunale in data 18 marzo 2024 - la quale "vista la planimetria di P.zza del Comune nella quale sono riportate le occupazioni di suolo pubblico per la somministrazione e vista la richiesta di occupazione di suolo pubblico presentata dalla Ho. As. s.r.l. "Tr. degli Um." e "preso atto: - del progetto di arredo urbano del (omissis) allegato alla deliberazione di Giunta Comunale n. 56 del 24 marzo 2016; - del redigendo Piano di massima occupabilità della P.zza del Comune, in applicazione del nuovo manuale di Arredo Urbano e Regolamento di attuazione approvato con D.C.C. n. 47 del 30 ottobre 2023; - del costante aumento dei flussi pedonali, rappresentati dai visitatori e turisti della Città in occasione di particolari periodi dell'anno soprattutto nel (omissis); - dei precedenti indirizzi della Giunta Comunale sull'argomento riferibili ad altri ambiti del (omissis)", ha disposto che "l'Ufficio... si limiti a rilasciare la concessione limitatamente alle superfici ed alle modalità contenute nell'autorizzazione paesaggistica n. 141 del 28.04.2014, che corrisponde alle attuali esigenze di pubblico interesse" - ha comunicato che la predetta istanza non avrebbe potuto essere accolta che per la minore superficie di mq 7,00, invitando la esponente a presentare osservazioni e documentazione entro il termine di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione. In data 29 marzo 2024, la ricorrente ha presentato le proprie osservazioni ai motivi ostativi opposti dall'Ente comunale. Con nota prot. n. 0022369 del 30 aprile 2024, il Comune di (omissis) ha rigettato l'istanza di concessione di suolo pubblico per la somministrazione esterna per complessivi 20,35 mq., richiamate le motivazioni di cui al preavviso di rigetto, preso atto delle osservazioni dell'istante e dell'ulteriore direttiva della Giunta comunale del 18 aprile 2024 - che "ritenute prive di fondamento le osservazioni della interessata al preavviso di rigetto, conferma i contenuti della precedente direttiva" - e rilevato che all'interessata è stata nelle more rilasciata la concessione di suolo pubblico n. 52 del 14 marzo 2024 per la superficie di 7 mq. 1.2. A seguito dell'accesso agli atti evaso dall'Ente comunale in data 21 maggio 2024, la ricorrente ha preso cognizione del progetto di arredo urbano del (omissis) allegato alla D.G.C. n. 56 del 24 marzo 2016, oltre che delle direttive dettate dalla medesima Giunta il 18 marzo 2024 e il 18 aprile 2024. 2. Con unico motivo in diritto, la ricorrente ha chiesto l'annullamento dei provvedimenti gravati lamentando la violazione e/o falsa e/o errata applicazione art. 41 e 97 Cost., art. 3 e 10 bis l. n. 241 del 1990, art. 181 d.l. n. 34 del 2020 conv. in l. n. 77 del 2020, art. 9 ter d.l. n. 137 del 2020 conv. in l. n. 176 del 2020, del progetto di arredo urbano del (omissis) allegato alla D.G.C. n. 56 del 24 marzo 2016 e del manuale di arredo urbano e regolamento di attuazione approvato con D.C.C. n. 47 del 30 ottobre 2023; l'eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità e irragionevolezza dell'azione amministrativa, violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'Amministrazione, ingiustizia manifesta. Nel censurare l'illogicità della motivazione del gravato diniego (parziale) la ricorrente lamenta in primo luogo una disparità di trattamento rispetto alla precedente gestione, la quale - pur a fronte della ripresa dei flussi turistici - ha goduto di concessioni di occupazione di suolo pubblico pari a 24,99 mq per gli anni 2021 e 2022 e di 18,91 mq per l'anno 2023. Si nega che la circostanza della mancata indicazione dell'attività in oggetto nella planimetria dell'area occupabile di cui alla D.G.C. n. 56 del 2016, oltre ad essere conseguenza della peculiare collocazione dell'attività stessa (posta in un'area marginale, su una strada di confluenza alla piazza del Comune), non giustifica ex se un trattamento deteriore rispetto alle attività di somministrazione indicate nella planimetria stessa. Parte ricorrente contesta, altresì, la valutazione comunale circa l'incompatibilità dell'istanza di occupazione di suolo pubblico con i crescenti flussi pedonali, evidenziando che l'area ove la ricorrente intenderebbe installare l'ipotizzato arredo urbano si trova in una zona molto marginale di piazza del Comune, delimitata da paletti e completamente vietata al traffico veicolare in tutti i periodi dell'anno, idonea quindi sia ad ospitare il predetto arredo che a consentire l'agevole e sicuro transito dei pedoni, anche in gruppo. 3. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis), sollevando preliminarmente eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad un controinteressato, ed argomentando poi nel merito circa l'infondatezza delle censure attoree e l'insussistenza dei presupposti per la concessione dell'invocata tutela cautelare. Rilevato che l'occupazione di una porzione di suolo pubblico va considerata alla stregua di un provvedimento con il quale l'Amministrazione locale sottrae il predetto bene alla fruizione comune e lo mette a disposizione di soggetti particolari, al fine di perseguire il bene pubblico in via primaria o comprimaria unitamente alla tutela degli interessi privati coinvolti - sicché l'Amministrazione mantiene ferma la propria discrezionalità nel negare il rinnovo della concessione o nel modificarne il contenuto, imponendo al concessionario diverse condizioni o prescrizioni in fase di rinnovo, ove più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse - la difesa resistente ha evidenziato come nel caso di specie l'Amministrazione abbia assentito una minore estensione della superficie richiesta dalla ricorrente, ritornando sostanzialmente alla situazione antecedente all'emergenza pandemica, nel pieno esercizio della discrezionalità amministrativa e nei limiti del principio di congruità e di ragionevolezza. 4. Parte ricorrente ha replicato in merito all'eccezione di inammissibilità e sulla gravità e irreparabilità del danno. 5. Alla camera di consiglio del 23 luglio 2024, uditi per le parti i difensori anche in merito alla possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente, si ravvisa la sussistenza dei presupposti di legge ex art. 60 cod. proc. amm. per la definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata all'esito della trattazione cautelare, essendo la causa matura per la decisione e stante l'assenza di cause ostative, come convenuto dalle parti in sede di discussione. 7. Per ragioni di economia processuale, ritiene il Collegio di poter prescindere dall'esame delle ulteriori eccezioni in rito formulate dalla resistente, presentandosi il ricorso infondato nel merito per quanto di seguito esposto. 8. Giova rammentare che "l'occupazione di una porzione di suolo pubblico va considerata alla stregua di un provvedimento con il quale l'Amministrazione locale sottrae il predetto bene alla fruizione comune e lo mette a disposizione di soggetti particolari (c.d. uso particolare), al fine di perseguire il bene pubblico in via primaria o comprimaria unitamente alla tutela degli interessi privati coinvolti, sicché l'amministrazione mantiene ferma la propria discrezionalità nel negare il rinnovo della concessione o nel modificarne il contenuto, imponendo al concessionario diverse condizioni o prescrizioni in fase di rinnovo, ove più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse. L'amministrazione mantiene generalmente ferma la propria discrezionalità nel negare il rinnovo della concessione per occupazione di suolo pubblico o nel modificarne il contenuto, imponendo al concessionario diverse condizioni o prescrizioni in fase di rinnovo, ove più rispondenti al perseguimento del pubblico interesse.... come ribadito più volte dalla giurisprudenza, "la discrezionalità valutativa della P.A. riguardo al diniego, o alle limitazioni, della concessione di occupazione di suolo pubblico è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo in presenza di manifesta incongruità od illogicità "" (C.d.S., sez. V, 10 novembre 2022, n. 9847; cfr. Id., 2 dicembre 2015, n. 5447). Difatti, "la regolamentazione del traffico (veicolare e pedonale) è una disciplina funzionale ad una pluralità di interessi pubblici meritevoli di tutela ed a diverse esigenze, ed il sindacato del giudice amministrativo va compiuto in ossequio al principio di separazione dei poteri ed alla tassatività dei casi di giurisdizione di merito, per cui non possono porsi in dubbio le scelte compiute dall'amministrazione in ragione della loro incompatibilità con aspettative private, poiché un sindacato in tale materia è esperibile solo in presenza di vizi macroscopici determinati da errori di fatto o da manifesto travisamento o illogicità " (T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 17 ottobre 2022, n. 406). 9. Alla luce dei richiamati principi, le censure di parte ricorrente devono essere rigettate. Il Comune ha agito nel pieno esercizio della sua discrezionalità volta, nei limiti del principio di congruità e di ragionevolezza, ad individuare le misure ritenute idonee ad assicurare una corretta tutela dell'interesse pubblico tutelato, pur nel bilanciamento con le istanze del privato. Il provvedimento comunale non si presenta né illogico né contraddittorio, in quanto il parziale diniego della domanda di concessione di suolo pubblico è giustificato, in primo luogo, dall'esigenza di garantire il prevalente interesse pubblico ad una regolare viabilità pedonale a fonte della progressiva ripresa dei flussi turistici, nel più generale intento di riportare la situazione dell'occupazione di suolo pubblico alle grandezze antecedenti le misure straordinarie adottate in occasione della recente emergenza pandemica. La stessa parte ricorrente ammette il progressivo aumento dei flussi turistici a partire dal 2021, dopo il drastico calo del 2020; "come risulta dai dati tratti da Turismatica (Banca dati regionale delle Strutture ricettive e Locazioni turistiche), a fronte di un numero complessivo di presenze nell'anno 2019 pari a 1.299.096..., nel 2020 si registra in effetti un sensibile calo delle presenze, che scendono a sole 529.839... Tuttavia, il trend in ascesa riprende già a partire dall'anno 2021, che fa registrare 747.704 presenze..., che salgono poi a 1.207.704 per l'anno 2022... e a 1.384.285 per l'anno 2023" (pag. 6 ricorso introduttivo). Dai dati forniti dalla stessa parte ricorrente emerge, pertanto, che i flussi turistici che hanno interessato il Comune di (omissis) sono sostanzialmente raddoppiati tra il 2021 ed il 2023. L'Amministrazione ha, pertanto, effettuato un non censurabile bilanciamento tra gli interessi in gioco, concedendo con provvedimento n. 52 del 2024 l'occupazione per la minore superficie di 7 mq., corrispondente a quanto già concesso alla precedente gestione del medesimo esercizio in epoca antecedente l'emergenza pandemica. Giova evidenziare che la circostanza che non sia stata ancora approvata una pianificazione complessiva delle aree occupabili non preclude all'Amministrazione la valutazione dell'interesse pubblico relativamente ai singoli casi. Quanto alla lamentata disparità di trattamento - tanto in termini diacronici, rispetto alla precedente gestione, che in termini sincronici, rispetto alle altre attività presenti sulla piazza del Comune - va evidenziato che perché la stessa possa essere accertata occorre che sia provata la perfetta identità delle situazioni, in mancanza della quale le stesse non sono comparabili. Nel caso che occupa non vi è identità con la situazione fattuale delle precedenti annualità 2021- 2023, ancora interessate dalla contrazione delle presenze turistiche che ha fatto seguito alla pandemia da Covid 19 e dal graduale superamento delle esigenze di distanziamento che avevano condotto all'adozioni di misure emergenziali. Allo stesso modo, quanto alla situazione attuale, l'Amministrazione ha evidenziato la peculiarità della collocazione dell'attività di parte ricorrente rispetto alle altre attività presenti sulla piazza del Comune. La "Tr. degli Um.", benché toponomasticamente ricadente nella piazza del Comune, in realtà è collocata su di una strada alla confluenza tra la piazza stessa, via (omissis) e la scalinata di vicolo (omissis); proprio la collocazione in un punto di confluenza è stata ritenuta, non irragionevolmente, come elemento di criticità per un regolare afflusso/deflusso dei pedoni, considerata la frequente presenza di turisti che si spostano in gruppi. 10. Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato. Si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, attesa la particolarità della vicenda trattata e la conclusione all'esito della fase cautelare. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 23 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 150 del 2021, proposto dai sig.ri En. Fl. e Le. Fl., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Lu. Co. e Do. Di Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Do. Di Mi. in Perugia, corso (...); contro AN. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Co. e En. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Co. in Perugia, via (...); nei confronti Se. s.p.a. in fallimento, non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 47 del 2023, proposto dai sig.ri En. Fl. e Le. Fl., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Lu. Co. e Ia. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Lu. Co. in Firenze, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via (...); nei confronti AN. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Co. e En. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Co. in Perugia, via (...); per l'ottemperanza quanto al ricorso n. 150 del 2021: del giudicato formatosi sulla sentenza del T.A.R. Umbria n. 135 del 14 febbraio 2017 e per il risarcimento del danno; per l'annullamento quanto al ricorso n. 47 del 2023: della determinazione dirigenziale del Comune di (omissis), Servizio Programmazione e Progettazione OO.PP. - Settore Lavori Pubblici - Patrimonio - Infrastrutture Tecnologiche - Protezione Civile n. 1339 del 21/11/2022, avente ad oggetto "S.S.(omissis) - Lavori di costruzione della variante di (omissis) per l'eliminazione dell'attraversamento dell'abitato e la diretta connessione alla "E-(omissis)" - Determinazione dell'indennizzo patrimoniale e non patrimoniale dovuto per acquisizione aree ai sensi dell'art. 42 bis del dpr 327/01, mod. ed integrato dal D.lgs. 302/02 e s.m.i." nonché di tutti gli atti ad esso connessi presupposti e conseguenti e in particolare la convenzione ex art. 15, legge n. 241 del 1990 fra AN. ed il Comune di (omissis). Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di AN. s.p.a. e del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2024 la dott.ssa Daniela Carrarelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Per la comprensione delle questioni portate all'attenzione del Collegio si rende necessaria una seppur sommaria ricostruzione della vicenda pregressa. Con ricorso n. r.g. 402/2008 la sig.ra Li. Ir. agiva innanzi al T.A.R. Umbria per chiedere la declaratoria dell'illegittimità dell'occupazione sine titulo di un fondo di sua proprietà con condanna di AN. s.p.a. e Se. s.p.a. alla restituzione di detto bene (sul quale frattempo è stata realizzata una strada ad alto scorrimento) ed al risarcimento del danno subito per il periodo di occupazione illegittima, nonché, in subordine, per il mancato accoglimento della richiesta di restituzione del bene ovvero di ablazione, se legalmente pronunciata ai sensi dell'art. 43, del d.P.R., n. 327 del 2001. A seguito della morte dell'originaria ricorrente, la causa vaniva riassunta ex art. 80 del cod. proc. amm. dagli eredi En. Fl. e Le. Fl.. Con sentenza del 14 febbraio 2017 n. 135 questo Tribunale amministrativo regionale accoglieva il ricorso ai sensi di cui in motivazione, condannando "le amministrazioni esproprianti a restituire a parte ricorrente, previa riduzione in pristino, il terreno di sua proprietà ancora illegittimamente occupato, ovvero, in alternativa, ad acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001; b) dispone che le predette amministrazioni si determinino in ordine alla restituzione o all'acquisizione della superficie di cui si tratta entro sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente sentenza e che l'eventuale provvedimento di acquisizione sia tempestivamente notificato ai proprietari e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari". 2. Con ricorso n. r.g. 150 del 2021 i sig.ri En. Fl. e Le. Fl., proprietari del compendio immobiliare identificato al Catasto Terreni del Comune di (omissis) al fg. (omissis), mapp. (omissis), hanno agito per l'ottemperanza della sentenza n. 135 del 2017 e per risarcimento dei danni subiti dagli stessi per effetto della illegittima occupazione del terreno di loro proprietà, lamentando la perdurante inerzia delle Amministrazioni intimate, nonostante la sentenza sia stata comunicata in via amministrativa ed è stata notificata in forma esecutiva. 3. Si è costituita in giudizio AN. s.p.a., evidenziando, in punto di fatto, che il compendio immobiliare nel Comune di (omissis) di proprietà degli odierni ricorrenti è stato interessato dai lavori per l'esecuzione della variante stradale di (omissis), opera volta all'eliminazione dell'attraversamento dell'abitato ed alla diretta connessione alla S.S. (omissis), S.G.C. "E-(omissis)" (e la cui pubblica utilità è stata dichiarata con provvedimento n. 8835 dell'8 maggio 2001); in forza del decreto prefettizio n. 4545 del 10 luglio 2001, 13.430 mq. di detta area sono stati oggetto di occupazione temporanea e - nell'ambito della procedura ablatoria - AN. ha provveduto al versamento presso la Cassa DD.PP. l'importo di Euro 38.247,41 a titolo di indennizzo per la ditta Fl. (ex Ir.; deposito prot. CPG-0014584 del 19 luglio 2002). I lavori sono stati ultimati in data 24 marzo 2004 (come da relativo certificato di ultimazione) e la realizzata opera stradale è stata aperta al traffico; la resistente evidenzia AN. non gestisce più la viabilità di che trattasi in quanto, in data 20 dicembre 2004, l'opera è stata consegnata alla Regione Umbria (nella parte costituente l'asta principale, che contestualmente è stata classificata come "Strada Regionale n. 257") ed al Comune di (omissis) (nella parte costituente il raccordo alla preesistente viabilità comunale), come da verbale di consegna ai sensi dell'art. 4, del regolamento esecutivo del codice della strada. Riferisce la difesa resistente che, a seguito di uno scambio di note con AN., il Comune di (omissis) ha evidenziato la necessità di mantenere la viabilità di che trattasi nella rete stradale demaniale dell'Ente; per l'effetto, è stato perfezionato tra i due soggetti un accordo ex art. 15 l. n. 241 del 1990 volto all'emissione - da parte del Comune - di un provvedimento di c.d. "acquisizione sanante" sui terreni degli odierni ricorrente (cfr. D.G.C. n. 10 del 24 gennaio 2022 di approvazione di tale accordo). In data 19 maggio 2022 il Comune ha comunicato l'avvio del procedimento per l'eventuale emissione del provvedimento di "acquisizione sanante" ex art. 42 bis T.U. Espropriazioni. Per quanto esposto, AN. ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva nel giudizio incardinato con ricorso n. r.g. 150/2021, stante l'impossibilità di dare esecuzione alla sentenza n. 175 del 2021, non potendo adottare il provvedimento ex art. 42 bis, non essendo la stessa l'autorità che utilizza il bene. 4. Con memoria depositata in vista della camera di consiglio fissata per il 21 giugno 2022, la difesa attorea ha evidenziato la sopravvenuta comunicazione da parte del Comune di (omissis) - in qualità di "Amministrazione che utilizza il bene in oggetto" - dell'avvio del procedimento ex art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 volta all'acquisizione dei terreni di cui è causa, sul presupposto della non retrocedibilità del compendio immobiliare, nella quale l'indennità loro spettante sarebbe quantificata in complessivi euro 125.588,90. Stante la pendenza del procedimento, la parte ricorrente ha chiesto il rinvio della discussione e la trattazione congiunta con altro ricorso (n. r.g. 47 del 2023) proposto avverso la determinazione del Comune di (omissis) n. 1339 del 21 novembre 2022, con cui si è provveduto a determinare l'indennizzo patrimoniale e non patrimoniale dovuto per acquisizione delle aree di cui è causa ai sensi dell'art. 42 bis del d.P.R. n. 327 2001, senza tuttavia provvedere all'adozione del provvedimento di acquisizione. 4.1. La trattazione è stata rinviata a data da destinarsi. 4.2. Successivamente, in accoglimento dell'istanza di rinvio formulata dalla parte resistente stante la perdurante pendenza del procedimento avviato ai sensi dell'art. 42 bis d.P.R. 327 del 2001, la trattazione fissata per l'udienza pubblica del 9 maggio 2023 è stata differita al 29 settembre 2023. 5. Con il ricorso n. r.g. 47 del 2023 i sig.ri En. Fl. e Le. Fl., hanno agito per l'annullamento e/o l'accertamento della nullità della determinazione dirigenziale del Comune di (omissis), Servizio Programmazione e Progettazione OO.PP. - Settore Lavori Pubblici - Patrimonio - Infrastrutture Tecnologiche - Protezione Civile n. 1339 del 21 novembre 2022, avente ad oggetto "S.S.(omissis) - Lavori di costruzione della variante di (omissis) per l'eliminazione dell'attraversamento dell'abitato e la diretta connessione alla "E-(omissis)" - Determinazione dell'indennizzo patrimoniale e non patrimoniale dovuto per acquisizione aree ai sensi dell'art. 42 bis del dpr 327/01, mod. ed integrato dal D.lgs 302/02 e s.m.i.", nonché di tutti gli atti ad esso connessi presupposti e conseguenti e in particolare la convenzione ex art. 15, l. n. 241 del 1990 fra AN. ed il Comune di (omissis). 5.1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la nullità del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 21 septies, comma 1, l. n. 241 del 1990 per elusione del giudicato, nonché la violazione dell'art. 97 Cost., l'eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione (violazione dell'art. 3, l. n. 241 del 1990), della illogicità e contraddittorietà, del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con il secondo ed articolato motivo in diritto, con riferimento alla gravata D.D. n. 1339 del 2022 lamentano l'incompetenza dell'organo emanante, essendo l'adozione del provvedimento ex art. 42 bis riservata al Consiglio comunale, la violazione o errata applicazione dello stesso art. 42 bis, la violazione dell'art. 97, Cost., nonché l'eccesso di potere particolarmente sotto il profilo del difetto di motivazione, della illogicità e contraddittorietà, del difetto di istruttoria e del travisamento dei fatti. Con riferimento all'accordo concluso tra AN. ed il Comune di (omissis) ai sensi dell'art. 15 l. n. 241 del 1990, la parte ricorrente ha denunciato l'eccesso di potere per carenza di copertura economica, la violazione dell'art. 81 Cost. in combinato disposto con l'art. 119 Cost., nonché la violazione dei principi di cui all'art. 28, l. n. 448 del 1998 nella parte in cui obbligano gli enti locali a concorrere agli obiettivi di finanza pubblica e, quindi, ad una gestione sana perché improntata alla prudenza. 6. Si è costituito per resistere in giudizio il Comune di (omissis) eccependo, in primo luogo, il difetto di giurisdizione del g.a. in quanto con la D.D. n. 1339 del 2022 il Comune si è limitato ad approvare la determinazione dell'indennizzo patrimoniale e non patrimoniale dovuto per l'acquisizione aree ai sensi dell'art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 individuato sulla base della stima operata dall'AN.; l'oggetto del provvedimento si sostanzierebbe, quindi, solo nella quantificazione dell'indennizzo previsto dalla norma richiamata da porre alla base all'emanando provvedimento e pacificamente, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. f) e g), cod. proc. amm., le controversie aventi ad oggetto questioni attinenti alla corresponsione dell'indennità di esproprio sfuggono alla cognizione del giudice amministrativo, in quanto alla giurisdizione del giudice ordinario. Altrettanto pacificamente rientrano nella giurisdizione del g.o. le controversie relative alla determinazione ed alla corresponsione dell'indennizzo di cui allo stesso art. 42 bis. La difesa comunale ha, poi eccepito l'inammissibilità e/o improcedibilità delle domande proposte con il ricorso n. r.g. 47 del 2023 in quanto la gravata D.D. n. 1339 del 2022, a differenza di quanto sostenuto dai ricorrenti, non può essere qualificata né come atto soprassessorio né come provvedimento autonomamente lesivo. 7. Si è costituita in giudizio AN. s.p.a., eccependo a sua volta il difetto di giurisdizione del g.a. in quanto il gravato provvedimento si sostanzia nella "determinazione dell'indennizzo patrimoniale e non patrimoniale dovuto per acquisizione aree ai sensi dell'art. 42 bis del DPR 327/01, mod. ed integrato dal D.lgs. 302/02 e s.m.i.", riguardando pacificamente ed esclusivamente il solo quantum del futuro provvedimento di acquisizione sanante. AN. ha, altresì, eccepito l'inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, perché proposto avverso ad un atto di natura non provvedimentale, nonché la tardività dell'impugnativa dell'accordo procedimentale ex art. 15 l. n. 241 del 1990 intervenuto tra AN. ed il Comune di (omissis), posto che le ricorrenti hanno appreso dell'accordo almeno già a maggio del 2022, allorquando gli scriventi difensori lo hanno depositato agli atti del procedimento n. r.g. 150/2021, sicché sono spirati sia il termine decadenziale di 60 giorni che quello di 180 previsto dall'art. 34, comma 4, cod. proc. amm. 8. Con memorie depositate in vista della trattazione di entrambi i giudizi, le difese resistenti hanno eccepito l'improcedibilità del ricorso, avendo in data 20 luglio 2023, il Comune di (omissis) - a valle del procedimento avviato con nota prot. 19408 ed in ottemperanza della sentenza n. 137 del 2017 - emesso il provvedimento di acquisizione sanante ai sensi dell'art. 42 bis, T.U. Espropriazioni delle aree dei ricorrenti. La difesa di AN. ha evidenziato come ogni posta risarcitoria pretesa dalla ricorrente trovi riscontro nel citato provvedimento ex art. 42 bis, laddove - fra le altre - si riconosce il previsto "pregiudizio non patrimoniale" per la acquisizione sanante. È stato altresì evidenziato che gli stessi ricorrenti hanno nelle more esperito davanti alla Corte d'Appello di Perugia il ricorso in opposizione alla stima. 9. All'udienza pubblica del 26 settembre 2023, stante la pendenza del termine per l'impugnazione del sopravvenuto provvedimento del Comune di (omissis) del 20 luglio 2023, su concorde istanza dei difensori delle parti, la trattazione delle cause connesse è stata rinviata all'udienza pubblica del 20 febbraio 2024. 10. In vista della trattazione hanno depositato memorie le sole parti resistenti, insistendo per le proposte eccezioni in rito. 11. All'udienza pubblica del 20 febbraio 2024, uditi per le parti i difensori come specificato a verbale, le causa sono state trattenute in decisione. 12. In limine litis, va disposta la riunione di ricorsi in epigrafe, ai sensi dell'art. 70 cod. proc. amm., per evidenti motivi di connessione oggettiva e soggettiva. 13. Sempre in via preliminare deve essere rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata da AN. nel ricorso n. r.g. 150 del 2021. In questa sede i ricorrenti hanno agito per l'ottemperanza della sentenza del T.A.R. Umbria n. 135 del 2017 con la quale AN. s.p.a. era stata condannata, in solido con Se. s.p.a., "a restituire a parte ricorrente, previa riduzione in pristino, il terreno di sua proprietà ancora illegittimamente occupato, ovvero, in alternativa, ad acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 42-bis del d.P.R. n. 327/2001", con assegnazione di un termine di sessanta giorni per determinarsi sul punto. La richiamata sentenza n. 135 del 2017 non è stata impugnata ed è passata in giudicato; AN. non può, pertanto, in questa sede far valere eccezioni che avrebbe dovuto sollevare nel relativo giudizio n. r.g. 402/2008, ove non si risulta neanche costituita. 14. Nelle more del presente giudizio il Comune di (omissis) con D.C.C. n. 34 dell'11 maggio 2023 e con il Decreto dirigenziale n. 15 del 20 luglio 2023 ha definitivamente disposto l'acquisizione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, della rata di terreno individuata al catasto terreni del Comune di (omissis) Fg 131, p.lla 2492 (ex 5) di proprietà dei En. Fl. e Fl.. I suddetti provvedimenti non sono stati gravati con motivi aggiunti dai ricorrenti. Da quanto sopra discende l'improcedibilità tanto del ricorso n. 150 del 2021, promosso per l'ottemperanza della richiamata sentenza n. 135 del 2017, che dell'impugnativa della determina n. 1339 del 2022 di cui al ricorso n. r.g. 47 del 2023, dal cui annullamento non potrebbe derivare alcuna utilità per i ricorrenti, essendo la stessa superata dai successivi provvedimenti anche in punto di determinazione dell'indennizzo spettante ai proprietari per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale. 14.1. L'improcedibilità di cui sopra comprende, altresì, la domanda di risarcimento del danno avanzata - invero in modo del tutto generico - con il ricorso n. 150 del 2021, in quanto ogni posta risarcitoria pretesa dalla parte ricorrente trova riscontro nel provvedimento adottato dal Comune il 20 luglio 2023 ex art. 42 bis TUE, ferma restando la giurisdizione del g.o. per tutto quanto attiene alla determinazione dell'indennità espropriative (cfr. ex multis Cass. civ., S.U., 20 luglio 2021, n. 20691; Id. 25 luglio 2016, n. 15283). 14.2. Alcun interesse può residuare in capo ai ricorrenti neanche con riferimento alla domanda di annullamento dell'accordo concluso tra AN. ed il Comune di (omissis) ai sensi dell'art. 15 l. n. 241 del 1990 - finalizzato a definire l'iter per l'adozione del provvedimento ex art. 42 bis d.P.R. n. 327 del 2001 da parte dell'Amministrazione comunale e gli oneri a carico di AN. - la cui impugnativa con il ricorso notificato in data 20 gennaio 2023 si presentava, in ogni caso, tardiva tanto rispetto al termine decadenziale di 60 giorni ex art. 29 cod. proc. amm. che al temine di 180 previsto dall'art. 34, comma 4, cod. proc. amm., atteso che i relativi atti risultano depositati nel fascicolo del procedimento n. r.g. 150/2021 in data 26 maggio 2022. 15. Per quanto esposto, i ricorsi riuniti devono essere dichiarati improcedibili. Le spese di lite, in parte compensate per l'esito del giudizio, sono poste per la restante parte in solido a carico di AN. s.p.a. e del Comune di (omissis), nella misura liquidata nel dispositivo, in considerazione delle anomale tempistiche di conclusione del procedimento de quo che hanno reso necessario per i ricorrenti agire in giudizio per l'ottemperanza della sentenza n. 135 del 2017. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione, li dichiara improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse. Condanna AN. s.p.a. e il Comune di (omissis) al pagamento delle spese di giudizio, in parte compensate, in favore dei ricorrenti nella misura di complessivi 1.500,00 (millecinquecento/00) euro, oltre oneri ed accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario, Estensore Davide De Grazia - Primo Referendario
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 760 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ga. Ca., Da. Di Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliataria ex lege in Perugia, via (...); per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: del Decreto Ministeriale -OMISSIS-, notificato al ricorrente in data -OMISSIS-, emesso dal Ministero della Difesa, Direzione Generale per il Personale Militare, con il quale si dispone: "Art. 1 - in ottemperanza e per gli effetti della sentenza n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, pubblicata il -OMISSIS- dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda, la Determinazione Dirigenziale del -OMISSIS-, con la quale veniva disposta, nei confronti dell'Appuntato in servizio permanente -OMISSIS-, nato a -OMISSIS-, a decorrere dalla data del provvedimento, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi dell'art. 861, comma primo e 867 comma sesto del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, è annullata. Art. 2 - Per l'effetto di cui al precedente articolo, viene disposta la reintegrazione nel grado di Carabiniere in servizio permanente (a decorrere dal -OMISSIS-) e la conseguente riammissione in servizio del suddetto militare, a decorrere dalla data di notifica del presente provvedimento" nella parte in cui prevede: "Art. 3 - Come statuito dalla sentenza n. -OMISSIS- e N.-OMISSIS- datata -OMISSIS-, del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, citata in premessa, trattandosi dell'annullamento di un provvedimento incidente su un interesse legittimo, non si applicano gli artt. 88 e ss. del testo unico n. 3 del 1957 e i principi della restitutio in integrum (rilevanti per legge solo nel caso di completo proscioglimento dell'incolpato dall'addebito)". nonché per quanto occorrere possa del provvedimento di riammissione in servizio del -OMISSIS- nella parte in cui dispone la riammissione in servizio dell'Appuntato -OMISSIS- senza ricostruirne la carriera ai sensi dell'art. 921 del codice dell'ordinamento militare nonché per quanto occorra di ogni altro atto e/o provvedimento preparatorio, presupposto, consequenziale e/o comunque connesso, anche incognito agli atti impugnati. Per quanto riguarda i motivi aggiunti: della determinazione del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri I Reparto - SM - Ufficio Personale Appuntati e Carabinieri n. -OMISSIS-, notificata in data -OMISSIS-, ove veniva disposta "l'esclusione da ogni procedura di avanzamento e dal transito da un ruolo all'altro nei confronti dell'Appuntato -OMISSIS-" e "la detrazione di anzianità per il richiamato periodo di custodia cautelare e il conseguente spostamento dell'anzianità di grado dal -OMISSIS- al -OMISSIS- dell'Appuntato -OMISSIS-". Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2023 la dott.ssa Elena Daniele e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il Sig. -OMISSIS- è un appuntato dell'Arma dei Carabinieri, attualmente in servizio presso il -OMISSIS-. Il suddetto militare il -OMISSIS- veniva arrestato con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata alla ricettazione, riciclaggio, simulazione di reato, falso in scritture private, frodi assicurative, falso in atto pubblico, contrabbando in esportazione e altri delitti in materia di armi. 2. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. -OMISSIS-, riteneva il Sig. -OMISSIS- colpevole per i soli reati di detenzione, porto e cessione abusiva di arma da guerra e di ricettazione di arma da guerra, infliggendogli la pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione oltre Euro 600,00 di multa, mentre lo assolveva per gli altri reati. La sentenza di primo grado veniva confermata in appello nel 2009, e quindi nel 2010 in cassazione, all'esito della declaratoria di inammissibilità del relativo ricorso. Medio tempore l'Amministrazione, per il periodo dal -OMISSIS- al -OMISSIS-, disponeva in danno dell'Appuntato -OMISSIS- la sospensione precauzionale dal servizio, al termine della quale costui veniva destinato alla sua attuale sede. 3. Successivamente alla conferma della condanna in cassazione l'Amministrazione avviava un procedimento disciplinare nei confronti del Sig. -OMISSIS-, all'esito del quale, con determinazione del -OMISSIS-, il Ministero della Difesa, Direzione Generale per il personale Militare, disponeva la "perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari" ai sensi dell'art. 861, comma primo, lettera d) del D.Lgs n. 66/2010, Codice dell'Ordinamento Militare (da qui in seguito solo C.O.M.). La predetta sanzione disciplinare veniva impugnata prima al Tar Umbria, quindi al Consiglio di Stato, che con sentenza n. -OMISSIS-, in riforma della sentenza di primo grado, annullava il provvedimento impugnato, riconoscendo l'"intervenuta decadenza dall'esercizio del potere disciplinare, conseguente al superamento del termine massimo di giorni 270 stabilito dal rammentato art. 1392, comma 3, del Codice dell'Ordinamento Militare". Inoltre il Giudice d'Appello statuiva altresì che "all'estinzione del procedimento, rinveniente dal superamento del termine decadenziale di cui sopra, accede l'illegittimità della sanzione conclusivamente irrogata a carico dell'odierno appellante: la quale, in accoglimento del relativo motivo di gravame, ed in riforma dell'impugnata sentenza del TAR, deve pertanto essere annullata con ogni relativa conseguenza.". 4. In dichiarata ottemperanza alla sentenza -OMISSIS- del Consiglio di Stato, il Ministero della Difesa con Determina -OMISSIS- annullava la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, disponendo quindi la reintegrazione del militare nel grado di Carabiniere in servizio permanente (a decorrere dal -OMISSIS-) e la sua conseguente riammissione in servizio. Tuttavia "trattandosi dell'annullamento di un provvedimento incidente su un interesse legittimo" l'Amministrazione riteneva non applicabili "gli artt. 88 e ss. del testo unico n. 3 del 1957 e i principi della restitutio in integrum (rilevanti per legge solo nel caso di completo proscioglimento dell'incolpato dall'addebito)", citando all'uopo, quale precedente la sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-. 5. L'Appuntato -OMISSIS- ha impugnato la predetta determina nella parte in cui, pur annullando la sanzione disciplinare, gli negava l'integrale ricostruzione di carriera ai fini giuridici ed economici. 5.1. Con un primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 88 del D.P.R. n. 3 del 1957 nonché degli artt. 921 e 1394 del C.O.M.. L'Amministrazione avrebbe erroneamente applicato al caso di specie la disciplina del T.U. sugli impiegati civili dello Stato piuttosto che quella di cui all'art. 1394 del C.O.M., che prevede la ricostruzione di carriera dei militari ai fini giuridici ed economici proprio nel caso di annullamento del procedimento disciplinare non seguito da rinnovazione. 5.2. Con il secondo motivo, espressamente formulato in via subordinata rispetto al primo, il Sig. -OMISSIS- allega la violazione dell'art. 89 del D.P.R. n. 3/1957, che sarebbe applicabile ove non si ritenesse applicasse il Codice dell'Ordinamento Militare: il comma 2 del predetto articolo prevede infatti espressamente la reintegrazione dell'impiegato nei "casi di annullamento del provvedimento disciplinare o di estinzione del relativo procedimento", che prescindono dal proscioglimento nel merito dall'addebito contestato, per cui l'integrale restitutio in integrum sarebbe spettata al ricorrente anche ove non si fosse correttamente applicata la summenzionata disciplina. 5.3. Infine con il terzo motivo si censura l'eccesso di potere dell'Amministrazione per perplessità e contraddittorietà dell'azione amministrativa, in quanto il diniego di restitutio in integrum operato dal Ministero della Difesa sarebbe basato sul disposto di una sentenza inconferente con il caso di specie, perché in quell'ipotesi la sanzione disciplinare veniva annullata per difetto di proporzionalità mantenendo salvo il potere dell'Amministrazione di riedizione del procedimento disciplinare. 6. Con atto di motivi aggiunti notificato il 27 maggio 2022 il sig. -OMISSIS- ha impugnato l'ulteriore Determina del Comando Generale dei Carabinieri n. -OMISSIS-, con cui si decideva l'esclusione del ricorrente da ogni procedura di avanzamento e dal transito da un ruolo all'altro, nonché la detrazione di anzianità per il periodo di custodia cautelare da costui scontata e il conseguente spostamento dell'anzianità di grado dal -OMISSIS- al -OMISSIS-. Questa seconda impugnazione risulta affidata a due nuovi motivi. 6.1. Con il primo si censura la determina-OMISSIS- innanzitutto in via derivata, costituendo ulteriore violazione dei parametri normativi già richiamati che imponevano la restitutio in integrum; invece l'atto impugnato risulterebbe viziato in via autonoma per violazione e falsa applicazione degli artt. 858 comma 1 lett. b) e comma 3, nonché 1051 comma 8 C.O.M.. Nello specifico sia l'esclusione da ogni procedura di avanzamento che la detrazione di anzianità per il periodo di custodia cautelare avrebbero natura di sanzioni disciplinari, pertanto costituirebbero l'illegittima riedizione di un potere sanzionatorio da cui ormai l'Amministrazione era decaduta in virtù dell'annullamento della sanzione disciplinare della rimozione sancita dal Consiglio di Stato con sentenza -OMISSIS-. 6.2. Con il secondo motivo si contesta il provvedimento impugnato per violazione dei medesimi parametri normativi già richiamati, ma sotto altro profilo: il Comando Generale avrebbe omesso di inviare la comunicazione di avvio del procedimento, precludendo all'Appuntato -OMISSIS- la possibilità di esercitare il diritto di partecipazione al procedimento; inoltre l'applicazione di tali sanzioni, operata senza alcuna istruttoria prodromica, potrebbe porsi in contrasto con la Costituzione, laddove venisse interpretata come legittimante il blocco sine die della carriera dell'Appuntato -OMISSIS-. 7. In vista della pubblica udienza di discussione del ricorso si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa, che ha formulato in prima battuta eccezione di difetto di competenza in favore del Consiglio di Stato, avendo il presente giudizio natura di sostanziale ottemperanza rispetto alla sentenza -OMISSIS-. In merito al ricorso principale l'Amministrazione sosteneva l'impossibilità di concedere la restitutio in integrum al ricorrente, poiché dal combinato disposto degli artt. 1394, 921 e 918 C.O.M. emergerebbe la subordinazione dell'integrale ricostruzione di carriera ad un proscioglimento in sede penale ovvero ad un procedimento penale che si estingua senza sanzione di stato. In merito ai motivi aggiunti si segnalava che la sanzione di cui all'art. 1081 comma 8 C.O.M. non aveva carattere disciplinare ma era l'esito di un autonomo procedimento che non poteva essere influenzato dall'annullamento della sanzione della perdita del grado per rimozione. Le parti si scambiavano memorie, e alla pubblica udienza del 21 novembre 2023 il giudizio veniva trattenuto in decisione. 8. Il ricorso principale è fondato e meritevole di accoglimento. 8.1. Deve preliminarmente essere disattesa l'eccezione di difetto di competenza spiegata dalla difesa di parte pubblica. Il presente giudizio non ha ad oggetto l'ottemperanza della sentenza n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato, ovvero le modalità esecutive della stessa, bensì lo scrutinio di legittimità sui nuovi provvedimenti successivamente adottati dall'Amministrazione - i quali sia pur emanati in dichiarata esecuzione di detta sentenza, non si esauriscono nella mera conformazione al giudicato ma costituiscono nuova manifestazione di potere amministrativo -: la delibazione di tali nuovi provvedimenti spetta quindi al giudice della cognizione, non dell'ottemperanza. A conferma di ciò, il giudizio - di identici soggetti ed oggetto rispetto a quelli che sostanziano il presente - che è stato proposto in veste di giudizio di ottemperanza alla sentenza -OMISSIS- è stato dichiarato inammissibile dal Consiglio di Stato, con sentenza -OMISSIS-"poiché dalla sentenza n. -OMISSIS- discende un obbligo provvedimentale dell'Amministrazione che è stato eseguito attraverso l'emanazione di provvedimenti (..)" della cui legittimità "(..) dovrà occuparsi il giudice della cognizione, in quanto prosieguo dell'azione amministrativa nel tratto lasciato libero dal precedente giudicato". 8.2. Il primo motivo di ricorso è fondato. Va premesso innanzitutto che alla fattispecie in questione deve sicuramente applicarsi la disciplina del Codice dell'Ordinamento Militare, piuttosto che quella del Testo Unico sugli impiegati civili dello Stato, poiché il d.lgs -OMISSIS- ha carattere speciale e si applica a tutti i militari, tra cui sono compresi i Carabinieri. Lo stesso richiamo al D.P.R. 3/57 operato nella parte motiva del provvedimento impugnato appare dovuto a mera svista, originata dal richiamo al testo della sentenza del Consiglio di Stato-OMISSIS-, deliberata il -OMISSIS-, allorchè il decreto -OMISSIS- ancora non era entrato in vigore. L'art. 1394 del C.O.M. prevede. "1. Si procede alla ricostruzione della carriera del militare, secondo le disposizioni dettate dall'articolo 921, in caso di: a) omessa instaurazione del procedimento disciplinare successivamente alla cessazione degli effetti della sospensione precauzionale; b) eccedenza della sospensione precauzionale sofferta rispetto a quella irrogata a titolo di sanzione disciplinare; c) annullamento del procedimento disciplinare non seguito da rinnovazione; d) assoluzione con formula ampia a seguito di giudizio penale di revisione." L'art. 921 invece detta le specifiche modalità di tale ricostruzione, individuando i singoli emolumenti dovuti e le detrazioni spettanti. Nel caso di specie il Consiglio di Stato annullava la sanzione disciplinare nei confronti del sig. -OMISSIS- per intervenuto superamento dei termini e conseguente decadenza dal potere disciplinare, che non poteva essere nuovamente esercitato; pertanto rientrandosi nell'ipotesi di cui alla lettera c), il Ministero avrebbe dovuto riconoscere al Sig. -OMISSIS- la ricostruzione economica, oltre che giuridica, per il periodo interessato dalla rimozione per motivi disciplinari. Sul punto non può che richiamarsi il consolidato principio per cui, in caso di annullamento di un provvedimento di destituzione dal servizio, spetta la piena restitutio in integrum, comportante, dal lato economico, il diritto del dipendente a vedersi attribuire la retribuzione per i periodi di lavoro non prestato a causa dell'illegittima interruzione del rapporto di servizio in corso (cfr. C.d.S, Sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6103, id. sez. II, 03 gennaio 2022 n. 394, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 05 novembre 2021 n. 11407, T.A.R. Marche, sez. I, 10 novembre 2023 n. 718). 8.3. L'esame del secondo motivo, espressamente subordinato al rigetto del primo, può essere omesso, stante l'avvenuto accoglimento di quello precedente. Si deve comunque convenire con la parte ricorrente sull'applicazione - ove il Sig. -OMISSIS- non fosse stato un militare, ma un semplice pubblico impiegato - dell'art. 89 comma 2 del T.U. 3/57 - che si riferisce all'annullamento del provvedimento disciplinare o all'estinzione del relativo procedimento -, piuttosto che dell'art. 88, che riguarda invece i casi di reintegrazione a seguito di assoluzione in giudizio penale di revisione. 8.4. Anche il terzo motivo deve essere accolto. Il diniego di restitutio in integrum è stato infatti operato dall'Amministrazione sulla necessità di un completo proscioglimento nel merito dell'incolpato dall'addebito, ma tale falso presupposto è tratto dall'Amministrazione dalla sentenza -OMISSIS- del Consiglio di Stato, richiamata a sostegno di quanto deciso, la quale però riguardava un caso diverso. Trattavasi nello specifico di un dipendente della Guardia di Finanza condannato per tentato furto in concorso con la coniuge per un fatto materialmente posto in essere da quest'ultima: il Consiglio di Stato aveva annullato la successiva sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione perché sproporzionata (sia rispetto alla minima lesività del furto sia rispetto al minimale contributo del finanziere rispetto al fatto di reato) facendo espressamente salvo il potere dell'Amministrazione di rinnovazione del relativo procedimento, da cui evidentemente discendeva l'impossibilità di operare la ricostruzione del rapporto. Diverso il caso di specie, invece, in cui dall'annullamento del provvedimento disciplinare per motivi procedurali è derivata la contestuale decadenza dal relativo potere per superamento dei termini massimi, per cui il procedimento disciplinare deve considerarsi tamquam non esset. 8.5. In conclusione spetta al Sig. -OMISSIS- la richiesta restitutio in integrum ai fini economici, con la decorrenza che deve determinarsi sulla base delle seguenti considerazioni. La determina -OMISSIS- adottata in adempimento della sentenza del Consiglio di Stato -OMISSIS- ha ricostruito la carriera del Sig. -OMISSIS- ai fini giuridici - reintegrandolo nel grado di carabiniere in servizio permanente - dal -OMISSIS- (data dell'irrogazione della sanzione della rimozione) al -OMISSIS- (data della effettiva riammissione in servizio). Con la medesima determina l'Amministrazione avrebbe dovuto ricostruire la carriera del militare anche ai fini economici, ma sempre con la medesima decorrenza. Non può invece trovare accoglimento la domanda di ricostruzione di carriera ai fini economici per il periodo in cui il ricorrente è stato sottoposto a sospensione precauzionale dal servizio, ovvero dal -OMISSIS- fino al -OMISSIS-: detta sospensione, infatti, non dipendeva dal procedimento disciplinare (che infatti veniva aperto e terminava nel 2011, molti anni dopo), ma dalla pendenza di un procedimento penale e, quindi esula dall'ambito di applicazione della sentenza -OMISSIS-, la quale ha solo annullato la sanzione disciplinare senza poter incidere su provvedimenti passati da essa indipendenti. Peraltro, come detto, la sospensione precauzionale veniva disposta una prima volta a titolo obbligatorio, in conseguenza dei provvedimenti restrittivi della libertà ai sensi dell'art. 915 C.O.M.; quindi-OMISSIS- veniva applicata quella a titolo facoltativo ai sensi dell'art. 916, ed infine la sospensione ai sensi dell'art. 919 veniva revocata di diritto allo scadere del termine massimo dei 5 anni, ovvero nel luglio 2006. Tale revoca è evidentemente una revoca ex nunc, che non incide sul passato. Diversa fattispecie è quella della revoca ex tunc, di cui all'art. 918 comma1 lettera a), che opera solo se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiara che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso. Tale previsione si spiega con la considerazione che ove la sospensione si dimostri successivamente infondata (a causa dell'assoluzione nel merito per i fatti oggetto di procedimento penale) si giustifica la ricostruzione di carriera anche ai fini economici. Diversamente, nel caso di specie, in cui vi è stata una successiva condanna definitiva per alcuni dei fatti contestati, la sospensione precauzionale era evidentemente giustificata e non legittima la restitutio in integrum ai fini economici per quel periodo. 9. I motivi aggiunti devono invece essere respinti, dato che la determina-OMISSIS- è immune da censure sia nella parte in cui esclude il Sig. -OMISSIS- da ogni procedura di avanzamento e dal transito da un ruolo all'altro, sia nella parte in cui opera nei suoi confronti la detrazione di anzianità per il periodo di custodia cautelare, con conseguente spostamento dell'anzianità di grado dal -OMISSIS- al -OMISSIS- 9.1. Deve essere innanzitutto disatteso il primo motivo laddove si censura l'illegittimità derivata del provvedimento impugnato nella parte in cui si porrebbe in contrasto con l'obbligo di restitutio in integrum nascente dalla sentenza n. -OMISSIS- del Consiglio di Stato: infatti sia la detrazione di anzianità prevista dall'art. 851 comma 1 lettera b) C.O.M., sia l'esclusione da ogni procedura di avanzamento, sono sanzioni autonome rispetto al procedimento disciplinare annullato dal Consiglio di Stato, perchè sono entrambe fondate sul procedimento penale nel corso del quale il Sig. -OMISSIS- è stato sottoposto a custodia cautelare e all'esito del quale ha subito una condanna. Pertanto tali sanzioni esulano dal perimetro della restitutio in integrum derivante dall'annullamento della sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione, cui in generale è estraneo l'intero provvedimento impugnato con motivi aggiunti. L'art. 858 comma 1 C.O.M. alla lettera b prevede: 1. Il militare in servizio permanente subisce una detrazione di anzianità, in base alle seguenti cause: (..) b) detenzione in stato di custodia cautelare per reato che ha comportato condanna a pena restrittiva della libertà personale di durata non inferiore a un mese"; analogamente l'art. 1051 comma 8 dispone: "Il personale militare inserito nei ruoli del servizio permanente che è stato condannato con sentenza definitiva a una pena non inferiore a due anni per delitto non colposo compiuto mediante comportamenti contrari ai doveri di fedeltà alle istituzioni ovvero lesivi del prestigio dell'amministrazione e dell'onore militare è escluso da ogni procedura di avanzamento e dalla possibilità di transito da un ruolo a un altro." Emerge dalla lettura delle norme che dette sanzioni non sono sanzioni disciplinari, né sono state emanate a seguito della riedizione di un procedimento disciplinare dal cui potere - come correttamente sostenuto da parte ricorrente - l'Amministrazione era ormai definitivamente decaduta per superamento dei termini massimi, circostanza che aveva appunto determinato l'annullamento della perdita del grado per rimozione. A parte la considerazione che il procedimento disciplinare è trattato in altra parte del Codice - agli artt. 1370 e seguenti, con le relative formalità e garanzie per l'incolpato, del tutto assenti nel caso di specie - ad essere radicalmente differenti sono i presupposti. Come efficacemente chiarito dal parere del Consiglio di Stato n. 1941 del 30 novembre 2020 con specifico riferimento all'esclusione da ogni procedura di avanzamento di cui all'art. 1051 del d.lgs. n. 66/2010, tale sanzione introduce un effetto extrapenale collegato alla condanna, ma che non incide sulla condanna stessa: la misura ha natura di sanzione amministrativa ed è atto vincolato per l'Amministrazione, subordinato all'accertamento in concreto di due presupposti, ovvero il fatto di essere stato condannato con sentenza definitiva a una pena non inferiore a due anni per delitto non colposo e la circostanza che tale delitto sia stato compiuto mediante comportamenti contrari ai doveri di fedeltà alle istituzioni ovvero lesivi del prestigio dell'amministrazione e dell'onore militare. Nel caso che forma oggetto di giudizio non è controversa la prima delle due condizioni, essendo stato il ricorrente condannato in via definitiva alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione per delitto non colposo. La seconda condizione è stata oggetto di valutazione nel corpo del provvedimento impugnato, ove si ritiene che "i delitti per i quali il militare è stato condannato sono stati compiuti mediante comportamenti contrari ai doveri di fedeltà alle Istituzioni e lesivi del prestigio dell'Amministrazione e dell'onore militare". Che peraltro i fatti oggetti di procedimento penale fossero stati già ritenuti dall'Amministrazione particolarmente biasimevoli con riguardo ai doveri di servizio è dimostrato dal fatto che subito dopo la definitività della condanna penale l'Appuntato -OMISSIS- era stato fatto oggetto di un procedimento disciplinare poi annullato per motivi procedurali, che quindi non smentivano l'oggettiva rilevanza anche disciplinare dei fatti. Né peraltro tale valutazione è mai stata contestata nel merito dalla parte ricorrente. Nessun'altro presupposto è necessario per l'irrogazione di tale sanzione come non lo è, parimenti, per la sanzione della detrazione di anzianità, che ai sensi dell'art. 858 è mero effetto automatico dell'aver scontato un determinato periodo in stato di custodia cautelare. 9.2. Neppure il secondo motivo è meritevole di favorevole apprezzamento. Come già anticipato supra, la disciplina positiva delle due sanzioni extrapenali irrogate al militare esclude - proprio in natura del loro carattere non disciplinare - sia l'applicabilità di una partecipazione procedimentale dell'interessato, che non è chiamato ad alcuna interlocuzione preventiva, sia la necessità di alcuna istruttoria ulteriore rispetto al mero ricorrere dei presupposti di fatto sopra richiamati: alla luce delle suesposte considerazioni è dunque palese che il contenuto del provvedimento impugnato, per il suo carattere interamente vincolato, non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, anche in mancanza della comunicazione di avvio del procedimento finalizzato alla sua adozione, la determina censurata non potrebbe comunque essere annullata. (cfr. T.A.R. Umbria, Sez. I, 10 marzo 2023, n. 132). Quanto alle ventilate censure di possibile incostituzionalità della norma è stato osservato che l'art. 1051 comma 8 non appare "irragionevole, arbitrario o sproporzionato poiché intende, non solo tutelare il prestigio dell'Istituzione militare bensì, anche assicurare che ai gradi superiori accedano militari in grado di ben rappresentare l'Ente, che abbiano altresì dimostrato di avere sufficiente dominio delle proprie facoltà, istinti, sentimenti; in altri termini, una capacità di controllo delle proprie azioni che rappresenta la base per potere adempiere correttamente ai propri doveri di status, specie quando si tratta di assumere gradi superiori. Nel contemperamento dei contrapposti interessi, non appare dunque illogico né irragionevole che il Legislatore, a fronte di reati particolarmente gravi e sulla scorta di un previo giudizio di disvalore ordinamentale rimesso alla stessa Amministrazione titolare del particolare e specifico ius imperi militare, abbia accordato prevalenza all'interesse pubblico mediante l'assunzione di scelte anche rigorose e severe ma giustificate dal particolare regime che connota l'ordinamento militare" (C.d.S., parere n. 1941/2020, cit.). Peraltro da un punto di vista sistematico deve osservarsi che la norma in esame è sostanzialmente speculare all'art. 635 C.O.M., che disciplina i requisiti per l'arruolamento nelle Forze Armate: la suddetta norma sulla base della medesima situazione di fatto (condanna per delitto non colposo) di quella oggetto di scrutinio, esclude i soggetti interessati dall'accesso al ruolo come l'art. 1051 li esclude dall'avanzamento. In altri termini il Codice dell'Ordinamento militare si mostra coerente laddove assoggetta al medesimo trattamento il medesimo interesse pubblico tutelato nella diversa proiezione del rapporto di lavoro: fase costitutiva di instaurazione del rapporto nell'art. 635; fase dinamica del rapporto medesimo nell'art. 1081. Non è fondata, infine, neppure l'ulteriore censura secondo cui l'esclusione da ogni procedura di avanzamento pregiudicherebbe sine die la carriera del ricorrente, in maniera sproporzionata rispetto ai fatti posti a fondamento della medesima esclusione: infatti il comma 8 dell'art. 1051 non esclude che l'Amministrazione possa rivalutare (successivamente e in un secondo momento) l'esclusione dai procedimenti di valutazione e, ciò, nell'ambito di un potere discrezionale che tenga conto di ulteriori elementi e circostanze sopravvenute, tra i quali il decorso di un congruo lasso di tempo, il rendimento professionale costantemente elevato e il conseguimento di elogi e benemerenze, circostanze che portino a ritenere che il militare sia meritevole di accedere di nuovo alle procedure di avanzamento. (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 09 giugno 2023, n. 579, ma anche, conformi, C.d.S, sez. II, 29 novembre 2022, n. 10494, T.A.R. Marche, sez. I, 22 aprile 2023 n. 264). 10. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente obbligo per l'Amministrazione di restitutio in integrum dal punto di vista economico, in riferimento al periodo di efficacia della sanzione di rimozione per perdita del grado per motivi disciplinari, ovvero dal 21 agosto 2011 al -OMISSIS-. I motivi aggiunti sono invece integralmente respinti. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione. Respinge i motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente Daniela Carrarelli - Primo Referendario Elena Daniele - Referendario, Estensore
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