Sentenze recenti Tribunale Amministrativo Regionale Valle d'Aosta

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9646 del 2022, proposto da De Vi. Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Cl., Ge. Ma., Ma. Pa., Fi. Ia., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); contro In. Va S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. Ce., Ma. Pa. Ro., Ro. Sc., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; nei confronti Unité Des Communes (omissis) (Unità dei Comuni (omissis)), non costituito in giudizio; Te. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Gi. Or., Ra. Gi. Or., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza 2 settembre 2022, n. 43 del Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di In. Va Spa e di Te. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Cons. Vincenzo Lopilato, uditi per le parti gli avvocati e viste le conclusioni delle parti come da verbale; FATTO 1.- In Va. s.p.a., in qualità di centrale unica di committenza per conto dell'Unità dei Comuni (omissis), ha indetto, in data 14 marzo 2022, una gara per l'affidamento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani nel territorio del Sub ATO E - che include i Comuni del comprensorio (omissis) - per il quinquennio 2022-2027, eventualmente rinnovabile per ulteriori due anni, per un importo pari ad euro 6.115.915,00, iva esclusa. De Vi. Tr. s.p.a. (d'ora innanzi solo De Vi. o Società ) è l'attuale gestore del servizio presso l'Unione dei Comuni (omissis). In data 30 novembre 2021 viene costituito il Sub-ATO E che accorpa le due unità autonome Sub-ATO Wa. e Sub-ATO Mo. - Ro.. La Società, in qualità di gestore uscente del servizio presso i Comuni (omissis), ha trasmesso il piano finanziario contabile relativo all'appalto in esame e ha fatto presente alla stazione appaltante la sottostima dei costi, poiché l'importo posto a base di gara relativamente al territorio relativo ai Comuni (omissis) sarebbe capiente esclusivamente per le spese correnti di gestione, con conseguente mancata compensazione degli investimenti e degli ammortamenti in mezzi ed attrezzature. La Società ha più volte segnalato tale questione alla stazione appaltante. Nel silenzio della stazione appaltante, De Vi. ha impugnato il bando innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Valle D'Aosta, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati in motivazione. A seguito dei chiarimenti resi dalla stazione appaltante, la ricorrente ha proposto motivi aggiunti. 2.- Il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza 2 settembre 2022, n. 43, ha rigettato il ricorso. 3.- La ricorrente di primo grado ha proposto appello. 3.1.- Si sono costituite in giudizio In Va. s.p.a. e Te. S.r.l., chiedendo che il ricorso in appello venga dichiarato inammissibile per genericità e comunque infondato nel merito. 4.- La causa è stata decisa all'esito dell'udienza pubblica del 13 aprile 2023. 5.- La Sezione, su richiesta del difensore della stazione appaltante, ha pubblicato, in data 21 aprile 2023, il dispositivo della sentenza, rigettando l'appello. DIRITTO 1.- La questione posta all'esame della Sezione attiene alla legittimità della procedura di gara descritta nella parte in fatto. 2.- Con un unico articolato motivo si assume l'erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato per avere posto a base d'asta un importo pari a euro 6.115.915,00, che "risulta gravemente sottostimato e notevolmente inferiore ai costi minimi incomprimibili degli investimenti e delle spese di gestione necessari per l'esecuzione del servizio". In particolare, sono indicate le criticità riferite ai seguenti costi. In relazione al costo del carburante, si afferma che il progetto tecnico posto a base di gara quantifica il costo in maniera incongrua (Euro1,174), riferendosi al costo industriale di produzione, anziché al prezzo al consumo (Euro1,433), con una sottostima del 22%. Si afferma, inoltre, che "nei mesi da novembre a marzo, a causa delle temperature che caratterizzano il territorio, è indispensabile alimentare gli automezzi con gasolio inverale, ovvero additivo con prodotti antigelo, il cui costo è mediatamente superiore del 15-20 per cento rispetto al gasolio ordinario". In relazione al costo degli automezzi, si afferma che dal confronto del prezziario unitario dei mezzi con il medesimo documento relativo alla precedente gara d'appalto del 2014, risulta che il prezzo, a distanza di otto anni, è stato ridotto. In relazione all'erronea quantificazione dell'importo a base d'appalto sotto altri profili, si afferma che l'importo a base di gara viene quantificato nel capitolo 5 del Progetto Tecnico, sulla base "della quantificazione puntuale del costo dei singoli servizi effettuata nel capitolo 3 e riepilogata nel capitolo 4 del medesimo documento". Si conclude, affermando che "l'importo annuo dei servizi posto a base di gara così come definito nei documenti di gara e pari a Euro 1.223.183,00 presenta una serie di errori di calcolo tale da determinarne, sulla base degli impieghi, costi unitari e quantità previsti dalla stazione appaltante, una errata quantificazione in difetto per 127.538,77Euro/anno, ovvero Euro 956.540,78 considerando l'arco temporale di 7,5 anni posto a base di gara, compresi i 2 anni di rinnovo opzionale e 6 mesi di proroga tecnica". In relazione a costo delle forniture, gli importi riconosciuti a base di gara "renderebbero possibile ammortizzare la fornitura in un arco temporale da 15 a 20 anni, a fronte di una "vita utile regolatoria" imposta da Arera (Deliberazione 443/2019 - MTR) pari a 8 anni". Anche in relazione a questo aspetto si richiamano i costi relativi al precedente appalto. La vita utile tecnica ai fini della dismissione di questa tipologia di attrezzature non è superiore a 10 anni. In relazione alla previsione delle quantità dei rifiuti oggetto di raccolta con contestuale attivazione del servizio di raccolta stradale del rifiuto organico, si assume che la stessa sia arbitraria. In particolare, si afferma che la quantificazione delle risorse necessarie per realizzare i servizi posti a base di gara, ovvero del personale e dei mezzi necessari, dipende da fattori soggettivi e soggettivi. Con riguardo ai primi, in cui rientrano la metodologia di raccolta, la frequenza di intervento, la tipologia e il numero di contenitori da servire, si afferma che esse dipendono dalle scelte della stazione appaltante. Con riguardo ai secondi, vi rientrano la quantità di rifiuti prodotti nel territorio e oggetto di raccolta. Ad avviso dell'appellante, complessivamente nel territorio posto a base di gara nell'anno 2020 la produzione di rifiuti totale è pari a 6.261 tonnellate annue mentre, come riportato nell'Allegato 17 al CSA. Progetto Tecnico, paragrafo 2.7, la quantità annua di rifiuti da raccogliere nell'intero territorio è stata quantificata in 5.687 tonnellate annue, ovvero 574 tonnellate di rifiuto in meno di quelle effettivamente prodotte, con la conseguenza che si ha oltre il 10% in meno. In definitiva, si avrebbe un sottodimensionamento della quantificazione delle risorse poste a base di gara per l'effettuazione dei servizi sia di raccolta che di trasporto. Con riguardo alla irrealizzabilità del servizio stradale per riduzione delle frequenze di svuotamento e vessatorietà delle condizioni di servizio a carico del futuro gestore, si afferma che dalle frequenze di raccolta per le varie tipologie di rifiuto, le isole ecologiche da servire e i contenitori da svuotare emergerebbe una riduzione di circa il 35% della capacità di conferimento a disposizione degli utenti. Si aggiunge che, ai fini dell'aggiudicazione, il disciplinare di gara prevede tra i sub-criteri di valutazione dell'offerta tecnica 7 punti per "Soluzioni adottate per il monitoraggio tempestivo del grado di riempimento dei contenitori stradali e per la garanzia dello svuotamento al superamento del 90% di riempimento come previsto dall'art. 25 del CSA". In particolare, si afferma che tra "gli obblighi di servizio derivanti dalle clausole di Capitolato e quelli che si intendono perseguire con il criterio premiante dell'offerta appare evidente che le frequenze, il numero di contenitori, i punti di conferimento sono già in partenza inadeguati rispetto alle reali necessità del servizio". Si contestano anche questi ulteriori costi, riprendendo quanto sostenuto nel ricorso per motivi aggiunti: i) in relazione al personale impiegatizio, si afferma che la sima di 70 mila euro annui è errata alla luce di quanto risulta dall'indicazione dei costi nel contratto collettivo; ii) in relazione all'ispettore ambientale, il relativo costo non è previsto nonostante fosse programmato negli atti di gara; iii) in relazione ai costi di ammortamento delle attrezzature, si afferma che è stato calcolato erroneamente in sette o quindici anni, anziché in riferimento ai cinque anni di durata dell'appalto; iv) in relazione ai maggiori oneri per l'acquisto di gasolio, si afferma che i chiarimenti resi dalla stazione appaltante confermerebbero la sottostima del costo del carburante; v) in relazione all'affitto e alle spese di cantiere, esse sono ricomprese tra le spese generali che sono sottostimati. Nell'ultima parte del ricorso appello si volgono le seguenti censure alla sentenza: i) la circostanza che nel nuovo appalto sono stati accorparti i due precedenti ambiti territoriali non avrebbe rilevanza, in quanto il servizio svolto dall'appellante si riferirebbe a circa l'80 per cento della popolazione e a oltre il 70 per cento dei rifiuti prodotti nell'intera area oggetto dell'appalto; ii) non costituirebbe un valido elemento giustificativo la riduzione delle frequenze e dei punti di raccolta rispetto all'appalto attuale alla luce dei maggiori costi posti a carico del futuro appaltatore; iii) la sottostima del gasolio non potrebbe essere giustificata alla luce delle clausole di revisione, in quanto esse opererebbero con riguardo a fatti sopravvenuti; iv) i dati quantificativi di rifiuti solidi sarebbero privi di fondamento; v) la circostanza che il costo del personale è stato effettuato dalla stazione appaltante alla luce dei dati forniti dalla stessa impresa appellante non sarebbe conducente, in quanto il complesso dei servizi riferiti al nuovo appalto sarebbero diversi e più ampi. Il motivo - a prescindere dall'eccepita inammissibilità per la mancanza di puntuali critiche alla sentenza con riproposizione dei stessi motivi di primo grado - non è fondato. La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere, su un piano generale, che "la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l'amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare; le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate, specie avuto riguardo alla specificità dell'oggetto e all'esigenza di non restringere la platea dei potenziali concorrenti e di non precostituire situazioni di privilegi" (Cons. Stato, sez. IV, 5 gennaio 2023, n. 175). Nello specifico, questo Consiglio ha già avuto modo di affermare che "le valutazioni tecniche, come quelle che riguardano la determinazione della base d'asta, in quanto espressione di discrezionalità tecnica, sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non siano manifestamente illogiche, irrazionali, irragionevoli, arbitrarie ovvero fondate su di un altrettanto palese e manifesto travisamento dei fatti che non può dedursi dalla presentazione di conteggi e simulazioni, unilateralmente predisposti dalla parte appellante, che non evidenziano alcun manifesto errore logico o di ragionevolezza e che, comunque, non dimostrano un'impossibilità oggettiva, a carico di ogni potenziale concorrente, di presentare un'offerta, ma dimostrano semplicemente l'impossibilità soltanto per l'attuale appellante, di presentare un'offerta, il che è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità della procedura di gara" (Cons. Stato, sez. V, 22 ottobre 2018, n. 6006). La giurisprudenza ha chiarito, inoltre, che un elemento rilevante, nel sindacato sulle scelte dell'amministrazione nella fase di determinazione della base d'asta, è costituito dalla presenza di altre offerte. In particolare, si è affermato che "la risposta del mercato (...) è la migliore prova della remuneratività delle condizioni economiche a base di gara" (Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2021, n. 5107). In definitiva, la determinazione dei costi rientra nell'ambito della discrezionalità tecnica, che è sindacabile soltanto se, in presenza di figure sintomatiche dell'eccesso di potere, viola il principio di ragionevolezza tecnica. Nel caso di specie, risulta che la stazione appaltante ha esercitato in modo legittimo la propria discrezionalità . I dati rilevanti per pervenire a tale risultato sono due. Il primo è costituito dalla diversità dell'ambito applicativo del nuovo appalto rispetto a quello precedente. Nel precedente appalto De Vi. era il gestore del Comune del comprensorio (omissis) mentre il nuovo appalto ha ricompreso due ambiti territoriali e cioè il sub-Ato Wa. e il sub-Ato (omissis). Tale territorio è stato suddiviso in due aree: i) una prima area nella quale la raccolta viene effettuata in modalità domiciliare (porta a porta) per tutte le utenze; ii) una seconda area, nella quale la raccolta è condotta per strade a favore di tutte le utenze domestiche ed una parte delle utenze non domestiche e con modalità domiciliare unicamente pe le utenze non domestiche. E' sufficiente porre in rilievo questo dato per ritenere che le censure prospettate dall'appellante non sono fondate, in quanto i punti di riferimento per effettuare la comparazione dei costi sono differenti. Né varrebbe rilevare, come fa l'appellante (pag. 24 ric.), che il precedente servizio svolto dall'appellante si riferiva a circa l'80 per cento della popolazione e a oltre il 70 per cento dei rifiuti prodotti nell'intera area oggetto dell'appalto, in quanto, anche a volere ritenere corretto tale dato, la diversità del perimetro del nuovo contratto giustifica in ogni caso la diversità dei costi. Il secondo punto è costituito dal fatto che, nell'ambito di tale procedura, sono state concretamente presentate altre offerte economiche. In particolare, risulta dagli atti che sono state presentate offerte da quattro operatori e tra questi l'aggiudicataria ha applicato un ribasso del 4,05% sull'importo posto a base d'asta. Il che significa, come già rilevato dalla giurisprudenza sopra ripotata, che l'importo posto a base d'asta deve considerarsi congruo. Il Collegio ritiene che sia sufficiente assegnare rilevanza a questi due elementi, inseriti nel contesto di una attività di valutazione discrezionale di competenza della stazione appaltante, per pervenire al rigetto dell'appello. Non è, pertanto, necessario analizzare, nel dettaglio, tutte le specifiche contestazioni riferite alle singole voci di costo, in quanto - a prescindere dalla loro ammissibilità perché meramente riproduttive delle censure prospettate in primo grado - dal loro esame non emergono, valorizzando i due aspetti sopra riportati, elementi evidenti da comportare un complessivo giudizio di non congruità dell'importo posto a base d'asta. 3.- L'appellante è condannata al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in complessive euro 5.000,00, oltre accessori di legge, che devono essere corrisposte, nella misura pari alla metà della suddetta somma, in favore di ciascuna delle parti costituite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando: a) rigetta l'appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe; b) condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in complessive euro 5.000,00, oltre accessori di legge, che devono essere corrisposte, nella misura pari alla metà della suddetta somma, in favore di ciascuna delle parti costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere, Estensore Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato il presente DISPOSITIVO DI SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 9646 del 2022, proposto da De Vi. Tr. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Cl., Ge. Ma., Ma. Pa. e Fi. Ia., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (...); contro In. Va s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. Ce., Ma. Pa. Ro. e Ro. Sc., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; nei confronti Te. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Gi. Or. e Ra. Gi. Or., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia; Unité Des Communes (omissis) (Unità dei Comuni (omissis)), non costituita in giudizio. per la riforma della sentenza 2 settembre 2022, n. 43 del Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di In. Va S.p.a. e di Te. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 119, co. 5, e 120, co. 3 e 11, cod. proc. amm.; Considerato che In. Va s.p.a. ha dichiarato di avere interesse alla pubblicazione anticipata del dispositivo della sentenza; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Cons. Vincenzo Lopilato, uditi per le parti gli avvocati e viste le conclusioni delle parti come da verbale. PER LE RAGIONI CHE SARANNO ESPOSTE IN MOTIVAZIONE Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando: a) rigetta l'appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe; b) condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in complessive euro 5.000,00, oltre accessori di legge, che devono essere corrisposte, nella misura pari alla metà della suddetta somma, in favore di ciascuna delle parti costituite. Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Carbone - Presidente Vincenzo Lopilato - Consigliere, Estensore Luca Lamberti - Consigliere Francesco Gambato Spisani - Consigliere Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 8059 del 2022, proposto dalla società -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, e dal signor -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Fr. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via (...); - Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pa. Ro. e Ro. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Regione Autonoma Valle d'Aosta, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fr. Sa. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Comune di -OMISSIS- e della Regione Autonoma Valle D'Aosta; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2023 il Cons. Raffaello Sestini e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il Sig. -OMISSIS- in proprio e in qualità di legale rappresentante pro tempore della -OMISSIS-, appella la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, pubblicata in data 10 giugno 2022, che ha respinto il ricorso proposto dagli odierni appellanti avverso il decreto della Questura di Aosta, Divisione Polizia Amministrativa Sociale e dell'Immigrazione, n. -OMISSIS-, mediante il quale è stata disposta "la revoca della licenza ex Art. 88 T.U.L.P.S. rilasciata in data 11/06/2015 al (...) titolare della Sala giochi denominata "-OMISSIS--" ed operante a -OMISSIS- (AO) in loc. (omissis)", nonché avverso la presupposta delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, avente ad oggetto la "Mappa dei luoghi sensibili di cui all'Art. 4 bis della Legge Regionale 14/2015" approvata con deliberazione della Giunta Comunale n. -OMISSIS- 2 - Gli appellanti lamentano la mancata positiva considerazione, da parte del TAR, delle loro censure concernenti, da un lato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in ragione della sua ritenuta difformità e del suo ritenuto contrasto rispetto alle istruzioni impartite alla Questura secondo le indicazioni del Ministero dell'Interno nonché, dall'altro, l'illegittimità del medesimo provvedimento per vizi derivanti dalla natura incostituzionale delle previsioni normative della legislazione regionale valdostana. Il Comune e la Regione intimati, costituitisi in giudizio, argomentano ampiamente la legittimità del proprio operato e la fondatezza della sentenza appellata. Le parti approfondiscono poi le rispettive difese mediante un ripetuto scambio di memorie. Il Ministero dell'interno, al contrario, si è costituito solo formalmente, In sede cautelare, con ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, la domanda cautelare dell'appellante è stata accolta ai soli fini della sollecita fissazione del merito, postulando le questioni controverse la delibazione propria della sede di merito. 3 - In particolare, con l'appello in epigrafe vengono dedotte le censure appresso indicate. (I) NATURA ERRATA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DELLA SENTENZA IMPUGNATA NELLA PARTE NELLA QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. I-A (Eccesso di potere/sviamento di potere dell'operato della Questura di Aosta). La sentenza impugnata risulterebbe prima facie censurabile nella parte nella quale liquida le censure avanzate dai ricorrenti avverso all'operato della Questura di Aosta, ricondotto dal TAR al fisiologico confronto fra "diversi livelli amministrativi ed istituzionali". Ferma infatti la perfettamente condivisibile affermazione, ridondante ai fini che qui rilevano, a mente della quale l'Autorità di P.S. è chiamata per Legge ad adottare le misure tutte necessarie a ripristinare la legalità, l'appellante stigmatizza (sotto il profilo del vizio di sviamento ed eccesso di potere) che nel caso di specie la Questura di Aosta, anziché farsi neutra portatrice del rispetto della legalità, si sarebbe essa stessa eretta a promotrice di modifiche del tessuto normativo/regolamentare applicabile alla fattispecie, operando per ottenere dal Comune di -OMISSIS- una rideterminazione ampliativa dei luoghi sensibili già contemplati dalla legislazione regionale in modo da poter poi adottare il provvedimento impugnato. L'operato della Questura, asseritamente attuativo di una precedente circolare ministeriale, in realtà si porrebbe in contrasto rispetto ai chiarimenti successivamente emanati dal Ministero dell'Interno con la circolare Prot. -OMISSIS- (che delimitava l'ambito applicativo delle istruzioni diramate con la Circolare precedente alle "nuove richieste" di licenza. (II) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA CON PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI IN TERMINI DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR DI AOSTA HA RIGETTATO SIMULTANEAMENTE I CAPI DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. I-B (vizi formali del decreto impugnato) ED I - C (omessa previsione del diritto all'indennizzo ex Art. 21, quinquies, L. n. 241/1990). La sentenza appellata sarebbe altresì illegittima per la parte in cui afferma che la fattispecie esulerebbe dalla previsione dell'art. 21 quinquies L. n. 241/1990, conseguendone che l'omessa previsione dell'indennizzo non ridonderebbe in termini di illegittimità del provvedimento e che il pregiudizio sofferto dal ricorrente andrebbe in realtà ricondotto alla scelta di non procedere ad una diversa ubicazione e delocalizzazione della propria struttura. Al contrario, deduce l'appellante, nessuna norma della legislazione regionale conferisce ex se, alla Questura, il potere di revocare una licenza quale quella della quale qui si discute, dovendosi rinvenire il fondamento procedurale del potere speso nella previsione dell'Art. 21 quinquies L. n. 241/1990. Anche sotto tale profilo, viene quindi contestato come "risibile" il dichiarato "motivato dissenso" del relatore della sentenza appellata rispetto alla propria precedente sentenza n. 20 del 2020, resa fra le stesse parti e peraltro confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2018/20219. Alla luce del predetto giudicato esterno già formatosi fra le parti in relazione ad una questione in tutto analoga a quella della quale si discute, il provvedimento questorile avrebbe dovuto sancire quanto meno, a pena di nullità, la sussistenza del diritto all'indennizzo dovuto al ricorrente in dipendenza della revoca della licenza di cui è causa, diritto peraltro invocato dal ricorrente già in seno alle Osservazioni inviate alla Questura. L'appellante chiede pertanto che sia dichiarata, in accoglimento dell'appello, la nullità del provvedimento impugnato e che sia individuato il soggetto passivo dell'obbligazione avente ad oggetto il versamento dell'indennizzo dovuto al ricorrente per la denegata ipotesi che il decreto impugnato dovesse, all'esito del giudizio, essere statuito per legittimo. (III) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - A (Natura illegittima del decreto impugnato derivata dalla natura illegittima della Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- avente ad oggetto "Mappa dei luoghi sensibili di cui all'Art. 4 bis della Legge Regionale 14/2015 approvata con deliberazione della Giunta Comunale n. 58/2919: modificazione"). Il rigetto del motivo di ricorso in esame risulterebbe infatti viziato da difetto assoluto di motivazione essendo stato ricondotto alla considerazione che la delibera del Comune sarebbe "pienamente legittima in quanto fornisce doverosa attuazione a quanto disposto dalla normativa regionale di riferimento, circostanza esatta (posto che la legislazione regionale conferisce ai Comuni il potere di individuare i luoghi sensibili ubicati nel territorio di rispettiva competenza), ma priva di rilevanza ai fini del rigetto del ricorso in parte qua. I ricorrenti non hanno infatti contestato il potere astratto del Comune di emanare delibere in tal senso ma hanno di contro censurato, nel dettaglio ed in relazione al caso di specie, i motivi per i quali la Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- dovesse ritenersi illegittima in concreto. Censure queste rispetto alle quali, in seno alla decisione del TAR di prime cure, non sarebbe dato potersi rinvenire intelligibili considerazioni funzionali al rigetto. (IV) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR DI PRIME CURE, RITENENDOLI IRRILEVANTI E MANIFESTAMENTE INFONDATI, CUMULATIVAMENTE, HA PROVVEDUTO A RIGETTARE I CAPI DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - B. Ciò in ragione di: Violazione del principio del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti giuridici - Art. 3 Costituzione - ad opera del disposto delle norme delle quali è stata fatta applicazione con il decreto impugnato (Art. 1, L.R. Valle d'Aosta n. 10/2018, recante modifica dei termini di decorrenza, di cui all'Art. 12, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015, dei divieti di cui all'Art. 4, comma 1 e 2, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015) - Violazione del medesimo principio costituzionale ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019. SUB II - C: Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) per irrazionalità interna al precetto di Legge - Antinomia inconciliabile fra la ratio sottesa alla Legislazione regionale in materia (Art. 1 e 2, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015 e s.m.i.) ed il disposto dell'Art. 3, comma 4, L.R. Valle d'Aosta n. 14/2015 e s.m.i. - Violazione consequenziale e riflessa del principio di ragionevolezza ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019, norme queste delle quali è stata fatta mediata applicazione con il decreto impugnato. SUB II - D: Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) ad opera delle norme (combinato disposto degli Artt. 1, 2, 3, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019) delle quali è stata fatta mediata applicazione con il decreto impugnato. La sentenza impugnata risulterebbe censurabile anche nella parte nella quale accomuna sotto un unico e comune destino i distinti motivi di censura sollevati dal ricorrente. Tale scelta metodologica, viziata in radice per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, risulterebbe, infatti, coerente con la scelta di liquidare le puntuali censure sollevate. Al riguardo, viene evidenziato "il contrasto stridente" fra le disposizioni normative in argomento e le previsioni portate dall'Art. 3 della L.R. n. 14/2015, norma questa che, si afferma, oltre ad esentare il casinò regionale dal rispetto delle norme restrittive via via emanate in materia, lo eleva addirittura a soggetto "virtuoso", chiamato a cooperare alla emanazione del Piano integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio di gioco d'azzardo patologico. Sussisterebbe dunque, contrariamente a quanto teorizzato in seno alla sentenza impugnata, "una irrazionalità interna al precetto, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata, mediante un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la causa normativa che la deve assistere" (così la Sentenza Corte Costituzionale n. 6/2019, richiamata in seno alla sentenza Tar Aosta n. 46/2021). In sintesi, dunque, la legislazione regionale: (i)sarebbe portatrice, per espressa previsione di legge, di una aperta, insanabile e contraddittoria vanificazione degli stessi principi ed obiettivi (contrasto al diffondersi alla ludopatia) ai quali legislativamente ha assunto di essersi ispirata; (ii) realizzerebbe una inammissibile distorsione del principio di concorrenza fra il Casinò regionale e le attività facenti capo ai privati (quali gli odierni ricorrenti), posto che solo questi ultimi risulterebbero oggi impossibilitati ad esercitare il gioco lecito a mezzo degli apparecchi disciplinati dall'Art. 110, comma 6, lett a) e b) del TULPS; (iii) sarebbe del tutto irragionevole ed arbitraria in quanto assoggetterebbe a destini e discipline differenziate attività in tutto e per tutto coincidenti e sovrapponibili; (iv) sarebbe irrazionale, iniqua e priva di coerenza logica, per le stesse motivazioni di cui al punto che precede; (v) costituirebbe la prova provata del conclamato conflitto di interessi nel quale il legislatore aostano ha provveduto a legiferare. Ne conseguirebbe altresì l'erroneità dei punti b) e c) della decisione impugnata, non avendo l'appellante mai contestato l'astratta competenza concorrente della Regione, o chiesto di assoggettare il Casinò regionale alla medesima disciplina restrittiva delle sale giochi, ma solo evidenziato l'irragionevolezza del sistema normativo concretamente applicato nel caso di specie. (V) NATURA INESISTENTE, ILLEGITTIMA, IMMOTIVATA E CONTRADDITTORIA DEL CAPO DECISIONALE NEL QUALE IL TAR HA RIGETTATO IL CAPO DI CENSURA DI CUI AL RICORSO INTRODUTTIVO, SUB. II - E: "Violazione del principio di ragionevolezza (Art. 3 Costituzione) e del principio della libertà di iniziativa economica (Art. 41 Costituzione) ad opera del combinato disposto degli Artt. 1, 2, 4, 4 bis, 10 e 12 della L.R. n. 14/2015 e s.m.i., dell'Art. 1, L.R. n. 10/2018 e degli Artt. 2, 3 e 4 della L.R. n. 2/2019, così come integrati dalla Delibera del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS- - Illegittimo effetto espulsivo delle attività esercenti, in ambito regionale, il gioco lecito a mezzo apparecchi ex Art. 110, comma 6, lett a) e lett. b), TULPS. Viene infine contestato il passaggio della sentenza impugnata, nel quale si assume per non dimostrato il lamentato effetto espulsivo solo perché numerosi Comuni non hanno ancora provveduto a redigere le mappature dei luoghi sensibili ovvero solo sulla base di una presunta "scelta del ricorrente di non procedere ad una diversa ubicazione e delocalizzazione della propria struttura". In sintesi, secondo l'appellante sarebbe documentalmente comprovato: (i) che la legislazione regionale in materia ha raso al suolo tutte le attività di gioco allocate sul territorio regionale (n. 9 totali), facendo incostituzionalmente salvo il solo Casinò de la -OMISSIS-(che esercita, in parte, la medesima offerta di gioco a mezzo apparecchi AWP e/o VLT che risulta oggi vietata alle preesistenti attività imprenditoriali di settore); (ii) che la legislazione regionale in materia ha prodotto il dedotto e contestato effetto espulsivo delle attività di settore (eliminandone 9 su 9); (iii) che la Questura di Aosta, con il proprio indebito e fattivo contributo, ha materialmente e ben poco istituzionalmente contribuito a far sì che il dedotto effetto espulsivo si verificasse, adoperandosi illegittimamente per trovare il modo di revocare anche l'unica licenza ex Art. 88 TULPS che era sfuggita all'applicazione delle restrittive maglie imposte dalla normativa regionale. L'appellante chiede pertanto, previa eventuale verificazione ad opera di un tecnico terzo, di riformare la sentenza impugnata nel senso di statuire che sussisterebbero validi e confluenti riscontri documentali idonei e sufficienti a far ritenere provato l'effetto espulsivo indotto dalla normativa di settore sul territorio. 4 - Ai fini della decisione, considera il Collegio che le predette, complesse e articolate, censure, di cui gli appellanti lamentano la mancata positiva considerazione da parte del TAR, sono riconducibili a due "filoni" concernenti, da un lato, l'illegittimità del provvedimento amministrativo impugnato in ragione della sua ritenuta difformità e del suo ritenuto contrasto rispetto alle istruzioni impartite alla Questura secondo le indicazioni del Ministero dell'Interno e, dall'altro, l'illegittimità del medesimo provvedimento per vizi derivanti dalla natura incostituzionale delle previsioni normative della legislazione regionale valdostana, che avrebbero sortito l'effetto di azzerare tutte le case da gioco tranne il casinò di cui la stessa Regione è azionista. In ogni caso il provvedimento interdittivo, anche ove riconosciuto legittimo, secondo l'appellante avrebbe quanto meno dovuto comportare un indennizzo, così come recentemente riconosciuto da una precedente decisione del medesimo TAR (sent. n. 20/2020) confermata da questa Sezione (sent. n. 2018/2021). 5 - Sotto il primo profilo indicato, considera il Collegio che lo specifico provvedimento impugnato risulta debitamente motivato dalla sussistenza di una precisa ed oggettiva circostanza territoriale (distanza inferiore al minimo previsto rispetto ad un "punto sensibile", del quale neppure l'appellante disconosce l'esistenza e la distanza dai propri locali) espressamente prevista come ostativa dall'Ente locale in conformità alle previsioni di un atto normativo regionale avente forza ed efficacia di legge ed in vigore ed all'epoca dei fatti. Non sembra, poi, poter essere revocata in dubbio la competenza del Comune ad attuare le previsioni normative della propria Regione (né viene contestata la difformità di tale attuazione dalla previsione legislativa regionale). Neppure sembra poter essere altresì contestata la competenza (rectius, il potere-dovere) della Questura, ovvero dell'organo deputato dalla normativa statale di settore a rilasciare il necessario titolo autorizzativo, a procedere al ritiro del titolo in mancanza delle condizioni di legge necessarie al suo rilascio e al suo mantenimento, indipendentemente dalla circostanza che tali condizioni siano state previste, in conformità alle previsioni dell'ordinamento statale (così come accade in caso di competenza legislativa concorrente), da un Ente locale alla stregua di una norma di legge regionale. Pertanto, sotto tale profilo, il TAR ha esattamente ritenuto il predetto provvedimento immune dalle censure dedotte, del tutto indipendentemente sia dalla sua presunta non conformità alle Circolari, ovvero a meri atti d'indirizzo amministrativo, provenienti dal Ministero dell'interno, sia dal contestato precedente comportamento della Questura in occasione delle sue istituzionali e fisiologiche interlocuzioni con l'Ente locale, trattandosi in ogni caso di un atto necessitato ed a contenuto vincolato attuativo di una espressa previsione di legge. I motivi d'appello fondati sulle dedotte illegittimità "proprie" del provvedimento risultano pertanto non fondati, avendo il TAR esattamente concluso per la loro non sussistenza o rilevanza. 6 - Più complesso si rivela l'esame del secondo profilo, concernente la eventuale illegittimità, anche costituzionale, della sopraindicata normativa regionale di riferimento. In particolare, la legge regionale n. 14/2015 prevede che "I Comuni possono prevedere una distanza maggiore da quella prevista al comma 1 e individuare altri luoghi sensibili nei pressi dei quali non è ammessa l'apertura di sale da gioco e di spazi per il gioco, tenuto conto dell'impatto degli stessi sul contesto urbano e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica". Al dichiarato fine di contrastare il fenomeno della ludopatia mediante il contenimento della diffusione capillare sul territorio dell'offerta di gioco d'azzardo lecito, il legislatore regionale è intervenuto nuovamente con la legge regionale 27 marzo 2019, n. 2, adeguando il proprio compendio normativo alla cornice di riferimento sulla base delle linee direttrici fissate dalla l. r. n. 14/2015 e dalla normativa nazionale (mediante limiti distanziometrici da luoghi sensibili, da un lato, ed orari tassativi di apertura e di esercizio, dall'altro). 5 - Al riguardo, considera in primo luogo il Collegio che le disposizioni normative regionali in parola, al contrario di quanto dedotto dall'appellante, non si rivelano ostative allo svolgimento delle attività di intrattenimento mediante giochi leciti sull'intero territorio regionale o su sue ampie porzioni in modo da rendere impossibile o eccessivamente difficoltoso l'accesso degli utenti, in quanto non consentono di interdire l'intero territorio comunale o sue porzioni più o meno estese, ed invece consentono solo di individuare distanze minime da singoli punti motivatamente ritenuti particolarmente "sensibili" in relazione al contrasto della ludopatia e all'ordinato assetto del territorio urbano sotto i profili, di competenza degli Enti rappresentativi delle Comunità territoriali secondo un principio di rappresentanza democratica, riferiti alla sicurezza urbana, alla viabilità, all'inquinamento acustico e al disturbo della quiete pubblica. Sarebbe quindi spettato all'appellante fornire un principio di prova circa la possibile illegittimità costituzionale (ma anche euro unitaria) della disciplina regionale per l'impossibilità di insediare nuove sale da gioco sull'intero territorio comunale o su sue ampie porzioni. risultandone l'impossibilità o l'eccessiva difficoltà di esercitare l'attività economica in esame. Viceversa, non potrebbe evidentemente fungere a tale scopo né la casuale vicinanza della propria struttura ad un punto sensibile (circostanza che radica certamente il suo interesse ad agire ma non necessariamente la fondatezza della sua pretesa), né la comune sorte toccata ad altre analoghe strutture (salvo dimostrare le loro impossibilità di trasferirsi altrove) né la presenza, nella medesima Regione, di un Casinò facente capo alla stessa Regione ed espressamente autorizzato prima ancora che la legge consentisse l'installazione di case da gioco private sul territorio. In particolare la presenza del Casinò de la Vallé e, non assumendo alcun ruolo ai fini del contestato provvedimento interdittivo, risulta del tutto neutra ai fini della valutazione delle censure dell'appellante, che neppure dimostra una immotivata ed indebita disparità di trattamento giuridico fra le diverse strutture da gioco incompatibile con i principi costituzionali richiamati. 6 - Anche le censure volte ad evidenziare un irragionevole e pertanto illegittimo assetto della disciplina regionale si rivelano pertanto non fondate, Per le medesime ragioni sopra esposte, a giudizio del Collegio anche le dedotte questioni di illegittimità costituzionale della legislazione di riferimento si rivelano non rilevanti ai fini della decisione del giudizio a quo, in disparte ogni giudizio circa la loro fondatezza o meno. Occorre poi evidenziare che il mancato assolvimento del predetto onere di prova di dare fondamento alle proprie censure circa la complessiva irragionevolezza della vigente normativa non potrebbe essere supplito dal richiesto esperimento di una consulenza tecnica d'ufficio, non essendovi incertezza o controversia su elementi fattuali rilevanti ai fini della decisione. Neppure la domanda istruttoria formulata dall'appellante può essere pertanto accolta. 7 - Viene, infine, in rilevo la doglianza, pur formulata in via subordinata, concernente la mancata previsione di un giusto indennizzo ai sensi dell'Art. 21, quinquies, della legge n. 241/90 da parte del provvedimento di revoca impugnato in primo grado, in quanto tale questione sarebbe stata sostanzialmente ignorata dal TAR, che avrebbe respinto la censura discostandosi immotivatamente ed irragionevolmente da un recente precedente giurisdizionale di segno opposto. 8 - Osserva tuttavia il Collegio che, così come ampiamente dedotto dal Comune e dalla Regione intimati, la predetta domanda dell'appellante, volta al riconoscimento di un indennizzo per il ristoro del pregiudizio subì to, è fondata sulle previsioni dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, mentre, così come sinteticamente ma esattamente rilevato dal giudice di primo grado, nella specifica fattispecie considerata la rimozione del titolo non è avvenuta a seguito di un'autonoma e diversa ponderazione in sede provvedimentale degli assetti giuridico-fattuali di riferimento, ma discende dalla rigorosa applicazione di una progressivamente restrittiva disciplina legislativa regionale. 9 - Le autorizzazioni amministrative, quale l'autorizzazione di pubblica sicurezza in esame, in particolare, non creano un rapporto bilaterale fra amministrazione e cittadino (così come invece accade, ad esempio, in un rapporto concessorio di beni o servizi pubblici) suscettibile di creare il diritto ad un indennizzo in caso di alterazione del rapporto sinallagmatico, e neppure assumono contenuti espropriativi di un diritto privato suscettibile di indennizzo, ed invece conformano l'esercizio di una libertà privata, in modo da renderlo compatibile all'interesse pubblico secondo le previsioni dell'articolo 41 della Costituzione e, per tale ragione, sono condizionate nella loro durata secondo le variazioni dello stato di diritto e di fatto sussistente al momento del loro rilascio (così come è di recente accaduto, ad esempio, per i titoli autorizzativi alle emissioni in atmosfera degli impianti industriali a seguito del recepimento di norme euro unitarie più restrittive quanto alla qualità dell'aria). In tal senso, il titolo ritirato o revocato con l'atto impugnato abilitava il privato ad esercitare, assumendone il rischio d'impresa, un'attività commerciale che, per sue specifiche criticità rispetto all'interesse pubblico generale, secondo la legge vigente al momento del rilascio doveva svolgersi ad una distanza minima da siti "sensibili", conseguendone la necessità di conformare tale attività -senza che ne discenda un effetto espropriativo- qualora l'evoluzione normativa porti alla individuazione di nuovi siti "sensibili". 10 - In un tale quadro, il provvedimento di ritiro del titolo (indipendentemente dal nomen juris utilizzato) non è stato adottato in conseguenza del mutamento o della rivalutazione, da parte dell'amministrazione, della situazione di fatto o degli interessi correlati secondo le previsioni dell'art. 21-quinquies della legge n. 241/1990, poiché la Questura si è limitata ad una doverosa applicazione del mutato quadro giuridico seguito alla attuazione della nuova normativa primaria regionale (segnatamente, la l. r. n. 2/2019 rubricata "Ulteriori misure di prevenzione e contrasto alla ludopatia. Modificazioni alla legge regionale 15 giugno 2015, n. 14"). In altri termini, così come statuito dal TAR, l'amministrazione ha adottato i provvedimenti impugnati sulla base di norme che afferiscono alla diversa materia della tutela della salute ed al complesso normativo che ne è disceso, e non sulla base di una propria valutazione in merito ad un sopravvenuto interesse o mutamento di una situazione di fatto. 11 - In particolare, la nuova normativa regionale si è limitata a disciplinare l'apertura e il funzionamento di sale da gioco e di spazi per il gioco solo in particolari aree poste in prossimità di siti ritenuti "sensibili" con riferimento a puntuali esigenze di tutela dell'interesse pubblico generale e dei diritti inviolabili riconosciuti dall'art. 2 della Costituzione ai propri cittadini "sia come singoli, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità ", con esclusivo riferimento ai profili di competenza della Regione speciale in esame, tenuto conto dell'impatto delle stesse attività commerciali, come recita la legge, "sul contesto urbano e sulla sicurezza urbana, nonché dei problemi connessi con la viabilità, l'inquinamento acustico e il disturbo della quiete pubblica". 12 - Alla stregua delle pregresse considerazioni, il predetto assetto normativo speciale della Regione Val d'Aosta, a giudizio del Collegio, non palesa i dedotti dubbi di incostituzionalità e si sottrae alle censure dedotte, né può essere ritenuto suscettibile di introdurre misure espropriative dell'esercizio del diritto d'iniziativa economica privata comportanti il diritto ad un indennizzo, in quanto i descritti nuovi limiti all'insediamento di sale da gioco e di spazi per il gioco si limitano ad aggiornare il quadro normativo di riferimento del titolo autorizzatorio facendo riferimento a puntuali e delimitate condizioni territoriali aventi natura oggettiva e prive di spazi di discrezionalità per l'amministrazione, suscettibili di conformare l'esercizio delle libertà economiche alle superiori esigenze ambientali e sociali secondo le previsioni dell'articolo 41 della Costituzione con riferimento alle competenze riconosciute alla Regione Val d'Aosta. 13 - Ritiene pertanto il Collegio di dover conformare la propria decisione sulla odierna specifica fattispecie, indipendentemente dai precedenti citati dall'appellante, alla costante ed univoca pregressa giurisprudenza amministrativa, applicabile anche alla fattispecie considerata, circa la legittimità della previsione di limiti geomorfologici ed urbanistici connaturati alla oggettiva natura dei luoghi (in origine secondo il loro valore culturale e ambientale, in questo caso, in base alla loro distanza da siti "sensibili" individuati secondo espresse previsioni di legge) che assicurino una ragionevole e proporzionata ponderazione fra la libertà di esercizio dell'attività commerciale in esame e le superiori esigenze delle comunità territoriali interessate. 14 - In conclusione l'appello non può trovare accoglimento. La complessità e relativa novità di alcuni aspetti delle questioni dedotte, giustifica, infine, la integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Pierfrancesco Ungari - Presidente FF Nicola D'Angelo - Consigliere Raffaello Sestini - Consigliere, Estensore Antonio Massimo Marra - Consigliere Luca Di Raimondo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6573 del 2022, proposto da En. Se. S.p.A., in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese con Consorzio Stabile Un. s.c. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Cl., con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, al viale (...); contro Gu. s.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati So. Ma. e Ro. Mi., con domicilio digitale come da registri di Giustizia; Consip S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via (...); Ministero dello Sviluppo Economico, non costituito in giudizio; nei confronti Consorzio Stabile Un. s.c.a r.l., non costituito in giudizio; della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Roma, sez. II, n. 8062/2022, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gu. s.p.A. e di Consip Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Cl., Ma. e l'avvocato dello Stato Di Le.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- Con bando di gara inviato alla GUCE il 30 novembre 2015, Consip S.p.a. indiceva, ai sensi del d.lgs. n. 163/2006, vigente ratione temporis, una procedura aperta per l'affidamento "del Servizio Integrato Energia e dei Servizi connessi per le Pubbliche Amministrazioni, edizione 4, ai sensi dell'art. 26, Legge n. 488/1999 e s.m.i. e dell'art. 58, Legge n. 388/2000 (ID 1615)", suddivisa in sedici lotti individuati su base geografica. Il bando di gara: a) precisava che i servizi oggetto di affidamento avrebbero dovuto essere eseguiti presso gli edifici in uso a qualsiasi titolo alle Pubbliche Amministrazioni, siti nei distretti geografici che contraddistinguevano i diversi lotti; b) disponeva, altresì, che i concorrenti potessero partecipare anche per più lotti messi a gara, potendosene nondimeno aggiudicare fino ad un massimo di quattro. Per il lotto n. 1, oggetto della presente controversia e relativo agli edifici insistenti nel territorio delle Regioni Valle d'Aosta e Piemonte 1 (ossia le Provincie di Biella, Torino e Vercelli), presentavano una propria offerta otto concorrenti, tra cui il raggruppamento capeggiato da En. Se. s.p.a. (odierna appellante) e Gu. s.p.a. (odierna appellata). Nella seduta pubblica del 1° febbraio 2019, la Commissione giudicatrice dava lettura dei punteggi attribuiti alle offerte tecniche relative a tutti i lotti messi in gara, procedendo di seguito (nella successiva seduta del 6 marzo 2019) all'attribuzione del punteggio economico per ogni lotto e per ogni concorrente, redigendo di conserva la graduatoria per ciascun lotto ed individuando le offerte sospette di anomalia, ai sensi dell'art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006, tra cui quella En. Se. s.p.a., risultata prima in graduatoria nel lotto n. 1. Con verbale del 2 marzo 2020, la Commissione dava atto di aver completato la verifica di anomalia del raggruppamento En. Se., per i lotti nn. 1, 10, 11 e 12, affermando che le giustificazioni fornite erano idonee ad escludere l'incongruità delle offerte. Nel corso della successiva seduta del 2 aprile, la Commissione proponeva, quindi, l'aggiudicazione del lotto n. 1 al ridetto raggruppamento. Con nota del 9 aprile 2020, la stazione appaltante sollecitava la produzione della documentazione a comprova del possesso dei requisiti dichiarati e, con successiva nota del 5 giugno 2020, ne comunicava il positivo esito. Con nota del 12 novembre 2020, comunicata a mezzo pec anche alla Gu. s.p.a., dava quindi atto dell'aggiudicazione, a favore del raggruppamento En. Se., del lotto in questione. 2.- All'esito della sollecitata ostensione degli atti di gara, Gu. s.p.a. impugnava, dinanzi al TAR per il Lazio, l'esito della gara, lamentando: a) che la mandante del raggruppamento aggiudicatario si fosse illegittimamente impegnata ad eseguire, oltre ad una quota parte dei lavori, il 30% dei servizi denominati A, B, C, D ed E (con la sola esclusione del servizio denominato F, assunto integralmente dalla mandataria) nonché delle attività ex DM 307/2008 e di terzo responsabile, pur essendo asseritamente priva dei requisiti all'uopo richiesti dalla legge di gara; b) che En. Se. avesse omesso di rappresentare, in corso di gara, molteplici e rilevanti circostanze asseritamente idonee ad incidere sulla sua affidabilità morale e professionale; c) che non fosse stata data dimostrazione del necessario possesso continuativo, in capo alla mandante, della certificazione di qualità, conforme alle norme europee della serie EN ISO 9001, per l'attività di manutenzione e gestione degli impianti termici; d) che l'offerta dell'aggiudicataria fosse stata significativamente sottostimata con riferimento ad alcune specifiche voci, con conseguente irragionevolezza ed illogicità del giudizio di congruità espresso dalla stazione appaltante, avuto segnatamente riguardo: d1) ai "costi di manutenzione straordinaria e adeguamento normativo" di cui al paragrafo 6.3 del capitolato tecnico; d2) al "costo del personale operativo"; d3) ai "costi relativi al consumo di gas metano per l'espletamento del Servizio A". 3.- Nel rituale contraddittorio delle parti, con ordinanza n. 6289 del 27 maggio 2021 il Tribunale adito - sul rilievo: a) che "alla luce del complesso sub-procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta non risulta(ssero) evidenti le ragioni sulla base delle quali la Commissione di gara (aveva) ritenuto di superare le articolate osservazioni da essa stessa sollevate (...)"; b) che le censure sollevate "(avessero) natura estremamente tecnica", sicché "(era) necessario disporre una verificazione volta ad accertare se, alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile, il giudizio di non anomalia dell'offerta economica dell'aggiudicataria (fosse), alla luce dei vizi dedotti (...), da ritenersi affetto, sotto il profilo tecnico, da irragionevolezza" - disponeva una verificazione ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm.. sollecitando il professionista designando alla verifica di ragionevolezza (recte: non irragionevolezza), alla luce delle censure prospettate con il quarto motivo di ricorso ed "alla stregua della disciplina di gara e della normativa alla stessa applicabile", della ritenuta assenza di profili di anomalia, con specifico riguardo all'incidenza dei costi di manutenzione straordinaria di cui al paragrafo 6.3 del capitolato tecnico, del costo del personale operativo e dei costi relativi al consumo di gas metano per l'espletamento del servizio denominato "Servizio A". Il verificatore designato, nella persona del Prof. Ga. (ordinario di Economia aziendale nell'Università degli Studi di Roma - La Sapienza ), all'esito dell'istruttoria svolta in contraddittorio con i consulenti tecnici nominati dalle parti, depositava, in data 26 aprile 2022, la propria relazione definitiva (che teneva conto anche delle osservazioni delle parti rese sulla bozza di relazione previamente trasmessa), con la quale rassegnava le proprie conclusioni nel senso che "il giudizio di non anomalia espresso da CONSIP sull'offerta dell'aggiudicataria EN. (potesse) ritenersi affetto da irragionevolezza", in ragione della accertata carenza della "economicità /remuneratività della commessa", costituente "elemento giuridicamente essenziale per la corretta esecuzione del contratto." In dettaglio - pur rimarcando "l'impossibilità di determinare in modo certo le voci di costo in questione", in ragione "delle modalità di calcolo e di rappresentazione dei valori da parte di EN., che non (consentivano) un riscontro obiettivo ed inconfutabile" - assumeva (alla luce di una "ricostruzione dei valori più prudente e al tempo stesso più verosimile") che l'offerta formulata comportasse un totale di costi superiore ai ricavi, "con conseguente risultato economico della Commessa negativo (Perdita di Commessa) per Euro 895.035". 4.- Con sentenza n. 8062 del 16 giugno 2022, resa all'esito del rituale contraddittorio processuale, il TAR - dopo aver respinto i primi tre motivi ed assorbito i residui profili di censura - accoglieva il ricorso, valorizzando adesivamente le conclusioni del verificatore in ordine alla ritenuta insostenibilità, nel suo complesso, dell'offerta, così come articolata dal raggruppamento aggiudicatario, segnatamente rimarcando che - alla luce della emergente "perdita di commessa" per Euro 895.035,00, insuscettibile di prospettica rimodulazione in meliorem partem anche all'esito di una eventuale riconsiderazione dei "titoli di efficientamento energetico", che Consip aveva ammesso di non aver valutato - l'apprezzamento dell'affidabilità della proposta contrattuale del concorrente aggiudicatario fosse stato connotato da "significativi profili di complessiva irragionevolezza", tali da non legittimare la prospettica "rinnovazione della verifica dell'anomalia" e da imporre senz'altro "l'esclusione dell'operatore economico dalla gara". 5.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, En. Se. s.p.a., in proprio e quale mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese, impugnava la ridetta statuizione, di cui lamentava la complessiva erroneità ed ingiustizia, auspicandone l'integrale riforma. Si costituivano in giudizio Consip S.p.a., che aderiva alla posizione di parte appellante, e Guerrasio s.p.a., che diffusamente contestava il gravame, anche mercé articolazione di appello incidentale. 6.- Alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa era riservata per la decisione e definita come da dispositivo pubblicato in pari data. DIRITTO 1.- L'appello è fondato e merita di essere accolto. 2.- Con un primo motivo di gravame, l'appellante lamenta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 86 del d.lgs. n. 163/2006 e della lex specialis, per travisamento dei fatti, in relazione all'errore materiale sui ricavi dai meccanismi di incentivazione. Assume, in dettaglio, che, nel confronto di posizioni in sede di verificazione, aveva evidenziato, in convergenza con ana rilievo operato dalla stazione appaltante, che nella stima dei ricavi conseguibili dalla esecuzione della commessa avrebbero dovuto essere presi in considerazione anche i proventi rinvenienti dai meccanismi di incentivazione connessi agli incrementi di efficienza energetica, quantificati, per la quota di spettanza, in Euro 1.310.177, 11 (una somma corrispondente essendo destinata alle stazioni appaltanti interessate). Il punto non era, in effetti, sfuggito al verificatore, il quale (alla p. 94 della relazione) aveva dato atto che "i CTP di EN. (avevano sviluppato) i relativi conteggi", i quali avrebbero indotto "a quantificare i maggiori Ricavi di EN. in Euro 1.310.177,11 (pari al 50% dell'intero incentivo di Euro 2.620.354,22 da ripartire a metà con la stazione appaltante)". La stazione appaltante non aveva, per parte sua, omesso di valutare l'incidenza degli incentivi in questione, sia pure operando una stima più prudente, che aveva indotto ad una quantificazione pari ad Euro 1.000.000: stima, in ogni caso, riferita anch'essa "al valore di stretta pertinenza dell'impresa" (in quanto frutto della prefigurata dimidiazione, ai fini del prospettico riparto): il che era fatto ben chiaro al verificatore, che aveva registrato, sul punto, la considerazione del consulente di parte in ordine alla necessaria integrazione del conto economico di EN. di "una ulteriore voce di Ricavo stimata in Euro 1.000.000", che avrebbe reso in tesi "comunque la commessa in utile". I valori in questione (non contestasti, in fatto, dalla controinteressata) erano stati sottoposti già dalle prime fasi della verificazione (v. p. 12 della "nota tecnica" Consip del 3 novembre 2021 e p. 9 della "replica tecnica" EN. del 10 novembre 2021, entrambe in allegato alla verificazione), e in ogni caso ribaditi nelle osservazioni svolte sulla bozza sottoposta al contraddittorio tecnico (richiamate anche nel testo finale della stessa, alle pp. 84-85 e 94). D'altra parte, si trattava, in assunto, di stime senz'altro pertinenti all'oggetto della verifica, posto che il capitolato tecnico legava espressamente tali ricavi agli "interventi di manutenzione straordinaria", che erano oggetto specifico di verificazione (il che, di nuovo, era ben chiaro al verificatore incaricato, se, alla p. 50 della relazione, lo stesso aveva correttamente puntualizzato che "i proventi derivanti dalla vendita dei titoli (scil.: di efficienza energetica, di cui ai decreti ministeriali del 20/07/2004 così come modificati ed integrati dai decreti ministeriali del 21/12/2007, per gli interventi realizzati nel corso di validità dei contratti di fornitura)" fossero "nella titolarità dell'Amministrazione per una quota pari al 50% del valore", che il fornitore avrebbe riconosciuto "attraverso l'emissione di note di credito per l'importo corrispondente"). Nondimeno, nella sua relazione finale il verificatore (assumendone la "non pertinenza" rispetto alla stima dei costi e dei ricavi ed una asserita "tardività " di prospettazione, nel contesto del confronto tecnico) aveva ricusato (e, comunque, omesso) di prendere in considerazione la posta in questione. Per contro, la sentenza impugnata ne aveva bensì, per un verso, ammesso, quanto meno in via ipotetica, la rilevanza, ma - invece di prendere a riferimento il valore (di Euro 1.300.000 o 1.000.000 Euro che fosse) spettante all'impresa, già derivante dal dimezzamento del totale dei ricavi previsti, essendo il restante 50%, come chiarito, a beneficio delle amministrazioni - lo aveva, in modo del tutto ingiustificato, ulteriormente dimezzato, giungendo così alla cifra di soli Euro 500.000,00 Euro, sì da trarne l'erroneo convincimento della concreta irrilevanza, posto che - per come quantificata - essa non avrebbe immutato la conclusione, argomentata dal verificatore, della non redditività dell'offerta. Nell'assunto critico dell'appellante, se fosse stato, invece, preso correttamente in considerazione tale voce di ricavo, per almeno Euro 1.000.000, a fronte della prospettata perdita per 895.035,00 Euro, la commessa sarebbe tornata comunque in utile, smentendo l'apprezzamento di antieconomicità . 2.1.- Il motivo è fondato. Occorre considerare, in premessa, che la decisione appellata muove da precise opzioni di metodo in ordine ai tratti, agli spazi ed ai limiti, in prospettiva remediale, del sindacato sulle valutazioni di anomalia dell'offerta, nella ipotesi di contratti oggetto di affidamento con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Invero, un giudizio "pieno" sulla effettiva "congruità " dell'offerta formulata in sede di gara è ivi legittimato in ragione della ritenuta possibilità di ripetere e "doppiare", in sede di confronto processuale paritario e con la garanzia di effettività del contraddittorio, la valutazione di complessiva "attendibilità " operata, in prima battuta, dagli organi tecnici dell'Amministrazione, ai fini dell'apprezzamento: a) di coerenza e congruità del contenuto della proposta negoziale, sotto il profilo tecnico non meno che economico; b) di idoneità , adeguatezza ed effettiva sostenibilità della relativa struttura dei costi; c) di obiettiva plausibilità della correlativa prefigurazione dei potenziali esiti lucrativi; d) di ragionevolezza e, più ancora, condivisibilità razionale delle giustificazioni emergenti dal confronto dialettico. Ne discende - con la valorizzazione di una compiutezza di acquisizione valutativa al fatto tecnico e al dato economico, ancorché mediato da "valutazioni che richiedano particolari competenze tecniche", garantita dagli strumenti processuali di accertamento (segnatamente, la consulenza tecnica d'ufficio o, come nella specie, la verificazione: cfr. art. 63, comma 4 cod. proc. amm.) - una attitudine potenzialmente "sostitutiva" dell'apprezzamento giudiziale, rispetto a quello amministrativo, le quante volte non fosse superato un critico vaglio di effettiva "attendibilità " (o "maggiore attendibilità "). L'assunto è coonestato dal richiamo a plurimi precedenti del Consiglio di Stato, i quali (a partire dalla nota decisione della VI Sezione, n. 4990 del 15 luglio 2019) hanno avvalorato la prospettiva di una giurisdizione pienamente sindacatoria (secondo il paradigma, di ascendenza euroconvenzionale, della full jurisdiction), senza i limiti tradizionalmente affidati alla (superata) logica della (c.d.) discrezionalità tecnica. 2.2.- In realtà, l'operazione è, di là da più generali rilievi, viziata, nella sua complessiva plausibilità, da una omessa contestualizzazione, ob rem, dei (limiti) del giudizio sul fatto tecnico: altra essendo (come può esser qui sufficiente osservare) l'apprezzamento sulla legittimità della irrogazione di una misura sanzionatoria (cui si riferisce, come è noto, il valorizzato precedente, relativo ad una sanzione antitrust), altro il vaglio di ragionevolezza (o meglio si direbbe di non irragionevolezza) della complessiva sostenibilità di un impegno negoziale programmaticamente assunto in sede di confronto competitivo evidenziale. È chiaro, infatti, che - laddove nel primo caso è necessario garantire, ai fini di una tutela giurisdizionale sostanziale ed effettiva, la possibilità di una alternativa e critica prospettazione dei fatti rilevanti, rimessa al vaglio di un organo imparziale ed indipendente che possa apprezzarne la concreta e circostanziata idoneità a legittimare l'esito afflittivo (arg. ex art. 6, § 1 CEDU e dall'art. 7 del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, pur con la preservazione, su cui non giova indugiare, della sussistenza di un "oggettivo margine di opinabilità ") - nel caso in esame la posizione della stazione appaltante non può che giovarsi di un ampio, quantunque non illimitato, margine di apprezzamento, in ragione della sua posizione di prospettico beneficiario delle prestazioni oggetto di negoziazione sul piano schiettamente privatistico. È questa la ragione per la quale (sovente perseverando, pur nella consapevolezza della sua imprecisione denotativa ed inadeguatezza concettuale, nella valorizzazione della ambigua figura della c.d. discrezionalità tecnica) la giurisprudenza è consolidata nel senso che il giudizio di (non) anomalia dell'offerta si risolva in una valutazione "complessiva" (cioè di "natura globale e sintetica") rimessa (essenzialmente) alla stazione appaltante, che perciò costituisce, in quanto tale, espressione di un tipico "potere tecnico-discrezionale riservato", in via di principio "insindacabile" in sede giurisdizionale, salvo che per ragioni legate alla eventuale (e dimostrata) "manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza" dell'operato dell'amministrazione, tale da rendere "palese" l'inattendibilità (e più precisamente, con rimarcato limite: l'inattendibilità "complessiva") dell'offerta. È per tale ordine di ragioni che - pur essendo, beninteso, perfettamente possibile attivare una verificazione o perfino disporre una consulenza tecnica d'ufficio - il sindacato che è rimesso al giudice non può atteggiarsi, come si vorrebbe, a sindacato potenzialmente "sostitutivo". E così pure al verificatore (o, eventualmente, al consulente) non può essere sollecitata una (autonoma) "rivalutazione" dell'offerte, sotto il profilo dell'apprezzamento della concreta sostenibilità dell'impegno economico, ma solo una evidenziazione degli eventuali errori, travisamenti, incongruenze commessi, avuto riguardo ad una non inattendibile applicazione della regola tecnica, dalla stazione appaltante ovvero della palese irragionevolezza dell'esito giustificativo operato a fronte delle emergenze documentali (cfr., ex permultis e da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 2022, n. 6696). È quel che, in disparte quel che di seguito si dirà in relazione alle specifiche ragioni di doglianza, è accaduto, per contro, nel caso di specie, in cui le risultanze della verificazione sono richiamate, a sostegno della decisione, in termini puramente quantitativi, come scostamenti monetari rispetto alla valutazione compiuta dalla stazione appaltante: sicché, a partire dal mero dato quantitativo della indicata perdita di commessa, se ne è desunta l'irragionevolezza della valutazione e, di conserva, la necessaria esclusione dell'operatore economico. 2.3.- Le osservazioni che precedono consentono di apprezzare, relativamente al primo motivo di appello in esame, le repliche sul punto, che parte appellata affida all'appello incidentale: con il quale di duole, censurando la difforme valutazione del verificatore, condivisa dal primo giudice, una sottostima dei costi di gestione relativamente alla manutenzione straordinaria, il cui apprezzamento finirebbe, in tesi, per sterilizzare (e rendere, con ciò, irrilevante) anche la rivendicata considerazione degli incentivi per l'efficientamento energetico). Per questo rispetto, l'esame del primo motivo dell'appello incidentale si impone (con inversione dell'ordine delle questioni) con priorità . 2.3.1.- Esso è infondato. Invero, risulta dalla documentazione in atti che EN. aveva regolarmente imputato (sotto il profilo degli oneri per la programmata riqualificazione energetica) i costi di manutenzione straordinaria per i necessari interventi di ottimizzazione, operandone una puntuale quantificazione. La stazione appaltante ha concretamente riscontrato, in sede giustificativa, tale imputazione, ritenendola formalmente corretta (quanto al criterio utilizzato) e sostanzialmente congrua (quanto alla relativa misura): sicché, trattandosi di un apprezzamento formulato in assenza di macroscopici travisamenti del dato economico o di manifesta irragionevolezza, deve ritenersi (in coerenza con le riassunte coordinate ermeneutiche, che non giova ribadire) inammissibile la prospettazione di una valutazione meramente alternativa. 2,4,. Ne discende de plano la fondatezza del primo motivo dell'appello principale, in esame. Dalla disamina che precede, emerge infatti che - a fronte delle complessive risultanze documentali - sia il verificatore che, pedissequamente, la sentenza che ne ha recepito le conclusioni sono incorse (anche di là dalla plausibilità delle premesse di metodo) in un errore obiettivo, risoltosi nella arbitraria dimidiazione della posta incentivante da riconoscere all'appellante (che - sia nella più favorevole stima operata in sede di formulazione e di successiva giustificazione dell'offerta, sia nella più prudenziale valutazione formulata dalla stazione appaltante - era stata già valutata, nel senso diffusamente illustrato, al 50%). Ne discende, altresì, a cascata, che - emendata di conserva, quand'anche ceteris paribus, la stima del potenziale utile rinveniente dalla commessa - l'iniziale valutazione di (sia pure limitata o, nelle stesse parole del verificatore, "relativamente modesta") perdita (quantificata nello 0,942%) si trasforma (tralasciando ogni altro profilo) in un (sia pur marginale ma apprezzabile) utile: il quale, per consolidato intendimento (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2021, n. 243) - che trae, di nuovo, alimento dalla ribadita premessa che ogni valutazione di complessiva congruenza, attendibilità ed economicità deve essere rimessa alla stazione appaltante, sicché non se ne possono, in principio, contestare gli apprezzamenti nel merito - è per sé (ed in guisa assorbente) sufficiente a contraddire la valutazione 'peritalè e le sue conclusioni. 3.- L'accoglimento, negli argomentati sensi, del primo motivo di gravame è assorbente. Invero, anche indipendentemente dalle ulteriori doglianze, il giudizio sull'anomalia dell'offerta oggetto di contestazione ne risulta né irragionevole, né incongruo, sottraendosi, come tale, alle censure complessivamente affidate, per quanto devoluto nella presente sede di gravame, al ricorso di prime cure. 4.- Importa solo precisare come non ostino al ridetto esito i (residuali) motivi affidati all'appello incidentale, in ordine ai quali è sufficiente precisare, con adeguata sintesi: a) che il secondo motivo (con il quale si lamenta uno "scostamento troppo marcato tra il consumo teorico di gas e quello storico ") è inammissibile, per le considerazioni già esposte in relazione al primo motivo, trattandosi in definitiva (di là dai suoi eccepiti profili di 'novità ') di apprezzamento parcellizzato, insuscettibile di incrinare la complessiva e globale valutazione di attendibilità dell'offerta, già utilmente apprezzata dalla commissione valutatrice all'esito di adeguata e completa interlocuzione; b) che il terzo motivo (preordinato alla devoluzione delle ragioni di doglianza rimaste assorbite, ex art. 101, comma 2 cod. proc. amm.) è inammissibile, per tardività . Sotto quest'ultimo profilo, vale invero osservare che l'art. 101, comma 2 cod. proc. amm. prescrive, ai fini della riproposizione, relativamente alle "parti diverse dall'appellante", delle "domande" e delle "eccezioni" dichiarate "assorbite" (o, comunque, "non esaminate") nella sentenza di primo grado, l'onere di formalizzazione "con memoria depositata a pena di decadenza entro il termine per la costituzione in giudizio" (e, segnatamente, nel termine di "sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso: cfr. art. 46, comma 1, cod. proc. amm., applicabile anche nella fase di gravame; termini, nella specie, dimidiati ratione materiae, ex art. 119, comma 2 cod. proc. amm.). La "memoria" in questione - in quanto non semplicemente preordinata alla articolazione delle difese, ma alla definizione, necessariamente liminare ed incipitaria, del thema decidendum - rappresenta, di là dalla sua tempestività (non a caso presidiata dalla attitudine decadenziale del relativo termine), il primo atto difensivo, quand'anche fosse incorporato in un appello incidentale, nella logica del principio di concentrazione che connota, anche ai fini del contraddittorio tra le parti e tra le parti ed il giudice, la perimetrazione (e l'ambito) della concreta materia del contendere (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2022, n. 7742 nonché, per ana principio, Cass. SS.UU., 21 marzo 2019, n. 7940 e Id., 9 novembre 2021, n. 32650). Nel caso di specie: a) per un verso, l'appello incidentale non rappresenta il "primo atto difensivo", in quanto preceduto dalla memoria di costituzione depositata in data 9 settembre 2022; b) per altro, concorrente verso, a fronte della notifica dell'appello principale, avvenuta in data 21 luglio 2022, esso risulta depositato il 21 settembre successivo, oltre il termine ne ultra quem che, tenendo conto della sospensione feriale, veniva a scadenza il 20 settembre. 5.- Le considerazioni che precedono militano, in definitiva, per l'accoglimento dell'appello, da cui discende, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso di prime cure. Le peculiarità della vicenda esaminata giustificano, ad avviso del Collegio, l'integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del doppio grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Spese del doppio grado compensate. Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Presidente Angela Rotondano - Consigliere Giovanni Grasso - Consigliere, Estensore Giuseppina Luciana Barreca - Consigliere Anna Bottiglieri - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6035 del 2021, proposto da 1. AL. CA. ed altri, tutti rappresentati e difesi dagli Avv.ti Wa. Mi., C.F. (omissis), PEC (omissis), con studio in (...) (PA) nella Via (...), tel/fax (omissis) e Ni. Za., C.F. (omissis), PEC (omissis), fax (omissis), con studio in (...) (VI) nella Piazza (...), elettivamente domiciliati nello studio dell'Avv. Sa. Ru. in Roma, via (...) contro Ministero dell'Istruzione, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Territoriale per la Provincia dell'Aquila, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia Chieti e Pescara Sede Chieti, Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Potenza, Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Matera, Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Crotone, Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Vibo Valentia, Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Avellino, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Benevento, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Caserta, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Ferrara, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Modena, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Parma e Piacenza Se, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Ravenna, Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Xi Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Gorizia, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Territoriale per la Provincia di Trieste, Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Udine, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Rieti, Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Frosinone, Uff Scolastico Reg Lazio Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Latina, Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Viterbo, Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di La Spezia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Imperia, Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Como, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Cremona, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lecco, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lodi, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Mantova, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Monza e Brianza, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Pavia, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Sondrio, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Varese, Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Brescia, Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Macerata, Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro Urbino, Uff Scolastico Reg Molise Ambito Territoriale per la Provincia di Campobasso, Uff Scolastico Reg Molise A, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Alessandria, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Novara, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Biella, Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Vercelli, Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Brindisi, Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, Uff Scolastico Reg Puglia Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Sassari, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Nuoro, Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Oristano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ambito Territoriale per la Provincia di Agrigento, Ambito Territoriale per la Provincia di Aosta, Ambito Territoriale per la Provincia di Arezzo, Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, Ambito Territoriale per la Provincia di Belluno, Ambito Territoriale per la Provincia di Caltanissetta, Ambito Territoriale per la Provincia di Catania, Ambito Territoriale per la Provincia di Enna, Ambito Territoriale per la Provincia di Firenze, Ambito Territoriale per la Provincia di Grosseto, Ambito Territoriale per la Provincia di Isernia, Ambito Territoriale per la Provincia di Livorno, Ambito Territoriale per la Provincia di Lucca, Ambito Territoriale per la Provincia di Massa-Carrara, Ambito Territoriale per la Provincia di Messina, Ambito Territoriale per la Provincia di Padova, Ambito Territoriale per la Provincia di Palermo, Ambito Territoriale per la Provincia di Parma, Ambito Territoriale per la Provincia di Perugia, Ambito Territoriale per la Provincia di Piacenza, Ambito Territoriale per la Provincia di Pisa, Ambito Territoriale per la Provincia di Pistoia, Ambito Territoriale per la Provincia di Prato, Ambito Territoriale per la Provincia di Ragusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Rimini, Ambito Territoriale per la Provincia di Rovigo, Ambito Territoriale per la Provincia di Siena, Ambito Territoriale per la Provincia di Siracusa, Ambito Territoriale per la Provincia di Terni, Ambito Territoriale per la Provincia di Trapani, Ambito Territoriale per la Provincia di Treviso, Ambito Territoriale per la Provincia di Venezia, Ambito Territoriale per la Provincia di Verona, Ambito Territoriale per la Provincia di Vicenza, Ufficio Scolastico Regionale per il Trentino Alto Adige, Ufficio Scolastico Regionale Valle D'Aosta, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 13406/2020 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Istruzione, dell'Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, dell'Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, dell'Ufficio Scolastico Regionale Calabria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Campania, dell'Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, dell'Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Lazio, dell'Ufficio Scolastico Regionale Liguria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Marche, dell'Ufficio Scolastico Regionale Molise, dell'Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, dell'Ufficio Scolastico Regionale Puglia, dell'Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, dell'Usr Ufficio Scolastico Regionale Sicilia Direzione Generale, dell'Ufficio Scolastico Regionale Toscana, dell'Ufficio Scolastico Regionale Umbria, dell'Ufficio Scolastico Regionale Veneto, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff III Ambito Territoriale per la Provincia dell'Aquila, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale Provinciale di Chieti Pescara Sede Pescara, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia Chieti e Pescara Sede Chieti, dell'Uff Scolastico Reg Abruzzo Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Teramo, dell'Uff Scolastico Reg Basilicata Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Potenza, dell'Uff Scolastico Reg Basilicata Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Matera, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Crotone, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Vibo Valentia, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Catanzaro, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cosenza, dell'Uff Scolastico Reg Calabria Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Calabria, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Avellino, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Benevento, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Caserta, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Napoli, dell'Uff Scolastico Reg Campania Ambito Territoriale per la Provincia di Salerno, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Bologna, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Ferrara, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Forlà Cesena Rimini, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Modena, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Parma e Piacenza Se, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Ravenna, dell'Uff Scolastico Reg Emilia Romagna Uff Xi Ambito Territoriale per la Provincia di Reggio Emilia, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Gorizia, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Pordenone, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Ambito Territoriale per la Provincia di Trieste, dell'Uff Scolastico Reg Friuli Venezia Giulia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Udine, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia di Rieti, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Roma, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Frosinone, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Latina, dell'Uff Scolastico Reg Lazio Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Viterbo, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff II Ambito Territoriale per la Provincia di Genova, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di La Spezia, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Imperia, dell'Uff Scolastico Reg Liguria Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Savona, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Bergamo, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Como, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Cremona, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lecco, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Lodi, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Mantova, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Milano, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Monza e Brianza, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Pavia, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Sondrio, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Varese, dell'Uff Scolastico Reg Lombardia Ambito Territoriale per la Provincia di Brescia, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Ancona, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff IV per Le Province di Ascoli Piceno e Fermo, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Macerata, dell'Uff Scolastico Reg Marche Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Pesaro Urbino, dell'Uff Scolastico Reg Molise Ambito Territoriale per la Provincia di Campobasso, dell'Uff Scolastico Reg Molise A, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Cuneo, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Torino, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Alessandria, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Novara, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Asti, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Ix Ambito Territoriale per la Provincia del Verbano Cusio Ossola, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff X Ambito Territoriale per la Provincia di Biella, dell'Uff Scolastico Reg Piemonte Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Vercelli, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Foggia, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff III Ambito Territoriale per la Provincia di Bari, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff IV Ambito Territoriale per la Provincia di Brindisi, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Lecce, dell'Uff Scolastico Reg Puglia Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Taranto, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff V Ambito Territoriale per la Provincia di Cagliari, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff VI Ambito Territoriale per la Provincia di Sassari, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Vii Ambito Territoriale per la Provincia di Nuoro, dell'Uff Scolastico Reg Sardegna Uff Viii Ambito Territoriale per la Provincia di Oristano; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2023 il Cons. Marco Morgantini; Nessun avvocato presente per le parti costituite; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza appellata è stato respinto il ricorso proposto per l'annullamento dell'ordinanza del Miur del 10 luglio 2020, n. 60, recante procedure di istituzione delle graduatorie provinciali e di istituto di cui all'art. 4, commi 6-bis e 6-ter, della l. n. 124 del 1999 e di conferimento delle relative supplenze, nella parte in cui non consente l'inserimento dei ricorrenti quali ITP (Insegnanti Tecnico Pratici). La motivazione della sentenza appellata fa riferimento alle seguenti circostanze. Il diploma ITP non ha valore abilitante né tale valore può desumersi dal decreto ministeriale 30 giugno 1998 n. 39 in quanto tale decreto si è limitato ad ordinare le classi di concorso e, pertanto, non sussistono i presupposti giuridici perché gli insegnanti in possesso del diploma in esame abbiano diritto all'iscrizione nelle graduatorie di circolo e di istituto di seconda fascia. Quanto alla Direttiva 2005/36/CE, come recepita dal d.lgs. n. 206 del 2007, essa non ha escluso che lo Stato membro possa subordinare l'accesso a una professione regolamentata al possesso di determinate qualifiche professionali. Il Tar ha altresì osservato che non emerge un contrasto tra la disciplina europea e la normativa nazionale sul tema, posto che la disciplina dei titoli abilitanti rimane di competenza dell'ordinamento nazionale e posto che i requisiti necessari per lo svolgimento dell'attività di insegnante e la loro subordinazione a un titolo abilitante non appaiono contrastare con puntuali disposizione di diritto europeo. I sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti. La sentenza appellata fa altresì riferimento alla circostanza che, per quanto concerne la predisposizione di percorsi abilitanti, l'eventuale mancata previsione di percorsi non sostituisca l'abilitazione né si traduca nell'irrilevanza del titolo abilitativo ai fini della partecipazione al concorso o dello svolgimento dell'attività . L'abilitazione costituisce, infatti, un requisito per l'iscrizione cui segue lo svolgimento dell'attività didattica, individuando l'ordinamento giuridico altri strumenti per tutelare la situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti (silenzio inadempimento, risarcimento del danno). 2. Gli appellanti premettono di essere tutti insegnanti tecnico pratici - in sigla ITP e ritengono di essere in possesso di un titolo di studio idoneo ai fini dell'insegnamento tecnico-pratico negli istituti di istruzione secondaria per le classi di concorso di cui alla Tab. C del D.M. 30 gennaio 1998, n. 39, oggi Tabella B del D.P.R. n. 19/2016. Lamentano violazione del combinato disposto degli artt. 5, comma 3, del d. m. 131/2007 e dell'art. 22, comma 2, del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 59. Violazione dell'articolo 2, comma 4-ter, della legge 06 giugno 2020, n. 41. Osservano che il Ministero, con l'ordinanza n. 60 del 10 luglio 2020 ha emanato disposizioni specifiche per disciplinare l'aggiornamento delle Graduatorie Provinciali per le Supplenze da disporre sui posti vacanti in organico di diritto (con scadenza al 31 agosto) e sui posti vacanti in organico di fatto (con scadenza al 30 giugno). Nel far ciò il Ministero dell'Istruzione avrebbe violato il criterio discretivo utilizzato dal regolamento emanato con il DM 131/2007 per la collocazione nelle diverse fasce delle graduatorie valide per il conferimento delle supplenze. Ai sensi dell'art. 5, comma 3, del DM 131/2007, ciò che distingueva gli insegnanti collocati nella seconda oppure nella terza fascia delle graduatorie d'istituto, infatti, era il possesso (o il mancato possesso) di un titolo valido per partecipare ai concorsi a cattedre: nell'ultima fascia delle graduatorie, più precisamente, trovavano collocazione gli insegnanti che - pur in possesso del titolo di studio d'accesso alla professione docente ai sensi del D.M. 30 gennaio 1998, n. 39, oggi D.P.R. n. 19/2016 - non potevano partecipare ai concorsi a cattedre riservati agli abilitati; nella fascia gerarchicamente superiore di tali graduatorie, invece, potevano accedere i docenti in possesso del titolo valido per la partecipazione ai concorsi: ossia l'abilitazione o altra "idoneità al concorso" (cioè altro titolo valido per la partecipazione al concorso). Ciò significa, secondo gli appellanti, che il Ministero dell'Istruzione, nel disciplinare le nuove GPS, avrebbe dovuto utilizzare il medesimo criterio discretivo previsto dal regolamento per le supplenze, collocando nella medesima prima fascia tutti i docenti in possesso del titolo di studio valido per partecipare ai concorsi. E, quindi, non soltanto gli insegnanti abilitati, ma anche gli insegnanti tecnico-pratici in possesso di un titolo di studio interinalmente valido per accedere alle procedure selettive. Secondo gli appellanti gli insegnanti tecnico pratici sarebbero assoggettati a un regime derogatorio e transitorio ai fini dell'accesso all'insegnamento richiesto e per la partecipazione ai concorsi a cattedre. Il titolo di studio degli insegnanti tecnico pratici, infatti, sarebbe titolo idoneo per l'accesso all'insegnamento richiesto ai sensi della tabella C del decreto ministeriale n. 39 del 30 gennaio 1998 e valido per la partecipazione al concorso a cattedre già ai sensi dell'art. 402 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Richiamano l'art. 3, comma 2, del d p r n. 19/2016, recante disposizioni per il riordino delle classi di concorso, che, nell'abrogare per incorporazione la tabella c del dm del 30 gennaio 1998, ha espressamente stabilito che (...) il possesso dell'idoneità all'insegnamento in una delle classi di concorso di cui alla tabella c, allegata al decreto del ministro della pubblica istruzione 30 gennaio 1998, costituisce titolo per la partecipazione ai concorsi per titoli ed esami. Chiedono in via subordinata la condanna del ministero dell'istruzione - come risarcimento del danno in forma specifica - ad attivare i percorsi ordinamentali di abilitazione per gli insegnanti tecnico pratici. I ricorrenti, infatti, affermano che non hanno mai potuto conseguire il titolo di abilitazione per fatto e colpa dell'amministrazione oggi resistente. Il Ministero dell'Istruzione, infatti, non ha mai attivato i percorsi di abilitazione ordinamentali (cioè aperti a tutti i docenti in possesso del titolo di studio) per gli insegnanti tecnico-pratici. Tale situazione risulterebbe illegittima ed ingiusta in quanto, in base all'art. 2, L. n. 244/2007 e al D.M. n. 249/2010, gli ITP, al pari dei docenti laureati che prestano insegnamenti teorici, hanno diritto di conseguire un'adeguata formazione, strumentale all'ottenimento dell'abilitazione, e, quindi, avevano ed hanno pieno titolo a poter partecipare ai corsi T.F.A. ordinari. Gli appellanti richiamano decisioni del giudice amministrativo con cui sono stati dichiarati illegittimi i decreti istitutivi dei PAS regolamentati dal D.M. 25.3.2013 n. 81, con particolare riferimento proprio al computo dell'anzianità di servizio ai fini dell'integrazione dei requisiti di ammissione (540 giorni in tre anni con il minimo di 180 all'anno), che ne avevano ridotto sensibilmente la fruibilità (cfr., in specie, Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2015, n. 4751). 3. Gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe. hanno rinunciato all'appello, come da note depositate in giudizio rispettivamente in data 12 agosto 2022 e 7 dicembre 2022. 4. Per gli altri appellanti l'appello è infondato. Deve essere confermata l'osservazione, contenuta nella sentenza appellata, riguardo la legittimità della differenza di trattamento per gli insegnanti tecnico-pratici tra requisiti richiesti ai fini della partecipazione ad una procedura concorsuale per la futura immissione in ruolo e quelli più stringenti richiesti per l'inserimento nelle graduatorie, mancando in quest'ultimo caso il filtro di una valutazione della preparazione professionale del docente (così Consiglio di Stato VII n° 810 del 25 gennaio 2023). Le disposizioni del D.P.R. n. 19 del 2016 individuano, in realtà, i titoli validi ai fini della partecipazione a procedure di carattere concorsuale e non invece ai fini dell'inserimento nelle graduatorie. Parimenti l'art. 22 del D. lgs. 13 aprile 2017 n. 59 (che sospende, a beneficio dei docenti ITP, l'obbligo di acquisire i 24 CFU sino all'a. s. 2024/2025, consentendo loro di partecipare alle tornate di reclutamento al pari dei docenti muniti di abilitazione all'insegnamento) fa esclusivo riferimento alle procedure concorsuali e non all'inserimento nelle graduatorie. Tale esito ermeneutico non appare contrario alla Costituzione. Va infatti considerata una sostanziale differenza tra i soggetti provvisti di abilitazione e quelli che invece ne siano privi, ai fini dell'accesso diretto all'insegnamento, anche se, come invocato dagli appellanti, siano stati svolti tre anni di servizio. L'abilitazione è, infatti, il titolo che attesta il conseguimento di quel complesso di conoscenze e abilità che rende un diplomato o un laureato un vero e proprio docente ed è, quindi, ragionevole e non discriminatoria (oltre che rispondente al principio di buon andamento dell'azione amministrativa) la scelta di consentire solo ai soggetti che di tale titolo siano muniti la possibilità di accedere in via diretta all'insegnamento. Né a conclusioni diverse induce la circostanza che i percorsi abilitanti non sarebbero in concreto stati attivati per le suddette categorie di docenti. D'altro canto l'azione subordinata di condanna per l'attivazione dei percorsi di abilitazione aperta a tutti gli insegnanti tecnico - pratici è infondata, considerando che l'amministrazione ha emanato il decreto dipartimentale n. 497 del 21 aprile 2020 (i cui termini sono stati prorogati con decreto direttoriale del 1 luglio 2020), avente ad oggetto la procedura per l'accesso ai percorsi di abilitazione all'insegnamento, aperta anche agli insegnanti tecnico - pratici. La possibilità di partecipare ai concorsi per l'insegnamento, cui fa riferimento parte appellante, è giustificata dalla circostanza che comunque in tal caso vi sarebbe una verifica di idoneità all'insegnamento operata attraverso il filtro della procedura concorsuale. Diversamente, l'inserimento nelle graduatorie consente l'accesso diretto all'insegnamento. Tale disciplina non si presta a dubbi di costituzionalità, in base alla consolidata lettura del principio di eguaglianza, che non esclude l'introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti (cfr. Corte Cost. 28 marzo 1996, n. 89 e 24 ottobre 2014, n. 241). Nella situazione in esame, appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di "precariato storico", per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l'attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi (considerando - in caso di trasformazione del rapporto di lavoro - le vicende del precedente rapporto a termine come intervenute in un unico contratto a tempo indeterminato sin dall'origine: Corte di Giustizia, 13 settembre 2007, C-307/05, Del Cerro Alonso). Il collegio osserva che le disposizioni normative in esame sono coerenti con la disciplina comunitaria, in quanto appunto volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato. Ove le tesi difensive in esame fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del perseguimento del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibile; nella presente sede di giudizio di legittimità, pertanto, è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza ulteriori problematiche a livello costituzionale o comunitario (così Consiglio di Stato VII n° 2852 del 14 aprile 2022). Inoltre i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento, limitandosi al più a imporre il riconoscimento delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, nel rispetto delle procedure di selezione e di reclutamento vigenti. In conclusione: - riguardo gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe. l'appello viene dichiarato estinto per rinuncia; - per gli altri appellanti l'appello deve essere respinto. Spese del grado d'appello compensate come in primo grado. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto: dichiara l'estinzione dell'appello per rinuncia riguardo gli appellanti Sa. Fe. e Do. Ir. Fe.; per gli altri appellanti respinge l'appello. Spese dell'appello compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Daniela Di Carlo - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere, Estensore Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7842 del 2022, proposto dai signori Lu. Ba. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Cl. Ga., Re. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Inps, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Da. Ma. e Pi. Me., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 14/2022. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Inps; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2023 il Cons. Ugo De Carlo e uditi per le parti gli avvocati Ma. Da., Me. Pi. e Va. Mi. in delega degli avv.ti Ga. e Fi..; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La controversia concerne la corretta individuazione della base di calcolo del trattamento di fine servizio (t.f.s.), c.d. indennità di buonuscita, spettante ai dipendenti del comparto statale. In particolare, si tratta di stabilire se, agli ex dipendenti del corpo della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri, congedati a domanda, spetti o no la maggiorazione dei sei scatti stipendiali di cui all'art. 6 bis d.l. 387/1987. 2. Gli appellanti, ex appartenenti alla Guardia di Finanza, ed all'Arma dei Carabinieri, hanno adito il TAR per chiedere l'accertamento del loro diritto al riconoscimento di sei scatti contributivi fra le voci computabili al fine della liquidazione del trattamento di fine servizio e, per l'effetto, la condanna dell'amministrazione resistente alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita, mediante l'inclusione nella relativa base di calcolo dei sei scatti stipendiali contemplati dall'art. 6 bis d.l. 387/1987. In particolare, gli stessi censuravano i provvedimenti di liquidazione dell'INPS in quanto ritenevano di aver diritto all'inclusione, nel computo della base di calcolo, dei sei scatti stipendiali. Ad avviso di questi, infatti, il diritto sussiste, anche per il personale congedatosi a domanda, in presenza dei due requisiti, previsti dal comma 2 dell'art. 6 bis: i) il compimento dei 55 anni di età ; ii) lo svolgimento di un servizio utile superiore a 35 anni. 3. In fatto occorre precisare che tutti i ricorrenti in primo grado risultano congedati a domanda, inoltre, come emerge dal ricorso in primo grado, ognuno di loro ha presentato presso gli uffici preposti apposita diffida volta ad ottenere l'inclusione dei sei scatti nel computo della base di calcolo del T.F.S. Tuttavia, l'INPS ha sostenuto che la maggiorazione della base di calcolo spetti solo al personale che ha cessato la funzione "per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto". 4. Con la sentenza n. 14 del 2022, il Tribunale adito ha rigettato il ricorso ritenendo che i ricorrenti non abbiano diritto al pagamento dell'indennità di buonuscita. In particolare, ad avviso del giudice di prime cure, il riferimento normativo non è quello dell'art. 6 bis d.l. 387/87, bensì l'art. 4 d.lgs. 165/97, il quale prevede il riconoscimento dei sei scatti stipendiali anche per il personale del Corpo della Guarda di Finanza purché i loro collocamento in congedo non sia avvenuto a domanda oppure, se avvenuto a domanda, previo pagamento della restante contribuzione previdenziale. Inoltre, a detta del giudice di prime cure, non sarebbe valorizzabile l'osservazione per cui l'art. 4 sarebbe applicabile solo alla base pensionabile in quanto, guardando alla sua ratio, si dovrebbe applicare anche all'indennità di buonuscita. Ancora, proprio l'applicazione all'indennità di buonuscita del requisito del pagamento della restante parte previdenziale si porrebbe in linea con i principi di pareggio del bilancio e di sostenibilità finanziaria. Infine, non varrebbe neanche l'applicazione dell'art. 1911 del c.o.m. il quale, pur prevedendo che l'art. 6 bis si applichi anche agli ex dipendenti della Guardia di Finanza (forze di polizia a ordinamento militare), in realtà, sarebbe il frutto di un difetto di coordinamento tra le norme dal momento che dal momento che: a) da un lato l'articolo 6 bis non è mai stato applicabile al personale delle forze di polizia a ordinamento militare, al quale era invece applicabile la disciplina citata dell'articolo 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987; b) ove l'intenzione del legislatore fosse quella di rendere applicabile l'articolo 6-bis al personale delle forze di polizia a ordinamento militare, l'articolo 2268 d.lgs. 66/2010 avrebbe disposto l'abrogazione della norma dell'articolo 1, comma 15 bis citato, mentre ha abrogato soltanto la disposizione dell'articolo 11 l. 231/1990 che l'aveva sostituto così facendo rivivere il testo originario. 5. Avverso tale pronuncia gli ex dipendenti hanno proposto ricorso in appello con un unico motivo articolato in diversi punti. 6. Il ricorso in appello si incentra sulla errata applicazione dell'art. 6 bis d.l. 387/1987, dell'art. 1 comma 15 bis, d.l. 379/1987, e dell'art. 4 d.lgs. 165/1997. In primo luogo, le parti appellanti censurano la pronuncia del giudice di primo grado nella parte in cui ritiene applicabile, al caso di specie, l'art. 1 comma 15 bis, d.l. 379/1987. Infatti, a parere delle parti appellanti, la norma in parola non trova più cittadinanza nell'ordinamento essendo stata integralmente sostituita dall'art. 11 l. 231/1990 il quale, a sua volta, è stato abrogato. Del pari, sarebbe errata la pronuncia di prime cure nella parte in cui esclude l'applicazione dell'art. 4, comma 1 e 2, d.lgs. 165/1997 dal momento che la norma prevede, per coloro che cessano il servizio a domanda, il riconoscimento della maggiorazione dei sei scatti stipendiali attraverso il pagamento della relativa contribuzione previdenziale. Tuttavia, non sarebbe previsto alcun obbligo di versamento per la buonuscita, rimanendo il beneficio a carico della fiscalità generale. D'altra parte, osservano gli appellanti, anche se così non fosse, i militari non potrebbero produrre alcuna prova dell'avvenuto versamento considerato che l'INPS non ha operato alcuna determinazione circa la commisurazione di un siffatto onere contributivo. Infine, gli appellanti censurano il giudice di prime cure per aver negato l'applicazione dell'art. 6 bis, comma 1, d.l. 387/1987, le cui disposizioni sarebbero ancora vigenti essendo richiamate dal c.o.m. In particolare, l'art. 1911, comma 3, dispone che "al personale delle Forze di polizia a ordinamento militare continua ad applicarsi l'articolo 6-bis, del decreto legge 21 settembre 1987, n. 387, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 1987, n. 472". Infine, tale previsione troverebbe la sua ratio nell'intento del legislatore di perseguire il fine di equiparazione del trattamento economico delle diverse forze di polizia. 7. Si è costituito in appello l'INPS che ha concluso per i lrigetto dell'appello. 8. All'udienza del 14 marzo 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 9. Ritiene il Collegio che l'appello sia fondato. 11. Nel merito, con l'unico motivo di ricorso, l'appellante ha dedotto l'erroneità della sentenza nella parte in cui il TAR ha ritenuto non applicabile agli appellati i benefici previsti all'art. 4 d.l. 157/97, che prevedono l'inclusione di sei scatti stipendiali nella base di calcolo della buonuscita, in forza dell'art. 6 bis d.l. 387/1987. 11. Il motivo è fondato. 12. Con l'art. 13 l. 804/1973 (poi abrogato dall'art. 2268, comma 1 n. 682, d.lgs. 66/2010) sono stati attribuiti ai generali ed ai colonnelli della Guardia di finanza nella posizione di "a disposizione", all'atto della cessazione dal servizio, "sei aumenti periodici di stipendio in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante", in luogo della promozione, soppressa dall'art. 1 della stessa legge, "ai fini della liquidazione della pensione e dell'indennità di buona uscita, in luogo della soppressa promozione alla vigilia". 12.1. Detto meccanismo è stato successivamente previsto a favore di tutti gli ufficiali con l'art. 32 comma 9 bis l. 224/1986 (poi abrogato dall'art. 67, comma 3, d.lgs. 69/2001) quale facoltà che gli stessi possono esercitare a determinate condizioni. In particolare essi possono chiedere, in luogo della promozione attribuita il giorno precedente la cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età, l'attribuzione di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita ("A tutti gli ufficiali è data la facoltà di chiedere in luogo della promozione di cui al comma l'attribuzione, dal giorno antecedente la cessazione dal servizio, di sei scatti aggiuntivi di stipendio ai soli fini pensionistici e della liquidazione della indennità di buonuscita"). 12.2. Ai sensi dell'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, come sostituito dall'art. 11 l. 231/1990, l'attribuzione di sei scatti pensionistici ai soli fini pensionistici e della liquidazione dell'indennità di buonuscita viene estesa "ai sottufficiali delle Forze armate, compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi della legge 22 luglio 1971, n. 536, ed ai marescialli maggiori e marescialli maggiori aiutanti ed appuntati" ma nel solo caso di cessazione dal servizio per età o di inabilità permanente o di decesso. Non è quindi compresa l'ipotesi di cessazione dal servizio a domanda. L'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987 è formalmente ancora in vigore perché non espressamente abrogato dal d.lgs. 66/2010. Tuttavia, il c.o.m. ha espressamente abrogato l'art. 11 l. 231/1990 che ha sostituito l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987. 12.3. Ora, si deve escludere che l'abrogazione di una disposizione che novella una precedente disposizione faccia rivivere la disposizione originaria. Per l'effetto, non può ritenersi che l'abrogazione dell'art. 11 l. 231/1990, che ha sostituito l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione. Piuttosto, si deve ritenere che il c.o.m., nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990, abbia inteso abrogare anche l'art. 1 comma 15 bis, d.l. n. 379/1987 che, pertanto, non è più in vigore, venendo meno l'esclusione della cessazione dal servizio a domanda. La reviviscenza infatti, come già espressamente statuito da una sentenza del 2022 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, a proposito della norma contenuta nell'art. 1, comma 15 bis, d.l. n. 379/1987, in base alla quale una norma cronologicamente abrogata riprende a esplicare effetti al venir meno del fatto o dell'atto che ne ha determinato l'abrogazione, è istituto di carattere eccezionale. 12.4. Si aggiunge che il Codice dell'ordinamento militare, nell'abrogare l'art. 11 l. 231/1990 ha, altresì, statuito quale disciplina applicare al trattamento di fine rapporto per mezzo dell'art. 1911. Pertanto, difetta, nel caso di specie, la condizione minima per poter ritenere che l'abrogazione dell'art. 11 l. 231/1990, che ha sostituito l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, abbia determinato la riviviscenza della disposizione nell'originaria formulazione, che si deve ritenere piuttosto abrogata anch'essa. 12.5. Ciò premesso è chiaro il motivo per cui l'art. 1911 comma 3 c.o.m. faccia permanere in vigore, per tutte le forze di polizia, l'art. 6 bis d.l. n. 387/1987. L'istituto dell'attribuzione di sei scatti è stato esteso dall'art. 6 bis d.l. 387/1987, modificato da ultimo dall'art. 21, comma 1, l. 231/1990, nel quadro della progressiva omogeneizzazione del trattamento economico e previdenziale di tutto il personale del comparto difesa e sicurezza, "al personale della Polizia di Stato appartenente ai ruoli dei commissari, ispettori, sovrintendenti, assistenti e agenti, al personale appartenente ai corrispondenti ruoli professionali dei sanitari e del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica ed al personale delle forze di polizia con qualifiche equiparate". Detta previsione di legge è intervenuta in modo organico in merito all'istituto dell'attribuzione dei sei scatti contributivi ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita al personale delle forze di polizia. L'introduzione della disciplina recata dall'art. 6 bis d.l. 387/1987 si accompagna infatti all'abrogazione delle previsioni di legge sopra citate, che per prime hanno introdotto l'istituto. Invero, come anticipato, l'art. 13 l. 804/1973 è stato abrogato dall'art. 2268, comma 1 n. 682), d.lgs. 66/2010, come modificato dal numero 7) della lettera p) del comma 1 dell'art. 9 del d.lgs. 29/ 2012; l'art. 32, comma 9 bis, l. 224/1986 è stato abrogato dall'art. 67, comma 3, d.lgs. 69/2001 e l'art. 1, comma 15 bis, d.l. 379/1987, così come sostituito dall'art. 11 l. 231/1990, è stato abrogato dall'art. 2268, comma 1 n. 872), d.lgs. 66/2010. Quanto all'ambito di applicazione dell'art. 6 bis d.l. 387/1987, la nozione di forze di polizia, ivi richiamata, è ampia e si delinea anche in ragione della funzione del d.l. 387/1987, delineata dall'art. 1 nel senso di disporre l'estensione dei benefici economici previsti del d.P.R. 150/1987, di attuazione dell'accordo intervenuto in data 13 febbraio 1987 tra il Governo e i sindacati del personale della Polizia di Stato, all'Arma dei carabinieri, al Corpo della guardia di finanza, al Corpo degli agenti di custodia e al Corpo forestale dello Stato, che, del resto, compongono le forze di polizia ai sensi dell'art. 16 della legge 121/1981. Quest'ultima norma, benché inserita nella legge 121/1981, recante "Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza", è espressamente richiamata, al fine di definire la categoria delle forze di polizia, dal precedente art. 6 d.l. 387/1987, così potendosi utilizzare al fine di stabilire il portato della nozione di forze di polizia anche ai fini dell'applicazione del richiamato art. 6 bis. Del resto il d.P.R. 150/1987 (di cui appunto è disposta l'estensione con l'art. 6 bis d.l. 387/1987) si applica "al personale dei ruoli della Polizia di Stato" (art. 1), senza distinguere fra appartenenti all'ordinamento civile e appartenenti all'ordinamento militare. Sicché l'ambito di applicazione soggettivo della disposizione di cui all'art. 6 bis d.l. 387/1987 comprende gli appartenenti alle forze di polizia aventi qualifiche equiparate a quelle citate in detto articolo, senza distinguere fra appartenenti all'ordinamento civile e appartenenti all'ordinamento militare. Quanto all'ambito oggettivo di applicazione esso è delineato da una duplice previsione. Ai sensi del comma 1 sono attribuiti, "ai fini del calcolo della base pensionabile e della liquidazione dell'indennità di buonuscita", e in aggiunta a qualsiasi altro beneficio spettante, sei scatti ciascuno ("del 2,50 per cento da calcolarsi sull'ultimo stipendio ivi compresi la retribuzione individuale di anzianità e i benefici stipendiali di cui agli articoli 30 e 44 L. n. 668/1986, art. 2 commi 5-6-10 e art. 3 commi 3 e 6 del presente Decreto") al personale che "che cessa dal servizio per età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio o perché deceduto". Il comma 2 estende l'attribuzione dei sei scatti "al personale che chieda di essere collocato in quiescenza a condizione che abbia compiuto i 55 anni di età e 35 anni di servizio utile", con la precisazione che "la domanda di collocamento in quiescenza deve essere prodotta entro e non oltre il 30 giugno dell'anno nel quale sono maturate entrambe le predette anzianità ; per il personale che abbia già maturato i 55 anni di età e trentacinque anni di servizio utile alla data di entrata in vigore della presente disposizione, il predetto termine è fissato per il 31 dicembre 1990". 12.6 L'art. 4 d.lgs. 165/1997 dispone l'attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 d.lgs. 503/1992, che riguarda l'importo della pensione: al comma 1 con riferimento ai casi di cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e al comma 2 con riferimento al personale che cessa dal servizio a domanda, ma previo pagamento della restante contribuzione previdenziale, calcolata in relazione ai limiti di età anagrafica previsti per il grado rivestito. Detta disposizione di applica ai soli fini del calcolo della base pensionabile, come si evince dalla lettera della disposizione ("sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile (...)") e al riferimento all'articolo 13 del d.lgs. 503/1992, che riguarda l'importo della pensione. L'art. 4 d.lgs. 165/1997 non modifica pertanto il regime di calcolo dell'indennità di buonuscita in relazione, per quanto rileva nella presente controversia, all'attribuzione dei sei scatti contributi di cui all'art. 6 bis d.l. 387/1987. 12.7. Nel quadro così delineato, che vede l'applicazione dell'istituto de quo al trattamento di fine rapporto del personale delle forze di polizia ai sensi dell'art. 6 bis d.l. 387/1987, trova la propria ragion d'essere l'art. 1911, comma 3, d.lgs. 66/2010. Detta disposizione, che si applica a tutte le forze di polizia ad ordinamento militare in ragione della collocazione della stessa all'interno del Codice dell'ordinamento militare, dispone, con riferimento all'attribuzione dei sei aumenti periodici di stipendio, che "continua ad applicarsi l'articolo 6 bis, 387/1987 ai soli fini del trattamento di fine rapporto. Il Codice dell'ordinamento militare non si è quindi limitato a non innovare, ma ha sottolineato la perdurante vigenza, con riferimento alle forze di polizia ad ordinamento militare del regime in vigore per il calcolo dell'indennità di fine rapporto degli appartenenti alle forze di polizia, così come delineato dell'art. 6 bis d.l. 387/1987, che comprende, come visto, sia gli appartenenti all'ordinamento militare, sia gli appartenenti all'ordinamento civile delle forze di polizia. Considerato il quadro normativo sopra delineato, neppure può essere richiamata, in ausilio di una diversa interpretazione, la giurisprudenza costituzionale volta a preservare la sostenibilità del sistema previdenziale. A fronte di una espressa previsione di legge non può infatti essere utilizzata l'attività interpretativa, anche se costituzionalmente orientata, al fine di attribuire alla medesima un contenuto opposto. E ciò neppure se la Corte costituzionale abbia ribadito la legittimità degli interventi normativi finalizzati a modificare in senso peggiorativo i trattamenti pensionistici, in nome del principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie, o abbia modificato l'orientamento precedente volto ad adeguare, a livello interpretativo, le disposizioni meno favorevoli a quelle più favorevoli. D'altronde, atteso che è lo stesso contenuto dell'art. 6 bis d.l. 387/1987 ad essere applicabile al caso di specie, non può affermarsi che sia l'interpretazione estensiva del medesimo a violare l'art. 81 Cost. e ciò anche considerando il principio di discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni sociali, che consente di "aggredire" la scelta del legislatore sulla base del solo canone dell'irragionevolezza, rispetto al quale non sono stati dedotti argomenti a suffragio. 12.8. Sussistono quindi i presupposti perché gli appellati, già ricorrenti in primo grado, beneficino, in quanto militari appartenenti alla Guardia di finanza, dell'istituto di cui all'art. 6 bis d.l. 387/1987, dovendosi quindi riformare la sentenza gravata. 13. In conclusione, l'appello deve essere accolto, con conseguente riforma integrale della sentenza impugnata. 14. Le spese di giudizio possono compensarsi in considerazione anche dell'orientamento giurisprudenziale non univoco sulla questione di diritto sottesa al presente contenzioso. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accerta il diritto degli appellanti alla rideterminazione dell'indennità di buonuscita nel senso precisato in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati: Gianpiero Paolo Cirillo - Presidente Francesco Frigida - Consigliere Antonella Manzione - Consigliere Carmelina Addesso - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6212 del 2022, proposto da Du. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. Ma. e Da. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fi. Ma. in Roma, corso (…); contro Agenzia delle Entrate, Ader - Agenzia delle Entrate - Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; nei confronti L’Op. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Fo. Servizi Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…); Bo. S.p.a., ed altri, non costituite in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda) n. 7324 del 2022, resa tra le parti.   Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate e di Ader - Agenzia delle Entrate – Riscossione, di L’Op. S.p.a. e di Fo. Servizi Società Cooperativa; Viste le memorie delle parti; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2023 il Cons. Elena Quadri e uditi per le parti l’avvocato Mo., l’avvocato dello Stato Gu., l’avvocato To. su delega di Br. e l’avvocato Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO Con il ricorso di primo grado Du. Se. S.r.l. ha impugnato: - il provvedimento del 3 gennaio 2022 con cui il direttore della direzione centrale logistica e approvvigionamenti dell’Agenzia delle entrate ha disposto l’aggiudicazione in favore della società cooperativa Fo. Servizi del Lotto n.1 (CIG 79299902C4) dell’appalto specifico indetto dall’Agenzia delle entrate per “l’affidamento dei servizi di pulizia e igiene ambientale per le sedi degli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione”- gara a cui Du. ha partecipato classificandosi in posizione non utile -; - la determina a contrarre adottata con delibera prot n. 7523 del 7 giugno 2019 e gli altri atti di indizione della gara; - la comunicazione di AdE del 2 dicembre 2020, con cui la stessa aveva dichiarato di voler proseguire le gare autonome; nonché in forza dei motivi aggiunti: - la comunicazione dell’Agenzia delle entrate, indirizzata alla Corte dei conti, avente ad oggetto “Autorizzazione all’acquisizione di beni e servizi in deroga alle procedure centralizzate che fanno riferimento alle convenzioni stipulate da Consip S.p.A.” e l’allegato documento contenente le “Valutazioni Economiche” e le relative appendici, volto a dettagliare le metodologie adottate dall’Agenzie delle entrate nella “Valutazione Adesione Convenzioni Consip e Conseguenze sulle procedure di gara avviate da Agenzia delle Entrate in proprio e in nome di Agenzia delle Entrate-Riscossione”. Ha, altresì, richiesto l’accertamento e la declaratoria dell’obbligo dell’Agenzia delle entrate di aderire alla convenzione stipulata dalla ricorrente con Consip S.p.a., relativa al lotto n. 1, con conseguente condanna della stessa Agenzia delle entrate a disporre il subentro della ricorrente nel servizio, eventualmente previa declaratoria di inefficacia e/o nullità del contratto, ove medio tempore stipulato. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha dichiarato irricevibile il ricorso con sentenza n. 7324 del 2022, appellata da Du. Se. S.r.l. per il seguente motivo di diritto: I) error in iudicando in relazione alla tardività del ricorso. L’appellante ha, altresì, riproposto in appello i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal Tar. Si sono costituite per resistere all’appello Agenzia delle Entrate e Ader - Agenzia delle Entrate Riscossione, L’Op. S.p.a. e Fo. Servizi Società Cooperativa. Successivamente le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive conclusioni. All’udienza pubblica del 16 febbraio 2023 l’appello è stato trattenuto in decisione. DIRITTO Giunge in decisione l’appello proposto da Du. Se. S.r.l. contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 7324 del 2022 che ha dichiarato irricevibile il suo ricorso per l’annullamento del provvedimento del 3 gennaio 2022 con cui il direttore della direzione centrale logistica e approvvigionamenti dell’Agenzia delle entrate ha disposto l’aggiudicazione in favore della società cooperativa Fo. Servizi del Lotto n.1 (CIG 79299902C4) dell’appalto specifico indetto dall’Agenzia delle entrate per “l’affidamento dei servizi di pulizia e igiene ambientale per le sedi degli uffici dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione”- gara a cui Du. ha partecipato classificandosi in posizione non utile -, e degli altri atti di indizione della gara. La gara era suddivisa in 13 lotti territoriali, dei quali il lotto 1 che viene in rilievo ai fini del presente ricorso – di importo pari ad € 9.819.894,43 – riguardava gli uffici di AdE e AdER siti nelle regioni Valle d’Aosta e Piemonte. AdE aveva indetto la gara sul presupposto secondo cui “non sono presenti Convenzioni Consip idonee a soddisfare il fabbisogno in oggetto”. In primo grado la ricorrente aveva lamentato, essenzialmente, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 449, l. 27 dicembre 2006 n. 296; dell’art. 1, comma 1 e 3, l. 7 agosto 2012 n. 135; dell’art. 1, comma 510, l. 28 dicembre 2015 n. 208, nonché l’eccesso di potere per sviamento, difetto dei presupposti, difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità e irragionevolezza. Infatti, la stessa era risultata aggiudicataria, tra l’altro, del lotto ordinario n. 1 della gara Consip per “l’affidamento di servizi integrati, gestionali ed operativi, da eseguirsi negli immobili, adibiti prevalentemente ad uso ufficio, in uso a qualsiasi titolo alle pubbliche amministrazioni, nonché negli immobili in uso a qualsiasi titolo alle istituzioni universitarie pubbliche ed agli enti ed istituti di ricerca”, il quale riguardava i territori della Regione Liguria, per le province di Genova e La Spezia, e della Regione Piemonte, per le province di Asti, Novara, Vercelli, Alessandria, Biella, Verbano-Cusio-Ossola. Con l’atto di motivi aggiunti, invece, la ricorrente aveva lamentato l’invalidità e l’inutilizzabilità processuale degli atti impugnati in quanto privi di data, sottoscrizione e protocollo e, in subordine, aveva contestato le valutazioni economiche comparative compiute dall’Agenzia delle entrate, che sarebbero risultate fondate su una stima dei costi effettuata ex ante anziché ex post. La sentenza appellata ha ritenuto tardiva l’impugnazione svolta, sulla base del presupposto secondo cui: - “alla data del 10 dicembre 2021 (data di stipula delle convenzione FM4 lotto 1, n.d.r.) (…) la ricorrente ha preso a rivestire una posizione qualificata e differenziata rispetto a tutti gli altri operatori del settore che la legittimava all’impugnazione degli atti di indizione della gara oggetto del presente giudizio, che era stata bandita il 7 giugno 2019”; - “ciò, in quanto, all’evidenza, l’indizione e l’esecuzione dell’appalto oggi impugnato privano di rilevanza quello FM4 indetto da Consip per i territori per cui vi sia coincidenza, in quanto, per effetto del primo, non viene dato corso al secondo”. L’appellante deduce error in iudicando in relazione alla tardività del ricorso. Ed invero, per Du., l’azione di annullamento è subordinata alla coesistenza di due condizioni: da un lato, la legittimazione a ricorrere, ossia la titolarità della posizione giuridica da intendersi quale posizione sostanziale differenziata e qualificata in rapporto all’esercizio del potere amministrativo; dall’altro, l’interesse a ricorrere, ovverosia la concreta possibilità di perseguire un bene della vita in corrispondenza di una lesione diretta e attuale dell’interesse protetto. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, al momento della stipula della convenzione Consip Fm4 relativa al lotto 1 Du. era, in tesi, titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata e, quindi, della c.d. legittimazione ad agire, ma era invece priva di quell’interesse – concreto e attuale – che consente di agire in giudizio, dal momento che non si sarebbe ancora realizzata una lesione definitiva della propria posizione giuridica soggettiva, che si sarebbe concretizzato solo con l’aggiudicazione della gara. A sostegno di tale assunto l’appellante rileva come la scelta di indire una gara autonoma dipenda dalla valutazione discrezionale della stazione appaltante sull’opportunità di approvvigionarsi in autonomia. L’adesione alla convenzione, assume, infatti, carattere vincolante solo successivamente al confronto tra i prezzi della gara autonoma e quelli forniti da Consip: a mente della legge n. 135 del 2012, le amministrazioni obbligate ad aderire alle convenzioni quadro hanno facoltà di approvvigionarsi in autonomia di beni e servizi solo qualora siano in grado di stipulare un contratto a prezzi inferiori rispetto a quelli derivanti dal rispetto dei parametri di qualità e di prezzo degli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip. Ne conseguirebbe che soltanto a valle dell’espletamento di tale attività valutativa, l’atto d’indizione della procedura sarebbe stato capace di produrre effetti lesivi e solo allora sarebbe sorto l’interesse ad impugnare l’aggiudicazione della gara autonoma, in quanto atto in cui si concretizza la deroga alla gara Consip. Oggetto del ricorso di primo grado non sarebbe, dunque, il procedimento di gara ADE in sé, ma il suo esito, ossia la mancata o comunque illegittima comparazione dei costi rivenienti dalla suddetta gara e quella invece gestita da Consip. Ed una simile valutazione, che deve necessariamente prendere le mosse dalla comparazione delle offerte ricevute dalle concorrenti poi divenute aggiudicatarie, può essere compiuta solo a valle della procedura, ossia allorché ne sono conosciuti gli esiti. Di qui, ancora, l’esigenza di attendere l’aggiudicazione finale al fine di poter impugnare il risultato delle predette valutazioni comparative. Du. ripropone, poi, le censure di primo grado assorbite dal Tar. Fo. Servizi ripropone ex art. 101 c.p.a. le numerose eccezioni di inammissibilità già sollevate in primo grado, ed assume, altresì, l’infondatezza del ricorso, dei motivi aggiunti e dell’appello. L’Op. chiede il rigetto dell’appello, riproponendo l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado (di cui Du. eccepisce la tardività) e assumendone l’infondatezza, unitamente ai motivi aggiunti. L’appello è infondato nel merito, e il Collegio può pertanto prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle controparti. Ed invero, la lesione dell’interesse del ricorrente deve essere connotata dai caratteri dell’immediatezza, della concretezza e dell’attualità, cosiddette condizioni dell’azione, tra cui spicca l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. sub specie di interesse a ricorrere; pertanto, l’indizione della procedura ad evidenza pubblica renderà concreta ed attuale, dunque provocherà per la prima volta, la lesione. Sulla consistenza dell’interesse al ricorso è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che ha affermato: “Il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 7, 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite” (Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 9 dicembre 2021, n. 22). Tanto premesso, mentre la convenzione Consip è stata stipulata il 10 dicembre 2021, la presupposta aggiudicazione (sempre della gara Consip) è avvenuta in data antecedente al 20 novembre 2020 (come ben si evince dalla nota ADE del 2 dicembre 2020). Data questa in cui Du. informava ADE della ridetta aggiudicazione dell’appalto Consip, invitandola ad aderire alla successiva convenzione. ADE, con la citata nota del successivo 2 dicembre 2020, affermava chiaramente che: a) intendeva proseguire con le proprie gare autonome per inidoneità dei lotti Consip a soddisfare le proprie esigenze; b) era stata informata anche la Corte di conti circa l’intenzione di derogare alle suddette convenzioni Consip. Ciò, anche sulla base di una comparazione di costi già sostanzialmente effettuata in occasione della determinazione a contrarre, ossia della autorizzazione a procedere in deroga rispetto alla convenzione Consip. Dunque, già a quella data (2 dicembre 2020) Du. aveva ormai acquisito certezza circa il fatto che la convenzione che avrebbe poi stipulato con Consip per via della pregressa aggiudicazione non avrebbe comunque avuto alcun seguito, ossia un qualsivoglia effetto, con riguardo agli uffici ADE. La lesione si era radicata, quindi, ancor prima di quanto indicato dal TAR Lazio (10 dicembre 2021, data della stipula convenzione Consip), ossia nel momento in cui, pur a seguito dell’aggiudicazione della gara Consip, ADE aveva inequivocabilmente fatto presente, con nota del 2 dicembre 2020, che avrebbe applicato la deroga alla suddetta convenzione Consip proseguendo con le proprie gare autonome. Dunque, se nel mese di giugno 2019 Du. aveva avuto contezza della potenziale lesività del bando ADE, la lesività è poi divenuta concreta ed attuale allorché la stessa si è aggiudicata la gara Consip e, soprattutto, nel momento in cui ha avuto notizia da parte di ADE che quest’ultima avrebbe proseguito con la propria gara autonoma in quanto ritenuta di maggior convenienza rispetto a quella Consip. Di qui la evidente tardività del ricorso di primo grado, presentato circa quattordici mesi dopo tale momento. Una simile impostazione si rivela, tra l’altro, coerente con l’indirizzo secondo cui l’aggiudicazione di un appalto Consip è da ritenere sufficiente a radicare un interesse diretto ed attuale alla eliminazione di simili bandi autonomi. “La semplice pendenza di un procedimento di evidenza pubblica avente ad oggetto – nella prospettazione della ricorrente – il medesimo bene della vita da essa conseguito a seguito di aggiudicazione della gara CONSIP, di cui la stessa ricorrente aveva una conoscenza qualificata in qualità di partecipante anche a tale procedimento, ha effetti direttamente lesivi sulla posizione dell’aggiudicataria, indipendentemente dall’adozione del provvedimento terminale di quel procedimento … La prospettazione dell’appellante sconta il vizio logico di applicare alla fattispecie in esame gli schemi propri della competizione all’interno della medesima gara. L’aggiudicazione in favore di una controinteressata fa scattare l’onere d’impugnazione in capo alle altre partecipanti alla medesima gara, perché rende attuale e concretizza l‘effetto lesivo (consistente nella certezza di non potersela aggiudicare). Viceversa, ove un’impresa sia già titolare della posizione differenziata consistente nell’aggiudicazione in proprio favore di procedura selettiva relativa ad un determinato oggetto negoziale, la sola pendenza di altra procedura avente – in tesi – il medesimo oggetto si configura come lesiva, in concreto e nell’attualità, indipendentemente dall’adozione dell’atto conclusivo, perché la sola messa a gara di un servizio già aggiudicato, implicando la disposizione di un bene indisponibile (proprio perché già aggiudicato), espone l’aggiudicatario alla perdita della certezza giuridica propria dell’utilità provvedimentale conseguita”. In questi esatti termini: “bandire la gara … aveva l’effetto giuridico (immediato) di sottrarre il bene oggetto della stessa ad altre forme di disponibilità giuridica”. Pertanto: “all’atto dell’aggiudicazione in proprio favore della gara CONSIP l’odierna appellante vantava un interesse personale, diretto ed attuale all’eliminazione del bando” (quello relativo alla gara autonoma) (Cons. Stato, III, 29 ottobre 2021, n. 7248). La difesa di parte appellante afferma che l’interesse a ricorrere avverso tali gare autonome potrebbe concretizzarsi soltanto in esito alla comparazione finale dei costi della gara autonoma rispetto a quelli della gara Consip. Un simile obbligo sarebbe rinvenibile nell’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 95 del 2012, a norma del quale: “i contratti stipulati in violazione dell'articolo 26, comma 3 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 ed i contratti stipulati in violazione degli obblighi di approvvigionarsi attraverso gli strumenti di acquisto messi a disposizione da Consip S.p.A. sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”. Al riguardo, osserva il Collegio che nessuna norma impone alle stazioni appaltanti una simile comparazione finale o postuma dei prezzi (quelli della gara autonoma e quelli della gara Consip), neppure l’invocato art. 1 del decreto legge n. 95 del 2012. Unica disposizione che postula una certa comparazione di prezzi è quella di cui all’art. 1, comma 510, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), a norma del quale: “Le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA, ovvero dalle centrali di committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall'organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell'amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”. Trattasi in questo caso, ad ogni modo, di valutazione comparativa dei costi ex ante, da compiere in vista dell’adozione del bando di gara autonoma. Dunque, in ossequio al divieto di aggravio del procedimento amministrativo (cfr. art. 1, comma 2, della legge n. 241 del 1990), la stazione appaltante non avrebbe potuto introdurre un ulteriore passaggio istruttorio – si ripete non altrimenti previsto dalla normativa in tema di appalti, che pure si contraddistingue per la analiticità della procedura di aggiudicazione – che avrebbe sortito il non voluto effetto di ritardare ancor di più gli esiti della gara stessa (è nota invece l’esigenza di massima celerità e speditezza in tale peculiare settore). Del resto, trattandosi di principio generale (quello relativo al divieto di aggravio del procedimento amministrativo ed alla connessa speditezza e celerità in materia di appalti) ogni eccezione rispetto ad esso deve costituire il frutto di una espressa ed inequivoca disposizione di legge. Disposizione nel caso di specie non altrimenti rinvenibile, come ampiamente anticipato, almeno per quanto attiene alla invocata comparazione finale, ossia ex post, dei prezzi. Ciò, anche in linea con il principio di economicità dell’azione amministrativa (art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990) per cui si rivelerebbe del tutto illogico far bandire e soprattutto svolgere una pubblica gara (autonoma) per poi decidere di porla nel nulla in esito ad una valutazione comparativa dei prezzi soltanto finale, o ex post (e non piuttosto iniziale, ossia ex ante). Un tale modus operandi (svolgimento gara autonoma e valutazione comparativa prezzi solo finale) determinerebbe infatti un inammissibile spreco di risorse e di attività amministrativa, il che finirebbe per denotare una frizione procedimentale ancor più evidente ove soltanto si consideri il settore in cui si opera (appalti pubblici, per l’appunto). Di qui, la logicità e la ragionevolezza di una valutazione soltanto ex ante dei prezzi (comma 510 cit.) e non anche ex post, pena la ridetta violazione di fondamentali principi di economicità dell’azione amministrativa e di divieto di aggravio del procedimento. L’insieme delle disposizioni sostanziali e processuali dettate in materia di appalti pubblici esprime, d’altra parte, l’esigenza che ogni possibile questione sia decisa, anche in sede giurisdizionale, il prima possibile e senza ulteriori spendite di tempo, di risorse e di attività amministrativa, il tutto nella condivisibile ottica della massima speditezza e celerità. Dalla dimostrata sussistenza di un onere comparativo soltanto ex ante, dunque da effettuare in vista della deliberazione a contrarre ex art. 32, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016, discende l’applicazione degli orientamenti del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria (cfr. sentenza n. 4 del 26 aprile 2018) secondo cui l’indizione in sé della gara deve formare oggetto di immediata impugnazione a pena di inammissibilità del gravame. In ogni caso, anche a voler ritenere che nel caso di specie la stazione appaltante della gara autonoma (ADE) avesse imposto negli atti di gara (ed in particolare nel contratto allegato alla determina di indizione) una sorta di autovincolo circa la necessità di effettuare una valutazione comparativa dei prezzi sia ex ante (mediante delibera dei propri organi di direzione e successivo inoltre alla Corte dei conti) sia ex post (ossia all’esito della procedura di gara), occorre tuttavia rilevare che, come già anticipato, la valutazione ex ante effettuata in vista della gara e compendiata nella nota in data 2 dicembre 2020, in cui si richiamava anche la prescritta relazione alla Corte dei conti, esprimeva, in estrema sintesi, che i lotti Consip non sono in grado di coprire il fabbisogno nazionale di ADE, ciò anche alla luce della diversa “aggregazione regionale” tra centri di costo ADE e lotti Consip (che avrebbe dato luogo alla necessità di indire diverse “gare ponte”, nell’attesa di “ricucire” la distanza tra lotti Consip e strutture territoriali di ADE, il tutto con inevitabili aggravi gestionali e finanziari) e che la gara autonoma si rivela economicamente più vantaggiosa delle convenzioni Consip, anche sotto profili diversi da quello delle pulizie (es. facchinaggio). Emerge, dunque, chiaramente, sin da questa fase, la volontà inequivoca di ADE di fare ricorso al meccanismo derogatorio rispetto alla convenzione Consip, e ciò anche sulla base di una comparazione di costi in quel momento già effettivamente avvenuta. Ebbene, nella proposta di aggiudicazione del 30 dicembre 2021, in occasione della quale si fa riferimento ad una “compiuta comparazione tra le opzioni, in termini quali/quantitativi e di copertura”, si assiste non ad un riesame delle posizioni già assunte dai rispettivi comitati di gestione nel mese di febbraio 2019 (autorizzazione all’indizione in deroga di una gara autonoma), né ad una rivalutazione o riponderazione circa la legittimità ed opportunità della scelta già operata (nel senso di optare per la più conveniente gara autonoma), ma piuttosto alla mera cristallizzazione di quelle stesse valutazioni già effettuate, nel senso della maggiore convenienza delle gare autonome rispetto alle convenzioni Consip. Nella ridetta proposta di aggiudicazione non si effettua, dunque, una “nuova istruttoria”, ma si fornisce, semmai, ulteriore dimostrazione circa la bontà e la validità, attraverso ulteriori dati disponibili, delle valutazioni già espresse in sede di autorizzazione alla procedura in deroga (cfr. la citata nota del 2 dicembre 2020). In questa prospettiva, la ridetta proposta di aggiudicazione contiene, in parte qua (preferenza per la gara autonoma), una manifestazione di volontà non innovativa con cui la stazione appaltante si limita a ribadire una sua precedente determinazione, in questo caso ripetendone il contenuto mediante ulteriori dati quantitativi a disposizione. Le valutazioni effettuate in sede di aggiudicazione (30 dicembre 2021) costituiscono, quindi, mera conferma di quanto già a suo tempo ritenuto in sede di determinazione a contrarre da parte dei competenti organi dell’agenzia. Da tanto consegue che l’onere di impugnazione doveva essere riferito alla nota del 2 dicembre 2020 e non alla proposta di aggiudicazione del 30 dicembre 2021 (atto al più di mera conferma di valutazioni già chiaramente espresse). Dalle suesposte considerazioni discende la correttezza delle considerazioni espresse al riguardo dal giudice di primo grado (sebbene con motivazione parzialmente diversa, ossia con particolare riguardo al momento dell’aggiudicazione e non a quello della stipula della convenzione) e dunque la conferma della statuizione appellata di tardività del ricorso di primo grado. Ad ogni buon conto, il gravame si rivelerebbe, peraltro, infondato anche nel merito. Ed invero, non sussiste piena sovrapposizione tra le due procedure sul piano territoriale (nella invocata convenzione Consip manca tutta l’Emilia Romagna nonché alcune importanti province della Liguria tra cui Imperia e Savona). Onde far collimare in tal senso gare Consip e uffici regionali ADE sarebbe stato necessario fare ricorso a diverse “gare ponte” da parte di ADE, onde attendere gli esiti delle stesse gare Consip, e ciò con inevitabile aggravio di tempi e spreco di risorse anche finanziarie. Anche l’oggetto delle due gare non è sovrapponibile, come emerge dalla diversità di CPV; ed invero, le gare autonome ADE riguardano soltanto i servizi di pulizia, quelli effettivamente necessari alla stazione appaltante, mentre la gara Consip contempla anche la manutenzione degli immobili, i servizi di facchinaggio e quelli di reception (facility management o facility management light). Ed anche in quest’ultima fattispecie (FML), i servizi di pulizia non erano opzionabili da soli, ma esclusivamente insieme ad altri servizi. Anzi, nel FML i servizi di pulizia erano di regola esclusi, e per ottenerli, sempre comunque in un pacchetto con altri, bisognava proporre una specifica domanda. Nei suddetti termini, l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui “non è … in discussione che la commessa di ADE oggi impugnata abbia sostituito quella a suo tempo indetta da Consip ed aggiudicata a Du. Se.” non si rivela tra l’altro idonea a formare statuizione di merito soggetta a passare in giudicato (poiché non espressamente impugnata, con appello incidentale, dalle altre parti del giudizio) e ciò in quanto in quel momento lo stesso giudice di primo grado, nel rilevare la tardività e dunque la irricevibilità del gravame, si era già spogliato di ogni potestas iudicandi sul merito della causa. Sul piano della comparazione dei costi, ADE ha ipotizzato un risparmio di quasi tre milioni di euro rispetto alla convenzione Consip (cfr. proposta di aggiudicazione del 30 dicembre 2021) senza che sul punto la difesa di parte appellante abbia evidenziato profili di inattendibilità delle operazioni effettuate da ADE per manifesta illogicità dei criteri utilizzati o per palesi erroneità delle relative stime di calcolo, avendo effettuato, in proposito, solo generiche affermazioni, od essendosi limitata a sovrapporre il proprio giudizio rispetto a quello – connotato da discrezionalità tecnica – espresso dalla commissione di gara. Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza appellata di irricevibilità del ricorso di primo grado. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata di irricevibilità del ricorso di primo grado. Condanna l’appellante alla rifusione delle spese del giudizio nei confronti di Agenzia delle Entrate e Ader, di L’Op. S.p.a. e di Fo. Servizi Società Cooperativa, che si liquidano nella somma pari ad euro 2000 ciascuna, oltre ad oneri di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Rosanna De Nictolis, Presidente Valerio Perotti, Consigliere Stefano Fantini, Consigliere Giovanni Grasso, Consigliere Elena Quadri, Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 4180 del 2021, proposto da Da. El. To., rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); contro Università della Valle D'Aosta - Université De La Vallé e D'Aoste, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fa. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ch. Ro. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta, n. 64/2020, resa tra le parti Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Università della Valle D'Aosta - Université De La Vallé e D'Aoste; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 gennaio 2023 il Cons. Daniela Di Carlo e udito l'avvocato Fa. Ca. per l'Università appellata; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente, professore associato presso l'Università della Valle d'Aosta dal 1° marzo 2011, ha impugnato, chiedendone l'annullamento, i decreti rettorali n. 76/2018 (prot. n. 10909 del 28.9.2018) e n. 121/2019 (prot. n. 16243 del 5.11.2019) nella parte in cui, ai sensi dell'art. 103, comma 3, del d.P.R. 11 luglio 1980 n. 382, non gli riconoscono, ai fini di ricostruzione economica e di carriera, i seguenti servizi pre-ruolo: i) nell'anno accademico 1999/2000, in qualità di titolare di borsa di studio per attività lavorativa didattica e di perfezionamento scientifico presso l'Università degli Studi di Torino - Facoltà di Giurisprudenza (Decr. Dir. n. 874 del 15.6.2000); ii) dal 1 novembre 2000 al 31 ottobre 2002, in qualità di titolare di borsa di studio per attività lavorativa di ricerca presso l'Università degli Studi di Siena. 2. Il diniego è stato motivato dall'Università per la ragione che sono "coincidenti con il dottorato di ricerca". 3. Il TAR Valle d'Aosta ha respinto il ricorso, tuttavia compensando le spese di lite, con la motivazione che "il testuale riferimento normativo al "periodo" corrispondente al percorso dottorale e non già soltanto a quest'ultimo in quanto tale - unitamente al quadro sistematico sopra ricostruito ed al dato teleologico nel senso di considerare quell'arco temporale come fase di studio, ancorché affiancato da momenti lavorativi - comporta la sua integrale inutilizzabilità ai richiesti fini di ricostruzione di carriera". 4. Nell'appellare la sentenza, il ricorrente ha censurato la correttezza del percorso logico-giuridico seguito dal primo giudice, nella parte in cui ha considerato non decisiva la documentazione dalla quale risultava chiaramente la natura delle attività lavorative svolte dal ricorrente medesimo in forza delle menzionate borse di studio. In particolare, il ricorrente ha insistito nel dire che si trattava non di borse di sostegno per la frequentazione del ciclo di studi del dottorato, bensì per la prestazione di attività lavorativa in ambito accademico, e quindi certamente pertinenti con la formazione dottorale, ma estranee al ciclo di studi e compatibili con la sua frequenza. 5. L'Università della Valle d'Aosta ha resistito al gravame, instando per la conferma della sentenza impugnata. 6. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle relative tesi difensive. 7. All'udienza pubblica del 17 gennaio 2023, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8. Il Collegio ritiene che l'appello sia fondato. Più in particolare, si ritiene che siano decisive ai fini dell'accoglimento del gravame, le considerazioni che di seguito si espongono. È incontestato e risulta dai documenti di causa che il ricorrente abbia svolto i seguenti servizi: i) nell'anno accademico 1999/2000, in qualità di titolare di borsa di studio per attività lavorativa didattica e di perfezionamento scientifico presso l'Università degli Studi di Torino - Facoltà di Giurisprudenza (Decr. Dir. n. 874 del 15.6.2000); ii) dal 1 novembre 2000 al 31 ottobre 2002, in qualità di titolare di borsa di studio per attività lavorativa di ricerca presso l'Università degli Studi di Siena. In generale, le esperienze lavorative, anche quelle svolte a titolo precario, sono riconosciute ai fini della ricostruzione di carriera. Nello specifico, si tratta di stabilire se l'attività didattica e scientifica prestata dal ricorrente, in qualità di borsista presso le Università di Torino e Siena, durante la frequenza del corso di dottorato, sia computabile ai sensi dell'art. 103 del D.P.R. del 11 luglio 1980 n. 382. La suddetta norma prevede (commi 2 e 3) che "ai professori associati, all'atto della conferma in ruolo o della nomina in ruolo ai sensi del precedente art. 50, è riconosciuto per due terzi ai fini della carriera, il servizio effettivamente prestato in qualità di professore incaricato, di ricercatore universitario o di enti pubblici di ricerca, di assistente di ruolo o incaricato, di assistente straordinario, di tecnico laureato, di astronomo e ricercatore degli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, di curatore degli orti botanici e di conservatore di musei e per la metà agli stessi fini il servizio prestato in una delle figure previste dal citato art. 7 della legge 21 febbraio 1980, n. 28, nonché per un terzo in qualità di assistente volontario. Ai ricercatori universitari all'atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati, è riconosciuta per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera l'attività effettivamente prestata nelle università in una delle figure previste dall'art. 7, L. 21 febbraio 1980, n. 28 nonché, a domanda, il periodo corrispondente alla frequenza dei corsi di dottorato di ricerca ai soli fini del trattamento di quiescenza e previdenza con onere a carico del richiedente". Il quadro normativo è sufficientemente chiaro, adeguato e preciso nell'escludere il riconoscimento del dottorato ai fini di ricostruzione economica e di carriera, con la sola esclusione del diritto al trattamento di quiescenza e previdenza. Sulla base della menzionata normativa, non si ricava la diversa esegesi, pure propugnata dall'Amministrazione e ritenuta legittima dal primo giudice, secondo cui il limite legislativo opererebbe in generale per il periodo di svolgimento del percorso dottorale. Piuttosto, ad avviso del Collegio, è corretta l'esegesi secondo cui eventuali limiti legislativi devono intendersi relativi al riconoscimento del dottorato come esperienza formativa e alle borse di studio finalizzate alla sua frequenza, e non alle attività lavorative eventualmente svolte, a titolo precario, in modo autonomo, indipendente e non ancillare durante la frequenza del corso medesimo. Diversamente opinando, si arriverebbe a riconoscere omogeneità di trattamento giuridico a fattispecie palesemente differenti fra di loro, con conseguente violazione dei canoni della ragionevolezza e della proporzionalità, potendosi finanche dubitare della legittimità costituzionale di una previsione che reca un'ingiustificabile discriminazione tra soggetti caratterizzati da un rapporto di lavoro formalizzato e soggetti che, pur svolgendo servizi lavorativi equiparabili per natura ordinamentale ai servizi accademici, non siano inquadrati in alcuna categoria lavorativa. Nel caso all'esame, vengono in rilievo, sul piano materiale, servizi diversi dal dottorato, i quali, seppure incontestabilmente svolti durante il periodo di dottorato, non sono stati conferiti in ragione del dottorato, e dunque non possono essere qualificati nel senso che siano ancillari o dipendenti da esso. Il ricorrente ha affermato questa circostanza già durante lo svolgimento del procedimento e finanche in sede di istanza di riesame, senza che tuttavia l'Università abbia compiuto attività istruttoria per contestare la veridicità della stessa, ovvero per affermare l'omogeneità di detti servizi al percorso dottorale. 9. In definitiva, l'appello va accolto e, in riforma dell'impugnata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado e vanno annullati gli atti impugnati. 10. L'Università della Valle d'Aosta si rideterminerà sull'istanza esercitando la sua inesauribile discrezionalità, con i soli limiti derivanti dal presente giudicato, che si compendiano: i) nel dovere di appurare in contenuto materiale dell'attività compiuta dal ricorrente nei periodi di riferimento; ii) nell'interpretare ed applicare il quadro normativo di riferimento (art. 103, commi 2 e 3, del D.P.R. del 11 luglio 1980 n. 382) nel senso che i limiti ivi previsti dal legislatore debbono intendersi relativi al riconoscimento del dottorato come esperienza formativa e alle borse di studio finalizzate alla sua frequenza, e non alle attività lavorative svolte, a titolo precario, in modo autonomo ed indipendente durante la frequenza del corso medesimo, non essendo con esso incompatibili. 11. Le spese del doppio grado del giudizio possono compensarsi in considerazione della novità della questione trattata. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello n. 4180/2021, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e, in riforma dell'impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati. Fermi gli ulteriori provvedimenti, nei limiti dell'effetto conformativo illustrato al punto 10 della motivazione. Compensa le spese del doppio grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Roberto Giovagnoli - Presidente Daniela Di Carlo - Consigliere, Estensore Pietro De Berardinis - Consigliere Marco Morgantini - Consigliere Rosaria Maria Castorina - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2389 del 2019, proposto da: Regione autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ca. e Ma. Lu., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, (...) contro Ministero dell'economia e delle finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui sono domiciliati in Roma, via (...) nei confronti Regione Sicilia, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Regione autonoma Trentino-Alto Adige, Regione autonoma Valle D'Aosta, Provincia autonoma di Trento, Provincia autonoma di Bolzano, non costituite in giudizio per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 8923/2018. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in epigrafe; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Laura Marzano; Udito, nell'udienza straordinaria del giorno 3 febbraio 2023, l'avvocato Pa. Iv. D'A., in sostituzione dell'avvocato Ma. Lu., per la parte appellante; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Regione autonoma della Sardegna ha impugnato dinanzi al TAR Lazio la nota in data 23 luglio 2012, prot. n. 525437 del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni, Ufficio VIII, avente ad oggetto "Accantonamento ex art. 13, comma 17, e art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, e art. 35, comma 4, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, e art. 4, comma 11, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16", con la quale "si rendono noti gli accantonamenti che saranno effettuati nell'anno 2012 e a decorrere dall'anno 2013 per ciascuna autonomia speciale", nonché, fra gli atti presupposti, la nota del Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento delle finanze, del 9 agosto 2012, prot. n. 3244/2012/Uff. X, avente ad oggetto "Soppressione addizionale comunale e provinciale dell'accisa sull'energia elettrica". Con sentenza n. 8923 in data 8 agosto 2018, il TAR ha dichiarato improcedibile il ricorso. Tale sentenza è stata impugnata dalla Regione autonoma della Sardegna con l'appello in epigrafe. La Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia e delle finanze si sono costituiti nel presente grado di giudizio solo formalmente. All'udienza straordinaria del 3 febbraio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. L'appellante riporta come segue i fatti di causa. Con nota del 23 luglio 2012 il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato individuava i contributi straordinari di finanza pubblica per l'anno 2012 che gravano sulle Regioni a statuto speciale e sulle Province di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, dall'art. 35, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012 e dall'art. 4 del decreto legge n. 16 del 2012; a tale individuazione faceva seguito la ripartizione tra gli stessi Enti. La Regione autonoma della Sardegna ne lamentava innanzi al TAR Lazio l'illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere poiché lo Stato avrebbe imposto, a suo dire, oneri in misura superiore a quella prevista dalla legge, attraverso non già lo strumento del "contributo" versato dalla regione, bensì mediante "accantonamenti" diretti. Al contempo, la Regione Sardegna sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 del decreto legge n. 1 del 2012 e dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011. Su tali questioni, la Corte Costituzionale si pronunciava rispettivamente con sentenze n. 65 del 2015 e n. 82 del 2015. All'esito del giudizio, il TAR Lazio dichiarava il ricorso improcedibile rilevando che l'accordo di finanza pubblica stipulato tra la Regione Sardegna e il MEF, in data 21 luglio 2014, si è formato nel rispetto delle prerogative costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica nazionale. L'accordo, dunque, è dotato di forza propria e, conseguentemente, si impone al giudice amministrativo a prescindere dalle modalità con cui lo stesso ha fatto ingresso nel processo. Inoltre osservava che il giudice può desumere dagli atti di causa, dai fatti che intervengono nelle more del processo e dal comportamento delle parti, argomenti di prova in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse alla decisione e, quando tale accertamento dia esito positivo, il giudice deve pervenire ad una pronuncia di improcedibilità del ricorso, al pari delle ipotesi in cui rinvenga ragioni ostative alla pronuncia sul merito. 3. L'appellante, non condividendo tale impostazione, ha formulato i motivi di seguito sintetizzati. 1) "Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 35 e 84 cod. proc. amm.". La sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto di dichiarare improcedibile il ricorso in ragione dell'accordo di finanza pubblica tra Stato e Regione autonoma della Sardegna del 21 luglio 2014. L'appellante sostiene che il giudice potrebbe dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione solo in presenza di un atto di impulso di parte in tal senso, previo accertamento dell'assenza di ogni possibile utilità in capo alla ricorrente. Nel caso di specie, invece, dalla pronuncia nel merito, a parere dell'appellante, le sarebbero derivati due ordini di effetti favorevoli. Da un lato, sul piano pratico, poiché l'oggetto del contenzioso è il riparto degli oneri di finanza pubblica tra Stato, Regioni e Province a statuto speciale, dall'accoglimento del ricorso sarebbe derivata una rimodulazione degli oneri a carico della Regione Sardegna. Ciò ne avrebbe comportato la possibilità di recuperare risorse di propria spettanza, in ragione del principio dell'equilibrio dinamico di bilancio. Poiché, tuttavia, oggetto del contenzioso sarebbe anche il riparto del contributo di finanza pubblica, previsto unilateralmente dallo Stato nelle more dell'intesa con i singoli enti, tra le cinque Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, la corretta definizione del contenzioso determinerebbe anche effetti conformativi dei rapporti tra le parti coinvolti. Non sarebbe corretto desumere dall'accordo stesso, in quanto sorto con "l'impegno di rinunciare ai ricorsi promossi in materia di finanza pubblica" da parte della stessa Regione Sardegna, una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso: una simile circostanza, in virtù del principio dispositivo del giudizio, sarebbe dovuta essere inequivocabilmente espressa dalle parti. Viepiù tale ricostruzione sarebbe corretta tenuto conto che la sola sussistenza dell'accordo non ha impedito alla Corte costituzionale, con la sentenza n. 155/2015, di scrutinare nel merito le questioni sollevate dalla Regione Sardegna per fatti attinenti al tempo precedente alla stipula dell'accordo. Ciò sebbene la difesa della Regione ne abbia reso nota l'avvenuta stipula, depositandone copia in data 22 ottobre 2014. L'appellante, dunque, pone in luce che ciò che non ha rappresentato ostacolo per la Corte costituzionale, in modo incongruente lo sarebbe stato per il giudice amministrativo il quale, invece, avrebbe dovuto rilevare l'illegittimità del riparto degli oneri di finanza pubblica disposto dal provvedimento impugnato. L'appellante, ancora, si è soffermata sulla prospettata insussistenza di una condotta di abuso del processo in ragione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale promosse in via principale dinanzi alla Corte costituzionale e a cui ha rinunciato proprio in ragione dell'accordo. La Regione Sardegna avrebbe agito soltanto per ottenere il rispetto dell'autonomia statutaria in materia di finanza pubblica. 2) Con il secondo motivo di ricorso, superata la dimostrazione della ammissibilità dell'originario ricorso, la Regione ha riproposto i motivi formulati in primo grado. 2.1.) "Violazione dell'art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201; eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria, insufficienza e contraddittorietà della motivazione; violazione degli artt. 7 e 8 della l. cost. 26 febbraio 1948, n. 3, recante Statuto speciale per la Sardegna, e 119 Cost. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 28 del d. l. 6 dicembre 2011, n. 201, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 7 e 8 dello Statuto speciale per la Sardegna e 117 e 119 Cost.". La nota del MEF avrebbe asseritamente dato applicazione dell'art. 28, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201. Tuttavia, dalla quota di 860.000.000,00 Euro (ottocentosessanta milioni/Euro), quale contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome, si dovrebbe dedurre, a carico della Regione Sicilia, il risparmio che lo Stato consegue in forza dell'aumento dell'addizionale regionale IRPEF. Sarebbe, dunque, dall'addizionale IRPEF riscossa in Sicilia che dovrebbe discendere il maggior gettito di 130.000.000,00 Euro (centotrenta milioni/Euro). Diversamente, il trattamento specifico della sanità siciliana non inciderebbe sulla ripartizione degli oneri di finanza pubblica. Con il provvedimento impugnato, invece, a parere dell'appellante, si sarebbe determinato un contributo a carico di tutte le Regioni e Province Autonome pari a 860 milioni di euro; a ciò si è aggiunto il contributo per la sanità siciliana pari a 130 milioni di euro. In questo modo, tuttavia, il totale ripartito sarebbe stato erroneamente pari a 900 milioni di euro e questa cifra sarebbe stata poi erroneamente ripartita in maniera proporzionale tra tutti gli Enti interessati. Un tale modalità di computo avrebbe determinato una sottrazione dell'importo di 130 milioni di euro da tutta la quota complessivamente intesa, e non, invece, dalla sola quota dovuta dalla Regione Sicilia. Ciò avrebbe comportato per la Regione Sardegna un accantonamento maggiore, per oltre 20.000.000,00 di euro. Viceversa il MEF avrebbe calcolato la somma pari a 152.704.694,82 di euro in luogo della corretta somma di 132.870.000,00 di euro, in violazione proprio dell'art. 28 cit. che l'Amministrazione statale ha inteso applicare. La Regione inoltre ha evidenziato che l'accoglimento del ricorso non comporterebbe oneri aggiuntivi a carico dello Stato, giacché non si attingerebbe al dal bilancio dello stesso. In caso di mancato accoglimento, si dovrebbe comunque ritenere illegittimo il provvedimento impugnato per violazione dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201/2011. L'appellante, infatti, ha evidenziato che sarebbero vulnerati i rapporti finanziari tra Stato e Regione Sardegna, poiché si determinerebbe una limitazione indiretta dell'autonomia di spesa di quest'ultima ad opera di vincoli definitivi, in spregio a quanto predicato dalle sentenze della Corte costituzionale n. 82 del 2007 e n. 193 del 2012. Per questi motivi, l'appellante ha chiesto di sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, per violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119. A tanto non parrebbe ostare la circostanza che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 82 del 2015, si è già pronunciata sulla suddetta disposizione normativa rigettando le censure allora formulate dalle Regioni Val d'Aosta e Sicilia atteso che le censure mosse in quella sede sarebbero state attinenti a profili differenti da quelli dedotti nel presente giudizio. 2.2.) "Violazione dell'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012 e dell'art. 4 del d.l. n. 16 del 2012; violazione degli artt. 7 e 8 della l. cost. n. 3 del 1948, recante Statuto speciale per la Sardegna, e 119 Cost.; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza. Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 4, del d.l. n. 1 del 2012, per violazione degli artt. 7 e 8 dello Statuto speciale per la Sardegna e 117 e 119 Cost. (riproposizione del secondo motivo dell'originario ricorso)." Espone l'appellante che con la riforma introdotta dall'art. 35, comma 4, del decreto legge n. 1 del 2012, nonché dell'art. 4, commi 10 e 11, del decreto legge n. 16 del 2012, il regime delle accise sui consumi di energia elettrica è stato modificato nel senso di maggiorare le accise erariali e di sopprimerne le accise comunali e provinciali. Tale riforma sarebbe stata ispirata al principio della neutralità finanziaria, principio che, invece, risulterebbe violato dal provvedimento impugnato, giacché la somma dell'accantonamento a carico della Regione Sardegna sarebbe dovuta essere ridotta. Ciò in aggiunta alla violazione di legge che vizierebbe il provvedimento gravato, mutuata dall'illegittimità delle disposizioni di legge così come attuate dall'amministrazione resistente. Tali disposizioni sono state oggetto di sindacato da parte della Corte costituzionale che, con sentenza n. 65 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, commi 4 e 5, del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 "nella parte in cui l'incremento della misura del concorso alla finanza pubblica è unilateralmente imposto alle Regioni autonome Valle d'Aosta/Vallé e d'Aoste e Regione siciliana". Da tale pronuncia, secondo l'appellante, discenderebbe non solo la fondatezza del ricorso ma anche la necessità di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione di legge, nella parte in cui si applica alla Regione Sardegna, evidenziandone l'antinomia con gli artt. 7 e 8 dello Statuto sardo. 4. La sentenza impugnata deve essere confermata. Il Ministro dell'economia e delle finanze e il Presidente della Regione Sardegna hanno infatti sottoscritto, in data 21 luglio 2014, un accordo in materia di finanza pubblica, stipulato ai sensi dell'articolo 1, commi 454 e 456, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. Il richiamato comma 454, nel testo a quella data applicabile, disponeva che "Al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, con il Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli anni dal 2013 al 2017, l'obiettivo in termini di competenza eurocompatibile, determinato riducendo il complesso delle spese finali in termini di competenza eurocompatibile risultante dal consuntivo 2011: a) degli importi indicati per il 2013 nella tabella di cui all'articolo 32, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183; b) del contributo previsto dall'articolo 28, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, come rideterminato dall'articolo 35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall'articolo 4, comma 11, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44; c) degli importi indicati nel decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015 e 2016, emanato in attuazione dell'articolo 16, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; d) degli importi indicati nella seguente tabella: (...) d-bis) degli ulteriori contributi disposti a carico delle autonomie speciali. A tal fine, entro il 31 marzo di ogni anno, il Presidente dell'ente trasmette la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze. Per l'anno 2014 la proposta di Accordo di cui al periodo precedente è trasmessa entro il 30 giugno 2014". In base al successivo comma 456, inoltre "In caso di mancato accordo di cui ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio, gli obiettivi delle regioni Sardegna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta sono determinati sulla base dei dati trasmessi, ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 1, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, ridotti degli importi previsti dal comma 454. (...)". In applicazione delle predette disposizioni, l'accordo stipulato tra il Ministro dell'economia e delle finanze e la Regione Sardegna ha, tra l'altro: - stabilito il livello di spese per l'anno 2013, certificando in via definitiva il rispetto del patto di stabilità per quell'anno da parte della Regione Sardegna (paragrafo 1); - riconosciuto alla Regione, per l'anno 2014, un ampliamento del tetto di spesa derivante dalla legislazione vigente ai fini del patto di stabilità interno di 320 milioni e concordato l'obiettivo programmatico per il medesimo anno 2014 (paragrafo 2); - previsto che, a decorrere dall'anno 2015, alla Regione Sardegna non si applica il limite di spesa di cui al comma 454 dell'articolo 1 della legge n. 228 del 2012 e che la stessa Regione si impegna a garantire il pareggio di bilancio (paragrafo 3). Nell'ambito di questo accordo, diretto a regolare complessivamente i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, al paragrafo 5 è previsto che "La Regione si impegna a ritirare, entro il 16 settembre 2014, tutti i ricorsi contro lo Stato pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, promossi prima del presente Accordo, o, comunque, a rinunciare per gli anni 2014-17 agli effetti positivi sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto che dovessero derivare da eventuali pronunce di accoglimento". 4.1. Come correttamente rilevato dal TAR, il contenzioso oggetto del presente giudizio rientra a pieno titolo tra quelli oggetto della clausola da ultimo riportata. Infatti la previsione si riferisce a tutti i ricorsi contro lo Stato promossi prima della stipulazione dell'accordo, "relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica". Si tratta di una formula ampia che include sia le impugnazioni nelle quali si controverte della legittimità costituzionale delle leggi di finanza pubblica, sia i ricorsi che riguardano gli atti applicativi delle predette leggi, indipendentemente dai vizi allegati (di illegittimità propria o derivata dall'illegittimità costituzionale della legge). L'accordo si riferisce espressamente, inoltre, ai ricorsi "pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni". Ne discende che la clausola in rassegna non riguarda i soli giudizi promossi innanzi alla Corte costituzionale, mediante impugnazione di leggi in via d'azione o attraverso la promozione di conflitti di attribuzioni, ma anche a quelli incardinati innanzi al giudice amministrativo, fra i quali rientra, a pieno titolo, il presente giudizio. 4.2. Non coglie nel segno la tesi di parte appellante secondo cui la natura pubblicistica dell'accordo di finanza pubblica non equivarrebbe all'adozione di un provvedimento che, per aver integralmente sostituito in maniera satisfattiva per la parte quello impugnato, determinerebbe il venir meno dell'interesse ad agire. Si tratta di argomentazione infondata, dal momento che non è in discussione la portata satisfattiva o meno dell'accordo (che, peraltro, avrebbe condotto ad una pronuncia di merito di cessazione della materia del contendere), bensì viene in rilievo una pattuizione contrattuale di rinuncia al contenzioso. Come correttamente rilevato dal TAR, una clausola di rinuncia alle impugnazioni proposte non può avere altro significato, se non quello di imporre al soggetto obbligato di recedere dalla prospettazione del dedotto profilo di illegittimità e di dimostrare per ciò stesso la carenza di interesse alla sua ulteriore coltivazione, pena l'inutilità della stessa clausola di rinuncia. 4.3. Né rileva, in questo caso, il più volte invocato principio dispositivo. In proposito il Collegio rileva che se è vero che, ove la parte abbia dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso, ne discende l'improcedibilità dello stesso, non potendo in tal caso il giudice, in omaggio al principio dispositivo, decidere la controversia nel merito né procedere d'ufficio sostituendosi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 novembre 2022, n. 10367), non è vera la proposizione contraria. La mera affermazione della parte circa il persistente interesse alla decisione va sempre valutato dal giudice alla stregua della concreta situazione di fatto sopravvenuta e della possibile utilità della pronuncia. Infatti, la pronuncia di cessazione della materia del contendere definisce la controversia nel merito, accertando che la pretesa dedotta in giudizio è stata integralmente soddisfatta dalla successiva attività amministrativa; la dichiarazione di improcedibilità della domanda per sopravvenuta carenza di interesse, invece, presuppone il verificarsi di una situazione di fatto o di diritto, nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per essere venuta meno, per il ricorrente, l'utilità della pronuncia del giudice (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 23 settembre 2022, n. 8176). È quanto si è verificato nel caso di specie in cui, stante la richiamata clausola pattizia, anche qualora venisse adottata una pronuncia di merito, a prescindere dal relativo contenuto, la stessa non sarebbe eseguibile né a vantaggio né a svantaggio della parte appellante, restando la eventuale pronuncia inutiliter data. 4.4. Non è pertinente neanche il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2015 atteso che in quel caso, come peraltro riferisce la stessa appellante, la Corte "non ha dichiarato né l'estinzione del giudizio per rinuncia né la cessazione della materia del contendere, come avrebbe fatto se avesse condiviso la medesima posizione abbracciata dalla sentenza gravata, ma ha dichiarato l'inammissibilità delle censure regionali solo perché una pronuncia di accoglimento avrebbe determinato l'invasione della sfera di discrezionalità riservata al legislatore (statale)" (così a pag. 12 dell'appello). Le stesse argomentazioni di parte appellante smentiscono la tesi a sostegno della quale sono prodotte: nel caso di specie il TAR non ha adottato una pronuncia (di merito) di cessazione della materia del contendere, in ipotesi affermando che con l'accordo in questione siano state soddisfatte le pretese azionate dalla Regione, ma si è limitato ad una pronuncia (di rito) di improcedibilità dell'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse determinata dall'impegno assunto in via pattizia di rinunciare a tutto il contenzioso pendente. 4.5. Non è fondata neanche la tesi secondo cui la previsione pattizia non potrebbe trovare applicazione laddove ne derivi la compressione di attribuzioni costituzionali della Regione, per loro natura non negoziabili. Ciò sia perché la regolazione pattizia dei rapporti tra lo Stato e la Regione è prevista dalle specifiche previsioni legislative innanzi richiamate, della cui legittimità costituzionale la parte appellante non dubita, sia perché si tratta di una regolazione che non incide sulle rispettive prerogative costituzionali, che restano immutate, ma è finalizzata a definire consensualmente il concreto dispiegarsi dei rapporti finanziari fra le parti e a perseguire in modo condiviso degli obiettivi di finanza pubblica, in ossequio al principio costituzionale di leale collaborazione. Non è revocabile in dubbio che, con l'accordo in questione, la Regione non ha rinunciato ad alcuna attribuzione costituzionale, ma soltanto a coltivare i ricorsi già pendenti. 4.5. Né può ritenersi che l'accordo attribuisse alla regione la facoltà, in alternativa, di rinunciare ai soli effetti positivi derivanti da eventuali pronunce di accoglimento per gli anni 2014-17 dal momento che la clausola in questione non prevede alcuna facoltà alternativa a favore della Regione, ma stabilisce espressamente, in capo a quest'ultima, l'obbligo a rinunciare ai contenziosi pendenti, entro una data ben determinata (16 settembre 2014). Interpretazione, questa, che, oltre a discendere dal chiaro tenore letterale della pattuizione è confermata anche dal fatto che la stessa Regione ha rinunciato, in esecuzione di tale accordo, all'impugnazione dell'articolo 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011 proposta in via d'azione innanzi alla Corte costituzionale. Va, al contrario, rilevato che la clausola prevede un ulteriore e diverso impegno a carico della Regione, ossia quello a non avvalersi "comunque" (e non "in alternativa"), per un triennio, degli effetti - sia in termini di saldo netto da finanziare che in termini di indebitamento netto - derivanti da eventuali sentenze favorevoli all'Ente comunque emesse. Si tratta di un inciso teso a scongiurare gli effetti di eventuali pronunce rese senza che, per qualunque ragione, l'esistenza dell'accordo fosse stata portata a conoscenza del giudice prima del passaggio in decisione della causa, ovvero nel caso di sentenze emesse in esito a giudizi promossi innanzi alla Corte costituzionale da parte di più regioni, e quindi destinati a una decisione nel merito nonostante la rinuncia della Regione Sardegna. L'oggetto dell'accordo non contempla solo effetti limitati al triennio 2014-2017, né si riferisce unicamente alla definizione del saldo netto da finanziare e dell'indebitamento netto, ma prevede impegni della Regione anche non strettamente attinenti alla determinazione di tali variabili, e da attuare anche con modifiche permanenti del corpus legislativo regionale (v. ad esempio il paragrafo 6 dell'accordo). 4.6. Stante la ricostruita portata dell'accordo e l'inequivocabile tenore della clausola di impegno, da parte della Regione, a rinunciare al contenzioso relativo alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica, perde di pregio anche la richiesta, su cui l'appellante insiste, di nuova sottoposizione alla Corte della questione di legittimità costituzionale dell'art. 28, comma 3, del decreto legge n. 201 del 2011, per violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119. Per accedere alla invocata rimessione questo giudice, oltre a doversi pronunciare sulla non manifesta infondatezza della questione, su cui la Consulta si è già espressa con la sentenza n. 82 del 2015, dovrebbe prospettare alla Corte la "rilevanza" della questione nel presente giudizio. Rilevanza esclusa in radice dall'evidenza che il presente giudizio può essere definito indipendentemente da ogni sindacato sulla conformità a costituzione della suindicata norma: ciò stante il dato fattuale, portato dalla più volte richiamata clausola pattizia, che impone alla Regione appellante di abbandonare tutti i giudizi "relativi alle impugnative di leggi o di atti conseguenziali in materia di finanza pubblica", "pendenti dinnanzi alle diverse giurisdizioni" ad una certa data. 4.7. In altri termini, come condivisibilmente rilevato dal TAR, l'accordo tra il Governo e la Regione, che costituisce l'esito di una ponderazione di interessi pubblici espressa, ai più alti livelli istituzionali, da Enti costituzionali, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in tema di coordinamento della finanza pubblica nazionale, "si impone oggettivamente, per forza propria, al giudice amministrativo, il quale è tenuto necessariamente a prenderne atto, a prescindere dalle modalità attraverso le quali venga veicolato nel processo" rappresentando, la rinuncia al ricorso, ove fosse stata ritualmente formalizzata, soltanto il veicolo processuale atto a condurre all'emissione di una pronuncia di estinzione del giudizio, ai sensi dell'articolo 35, comma 2, lett. c), e dell'articolo 84 c.p.a.. Ne discende che, come già rilevato, anche in assenza di una formale rinuncia, il giudice "può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa" (articolo 84, comma 4, c.p.a), dovendo pervenire a una pronuncia di improcedibilità del ricorso sia quando accerti il sopravvenuto difetto di interesse delle parti alla decisione, sia laddove comunque sopravvengano "altre ragioni ostative ad una pronuncia sul merito" (articolo 35, comma 1, lett. c) c.p.a.). 4.8. Né il tenore della clausola inserita nell'accordo del 2014 può essere intesa, come opina l'appellante, solo quale impegno a compiere una precisa attività processuale, consistente nella formalizzazione della rinuncia che, in questo caso, mancherebbe, trattandosi di prospettazione che non tiene conto sia del contenuto esplicito della clausola in questione, sia della natura propria dell'accordo tra il Governo e la Regione Sardegna, che costituisce l'esito di una ponderazione di interessi di rilievo costituzionale, attuata nell'esercizio dell'alta funzione di coordinamento tra gli attori dell'ordinamento, ed è diretto a definire l'assetto dei rapporti istituzionali tra tali soggetti nei termini maggiormente rispondenti all'interesse pubblico, dal quale la Regione non può sciogliersi unilateralmente. Conclusivamente, per le considerazioni che precedono, che esauriscono l'analisi delle tematiche introdotte in giudizio (essendo state ritenute irrilevanti eventuali questioni non espressamente menzionate, ivi compresa quella relativa all'abuso del processo), l'appello deve essere respinto. 5. In ragione della complessità delle questioni trattate e della costituzione solo formale delle amministrazioni centrali appellate, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2023, con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Giovanni Tulumello - Consigliere Laura Marzano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 318 del 2018, proposto da Mo. Bl. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Or. Na., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Aosta, av. (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Ca., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gr. & Ass., in Roma, corso (...); nei confronti Pa. Li., non costituito in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 333 del 2018, proposto da Pa. Li., rappresentato e difeso dall'avvocato Or. Na., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio, in Aosta, av. (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Ca., con domicilio digitale di pec come da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gr. & Ass., in Roma, corso (...); nei confronti Mo. Bl. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per la riforma quanto a entrambi i ricorsi: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 00032/2017, resa tra le parti. Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2023 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Or. Na. e Pi. Ca.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il Comune di (omissis), constatato che il sig. Pa. Li. aveva realizzato un fabbricato con notevoli difformità rispetto a quanto assentito con concessione edilizia 3/6/2004, n. 33, ha adottato le ordinanze 16/7/2013, n. 349 e 18/10/2013, n. 351 con le quali, rispettivamente, lo ha diffidato a demolire l'opera abusiva e gli ha ingiunto la rimessione in pristino. Successivamente il comune ha emanato l'atto 11/12/2015, prot. 18136, con cui, accertata l'inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 351/2013, ha dichiarato l'acquisizione gratuita della costruzione illecita e della relativa area di sedime al patrimonio comunale. Il sig. Pa. Li., che nel 2005 aveva ceduto l'area interessata dall'abuso alla Mo. Bl. Im. s.r.l., di cui era legale rappresentante sino al 2008, ha impugnato tali atti con ricorso al T.A.R. della Valle D'Aosta, n. 8/2016, col quale ha, altresì, gravato la diffida a demolire 29/1/2016, n. 372, relativa alle stesse opere, rivolta nei confronti della Mo. Bl. Im.. Tutti i menzionati atti (ordinanze nn. 349/2013 e 351/2013, accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e diffida a demolire n. 372/2016) sono stati impugnati, davanti al medesimo giudice, anche dalla Mo. Bl. Im. con ricorso n. 15/2016. L'adito Tribunale ha definito i due ricorsi con sentenza 24/5/2017, n. 32, con la quale, previa riunione, ha dichiarato irricevibile l'impugnazione proposta dal sig. Li. e ha respinto quella della Mo. Bl. Im.. Avverso la sentenza hanno proposto separati appelli la Mo. Bl. Im. (ricorso n. 318/2018) e il sig. Li. (ricorso n. 333/2018). Per resistere ad entrambe le impugnazioni si è costituito in giudizio il Comune di (omissis). Con plurime memorie le parti hanno, poi, ulteriormente argomentato le rispettive tesi difensive. Con ordinanza 15/2/2021, n. 1395, questa Sezione, riuniti i ricorsi, ha disposto una verificazione intesa a "descrivere nel dettaglio, anche mediante allegati grafici e fotografici, le opere oggetto della disposta demolizione realizzate, anche mediante cambio di destinazione d'uso, in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso". Successivamente, constatato che la relazione peritale depositata in giudizio risultava insoddisfacente, la Sezione ha emesso l'ordinanza 27/06/2022, n. 5267, con la quale ha disposto che il verificatore integrasse la risposta data al quesito posto. L'incombente è stato eseguito dal perito mediante il deposito di una relazione integrativa. Alla pubblica udienza del 26/1/2023 la causa è passata in decisione. I due appelli possono essere trattati congiuntamente in quanto del tutto identici. In via preliminare va precisato che i gravami possono essere esaminati nel merito solo a partire da pagina 22, dove inizia l'esposizione dei motivi d'appello. In accoglimento della correlativa eccezione formulata dal comune, devono, infatti, dichiararsi inammissibili le doglianze contenute nelle pagine precedenti, in quanto non formulate in un'apposita e distinta parte di ciascuno dei due ricorsi specificamente dedicata all'enunciazione dei motivi d'appello. E invero, in linea di diritto va osservato che, l'art. 40 c.p.a., applicabile anche al giudizio di secondo grado, in virtù del rinvio interno operato dal precedente art. 38 del medesimo codice, stabilisce: a) al comma 1, che i motivi specifici, su cui il ricorso si fonda, devono essere formulati "distintamente" nel contesto dell'atto introduttivo; b) al comma 2 che i motivi proposti in violazione del comma precedente sono inammissibili. L'inammissibilità dei motivi di ricorso non consegue, dunque, solo al difetto di specificità - requisito, autonomamente previsto per l'atto d'appello dall'art. 101, comma 1, cod. proc. amm., secondo cui "il ricorso in appello deve contenere (...) le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" -, ma anche alla loro mancata indicazione "distintamente", in apposita parte del ricorso specificamente dedicata a tale elemento del gravame (sia esso di primo grado o d'appello), di cui i motivi costituiscono il nucleo essenziale e centrale (Cons. Stato, Sez. VI, 4/1/2016, n. 8; Sez. IV, 7/11/2016, n. 4636). Sempre in via preliminare va disattesa la richiesta di dichiarare nulla l'integrazione della relazione peritale depositata dal verificatore, poiché non effettuata in contraddittorio con le parti, formulata dagli appellanti con istanza in data 7/10/2022. E invero, con la detta integrazione il verificatore si è limitato a dare riscontro ai quesiti originariamente posti, ai quali in precedenza non aveva risposto con sufficiente precisione, senza compiere alcuna nuova attività che dovesse essere svolta in contradditorio. Tutto ciò premesso può procedersi all'esame dei prospettati mezzi di impugnazione. Col primo motivo di entrambi i ricorsi gli appellanti lamentano che: a) non sarebbero stati messi in grado di partecipare al procedimento; b) la Mo. Bl. Im. sarebbe estranea all'abuso; c) l'amministrazione non avrebbe distinto le parti abusive da quelle regolarmente assentite, essendosi limitata a recepire, senza alcuna autonoma valutazione, il contenuto dei verbali di sopralluogo; d) i detti verbali sarebbero stati redatti a seguito di accessi effettuati in violazione del diritto di difesa e senza contradditorio col proprietario del manufatto, ovvero con la Mo. Bl. Im.; e) il sig. Li., non essendo proprietario del bene, non avrebbe potuto essere destinatario dell'ordine di demolizione e del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale; f) non sarebbe applicabile nei confronti degli appellanti la norma che prevede che l'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione a demolire, costituisca titolo per l'immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari. Col secondo motivo si deduce che la misura dell'acquisizione gratuita potrebbe essere rivolta solo nei confronti dell'autore dell'abuso, ovvero di colui che, subentrato nella titolarità del bene, sia stato destinatario di un ordine di demolizione rimasto inottemperato. Si lamenta ancora che il comune avrebbe emanato, nei confronti della Mo. Bl. Im., senza previo confronto procedimentale, un'ordinanza (la n. 372/2016), che si fonderebbe su verbali di sopralluogo viziati, in quanto redatti in violazione del diritto di difesa e in assenza di contradditorio con la detta società . I verbali sarebbero, inoltre, imprecisi dato che non consentono di distinguere le parti abusive da quelle regolarmente assentite, né tale distinzione si rinverrebbe nella citata ordinanza n. 372/2016. Alla luce delle esposte considerazioni sarebbero illegittime sia l'acquisizione gratuita del bene disposta nei confronti del sig. Li., sia l'ordinanza n. 372/2016 rivolta nei confronti della Mo. Bl. Im.. Poiché il sig. Li. sarebbe già stato condannato penalmente, non potrebbero essere applicate nei suoi confronti, pena la violazione del principio del ne bis in idem, ulteriori misure, come l'ordine di demolizione e l'atto di acquisizione gratuita, aventi carattere penale. Il potere di adottare le dette sanzioni amministrative, di natura penale, nei confronti del sig. Li., si sarebbe, infine, estinto per prescrizione. I due mezzi di gravame, che si prestano a una trattazione congiunta, non meritano accoglimento sotto alcuno dei profili in cui si articolano. 1) Per pacifico orientamento giurisprudenziale i provvedimenti con cui l'amministrazione ingiunge la demolizione di un'opera abusiva sono atti di natura doverosa e vincolata in relazione ai quali non occorre assicurare le garanzie partecipative, non essendo consentite valutazioni di interesse pubblico in ordine alla conservazione del bene (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 24/2/2022, n. 1304; 15/2/2021, n. 1351; 7/1/2021, n. 187; 13/5/2020, n. 3036; 25/2/2019, n. 1281; Sez. V, 12/10/2018, n. 5887; Sez. IV, 27/5/2019, n. 3432; Sez. II, 29/7/2019, n. 5317 e 26/6/2019, n. 4386). Altrettanto dicasi con riguardo all'atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, che costituisce conseguenza automatica della mancata ottemperanza all'ordine di demolizione nei termini di legge (Cons. Stato, Sez. VI, 20/1/2022, n. 360; 27/9/2021, n. 6490; 1/9/2021, n. 6190; 25/6/2019, n. 4336). 2) La circostanza che la Mo. Bl. Im. sia estranea all'abuso è del tutto irrilevante, in quanto, ai sensi dell'art. 31, comma 2, del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, i provvedimenti repressivi vanno rivolti anche nei confronti del proprietario dell'immobile abusivo. 3) Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, i gravati provvedimenti, attraverso il riferimento ai verbali di sopralluogo, individuano con precisione gli abusi commessi, e tanto basta, senza necessità che l'amministrazione compia ulteriori valutazioni, a escludere la sussistenza dei prospettati motivi di contestazione. Peraltro, come emerge dagli esiti della disposta verificazione, le difformità riscontrate sono talmente diffuse da rendere ormai indistinguibile la parte abusiva da quella legittimamente assentita. 4) E' del tutto ininfluente che il sopralluogo finalizzato ad accertare se e quali abusi fossero stati commessi, si sia svolto in mancanza di preavviso, ovvero in assenza degli appellanti o dei loro tecnici, in quanto ciò che conta, ai fini della legittimità delle determinazioni conseguentemente adottate, è che quanto verbalizzato rappresenti fedelmente lo stato di fatto (Cons. Stato, Sez. VI, 14/7/2022, n. 6020), il che, nella specie, non è dubitabile, sulla scorta di quanto emerso dagli esiti della verificazione. Tutto ciò a prescindere dal rilevare che la censura in esame sarebbe inammissibile in quanto non prospetta in primo grado. 5) Diversamente da quanto gli appellanti sostengono, i provvedimenti di demolizione (ordinanze nn. 349/2013 e 351/2013), sono stati correttamente rivolti nei confronti del sig. Li., essendo egli l'autore dell'abuso (art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001). Altrettanto dicasi in relazione all'acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, risultando il medesimo, all'epoca di adozione dell'atto con cui la stessa è stata dichiarata, almeno in parte intestatario catastale del bene (Cons. Stato, Sez. IV, 26/2/2013, n. 1179). 6) E' inammissibile la doglianza con cui gli appellanti lamentano che non sarebbe applicabile nei loro confronti la norma in base alla quale l'accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione costituisce titolo per l'immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001). E invero, non vengono esplicitate le ragioni di tale singolare conclusione, per cui la censura risulta generica. 7) Per consolidato orientamento giurisprudenziale le sanzioni amministrative previste in ambito edilizio hanno natura ripristinatoria e non afflittiva. Si tratta di misure di carattere reale finalizzate al ripristino dell'interesse pubblico primario violato dall'abuso, essendo dirette a ristabilire il corretto assetto del territorio (Cons. Stato, Sez. VI, 24/6/2020, n. 4070; 26/3/2018, n. 1893; Sez. VII, 11/1/2023, n. 344; Cass. Pen., Sez. III, 3/10/2018, n. 51044). Ne consegue che non può trovare applicazione nei confronti delle stesse l'invocato principio del "ne bis in idem" convenzionale, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 4/3/2014, n. 18640/10. 8) Deve, infine, escludersi che il potere di adottare i gravati provvedimenti si fosse estinto per prescrizione. Come già più sopra rilevato, le sanzioni in materia edilizia non hanno natura penale e non sono soggette, quindi, alle relative norme in tema di prescrizione. In ogni caso, per pacifica giurisprudenza, che il Collegio condivide, appurata l'abusività dei lavori, l'esercizio del potere repressivo assume natura doverosa e vincolata, anche a distanza di lunghissimo tempo dalla loro realizzazione, non essendo la potestà soggetta a termini di decadenza o prescrizione, anche in considerazione del fatto che le violazioni edilizie hanno natura di illeciti permanenti, in quanto la lesione dell'interesse pubblico si protrae nel tempo sino al ripristino della legalità violata (Cons. Stato, Sez. VI, 18/10/2022, n. 8848; 25/5/2022, n. 4171; 19/7/2021, n. 5439; 15/9/2020, n. 5446; 3/1/2019, n. 85; 19/10/1995, n. 1162; Sez. II, 27/4/2020, n. 2670). Gli appelli vanno, in definitiva, respinti. Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi o eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Spese e onorari di giudizio, liquidati come in dispositivo, seguono la soccombenza. Le spese di verificazione, ove richieste, dovranno gravare, in solido, sulle parti appellanti che hanno dato causa alla controversia. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge. Condanna, in solido, gli appellanti al pagamento delle spese processuali in favore del comune appellato, liquidandole, forfettariamente, in complessivi Euro 10.000/00 (diecimila), oltre accessori di legge. Dispone che le spese di verificazione, ove richieste, gravino, in solido, sugli appellanti e che siano, se del caso, liquidate, con separato decreto, dietro presentazione di parcella, detratto quanto eventualmente già corrisposto a titolo di anticipo. Dispone, altresì, che, a cura della segreteria, la presente sentenza sia comunicata anche al verificatore. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe - Presidente Alessandro Maggio - Consigliere, Estensore Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Thomas Mathà - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 6092 del 2016, proposto da S.A. - Società Au. Va. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. An., Um. Gi., Al. Ma. e Ma. Sa., con domicilio eletto presso lo studio Ma. An. in Roma, via (...); contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Dipartimento per le Infrastrutture, i Sistemi Informatici e Statistici, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio. per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta n. 00019/2016, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 22 novembre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e udito per le parti l'avvocato Sa. Ma., in collegamento da remoto e, ai sensi dell'art. 87, comma 4-bis c.p.a. e dell'art. 13-quater disp. att. c.p.a. (articolo aggiunto dall'art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113), preso atto del deposito delle note di passaggio in decisione, è data la presenza dell'avvocato dello Stato Di Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La società S.A. - Società Au. Va. s.p.a. (in seguito anche SA.) stipulava, in data 2 settembre 2009, una convenzione con ANAS s.p.a., avente ad oggetto l'affidamento in concessione dei seguenti tratti autostradali: A5 Est - (omissis); A5 Aosta Est - Aosta Centro; A5 Aosta Centro - Aosta Ovest; Raccordo fra la A5 e la S.S. 27 del (omissis). La convenzione, il cui termine finale era fissato per il 31 dicembre 2032, prevedeva che il concessionario dovesse, fra l'altro, realizzare diverse opere di adeguamento e completamento dei suddetti tratti autostradali, nonché i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria necessari per mantenere l'infrastruttura in buono stato di conservazione ed efficienza. 1.1. Con nota del 15 luglio 2015, la SA. s.p.a., in attuazione delle previsioni contenute nella suindicata convenzione, comunicava al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti la volontà di affidare per un triennio, ad una propria controllata, i lavori di manutenzione ordinaria del tratto autostradale in concessione. 1.2. Con successive note del 3 agosto e del 5 agosto 2015, la società forniva maggiori chiarimenti in ordine agli affidamenti effettuati, evidenziando che il superamento dei limiti normativi dovesse valutarsi nell'arco dell'intera concessione; allegava, altresì, un prospetto numerico analitico dal quale si evinceva l'esatta ripartizione dei lavori infragruppo e di quelli affidati a terzi. 1.3. In riscontro a tali comunicazioni, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con note-provvedimento del 2 settembre 2015 (prot. n. 8902; prot. n. 8895), e con la nota - provvedimento 12.6.2015 prot. 5849, negava alla ricorrente l'autorizzazione a procedere all'affidamento, rilevando l'avvenuto superamento del limite del 40 per cento previsto dalla vigente normativa per gli affidamenti infragruppo. 1.4. Con ulteriori note dell'8 settembre 2015, prot. n. 1886 e del 9 settembre 2015, prot. n. 1891, la concessionaria rappresentava nuovamente l'insussistenza della violazione della disciplina convenzionale e legislativa vigente, nonché la necessità di parametrare la verifica del rispetto della percentuale minima di affidamento a terzi sull'intero arco temporale di durata della concessione. 2. La SA. s.p.a. proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta, lamentando: a) anomalia, genericità ed atipicità del contenuto degli atti impugnati; b) violazione di specifiche norme legislative e di clausole convenzionali, nonché dello stesso disciplinare, di natura contrattuale, previsto dagli artt. 25 e 26 della vigente convenzione di concessione; c) ulteriori violazioni di legge (art. 253. comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006; art. 4. comma 1, lett. a) del D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 2012); d) eccesso di potere per sviamento e per disparità di trattamento; e) infondatezza, comunque, degli assunti contestati nelle note-provvedimento impugnate. 3. Il T.A.R. per la Valle D'Aosta, con sentenza della Sez. Unica, n. 19/2016, dichiarava il ricorso infondato, rilevando che dall'art. 253, comma 25, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, si evinceva il divieto imposto ai concessionari di opere pubbliche di eseguire in proprio, direttamente ovvero attraverso società controllate, una percentuale di lavori superiore al 40 per cento. Il Collegio di prima istanza riteneva che non potesse essere precluso all'Autorità competente l'intervento preventivo atto ad evitare che l'inosservanza dell'obbligo divenisse definitivo e si traducesse, quindi, in un vero e proprio inadempimento. Invero, i rapporti fra la ricorrente ed il concedente erano regolati da una convenzione alla quale, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 241 del 1990, potevano applicarsi, in quanto compatibili, le norme e i principi dettati dal codice civile in materia di obbligazioni e contratti, tra cui il dovere di correttezza previsto dall'art. 1175 cod. civ. 3.1. Il giudice di prime cure evidenziava, altresì, che la mancata previsione, da parte dell'art. 253, comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006, dell'arco temporale di riferimento ai fini del calcolo delle percentuali relative agli affidamenti infragruppo, non potesse leggersi nel senso che al concessionario fosse sempre permesso il superamento dei limiti massimi, fino a che il tempo residuo di durata della concessione gli avrebbe permesso di recuperare lo squilibrio creato, dovendo ritenersi preclusa la creazione di forti squilibri difficili da compensare sempre in ossequio al principio di correttezza. Nel caso in cui il concessionario procedeva agli affidamenti infragruppo per percentuali superiori a quelle ivi previste, l'Autorità preposta alla vigilanza delle concessioni autostradali doveva punire il trasgressore, irrogando, ai sensi dell'art. 2, comma 86, del decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito con legge 24 novembre 2006, n. 286) le relative sanzioni. Il Collegio riteneva che la mancata esplicitazione, in una norma di rango primario, di tali poteri non era decisiva per precludere all'Autorità competente l'intervento preventivo atto ad evitare che l'inosservanza dell'obbligo divenisse definitivo e si traducesse in vero e proprio inadempimento, per violazione delle regole di correttezza, ai sensi dell'art. 1175 c.c. Il T.A.R. affermava che l'Amministrazione intimata aveva correttamente apposto il diniego, a seguito dell'avvenuta constatazione, nel caso concreto, della sussistenza di un forte squilibrio a favore degli affidamenti infragruppo, che poteva irrimediabilmente compromettere la possibilità di adempimento agli obblighi di cui si discuteva. Il Collegio escludeva che l'Amministrazione stessa avesse utilizzato un potere avente natura sanzionatoria non previsto dalla legge, dovendosi invece ribadire l'impiego di poteri derivanti dai principi che governavano, in generale, i rapporti obbligatori, sanciti comunque da norme di rango primario. 4. Con l'atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, illustrato anche con memorie, la SA. s.p.a. ha impugnato la suddetta sentenza, invocandone l'integrale riforma. 4.1. Con il primo motivo di gravame, l'appellante denuncia "censurabilità ed infondatezza di tutti i motivi posti a fondamento della sentenza impugnata", sia con riguardo ai poteri di intervento, previsti dal legislatore e dalla convenzione di concessione, in capo all'ente concedente per evitare l'inadempimento contrattuale della concessionaria, sia con riguardo all'applicazione del principio civilistico codificato nell'art. 1175 c.c. 4.2. Con la seconda censura, SA. s.p.a. formula istanza di rimessione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ex art. 267, comma 1, lett. b, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) e, alternativamente, istanza di rimessione alla Corte Costituzionale, ex art. 23 L. n. 87/1953, paventando sotto vari profili violazioni di diritto comunitario e costituzionale, in particolare con riguardo al combinato disposto dell'art. 51, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. a), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, rispetto al quale lamenta: i)violazione dell'art. 77 Cost.; ii) violazione del principio di separazione dei poteri, non ravvisando alcun carattere straordinario di necessità ed urgenza; iii) violazione degli artt. 3, in combinato disposto con l'art. 11 prel., 41, 25, 97 e 117 co. 1 Cost. nonché con l'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, realizzando la normativa indicata un'irragionevole disparità di trattamento; iv) violazione delle norme di diritto comunitario uniforme in materia di appalti; v) violazione dell'art. 12, c. 2, del Trattato Costituzionale, firmato a Roma il 29.10.2004, posto che lo Stato Italiano avrebbe violato le competenze sancite dal trattato; vi) violazione del principio europeo di certezza del diritto e del legittimo affidamento, in quanto la normativa, intervenendo retroattivamente su una situazione giuridica pregressa e consacrata in un contratto di concessione, avrebbero gravemente leso tali principi; vii) Violazione dei principi europei di proprietà, di libertà d'impresa - violazione dell'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU - violazione dell'art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali Dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000. 5. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (oggi Ministero dei Trasporti e della mobilità sostenibili) si è costituito in resistenza, concludendo per il rigetto dell'appello. 6. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all'esito dell'udienza straordinaria del 22 novembre 2022. DIRITTO 7. Il Collegio, con riferimento ai motivi di appello nella parte in fatto sintetizzati, riporta le conclusioni rassegnate da SA. s.p.a. nell'atto di gravame: "Voglia l'Ecc.mo Consiglio di Stato, ogni diversa eccezione e difesa disattesa, in accoglimento del presente ricorso in appello, previa rimessione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea ex art. 267, comma 1, lett. b, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), già art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità europea, dei quesiti infra specificati: se la normativa introdotta dall'art. 51, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lettera a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134 e dell'art. 51, comma 2, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, come modificato dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, che ha stabilito che le disposizioni di cui al comma 1 del citato articolo 51 si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2014; contrasti con le norme di diritto comunitario uniforme in materia di appalti e/o con l'art. 12, c. 2, del Trattato Costituzionale, firmato a Roma il 29.10.2004; i principi di certezza del diritto e del legittimo affidamento, di proprietà e di libertà d'impresa, con l'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e con l'art. 17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000; ovvero, previa rimessione alla Corte Costituzionale, ex art. 23 l. n. 87/1953 come da istanza infra formulata; riformare la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d'Aosta, Sezione Unica, n. 19/2016, depositata il 12.4.2016 e per l'effetto annullare, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati con ogni consequenziale pronunzia anche in materia di spese e di contributo unificato". Ciò premesso, passando all'esame delle singole censure, con il primo motivo di gravame, l'appellante evidenzia che l'ente concedente non avrebbe potuto, alla luce del quadro normativo e della disciplina convenzionale, procedere a modifiche autoritative ed unilaterali delle clausole contrattuali dell'atto di concessione, non solo nell'esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, ma anche nell'esercizio di poteri in veste di autorità amministrativa. Secondo l'appellante, l'art. 2, comma 86, lett. d), del D.L. n. 262 del 2006 non contemplerebbe alcun potere in capo all'ente concedente di impartire disposizioni in ordine all'affidamento dei lavori e, tantomeno, disposizioni diverse più restrittive rispetto a quelle previste dal legislatore e dalla convenzione di concessione. SA. s.p.a. rappresenta che l'ente concedente non ha il potere di emanare misure correttive, e i disposti illegittimi divieti di affidamento costituiscono una sanzione, equiparabile all'esecuzione in danno, incidendo sui poteri di autodeterminazione della concessionaria e sul suo diritto alla libera iniziativa economica anche con gravi conseguenze di natura organizzativa e patrimoniale. Lamenta che le sanzioni sono soltanto quelle espressamente previste dal legislatore e dal contratto di concessione sicchè non è consentito introdurre sanzioni diverse. Ribadisce l'impossibilità giuridica per l'ente concedente di modificare autoritativamente ed unilateralmente le clausole contrattuali dell'atto di concessione: ciò non solo nell'esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, ma anche nell'esercizio di poteri in veste di autorità amministrativa. Evidenzia, altresì, la carenza di una effettiva motivazione degli atti impugnati con riferimento al contenuto delle informazioni a disposizione, oltre al fatto che il preteso sforamento è affermato, ma non dimostrato se non con conclusioni apodittiche, contrastate da tutti gli elementi di fatto e di diritto opposti dalla concessionaria ricorrente. L'appellante evidenzia, peraltro, che il disallineamento rilevato al termine del quinquennio non costituisce di per sé inadempimento, rientrando nella normale gestione della concessione, e non essendo previsto, in nessun caso, un obbligo di riequilibrio entro il quinquennio successivo a quello in cui si è rilevato lo squilibrio/rectius temporaneo disallineamento. La sentenza di primo grado va censurata nella parte in cui ha ritenuto che l'ente concedente, nella veste di controparte contrattuale, abbia operato in applicazione del principio civilistico codificato nell'art. 1175 c.c., di talché sarebbe giustificato e legittimo l'intervento effettuato in via preventiva, allo scopo di evitare l'inadempimento definitivo. 8. Con il secondo mezzo, l'appellante si duole del fatto che la nuova normativa, introdotta con decorrenza 1° gennaio 2014, letta insieme con l'ulteriore nuova disciplina introdotta con il d.lgs. n. 50/2016, modificando le condizioni contrattuali a suo tempo stabilite e rideterminando il regime degli affidamenti a terzi, avrebbe impedito alle concessionarie private di proseguire un'attività d'impresa legittimamente intrapresa e pianificata sulla base di norme di legge e convenzionali esistenti al momento della stipulazione delle convenzioni uniche. Inoltre, la disciplina introdotta dal d.lgs. 50/2016, applicabile nei successivi due anni, avrebbe comportato un ulteriore aggravamento del pregiudizio lamentato. Paventa, quindi, con riferimento al combinato disposto dell'art. 51, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in l. 24 marzo 2012, n. 27, nel testo modificato dall'art. 4, comma 1, lett. a), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 134, diverse questioni di illegittimità costituzionale. Posto che la novella è stata contenuta in due decreti-legge, recanti misure urgenti per il rilancio dell'economia, l'appellante non ravvisa, invero, alcun carattere straordinario di necessità ed urgenza, prescritto dall'art. 77 Cost. per la legittima adozione dei suddetti atti aventi forza di legge, configurandosi un'indebita invasione da parte del Governo nei poteri attribuiti al Parlamento. Sottolinea, poi, come la modifica unilaterale del contratto di concessione contrasterebbe con i principi di ragionevolezza, avuto riguardo ai principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. La disciplina in commento realizzerebbe un'irragionevole retroattività stigmatizzata dalla Corte costituzionale e si porrebbe altresì in contrasto, sotto altro profilo, con i principi di buon andamento ed imparzialità della P.A. ex art. 97 Cost, penalizzando le società concessionarie "private" ed arrecando un vantaggio alle concessionarie "pubbliche", che invece potrebbe gestire direttamente i lavori al 100% in house. 8.1. L'appellante prospetta, altresì, diverse violazioni del diritto comunitario, come sintetizzate nella parte in fatto, avuto riguardo alla normativa in materia di appalti, ed evidenziando che il legislatore comunitario non ha mai emanato disposizioni afferenti la quota minima di lavori e/o servizi e/o forniture che i concessionari di costruzione e gestione di lavori pubblici dovessero affidare a terzi. Nell'introdurre le suesposte limitazioni, quindi, lo Stato italiano avrebbe violato il sistema delle competenze normative stabilito dal Trattato, ingerendosi in una materia di competenza concorrente, in cui la Comunità era già intervenuta con atti normativi esaustivi, sicché l'intervento nazionale integrativo deve ritenersi precluso. Peraltro, intervenendo retroattivamente su una situazione giuridica pregressa e consacrata in un contratto di concessione, la novella avrebbe gravemente leso il principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento che la Concessionaria riponeva nella concessione all'esame, per continuare la propria attività economica alle condizioni pattuite. Non ultimo, gli interventi del Governo mediante decretazione d'urgenza avrebbero configurato, secondo l'appellante, un'aperta violazione del diritto di proprietà, in una con il diritto d'iniziativa economica privata, della Concessionaria. 9. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono in parte fondati e vanno accolti nei sensi di cui in motivazione. 10. L'esame della questione impone l'illustrazione del quadro normativo di riferimento in materia di concessioni autostradali, soffermandosi, in particolare, sul rapporto tra concedente e concessionario, e, successivamente, sul regime degli affidamenti infragruppo della concessionaria autostradale. 10.1. La prima disciplina in materia autostradale si rintraccia nelle leggi 21 maggio 1955 n. 463 e 24 luglio 1961 n. 729 per la costruzione di autostrade a cura e a carico dell'Azienda nazionale autonoma delle strade statali. Era previsto l'affidamento della concessione della costruzione e gestione dell'autostrada con decreto del Ministero dei lavori pubblici di concerto con quello per il tesoro, sulla base di domande presentate all'ANAS dagli aspiranti concessionari, ed era stabilito che la concessione fosse disciplinata da una convenzione approvata con il medesimo decreto ministeriale, sentito il Consiglio Superiore dei lavori pubblici e il Consiglio di Stato (art. 3, l. n. 463 del 1955 e art. 2, l. 24 luglio 1961, n. 729, che imponeva all'aspirante concessionario di presentare, unitamente alla domanda, anche un progetto di massima per la costruzione dell'autostrada e un documentato piano finanziario). In deroga a tale regola generale, l'art. 16 l. n. 729 del 1961 stabiliva l'affidamento diretto della concessione delle più importanti autostrade del Paese ad una società da costituire della quale l'I.R.I. - Istituto per la ricostruzione industriale - avrebbe dovuto detenere una partecipazione diretta ed indiretta pari al 51% del capitale sociale. Era così costituita la Società Au. s.p.a.. L'art. 2 l 7 febbraio 1961, n. 59 (Riordinamento strutturale e revisione dei ruoli organici dell'Azienda nazionale autonoma delle strade) attribuiva ad ANAS, tra i vari compiti, anche quello di "...c) vigilare sulla esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllare la gestione delle autostrade il cui esercizio sia dato in concessione". 10.2. In attuazione degli obiettivi di privatizzazione delle società pubbliche, al fine di favorire la dismissione delle partecipazioni statali, l'art. 10, comma 7, l. 24 dicembre 1993, n. 537 del 1993, abrogava l'art. 16, comma 1, della l. n. 729 del 1961, nella parte in cui prevedeva l'obbligo dell'IRI di detenere la maggioranza delle azioni della concessionaria, precisando, peraltro, che "La costruzione e la gestione delle autostrade è l'oggetto sociale principale della Società Au. s.p.a.". Restavano in capo a soggetti pubblici il potere di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e controllo della gestione delle autostrade date in concessione del concedente: l'art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. 26 febbraio 1994, n. 143 lo affidava all'Ente nazionale per le strade, trasformato nella società per azioni ANAS s.p.a. dall'art. 7 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138. 10.3. La disciplina delle concessioni autostradali ha subito una profonda riforma con il d.l. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni dalla l. 24 novembre 2006, n. 262. All'art. 2, comma 82, è stato previsto l'obbligo di trasferire le clausole delle convenzioni vigenti (nonché quelle conseguenti all'aggiornamento o alla revisione) in una Convenzione Unica tra concedente e concessionario destinata a sostituire ad ogni effetto la convenzione originaria e tutti gli atti aggiuntivi, spesso in regime di proroga. Il comma successivo ha imposto l'adeguamento delle clausole della Convenzione Unica ad una serie di regole ivi espressamente indicate, a pena di cessazione del rapporto concessorio, salva la possibilità di indennizzo. Tra queste, di particolare interesse, è quella della introduzione di "...sanzioni a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione imputabile al concessionario, anche a titolo di colpa; la graduazione di tali sanzioni in funzione della gravità dell'inadempimento". Con il comma 86 sono stati rafforzati i poteri di ANAS, cui, oltre al potere di "richiede(re) informazioni ed effettua(re) controlli, con poteri di ispezione, di accesso, di acquisizione della documentazione e delle notizie utili in ordine al rispetto degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e all'articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti" (lett. a), è consentito "irroga(re), salvo il caso che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza degli obblighi di cui alle convenzioni di concessione e di cui all'articolo 11, comma 5, della legge 23 dicembre 1992, n. 498, come sostituito dal comma 85 del presente articolo, nonché dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei concessionari alle richieste di informazioni o a quelle connesse all'effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie non inferiori nel minimo a euro 25.000 e non superiori nel massimo a euro 150 milioni, per le quali non è ammesso quanto previsto dall'articolo 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689; in caso di reiterazione delle violazioni ha la facoltà di proporre al Ministro competente la sospensione o la decadenza della concessione" (lett. d). 10.4. Occorre, infine, rammentare che, ai sensi del combinato disposto dell'art. 11, comma 5, del d.l. 29 dicembre 2011, n. 216, conv. dalla l. 24 febbraio 2012, n. 14, e dell'art. 36, comma 4, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni della legge 15 luglio 2011, n. 111, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è subentrato a far data dal 1° ottobre 2012 ad ANAS nelle funzioni di concedente per tutte le convenzioni in essere alla predetta data, sia riguardanti la concessione di costruzione che quella di gestione delle autostrade. Con decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del 1° ottobre 2012 n. 341, è stata poi istituita presso il Ministero la Struttura di Vigilanza sulle Concessioni Autostradali, con funzioni di selezione dei concessionari e di aggiudicazione delle concessioni, nonché di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali. 11. Passando all'esame della disciplina normativa degli affidamenti di lavori da parte delle concessionarie autostradali si osserva quanto segue. 11.1. L'art. 2 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), prevedeva che i "concessionari di lavori pubblici, (i) concessionari di esercizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, (le) società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza nonché, qualora operino in virtù di diritti speciali o esclusivi, (i) concessionari di servizi pubblici e (i) soggetti di cui alla direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993", "sono obbligati ad appaltare a terzi i lavori pubblici non realizzati direttamente o tramite imprese controllate (...)" (art. 2, commi 2, lettera b, e 4, della legge n. 109 del 1994), con una deroga, limitata ai tre anni successivi alla data di entrata in vigore della legge, in cui era possibile "far eseguire i lavori oggetto della concessione ad imprese collegate, nella misura massima del 30 per cento" (art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994). 11.2. Usando la discrezionalità rimessa agli Stati dall'art. 60 della direttiva comunitaria 2004/18/CE (secondo cui: "(l)'amministrazione aggiudicatrice può : a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti a una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione, pur prevedendo la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale; detta aliquota minima deve figurare nel contratto di concessione di lavori; oppure b) invitare i candidati concessionari a dichiarare essi stessi nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono affidare a terzi"), il legislatore italiano inseriva all'art. 253, comma 25, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, la seguente previsione: "In relazione alla disciplina recata dalla parte II, titolo III, capo II, i titolari di concessioni già assentite alla data del 30 giugno 2002, ivi comprese quelle rinnovate o prorogate ai sensi della legislazione successiva, sono tenuti ad affidare a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori, agendo, esclusivamente per detta quota, a tutti gli effetti come amministrazioni aggiudicatrici". La norma ha avuto varie riformulazioni, che hanno aumentato la soglia di affidamento, dapprima, al 50% con l'art. 51, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, e poi al 60 % con l'art. 4, comma 1, lett. a., d.l. 83/2012 a partire dal 1° gennaio 2014. La disposizione riguardava le concessioni già assentite e quelle rinnovate o prorogate, mentre per le concessioni da affidare mediante procedura di gara valeva la previsione dell'art. 146 per il quale "(...) la stazione appaltante può : a) imporre al concessionario di lavori pubblici di affidare a terzi appalti corrispondenti ad una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione. Tale aliquota minima deve figurare nel bando di gara e nel contratto di concessione. Il bando fa salva la facoltà per i candidati di aumentare tale percentuale; b) invitare i candidati a dichiarare nelle loro offerte la percentuale, ove sussista, del valore globale dei lavori oggetto della concessione, che intendono appaltare a terzi". L'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, nella sua originaria formulazione, era la disposizione vigente al momento nel quinquennio 2008 - 2013 in cui il Ministero ha ritenuto che l'avvenuto superamento del limite agli affidamenti infragruppo da parte dell'odierna appellante. Nondimeno, come nel prosieguo si avrà modo di precisare, i successivi interventi legislativi in materia assumono particolare rilevanza anche ai fini della decisione del presente giudizio. 11.3. In sede di recepimento della direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, il legislatore nazionale, nella legge delega n. 11 del 2016 prevedeva, all'art. 1, comma 1, lettera iii) l'"obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori o di servizi pubblici già esistenti o di nuova aggiudicazione, di affidare una quota pari all'80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro mediante procedura ad evidenza pubblica". In conseguenza, nel nuovo codice dei contratti pubblici, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è stato inserito l'art. 177 (Affidamenti dei concessionari), con la seguente formulazione: "1.Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità . La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato. Per i titolari di concessioni autostradali, ferme restando le altre disposizioni del presente comma, la quota di cui al primo periodo è pari al sessanta per cento". La verifica del rispetto dei limiti di cui al comma 1 da parte dei soggetti preposti e dall'ANAC viene effettuata annualmente, secondo le modalità indicate dall'ANAC stessa in apposite linee guida, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione. Eventuali situazioni di squilibrio rispetto ai limiti indicati devono essere riequilibrate entro l'anno successivo. Nel caso di situazioni di squilibrio reiterate per due anni consecutivi, il concedente applica una penale in misura pari al 10 per cento dell'importo complessivo dei lavori, servizi o forniture che avrebbero dovuto essere affidati con procedura ad evidenza pubblica. 11.4. La previsione normativa di soglie percentuali di lavori da affidare infragruppo e a terzi ha posto il problema del metodo di computo delle stesse. La questione è stata avvertita dai giudici di primo grado, che hanno rilevato, nella sentenza impugnata, la mancata indicazione nella norma di un arco temporale in relazione al quale verificare il rispetto delle soglie percentuali da parte del concessionario autostradale. Con circolare dell'11 maggio 2012 n. 67217, l'ANAS ha fornito alcune indicazioni operative. Preliminarmente, è stato precisato che il calcolo delle quote andava fatto tenendo conto dell'importo netto dei lavori eseguiti nel "periodo di riferimento", decorrente dal primo anno del Piano Economico Finanziario (PEF) - ovvero dal 2008 (in quanto anno di entrata in vigore dell'art. 29, comma 1, quinquies d.l. n. 207 del 2008 come modificato dalla legge di conversione n. 14 del 2009) se precedente - alla data di scadenza della convenzione. È stato previsto, poi, un sistema di monitoraggio: il periodo di durata della convenzione era suddiviso in intervalli quinquennali più brevi (che, per alcune concessioni sarebbe stato coincidente con l'intero periodo regolatorio), così da poter, al termine di ciascun quinquennio, rilevare eventuali situazione di squilibrio e provvedere, qualora le stesse non costituissero inadempimenti, all'adozione delle misure necessarie ad un riequilibrio delle quote, da effettuare nel quinquennio successivo. 11.5. È opportuno precisare, ai fini di una più agevole comprensione di quanto sarà affermato nel prosieguo, che il riferimento della circolare al quinquennio non era inteso ad integrare l'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 mediante l'indicazione dell'arco temporale entro cui accertare il definitivo rispetto della soglia di affidamento infragruppo (ed irrogare in caso negativo la sanzione amministrativa prevista). La circolare, infatti, non era in alcun modo integrativa del dato normativo, ma intendeva solo fornire indicazioni operative. Relativamente al "periodo di riferimento" (per l'accertamento del rispetto delle soglie percentuali di affidamento dei lavori infragruppo), la circolare precisava la sua decorrenza dal primo anno del PEF e fino alla scadenza della concessione, in piena consonanza con il dato normativo, che nulla diceva al riguardo, perché implicitamente lo considerava naturalmente coincidente con la durata della concessione. Il riferimento al quinquennio era effettuato solo a fini di monitoraggio della condotta del concessionario in costanza di concessione; esso, poi, non era certo casuale corrispondendo alla durata ordinaria del PEF approvato dall'amministrazione concedente. In una gestione concessoria ordinaria, che duri, cioè per il tempo stabilito in convenzione senza necessità di ricorrere a proroghe, al momento di redazione del PEF, si doveva prevedere la quantità di lavori da eseguire e definire quali di essi debbano essere affidati infragruppo e quali a soggetti terzi; al termine dei 5 anni, accertare il rispetto della suddetta ripartizione e prevedere eventuali aggiustamenti nel PEF per il periodo successivo. La suddivisione temporale facilitava l'espletamento dell'attività di monitoraggio, prima svolta da ANAS e oggi al Ministero, in ordine al rispetto delle quote in relazione allo stock dell'intera concessione, ma soprattutto consentiva al concessionario di calibrare gli affidamenti per il periodo successivo al fine di evitare di incorrere nella violazione delle soglie percentuali e, dunque, nella sanzione amministrativa che in conseguenza del definitivo sforamento la concedente avrebbe dovuto irrogare. 12. Tutto ciò premesso è opportuno passare alla trattazione, in via preliminare, delle questioni di legittimità costituzionale e di violazione del diritto dell'Unione Europea sollevate dall'appellante proprio con riferimento all'art. 253, co. 25, d.lgs. 163 del 2006. Le censure non possono essere accolte, dovendosi condividere le conclusioni raggiunte da questo Consiglio di Stato, su analoga vicenda processuale, con la recente sentenza n. 6005 del 2022. 12.1. Per quanto attiene alla violazione delle norme del diritto comunitario uniforme in materia di appalti, si evidenzia che il legislatore comunitario lascia a quello nazionale la possibilità di intervenire nella disciplina della materia degli affidamenti infragruppo, non ponendosi dunque alcun problema di violazione delle competenze del legislatore europeo in materia di appalti. Le disposizioni in esame non si pongono in contrasto la normativa e i principi dell'Unione europea, non costituendo recepimento di specifiche direttive e rappresentando meri strumenti attuativi dei principi comunitari di concorrenza e di massima apertura al mercato. Non si potrebbe poi ravvisare alcuna violazione né del divieto del cosiddetto gold plating, in quanto nel caso di specie non vi sarebbe alcuna riduzione della concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, né dell'art. 43 della direttiva (UE) 2014/23 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, relativa all'aggiudicazione dei contratti di concessione, poiché quest'ultima disposizione presuppone che la concessione sia stata affidata a mezzo di procedura ad evidenza pubblica, "il che pacificamente non è avvenuto per quella di cui allo stato risulta titolare l'appellante" (così Consiglio di Stato, sez. V, 19 agosto 2020, n. 05097 nel rimettere la questione di legittimità costituzionale dell'art. 177 comma 1 del d.lgs. n. 50 del 2016 alla Corte Costituzionale). 12.2. Allo stesso tempo possono essere disattese anche le censure relative alla violazione del principio di irretroattività della legge, con riferimento all'art. 3 in combinato disposto con l'art. 25, 97 e 117 co. 1 della Costituzione, nonché all'art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU. Sicchè va esclusa la violazione dei principi europei di certezza del diritto e di legittimo affidamento. Dall'art. 253, comma 25 cit., infatti, non è possibile desumere elementi che depongano nel senso di un qualche effetto retroattivo dell'obbligo dei concessionari di esternalizzare l'attività svolta; infatti la vigenza della norma era prevista solo dalla data del 1 gennaio 2014. D'altro canto la concessione, in quanto rapporto "di durata", è per sua natura sensibile alle sopravvenienze normative, senza che ciò comporti alcuna violazione dei principi di irretroattività della legge e legittimo affidamento dei destinatari della stessa (così, Cons. Stato, Sez. V, Sent. 14/07/2022, n. 6005). Sicché, non assume rilievo, in questo caso, l'art. 11 delle preleggi, in materia di successione delle leggi nel tempo, dal momento che la nuova normativa comunale applicata dall'amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti. 12.3. Del pari, deve essere disattesa la supposta violazione dell'art. 77 Cost. sulla base della stessa giurisprudenza della Consulta, secondo la quale la Costituzione non prevede rigidi parametri di determinazione dei requisiti di "necessità e urgenza" richiesti per l'emanazione di decreti legge. Invero, l'espressione utilizzata dalla Costituzione per indicare i presupposti che condizionano il potere del Governo di emanare norme primarie possiede un largo margine di elasticità, e la straordinarietà del caso, che impone la necessità di dettare con urgenza una disciplina, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani, atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi (così Corte Costituzionale n. 93 del 2011). 12.4. Infine, e congiuntamente, vanno trattate la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 41 Cost. e quella di violazione dei principi europei di proprietà e libertà di impresa. Ritiene la Sezione che l'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006 non sia in contrasto con le disposizioni costituzionali, quanto meno nella sua originaria formulazione, che è quella cui occorre tenere conto nel presente giudizio e neppure con i principi europei di proprietà e libertà di impresa. Quest'ultimo punto va meglio precisato: le note impugnate con il ricorso introduttivo accertavano l'avvenuto spostamento del limite percentuale nell'affidamento infragruppo sostanzialmente in relazione al precedente quinquennio, disciplinati dall'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2016, nella sua formulazione originaria, con obbligo di esternalizzazione per una percentuale minima del 40 per cento; la modifica della soglia (al 60%) ha avuto effetto a partire dal 1 gennaio 2014. Tenendo conto di tale dato fattuale, è possibile soffermarsi sulle ragioni che hanno condotto alla pronuncia di incostituzionalità dell'art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016. A tale riguardo, viene in rilievo la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 2021, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 177 del d.lgs. n. 50 del 2016 per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione. È opportuno precisare che l'art. 177 co. 1 d.lgs. n. 50 del 216 prevedeva che "Fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7, i soggetti pubblici o privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture già in essere alla data di entrata in vigore del presente codice, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, sono obbligati ad affidare, una quota pari all'ottanta per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro e relativi alle concessioni mediante procedura ad evidenza pubblica, introducendo clausole sociali e per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità . La restante parte può essere realizzata da società in house di cui all'articolo 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato". Nella sentenza n. 218 del 2021, la Corte costituzionale non ha ritenuto precluso al legislatore dalle disposizioni costituzionali stabilire un obbligo di esternalizzazione, che, invece, ha giudicato di per sé legittimo, poiché finalizzato ad assicurare la massima apertura possibile al mercato delle commesse pubbliche, specialmente laddove, a monte, le concessioni erano state assegnate con affidamento diretto, ma lo ha detto irragionevole nella dimensione prevista dal legislatore del 2016, per la seguente ragione: 'l'impossibilità per l'imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante'. Nello scrutinio del bilanciamento operato tra diritti di pari rilievo, poi, la Corte ha ritenuto che per la sua 'incisività e ampiezza applicativà la misura non fosse proporzionata, non avendo il legislatore tenuto in debita considerazione l'interesse dei concessionari, i quali, per quanto godessero di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, per avere sostenuto investimenti e fatto programmi, riponevano un affidamento nella stabilità del rapporto concessorio così come originariamente instaurato. La Consulta ha statuito che la libera iniziativa economica e i limiti al suo esercizio debbano costituire oggetto, nel quadro della garanzia offerta dall'art. 41 Cost., di una complessa operazione di bilanciamento nella quale vengono in evidenza, da una parte, il contesto sociale ed economico di riferimento e le esigenze del mercato in cui si realizza la libertà d'impresa, e, dall'altra, le legittime aspettative degli operatori, in particolare quando essi abbiano dato avvio, sulla base di investimenti e programmi, ad un'attività imprenditoriale in corso di svolgimento. Ed, infatti, la Corte ha affermato che "Se, dunque, legittimamente in base a quanto previsto all'art. 41 Cost., il legislatore può intervenire a limitare e conformare la libertà d'impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il perseguimento di tale finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti"(Corte Cost. n. 218 del 2021). In ragione di tali considerazioni, la Corte Costituzionale ha ritenuto la previsione di cui all'art. 177 co. 1 cit. irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, ed in particolare tale irragionevolezza si collegherebbe innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto dovendo la parte più grande delle attività concesse essere appaltata a terzi e non potendo comunque la restante parte essere compiuta direttamente. In tal modo, "l'impossibilità per l'imprenditore concessionario di conservare finanche un minimo di residua attività operativa trasforma la natura stessa della sua attività imprenditoriale, e lo tramuta da soggetto (più o meno direttamente) operativo in soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, in una stazione appaltante. Né vale in proposito osservare che resterebbero comunque garantiti i profitti della concessione, giacché, anche a prescindere da ogni considerazione di merito al riguardo, è evidente che la garanzia della libertà di impresa non investe soltanto la prospettiva del profitto ma attiene anche, e ancor prima, alla libertà di scegliere le attività da intraprendere e le modalità del loro svolgimento (...) Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, così come definito dalla previsione censurata, è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti, nel ricordato bilanciamento, per l'apprezzamento dello stesso interesse della concorrenza, quali fra gli altri le dimensioni della concessione - apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni -, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l'epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico". (Corte Cost. 218 del 2021). Ciò posto, può affermarsi che la soglia percentuale prevista per gli affidamenti a terzi dall'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, consistente nel 40 per cento dei lavori non era, per la sua entità, nè irragionevole né sproporzionata. La previsione del 40 per cento, pur di applicazione indistinta, era sacrificio ragionevole della libertà di impresa del concessionario alla luce della finalità dell'obbligo di esternalizzazione ricordata in più passaggi della sentenza della Corte costituzionale, vale a dire quello di 'recuperare a valle la concorrenza compromessa a montè, per essere basato il previgente sistema di assegnazione delle concessioni autostradali sulla regola dell'affidamento diretto. Quel che la Corte ha inteso tutelare, l'affidamento del concessionario nella stabilità del rapporto concessorio, così come instaurato, per poter realizzare i programmi che aveva elaborato e gli investimenti che in base ad essi erano stati effettuati, oltre agli altri interessi coinvolti (del concedente, degli utenti del servizio e dei lavoratori occupati dal concessionario), non era radicalmente compresso, poiché la norma del 2006 non imponeva in alcun modo la dismissione totalitaria dei lavori dati in concessione, come di fatto comportava la corretta applicazione dell'art. 177 d.lgs. n. 50 del 2016; non v'era, cioè, un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l'attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno. In conclusione, la formulazione originaria dell'art. 253, comma 25, del d.lgs. n. 163 del 2006 non dà adito a dubbi di legittimità costituzionale, poiché appare una misura mite che impone il sacrificio di un diritto, ma non la sua radicale compressione. Non possono, pertanto, essere condivise le osservazioni mosse da parte appellante, da ultimo, anche nell'articolata memoria difensiva, nella parte in cui, nell'insistere nell'accoglimento delle prospettate eccezioni di incostituzionalità, ha ritenuto che il precedente arresto di questa Sezione del Consiglio di Stato, n. 6005 del 14.7.2022, il cui ragionamento si ritiene di condividere in toto, fosse incorso in un errore materiale. Invero, va ribadito che la soglia percentuale prevista per gli affidamenti a terzi dall'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, consistente nel 40 per cento dei lavori non era, per la sua entità, né irragionevole né sproporzionata, imponendo il sacrificio di un diritto, ma non la sua radicale compressione. Lo stesso Consiglio di Stato, in sede di rimessione alla Corte Costituzionale, aveva avuto modo di sottolineare che il legislatore dell'art. 253, comma 25, del d.lgs. 163/2006 avesse tenuto conto delle contrapposte esigenze di tutela della libertà d'impresa ai sensi dell'art. 41 della Costituzione, così come garantite dal legislatore comunitario (v. Consiglio di Stato, V sezione, 19 agosto 2020, n. 05097, secondo cui "nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione e di mantenimento della funzionalità complessiva della concessione, altre volte invece considerate in funzione limitatrice degli obblighi di dismissione a carico del concessionario senza gara (si rinvia ai sopra citati artt. 146 e 253, comma 25, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163)"). 13. Passando all'analisi dei motivi di appello, occorre in primo luogo soffermarsi sul potere esercitato dal Ministero con le note provvedimento impugnate con il ricorso introduttivo, in quanto, come precedentemente riferito, l'appellante denunzia l'insussistenza di un potere inibitorio (da successivi affidamenti infragruppo) in capo all'amministrazione concedente, la quale non avrebbe potuto modificare autoritativamente ed unilateralmente le clausole contrattuali dell'atto di concessione, né nell'esercizio delle funzioni paritetiche di controparte contrattuale, né nella veste di autorità amministrativa. A ben vedere, alla luce del quadro normativo e di prassi sopra delineato, deve ritenersi che le predette note ministeriali siano state adottate nell'esercizio del potere di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali riconosciuto al Ministero (in quanto subentrato ad ANAS) dall'art. 2, comma 86, d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, oltre che dall'art. 2, comma 1, lett. c) l. n. 59 del 1961. Essa, dunque, era modalità attuativa di un potere espressamente previsto dalla legge, ancor prima che atto di diffida al corretto adempimento che, all'interno di un rapporto paritetico, è consentito al creditore rivolgere al debitore quando è certo che quest'ultimo non sarà in condizione di adempiere all'obbligo assunto nell'ambito dei principi di correttezza e buona fede, di cui all'art. 1175 c.c.. Né può porsi in discussione l'interesse all'immediata impugnazione dei provvedimenti relativamente al loro contenuto precettivo - inibitorio, venendo in rilievo un'ipotesi di "arresto procedimentale"; in altri termini, sino all'annullamento il rapporto concessorio sarebbe stato conformato nel senso richiesto dal Ministero, con conseguente limitazione della libertà di scelta della concessionaria. Ciò posto, non può in ogni caso non evidenziarsi la sussistenza di un grave vizio logico e motivazionale delle predette note - provvedimento, tale da comportare l'accoglimento del primo motivo di appello. Il Ministero ha vietato alla concessionaria ulteriori affidamenti infragruppo per il continuato superamento dei limiti previsti dalle disposizioni normative e convenzionali vigenti rilevando che, sulla base della documentazione trasmessa dalla società aggiornata al 31 dicembre 2014, le percentuali relative ai lavori infragruppo/terzi effettuate dalla stessa non garantivano un rientro nei limiti di legge entro la fine del quinquennio in corso. In questo modo, è stato inibito alla concessionaria di attuare un piano di recupero nel successivo periodo di durata residua della concessione che potesse consentire il riallineamento delle percentuali. Orbene, il quinquennio è dato temporale utile ai limitati fini del monitoraggio, non potendo venire in considerazione quale arco temporale ultimo per definire lo stock di lavori sul quale appurare il rispetto delle soglie percentuali; in tal caso, infatti, sarebbe palese la violazione dell'art. 253, comma 25, d.lgs. n. 163 del 2006, atteso che l'omessa indicazione di un preciso parametro temporale sottende proprio alla necessità che l'analisi si incentri sull'intero periodo di durata della concessione. Depone in tal senso, tra l'altro, la circolare dell'ANAS del 11 maggio 2012 n. 67217, la quale afferma con chiarezza il rilievo del quinquennio quale arco temporale finalizzato al solo monitoraggio dell'andamento dell'esecuzione dei lavori, e non anche all'irrogazione della sanzione conseguente all'accertamento dell'inadempimento definitivo agli obblighi previsti dal citato art. 253 cit.. Ne discende che il Ministero, nel caso di specie, una volta accertato lo sforamento 'temporaneò delle soglie percentuali, non poteva senz'altro inibire affidamenti infragruppo nel periodo di durata residua delle rispettive concessioni, senza considerare le concrete possibilità per la concessionaria di compensare gli sforamenti della soglia avvenuti nel precedente quinquennio tramite l'affidamento di lavori a terzi nel ridetto periodo successivo, non potendo inibire tout court gli affidamenti infragruppo nel periodo di durata residua delle concessioni. Nulla, infatti, poteva escludere che, in ragione del valore dei lavori in corso di affidamento o già affidati e da eseguire o, ancora, in corso di esecuzione, la concessionaria potesse, al termine di durata della concessione, dimostrare l'avvenuto rispetto della soglia percentuale negli affidamenti a terzi (così Cons. Stato, n. 6813 del 2022; Cons. Stato n. 6814 del 2022). In definitiva, compete al Ministero, da un lato, in corso di durata della concessione monitorare il rispetto delle soglie percentuali degli affidamenti dei lavori, e, quante volte accerti in un periodo quinquennale lo sforamento, adottare atti di sollecito al riallineamento, e, dall'altro, al termine della concessione, accertare l'effettivo rispetto delle soglie e, in mancanza, irrogare la sanzione prevista dalla legge per la violazione degli obblighi del concessionario. Il Collegio ravvisa, pertanto, l'illegittimità del provvedimento anche per vizio di istruttoria, atteso che era onere dell'amministrazione, anche richiedendo al privato ulteriore documentazione, verificare se, nel residuo periodo di durata della concessione stessa, fossero previsti interventi che, se affidati a terzi, avrebbero portato a compensare gli sforamenti accertati. Le precedenti considerazioni assorbono ogni altra questione e deduzione difensiva prospettata dall'appellante, stante, sotto tale profilo, l'illegittimità delle note impugnate con il ricorso introduttivo. Va, infatti, ribadito quanto recentemente affermato da questa Sezione, secondo cui "un potere di inibizione in corso di durata della concessione non si può ragionevolmente ammettere, poiché delle due l'una: o il Ministero ritiene che il concessionario non sia più in condizioni di rispettare le soglie, ossia ritenga maturato un definitivo inadempimento, ed allora dovrà immediatamente adottare la sanzione (eventualmente anche valutando la revoca - decadenza dalla concessione), oppure, se non abbia evidenze dell'inadempimento definitivo, limitarsi a segnalare il possibile verificarsi dello stesso e spingere la concessionaria a rivedere le sue scelte per il periodo mancante per poter rispettare gli obblighi legali e convenzionali" (così Cons. Stato, Sez. V, Sent. 03/08/2022, n. 6814; conforme Sez. V, Sent. 03/08/2022, n. 6813). 14. Il Collegio rileva che l'illegittimità delle note ministeriali impugnate con il ricorso introduttivo non invalida i successivi atti ministeriali, impugnati con i motivi aggiunti nel giudizio di primo grado, nei quali il Ministero si è sostanzialmente limitato a ribadire quanto rilevato in precedenza, denegando l'accoglimento delle istanze presentate dalla società . Con successivi motivi aggiunti, la SA. s.p.a. ha ulteriormente impugnato, chiedendone l'annullamento, la nota- provvedimento 22.9.2015, prot. 9691 e la nota provvedimento 2.10.2015, prot. 10162; con le suddette note -provvedimento, l'ente concedente ha ribadito 'il continuato superamento dei limiti previsti dalle disposizioni normative e convenzionali vigentà in quanto risulterebbe che 'la nuova programmazionè dei lavori di manutenzione ordinaria sull'autostrada non prevederebbe il completo recupero dell'esubero infragruppo ed il rientro delle percentuali infragruppo/terzi nei limiti di legge entro il 31.12.2018. Con una seconda serie di motivi aggiunti, la SA. s.p.a. ha inoltre impugnato, chiedendone l'annullamento, la nota - provvedimento 28.12.2015 prot. 16198, con cui l'ente concedente, dopo aver richiamato i precedenti atti già impugnati con il ricorso e con la prima serie di motivi aggiunti, ha sostanzialmente reiterato l'illegittima richiesta di una 'nuova programmazione finalizzata al rientro nei limiti di legge, entro il 31.12.2018, che preveda il completo recupero della quota infragruppo eccedente registrata al 31.12.2013', richiedendo la trasmissione, entro il 15.1.2016, unitamente alle schede semestrali del piano di rientro che garantisca il completo recupero della quota infragruppo eccedente (registrata al 31.12.2013) entro la fine del quinquennio in corso, con l'ulteriore precisazione che le richieste avanzate dall'ente concedente rientrerebbero nelle misure correttive finalizzate a garantire il rispetto dei limiti in tema di affidamenti di lavori infragruppo e ad evitare situazioni sanzionabili. Va richiamato, a tale riguardo, quanto affermato in plurimi pareri resi da questo Consiglio di Stato su ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica presentati da altra società autostradale (A.T. S.p.a.) avverso atti di identico tenore, secondo cui siffatte note ministeriali sono "deliberazioni di carattere preliminare informativo-collaborativo, idonei solo a preannunciare la futura ed eventuale apertura di un procedimento sanzionatorio qualora il privato concessionario non ponga rimedio alla situazione di criticità oggetto di allarme" (ex multis Cons. St., sez. I, 27 gennaio 2021, n. 1444; Cons. St., sez. I, 1 dicembre 2021, n. 912). In altri termini, non si tratta di atti di diniego, ma di strumenti informativi-collaborativi. Le suddette note mancano di contenuto conformativo, assumendo finalità di dia procedimentale, potendo il concessionario liberamente scegliere se proseguire nell'affidamento infragruppo, rischiando di rendere definitivo lo sforamento e, quindi, di incorrere nella sanzione, oppure conformare la sua condotta alle indicazioni del Ministero. Da quanto detto sopra deriva che la legittimità di tali note (e più in generale, la condotta del Ministero come soggetto vigilante al rispetto degli obblighi a carico del concessionario) dovrà essere vagliata unitamente alla condotta del concessionario in uno specifico giudizio, che abbia ad oggetto il provvedimento per avvenuto sforamento delle soglie di affidamento ai terzi (o, comunque, ove si discuta del rispetto degli obblighi posti dalla concessione e delle eventuali determinazioni a tale ragione assunte dal Ministero), poiché, per quanto precedentemente esposto, solo a consuntivo potrà dirsi se in relazione all'intero stock dei lavori affidati nel corso di durata della concessione siano state rispettate o meno le soglie percentuali degli affidamenti a terzi previste dalla legge. Ne consegue che i motivi aggiunti non erano fondati e andavano dunque respinti. 14.1. La domanda di condanna al risarcimento del danno va respinta. La società sostiene che gli atti ministeriali impugnati avrebbero causato un danno derivante dalla perentoria preclusione, contenuta nei provvedimenti impugnati, di affidare lavori a imprese collegate o controllate. Ciò che è sufficiente a dire infondata, anche solo nella prospettazione, la domanda risarcitoria, è il fatto che nessun pregiudizio concreto di natura patrimoniale viene allegato quale conseguenza immediata e diretta del provvedimento illegittimo adottato dal Ministero, con la conseguenza che non risulta integrato uno degli elementi costitutivi (il danno - conseguenza) della fattispecie risarcitoria. Si aggiunga, inoltre, che la paventata inibizione rispetto a ulteriori affidamenti infragruppo può aver inciso sul solo patrimonio delle società cui si sarebbe voluto affidare i lavori - queste essendo le uniche legittimate ad agire in via risarcitoria - non potendosi immaginare alcun danno per la società concessionaria. La richiesta di risarcimento del danno si sostanzia in tal caso in un'azione a beneficio di terzi, incompatibile con il regime del risarcimento del danno e con la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa. 15. In conclusione, l'appello va accolto in parte e, per l'effetto, va riformata la sentenza di primo grado con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio nei sensi di cui in motivazione, respinti i motivi aggiunti ed ogni altra domanda. 16. La peculiarità della vicenda processuale e la parziale soccombenza giustificano la compensazione delle spese del doppio grado del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Valle d'Aosta, Sez. Unica, n. 19 del 2016, accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso introduttivo del giudizio proposto dalla SA. s.p.a., respinti i motivi aggiunti ed ogni altra domanda. Compensa tra le parti in causa le spese del doppio grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell'art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113 con l'intervento dei magistrati: Francesco Caringella - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7229 del 2022, proposto da Al. Te. Va. Li. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Mu., An. Bl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Dt II Liguria, Piemonte, Valle D'Aosta - Ufficio delle Dogane di Savona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (...) per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 587/2022 Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2023 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti l'avvocato An. Bl. e l'avvocato dello Stato An. Co.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con l'appello in esame si domanda la riforma della sentenza n. 587/2022 con la quale il T.A.R. Liguria, dopo avere dichiarato parzialmente cessata la materia del contendere, ha rigettato, per il resto, il ricorso ed i motivi aggiunti proposti avverso gli atti con i quali l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha imposto all'appellante l'installazione sul proprio deposito fiscale di appositi misuratori volumetrici atti a consentire il controllo a distanza del flusso degli idrocarburi in tempo reale nell'ambito del c.d. sistema "Infoil". L'appellante, infatti, è proprietaria di un impianto costiero adibito a deposito di prodotti energetici in (omissis) (SV) che gestisce in regime di deposito fiscale ai sensi dell'art. 23 co.3 D.Lgs. n. 504/1995 ed il cui approvvigionamento è possibile tramite tre ingressi (ed ossia via mare mediante navi che approdano al pontile in concessione, via terra mediante l'oleodotto collegato alla raffineria di (omissis), oppure tramite autobotti), mentre l'estrazione è consentita da due possibili uscite (vale a dire, via mare tramite ricarico su navi di prodotti destinati ad altri depositi fiscali o all'esportazione che, in quanto non immessi in consumo, beneficiano del regime di c.d. sospensione d'accisa, e via terra per mezzo di autobotti al fine dell'immissione in consumo). Ciascuno dei 17 serbatoi di cui è costituito l'impianto adibito a deposito è munito di appositi strumenti di misurazione tramite tele-livelli collegati ad un sistema interno di archiviazione dati, che consentirebbe "ogni tipo di verifica" (pag. 5 dell'appello). Il punto di carico delle autobotti, invece, dispone di un contatore volumetrico fiscale che misura e registra le quantità di prodotto caricate, vale a dire, secondo l'appellante, la totalità del prodotto soggetto ad accisa. Infine, è possibile effettuare misurazioni manuali tramite bindella metrica certificata da calare, con l'ausilio di un operatore, all'interno del serbatoio per misurare il livello di prodotto presente, calcolandone le quantità . Con determinazione del primo dicembre 2020, l'Ufficio Dogane di Savona, in ragione della dichiarata necessità di conformare l'impianto al sistema INFOIL, ha imposto all'appellante una serie di accorgimenti da adottare in relazione ai sistemi di misurazione del deposito, tra i quali, per quanto di interesse in questa sede, l'installazione entro il 30 giugno 2021 sulle condotte utilizzate per l'introduzione e l'estrazione del prodotto nel deposito di misuratori con caratteristiche metrologiche da sottoporre alla preventiva autorizzazione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, fornendo entro il 31 gennaio 2021 le caratteristiche metrologiche dei misuratori su condotta già presenti in deposito, con le relative schede tecniche del produttore, i certificati di taratura e le verifiche periodiche di funzionalità . Con nota del 15 gennaio 2021, l'appellante rendeva noto all'Ufficio Dogane di Savona che lo stabilimento era conforme alle prescrizioni imposte, contestando, al contempo, l'applicabilità di quella poc'anzi menzionata, poiché le condotte fiscalmente rilevanti, ossia quelle dedicate al carico delle autobotti in uscita, erano già provviste dei misuratori richiesti. Donde, l'istanza di riesame in autotutela del provvedimento in parte qua. A fronte del diniego opposto dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con nota del 25 gennaio 2021 l'appellante ricorreva al T.A.R. Liguria, per sentire annullare la predetta determinazione nella parte in cui imponeva la contestata installazione di misuratori volumetrici. Dopo di che, il provvedimento impugnato veniva in corso di causa parzialmente annullato in autotutela limitatamente alla parte in cui prevedeva l'apposizione dei richiesti misuratori sulle condotte utilizzate per l'introduzione del prodotto in deposito, ferma restando l'installazione degli stessi sulle condotte in uscita senza considerare l'eventuale non destinazione all'immissione in consumo del prodotto erogato. L'appellante, quindi, contestava con motivi aggiunti la nuova determinazione dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Nel corso del processo il T.A.R. adito concedeva la chiesta sospensione cautelare degli effetti del provvedimento impugnato domandando, al contempo, all'Amministrazione resistente un approfondimento in ordine alla fattibilità dell'installazione dei misuratori sulle condotte di carico dei prodotti energetici su nave. All'esito dell'istruttoria condotta, il T.A.R. Liguria, pronunciandosi con sentenza n. 587/2022 pubblicata il 6 luglio 2022 e non notificata, dichiarava parzialmente cessata la materia del contendere, a fronte dell'annullamento parziale del provvedimento impugnato con il ricorso introduttivo disposto in autotutela dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rigettando per il resto i ricorsi proposti poiché : a) esisterebbe un generale ed ampiamente discrezionale potere di controllo dell'Amministrazione nei confronti dei titolari di stabilimenti operanti in regime di deposito fiscale, nella fattispecie legittimamente esercitato, in quanto propedeutico ad evitare l'elevato rischio di frodi in tema di accise e di I.V.A.; b) i tele-livelli non sarebbero idonei ad assicurare un attendibile monitoraggio dei flussi di quantità di prodotto in uscita dai serbatoi dei depositi fiscali, potendo le misurazioni ed i conseguenti risultati essere "vanificati dalla contemporanea immissione di prodotti di eguale quantità di quelli estratti". Inoltre, i tele-livelli consentirebbero di quantificare l'ammontare del carburante fuoriuscito soltanto a posteriori, ossia calcolando la differenza fra la giacenza del serbatoio prima e dopo l'estrazione (c.d. delta serbatoio), mentre lo strumento di misurazione apposto sulla condotta consentirebbe di acquisire direttamente il flusso in transito da caricare sulla nave, assicurando una rilevazione molto più precisa; c) l'imposizione di appositi misuratori sulle condotte costituirebbe misura ragionevole e proporzionata, in quanto propedeutica ad evitare fenomeni frodatori di occultamento di prodotto gravato da carico tributario non ancora assolto. La rilevazione del flusso in partenza, infatti, sarebbe necessaria non soltanto quando il carburante è immesso in consumo, ma anche in caso di trasferimento in sospensione d'imposta presso un altro deposito fiscale poiché "il carburante in eccedenza, accantonato presso il primo deposito, potrebbe essere in seguito estratto abusivamente tramite autobotti sovraccariche (ossia contenenti una partita di prodotto maggiore di quella segnata nel documento di trasporto), con conseguente evasione dell'accisa e dell'Iva". Né, peraltro, potrebbero i misuratori meccanici apposti nei punti dedicati al riempimento delle autobotti eliminare il rischio di frode, poiché il carburante accantonato in eccesso sarebbe "suscettibile di essere caricato con modalità differenti da quelle ordinarie, che sfuggono ai contatori fiscali (ad esempio, con tubazioni mobili, taniche, etc.)". Donde, la necessità di installare misuratori volumetrici sulle condotte che veicolano il prodotto dai serbatoi interni al pontile di carico per le navi-cisterna. Infine, non sarebbero ostative all'installazione delle apparecchiature richieste le difficoltà tecniche rappresentate dalla società poiché il competente funzionario dell'Ufficio delle Dogane di Savona avrebbe individuato tre possibili siti alternativi interni al deposito onde installare i misuratori richiesti (ossia la zona di ingresso degli oleodotti interrati, l'area manifold antistante le trappole pig o, infine, la mandata delle pompe di carico della benzina e del gasolio) ed, inoltre, le contro-osservazioni della società non coglierebbero nel segno, posto che il paventato rischio di mancato o erroneo computo del carburante dipendente da possibili trafilamenti di prodotto o errata configurazione delle valvole sembrerebbe riconducibile ad errori di tipo accidentale configurabili in ogni tipo di misurazione, mentre la paventata non fruibilità del deposito per il tempo occorrente (pari ad almeno due mesi) all'esecuzione dei lavori di montaggio dei misuratori non costituirebbero un'oggettiva impossibilità tecnica giustificante l'omessa esecuzione della prescrizione imposta dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, tanto più in mancanza di prova dell'incapacità economica di sostenere le relative spese e le perdite dipendenti dal fermo tecnico del deposito fiscale. Con appello notificato ai sensi della L. n. 53/1994 il 19 settembre 2022 all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (presso l'indirizzo p.e.c. dell'Avvocatura Generale dello Stato) e depositato il medesimo giorno, la società appellante domandava la riforma della predetta sentenza, previa sospensione cautelare degli effetti, ed il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado per i seguenti motivi: 1. - erroneità della decisione gravata nella parte in cui ha ritenuto equiparabili i prodotti soggetti a sospensione di accisa con i prodotti immessi in consumo, concludendo, quindi, per la necessaria installazione dei misuratori volumetrici sulle condotte in uscita dal deposito per il trasporto marittimo del prodotto energetico - poiché : 1.1) il T.U.A. imporrebbe il pagamento del tributo soltanto in relazione ai prodotti immessi in consumo da un deposito fiscale (art. 2 T.U.A.), in quanto equiparato alle raffinerie ed agli stabilimenti di produzione di prodotti energetici ad opera del d.l. n. 124/2019 (art. 10 T.U.A.); 1.2) i controlli dell'Agenzia delle Dogane dei Monopoli sarebbero legittimi soltanto in funzione della gestione dei tributi e degli interessi fiscali; 1.3) secondo l'art. 1.2 del Regolamento INFOIL ed in conformità a quanto previsto dall'art. 67 T.U.A., la registrazione delle quantità introdotte ed estratte dal deposito fiscale mediante misurazione indiretta costituirebbe misura idonea a garantire controlli effettivi; 1.4) il potere dell'Agenzia delle Dogane dei Monopoli di ordinare l'attuazione di opere e misure aggiuntive rispetto a quelle previste dal Regolamento INFOIL sarebbe ammissibile, ai sensi dell'art. 18 T.U.A. soltanto ed esclusivamente in caso di giustificati interessi fiscali, con conseguente ricaduta anche sui provvedimenti attuativi del Regolamento INFOIL stesso al punto che il sistema di doppia misurazione sarebbe ammissibile soltanto per l'accertamento e la liquidazione dell'imposta, ossia in relazione solo all'immissione in consumo del prodotto, non essendo previsto un generale potere di controllo sui prodotti in sospensione d'accisa; 1.5) l'imposizione di dotare le condotte per il carico di navi di appositi misuratori diversi rispetto a quelli già installati nel deposito (ossia i tele-livelli stabiliti dal Regolamento INFOIL) non sarebbe supportata da alcuna norma di legge; 1.6) nessuna condotta di frode fiscale sarebbe stata contestata all'appellante a giustificazione dell'imposizione delle misure pretese dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli; 1.7) non potrebbe ascriversi rilievo alcuno a fatti di cronaca inconferenti ed a norme previgenti, come quelle in vigore per la precedente imposta di fabbricazione; 1.8) l'Agenzia delle Dogane dei Monopoli non avrebbe dimostrato la necessità tecnica legittimante la pretesa imposizione dei misuratori volumetrici, non essendo comprovato che le misurazioni tramite i tele-livelli siano inattendibili, contrariamente a quanto sostenuto dall'adito T.A.R. nella pronuncia impugnata; 1.9) la contestata prescrizione imposta dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, poiché, in primo luogo, non sarebbe vera l'affermazione secondo cui le autobotti potrebbero essere sovraccaricate, essendo pacifico ed incontestato che le baie di carico delle autobotti della società sono dotate di misuratori meccanici, quale unica via di immissione in consumo del prodotto stoccato nel deposito e rilevante ai fini fiscali per la liquidazione dell'imposta dovuta. In ogni caso, quand'anche si ritenesse possibile una delle operazioni fraudolente indicate in sentenza, neanche il misuratore volumetrico posto sulla testata del pontile richiesto dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli sarebbe in grado di rilevare il fatto, trattandosi di estrazioni effettuate a monte della tubazione. Donde, l'errore di fatto, oltre che di diritto, in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado; 2. - error in iudicando perché delle argomentazioni della sentenza impugnata a confutazione dei motivi di ricorso proposti non vi sarebbe menzione alcuna nei provvedimenti impugnati ed, inoltre, con l'ordinanza collegiale n. 32/2022 sarebbe stato consentito all'Amministrazione di addurre nuove ragioni a sostegno dei provvedimenti impugnati, con conseguente integrazione indebita della motivazione e sanatoria del dedotto difetto di istruttoria; 3. - error in iudicando del giudice di primo grado nella parte in cui afferma, nella sentenza gravata, che le rappresentate difficoltà tecniche della società ricorrente non sarebbero ostative all'installazione dei pretesi misuratori volumetrici. Si costituiva l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli opponendosi all'accoglimento dell'appello, in quanto infondato in fatto e in diritto. Con ordinanza cautelare n. 4994/2022, il Consiglio di Stato accoglieva l'istanza dell'appellante e sospendeva l'esecutività della sentenza appellata e gli effetti degli atti impugnati con il ricorso di primo grado al fine di mantenere la res ad huc integra. L'appellante depositava una memoria conclusiva. All'udienza pubblica del 10 gennaio 2023, il Collegio, dopo avere udito i procuratori delle parti costituite presenti, tratteneva l'appello in decisione. DIRITTO I. - Con il primo motivo di appello si lamenta l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha condiviso le censure dedotte in relazione all'irrilevanza fiscale dei controlli imposti dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli sulle condutture di uscita del prodotto destinato al trasporto marittimo. Secondo l'appellante, infatti, l'erogazione del prodotto erogato tramite le predette condutture adibite al carico sulle navi-merci, non essendo direttamente implicante l'immissione in commercio, comproverebbe l'operatività del regime di c.d. sospensione d'accisa, da cui dovrebbe desumersi l'irrilevanza sul piano fiscale dell'attività ed il conseguente difetto di qualsivoglia interesse pubblico all'esecuzione di alcun controllo da parte dell'Agenzia delle Dogane dei Monopoli. Le molteplici doglianze vanno congiuntamente esaminate in quanto tra loro connesse. I.1. - Il Collegio osserva che il provvedimento originariamente adottato dall'Amministrazione resistente obbligava la società ad installare entro il 30 giugno 2021 sulle condotte utilizzate per l'introduzione/estrazione di prodotto nel deposito, che ne fossero prive, appositi misuratori con caratteristiche metrologiche da sottoporre alla preventiva approvazione dell'Ufficio delle Dogane di Savona, nonché a fornire entro il 31 gennaio 2021 allo stesso Ufficio le caratteristiche metrologiche dei misuratori su condotta già presenti in deposito, con le relative schede tecniche del produttore, i certificati di taratura e le verifiche periodiche di funzionalità . In seguito l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha ridotto la portata della prescrizione, limitando l'installazione dei misuratori volumetrici soltanto alle condotte in uscita ed escludendola per le condotte in entrata del deposito fiscale. Il Collegio osserva che la normativa di riferimento riconosce all'Amministrazione un potere di controllo assai ampio, finalizzato a prevenire possibili frodi fiscali. L'art. 18 co.1 D.Lgs. n. 504/1995, infatti, le riconosce il potere di ordinare, a spese del depositario autorizzato, l'attuazione di "tutte le opere necessarie per la tutela degli interessi fiscali, ivi compresa l'installazione di strumenti di misura". Analoga previsione per i depositi fiscali di prodotti energetici è contemplata dall'art. 23 co.13 D.Lgs. n. 504/1995 che, in tema di controllo della produzione, della trasformazione, del trasferimento e dell'impiego dei prodotti energetici, riconosce all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli il potere di prescrivere l'installazione di strumenti ed apparecchiature per la misura ed il campionamento delle materie prime e dei prodotti semilavorati e finiti, oltre alla possibilità di adottare sistemi di verifica e di controllo con l'impiego di tecniche telematiche ed informatiche. Inoltre, con particolare riguardo ai titolari di depositi fiscali, l'art. 5 D.Lgs. n. 504/1995 espressamente prevede al co.3 lett. e) che il depositario è obbligato "a presentare i prodotti ad ogni richiesta ed a sottoporli a controlli o accertamenti", precisandosi al successivo co.4 che "I depositi fiscali sono assoggettati a vigilanza finanziaria e, salvo quelli che movimentano tabacchi lavorati, si intendono compresi nel circuito doganale: la vigilanza deve assicurare, tenendo conto dell'operatività dell'impianto, la tutela fiscale anche attraverso controlli successivi. Il depositario autorizzato deve fornire i locali occorrenti con l'arredamento e le attrezzature necessarie e sostenere le relative spese per il funzionamento". Le esigenze fiscali giustificano, dunque, un potere di controllo particolarmente ampio ed invasivo da parte dell'Amministrazione nei confronti del contribuente, al punto da consentire la scelta degli strumenti ritenuti all'uopo più idonei e delle modalità di esecuzione reputate più opportune. E poiché il controllo deve essere esercitato sul deposito fiscale nella sua interezza, costituisce misura esigibile ed opportuna l'apposizione di misuratori anche sulle condutture di erogazione di prodotto non destinata all'immissione in mercato, potendo, in astratto, fornire dati della cui utilità l'Amministrazione potrebbe essere chiamata ad avvalersi in caso di specifiche esigenze. Sebbene, infatti, l'operatività del regime di sospensione d'accisa continui ad operare in relazione alle quantità di carburante erogate dal deposito fiscale non immediatamente destinate all'immissione in consumo, è pur vero che la rilevanza delle stesse non può in toto escludersi, tenuto conto delle peculiarità caratterizzanti la corretta applicazione della disciplina delle accise ed, in particolare, la configurabilità della relativa obbligazione tributaria sin dal momento della fabbricazione o della produzione. Secondo quanto, infatti, chiarito dalla Corte di Cassazione, il fatto generatore dell'accisa per i prodotti che vi sono soggetti è la loro produzione o fabbricazione, ex art. 2, comma 1, T.U.A., giacché l'immissione in consumo determina non già l'insorgenza dell'imposta stessa ma la sua esigibilità, ex art. 2, comma 2, T.U.A. Donde, la conclusione secondo cui il regime dei depositi fiscali non implica una neutralità piena, dal punto di vista impositivo, ma soltanto una sospensione, ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. e) e g), e dell'art. 5 del T.U.A. (Cassazione civile, sez. trib., 24/07/2020, n. 15862). La sussistenza, dunque, dell'obbligazione tributaria unita alla responsabilità solidale del depositario che immetta o consenta la circolazione del prodotto in regime di sospensione giustifica l'interesse pubblico al controllo. Ed invero, in caso di irregolarità o di infrazione, per la quale non sia previsto un abbuono d'imposta ai sensi dell'art. 4 T.U.A., verificatasi nel corso della circolazione di prodotti in regime sospensivo, l'accisa, salvo quanto previsto per l'esercizio dell'azione penale se i fatti addebitati costituiscono reato, è corrisposta dalla persona fisica o giuridica che ne ha garantito il pagamento conformemente all'art. 6, comma 4 (ossia il depositario autorizzato mittente) e, in solido, da qualsiasi altra persona che abbia partecipato allo svincolo irregolare e che era a conoscenza, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere a conoscenza, della natura irregolare dello svincolo (art. 7, comma 1). E poiché, ai sensi dell'art. 2, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 504/1992, si considera immissione in consumo financo lo svincolo irregolare di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo, appare giustificata l'avvertita esigenza di un puntuale e approfondito controllo anche sul prodotto erogato dal deposito fiscale in regime di sospensione. Al riguardo, la Corte di giustizia (Corte giust. 5 aprile 2001, causa C325/99, G. Van de Water c. Staatssecretaris van Financien) aveva già chiarito che un prodotto soggetto ad accise detenuto al di fuori di un regime sospensivo deve necessariamente ritenersi in un determinato momento, in qualsivoglia modo, immesso in consumo ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva n. 92/12/CE. Ciò in quanto questa norma dispone che sono considerate come immissione in consumo non soltanto qualsiasi fabbricazione o importazione di prodotti soggetti ad accisa al di fuori di un regime sospensivo, ma del pari qualsiasi svincolo, anche irregolare, da siffatto regime. Equiparando tale "svincolo" ad un'immissione in consumo ai sensi dell'art. 6, n. 1, il legislatore comunitario ha chiaramente indicato che qualsiasi produzione, trasformazione, detenzione o circolazione al di fuori di un regime sospensivo comportano l'esigibilità dell'accisa. Ogni qualvolta, dunque, si accerti che un prodotto è uscito da un regime sospensivo senza che l'accisa sia stata assolta, si verifica l'immissione in consumo ai sensi dell'art. 6, n. 1, della direttiva, il che determina l'esigibilità dell'accisa (v. Cass. n. 25127 del 2016). Anche a seguito della introduzione della Direttiva 2008/118, la Corte di giustizia, nella sentenza 28 gennaio 2016, causa C- 64/15 BP Europa SE c. Hauptzollamt Hamburg-Stadt, ha richiamato, in merito allo svincolo irregolare dal regime sospensivo, l'art. 7 della detta direttiva secondo cui: "1. L'accisa diviene esigibile al momento e nello Stato membro dell'immissione in consumo. 2. Ai fini della presente direttiva, per "immissione in consumo" si intende: a) lo svincolo, anche irregolare, dei prodotti sottoposti ad accisa da un regime di sospensione dall'accisa", nonché il par. 6 dell'art. 10 della direttiva secondo cui "si intende per "irregolarità " una situazione che si verifica durante la circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall'accisa diversa da quella di cui all'art. 7, paragrafo 4, a motivo della quale una circolazione o parte di una circolazione di prodotti sottoposti ad accisa non si è conclusa conformemente all'art. 20, paragrafo 2" (a tenore del quale "La circolazione di prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall'accisa si conclude, nei casi di cui all'art. 17, paragrafo 1, lettera a), punti i), ii) e iv), e lettera b), nel momento in cui il destinatario prende in consegna i prodotti sottoposti ad accisa e, nei casi di cui all'art. 17, paragrafo 1, lettera a), punto iii), nel momento in cui i prodotti hanno lasciato il territorio della Comunità "). Pertanto, lo svincolo irregolare di prodotti sottoposti ad accisa da un regime sospensivo concreta un'immissione al consumo, con conseguente responsabilità della società depositaria a titolo solidale per il pagamento dell'imposta evasa, considerato che, ai sensi dell'art. 6 co.4 D.Lgs. n. 504/1992, "Il depositario autorizzato mittente o lo speditore registrato è tenuto a fornire garanzia del pagamento dell'accisa gravante sui prodotti spediti". Al riguardo occorre sottolineare che il legislatore dell'Unione Europea ha conferito un ruolo centrale al depositario autorizzato, designato come soggetto tenuto al pagamento dei diritti di accisa nel caso in cui un'irregolarità o un'infrazione ne determini l'esigibilità : e si tratta di un regime di responsabilità per tutti i rischi inerenti (Corte giust., causa C-81/15, Kapnoviomichania Karelia, punti 31 e 32). La responsabilità del depositario autorizzato - e, va rilevato, a norma del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 5, che la fabbricazione, la lavorazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa e in regime sospensivo sono appunto effettuate in regime di deposito fiscale - è, infatti, proprio "di tipo oggettivo e si basa non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositario, bensì sulla sua partecipazione a un'attività economica..." (Corte giust., causa C95/19, Soc. Silcompa, punto 52). L'erogazione, dunque, di un prodotto in regime di sospensione d'accisa ad opera di un deposito fiscale non può considerarsi attività fiscalmente irrilevante. Peraltro, occorre precisare che, ai sensi dell'art. 18 co.5 D.Lgs. n. 504/1995, "L'Amministrazione finanziaria può effettuare interventi presso soggetti che svolgono attività di produzione e distribuzione di beni e servizi per accertamenti tecnici, per controllare, anche a fini diversi da quelli tributari, l'osservanza di disposizioni nazionali o comunitarie". Il che conferma ancor più l'opportunità di controlli accurati anche per finalità diverse da quelle fiscali. Né, peraltro, indicazioni di senso contrarie possono trarsi dal D.M. n. 169/2009, in quanto, da un lato, regolamento ministeriale adottato ai sensi dell'art. 17 co.3 L. n. 400/1988, e dunque fonte subordinata, preordinata ad assicurare l'applicazione delle disposizioni del T.U.A., secondo quanto previsto dall'art. 67 D.Lgs. n. 504/1992 e, dall'altro, in quanto fonte normativa statuente agli artt. 4 e 5 una disciplina coerente con quella di rango primario della quale garantisce l'attuazione. Donde, l'infondatezza delle relative doglianze, non essendo, peraltro, necessario che si contesti una frode fiscale per legittimare l'esercizio del potere di controllo o l'apposizione di misure idonee a consentire una migliore misurazione del prodotto presente in deposito, in ragione dello scopo preventivo perseguito. Con riguardo, poi, all'attendibilità delle misurazioni tramite tele-livelli, il Collegio precisa che non vi era alcun obbligo di motivazione da parte dell'Amministrazione, considerato che i misuratori apposti sui serbatori dell'appellante consentono una misurazione indiretta, mentre quelli pretesi con il provvedimento impugnato sono propedeutici a favorire una misurazione diretta. Donde, la conclusione secondo cui non si doveva provare l'inidoneità dei sistemi di misurazione tramite tele-livelli presenti, essendo sufficiente la mera esigenza di voler apporre strumenti atti a garantire una più attendibile misurazione in ragione della tecnica diretta al posto di quella attualmente esistente di tipo indiretto. Costituisce, infatti, massima di esperienza ritenere che la misurazione diretta sia più attendibile di una misurazione indiretta. Né, peraltro, le esigenze sottese alla necessità di garantire più approfonditi controlli in un settore, come quello in questione, ove in passato si sono verificati gravi episodi di frode fiscale devono essere particolarmente motivate dall'Amministrazione sul piano della proporzionalità, essendo chiaramente desumibile dalla richiamata normativa l'esistenza di un precipuo dovere del depositario autorizzato a sottoporsi a tutti i controlli all'uopo ritenuti necessari in ragione dell'evidente finalità di garantire il rispetto e la corretta attuazione della disciplina di matrice eurounitaria concernente tributi armonizzati (come le accise e l'I.V.A.) rispetto ai quali è configurabile una diretta responsabilità dello Stato Italiano nei confronti dell'Unione Europea. Il primo motivo, pertanto, è destituito di fondamento. II. - Con il secondo motivo si lamenta l'erroneità della decisione assunta dal giudice di primo grado nella parte in cui ha consentito l'integrazione della motivazione del provvedimento impugnato. II.1. - Il Collegio osserva che la doglianza è priva di rilevanza, poiché la ritenuta necessità di strumenti di misurazione diretta non doveva essere motivata, essendo desumibile dalla disciplina nel suo complesso considerata, come già argomentato. Rientra, infatti, nell'ambito delle valutazioni discrezionali dell'Amministrazione imporre strumenti di misurazione idonei ad assicurare un accurato controllo sulla corretta gestione dei prodotti sottoposti alla disciplina delle accise, tanto più allorché la scelta sia giustificata dalla maggiore attitudine delle soluzioni tecniche prescelte rispetto a quelle già adottate dal depositario autorizzato. Il provvedimento impugnato, pertanto, era di per sé già motivato dallo scopo perseguito dalla Amministrazione e dalla disciplina di riferimento. Il motivo, dunque, è infondato. III. - Con il terzo motivo si lamenta l'erroneità della decisione nella parte in cui non ha tenuto conto delle difficoltà tecniche rappresentate dalla società in ordine all'istallazione dei misuratori pretesi dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli. La doglianza è fondata. Se, infatti, rientra nei poteri dell'Amministrazione imporre determinati strumenti di misurazione e controllo, costituisce onere per la medesima verificare la concreta fattibilità della scelta tecnica individuata, al fine di non imporre al depositario prescrizioni irrealizzabili. Nel corso del giudizio di primo grado, l'Amministrazione e la società, all'esito del sopralluogo effettuato in data 1 settembre 2021 in ottemperanza all'ordinanza cautelare n. 109/2021 del T.A.R. adito, hanno individuato (doc. 16 parte resistente in primo grado) tre possibili soluzioni per l'installazione dei misuratori richiesti: 1) sistema di misura collocato all'ingresso dell'oleodotto all'interno del deposito in un'area immediatamente antistante le trappole di deposito; 2) sistema di misura collocato su manifold in area trappole pig; 3) sistema di misura collocato in mandata pompe di carico nave. Nel verbale del predetto sopralluogo si precisa, però, che la società ha rappresentato l'esistenza di criticità economiche e tecnico operative per le tre soluzioni individuate. In seguito, la società appellante presentava delle osservazioni in data 8 settembre 2021, contestando, sulla base anche di una propria relazione tecnica, la realizzabilità delle predette soluzioni. Il Collegio osserva che la questione evocata in giudizio, in quanto implicante valutazioni squisitamente tecniche, non è stata adeguatamente ponderata dall'Agenzia delle Dogane dei Monopoli, non essendo stato, infatti, espletato quel supplemento di istruttoria che le osservazioni della società avrebbero richiesto e giustificato. Sul punto, occorre, dunque, che l'Amministrazione si determini nuovamente, previo esame, nel contraddittorio con l'appellante, delle eventuali difficoltà tecniche ostative all'installazione dei misuratori in questione. Il motivo, pertanto, è fondato e giustifica l'accoglimento dell'appello, con riforma integrale della sentenza appellata ed annullamento degli atti impugnati in primo grado. Ai sensi dell'art. 34 co.1 lett. e) c.p.a., il Consiglio di Stato precisa che l'effetto conformativo scaturente dalla presente decisione potrebbe legittimare comunque l'Amministrazione ad imporre all'appellante le misure tecniche in questione, previa istruttoria volta a verificare, nel contraddittorio con quest'ultima, la pratica fattibilità dell'intervento richiesto, optando, tra le varie possibili, per la soluzione in grado di garantire la misurazione diretta del prodotto energetico in uscita dalle condutture propedeutiche a favorire il carico via mare, con il minor disagio possibile per la società interessata. IV. L'esito del giudizio che non preclude all'Amministrazione la possibilità di riadottare il provvedimento annullato giustifica l'integrale compensazione fra le parti delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Settima, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, riforma la sentenza appellata ed annulla gli atti impugnati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, integrato dai motivi aggiunti, salve le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione. Spese processuali del doppio grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Claudio Contessa - Presidente Fabio Franconiero - Consigliere Sergio Zeuli - Consigliere Maurizio Antonio Pasquale Francola - Consigliere, Estensore Laura Marzano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 751 del 2019, proposto da Hi. Ltd, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ministero dello Sviluppo Economico - D.G.S.C.E.R.P., non costituito in giudizio; Ed. Ra. Sas di Ug. Po. & C., Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. W. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gi. Ca. in Milano, via (...); Ra. Co. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Em. Fa. in Roma, viale (...); per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 11073/2018, resa tra le parti, avente ad oggetto annullamento graduatorie diritti d'uso in Lombardia e risarcimento danni. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico e di Ed. Ra. Sas di Ug. Po. & C. e di Ra. Co. Se. S.r.l. e di Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 13 febbraio 2023 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per la parte appellata l'avv. Ma. Ma. in sostituzione dell'avv. Ma. Ro. in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Mi. Te."; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO È appellata la sentenza del T.a.r., Lazio, Roma, Sez. III, 15 novembre 2018, n. 11073 di reiezione del ricorso proposto da Hi. Ltd. Con la stessa sentenza, il Tar ha dichiarato inammissibili i due ricorsi incidentali proposti, rispettivamente, da Ed. Ra. di Ug. Po. & C. S.a.s. e da Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C. 2. Con il ricorso introduttivo Hi. Ltd chiedeva l'annullamento della nota dell'I.T. Lombardia del Ministero dello Sviluppo Economico datata 7/08/2017, prot. U.0136815, contenente l'ordine, "ai sensi dell'art. 97 comma 2 del d.lgs. n. 259/03, che l'impianto FM 100,400 mhz ubicato in località (omissis)- (omissis) (VA), operi con uno stadio finale di potenza max di 1000 w, fermo restando le altre caratteristiche radioelettriche autorizzate. La società Hi. Ltd. provvederà altresì ai sensi dell'art. 98 comma 9 del d.l. n. 259/03, alla trasmissione delle nuove schede "b" e "c", opportunamente modificate e vistate dal legale rappresentante". 3. Ed. Ra. S.a.s. e Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C. si costituivano in giudizio e proponevano, a loro volta, ricorso incidentale avverso il provvedimento del MISE del 6 aprile 2016 di voltura della concessione n. 903913 ad Hi. Ltd. 4 S'è costituito in giudizio per resistere al ricorso il Ministero dello Sviluppo Economico - Ispettorato Territoriale per la Lombardia. 7. E' intervenuta "ad opponendum" Ra. Co. Se. S.r.l. (titolare dell'emittente radiofonica a carattere commerciale denominata "Ra. Lo.") che, nei propri scritti difensivi, svolgeva argomentazioni difensive a supporto delle domande svolte nei ricorsi incidentali proposti dalle due società sopra menzionate e, nel contempo, articolava le proprie deduzioni per opporsi l'accoglimento del ricorso principale. 8. Il T.a.r. ha rigettato nel merito il ricorso principale e ha dichiarato inammissibili i due ricorsi incidentali. 8.2 I giudici di prime cure hanno ritenuto i ricorsi incidentali inammissibili per difetto di interesse, in quanto volti ad ottenere l'annullamento di un provvedimento amministrativo che si limita a determinare il passaggio del diritto di uso sulla frequenza 100,400 MHZ, dalla dante causa A.T.I., alla Hi. Ltd, attuale titolare dell'impianto ubicato in località (omissis) - (omissis) (VA)". Quanto al ricorso principale il T.a.r. ha ritenuto infondato il motivo di gravame denunciante la radicale illegittimità dell'atto impugnato sul rilievo che la società ricorrente è "stata pienamente coinvolta e messa in condizione di contraddire nel successivo sviluppo procedimentale, nel corso del quale ha potuto conoscere la pregressa sequenza procedimentale e partecipare alla campagna di misure di c.em. relativa al proprio impianto FM 100.400 che ha poi condotto all'adozione dell'ordine di depotenziamento". Quanto ai residui motivi gravame i giudici di prime cure hanno precisato che l'amministrazione ha documentato "in corso di causa che in data 3.8.2017 venivano effettuate, in contraddittorio sull'impianto FM 100.400 MHz di (omissis), misure di campo elettromagnetico (c.em.) preventive in località individuate dall'I.T.L. su indicazione dei terzi interessati, finalizzate a fissare i valori dell'attuale configurazione del suddetto impianto. Nel corso delle misurazioni emergeva che era in realtà la stessa emittente ricorrente a predisporre l'impianto con una potenza di uscita misurata in 1000 W in luogo dei 5000 W censiti. Non è inoltre stato contestato da parte ricorrente quanto dedotto dal Ministero nella propria relazione in merito al fatto che, nel novembre 2016, a seguito di una ispezione relativa ad altro procedimento, l'impianto stesso operava, anche in quel caso, con potenza ridotta rispetto a quanto censito. Ulteriore circostanza significativa è legata ai rilievi periodici eseguiti dall'Ispettorato Territoriale Piemonte e Valle d'Aosta tramite il proprio Ce. Fi. di No., sulla frequenza 100.400 MHz di (omissis) nel periodo che va dal novembre 2015 all'agosto del 2017. Inoltre, dallo storico prodotto dalla parte pubblica (doc. 9 cit.), si evince altresì che, anche nel periodo anteriore, almeno dal novembre 2015, l'impianto in parola non ha mai operato con una potenza del trasmettitore corrispondente a quella censita (5000 W) ma con potenza di molto inferiore rispetto a tale valore". Nel respingere il quarto motivo e quinto motivo di gravame il T.a.r. ha osservato che l'Ispettorato ha esplicitamente esercitato il potere che all'organo periferico compete ai sensi dell'art. 97, comma 2, d.lgs. n. 259 del 2003. E che pare ipotetica la censura relativa all'assenza di poteri di procuratore in capo alla persona fisica che nel 2004 sottoscrisse, in nome e per conto della G.R.T. (dante causa remota dell'odierna ricorrente), la dichiarazione di impegno alla (eventuale) riduzione di potenza dell'impianto. Mentre, gravava sulla ricorrente l'onere di fornire ogni elemento probatorio utile ad escludere un effettivo potere rappresentativo con conseguente improduttività di effetti vincolanti in capo alla G.R.T. Il Collegio ha aggiunto che "in ogni caso la censura è infondata, sulla base di quanto sopra esposto in merito al ruolo, non dominante ma ancillare, che assume il risalente impegno contrattuale in oggetto nella motivazione del provvedimento impugnato e considerato che il provvedimento stesso non ha inteso riprodurre pedissequamente il contenuto di tale impegno ma piuttosto sanzionare l'uso difforme dell'impianto da parte dell'odierna ricorrente, in ragione dei numerosi rilievi relativi all'uso dell'impianto con potenza nettamente inferiore rispetto al limite massimo della potenza censita". 11. Appella la sentenza Hi. Ltd. Resistono il Ministero dello Sviluppo Economico, Ed. Ra. Sas di Ug. Po. & C., Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C., e Ra. Co. Se. S.r.l.. In limine va respinta l'eccezione d'improcedibilità dell'appello proposta dalle società appellate sul rilievo che per effetto della sentenza che ha definito il contenzioso incardinato presso il giudice civile - di cui alla del Tribunale di Milano n. 11470/2019, confermata dalla Corte d'Appello, (doc. n. 16 della Ed. Ra. di Ug. Po. & C. sas, prodotto nel presente giudizio con memoria ex art. 73 cpa, datata 6 dicembre 2022) pubblicata in data 12 dicembre 2019 - è stato ordinato al Fa. Ad. Te. an. In. (AT.) srl (di cui Hi. Ltd è avente causa) di cessare immediatamente ogni turbativa alle trasmissioni irradiate dalla Ed. Ra. di Ug. Po. & C. sas. L'esito del contezioso civile non comporta il venir meno dell'interesse al ricorso posto che la società ricorrente ha proposto la domanda di risarcimento del danno, sicché, ex art. 34 c.p.a., anche nel caso in cui l'annullamento dell'atto impugnato non sia più satisfattivo dell'interesse dedotto in giudizio, occorre accertare l'eventuale illegittimità dell'atto amministrativo impugnato da cui conseguirebbe, in ipotesi, la condanna risarcitoria. 12. I motivi d'appello, in ragione della loro connessione sostanziale, vanno esaminati congiuntamente. 12.1 Essi sono infondati. Va ribadito che l'Ispettorato Territoriale Lombardia ha esercitato un potere che gli è stato espressamente attribuito dall'art. 97, comma 2, d.lgs 1° agosto 2003 n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche) vigente all'epoca di tale emanazione A seguito dell'entrata vigore del d.lgs. 8 novembre 2021 n. 207 (che ha modificato il D. Lgs 1° agosto 2003, n. 259 recependo la Direttiva UE 2018/1972 del Parlamento Europeo e del Consiglio che ha istituito il Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche) le norme del citato art. 97, comma 2, sono ora contenute nell'art. 31, comma 2, d.lgs. cit. Sul piano ontologico, il provvedimento emanato dall'Ispettorato Territoriale Lombardia, contrariamente a quanto dedotto nei motivi d'appello, non va qualificato provvedimento di revoca della concessione relativamente all'impianto di (omissis) - (omissis) - VA, operante sulla frequenza 100,400 Mhz. L'Ispettorato Territoriale non ha disposto la disattivazione di tale impianto, bensì ha avviato la riduzione di potenza dello stesso, finalizzata al coordinamento e alla compatibilizzazione delle trasmissioni della Hi. Ltd con altri impianti coinvolti in una situazione interferenziale. Conseguentemente il provvedimento dell'Ispettorato Territoriale non ha eliminato l'operatività dell'impianto per cui è causa, ma semplicemente ne ha regolato l'esercizio sì da permettere la coesistenza (cioè la compatibilità ) tra l'impianto della Hi. Ltd e gli altri impianti coinvolti nella situazione interferenziale. Va evidenziato che l'art. 28 d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177 e successive modificazioni (Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici), vigente all'epoca della emanazione del provvedimento di riduzione di potenza oggetto di causa, stabilisce che il Ministero dello Sviluppo Economico (ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy), attraverso i propri organi periferici (quale è l'Ispettorato Territoriale Lombardia), autorizza, tra l'altro, le modifiche degli impianti di radiodiffusione sonora (come quello oggetto di causa) ai fini, tra l'altro della compatibilizzazione radioelettrica. Tale principio è ora contenuto nell'art. 25, comma 1 del Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 208. Del resto, allo stato, a seguito dell'esecuzione coattiva conseguenti alle sentenze civili che hanno risolto il contenzioso fra le parti in causa, il tecnico designato dal giudice dell'esecuzione ha depositato la relazione dalla quale s'evince che la potenza dell'impianto dell'appellante è stata ridotta a 45 watt e la frequenza di trasmissione è stata spostata dal 100,400 Mhz a 100,450 Mhz. 13.Conclusivamente l'appello deve essere respinto. 14. Le spese del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna Hi. Ltd al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Ministero dello Sviluppo Economico, di Ed. Ra. Sas di Ug. Po. & C con Ra. De. In. S.a.s. di Ci. Gi. & C. e di Ra. Co. Se. S.r.l. quantificate complessivamente in 4500,00 (quattromila cinquecento) euro, oltre diritti ed accessori di legge da dividersi fra loro in parti uguali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF, Estensore Giordano Lamberti - Consigliere Davide Ponte - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere Annamaria Fasano - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7480 del 2022, proposto dai signori Gi. Ch. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Di. Va. e Al. Ve. Di Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Di. Va. in Roma, (...); contro la Commissione Interministeriale Ripam, il Ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e Formez Pa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...); nei confronti dei signori Wi. Zu., Pi. Zu., non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. 06861/2022, resa tra le parti, concernente il concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di 2329 posti di personale non dirigenziale, a tempo pieno ed indeterminato, fascia economica F1, nel profilo di funzionario amministrativo per il ministero della giustizia (progetto Ripam); Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Commissione Interministeriale Ripam, del Ministero della Giustizia, della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Formez Pa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 gennaio 2023 il Cons. Pierfrancesco Ungari e viste le istanze di passaggio in decisione depositate dagli Avvocati Di. Va. ed Al. Ve. Di Ce. e dell'Avvocato dello Stato Em. Pe.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Gli odierni appellanti hanno partecipato al concorso pubblico, per titoli ed esami, bandito il 26 luglio 2019 per il reclutamento di complessive 2.329 unità di personale non dirigenziale a tempo indeterminato, da inquadrare nella area funzionale terza, fascia economica F1, nei ruoli del personale del Ministero della Giustizia, ad eccezione della Regione Valle d'Aosta - profilo F/MG. 2. Il concorso, espletato dalla Commissione Ripam con il supporto di Formez PA, si articolava nelle seguenti fasi: prova preselettiva; prova scritta; prova orale; valutazione dei titoli. 3. Per quel che qui interessa, secondo l'art. 7, comma 1, del bando, nonché l'avviso pubblicato dalla Commissione Ripam in data 4 ottobre 2021, pur essendo assegnato alla prova scritta un punteggio massimo di 30 punti, per il superamento della stessa non si richiedeva semplicemente un punteggio minimo complessivo di 21/30, bensì il raggiungimento di tre soglie minime: 14/20 per i 40 quesiti sulle materie giuridiche; 3,5/5 per i 10 quesiti di informatica; 3,5/5 per i 10 quesiti sulla conoscenza della lingua inglese. 4. Gli appellanti, pur conseguendo un punteggio complessivo superiore a 21/30, non hanno superato la prova scritta a causa del mancato raggiungimento della soglia minima di 3,5/5 per i quesiti sulla conoscenza della lingua inglese. 5. Essi hanno perciò impugnato dinanzi al TAR del Lazio, insieme ad altri concorrenti in analoga situazione, la mancata ammissione alla prova orale ed il bando di concorso, chiedendo di essere ammessi alla prova orale o, in subordine, di poter ripetere la prova con altri criteri esenti dai vizi prospettati. A tal fine, gli appellanti hanno lamentato, nei confronti delle clausole del bando, che: (a) - sarebbe illogico il metro di giudizio adottato dall'Amministrazione, nell'attribuire alla lingua inglese un peso tale da richiedere per essa un livello superiore alla sufficienza (ossia 7/10) ai fini dell'ammissione alla prova orale; (b)- in considerazione della caratterizzazione giuridica della figura professionale ricercata, infatti, la conoscenza della lingua inglese dovrebbe avere una rilevanza limitata e non potrebbe essere elevata addirittura a soglia di sbarramento suscettibile di impedire il superamento dell'intera prova, anche a chi ottenga - per ipotesi - il massimo nelle altre due parti del test; (c) - inoltre, il meccanismo della triplice soglia di sbarramento per il superamento della prova scritta violerebbe l'art. 7, comma 1, del d.P.R. 487/94, che prevede l'ammissione al colloquio dei candidati i quali, come nel caso dei ricorrenti, abbiano riportato una votazione minima di 21/30. 6. Il TAR ha negato tutela cautelare con ordinanza n. 126/2022, tuttavia riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1722/2022, in considerazione dell'opportunità di ammettere i ricorrenti alla prova orale in modo da non pregiudicare irreversibilmente il loro interesse, sebbene "la questione del peso specifico attribuito ai quesiti afferenti alla prova di inglese, in rapporto ai quesiti relativi alle materie direttamente correlate al profilo professionale messo a concorso, meriti adeguato approfondimento nella sede di merito in primo grado". 7. I ricorrenti hanno provveduto all'integrazione del contraddittorio in data 19 aprile 2022. 8. Il TAR, con la sentenza appellata (I-bis, n. 6861/2022), dopo aver esplicitamente accantonato l'esame delle eccezioni sollevate dal Ministero resistente, ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato nel merito. In sintesi, il TAR ha affermato che: - quanto all'illogicità della soglia per le domande in materia di conoscenza della lingua inglese, il livello di conoscenza della lingua inglese richiesto è coerente con la figura professionale per la quale il ricorso è stato indetto; - d'altra parte, per la giurisprudenza ormai consolidata, l'Amministrazione è titolare di un ampio margine di discrezionalità nella formulazione delle clausole del bando, in quanto le scelte relative sono finalizzate alla concreta cura e all'effettivo perseguimento dell'interesse pubblico, riguardano il merito dell'azione amministrativa e sfuggono, pertanto, al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, potendo essere sindacate solo in presenza di palese arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza ed irrazionalità in rapporto al fine che si intenda concretamente perseguire; - nel caso in esame, non si rinviene nessuno di quei vizi che giustificherebbero la sindacabilità delle clausole del bando da parte del giudice amministrativo; - il tenore letterale dell'art. 7, comma 1, del d.P.R. 487/1994 ("I concorsi per esami consistono (...) in almeno due prove scritte, una delle quali può essere a contenuto teorico-pratico ed in una prova orale, comprendente l'accertamento della conoscenza di una lingua straniera, tra quelle indicate nel bando. I voti sono espressi, di norma, in trentesimi. Conseguono l'ammissione al colloquio i candidati che abbiano riportato in ciascuna prova scritta una votazione di almeno 21/30 o equivalente (...)") lascia spazio, seppur entro lo schema di massima ivi delineato, a diverse modulazioni delle prove concorsuali e delle parametrazioni dei punteggi da richiedersi per il superamento delle stesse, come induce a ritenere l'utilizzo di espressioni quali "può essere" o "di norma"; - in ogni caso, la disposizione non osta alla possibilità di adottare, ai fini del superamento della prova scritta, un meccanismo basato su una triplice soglia di sbarramento; tanto più, qualora, come avviene per quelle stabilite nel concorso in esame (14/20; 3,5/5; 3,5/5), tutte le soglie in proporzione corrispondano a 7/10, alla stessa stregua di 21/30. 9. Alcuni dei ricorrenti hanno appellato la sentenza, deducendo due ordini di censure. 9.1. L'art. 7, comma 1, del d.P.R. 487/94 non prevede ulteriori sotto-soglie da conseguire in ogni parte della prova, che sarebbe dovuta rimanere unica e si sarebbe dovuta intendere superata con una votazione complessiva di almeno 21/30. L'arbitrarietà e l'illegittimità del modus operandi posto in essere dalla PA appellata risiederebbero proprio nell'aver ritenuto di applicare il medesimo standard di valutazione (7/10) per la verifica della preparazione dei candidati sulle materie inerenti al profilo professionale e per un mero accertamento della lingua straniera, di certo di carattere servente e strumentale rispetto alle materie specifiche cui inerisce il concorso. Se, infatti, la necessità in sede concorsuale è quella di verificare le attitudini e la professionalità del candidato, non potrebbe di certo ammettersi che la verifica della conoscenza della lingua inglese abbia un peso preponderante, anzi decisivo, ai fini dell'ammissione all'ultima fase concorsuale, a fronte di un punteggio totale in ogni caso ampiamente superiore a 21/30. A conferma dell'importanza (paradossalmente) residuale riservata alle materie attinenti al profilo professionale, gli appellanti aggiungono che il questionario utilizzato avrebbe consentito ai candidati di "disconoscere", sui 40 quesiti relativi alle materie attinenti al profilo, una di quelle proposte (tra "diritto amministrativo, diritto processuale civile, diritto processuale penale, ordinamento penitenziario") e di raggiungere comunque la soglia di 14/20, mentre la stessa possibilità non ha invece riguardato l'inglese, perché la soglia richiesta ha reso impossibile non rispondere ad alcune delle domande proposte. 9.2. Il Funzionario giudiziario si occupa di: attività di contenuto specialistico, lavorando all'interno delle segreterie giudiziarie e delle cancellerie (Corti d'Appello, Procure Generali e Procure della Repubblica, Tribunali e Tribunali di Sorveglianza, Uffici di Sorveglianza, Uffici del Giudice di Pace); applicare procedure amministrative d'ufficio; seguire procedure di iscrizione, fascicolazione e archiviazione. Il TAR adito, invece, per giustificare la scelta del bando, si è soffermato su attività professionali relative a settori o reparti specifici nell'ambito degli uffici giudiziari. Tuttavia, l'art. 37 del d.lgs. 165/2001, comma 1, andrebbe letto congiuntamente al comma 3, che evidenzia la necessaria corrispondenza tra i livelli richiesti di conoscenza della lingua straniera e "la professionalità cui si riferisce il bando"; in ordine al Funzionario giudiziario, l'assenza di disposizioni sui livelli di conoscenza della lingua inglese non può che condurre a ritenere sufficiente un punteggio pari a 6/10; diversamente, per il (solo) personale dirigenziale, il d.P.R. 272/2004 dispone, all'art. 5, che "nell'ambito della prova orale, al fine di valutare la conoscenza, da parte del candidato, della lingua straniera ad un livello avanzato, è prevista la lettura, la traduzione di testi e la conversazione in una lingua straniera scelta dal candidato tra quelle indicate nel bando" (dunque, per i dirigenti, si prevede l'accertamento "avanzato" della conoscenza della lingua straniera, addirittura in una fase successiva rispetto alla prova scritta). A conferma di quanto esposto, gli appellanti sottolineano che, in occasione del concorso precedente, indetto dal Ministero appellato con D.M. 27 novembre 2020, per lo stesso profilo del concorso in esame, è stato ritenuto "sufficiente" il punteggio minimo di 3/5, con espresso riferimento alle competenze linguistiche ed informatiche. Su tale aspetto il TAR non avrebbe speso alcune considerazione. 10. Il Ministero della Giustizia si è costituito in giudizio ed ha eccepito il difetto di legittimazione passiva (con conseguente richiesta di estromissione dal giudizio), la tardività del ricorso e, comunque, l'infondatezza dello stesso. 11. Gli appellanti hanno puntualizzato con memoria le proprie pretese, sottolineando in particolare che, per coprire i posti rimasti vacanti a seguito del concorso in esame, l'Amministrazione è stata costretta ad attingere alla graduatoria di un concorso che prevedeva una sola prova scritta, composta da quaranta quesiti a risposta multipla, avente ad oggetto sia le materie giuridiche che la conoscenza informatica e della lingua inglese, con una soglia di sufficienza unica. 12. Ritiene la Sezione che l'appello deve essere respinto. 12.1. Il ricorso non è tardivo (la relativa eccezione, ancorché, come eccepiscono gli appellanti, riproposta oltre il termine ex art. 101, cod. proc. amm., è rilevabile d'ufficio), in quanto il termine di impugnazione decorre dal momento in cui si concretizza la portata lesiva delle regole del concorso, non da quello in cui vengono pubblicate. 12.2. Il Ministero della Giustizia non è carente di legittimazione passiva, anche se il concorso è gestito dalla Commissione interministeriale Ripam, istituita presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, e supportata da Formez PA, posto che il concorso viene espletato nell'interesse degli uffici giudiziari, organizzativamente facenti capo al Ministero, presso i quali i vincitori prenderanno servizio. 12.3. Nel merito, la sentenza del TAR va confermata. L'art. 7, comma 1, del d.P.R. 487/1994 (recante il "Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalita` di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzioni nei pubblici impieghi") si limita a vincolare l'articolazione del concorso sotto il profilo del numero minimo, del carattere e del contenuto delle prove ("almeno due prove scritte, una delle quali può essere a contenuto teorico-pratico ed in una prova orale, comprendente l'accertamento della conoscenza di una lingua straniera, tra quelle indicate nel bando") ed a prevedere, quanto meno in linea di principio ("di norma") per l'ammissione alla prova orale, una soglia per "ciascuna prova scritta... di almeno 21/30 o equivalente". Dunque, come correttamente rilevato dal TAR, la disposizione di riferimento non impedisce di scorporare la votazione minima per accedere alla prova orale in tre singole votazioni, ed anzi, il fatto di ammettere espressamente una votazione "equivalente" a quella di 21/30, ai fini dell'ammissione alla prova orale, induce a fortiori a ritenere legittimo il meccanismo del triplice sbarramento. Gli elementi effettivamente condizionati, con un diverso livello di vincolatività, dalla norma (esistenza di due prove scritte ed una prova orale; livello della sufficienza equivalente a 21/30 per l'ammissione alla prova orale) sono stati rispettati. 12.4. La disposizione sottolinea anche la necessità che, nella prova orale (almeno nella prova orale, ma nulla impedisce che ciò avvenga anche in una delle prove scritte), venga accertata la conoscenza di una lingua straniera In coerenza con l'art. 37 del d.lgs. 165/2001, secondo cui "A decorrere dal 1° gennaio 2000 i bandi di concorso per l'accesso alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, prevedono l'accertamento della conoscenza dell'uso delle apparecchiature e delle applicazioni informatiche più diffuse e della lingua inglese, nonché, ove opportuno in relazione al profilo professionale richiesto, di altre lingue straniere" (comma 1), "Per i dirigenti il regolamento di cui all'articolo 28 definisce il livello di conoscenza richiesto e le modalità per il relativo accertamento" (comma 2), mentre "Per gli altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, con regolamento [...] sono stabiliti i livelli di conoscenza, anche in relazione alla professionalità cui si riferisce il bando, e le modalità per l'accertamento della conoscenza medesima. Il regolamento stabilisce altresì i casi nei quali il comma 1 non si applica." (comma 3). In questa prospettiva, e tenendo conto delle attività di sua competenza, come sottolinea il TAR, il funzionario giudiziario, nella cui qualifica confluisce anche la figura del cancelliere, svolge in molti casi attività di direzione di una sezione o di un reparto nell'ambito degli uffici di cancelleria, di guisa che vari e numerosi sono i possibili compiti da assegnarsi che implicano la conoscenza della lingua inglese, come ad esempio quelli da espletarsi nell'ambito degli sportelli di cancelleria dedicati alla immigrazione, alla cooperazione giudiziaria internazionale, agli affari internazionali o al riconoscimento di titoli esteri: anche se tali attività non sono frequentemente svolte, non può certo considerarsi illogico o incongruo prevedere che una (parte della) prova scritta, con autonoma soglia di sufficienza, riguardi la conoscenza della lingua inglese. 12.5. Che lo standard di valutazione (soglia di sufficienza) fosse il medesimo di quelli delle altre prove scritte (materie) di concorso non comporta alcuna illegittimità, ed anzi sarebbe potuta risultare anomala una sufficienza diversamente stabilita, posto che l'importanza relativa delle diverse materie di esame deve riflettersi nel numero di quesiti somministrati (e ciò risulta avvenuto), e non anche corrispondere, seppure in proporzione inversa, a quello dei quesiti a cui è possibile che il candidato non risponda senza pregiudicare le possibilità di accesso alla prova orale. Peraltro, è evidente come sia infondata la deduzione secondo cui non sarebbe stato consentito commettere alcun errore nella prova concernente la lingua inglese. 12.6. Pertanto, la previsione di dieci quesiti (su sessanta) per l'accertamento della conoscenza della lingua inglese non contrasta con la necessaria corrispondenza tra i livelli richiesti di conoscenza della lingua straniera e la professionalità cui si riferisce il concorso, prevista dall'art. 37, comma 3, del d.ls. 165/2001. 12.7. L'art. 5 del d.P.R. 272/2004 ("Regolamento di disciplina in materia di accesso alla qualifica di dirigente") non può certo condurre a diverse conclusioni, posto che detta disposizione, in attuazione dell'art. 37, comma 2, succitato, si limita anch'essa a prevedere, nella prova orale, un accertamento della conoscenza della lingua straniera, seppure al livello più avanzato consono alla figura dirigenziale. 12.8. Né può valere, a supportare le censure di illogicità, la considerazione della circostanza che in altro precedente concorso fosse stata fissata una soglia di sufficienza inferiore, stante la possibilità per l'Amministrazione - sussistendone i presupposti di legge - di adottare un diverso criterio, esercitando la propria discrezionalità organizzativa. 12.9. Infine, anche la circostanza secondo la quale l'Amministrazione sarebbe stata costretta ad attingere alla graduatoria di un altro concorso per coprire i posti rimasti vacanti per effetto della soglia contestata (prospettata dagli appellanti con memoria finale), risulta inconferente. A parte il fatto che un simile accadimento non era prevedibile allorché si è bandito il concorso - di per sé, si ripete, conforme alle previsioni normative e comunque niente affatto irragionevolmente selettivo - e che resterebbe da dimostrare per quali motivi l'altro concorso, disomogeneo per tipo di prove, sia risultato meno selettivo di quello in esame, in ogni caso si tratta di un rilievo di opportunità sull'efficacia di scelte di discrezionalità organizzativa, che non potrebbe configurare un vizio di illogicità degli atti impugnati. 13. Per le ragioni che precedono, l'appello va respinto. La relativa novità di alcuni profili delle questioni affrontate induce a disporre la integrale compensazione tra le parti delle spese del grado di giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull'appello n. 7480/2022, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese del secondo grado di giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati: Luigi Maruotti - Presidente Pierfrancesco Ungari - Consigliere, Estensore Stefania Santoleri - Consigliere Giovanni Pescatore - Consigliere Ezio Fedullo - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1854 del 2016, proposto dalla società SD Co. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Pi. e Gu. Fr. Ro., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Em. Ga. e Al. Ro., con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, (...); la Regione Valle D'Aosta, non costituitasi in giudizio; per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta n. 00058/2015, resa tra le parti. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 dicembre 2022 il consigliere Silvia Martino; Viste le conclusioni delle parti, come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per la Valle d'Aosta, la società odierna appellante impugnava, unitamente agli atti presupposti, il provvedimento unico n. 5 del 7 ottobre 2013, con cui il Comune di (omissis) le aveva negato il permesso di costruire per la realizzazione di una media struttura di vendita. La società chiedeva altresì, la dichiarazione di inefficacia o la disapplicazione dell'art. 64 della NTA del PRG comunale, nella parte in cui esclude per la sottozona CA3 l'insediamento di attività commerciali di superficie superiore a 150 mq (l'intervento di cui trattasi è pari a circa 800 mq). 1.1. Con il ricorso principale, venivano dedotti tre mezzi di gravame (da pag. 4 a pag. 21). 1.2. Successivamente, alla luce della relazione tecnica esibita in giudizio dal Comune e della sentenza della Corte Costituzionale n. 104/2014 che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di alcuni articoli della l.r. della Regione Val d'Aosta, n. 12 del 1999, la ricorrente proponeva un primo ricorso per motivi aggiunti avverso la relazione medesima. 1.3. Dopo il deposito dei primi motivi aggiunti, il Comune versava in giudizio la deliberazione del Consiglio comunale n. 39 del 25 giugno 2014 con la quale era stata "confermata" la validità delle disposizioni di cui all'art. 64 delle NTA. Avverso tale delibera la società proponeva ulteriori motivi aggiunti. 2. Nella resistenza del Comune il T.a.r.: - ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse il primo e il secondo ricorso per motivi aggiunti; - ha respinto il ricorso principale; - ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di lite 3. L'appello della società, rimasta soccombente, è affidato ai seguenti motivi: I. È stato criticato, in primo luogo, il percorso argomentativo con cui il T.a.r. ha respinto il primo motivo del ricorso introduttivo. Le limitazioni alle liberalizzazioni del commercio, previste dall'art. 30, comma 5 - ter del d.l. n. 69 del 2013 e dall'art. 31 del d.l. n. 201 del 2011 sarebbero solo delle eccezioni ad un quadro normativo immediatamente precettivo e, come tali, andrebbero trattate. La norma contenuta nell'art. 64 delle NTA del PRG del Comune di (omissis) non sarebbe finalizzata a garantire un ordinato assetto del territorio ma avrebbe natura prettamente commerciale/economica. In tal senso, sarebbe rilevante la Relazione illustrativa alla variante generale al PRGC, la quale al punto 1.3.1 precisa che "Il comune è dotato di piano commerciale che non prevede attività commerciali superiori a 150 mq. La tendenza è quindi quella di incrementare le piccole attività e di non permettere il proliferare di grandi strutture commerciali" e ciò in quanto è stata evidenziata "una sostanziale diminuzione delle attività commerciali". L'art. 64 delle NTA sarebbe stato abrogato ex lege o, comunque, avrebbe dovuto essere disapplicato. In ogni caso, tale disposizione dovrebbe essere annullata per i vizi dedotti con il primo motivo del ricorso di primo grado. II. Quanto alla reiezione del secondo motivo, la società appellante ha richiamato, a confutazione delle argomentazioni del T.a.r., la sentenza della sezione V di questo Consiglio, n. 5473 del 2013, secondo la quale l'Amministrazione è comunque tenuta a valutare se sia possibile modificare la disciplina urbanistica. III. Il terzo motivo critica la declaratoria di inammissibilità dell'impugnativa, contenuta nei primi motivi aggiunti, della relazione istruttoria versata in giudizio dal Comune, nella quale sarebbero stati introdotti aspetti del tutto nuovi e mai evidenziati al fine di giustificare il diniego. L'appellante ribadisce che il Comune doveva valutare se la disciplina urbanistica fosse ancora adeguata a tutelare gli interessi che la normativa statale pone quali eccezioni al principio di liberalizzazione del commercio. La relazione non sarebbe sufficiente a giustificare la mancata disapplicazione delle NTA. Non sarebbero vero che l'intervento richiesto occuperebbe i 2/3 dei mq edificabili dell'intera zona come pure infondati sarebbero i rilievi relativi all'aggravio della viabilità e all'impatto ambientale. IV. Questo motivo di appello contesta la declaratoria di inammissibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti. La delibera n. 39 del 25 giugno 2014 arreca pregiudizio alla ricorrente laddove l'Amministrazione ha inteso esplicitare le ragioni sottese all'art. 64 delle NTA del PRGC di Nu.. Il Comune avrebbe giustificato la permanenza dell'art. 64 in assenza di motivi di interesse generale idonei a giustificare una deroga ai principi di liberalizzazione. 4. Le parti hanno depositato memorie, conclusionali e di replica. 5. L'appello è stato infine assunto in decisione all'udienza di smaltimento del 14 ottobre 2022. 6. L'appello è infondato e deve essere respinto. Al riguardo, si osserva quanto segue. 7. La giurisprudenza amministrativa è ormai consolidata nel ritenere che le riforme in materia di liberalizzazione del commercio e dei servizi intervenute tra il 2006 e il 2012, in attuazione delle direttive europee - in particolare la direttiva "Bolkenstein" n. 123 del 2006, attuata nel nostro ordinamento dal decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2020 - non consentono ai Comuni di travolgere o comunque diversamente interpretare la disciplina recata dagli strumenti urbanistici generali (ex plurimis, 20 luglio 2017, n. 3754; cfr. anche, IV Sez., 4 maggio 2017, n. 2026; da ultimo, 1831 del 2019). Le norme invocate dall'appellante non erano quindi idonee, come evidenziato dal T.a.r., a sostituire o rendere inefficace la disciplina urbanistica ed edilizia vigente nel Comune di (omissis). 7.1. Tutte le norme invocate dalla parte ricorrente hanno infatti natura programmatica. In particolare, l'art. 3, comma 1, del d.l. 3 agosto 2011, n. 138 ha stabilito l'obbligo di Comuni, Province, Regioni e Stato di adeguare i rispettivi ordinamenti a tale principio ma non ha abrogato direttamente tutte le regolamentazioni incompatibili con esso. Il comma 3 della suddetta disposizione - che prevedeva la soppressione, alla scadenza di un determinato termine, dell'intera normativa statale incompatibile con tale principio - è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale con sentenza n. 200 del 2012, in base alla considerazione che la soppressione generalizzata delle normative statali risulta indeterminata e potenzialmente invasiva delle competenze regionali. Anche l'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 si limita a stabilire che "le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali". Infine, secondo l'art. 1, del d.l. n. 1 del 2012, l'abrogazione delle norme che pongono divieti o restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite è disposta dalla data di entrata in vigore dei decreti attuativi di cui al comma 3 dello stesso articolo. 7.2. Anche la Sezione, come già evidenziato, ha più volte sottolineato che "La libera iniziativa economica dei costruttori e il godimento delle aree fabbricabili devono pur sempre sottostare ai provvedimenti nei quali si concreta, legittimamente, il governo del territorio. La complessa normativa statale che ha introdotto principi di liberalizzazione nel settore commerciale, adeguando l'ordinamento nazionale ai principi di concorrenza recati dal diritto comunitario europeo, non ha infatti mai preteso di annullare, sostituire o rendere inefficace la normativa comunale sul governo del territorio, ma semmai ha previsto nell'ambito dell'ordinato assetto della pianificazione la rilevanza degli stessi principi secondo un modello di proporzionalità delle limitazioni urbanistiche apposte dall'autorità comunale" (20 luglio 2017, n. 3754; cfr. anche, IV Sez., 4 maggio 2017, n. 2026). Ed inoltre "La liberalizzazione del mercato dei servizi sancita dalle norme comunitarie e dai provvedimenti legislativi, che vi hanno dato attuazione, non può dunque essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla Pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali" (sentenza n. 3754/2017, cit.). D'altro canto, il piano regolatore è appunto lo strumento attraverso cui trovano composizione i vari interessi espressi dal territorio e la sua stessa formazione consente l'emersione di quei "motivi imperativi di interesse generale" ai quali, secondo i principi europei, vanno ricondotti i limiti all'esercizio delle attività economiche (sentenza n. 1831 del 2019). 8. Con il secondo motivo l'appellante ha riproposto l'argomentazione secondo cui, a fronte di un'istanza formulata dal privato di insediamento di una struttura commerciale, il Comune sarebbe tenuto a verificare e a specificare, con idonea motivazione, se i limiti all'intervento previsti dalla normativa urbanistica siano ancora adeguati a tutelare il principio di liberalizzazione, statuito con prescrizioni immediatamente cogenti. A sostegno di tanto invoca però una sentenza della Sezione V di questo Consiglio, la n. 5473 del 2013, la quale concerne il silenzio - rifiuto opposta ad un'istanza specificamente volta a conseguire l'adeguamento dello strumento urbanistico. Nel caso in esame si verte invece in ordine al diniego di istanza volta al conseguimento di un permesso di costruire la quale deve essere valutata esclusivamente alla luce della disciplina urbanistica ed edilizia vigente. 8.1. Giova ricordare che, in materia, l'Amministrazione esercita un potere vincolato, connotato al più da un certo grado di discrezionalità tecnica. Ne consegue che la "motivazione" delle determinazioni che accordano, ovvero negano il permesso di costruire, si risolve in realtà nella verifica che l'intervento progettato sia conforme alla normativa e agli strumenti urbanistici vigenti. 8.2. Quanto, poi, alle critiche rivolte dalla società appellata alla disciplina urbanistica vigente nel Comune di (omissis), va anzitutto evidenziato che lo strumento urbanistico generale, approvato con deliberazione della Giunta regionale n. 2925 del 19 ottobre 2007 è, ormai, inoppugnabile (in ordine all'onere di immediata impugnativa delle prescrizioni dei piani urbanistici che stabiliscono le potenzialità edificatorie delle varie zone, cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2019, n. 2680). Esso è, altresì, insuscettibile di disapplicazione, stante il carattere meramente programmatico delle norme di liberalizzazione invocate. 8.3. Ad ogni buon conto, giova richiamare i consolidati principi secondo cui: - le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità ; - in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale le decisioni dell'Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali - di ordine tecnico discrezionale - seguiti nell'impostazione del piano stesso (cfr. Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 22 dicembre 1999, n. 24, nonché, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 novembre 2018, n. 6483; 28 giugno 2018, n. 3987). In questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona edificabili, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, ed analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua del proprio immobile. Inoltre: - l'interesse pubblico all'ordinato sviluppo edilizio del territorio è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710); - una destinazione di zona precedentemente impressa non determina l'acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo P.R.G., conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2016, n. 2221; 8 giugno 2011, n. 3497); - la motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all'atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall'amministrazione comunale (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2014, n. 1459); - una motivazione "rafforzata" è richiesta solo in presenza di superamento degli standard minimi, di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, sentenza 25 giugno 2019, n. 4343). 8.4. Nella fattispecie, l'area in cui ricade la media struttura di vendita progettata dall'appellante è classificata, dal punto di vista urbanistico, come "sottozona Ca3", Le NTA all'art. 64, comma 3, definiscono le sottozone Ca, come "Sottozone totalmente inedificate o debolmente edificate (max 20% della superficie fondiaria di zona) destinata prevalentemente alla residenza". Nella sottozona Ca3 sono ammesse peraltro anche "le attività direzionali, commerciali non superiori a 150 mq, ricettive non superiori a 500 mq e artigianali non superiori a 150 mq non costituenti disturbo o inquinamento". Dalla relazione illustrativa, par. 1.3.1, risulta che il Comune, in relazione alle attività commerciali, ha ispirato le proprie scelte all'analisi all'epoca condotta la quale ebbe ad evidenziare "una sostanziale diminuzione delle attività commerciali. Il dato più preoccupante è l'abbandono di dette attività dalle località di collina e di montagna. Si profila l'ipotesi di considerare di pubblico interesse le attività commerciali in questi contesti territoriali. Il Comune è dotato di piano commerciale che non prevede attività commerciali superi a 150 mq. La tendenza è quindi quella di incrementare le piccole attività e di non permettere il proliferare di grandi strutture commerciali. Non sono presenti, infatti, le zone di tipo Cc e il commercio viene integrato con le attività turistiche in zone Cd". Al riguardo, risulta condivisibile l'analisi svolta dal primo giudice secondo cui non vi sono elementi per affermare che la richiamata finalità di incrementare le piccole attività commerciali abbia natura esclusivamente economica. Deve essere considerato, infatti "che lo strumento urbanistico incide su un Comune di 3000 abitanti, parzialmente montano e agricolo, situato in una valle. In questo contesto, la scelta, discrezionale, di privilegiare le attività commerciali di piccole dimensioni non può ritenersi espressione di un intento anticoncorrenziale, restrittivo dell'iniziativa economica privata per finalità di pianificazione dell'attività commerciale, economicamente orientata. Al contrario, appare ragionevole interpretare la norma nel senso che l'amministrazione comunale abbia voluto legare lo sviluppo commerciale alle caratteristiche storiche, culturali e morfologiche del territorio, privilegiando una tipologia di insediamenti commerciali compatibile con la natura di una piccola comunità valligiana" A ciò si aggiunga che - come sottolineato dal Comune - non è possibile istituire alcun utile paragone tra gli esercizi di vicinato e gli esercizi della grande e media distribuzione il cui carico urbanistico (in ragione del distinto bacino di utenza) è totalmente differente. 9. Risultano infondate, infine, anche le argomentazioni volte a censurare la declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse del primo e del secondo atto motivi aggiunti articolati in primo grado. Al riguardo, va in parte corretta la motivazione resa dal T.a.r. Entrambi gli atti impugnati risultano infatti privi di valenza provvedimentale e sono come tali insuscettibili di modificare lo strumento urbanistico. Tale considerazione vale non soltanto per relazione di chiarimenti dell'Ufficio tecnico del 26 marzo 2014 ma anche per la delibera n. 39 del 25 giugno 2014. Sebbene infatti il Consiglio comunale abbia disposto di "confermare" la validità dell'art. 64 delle NTA del PRG vigente, è evidente che tale delibera non corrisponda ad alcun atto tipizzato del procedimento di formazione dello strumento urbanistico. L'Organo consiliare si è in sostanza limitato ad esplicitare la ratio sottesa all'art. 64 delle NTA del PRG a fronte delle deduzioni della ricorrente secondo cui le disposizioni dello strumento generale avrebbero dovuto essere disapplicate per effetto delle norme liberalizzatrici sopravvenute. 9.1. Il Collegio osserva altresì che - quand'anche volesse attribuirsi valenza provvedimentale alla determinazione consiliare - la motivazione ne risulta, invero, logica e ragionevole alla luce dei consolidati principi in materia di pianificazione urbanistica, in precedenza richiamati. L'Amministrazione ha infatti spiegato che "il Comune di (omissis), benché sia situato nella media valle, è un comune prevalentemente montano in cui l'attività agricola è prevalente. Infatti il terziario è relativamente sviluppato. È un comune residenziale e tutte le zone del piano regolatore destinate all'attività edilizia sono state pensate perlopiù per la realizzazione di edifici abitativi. Prevedere la realizzazione di strutture commerciali di dimensioni rilevanti diventerebbe insostenibile relativamente alla salvaguardia dell'ambiente urbano e rurale e per la sicurezza stradale (...) la limitazione dell'art. 64 è stata pensata per ragioni di carattere urbanistico - territoriale, quali l'orografia dei luoghi, la vocazione delle diverse aree e le specifiche condizioni di viabilità ", Inoltre, "la variante sostanziale al piano regolatore approvata nel 2007 ha previsto poche nuove aree di espansione urbanistica. Tale scelta è stata effettuata proprio al fine di salvaguardare l'ambiente rurale e urbano e per consentire il recupero dei fabbricati esistenti con l'obiettivo di tutelare altresì il patrimonio storico - edilizio. Poiché in tutte le zone definite edificabili nel piano regolatore è ammessa la realizzazione di esercizi commerciali, è chiaro che rimarrebbe poca possibilità di edificazione a fini residenziali nel caso in cui fosse possibile rilasciare titoli abilitativi per attività destinate alla vendita superiori a 150 mq". 10. Per quanto sopra argomentato, l'appello deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 147 del 2022. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 1854 del 2016 di cui in epigrafe, lo respinge. Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del grado in favore del Comune di (omissis), che liquida complessivamente in euro 5.500,00 (cinquemilacinquecento/00), oltre gli accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Francesco Gambato Spisani - Presidente Raffaello Sestini - Consigliere Silvia Martino - Consigliere, Estensore Sergio Zeuli - Consigliere Ugo De Carlo - Consigliere

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