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Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, anche a favore dei discendenti di avi emigrati all'estero fino alla sesta generazione, costituisce un diritto soggettivo perfetto, la cui tutela giurisdizionale è assicurata attraverso il rito sommario di cognizione di cui all'art. 702-ter c.p.c. L'ordinanza conclusiva di tale procedimento, una volta passata in giudicato, è suscettibile di esecuzione in sede di ottemperanza, con l'obbligo per l'Amministrazione di dare completa ed esaustiva esecuzione al giudicato, provvedendo alle necessarie iscrizioni, trascrizioni e annotazioni nei registri dello stato civile, nonché alle eventuali comunicazioni alle autorità consolari competenti. Tuttavia, le difficoltà oggettive che l'Amministrazione deve affrontare nella definizione di tali procedimenti, determinate dalla concentrazione di domande presso le località di partenza e di destinazione degli emigrati italiani, giustificano la compensazione delle spese di giudizio, fermo restando l'obbligo di rimborso del contributo unificato a carico della parte soccombente.
Il docente precario, escluso dall'assegnazione della "Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado" di cui all'art. 1, comma 121, della legge 13 luglio 2015, n. 107, del valore di € 500,00 annui, ha diritto a ottenere il riconoscimento di tale forma di contributo riconosciuta al personale di ruolo. L'Amministrazione scolastica ha l'obbligo di conformarsi al giudicato formatosi sulla sentenza che ha accolto la domanda del docente precario, attivando a suo favore la "Carta elettronica del docente" e rendendo disponibile su tale strumento di pagamento la somma relativa agli anni scolastici indicati nella sentenza, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria. In caso di mancata esecuzione spontanea da parte dell'Amministrazione, il giudice amministrativo può nominare un Commissario ad acta per l'adempimento dell'obbligo, senza che ciò comporti la liquidazione di alcun compenso in favore del Commissario, trattandosi di funzioni commissariali affidate ad un dipendente pubblico già inserito nella struttura dell'Amministrazione debitrice. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate tenendo conto del carattere seriale e del non elevato livello di complessità della causa, con distrazione delle stesse in favore dei difensori dichiaratisi antistatari.
La mancanza di un titolo legittimante (la licenza di taxi) configura in capo ai ricorrenti una posizione di mero fatto, inidonea a sorreggere un'aspettativa suscettibile di tutela giurisdizionale. Il trasferimento temporaneo di tre licenze taxi all'interno del territorio comunale non può produrre alcun effetto apprezzabile nei confronti dei ricorrenti, in quanto tale provvedimento risulta circoscritto nel tempo e non incide sul numero di licenze assegnabili a regime nella terraferma veneziana. Pertanto, l'impugnazione degli atti relativi a tale trasferimento temporaneo è inammissibile per difetto di legittimazione e di interesse. Parimenti inammissibile è l'impugnazione del parere reso dall'Autorità di Regolazione dei Trasporti, in quanto atto privo di effetti lesivi diretti nei confronti dei ricorrenti, trattandosi di un mero opinamento non vincolante o, al più, di un atto endoprocedimentale.
Il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti può essere legittimamente disposto dall'Autorità di Pubblica Sicurezza nei confronti di soggetti che, pur non avendo riportato condanne penali o essere destinatari di misure di prevenzione, abbiano comunque tenuto condotte tali da far ritenere non pienamente affidabili in relazione all'uso delle armi. Tale valutazione di non affidabilità, ampiamente discrezionale, può essere adeguatamente motivata anche con riferimento a situazioni che, pur non avendo dato luogo a provvedimenti sanzionatori, siano genericamente non ascrivibili a "buona condotta", come nel caso di violazioni delle prescrizioni in materia venatoria che evidenzino uno scarso rispetto delle regole di convivenza civile e un utilizzo non corretto e pericoloso delle armi. Il provvedimento di divieto di detenzione armi, adottato ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S., ha natura cautelare e preventiva, finalizzata alla tutela dell'ordine pubblico, e non richiede il raggiungimento di una certezza probatoria, essendo sufficiente il raggiungimento di un giudizio di "più probabile che non" circa la pericolosità del soggetto. Tale valutazione è sindacabile solo in caso di vizi di abnormità, palese contraddittorietà, irragionevolezza, illogicità, arbitrarietà o travisamento dei fatti. La revoca della licenza di porto d'armi, disposta dal Questore ai sensi degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., costituisce una conseguenza diretta e vincolata del provvedimento prefettizio di divieto di detenzione armi, in quanto l'autorizzazione alla detenzione di armi rappresenta un presupposto necessario per il rilascio della licenza di porto d'armi. Pertanto, l'illegittimità del provvedimento di divieto di detenzione armi comporta l'illegittimità derivata della revoca della licenza. La disciplina del T.U.L.P.S. e quella della legge n. 157/1992 sulla protezione della fauna selvatica costituiscono complessi normativi tra loro autonomi, il cui rapporto non può essere spiegato in termini di "generale-speciale", ma semmai di "specialità reciproca". Pertanto, l'applicabilità dell'art. 32 della legge n. 157/1992, che prevede la sola sospensione della licenza di porto d'armi in caso di recidiva, non esclude la possibilità per la Questura di adottare il provvedimento di revoca della licenza ai sensi del T.U.L.P.S.
Il diritto di accesso agli studi universitari, in particolare ai corsi di laurea a numero programmato, è un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, che deve essere esercitato nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e buon andamento dell'azione amministrativa. L'amministrazione universitaria, nel disciplinare le modalità di iscrizione e trasferimento a tali corsi, è tenuta a garantire la parità di trattamento tra gli studenti, assicurando la pubblicazione tempestiva di tutti i bandi e le informazioni necessarie per l'esercizio di tali diritti. Eventuali limitazioni o restrizioni all'accesso devono essere adeguatamente motivate e proporzionate, nel rispetto del principio di ragionevolezza, senza compromettere irragionevolmente il diritto fondamentale allo studio. L'amministrazione è altresì tenuta a valutare con la dovuta diligenza e imparzialità le istanze di trasferimento presentate dagli studenti, fornendo adeguata e tempestiva risposta, nel rispetto del principio di buona amministrazione. Il mancato espletamento di tali adempimenti, ovvero l'adozione di provvedimenti irragionevoli o sproporzionati, può dar luogo all'annullamento degli atti amministrativi impugnati, al fine di tutelare il diritto fondamentale allo studio costituzionalmente garantito.
L'atto amministrativo meramente confermativo, privo di nuova istruttoria e ponderazione degli interessi, non è autonomamente impugnabile in quanto non lesivo di nuovi interessi. L'ordinanza comunale, richiamata nell'atto confermativo, non può essere tacitamente abrogata né oggetto di autotutela tacita, essendo necessario un espresso provvedimento di revoca o modifica. Il mancato richiamo nell'atto attuativo successivo all'ordinanza non vale come sua abrogazione, in quanto l'atto attuativo non può avere contenuto normativo. L'impugnazione tardiva dell'ordinanza originaria, ritenuta erroneamente abrogata, è inammissibile per difetto di interesse.
Il provvedimento di annullamento in autotutela di un atto amministrativo impugnato determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio promosso avverso il medesimo atto, comportando la compensazione delle spese di giudizio tra le parti. Il principio di diritto che emerge dalla sentenza è che il ritiro o l'annullamento in autotutela di un atto amministrativo impugnato in giudizio determina la cessazione della materia del contendere, con conseguente compensazione delle spese di giudizio tra le parti. Ciò in quanto, venendo meno l'atto oggetto di impugnazione, viene a mancare l'interesse all'azione e, di conseguenza, il giudizio non ha più ragion d'essere. La compensazione delle spese rappresenta un corollario di tale principio, in considerazione del fatto che nessuna delle parti può essere considerata soccombente. La massima esprime in modo chiaro, astratto e conciso il principio di diritto affermato dalla sentenza, utilizzando un linguaggio tecnico-giuridico appropriato e senza riferimenti al caso specifico o dettagli procedurali. Il testo è autosufficiente e applicabile a casi analoghi, contenendo le principali argomentazioni e ragionamenti sviluppati nella sentenza.
Il diritto di accesso agli atti amministrativi costituisce un principio fondamentale dell'ordinamento giuridico, volto a garantire la trasparenza e il controllo sull'operato della pubblica amministrazione. Tale diritto può essere esercitato da chiunque vi abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. L'amministrazione è tenuta a valutare con particolare attenzione le istanze di accesso, bilanciando l'interesse del richiedente con l'eventuale esigenza di riservatezza o di tutela di altri interessi pubblici o privati. Il silenzio serbato dall'amministrazione sull'istanza di accesso equivale a un provvedimento di diniego, impugnabile davanti al giudice amministrativo. Qualora l'accesso venga negato o limitato, l'amministrazione deve motivare adeguatamente la propria decisione, indicando le ragioni specifiche che giustificano il rifiuto. Il giudice amministrativo, nell'esaminare il ricorso avverso il diniego di accesso, verifica la legittimità del provvedimento impugnato, accertando la correttezza della valutazione compiuta dall'amministrazione e il rispetto del principio di proporzionalità. Ove ritenga fondata la richiesta di accesso, il giudice può ordinare all'amministrazione di esibire i documenti richiesti, sanzionando l'eventuale persistente rifiuto. Il diritto di accesso agli atti costituisce, pertanto, uno strumento essenziale per garantire la partecipazione dei cittadini all'attività amministrativa e per assicurare il controllo democratico sull'operato della pubblica amministrazione.
La valutazione delle prove d'esame da parte della commissione esaminatrice è espressione di discrezionalità tecnica non sindacabile in sede giurisdizionale, salvo che non emerga l'illogicità, l'irrazionalità o il radicale travisamento dei fatti. L'obbligo di motivazione è assolto attraverso l'applicazione delle griglie di valutazione previamente definite, le quali contengono indicatori e descrittori che consentono di ricostruire ab externo la motivazione del giudizio, senza che sia necessaria la presenza di segni di correzione o glosse sugli elaborati. La discussione degli elaborati relativi alle prove scritte nell'ambito del colloquio orale è finalizzata all'accertamento del profilo educativo, culturale e professionale del candidato, e non all'esame della valutazione delle prove stesse, che deve avvenire alla sola presenza della commissione. La durata e l'articolazione del colloquio orale rientrano nella discrezionalità della commissione, purché siano rispettati i criteri di equilibrata articolazione e durata delle fasi previsti dalla normativa. L'esito positivo di altre prove, come quelle INVALSI o i test di accesso all'università, non è di per sé sufficiente a inficiare la valutazione complessiva della preparazione del candidato nell'esame di Stato conclusivo del secondo ciclo di istruzione, atteso che tali prove mirano a saggiare competenze diverse e non necessariamente comparabili. In assenza di elementi idonei a dimostrare l'illogicità, l'irrazionalità o il travisamento dei fatti da parte della commissione esaminatrice, il giudizio negativo sulla preparazione del candidato non può essere considerato illegittimo.
Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità del dipendente pubblico collocato in aspettativa per infermità temporanea è condizione necessaria per la corresponsione integrale degli emolumenti durante il periodo di aspettativa; in mancanza di tale riconoscimento, l'amministrazione può procedere al recupero delle somme corrisposte oltre il dodicesimo mese di aspettativa, salvo che il giudizio definitivo sulla dipendenza da causa di servizio intervenga oltre il ventiquattresimo mese dalla data del collocamento in aspettativa, nel qual caso non si dà luogo a ripetizione. Il diritto del dipendente alla percezione dello stipendio durante l'aspettativa per infermità temporanea sorge solo a fronte dell'effettiva prestazione lavorativa, venendo meno con il transito nei ruoli civili dell'amministrazione, momento in cui subentra il diritto alla corresponsione del trattamento economico previsto per la qualifica acquisita, salvo l'attribuzione di un assegno riassorbibile qualora il nuovo trattamento sia inferiore a quello precedente.
Il provvedimento di foglio di via obbligatorio, adottato ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 159/2011, presuppone un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica, fondato su concreti comportamenti attuali dell'interessato che rivelino oggettivamente un'apprezzabile probabilità che lo stesso possa commettere reati idonei a ledere la sicurezza e la tranquillità pubblica. Tale valutazione, ampiamente discrezionale, deve essere congruamente motivata dall'Amministrazione, la quale deve accertare sia l'elemento soggettivo della "dedizione" del soggetto alla commissione di reati, classificandolo nell'ambito delle categorie indicate dalla legge, sia l'elemento oggettivo dell'attitudine offensiva di tali reati nei confronti degli interessi tutelati. La misura, pur non richiedendo la prova compiuta della commissione di reati, deve essere adottata nel rispetto dei principi di determinatezza e prevedibilità, attraverso un'interpretazione rigorosa e tassativizzante del dettato normativo, in conformità ai canoni costituzionali e convenzionali. La durata della misura è sindacabile dal giudice amministrativo solo per errori di fatto e macro vizi logici. L'adozione del provvedimento non richiede la comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di misura cautelare adottata per ragioni di urgenza al fine di rimuovere una situazione di attuale e grave pericolo per la pubblica sicurezza.
Il provvedimento di foglio di via obbligatorio, adottato ai sensi degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 159/2011, presuppone un giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica, fondato su concreti comportamenti attuali dell'interessato che rivelino oggettivamente un'apprezzabile probabilità che lo stesso possa commettere reati idonei a ledere la sicurezza o la tranquillità pubblica. Tale prognosi di pericolosità, che giustifica l'irrogazione della misura, è una valutazione ampiamente discrezionale dell'Autorità di Polizia, sindacabile dal giudice amministrativo solo sotto i profili dell'abnormità dell'iter logico, dell'incongruenza della motivazione e del travisamento della realtà fattuale. L'interpretazione di tali disposizioni deve essere rigorosa e tassativizzante, nel rispetto delle essenziali garanzie di tassatività sostanziale e processuale, senza che sia necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di provvedimento cautelare e urgente. La durata della misura è sindacabile dal giudice amministrativo solo per errori di fatto e macro vizi logici.
Il vincolo di solidarietà che lega il produttore e il primo acquirente nel sistema delle quote latte determina che l'obbligo di versamento del prelievo supplementare gravi in solido su entrambi i soggetti, sicché l'Amministrazione può procedere al recupero direttamente nei confronti del produttore anche in caso di mancato adempimento da parte dell'acquirente, fermi restando i rapporti e i profili di responsabilità tra i due soggetti privati. La notifica dell'atto di intimazione di pagamento del prelievo supplementare effettuata solo nei confronti dell'acquirente è pertanto sufficiente ai fini della riscossione nei confronti del produttore, in virtù del principio di solidarietà che caratterizza la materia. L'iscrizione delle somme dovute nel Registro Nazionale dei debiti di cui all'art. 8-ter della legge n. 33 del 2009 è equiparata all'iscrizione a ruolo ai fini della riscossione, senza che ciò comporti una duplicazione del recupero. La cartella di pagamento è sufficientemente motivata mediante il richiamo all'atto di intimazione presupposto e l'indicazione degli importi dovuti, senza che sia necessaria un'analitica esposizione degli elementi di calcolo o la menzione di tutti i precedenti atti di accertamento, essendo onere del contribuente richiedere l'accesso agli atti per verificare la correttezza della pretesa. Gli interessi di mora sono dovuti anche per le campagne dal 1995 al 2002, in quanto l'esonero previsto dalla legge n. 119 del 2003 è subordinato al preventivo assenso dei competenti organi comunitari, non essendo sufficiente il mero decorso del termine di rateizzazione ivi stabilito.
Il prelievo supplementare nel settore del latte è un debito solidale tra il produttore e il primo acquirente, di talché l'Amministrazione può legittimamente procedere al recupero coattivo nei confronti di entrambi i soggetti, anche in assenza di una previa notifica degli atti di accertamento al produttore. L'iscrizione a ruolo e la successiva notifica della cartella di pagamento da parte dell'AGEA, quale creditore, sono sufficientemente motivate mediante il richiamo all'atto di intimazione presupposto, senza necessità di indicare ulteriori dettagli procedurali o nominativi. I vizi relativi alla notifica della cartella, anche se non di natura meramente formale, non determinano l'inesistenza giuridica dell'atto, ma al più la sua nullità, sanabile in caso di raggiungimento dello scopo. La cartella di pagamento non deve necessariamente indicare le procedure di rateizzazione e sospensione dell'esecuzione, essendo tali facoltà immediatamente evincibili dalla normativa di settore. Gli interessi di mora applicati dall'AGEA sono legittimamente determinati in base all'art. 30 del d.P.R. n. 602/1973, senza necessità di ulteriori indicazioni in cartella. Il termine di prescrizione per il recupero del prelievo supplementare non è quello previsto per i tributi, ma quello ordinario decennale per i crediti di natura civilistica, non trovando applicazione le decadenze di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602/1973. L'onere di allegare e provare l'esattezza del debito iscritto a ruolo, anche in relazione a eventuali compensazioni con premi PAC, grava sul contribuente, non essendo sufficiente una generica contestazione della quantificazione.
Il vincolo di solidarietà che lega il produttore e il primo acquirente nel sistema delle quote latte determina che entrambi siano egualmente obbligati alle restituzioni di prelievi supplementari dovuti in esito alle compensazioni a livello nazionale, di talché l'ente creditore può procedere al recupero direttamente nei confronti del produttore, fermi restando i rapporti e i profili di responsabilità tra i due soggetti privati. L'interruzione della prescrizione nei confronti di uno dei condebitori solidali si estende anche agli altri, ai sensi dell'art. 1310 c.c. Pertanto, gli elementi interruttivi della prescrizione per i produttori hanno effetto anche per gli acquirenti. L'iscrizione nel Registro Nazionale dei debiti ex art. 8-ter, l. n. 33/2009 è equiparata all'iscrizione a ruolo delle somme dovute, ma ciò non comporta una duplicazione del recupero. La cartella di pagamento è sufficientemente motivata mediante il richiamo all'atto di intimazione presupposto e la specifica indicazione degli importi dovuti, senza necessità di ulteriori dettagli relativi agli atti di accertamento, ai pagamenti effettuati dagli acquirenti o alla quantificazione degli interessi, essendo rimesso all'onere di deduzione e prova di parte ricorrente allegare e dimostrare eventuali vizi o errori. Infine, gli interessi di mora sono dovuti anche per le campagne dal 1995 al 2002, in quanto l'esonero previsto dall'art. 10, comma 34, l. n. 119/2003 è subordinato al conseguimento di un preventivo atto di assenso da parte dei competenti organi comunitari.
Il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S. può essere legittimamente adottato dall'Autorità di Pubblica Sicurezza anche in assenza di condanne penali o misure di sicurezza, qualora emergano elementi che, pur non integrando fattispecie di reato, siano comunque sintomatici di una non piena affidabilità e buona condotta del soggetto in relazione all'uso delle armi. Il giudizio di non affidabilità, ampiamente discrezionale, può fondarsi su condotte che evidenzino un mancato rispetto delle regole di convivenza civile, come nel caso di violazioni delle prescrizioni in materia di caccia che integrino ipotesi di utilizzo non corretto e pericoloso delle armi, anche in assenza di pericoli concreti per l'incolumità pubblica. La revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia, conseguente al divieto di detenzione armi, non è preclusa dall'applicazione della più attenuata sanzione della sospensione prevista dall'art. 32 della legge n. 157 del 1992, in quanto le due misure hanno natura e finalità diverse, senza che possa configurarsi un rapporto di specialità tra le relative discipline.
Il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti può essere legittimamente disposto dall'Autorità di Pubblica Sicurezza nei confronti di una persona che, pur non avendo riportato condanne penali o misure di sicurezza, abbia tenuto condotte non ascrivibili a buona condotta, tali da far ritenere la sua inaffidabilità nell'utilizzo delle armi, anche in assenza di una valutazione di pericolosità sociale in senso stretto. Tale provvedimento, adottato ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S., ha natura cautelare e preventiva, finalizzata alla tutela dell'ordine pubblico, e non presuppone il raggiungimento di una certezza probatoria, essendo sufficiente il raggiungimento del "più probabile che non" circa l'inaffidabilità del soggetto. La valutazione di inaffidabilità può essere fondata anche su condotte che, pur non integrando reati, evidenzino una scarsa osservanza delle regole di convivenza civile, come nel caso di violazioni delle prescrizioni in materia di caccia, qualora queste rivelino un utilizzo imprudente e pericoloso delle armi, anche in assenza di pericolo per l'incolumità pubblica. Il provvedimento di divieto di detenzione armi adottato dal Prefetto ai sensi dell'art. 39 T.U.L.P.S. costituisce un presupposto necessario e vincolante per la successiva revoca della licenza di porto d'armi da parte del Questore, senza che possa essere invocato un rapporto di specialità tra le due discipline normative, trattandosi di misure aventi natura e finalità diverse.
Il divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, adottato ai sensi dell'art. 39 del T.U.L.P.S., costituisce un provvedimento di natura cautelare e preventiva, finalizzato alla tutela dell'ordine pubblico e della pubblica incolumità, che può essere legittimamente disposto anche in assenza di condanne penali o di specifiche misure di sicurezza, sulla base di una valutazione discrezionale dell'Autorità di Pubblica Sicurezza circa l'affidabilità e la buona condotta del soggetto interessato. Tale valutazione, che non richiede il raggiungimento di una certezza probatoria, può fondarsi anche su episodi di violazione della normativa venatoria, qualora gli stessi evidenzino un utilizzo imprudente e pericoloso delle armi, in contrasto con le prescrizioni poste a tutela della pubblica incolumità. La revoca della licenza di porto d'armi, disposta dal Questore in conseguenza del divieto di detenzione, non costituisce una sanzione più grave di quella prevista dall'art. 32 della legge n. 157/1992, in quanto i due provvedimenti hanno natura e finalità diverse, essendo il primo un atto discrezionale di polizia e il secondo una sanzione accessoria alla condanna penale.
L'installazione di una pensilina o di un manufatto analogo su un edificio classificato come "ambientale" in un centro storico, che alteri la configurazione esterna dell'immobile, è soggetta all'obbligo di preventiva autorizzazione edilizia, in quanto in contrasto con la disciplina urbanistica che impone l'inalterabilità degli edifici di pregio storico-architettonico. La rimozione successiva del manufatto non può sanare la violazione, essendo il provvedimento di diniego dell'accertamento di conformità legittimamente adottato sulla base della verifica della modifica apportata all'aspetto esterno dell'edificio, a prescindere dalla successiva eliminazione delle parti aggiunte. Il principio di diritto affermato dalla sentenza è che gli edifici classificati come "ambientali" nei centri storici non possono essere alterati nella loro configurazione esterna, neppure con l'installazione di manufatti accessori come pensiline o pergotende, senza il preventivo ottenimento del relativo titolo edilizio, a tutela del valore paesaggistico e architettonico del patrimonio edilizio storico.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza può essere così formulato: Il giudice amministrativo, in presenza di una espressa dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse da parte del ricorrente, non può decidere la controversia nel merito né procedere d'ufficio, ma deve limitarsi a prendere atto di tale dichiarazione e dichiarare l'improcedibilità del ricorso, in applicazione del principio dispositivo che caratterizza il processo amministrativo. Ciò in quanto, sino al momento in cui la causa è trattenuta in decisione, il ricorrente mantiene la piena disponibilità dell'azione e può liberamente rinunciare all'interesse alla pronuncia giurisdizionale. In tali casi, il giudice non può sostituirsi alla valutazione del ricorrente circa la persistenza dell'interesse, ma deve semplicemente prendere atto della dichiarazione di carenza di interesse, pronunciando l'improcedibilità del ricorso. Tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui il ricorrente abbia formulato una domanda risarcitoria, in quanto l'accertamento dell'interesse al ristoro del danno segue le sorti dell'interesse all'annullamento dell'atto impugnato. La compensazione integrale delle spese di lite, infine, si giustifica in ragione della peculiarità della controversia e della dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
La distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall'art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, costituisce un limite inderogabile, applicabile a tutte le pareti finestrate dell'edificio, anche a quelle in sopraelevazione, a prescindere dall'altezza dell'edificio confinante. Tale prescrizione, volta a garantire imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, non può essere derogata nemmeno in applicazione della normativa regionale sul "Piano Casa", in quanto la deroga è ammessa solo per i parametri edilizi diversi dalle distanze minime tra fabbricati, le quali rimangono vincolanti. Analogamente, il limite massimo di altezza stabilito dagli strumenti urbanistici locali, in attuazione dell'art. 8 del D.M. 1444/1968, non può essere superato in virtù della disciplina regionale derogatoria, in quanto tale limite, pur rimesso alla determinazione degli enti locali, assume valore di legge e risulta pertanto inderogabile. La violazione di tali prescrizioni inderogabili, poste a tutela di interessi pubblici primari, legittima il diniego del permesso di costruire.
Il principio di unicità dell'offerta, sancito dall'art. 17, comma 4, del d.lgs. n. 36 del 2023, impone agli operatori economici di presentare una sola proposta, sia tecnica che economica, al fine di conferire all'offerta un contenuto certo ed univoco, a presidio delle esigenze di buon andamento, economicità e certezza dell'azione amministrativa, nonché a tutela della parità di trattamento tra i partecipanti alla procedura selettiva. Tuttavia, tale principio non è violato laddove l'operatore economico presenti un unico sistema, costituito da un microinfusore e da due diversi sensori, che rappresentano meri "elementi accessori" intercambiabili in base alle specifiche esigenze dell'utente finale, senza che ciò determini differenze sostanziali nel sistema offerto. In tal caso, la duplicità dei sensori non configura un'offerta plurima o alternativa, ma consente all'amministrazione di conseguire a parità di prezzo un sistema meglio rispondente alle concrete esigenze degli utilizzatori, senza ledere gli interessi tutelati dal principio di unicità dell'offerta. Pertanto, l'esclusione dell'operatore economico che abbia presentato un'offerta siffatta risulta illegittima, in quanto in contrasto con il principio del risultato e con i principi di buon andamento, proporzionalità e accesso al mercato.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio-tirocinio è subordinato all'effettivo svolgimento del tirocinio formativo previsto dal progetto approvato dall'autorità competente. Pertanto, il mero reperimento di un successivo impiego lavorativo, non coerente con il percorso formativo inizialmente previsto, non costituisce una sopravvenienza favorevole idonea a consentire il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in sostituzione del permesso per motivi di studio-tirocinio, qualora quest'ultimo non sia stato portato a termine per causa imputabile al tirocinante. L'interruzione anticipata del tirocinio per ragioni non dipendenti dalla volontà o dalla diligenza del tirocinante, pur rappresentando una circostanza che può giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno diverso da quello richiesto, presuppone comunque che il tirocinante abbia effettivamente iniziato e svolto, seppur parzialmente, il percorso formativo previsto, circostanza che non ricorre nel caso in cui il tirocinio non sia stato nemmeno avviato. In tali ipotesi, il successivo reperimento di un impiego lavorativo, ancorché stabile e adeguatamente remunerato, non può essere considerato una sopravvenienza favorevole idonea a consentire il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, in luogo del permesso per motivi di studio-tirocinio originariamente richiesto.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nell'esaminare la controversia relativa all'impugnazione di una concessione di suolo pubblico, ha enunciato i seguenti principi di diritto: 1. Il presupposto impositivo del canone per l'occupazione di suolo pubblico è l'occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti, con esclusione delle servitù di pubblico passaggio per le quali non è dovuto il canone. Pertanto, l'inclusione di aree private soggette a servitù pubblica nel computo del canone è illegittima. 2. Nelle zone di rilevanza storico-ambientale, l'amministrazione può derogare all'obbligo di garantire una larghezza minima di 2 metri per il passaggio pedonale, purché sia comunque assicurata un'adeguata zona per la circolazione dei pedoni e delle persone con limitata o impedita capacità motoria. 3. La controversia relativa alla determinazione e al pagamento del canone di occupazione di suolo pubblico rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, mentre il giudice amministrativo è competente solo per la contestazione dell'atto autoritativo che disciplina l'uso e l'occupazione dei beni pubblici. 4. L'interesse a ricorrere deve persistere per tutto il corso del giudizio; pertanto, è inammissibile il ricorso avverso un provvedimento di concessione già scaduto, al solo fine di ottenere la ripetizione di quanto versato o una pronuncia conformativa del futuro agire dell'amministrazione, quando questa si sia già espressa mediante l'adozione di nuovi provvedimenti non impugnati.
Il Tribunale Amministrativo Regionale, nel pronunciarsi sulla realizzazione della Ciclovia nazionale del Garda nel territorio del Comune di Bardolino, afferma che: 1. L'esclusione del progetto dalla valutazione di impatto ambientale (VIA) o dalla verifica di assoggettabilità a VIA è legittima, in quanto la pista ciclopedonale non rientra nelle tipologie di infrastrutture per le quali tali adempimenti sono obbligatori, non essendo assimilabile a una strada ai sensi del Codice della Strada e non comportando modifiche tali da determinare notevoli ripercussioni negative sull'ambiente. L'analisi degli impatti ambientali e paesaggistici è stata comunque effettuata nell'ambito della progettazione e della procedura autorizzativa. 2. La scelta del tracciato della ciclovia, che non segue interamente il percorso della vecchia ferrovia ma si sviluppa lungo la strada regionale Gardesana, rientra nella discrezionalità tecnica dell'amministrazione e non è censurabile se non per manifesta irragionevolezza, abnormità o illogicità, non riscontrate nel caso di specie. 3. L'autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Regione Veneto, che ha prescritto specifiche misure di mitigazione e compensazione per gli impatti sulle alberature, è legittima e non può essere sindacata in assenza di specifiche censure. 4. La mancata allegazione di alcuni elaborati tecnici, come il quadro economico e il cronoprogramma, non determina l'illegittimità del procedimento, in quanto tali elementi non costituiscono contenuto necessario del provvedimento di approvazione del progetto definitivo. 5. L'individuazione dei mappali interessati dal vincolo preordinato all'esproprio è stata correttamente effettuata, in conformità alla comunicazione di avvio del procedimento.
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