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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno  Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1180 del 2023, proposto da An.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Ge.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Co.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, corso Vittorio Emanuele, 58; e con l'intervento di ad opponendum: Vin.Cu., rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Vuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303: diniego di fiscalizzazione degli abusi contestati con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Omissis e del Ministero della Cultura; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 aprile 2024 il dott. Olindo Di Popolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Col ricorso in epigrafe, Cu.An. (in appresso, C. A.) impugnava, chiedendone l’annullamento, il provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, col quale il Responsabile dell’Area Sportello Unico per l’Edilizia, Demanio ed Urbanistica del Comune di Omissis aveva rigettato l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 prot. n. 18518 del 6 ottobre 2020 ed aveva disposto l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. Le opere abusive sottoposte a fiscalizzazione, ex ante contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, resistite alla relativa impugnazione, respinta dal Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza n. 3204 del 29 marzo 2023 (pronunciata in parziale riforma della sentenza di questa Sezione n. 1934 del 14 dicembre 2020) afferivano alle unità immobiliari in proprietà del ricorrente, ricomprese nell’edificio ubicato in Omissis, via (...), censito in catasto al foglio 24, particella 616, e distribuito su tre livelli fuori terra (piano terraneo, primo e secondo mansardato) ed un livello seminterrato. Si trattava, in particolare, delle seguenti opere, rimaste sine titulo per effetto dell’annullamento del permesso di costruire (PdC) in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e del PdC n. 4279 del 27 marzo 2015, che era stato pronunciato - in accoglimento del ricorso straordinario ex artt. 8 ss. del d.p.r. n. 1199/1971, proposto da Cuono Vincenzo (in appresso, C. V.) e in base al precipuo rilievo dell’illecita prosecuzione degli abusi sottoposti a condono ex artt. 31 ss. della l. n. 47/1985 con istanza del 29 marzo 1986, prot. n. 802 - con decreto del Presidente della Repubblica (d.p.r.) del 27 marzo 2017 (R.S. 2491/P), previo parere conforme del Consiglio di Stato, sez. I, n. 2459 del 29 ottobre 2018: - realizzazione (assentita con l’annullato PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015) ed ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano secondo mansardato; - ampliamento (assentito con l’annullato PdC n. 4279 del 27 marzo 2015) del piano primo, mediante realizzazione sul terrazzo esistente di un corpo di fabbrica sormontato da lastrico solare. Il gravato diniego di fiscalizzazione era essenzialmente motivato in base al rilievo che la natura non già formale, bensì sostanziale dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015 impediva ogni ulteriore valutazione circa la rappresentata impossibilità di ripristino dello status quo ante. Nell’avversare siffatta determinazione, il ricorrente deduceva, in estrema sintesi, che il Comune di Omissis: a) in violazione del dictum giurisdizionale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, nonché in difetto di istruttoria e di motivazione, avrebbe omesso di valutare - così come richiestogli con l’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518 - la condizione di fiscalizzazione costituita dall’impossibilità di riduzione in pristino, ai fini dell’applicabilità della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, senza tener conto delle analisi strutturali fornitegli dall’interessato dietro proprio apposito invito; b) in difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione, non avrebbe considerato che - come dimostrato dalla dettagliata documentazione tecnica elargita dall’interessato - la rimozione delle opere abusive avrebbe compromesso l’equilibrio statico delle porzioni legittime dell’intero edificio, anche in proprietà di terzi; c) avrebbe richiamato, in termini del tutto inconferenti, l’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023, inerente ad un manufatto (pergolato) a sé stante rispetto alle opere contestate con l’ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019, nonché non sanzionabile in via repressivo-ripristinatoria; d) avrebbe obliterato la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza del 6 ottobre 2020, prot. n. 18518. Costituitosi l’intimato Comune di Omissis eccepiva l’inammissibilità (per carenza di interesse ad agire) e l’infondatezza del gravame esperito ex adverso. Si costituiva, altresì, in giudizio il Ministero della Cultura. Interveniva, infine, ad opponendum C. V., in veste di proprietario confinante col compendio immobiliare in titolarità di C. A., eccependo l’inammissibilità (per omessa notifica nei suoi confronti) e l’infondatezza del ricorso. All’udienza pubblica del 30 aprile 2024, la causa era trattenuta in decisione. Venendo ora a scrutinare il ricorso, esso si rivela infondato per le ragioni illustrate in appresso. Tanto può esimere, quindi, il Collegio dallo scrutinio delle eccezioni in rito sollevate dalle parti resistenti. Innanzitutto, gli ordini di doglianze rubricati retro, sub n. 3.a-b, si infrangono contro il chiaro tenore sia della sentenza di primo grado n. 1934 del 14 dicembre 2020 sia della sentenza di appello n. 3204 del 29 marzo 2023, le quali hanno unanimemente escluso l’applicabilità della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 alla fattispecie in esame. 8.1. In particolare, questa Sezione ha statuito che: «A ripudio delle proposizioni attoree, milita, innanzitutto, l’approccio ermeneutico restrittivo suggellato in subiecta materia dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020. “La disposizione in commento - recita la pronuncia richiamata - fa specifico riferimento ai vizi ‘delle proceduré, avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l’operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l’an e il quomodo dell’attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all’amministrazione l’obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un’attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell’esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall’art. 21 nonies comma 2 della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un’illegittimità di natura ‘proceduralé, essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest’ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di ‘rimozione del viziò afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all’impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto sarebbe suscettibile di convalida, e che per le motivate valutazioni espressamente fatte dall’amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Diversamente da quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale “estensivo” del quale si è dato sopra atto, in casi siffatti il sindacato del giudice chiamato a vagliare la legittimità della operata fiscalizzazione dell’abuso deve avere ad oggetto proprio la natura del vizio. La “motivata valutazione” dell’amministrazione infatti afferisce al preliminare vaglio amministrativo circa la rimovibilità (anche) in concreto del vizio, ex art. 21 nonies comma 2, e rileva non già rispetto al binomio fiscalizzazione/demolizione, quanto in relazione al diverso binomio convalida/applicazione dell’art. 38, costituente soglia di accesso per applicazione dell’intero impianto dell’art. 38 (e non solo dell’opzione della fiscalizzazione). La descritta esegesi è confermata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Quest’ultima, nella sentenza 209/2010 ha avuto modo di chiarire, giudicando della legittimità di una norma di interpretazione autentica di una disposizione provinciale di tenore identico a quella nazionale che qui si discute (interpretazione autentica tesa ad estendere la fiscalizzazione ai vizi sostanziali), che ‘l'espressione ‘vizi delle procedure amministrativé non si presta ad una molteplicità di significati, tale da abbracciare i ‘vizi sostanzialì, che esprimono invece un concetto ben distinto da quello di vizi procedurali e non in quest'ultimo potenzialmente contenutò. Del resto depongono in tal senso anche considerazioni di carattere sistematico. La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito. A ciò si aggiunge, nei casi in cui l’annullamento del titolo sia intervenuto in sede giurisdizionale su istanza di proprietario limitrofo o associazioni rappresentative di interessi diffusi (giova sottolineare che l’art. 38 non si sofferma sulla natura giurisdizionale o amministrativa dell’annullamento), che la tutela dell’affidamento del costruttore, attraverso la fiscalizzazione dell’abuso anche in relazione a vizi sostanziali, di fatto vanificherebbe la tutela del terzo ricorrente, il quale, all’esito di un costoso e defatigante giudizio, si troverebbe privato di qualsivoglia utilità, essendo la sanzione pecuniaria incamerata dall’erario. Il punto di equilibrio sin qui individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell’affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo non è, ad avviso di questa Adunanza plenaria, depotenziato dalla giurisprudenza della Corte EDU sul carattere fondamentale del diritto di abitazione e sul necessario rispetto del principio di proporzionalità nell’inflizione della sanzione demolitoria (si veda, da ultimo, Corte EDU, 21/4/2016 Ivanova vs. Bulgaria). Nell’ordinamento interno, caduto il dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi a seguito della nota sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 500/99, si è affermato, anche per via legislativa, che il’bene della vità cui il privato aspira è meritevole di protezione piena a prescindere dalla qualificazione come diritto soggettivo o interesse legittimo della posizione giuridica al quale esso di correla. E’ quindi ben possibile che, a prescindere dalla qualificazione giuridica della posizione giuridica del costruttore che dinanzi all’annullamento in sede amministrativa o giurisdizionale del permesso di costruire reclami il ristoro dei danni conseguenti al legittimo affidamento dal medesimo riposto circa la legittimità dell’edificazione realizzata (sul punto le Sezioni unite sono ferme nel ritenere che trattasi di diritto soggettivo: SSUU, 24 settembre 2018, n. 22435; 22 giugno 2017, n. 15640; 4 settembre 2015, n. 17586; 23 marzo 2011, n. 6596), l’illecito commesso dall’amministrazione comporti il sorgere di un’obbligazione all’integrale risarcimento, per equivalente, del danno provocato. Obbligazione che interviene a ridare coerenza, ragionevolezza ed effettività al sistema delle tutele, ove la conservazione dell’immobile nella sua integrità si ponga in irrimediabile conflitto con i valori urbanistici e ambientali sopra ricordati. Al quesito posto dall’ordinanza di rimessione deve quindi rispondersi nel senso che ‘i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozioné”. Sulla base di tali premesse, va ribadito l’indirizzo rigoroso invalso anche presso la Sezione. In particolare, come osservato nella sentenza n. 1417 del 10 ottobre 2018 (confermata in appello da Cons. Stato, sez. VI, 8 ottobre 2019, n. 6852), “la regola immanente all’art. 38, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001 è rappresentata dall’operatività della sanzione reale, la quale, in quanto effetto primario e naturale derivante dall’annullamento del permesso di costruire (così come dalla sua mancanza ab origine: cfr. art. 31, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 cit.), non richiede all’amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. Nel caso di annullamento del titolo abilitativo edilizio, in disparte l'ipotesi di vizi di ordine meramente procedurale e formale, non ricorrente nella fattispecie in esame, il modello legale tipico di atto consequenziale è, infatti, proprio quello dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto unico atto idoneo ad arrecare una piena soddisfazione all'interesse pubblico alla rimozione delle opere in contrasto con la disciplina urbanistica; cosicché, ove lo sviluppo attuativo del pregresso annullamento del permesso di costruire si incanali nell’alveo naturale della riduzione in pristino, alcun onere di specifica motivazione ricade sull’amministrazione procedente, il cui operato è obbligatoriamente scandito dallo stesso legislatore; mentre, solo in presenza di circostanze peculiari ed eccezionali, idonee ad accreditare l’oggettiva impossibilità di attuare la misura ordinaria della riduzione in pristino, sarà possibile accedere alla misura residuale della sanzione pecuniaria, occorrendo, però, in siffatta evenienza giustificare la deroga alla soluzione di ‘tutela realé privilegiata dal legislatore mediante una congrua motivazione che dia adeguatamente conto delle valutazioni effettuate (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 21 marzo 2006, n. 3124; sez. VIII, 7 gennaio 2015, n. 34; 10 marzo 2016, n. 1397; 7 aprile 2016, n. 1746; 8 luglio 2016, n. 3490; sez. IV, 4 gennaio 2017, n. 68; TAR Veneto, Venezia, 21 aprile 2016, n. 417)”». 8.2. Nello stesso senso, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha statuito che: «La sentenza di prime cure ha fatto piana e corretta applicazione dell’orientamento consolidatosi a seguito della nota pronuncia dell’Adunanza plenaria, n. 17 del 2020, secondo cui l’art. 38 cit. fa specifico riferimento ai vizi "delle procedure", avendo così cura di segmentare le cause di invalidità che possano giustificare l'operatività del temperamento più volte segnalato, in guisa da discernerle dagli altri vizi del provvedimento che, non attenendo al procedimento, involvono profili di compatibilità della costruzione rispetto al quadro programmatorio e regolamentare che disciplina l'an e il quomodo dell'attività edificatoria. Non a caso il tenore della norma impone, sia pur per implicito, all'amministrazione l'obbligo di porre preliminarmente rimedio al vizio, rimuovendolo attraverso un'attività di secondo grado pacificamente sussumibile nell'esercizio del potere di convalida contemplato in via generale dall'art. 21 nonies, comma 2, della legge generale sul procedimento. La convalida per il tramite della rimozione del vizio implica necessariamente un'illegittimità di natura "procedurale", essendo evidente che ogni diverso vizio afferente alla sostanza regolatoria del rapporto amministrativo rispetto al quadro normativo vigente risulterebbe superabile solo attraverso una modifica di quest'ultimo; ius superveniens che, in quanto riguardante il contesto normativo generale, certamente esula da concetto di "rimozione del vizio" afferente la singola e concreta fattispecie provvedimentale. Il riferimento ad un vizio procedurale astrattamente convalidabile delimita operativamente il campo semantico della successiva e connessa proposizione normativa riferita all'impossibilità di rimozione, dovendo per questa intendersi una impossibilità che attiene pur sempre ad un vizio che, sul piano astratto, sarebbe suscettibile di convalida e che, per le motivate valutazioni espressamente fatte dall'amministrazione, non risulta esserlo in concreto. Nel caso di specie, se per un verso (peraltro dirimente, a fini di inapplicabilità della norma evocata) i vizi che hanno portato all’annullamento delle sanatorie non hanno il predetto mero carattere procedurale, riguardando piuttosto la consistenza e la sostanza degli abusi, per un altro verso non appaiono oggetto di adeguata smentita le puntuali considerazioni svolte dalla sentenza appellata in merito alla insussistenza della presunta impossibilità tecnica della demolizione della porzione abusiva (piano secondo mansardato) dell’edificio. In proposito, rispetto alle relazioni tecniche di parte depositate in giudizio dall’odierno appellante, assumono rilievo preminente sia la nota del Responsabile dell’Area Governo del Territorio, Patrimonio e Demanio del Comune di Omissis prot. n. 24008 del 29 novembre 2019 (ove si rileva che “trattasi di opere di sopraelevazione, autonome ed indipendenti, la cui eliminazione anche in base alle progettazioni che versano agli atti non può ritenersi di pregiudizio né alla parte conforme dell’edificio né alle proprietà viciniori”), sia la relazione tecnica di parte prodotta dall’odierno appellato costituito, ove si illustra come il secondo piano mansardato del fabbricato in questione non sia collegato strutturalmente all’adiacente corpo di fabbrica in proprietà di V. C., cosicché la sua rimozione sarebbe insuscettibile di compromettere l’equilibrio statico di quest’ultimo». 8.3. Ciò posto, il Comune di Omissis, nel ripudiare la proposta fiscalizzazione, ha fatto buon governo delle regole applicative dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 declinate in via pretoria nelle pronunce citate sulla scorta dell’indirizzo nomofilattico sancito da Cons. Stato, ad. plen., 7 settembre 2020, n. 17, allorquando ha arrestato ogni valutazione circa la possibilità o meno del ripristino dello status quo ante al rilievo ostativo pregiudiziale della natura sostanziale - e, quindi, non emendabile in via pecuniaria - dei vizi infirmanti i giurisdizionalmente annullati PdC in sanatoria n. 4275 del 17 marzo 2015 e PdC n. 4279 del 27 marzo 2015. 8.4. Né vale a menomare il superiore approdo l’inciso, contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 3204 del 29 marzo 2023, secondo cui «l’ordine di demolizione delle opere edilizie costituisce un atto dovuto, mentre la valutazione di non procedere alla rimozione delle parti abusive, nel caso in cui questa sia pregiudizievole per le parti legittime, è soltanto un'eventualità della fase esecutiva, successiva e autonoma rispetto all'ordine di demolizione». Tale inciso sta, infatti, a indicare soltanto che la monetizzazione dell’abuso esulava dalla fase di irrogazione della sanzione demolitoria - la quale aveva formato oggetto del giudizio definito con la suindicata pronuncia -, afferendo, invece, alla successiva fase della sua esecuzione. Sta, cioè, a rappresentare la carenza di interesse concreto e attuale a dolersi di una determinazione non ancora assunta né assumibile al momento dell’allora gravata ordinanza di demolizione n. 2091 del 6 agosto 2019. 8.5. Ad ulteriore ripudio delle proposizioni attoree, è appena il caso di rammentare che la Sezione, nella sentenza n. 1934 del 14 dicembre 2020, ha affermato anche che: «... l’invocata fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 neppure sarebbe configurabile, allorquando a formare oggetto dell’annullamento giurisdizionale sia non già un titolo edilizio rilasciato preventivamente alla realizzazione dell’intervento in progetto, bensì - come, appunto, nella specie - un titolo edilizio rilasciato in sanatoria, posteriormente alla realizzazione di opere abusive, rispetto al cui mantenimento in loco non è ragionevolmente predicabile la generazione di alcun legittimo affidamento in favore del relativo autore o proprietario. In questo senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 21 novembre 2016, n. 5364 ha statuito che: “L'art. 38 del d.p.r. n. 380/01, prevedendo una ipotesi di sanatoria mediante pagamento di una sanzione pecuniaria per le ipotesi di annullamento del permesso di costruire, è volto a tutelare l'affidamento del soggetto che abbia edificato in virtù di titolo edilizio solo successivamente annullato. Detto disposto normativo non può trovare applicazione nel caso in cui le opere siano state realizzate ab initio ‘sine titulò, rilasciato solo successivamente a sanatoria e annullato in sede giurisdizionale, in quanto difettano i presupposti per la tutela dell'affidamento dell'istante (Cons. Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2014, n. 5261)”». Stante la natura plurimotivata del provvedimento del 1° giugno 2023, prot. n. 12303, l’acclarata legittimità del rilievo di inapplicabilità dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001 ai titoli edilizi infirmati da vizi sostanziali induce a predicare l’inammissibilità del profilo di censura rubricato retro, sub n. 3.c, e rivolto avverso l’ulteriore rilievo di emissione dell’ordinanza di demolizione n. 2162 del 29 maggio 2023: ciò, in quanto, in presenza di un atto sorretto da autonome ragioni giuridico-fattuali, è bastevole l’intangibilità anche di una sola delle argomentazioni poste a suo fondamento, perché l’atto medesimo possa resistere al richiesto sindacato giurisdizionale su di esso, con conseguente assorbimento - per carenza di interesse e per finalità di economia processuale - delle censure dirette a contestare ogni ulteriore nucleo motivazionale del provvedimento gravato. Non riveste, infine, portata invalidante la denunciata obliterazione del preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990 (cfr. retro, sub n. 3.d). Al riguardo, giova rammentare che l'ultimo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, come modificato dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, conv. in l. n. 120/2020, stabilisce che «la disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10 bis». Nei casi di violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990, è, cioè, esclusa l'applicazione del solo secondo periodo dell'art. 21 octies, comma 2, della l. n. 241/1990, a tenore del quale «il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». Rimane, invece, applicabile la disposizione contenuta nel primo periodo dell’art. 21 octies, comma 2, della l, n. 241/1990, in base alla quale «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato». In questo senso, il Cons. Stato, sez. III, 29 luglio 2022, n. 6708 e 23 dicembre 2022, n. 11289 ha precisato che solo in caso di provvedimento discrezionale l'eventuale violazione dell'art. 10 bis della l. n. 241/1990 determina l'annullamento del provvedimento, così inquadrando la portata dell'art. 21 octies, nella versione successiva alla riforma di cui all'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020. Ed invero, seppure la centralità del contraddittorio procedimentale consente l'emersione di fatti e circostanze che, sottoposte alla valutazione dell'amministrazione, possono indurre ad una favorevole conclusione del procedimento, questo aspetto diviene recessivo quando, in presenza di specifici presupposti individuati dal legislatore, una sola può essere la scelta legittima dell'amministrazione in conformità con la legge (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 2 febbraio 2023, n. 752). Nello stesso senso, TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 22 agosto 2023, n. 4838 ha affermato che: «Le previsioni di cui all'art. 10 bis l. n. 241/1990 devono essere coordinate con quelle di cui all'art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990. Il primo periodo del comma due del predetto art. 21 octies opera tuttora in relazione alla violazione procedimentale del menzionato art. 10 bis. Ciò anche dopo le modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, lett. i, del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020, le quali incidono propriamente sull'applicazione del secondo periodo del comma due dell'art. 21 octies L. n. 241/1990 in esame, secondo cui "non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato [...]". La lettura coordinata dei menzionati artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, esclude che il provvedimento sia annullabile qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella in concreto adottata. In questi casi, l'attivazione del contraddittorio procedimentale - per il tramite della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza - risulterebbe non utile, in quanto non contribuirebbe in alcun modo a modificare il contenuto sostanziale della decisione. Ne consegue che l'annullamento del provvedimento negativo in relazione esclusivamente al vizio formale della mancata comunicazione del preavviso di rigetto ed una volta accertata l'infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato, si tradurrebbe in un'antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, dopo la caducazione dell'atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto ed un dispositivo diverso da quello proprio della decisione annullata (cfr. Cons. Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925; 12 febbraio 2020, n. 1081; 17 settembre 2019, n. 6209; sez. III, 19 febbraio 2019, n. 1156; sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256 e 27 settembre 2018, n. 5562...)». Ebbene, nel caso in esame, alla luce delle considerazioni svolte, il diniego di fiscalizzazione dell'abuso, siccome fondato sul rilievo oggettivo e preclusivo della natura sostanziale dei vizi infirmanti i titoli edilizi giurisdizionalmente annullati, costituiva l'esito vincolato del procedimento, con la conseguenza che il provvedimento in questa sede impugnato non può essere annullato, pur in difetto del preavviso di rigetto (cfr., in termini, TAR Umbria, Perugia, 2 aprile 2024, n. 225). In conclusione, alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso in epigrafe va, nel complesso, respinto. Quanto alle spese di lite, appare equo compensarle interamente tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Durante - Presidente Olindo Di Popolo - Consigliere, Estensore Laura Zoppo, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Olindo Di Popolo Nicola Durante IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1198 del 2024, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Gr. e Vl. Pe., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Mi. Gr. in Padova, Piazzale (...); contro El. Sa., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Re. D'A., con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti della Regione Veneto e dell'Ente Parco Regionale dei Colli Euganei, non costituiti in giudizio; per la riforma della sentenza n. 1564 del 2023 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Seconda. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di El. Sa.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in epigrafe il Comune di (omissis) ha impugnato la sentenza del T.a.r. Veneto n. 1564 del 2023 che ha accolto il ricorso proposto dalla signora El. Sa. avverso il silenzio serbato dall'anzidetto Comune in relazione all'istanza dalla medesima presentata in data 29 dicembre 2022 intesa a ottenere l'avvio del procedimento diretto all'approvazione della variante al Piano Ambientale del Parco dei Colli Euganei, necessaria per la prosecuzione dell'iter di approvazione dell'accordo di programma relativo al "progetto strategico turistico" ai sensi dell'art. 26 della l.r. Veneto n. 11 del 2004, proposto dalla ricorrente in primo grado e odierna appellata. 2. Più precisamente, l'originaria istanza della signora Sa. - presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701 e poi successivamente integrata e specificata nel maggio 2016 - riguardava un "progetto strategico turistico" per la realizzazione di un'area adibita a servizi nell'ambito dell'anello ciclo-turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la S.P. n. 89 e lungo via (omissis). In estrema sintesi, tale istanza dapprima fu positivamente valutata dall'amministrazione comunale e il Sindaco del Comune di (omissis), nel maggio 2016, promosse un incontro con le associazioni di categoria al cui esito venne redatto un apposito verbale per la valutazione del progetto strategico turistico, come previsto dalla D.G.R.V. n. 450 del 2015. Successivamente, il Comune dispose la trasmissione degli atti alla Regione e, con Deliberazione n. 1770 del 2 novembre 2016, la Giunta Regionale riconobbe le caratteristiche di progetto strategico ai sensi dell'art. 15 della l.r. n. 32 del 2013, al fine avviare il procedimento relativo alla stipula di un Accordo di Programma. Poi, con decreto n. 11770/2016/1109 dell'1 febbraio 2017, l'Ente Parco dei Colli Euganei ha rilevato l'incompatibilità del progetto turistico rispetto alle previsioni del Piano ambientale, dichiarata anche nel successivo parere reso nella seduta del 3 marzo 2021 e con la successiva nota prot. 24141 del 14 dicembre 2021 l'Ente Parco dei Colli Euganei ha precisato che la procedura di variante del Piano ambientale avrebbe dovuto essere preceduta dall'adozione di una variante allo strumento urbanistico comunale. Infine con la nota prot. n. 21361 del 4 novembre 2022, il Sindaco del Comune di (omissis) ha segnalato alla signora Sa. la difformità del progetto rispetto alle previsioni del Piano di Assetto del Territorito (P.A.T.) e del Piano degli Interventi (P.I.) sostenendo di non poter "approvare una variante" al P.I. in difformità rispetto al P.A.T., che non prevede il Progetto Strategico Turistico in quanto in contrasto con il Piano ambientale; sotto diverso profilo ha rilevato che una eventuale variante al P.A.T. non solo sarebbe di competenza della Provincia, ma non sarebbe neppure attuabile poiché sarebbe, per l'appunto, in contrasto con il Piano Ambientale. 3. Dalle considerazioni che precedono risulta quindi che il procedimento relativo al progetto, in sostanza, non è stato proseguito a causa della divergenza emersa tra le amministrazioni con riferimento all'individuazione dell'iter da seguire per pervenire all'adozione delle modifiche al Piano Ambientale. 4. La signora Sa. - pertanto - ha presentato l'ulteriore e già menzionata diffida del 29 dicembre 2022 attraverso la quale ha chiesto che il Comune di (omissis) e l'Ente Parco dei Colli Euganei avviassero entro il termine di trenta giorni il procedimento volto all'adozione della variante al Piano Ambientale, necessaria per proseguire l'iter dell'accordo strategico turistico e, a fronte del silenzio del Comune, ha introdotto il presente giudizio avverso il silenzio. 5. Il T.a.r. Veneto, con la sentenza impugnata, ha accolto il ricorso rilevando che, nel caso di specie, l'obbligo di concludere il procedimento dipendeva dall'affidamento ingenerato in capo alla ricorrente. Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, per la particolarità del caso di specie e per la specificità della posizione della ricorrente, sarebbe consentito discostarsi dal principio generale, secondo cui non è configurabile alcun obbligo di provvedere rispetto agli atti di pianificazione urbanistica, che risultano connotati da ampia discrezionalità nell'an e nel quomodo, con la conseguenza che sarebbe ravvisabile in capo all'amministrazione comunale uno specifico obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, eventualmente anche attraverso un rigetto nel merito della richiesta di avvio dell'iter di adozione delle varianti agli strumenti urbanistici comunali prodromiche alla variante generale al Piano Ambientale del Parco, dal momento che l'amministrazione comunale fino a quel momento non si era espressa nel merito limitandosi ad osservazioni definite "procedurali" (come quella di cui alla nota sindacale del 4 novembre 2022). 6. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di (omissis), prospettando anzitutto - nella parte in fatto - una diversa ricostruzione della vicenda procedimentale volta a porre in evidenza il difetto di competenza del Comune rispetto all'adozione degli atti propedeutici alla prosecuzione dell'iter, osservando, in proposito, che il Comune non sarebbe "l'Ente capofila" nel procedimento volto all'adozione dell'Accordo di Programma, né sarebbe titolare di un "autonomo onere di variante dello strumento urbanistico", né, ancora, sarebbe competente a variare il Piano Ambientale. In altri termini, il Comune appellante ritiene che l'arresto del procedimento debba essere imputato agli altri enti coinvolti e, sul punto, osserva, infatti, che: "gli Enti che avrebbero potuto/dovuto portare avanti il procedimento, in realtà, si arrestavano, sembrando pretendere che il Comune, seppur incompetente, facesse le loro veci". In questa prospettiva, pertanto, ad avviso dell'Ente locale, l'adozione della variante comunale integrava un adempimento non previsto dal procedimento di Accordo di Programma, che, al contrario, assorbirebbe di per sé la variante stessa rendendone così superflua l'adozione da parte del Comune e, inoltre, non si tratterebbe neppure di un adempimento richiesto per la Variante Generale al Piano Ambientale, che, secondo il Comune, l'Ente Parco avrebbe potuto avviare autonomamente. L'appellante sostiene, inoltre, di aver puntualmente rappresentato i predetti profili critici mediante la nota del 4 novembre 2022 nella quale il Sindaco di (omissis) ha indicato alla signora Sa. le ragioni per le quali il Comune non avrebbe potuto adottare la variante allo strumento urbanistico e, a fronte dell'ulteriore diffida del 29 dicembre 2022, l'amministrazione ha ritenuto di non dover dare ulteriori riscontri avendo, a suo dire, già indicato puntualmente le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile dar seguito al procedimento, spettando la prosecuzione dell'iter alla Regione e all'Ente Parco. 6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante sostiene che il ricorso di primo grado sia irricevibile o inammissibile in quanto proposto oltre il termine annuale previsto dall'art. 31, comma 2, c.p.a. dal momento che il procedimento ha avuto avvio nel dicembre 2015 con la presentazione dell'originaria istanza, mentre il ricorso è stato depositato solo nel 2023. Nella prospettazione del Comune, pertanto, la diffida del 29 dicembre 2022 non sarebbe una nuova istanza ma un mero sollecito per la prosecuzione del procedimento. Il Comune osserva inoltre che considerando l'anzidetta diffida alla stregua di un'istanza presentata ex novo nel 2022 non avrebbe potuto trovare applicazione l'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, che era stato medio tempore abrogato; mentre qualificandola come mera richiesta di variante urbanistica non sarebbe stato possibile configurare alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. 6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune contesta la sentenza sostenendo che il primo giudice abbia omesso di rilevare un ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, in quanto l'istanza del 29 dicembre 2022 era da ritenersi la mera reiterazione di una precedente richiesta formulata dalla stessa ricorrente alla quale il Comune - con il già richiamato provvedimento del Sindaco del 4 novembre 2022 - aveva dato riscontro, indicando le ragioni ostative alla prosecuzione del procedimento attraverso l'adozione, da parte del Comune medesimo, di una variante urbanistica. Tale provvedimento - che non è stato impugnato - aveva indicato le ragioni poste a fondamento dell'incompetenza del Comune di (omissis) e della conseguente impossibilità di adottare una variante. Conseguentemente, il giudice avrebbe errato a qualificare la nota sindacale del 4 novembre 2022 quale atto "meramente interlocutorio" nonché "proveniente da Organo non competente alla pianificazione". 6.3. Con il terzo motivo di gravame, insiste nel sostenere che in capo al Comune non sussista alcun obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004 e dalla D.G.R.V. n. 450/2015. 7. Si è costituita in giudizio El. Sa. eccependo l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse poiché a seguito della sentenza del T.a.r., con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 68 del 27 dicembre 2023, comunicata con nota del 28 febbraio 2024, il Comune ha rigettato l'istanza della Sa. ritenendo di non poter accogliere la proposta di accordo di programma. La delibera dispone testualmente di rigettare "l'istanza presentata in data 29.12.22 dalla ditta Sa. Elisa volta all'introduzione di una Variante al Piano di Assetto del Territorio (P.A.T.) e di una Variante al Piano degli Interventi e per l'effetto di rigettare anche l'istanza volta all'adozione delle determinazioni necessarie a dare impulso all'approvazione di una Variante al Piano Ambientale del Parco Colli Euganei". Ad avviso della signora Sa. si tratta, dunque, di un provvedimento espresso adottato successivamente alla pubblicazione della sentenza appellata e già impugnato, a sua volta, davanti al T.a.r., con la conseguenza che l'appello dovrebbe a suo dire essere dichiarato inammissibile. Ferma restando l'eccezione che precede, la parte appellata ha replicato nel merito alle censure del Comune. 8. Con la memoria di replica del 3 maggio 2024, il Comune di (omissis) insiste nel sostenere che la variante dello strumento urbanistico non è riconducibile alla sfera decisionale del Comune, trattandosi di una conseguenza diretta e immediata della procedura di approvazione dell'accordo di programma avente ad oggetto un intervento di interesse regionale. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità dell'appello a seguito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, il Comune di (omissis) eccepisce la tardività del deposito della delibera medesima e sostiene che l'eccezione sia comunque infondata dal momento che l'anzidetta delibera è stata adottata solo per ottemperare alla sentenza immediatamente esecutiva, sicché "l'Amministrazione comunale ha un interesse attuale e concreto ad ottenere una pronuncia della presente impugnazione, posto che l'accertamento dell'insussistenza, in capo alla medesima, di un obbligo di provvedere renderebbe inutiliter data la stessa Delibera consiliare n. 68/2023". 9. Tanto premesso, il Collegio - trattenuta la causa in decisione alla camera di consiglio del 16 maggio 2024 - reputa che l'appello non sia fondato. 10. Preliminarmente, va esaminate l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse, in considerazione dell'adozione del provvedimento espresso mediante la delibera n. 68 del 27 dicembre 2023. Si deve, infatti, escludere che con l'anzidetta delibera il Comune abbia inteso fare acquiescenza alla sentenza, dal momento che nella delibera stessa si legge espressamente quanto segue: "il presente provvedimento viene assunto in forza di quanto disposto dalla sentenza T.A.R. Veneto n. 1564 del 6.11.2023, esecutiva, al fine di ottemperare a un obbligo giudiziale, senza che, però, il Comune intenda fare acquiescenza alla predetta pronuncia e, quindi, con riserva di proporre avverso la stessa impugnazione". Sul punto, il Collegio intende dare continuità al consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui dall'esecuzione della sentenza di primo grado non si può desumere l'acquiescenza alla sentenza stessa, dal momento che l'esecuzione della pronuncia, in assenza di misure cautelari del giudice d'appello, è un dovere dell'amministrazione soccombente, salvo il caso in cui l'amministrazione abbia dichiarato espressamente di accettare la decisione o che comunque tale accettazione sia evincibile dal complessivo comportamento tenuto; in questo senso, ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 novembre 2023, n. 9909; Cons. Stato, Sez. II, 2 ottobre 2023, n. 8614; Cons. Stato, Sez. V, 1 dicembre 2022, n. 10565. L'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità dell'appello consente di prescindere dall'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata dal Comune, concernente la tardività del deposito della delibera n. 68 del 27 dicembre 2023, fermo restando comunque che il contenuto della delibera non è stato contestato dal Comune. 11. Passando all'esame dei motivi di gravame, il Collegio rileva che la prima censura, concernente l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio per decorso del termine annuale previsto dall'art. 117 c.p.a., è infondato poiché occorre avere riguardo non già, come sostenuto dal Comune appellante, al procedimento avviato con l'istanza presentata in data 28 dicembre 2015 prot. n. 19701, bensì al diverso procedimento di cui all'istanza del 29 dicembre 2022, concernente la variante urbanistica che, come già affermato dal T.a.r., di regola non fa sorgere alcun obbligo di provvedere in capo al Comune. Tuttavia, nel caso di specie, sussistono una pluralità di elementi che impongono all'amministrazione, per fondamentali esigenze di tutela dell'affidamento del privato, di riscontrare espressamente la predetta istanza. In primo luogo, assume rilievo la circostanza che, nella prospettiva della signora Sa. si trattasse di un adempimento da considerare non già in sé e per sé, bensì da inserire nel contesto della prosecuzione dell'iter procedimentale per la realizzazione del progetto strategico turistico dalla medesima proposto. In secondo luogo, assume rilievo anche la circostanza che la signora Sa. si sia trovata di fronte a una situazione del tutto peculiare connotata da una disciplina regionale senza dubbio di per sé caratterizzata da profili di una certa complessità e ulteriormente complicata dall'evidente contrapposizione venutasi a creare tra le amministrazioni coinvolte nel procedimento con riferimento ai successivi passaggi necessari per la prosecuzione dell'iter, come chiaramente si desume dai documenti versati in atti e, in particolare, dalla già menzionata nota del 4 novembre 2022 del Sindaco di (omissis) nonché dalla nota dell'Ente Parco dei Colli Euganei del 14 dicembre 2021 che aveva fatto presente la necessità della preventiva adozione della variante urbanistica da parte del Consiglio Comunale. Oltre a ciò, come già osservato dal T.a.r., non può essere ritenuta priva di rilevanza neppure la circostanza che il Comune medesimo aveva assunto un ruolo non secondario nell'ambito dell'iter per l'approvazione dell'accordo di programma, come dimostrato dal fatto che aveva dapprima promosso un incontro con le associazioni di categoria per la valutazione del progetto e aveva poi trasmesso alla Regione, in data 1 giugno 2016, l'istanza di attivazione del progetto stesso, chiedendo la prosecuzione dell'iter. Inoltre, già con la D.G.R. n. 1770 del 2015, la Regione aveva deliberato "di confermare che il progetto per la realizzazione di un'area adibita a servizio dell'anello ciclo - turistico dei Colli Euganei, con completamento della pista ciclabile lungo la SP n. 89 e via (omissis), e l'urbanizzazione e realizzazione di una nuova zona residenziale denominata "Al frutteto" in Comune di (omissis) (PD), riveste le caratteristiche di progetto strategico". Conseguentemente, il primo motivo di appello è infondato, non potendosi condividere la prospettazione di parte appellante né con riferimento all'eccezione di tardività del ricorso introduttivo, né avuto riguardo all'assenza di un obbligo di provvedere in capo al Comune, che, al contrario, è desumibile dalle caratteristiche del tutto peculiari del procedimento e dalla necessità di tutelare l'affidamento del privato a fronte di divergenti indicazioni delle amministrazioni coinvolte. 12. Anche il secondo motivo di appello, con cui il Comune ha sostenuto che il T.a.r. dovesse rilevare l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, avendo l'amministrazione già risposto con la nota del 4 novembre 2022, è infondato. Sul punto è dirimente la circostanza che l'anzidetta nota risulta essere meramente interlocutoria come è agevole desumere dalla precisazione con cui il Sindaco di (omissis) comunica letteralmente quanto segue: "sperando di aver contribuito ad un approfondimento dello stato dell'arte sul Progetto Strategico Turistico". Si tratta, infatti, di un contenuto di carattere non già provvedimentale, bensì solo interlocutorio, che per l'appunto offre un mero contributo di approfondimento con l'essenziale finalità di pervenire alla corretta interpretazione delle disposizioni, in conformità con il dovere di leale collaborazione. 13. Con riferimento, infine, al terzo motivo di gravame per il cui tramite il Comune sostiene che non sussista alcun suo obbligo di adottare la variante urbanistica in considerazione di quanto previsto dall'art. 26, comma 2-ter, della l.r. Veneto n. 11 del 2004, si deve rilevare come tale osservazione sia sostanzialmente inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza del T.a.r., la quale, per le ragioni già illustrate, ha correttamente affermato la sussistenza dell'obbligo di provvedere in capo al Comune, precisando espressamente che l'amministrazione comunale ben avrebbe potuto respingere l'istanza (eventualmente anche alla luce delle ragioni indicate nell'ambito del terzo motivo di gravame). 14. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, il rigetto dell'appello. 15. Le spese processuali del presente grado sono integralmente compensate in ragione della complessità e della peculiarità della fattispecie. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere Paolo Marotta - Consigliere Eugenio Tagliasacchi - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1250 del 2021, proposto da AN. (Associazione Nazionale Aziende Ca. St.) e Gi. Pu. Gr. S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Ri. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Mi. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento della delibera del Consiglio Comunale del Comune di (omissis) n. 40 del 29.06.2021, pubblicata all'albo comunale fino al 13.08.2021, con cui è stato approvato il "nuovo regolamento canone unico, arredo, decoro urbano, giardini d'inverno e mezzi pubblicitari", nei limiti dell'interesse delle ricorrenti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Andrea Gana e uditi per le parti i difensori Ru. e Ma.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO L'Associazione Nazionale Aziende Ca. St. (di seguito AN.), in qualità di ente esponenziale di interessi collettivi, e la Gi. Pu. Gr. S.r.l., che si occupa della progettazione e della commercializzazione di servizi pubblicitari, hanno impugnato la delibera del Consiglio Comunale del Comune di (omissis) n. 40 del 29.06.2021, con cui è stato approvato il "Nuovo regolamento canone unico, arredo, decoro urbano, giardini d'inverno e mezzi pubblicitari". Avverso la disciplina regolamentare le ricorrenti hanno presentato impugnazione, contestando sia il fondamento del potere esercitato dal Comune, sia il contenuto delle singole previsioni, per la parte che incide sugli impianti pubblicitari. I motivi di ricorso possono essere sintetizzati come segue. I. Il regolamento comunale sarebbe stato adottato in violazione degli artt. 11 e 12 dello Statuto del Comune e dell'art. 9 del regolamento per il funzionamento del Consiglio Comunale dato che il testo del regolamento non è stato sottoposto al preventivo esame della Commissione consiliare permanente. II. La disciplina introdotta dal Comune sarebbe in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, con il Codice della Strada e dei Beni Ambientali D.L.vo n. 42/2004 e sarebbe viziata da eccesso di potere per difetto d'istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza e travisamento dei fatti. In estrema sintesi, le ricorrenti deducono che il Comune ha apparentemente suddiviso il territorio comunale in sei zone, ma di fatto ha introdotto un divieto generalizzato di pubblicità, posto che tutto il territorio è da ricondurre alla "zona 5" (c.d. area di tutela paesaggistica e ambientale) nella quale "è vietata l'installazione di qualsiasi mezzo pubblicitario salvo particolari casi motivati da sottoporre a parere della Commissione Locale per il paesaggio e per eventuali installazioni stagionali da ritenersi esclusivamente temporanee". III. La disciplina regolamentare, che impedisce in modo assoluto la posa di cartelli e insegne su pali nella maggior parte del territorio, risulterebbe in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, oltre ad essere viziata da irragionevolezza, carenza di motivazione e di istruttoria. IV. Il regolamento impugnato, in modo irragionevole e senza una adeguata motivazione, impone per i cartelli su palo, ove ancora consentiti, una distanza tra gli stessi di 300 metri, sia al di fuori che all'interno del centro abitato se si tratta di strada con un limite di velocità superiore ai 50 Km/h; tale distanze è ridotta a 150 m se il limite di velocità, invece, è inferiore a 50 Km/h. Siffatta previsione, a giudizio delle ricorrenti, risulterebbe palesemente irragionevole, oltre che adottata in mancanza di una specifica istruttoria, dato che il Codice della Strada prevede, invece, una distanza di 100 metri nel primo caso e di 25 metri nel secondo. V. L'art. 147 del regolamento, con una previsione illogica, irragionevole e non proporzionata, dispone che i cartelli su palo, nelle zone 2, 4 e 6, non possono superare la dimensione di mt. 1,00 x 1,50, che è del tutto insufficiente rispetto a quelle normalmente utilizzate dagli operatori per veicolare, in condizioni di sicurezza, il messaggio pubblicitario. VI. L'art. 148 del regolamento, con una previsione viziata da illogicità e contraddittorietà, ha imposto una distanza di 300 metri tra le "preinsegne" e altri mezzi pubblcitari, a fronte dei 100 metri previsti dal Codice della Strada, determinando che se ne potrà posizionare soltanto una nei tratti dove, astrattamente, è possibile la loro collocazione, tenendo conto anche dell'esigenza di rispettare la distanza minima di 500 metri dalle intersezioni fuori dai centri abitati, prevista dal legislatore nazionale. VII. Il Comune, pur essendo incompetente, con l'art. 158 del regolamento avrebbe inteso disciplinare anche l'istallazione delle insegne sulle strade regionali e provinciali, rimandando l'individuazione delle modalità e dei tratti interessati al Piano Generale degli Impianti. Inoltre, a giudizio delle ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto preventivamente procedere all'adeguamento dei cartelli pubblicitari esistenti (come previsto dall'art. 58 del DPR 405/1992) e, solo successivamente, procedere al riordino di quelli esistenti con l'eventuale ricollocazione che, in modo illegittimo, è stata limitata ai soli cartelli in possesso di autorizzazione rilasciata dal Comune e dal proprietario della strada. Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio, con atto depositato in data 13.12.2021, chiedendo la reiezione del ricorso. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 22 maggio 2024, in previsione della quale il Comune resistente, con la memoria depositata ai sensi dell'art. 73 cod. proc. amm, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, in ragione della natura regolamentare degli atti impugnati e dell'assenza di un interesse attuale in capo ai ricorrenti, ed ha domandato la riunione del presente giudizio con quello introdotto con il ricorso RG n. 1342/2021, in ragione della loro connessione oggettiva. Tanto premesso, in via preliminare, con riferimento all'istanza di riunione formulata dall'Amministrazione resistente il Collegio ricorda che nel processo amministrativo la riunione di ricorsi legati da vincoli di connessione soggettiva od oggettiva non è mai obbligatoria ed è rimessa ad una valutazione di mera opportunità della loro trattazione congiunta per ragioni di economia processuale (Consiglio di Stato, Sez. III, 19 aprile 2024, n. 3553). Ebbene, nel caso di specie l'opportunità della riunione è da escludere, considerato che per il giudizio introdotto con il ricorso RG n. 1342/2021 non è ancora stata fissata l'udienza pubblica e che tra i due giudizi non sussiste alcun nesso di pregiudizialità, con la conseguenza che non è opportuno, né tantomeno necessario differire ulteriormente nel tempo la decisione sul ricorso in epigrafe indicato. Passando all'esame delle suesposte censure, il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato. È infondato il primo motivo di ricorso con cui le ricorrenti hanno contestato, su un piano formale, la mancata sottoposizione del regolamento al parere della competente Commissione comunale permanente. Sul punto, è dirimente quanto osservato dal Comune circa la mancanza di una norma che abbia stabilito l'obbligatorietà della costituzione della Commissione o della richiesta del parere stesso. Con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso, è opportuno ricordare, preliminarmente, che i regolamenti possono essere autonomamente e immediatamente impugnati solo quando contengano disposizioni suscettibili di arrecare, in via diretta e immediata, una effettiva ed attuale lesione dell'interesse di un determinato soggetto (c.d. regolamenti "volizione - azione"), mentre se il pregiudizio è conseguenza dell'atto di applicazione concreta il regolamento deve essere impugnato congiuntamente all'atto applicativo (c.d. regolamenti "volizione - preliminare"); infine, qualora si tratti di "regolamenti misti", ossia recanti sia prescrizioni programmatiche, sia precetti immediatamente lesivi, il regime di impugnazione varia a seconda della natura delle prescrizioni ritenute illegittime. In questo quadro generale, con specifico riferimento ai regolamenti istitutivi di canoni patrimoniali la giurisprudenza ha già chiarito che l'interesse a ricorrere si radica solo con l'atto applicativo, poiché "sebbene il regolamento comunale impugnato, coerentemente con il suo nomen juris, ha indubbiamente contenuto normativo, in quanto individua, con previsioni generali e astratte, le tipologie di concessioni sottoposte al canone concessorio non ricognitorio, i relativi presupposti applicativi e i criteri di quantificazione del canone, (...) è soltanto con il successivo atto applicativo che si viene a radicare tanto l'interesse al ricorso, quanto la legittimazione a ricorrere" (Consiglio di Stato, Sez. V, 2 novembre 2017, n. 5071; C.G.A.R.S., Sez. Riun., parere del 30 maggio 2023, n. 292). Ne deriva, in linea generale, che l'interesse del singolo all'annullamento delle norme regolamentari generali e astratte è un interesse indifferenziato, sostanzialmente omogeneo rispetto a quello che può vantare qualsiasi altro soggetto che appartenga alla generalità dei potenziali destinatari; soltanto con l'atto applicativo è possibile individuare un soggetto che viene concretamente inciso nella sua sfera giuridica. Ebbene, nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene che sia stato impugnato un regolamento misto, caratterizzato sia da prescrizioni puramente programmatiche, sia da precetti immediatamente lesivi, in quanto idonei a incidere negativamente sulla sfera giuridica degli interessati, privandoli in senso assoluto della possibilità di conseguire il bene della vita. Più nello specifico, devono essere ricondotte nella categoria delle prescrizioni puramente programmatiche, le norme regolamentari censurate dalle ricorrenti con il secondo e con il settimo motivo di ricorso. Infatti la previsione per la quale, nella zona 5 (che ricomprende l'area di tutela paesaggistica), "è vietata l'installazione di qualsiasi mezzo pubblicitario salvo particolari casi motivati da sottoporre a parere della Commissione Locale per il paesaggio e per eventuali installazioni stagionali da ritenersi esclusivamente temporanee" non è idonea a radicare una lesione immediata e attuale nella sfera giuridica delle ricorrenti le quali, eventualmente, potrebbero avere interesse a contestarne la legittimità successivamente all'adozione dell'atto applicativo con riferimento ad una loro specifica istanza di autorizzazione all'installazione del mezzo pubblicitario. Analogamente, gli artt. 158 e 159 del regolamento impugnato, contestati con il settimo motivo di impugnazione, hanno carattere meramente programmatico, essendo relativi ad un'attività di riordino dei mezzi pubblicitari presenti sul territorio comunale (sulla base di specifici criteri già individuati), che potrà comportare una lesione attuale della sfera giuridica degli interessati soltanto qualora la stessa sarà effettivamente attuata. Al contrario, relativamente al terzo, al quarto, al quinto e al sesto motivo di impugnazione, sussiste l'interesse all'immediata proposizione del ricorso, trattandosi di motivi proposti per contestare la legittimità delle previsioni regolamentari che immediatamente escludono la possibilità per i soggetti interessati di conseguire il bene della vita. Più nel dettaglio, le ricorrenti contestano: 1) le norme del regolamento che vietano, quasi su tutto il territorio comunale, l'installazione di cartelli pubblicitari e insegne "su palo" prescrivendone, dove ancora consentiti, una dimensione massima di mt. 1,00 x 1,50; 2) le previsioni che impongono distanze minime tra i cartelli e le insegne, differenziandole a seconda del limite di velocità della strada interessata, e tra le "preinsegne" e altri mezzi pubblicitari. Con riferimento a tali contestazioni il Comune di (omissis), nella memoria memoria depositata il 18 aprile 2024, ha evidenziato che "il centro storico del Comune di (omissis) è costituito da un piccolo borgo di origine antichissima, formato da stradine strette per lo più pedonali, ricco di opere storiche ed architettoniche come il Castello Scaligero, le Mura di Cinta, Dogana Veneta, Chiese romaniche, Ville Venete. Al fine di garantire il mantenimento di tale contesto e del decoro urbano, il Comune di (omissis), in assoluta conformità alle norme del Codice della Strada e a quelle del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ha regolamentato in maniera assolutamente lecita la collocazione dei mezzi pubblicitari, vietando l'installazione di cartelli su palo (ma non di altri mezzi pubblicitari) nell'area storica ed abitata e in quella soggetta a vincoli paesaggistici ed ambientali"; che la collocazione di insegne su pali ad una distanza inferiore (rispetto a quella prescritta) andrebbe a pregiudicare la sicurezza stradale, a fronte della massiccia quantità di insegne già presente, e la visibilità dei segnali stradali; che i cartelli di dimensione mt 1,00 x 1,50 risultano visibili ed il messaggio grafico contenuto dentro tale superficie risulta di immediata percezione, oltre a non esistere alcuna norma che imponga di consentire una loro maggiore dimensione; che la distanza da rispettare tra le "preinsegne" è pari a 100 metri (e non ai 300 indicati dalle ricorrenti), considerati i limiti di velocità delle strade comunali e, in ogni caso, che la collocazione di un numero superiore di "preinsegne" costituirebbe un pericolo per la sicurezza stradale, considerata anche la presenza dei segnali stradali. Alla luce di tali considerazioni, il Collegio ritiene che le censure in esame non siano fondate. Nel caso di specie le scelte operate dal Comune sono espressione di discrezionalità, anche tecnica, perché l'Amministrazione ha sia valutato comparativamente interessi pubblici e privati (alla sicurezza stradale, alla salvaguardia del territorio sottoposto a vincolo paesaggistico e alla tutela della libertà di iniziativa economica privata), sia compiuto un giudizio tecnico individuando, sulla base di un sapere specialistico, le dimensioni massime dei cartelli e delle insegne stradali, nonché le distanze tra questi e tra le "preinsegne". In questo quadro, non si ravvisa alcun indice sintomatico di un non corretto esercizio della discrezionalità amministrativa nella previsione che ha vietato, su ampia parte del territorio comunale l'installazione di cartelli e insegne su palo: tale previsione, come ha esposto il Comune nei suoi scritti difensivi, è volta a perseguire un ragionevole equilibrio tra l'esigenza di preservare le peculiarità di un borgo di origine antichissima, caratterizzato da stradine strette e per lo più pedonali (nelle quali il cartello su palo avrebbe necessariamente comportato un ostacolo alla circolazione oltre che una alterazione del paesaggio) e le esigenze delle attività commerciali che, in ogni caso, potranno fare ricorso agli altri mezzi pubblicitari consentiti (tra cui parete e vetrofanie, su copertura, a bandiera, a totem, scritte su tenda, insegne "a croce" delle farmacie), circostanza che rende altresì evidente l'assenza di contrasto con l'art. 41 della Costituzione. Quanto alle previsioni in materia di dimensioni dei cartelli stradali e di distanze, il Collegio esclude la presenza di elementi sintomatici di un illogico esercizio della discrezionalità tecnica: si tratta di prescrizioni che perseguono lo scopo di garantire la sicurezza nella circolazione stradale, stabilendo dei limiti (relativi ai cartelli su palo, alle insegne e alle "preinsegne") che il Comune, nell'esercizio del suo potere discrezionale, ha ritenuto di imporre allo svolgimento dell'attività pubblicitaria. Non si ravvisa, al riguardo, alcuna illogicità o arbitrarietà nella previsione di dimensioni massime e di distanze, che in ragione delle peculiarità del territorio comunale, ben evidenziate dall'Amministrazione, appaiono ragionevoli e, per tale ragione, non sindacabili da questo Tribunale. Si osserva, per completezza, che l'aver previsto una disciplina in materia di distanze diversa da quella del Codice della Strada non costituisce un elemento, di per sé, sintomatico dell'illegittimità della previsione regolamentare, posto che l'art. 23 del Codice della Strada ha attribuito ai Comuni la competenza ad apportare delle deroghe alla disciplina minimale prevista in linea generale dal legislatore nazionale. Il ricorso, alla luce di quanto esposto, dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse quanto al secondo e al settimo motivo e respinto perché infondato quanto al primo, al terzo, al quarto, al quinto e al sesto motivo. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della complessità della controversia, come è reso evidente dalla valutazione differenziata compiuta dal Collegio a seconda della natura delle prescrizioni regolamentari impugnate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge perché infondato, come indicato in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5741 del 2021, proposto dal sig. Ga. Sa., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Co., Gi. Gr., Ni. Pa., Gi. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ni. Pa. in Roma, via (...); contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Br. Sa., Fr. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia. per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte Sezione Seconda n. 00227/2021, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 aprile 2024 il consigliere Giuseppe Rotondo; Viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio ha ad oggetto: a) la deliberazione di consiglio comunale n. 20 del 10 aprile 2019, con la quale il Comune di (omissis) ha approvato ex art. 17, commi 5, 6 e 7 della legge regionale n. 56 del 1977, la "variante parziale n. 02P/2019 aree urbane", limitatamente alle parti in cui in base alla "relazione sui criteri di calcolo e determinazione del contributo straordinario", parte integrante della variante, si stabilisce che l'area di proprietà del ricorrente situata nel D.U. 6 Via (omissis) sia soggetta a contributo straordinario; b) la deliberazione del consiglio comunale di (omissis), n. 6, datata 11 febbraio 2019, recante adozione della "variante parziale n. 02P/2019 aree urbane"; c) la deliberazione consiliare di (omissis), n. 19 del 23 maggio 2016, recante modifica dei criteri di calcolo del maggio valore generato dagli interventi in deroga o variante per adeguamento ai criteri regionali, sempre nelle parti in cui impongono per l'area del ricorrente il pagamento del contributo straordinario. 2. L'appellante espone che: a) il Comune di (omissis), con la deliberazione c.c. n. 20 del 10 aprile 2019, ha approvato una variante parziale avente ad oggetto diverse aree del centro urbano; b) tra queste aree si trova anche un terreno di sua proprietà declassato dall'area residenziale "ca" (complesso ambientale) e inserito in area sempre residenziale "n" da completare, con conseguente riconoscimento di edificabilità ; c) dalla "relazione sui criteri di calcolo e determinazione del contributo straordinario", parte integrante della variante, risulta che eventuali iniziative di carattere edilizio sul terreno dovranno essere assoggettate oltre all'ordinario contributo di costruzione anche al contributo straordinario previsto all'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del d.p.r. n. 380 del 2001, inserito dall'art. 17, comma 1, lett. g), della legge n. 164 del 2014. 3. Nel ritenere illegittimi gli atti comunali, il sig. Sa. impugnava innanzi al T.a.r. per il Piemonte, con ricorso iscritto al nrg 625 del 2019, le delibere suindicate (par. 1) avverso le quali ha dedotto 4 motivi (estesi da pagina 3 a pagina 8), così articolati. I) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del T.U. Edilizia; violazione della delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo della "provenienza" della variante: i) la variante approvata dal Comune è ad iniziativa pubblica e non privata; ii) la delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974 sui criteri di "Determinazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso", esclude espressamente dal contributo in questione "le varianti di iniziativa pubblica del PRG e le varianti di iniziativa pubblica agli strumenti urbanistici esecuti di iniziativa pubblica. II) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto altro profilo dell'assenza della necessità di specifiche modifiche o deroghe al p.r.g.: i) la variante è illegittima poiché non è avvenuta allo scopo di consentire un particolare ed individuato intervento privato che richiedesse deroghe o varianti alla vigente normativa urbanistica; ii) anche la delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22- 2974, fa puntuale riferimento ad interventi che richiedono, per essere ammissibili, l'approvazione di specifiche varianti ai piani urbanistici vigenti o il rilascio di deroghe ai sensi della vigente normativa di settore. III) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo dell'assenza di modifiche o deroghe al p.r.g.: i) la variante per l'area di interesse del ricorrente, non comporta alcuna deroga o modifica di destinazione d'uso in quanto il terreno del sig. Sa., completamente circondato dall'edificato, era residenziale nella disciplina urbanistica previgente e lo è anche in quella in variante. Esso è stato semplicemente declassato dall'area residenziale "ca" (immobili costituenti complesso ambientale) che non consentiva alcuna edificabilità e inserito in area sempre residenziale "n" (da completare), con conseguente riconoscimento di edificabilità . IV) Violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo della mancanza della necessità di opere o servizi pubblici: i) dall'art. 16 citato in epigrafe si evince che uno dei presupposti del contributo straordinario, consiste nel fatto che l'attuazione dell'intervento privato, essendo in variante, in deroga o con cambio di destinazione d'uso rispetto alla disciplina vigente pianificata dall'Amministrazione, comporta la necessità di realizzare specifiche opere pubbliche o di pubblica utilità non presenti; nel caso di specie, nessuna ulteriore opera o servizio di pubblica utilità deve essere all'evidenza realizzata, sicché sarebbe "inutile ed irragionevole l'imposizione di un contributo ulteriore rispetto a quelli ordinari". 3.1. Si costituiva, per resistere, il Comune di (omissis). 4. Con sentenza n. 227 del 2 marzo 2021, il T.a.r. per il Piemonte respingeva il ricorso e compensava le spese. 5. Ha appellato il sig. Ga. Sa. che censura la sentenza del T.a.r. per: a) erronea interpretazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia; violazione dell'art. 16, comma 4, lett. d-ter), del t.u. edilizia in relazione alla carenza di un intervento e conseguentemente della necessità di specifiche modifiche o deroghe al p.r.g. violazione della delibera regionale 29 febbraio 2016 n. 22-2974; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di motivazione sotto il profilo dell'eccezionalità della scelta pianificatoria. 5.1. Si è costituito, per resistere, il Comune di (omissis). 5.2. In prossimità dell'udienza, le parti hanno depositato memorie conclusive. 6. All'udienza del giorno 11 aprile 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione. 7. L'appello è infondato. 8. Il sig. Ga. Sa. ritiene illegittima la previsione della variante urbanistica approvata dal Comune di (omissis), nella parte in cui assoggetta eventuali iniziative di carattere edilizio sul terreno di proprietà al contributo straordinario di cui all'art. 16, comma 4, lettera d-ter), del d.p.r. n. 380 del 2001, per le seguenti ragioni: - la variante sarebbe di iniziativa pubblica e non privata; - la variante non avverrebbe in deroga o variante allo strumento urbanistico vigente allo scopo di consentire un intervento proposto dal ricorrente; - la variante per l'area di interesse del ricorrente non comporterebbe alcuna deroga o modifica di destinazione d'uso; - la variante non comporterebbe alcuna necessità di realizzare opere o servizi pubblici o di pubblica utilità . 9. Giova una breve ricostruzione del quadro normativo relativo alla materia in esame. 9.1. Nell'ambito della disciplina sul contributo di costruzione contenuta nel d.p.r. n. 380 del 2001 (testo unico edilizia), e in particolare all'articolo 16, è stata inserita (per effetto delle modifiche/integrazioni operate dal decreto legge cd. sblocca cantieri, n. 133/2014, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164) una nuova e ulteriore modalità di calcolo del contributo connesso al rilascio del permesso di costruire. All'art. 16, comma 4, del citato decreto è stata aggiunta la lettera d-ter) con cui si è previsto che, nella definizione delle tabelle parametriche, gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione "alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest'ultima versato al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche. Sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali con riferimento al valore di tale contributo". La previsione normativa ha carattere legislativo (e non regolamentare). Si tratta, più in particolare, di una prestazione patrimoniale imposta dalla fonte normativa primaria (nel rispetto della riserva di legge prevista all'art. 23 Cost.) che si applica al plusvalore generato da una modifica alla pianificazione urbanistica. Il contributo straordinario si configura, pertanto, più che come criterio di calcolo degli oneri di urbanizzazione "ordinari", come un ulteriore onere rapportato all'aumento di valore che le aree e gli immobili avranno per effetto di varianti urbanistiche o in deroga. L'articolo 16, comma 4, indica i parametri di riferimento (ampiezza e andamento demografico dei Comuni, caratteristiche geografiche; destinazioni di zona; standard ai sensi dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 e delle leggi regionali) che le Regioni devono seguire per redigere le tabelle parametriche sulla base delle quali i Comuni definiscono le tariffe per gli oneri di urbanizzazione. In caso di mancato intervento regionale, il comma 5 ha previsto che, fino alla definizione delle tabelle parametriche, i Comuni possono provvedere provvisoriamente con deliberazione di consiglio comunale utilizzando i criteri indicati dal comma 4. Pertanto, fermi i principi definiti dalla norma statale, Regioni e Comuni potranno prevedere una differente modalità di determinazione dell'importo e di versamento dello stesso (v. art. 16 comma 4-bis). La norma in esame non contempla l'esonero dalla corresponsione di tale contributo. Sul punto, la Corte costituzionale, con le sentenze 26 febbraio-10 aprile 2020, n. 64, e 25 novembre 2020, n. 247, ha perimetrato l'ambito di possibile intervento delle Regioni nella materia de qua. Con la sentenza n. 64/2020, la Corte - nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 3, della legge regionale Veneto n. 4 del 2015 per contrasto con l'art. 117, comma terzo, Cost., nella parte in cui fa salve le determinazioni della quota del costo di costruzione in base all'art. 16, comma 9, del t.u. edilizia soltanto ove avvenute all'atto del rilascio del permesso di costruire, e non con una successiva richiesta di conguaglio - ha affermato che la previsione recata dall'art. 16, del t.u. edilizia: i) fissa una cornice entro la quale le singole Regioni possono determinare il contributo per il costo di costruzione; ii) persegue un obiettivo di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale; iii) solo con la previsione di una quota minima e inderogabile, il principio di onerosità del titolo edilizio acquisisce un connotato di effettività ; e ciò in quanto, ove tale previsione mancasse, il legislatore regionale sarebbe libero di prevedere interventi edilizi che non comportano alcun costo, o comportano un esborso talmente irrisorio da eludere ogni profilo di corrispettività del contributo rispetto al titolo edilizio rilasciato. Con la sentenza 25 novembre 2020, n. 247, la Corte ha, invece, dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 11 della legge regionale Veneto 25 luglio 2019, n. 29, nella parte in cui inserisce l'art. 40-bis alla legge regionale Veneto 23 aprile 2004, n. 11, limitatamente alla previsione dell'esonero dal contributo di costruzione di cui all'art. 16, comma 4, lett. d-ter), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nelle ipotesi di cambio di destinazione d'uso con aumento di valore degli immobili costitutivi della memoria e dell'identità storico-culturale del territorio disciplinati dal medesimo art. 40-bis. La disposizione regionale, nell'escludere la debenza del contributo straordinario - che, secondo l'art. 16, comma 4, lett. d-ter, del t.u. edilizia è dovuto in presenza di una variante urbanistica che comporta un aumento di valore - nelle ipotesi di cambio di destinazione d'uso con aumento di valore degli immobili, non prende in considerazione le specifiche condizioni che lo riguardano fissate dalla normativa statale, ma si limita a dettare una disciplina indifferenziata centrata sulla mancanza di un aumento del carico urbanistico. In particolare, ha affermato la Corte, essa non tiene conto del fatto che ciò che si "colpisce" con il contributo straordinario è il plusvalore di cui beneficia il privato a seguito dell'approvazione di una variante urbanistica, che abbia accresciuto le facoltà edificatorie precedentemente riconosciutegli, ovvero per effetto del rilascio di un permesso in deroga. Ragion per cui, conclude la Corte, la normativa regionale contrasta con i parametri interposti di cui alla lett. d-ter) del comma 4 dell'art. 16 t.u. edilizia e quindi viola l'art. 117, comma 3, Cost. 9.2. Sulla scorta di quanto sopra argomentato, il collegio osserva che: a) a differenza degli oneri di urbanizzazione che, come è noto, sono determinati al momento del rilascio del permesso di costruire, il "maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso" attiene ad una decisione pianificatoria che precede lo stesso; b) mentre gli oneri di urbanizzazione 'ordinarà sono calcolati e dovuti in base ai criteri stabiliti dal testo unico, il "maggior valore" di cui all'art. 16, comma 4, lett. d-ter) in esame, è corrisposto sotto forma di "contributo straordinario", in via eccezionale, nei casi in cui lo stesso sia conseguente ad una variante urbanistica o di deroga che interessi, di norma, specifiche aree; c) nel caso di specie, il carattere eccezionale, richiesto dalla giurisprudenza, esiste trattandosi di una variante che interessa poche, determinate aree o immobili. 10. Il quadro normativo e dei principi sopra delineato consente di affermare che, a livello locale, è possibile prevedere (applicare) oneri aggiuntivi nel caso in cui, per effetto di una variante urbanistica o di una deroga, determinati beni (aree, immobili) ricevano una maggior valorizzazione. 11. La Regione Piemonte ha regolato il contributo straordinario con delibera di giunta regionale n. 22-2974 del 29 febbraio 2016. 12. La delibera regionale ha la finalità di rendere omogenea su tutto il territorio l'applicazione del contributo straordinario previsto alla lettera d-ter), comma 4, art. 16 del d.p.r. n- 380 del 2001. 13. La ratio, esplicitata nella stessa delibera, è quella per cui i parametri relativi alla determinazione del contributo straordinario devono costituire elemento disincentivante alla occupazione di aree libere ed incentivante al riuso di aree già compromesse. 14. Il provvedimento in questione stabilisce che il contributo straordinario è applicato agli interventi su aree o immobili che richiedano, per essere ammissibili sotto il profilo urbanistico-edilizio, l'approvazione di specifiche varianti ai piani urbanistici vigenti oppure il rilascio di deroghe ai sensi della vigente normativa di settore. 15. II contributo è applicato non solo nel caso in cui le varianti o deroghe abbiano ad oggetto l'attribuzione di maggiori potenzialità edificatorie, ma anche nel caso in cui tali procedimenti riguardino cambi della destinazione d'uso di edifici od aree. 16. Con delibera di consiglio comunale 8 aprile 2015, n. 10, il Comune di (omissis), ancor prima della delibera regionale, ha disciplinato l'applicazione, nel proprio territorio, del contributo straordinario avvalendosi della facoltà di immediata applicazione del disposto di cui all'art. 16, comma 4 lettere d-ter) in assenza di determinazioni regionali. 17. Successivamente, il Comune, con delibera consiliare n. 19, del 23 maggio 2016, ha modificato i criteri di calcolo del maggior valore generato dagli interventi in deroga o variante per adeguamento ai criteri regionali. 18. Come sopra riassunto il quadro normativo, i motivi di appello devono ritenersi infondati. 19. Il Comune di (omissis), nella ricostruzione dei fatti, ha documentato che l'area di proprietà dell'appellante era priva di capacità edificatoria (destinazione ambientale, che non consentiva alcuna edificabilità ), in quanto neppure residuavano più volumi utili per la realizzazione di ulteriori residenze. Per un recupero della capacità edificatoria, l'appellante aveva richiesto - con tre distinte istanze succedutesi tra il 2006 e il 2015, tutte respinte - l'eliminazione del vincolo di carattere ambientale nonché l'attribuzione di una specifica volumetria per poter costruire su un terreno libero ancorché ricadente in area, come detto, ormai priva di capacità edificatoria. Tuttavia, le aspettative dell'appellante, tese ad ottenere l'attribuzione di una specifica destinazione di tipo residenziale nonché il riconoscimento dell'edificabilità del proprio terreno, sono state prese in considerazione dal Comune in sede di adozione e successiva approvazione della variante parziale n. 02p/2019 di p.r.g., avvenuta con l'impugnata deliberazione consiliare del 10 aprile 2019, n. 20. 19.1. Nella circostanza, la variante ha preso in esame la situazione dominicale di cinque ditte catastali, tra cui quella dell'appellante, al cui terreno la variante medesima ha attribuito carattere edificatorio. La scheda n. 3 (allegata alla relazione annessa alla variante) prevede, nello specifico, che: "Si declassa quota parte dell'area ca/3, pari a mq 1.475, alla luce dell'assenza dei requisiti caratterizzanti tali aree. Si attribuisce alla medesima area la destinazione n/11 "aree da completare". 19.2. Da qui, il riconoscimento del carattere di edificabilità impresso al terreno di proprietà dell'appellante, con conseguente mutamento della destinazione urbanistica e di uso dell'area, a modifica alle previsioni originarie dello strumento urbanistico. Le stesse norme tecniche di attuazione del p.r.g. confermano il cambio di destinazione urbanistica dell'area che, da "Immobili costituenti complesso ambientale (ca)", grazie alla variante parziale ricevono ex novo la destinazione come "Aree da completare (n)". 19.3. La divisata variante, pertanto, è stata approvata per dare essenzialmente riscontro alle istanze sollecitate nel corso degli anni dai proprietari terrieri. 20. Così stando le cose, sussistono i presupposti fondanti la legittimità del contestato contributo straordinario. E invero: a) la variante parziale - approvata anche per venire incontro alle richieste dei cittadini (tra cui l'appellante) - ha generato un maggior valore; la variante in questione ha attribuito infatti all'area di che trattasi una nuova destinazione di piano che, a differenza della destinazione precedente, esprime ora una autonoma e nuova (prima inesistente a cagione della destinazione ambientale) capacità edificatoria che permette di costruire con un indice edificatorio di 1 metro cubo su 1 metro quadro di superficie utile, per complessivi mc. 1.475 b) non ricorrono le condizioni di cui all'allegato A) della delibera di giunta regionale 29 febbraio 2016, n. 22-2974 - secondo cui sono da escludere dall'applicazione del contributo straordinario "le varianti di iniziativa pubblica al PRG e le varianti di iniziativa pubblica agli strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa pubblica, volte al perseguimento dell'interesse collettivo" - perchè il concetto di iniziativa pubblica deve essere interpretato nel senso che se ne deve avvantaggiare la collettività giacché, ragionando diversamente, i piani e le relative varianti sarebbero da intendersi sempre e comunque ad iniziativa pubblica. 20.1. In definitiva, il terreno di proprietà dell'appellante ha ricevuto un indubbio e oggettivo incremento di valore, circostanza che invera il presupposto richiesto dall'art. 16, comma 4, d-ter, del d.p.r. n. 380/2001 e giustifica l'applicazione del contributo straordinario di legge qualora l'appellante intendesse costruire. 20.2. Al contributo straordinario, in ragione delle modalità che ne giustificano la sua applicazione, deve pertanto attribuirsi carattere aggiuntivo rispetto agli oneri di urbanizzazione. 20.3. In sintesi: a) il comma 4, d-ter) dell'articolo 16, d.p.r. n. 380/2001 (che l'appellante reputa erroneamente applicato dal T.a.r.) collega l'applicazione del contributo straordinario al (solo) maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga; b) il presupposto fondante l'applicazione del contributo è costituito esclusivamente dal maggior consumo di suolo generato dalla variante urbanistica (come nel caso di specie), criterio indicato peraltro anche nella stessa delibera regionale n. 22-2974 del 29 febbraio 2016 (non impugnata). c) la variante in questione ha modificato il piano, nel senso di attribuire ad una specifica area del territorio una nuova destinazione sulla quale realizzare interventi di edificazione a scopo residenziale; d) tale variante ha individuato in modo preciso e indefettibile i caratteri del futuro intervento edificatorio sul terreno dell'appellante, rendendo attuale e immediato il maggior valore dell'immobile grazie all'intervento reso possibile dalla variante medesima; d) la stessa ha impreso al terreno dell'appellante le caratteristiche di area residenziale edificabile, prima inesistenti, così apportando al piano una modifica della destinazione urbanistica e d'uso; e) ciò che giustifica l'applicazione del contributo è, non già la comprovata, contestuale necessità di individuare e realizzare un determinato intervento pubblico o sociale bensì, il beneficio che il titolare del terreno ritrae sia dall'intervento che la variante gli consente di realizzare, sia dalla urbanizzazione già eventualmente presente sul territorio. 25. In conclusione, per quanto sin qui argomentato, l'appello è infondato e va, pertanto, respinto. 26. Le spese relative al presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna il sig. Ga. Sa. al pagamento delle spese di questo grado di giudizio che si liquidano, in favore del Comune di (omissis), in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00) oltre spese generali e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Vincenzo Neri - Presidente Francesco Gambato Spisani - Consigliere Silvia Martino - Consigliere Giuseppe Rotondo - Consigliere, Estensore Luca Monteferrante - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso in appello numero di registro generale 600 del 2020, proposto da Re. Br., rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Fr. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Va. Be. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); nei confronti Azienda Agricola Be. An., Società Agricola Tr. Po., rappresentati e difesi dagli avvocati An. Le., Gi. Sa. e Gi. Go., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Lu. Ma. in Roma, via (...); per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto Sezione Seconda n. 00625/2019, resa tra le parti. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e di Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria del giorno 6 marzo 2024 il Cons. Giorgio Manca e viste le conclusioni delle parti come da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'appello in trattazione, il signor Re. Br. chiede la riforma della sentenza del T.a.r. per il Veneto che ha dichiarato inammissibile il suo ricorso proposto per l'annullamento del permesso di costruire e degli atti di proroga del termine per concludere i lavori, nonché per l'accertamento dell'intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) all'Azienda Agricola Be. An. per realizzare un allevamento per scrofe da riproduzione. 1.1. Secondo il primo giudice, l'inammissibilità del ricorso deriva dall'assunto che, in capo al ricorrente, difetta la legittimazione a ricorrere, sia sotto il profilo della vicinitas, sia per la assenza di un qualche pregiudizio per la posizione del ricorrente derivante dall'assetto edilizio scaturente dal provvedimento impugnato. Nel caso di specie, tra il fondo del ricorrente e quello del controinteressato intercorre una distanza di oltre 900 metri; in ogni caso l'allevamento che deve essere realizzato non ha carattere intensivo. Sottolinea, inoltre, che la normativa regionale per tale tipo di allevamenti prescrive una distanza di rispetto di 100 metri dalle residenze civili sparse e di 200 metri dalle residenze civili concentrate. 1.2. Il Tribunale amministrativo, peraltro, superando anche la questione di inammissibilità, ha respinto il ricorso anche nel merito. 2. Il ricorrente in primo grado, rimasto soccombente, ha proposto appello sostanzialmente reiterando i motivi del ricorso, in chiave critica della sentenza di cui chiede la riforma. 2.1. Con il primo motivo, censura la sentenza per aver affermato la insussistenza della legittimazione ad agire del ricorrente, che nel caso di impugnazione del titolo edilizio per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute dovrebbe essere valutata in termini diversi, valutando caso per caso il pregiudizio lamentato. Non potrebbe quindi rilevare il fatto della distanza tra il fondo dell'appellante e il fondo su cui sorge l'allevamento, avendo tra l'altro dimostrato (con perizia depositata in giudizio) che gli effetti si produrrebbero ugualmente, né tantomeno potrebbero valere le distanze rispetto alle abitazioni civili dettate per ragioni sanitarie e non di tutela dell'ambiente. 2.2. Con ulteriori censure deduce l'erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha respinto i singoli motivi di ricorso. 2.3. In particolare, ribadisce che la proroga ex lege dei termini di inizio e conclusione dei lavori di cui all'art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, è subordinata alla valutazione che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati"; e nel caso di specie questa condizione non sussisterebbe perché il permesso di costruire era stato rilasciato sulla base di una norma di deroga agli strumenti urbanistici. Questa difformità rispetto alla disciplina urbanistica risorgerebbe e assumerebbe nuovamente rilevanza ove si intenda sfruttare la proroga ex lege di cui sopra (la quale, come segnalato, impone la conformità del titolo alla disciplina urbanistica ed edilizia al momento della comunicazione dell'interessato). 2.4. Con il terzo motivo impugna la sentenza nella parte in cui ha rigettato il terzo motivo di ricorso relativo alla intervenuta decadenza del permesso di costruire rilasciato il 14 novembre 2012, sia per mancato inizio dei lavori nel termine annuale dal rilascio del titolo, sia che per la loro mancata ultimazione nel triennio di legge (sull'assunto della illegittimità delle proroghe concesse dall'amministrazione e contestate con il secondo motivo d'appello). Riprendendo il contenuto del motivo dedotto in primo grado, l'appellante ribadisce che il mero impianto del cantiere, in assenza di altri fattori (es. innalzamento di elementi portanti, elevazione di muri, esecuzione di scavi, gettito delle fondazioni) non è sufficiente a evitare la decadenza del permesso di costruire; e che l'allestimento del cantiere non può essere considerato strettamente funzionale alla realizzazione dell'opera oggetto del titolo edilizio. Come si evincerebbe dalla documentazione fotografica risalente al marzo 2018, solo molto di recente sarebbero stati realizzati i primi lavori funzionali alla realizzazione dell'insediamento zootecnico. Censura, infine, l'omessa pronuncia del primo giudice sulla richiesta formulata dal ricorrente affinché il Tribunale ordinasse alla resistente Azienda Be., ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ., di produrre in giudizio copia delle fatture emesse dalle ditte incaricate dei lavori al fine di verificare la descrizione del tipo di lavori riportata in tali documenti e associarla alla data degli stessi, così da poter ricostruire, sulla base di documentazione ufficiale - la cui esistenza è certa, come è pure certo che si trovi nella disponibilità dell'appellata Azienda Be. - fino a quando si è protratto il compimento di attività (solo) di approntamento del cantiere, di scavo e sbancamento, e a quale data sia invece collocabile l'effettivo inizio dei lavori. 3. Nella resistenza in giudizio del Comune di (omissis), dell'Azienda Agricola Be. An. e della Società Agricola Tr. Po. di Be. An. & C, all'udienza straordinaria del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione. 4. Ciò posto, si può prescindere dalla questione di legittimazione a ricorrere (primo motivo d'appello), stante la infondatezza nel merito dell'appello. 5. Quanto al secondo motivo, l'interpretazione offerta dall'appellante del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, non può essere condivisa. 5.1. La norma prevede la proroga ex lege dei termini di efficacia del permesso di costruire ove si accerti che "i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati". Il riferimento al contrasto con nuovi strumenti urbanistici non può che essere inteso ad atti sopravvenuti rispetto al momento del rilascio del permesso oggetto della richiesta di proroga. Nel caso di specie, tali atti non risultano siano stati adottati dal Comune. 5.2. Né rileva il fatto che il permesso di costruire sia stato rilasciato in base a una norma di deroga al piano urbanistico, posto che è di tutta evidenza che tale profilo non comporti l'illegittimità del rilascio dell'originario permesso di costruire. Il permesso rilasciato deve ritenersi quindi conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia del tempo. Per cui una interpretazione del citato art. 30, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 69 del 2013 quale quella proposta dall'appellante sarebbe contraria al principio di affidamento (per come maturato dall'azienda, che - come già osservato - ha ottenuto il titolo edilizio sulla base della disciplina urbanistica applicabile ratione temporis). 6. Anche il terzo motivo è infondato. 6.1. Precisato che la censura rileva unicamente per il profilo della dedotta decadenza dal titolo edilizio per il mancato inizio dei lavori entro il termine fissato (dal momento che, sulla base delle proroghe ottenute ai sensi del citato art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, sono comunque infondate le ribadite censure circa il superamento del termine finale per i lavori), va anzitutto disattesa la doglianza con la quale si denuncia l'omessa pronuncia sull'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., come richiesto dal ricorrente in primo grado. 6.2. Come esattamente rilevato dal primo giudice, in atti risultano gli esiti del sopralluogo effettuato dal Comune (in data 23 marzo 2018), che attesta la realizzazione degli scavi e il riempimento con conglomerato cementizio delle fondazioni. Fatti che, in base alla natura probatoria privilegiata dell'atto, avrebbero dovuto essere contestati dal ricorrente con querela di falso. Per cui la stessa richiesta di un ordine di esibizione appare inammissibile o comunque irrilevante. 6.3. Va ribadito, pertanto, che - sulla base di quanto accertato dall'amministrazione e sulla scorta della costante giurisprudenza sul punto (per tutte, di recente, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 7 dicembre 2023, n. 10611) l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto, i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio. Elementi che ricorrono nel caso di specie. 7. In conclusione, l'appello va rigettato. 8. Le spese giudiziali del presente grado vanno compensate tra le parti, in ragione della parziale novità delle questioni. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Compensa tra le parti le spese giudiziali del presente grado. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024, tenuta da remoto, con l'intervento dei magistrati: Oreste Mario Caputo - Presidente FF Giovanni Tulumello - Consigliere Giorgio Manca - Consigliere, Estensore Ugo De Carlo - Consigliere Roberta Ravasio - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 577 del 2024, proposto da Ma. S.r.l., in proprio ed in qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con la Co. So. Soc. Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ad. e Fu. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedale Un. di Pa., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato En. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Consip S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Ze. della Re. Ve., non costituita in giudizio; Du. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Or. Co., Gi. Mo., Sa. St. Da. e Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - della delibera del Direttore Generale dell'Azienda Ospedale Università Pa. n. 742 del 22/04/2024, avente il seguente oggetto: "ID 24S030 - Adesione al la convenzione Consip per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del servizio sanitario nazionale, lotto 12, per il periodo di 48 mesi per l'Azienda Ospedale - Università Pa.", pubblicata sull'albo on line in data 25 aprile 2024 (CIG A0576594C9); nonché : - della richiesta preliminare di fornitura (Id. ordine n. 7725321) del giorno 8 marzo 2024 e dell'ordinativo di fornitura di numero e data non noti; - di tutti gli atti presupposti, e di qualsivoglia ulteriore provvedimento antecedente e/o successivo; nonché - per la declaratoria, in via principale o incidentale, della illegittimità /inefficacia della convenzione Consip denominata Convenzione Servizio Sanitario Nazionale Lotto 12 (ID1460 c.d. convenzione "Pulizie SSN", attivata il 29 aprile 2022; - per la declaratoria di inefficacia del contratto attuativo nelle more eventualmente stipulato; - per la condanna dell'Azienda Ospedale Università Pa. al risarcimento del danno per equivalente nella misura da quantificare in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedale Un. di Pa., della Consip S.p.a. e della Du. Se. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 il dott. Andrea Gana e uditi per le parti i difensori come riportato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; 1. La Ma. S.r.l. ha impugnato gli atti in epigrafe indicati deducendo, in fatto, che: - questo Tribunale con le sentenze n. 2023 e 2024 del 29 dicembre 2023 ha accolto i ricorsi avverso i provvedimenti di aggiudicazioni della gara, suddivisa in 13 lotti, indetta da Azienda Ze. per l'affidamento, tramite procedura aperta, del Servizio di pulizia e sanificazione a ridotto impatto ambientale in favore degli Enti aderenti all'iniziativa di acquisto, ivi compresa l'Azienda Ospedale Un. di Pa. (di seguito Azienda ospedaliera); - in pendenza del giudizio di appello Azienda Ze. non ha dato esecuzione alle citate sentenze, con le quali è stata ordinata la nomina di una nuova commissione di gara; - in data 8 marzo 2024 l'Azienda ospedaliera ha inviato alla Du. Se. S.r.l. (di seguito Du.) e alla Consip S.p.A. una richiesta preliminare di fornitura in relazione alla Convenzione Servizio Sanitario Nazionale - Lotto 12, nota come convenzione "Pulizie SSN"; - essa ha prontamente segnalato alla predetta Azienda Ospedaliera, in qualità di attuale gestore del servizio di pulizia per quest'ultima, che la Du.n è risultata priva del requisito della regolarità fiscale, previsto a pena di esclusione dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento al periodo dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 (come accertato dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2024), con la conseguenza che, in applicazione del principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare, l'Amministrazione non potrebbe stipulare con tale società prima di compiere i necessari controlli relativi a tutto il periodo d'interesse; - ciononostante, l'Azienda Ospedaliera ha ugualmente deciso di procedere alla stipula del contratto attuativo, mediante un apposito ordinativo di fornitura. Con l'unico motivo di impugnazione la ricorrente, premesso il proprio interesse alla proposizione del ricorso in quanto attuale esecutore del servizio di pulizia e per "le fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale" (pag. 6 ricorso introduttivo), ha dedotto la violazione dell'art. 38 del decreto legislativo n. 163/2006, nonché il vizio di eccesso di potere per errore sui presupposti e travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e ingiustizia grave e manifesta. Più nel dettaglio, la ricorrente ha evidenziato l'illegittimità dell'atto di adesione alla convenzione Consip stipulata in data 18 dicembre 2020, in quanto a quella data (e sino al 29 giugno 2022) la Du. era priva del requisito di regolarità fiscale con la conseguenza che tale carenza rileverebbe (precludendo la stipula del contratto) sino all'ultimo atto della procedura di affidamento, da individuare nell'ordinativo di fornitura con cui l'Azienda ospedaliera, aderendo alla Convenzione Consip, ha disposto l'aggiudicazione del servizio. Inoltre, la violazione tributaria è stata commessa dalla Du. in misura superiore alla soglia di gravità prevista dal legislatore, con la conseguenza che si configura a suo carico una fattispecie immediatamente escludente senza alcuna discrezionalità in capo alla Stazione appaltante. 2. Si sono costituite Consip, la Du. e l'Azienda ospedaliera per resistere al ricorso. In particolare Consip, dopo aver evidenziato che l'Azienda ospedaliera in mancanza di una gara regionale era obbligata ad aderire alla Convenzione Consip, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione di questo Tribunale osservando che, considerata la legittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato in data 12 marzo 2020 dalla stessa Consip in favore della Du.n, le contestazioni inerenti all'adesione alla convenzione, alla costituzione e all'esecuzione del rapporto contrattuale tra gli Enti ordinanti e l'aggiudicataria devono essere conosciute esclusivamente dal Giudice ordinario, trattandosi di attività di natura privatistica a valle della procedura pubblicistica di scelta del contraente. Consip ha eccepito, inoltre, l'incompetenza territoriale di questo Tribunale osservando che il lotto n. 12 della convenzione ha carattere pluriregionale, nonché l'irricevibilità del ricorso, in quanto tardivamente proposto per contestare l'aggiudicazione definitiva disposta dalla stessa Consip in favore della Du. in data 12 marzo 2020, ossia quando quest'ultima era in possesso del requisito di regolarità fiscale. L'Azienda ospedaliera ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione della natura non provvedimentale degli atti impugnati, il proprio difetto di legittimazione passiva (non potendo essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice) e la carenza di un interesse attuale e concreto della Ma. alla proposizione del ricorso. Nel merito, l'Azienda ospedaliera ha contestato che l'atto di adesione alla Convenzione Consip sia qualificabile, come esposto dalla ricorrente, quale aggiudicazione finale, evidenziando come la procedura ad evidenza pubblica sia interamente gestita dalla Consip che ha il compito di selezionare il miglior contraente per la fornitura di un determinato servizio, aggiudicandogli la gara e sottoscrivendo la convenzione con Consip che indica le condizioni generali degli obblighi da egli assunti in qualità di fornitore per le Amministrazioni interessate. La Du., premesso che essa ha impugnato la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 7/2024 dinnanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e/o di un interesse ad agire meritevole di tutela in capo a Ma.. Nel merito, la Du. ha evidenziato come l'aggiudicazione definitiva in proprio favore sia stata disposta da Consip in data 12 marzo 2020 e che tale atto - che costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica indetta dalla centrale di committenza - è legittimo perché l'aggiudicazione è stata disposta in data antecedente rispetto a quella in cui sarebbe maturata l'irregolarità fiscale evidenziata dalla Ma.. Infine, la Du. ha osservato che l'adesione alla convenzione da parte dell'Azienda ospedaliera si colloca in una fase negoziale e privatistica che non contempla la verifica da parte del soggetto aderente dei requisiti del fornitore, già selezionato da Consip nell'ambito di una procedura pubblicistica già conclusa. 3. All'udienza camerale del 22 maggio 2024 le parti hanno ampiamente discusso in ordine alla natura della procedura Consip e degli atti di adesione alla stessa. In particolare la ricorrente ha qualificato la convenzione Consip quale accordo quadro ai sensi dell'art. 59 del d.lgs. n. 163/2006 che verrebbe aggiudicato soltanto al momento dell'ordinativo di fornitura da parte del singolo Ente aderente; le Amministrazioni resistenti e la controinteressata hanno contestato tale tesi evidenziando la specialità delle convenzioni Consip, che hanno una loro autonoma base normativa rispetto al genus dell'accordo quadro ed hanno ribadito che il completamento della procedura ad evidenza pubblica è coinciso con l'aggiudicazione definitiva disposta dalla Consip in data 12 marzo 2020. 4. Il Collegio, previo avviso alle parti, ha trattenuto la causa in decisione, sussistendo i presupposti per una pronuncia in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. 5. Preliminarmente occorre ricostruire la vicenda in esame alla luce di quanto è stato documentato dalle parti e dei dati pacificamente acquisiti in corso di causa. La Consip con provvedimento del 12 marzo 2020 ha comunicato alla Du. l'aggiudicazione definitiva della gara per "l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale", relativamente al lotto 12. Con successiva convenzione del 18 dicembre 2020 la Consip e la Du., in qualità di aggiudicatario e di fornitore del servizio, hanno stabilito, testualmente, le condizioni generali del contratto che le singole amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura. Nella convenzione le parti hanno specificato che la conclusione della convenzione stessa non implica alcun obbligo per le Amministrazioni o per la Consip di procedere "all'acquisto di quantitativi minimi o predeterminati di beni e/o servizi, bensì dà origine unicamente ad un obbligo del Fornitore di accettare, mediante esecuzione, fino a concorrenza dell'importo massimo stabilito, gli Ordinativi di Fornitura deliberati dalle Amministrazioni Pubbliche che utilizzano la presente Convenzione per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale per le Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999 n. 488 e s.m.i. e dell'articolo 58, legge 23 dicembre 2000 n. 388". Dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 la Du. è risultata priva del requisito di regolarità fiscale, a causa del mancato pagamento della somma di euro 27.000,00 (poi ridotta a euro 18.000,00), dovuti a titolo di contributo unificato. In data 22 aprile 2024 l'Azienda ospedaliera ha deliberato di aderire al lotto 12 della convenzione Consip, aggiudicato alla Du., con l'emissione del relativo ordinativo di fornitura. Ebbene, in questo quadro fattuale dev'essere esaminata preliminarmente l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata in giudizio dalle Amministrazioni resistenti e, anche se non in modo esplicito, anche dalla controinteressata. In base all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, la Consip ha il compito di stipulare, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, convenzioni con le quali il fornitore prescelto si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle Pubbliche Amministrazioni interessate,sino alla concorrenza dell'importo massimo complessivo stabilito dalla convenzione medesima ed ai prezzi e alle condizioni generali prestabiliti. In questo quadro, l'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), nel testo attualmente in vigore, stabilisce che "Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.". Quanto alle modalità di adesione alla convenzione Consip, l'Amministrazione interessata è tenuta a seguire il "processo di attivazione dei servizi oggetto della Convenzione Consip", procedendo all'emissione della richiesta preliminare di fornitura, alla sua accettazione e alla successiva emissione dell'ordinativo di fornitura. Sulla natura giuridica dell'atto di adesione ad una convenzione Consip hanno preso posizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi su una questione di giurisdizione sostanzialmente analoga a quella prospettata nel presente giudizio, nell'ambito di una controversia che vedeva anch'essa come parte un ente del SSN. In particolare le Sezioni Unite hanno osservato quanto segue: "(...) quando si adotta il modulo dell'accordo quadro, l'aggiudicatario - scelto con la procedura di evidenza pubblica che ha portato alla sua stipulazione ottiene gli appalti basati sull'accordo quadro in virtù di affidamenti diretti. E' noto d'altro canto che gli affidamenti diretti sono consentiti "entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso" (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 54, comma 3), sicché allorquando, come nel caso in esame - ove si ricorderà il PTE predisposto da Getec era manchevole di taluni documenti significativi - si assume che l'affidamento sia avvenuto in deroga alle norme previste dall'accordo quadro, si è presenza di un affidamento illegittimo. Tale illegittimità può essere fatta valere esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, al quale la trattazione delle controversie in materia di appalti pubblici conferiti mediante affidamenti diretti era già riconosciuta in via esclusiva dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 (Cass., Sez. U. 8/08/2012, n. 14260) (...) Si è già sopra precisato che gli atti a mezzo dei quali le amministrazioni interessate procedono al conferimento dell'incarico di servizio si configurano in forma di affidamento diretto. Ora non pare dubbio che, nell'operare in tale forma, l'amministrazione conferente non sia affatto vincolata in forza dell'intervenuta stipulazione della convenzione, giacché questa non configura un obbligo, ma solo un'opportunità . L'amministrazione interessata resta, infatti, libera di determinarsi, di fronte all'opportunità prefigurata dalla convenzione quadro, secondo la sua discrezionalità, potendovi aderire ovvero potendo optare, come pure l'esperienza concreta insegna, per una diversa soluzione parimenti giudicata vantaggiosa. Nell'uno e nell'altro caso essa esercita, nella facoltà di scelta di fruizione dei vantaggi offerti dalla convenzione mediante o meno adesione ad essa, il proprio potere d'autorità, con la conseguenza che del legittimo esercizio di esso, anche in difetto della competenza esclusiva attribuitagli dalla legge, potrà conoscere solo il giudice amministrativo. Anche sotto questa angolazione non vi e, dunque, ragione di dubitare della giurisdizione del giudice già adito" (Cassazione civile, Sez. un., 30 novembre 2022, n. 35335). Secondo tale ricostruzione l'atto di adesione ad una convenzione Consip rappresenta l'esito di una valutazione comparativa di interessi con la quale l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, individua la soluzione maggiormente vantaggiosa per il soddisfacimento del suo bisogno. Ciò sta a significare che la delibera di adesione alla convenzione si caratterizza - come nel caso in esame emerge anche dalla lettura dell'atto di adesione adottato dall'Azienda ospedaliera - per la spendita di un potere autoritativo da parte dell'Amministrazione, la quale provvede in primo luogo alla ricognizione del proprio fabbisogno e alla scelta di esternalizzarne il soddisfacimento mediante il ricorso al mercato (e quindi all'aggiudicatario della convenzione Consip), piuttosto che all'autoproduzione del servizio, secondo uno schema che, in buona sostanza, è proprio della delibera a contrarre della procedura di evidenza pubblica. Nel caso in esame, tuttavia, la peculiarità è data dal contenuto, sostanzialmente vincolato, che la delibera assume con riferimento al soggetto chiamato ad eseguire la prestazione, essendo già stato selezionato a monte nell'ambito dell'accordo quadro stipulato con Consip. 6. Tenuto conto di quanto precede, il Collegio ritiene che la controversia in esame sia ricompresa nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Nel presente giudizio, infatti, è in contestazione la modalità, ritenuta illegittima, di esercizio di un potere autoritativo in quanto l'Azienda ospedaliera ha deliberato di soddisfare il proprio fabbisogno, inerente alla pulizia e sanificazione degli ambienti, tramite il ricorso allo strumento convenzionale predisposto dalla Consip. Non può affermarsi, pertanto, che la controversia si radica su un rapporto paritario collocato a valle dell'evidenza pubblica, perché essa ha ad oggetto un atto che è espressione di un potere amministrativo che, a determinate condizioni, è stato vincolato dal legislatore con l'imposizione dell'obbligo di aderire agli accordi stipulati dalla Consip. Sotto questo aspetto, si rende necessario precisare che l'obbligo previsto dall'art. 1, comma 449, della l. 27 dicembre 2006, n. 296 (ai sensi del quale "Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.") non esclude il carattere discrezionale della scelta operata dall'Azienda ospedaliera: quest'ultima, infatti, è obbligata ad aderire alle convenzioni Consip soltanto qualora abbia preliminarmente valutato di non poter provvedere con i propri mezzi al soddisfacimento del bisogno, decidendo quindi di rivolgersi al mercato e, soprattutto, soltanto qualora non siano utilizzabili convenzioni regionali per quello specifico bisogno. Ne consegue che, anche a fronte del dato normativo innanzi riportato, emerge con ogni evidenza il carattere discrezionale e autoritativo che permea la delibera di adesione alla Convenzione. Tale carattere, peraltro, risulta ancora più evidente nel caso in esame, in cui l'Azienda ospedaliera, mediante una comparazione di interessi, ha ritenuto di aderire alla convenzione, decidendo di non attendere gli esiti della gara in corso di svolgimento da parte di Azienda Ze., che dovrà procedere alla nomina di una nuova commissione di gara in ottemperanza alle già citate sentenze di questo Tribunale n. 2023 e n. 2024 del 29 dicembre 2023. 7. A conclusioni difformi si deve pervenire, in punto di giurisdizione, con riferimento alla domanda con cui la ricorrente ha chiesto la declaratoria di illegittimità o inefficacia della convenzione stipulata tra la Consip e la Du. in data 18 dicembre 2020. Sul punto il Collegio ritiene che si tratti di una convenzione privatistica, stipulata tra le parti in condizioni di parità all'esito della procedura ad evidenza pubblica che aveva determinato l'aggiudicazione della gara in favore della Du.. Tramite tale convenzione le parti hanno stabilito le condizioni generali del contratto che le singole Amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura e gli obblighi assunti dal fornitore del servizio. Inoltre, il Collegio condivide l'osservazione, dirimente, formulata dalle Amministrazioni resistenti e dalla controinteressata, per la quale il legislatore consente al Giudice amministrativo di pronunciarsi sull'efficacia del contratto stipulato a valle dell'aggiudicazione soltanto nell'ipotesi in cui venga annullata l'aggiudicazione, che, invece, nel caso in esame non è stata impugnata dalla ricorrente. Ne consegue che la domanda dev'essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, fermo restando che la stessa potrà essere riproposta dinanzi al Giudice ordinario ai sensi dell'articolo 11 cod. proc. amm. Tale declaratoria di difetto di giurisdizione evidentemente assorbe l'eccezione di incompetenza di questo Tribunale, sollevata dalla Difesa erariale. 8. Affermata la giurisdizione di questo Tribunale nei limiti ora indicati, il Collegio ritiene che il ricorso non sia supportato da un interesse diretto e attuale ad agire. È opportuno ricordare che, nel giudizio amministrativo, "la legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura; qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire; l'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica" (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 5 aprile 2024, n. 3148). Nel caso di specie, la ricorrente ha affermato che il proprio interesse "non è costituito solo dall'essere l'attuale esecutore, ma anche dalle fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale o dei segmenti rilevanti della medesima (posto che tale riedizione non è stata ancora neanche avviata con la nomina di una nuova commissione). Inoltre, a ben vedere, la Consip potrebbe (e dovrebbe) risolvere la convenzione stipulata con Du.n, e scorrere la graduatoria. E Ma. è al secondo posto nella gara Consip, in relazione al lotto 12 di cui si discute". Ebbene, il Collegio ritiene che la qualifica di attuale esecutore del contratto per la pulizia e la sanificazione dei locali dell'Amministrazione non radichi in capo alla ricorrente un interesse attuale e concreto, a fronte della volontà dell'Azienda ospedaliera di aderire alla convenzione Consip, alla scadenza del contratto in vigore. Non può, infatti, ravvisarsi una situazione giuridica tutelabile in capo alla ricorrente all'ottenimento di un'ulteriore proroga del contratto, trattandosi di una facoltà che può essere liberamente esercitata dall'Amministrazione alle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto, né tantomeno l'esercizio o meno di tale facoltà (e la conseguente scelta di approvvigionarsi altrove per soddisfare il proprio bisogno) può configurare un pregiudizio patrimoniale ristorabile in via risarcitoria. Analogamente, l'interesse della ricorrente ad aggiudicarsi la futura gara regionale ha carattere puramente ipotetico e non si vede come l'adesione alla convenzione Consip da parte dell'Amministrazione resistente possa arrecare alla ricorrente medesima un pregiudizio concreto e attuale. Lo stesso può dirsi con riferimento all'interesse allo scorrimento della graduatoria della Convenzione Consip, posto che si tratta di Convenzione rispetto alla quale non si potrebbe rinnovare una richiesta di adesione in favore di un soggetto diverso dalla Du.. 9. In via subordinata, il Collerio ritiene comunque di precisare che, seppure si volesse ravvisare un interesse tutelabile in capo alla ricorrente, il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito. Ciò emerge da un dato fattuale, ossia dal rilievo per cui alla data in cui l'Azienda ospedaliera ha deliberato di aderire alla convenzione Consip, la Du. era pacificamente titolare anche del requisito della regolarità fiscale (a decorrere dal 29 giugno 2022). Ne consegue che in alcun modo il principio della continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara risulta violato nel caso di specie: l'aggiudicataria, infatti, ne era in possesso al termine della procedura Consip e anche nel momento in cui si è obbligata a svolgere le prestazioni in favore dell'Amministrazione aderente alla convenzione. Ciò che è accaduto medio tempore - ossia la provvisoria perdita del requisito di regolarità fiscale - non determina l'illegittimità della delibera di adesione dell'Azienda ospedaliera, che nel periodo considerato non era in alcun modo legata contrattualmente all'aggiudicataria, che era stata selezionata in modo legittimo dalla Consip, e quindi non era qualificabile in termini di affidataria del servizio, tenuta in quanto tale alla continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la fase di esecuzione del contratto. Questa prospettiva è avvalorata anche dalla pronuncia delle Sezioni Unite innanzi citata: se è vero, infatti, che l'adesione alla convenzione Consip è espressione di una valutazione di convenienza e di opportunità da parte dell'Azienda ospedaliera, quanto accaduto prima che quest'ultima si determinasse nel senso dell'adesione alla convenzione non può esserle opposto, perché attiene ad un procedimento che si è integralmente svolto fra altri soggetti. 10. Ne consegue che anche la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente sarebbe infondata nel merito, in ragione della legittimità dell'avversata delibera di adesione alla Convenzione. 11. Per le ragioni esposte il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, con conseguente assorbimento delle restanti eccezioni processuali sollevate dall'Azienda ospedaliera, dalla Consip e dalla controinteressata. 12. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della particolare complessità della fattispecie esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara: - inammissibile per difetto di giurisdizione quanto alla domanda con cui è stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di illegittimità della convenzione stipulata tra la Consip e la Du., trattandosi di domanda ricompresa nella giurisdizione del Giudice ordinario; - inammissibile per carenza d'interesse quanto alle restanti domande proposte dalla ricorrente. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 576 del 2024, proposto da Ma. S.r.l., in proprio ed in qualità di capogruppo del costituendo R.T.I. con la Co. So. Soc. Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Ad. e Fu. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Istituto On. Ve. - Istituto di Ri. e Cu. a Ca. Sc., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Consip S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Azienda Ze. della Re. Ve., non costituita in giudizio; Du. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Or. Co., Gi. Mo., Sa. St. Da. e Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione cautelare, - della delibera del Direttore Generale dell'Istituto On. Ve. n. 385 del 24 aprile 2024, avente il seguente oggetto: "Adesione alla convenzione Consip per l'affidamento dei "servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi del sistema sanitario nazionale" - lotto 12.", pubblicata sull'albo on line in data 26 aprile 2024 (CIG Master 60361482E8 / CIG derivato A0579D875C); nonché : - della richiesta preliminare di fornitura (Id. ordine n. 7786356) del giorno 8 marzo 2024 e dell'ordinativo di fornitura di numero e data non noti; - del diniego di autotutela, inviato alla ricorrente Ma. in data 3 maggio 2024; - di tutti gli atti presupposti, e di qualsivoglia ulteriore provvedimento antecedente e/o successivo; nonché - per la declaratoria, in via principale o incidentale, della illegittimità /inefficacia della convenzione Consip denominata Convenzione Servizio Sanitario Nazionale Lotto 12 (ID1460 c.d. convenzione "Pulizie SSN"), attivata il 29 aprile 2022; - per la declaratoria di inefficacia del contratto attuativo nelle more eventualmente stipulato; - per la condanna dell'Istituto On. Ve. al risarcimento del danno per equivalente nella misura da quantificare in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Istituto On. Ve., della Consip S.p.a. e della Du. Se. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 il dott. Carlo Polidori e uditi, per le parti, i difensori presenti come riportato nel verbale di udienza; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Ma. S.r.l. ha impugnato gli atti in epigrafe indicati deducendo, in fatto, che: - questo Tribunale con le sentenze n. 2023 e 2024 del 29 dicembre 2023 ha accolto i ricorsi avverso i provvedimenti di aggiudicazioni della gara, suddivisa in 13 lotti, indetta da Azienda Ze. per l'affidamento, tramite procedura aperta, del Servizio di pulizia e sanificazione a ridotto impatto ambientale in favore degli Enti aderenti all'iniziativa di acquisto, ivi compreso l'Istituto On. Ve.; - in pendenza del giudizio di appello Azienda Ze. non ha dato esecuzione alle citate sentenze, con le quali è stata ordinata la nomina di una nuova commissione di gara; - in data 5 aprile 2024 l'Istituto On. Ve. ha inviato alla controinteressata Du. Se. S.r.l. (di seguito Du.) e alla Consip S.p.A. una richiesta preliminare di fornitura in relazione alla Convenzione Servizio Sanitario Nazionale - Lotto 12, nota come convenzione "Pulizie SSN"; - essa, in qualità di attuale gestore del servizio di pulizia, ha prontamente segnalato all'Istituto On. Ve., che la Du. è risultata priva del requisito della regolarità fiscale, previsto a pena di esclusione dall'art. 80, comma 4, del decreto legislativo n. 50/2016, con riferimento al periodo dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 (come accertato dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2024), con la conseguenza che, in applicazione del principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare, l'Amministrazione non potrebbe stipulare con tale società prima di compiere i necessari controlli relativi a tutto il periodo d'interesse; - ciononostante, l'Istituto On. Ve. ha ugualmente deciso di procedere alla stipula del contratto attuativo, mediante un apposito ordinativo di fornitura. - in data 3 maggio 2024 è pervenuto dall'Istituto On. Ve. il diniego di autotutela, in cui si legge quanto segue: "Trattandosi di una gara espletata dalla centrale di committenza Consip S.p.a, quindi il soggetto competente ed abilitato ad espletare i controlli sul possesso dei requisiti di cui all'art. 38 del D.Lgs. 163/2006 e ss. mm. ii., la Scrivente Amministrazione non può che rimettersi alle determinazioni sul punto della stessa Consip S.p.a.. Pertanto si invita la spett.le ditta, qualora non avesse già provveduto, a comunicare alla centrale di committenza le osservazioni già trasmesse". Con l'unico motivo di impugnazione la ricorrente, premesso il proprio interesse alla proposizione del ricorso in quanto attuale esecutore del servizio di pulizia e per le "fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale", ha dedotto la violazione dell'art. 38 del decreto legislativo n. 163/2006, nonché il vizio di eccesso di potere per errore sui presupposti e travisamento, difetto di istruttoria e di motivazione, illogicità, contraddittorietà e ingiustizia grave e manifesta. Più nel dettaglio, la ricorrente ha evidenziato l'illegittimità dell'atto di adesione alla convenzione Consip stipulata in data 18 dicembre 2020, in quanto a quella data (e sino al 29 giugno 2022) la Du. era priva del requisito di regolarità fiscale con la conseguenza che tale carenza rileverebbe (precludendo la stipula del contratto) sino all'ultimo atto della procedura di affidamento, da individuare nell'ordinativo di fornitura con cui l'Istituto On. Ve., aderendo alla Convenzione Consip, ha disposto l'aggiudicazione del servizio. Inoltre, la violazione tributaria è stata commessa dalla Du. in misura superiore alla soglia di gravità prevista dal legislatore, con la conseguenza che si configura a suo carico una fattispecie immediatamente escludente senza alcuna discrezionalità in capo alla Stazione appaltante. 2. Si sono costituite la Consip, la Du. e l'Istituto On. Ve. per resistere al ricorso. In particolare la Consip, dopo aver evidenziato che l'Istituto On. Ve., in mancanza di una gara regionale, era obbligata ad aderire alla convenzione Consip, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione di questo Tribunale osservando che, considerata la legittimità del provvedimento di aggiudicazione adottato in data 12 marzo 2020 dalla stessa Consip in favore della Du., le contestazioni inerenti all'adesione alla convenzione, alla costituzione e all'esecuzione del rapporto contrattuale tra gli Enti ordinanti e l'aggiudicataria devono essere conosciute esclusivamente dal Giudice ordinario, trattandosi di attività di natura privatistica a valle della procedura pubblicistica di scelta del contraente. Consip ha eccepito, altresì, l'incompetenza territoriale di questo Tribunale, osservando che il lotto n. 12 della convenzione ha carattere pluriregionale, nonché l'irricevibilità del ricorso, in quanto tardivamente proposto per contestare l'aggiudicazione definitiva disposta dalla stessa Consip in favore della Du. in data 12 marzo 2020, ossia quando quest'ultima era in possesso del requisito di regolarità fiscale. L'Istituto On. Ve. ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso in ragione della natura non provvedimentale degli atti impugnati, il proprio difetto di legittimazione passiva (non potendo essere qualificata come amministrazione aggiudicatrice) e la carenza di un interesse attuale e concreto della Ma. alla proposizione del ricorso. Nel merito, l'Istituto On. Ve. ha contestato che l'atto di adesione alla Convenzione Consip sia qualificabile, come esposto dalla ricorrente, quale aggiudicazione finale, evidenziando come la procedura ad evidenza pubblica sia interamente gestita dalla Consip, che ha il compito di selezionare il miglior contraente per la fornitura di un determinato servizio, aggiudicandogli la gara e sottoscrivendo la convenzione con Consip che indica le condizioni generali degli obblighi da egli assunti in qualità di fornitore per le Amministrazioni interessate. La Du., premesso che essa ha impugnato la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 7/2024 innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione e/o di un interesse ad agire meritevole di tutela in capo a Ma.. Nel merito, la Du. ha evidenziato come l'aggiudicazione definitiva in proprio favore sia stata disposta da Consip in data 12 marzo 2020 e che tale atto - che costituisce il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica indetta dalla centrale di committenza - è legittimo perché l'aggiudicazione è stata disposta in data antecedente rispetto a quella in cui sarebbe maturata l'irregolarità fiscale evidenziata dalla Ma.. Infine, la Du. ha osservato che l'adesione alla convenzione da parte del l'Istituto On. Ve. si colloca in una fase negoziale e privatistica che non contempla la verifica da parte del soggetto aderente dei requisiti del fornitore, già selezionato da Consip nell'ambito di una procedura pubblicistica già conclusa. 3. All'udienza camerale del 22 maggio 2024 le parti hanno ampiamente discusso in ordine alla natura della procedura Consip e degli atti di adesione alla stessa. In particolare la ricorrente ha qualificato la convenzione Consip quale accordo quadro ai sensi dell'art. 59 del decreto legislativo n. 163/2006 che verrebbe aggiudicato soltanto al momento dell'ordinativo di fornitura da parte del singolo Ente aderente. Le Amministrazioni resistenti e la controinteressata hanno contestato tale tesi evidenziando la specialità delle convenzioni Consip, che hanno una loro autonoma base normativa rispetto al genus dell'accordo quadro ed hanno ribadito che il completamento della procedura ad evidenza pubblica è coinciso con l'aggiudicazione definitiva disposta dalla Consip in data 12 marzo 2020. 4. Il Collegio, previo avviso alle parti, ha trattenuto la causa in decisione, sussistendo i presupposti per una pronuncia in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.. 5. Preliminarmente occorre ricostruire la vicenda in esame alla luce di quanto è stato documentato dalle parti e dei dati pacificamente acquisiti in corso di causa. La Consip con provvedimento del 12 marzo 2020 ha comunicato alla Du. l'aggiudicazione definitiva della gara per "l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli Enti del Servizio Sanitario Nazionale", relativamente al lotto 12. Con successiva convenzione del 18 dicembre 2020 la Consip e la Du., in qualità di aggiudicatario e di fornitore del servizio, hanno stabilito, testualmente, le condizioni generali del contratto che le singole amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura. Nella convenzione le parti hanno specificato che la conclusione della convenzione stessa non implica alcun obbligo per le Amministrazioni o per la Consip di procedere "all'acquisto di quantitativi minimi o predeterminati di beni e/o servizi, bensì dà origine unicamente ad un obbligo del Fornitore di accettare, mediante esecuzione, fino a concorrenza dell'importo massimo stabilito, gli Ordinativi di Fornitura deliberati dalle Amministrazioni Pubbliche che utilizzano la presente Convenzione per l'affidamento dei servizi di pulizia, di sanificazione ed altri servizi per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale per le Pubbliche Amministrazioni ai sensi dell'articolo 26, legge 23 dicembre 1999 n. 488 e s.m.i. e dell'articolo 58, legge 23 dicembre 2000 n. 388". Dal 17 agosto 2020 al 29 giugno 2022 la Du. è risultata priva del requisito di regolarità fiscale, a causa del mancato pagamento della somma di euro 27.000,00 (poi ridotta a euro 18.000,00), dovuti a titolo di contributo unificato. In data 24 aprile 2024 l'Istituto On. Ve. ha deliberato di aderire al lotto 12 della convenzione Consip, aggiudicato alla Du., con l'emissione del relativo ordinativo di fornitura. Ebbene, in questo quadro fattuale dev'essere esaminata preliminarmente l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata in giudizio dalle Amministrazioni resistenti e, anche se non in modo esplicito, anche dalla controinteressata. In base all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, la Consip ha il compito di stipulare, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, convenzioni con le quali il fornitore prescelto si impegna ad accettare ordinativi di fornitura deliberati dalle Pubbliche Amministrazioni interessate, sino alla concorrenza dell'importo massimo complessivo stabilito dalla convenzione medesima ed ai prezzi e alle condizioni generali prestabiliti. In questo quadro, l'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), nel testo attualmente in vigore, stabilisce che "Nel rispetto del sistema delle convenzioni di cui agli articoli 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e 58 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie, nonché gli enti nazionali di previdenza e assistenza sociale pubblici e le agenzie fiscali di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro. Le restanti amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, possono ricorrere alle convenzioni di cui al presente comma e al comma 456 del presente articolo, ovvero ne utilizzano i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.". Quanto alle modalità di adesione alla convenzione Consip, l'Amministrazione interessata è tenuta a seguire il "processo di attivazione dei servizi oggetto della Convenzione Consip", procedendo all'emissione della richiesta preliminare di fornitura, alla sua accettazione e alla successiva emissione dell'ordinativo di fornitura. Sulla natura giuridica dell'atto di adesione ad una convenzione Consip hanno preso posizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi su una questione di giurisdizione sostanzialmente analoga a quella prospettata nel presente giudizio, nell'ambito di una controversia che vedeva anch'essa come parte un ente del SSN. In particolare le Sezioni Unite hanno osservato quanto segue: "(...) quando si adotta il modulo dell'accordo quadro, l'aggiudicatario - scelto con la procedura di evidenza pubblica che ha portato alla sua stipulazione ottiene gli appalti basati sull'accordo quadro in virtù di affidamenti diretti. É noto d'altro canto che gli affidamenti diretti sono consentiti "entro i limiti delle condizioni fissate nell'accordo quadro stesso" (D.Lgs. n. 50 del 2016, art. 54, comma 3), sicché allorquando, come nel caso in esame - ove si ricorderà il PTE predisposto da Getec era manchevole di taluni documenti significativi - si assume che l'affidamento sia avvenuto in deroga alle norme previste dall'accordo quadro, si è presenza di un affidamento illegittimo. Tale illegittimità può essere fatta valere esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo, al quale la trattazione delle controversie in materia di appalti pubblici conferiti mediante affidamenti diretti era già riconosciuta in via esclusiva dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 (Cass., Sez. U. 8/08/2012, n. 14260) (...) Si è già sopra precisato che gli atti a mezzo dei quali le amministrazioni interessate procedono al conferimento dell'incarico di servizio si configurano in forma di affidamento diretto. Ora non pare dubbio che, nell'operare in tale forma, l'amministrazione conferente non sia affatto vincolata in forza dell'intervenuta stipulazione della convenzione, giacché questa non configura un obbligo, ma solo un'opportunità . L'amministrazione interessata resta, infatti, libera di determinarsi, di fronte all'opportunità prefigurata dalla convenzione quadro, secondo la sua discrezionalità, potendovi aderire ovvero potendo optare, come pure l'esperienza concreta insegna, per una diversa soluzione parimenti giudicata vantaggiosa. Nell'uno e nell'altro caso essa esercita, nella facoltà di scelta di fruizione dei vantaggi offerti dalla convenzione mediante o meno adesione ad essa, il proprio potere d'autorità, con la conseguenza che del legittimo esercizio di esso, anche in difetto della competenza esclusiva attribuitagli dalla legge, potrà conoscere solo il giudice amministrativo. Anche sotto questa angolazione non vi e, dunque, ragione di dubitare della giurisdizione del giudice già adito" (Cassazione civile, Sez. un., 30 novembre 2022, n. 35335). Secondo tale ricostruzione l'atto di adesione ad una convenzione Consip rappresenta l'esito di una valutazione comparativa di interessi con la quale l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, individua la soluzione maggiormente vantaggiosa per il soddisfacimento del suo bisogno. Ciò sta a significare che la delibera di adesione alla convenzione si caratterizza - come nel caso in esame emerge anche dalla lettura dell'atto di adesione adottato dall'Istituto On. Ve. - per la spendita di un potere autoritativo da parte dell'Amministrazione, la quale provvede in primo luogo alla ricognizione del proprio fabbisogno e alla scelta di esternalizzarne il soddisfacimento mediante il ricorso al mercato (e quindi all'aggiudicatario della convenzione Consip), piuttosto che all'autoproduzione del servizio, secondo uno schema che, in buona sostanza, è proprio della delibera a contrarre della procedura di evidenza pubblica. Nel caso in esame, tuttavia, la peculiarità è data dal contenuto, sostanzialmente vincolato, che la delibera assume con riferimento al soggetto chiamato ad eseguire la prestazione, essendo già stato selezionato a monte nell'ambito dell'accordo quadro stipulato con Consip. 6. Tenuto conto di quanto precede, il Collegio ritiene che la controversia in esame sia ricompresa nella giurisdizione del Giudice amministrativo. Nel presente giudizio, infatti, è in contestazione la modalità, ritenuta illegittima, di esercizio di un potere autoritativo in quanto l'Istituto On. Ve. ha deliberato di soddisfare il proprio fabbisogno, inerente alla pulizia e sanificazione degli ambienti, tramite il ricorso allo strumento convenzionale predisposto dalla Consip. Non può affermarsi, pertanto, che la controversia si radica su un rapporto paritario collocato a valle dell'evidenza pubblica, perché essa ad oggetto un atto che è espressione di un potere amministrativo che, a determinate condizioni, è stato vincolato dal legislatore con l'imposizione dell'obbligo di aderire agli accordi stipulati dalla Consip. Sotto questo aspetto, si rende necessario precisare che l'obbligo previsto dall'art. 1, comma 449, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (ai sensi del quale "Gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle centrali regionali di riferimento ovvero, qualora non siano operative convenzioni regionali, le convenzioni-quadro stipulate da Consip S.p.A.") non esclude il carattere discrezionale della scelta operata dall'Istituto On. Ve.: quest'ultimo, infatti, è obbligato ad aderire alle convenzioni Consip soltanto qualora abbia preliminarmente valutato di non poter provvedere con i propri mezzi al soddisfacimento del bisogno, decidendo quindi di rivolgersi al mercato e, soprattutto, soltanto qualora non siano utilizzabili convenzioni regionali per quello specifico bisogno. Ne consegue che, anche a fronte del dato normativo innanzi riportato, emerge con ogni evidenza il carattere discrezionale e autoritativo che permea la delibera di adesione alla Convenzione. Tale carattere, peraltro, risulta ancora più evidente nel caso in esame, in cui l'Istituto On. Ve., mediante una comparazione di interessi, ha ritenuto di aderire alla convenzione, decidendo di non attendere gli esiti della gara in corso di svolgimento da parte di Azienda Ze., che dovrà procedere alla nomina di una nuova commissione di gara in ottemperanza alle già citate sentenze di questo Tribunale n. 2023 e n. 2024 del 29 dicembre 2023. 7. A diverse conclusioni si deve pervenire, sempre in punto di giurisdizione, con riferimento alla domanda con cui la ricorrente ha chiesto la declaratoria di illegittimità o inefficacia della convenzione stipulata tra la Consip e la Du. in data 18 dicembre 2020. Sul punto il Collegio ritiene che si tratti di una convenzione privatistica, stipulata tra le parti in condizioni di parità all'esito della procedura ad evidenza pubblica che aveva determinato l'aggiudicazione della gara in favore della Du.. Tramite tale convenzione le parti hanno stabilito le condizioni generali del contratto che le singole Amministrazioni contraenti potranno stipulare con l'emissione dell'ordinativo di fornitura e gli obblighi assunti dal fornitore del servizio. Inoltre, il Collegio condivide l'osservazione, dirimente, formulata dalle Amministrazioni resistenti e dalla controinteressata, per la quale il legislatore consente al Giudice amministrativo di pronunciarsi sull'efficacia del contratto stipulato a valle dell'aggiudicazione soltanto nell'ipotesi in cui venga annullata l'aggiudicazione, che, invece, nel caso in esame non è stata impugnata dalla ricorrente. Ne consegue che la domanda dev'essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione, fermo restando che la stessa potrà essere riproposta dinanzi al Giudice ordinario, ai sensi dell'articolo 11 cod. proc. amm.. Tale declaratoria di difetto di giurisdizione evidentemente assorbe l'eccezione di incompetenza di questo Tribunale sollevata dalla Difesa erariale. 8. Affermata la giurisdizione di questo Tribunale nei limiti ora indicati, il Collegio ritiene che il ricorso non sia supportato da un interesse diretto e attuale ad agire. È opportuno ricordare che, nel giudizio amministrativo, "la legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura; qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire; l'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica" (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 5 aprile 2024, n. 3148). Nel caso di specie, la ricorrente ha affermato che il proprio interesse "non è costituito solo dall'essere l'attuale esecutore, ma anche dalle fondate speranze di aggiudicarsi la gara-ponte che l'Azienda potrebbe bandire nelle more della riedizione dell'intera gara regionale o dei segmenti rilevanti della medesima (posto che tale riedizione non è stata ancora neanche avviata con la nomina di una nuova commissione). Inoltre, a ben vedere, la Consip potrebbe (e dovrebbe) risolvere la convenzione stipulata con Du., e scorrere la graduatoria. E Ma. è al secondo posto nella gara Consip, in relazione al lotto 12 di cui si discute". Ebbene, il Collegio ritiene che la qualifica di attuale esecutore del contratto per la pulizia e la sanificazione dei locali dell'Amministrazione non radichi in capo alla ricorrente un interesse attuale e concreto, a fronte della volontà dell'Istituto On. Ve. di aderire alla convenzione Consip, alla scadenza del contratto in vigore. Non può, infatti, ravvisarsi una situazione giuridica tutelabile in capo alla ricorrente all'ottenimento di un'ulteriore proroga del contratto, trattandosi di una facoltà che può essere liberamente esercitata dall'Amministrazione alle condizioni stabilite dalla legge e dal contratto, né tantomeno l'esercizio o meno di tale facoltà (e la conseguente scelta di approvvigionarsi altrove per soddisfare il proprio bisogno) può configurare un pregiudizio patrimoniale ristorabile in via risarcitoria. Analogamente, l'interesse della ricorrente ad aggiudicarsi la futura gara regionale ha carattere puramente ipotetico e non si vede come l'adesione alla Convenzione Consip da parte dell'Amministrazione resistente possa arrecare alla ricorrente medesima un pregiudizio concreto e attuale. Lo stesso può dirsi con riferimento all'interesse allo scorrimento della graduatoria della Convenzione Consip, posto che si tratta di Convenzione rispetto alla quale non si potrebbe rinnovare una richiesta di adesione in favore di un soggetto diverso dalla Du.. 9. In via subordinata, il Collegio ritiene comunque di precisare che, seppure si volesse ravvisare un interesse tutelabile in capo alla ricorrente, il ricorso sarebbe comunque infondato nel merito. Ciò emerge da un dato fattuale, ossia dal rilievo per cui alla data in cui l'Istituto On. Ve. ha deliberato di aderire alla convenzione Consip, la Du. era pacificamente titolare anche del requisito della regolarità fiscale (a decorrere dal 29 giugno 2022). Ne consegue che in alcun modo il principio della continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione alla gara risulta violato nel caso di specie: l'aggiudicataria, infatti, ne era in possesso al termine della procedura Consip e anche nel momento in cui si è obbligata a svolgere le prestazioni in favore dell'Amministrazione aderente alla convenzione. Ciò che è accaduto medio tempore - ossia la provvisoria perdita del requisito di regolarità fiscale - non determina l'illegittimità della delibera di adesione dell'Istituto On. Ve., che nel periodo considerato non era in alcun modo legata contrattualmente all'aggiudicataria, che era stata selezionata in modo legittimo dalla Consip, e quindi non era qualificabile in termini di affidataria del servizio, tenuta in quanto tale alla continuità nel possesso dei requisiti di partecipazione per tutta la fase di esecuzione del contratto. Questa prospettiva è avvalorata anche dalla pronuncia delle Sezioni Unite innanzi citata: se è vero, infatti, che l'adesione alla convenzione Consip è espressione di una valutazione di convenienza e di opportunità da parte dell'Istituto On. Ve., quanto accaduto prima che quest'ultima si determinasse nel senso dell'adesione alla convenzione non può esserle opposto, perché attiene ad un procedimento che si è integralmente svolto fra altri soggetti. 10. Ne consegue che anche la domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente sarebbe infondata nel merito, in ragione della legittimità dell'avversata delibera di adesione alla Convenzione. 11. In definitiva, per le ragioni esposte il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, con conseguente assorbimento delle restanti eccezioni processuali sollevate dall'Istituto On. Ve., dalla Consip e dalla controinteressata. 12. Le spese di lite devono essere compensate tra le parti in ragione della novità e della particolare complessità della fattispecie esaminata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 576 del 2024, lo dichiara: - inammissibile per difetto di giurisdizione quanto alla domanda con cui è stata chiesta la declaratoria di inefficacia o di illegittimità della convenzione stipulata tra la Consip e la Du., trattandosi di domanda ricompresa nella giurisdizione del Giudice ordinario; - inammissibile per carenza d'interesse quanto alle restanti domande proposte dalla ricorrente. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Carlo Polidori - Presidente, Estensore Paolo Nasini - Primo Referendario Andrea Gana - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1856 del 2024, proposto dalla Id. soc. coop., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 89103193D9, rappresentata e difesa dagli avv. ti Ro. e Fa. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ro. Pa. in Roma, via (...); contro l'Università degli Studi Roma "La Sapienza", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti della C.M. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ti An. An., An. Ru., Ma. Or. e Ma. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - delle decisioni del RUP della stazione appaltante all'esito della seduta riservata del 16 maggio 2023, riportate nel Verbale n. 8, nella parte in cui si è ritenuto che: i) il costo del lavoro indicato dalla CM Se. s.r.l. nella propria offerta economica le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi; ii) l'offerta economica stessa fosse congrua e ammissibile; - della determinazione dell'Ateneo del 2 agosto 2023 di aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se. s.r.l.; nonché per l'accertamento della circostanza per cui la CM Se. s.r.l. doveva essere esclusa dalla gara; nonché per la declaratoria dell'inefficacia del contratto d'appalto stipulato e del subentro nell'esecuzione del servizio. Visti il ricorso, la memoria e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio di Università degli Studi Roma "La Sapienza" e i relativi allegati, nonché l'atto di costituzione in giudizio e la memoria della C.M. Se. s.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli artt. 74 e 120 cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Con l'atto introduttivo del presente giudizio, la Id. soc. coop. (di seguito anche "Id." o "ricorrente") ha impugnato gli atti sulla cui base la procedura aperta per l'affidamento dell'appalto quinquennale relativo ai servizi di pulizia delle sedi dell'Università di Roma "La Sapienza" è stata aggiudicata in favore della la C.M. Se. s.r.l. (di seguito anche "CM Se." o "controinteressata" o "aggiudicataria"). 2 - La gara europea d'appalto, per un importo a base d'asta nel quinquennio di circa euro 45 milioni, è stata aggiudicata secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, sulla base del miglior rapporto qualità /prezzo (punti 80 per l'offerta tecnica e 20 punti per l'offerta economica). A seguito delle operazioni valutative delle offerte presentate (trentacinque), è scaturita la graduatoria finale, in cui la CM Se. s.r.l. si è classificata al primo posto con punti 90,842 e la Id. si è posizionata al secondo posto, con punti 89,39. In particolare, l'aggiudicataria ha offerto un ribasso del 18,25%, avendo stimato i costi della manodopera in euro 34.990.650,04 contro gli euro 36.780.796,00 stimati dalla stazione appaltante (circa euro 1.8 milioni in meno), con un utile corrispondente a circa lo 0,47% dell'importo offerto (circa euro 175.000,00 nel quinquennio). 3 - Successivamente, hanno avuto luogo le operazioni di verifica della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, articolatesi attraverso diverse interlocuzioni e richieste di chiarimenti, e conclusesi con un giudizio positivo dell'Ateneo, che così ha concluso: "Dall'analisi complessiva della documentazione, e delle giustificazioni presentate e a seguito dell'audizione tenuta in data 09/05/2023, analizzate tutte le componenti dei costi, tenuto conto dell'offerta nella sua complessità, il RUP e la Commissione valutano congrua e sostenibile, e pertanto ammissibile, l'offerta". 4 - E' seguito il provvedimento dell'Università del 2 agosto 2023, recante la comunicazione dell'aggiudicazione dell'appalto in favore della CM Se., alla quale, poi, lo stesso Ateneo ha consegnato i lavori in via d'urgenza già il 1° settembre 2023, a fronte della stipula del contratto avvenuta il 2 febbraio 2024. 5 - Non appena avuta notizia dell'aggiudicazione in favore della prima classificata, la ricorrente si è attivata per conseguire l'accesso agli atti e ai verbali di gara, riuscendo a soddisfare integralmente la sua pretesa ostensiva solo a seguito di vari tentativi e della sentenza di questa Sezione n. 17209/2023. 6 - La ricorrente ha, poi, gravato gli esiti della gara, focalizzando le censure sulla pretesa inosservanza, da parte della CM Se., dei trattamenti retributivi minimi stabiliti dal CCNL del settore e sull'asserita incongruità della relativa offerta. 7 - Il ricorso è stato affidato a tre motivi: i) violazione di legge: violazione degli articoli 95, comma 10 e 97, comma 5, lettera d) del d.lgs n. 50/2016; illegittimità dell'avere la CM Se. calcolato i costi della manodopera considerando per il primo anno del servizio i livelli contrattuali minimi del periodo "07/2021-07/2022", ossia dell'anno antecedente a quello in cui il servizio avrebbe potuto iniziare a venir svolto, e per ognuno dei successivi quattro anni di servizio i livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente; eccesso di potere: difetto di istruttoria e manifesta illogicità dei giudizi del RUP, che ha ritenuto che il costo della manodopera considerato dalla CM Se. le consentisse di rispettare i minimi salariali retributivi e che la sua offerta economica fosse congrua; ii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, che ha ritenuto: 1) che i costi della manodopera considerati dalla CM Se. le consentissero di rispettare i minimi salariali retributivi; 2) che l'offerta economica da essa presentata fosse congrua per non essersi egli, altresì, reso conto che tale operatore economico, avendo basato il calcolo del costo della manodopera del triennio 2023/2026 utilizzando il dato percentuale INPS del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%, ha mancato di considerare gli oneri INPS obbligatoriamente da sostenersi, ammontanti in relazione alle ore di lavoro ordinario, al complessivo importo di euro 120.585,09, con inosservanza dei limiti inderogabili tabellari stabiliti dalla contrattazione collettiva; iii) eccesso di potere sotto plurimi profili: difetto di istruttoria e carenza di motivazione; manifesta e macroscopica illogicità, erroneità ed irragionevolezza dei giudizi espressi dal RUP, secondo cui l'offerta economica della CM Se. le consentiva di rispettare i minimi salariali retributivi ed era congrua per il fatto di non essersi accorto che, in relazione all'incidenza del dato percentuale INPS, essa ha calcolato il costo delle ore di lavoro supplementari: 1) per il triennio dal 2023 al 2026, considerando il dato percentuale del 28,44%, anziché quello corretto del 29,44%; 2) per tutti i cinque anni del servizio, senza ricomprendere nel calcolo medesimo la maggiorazione del 28% dovuta per tale tipo di prestazione. 8 - L'Università di Roma "La Sapienza" si è costituita in resistenza al ricorso e, con una succinta relazione, ha sostenuto l'attendibilità delle valutazioni compiute sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria. Lo stesso ha fatto la CM Servizi con un'articolata memoria, in cui ha dedotto alcuni aspetti di inammissibilità del ricorso e ne ha argomentato l'infondatezza. In particolare, ha sostenuto che: i) il margine derivante da alcune sovrastime compiute in sede d'offerta di circa euro 414.000 sarebbe idoneo ad assorbire i maggiori costi quantificati nei primi due mezzi; ii) il terzo mezzo sarebbe infondato. 9 - In vista dell'udienza, la ricorrente con puntuale memoria ha meglio articolato le proprie tesi, anche alla luce delle deduzioni della controinteressata. 10 - All'udienza pubblica del 22 maggio 2024, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata assunta in decisione. 11 - In via preliminare, il Collegio deve esaminare i profili di inammissibilità del ricorso eccepiti dalla controinteressata. In particolare: i) sotto un primo versante, è stato affermato che il giudizio sulla congruità dell'offerta prima classificata sarebbe un giudizio globale e sintetico, espressione di discrezionalità tecnica, e non potrebbe risolversi in una "caccia all'errore", risultando altrimenti la relativa censura inammissibile; ii) sotto un secondo angolo di visuale, la ricorrente avrebbe omesso di contestare il merito dei verbali relativi al sub-procedimento di verifica della congruità dell'offerta prima classificata antecedenti al verbale n. 8, nei quali sarebbero stati trattati aspetti cruciali per la valutazione della sua sostenibilità : essi sarebbero, quindi, divenuti incontestabili e risulterebbero idonei a sorreggere la legittimità valutazione finale compiuta nel verbale n. 8. Entrambi i citati profili non colgono nel segno. 11.1 - Non il primo tenuto conto che: i) la prima parte del primo e del secondo mezzo, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato rispetto da parte dell'aggiudicataria, in sede d'offerta, dei minimi retributivi fissati dal CCNL del settore, in violazione degli artt. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, afferiscono ad una fase distinta e precedente rispetto a quella di valutazione della congruità dell'offerta: detta fase ha, infatti, esclusivo riguardo alla verifica dello scostamento oggettivo del costo della manodopera offerto rispetto ai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, senza che siano ammesse e valutabili giustificazioni su tale aspetto; e l'eventuale scostamento è sufficiente a determinare l'esclusione dalla gara del concorrente; ii) in ogni caso, il resto del ricorso è volto a far valere aspetti di erroneità e di lacunosità nell'operato dell'Ateneo in sede di valutazione della congruità dell'offerta dell'aggiudicataria, di portata tale da integrare evidenti errori di fatto e palesi illogicità, pienamente sindacabili in sede giurisdizionale, quali componenti essenziali per il corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale da parte della stazione appaltante (cfr. ex multis, Cons. St., V, n. 3854/2024). 11.2 - Le stesse conclusioni di infondatezza valgono per il secondo rilievo, ove si consideri che il fuoco dell'impugnazione si è correttamente concentrato sul verbale (il n. 8), in cui l'Ateneo ha concluso l'esame della sostenibilità dell'offerta della CM Servizi, compendiando gli esiti dell'istruttoria precedentemente condotta e documentata nei precedenti verbali (tutta l'attività pregressa è richiamata al penultimo capoverso di pag. 1 del verbale n. 8) e traendone le relative conclusioni ultimative. Nel verbale n. 8, infatti, la stazione appaltante, tirando le somme dell'attività fino a quel momento compiuta, si è espressa in modo definitivo sulla congruità dell'offerta dell'aggiudicataria e ha concluso la sua analisi, ritenendo che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta, pur discostandosi lievemente dai livelli individuati dalle Tabelle ministeriali, risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge". Pertanto, l'impugnazione del solo verbale n. 8 non determina alcuna conseguenza in punto di inammissibilità delle censure ricorsuali, posto che esso ha richiamato tutta l'attività istruttoria (e interna) compiuta, tracciandone le conseguenze definitive in chiave valutativa. 12 - Venendo al merito, il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 13 - Con la prima parte del primo e secondo motivo la ricorrente ha lamentato: - il contrasto con l'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016 dell'operato della CM Se., nella parte in cui ha considerato, in sede d'offerta: i) un costo della manodopera inferiore ai minimi salariali retributivi; ii) l'incidenza INPS sul costo del lavoro, tenendo conto di un'aliquota erronea e più bassa rispetto a quella di legge (il 28,44% in luogo del 29,44%); - la conseguente illegittimità dei giudizi del RUP, che non si è accorto di tale aspetto e, conseguentemente, ha mancato di escluderla. In tesi, la CM Se., per dimostrare che il costo della manodopera da essa quantificato in sede d'offerta in euro 34.990.650,04 la metteva in grado di rispettare i minimi salariali retributivi, ha spostato all'indietro di un intero anno il primo periodo/anno di svolgimento del servizio, al fine di potersi avvalere degli inferiori costi del lavoro applicabili nell'anno precedente; e tale modus procedendi è stato proiettato per l'intera durata del contratto: per ognuno dei successivi quattro anni di servizio successivi al primo, quindi, l'aggiudicataria si è attenuta ai livelli contrattuali minimi di ciascun anno precedente. Conseguentemente, la CM Se. avrebbe derogato in pejus i minimi salariali della contrattazione collettiva nazionale di settore, in contrasto con quanto previsto dall'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, con una sottostima nei costi di manodopera pari circa euro 430.000,00 (315.000,00 relativi alla retribuzione +120.000,00 per i minori oneri previdenziali), tali da erodere interamente l'utile dichiarato di circa euro 175.000,00. La censura così riassunta coglie nel segno per quanto di ragione. 13.1 - Va subito considerato in fatto che la CM Servizi in giudizio ha ammesso: - di non aver tenuto conto, in relazione al primo anno di esecuzione del contratto, degli aumenti retributivi scattati da luglio 2022 e di aver considerato, per i successivi quattro anni, i minimi salariali validi per l'anno precedente, senza tener conto degli aumenti stabiliti (e della relativa decorrenza) in sede di rinnovo del CCNL di settore (cfr. sul punto l'all. 22 depositato in giudizio dalla ricorrente il 22 febbraio 2024); - di aver stimato, in sede d'offerta, l'incidenza degli oneri contributivi sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio, applicando l'aliquota del 28,44% e non già in quella del 29,13%, in tesi individuata come corretta. La stessa aggiudicataria ha quantificato la sottostima dei connessi costi di manodopera in circa euro 240.000,00, che in tesi sarebbero assorbiti dalla sopravvalutazione, compiuta in sede di offerta, di altre voci di costo, che avrebbero generato un risparmio complessivo, sempre nel quinquennio, di circa euro 414.000,00. In chiave esimente, quanto alla sottovalutazione dei costi di manodopera l'aggiudicataria ha affermato di aver calcolato il costo del lavoro considerando quale momento di avvio del servizio il 2021, seguendo le indicazioni dell'Amministrazione sul punto. Sennonché tale rilievo, se vale a giustificare il mancato aggiornamento dei minimi salariali relativi al primo anno, non giustifica certamente il disallineamento relativo agli anni successivi; e ciò tenuto conto che sia al momento della pubblicazione del bando (luglio 2021) che al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (17 gennaio 2022) era già stato concluso e vigeva l'accordo collettivo del settore (lo stesso recava la data dell'8 giugno 2021), con la conseguenza che le decorrenze dei vari aumenti per gli anni successivi al primo, obliterate dalla CM Servizi, erano da ritenersi, nella rispettiva scansione temporale, ampiamente note e conoscibili a tutte le imprese del settore. Per quest'ultima ragione, non risulta utilmente invocabile - contrariamente a quanto affermato dalla CM Servizi - neppure l'istituto della revisione dei prezzi, attesa l'impossibilità di annoverare l'accordo collettivo dell'8 giugno 2021 fra gli eventi successivi alla stipula del contratto, futuri e non addebitabili alla volontà dell'imprenditore tali da incidere sull'equilibri contrattuale; detto accordo era, infatti, vigente già alla data della pubblicazione del bando di gara e di esso dovevano e potevano tener conto tutte le imprese operanti nel settore. In ogni caso, il Collegio ritiene di dover estendere alla fattispecie in esame l'orientamento giurisprudenziale, affermato nella vigenza del d.lgs n. 50/2016, secondo cui l'aumento derivante dal periodico rinnovo dei contratti collettivi di lavoro applicabili al settore, non può essere considerato un evento imprevedibile ma una normale evenienza di cui l'imprenditore dovrebbe sempre tenere conto nel calcolo della convenienza economica dell'offerta presentata in gara (cfr. in tal senso Cons. St., V, n. 453/2024; id., n. 6652/2023). 13.2 - A tale stregua, è emerso un quadro in cui: - la CM Servizi non ha allineato la sua offerta (quanto meno per gli anni successivi al primo) a quelli che l'accordo collettivo di settore dell'8 giugno 2021 all'art. 73 ha definito in modo emblematico "trattamenti minimi contrattuali", non potendosi desumere dal tenore dell'accordo che i relativi importi fossero considerabili quali valori medi o meramente indicativi; in tal ottica, non giova all'aggiudicataria, al fine di dimostrare la correttezza del suo operato, la considerazione relativa ai costi di manodopera su base aggregata e la loro congruenza complessiva con le tabelle ministeriali, tenuto conto del rilievo per cui il rispetto dei minimi salariali risponde all'esigenza di tutela del lavoro sotto il profilo della giusta retribuzione e serve ad evitare manovre speculative sulla retribuzione dei dipendenti finalizzate a rendere l'offerta in gara più competitiva; a tale stregua, la verifica del rispetto dei minimi, per presidiare in modo effettivo le finalità cui è preordinata, va effettuata prendendo a riferimento gli importi previsti dal CCNL di settore per i profili professionali corrispondenti a quelli impiegati nella commessa e non già, come erroneamente ritenuto dall'aggiudicataria e dalla stazione appaltante, gli importi complessivi su base aggregata; - la CM Servizi ha sottostimato l'incidenza INPS sul costo del lavoro in relazione agli ultimi tre anni del servizio; - da tali condotte è derivata la mancata previsione di costi di manodopera che la stessa aggiudicataria ha quantificato in un importo notevole (circa euro 240.000,00). 13.3 - Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell'avviso che nella fattispecie all'esame rientri nell'ambito applicativo: - dell'art. 95, comma 10 del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'offerta economica l'operatore deve indicare i propri costi della manodopera..... Le stazioni appaltanti, relativamente ai costi della manodopera, prima dell'aggiudicazione procedono a verificare il rispetto di quanto previsto all'articolo 97, comma 5, lettera d)" - dell'art. 97, comma 6 (prima parte), d.lgs. n. 50/2016, secondo cui "6. Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge. Non sono, altresì, ammesse giustificazioni in relazione agli oneri di sicurezza di cui al piano di sicurezza e coordinamento previsto dall'articolo 100 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81...". La disposizione testé enunciata fa riferimento non già ad uno scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, d.lgs. n. 50/2016, dato questo indicativo e da valutare nella sede del giudizio di congruità dell'offerta, bensì ad uno scostamento - come nella specie - del costo del lavoro "dai trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale" concretamente applicabile al singolo imprenditore (essendo proprio tale contrattazione la "fonte autorizzata dalla legge" a cui fa riferimento l'art. 97, comma 6 citato). Tale scostamento non tollera alcun tipo di giustificazione da parte del singolo operatore economico, radicando, quindi, non già un potere discrezionale della stazione appaltante di valutare (in contraddittorio con l'impresa) l'eventuale giustificazione dell'anomalia dell'offerta, bensì un potere vincolato di esclusione automatica dalla gara. Esclusione che prescinde, quindi, da una complessiva valutazione discrezionale (da parte della stazione appaltante) dell'impatto del summenzionato scostamento del costo del lavoro sulla congruità economica globale dell'offerta e sulla sua sostenibilità finanziaria. La ragion d'essere di tale esclusione automatica risiede, infatti, nella circostanza che il mancato rispetto del minimo retributivo stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale vigente non può mai essere giustificato (a prescindere, quindi, dal suo concreto impatto sulla sostenibilità economica dell'offerta), stante il ruolo centrale che detta contrattazione svolge nella definizione dei parametri costituzionali di "sufficienza" e "proporzionalità " della retribuzione del lavoratore subordinato (cfr. art. 36 Cost.) (cfr. in tal senso T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 8473/2024 e id., I-bis, n. 15870/2023, secondo cui "... una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsti dai Contratti collettivi il parametro utilizzato al fine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore"; cfr. anche T.A.R. Veneto, I, n. 958/2017, secondo cui "una deroga a siffatto divieto si porrebbe in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, costituendo i trattamenti economici minimi previsi dai contratti collettivi, in base ad un criterio costantemente seguito dalla giurisprudenza, anche della Corte Costituzionale, il parametro comunemente utilizzato alfine di definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al lavoratore, ai sensi dell'art. 36 della Costituzione"). Quanto precede risulta coerente con il principio generale sancito dall'art. 30, comma 3, del d.lgs n. 50/2016, a mente del quale "Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X". Il rispetto dei trattamenti salariali minimi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile al singolo operatore economico costituisce, dunque, una condicio sine qua non di partecipazione alla gara. Tali coordinate ermeneutiche trovano un loro compiuto riconoscimento nel consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la valutazione della possibilità di escludere l'offerente in applicazione dell'articolo 97, comma 5, lett. d) del d.lgs. n. 50 del 2016 "deve invero intendersi riferita all'incongruità complessiva del costo del lavoro, quale risultante all'esito delle giustificazioni prodotte nel corso del subprocedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta - rispetto al quale il riferimento ai costi risultanti dalle tabelle ministeriali di cui all'art. 23 comma 6 del codice costituisce utile parametro di riferimento, secondo quanto di seguito specificato - laddove, per contro, il mancato rispetto dei minimi salariali inderogabili previsti dalla leggi o da fonti autorizzate dalla legge (id est dalla contrattazione collettiva) comporta ex se l'esclusione dalla procedura di gara, non essendo in relazione al mancato rispetto di detti minimi salariali ammesse le giustificazioni, come claris verbis statuito dall'art. art. 95 comma 6 del Codice secondo cui "Non sono ammesse giustificazioni in relazione a trattamenti salariali minimi inderogabili stabiliti dalla legge o da fonti autorizzate dalla legge..." (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 1652/2023). Il che conferma, quindi, che l'eventuale violazione dei minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile - lungi dal consentire all'operatore economico di giustificare lo scostamento retributivo - impone piuttosto l'esclusione dalla gara di detto operatore. 13.4 - Calando tali coordinate ricostruttive nella fattispecie all'esame, a fronte dell'accertato disallineamento dell'offerta dell'aggiudicataria rispetto ai trattamenti minimi salariali inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva nazionale applicabile (quanto meno per gli anni successivi al primo) e delle sottostime dei costi di manodopera che ne sono conseguiti, la stazione appaltante ha totalmente pretermesso l'apprezzamento di tale preliminare e dirimente aspetto. Difatti, essa ha affermato, peraltro senza fornire alcuna adeguata motivazione, che "il valore complessivo dei costi della manodopera indicati nell'offerta...risultano comunque non inferiori ai minimi salariali retributivi di legge" e ha proceduto all'esame di congruità dell'offerta ritenendo, anche in questo caso in modo eccessivamente generico, che il rilevato disallineamento rispetto ai livelli individuati dalle tabelle ministeriali fosse giustificato. Emerge, dunque, con evidenza che l'iter valutativo della stazione appaltante risulta viziato da un palese travisamento dei fatti e da evidenti profili di contraddittorietà rispetto al quadro istruttorio emerso. Infatti, a fronte del carattere evidente del surrichiamato disallineamento, la stazione appaltante avrebbe dovuto procedere senz'altro all'esclusione dell'aggiudicataria, essendo destinata a passare in secondo piano ogni ulteriore profilo inerente alla valutazione delle giustificazioni a suffragio della sostenibilità dell'offerta, così come ogni profilo inerente allo scostamento del costo del lavoro dalle tabelle del Ministero del Lavoro ex art. 23, comma 16, del d.lgs n. 50/2016 (tabelle aventi, a differenza del CCNL, un valore soltanto orientativo). Di qui l'illegittimità degli atti impugnati per violazione degli artt. 95, comma 10 e 97, comma 6 del d.lgs n. 50/2016. 14 - Per mera completezza, si soggiunge che, quand'anche l'aggiudicataria avesse dimostrato di aver osservato i trattamenti minimi previsti dalla vigente contrattazione collettiva o comunque che il disallineamento accertato non avesse conseguenze in punto di sottovalutazione dei costi di manodopera, i restanti motivi di gravame sarebbero comunque stati accolti. E ciò in quanto, come puntualmente dedotto e comprovato dalla ricorrente e non adeguatamente smentito dalla controinteressata, l'offerta da quest'ultima presentata sarebbe stata da ritenere comunque incongrua e non sostenibile. 14.1 - La ricorrente, infatti - a fronte di un ribasso del 18,25% (con circa 187.655 ore di lavoro in meno rispetto a quanto stimato in sede di lex specialis) e dell'appostazione di un utile su cinque anni pari a circa euro 175.000,00 pari allo 0,47% dell'importo offerto di euro 34.990.650,04 - ha compiutamente illustrato i profili di sottostima: i) conseguenti al mancato rispetto dei trattamenti minimi inderogabili stabiliti nel CCNL di settore per un importo complessivo di circa euro 315.000,00 di costi non considerati; ii) derivanti dal calcolo dei contributi previdenziali sulla base di un'aliquota più bassa rispetto a quella vigente (28,44% rispetto a quella del 29,44%), per un importo complessivo di circa euro 120.000,00 di costi non considerati; iii) relativi all'erroneo calcolo dei contributi previdenziali sul lavoro complementare, per il quale è stata computata un'aliquota più bassa e il relativo calcolo non ha compreso la maggiorazione del 28%, per un importo complessivo di circa euro 390.000,00 di costi non considerati. In tesi, tali profili di sottostima erano tali da erodere il ridotto margine di utile (circa 175.000,00 nel quinquennio), rendendo l'offerta incongrua e insostenibile. Sul punto, giova puntualizzare che, con l'articolazione di tali censure, la ricorrente non ha inteso compiere una "caccia all'errore" ma ha piuttosto individuato puntuali circostanze di fatto idonee a determinare la palese erroneità e l'evidente travisamento nelle valutazioni compiute dalla stazione appaltante in merito alla congruità dell'offerta della CM Servizi. 14.2 - Orbene, in relazione alle predette censure, l'aggiudicataria ha: - allegato di aver compiuto, in sede d'offerta, delle sovrastime con riguardo ai costi per la manodopera (circa euro 101.000), ai costi per la sicurezza (circa 78.000) e all'assistenza sanitaria integrativa (euro 54.000), sovrastime che, unite all'utile di circa euro 175.000,00, formerebbero un margine di circa euro 414.000,00, sufficiente ad assorbire le paventate sottostime; - quanto alla censura sub i), l'aggiudicataria, realizzando l'allineamento, tempo per tempo, degli importi a quanto previsto dalla contrattazione collettiva, ha ridotto la sottostima a circa 244.000,00; - quanto alla censura sub ii), la CM Servizi ha riconosciuto di aver calcolato i contributi previdenziali con un'aliquota non corretta (28,44% in luogo di 29,13% e non già di 29,44% come affermato nel ricorso) e conseguentemente ha ridotto la sottostima a circa euro 68.000,00. - quanto alla censura sub iii), ha affermato che, a mente dell'art. 33 del CCNL la maggiorazione andrebbe applicata ai soli istituti retributivi diretti e indiretti, senza impattare sul calcolo degli oneri contributivi. La medesima aggiudicataria ha, quindi, concluso nel senso della piena sostenibilità dell'offerta. 14.3 - Ciò premesso, è rilevante considerare che la ricorrente, con successiva memoria non fatta oggetto, neppure nel corso della discussione, di alcuna adeguata confutazione, ha puntualmente dedotto quanto segue. 14.3.1 - La paventata sovrastima relativa ai costi per la manodopera (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 per ciascuno dei cinque anni di contratto), quantificata ritoccando l'importo dei costi di manodopera offerti da euro 34.990.650,04 ad euro 34.889.719,84 (cfr. pag. 12 delle prime giustificazioni alla stazione appaltante del 20 ottobre 2022 e pag. 7 delle seconde giustificazioni del 23 febbraio 2023, entrambe fornite alla stazione appaltante - cfr. all. ti 18 e 19 depositati in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024), è stata successivamente superata da quanto affermato dalla stessa aggiudicataria nella successiva nota consegnata al RUP il 9 maggio 2023 in sede di audizione (cfr. cfr. all. 20 depositato in giudizio dalla Id. il 22 febbraio 2024). In tale nota, la CM Servizi, per fronteggiare i rilievi del RUP sul minor assenteismo dichiarato, ha proceduto a modificare al rialzo il costo della manodopera annuo, quantificandolo in euro 6.994.965,98 (per una somma di euro 34.974,82 nel quinquennio). Ora, alla luce di ciò, è emerso che il margine di sovrastima si è inevitabilmente ridotto dalla somma inizialmente indicata (circa euro 101.000,00 nel quinquennio e circa euro 20.000,00 annui) a circa euro 3.000,00 annui e a circa euro 15.000,00 nel quinquennio. Conseguentemente, il margine attivo idoneo ad assorbire le sottostime puntualmente quantificate nel ricorso è destinato ad assottigliarsi da circa euro 414.000,00 (stimati dall'aggiudicataria) a circa euro 330.000 nel quinquennio. 14.3.2 - Quanto alla sottostima dei costi, il Collegio rileva che, anche a voler assumere la correttezza delle prospettazioni formulate dalla CM Servizi in giudizio sulle prime due censure: i) il riallineamento degli aumenti previsti anno per anno ai minimi retributivi inderogabili previsti dalla contrattazione collettiva determina una sottostima dei costi di manodopera di circa euro 240.000,00; ii) il calcolo degli oneri contributivi secondo l'aliquota del 29,13% determina una sottostima di costi per un importo di circa euro 68.000,00. 14.3.3 - A tali importi, poi, vanno aggiunti, ad avviso del Collegio, sia quelli relativi derivanti dal calcolo dei contributi sul lavoro supplementare con l'aliquota del 29,13% (in luogo dell'aliquota del 28,44% utilizzata) sia soprattutto quelli derivanti dal calcolo degli oneri contributivi includendo nell'imponibile la maggiorazione del 28% prevista per il lavoro supplementare. La tesi dell'aggiudicataria, secondo cui quest'ultima componente sarebbe esente dagli oneri contributivi non può aver pregio ove si consideri che: i) la maggiorazione forfettaria e convenzionale del 28% costituisce la retribuzione per il lavoro supplementare, vale a dire per quello reso, nell'ambito di rapporti di lavoro a tempo parziale, oltre l'orario contrattuale, e avente un costo orario sensibilmente inferiore rispetto all'ora lavorativa ordinaria; ii) la normativa rilevante in materia (la l.n. 153/1969 per gli aspetti previdenziali e il d.P.R. n. 917/1986 per gli aspetti fiscali) depone nel senso che l'assoggettamento a prelievo contributivo del reddito di lavoro dipendente debba tendenzialmente avvenire sulla medesima base imponibile individuata ai fini fiscali ex art. 48 del TUIR (oggi art. 51); e tale norma così dispone "Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono": il quadro normativo è, dunque, chiaro nel ricomprendere anche la maggiorazione del 28% nell'imposizione contributiva, rientrando la stessa, in quanto forma di retribuzione convenzionale e forfettaria del lavoro supplementare, nel novero delle somme e dei valori corrisposti "in relazione al rapporto di lavoro" (cfr. in tal senso anche Cons. St., V, n. 453/2024, secondo cui in caso di utilizzo del lavoro supplementare, "gli oneri previdenziali sul corrispondente e complessivo costo non possono certamente essere negletti o non valorizzati nell'ambito dell'appalto.."). Né a conclusioni opposte può indurre il richiamo all'art. 33 del CCNL, invocato dall'aggiudicataria: tale previsione, infatti, in piena coerenza con l'ambito oggettivo di intervento rimesso alla contrattazione collettiva, laddove prevede che "Le ore di lavoro supplementare sono retribuite come ore ordinarie, incrementate ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.lgs. 81/2015 dell'incidenza della retribuzione delle ore supplementari su tutti gli istituti retributivi indiretti e differiti, compreso il TFR, determinata convenzionalmente e forfetariamente, tra le parti, nella misura del 28%, calcolato sulla retribuzione base e retribuito il mese successivo all'effettuazione della prestazione. La definizione di quanto sopra è coerente con quanto previsto all'articolo 6 del D.lgs. 81/2015", disciplina il differente aspetto dell'incidenza della maggiorazione sui vari istituti retributivi (al fine di determinarne il loro adeguamento), senza incidere sull'adempimento degli obblighi contributivi, disciplinati da una disciplina pubblicistica, inderogabile e autosufficiente. Sulla base di quanto precede, emerge un'ulteriore sottostima dei costi di importo pari ad almeno circa euro 248.000,00. 14.3.4 - In definitiva, sommando tutti i costi che - come emerso dall'esame delle risultanze in atti -l'impresa non ha considerato (circa euro 240.000,00 per costi di manodopera + euro 68.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi + circa euro 248.000,00 a titolo di maggiori oneri contributivi sul lavoro supplementare) e ponendoli a confronto del margine "attivo" derivante dalle sovrastime compiute (per circa euro 330.000,00) emergono con sufficiente evidenza l'insostenibilità dell'offerta e la sua non congruità . E ciò in quanto le voci di costo, per la loro entità, non solo sono certamente tali di erodere ogni margine di utile ma sono suscettibili di dar luogo all'esecuzione del servizio in perdita. Di tutto ciò evidentemente non ha tenuto conto la stazione appaltante che, in sede di verifica di congruità dell'offerta - pur avendo dato luogo ad un articolato contraddittorio con l'aggiudicataria e pur avendo preso atto delle diverse rettifiche compiute sui costi di manodopera e degli errori nel calcolo degli oneri contributivi - si è limitata a valutare il solo scostamento dai parametri medi di cui alle tabelle ministeriali, senza porsi la questione preliminare e assorbente della coerenza degli importi offerti con i trattamenti minimi inderogabili. E sul punto il Collegio deve ribadire nella specie il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui, col riferimento al "costo della manodopera, costituente un elemento essenziale dell'offerta economica - tanto è vero che deve essere oggetto di una specifica indicazione ai sensi dell'art. 95 comma 10 del d.lgs n. 50/2016 - la valutazione della stazione appaltante deve essere condotta con particolare rigore, esigendo quindi dall'impresa sottoposta a verifica spiegazioni assolutamente adeguate" (cfr. sul punto, ex multis Cons. St., V, n. 3968/2020 e in senso ana T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1194/ 2020; T.A.R. Molise, I, n. 175/2020). D'altro lato, l'Ateneo si è appiattito sulle deduzioni dell'aggiudicataria concludendo, senza corredare le conclusioni raggiunte degli elementi atti ad illustrare l'iter logico seguito a tal fine, che "l'offerta nella sua complessità ...fosse congrua e sostenibile...", dato questo smentito dalle surrichiamate risultanze documentali, non adeguatamente considerate in sede endoprocedimentale e, per contro, ben evidenziate in tutte le loro implicazioni dalla ricorrente. Del resto, a riprova della superficialità dell'istruttoria condotta dall'Ateneo, vanno anche considerate l'omessa considerazione della valenza e degli effetti sulla sostenibilità dell'offerta di due aspetti dedotti nel ricorso e non oggetto di alcuna contestazione da parte della CM Servizi, l'uno afferente al monte ore degli addetti da assumersi ex novo e l'altro relativo ai costi per la formazione. Quanto al primo aspetto, l'aggiudicataria ha indicato che avrebbe fatto prestare ai dieci addetti di secondo livello da assumersi ex novo n. 721,25 ore settimanali e, quindi, matematicamente a ciascuno più di 72 ore per settimana, laddove il monte ore massimo è fissato in 40 ore. Conseguentemente i costi della sicurezza sono stati calcolati solo sui 10 addetti, quando per prestare le ore di lavoro previste (nel rispetto del monte ore massimo) sarebbe stato necessario più del doppio delle risorse necessarie, con relativi maggiori costi della sicurezza. Quanto al secondo aspetto, l'aggiudicataria ha previsto in sede di offerta di far svolgere nel quinquennio n. 177.750 ore di formazione e di appostare per esse un costo di soli euro 99.591,86, come se ciascuna ora di formazione, nell'impossibilità di farle svolgere tutte "on the job", potesse effettivamente costare appena 56 centesimi di euro. Sulla base di tutto quanto fin qui illustrato, il Collegio osserva che l'attività della stazione appaltante risulta viziata da manifesto errore di fatto e da palese illogicità, avendo la stessa pretermesso l'adeguata valutazione di circostanze di fatto deponenti in modo preciso e univoco nel senso dell'insostenibilità dell'offerta della CM Servizi e quindi nel senso della sua esclusione dalla gara. Orbene, il Collegio non ignora che, secondo il costante insegnamento giurisprudenziale, il giudizio di verifica della congruità dell'offerta ha natura globale e sintetica e costituisce espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale riservato all'Amministrazione, come tale limitatamente sindacabile. Tuttavia è altrettanto innegabile che l'analisi della stazione appaltante debba avere riguardo a tutte le componenti dell'offerta e che il sindacato giurisdizionale si esplichi con pienezza nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità dell'operato del seggio di gara. Questo è il caso della fattispecie all'esame, in cui è stata censurata l'omessa considerazione della portata e degli effetti non già di poste aleatorie o valutative ma di talune voci di costo (alcune delle quali ammesse anche dalla ricorrente e comunque tutte emerse in sede endoprocedimentale) non considerate in sede di offerta che, se poste a confronto con il margine (tutt'altro che cospicuo) di utile stimato, erano tali da condurre all'insostenibilità di quest'ultima e da determinare l'esclusione dell'aggiudicataria (cfr. in tal senso, ex multis, Cons. St., V, n. 6786/2020; id., n. 2796/2020; id., n. 4820/2018; id., VI, n. 4350/2017). Ne consegue che gli atti impugnati risultano manifestamente erronei o illogici rispetto alle complessive risultanze emerse a seguito dei giustificativi presentati dall'interessata. 15 - In definitiva, sulla base di quanto in precedenza illustrato, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto: i) vanno annullati gli atti impugnati meglio identificati in epigrafe; ii) va accertata l'illegittimità del provvedimento di aggiudicazione a favore della controinteressata, che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara; iii) va accolta la domanda di annullamento dell'aggiudicazione impugnata. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene, altresì, che ricorrano i presupposti di cui all'art. 122 del cod.proc.amm. per la dichiarazione di inefficacia del contratto d'appalto, essendo stata presentata dalla ricorrente la domanda di subentro nel contratto nella forma di domanda risarcitoria in forma specifica e non essendo stata fornita in giudizio alcuna allegazione di elementi a ciò ostativi. Invero, qualora la controinteressata fosse stata esclusa, la ricorrente avrebbe senz'altro conseguito l'aggiudicazione dell'appalto, in quanto classificata seconda nella gara, a seguito di scorrimento nell'ordine di graduatoria. Ne consegue che il contratto di appalto in corso di esecuzione deve essere dichiarato inefficace a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, con subentro della ricorrente nel contratto stesso, ai sensi dell'art. 124 del cod.proc.amm., previa verifica del possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente e dalla legge di gara. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto: - annulla il provvedimento di aggiudicazione impugnato e tutti gli atti identificati in epigrafe, sulla cui base la stazione appaltante è pervenuta alla sua adozione; - dichiara l'inefficacia del contratto di appalto stipulato e il subentro nello stesso della parte ricorrente, a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione della presente sentenza, previo svolgimento delle relative verifiche; - condanna l'Università degli Studi Roma "La Sapienza" e la C.M. Se. s.r.l. al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente, che liquida, a carico di ciascuna delle parti soccombenti, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre ad oneri come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Sapone - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Marco Savi - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5539 del 2023, proposto da Sa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi.Do., Al.Ce., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al.Ce. in Roma, via (...); contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); nei confronti Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Entrate - Riscossione, Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L., non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma.Di.Gi., El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Autorità di Regolazione dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Ib.It.Bo. Airline Representatives, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma.Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (...); sul ricorso numero di registro generale 5632 del 2023, proposto da Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avvocato Gi.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Venezia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An.Ia., Gi.Ro.Ch., Fi.Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (...); Agenzia delle Entrate - Riscossione, Sa. S.p.A., Autorità di Regolazione dei Trasporti - Art, Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Associazione Ibar - Italian Board Airline Representatives, non costituite in giudizio; Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato El.Pa.Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per la riforma: quanto al ricorso n. 5539 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; quanto al ricorso n. 5632 del 2023: della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Prima) n. 00868/2023, resa tra le parti; Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile e di Autorità di Regolazione dei Trasporti e di Ib.It.Bo. Airline Representatives e di Comune di Venezia e di Presidenza del Consiglio dei Ministri e di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Ministero dell'Interno e di Enac - Ente Nazionale per L'Aviazione Civile; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Do., Ce., Ar., e Ci. in dichiarata delega di Di.Gi.. Ma., Ar., e Ci.in dichiarata delega di Di.Gi.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, e l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, unitamente alle compagnie aeree Ea.Ai. Company Limited, Ry.Da., Vo. S.L., con autonomi ricorsi iscritti rispettivamente al n. ruolo, R.G. n. 5539/2023 e al n. R.G. n. 5632/2023, hanno interposto appello avverso la sentenza del Tar per il Veneto, sez. prima, 20 giugno 2023, n. 868, con cui sono stati respinti i ricorsi riuniti, da esse rispettivamente proposti, iscritti al n. R.G. 244/2023 e n. R.G. 395/2023, avverso delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022 concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, pubblicata dal 23 dicembre 2022 al 7 febbraio 2023, immediatamente eseguibile, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023 ed avverso i relativi atti presupposti. L’istituzione dell’addizionale comunale de qua da parte dell’Ente comunale ha fatto seguito ad un accordo, denominato “Patto per Venezia” (anch’esso oggetto di impugnativa), finalizzato al riequilibrio strutturale finanziario del bilancio di previsione, stipulato - in forza dell’art. 43, commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 - tra il Comune di Venezia e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.1. L’indicato disposto normativo consente che i comuni sede di Città Metropolitana (come nel caso del Comune di Venezia), caratterizzati da “un debito pro capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell'anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (art. 43, comma 8, d.l. n. 50 del 2022), possano avviare, su proposta del Ministero dell’Economia e delle Finanze e all’esito della verifica dei requisiti da parte di un Tavolo tecnico appositamente istituito, un percorso di riequilibrio strutturale del bilancio comunale per mezzo dell’adozione delle misure di cui all’art. 1, comma 572, lettere da a) ad i), della legge n. 234 del 2021, fra le quali è previsto l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF e un’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale. Nel caso in cui fosse deliberata l’addizionale sui diritti di imbarco (fino ad un massimo di 3 euro), è previsto come l’incremento dell’addizionale IRPEF non possa superare lo 0,4%. Nel ricordato “Patto per Venezia”, il Comune ha assunto l’impegno di istituire - limitatamente al periodo compreso tra il 2023 e il 2042, in cui dovrà essere ripianato il disavanzo - l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale nei confronti di ogni passeggero nella misura di 2,50 euro fino al 2031, con una progressiva diminuzione, fino a 0,80 euro, per il periodo dal 2038 al 2042. 2.2. Con la deliberazione impugnata (su conforme proposta emendativa della Giunta) veniva peraltro stabilito che, limitatamente ai diritti di imbarco portuale, l’addizionale sarebbe stata istituita con un successivo atto e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2026. Di conseguenza, l’addizionale, contestata in questa sede, risulta attualmente prevista per i soli imbarchi aeroportuali. Sa. s.p.a., società concessionaria dell’aeroporto “Marco Polo” di Venezia, ha pertanto impugnato innanzi al Tar per il Veneto, unitamente agli atti presupposti, la indicata deliberazione consiliare n. 75 del 23 dicembre 2022, nella parte in cui istituisce l’addizionale sui diritti di imbarco valevole negli aeroporti presenti sul territorio comunale. 3.1. Nel ricorso di prime cure - iscritto al n. R.G. 244 del 2023 - Sa. ha sostenuto che l’introduzione dell’addizionale, il cui onere economico viene fatto gravare sul passeggero, allorché acquista il biglietto presso il vettore (che, quale sostituto d’imposta, è poi tenuto a riversarne l’importo all’erario), comporterebbe la riduzione dell’attrattività dello scalo veneziano con grave danno per l’indotto che gravita attorno all’infrastruttura aeroportuale. 3.2. A sostegno del gravame ha articolato, in sei motivi, le seguenti censure: 1) Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); la deliberazione istitutiva dell’addizionale sui diritti d’imbarco sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe fissato la decorrenza dell’obbligo tributario per la data del 1° aprile 2023, senza tenere conto che, ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. n. 212 del 2000, la scadenza degli adempimenti posti a carico del contribuente non può essere fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione. Detto termine, nel caso esaminato, avrebbe dovuto decorrere dalla comunicazione ai vettori e all’International Air Transport Association (IATA) da parte di ENAC e, in ogni caso, dalla determinazione delle modalità di riscossione del tributo (rectius: delle modalità di versamento all’Erario da parte dei vettori); 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; il Comune non avrebbe adeguatamente motivato in merito alle ragioni per le quali l’addizionale sui diritti d’imbarco è stata introdotta quale misura di risanamento, in luogo delle altre previste dalla normativa; 3) Illegittimità della delibera consiliare n. 75 del 2022 per eccesso e sviamento di potere in violazione dei principi di proporzionalità, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa (art. 1, l. 241/1990 e s.m.i.) nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento; in continuità con la precedente censura, la ricorrente censurava la scelta di introdurre una rilevante misura impositiva applicabile, per numerose annualità, ai soli passeggeri partenti dallo scalo veneziano, ritenendola irragionevole, discriminatoria e squilibrata, in quanto i soggetti passivi del tributo sarebbero privi di “collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia”. Si osservava che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad introdurre l’(ulteriore) addizionale sui diritti d’imbarco, dopo avere preso atto della difficoltà di riscuotere il contributo di accesso al centro storico di Venezia (punto 28 della deliberazione impugnata), il quale, tuttavia, sarebbe dovuto gravare su tutti i turisti che effettivamente fanno ingresso nella città, utilizzandone in modo massivo i servizi, diversamente da quanto si verificherebbe, il più delle volte, per l’utenza aeroportuale. Altrettanto irragionevole e discriminatoria sarebbe inoltre la scelta di non applicare il tributo, almeno in questa prima fase, agli imbarchi portuali; 4) Eccesso di potere, irragionevolezza della Delibera - Violazione del principio del legittimo affidamento; la deliberazione sarebbe inoltre illegittima nella parte in cui richiederebbe l’esazione del tributo a tutti i passeggeri in partenza dal 1° aprile 2023, indipendentemente dalla data di acquisto del titolo di viaggio, senza quindi escludere dalla sua sfera applicativa i passeggeri che abbiano acquistato il biglietto precedentemente a tale data; 5) Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; l’introduzione dell’addizionale sarebbe illegittima, in quanto non sarebbe stata preceduta da alcuna consultazione con l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile (ENAC), competente riguardo all’”istruttoria degli atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali” (art. 2, lett. e, d.lgs. n. 250 del 1997) e con la ricorrente, in quanto soggetto deputato alla riscossione del tributo; 6) Illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022; la ricorrente rilevava l’illegittimità costituzionale della disciplina di cui la contestata introduzione del tributo costituiva attuazione, osservando come l’istituzione di un’ulteriore addizionale sui diritti d’imbarco aeroportuali si ponesse in violazione principi costituzionali di ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività del sistema tributario, nonché di leale collaborazione (art. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost.). La deliberazione impugnata risulterebbe inoltre viziata “per la violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea” per mancato coinvolgimento degli enti interessati (in contrasto con la direttiva 2009/12/CE, art. 6, par. 2, recepita dal d.l. n. 1 del 2012). 3.3. Con motivi aggiunti Sa. contestava sotto ulteriore profilo la legittimità della deliberazione istitutiva del tributo, in quanto il presupposto tavolo tecnico si sarebbe tenuto il 20 ottobre 2022, ossia oltre il termine di legge, individuato dall’art. 43, comma 3, d.l. n. 50 del 2022, nel 30 settembre 2022. Con il secondo ricorso, l’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai., associazione sindacale senza scopo di lucro che rappresenta gli interessi dei vettori aerei associati, rientranti nella c.d. categoria delle low fares, già intervenuta ad adiuvandum nel giudizio promosso da Sa., ha del pari impugnato la delibera de qua, istitutiva dell’indicata addizionale comunale, unitamente alle compagnie aeree innanzi indicate, articolando analoghi motivi di gravame, ovvero deducendo: 1) Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario; Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022; III. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e ingiustizia manifeste, difetto di motivazione e istruttoria, sviamento, disparità di trattamento. Violazione del principio del legittimo affidamento. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Il Comune di Venezia, nel costituirsi in prime cure in ambedue i giudizi, ha controdedotto in ordine a ciascun profilo di censura, insistendo per il rigetto dei ricorsi ed eccependo in via preliminare il difetto di interesse a ricorrere in capo a Sa.. L’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, del pari costituito in entrambi i giudizi, ha fatto presente di avere “comunicato al vettore nazionale l’avvenuta introduzione dell’addizionale sui diritti d’imbarco istituita al Comune di Venezia, ai fini della successiva notifica ai vettori operanti presso lo scalo di Venezia, ritenendo la medesima applicabile, ai sensi dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000, a partire dal giorno 30.05.2023”, data determinata in seguito all’istruttoria - conclusa il 31 marzo 2023 - condotta ai sensi dell’art. 2, d.lgs. n. 250 del 1997, lett. e), e dell’art. 2, lett. t) del proprio Statuto (p. 4 della memoria depositata il 21 aprile 2023). In merito a tale comunicazione il Comune ha obiettato che la decorrenza dell’applicazione dell’addizionale prescinderebbe dall’interposizione attuativa di ENAC, e che essa coinciderebbe con la data stabilita dalla deliberazione consiliare di approvazione del bilancio di previsione, rispettosa del termine indicato dall’art. 3 della legge n. 212 del 2000. La sentenza del Tar ha respinto tutte le censure, affermando preliminarmente che la decorrenza, dal 1 aprile 2023, è da riferirsi alla data di acquisto del biglietto, come successivamente precisato dal Comune, e non alla data del volo, per cui ha rigettato anche la censura riferita alla necessità della dilazione temporale. Sa., con il ricorso iscritto al n. R.G. 5539 del 2023, ha impugnato la sentenza di prime cure, formulando avverso la stessa, in cinque motivi, le seguenti censure: I) Sul primo motivo di ricorso: erroneità della sentenza - omessa pronuncia Illegittimità della Delibera CC Venezia 75/2022: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 2, l. 212/2000 (Statuto del Contribuente); II) Sul secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso: erroneità della sentenza - Omessa pronuncia - Illegittimità della Delibera impugnata: Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 conv. con mod. in l. 91/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Ancora sul quinto motivo di ricorso: Erroneità della sentenza - Illegittimità della Delibera: Difetto di istruttoria e violazione delle garanzie partecipative e del contraddittorio procedimentale anche in relazione all’art. 2 lett. e) del d.lgs. n. 250 del 1997. Perplessità e irragionevolezza della motivazione; IV) Sulla violazione del termine per la conclusione dell’istruttoria (motivo aggiunto); V) Sulla questione di legittimità costituzionale: Erroneità della sentenza: illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021 (nella parte in cui consente ai Comuni, sede di capoluogo di città metropolitane di istituire un incremento dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale per passeggero da destinare al ripiano del disavanzo comunale) con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 Cost. e, in via derivata, illegittimità della delibera del Consiglio Comunale n. 75 del 23.12.2022. 9.1. Sa. ha pertanto concluso in via principale per l’annullamento della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità del d.l. n. 50 del 2022 nonché dell’art. 1, comma 572 della L. n. 234/2021, come rassegnate in atti. Analoghi motivi di appello sono stati formulati con il ricorso iscritto al n. R.G. 5632 del 2023 dall’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e dalle compagnie aeree in epigrafe indicate. 10.1. Segnatamente, con tale atto, sono stati formulati, in quattro motivi di appello, le seguenti censure: I) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Violazione dell’art. 3, comma 2, l. 212/2000; II) Error in iudicando. Violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.l. 50/2022 e dell’art. 1, comma 572, l. 234/2021. Difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione della risoluzione ICAO 22/09/2020; III) Error in iudicando. Violazione dell’art. 43, comma 3, d.l. n. 50/2022, convertito con modificazioni dalla l n. 91/2022, in ragione del fatto che il Tavolo Tecnico ha concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge; IV) Error in iudicando ed omessa pronuncia. Illegittimità costituzionale dell’art. 43, commi 2, 3 e 8, del d.l. 17 maggio 2022, n. 50, nonché dell’art. 1, comma 572, della l. 30 dicembre 2021, n. 234, con riferimento agli artt. 3, 41, 53, 97 e 117 della Costituzione e, in via derivata, illegittimità della Deliberazione del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022. Violazione del principio della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario. 10.2. Anche l’Associazione italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. e le compagnie appellanti hanno pertanto concluso in via principale per la riforma della sentenza di prime cure e per l’effetto per l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia, n. 75 del 23 dicembre 2022, ed in via subordinata per la rimessione della questione di costituzionalità rassegnata in atti. Il Comune di Venezia, costituitosi in entrambi i giudizi, ha preliminarmente reiterato l’eccezione relativa all’inammissibilità del ricorso di prime cure azionato da Sa. innanzi al Tar per il Veneto, per carenza di interesse, assorbita dal primo giudice sul rilievo dell’infondatezza del ricorso, evidenziando che la delibera oggetto di impugnativa introdurrebbe un adempimento gravante primariamente sui vettori, chiamati ad applicare una maggiorazione pari a 2,50 euro sui biglietti venduti a partire dall’1.4.2023, mentre il coinvolgimento di Sa. riguarderebbe unicamente la fase successiva di periodica rendicontazione e riversamento di quanto riscosso all’Amministrazione. 11.1. Nel merito ha insistito per il rigetto di entrambi gli appelli. IBAR - Italian Board Airline Representatives, associazione dei vettori aerei, operanti in Italia, costituita nel 1960, cui è stato notificato il ricorso in appello da parte di Sa., in qualità di interveniente, ha aderito alle conclusioni dell’appellante Sa. s.p.a.. Le amministrazioni statali evocate in giudizio e l’Enac si sono costituiti con atti di mero stile in entrambi i giudizi. Le parti hanno rinunciato all’istanza cautelare all’udienza camerale del 18 luglio del 2023, in vista della fissazione del merito degli appelli per l’udienza pubblica del 30 novembre 2023. Nelle more della celebrazione di tale udienza, il Comune di Venezia ha prodotto documenti e sia le parti appellanti che il Comune di Venezia hanno prodotto articolate memorie difensive, insistendo nei rispettivi assunti. 15.1. In particolare il Comune ha evidenziato e documentato per un verso come, nonostante l’adozione della delibera oggetto di impugnativa, si sia registrato un incremento dei collegamenti dall’Aeroporto di Venezia da parte di diverse compagnie aeree, e per altro verso come negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento crescente del costo dei biglietti aerei, per lo più correlato ai servizi aggiuntivi offerti. 15.2. Ha inoltre evidenziato come della documentazione prodotta - segnatamente Masterplan 2023-2037 - sia evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 15.3. Le parti appellanti hanno replicato sull’irrilevanza di quanto addotto e documentato nell’odierno grado di appello da parte del Comune. DIRITTO Il presente contenzioso ha ad oggetto la delibera del Consiglio Comunale della Città di Venezia n. 75 del 23 dicembre 2022, concernente l'approvazione del Bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, nella parte in cui dispone di istituire un'addizionale comunale sui diritti aeroportuali d'imbarco a partire dal 1° aprile 2023, oggetto di contestazione da parte di Sa. s.p.a. (d’ora in poi anche semplicemente Sa.), dall’Associazione Italiana Compagnie Aeree Lo.Fa. - Ai. (in seguito anche solamente Associazione), e dalla compagnie aeree Wi.Ai.Hu. Ltd., Wi.Ai.Ma. Ltd., Ea.Ai. Company Ltd., Ry.Da., Vo. S.L. (di seguito anche compagnie aeree). A fronte della sentenza di rigetto del Tar, le ricorrenti, con separati atti di appello, hanno reiterato le censure formulate in primo grado, contestando i passaggi motivazionali della sentenza di prime cure. Ciò posto, occorre preliminarmente procedere alla riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, ai sensi dell’art. 96 comma 1 c.p.a., in quanto proposti avverso la medesima sentenza. Prima di passare alla disamina dei motivi di appello e delle eccezioni preliminari di rito giova peraltro ripercorrere l’excursus normativo e procedimentale che ha condotto all’adozione della delibera gravata in prime cure. 19.1. Il d.l. n. 50/2022 (c.d. decreto aiuti), convertito con modificazioni dalla l. n. 91/2022, ha previsto, all’art. 43, misure di riequilibrio finanziario di province, città metropolitane e comuni capoluogo di provincia. La norma distingue: i) misure destinate a enti per i quali è in corso l’applicazione della procedura di riequilibrio ai sensi dell’art. 243-bis del d.lgs. 267/2000 o che si trovano in stato di dissesto finanziario ai sensi dell’art. 244 del medesimo decreto (comma 1); ii) misure finalizzate al riequilibrio finanziario dei comuni capoluogo di provincia che hanno registrato un disavanzo pro-capite superiore a 500 euro sulla base del disavanzo risultante dal rendiconto 2020 definitivamente approvato (comma 2); iii) misure rivolte ai comuni sede di città metropolitana “con un debito pro-capite superiore a 1000 euro, sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato... che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale” (comma 8). 19.2. Con riferimento a tale terza fattispecie, che è quella attivata dal Comune di Venezia, la procedura è disciplinata mediante rinvio al comma 2, che prevede la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei Ministri o suo delegato, su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze, nel quale “il comune si impegna, per il periodo nel quale è previsto il ripiano del disavanzo, a porre in essere, in tutto o in parte, le misure di cui all’articolo 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021”. La conclusione dell’accordo è preceduta dalla verifica delle misure proposte dai comuni interessati da parte di un tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, il quale “considerata l’entità del disavanzo da ripianare, individua anche l’eventuale variazione, quantitativa e qualitativa, delle misure proposte dal comune interessato per l’equilibrio strutturale del bilancio” (art. 43, comma 3, del d.l. 50/2022). 19.3. Con nota prot. n. 18343 del 18.7.2022 il Ministero dell’interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, ha comunicato al Comune di Venezia l’avvenuta istituzione del suddetto tavolo tecnico, invitando l’ente - qualora intenzionato ad avvalersi delle procedure previste dal citato art. 43 del d.l. 50/2022 - a proporre entro il 31.7.2022 le misure finalizzate alla sottoscrizione dell’accordo di riequilibrio strutturale (doc. 1 fasc. primo grado Comune di Venezia; al fascicolo di primo grado del Comune di Venezia si riferiscono i successivi allegati, ove non diversamente precisato). 19.4. In riscontro a tale missiva, il Sindaco del Comune di Venezia ha proposto l’istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero fino a 3 euro, in considerazione del contesto descritto nell’allegata relazione a firma del Direttore dell’Area Economia e Finanza (nota PG 342430 del 29.7.2022 - doc. 2 fasc. primo grado). 19.5. Su richiesta del Ministero dell’interno, il Comune di Venezia ha successivamente trasmesso, per l’esame da parte del tavolo tecnico, i prospetti contenenti la quantificazione delle entrate attese dall’applicazione delle misure proposte e la conseguente verifica degli equilibri di bilancio per effetto dell’applicazione di tali misure (nota PG 387323 del 31.8.2022 - doc. 3 fasc. primo grado). I prospetti sono stati accompagnati da una nota esplicativa del Direttore dell’Area Economia e Finanza nella quale è stata ribadita la situazione di importante riduzione delle entrate, a fronte della quale l’Amministrazione si era vista costretta, sia in sede di approvazione del bilancio di previsione 2022, sia in sede di assestamento, all’adozione di misure straordinarie per la copertura della spesa corrente. 19.5.1. L’Amministrazione ha quindi ipotizzato l’attuazione di una misura consistente nell’applicazione dell’addizionale pari a 2,50 euro ad una platea di 5.600.000 passeggeri stimati l’anno, per un totale di 14.000.000 fino al 2031, con una progressiva diminuzione dell’importo negli anni successivi, fino a 0,80 euro a decorrere dall’anno 2038 (v. ancora doc. 3 fasc. primo grado). 19.6. Nell’ambito delle interlocuzioni con il Ministero dell’interno, è stata inoltre condivisa la possibilità di valorizzare, quale indicatore funzionale al monitoraggio dell’accordo e della misura in riduzione dell’addizionale, l’eventuale formazione di un avanzo libero nella gestione corrente. 19.7. La proposta del Comune di Venezia è stata esaminata nella seduta del tavolo tecnico del 20.10.2022, che ha concluso l’istruttoria con esito positivo. 19.8. In data 23-25.11.2022 è stato quindi sottoscritto, tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Comune di Venezia, l’accordo denominato “Patto per Venezia” (doc. 5 fasc. primo grado e doc. 32 fasc. primo grado, completo di firme) per la formalizzazione delle misure destinate ad assicurare il riequilibrio strutturale, nel quale: - l’Amministrazione comunale si è impegnata all’attuazione di una politica di gestione del debito orientata ad una sua progressiva e costante diminuzione, tenendo conto degli investimenti programmati nell’ambito delle iniziative correlate al PNRR (punto 1); - è stata prevista l’attivazione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale per passeggero pari a 2,50 euro a persona a decorrere dal 2023 e fino al 2031, con una graduale diminuzione a partire dal 2032, fino ad euro 0,80 dal 2038 al 2042 (come da tabella ivi riportata: punto 2); - è stata considerata l’eventualità della formazione di un avanzo libero di gestione ed il suo impatto in riduzione sulla misura programmata (punti 4 e 5); - è stata prevista la facoltà del Comune di Venezia di proporre, previa deliberazione del Consiglio comunale, una diversa rimodulazione delle misure da adottare, con conseguente aggiornamento del cronoprogramma (punto 6). 19.9. Con deliberazione del Consiglio comunale n. 75 del 23.12.2022 (doc. 6 fasc. primo grado), in sede di approvazione del bilancio di previsione per gli esercizi finanziari 2023-2025, il Comune di Venezia ha quindi istituito la citata addizionale comunale, prevedendo una diversa articolazione temporale per quella sui diritti di imbarco aeroportuale e quella sui diritti di imbarco portuale. Con riferimento alla prima fattispecie è stata infatti sancita la sua applicazione a partire dal 1 aprile 2023, mentre con riguardo all’addizionale sui diritti di imbarco portuale è stata prevista l’applicazione dall’1.1.2026, “in considerazione degli effetti del d.l. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti e approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile”. 19.10. In data 13.1.2023 l’Assessore al Bilancio del Comune di Venezia ha dunque comunicato all’Amministratore Delegato di Sa. S.p.A., gestore dell’aeroporto di Venezia, l’avvenuta istituzione della citata addizionale, invitando la società a concordare un incontro finalizzato a definire le modalità di accertamento, liquidazione e riscossione dell’entrata, attività spettanti per legge e per prassi consolidata alle società concessionarie di aeroporti. 19.11. Nelle more, l’Amministrazione comunale, in attuazione della DCC n. 75/2022, ha precisato che l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale dovrà essere applicata ai biglietti venduti a partire dal 1° aprile 2023, al fine di garantire l’effettività del diritto di rivalsa accordato dalla normativa di settore ai vettori (doc. 18 fasc. primo grado). 19.12. L’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale è stata comunicata, in data 20.2.2023 all’Enac (doc. 19 fasc. primo grado) e alla Iata (doc. 20 fasc. primo grado) e in data 13.2.2023 all’Autorità di regolazione trasporti (doc. 21 e 22 fasc. primo grado). 19.13. Parallelamente, in data 1.3.2023, il Comune di Venezia ha sollecitato l’Enac a dare riscontro dell’avvenuta comunicazione ai vettori dell’istituzione dell’addizionale, al fine di consentire il tempestivo avvio dell’attività di riscossione (doc. 23 fasc. primo grado). Sennonché l’Enac - precisando che l’aggiornamento dei sistemi di biglietteria necessario per rendere esigibile la nuova addizionale comunale “avviene a seguito di una notifica effettuata per il tramite del vettore nazionale di riferimento previa apposita comunicazione da parte dell’ENAC, non essendo contemplata, da quadro normativo vigente e dalla prassi consolidatasi sin dall’istituzione della prima addizionale comunale alcuna azione diretta dei Comuni nei confronti dei Vettori” - ha chiesto al Comune di trasmettere copia di tutti gli atti istruttori che hanno preceduto l’istituzione dell’addizionale, “al fine di verificare e condividere la procedura adottata”. In pendenza del giudizio di primo grado, l’Enac, con nota del 31.3.2023, ha comunicato al Comune di aver “completato l’istruttoria necessaria per inviare la comunicazione alla IATA per l’aggiornamento degli importi relativi agli oneri accessori alle tariffe aeree” (doc. 34 fasc. primo grado). Sempre l’Enac, con ulteriore nota del 31.3.2023, indirizzata a ITA e per conoscenza, tra gli altri, anche al Comune di Venezia, ha comunicato ai vettori l’avvenuta istituzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco ai sensi dell’art. 43, co. 2 e 8 del d.l. n. 50/2022, affermando che “l’addizionale di che trattasi sarà esigibile per i biglietti venduti dal 30 maggio p.v.” e ciò in ragione del fatto che la notifica (da parte dell’Enac) ai vettori rappresenterebbe “un provvedimento di attuazione della disposizione istitutiva del tributo da cui far decorrere il [...] termine di 60 giorni (n. d.r. fissato dall’art. 3, co. 2 della L. n. 212/2000)”. Ciò posto, quanto ai presupposti normativi e ai passaggi procedimentali aventi ad oggetto la delibera oggetto di impugnativa in prime cure, in limine litis va delibata l’eccezione di difetto di interesse a ricorrere in capo all’appellante Sa., reiterata in questa sede dal Comune di Venezia, in quanto assorbita dal giudice di prime cure con la sentenza di rigetto oggetto di gravame. Infatti, come noto, l’esame delle questioni preliminari deve precedere la valutazione del merito della domanda (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4), salve esigenze eccezionali di semplificazione che possono giustificare l'esame prioritario di altri aspetti della lite, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5); inoltre l'ordine di esame delle questioni pregiudiziali di rito non rientra nella disponibilità delle parti (Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 9). La norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone infatti di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l'ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell'accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell'ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell'azione (tale fondamentale canone processuale è stato ribadito anche da Cons. Stato Ad. Plen. 3 giugno 2011, n. 10). 20.1. Segnatamente l’amministrazione comunale sostiene che Sa. non avrebbe interesse al presente giudizio in quanto il suo coinvolgimento riguarderebbe soltanto la fase di rendicontazione e riversamento all’Amministrazione di quanto riscosso a titolo di addizionale comunale, conseguendone che la Deliberazione del Comune di Venezia impugnata non arrecherebbe nessun pregiudizio alla odierna appellante. 20.2. L’eccezione, ad avviso del collegio, è infondata. Ed invero, alla luce di quanto innanzi precisato, non può che evidenziarsi come risulti dagli atti che Sa. sia il soggetto direttamente tenuto all’espletamento dell’attività di riscossione dell’addizionale, secondo quanto del resto richiesto dall’ente locale. Infatti, lo stesso Comune veneziano, con nota del 13 gennaio 2023 comunicava a Sa. la necessità di definire congiuntamente «le modalità applicative con riferimento all’addizionale comunale introdotta con la citata deliberazione», rendendosi dunque necessario stipulare un accordo per la disciplina della gestione amministrativa e finanziaria finalizzata alla riscossione e al versamento dell’entrata in questione, comprese le attività correlate e complementari, gravando pertanto la concessionaria dell’aeroporto di tali attività. Peraltro è la stessa deliberazione C.C. impugnata che ha attribuito ai gestori aeroportuali l’onere della riscossione e del riversamento al Comune, delegando alla Giunta l’approvazione di appositi accordi (con la concessionaria dell’aeroporto) per la disciplina di tale attività (cfr. p. 27 del dispositivo della delib. C.C. 75 impugnata). 20.3. Inoltre, a prescindere da tali superiori rilievi, come replicato da Sa. all’eccezione formulata dal Comune, al di là dell’attività di riscossione e dei relativi costi, Sa. è altresì direttamente interessata dall’incremento dell’addizionale sui diritti d’imbarco oggetto di impugnativa per la circostanza che, con la sua entrata in vigore, l’aeroporto Marco Polo di Venezia è diventato il più caro d’Italia (l’incremento dell’addizionale di 2.50 euro va infatti aggiunto ai 6.50 euro già vigenti, per un totale di 9,00 euro). A ciò consegue pertanto il lamentato effetto lesivo - da valutarsi ex ante al momento dell’adozione della delibera, secondo un criterio di consequenzialità logica e non ex post, con conseguente irrilevanza di quanto dedotto e documentato nell’odierno grado di appello dal Comune di Venezia circa l’aumento dei voli presso l’aeroporto di Venezia, pur dopo l’adozione della misura - riferito al pericolo di abbandono o riduzione dei voli da e per l’Aeroporto Marco Polo, con un evidente impatto sul numero dei passeggeri che transitano per il sedime aeroportuale e, conseguentemente, sulle strategie del gestore aeroportuale. Ciò posto, nell’esaminare i motivi di appello, non avendo le parti appellanti vincolato i motivi in senso vincolante per il giudice, secondo il noto arresto di cui alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 5 del 2015, ad eccezione dell’ultimo motivo, relativo alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 43 commi 2, 3 e 8 del d.l. n. 50 del 2022, nonché dell’art. 1, comma 572 della l. n. 234/2021, formulati in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, il collegio esaminerà le censure in ordine logico, avuto in particolare riguardo alla maggiore satisfattività delle stesse rispetto agli interessi fatti valere dalle parti appellanti. In tale ottica ritiene il collegio che l’esame delle censure articolate in entrambi gli appelli al primo motivo, in quanto riferite alla mera decorrenza dell’addizionale di cui è causa, possa essere postergato alla disamina degli ulteriori motivi, del pari formulati in via principale, in quanto riferiti alla stessa legittimità dell’istituzione dell’indicata misura, con possibilità pertanto di assorbimento in caso di ritenuta fondatezza degli stessi. Il secondo motivo di appello articolato da Sa., nonché l’analogo secondo motivo di appello formulato dall’Associazione e dalle compagnie aeree, volti a contestare la sentenza di prime cure, nei punti in cui ha disatteso le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, sono fondati nel senso di seguito precisato. 23.1. Il giudice di prime cure, nel disattendere i motivi formulati dalle odierne appellanti, ha in primo luogo osservato come la delibera oggetto di impugnativa non necessitasse di motivazione in quanto atto generale, richiamando a sostegno di tale conclusione una sentenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, 12 febbraio 2020, n. 1111), che così ha qualificato un atto di approvazione del calendario nazionale delle corse negli ippodromi (par. 14.1 della sentenza), nonché altro pronunciamento di questa Sezione, (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003, n. 4117), relativa alla non necessità di motivazione dell’intervallo d’imposta fra il minimo ed il massimo, laddove nell’ipotesi di specie viene in rilievo la decisione, fra le varie scelte lasciate dalla normativa innanzi indicata alla discrezionalità dell’ente locale, della stessa istituzione dell’addizionale di cui è causa. Inoltre, secondo il giudice di prime cure, il merito della scelta operata dall’amministrazione comunale - reso sulla scorta del parere del tavolo tecnico - sarebbe inconfutabile (par. 14.2 della sentenza), così come inconfutabili sarebbe l’iscrizione delle poste del bilancio di previsione dell’ente e le disposizioni volte a individuare le risorse destinate a dare copertura alle voci di spesa (14.3). Per quanto specificamente concerne poi l’art. 43, comma 8, d.l. n. 50/2022, la procedura prescinderebbe dall’accertamento di una situazione di astratto pareggio formale, ovvero dalla presenza di un avanzo o disavanzo transitorio e, nella specie, la deliberazione impugnata sufficientemente chiarirebbe i presupposti atti a giustificare l’introduzione dell’addizionale (ossia, l’entità del debito pro capite e l’instaurazione del percorso di riequilibrio strutturale) (parr. 14.5 - 14.7 della sentenza). Infine, tale misura non sarebbe né irragionevole né discriminatoria, in quanto il Comune avrebbe esigenza di reperire le risorse per sopperire alle esternalità negative, generate dall’aeroporto, e rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore la scelta di destinazione del gettito (parr. 14.8 - 14.9). Le statuizioni di prime cure sono state sottoposte a critica dalle odierne appellanti, che hanno reiterato le censure di difetto di istruttoria e di motivazione articolate in prime cure, evidenziando l’erroneità della motivazione resa al riguardo dal primo giudice. Nell’esaminare tali censure giova peraltro richiamare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel giudizio amministrativo l'art. 101 c.p.a. (d.lgs. n. 104/2010) - che fa riferimento a "specifiche censure contro i capi della sentenza gravata" - deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell'appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione - ove necessario - della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest'ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; 17 gennaio 2020, n. 430; 13 febbraio 2017, n. 609). 25.1. Ciò posto, vanno in primo luogo disattese le censure formulate da Sa., su cui il primo giudice si è pronunciato in maniera implicita, rinviando per un verso alla completezza dell’istruttoria svolta dal tavolo tecnico e per altro verso alla finalità della misura, volte a contestare, sia pure sotto il profilo del difetto di istruttoria, avuto riguardo anche alla perizia prodotta in prime cure, la stessa sussistenza dei presupposti per il ricorso alla misura de qua. 25.2. Nella richiamata relazione di parte si afferma infatti che “dall’andamento del risultato di amministrazione dell’ultimo triennio si evince come non sussistono le esigenze per il riequilibrio strutturale” (v. pg. 14 dell’atto di appello). Il riferimento è alla situazione di avanzo che il perito di parte ha indicato con riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022” (punto 5 del doc. 5 del fasc. di primo grado di Sa.). Il rilievo è privo di fondamento, in quanto, come innanzi precisato, condizione per l’attivazione della procedura di cui ai commi 2 e 8 dell’art. 43 del DL 50/2022 e dunque per l’applicazione dell’addizionale comunale oggetto di causa è l’esistenza di un “debito pro-capite superiore ad euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP al 30 giugno 2022” (co. 8 del cit. art. 43) 25.2.1. La procedura prevista dall’art. 43, commi 2 e 8 del d.l. n. 50/2022 pertanto, come evidenziato nelle difese del Comune: (i) è compatibile con una situazione di avanzo di amministrazione, altrimenti il legislatore avrebbe limitato tale strumento ai soli enti in disavanzo (laddove il comma 8 del citato art. 43 si riferisce ai comuni con debito pro-capite superiore a euro 1.000 “che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale”); (ii) è compatibile con una transitoria assenza di disavanzo, siccome finalizzata al raggiungimento di un equilibrio duraturo. Per contro fondate sono le censure di difetto di motivazione e di istruttoria articolate del pari nel secondo motivo da entrambe le parti appellanti, con i separati ricorsi, nel senso di seguito precisato. 26.1. Il primo giudice ha al riguardo in primo luogo affermato che la delibera comunale oggetto di impugnativa, in quanto atto generale, si sottrae all’obbligo di motivazione, ex art. 13 l. 241/90. 26.2. L’assunto, ad avviso del collegio, non è condivisibile, dovendo aderirsi a quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dalle parti appellanti, secondo il quale, anche per gli atti a carattere generale aventi carattere composito sussiste un obbligo motivazionale che è conseguenza diretta dei fondamentali principi di legalità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione (ex multis T.A.R. Piemonte, Sez. I, n. 101/2020; in termini Cons. Stato, Sez. V, nn. 5729/2019, 1162/2019, 539/2022). Secondo tale condivisibile orientamento i provvedimenti che costituiscono e disciplinano la tariffa per la gestione dei rifiuti (e dunque in materia tributaria), “pur avendo natura di atti generali... hanno un contenuto composito, in parte regolamentare e in parte provvedimentale (con particolare riferimento al costo del servizio e la determinazione della tariffa.... le agevolazioni... le modalità di riscossione... etc.) che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e che non può essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento, i quali, ai sensi dell’ar.t 97 della Cost. devono caratterizzare l’azione amministrativa”. Pertanto anche tali provvedimenti, in base alla richiamata giurisprudenza, non si sottraggono alle censure di difetto di istruttoria e di motivazione. Ciò posto, avuto riguardo altresì alla motivazione contenuta nella sentenza di prime cure circa la sufficiente indicazione contenuta negli atti gravati dei presupposti giuridici e fattuali per il ricorso all’indicata misura, occorre ripercorrere l’iter istruttorio, con il correlativo supporto motivazionale, che ha portato all’adozione della delibera n. 77 del 23 dicembre 2022, oggetto di impugnativa in prime cure, avendo le parti appellanti censurato la sentenza del Tar, laddove ha ritenuto l’Amministrazione esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza peraltro alcuna considerazione, né motivazione delle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge per il raggiungimento del medesimo risultato e senza dare evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo. 27.1 Ciò posto, giova precisare che la delibera oggetto di impugnativa, che è l’atto terminale del procedimento che ha portato all’istituzione dell’addizionale de qua, risulta così motivata: “Richiamato l’articolo 43, comma 8 del decreto legge n. 50/2022 convertito con legge 15.7.2022 n, 91 che consente ai comuni sede di città metropolitana, con un debito pro-capite superiore ad euro 1.000,00 sulla base del rendiconto dell’anno 2020, di attivare le procedure di cui ai commi 2, 3 e 6 del medesimo articolo; Dato atto che in esito alla procedura di verifica tecnica di direzione ministeriale, di cui al comma 3 dell’articolo 43 del decreto legge n. 50/2022 è stato sottoscritto tra i soggetti, con le modalità e i termini previsti dalla norma, l’accordo di cui all’art. 43 comma 2 del medesimo decreto, che prevede l’attuazione della misura di cui all’articolo 1, comma 572, lettera a) della L. 234/2021 relativamente all’addizionale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale; Considerato che il recepimento delle misure accordate dal Tavolo tecnico ministeriale ai sensi della richiamata normativa costituisce prescrizione sostanziale per l’efficacia dell’accordo; Preso atto che ai sensi del punto 6 dell’accordo, il Comune di Venezia può, “previa deliberazione del Consiglio Comunale, proporre una diversa modulazione delle misure da adottare e aggiornare, di conseguenza, il cronoprogramma”; Ritenuto pertanto: -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, in considerazione dei tempi tecnici di avvio, di procede con l’istituzione e con l’applicazione a decorre dal 1° aprile 2023; -quanto all’addizionale sui diritti di imbarco portuale, in considerazione degli effetti del D.L. n. 103/2021, convertito dalla legge n. 125/2021, che hanno determinato una situazione di mutabilità logistica e incerto andamento relativamente a transiti ed approdi delle grandi navi passeggeri con effetti la cui durata ad oggi non è prevedibile, di prevedere l’istituzione con successivo atto a decorrere dal 1° gennaio 2026; Ritenuto quindi di procedere con l’istituzione, a decorrere dal 1° aprile 2023, dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuale nella prescritta misura di euro 2,50 dal 2023 al 2031, e progressivamente diminuita negli importi indicati a decorrere dal 2032 e fino al 2042, fatta salva diversa modulazione, previa deliberazione del Consiglio Comunale, ai sensi del punto 6 dell’accordo; Dato atto che, in applicazione della normativa vigente (tra le altre L. 324/1976, D.Lgs. 250/1997, L. 350/2003) e della prassi esecutiva di altri enti, le modalità di riscossione di detta addizionale saranno definite con appositi accordi con i soggetti interessati da approvarsi a cura della Giunta Comunale; Richiamato il regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche; Dato atto che, a seguito modifiche legislative intervenute, è attualmente all’esame degli organi consiliari la proposta di deliberazione n. 1032/2022 ad aggetto: “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città Antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, comma 1129 della legge n. 145 del 30/12/2018”; Ritenuto quindi necessario sospendere l’efficacia del regolamento per “L’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con qualsiasi vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre isole minori della laguna”, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 11 del 26.02.2019 e successive modifiche”. 27.2. Peraltro occorre considerare anche le motivazioni emergenti dagli atti presupposti rispetto all’indicata delibera, da intendersi richiamati per relationem nella stessa. 27.3. Infatti, come innanzi precisato, l’articolo 43, comma 8, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2022, n. 91, consente ai comuni sede di città metropolitana e ai comuni capoluoghi di provincia con un debito pro capite superiore a euro 1.000 sulla base del rendiconto dell’anno 2020 definitivamente approvato e trasmesso alla BDAP entro il 30 giugno 2022, di avviare un percorso di riequilibrio strutturale attraverso la sottoscrizione di un accordo con il Presidente del Consiglio dei ministri o suo delegato, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, accordo pertanto costituente il necessario presupposto della delibera impugnata. 27.4. L’Accordo tra lo Stato ed il Comune di Venezia depositato in atti, denominato Patto per Venezia, la cui sottoscrizione è stata subordinata alla verifica, da parte del Tavolo tecnico appositamente istituito presso il Ministero dell’Interno, ai sensi del citato art. 43 d.l. n. 50 del 2022, delle misure proposte dai comuni interessati ai fini dell’equilibrio strutturale del bilancio, scelte tra quelle previste all’articolo 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, a sua volta, nel rinviare al resoconto della seduta del 20 ottobre 2022 del Tavolo tecnico, precisa che dalle risultanze di tale tavolo è emerso che, nonostante il comune di Venezia abbia registrato nel triennio 2019-2021 un consistente avanzo libero, questo sia stato determinato da eventi straordinari e non ricorrenti e che, nel contempo, il Comune aveva rappresentato significative riduzioni di entrata, legate in via principale al fenomeno turistico, evidenziando come allo stato attuale non vi fossero indicazioni che consentissero di considerare tali entrate transitorie. La rigidità del bilancio, derivante dall’attuale livello di indebitamento e da quello da contrarre per garantire la realizzazione di nuovi investimenti correlati al PNRR, si ripercuoterebbe infatti sul mantenimento degli equilibri finanziari che, in assenza di misure straordinarie, rischierebbe di compromettere la qualità e di rivedere al ribasso la quantità dei servizi erogati. 27.5. A sua volta la nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29/7/2022, con cui si è comunicato al Ministero dell’Interno l’intenzione di avvalersi della previsione di cui all’art. 43, comma 8, del decreto legge 7 maggio 2022, ovvero l’atto di impulso all’istituzione dell’addizionale de qua, rappresenta in primo luogo il percorso virtuoso dell’Amministrazione comunale che, a partire dal 2015, aveva intrapreso un’importante opera di risanamento finanziario, con azzeramento del disavanzo e riduzione dell’indebitamento. 27.5.1. Peraltro, nella nota stessa si precisa che “Nonostante tali risultati, l’impatto del debito sugli equilibri di bilancio, anche in considerazione di operazioni derivate comportanti differenziali negativi significativi, continua ad essere importante. Nel 2021, infatti, a titolo di rimborso quote capitale, interessi, accantonamenti per rimborso prestito obbligazionario bullet, differenziali swap ed oneri pluriennali il Comune di Venezia ha assunto impegni per euro 29.919.641,85. In una situazione di normalità, la dinamica del debito sarebbe stata tale da poter essere gestita, pur con qualche dovuta attenzione, all’interno di un quadro di bilancio prospetticamente in sostanziale equilibrato ed in tale contesto il Comune aveva programmato l’accensione di nuovo debito a supporto della realizzazione, con i fondi del PNRR, di un’opera strategica per il territorio che manca di strutture sportive di primissimo livello quali è innegabile debbano essere presenti in una città capoluogo di città metropolitana. In tale contesto, infatti, il Comune ha avviato la realizzazione di una importante area sportiva, con stadio e Ar., per un investimento di circa 280 mln. di cui 1/3 con fondi PNRR, 1/3 con fondi propri già disponibili e 1/3 con ricorso ad indebitamento, che quindi risulta essere funzionale al perseguimento di tale importante obiettivo. Si rappresenta, peraltro, che la scelta dell’amministrazione di ricorrere a nuovo debito dopo che dal 2015 in poi il nuovo debito assunto è stato pari ad euro 6.000.000,00, è stata effettuata nella consapevolezza che nonostante tale nuova accensione, il debito complessivo avrebbe comunque proseguito la dinamica di tendenziale decrescita. L’evoluzione della situazione congiunturale sta invero comportando una diversa valutazione sull’incidenza del peso del debito che, ancorché come detto in tendenziale diminuzione anche in presenza del nuovo debito da contrarre, rischia di mettere a repentaglio la capacità dell’amministrazione di garantire l’erogazione dei servizi essenziali. La Città di Venezia, infatti, sta registrando una difficoltà nel vedere le entrate ritornare al livello prepandemico. In un contesto di generale ripresa del turismo, infatti, i dati del comune segnano tutt’ora un livello significativamente lontano rispetto ai valori del 2019. A titolo di esempio, infatti, le entrate per accesso alla zona traffico limitato bus turistici, che nel 2019 hanno generato entrate per oltre 20 mln., a giugno 2022 hanno registrato un valore del 54% inferiore rispetto all’analogo mese del 2019; le entrate accertate a titolo di imposta di soggiorno (che nel 2019 hanno comportato accertamenti per oltre 37 mln.) sono state nel secondo trimestre 2022 del 10% inferiori rispetto all’analogo periodo del 2019. Tale situazione se confermata rischia di portare il Comune in una situazione di tendenziale squilibrio anche per le annualità successive al 2022, anno nel quale in sede di assestamento di bilancio si è dovuto ricorrere alla procedura di riequilibrio di bilancio ai sensi di quanto previsto dall’articolo 193 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ipotizzando quindi la necessità di dover ricorrere ripetutamente a tale procedura, subordinatamente all’emergere di risorse utili allo scopo, al fine di garantire il mantenimento degli standard di servizio attualmente in essere, che in assenza di tali possibili risorse potrebbero dover essere rivisti al ribasso. In tale contesto, quindi, al fine di rendere maggiormente sostenibili gli oneri del debito sul bilancio dell’ente e quindi continuare a garantire i livelli di servizio, la proposta di istituzione di una addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aereoportuale per passeggero fino a euro 3 potrebbe quindi concorrere al completamento del percorso di riequilibrio avviato nel 2015. I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito. Per i dati di imbarco portuale, l’attuale situazione della crocieristica veneziana non consente di effettuare valutazioni attendibili e quindi, allo stato, non si considera tale possibile entrata”. Ciò posto, avuto riguardo alle risultanze degli indicati passaggi procedimentali, con la correlativa motivazione, ritiene il collegio che la sentenza di prime cure non sia condivisibile nel punto in cui ha ritenuto che l’Amministrazione fosse esonerata dal motivare le proprie scelte di istituire l’addizionale sui diritti di imbarco aeroportuale, senza alcuna considerazione né motivazione sulle ragioni per cui non aveva considerato alcuna delle altre opzioni consentite dalla legge (il richiamato comma 572 l. 234/2021 ne prevede ben 15) per il raggiungimento del medesimo risultato, gravando i soli passeggeri che si imbarcano a Venezia, anziché ricorrere, anche in parte, alle altre misure che potevano essere assunte per far fronte allo squilibrio strutturale del Comune. Ed invero, né nella proposta del dirigente dei Servizi finanziari del Comune, né nel verbale del tavolo tecnico, né nell’accordo (c.d. Patto per Venezia), né infine nella delibera istitutiva dell’addizionale de qua, secondo quanto innanzi riportato, compare alcuna considerazione sulla possibilità di ricorrere in tutto o in parte alle altre misure consentite dal legislatore. 28.1. Come correttamente evidenziato dalle parti appellanti, la circostanza che, ai sensi del combinato disposto dei commi 2 e 8 dell’art. 43, d.l. n. 50/2022, il legislatore abbia autorizzato il Comune a porre in essere le misure di cui all’art. 1, comma 572, l. n. 234/2021 non esonera l’amministrazione dal motivare in ordine alle ragioni per le quali era stata adottata l’addizionale comunale sui diritti di imbarco, in luogo delle altre previste, anche dando evidenza dei dati che la rendevano maggiormente coerente con la ratio perseguita e idonea al risanamento del disavanzo, avuto riguardo anche alle ragioni di tale disavanzo. 28.1.1. Come innanzi precisato dall’istruttoria non risulta che l’Amministrazione abbia effettuato alcuna valutazione non solo circa la possibilità di adottare le ulteriori misure di cui al citato comma 572 dell’art. 1 della l. n. 234/2021, ma anche sulla opportunità di incrementare l’addizionale comunale all’Irpef, che avuto riguardo ad un interpretazione costituzionalmente orientata del disposto normativo, sarebbe stata probabilmente più coerente, avuto riguardo alla motivazione sottesa ai richiamati atti, in quanto applicata nei confronti dei cittadini del Comune di Venezia, ossia dei soggetti direttamente interessati al risanamento finanziario dell’Ente e alle finalità sottese alla misura imposta, avuto in particolare riguardo alla circostanza che, come emergente dalla suddetta Relazione Tecnica del Comune, innanzi richiamata, che ha dato impulso all’avvio del procedimento, l’Ente ha provveduto all’accensione di un nuovo debito per la realizzazione, in parte con i fondi del PNRR, di una “importante area sportiva, con stadio e Ar.”, ovvero un’area destinata in particolare alla fruizione della cittadinanza. Peraltro, come evidenziato dall’Associazione e dalla compagnie aeree appellanti, la scelta di adottare un’addizionale comunale sui diritti aeroportuali è stata adottata dal Comune di Venezia sulla base dei soli dati di traffico dell’Aeroporto relativi all’anno 2019 (forniti da ENAC), senza tenere conto dei dati aggiornati, relativo al successivo biennio, inciso, come noto, in modo significativo dall’emergenza pandemica e senza pertanto considerare che il settore aereo era risultato gravemente colpito dagli effetti della pandemia da Covid-19. 29.1. Sotto questo profilo non appaiono convincenti le difese comunali con le quali si è evidenziato che, al contrario di quanto addotto da parte appellante, nello stesso documento richiamato dalle parti appellanti si sarebbe precisato che: “I dati di traffico dell’aereoporto Marco Polo di Tessera dell’anno 2019 evidenziano un numero di partenze pari 5.775.658 (fonte Enac - Dati di traffico 2019). In considerazione dell’attuale situazione si ipotizza un dato a regime comunque prudenzialmente non superiore a 5.500.000, per un importo a bilancio pari a euro 16.500.000,00 (in caso di importo pari ad euro 3) che rappresentano circa il 50% degli attuali oneri sul debito” (nota del Comune di Venezia PG 342430 del 29.7.2022, prodotta dal Comune sub doc. 2 nel fasc. primo grado). Ed invero proprio detto riferimento rende palese come l’istruttoria sia stata condotta avendo riguardo non ai dati aggiornati all’epoca di adozione della delibera, ma ad una mera stima prudenziale fondata sui dati del 2019 comunicati da ENAC. 29.2. Deve pertanto ritenersi condivisibile, avuto riguardo al calo dei voli aerei determinato dall’emergenza Covid, quanto dedotto dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti secondo le quali, qualora il Comune avesse utilizzato i dati ENAC disponibili alla data di adozione della Deliberazione, ossia quelli per le annualità 2020 e 2021, avrebbe potuto agevolmente rilevare un flusso dei passeggeri nettamente inferiore rispetto al 2019. 29.3. Né in senso contrario rileva, secondo quanto innanzi precisato nell’esaminare l’eccezione preliminare sollevata dal Comune circa l’interesse a ricorrere di Sa., l’aumento dei voli aerei per il periodo successivo alla data di adozione della delibera, quale documentato dal Comune nelle more della celebrazione dell’udienza pubblica, dovendosi avere riguardo ai dati esistenti al momento dell’adozione dell’atto gravato e che avrebbero dovuti essere presi in considerazione in sede istruttoria. Parimenti non condivisibile è la motivazione della sentenza di prime cure, relativa alla delibazione di cui al terzo motivo di diritto del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sollevato da Sa. e dell’analogo motivo formulato dall’Associazione e dalle compagnie nel quinto motivo, con cui le ricorrenti avevano lamentato la mancata disamina in sede istruttoria della proporzionalità della misura adottata. 30.1. In particolare Sa. aveva dedotto come immotivatamente il Consiglio Comunale avesse deciso di adottare l’addizionale comunale, in misura oltremodo squilibrata e gravosa per i passeggeri dell’aeroporto Marco Polo, che nella stragrande maggioranza dei casi (il 96% dei passeggeri non sono veneziani e il 53% non hanno Venezia come destinazione principale) non hanno alcun collegamento con il ripiano del disavanzo del Comune di Venezia, senza nemmeno considerare una qualche riduzione della spesa o un’altra delle tante opzioni offerte dal comma 572 dell’art. 1 della l. 234/2021, per giungere al risultato del riequilibrio strutturale. Al riguardo il Tar si è limitato a evidenziare - senza che vi fosse alcun riscontro motivazionale in atti - come l’aeroporto generi un sovraccarico sulle infrastrutture cittadine, «dando luogo a esternalità negative che il Comune è evidentemente tenuto a fronteggiare reperendo adeguate risorse finanziarie» (par. 14.8 della sentenza). Né al difetto di istruttoria e motivazione sotto questo profilo può sopperire la documentazione sopravvenuta, depositata nel presente grado di giudizio dal Comune di Venezia - e segnatamente il Masterplan 2023-2037 - dalla quale, in tesi del Comune, sarebbe evincibile l’impatto che il traffico aereo genera, tra gli altri, sulle infrastrutture, servizi e ambiente del Comune di Venezia. 30.2. Inoltre, come evidenziato dall’Associazione e dalla Compagnie aeree, e non contestato dal Comune, introducendo l’addizionale comunale sui diritti di imbarco aeroportuali pari ad euro 2,50 - ossia stabilita nella misura quasi massima, considerato che l’art. 43, comma 3 del d.l. n. 50/2022 stabilisce che “l’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale non può essere superiore a 3 euro per passeggero” - la tassazione per chi parte dall’Aeroporto di Venezia passa da Euro 6,50 ad Euro 9,00, divenendo così la più elevata d’Italia. 30.3. A tal riguardo non può negarsi che l’incremento per passeggero, considerato il prezzo medio dei biglietti aerei, e in particolare le tariffe applicate dalle compagnie low cost, quali i Vettori appellanti, sia proporzionalmente eccessivo; esso, infatti, è quantificabile tra il 4% e il 7% della tariffa media di una low fares per un biglietto di sola andata. Né in senso contrario rileva quanto dedotto e documentato in questa fase dal Comune circa l’aumento del costo dei biglietti negli ultimi anni, sia perché trattasi di circostanza successiva alla delibera oggetto di impugnativa, sia perché correlato, come del resto ammesso dal Comune, all’offerta di servizi aggiuntivi opzionabili dal cliente e non all’acquisto del biglietto base, secondo le note politiche tariffarie delle compagnie low cost. 30.4. Né il difetto di proporzionalità della misura può essere ovviato, come ritenuto dal primo giudice, in ragione del “meccanismo di adeguamento previsto dal Patto per Venezia” il quale “consente pur sempre la rimodulazione nel tempo dell’addizionale anche nel caso di contrazione o aumento dei traffici, imponendo in particolare all’Ente di disporne la riduzione nel caso di “formazione di un avanzo libero [...] di importo superiore alle entrate derivanti dall’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale e aeroportuale accertate nell’anno di riferimento aumentate del 50%” (cfr. par. 14.7 della Sentenza). Ed invero occorre evidenziare innanzitutto, come non sia prevista alcuna rimodulazione dell’addizionale nel caso di “contrazione o aumento dei traffici” ed in secondo luogo come la censurata sproporzione della misura introdotta dalla Deliberazione non può essere attenuata dalle clausole contenute nel Patto per Venezia c.d. “di salvaguardia”, che subordinano una non definibile diminuzione dell’addizionale comunale sui diritti di imbarco portuale ed aeroportuale a futuri ed incerti eventi, nell’an e nel quando, condizionati in particolare ad una eventuale formazione di un determinato avanzo libero. 30.5. Il Comune di Venezia ha quindi adottato una misura che, in quanto non preceduta da una congrua istruttoria e motivazione in ordine alle alternative prese in considerazione dalla norma e delle cause che avevano causato l’indebitamento (cfr la indicata realizzazione degli impianti sportivi a beneficio dei cittadini di Venezia solo parzialmente finanziata con i fondi PNRR), non resiste, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, alle articolate censure, che hanno ben posto in evidenza anche la non proporzionalità della misura e la sua incidenza su persone (i passeggeri in partenza da Venezia) che verosimilmente potrebbero non essere né cittadini veneziani, né turisti in visita a Venezia - a differenza dei soggetti incisi dalla tassa di ingresso a Venezia - ma magari cittadini veneti che periodicamente si imbarcano dall’aeroporto di Venezia e che pertanto alcun beneficio potrebbero ricevere dai servizi resi dal Comune di Venezia, non potendosi annettere, in senso contrario, come innanzi precisato, alcun rilievo alla documentazione prodotta nel presente grado di appello. (Masterplan 2023-2037). 30.5.1. Nella sostanza pertanto la misura de qua, in quanto non supportata da congrua motivazione ed istruttoria, finirebbe per connotarsi come un contributo di solidarietà in favore del Comune di Venezia, fondato sulla sola occasionalità dell’utilizzo dello scalo aeroportuale di Venezia. 30.6. Né risulta condivisibile - avuto riguardo ai dedotti vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, nonché di mancata valutazione della proporzionalità della misura e di ricorso ad altre possibili forme di ripianamento, alla stregua delle possibilità di scelta concesse dalla normativa - quanto dedotto nelle difese del Comune di Venezia, circa il fatto che l’istituzione dell’addizionale comunale prevista dal citato art. 43 non sarebbe altro che una attuazione della previsione contenuta in una norma di rango primario, la cui rispondenza alla valutazione di adeguatezza è stata compiuta a monte da un Tavolo tecnico istituito presso il Ministero dell’interno, nonché sul rilievo che la delibera in questione rappresenterebbe un atto doveroso, la cui adozione è necessaria al fine di rispettare gli impegni assunti con lo Stato. 30.7. Ed invero deve aversi riguardo, come innanzi precisato, alle alternative rimesse dalla normativa primaria alla scelta discrezionale dell’Amministrazione, in alcun modo valutate in sede procedimentale, e segnatamente, né nell’atto di impulso del Comune, né in sede di tavolo tecnico preordinato all’adozione dell’Accordo per Venezia, né infine nella delibera gravata, per cui alcun automatismo è ravvisabile rispetto alla previsione normativa. Ed invero, sebbene l’art. 43 del d.l. n. 50/2022, come osservato dal Comune nella propria memoria, non preveda alcuna gerarchia tra le misure in concreto adottabili, resta fermo che l’Amministrazione era tenuta a fornire le motivazioni sottese alla decisione adottata a fronte della pluralità di scelte consentite dalla normativa primaria. 30.7.1. Intese in questi termini le censure sono pertanto fondate, senza che sia configurabile un inammissibile sindacato delle scelte di merito dell’Amministrazione, rimanendosi nell’alveo delle censure di difetto di motivazione e di istruttoria anche relativamente alla proporzionalità della misura, con possibilità pertanto di riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione, nel rispetto dei vincoli conformativi derivanti da questo decisum. Le indicate censure di difetto di motivazione e di istruttoria, in quanto di carattere assorbente, renderebbero superfluo la disamina delle ulteriori censure. Le stesse peraltro verranno sommariamente affrontate solo per esigenze di completezza. Non fondate appaiono al riguardo le censure, del pari contenute nel secondo motivo degli appelli riuniti, relative alla connessione fra l’adozione della gravata delibera e la decisione sulla sospensione della tassa di accesso a Venezia. 33.1. Dalla lettura della DCC 75/2022 si evince infatti che il Regolamento per l’istituzione e la disciplina del contributo di accesso è stato approvato con DCC n. 11/2019 e che, a seguito di modifiche normative che avevano inciso radicalmente sul presupposto del contributo stesso, era all’esame degli organi consiliari la nuova bozza di provvedimento, circostanza impeditiva dell’applicazione del regolamento già approvato, senza che ciò potesse implicare alcuna “rinuncia” dell’Amministrazione alla riscossione del contributo, le cui poste sono state iscritte nel bilancio di previsione (cfr. la nota integrativa al bilancio di previsione 2023 - 2025, pag. 18, nella quale si precisa che “Con l’art. 12, comma 2 ter del decreto legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge 15 febbraio 2022, n. 15, peraltro, è stata introdotta una dirimente modifica alla norma sopra richiamata, prevedendo l’applicabilità del contributo per l’accesso alla Città antica e alle altre isole minori della laguna, anche senza vettore. Considerato che la suddetta novella impone una modifica regolamentare in materia... allo scopo di provvedere al necessario ri-allineamento conformativo tra norma di legge e disciplina secondaria di esecuzione della stessa, mediante la formulazione di una proposta di ristrutturazione generale dell’impianto regolamentare, si rappresenta che, ad oggi, la proposta di approvazione del nuovo regolamento, con l’abrogazione del precedente è all’esame del Consiglio comunale e, conseguentemente, l’avvio è subordinato alla conclusione dell’iter consiliare...” - doc. 28 fasc. primo grado del Comune di Venezia). 33.2. Parimenti infondata è la censura, fondata sulla irrazionalità della scelta volta a postergare l’entrata in vigore dell’addizionale comunale de qua con riferimento agli imbarchi portuali, in quanto il Comune nella delibera impugnata ha considerato debitamente le difficoltà create agli operatori portuali dal decreto governativo sul blocco all’ingresso delle c.d. grandi navi al Porto di Venezia, attraverso il bacino di S. Marco e il canale della Giudecca, rinviando al 2026 l’applicazione dell’addizionale ai passeggeri che si imbarchino sulle navi del Porto di Venezia. La circostanza che il Comune non abbia per contro considerato che nel periodo Covid il traffico aeroportuale sia diminuito, pertanto, non vale ex se ad inficiare la scelta ragionevolmente compiuta circa il differimento dell’entrata in vigore della misura con riferimento agli imbarchi portuali, posto che in ogni caso, con riferimento tanto agli imbarchi portuali - per cui è previsto il differimento dell’entrata in vigore dell’imposta - che con riguardo a quelli aereoportuali, l’addizionale è stata fissata nella misura di euro 2,50, per cui alcun beneficio potrebbero ricavare le appellanti dalla pari decorrenza dell’imposta con riferimento agli imbarchi portuali, ovvero a partire dal 1 aprile 2023. Parimenti infondato è il terzo motivo di appello formulato da Sa., volto ad evidenziare l’illegittimità dell’indicata misura per il mancato coinvolgimento dell’Enac e della stessa Sa., posto che la normativa di rango primario (art. 43 del d.l. n. 50 del 2022 che rinvia all’art. 1 comma 572 l. m. 243 del 2021) non prevede alcun coinvolgimento di detti soggetti e che pertanto occorrerebbe semmai sollevare questione di costituzionalità dell’indicata normativa, laddove la stessa Sa. ha formulato solo in via subordinata la questione di legittimità costituzionale. Ed invero, come correttamente sul punto osservato dal primo giudice, la competenza dell’Enac in materia di atti concernenti tariffe, tasse e diritti aeroportuali risulta circoscritta alla sola “istruttoria [...] per l'adozione dei conseguenti provvedimenti del Ministro dei trasporti e della navigazione” (art. 2, comma 1, lett. e del d.lgs. n. 250 del 1997), fattispecie che non appare sovrapponibile o analoga a quella in esame, vertendosi in questo diverso caso dell’istituzione dell’addizionale sul diritto d’imbarco da parte dell’Amministrazione comunale in forza della speciale procedura, prevista dall’art. 43, del d.l. n. 50 del 2022 e diretta al riequilibrio finanziario dell’ente. Infine infondata è la censura contenuta nel quarto motivo, formulato da Sa., e nel terzo motivo, articolato dall’Associazione e dalle compagnie aeree appellanti, fondata sul rilievo che il Tavolo Tecnico aveva concluso la propria istruttoria all’esito della riunione del 20 ottobre 2022 e quindi, oltre il termine del 30 settembre fissato dall’anzidetta disposizione di legge, trattandosi all’evidenza di un termine ordinatorio in funzione acceleratoria e non di un termine decadenziale. 35.1. È infatti principio consolidato quello secondo il quale “un termine è perentorio soltanto qualora vi sia una previsione normativa che espressamente gli attribuisca questa natura, ovvero quando ciò possa desumersi dagli effetti, sempre normativamente previsti, che il suo superamento produce (quali, ad esempio, una preclusione o una decadenza [...]). Ove manchi un’espressa indicazione circa la natura del termine o gli specifici effetti dell’inerzia, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell’interesse pubblico coinvolto. Naturale corollario di tale ricostruzione è che in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio” (Cons. Stato, 22.1.2020, n. 537. In senso analogo, Cons. Stato, 6.6.2017, n. 2718). Il primo motivo di appello, per contro, in quanto riferito alla sola decorrenza dell’applicazione dell’addizionale de qua, deve intendersi assorbito, avuto riguardo alle evidenziate ragioni di accoglimento degli appelli riuniti, maggiormente satisfattive degli interessi delle parti. In conclusione l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. 37.1. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all'esame del Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016, n. 3176). Gli argomenti di difesa non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono nondimeno eccezionali e gravi ragioni, avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, per compensare integralmente fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), riunisce preliminarmente gli appelli come in epigrafe proposti e, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Compensa le spese di lite Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Diego Sabatino - Presidente Stefano Fantini - Consigliere Elena Quadri - Consigliere Gianluca Rovelli - Consigliere Diana Caminiti - Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Diana Caminiti Diego Sabatino IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIUSTI Alberto - Presidente Dott. COSENTINO Antonello - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - rel. Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 17043-2018 R.G. proposto da: (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) ( (OMISSIS)) ed (OMISSIS); -ricorrenti- contro (OMISSIS) SNC, (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi dall'avvocato (OMISSIS); - controricorrenti e ricorrenti in via incidentale- avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 196-2018 depositata il 05/03/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2022 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI. FATTI DI CAUSA 1.L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS), in qualita' di legali rappresentanti della societa', citarono in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo (OMISSIS) ed (OMISSIS) per sentirli condannare all'arretramento del fabbricato, dell'autorimessa e del terrapieno realizzati in posizione antistante alla struttura alberghiera in violazione delle distanze previste dal d.M 1444-68, articolo 9. La costruzione consisteva nella sopraelevazione di un vecchio manufatto adibito a laboratorio-magazzino, realizzato alla distanza di 1,5 metri dal confine ed a 6 metri dalla frontistante parete del fabbricato " (OMISSIS)", nonche' nell'ampliamento dell'edificio preesistente, posto alla distanza di dieci metri dal predetto albergo. 1.1.Il Tribunale di Bergamo accolse per quanto di ragione la domanda e condanno' i convenuti ad arretrare la porzione di edificio costruita in sopraelevazione; rigetto', invece la domanda in relazione all'autorimessa ed al terrapieno. 1.2.Proposero appello (OMISSIS) ed (OMISSIS); si costituirono per resistere al gravame e spiegarono appello incidentale la societa' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS). 1.3.Nel corso del giudizio d'appello, venne prodotta la sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, che aveva dichiarato inammissibile per tardivita' l'impugnazione proposta dalla societa' (OMISSIS) avente ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia. 1.4.La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 22.11.2017, rigetto' l'appello principale ed accolse l'appello incidentale. 1.5.La corte distrettuale non ritenne rilevante il giudicato amministrativo in quanto la sentenza del Consiglio di Stato si era limitata a dichiarare inammissibile l'impugnazione proposta dalla societa' per tardivita', senza pronunciarsi nel merito della legittimita' dell'intervento edilizio. In ogni caso, poiche' la domanda di annullamento della concessione edilizia aveva ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della PA, era esclusa l'efficacia del giudicato amministrativo nelle controversie fra privati aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprieta' derivante dalla violazione delle distanze legali. 1.6.La Corte d'appello accerto' che l'opera realizzata era differente dal precedente manufatto per forma altezza e volume, costituiva una nuova costruzione e violava le distanze; escluse che l'intervento edilizio avesse natura di "sopralzo", in relazione al quale era legittima la distanza preesistente prevista dall'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS). In ogni caso, la inderogabilita' della normativa sui distacchi tra fabbricati prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, avente rango primario, determinava l'illegittimita' di ogni previsione regolamentare in contrasto con il limite minimo di distanza. 1.7.La Corte distrettuale accolse l'appello incidentale proposto dalla societa' con riferimento alla violazione delle distanze dell'autorimessa, che considero' parte integrante del fabbricato, in quanto l'altezza dell'autorimessa sporgeva di cm86 e, quindi di oltre 16 centimetri rispetto alle previsioni dell'articolo 7 delle NTA del Comune di (OMISSIS). La Corte distrettuale rigetto', invece, l'appello incidentale, non ravvisando la violazione delle distanze rispetto al terrapieno, attese le sue modeste dimensioni e la funzione sostanzialmente ornamentale. 2.Avverso la sentenza della Corte d'appello hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) ed (OMISSIS) sulla base di cinque motivi. 2.1. L' (OMISSIS). s.n.c., (OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno resistito con controricorso ed hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi. 2.2.I ricorrenti hanno depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale. 2.3.In prossimita' dell'udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative. 2.4.Il Sostituto Procuratore Generale in persona del Dott. Alessandro Pepe ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l'accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale. RAGIONI DELLA DECISIONE 1.Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato N. 2782-2013, oltre alla violazione del giudicato amministrativo, ai sensi dell'articolo 2909 c.c., relativamente al potere di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, previsto dalla L. n. 2248 del 1865, articolo 5, All. E. I ricorrenti denunciano l'erroneita' della statuizione della Corte d'Appello di Brescia nella parte in cui ha affermato che il giudicato amministrativo ha avuto ad oggetto la legittimita' della concessione edilizia mentre, invece, il Consiglio di Stato avrebbe accertato, con autorita' di giudicato, che l'intervento edilizio doveva essere qualificato come "sopralzo" e non come nuova costruzione. Tale statuizione sarebbe vincolante nel giudizio avente ad oggetto la violazione delle distanze, al fine di evitare un contrasto di giudicati mentre, invece, la Corte d'appello avrebbe erroneamente disapplicato l'articolo 8 delle NTA, che esclude l'applicabilita' delle norme sulle distanze per i "sopralzi", con evidente violazione del ne bis in idem. Affermano i ricorrenti che il giudizio civile ed amministrativo sono caratterizzati da identita' soggettiva, petitum e causa petendi, perche' aventi ad oggetto l'accertamento delle distanze minime legali fra fabbricati frontistanti. 1.Il motivo e' infondato. 1.1.Non merita accoglimento la censura relativa al vizio motivazionale in quanto la Corte d'appello non ha omesso l'esame della sentenza del Consiglio di Stato ma, esaminandola, ha ritenuto irrilevante il giudicato amministrativo nel presente giudizio per ragioni che questo collegio condivide. 1.2.Come correttamente affermato dalla Corte di merito, il Consiglio di Stato non ha valutato la legittimita' delle norme urbanistiche del Comune di (OMISSIS) ma ha pronunciato in rito, dichiarando l'inammissibilita' dei ricorsi. Infatti, come risulta dalla motivazione della sentenza del Consiglio di Stato, per due dei tre ricorsi era stata omessa la notifica alla Regione Lombardia mentre il terzo ricorso, nella parte in cui aveva impugnato le NTA, era stato dichiarato inammissibile per tardivita', considerando che il dies a quo decorreva dal momento in cui gli atti avevano manifestato la concreta attitudine lesiva, coincidente con la conoscenza della concessione edilizia (pag. 4 della sentenza del Consiglio di Stato del 16.4.2013). In tali ipotesi, non puo' dirsi formato il giudicato amministrativo, non contenendo detta decisione nessun accertamento sul merito del ricorso, con la conseguenza che all'adito giudice ordinario non e' precluso l'esame di quelle delibere nonche' di disapplicarle, in caso di riconosciuta illegittimita', limitatamente al caso sottoposto al suo esame (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 5982 del 09/07/1987). L'esercizio da parte del giudice ordinario del potere di disapplicare un atto della p.a. e' precluso solo quando la legittimita' dell'atto sia stata accertata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, resa nel contraddittorio delle parti (Cassazione civile sez. II, 04/02/2005, n. 2213). 1.3. La Corte di merito ha anche ribadito il consolidato il principio di questa Corte, secondo cui la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire ha ad oggetto il controllo di legittimita' dell'esercizio del potere da parte della Pubblica Amministrazione ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicche' non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la violazione della normativa in tema di distanze legali, che e' posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato (Cassazione civile sez. II, 14/05/2015, n. 9869). 2.Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, articolo 5 All. E, in relazione al contenuto delle NTA del PRG di (OMISSIS); la Corte d'appello, nell'affermare che gli strumenti urbanistici comunali non possono derogare al DM 1444-68, non avrebbe indicato nessuna delle norme tecniche del Comune di (OMISSIS) (NTA) contrastanti con la disciplina statale in tema di distanze fra fabbricati. Ne conseguirebbe l'inapplicabilita' dell'istituto della disapplicazione previsto della L. n. 2248 del 1865, articolo 5, allegato E. in relazione all'articolo 5 delle NTA, che prevedono una nozione di "sopralzo" diversa da quella di "nuova costruzione", ai fini del calcolo delle distanze. L'articolo 5 delle NTA prevede, infatti, che "in caso di sopralzo la verifica delle si distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti" e tale norma, siccome non tempestivamente impugnata dalla parte interessata non potrebbe essere disapplicata. 2.1.Con la memoria ex articolo 378 c.p.c., i ricorrenti hanno posto la questione dell'applicabilita' della normativa sopravvenuta, con particolare riferimento alle modifiche previste dalla L.120 del 2020, articolo 19, comma 1, lett.a) e b), ritenendo che sopraelevazione fosse legittima anche per effetto dello ius superveniens. 2.2.Nell'incipit della memoria illustrativa, i ricorrenti hanno evidenziato come il fulcro del presente giudizio sia costituito dalla disapplicazione dell'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS) per contrasto con il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9. Pur prendendo atto dell'orientamento giurisprudenziale che assimila la sopraelevazione ad una nuova costruzione, rilevano come l'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, nella formulazione adottata dalla L. 120 del 2020, consenta l'aumento volumetrico dei fabbricati esistenti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Inoltre, la normativa sopravvenuta avrebbe ampliato il concetto di intervento di "ristrutturazione edilizia", come previsto dall'articolo 3, lettera d del citato TUE, comprendendo anche gli interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, specificando che l'intervento possa prevedere "incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana". Nel caso di specie, quindi, per effetto della normativa sopravvenuta la sopraelevazione rientrerebbe nell'ambito della ristrutturazione. 2.3.Il motivo e' infondato. 2.4.La vicenda processuale va certamente esaminata alla luce dello ius superveniens, trattandosi di normativa posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e pertinente rispetto alle questioni in esso prospettate (Cass. 19617/2018; Cass. 10547/206). 2.5.Secondo la costante interpretazione giurisprudenziale in materia di distanze nelle costruzioni, infatti, qualora subentri una disposizione derogatoria favorevole al costruttore, si consolida - salvi gli effetti di un eventuale giudicato sull'illegittimita' della costruzione - il diritto di quest'ultimo a mantenere l'opera alla distanza inferiore, se, a quel tempo, la stessa sia gia' ultimata, restando irrilevanti le vicende normative successive (tra le tante Cass. Civ., Sez. II, 4.2.2021, n. 2640; Cass. Civ., Sez. II, 26.7.2013, m.18119). Il sopravvenire della disciplina normativa meno restrittiva comporta, invero, che l'edificio in contrasto con la regolamentazione in vigore al momento della sua ultimazione, ma conforme alla nuova, non possa piu' essere ritenuto illegittimo, cosicche' il confinante non puo' pretendere l'abbattimento o, comunque, la riduzione alle dimensioni previste dalle norme vigenti al momento della sua costruzione. 2.6. Ai fini della decisione della controversia, e' opportuno esaminare sommariamente lo stato della normativa e della giurisprudenza in materia. 2.7.Innanzitutto, la nozione di ricostruzione di un edificio, in passato, era individuata in un intervento che fosse contenuto nei limiti preesistenti di altezza, volumetria, sagoma e area di sedime dell'edificio. Le eventuali eccedenze invece andavano considerate come nuova costruzione. Da cio' discendeva, in tema di distanze, che le nuove costruzioni dovevano essere soggette alle distanze legali, mentre per le ricostruzioni le distanze erano quelle previste per l'edificio originario (in tal senso Cass. Civ., Sez. II n. 473/2019). 2.8. Tale distinzione si basava su una serie di disposizioni, a partire dalla L. n. 457 del 1987, articolo 31, comma 1, lettera d), per passare poi all'articolo 3, comma 1, lettera d), del Testo Unico dell'Edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 6 giugno 2001 n. 380), il quale, nella sua formulazione originaria, prevedeva che "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica". Basandosi su tale norma, la giurisprudenza ha quindi ripetutamente ribadito che si ha ricostruzione, che segue le sorti dell'edificio preesistente, quando ci si contenga nei limiti di sagoma, volumi, area di sedime di quest'ultimo, si ha nuova costruzione per cio' che eccede (ex multis Cass. Civ, Sez. II, n. 15041/2018). 2.9. Il D. L. 69 del 2013 ha novellato l'articolo 3 del T.U dell'edilizia, comprendendo, nell'ambito della ristrutturazione edilizia gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica. Nella nuova formulazione, per aversi una ricostruzione bastava dunque rispettare la volumetria originaria, senza necessita' di rispettare la sagoma. 2.10. Il Decreto Legge n. 32 del 2019, convertito nella L. 55 del 2019, e' intervenuto sul tema delle distanze per le costruzioni al fine di semplificare e velocizzare i procedimenti sottesi alla realizzazione degli interventi edilizi di rigenerazione del tessuto edificatorio nelle aree urbane. 2.11.In questo quadro, la L.55 del 2019 ha operato una serie di modifiche agli standard urbanistici fissati dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, che prevedeva limiti inderogabili "di distanza tra i fabbricati", tali da vincolare i comuni nell'adozione degli strumenti urbanistici e tali da poter essere invocati, previa disapplicazione dello strumento urbanistico eventualmente difforme, nelle controversie tra privati. 2.12.I cambiamenti al Decreto Ministeriale n. N. 1444 del 1968 sono in concreto intervenuti mediante le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019 all'articolo 2 bis del TU edilizia, con riferimento a quelle disposizioni che consentivano a Regioni e Province autonome di adottare disposizioni derogatorie sulle distanze legali. 2.13.Il Decreto Legge n. 32 del 2019 ha aggiunto i seguenti commi al citato articolo 2 bis: "1-bis. Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densita' edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio." 1-ter. In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest'ultima e' comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo." 2.14. Discende da quanto sopra delineato che con le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5, all'articolo 2 bis del TU edilizia, la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo. In caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici. 2.15. Dette previsioni non consentivano quindi l'aumento di volumetria e le leggi regionali in contrasto con la legge statale sono state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale in tutte le occasioni in cui e' stata adita. 2.16.E' utile ricordare la sentenza della Corte Costituzionale N. 30 del 2020, che, pronunciandosi sulla legittimita' dell'articolo 9, comma 8 bis della Legge Regionale Veneto n. 14 del 2009, la quale consentiva deroghe alle altezze dei fabbricati, ha ribadito l'inderogabilita' delle norme sulle distanze previste dal Decreto Ministeriale n.1444-68, articolo 9. 2.17.La Corte Costituzionale e' nuovamente intervenuta con la sentenza N. 70-2020 per dichiarare costituzionalmente illegittime le previsioni della Legge Regionale Puglia n. 5 del 2019 (Piano Casa Puglia) che consentiva, in caso di demolizione e ricostruzione un aumento volumetrico. Con tale decisione, ribadendo il suo consolidato orientamento (tra le tante Corte Cost n. 86/2019; Corte Cost. 125/2017), il giudice delle leggi ha ribadito, sulla base del Decreto Legge n.32 del 2019, articolo 2 bis, l'inderogabilita' delle norme statali, in quanto necessarie a offrire una protezione unitaria su tutto il territorio nazionale in relazione alle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 2.18. Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, nelle prime applicazioni delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 32 del 2019, articolo 5 all'articolo 2 bis del TU Edilizia, ha affermato che la demolizione e ricostruzione di un fabbricato e' consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purche' sia effettuata assicurando la coincidenza dell'area di sedime e del volume dell'edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell'altezza massima di quest'ultimo; in caso diverso, le eventuali disposizioni derogatorie sulle distanze devono comunque essere previste dai Comuni nell'ambito degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato sez. IV, 16/10/2020, n. 6282 in fattispecie antecedente al S.L. N. 76 del 2020, convertito nella L. n. 120 del 2020, che ha ulteriormente modificato l'articolo 2 bis del TU Edilizia). 2.19. Al fine di allargare l'ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione urbana, senza incorrere nel rilievo di incostituzionalita', il legislatore e' nuovamente intervenuto sul Testo Unico dell'Edilizia. 2.20. Il D. L. 16.7.2020 m.76, articolo 10 convertito con modificazioni dalla L.11.9.2020 n. 120 ha inciso profondamente sulla struttura del Decreto del Presidente della Repubblica n. 6.6.2001, n. 380 attraverso una serie di interventi puntuali, aventi come finalita' l'esigenza di "semplificare e accelerare le procedure edilizie, di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo del suolo". 2.21.Le singole previsioni del decreto sono intervenute su specifici profili della disciplina edilizia, con l'obiettivo pratico di fornire strumenti normativi favorevoli alla rigenerazione dei tessuti urbani. 2.22.Secondo autorevole dottrina, con il decreto semplificazioni, il legislatore statale ha compiuto una "manutenzione straordinaria del Testo Unico dell'Edilizia", proseguendo nel percorso intrapreso con il "decreto sbloccacantieri" del 2019, che, pur avendo indicato una serie di obiettivi ritenuti prioritari nella rigenerazione urbana, era intervenuto soprattutto in materia di distanza tra costruzioni con previsioni che non avevano superato il vaglio di costituzionalita'. 2.23.Proprio in tema di distanze tra gli edifici, la novita' introdotta dalla L. 120 del 2020 e' proprio la rivisitazione del concetto di "ristrutturazione edilizia" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1 lettera d) ed il suo conseguente coordinamento con la definizione di "manutenzione straordinaria" (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3, comma 1, lett.b)). In tal senso sono orientate le norme in tema di demolizione- ricostruzione, che costituiscono il fulcro della normativa inserita con la L.120 del 2020. 2.24. Ai sensi dell'articolo 3, lettera d) costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. La norma prosegue affermando che, nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia, sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. Inoltre, al solo fine di promuovere interventi di rigenerazione urbana, sono ammessi incrementi di volumetria, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. 2.25.Con le modifiche apportate dall'articolo 3, lettera d), gli interventi di ristrutturazione possono, quindi, consistere anche in demolizioni e ricostruzioni in cui, rispetto all'edificio originario mutino la sagoma, i prospetti, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In tali casi, l'intervento deve mantenersi rispettoso unicamente del volume preesistente, con possibilita' di formazione di un manufatto tipologicamente anche radicalmente diverso dal preesistente. 2.26. Quando, invece, " la legislazione vigente o gli strumenti comunali lo consentano", sono ammessi incrementi di volumetria "anche per interventi di rigenerazione urbana". 2.27.Questa flessibilita' derogatoria non e' ammessa ne' per gli edifici tutelati, per le zone A (o come diversamente definite dalle leggi regionali) cosi' come nei "centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico", fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici. In tali ipotesi, la ricostruzione ed il ripristino degli edifici crollati o demoliti deve mantenersi fedele all'esistente, ossia deve rispettare non solo il volume ma anche la sagoma, il sedime e le caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio demolito, senza possibilita' di incrementi volumetrici. 2.28. E' stato osservato in dottrina che gli interventi di ristrutturazione edilizia sarebbero fortemente penalizzati qualora dovessero rispettarsi anche per i nuovi edifici le distanze tra costruzioni previste dal Decreto Ministeriale n. 1444-68, articolo 9 nell'ambito di interventi di rigenerazione urbana che abbiano come fine un nuovo modello di citta' "urbana" e lo sviluppo del territorio. 2.29. Le criticita' emerse con il c.d "Decreto del Fare" (D. L. 69 del 2013) e con il "Decreto Sbloccacantieri" (L.55 del 2019) sono state, quindi, superate con il nuovo testo dell'articolo 2 bis, comma 1 ter, che consente di sfruttare gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. 2.30. Ne e' seguita la modifica dell'articolo 2 bis, comma 1 ter del Testo Unico dell'Edilizia, da parte della L.120 del 2020, che, nel nuovo testo, cosi' recita: "in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione e' comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti. Gli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti per l'intervento possono essere realizzati anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti" 2.31.La norma introduce il principio secondo cui ogni intervento di demolizione - ricostruzione, nel contesto di un intervento unitario, indipendentemente dalla qualificazione come ristrutturazione o nuova costruzione ("in ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici"), puo' essere realizzato sulla linea di confine del fabbricato demolito, anche ove quest'ultimo risulti "legittimamente" posto ad una distanza da fabbricati e da confini inferiore da quelle attualmente previste. La norma prosegue indicando la possibilita' che anche eventuali "incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti all'intervento" possano essere collocati sul filo dell'edificio preesistente, anche fuori della sagoma e con superamento dell'altezza del manufatto demolito. 2.32. Cosi' ricostruito il quadro normativo in relazione allo ius superveniens, nel caso di specie, la normativa sopravvenuta non incide sulla fattispecie in esame, in cui il fabbricato ricostruito e' diverso dal preesistente manufatto per "forma, altezza e superficie " (pag.11 della sentenza impugnata) e l'intervento costruttivo non rientra nel regime derogatorio previsto dall'articolo 3 lettera d), ovvero per promuovere un intervento di rigenerazione urbana. 2.33.Si tratta di costruzione realizzata dal privato in violazione del Decreto Ministeriale n.1944-68, articolo 9, in ragione dell'entita' delle modificazioni apportate al volume ed alla collocazione del fabbricato, che rendevano l'opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente. L'opera aumentava il volume e modificava la sagoma dell'edificio demolito, senza rispettare le distanze preesistenti, e cioe' di quelle conformi alla normativa vigente al momento in cui e' stato realizzato l'intervento originario (Cassazione civile sez. II, 24/06/2022, n. 20428; Cass. Civ., Sez. II, 14.4.2022, n. 12196). 2.34. L'intervento costruttivo e' avvenuto in assenza di alcun intervento di pianificazione urbanistica, che legittimasse l'aumento di volumetria. 2.35.La normativa introdotta sulle distanze dalla L.120/2020 e' coerente con il perseguimento dell'interesse pubblico e non gia' con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che e' invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile e dal Decreto Ministeriale n.1444-68. 2.36.Allo stato attuale della normativa, in ogni caso di demolizione con ricostruzione - e quindi anche in presenza di aumento di volumetria nei casi consentiti dall'articolo 3, lettera d) del TUE - la costruzione deve rispettare le distanze preesistenti. 2.37. Come chiarito anche dalla relazione ministeriale al decreto semplificazioni (Decreto Legge n. 76 del 2020), l'articolo 2, comma 1-ter, ha rimosso il vincolo del medesimo sedime e della medesima sagoma ma solo per gli interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione disciplinati da un piano urbanistico che preveda un programma di rigenerazione urbana, nella specie non sussistente. 2.38. L'ulteriore profilo di ricorso riguarda la qualificazione dell'intervento edilizio. I ricorrenti sostengono che si tratti di "sopralzo" di un edificio preesistente e non di nuova costruzione, ragione per la quale esso sarebbe legittimo ai sensi dell'articolo 5 delle NTA del Comune di (OMISSIS), che cosi' dispone: "in caso di sopralzo la verifica delle distanze si intende soddisfatta ove siano mantenuti i rapporti e le distanze esistenti", mentre la distanza di metri dieci rispetto alle pareti finestrate dei fabbricati antistanti si applicherebbe agli interventi di nuova costruzione e di ampliamento, ai sensi dell'articolo 8 delle NTA. 2.39. Anche tale profilo e' infondato. 2.40. Come correttamente statuito dalla Corte di merito, in tema di distanze tra costruzioni, il Decreto Ministeriale n. 2 aprile 1968 n. 1444, articolo 9 comma 2, essendo stato emanato su delega della l. 17 agosto 1942 n. 1150, articolo 41 quinquies (cd. legge urbanistica), aggiunto dalla l. 6 agosto 1967 n. 765, articolo 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicche' le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densita', altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cassazione civile sez. un., 07/07/2011, n. 14953; Cassazione civile sez. II, 15/01/2021, n. 624). 2.41 Ne consegue che, una volta che i Comuni abbiano proceduto alla pianificazione del territorio, effettuando la ripartizione per zone omogenee, le distanze minime sono quelle previste dal citato decreto n. 1444 del 1968, articolo 9, sia nel caso in cui lo strumento urbanistico preveda distanze inferiori, sia nel caso di assenza di previsioni sul punto. Nella prima ipotesi si verifica l'inserimento automatico della norma cogente di cui al decreto n. 1444 del 1968, in sostituzione della illegittima previsione di distanze inferiore a quella minima. Nella seconda ipotesi - quando cioe' lo strumento urbanistico non contenga previsioni al riguardo, ragioni di ordine sistematico e di interpretazione conforme impongono l'analoga conclusione della inserzione automatica della disciplina dettata dal richiamato decreto. 2.42, Nel caso di specie, poiche' l'intervento edilizio era diverso dal preesistente manufatto per forma, altezza, volume e superficie, doveva osservare la distanza di dieci metri dall'edificio frontistante, per inserzione automatica dell'articolo 9 del DM 1444-68 ed in conformita' all'articolo 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 3.Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui agli articoli 113 e 115 c.p.c e la nullita' della sentenza, ai sensi dell'articolo 132 n. 4 c.p.c., in quanto la Corte d'appello non avrebbe considerato che vi era una discrasia in ordine alla misurazione delle distanze, sulla base delle diverse conclusioni cui erano giunti il CTU in primo grado ed in appello. Tale discrasia si riverberebbe sulla nullita' della motivazione. 3.1.Il motivo e' inammissibile perche' difetta di specificita' per non avere il ricorrente allegato gli atti ed i documenti su cui il motivo di ricorso si fonda, attraverso la trascrizione, anche sommaria, delle consulenze svolte nei gradi di merito. 5.Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del Comune di (OMISSIS), per avere la Corte di merito ritenuto che l'autorimessa sporgesse di sedici centimetri rispetto al limite massimo di sporgenza dalla quota zero, facendo coincidere il "piano di calpestio" dell'autorimessa interrata con la "soletta" dell'autorimessa stessa. L'errore della Corte consisterebbe nell'aver applicato l'articolo 8, comma 12 delle NTA, che disciplina le autorimesse edificate a confine mentre, nel caso di specie, l'autorimessa sarebbe posta alla distanza di 1,5 metri dal confine e troverebbe, pertanto, applicazione dell'articolo 8 comma 11 delle NTA, del quale rispetterebbe le condizioni. Dalla CTU emergerebbe infatti che il pavimento del piano terra del fabbricato e il piano di calpestio esterno sporgono di 16 cm oltre la fascia di tolleranza e non la "soletta" dell'autorimessa, come invece erroneamente ritenuto dalla Corte d'Appello di Brescia. 6.Con il quinto motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e' stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento agli elaborati peritali della CTU di secondo grado ed alle osservazioni critiche del proprio CT. I ricorrenti rilevano come la Corte d'Appello di Brescia abbia omesso di considerare le risultanze della relazione peritale, che dimostrerebbe il pieno rispetto alla fascia di tolleranza di 70 cm della "soletta" di copertura dell'autorimessa interrata. La Corte avrebbe anche omesso di considerare che i 16 cm di eccedenza riguarderebbero il "piano di calpestio" esterno soprastante, elemento estraneo alla "soletta" dell'autorimessa. 6.1.I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente perche' attinenti al calcolo della distanza dell'autorimessa, sono infondati. 6.2.L'articolo 8, comma 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS) prevede che "per le costruzioni completamente interrate-in tutte le zone- la distanza minima dai confini deve essere di mt 1,50". 6.3.L'articolo 8, comma 12 delle NTA cosi' recita: " E' ammessa la costruzione a confine nei seguenti casi ove si tratti di autorimessa o di locale di servizio interrati aventi altezza interna non superiore a mt 2,30 e sporgenza - rispetto alla quota 00 come definita dal precedente articolo 7 - non eccedente i 70 cm. 6.4. E' incontestato- ed e' stato oggetto di puntuale accertamento da parte della Corte d'appello - che l'autorimessa realizzata dai ricorrenti non era completamente interrata in quanto il piano di copertura sporgeva di 86 cm. 6.5.In tale ipotesi, la sporgenza sarebbe stata ammissibile solo in caso di costruzione posta al confine e non nei casi in cui la costruzione sia realizzata a distanza dal confine; in tal caso, l'autorimessa deve essere completamente interrata e ad una distanza minima di mt 1, 50 dal confine. 6.6.Assorbente al riguardo appare la considerazione che l'articolo 873 c.c., che stabilisce per le costruzioni su fondi limitrofi, se non unite o aderenti, la distanza non minore di tre metri, assegna ai regolamenti locali la sola potesta' di disporre una distanza maggiore, ma non gia' di definire la nozione di costruzione, cioe' di stabilire le caratteristiche in base alle quali l'opera possa definirsi costruzione e quindi ritenersi soggetta alla normativa sulle distanze (Cass. N. 23843 del 2018; Cass. N. 144 del 2016; Cass. N. 5136 del 2015; Cass. N. 19530 del 2005) 6.7.La nozione di costruzione, agli effetti dell'articolo 873 c.c., e' infatti necessariamente unica e non puo' subire deroghe, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, da parte delle norme locali, atteso il loro rango secondario e la delimitata competenza loro assegnata in materia. 6.8.Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli articolo 873 c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidita', stabilita' ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e cio' indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. N. 23856 del 2018; Cass. n. 27399 del 2014; Cass. 15972 del 2011). Solanto l'immobile completamente interrato si sottrae pertanto al rispetto della normativa in tema di distanze, non anche quello che si eleva dal suolo, indipendentemente dalla relativa altezza (Cass. n. 3793 del 2012; Cass. 5956 del 1996). 6.9. Alla luce della nozione unitaria di costruzione, il piano di copertura dell'autorimessa comprende non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopre, il quale e' strettamente integrato alla soletta ed emerge complessivamente dal piano di campagna, violando l'articolo 11 delle NTA del Comune di (OMISSIS). 6.10. Correttamente, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha richiamato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 7. Deve essere esaminato il ricorso incidentale. 7.1. Deve essere, in primo luogo, rigettata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso incidentale, sia in relazione alla carenza di interesse, per essere i fratelli (OMISSIS) e l' (OMISSIS) vittoriosi in relazione alla regolarita' dell'autorimessa, sia perche' sarebbe stata introdotta una domanda nuova. 7.2.Osserva il collegio che il primo motivo dell'appello incidentale, con il quale era stato impugnato il rigetto della domanda di arretramento dell'autorimessa, era stato parzialmente accolto dalla Corte d'appello (pag. 15-15 della sentenza impugnata), che ha aderito alla terza ipotesi elaborata dal CTU, tenendo conto del perimetro della villa e dell'autorimessa mentre i ricorrenti in via incidentale avevano chiesto che venisse calcolato il perimetro della sola autorimesse; in tal modo, la demolizione avrebbe interessato non solo la soletta ma anche il terrazzo che la ricopriva. 7.3. Poiche' l'appello incidentale era stato parzialmente accolto, sussisteva l'interesse a ricorrere in cassazione al fine di ottenere una pronuncia piu' favorevole. 7.4. Ne' sussiste il vizio di novita' della domanda poiche' la demolizione dell'autorimessa, e non solo della soletta, era stata riproposta in sede di appello incidentale, ove, solo in via subordinata era stato chiesta la demolizione della porzione eccedente la sporgenza massima di 70 cm dalla quota 0. 7.5.Ne consegue che non vi e' stata modifica della domanda ma riproposizione, della domanda proposta in via principale, che era stata rigettata dalla Corte d'appello. 7.6. I motivi, contrariamente a quanto eccepito dai ricorrenti, sono specifici in quanto idonei a censurare con chiarezza la statuizione della Corte d'appello. 7.7.Con il primo motivo, si deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 7 e 8 delle NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) in materia di distanze delle autorimesse dal confine; si rileva che la quota zero dovesse essere calcolata sulla base del perimetro della sola autorimessa e non dell'autorimessa e della villa, come affermato dalla Corte d'appello. Sarebbe quindi errata l'adesione alla terza ipotesi interpretativa elaborata dal CTU in quanto l'articolo 7 del NTA del Comune di (OMISSIS) individuerebbe la quota zero con riferimento "all'edificio da costruire" da identificarsi nella sola autorimessa. La decisione della Corte di merito sarebbe erronea perche' basata esclusivamente sul fatto che il titolo abilitativo edilizio era comprensivo sia del fabbricato residenziale che dell'autorimessa, atteso il rapporto di pertinenzialita' tra edificio ed autorimessa. 7.8. il motivo e' infondato. 7.9. Come argomentato in relazione al quarto e quinto motivo del ricorso principale, la Corte di merito, ai fini della determinazione della quota zero, ha correttamente applicato l'articolo 7 NTA, che considera la "media delle quote del terreno lungo la linea di intersezione di esso con l'edificio da costruire" ed ha ritenuto che dovesse tenersi conto dell'intero perimetro dell'edificio di nuova costruzione, comprensivo della villa e dell'autorimessa, in conformita' alla nozione unitaria di costruzione. 8.Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 873 c.c. e articolo 8 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS) per avere la Corte di merito escluso che il terrapieno realizzato sopra l'autorimessa fosse un'opera rilevante ai fini del calcolo delle distanze dal confine poiche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali. La Corte d'appello ha ritenuto che le ridotte dimensioni del terrapieno e la sua sporgenza da terra possano essere calcolate a partire dai 70 cm di altezza previsti per l'autorimessa, non considerando invece, piu' correttamente, l'intera altezza del terrapieno che fuoriesce dal piano originario di campagna. 8.1.Il motivo e' fondato. 8.2. Questa Corte ha affermato, con orientamento che si condivide, che, in tema di distanze legali, diversamente dal muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale, che, per la parte che adempie alla sua specifica funzione, non puo' considerarsi "costruzione" agli effetti della disciplina di cui all'articolo 873 c.c., devono invece ritenersi soggetti a tale norma, perche' costruzioni, il terrapieno e il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 10512 del 2018; Cass. n. 11388 del 2013). 8.3.La sentenza impugnata ha errato nell'affermare che il terrapieno non era soggetto al rispetto delle distanze perche' costituiva un'opera di modeste dimensioni con funzioni sostanzialmente ornamentali, senza verificare se fosse opera dell'uomo e se adempiva alla specifica funzione di sostegno e contenimento. 8.4.Il motivo deve, pertanto, essere accolto. 8.5.La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. 8.7.Il giudice di rinvio provvedera' anche in ordine alle spese relative al presente giudizio di legittimita'. 9.Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto. P.Q.M. accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte di Appello di Brescia in diversa composizione. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANCUSO Luigi F. A. - Presidente Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere Dott. CENTONZE Alessand - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: 1) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); 2) (OMISSIS), nato il (OMISSIS); Avverso la sentenza emessa l'11/11/2021 dalla Corte di appello di Venezia; Sentita la relazione del Consigliere Dott. CENTONZE Alessandro; Sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATOLA Gianluigi, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; Sentite, nell'interesse degli imputati, le seguenti conclusioni: l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; l'avvocato (OMISSIS), nell'interesse di (OMISSIS), che ha chiesto l'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 21 luglio 2020 il Tribunale di Venezia, per quanto di interesse ai presenti fini processuali, giudicava gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) colpevoli dei reati rispettivamente ascrittigli, condannando, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, il primo, alla pena di quattro anni di reclusione, il secondo, alla pena di otto mesi di reclusione. Piu' precisamente, l'imputato (OMISSIS) veniva riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi 4 (articolo 110 c.p., articolo 346-bis c.p., commi 1 e 3), 4 bis (articolo 110 c.p., L. 9 dicembre 1941, n. 1383, articolo 3), 8 (articolo 110 c.p., articolo 346-bis c.p., commi 1 e 3), 8 bis (articolo 110 c.p., L. n. 1383 del 1941, articolo 3) e 9 (articolo 81 c.p., comma 2, articoli 110, 326 c.p., articolo 615-ter c.p., comma 1, comma 2, n. 1, comma 3), unificati sotto il vincolo della continuazione; mentre, l'imputato (OMISSIS) veniva riconosciuto colpevole del reato di cui al capo 10 (articolo 81 c.p., comma 2, articoli 110, 326 c.p., articolo 615-ter c.p., comma 1, comma 2, n. 1, comma 3). Conseguiva a tali statuizioni processuali la condanna degli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali. 2. Con sentenza emessa l'11 novembre 2022 la Corte di appello di Venezia, pronunciandosi sugli appelli degli imputati, per quanto di interesse ai presenti fini processuali, in parziale riforma della decisione impugnata, riconosceva a (OMISSIS) le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, rideterminando la pena irrogata nei suoi confronti in sei mesi di reclusione, sostituita in 45.000,00 Euro di multa, L. 24 novembre, 1981, n. 689 ex articolo 53. La sentenza di primo grado, invece, veniva integralmente confermata nei confronti di (OMISSIS), con la conseguente condanna dell'appellante alle ulteriori spese di giudizio. 3. I fatti di reato di cui si controverte riguardano due distinti episodi criminosi, denominati nelle sentenze di merito "(OMISSIS)" - alla quale, a sua volta, e' collegata la "Vicenda (OMISSIS)" - e "(OMISSIS)", che traevano origine dagli accertamenti tributari attivati, nel corso del 2015, nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa. In conseguenza delle indagini che si sviluppavano in relazione alle verifiche fiscali eseguite nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa emergeva il coinvolgimento di (OMISSIS) quale tenente colonnello del Comando Regionale Veneto della Guardia di Finanza e di (OMISSIS) quale direttore dell'Agenzia delle Entrate di Venezia. Quanto, in particolare, all'accertamento tributario attivato nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a. la responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui ai capi 4 e 4 bis della rubrica si riteneva provata sulla base delle dichiarazioni rese dagli amministratori dell'azienda sottoposta a verifica, (OMISSIS) e (OMISSIS), che, nel giudizio di primo grado, venivano esaminati quali testi assistiti. Piu' precisamente, i testi assistiti (OMISSIS) e (OMISSIS), sentiti davanti al Tribunale di Venezia, riferivano che (OMISSIS) si era mostrato disponibile a intervenire nella procedura fiscale instaurata dalla Guardia di Finanza di Venezia, contattando i vertici dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, con i quali vantava rapporti privilegiati. Tale impegno veniva assunto dall'imputato dietro la promessa iniziale di 15.000,00 Euro, alla quale avrebbe dovuto seguire la consegna di un orologio Rolex. A sua volta, l'imputato, sottopostosi a esame, riferiva di essersi impegnato con (OMISSIS) e (OMISSIS) a intervenire presso i vertici dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, ma di non avere mantenuto l'impegno di mediazione illecita assunto, non essendosi effettivamente attivato nella direzione promessa. Tuttavia, i Giudici di merito veneziani reputavano queste dichiarazioni contraddette dal compendio probatorio, univocamente orientato contro l'imputato. Questi elementi probatori venivano correlati alle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari, che si ritenevano corroborative dell'assunto accusatorio, confermando il ruolo svolto da (OMISSIS), in concorso con (OMISSIS), contro la quale si procedeva separatamente, nella gestione della "(OMISSIS)". A margine della "(OMISSIS)" si sviluppava la "(OMISSIS)", che riguardava l'accertamento tributario instaurato nei confronti della societa' (OMISSIS) s.r.l., il cui svolgimento veniva anticipato da (OMISSIS) a (OMISSIS), nel contesto degli incontri relativi alla gestione della verifica fiscale sulla societa' (OMISSIS) s.p.a. Anche su tale episodio criminoso riferivano (OMISSIS) e (OMISSIS), che chiarivano le modalita' con cui il ricorrente aveva riferito loro dell'attivazione di un accertamento tributario nei confronti della societa' (OMISSIS) s.r.l., prima della sua comunicazione formale ai rappresentanti dell'ente societario. Quanto, invece, all'accertamento tributario attivato nei confronti della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, la responsabilita' di (OMISSIS) per i reati di cui ai capi 8 e 8 bis veniva accertata grazie alle dichiarazioni rese da rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), che venivano esaminati quali testi assistiti. In particolare, (OMISSIS) veniva esaminato quale responsabile amministrativo dell'azienda sottoposta a verifica; (OMISSIS) veniva esaminato quale direttore dell'Agenzia delle Entrate di Venezia; (OMISSIS) veniva esaminato quale Giudice della Commissione Tributaria Regionale del Veneto. Piu' precisamente, i testi assistiti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), sentiti davanti al Tribunale di Venezia, riferivano che l'imputato si era mostrato disponibile a intervenire nella procedura fiscale instaurata dalla Guardia di Finanza di Venezia nei confronti della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, contattando i vertici dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, con i quali vantava rapporti privilegiati. Tale impegno veniva assunto da (OMISSIS) dietro le promesse di fare impiegare personale di suo interesse presso la societa' sottoposta a verifica e di farsi consegnare alcuni oggetti preziosi. Anche in questo caso, l'imputato, sottopostosi a esame, confermava di essersi impegnato nella direzione riferita da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ma negava di avere mantenuto l'impegno di mediazione illecita assunto, non essendosi effettivamente attivato presso i vertici dell'Agenzia delle Entrate di Venezia. Questi elementi probatori, a loro volta, venivano correlati alle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari, che si ritenevano corroborative dell'assunto accusatorio, confermando il ruolo svolto da (OMISSIS) nella gestione della "(OMISSIS)". A margine degli accertamenti investigativi svolti in relazione alla "(OMISSIS)" e alla "(OMISSIS)", emergeva l'ulteriore coinvolgimento di (OMISSIS) nel reato di cui al capo 9 della rubrica, commesso dall'imputato eseguendo alcuni accessi abusivi presso la banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, in uso ai militari nella Guardia di Finanza. Tali accessi abusivi venivano eseguiti dal ricorrente, di sua iniziativa e per ragioni esclusivamente personali, nelle date del 24 giugno 2016, del 30 novembre 2016 e del 12 aprile 2017. Deve, infine, rilevarsi che, nel corso degli accertamenti compiuti in relazione alla "(OMISSIS)" e alla "(OMISSIS)", emergeva il coinvolgimento di (OMISSIS) nel reato di cui al capo 10, commesso dall'imputato eseguendo due accessi abusivi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, in uso ai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Venezia. Questi accessi abusivi venivano eseguiti dal ricorrente, al di fuori di ragioni connesse ad attivita' di servizio, su richiesta del colonnello (OMISSIS), nelle date del 10 marzo 2016 e del 2 settembre 2016. Gli accessi abusivi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria venivano ammessi da (OMISSIS), che, sottopostosi a esame, confermava gli esiti degli accertamenti processuali eseguiti in relazione al reato di cui al capo 10 e le ragioni che lo avevano indotto a effettuare le consultazioni informatiche controverse, pur precisando che, in entrambe le occasioni, si era limitato a fornire notizie che i destinatari delle informazioni potevano legittimamente acquisire. Sulla scorta di questa ricostruzione degli accadimenti criminosi gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) venivano condannati alle pene di cui in premessa. 4. Avverso la sentenza di appello gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrevano per cassazione con atti di impugnazione separati. 4.1. L'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), ricorreva per cassazione, articolando sette censure difensive. Con il primo motivo e il secondo motivo di ricorso, proposti in stretta correlazione, in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui all'articolo 346-bis c.p., ascritto a (OMISSIS) al capo 8, nel valutare la quale occorreva considerare che tale fattispecie era contestata nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. 9 gennaio 2019, n. 3, che sanzionava le sole condotte di mediazione illecita consistenti in offerte di atti contrari ai doveri d'ufficio. Con il terzo motivo di ricorso, proposto in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS) responsabile del reato ascrittogli al capo 8, non essendo provate, alla luce delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, le condotte di mediazione illecita poste in essere nei confronti degli amministratori della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, i cui esiti non consentivano di corroborare il compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito, incentrato su un'interpretazione contraddittoria del significato delle captazioni riguardanti i comportamenti vessatori del ricorrente. Secondo la difesa del ricorrente, queste discrasie motivazionali apparivano decisive, in senso sfavorevole all'imputato, alla luce dell'interpretazione, fornita dalla Corte di appello di Venezia, dell'intercettazione numero 7797 del 6 ottobre 2016; dell'intercettazione numero 8029 del 12 ottobre 2016; dell'intercettazione numero 8224 del 22 ottobre 2016; dell'intercettazione numero 10031 del 7 febbraio 2017. Con il quarto motivo di ricorso, proposto in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, cosi' come contestato al capo 8 bis, atteso che la fattispecie della collusione militare postula un accordo illecito non dimostrato nel caso di specie, non essendo emerse intese tra (OMISSIS) e i terzi con cui si rapportava, connotate da concretezza e specificita', finalizzate ad attenuare le conseguenze delle verifiche fiscali eseguite nei confronti della societa' (OMISSIS) Societa' Cooperativa. Con il quinto motivo di ricorso, proposto in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui all'articolo 346-bis c.p., contestato al capo 4, nel valutare la quale occorreva considerare che tale fattispecie era contestata nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, che sanzionava le sole condotte di mediazione illecita consistenti in offerte di atti contrari ai doveri d'ufficio. Con il sesto motivo di ricorso, proposto in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, cosi' come contestato al capo 4 bis, atteso che la fattispecie della collusione militare postula un accordo illecito non dimostrato nel caso di specie, non essendo emerse intese tra (OMISSIS) e i terzi con cui si rapportava, connotate da concretezza e specificita', finalizzate ad attenuare le conseguenze delle verifiche fiscali eseguite nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a.. Con il settimo motivo di ricorso, proposto in relazione alla "(OMISSIS)", si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, cosi' come contestato al capo 4 bis, atteso che la fattispecie della collusione militare postula un accordo illecito non dimostrato nel caso di specie, non essendo emerse intese tra (OMISSIS) e i terzi con cui si rapportava, connotate da concretezza e specificita', finalizzate ad attenuare le conseguenze delle verifiche fiscali eseguite nei confronti della societa' della societa' (OMISSIS) s.r.l.. 4.1.1. Le argomentazioni esposte nell'atto di impugnazione introduttivo del presente procedimento venivano richiamate e ulteriormente ribadite nelle memorie difensive presentate nell'interesse di (OMISSIS) il 3 marzo 2023, nelle quali si evidenziava l'insussistenza degli elementi costitutivi dei reati di cui all'articolo 346-bis c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3 cosi' come contestati ai capi 4, 4 bis, 8 e 8 bis della rubrica, che imponeva l'annullamento della sentenza impugnata. 4.2. L'imputato (OMISSIS), a mezzo degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando tre censure difensive. Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 615-ter c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS) responsabile delle condotte illecite che gli venivano contestate al capo 10, non essendo dimostrata la natura abusiva degli accessi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, in uso ai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, effettuati, nelle date del 10 marzo 2016 e del 2 settembre 2016, per fornire notizie che i destinatari delle informazioni potevano legittimamente acquisire. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), nell'applicare il quale la Corte di appello di Venezia aveva trascurato le circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano perfezionati gli accadimenti criminosi e la collaborazione processuale fornita dall'imputato all'accertamento dei fatti di reato ascrittigli al capo 10. Con il terzo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento alla L. n. 689 del 1981, articolo 53 e articolo 135 c.p., conseguente al fatto che la Corte di appello di Venezia aveva sostituito la pena di sei mesi di reclusione irrogata all'imputato con la multa di 45.000,00 Euro in violazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale 1 febbraio 2022, n. 28, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dello stesso articolo 53, relativamente all'applicazione dei parametri di conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria. Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti da (OMISSIS) e (OMISSIS)e devono essere esaminati separatamente. 2. Deve ritenersi parzialmente fondato il ricorso proposto dall'imputato (OMISSIS), a mezzo dell'avvocato (OMISSIS), con cui venivano articolate sette censure difensive. La fondatezza dell'impugnazione proposta nell'interesse di (OMISSIS) discende dall'accoglimento del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo di ricorso, relativamente alla configurazione del reato di cui all'articolo 346-bis c.p., contestato all'imputato ai capi 4 e 8. L'accoglimento di tali doglianze, al contempo, comporta l'assorbimento del quarto, del sesto e del settimo motivo di ricorso, relativamente alla configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, contestato al ricorrente ai capi 4 bis e 8 bis. Devono, invece, essere respinte le censure difensive correlate, prospettate nell'ambito delle stesse doglianze, relative all'interpretazione e all'utilizzazione delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, rispetto alle quali, per le ragioni su cui ci si soffermera' nel paragrafo 2.1.2, cui sin d'ora si rinvia, non sussistono le discrasie motivazionali prospettate nell'interesse di (OMISSIS), sia in relazione alla "(OMISSIS)" sia in relazione alla "(OMISSIS)". 2.1. Occorre, pertanto, prendere le mosse dalla disamina del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo di ricorso, proposti sia in relazione alla "(OMISSIS)" sia in relazione alla "(OMISSIS)", con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui all'articolo 346-bis c.p., ascritto a (OMISSIS) ai capi 4 e 8, nel valutare la quale occorreva considerare che tale fattispecie era contestata nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, che sanzionava le sole condotte di mediazione illecita consistenti in offerte di atti contrari ai doveri d'ufficio. Osserva il Collegio che la Corte di appello di Venezia, a fronte delle specifiche censure difensive, non risolveva la questione della configurazione del reato di cui all'articolo 346-bis c.p., contestato all'imputato ai capi 4 e 8 nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019. Si consideri, in proposito, che, nella sua vecchia formulazione, conseguente all'approvazione della L. 6 novembre 2012, n. 190, l'articolo 346-bis c.p., comma 1, stabiliva: "Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a se' o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, e' punito con la reclusione da uno a tre anni". Per risolvere tale, preliminare, questione, la Corte di appello di Venezia avrebbe dovuto chiarire se le condotte di mediazione poste in essere da (OMISSIS) nella "(OMISSIS)" e nella "(OMISSIS)" comportavano che l'imputato, nel prospettare ai suoi interlocutori - costituiti dagli amministratori della societa' (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa - la sua influenza sui responsabili dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, esplicitasse loro che il suo intervento era finalizzato al compimento di un atto o eventualmente di una pluralita' di atti contrari ai doveri di ufficio. Ne' era possibile eludere tale questione, dovendosi evidenziare che nelle ipotesi di traffico di influenze, cosi' come prefigurate dall'articolo 346-bis c.p., nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, la mediazione puo' essere sanzionata soltanto se l'accordo tra il privato committente e il mediatore e' finalizzato alla commissione di un illecito penale idoneo a produrre vantaggi indebiti alla prima delle due parti, non assumendo rilievo il mero uso di una relazione personale tra il mediatore e il pubblico ufficiale. Ne consegue che, nel caso di specie, non assumeva rilievo la prospettazione di (OMISSIS) ai rappresentanti delle aziende con cui era entrato in contatto - la societa' (OMISSIS) s.p.a. e la (OMISSIS) Societa' Cooperativa - di rapporti privilegiati con i responsabili dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, quanto, piuttosto, l'enucleazione dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio che l'imputato si impegnava a fare compiere ai pubblici agenti presso i quali sarebbe dovuto intervenire. Ne' potrebbe essere diversamente, atteso che il legislatore italiano con l'introduzione della fattispecie dell'articolo 346-bis c.p. ha inteso punire, in via preventiva e anticipata, il fenomeno della corruzione, sanzionando penalmente tutte le condotte, in precedenza irrilevanti, prodromiche rispetto ai reati di corruzione, consistenti in accordi riguardanti le influenze illecite su un pubblico agente, che il trafficante promette di esercitare in favore del suo interlocutore dietro compenso. Ne deriva che il nucleo di antigiuridicita' della fattispecie dell'articolo 346-bis c.p., nella formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, non deve essere individuato nello sfruttamento, reale o semplicemente prospettato, di relazioni con il pubblico agente - che costituisce il mezzo attraverso il quale il trafficante riesce a farsi consegnare o a farsi promettere dal privato committente la dazione indebita -, quanto, piuttosto, in tutte quelle forme di mediazione che abbiano come finalita' l'influenza illecita sullo svolgimento dell'attivita' della pubblica amministrazione. Del resto, l'articolo 346-bis c.p., nella sua vecchia formulazione, pone sullo stesso piano la mediazione finalizzata alla corruzione del pubblico agente e la mediazione illecita, rendendo evidente che, anche per questa seconda forma di traffico di influenze, l'antigiuridicita' del comportamento si incentra necessariamente sull'elemento finalistico, che deve essere connotato da illiceita'. Nella vecchia formulazione dell'articolo 346-bis c.p., dunque, le parti devono avere di mira un'interferenza illecita, che postula il compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio, esattamente individuato alla luce delle emergenze probatorie, al contrario di quanto riscontrabile nel caso in esame, che deve essere adottato grazie allo sfruttamento delle relazioni privilegiate esistenti tra il trafficante e il pubblico agente. Diversamente, si rischia di attrarre nella sfera penale sanzionata ex articolo 346-bis c.p., a discapito del principio di legalita', le piu' svariate forme di relazioni con la pubblica amministrazione, connotate anche solo da opacita' o da scarsa trasparenza, difficilmente catalogabili in termini oggettivi e spesso neppure patologiche, quanto all'interesse personale perseguito. Non si puo', in proposito, non richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nelle ipotesi di traffico di influenze sanzionate dall'articolo 346-bis c.p., il "reato non e' integrato per effetto della mera intermediazione posta in essere mediante lo sfruttamento di relazioni con il pubblico agente, occorrendo che la mediazione possa qualificarsi come "illecita", tale dovendosi ritenere l'intervento finalizzato alla commissione di un "fatto di reato" idoneo a produrre vantaggi per il privato committente" (Sez. 6, n. 40518 dell'08/07/2021, Alemanno, Rv. 282119-01). Occorre, pertanto, ribadire che l'incriminazione del traffico di influenze e' motivata dall'esigenza di colpire le condotte prodromiche a comportamenti corruttivi, allo scopo di impedirne la consumazione, atteso che laddove il denaro o il vantaggio patrimoniale viene conferito per remunerare il pubblico agente, che compie o dovra' compiere un atto contrario ai suoi doveri, saranno applicabili le sanzioni in materia di corruzione, come emerge dalla clausola di sussidiarieta' con cui si apre l'articolo 346-bis c.p. (Sez. 6, n. 40518 dell'08/07/2021, Alemanno, cit.). Nel caso in cui, invece, il denaro o il vantaggio patrimoniale costituiscono la remunerazione, corrisposta o promessa, della mediazione illecita del trafficante, la condotta integra il reato di cui all'articolo 346-bis c.p., nella sua vecchia formulazione, soltanto se funzionale a fare commettere un atto contrario ai doveri di ufficio, considerato il carattere indebito della dazione o della promessa da parte del privato committente (Sez. 6, n. 40518 dell'08/07/2021, Alemanno, cit.). Ricostruita in questi termini la fattispecie dell'articolo 346-bis c.p., nella sua formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, e' evidente che il traffico di influenze si concretizza solo quando l'intermediario prezzolato agisce per turbare il corretto svolgimento dell'attivita' della pubblica amministrazione, sfruttando le sue relazioni privilegiate con il destinatario della pressione, che induce a commettere un atto contrario ai suoi doveri d'ufficio, che deve essere esattamente individuato nei suoi elementi costitutivi (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 27955-01; Sez. 6, n. 4113 del 14/12/2016, dep. 2017, Rigano, Rv. 269736-01; Sez. 6, n. 29789 del 27/06/2013, Angeleri, Rv. 255618-01; Sez. 6, n. 11808 dell'11/02/2013, Colosimo, Rv. 254442-01). 2.1.1. Nella cornice ermeneutica descritta nel paragrafo precedente la Corte di appello di Venezia non poteva limitarsi a ritenere illecita l'attivita' di mediazione posta in essere da (OMISSIS), sic et simpliciter, ma doveva, alla luce delle emergenze probatorie, individuare l'atto o eventualmente gli atti contrari ai doveri d'ufficio che l'imputato si era impegnato a fare compiere ai responsabili dell'Agenzie delle Entrate di Venezia, presso i quali sarebbe dovuto intervenire nell'interesse degli amministratori della societa' (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa. L'individuazione di tali connotazioni di contrarieta' postulava, quanto all'accertamento tributario instaurato nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a., nel corso del 2015, su cui si incentrava l'incriminazione del reato di cui al capo 4, l'enucleazione dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio che (OMISSIS) avrebbe dovuto fare compiere, forte delle sue, asserite, relazioni privilegiate, ai responsabili dell'Agenzie delle Entrate di Venezia. L'attivita' di mediazione posta in essere da (OMISSIS), al contempo, postulava la valutazione della rilevanza dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio nel contesto sequenziale dell'accertamento tributario instaurato nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a., che, dopo il deposito del processo verbale di constatazione del 29 luglio 2015, si concludeva con la procedura di accertamento con adesione. Questa ricognizione postulava una valutazione critica delle dichiarazioni rese dagli amministratori dell'azienda sottoposta a verifica, (OMISSIS) e (OMISSIS), finalizzata a identificare i segmenti procedurali della verifica fiscale instaurata dalla Guardia di Finanza di Venezia, come detto nel 2015, su cui l'imputato si era impegnato a intervenire e l'atto o eventualmente gli atti contrari ai doveri d'ufficio che, in conseguenza della mediazione illecita di (OMISSIS), dovevano essere adottati a vantaggio della societa' (OMISSIS) s.p.a.. Tali propalazioni, a loro volta, dovevano essere correlate alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), la cui attendibilita' doveva essere vagliata tenendo conto dei parametri ermeneutici sottostanti all'applicazione dell'articolo 346-bis c.p., nella sua formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, cosi' come ricostruita nel paragrafo 2.1, cui si rinvia. Ad analoghe conclusioni processuali deve giungersi con riferimento alla verifica fiscale instaurata nei confronti della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, anch'essa attivata nel corso del 2015, su cui si incentrava l'incriminazione del reato di cui al capo 8 della rubrica, che postulava l'enucleazione, da parte della Corte di appello di Venezia, dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio che (OMISSIS) avrebbe dovuto fare compiere, forte delle sue, asserite, relazioni privilegiate, ai responsabili dell'Agenzie delle Entrate di Venezia. Anche in questo caso, l'attivita' di mediazione posta in essere da (OMISSIS) postulava la valutazione della rilevanza dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio nel contesto sequenziale dell'accertamento tributario instaurato nei confronti della (OMISSIS) Societa' Cooperativa, che, dopo essere stata avviata nel 2015, si concludeva con la procedura di accertamento con adesione. La prescritta ricognizione presupponeva una valutazione critica delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - il primo, quale responsabile amministrativo dell'azienda sottoposta a verifica; il secondo, quale direttore dell'Agenzia delle Entrate di Venezia; il terzo, quale Giudice della Commissione Tributaria Regionale del Veneto -, finalizzata a identificare i segmenti procedurali della verifica fiscale instaurata dalla Guardia di Finanza di Venezia, su cui l'imputato si era impegnato a intervenire e l'atto o eventualmente gli atti contrari ai doveri d'ufficio che, in conseguenza della mediazione illecita del ricorrente, dovevano essere adottati a vantaggio della (OMISSIS) Societa' Cooperativa. Deve, infine, evidenziarsi, in linea con quanto si e' affermato a proposito della "(OMISSIS)", che le propalazioni di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), dovevano essere correlate alle dichiarazioni rese da (OMISSIS), la cui attendibilita' doveva essere vagliata tenendo conto dei parametri ermeneutici sottostanti all'applicazione dell'articolo 346-bis c.p., nella sua formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, cosi' come ricostruita nel paragrafo 2.1, cui si rinvia ulteriormente. 2.1.2. A fronte delle incongruita' argomentative evidenziate nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, cui si rinvia, deve rilevarsi che non sussistono le discrasie motivazionali, prospettate dalla difesa di (OMISSIS) - sia in relazione alla "(OMISSIS)" sia in relazione alla "(OMISSIS)" -, relative all'interpretazione delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, i cui esiti contraddittori, secondo la difesa del ricorrente, non consentivano di corroborare la ricostruzione fattuale degli accadimenti criminosi. Non puo', in proposito, non rilevarsi che la Corte di appello di Venezia, al contrario di quanto prospettato dalla difesa del ricorrente, relativamente all'interpretazione delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, ricostruiva correttamente il contesto meramente fattuale nel quale le condotte di (OMISSIS) si concretizzavano, non essendo dubitabile che il ricorrente avesse promesso ai suoi contingenti interlocutori - (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) - di intervenire sui responsabili dell'Agenzie delle Entrate di Venezia, per attenuare le conseguenze degli accertamenti tributari attivati, nel corso del 2015, nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa. Ne' tantomeno, ferme restando le incongruita' argomentative evidenziate nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, cui si rinvia ulteriormente, era possibile operare una reinterpretazione complessiva del contenuto di tali conversazioni in sede di legittimita', sulla scorta di quanto prospettato dalla difesa di (OMISSIS), relativamente alle ipotesi delittuose di cui ai capi 4 e 8, essendo una tale operazione di ermeneutica processuale preclusa a questo Collegio, conformemente al seguente principio di diritto: "In materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all'esclusiva competenza del giudice di merito, l'interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non puo' essere sindacato in sede di legittimita' se non nei limiti della manifesta illogicita' ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite" (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337-01; Sez. 6, n. 11794 dell'11/02/2013, Melfi, Rv. 254439-01). In questo contesto, occorre ribadire il consolidato principio di diritto secondo cui, a seguito della riformulazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), mentre e' consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, non e' consentito dedurre il vizio di travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimita' di sovrapporre la sua valutazione delle risultanze processuali a quella che e' stata compiuta nei giudizi di merito. Se cosi' non fosse, si domanderebbe a questa Corte il compimento di un'operazione ermeneutica palesemente estranea al giudizio di legittimita', come quella della reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della formulazione del giudizio di colpevolezza dell'imputato (Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623-01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215-01; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167-01). Discorso, questo, che vale anche con riferimento alla lettura del contenuto delle conversazioni captate durante le indagini preliminari, rispetto alle quali e' stato tratteggiato nel ricorso di (OMISSIS), con riferimento alla ricostruzione degli accadimenti criminosi di cui ai capi 4 e 8, un problema di interpretazione delle frasi e del linguaggio usato dai soggetti coinvolti da quelle registrazioni, che costituisce una questione esclusivamente fattuale, rimessa all'apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al giudizio di legittimita' se e nella misura in cui le valutazioni effettuate risultano logiche e coerenti in rapporto alle massime di esperienza utilizzate per l'interpretazione di tali captazioni. Sul punto, allo scopo di circoscrivere con maggiore puntualita' gli ambiti di intervento del giudice di legittimita' in relazione all'operazione di ermeneutica processuale compiuta dai Giudici di merito veneziani sui risultati delle intercettazioni, si ritiene necessario richiamare il seguente principio di diritto: "In tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilita' dei significati e assenza di ambiguita', di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione" (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414-01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611-01). Questa posizione ermeneutica, da ultimo, e' stata ribadita dalle Sezioni Unite, che hanno affermato il seguente principio di diritto: "In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimita'" (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715-01). 2.2. Restano assorbite nelle doglianze oggetto di accoglimento il quarto, il sesto e il settimo motivo di ricorso - proposti sia in relazione alla "(OMISSIS)" sia in relazione alla "(OMISSIS)" sia in relazione alla "(OMISSIS)" -, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto della configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, cosi' come contestato ai capi 4 bis e 8 bis, atteso che la fattispecie della collusione militare postula un accordo illecito non dimostrato nel caso di specie, non essendo emerse intese tra (OMISSIS) e i terzi con cui si rapportava, connotate da concretezza e specificita', finalizzate ad attenuare le conseguenze delle verifiche fiscali eseguite nei confronti della societa' (OMISSIS) s.p.a., della societa' (OMISSIS) s.r.l. e della (OMISSIS) Societa' Cooperativa. L'assorbimento delle censure difensive proposte quali quarto, sesto e settimo motivo di ricorso nelle doglianze oggetto di accoglimento discende dal fatto che la configurazione del reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3 presupponeva la dimostrazione di intese illecite tra (OMISSIS) e i terzi con cui si rapportava, finalizzate ad attenuare le conseguenze degli accertamenti tributari eseguiti, nel corso del 2015, nei confronti delle societa' di cui ai capi 4 bis e 8 bis della rubrica. Tuttavia, l'inquadramento di tali intese illecite postulava la preliminare enucleazione dell'atto o eventualmente degli atti contrari ai doveri d'ufficio che (OMISSIS) avrebbe dovuto fare compiere, forte delle sue, asserite, relazioni privilegiate, ai responsabili dell'Agenzie delle Entrate di Venezia, su cui, per le ragioni esposte nei paragrafi 2.1 e 2.1.1, cui si rinvia ulteriormente, si impone un nuovo giudizio. Non puo', del resto, non ribadirsi che la fattispecie di cui all'articolo 346-bis c.p., nella sua formulazione antecedente all'entrata in vigore della L. n. 3 del 2019, cui si collegano le incriminazioni relative ai reati di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, di propone l'obiettivo di sanzionare comportamenti prodromici a condotte corruttive, per impedirne il verificarsi, essendo la remunerazione corrisposta dal privato committente funzionale al compimento un atto contrario ai suoi doveri, che non risulta compiutamente evidenziato nel caso di specie; carenze, queste ultime, su cui si impone un nuovo giudizio della Corte di appello di Venezia (Sez. 6, n. 40518 dell'08/07/2021, Alemanno, cit.). Nel compiere le verifiche che le vengono demandate in sede di rinvio, la Corte di appello di Venezia dovra' tenere conto del fatto che il delitto di cui all'articolo e L. n. 1363 del 1941 si perfeziona per il solo fatto dell'accordo tra il militare e l'extraneus, senza che sia necessario il conseguimento del risultato su cui si fonda l'intesa collusiva, che non rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie contestata a (OMISSIS) ai capi 4 bis e 8 bis. La fattispecie in questione, infatti, anticipa la soglia della punibilita' della condotta al momento dell'accordo, atteso che gia' al momento del raggiungimento dell'intesa collusiva si verifica la messa in pericolo dell'interesse pubblico, che concretizza la lesione di uno specifico obbligo di fedelta' del militare, come costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il reato di cui alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3 "si perfeziona con il semplice accordo tra il militare appartenente alla Guardia di finanza e l'estraneo, senza che debba necessariamente realizzarsi il risultato della frode alla finanza, giacche' l'interesse protetto dalla norma viene messo in pericolo non solo dalle condotte collusive finalizzate alla commissione di violazioni finanziarie, ma anche da quelle finalizzate ad eluderne l'accertamento" (Sez. 1, n. 25819 del 06/06/2007, Vitale, Rv. 236894-01). 2.3. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente alla configurazione dei reati di cui all'articolo 346-bis c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3 cui consegue il rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, nei termini di cui in dispositivo. Nel resto, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato. 3. Deve ritenersi parzialmente fondato il ricorso proposto dall'imputato (OMISSIS), a mezzo degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che veniva articolato in tre censure difensive. Occorre premettere che la fondatezza del ricorso discende dall'accoglimento del terzo motivo di ricorso, riguardante l'erronea applicazione dei parametri dosimetrici relativi alla conversione della pena di sei mesi di reclusione irrogata all'imputato in 45.000,00 Euro di multa, effettuata L. n. 689 del 1981, ex articolo 53, comma 2. Nel resto, l'atto di impugnazione proposto nell'interesse dell'imputato (OMISSIS) deve essere rigettato. 3.1. Tanto premesso, deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all'articolo 615-ter c.p., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che imponevano di ritenere (OMISSIS) responsabile delle condotte illecite che gli venivano contestate al capo 10, non essendo dimostrata la natura abusiva degli accessi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, in uso ai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, effettuati, nelle date del 10 marzo 2016 e del 2 settembre 2016, per fornire notizie che i destinatari delle informazioni potevano legittimamente acquisire. Osserva il Collegio che gli accadimenti criminosi contestati a (OMISSIS) al capo 10 venivano accertati nel corso degli accertamenti investigativi compiuti in relazione alla "(OMISSIS)" e alla "(OMISSIS)", dai quali emergeva il coinvolgimento dell'imputato nel delitto di cui all'articolo 81 c.p., comma 2, articoli 110, 326 c.p., articolo 615-ter c.p., comma 1, comma 2, n. 1, comma 3. Tale reato veniva commesso da (OMISSIS) accedendo abusivamente alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria, a disposizione dei dipendenti dell'Agenzia delle Entrate di Venezia, allo scopo di soddisfare le richieste rivoltegli dal colonnello (OMISSIS), nelle date del 10 marzo 2016 e del 2 settembre 2016. Deve, al contempo, evidenziarsi che gli accessi abusivi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria venivano ammessi dal (OMISSIS), che, sottopostosi a esame, confermava gli esiti degli accertamenti investigativi che erano stati eseguiti nei suoi confronti in relazione al reato di cui al capo 10 della rubrica, pur precisando di avere fornito le informazioni richiestegli dal colonnello (OMISSIS) sul presupposto, peraltro incontroverso, che i destinatari delle notizie potevano legittimamente acquisire i dati tributari comunicati dall'imputato all'extraneus. In questa cornice, deve rilevarsi che la ricostruzione degli accadimenti criminosi posta a fondamento del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di (OMISSIS) veniva giustificata dalla Corte di appello di Venezia sulla base del contenuto delle intercettazioni attivate nel corso delle indagini preliminari, che venivano correttamente richiamate nelle decisioni di merito. Queste captazioni corroboravano l'assunto accusatorio, confermando l'esistenza di rapporti, non esclusivamente professionali, tra l'imputato e (OMISSIS), imponendo di escludere che gli accessi abusivi alla banca dati telematica dell'Anagrafe Tributaria erano giustificati dall'attivita' di servizio svolta dall'imputato presso l'Agenzia delle Entrate. Le conclusioni della Corte di appello di Venezia rendevano irrilevante la circostanza, pur incontroversa, che i destinatari delle notizie potevano acquisire legittimamente i dati tributari comunicati da (OMISSIS) ad (OMISSIS). Non e', infatti, dubitabile che e' idonea a integrare il delitto previsto dall'articolo 615-ter c.p. la condotta del pubblico dipendente che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni che regolamentano il funzionamento di un sistema informatico protetto, effettui un accesso per ragioni "estranee rispetto a quelle per le quali la facolta' di accesso gli e' attribuita" (Sez. 5, n. 565 del 29/11/2018, dep. 2019, Landi di Chiavenna, Rv. 274392-01). Questa posizione ermeneutica, del resto, trae origine dall'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, che hanno affermato il seguente principio di diritto: "Integra il delitto previsto dall'articolo 615-ter c.p., comma 2, n. 1, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l'accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee rispetto a quelle per le quali la facolta' di accesso gli e' attribuita" (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, Rv. 271061-01). 3.1.1. Non puo', per altro verso, operarsi una reinterpretazione complessiva del contenuto delle captazioni registrate nei confronti di (OMISSIS), sulla scorta di quanto prospettato dal suo difensore, sia pure in via residuale, relativamente all'ipotesi delittuosa di cui al capo 10. Non puo', invero, non rilevarsi, in linea con quanto si e' gia' affermato nel paragrafo 2.2, cui si rinvia, che il controllo di legittimita' sul vizio di manifesta illogicita' della motivazione viene esercitato esclusivamente sul fronte della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilita', per il giudice di legittimita', di verificare se l'interpretazione delle intercettazioni sia effettivamente corrispondente alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti processuali. Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, e' necessario dimostrare che il provvedimento impugnato, relativamente all'interpretazione delle captazioni, sia manifestamente carente sul piano motivazionale o logico, per cui non e' possibile opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa e alternativa ricostruzione degli stessi, ancorche' altrettanto logica, perche' in tal caso verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito, come affermato dalle Sezioni Unite in un risalente e insuperato arresto giurisprudenziale (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207945-01). Il controllo di legittimita' operato dalla Corte di cassazione, infatti, non e' funzionale a stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore ricostruzione dei fatti, laddove incentrata sull'interpretazione delle intercettazioni acquisite nel corso delle indagini preliminari, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilita' di apprezzamento giurisdizionale (Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304-01; Sez. 4, n. 47891 del 28/09/2004, Mauro, Rv. 230568-01; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369-01). 3.1.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 3.2. Deve ritenersi inammissibile il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS), nell'applicare il quale si erano trascurate le circostanze di tempo e di luogo nelle quali si erano perfezionati gli accadimenti criminosi di cui al capo 10 della rubrica e la collaborazione processuale fornita dall'imputato all'accertamento dei fatti di reato, resa incontroversa dalle sue dichiarazioni confessorie. Osserva il Collegio che il trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) risulta suffragato dalla ricostruzione compiuta dalla Corte di appello di Venezia, che si soffermava correttamente sulle connotazioni, oggettive e soggettive, del reato contestato al ricorrente al capo 10, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico congruo, che fosse possibile attenuare il trattamento sanzionatorio, peraltro ridotto nel giudizio di secondo grado, per effetto del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, che comportava l'irrogazione della pena di sei mesi di reclusione, convertita nella multa di 45.000,00 Euro, L. n. 689 del 1981, ex articolo 53, comma 2. Le conclusioni alle quali giungeva la Corte di appello di Venezia traevano origine da una verifica giurisdizionale ineccepibile, che teneva conto dell'oggettivo disvalore della vicenda criminosa e delle modalita' con cui gli accessi abusivi all'Anagrafe Tributaria contestati al capo 10 venivano eseguiti da (OMISSIS) nelle date del 10 marzo 2016 e del 2 settembre 2016; accessi che traevano origine dai rapporti, esclusivamente personali, esistenti tra l'imputato e il colonnello (OMISSIS) e che venivano effettuati per ragioni ontologicamente estranee al ruolo professionale ricoperto dal ricorrente in seno all'Agenzia delle Entrate di Venezia (Sez. U, n. 41210 del 18/05/2017, Savarese, cit.). Queste considerazioni, dunque, non consentivano l'ulteriore mitigazione del trattamento sanzionatorio irrogato a (OMISSIS) dalla Corte di appello di Venezia, che veniva correttamente valutato nella globalita' degli elementi, oggettivi e soggettivi, che connotavano la posizione dell'imputato, rispetto alla quale il contributo processuale fornito con le sue dichiarazioni confessorie assumeva un rilievo marginale per effetto dell'univocita' del compendio probatorio acquisito nei suoi confronti. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilita' del secondo motivo di ricorso. 3.3. Deve, infine, ritenersi fondato il terzo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, in riferimento alla L. n. 689 del 1981, articolo 53 e articolo 135 c.p., conseguente al fatto che la Corte di appello di Venezia aveva sostituito la pena di sei mesi di reclusione irrogata all'imputato con la multa di 45.000,00 Euro in violazione dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dello stesso articolo 53, relativamente all'applicazione dei parametri di conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria. Osserva il Collegio che nel provvedere alla sostituzione della pena di sei mesi di reclusione nella multa di 45.000,00 Euro di multa, effettuata L. n. 689 del 1981, ex articolo 53 la Corte di appello di Venezia non teneva conto della sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022, che aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'articolo 53, comma 2, della stessa legge. Con tale pronuncia, com'e' noto, veniva dichiarata l'illegittimita' costituzionale della L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2, nella parte in cui prevede che il "valore giornaliero non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'articolo 135 c.p. e non puo' superare di dieci volte tale ammontare", anziche' il "valore giornaliero non puo' essere inferiore a 75 Euro e non puo' superare di dieci volte la somma indicata dall'articolo 135 c.p.". In conseguenza di tale declaratoria di incostituzionalita' il Giudice delle leggi disponeva la sostituzione del tasso minimo di 250,00 Euro con quello di 75,00 Euro per ogni giorno di pena detentiva oggetto di conversione, in linea con quanto stabilito dall'articolo 459 c.p.p., comma 1-bis, per il decreto penale di condanna. Ne' la Corte di appello di Venezia forniva alcuna spiegazione sui parametri dosimetrici di conversione della pena detentiva applicati nel caso di specie, limitandosi ad affermare assertivamente, a pagina 89 della sentenza impugnata, che "operata la sostituzione con i criteri di ragguaglio di cui all'articolo 135 c.p., la pena pecuniaria sostitutiva viene determinata in Euro 45.000 di multa". A tali rivisitati parametri dosimetrici, dunque, si dovra' conformare la Corte di appello di Venezia, che, nel giudizio di rinvio che le viene demandato, dovra' fare corretta applicazione dei principi affermati, in relazione alla previsione della L. n. 689 del 1981, articolo 53, comma 2, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022. Queste ragioni impongono di ribadire la fondatezza del terzo motivo di ricorso. 3.4. Le considerazioni esposte impongono l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, cui consegue il rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, nei termini di cui in dispositivo. Nel resto, il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS) deve essere rigettato. 4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla configurazione dei reati di cui all'articolo 346-bis c.p. e L. n. 1383 del 1941, articolo 3 con il conseguente rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. L'atto di impugnazione proposto da (OMISSIS), nel resto, deve essere rigettato. Deve, inoltre, disporsi l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS), limitatamente al trattamento sanzionatorio, con il conseguente rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. Il ricorso proposto nell'interesse di (OMISSIS), nel resto, deve essere rigettato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente ai reati di cui all'articolo 346-bis c.p. e alla L. n. 1383 del 1941, articolo 3, e nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio su tali capi e punti ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto i ricorsi.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. MANNA Felice - Presidente Dott. BERTUZZI Mario - rel. est. Consigliere Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere Dott. ROLFI Federico Vincenzo Amedeo - Consigliere Dott. CAPONI Remo - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS) s.r.l., con sede in (OMISSIS), in persona dell'amministratore unico sig. (OMISSIS), e (OMISSIS), rappresentati e difesi per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in (OMISSIS); - ricorrenti - contro Provincia di Verona, in persona del dirigente del Servizio Avvocatura della Provincia di Verona Avv. (OMISSIS), giusto Decreto Presidenziale 14 febbraio 2017, n. 13, rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dall'Avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avvocato (OMISSIS), in (OMISSIS); - controricorrente - e Comune di San Giovanni Lupatoto; - intimato - avverso la sentenza n. 3794 della Corte di appello di Venezia, depositata il 31.10.2019. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18.11.2022 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi; Viste le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha chiesto il rigetto del ricorso. FATTI DI CAUSA Con sentenza n. 3794 del 31.10.2019 la Corte di appello di Venezia, riformando la decisione di primo grado, rigetto' in parte l'opposizione proposta da (OMISSIS) e dalla s.r.l. (OMISSIS) avverso l'ordinanza ingiunzione con cui la Provincia di Verona aveva loro irrogato la sanzione di Euro 11.026.162,60 per la violazione della Legge Regionale Veneto n. 44 del 1982, articolo 33, per avere esportato, in assenza di autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di cava, mq. 829.033,63 di materiale ghiaioso estratto nel corso dei lavori di realizzazione di un impianto di acquacoltura in localita' (OMISSIS), nel comune di (OMISSIS), rideterminando la sanzione nel minore importo di Euro 5.054.015,40. A sostegno della conclusione accolta la Corte veneziana affermo' che l'illecito contestato agli opponenti integrava la violazione di cui alla Legge Regionale n. 44 del 1982, articolo 33, comma 1, che punisce chiunque coltivi una cava senza autorizzazione o concessione, e non, come ritenuto dal Tribunale, la sola violazione della Legge Regionale Veneto n. 19 del 1998, articolo 23, comma 4, che vieta, nell'escavazione di nuovi impianti di acquacoltura, l'esportazione dei materiali di risulta; che in tale senso deponeva la Legge Regionale n. 44 del 1982, articolo 2, che, nel disporre che i lavori effettuati sul terreno ove sono in corso opere pubbliche e private non sono soggetti alla normativa in materia di cave, tuttavia qualifica come attivita' di cava e assoggetta alla relativa disciplina anche le attivita' di movimento terra e in particolare i miglioramenti fondiari posti in essere, anche in via secondaria, per utilizzazione dei materiali estratti a scopo industriale ed edilizio; che, nella specie, era pacifico che il materiale di risulta fosse stato illecitamente esportato per essere commercializzato; che per contro la Legge Regionale Veneto n. 19 del 1998, articolo 23, secondo l'interpretazione data anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 190 del 2001, nel vietare nelle nuove opere di acquacoltura la "esportazione" dei materiali di risulta, fa mero riferimento, senza ulteriori specificazioni, alla fuoriuscita degli stessi dal sito dei lavori, allo scopo, da un lato, di impedire che sia surrettiziamente svolta attivita' di cava senza autorizzazione, dall'altro per garantire l'immediato ripristino dei luoghi in caso di cessazione dell'attivita' di acquacoltura, senza sovrapporsi alla normativa in materia di cave; che, pertanto, tra le due disposizioni sopra richiamate non esiste un rapporto di specialita', avendo esse ad oggetto fatti e quindi illeciti amministrativi diversi; che, nella specie, la violazione contestata non si era estinta per prescrizione quinquennale, avendo essa natura di illecito di carattere permanente, i cui effetti durano fino a che non venga posto in essere un intervento di ripristino ambientale sull'area interessata dalla asportazione del materiale, tenuto altresi' conto che l'attivita' illecita era proseguita fino al novembre 2004 ed il verbale di contestazione era stato notificato l'8.5.2009; che risultava altresi' infondata l'eccezione di decadenza, per non essere stata la contestazione notificata al trasgressore entro 90 giorni dall'accertamento, ai sensi della L. n. 689 del 1981, articolo 14, tenuto conto che il suddetto termine decorre dal momento in cui l'amministrazione ha completato gli atti istruttori per l'accertamento e la valutazione della condotta ascritta all'interessato, che in caso di esercizio abusivo di cava a tal fine e' necessaria un'attivita' accertativa ed estimativa della quantita' del materiale abusivamente estratto, cui la legge commisura l'importo della sanzione, e che, ai fini dell'osservanza di detto termine, rileva l'attivita' compiuta dall'autorita' competente, non la data in cui la stessa ha ricevuto notizia della violazione da altra autorita'; che nella specie tale termine risultava rispettato, tenuto conto che gli accertamenti tecnici funzionali a quantificare l'importo della sanzione erano stati depositati il 19.2.2009 ed il verbale di contestazione notificato agli interessati l'8.5.2009; che, in relazione alla qualifica giuridica del fatto, l'ordinanza impugnata non si poneva in contrasto o in elusione con la sentenza del Consiglio di Stato n. 4691 del 2005, che si era pronunciata sulla impugnativa del provvedimento con cui il comune di (OMISSIS) aveva ordinato alla societa' l'inibizione della asportazione del materiale, qualificando la condotta della stessa nell'ambito della attivita' edilizia anziche' di quella estrattiva, atteso che il giudicato del giudice amministrativo aveva ad oggetto la legittimita' di tale inibitoria, mentre l'ordinanza ingiunzione opposta verteva sull'esercizio del potere sanzionatorio di cui alla Legge Regionale n. 44 del 1982; che i vizi di procedura denunziati dagli opponenti-appellanti in via incidentale non costituivano causa di invalidita' del provvedimento finale contestato, non avendo comunque pregiudicato il diritto di difesa; che andava altresi' esclusa la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 15, per non avere l'amministrazione comunicato agli interessati il risultato delle analisi, dal momento che esse non si erano svolte su campioni; che il tempo trascorso tra il conferimento dell'incarico al tecnico per l'esame dei materiali e il deposito della sua relazione non poteva considerarsi incongruo, in ragione della complessita' delle indagini demandate; che l'ordinanza ingiunzione era stata legittimamente emessa dal dirigente del Settore Ambiente della Provincia, ai sensi del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 107, comma 3 lettera g), che devolve ai dirigenti degli enti locali la competenza ad irrogare sanzioni amministrative in materia di prevenzione e repressione dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale; che non era invocabile da parte degli opponenti l'esimente della buona fede, atteso il carattere professionale della loro attivita', la chiarezza del divieto di cui della Legge Regionale n. 19 del 1998, articolo 23, comma 4, di esportazione dei materiali di risulta e che nessuna ambiguita' era rinvenibile nel comportamento della pubblica amministrazione, che aveva adottato il provvedimento di interdizione dell'attivita' di asporto nell'aprile 2004. Per la cassazione di questa sentenza, notificata l'8.11.2019, con atto notificato il 29.11.2019, hanno proposto ricorso (OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS), affidandosi ad otto motivi. Resiste con controricorso la Provincia di Verona, mentre il comune di (OMISSIS) non ha svolto attivita' difensiva. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe riassunte. Entrambe le parti hanno depositato memoria. La trattazione del ricorso si e' svolta, ai sensi del Decreto Legge 28 ottobre 2010, n. 137, articolo 23, comma 8 bis, convertito con L. 18 dicembre 2010, n. 176, in Camera di consiglio senza l'intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale. RAGIONI DELLA DECISIONE Il primo motivo del ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della Legge Regionale Veneto n. 19 del 1998, articolo 23, della Legge Regionale Veneto n. 44 del 1982, articolo 33, della L. n. 689 del 1981, articoli 1 e 2, degli articoli 25 e 27 Cost., dell'articolo 7 CEDU e dell'articolo 2 preleggi. Assume il ricorso che la Corte di appello ha errato nel sussumere il fatto contestato, consistito nell'avere "esportato, in assenza di autorizzazione all'esercizio dell'attivita' di cava, 829.033,63 mq. di materiale ghiaioso, estratti in conformita' alla concessione di variante n. 25883/18454 del 26.6.2003 rilasciata dal Comune di (OMISSIS), nel corso dei lavori di realizzazione di un impianto di acquacoltura", nell'ambito della previsione di cui alla Legge Regionale n. 44 del 1982, articolo 33, in materia di cave, mentre avrebbe dovuto applicare, come aveva fatto il giudice di primo grado, la Legge Regionale n. 19 del 1998, articolo 23, comma 4. La condotta contestata, infatti, non e' quella di estrazione di materiale di cava, ma di avere "esportato", nel corso dei lavori di realizzazione di un impianto di acquacoltura, il materiale residuo, cioe' di averlo trasportato al di fuori del sito dei lavori. La Corte veneziana ha sovrapposto e confuso il termine "esportazione" con quello "asportazione", forzando il dato letterale della norma, in violazione dei principi di stretta legalita', tipicita' e tassativita' degli illeciti amministrativi. Sotto altro profilo, l'interpretazione accolta dal giudice a quo si pone in contrasto con l'articolo 7 CEDU, atteso che la sanzione prevista dall'articolo 33 citato e di fatto applicata ha un carattere afflittivo tale da equipararla a quelle penali, con applicazione quindi, in base alla giurisprudenza della Corte Europea, di garanzie che invece nel caso di specie non sono state assicurate. Il secondo motivo del ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione della Legge Regionale Veneto n. 19 del 1998, articolo 23, della Legge Regionale Veneto n. 44 del 1982, articoli 2 e 33 e della L. n. 689 del 1981, articolo 9, censura la sentenza impugnata per non avere ravvisato che la disposizione di cui alla Legge Regionale n. 19 del 1998, articolo 23, ha carattere speciale rispetto alla fattispecie sanzionatoria prevista in materia di attivita' estrattiva dalla Legge Regionale n. 44 del 1982, articolo 33, atteso che la prima, facendo riferimento alla esportazione del materiale di risulta nel corso dei lavori di realizzazione di impianti di acquacoltura, detta elementi concreti specializzanti la particolare fattispecie da esso sanzionata. L'interpretazione accolta dalla Corte non ha inoltre tenuto conto che la Legge Regionale n. 44 del 1982, articolo 2, comma 4, qualifica come attivita' di cava l'estrazione di materiali per scopi industriali o edilizi anche se secondari esclusivamente per le finalita' programmatorie contemplate dalla legge e non gia' per qualificare la condotta posta in essere dal privato. Inoltre la stessa disposizione rimanda alle attivita' menzionate nel precedente comma 3, cioe' ai movimenti di terra e, in particolare, ai miglioramenti fondiari, nel cui ambito non rientrano i lavori, regolarmente assentiti dal punto di vista edilizio, per la costruzione di opere private. Il precedente articolo 2, comma 1, afferma che " ai fini dell'applicazione delle norme contenute nella presente legge, costituiscono attivita' di cava i lavori di coltivazione di giacimenti formati dai materiali classificati di seconda categoria, ai sensi del Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443, articolo 2, comma 3, industrialmente utilizzabili". Nel caso di specie, invece, l'escavo condotto dalla societa' (OMISSIS) si era svolto su un terreno non avente le caratteristiche di giacimento, essendo destinato ad ospitare l'impianto di acquacoltura. Gli elementi testuali di raffronto tra le diverse disposizioni delle due leggi avrebbe pertanto dovuto condurre a ravvisare tra le stesse un mero concorso apparente di norme, e di dare prevalenza alla previsione contenuta nella L. n. 19 del 1998, in quanto piu' confacente alla fattispecie concreta. I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente per la connessione obiettiva delle censure sollevate, sono infondati. Va in primo luogo esclusa la dedotta mancata corrispondenza del fatto materiale ascritto agli opponenti e la violazione loro contestata, prevista dalla Legge Regionale Veneto n. 44 del 1982, articolo 33. Come risulta dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso, la contestazione mossa agli opponenti ha avuto ad oggetto proprio la violazione di tale disposizione, cioe' l'esercizio della attivita' di cava senza autorizzazione, sulla base dell'assunto che l'attivita' di estrazione del materiale nell'ambito dei lavori di installazione dell'impianto di acquacoltura, regolarmente assentito, fosse stata svolta dalla societa' al fine della commercializzazione del materiale estratto. La circostanza che lo scavo e l'estrazione del materiale fosse stato regolarmente assentito, al fine dell'esecuzione dell'impianto, non e' d'altra parte rilevante, atteso che un'attivita' di scavo inizialmente ritenuta lecita, puo' ben assumere carattere di illecito, per le modalita' in cui viene svolta, non giustificabili con l'esecuzione dell'opera specifica. Tale eventualita' e' del resto esplicitamente contemplata dalla Legge Regionale n. 44 del 1998, articolo 2, che dopo avere precisato che: "costituiscono attivita' di cava i lavori di coltivazione dei giacimenti formati da materiali classificati di seconda categoria, ai sensi del Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443, articolo 2, comma 3, industrialmente utilizzabili" (comma 1) e che non sono soggetti alla normativa "I lavori effettuati nel terreno ove e' in corso la costruzione di opere pubbliche e private" (comma 2) e "gli altri movimenti di terra e in particolare i miglioramenti fondiari che avvengono senza utilizzazione dei materiali a scopo industriale ed edilizio o per opere stradali o idrauliche" (comma 3), stabilisce tuttavia che: "Qualora le attivita' di cui al precedente comma avvengano per gli scopi ivi individuati, anche se secondari, acquistano il carattere di attivita' di cava e vengono assoggettate alle norme della presente legge" (comma 4). Tale ultima disposizione, letta insieme alla definizione di attivita' di cava dettata dal comma 1, porta quindi a ritenere sufficiente, ai fini dell'applicazione della normativa in materia di cava, che l'estrazione di materiale classificato avvenga, oltre che per l'esecuzione dell'opera, al fine di porlo in commercio. Nel caso di specie, la Corte di appello ha ritenuto provato l'illecito proprio in ragione della circostanza, che afferma pacifica, che il materiale era stato estratto per essere commercializzato. La conclusione appare giuridicamente corretta, atteso che l'attuazione della attivita' di scavo e l'estrazione di materiale classificato nel corso dell'esecuzione di un'opera privata al fine, anche ulteriore, di venderlo, integra, ai sensi dell'articolo 2 sopra menzionato, esercizio di attivita' di cava, soggetto come tale ad autorizzazione (Cass. n. 11148 del 1995). Non interferisce su tale qualificazione la disposizione di cui alla Legge Regionale Veneto n. 19 del 1998, articolo 23, che vieta, nella realizzazione di nuovi impianti di acquacoltura, "l'esportazione dei materiali di risulta provenienti dalle relative escavazioni". La Corte costituzionale, con la sentenza n. 190 del 2001, ha chiarito che il termine "esportazione" indica l'attivita' di dislocazione del materiale estratto al di fuori del sito dei lavori di esecuzione dell'impianto e che il divieto intende sia salvaguardare la possibilita' di ripristinare i luoghi e l'ambiente nel caso di cessazione dell'attivita' di acquacoltura, che di impedire che il privato, giovandosi della concessione per la realizzazione dell'impianto, eserciti di fatto attivita' di cava senza la dovuta autorizzazione. L'interpretazione cosi' fornita dell'articolo 23 citato esclude quindi che la fattispecie ivi prevista, e sanzionata dalla legge regionale, possa sovrapporsi, in un rapporto di specialita', alle disposizioni della Legge Regionale n. 44 del 1982, che sanzionano l'esercizio abusivo dell'attivita' di cava. Intanto perche' si tratta di condotte materiali diverse, non implicando la prima fattispecie la commercializzazione del materiale, vale a dire l'alienazione del prodotto e la perdita definitiva della sua disponibilita', e, in secondo luogo, ponendosi il divieto di esportazione posto dall'articolo 23 citato in funzione preventiva rispetto all'abusivo esercizio dell'attivita' di cava. L'interpretazione delle due norme sostenuta dal ricorso, secondo cui, nella fattispecie, la violazione del divieto di esportazione assorbirebbe anche l'illecito sanzionato in materia di esercizio di attivita' di cava frusterebbe del resto la soddisfazione degli interessi perseguiti dalla L. n. 44 del 1989, facilitando l'elusione della relativa normativa a vantaggio del trasgressore, che si vedrebbe esposto alla sola sanzione prevista dalla Legge Regionale n. 19 del 1998, articolo 33, comma 3, indicata, all'epoca, tra Lire 100.000 e Lire 600.000, di gran lunga inferiore e di fatto irrisoria rispetto alle sanzioni previste per l'esercizio abusivo dell'attivita' di cava ed al presumibile profitto derivante dall'illecito. Infine, la censura che denunzia il contrasto della soluzione interpretativa accolta con l'articolo 7 CEDU appare inammissibile, sia per la genericita' dell'assunto, che non appare in nulla sostenuto da argomentazioni puntuali, sia in ragione della assoluta novita' della questione, che non risulta sollevata nel giudizio di merito. Il ricorso infine non illustra quali conseguenze effettive concrete deriverebbero, nel caso di specie, dal riconosciuto carattere "punitivo" della sanzione. Il terzo motivo del ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 28, lamentando il rigetto del motivo di appello incidentale con cui gli opponenti avevano reiterato l'eccezione di prescrizione della pretesa punitiva. Si assume al riguardo che, anche a voler ritenere l'illecito contestato a carattere permanente, la Corte distrettuale non ha considerato che la permanenza era cessata in forza della inibitoria adottata dal comune di (OMISSIS) con provvedimento del 30.4.2004, essendo poi l'attivita' contestata ripresa ad agosto dello stesso anno, a seguito della sentenza favorevole del Tar Veneto, sicche', in relazione comunque al periodo che dal giugno 2003 all'aprile 2004 la prescrizione quinquennale era maturata. Il motivo e' inammissibile in quanto le argomentazioni sollevate non si confrontano con la ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove ha affermato, in conformita' con l'orientamento di questa Corte (Cass. n. 5727 del 2015; Cass. n. 16666 del 2007), che la cessazione della permanenza dell'illecito di esercizio abusivo di attivita' di cava non si realizza al momento dell'interruzione della condotta illecita, ma solo con l'eliminazione dele sue conseguenze, vale a dire con il ripristino ambientale dell'area interessata dalla escavazione ed asportazione illecita dei materiali. Il quarto motivo del ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 14, ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando il rigetto del motivo di appello incidentale con cui gli opponenti avevano reiterato l'eccezione di decadenza della pretesa punitiva, per essere stato il verbale di contestazione della violazione comunicato oltre 90 giorni dall'accertamento. Si assume al riguardo che il relativo capo della decisione e' errato, perche' non ha preso in considerazione che l'amministrazione aveva avuto piena contezza dell'infrazione gia' in occasione dell'emanazione, nell'aprile 2004, dell'ordine di inibizione all'esportazione. Anche questo motivo va dichiarato inammissibile in quanto non investe l'effettiva ratio della decisione impugnata, che ha respinto l'eccezione sollevata dagli opponenti sulla base della considerazione, anch'essa conforme al principio di diritto affermato da questa Corte in tema di applicazione della L. n. 689 del 1981, articolo 14, secondo cui il termine iniziale previsto dalla L. n. 689 del 1981, articolo 14, non coincide con quello in cui viene acquisito il "fatto" nella sua materialita' da parte dell'autorita' cui e' stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorita' abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell'esistenza della violazione segnalata (Cass. n. 27702 del 2019; Cass. n. 27405 del 2019; Cass. n. 7681 del 2014; Cass. n. 3043 del 2009). Nello specifico, con riferimento all'esercizio della coltivazione di sostanze minerali di cava, e' stato precisato che, tenuto anche conto che la sanzione pecuniaria e' commisurata alla quantita' del materiale abusivamente estratto, l'accertamento del fatto materiale integrante l'infrazione non puo' ritenersi completato con la generica constatazione dell'abusiva estrazione di materiale, ma soltanto con la esatta identificazione della tipologia del materiale estratto e la sua quantificazione (Cass. n. 24258 del 2018; Cass. n. 3447 del 2007; Cass. n. 11464 del 2003). Nella specie, la Corte di appello ha ritenuto che il termine di 90 giorni fosse stato rispettato, avendo l'amministrazione ricevuto la relazione del tecnico incaricato soltanto il 19.2.2009 e quindi notificato l'atto di contestazione della violazione l'8.5.2009. Merita aggiungere che rientra nelle competenze del giudice di merito valutare la congruita' del tempo utilizzato dall'amministrazione per l'accertamento della violazione, in rapporto alla maggiore o minore complessita' del caso, e la presenza di ritardi ingiustificati da parte dell'amministrazione e che il relativo apprezzamento, risolvendosi in un giudizio di fatto, non appare censurabile in sede di legittimita' (Cass. n. 27405 del 2019; Cass. n. 26734 del 2011). Il quinto motivo del ricorso, denunciando violazione o falsa applicazione dell'articolo 2909 c.c., e della L. n. 241 del 1990, articolo 21 septies, censura la sentenza impugnata per non avere riconosciuto, in ordine alla qualificazione giuridica della condotta, efficacia di giudicato alla sentenza del Consiglio di Stato, che aveva ricondotto l'attivita' contestata alla societa' nell'ambito dell'attivita' edilizia, escludendo il suo inquadramento nell'ambito della attivita' estrattiva. Il motivo e' infondato. L'efficacia di giudicato presuppone infatti, ai sensi dell'articolo 2909 c.c., la identita' del fatto accertato, oltre che delle parti tra cui il giudizio si e' svolto. Nel caso di specie, come dedotto dalla controricorrente, il giudizio amministrativo ha avuto ad oggetto la legittimita' del provvedimento del comune di (OMISSIS) che, in ragione del divieto posto dal gia' Legge Regionale n. 19 del 1998, citato articolo 23, inibiva alla societa' (OMISSIS) l'esportazione del materiale di scavo fuori del sito dei lavori. Il giudizio civile ha invece avuto ad oggetto il rapporto punitivo, cioe' la sussistenza dell'illecito di esercizio abusivo di cava. Si e' gia' rilevato che le due fattispecie sono diverse e quindi non sono tra loro sovrapponibili. Si osserva inoltre che le parti dei due giudizi non erano le stesse, atteso che il giudizio amministrativo si e' svolto nei confronti del comune di (OMISSIS), mentre quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione ha visto come parte la provincia di Verona. Il sesto motivo del ricorso, che denuncia violazione o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 107, e della Legge Regionale Veneto n. 44 del 1982, articolo 33, lamenta che la Corte di appello abbia respinto l'eccezione di incompetenza sollevata dagli opponenti, per essere stata l'ordinanza ingiunzione emessa dal dirigente del Settore Ambiente della Provincia, richiamando a sostegno la disposizione contenuta nel Decreto Legislativo n. 267 del 2000, articolo 107, comma 3 lettera g), senza considerare che la L. n. 44 del 1982, attribuisce il potere di adottare i provvedimenti sanzionatori al presidente della Provincia e che tale norma ha carattere di lex specialis, in quanto derogatrice rispetto alle difformi disposizioni della legge statale. Anche questo motivo e' infondato. In tema di illeciti amministrativi il cui potere repressivo sia attribuito dalla legge agli enti locali, l'emissione della ordinanza ingiunzione rientra tra i compiti dei dirigenti di tale ente, del Decreto Legislativo n. 267 del 2000, ex articolo 107, competenti per l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, del medesimo Decreto Legislativo n. 267, ex articoli 97 e 108 (Cass. n. 20523 del 2020; Cass. n. 13516 del 2012). Ne' puo' ritenersi che la L. n. 44 del 1982, deroghi a tale disposizione, essendo essa stata emanata in data anteriore alla legge di riforma degli enti locali. Il settimo motivo del ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, articoli 3 e 4, lamentando che la Corte di appello abbia escluso l'esimente della buona fede, trascurando di considerare che, al momento della condotta, gli opponenti non erano in grado di rappresentarsi la violazione della normativa in materia di esercizio di attivita' estrattiva, quantomeno in relazione all'attivita' posta in essere tra l'agosto ed il novembre 2004, dopo la sentenza del Tar Veneto che aveva escluso l'applicabilita' del divieto sancito dalla Legge Regionale n. 19 del 1998, articolo 23, comma 4, ed aveva per l'effetto generato l'affidamento in ordine alla liceita' della condotta contestata. Il motivo, che in parte risulta assorbito dalle considerazioni sopra svolte circa la diversita' e non sovrapponibilita' degli illeciti previste dalle due leggi regionali citate, appare nella sostanza inammissibile, stante l'omessa indicazione da parte del ricorso degli ulteriori elementi di fatto desumibili dalla sentenza del Tar su cui la parte avrebbe fondato senza colpa il proprio affidamento circa la liceita' della sua condotta. L'ottavo motivo del ricorso denuncia violazione o falsa applicazione dell'articolo 97 Cost., della L. n. 689 del 1981, articoli 15 e 16, dell'articolo 112 c.p.c., lamentando che la Corte lagunare non abbia dato ingresso alle censure che denunciavano vizi della procedura, con particolare riguardo alla tutela del diritto degli interessati ad interloquire nell'accertamento tecnico, tenuto conto che i suoi risultati si erano dimostrati fallaci in giudizio, tanto che il giudicante aveva ridotto la sanzione di piu' della meta', con conseguente compromissione anche del diritto del sanzionato di accedere al beneficio della riduzione di terzo della sanzione inflitta. Si censura inoltre l'errore della Corte di appello che ha escluso l'obbligo dell'amministrazione di comunicare l'esito delle analisi, per non essersi svolte a campione, in contraddizione con quanto riportato dalla stessa sentenza, secondo cui "la classificazione del materiale effettuata dal CTU si fonda sulle analisi dei campioni prelevati in sito". Il motivo e' inammissibile. La prima censura, che lamenta la mancata possibilita' da parte degli opponenti di avvalersi del pagamento in misura ridotta, appare sostanzialmente nuovo, non risultando dalla lettura della sentenza e del ricorso che esso sia stato sollevato nei giudizi di merito. La seconda censura, che critica l'affermazione della Corte di appello che ha escluso la violazione della L. n. 689 del 1981, articolo 15, in quanto, in sede amministrativa, l'esame del materiale di scavo non si era svolto a campioni, risulta invece inammissibile perche' investe un accertamento di fatto, come tale non sindacabile in sede di legittimita'. Ne' puo' ravvisarsi nell'esposizione della sentenza alcuna contraddizione nella ricostruzione dei fatti, risultando l'affermazione sopra riferita all'attivita' svolta in sede amministrativa, laddove la successiva precisazione ha riguardo all'attivita' svolta, nel corso del giudizio, dal consulente tecnico d'ufficio, al fine di accertare il valore commerciale del materiale abusivamente estratto. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese del giudizio, comprensive del procedimento svoltosi dinanzi al giudice a quo sull'istanza avanzata dai ricorrenti ai sensi dell'articolo 373 c.p.c., sono liquidate in dispositivo e seguono la soccombenza. Si da' atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Da' atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente Dott. CATENA Rossella - rel. Consigliere Dott. MICCOLI Grazia - Consigliere Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere Dott. BIFULCO Daniela - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); (OMISSIS), nato a (OMISSIS); avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia emessa in data 11/11/2021; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Rossella Catena, all'udienza del 06/10/2022; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Loy Maria Francesca, che chiesto l'inammissibilita' dei ricorsi; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha insistito nell'accoglimento del ricorso; udito l'avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha insistito nell'accoglimento del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia, per quanto di rilevanza nella presente sede, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Verona in data 03/04/2019 - con cui gli imputati erano stati condannati a pena di giustizia per i reati a loro rispettivamente ascritti, di cui: all'articolo 416 c.p., Decreto Legislativo n. 231 del 2001, articolo 24-ter in (OMISSIS), quanto al (OMISSIS); agli articoli 110 e 353 c.p., in (OMISSIS) (capo 1), quanto al (OMISSIS) ed al (OMISSIS); all'articolo 110 c.p., articolo 81 c.p., comma 2, articoli 353-bis e 353 c.p., articolo 476 c.p., comma 2, articolo 479 c.p., in (OMISSIS) (capo 2), quanto al (OMISSIS) ed allo (OMISSIS); all'articolo 110, articolo 353, comma 2, in (OMISSIS) (capo 3) quanto al (OMISSIS), al (OMISSIS), allo (OMISSIS) - dichiarava la nullita' della sentenza emessa nei confronti di (OMISSIS), in riferimento al solo delitto di cui all'articolo 476 c.p., comma 2, articolo 479 c.p., con rideterminazione della pena; concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena e quello della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale a (OMISSIS) ed a (OMISSIS), nonche', quanto a (OMISSIS), il beneficio della non menzione e l'estensione anche alla pena accessoria del beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado. 2. La vicenda processuale e' incentrata sui rapporti tra il Consorzio (OMISSIS) e le societa' del gruppo (OMISSIS), facente capo a (OMISSIS), con particolare riferimento alle commistioni tra le dette realta', funzionali alla sistematica turbativa delle procedure ad evidenza pubblica bandite dal CEV. Il Consorzio (OMISSIS) era stato costituito per atto notarile nel dicembre 2002, allo scopo di consorziare comuni di piccole e medie dimensioni, cosi' garantendosi un maggiore potere di acquisto sul mercato liberalizzato delle fonti energetiche; nel corso degli anni il CEV era giunto a consorziare piu' di mille comuni. Le sentenze di merito hanno evidenziato le commistioni tra il (OMISSIS) e le societa' facenti capo al gruppo (OMISSIS) - la (OMISSIS) s.p.a., la (OMISSIS) s.p.a., la (OMISSIS) s.p.a. - fondate: sulla condivisione della sede legale con la capogruppo (OMISSIS) s.r.l.; sulle rilevanti partecipazioni del (OMISSIS) nelle predette societa', oltre che in altre societa' del gruppo; sulla titolarita' delle cariche amministrative del (OMISSIS) da parte dei medesimi soggetti che rivestivano cariche sociali nelle imprese del gruppo, incompatibilita' poi rimosse nel 2015. Sulla scorta dell'analisi della normativa disciplinante le procedure ad evidenza pubblica nel settore del mercato liberalizzato delle fonti energetiche, ai fini della scelta del contraente da parte degli enti pubblici, le sentenze di merito hanno ritenuto la natura di ente pubblico del (OMISSIS), evidenziando altresi' che l'ente - pur avendo fatto riferimento, nelle comunicazioni ai comuni consorziati, alla (OMISSIS) s.p.a. quale soggetto incaricato dell'espletamento delle gare per le forniture, ed alla circostanza che i contratti di fornitura venissero conclusi con una gara al ribasso rispetto ai prezzi Consip - in realta', negli anni 2013 e 2014, non aveva svolto alcuna funzione tipica della centrale di committenza, in quanto le gare per l'individuazione del contraente erano state svolte direttamente dalla (OMISSIS) s.p.a., come risultante dagli stesi bandi di gara; la (OMISSIS) s.p.a., quindi, aveva ottenuto un indebito vantaggio competitivo, in quanto si occupava di bandire le gare in luogo del (OMISSIS) e stipulava i contratti di fornitura direttamente con i comuni consorziati, ai quali rivendeva "in proprio" l'energia autonomamente acquisita. 2. (OMISSIS) ricorre, in data 23/03/2022, a mezzo dei difensori di fiducia, avv.to (OMISSIS) e avv.to (OMISSIS), deducendo sei motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'articolo 266 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione, a sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera c) ed e), dovendosi ritenere inutilizzabili le intercettazioni ambientali autorizzate in data 02/05/2015 e proseguite fino al 24/11/2015, effettuate nello studio legale (OMISSIS)- (OMISSIS), in quanto luogo di privata dimora, posto che, secondo la giurisprudenza di legittimita', tale deve qualificarsi uno studio professionale, salva la possibilita' di accesso indiscriminato di persone, condizione non verificatasi nella specie, in cui era stata ammessa la presenza dei soli commissari della gara, del RUP e di un solo concorrente; ne' vi era fondato motivo di ritenere che nel detto studio si svolgesse attivita' criminosa - come erroneamente ritenuto dalla Corte di merito in riferimento allo svolgimento di tale attivita' dal 02/05/2015 fino al novembre successivo, epoca di cessazione delle intercettazioni - in quanto l'unico reato contestato e commesso nel detto arco di tempo e' solo quello di cui al capo 3), contestato tra il 06 ed il 29/05/2015; non risultano condotte successive, salvo quella associativa, peraltro senza individuazione di reati-fine e, comunque, non protrattasi oltre il settembre 2015; la stessa Corte di merito, infatti, ha fatto generico ricorso ad "attivita' di collusione e mezzi fraudolenti", allo scopo di affermare un'attivita' criminosa gia' conclusa, in contrasto con la sola legittima finalita' delle captazioni, ossia quella di rilevare un'attivita' criminosa in atto, che sola puo' giustificare l'ingerenza in un luogo di privata dimora; 2.2 violazione di legge, in riferimento agli articoli 353, 353-bis, 357, 357, 476 e 479 c.p., Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, commi 25-34, 32, 33 e vizio di motivazione, a sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), avendo la Corte di merito omesso di esaminare il settimo motivo di appello; in particolare, il (OMISSIS), all'epoca dei fatti, non poteva essere considerato una centrale di committenza in quanto, ai sensi delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici, le centrali di committenza diventano stazioni appaltanti nel momento in cui sono investite con delega formale di diritto pubblico dalle stesse stazioni appaltanti, potendo solo a tale condizione esercitare le funzioni relative alle procedure di acquisto ad evidenza pubblica; nel caso del (OMISSIS) - costituito come consorzio ordinario con attivita' esterna ai sensi dell'articolo 2612 e segg. c.c., quindi consorzio privato, come si evince dallo statuto -, esso originariamente era costituito da sette comuni veneti ed era aperto all'adesione di altri enti ed imprese, tra le quali, almeno a tutto il 2014, le tre societa' - (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a., (OMISSIS) s.p.a. - attraverso le quali il consorzio stesso svolgeva i servizi tecnico-amministrativi e le attivita' di fornitura; le condizioni di fornitura che il (OMISSIS) era in grado di ottenere sul mercato erano oggetto di un diritto di opzione dei consorziati e non di un obbligo, a determinate condizioni di fornitura, a cui i consorziati erano liberi o meno di aderire; ne consegue che i comuni non hanno mai delegato al (OMISSIS) le funzioni amministrative consistenti nell'indizione e nello svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica, procedure che, in quanto amministrazioni aggiudicatrici, erano tenute ad espletare per i propri appalti secondo la vigente normativa; quindi, il (OMISSIS) operava quale soggetto di diritto privato in esplicazione di autonomia negoziale, senza alcun potere di impegnare gli enti locali consorziati, che non avevano fornito alcuna delega in tal senso. Di conseguenza il (OMISSIS) non avrebbe comunque potuto assumere funzioni di centrale di committenza, data la sua natura privatistica, ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 33, comma 3-bis, come chiarito dall'ANAC nelle deliberazioni n. 32/2015 e n. 1144/2018, e come affermato dal TAR Lazio, sez. 3, sentenza n. 2339/2016; e' stato, in particolare, ritenuto dalle dette deliberazioni, e confermato dal TAR, che per poter assumere le funzioni di centrali di committenza per conto di pubbliche amministrazioni locali, tenute all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, l'accordo consortile debba integrare una convenzione di diritto pubblico, come poi confermato dal D.P.C.M. 11 novembre 2014; in altri termini, si e' fatta applicazione dell'indirizzo, di diritto Europeo e nazionale, secondo cui un organismo di diritto privato puo' essere configurato come un'articolazione organizzativa della pubblica amministrazione solo se quest'ultima, oltre che detenerne la partecipazione totalitaria, eserciti sulla struttura gli stessi controlli esercitati sui propri uffici, come avviene nei soli casi di "in house providing"; non a caso, infatti, l'ANAC era intervenuta con la Delib. 22 luglio 2015, n. 58 dopo l'espletamento delle gare, condizionando l'ammissione del (OMISSIS) all'elenco dei soggetti aggregatori a modifiche statutarie che eliminassero la possibilita' di partecipazione di privati alla compagine. Quanto alla sentenza resa in sede cautelare dalla Corte di cassazione - n. 26638 del 24/05/2016 - proprio l'esclusione della legittimazione del (OMISSIS) ad indire gare pubbliche, come indicato dalla detta pronuncia, e' stata oggetto di dimostrazione da parte della difesa con le argomentazioni sin qui sintetizzate; cio' senza considerare che la sentenza di legittimita' risulta intervenuta in relazione alla fase cautelare, e si fonda su due dati non dirimenti, ossia il fatto che l'ANAC avesse fornito il codice CIG per la gara - cosa che avviene automaticamente - e il fatto che sulla gara si fosse pronunciato il giudice amministrativo - senza che la giurisdizione fosse oggetto di contestazione, non potendo il TAR rilevare di ufficio la natura non pubblica della gara, in mancanza di elementi a sua disposizione -; inoltre, pacificamente, sia la giurisprudenza di legittimita' che quella amministrativa hanno escluso che la scelta volontaria, da parte di un soggetto privato, di applicare le norme del Codice dei contratti pubblici e di richiamarle negli atti di gara sia sufficiente per attribuire natura pubblica alla gara stessa (Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2011 e Cass. Sez. U, n. 8511/2012, n. 6771/2009, n. 18954/2003, n. 17635/2003, n. 11514/1993, n. 66/1986, n. 5537/1983); 2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), in riferimento al motivo di appello con cui era stata chiesta l'assoluzione del (OMISSIS) dall'imputazione associativa per insussistenza del fatto, in quanto le condotte contestate integrano un'ipotesi di reato continuato, come si evince dalla stessa motivazione della sentenza, posto che al ricorrente sono ascritte condotte dipanatesi in un arco temporale di soli sei mesi, relative a due gare per la fornitura di gas ed energia elettrica, e considerato, altresi', che il (OMISSIS) e' un esperto del mercato energetico, per cui e' anche astrattamente da escludere una sua attivita' criminosa dopo il 29/05/2015, data di aggiudicazione dell'ultima gara espletata per incarico del (OMISSIS), avente ad oggetto una fornitura quadriennale; 2.4 violazione di legge, in riferimento agli articoli 42, 43, 110, 476 e 479 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in quanto nei motivi di appello si era sostenuto che l'atto falsificato non era mai esistito giuridicamente, nel senso che esso non aveva mai fatto parte degli atti ufficiali della procedura di gara, come si evince dal verbale di acquisizione documentale della Guardia di Finanza del 16/07/2015; in realta', si trattava della bozza di un verbale di commissione mai sottoscritto dal presidente e da uno degli altri componenti, ma dal solo (OMISSIS), il quale riteneva necessario che la commissione si riunisse per dare atto che la gara era andata deserta; tale profilo e' stato del tutto pretermesso dalla Corte territoriale, che si e' limitata a citare la giurisprudenza amministrativa in tema di nullita' dell'atto amministrativo, al fine di escludere che l'atto privo di firma sia inesistente, senza cogliere come il profilo da valutare fosse quello inerente la natura di mera bozza informale, mai ufficializzata, del documento, che non assurgeva, quindi, ad atto della gara e, non essendo esplicativo di alcuna funzione, non rilevava dal punto di vista della sua esistenza giuridica; generica ed insufficiente risulta, inoltre, la motivazione sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, questione anch'essa oggetto di gravame; 2.5 violazione di legge, in riferimento all'articolo 192 c.p.p., e articolo 353-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, in riferimento alla gara per la fornitura di energia elettrica di cui al capo 2) - per la quale la norma di riferimento e' senza dubbio quella di cui all'articolo 353-bis c.p. la sentenza impugnata ha richiamato la decisione dei giudici amministrativi che aveva respinto il ricorso della (OMISSIS) s.p.a., mettendo a confronto il contenuto della decisione con gli approdi ermeneutici della Cassazione circa la valutazione della legittimita' di un atto amministrativo a fini penali (Sez. 3, n. 31282/2017, n. 44077/2014, 17991/2018), senza considerare che, nel caso in esame, quanto affermato dalle pronunce di legittimita' citate non si e' affatto verificato, in quanto, dopo le pronunce del TAR e del Consiglio di Stato, non e' emersa alcuna ulteriore documentazione, ne' sono mutate le condizioni oggettive che avevano motivato il giudizio amministrativo; gli specifici addebiti relativi alla consapevolezza da parte del ricorrente circa l'identificazione del (OMISSIS) con la (OMISSIS) s.p.a. e l'incompatibilita' dei componenti della commissione, appaiono irrilevanti in relazione alla redazione del bando, che precede la gara e l'esame delle richieste di ammissione; in ogni caso, la Corte di merito ha omesso di approfondire la motivazione della sentenza del TAR Veneto, che aveva dimostrato come fosse infondata la tesi secondo cui il bando di gara era stato predisposto ad hoc, a causa della presenza di requisiti tecnici finalizzati a condizionare la scelta del contraente, giungendo, non a caso, a rigettare il ricorso della (OMISSIS) s.p.a., e sottolineando, altresi', la coerenza del requisito di partecipazione contestato con le specifiche esigenze della stazione appaltante; le ulteriori attivita' di turbativa d'asta non afferiscono alla legittimita' del bando e, quindi, il giudicato amministrativo non avrebbe potuto essere disatteso, se non violando i criteri di valutazione della prova; 2.6 violazione di legge, in riferimento all'articolo 353 c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto il delitto contestato presuppone la sussistenza di una gara che, nel caso di specie, non si e' verificata, per la presenza di un solo partecipante; tale conclusione e' indiscutibile in relazione alla gara per la fornitura di gas ai comuni consorziati, in cui le contestazioni riguardano la fase di aggiudicazione, alla quale e' intervenuto, come detto, un solo partecipante, ma valgono anche per la contestazione sub 2), relativa alla gara per la fornitura di energia elettrica, in cui e' indiscusso che la gara non vi sia stata, per l'esclusione della (OMISSIS) s.p.a. e per l'assenza di offerte; anche nel caso di cui al capo 3), gara per la fornitura di energia elettrica, nel caso in cui si ritenesse il bando legittimo, come avvenuto in sede di giudizio amministrativo, si dovrebbe rilevare la partecipazione di un solo concorrente e, quindi, l'inesistenza della competizione e l'inconfigurabilita' del reato. 3. (OMISSIS) ricorre, in data 25/03/2022, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo - dopo un'ampia esposizione del contenuto delle sentenze di merito e del gravame - due motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 2.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 2, 49, 353 c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto oggetto del reato e' una gara pubblica, nel caso insussistente a fronte della natura giuridica del (OMISSIS), come si evince dall'analisi delle norme inerenti la disciplina delle gare pubbliche; dopo aver passato in rassegna le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006 rilevanti nel caso di specie, anche alla luce dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza amministrativa, il ricorso evidenza la natura di consorzio privato del (OMISSIS), alla luce delle sue caratteristiche strutturali ed organizzative, sottolineando la sua costituzione tramite atto pubblico notarile non preceduta da alcuna convenzione ai sensi dell'articolo 31 TUEL; si ripercorrono, in sostanza, le argomentazioni contenute nel corrispondete primo motivo di ricorso nell'interesse del coimputato (OMISSIS), alla luce dell'esame della medesima documentazione, culminante nella decisione dell'ANAC di escludere la legittimazione del (OMISSIS) a svolgere gare pubbliche e a poter essere qualificato come centrale di committenza. Pur dando rilievo alla pubblicazione dei bandi di gara gestiti dal (OMISSIS) sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea, nonche' dell'instaurazione di un contenzioso amministrativo e della complessiva apparenza pubblicistica delle gare, si sostiene che sarebbe applicabile l'articolo 49 c.p., e, quindi, l'irrilevanza penale delle condotte per l'erroneo convincimento da parte dell'imputato; 2.2 violazione di legge, in riferimento agli articoli 2 e 535 c.p., e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), in riferimento alle gare oggetto di imputazione; quanto alla gara per la fornitura del gas, di cui al capo 1), le affermazioni del teste (OMISSIS) risultano smentite dalla Delib. 26 novembre 2014 del Consiglio direttivo del (OMISSIS), con cui si procedeva alla nomina dei componenti della commissione di gara, mentre l'intervenuto cambio della composizione della commissione, dopo la seduta del 26/11/2014, si giustifica alla luce dell'articolo 84, comma 10, del Codice degli appalti nelle gare a struttura bifasica, in cui la prima fase e' funzionale allo svolgimento delle sole verifiche formali, tanto e' vero che puo' essere svolta anche direttamente dal RUP o da commissari interni all'ente che ha bandito la gara, mentre la seconda fase e' quella di valutazione delle offerte, in cui la commissione deve essere nominata dopo la scadenza del termine per la presentazione delle offerte stesse; ne consegue l'irrilevanza dell'aver svolto il ricorrente un ruolo nella prima fase e non aver fatto parte della commissione della seconda fase. La sentenza, inoltre, ritiene responsabile l'imputato per non aver sottoscritto un verbale, senza che cio' abbia determinato alcuna conseguenza rilevante per la gara e, soprattutto, senza che cio' rientri in alcuna delle condotte tipiche dell'articolo 353 c.p., posto che il citato cambio di commissione non puo' costituire un mezzo fraudolento, trattandosi di un passaggio dovuto a garanzia della regolarita' della gara. Quanto alla gara per la fornitura di energia elettrica, di cui al capo 3) di imputazione, non e' affatto vero che sia stato lo (OMISSIS) a modificare la commissione in corso di gara, nominando direttamente il (OMISSIS), come dimostrato dal contenuto della Delib. (OMISSIS) 25 maggio 2015, esibita nel corso dell'istruttoria dibattimentale, mentre l'intercettazione n. 61 del 28/05/2015 non ha alcuna rilevanza penale per quanto riguarda la persona del ricorrente, alla luce dell'oggetto della conversazione e dei chiarimenti forniti in merito dallo stesso imputato in sede di esame; quanto all'intercettazione del 29/05/2015 delle ore 14,15, essa e' intervenuta dopo la chiusura della fase di valutazione dell'offerta economica e di affidamento e, peraltro, in essa lo (OMISSIS) affermava di non essere a conoscenza dell'esito dell'offerta; senza contare che del contenuto della stessa il (OMISSIS) ha offerto una interpretazione riscontrata sia dalla documentazione che dal testimoniale, con particolare riferimento al teste (OMISSIS); quanto alla conversazione del 17/07/2015, il suo contenuto emerge chiaro dal tenore delle affermazioni del (OMISSIS), di cui la sentenza ha offerto un'interpretazione capziosa ed avulsa dalla dimostrata regolarita' circa la composizione della commissione; ne consegue, quindi, la totale atipicita' delle condotte ascritte al ricorrente rispetto alla fattispecie normativamente delineata. 3. (OMISSIS) ricorre, in data 21/03/2022, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1: 3.1 violazione di legge, in riferimento agli articoli 5, 353, 353-bis c.p., L. n. 70 del 1975, articolo 4 ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto, nel qualificare il (OMISSIS) quale ente pubblico, la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con la disposizione di cui alla L. n. 75 del 1970, articolo 4 secondo cui possono qualificarsi come enti pubblici solo quelli espressamente definiti in forza di una disposizione normativa statale o regionale, nel solco della giurisprudenza di legittimita' (Sez. U, n. 10244 del 19/04/2021), i cui principi valgono anche in tema di consorzi di comuni, come affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, allo scopo di evitare di dilatare il concetto di ente pubblico proprio in tema di consorzi costituiti da enti pubblici (TAR Lazio del 04/12/2014, n. 12232); il motivo prosegue argomentando in maniera analoga a quello dei coimputati sulla medesima tematica, con specifico riferimento al ruolo di centrale di committenza del (OMISSIS) e, quindi, ribadendone la natura di soggetto privato. In ogni caso, la natura privatistica del Consorzio (OMISSIS) era stata ribadita anche dal consulente amministrativista dell'ente, il prof. (OMISSIS) dell'Universita' di Verona, il quale, anche nel corso di conversazioni intercettate, ha piu' volte affermato che il consorzio fosse un ente privato con attivita' esterna, il che dimostra - complessivamente - la convinzione, maturata del tutto in buona fede, da parte dello (OMISSIS), circa la natura privata del predetto ente, errore rilevante ai sensi dell'articolo 5 c.p.; 3.2 violazione di legge, in riferimento agli articoli 353 e 353-bis c.p., ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b), in quanto la motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto apodittica in tema di sussistenza del reato indicato, posto che i requisiti fissati dal bando erano gia' stati ritenuti razionali e compatibili in sede di giudizio amministrativo, avendo la sentenza omesso di chiarire in quali termini, nel caso di specie, si dovrebbe ritenere che i giudici amministrativi si fossero pronunciati sulla base di un quadro probatorio incompleto e/o fuorviante, e quali ulteriori elementi di fatto avrebbero potuto indurli a diverse conclusioni; ne' la sentenza ha dato adeguata risposta ai motivi di appello che, sul punto, avevano dimostrato come gli imputati avessero ipotizzato la possibilita' della partecipazione al bando di gara delle maggiori societa' energetiche del mercato nazionale; contraddittoria, infine, appare la motivazione circa il ruolo dello (OMISSIS), redattore dei bandi di gara "Energia", attribuiti dalla stessa sentenza ai soli coimputati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre nessuna evidenza probatoria risulta acquisita circa la cancellazione dei file nella disponibilita' del ricorrente; avulsa dal complessivo contesto probatorio risulta l'interpretazione del contenuto della conversazione intercettata tra lo (OMISSIS) e lo (OMISSIS); 3.3 violazione di legge, in riferimento all'articolo 353 c.p., Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 38 e vizio di motivazione, ai sensi dell'articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), quanto all'imputazione di cui al capo 3), mancando, sul punto, autonoma motivazione da parte della sentenza impugnata; va considerato che il falso in atto pubblico e' stato escluso gia' dal primo giudice in riferimento al capo di imputazione sub 4), e la sentenza sul punto e' irrevocabile, non comprendendosi come possa sussistere il contributo del ricorrente in riferimento al capo 3), consistendo esso nella medesima falsificazione gia' esclusa per il capo 4); ne' potrebbe ritenersi lo (OMISSIS) concorrente per avere consentito lo svolgimento della gara ammettendo la partecipazione della (OMISSIS) s.p.a., posto che nessuna norma del Codice degli appalti prevede l'esclusione dalla gara del soggetto collegato con l'ente appaltatore, come chiarito anche dall'ANAC con il parere del 22/06/2011; peraltro, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto carente. CONSIDERATO IN DIRITTO 1.L'analisi dei motivi di ricorso deve essere preceduta, necessariamente, dalla ricognizione relativa alla natura del Consorzio (OMISSIS), questione, peraltro, dedotta da tutti i ricorrenti, con il primo motivo dei ricorsi dello (OMISSIS) e del (OMISSIS) e con il secondo motivo del ricorso del (OMISSIS). Sotto tale aspetto appare essenziale evidenziare un errore metodologico che, a parere del Collegio, accomuna i ricorsi: la trasposizione automatica, nell'ambito dei canoni ermeneutici relativi al diritto penale, di categorie ed istituti elaborati nell'ambito di altri settori del diritto e - cio' che ancor piu' rileva - per altri fini. Tale impostazione, all'evidenza, finisce per svuotare di contenuto la struttura autonoma della norma incriminatrice e, ancor prima, compromette la stessa funzione del diritto penale, che, nella prospettiva di sistema, non puo' essere considerato come avulso dalla funzione specifica che l'ordinamento attribuisce al settore di riferimento. Cio' fa si' che la "contaminazione" tra istituti ritenuti rilevanti in diversi ed autonomi settori dell'ordinamento - quale il settore del diritto penale rispetto a quello del diritto civile o del diritto amministrativo - debba essere operata senza mai perdere di vista la finalita' dell'operazione ermeneutica di riferimento che, nel caso di specie, e' quella di definire l'ambito di applicazione della norma penale. In tal senso, quindi, occorre precisare che l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 16/2012 - piu' volte citata nei ricorsi unitamente alla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili della Cassazione in essa richiamate - nell'individuare la categoria dei soggetti tenuti al rispetto delle procedure ad evidenza pubblica ha, senza dubbio, fatto riferimento ad un vincolo eteronomo e non autonomo, affermando che "il c.d. autovincolo, se e' idoneo a rendere applicabili le regole richiamate, e' inidoneo a determinare spostamenti della giurisdizione". In sostanza, quindi, l'Adunanza Plenaria citata si e' pronunciata con riferimento all'ambito di operativita' della giurisdizione amministrativa, assumendo che le modalita' di selezione dei partecipanti e delle offerte nelle procedure di scelta del contraente nei settori speciali - disciplinate dal Decreto Legislativo n. 163 del 2002, articolo 224 sostituito dall'articolo 133, comma 1, lettera e), n. 1), codice dei contratti pubblici -, nell'individuare i soggetti "comunque tenuti" al rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, non possa che fare riferimento ad un vincolo eteronomo di rispetto delle dette procedure. In tal caso, quindi, la competenza giurisdizionale spettera' al giudice amministrativo, laddove, nel caso in cui le procedure siano state liberamente adottate dall'ente, la competenza apparterra' al giudice ordinario. Evidente, quindi, come il piano esegetico su cui si sviluppano le argomentazioni del Consiglio di Stato siano declinate in riferimento ad un aspetto assolutamente eccentrico rispetto alla individuazione dei criteri ai quali fare riferimento per qualificare, in ambito penalistico, un ente come pubblico. Peraltro, va ricordato che - in riferimento al diritto amministrativo - la giurisprudenza, con risalente indirizzo, opera l'individuazione della natura pubblicistica del consorzio non in base alla qualita' degli enti componenti, bensi' in base alla natura degli atti posti in essere, in quanto anche gli enti pubblici godono di capacita' ed autonomia privata (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1419 del 17/12/1976). Non a caso, infatti, anche in tema di enti pubblici economici si evidenzia la prevalente attivita' qualificante, ossia l'esercizio di impresa ispirata a regole di economicita' e diretta a conseguire un profitto o, almeno, a coprire i costi, sottolineando come la struttura associativa o consortile rilevi, invece, unicamente ai fini organizzativi (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 699 del 12/09/1994, in cui, in riferimento al Consorzio Adda, ente di utilizzazione idrica, si era esclusa la natura di ente pubblico economico in quanto lo stesso non svolgeva attivita' imprenditoriale). In coerenza con tale impostazione lo stesso Consiglio di Stato, in riferimento a consorzio tra enti locali per la gestione del servizio pubblico idrico, ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in un caso in cui la controversia verteva sulla interpretazione ed esecuzione dell'atto costitutivo e dello statuto del consorzio, sia ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 15 - in tema di accordi tra pubbliche amministrazioni per svolgimento in collaborazione di attivita' di interesse comune -, sia ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 80, articolo 33, lettera b), - in tema di controversie tra amministrazioni pubbliche e gestori di pubblici servizi (Consiglio di Stato, n. 699 del 07/02/2002). Passando ora all'esame della giurisprudenza di questa Corte - precisando che la seguente rassegna non ha alcuna pretesa di esaustivita', limitandosi a citare i casi piu' strettamente attinenti alla vicenda in esame -, si devono ricordare alcune nevralgiche sentenze: Sez. 6, n. 33779 del 21/06/2021, Scilleri Michele, Rv. 282107, secondo cui "In tema di reati contro la pubblica amministrazione, riveste la qualifica di pubblico agente il Presidente della fondazione " (OMISSIS), in quanto tale ente, pur se con gli strumenti privatistici, persegue finalita' pubbliche, quali la promozione del territorio lombardo e dello sviluppo del suo comparto industriale nonche' dei servizi nel settore delle nuove tecnologie"; Sez. 6, n. 4119 del 30/04/2019, dep. 30/01/2020, (OMISSIS) s.p.a., Rv. 278196 la quale, in relazione ad un funzionario della (OMISSIS) s.p.a. preposto all'ufficio che sovraintendeva alle operazioni di predisposizione dei bandi di gara, ha affermato che "In tema di reati contro la pubblica amministrazione, la qualifica di pubblico agente non puo' farsi discendere dal rilievo pubblicistico dell'attivita' complessivamente compiuta dall'ente in cui il funzionario e' inserito, ma deriva dalla natura delle specifiche attribuzioni e compiti che, nell'ambito di tale attivita', sono concretamente svolti dal predetto."; Sez. 6, n. 19848 del 23/01/2018, Bellinazzo ed altri, Rv. 273781, secondo cui "I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una societa' per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attivita' della societa' medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalita' pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici."; Sez. 6, n. 9385 del 13/04/2017, dep. 01/03/2018, Giugliano, Rv. 27226, che ha affermato come "In tema di appalti di opere pubbliche, il c.d. contraente generale, di cui al Decreto Legislativo 20 agosto 2002, n. 190, articolo 9, Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modifiche, articoli 176 e 177, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, atteso che, in considerazione dei compiti assunti nei confronti della stazione appaltante - quali, ad esempio, la scelta dei soggetti terzi cui affidare le opere e/o le forniture che consentano di realizzare il risultato all'amministrazione aggiudicatrice, lo sviluppo del progetto definitivo, le attivita' tecnico-amministrative necessarie alla sua approvazione da parte del Cipe, ove detto progetto non sia posto a base di gara - nonche' dei diritti speciali ed esclusivi che gli sono riconosciuti dall'autorita' competente secondo le norme vigenti, esso deve essere ricompreso tra i soggetti indicati nel Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 3, comma 29, come ente aggiudicatore e, pertanto, indipendentemente dalla sua natura privatistica ed anche al di fuori della quota di lavori per cui deve effettuare gare ad evidenza pubblica comunitaria, e' vincolato al rispetto delle regole poste dal codice degli appalti"; Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 07/07/2016, Bonomelli ed altri, Rv. 267054, che - chiarito come l'obbligatorieta' della procedura di evidenza pubblica sia indice sintomatico del rilievo pubblicistico dell'attivita' svolta dalla societa', in relazione a settori strategici per gli interessi pubblici di uno stato - ha affermato che "I funzionari dipendenti di societa' operanti nei c. d. settori speciali (nella fattispecie quello dell'energia), sono incaricati di pubblico servizio ai sensi dell'articolo 358 c.p., atteso il rilievo pubblicistico dell'attivita' svolta da dette societa', obbligate ad adottare la procedura di evidenza pubblica nella gestione degli appalti"; Sez. 6, n. 6405 del 12/11/2015, dep. 17/022016, Minzolini, Rv. 265830, secondo cui "Il direttore di un telegiornale della (OMISSIS) riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio in considerazione della connotazione pubblicistica dell'attivita' di informazione radiotelevisiva, essendo irrilevante la natura privata di tale societa'"; Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257384, secondo cui "I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una societa' per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attivita' della societa' medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalita' pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici". Cio' che emerge palese dalla disamina delle citate pronunce e' il dato funzionale che ne costituisce il comune denominatore, nel senso che, ai fini della individuazione della natura pubblica di un ente - o, specularmente, sotto l'aspetto dei soggetti operanti, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio -, cio' che rileva e' la natura pubblica delle finalita' perseguite con la specifica attivita', rispetto alla quale la veste giuridica dell'ente puo', al piu', costituire un indice sintomatico non esclusivo. In tal senso, infatti, altri elementi appaiono sicuramente piu' rilevanti per qualificare la natura pubblicistica dell'attivita' svolta, quale, ad esempio, la disciplina normativa applicata, fermo restando che un ente, pur attraverso l'adozione di strumenti privatistici, ben puo' perseguire finalita' pubbliche. L'attenzione dell'interprete, quindi, deve focalizzarsi sulla finalita' dell'attivita' perseguita, piu' che sulla struttura dell'ente e sugli strumenti negoziali adottati. Tale orientamento, in realta', rappresenta un inequivoco superamento del precedente indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di questa Corte che, in riferimento soprattutto alla fattispecie di cui all'articolo 640 c.p., comma 2, a seguito del processo di privatizzazione di molti enti pubblici in societa' per azioni, aveva escluso la natura pubblica di tali societa' sulla base della sola considerazione della loro veste formale (Sez. 5, n. 38071 del 05/04/2005, Maggiore, Rv. 233073; Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005, P.G. in proc. Foa', Rv. 231155; Sez. 2, n. 35603 del 23/06/2004, P.G. in proc. Finotti, Rv. 229728; Sez. 2, n. 5028 del 17.3.1999, De Mase, Rv. 213154). Peraltro, seguendo tale percorso ermeneutico, in alcuni arresti era declinata una ineludibile dicotomia tra la natura dell'ente, ritenuta privata, e coloro che amministrano tali societa' o che operano per le stesse, i quali possono assumere la qualita' di incaricati di pubblico servizio e talora di pubblici ufficiali, ai sensi degli articoli 357 e 358 c.p., quando l'attivita' della societa' medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalita' pubbliche (Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012, Zabatta, Rv. 254201; Sez. 6, n. 37099 del 19/07/2012, Balducci, Rv. 253477; Sez. 2, n. 7226 del 7.2.2006, P.G. in proc. Passalacqua; Rv. 233158; Sez. 2, n. 35603 del 23/06/2004, P.G. in proc. Finotti, Rv. 229728). Anche in riferimento agli enti pubblici economici, quindi, si e' affermato come non possa essere messa in dubbio la natura privatistica della societa', nonostante i vincoli ad essi imposti dall'ente pubblico in tema di gestione del servizio, del personale e delle somme introitate, e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che la stessa sia a prevalente capitale pubblico locale, ovvero costituita o partecipata dall'ente titolare del pubblico servizio (Sez. 6, n. 8392 del 05/02/2009, Dalla Libera, Rv. 243667; Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005, P.G. in proc. Foa', Rv. 231155). In relazione alle aziende speciali, istituite dai comuni per la gestione dei servizi pubblici, ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche, articoli 22 e 23 al contrario, si e' affermata la natura di enti pubblici economici, in quanto esse integrano un ente strumentale dell'ente locale, che conferisce il capitale di dotazione, ne determina le finalita' e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza e verifica i risultati della gestione; tali aziende, inoltre, devono rispettare l'obbligo di pareggio di bilancio, ai sensi dell'articolo 23, comma 4 della legge citata, e sono sottoposte ai penetranti controlli di cui all'articolo 23, comma 6, della predetta legge, tanto invasivi da determinare per l'ente locale l'obbligo della copertura dei "costi sociali" (Sez. 2, n. 31424 del 03/07/2003, Mozzone, Rv. 226537. V. anche, stesso estensore, Sez. 2, n. 9875 del 2000, Rv. 217701). Anche in tal caso, quindi, la soluzione e' stata individuata attraverso il ricorso ad un criterio formalistico, escludendo la configurabilita' dell'ente pubblico economico allorquando la gestione del servizio pubblico sia attuata attraverso una societa' per azioni, o a responsabilita' limitata, a prevalente capitale pubblico costituita o partecipata dall'ente titolare del pubblico servizio. In realta' - come evidenziato anche dalla dottrina - tale indirizzo di legittimita', in quanto ancorato ad un criterio formalistico, appare evidentemente inadeguato rispetto ad una visione piu' ampia che collochi gli istituti sia nel loro sviluppo storico che nel complessivo sistema ordinamentale, a fronte del superamento definitivo del dogma dello statalismo e l'affermazione nel nostro sistema politico dei principi di pluralismo autonomistico, parallelamente al processo di privatizzazione di enti pubblici ed alla tendenza legislativa a riconoscere, in capo a soggetti operanti normalmente iure privatorum, la titolarita' o l'esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica. Cio' ha comportato l'innegabile difficolta', in molti casi in cui la natura pubblica o privata di un ente non risultasse chiaramente dalla legge, di individuarne gli indici di riconoscimento della natura pubblica, posto che e' impossibile individuare una nozione unitaria di ente pubblico, abbracciando tale nozione una fenomenologia estremamente varia e multiforme. In tale contesto si colloca la sentenza della Sez. 2, n. 42408 del 12/09/2012, Caltagirone Bellavista, Rv. 254038 che, per la prima volta - alla luce di un'ampia disamina della giurisprudenza della Corte costituzionale, delle Sezioni Unite civili, oltre che di quella del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, ha osservato che, ai fini della identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria riveste carattere neutro, rilevando le finalita' che si intendono perseguire e, piu' in particolare, la "strumentalita' pubblicistica" e il conseguente assoggettamento ad una disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per il modello societario tradizionale. Ne discende che, allo scopo di individuare gli indici di riconoscimento dell'ente pubblico, debba essere adottata una nozione di organismo pubblico, che fa leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica, la quale richiama quanto stabilito ed elaborato dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria. In tal senso, quindi, l'articolo 1 delle direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture) e 93/37/CEE (lavori), ora Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163, articolo 3, comma 26, definisce l'organismo di diritto pubblico come "qualsiasi organismo, anche in forma societaria: - istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalita' giuridica; - la cui attivita' sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali piu' della meta' e' designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico". Tale affermazione si rinviene nell'ordinanza delle Sezioni Unite civili, n. 8511 del 19/05/2012, Rv. 622719, che ha chiarito la differenza tra le imprese pubbliche quelle su cui le amministrazioni possono esercitare, direttamente o indirettamente un'influenza dominante perche' ne sono proprietarie, vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtu' di norme che disciplinano le imprese in questione - e l'organismo di diritto pubblico. Le Sezioni Unite hanno ricordato come tale si giustifica in considerazione del fatto che la ratio della disciplina dell'evidenza pubblica (consistente nella necessita' di garantire la competizione tra soggetti operanti sul libero mercato in sede di approvvigionamento di beni, servizi e forniture) non trova motivo di applicazione in relazione alla figura dell'impresa pubblica, che si trova ad operare nel mercato in condizioni di normale concorrenza, sopportando i rischi connessi al mercato stesso, il che rende superfluo il ricorso all'evidenza pubblica. Ove, invece, come nei "settori speciali", gli operatori beneficino di diritti speciali o esclusivi che riservano solo ad alcuni l'esercizio di determinate attivita', si rende concreto il rischio di un'alterazione delle regole della concorrenza, con la conseguenza che appare indispensabile il rispetto di tali regole, che si determina con l'applicazione della procedura di evidenza pubblica. Tale impostazione appare del tutto coerente con il costante insegnamento della Corte di Giustizia (15 gennaio 1998, causa C-44/96 Mannesmann anlagenbau Austria AG c. Strodal Rotationdruck GmBH; 16 ottobre 2003, causa C-283/00, Commissione c. Spagna; 15 maggio 2003, causa C-214/00, Commissione c. Spagna). In sintesi, quindi, puo' concordarsi sul fatto che, nei diversi ambiti di giurisdizione, la ricostruzione del sistema vigente in materia di riconoscibilita' della pubblicita' degli enti converga nel senso di una concezione sostanziale e non formalistica, sicche' anche la nozione penalistica di ente pubblico deve essere inquadrata in tale sistema concettuale, funzionale alla ratio delle norme, che, come osservato dalla Corte costituzionale gia' con la sentenza n. 466 del 1993, e' quella di evitare che l'impiego della societa' per azioni quale strumento organizzativo per il perseguimento di finalita' di interesse pubblico sottragga al controllo e alle relative sanzioni la dispersione del patrimonio pubblico. Qualsiasi diversa interpretazione, infatti, finirebbe per veicolare o agevolare condotte elusive delle piu' gravi sanzioni penali mediante l'utilizzo dello schermo societario, il che costituirebbe un arretramento di tutela rispetto alla indefettibile e primaria protezione dei bisogni di interesse generale. 1.2 Alla luce di tale impostazione non puo' che ribadirsi la natura di ente pubblico del (OMISSIS), peraltro gia' affermato dalla Sez. 6, n. 26638 del 24/05/2016, n. m., riferita alla fase cautelare della vicenda processuale. Tale pronuncia - che ha operato una analitica ricostruzione anche del quadro normativo di riferimento - ha concluso nel senso che ".....le gare ad evidenza pubblica, oggetto delle indagini in corso, hanno riguardato l'approvvigionamento di energia elettrica - dunque, un servizio di pubblico interesse, la cui acquisizione doveva avvenire nel rispetto della normativa pubblicistica sinteticamente tratteggiata - per conto degli enti pubblici locali costituiti dagli oltre 1.000 comuni confluiti nella struttura consortile del (OMISSIS). Ne consegue che le gare anzidette non solo si sono materialmente svolte, ma non possono che essere ritenute anche giuridicamente esistenti, salvo che la legittimazione del (OMISSIS) ad indirle quale soggetto pubblico - essendo il consorzio pacificamente riconosciuto come tale e pertanto dotato del relativo potere, come emerge con certezza dal rilascio del codice di gara da parte dell'Autorita' preposta - non sia stata posta in contestazione e definitivamente esclusa in radice: il che non risulta essere avvenuto. Di piu', la natura pubblica del (OMISSIS), ancorche' non fosse oggetto di contestazione specifica, risulta comunque esplicitamente affermata nella sentenza 18.02.2015 - dep. 10.04.2015, all'uopo richiamata dai giudici del riesame, con cui il TAR Veneto ha rigettato il ricorso, proposto dalla (OMISSIS) s.p.a. per l'annullamento del bando di gara indetto il 06.08.2014 dal consorzio, sentenza integralmente confermata dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato con decisione del 14.01-22.02.2016." Nel caso in esame, inoltre, non puo' essere taciuta la circostanza - non contestata dalle difese - che l'operativita' del (OMISSIS) fosse collocata nel quadro di riferimento normativo volto ad agevolare l'accesso delle pubbliche amministrazioni al mercato liberalizzato dell'energia elettrica, ricorrendo, quindi, necessariamente a procedure ad evidenza pubblica per la scelta del contraente, secondo le regole, attualmente dettate dal codice dei contratti pubblici, che disciplinano le "centrali di committenza" come strumento di razionalizzazione degli acquisti. I giudici di merito hanno illustrato come, nel novero delle "centrali di committenza", si collocasse inizialmente la (OMISSIS) - societa' per azioni il cui unico azionista e' il Ministero dell'Economia e delle Finanze -, che svolge attivita' di consulenza e supporto nell'ambito degli acquisti di beni e servizi per le sole pubbliche amministrazioni. A norma del Decreto Legge n. 95 del 2012, articolo 1, comma 7, conv. in L. n. 135 del 2012, e' stato, successivamente, disposto che gli enti locali debbano ricorrere alle convenzioni o agli accordi quadro, predisposti da (OMISSIS) s.p.a. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento, per gli approvvigionamenti di beni quali l'energia elettrica, il gas, i carburanti rete ed extra-rete, i combustibili per il riscaldamento e la telefonia, sia fissa che mobile. Gli enti locali che non ritengano di usufruire dei contratti (OMISSIS) possono anche optare per altri canali, purche' l'approvvigionamento avvenga da altre centrali di committenza ovvero a fronte di procedure ad evidenza pubblica, e comporti un risparmio di spesa rispetto a quanto previsto dal contratto (OMISSIS). A seguito della successiva evoluzione normativa - come ripercorsa dalla sentenza di primo grado -, in sostanza, per i piccoli comuni, ossia quelli con popolazione inferiore ai cinquemila abitanti, erano previste forme peculiari ed obbligatorie di aggregazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 33, comma 3 bis con la conseguenza che per i soggetti quali il (OMISSIS), anche a partire dall'entrata in vigore del Decreto Legge n. 66 del 2014, la sola possibilita' di continuare ad essere partner di pubbliche amministrazioni comunali era quella di essere inserito nell'elenco dei "soggetti aggregatori", vale a dire di soggetti iscritti in un apposito elenco, che prevede la presenza di (OMISSIS) s.p.a. e di una centrale di committenza per ciascuna regione, oltre che di quei soggetti che ottengano l'iscrizione all'elenco da parte, inizialmente, dell'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), successivamente sostituita dall'Autorita' Nazionale Anticorruzione (ANAC). A tali autorita', quindi, spettava e spetta - secondo le successive normative - il rilascio del codice identificativo della gara (CIG), necessario per lo svolgimento della stessa e subordinato alla previa verifica del rispetto di tutte le condizioni di legge. Fermo restando tale quadro ricostruttivo, deve essere sottolineato come il (OMISSIS) secondo quanto ricordato dalla sentenza impugnata a pag. 9 - avesse poso in essere una serie di trasformazioni - funzionali a palesare l'esclusione di ogni vocazione commerciale - allo scopo di essere ammesso all'elenco dei "soggetti aggregatori", cosa che era avvenuta nel luglio 2015, con apposita delibera dell'ANAC, che aveva ammesso il (OMISSIS) nel citato elenco "a condizione che venga effettuata la modifica statutaria volta ad eliminare la possibilita',anche solo in linea teorica, della partecipazione di privati nella compagine sociale e di qualsiasi vocazione commerciale dello stesso". In realta' - come illustrato dalla Corte di merito - il (OMISSIS) nel 2013 e nel 2014 pur rappresentando ai comuni aderenti che i contratti di fornitura venivano conclusi con una gara a ribasso rispetto al prezzo (OMISSIS) - non aveva svolto alcuna funzione tipica della centrale di committenza, in quanto le gare per l'individuazione del contraente erano state gestite e svolte direttamente dalla (OMISSIS) s.p.a., societa' di cui il consorzio aveva detenuto una quota maggioritaria solo fino al 2011; detta ultima societa', inoltre, non era risultata, alla luce delle acquisizioni documentali, che fosse incaricata di individuare il contraente per conto del Consorzio (OMISSIS), bensi' che svolgesse attivita' di trading di energia elettrica in favore quasi esclusivamente di enti pubblici. Pertanto, (OMISSIS) s.p.a. aveva ottenuto, almeno fino al 2013, notevoli vantaggi competitivi, bandendo, per conto del (OMISSIS), la gara per la selezione del contraente e, quindi, stipulando direttamente con i comuni consorziati i contratti di fornitura, rivendendo in proprio l'energia autonomamente acquisita. La peculiarita' della vicenda, quindi, consiste proprio nel fatto che il (OMISSIS) fosse una sorta di schermo che dissimulava l'operativita' di un soggetto di diritto privato, il quale ha beneficiato di un regime contrattuale di cui, dal punto di vista della sua effettiva struttura ed operativita', non avrebbero potuto usufruire. Ritiene il Collegio, tuttavia, proprio alla luce delle predette considerazioni in tema di criteri di individuazione funzionale della natura pubblica di un ente, che non possa escludersi la qualificazione di ente pubblico per il (OMISSIS), in conseguenza della mera apparenza della situazione manifestata nei confronti dei comuni contraenti, in quanto tale soluzione verrebbe ad integrare precisamente un ingiustificato arretramento della tutela rispetto alla protezione dei bisogni di interesse generale, quali quelli riferibili agli approvvigionamenti di beni di determinate categorie individuate dalla normativa di settore. Cio' senza contare come un tale approdo ermeneutico legittimerebbe condotte elusive e di aggiramento della normativa penale. Ne' si puo' opinare che, in tal modo, si entri in conflitto con il principio di tassativita', in quanto, proprio nella vicenda in esame, i requisiti alla luce dei quali individuare la natura del (OMISSIS) quale ente pubblico emergono pacificamente da elementi sintomatici, quale il fatto che il TAR Veneto, nel contenzioso con la (OMISSIS) s.p.a., non avesse affatto declinato la propria giurisdizione, e che, in riferimento ai bandi di gara, il (OMISSIS) avesse ottenuto il codice CIG, in quanto ente iscritto nell'apposito elenco degli "enti aggregatori". In altri termini, mediante la rappresentazione ai consorziati - secondo cui il Consorzio (OMISSIS) si rendeva promotore delle procedure di acquisto di beni e servizi in settori nevralgici, attraverso procedure di ribasso rispetto alle gare (OMISSIS) gli enti consorziati venivano vincolati contrattualmente alla (OMISSIS) s.p.a., benche' quest'ultima non fosse stata affatto selezionata con procedura ad evidenza pubblica. Lo strumento che consentiva tale aggiramento di quella che sarebbe stata la regolare procedura, era rappresentato dal mandato ovvero dall'incarico conferito alla (OMISSIS) s.p.a. che, tuttavia, non aveva ad oggetto l'espletamento della gara per la scelta del contraente, in quanto l'effetto finale era che il (OMISSIS) e, quindi, i comuni consorziati, entravano in rapporto commerciale direttamente con la (OMISSIS) s.p.a., che li riforniva di energia elettrica senza essere stata preventivamente selezionata attraverso una gara ad evidenza pubblica. In tal modo la selezione del contraente non era stata effettuata dal (OMISSIS) - ente che a norma di statuto avrebbe dovuto operare senza scopo di lucro - bensi' dalla (OMISSIS) s.p.a., societa' commerciale che operava per scopo di lucro. Il successivo intervento dell'ANAC con la Delib. 10 febbraio 2016, n. 124 piu' volte citata dalle difese, rappresenta, pertanto, proprio la conferma del fatto che il meccanismo di simulazione avesse pienamente raggiunto il proprio scopo, creando una situazione di apparenza che, solo all'esito dei successivi controlli posti in essere dalla Guardia di Finanza, era stata chiarita e svelata, conducendo, tra l'altro, anche all'adozione della Delib. di annullamento dell'iscrizione del (OMISSIS) dall'elenco dei soggetti aggregatori, di cui alla precedente Delib. ANAC in data 23 luglio 2015. Quest'ultima, infatti, come detto, aveva deliberato l'inserimento del (OMISSIS) nell'elenco dei soggetti aggregatori, ancorche' condizionato a modifiche statutarie volte ad eliminare la partecipazione di privati e, quindi, la vocazione commerciale, ma resta il fatto che l'inserimento nell'elenco dei soggetti aggregatori era rimasto, inalterato, sino alla successiva Delib. 20 dicembre 2018, il che dimostra come l'apparenza giuridica creata, circa la natura del consorzio, era perdurata sino agli accertamenti di P.G., sfociati nel provvedimento di revoca. 2. Venendo ora alla trattazione delle ulteriori doglianze, quanto al ricorso di (OMISSIS), il primo motivo appare infondato. Come gia' chiarito da questa Corte regolatrice, l'articolo 266 c.p.p., comma 2, richiede, quale requisito per disporre le intercettazioni ambientali in luoghi di privata dimora, che vi sia "fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attivita' criminosa", il che non puo' essere inteso nel senso di ritenere che tale attivita' vi si svolga effettivamente; il provvedimento autorizzativo delle captazioni, infatti, ha per oggetto l'adozione di un mezzo di ricerca della prova, il che rende evidente come, con un giudizio ex ante, adottato in base a specifici elementi di indagine, possa ritenersi del tutto ragionevole che, al momento dell'adozione del provvedimento di autorizzazione, nel luogo ivi indicato sia in corso lo svolgimento dell'attivita' criminosa (Sez. 3, n. 40509 del 07/05/2019, Stoto Rosa, Rv. 277362; Sez. 6, n. 36770de1 09/06/2003, Betta, Rv. 226333). La difesa, quindi, confonde l'esito, eventualmente negativo in termini di rilevanza investigativa, delle captazioni ambientali, con il presupposto legittimante l'adozione dello strumento di ricerca della prova, funzionale all'acquisizione di elementi di prova, ma del tutto indipendente dalla loro concreta produzione e rilevanza. 2.1 Quanto al terzo motivo di ricorso, relativo alla fattispecie associativa contestata al ricorrente dal 2014 al 23/09/2015, la sentenza impugnata ha dapprima richiamato la motivazione del primo giudice, che aveva ricordato come la sinergia del sodalizio fosse funzionale a fa si' che tutte le gare bandite dal (OMISSIS) fossero aggiudicate alla (OMISSIS) s.r.l. o, comunque, ad imprese gravitanti nel medesimo gruppo imprenditoriale, allo scopo di consolidare una posizione di potere alla quale era funzionale l'aggiramento della normativa di settore; la Corte di merito ha, quindi, ricordato come la stessa costituzione del (OMISSIS) fosse inserita in tale logica, come dimostrato, tra l'altro, dalla piena coincidenza tra il consorzio e le imprese del gruppo (OMISSIS), con un evidente cumulo di cariche da parte dei medesimi soggetti, il cui conflitto di interessi si era sistematicamente risolto in favore delle imprese facenti capo alla (OMISSIS) s.r.l.. Quanto all'indeterminatezza del programma criminoso, la sentenza impugnata ha evidenziato come le occasioni criminose non erano state affatto predeterminate, ma sfruttate man mano che si presentava la possibilita' di partecipare ad una gara di appalto, consolidando, quindi, il potere del sodalizio attraverso la strumentalizzazione degli interessi del (OMISSIS) e degli enti consorziati, piegati ai fini di lucro degli associati. In questo contesto il (OMISSIS) era stato descritto come il consulente di fiducia dello (OMISSIS), oltre che diretto emissario di quest'ultimo nelle commissioni di gara, in cui egli faceva valore la sua specifica competenza nel settore delle gare ad evidenza pubblica, con uno specifico tornaconto economico, avendo egli percepito per le consulenze prestate oltre 120.000,00 Euro in pochi anni di consulenza. A seguito dell'intervento dell'A.G., a partire dal luglio 2017, la condotta criminosa, di fatto, si era risolta in riferimento a sole tre gare, ossia quelle in contestazione; non a caso, proprio la conoscenza delle indagini aveva fatto si' che i sodali si fossero adoperati per dissimulare la commistione tra il (OMISSIS) ed il gruppo (OMISSIS), oltre che "aggiustare" od occultare le varie irregolarita' che avevano connotato le procedure di appalto, il che, sotto altro aspetto, evidenziava la rete di assistenza reciproca tra i sodali. A fronte di tale compendio motivazionale, il motivo di ricorso appare estremamente generico e, come tale, ai limiti dell'inammissibilita', posto che opera una valutazione della indeterminatezza del programma criminoso alla luce del solo dato costituito dall'espletamento di tre gare, senza considerare come i giudici di merito abbiano valorizzato, in riferimento alla indeterminatezza del programma criminoso, anche altri specifiche circostanze, inerenti il livello strutturale del (OMISSIS) rispetto al gruppo (OMISSIS). In sostanza, quindi, il ragionamento difensivo e' viziato da un errore metodologico di fondo, che consiste nell'identificare il programma criminoso con la concreta realizzazione dei reati-scopo. Inoltre, le argomentazioni difensive risultando tendenzialmente funzionali ad una ricostruzione alternativa della vicenda, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che appare del tutto logica e coerente con le illustrate risultanze processuali. Il motivo va, quindi, rigettato. 2.2 Il quarto motivo di ricorso attinge la fattispecie di falso di cui al capo 2) dell'imputazione, concernente la partecipazione abusiva alla gara per la fornitura di energia elettrica (CIG 5844564EC6) da parte del (OMISSIS), il quale predisponeva e modificava il verbale di gara del 15/04/2015, in data 07/05/2015, facendo apparire che tale verbale fosse stato redatto nel mese di aprile anziche' nel mese di maggio. Il verbale, infatti, aveva apparentemente ad oggetto la seduta riservata della gara, e la falsita' - secondo la sentenza impugnata - risulta palese - sia quanto alla data che quanto al contenuto - sulla base del contenuto delle intercettazioni. In particolare, dalla motivazione delle sentenze di merito emerge che la captazione presso lo studio (OMISSIS)- (OMISSIS), in data 07/05/2015, desse conto del fatto che il (OMISSIS) vi fosse giunto dopo la seduta della commissione di gara e che, parlando con il (OMISSIS) del verbale di esclusione della (OMISSIS) s.p.a. dalla gara, i predetti interlocutori rammentassero di aver gia' concordato di dover far risultare tale verbale come redatto il giorno precedente, ricordando, poi, di aver convenuto di farne risultare la datazione il 15 aprile anziche' il 16 aprile; quindi, il (OMISSIS) riferiva che il contenuto del verbale era stato condiviso da tutti, menzionando lo (OMISSIS) e, una volta individuato il file, egli indicava i nominativi degli interessati, il che consentiva di ritenere inequivocabilmente individuato il verbale della seduta del 15/04/2015. Successivamente, in data 09/05/2015, il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) erano stati intercettati mentre stavano rivedendo la bozza del verbale in data 15/04/2015, formata dal (OMISSIS) il precedente 07/05/2015. In sostanza, quindi, il verbale era risultato falso sia ideologicamente - in quanto si dava atto di una seduta della commissione di gara mai avvenuta, come dimostrato, oltre che dalle intercettazioni ambientali, anche dal fatto che nessuno dei cellulari dei commissari avesse agganciato la cella telefonica del luogo dove avrebbe dovuto riunirsi la commissione che risultava aver deliberato l'esclusione della (OMISSIS) s.p.a. e dichiarato deserta la gara per essersi ritirata la (OMISSIS) s.p.a. - che materialmente, in quanto redatto dal (OMISSIS) in data successiva a quella in cui si attestava la riunione della commissione; tale ultimo profilo viene confermato dalla conversazione ambientale n. 1779, in cui il (OMISSIS) ricordava di aver consegnato al (OMISSIS) un verbale per consentirne la sottoscrizione anche da parte degli altri commissari, in quanto tale verbale era stato sottoscritto dal solo (OMISSIS), dal che e' stato desunto che anche lo (OMISSIS) ed il (OMISSIS) avessero sottoscritto il verbale in una fase successiva, presso la sede del (OMISSIS) o avrebbero dovuto sottoscriverlo nelle dette circostanze. Che tale verbale fosse da considerare una semplice bozza - secondo la prospettazione difensiva -, in quanto non rinvenuto dalla Guardia di Finanza in sede di sequestro ma ritrovato in una cartella separata, e' circostanza meramente fattuale, priva di qualunque sostegno documentale, il che rende il motivo anche non autosufficiente, oltre che inammissibile nella misura in cui mira ad escludere il dolo del (OMISSIS) in base ad un'asserita incapacita' dimostrativa del compendio intercettivo; sul punto la Corte di merito ha anche richiamato una frase della conversazione n. 80 del 07/05/2015, in cui il (OMISSIS) affermava "quello li' e' un verbale di commissione.....quello li' lo l'ho fatto". Inoltre, il motivo di ricorso risulta anche graficamente riproduttivo del settimo motivo di appello, reiterando l'assunto che il verbale non fosse sottoscritto dal presidente della commissione, circostanza peraltro del tutto indimostrata. Ad ogni buon conto, certamente il luogo dove il detto verbale e' stato rinvenuto non appare dirimente in relazione ne' alla sua natura ne' alla sua rilevanza. A cio' si deve aggiungere che il motivo di appello sul punto si fondava espressamente sull'assunto che l'atto in contestazione non fosse esistito giuridicamente in quanto mai sottoscritto dal presidente della commissione. Sotto tale aspetto, per la verita', appare del tutto pertinente la motivazione della Corte di merito, che ha evocato la giurisprudenza amministrativa circa la differenza tra la categoria dell'inesistenza dell'atto e la sua nullita', rilevando che, in ogni caso, il verbale in questione risultava sottoscritto dal (OMISSIS) quale componente effettivo e segretario; inoltre, sulla scorta della diposizione di cui al Decreto Legislativo n. 163 del 2006, articolo 78 - unica norma che, in tema di verbali di gare di appalto, non prevede affatto la sottoscrizione come requisito di validita' del verbale, richiedendo solo che risultino "il nome e l'indirizzo dell'amministrazione aggiudicatrice, l'oggetto ed il valore del contratto, dell'accordo quadro o del sistema dinamico di acquisizione" -, la Corte di merito ha ricordato che sarebbe stato onere della difesa dimostrare che il regolamento del (OMISSIS), eventualmente, prevedesse una disposizione secondo la quale i verbali della commissione avrebbero dovuto essere sottoscritti da tutti i componenti della commissione, per cui se anche cio' fosse avvenuto - e non lo era - al piu' l'atto amministrativo sarebbe stato invalido per violazione di legge, ma certamente non inesistente. Quindi, puo' sicuramente ritenersi che il motivo di ricorso ometta di confrontarsi con uno snodo decisivo della motivazione della sentenza impugnata. Conclusivamente, anche alla luce della funzione probatoria dell'atto pubblico, che costituisce il fondamento della tutela penale, il contenuto del documento stesso, sotto l'aspetto della sua validita' formale, certamente non puo' incidere automaticamente sulla sua valenza probatoria, sicche' l'irregolarita' formale dell'atto, cosi' come l'invalidita' del rapporto giuridico ivi rappresentato, si pongono su di un piano del tutto diverso dalla sua attitudine funzionale. In tal senso puo' affermarsi che l'eventuale vizio che possa rendere annullabile o nullo un atto pubblico non lo rende, per cio' solo, insuscettibile di tutela penale, nella misura in cui esso sia connotato dai requisiti formali essenziali richiesti dalla legge per il raggiungimento del suo scopo, nel senso che attraverso la falsificazione il documento risulti valido per provare la sussistenza della situazione documentata, seppure apparente. In tal senso, non a caso, e' stato ritenuto che l'inesistenza giuridica di un atto possa essere individuata dalla mancata sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha formato solo qualora l'atto debba essere sottoscritto da un unico soggetto, cosa che non avviene bel caso dell'atto collegiale (Sez. 5 n. 1252 del 30/11/1970, dep. 26/02/1971, Alessi, Rv. 116827). Nel caso in esame, inoltre, tale principio deve essere integrato con la mancanza - evidenziata dalla Corte di merito e non contestata dalla difesa - di specifiche disposizioni normative che, sul punto, prevedano, eventualmente, un'apposita disciplina sulla rilevanza necessaria della sottoscrizione da parte di tutti i componenti della commissione ai fini della esistenza dell'atto, il che, come detto, nel caso di specie non risulta. 2.3 Il quinto ed il sesto motivo, relativi, rispettivamente, alla gara di cui al capo 2) - per la fornitura di energia elettrica e servizi connessi (CIG (OMISSIS)) ed alla gara di cui al capo 1) - per la fornitura di gas e servizi connessi (CIG (OMISSIS)) - risultano generici, in quanto fondati - il quinto - su alcune emergenze dibattimentali dimostrative del fatto che il bando non fosse stato affatto predisposto "su misura", come rilevabile anche dall'esito del giudizio amministrativo, e - il sesto - sui documenti prodotti dalla difesa a dimostrazione delle condizioni di scarsa appetibilita' per gli operatori del mercato della fornitura di gas e di energia elettrica ai comuni di piccole dimensioni. Evidente e' la sottoposizione a questa Corte di un onere valutativo del merito delle prove, del tutto estraneo al perimetro del giudizio di legittimita'; del tutto privo di qualsivoglia fondamento normativo e', poi, l'affermazione secondo la quale il giudicato amministrativo non avrebbe potuto essere disatteso dalla Corte di merito, data l'insussistenza di qualsivoglia pregiudizialita' e la completa autonomia delle sfere di incidenza dei rispettivi sistemi normativi di riferimento e, quindi, dei relativi giudizi celebrati in riferimento alla vicenda in esame. Quanto all'assunto secondo cui l'esclusione della (OMISSIS) s.p.a. non avrebbe reso possibile configurare giuridicamente la gara, il ricorso sembra dimenticare che il concetto di gara presuppone una competizione tra aspiranti, che si svolge sulla base della previa indicazione e pubblicizzazione dei criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ogni volta che la pubblica amministrazione proceda, anche in maniera informale o atipica, all'individuazione del contraente su base comparativa, a condizione che l'avviso informale o il bando e, comunque, l'atto equipollente indichino previamente i criteri di selezione e di presentazione delle offerte, ponendo i potenziali partecipanti nella condizione di valutare le regole che presiedono al confronto e i criteri in base ai quali formulare le proprie (Sez. 6, n. 6603 del 05/11/2020, dep. 19/02/2021, Maroni Roberto, Rv. 280836, in cui - ribadendo una sedimentata giurisprudenza sul punto, citata in motivazione - si e' affermato che i reati di turbativa, di cui agli articoli 353 e 353-bis c.p., non sono configurabili solo nel caso in cui la pubblica amministrazione proceda all'individuazione del contraente sulla base di una procedura selettiva interna, non essendo in tal caso individuabile una gara). In sostanza, quindi, i motivi di ricorso svolgono una critica che non tiene conto della natura di pericolo dei reati in esame, fondandosi su circostanze di fatto valutate ex post, e prescindendo del tutto dagli indicati e consolidati criteri ermeneutici. 2.3.1 In ogni caso, alla luce della non manifesta infondatezza del motivo di ricorso, va rilevato il decorso del termine massimo di prescrizione in relazione alla fattispecie di cui al capo 1), contestata come consumata nel novembre 2014 ed il 03/03/2015. Ne consegue, pertanto, che il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette mesi sei, risulta decorso alla data 03/10/2022. 3. Il ricorso di (OMISSIS) e' parimenti infondato. Richiamando le gia' illustrate considerazioni in tema di ente pubblico, quanto al primo motivo di ricorso, il secondo motivo si fonda sulla denuncia della omessa valutazione di una prova documentale che smentirebbe la deposizione del teste (OMISSIS), neanche allegata al ricorso, oltre che sulla rivisitazione del contenuto interpretativo delle conversazioni intercettate, operazioni del tutto estranee al giudizio di legittimita'. 3.1 In ogni caso, alla luce della non manifesta infondatezza del ricorso del (OMISSIS), va rilevato il decorso del termine massimo di prescrizione in relazione alla fattispecie di cui al capo 1), contestata come consumata nel novembre 2014 ed il 03/03/2015. Ne consegue, pertanto, che il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette mesi sei, risulta decorso alla data 03/10/2022. 4. Infondato risulta anche il ricorso di (OMISSIS). Anche per lo (OMISSIS) vanno richiamate le considerazioni circa la natura di ente pubblico del (OMISSIS), rilevando come il secondo motivo tenda ad una rivalutazione del reato sulla base della pronuncia del giudice amministrativo, secondo una inconfigurabile ed inammissibile osmosi tra detto giudizio e quello penale. Sicuramente non condivisibile appare la prospettazione difensiva circa la sussistenza dell'errore scusabile, in quanto, nel caso in esame, si invoca, in sostanza, l'errore sul precetto che non esclude il dolo, ai sensi dell'articolo 5 c.p.. Come chiarito da pacifica giurisprudenza di questa Corte, tale errore e' configurabile solo laddove sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma extrapenale, che, nella presente vicenda, il motivo di ricorso non individua nemmeno. In ogni caso, occorre ricordare come non possa escludersi l'elemento soggettivo del reato allorquando il contesto amministrativo si palesi incerto, in quanto il soggetto agente deve astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi, essendo onerato di acquisire dai competenti organi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimita' dell'attivita' svolta, potendo escludersi la colpevolezza solo alla luce di un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell'agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo; peraltro, la scusabilita' dell'ignoranza della legge penale, per l'agente che svolga professionalmente un'attivita' nel settore di interesse, comporta necessariamente che questi - da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo, pacifico orientamento giurisprudenziale - abbia potuto trarre il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, quindi, della liceita' del comportamento tenuto, essendo per costui particolarmente rigoroso il dovere di informazione sulla legislazione in materia (Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, dep. 28/07/2016, Guardigni ed altri, Rv. 268120; Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Sirignano ed altro, Rv. 249451; Sez. 4, n. 32069 del 15/07/2010, P.M. in proc. Albuzza ed altri, Rv. 248339). Ne discende che, alla luce delle circostanze in precedenza evidenziate, fondate sul palesarsi del (OMISSIS) come organismo pubblico, quanto alle modalita' di indizione delle gare, appare del tutto inconferente il richiamo all'errore scusabile da parte dello (OMISSIS). Dal rigetto del ricorso dello (OMISSIS) deriva, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di (OMISSIS) e di (OMISSIS), limitatamente al reato di cui al capo 1), perche' estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio; rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ricorrenti. Rigetta il ricorso di (OMISSIS) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. DI STASI Antonella - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Ma - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di: (OMISSIS), nato a (OMISSIS); visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p. avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articoli 30 e 44 lettera c), 3 comma 1 lettera d) e comma 2 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, 1 e 2 Legge Regionale Marche 22/09, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di Loreto. Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura fotovoltaica. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione, quindi, di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente in termini di lottizzazione. 1.3. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457/1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022 n. 17, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022 T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che l'articolo 3, comma 1, lettera d), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) dell'articolo 3, comma 1, Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo dell'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa, appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da a(tri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione detta ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto", in favore dell'immobile principale, della relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, lettera d), sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui della L. Marche 22 del 2009 articolo 2 comma 8 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi latu sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte, secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre, integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01) ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competente ai sensi dell'articolo 324, comma 5, c. p. p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RAMACCI Luca - Presidente Dott. ACETO Aldo - Consigliere Dott. GENTILI Andrea - Consigliere Dott. NOVIELLO Giuseppe - rel. Consigliere Dott. MAGRO Maria Beatric - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: dal Procuratore della Repubblica del tribunale di Ancona; nel procedimento a carico di (OMISSIS); avverso la ordinanza del 24/05/2022 del tribunale di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Giuseppe Noviello; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Pietro Molino che ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; udite le conclusioni dei difensori dell'indagato, avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilita' del ricorso. RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 24 maggio 2022, il tribunale del riesame di Ancona, adito nell'interesse di (OMISSIS) ai sensi dell'articolo 322 c.p.p., avverso il decreto del 2 maggio 2022 del Gip del medesimo tribunale, con cui era stato disposto il sequestro preventivo di un'area con annessi edifici in relazione al reato di lottizzazione Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001ex articolo 44 lettera c), annullava il sequestro con restituzione di quanto in vinculis. 2. Avverso la predetta ordinanza il pubblico ministero del tribunale di Ancona propone ricorso deducendo un unico motivo di impugnazione. 3. Deduce il vizio di violazione di legge in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 arti. 30 e 44 lettera c), Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 art 3 comma 1 lettera d) e comma 2, Legge Regionale Marche 22/09 articoli 1 e 2, 24 e 25 NTA del PRG del Comune di (OMISSIS). Si contesta la decisione del tribunale del riesame che avrebbe sostenuto la legittimita' delle opere sequestrate in violazione delle predette disposizioni. Cio' perche' sarebbe erronea la qualificazione, in termini di ristrutturazione, del complessivo intervento edilizio sequestrato, sia in quanto, da una parte, la ristrutturazione impone comunque la conservazione ovvero il recupero dell'immobile preesistente nonostante le modifiche per legge consentite, sia in quanto dall'altra, l'intervento in oggetto avrebbe comportato la demolizione pura e semplice di edifici preesistenti non ricostruiti nella loro fisica esistenza, con utilizzo delle volumetrie dei manufatti demoliti, aumento di volumetria, e quindi creazione di un organismo del tutto diverso, in ultima analisi integrante una ristrutturazione urbanistica in ragione della sostituzione del preesistente tessuto urbanistico ed edilizio, in zona agricola di interesse paesistico, anche a fronte della creazione di una apposita strada e di un parcheggio. In tale quadro, si osserva che alla luce della qualificazione degli interventi contemplati nel piano di recupero assunto a riferimento per gli interventi in questione, la disciplina regionale applicabile sarebbe stata solo quella dell'articolo 2 inerente interventi di demolizione e ricostruzione e non anche come invece ritenuto, quella di cui all'articolo 1 della medesima legge. Con evidente non conformita' urbanistica degli interventi previsti dal piano di recupero, con riguardo alla prevista realizzazione di 10 - 12 unita' immobiliari a fronte delle due esistenti, posto che la possibilita' di aumento superiore ad una unita' immobiliare rispetto alle esistenti sarebbe previsto dall'articolo 1 comma 1 citato e non dall'articolo 2 citato della medesima legge regionale, inerente interventi di demolizione e ricostruzione rilevanti nel caso in esame. La non conformita' riguarderebbe anche i profili inerenti il mancato rispetto del tipo edilizio e delle caratteristiche edilizie storiche. In particolare, alla luce dell'articolo 24 e 25 delle NTA del PRG non sarebbero ammesse nuove costruzioni quali quelle in esame, ma solo essenzialmente costruzioni in termini, al piu', di ristrutturazione e ampliamento per la residenza della famiglia coltivatrice dell'imprenditore agricolo e di costruzioni accessorie e impianti strumentali per l'attivita' agricola. Laddove il piano di recupero inerente gli interventi in questione non farebbe riferimento a tipologie di intervento quali quelle da ultimo indicate. In ultima analisi emergerebbe una lottizzazione abusiva mista. Quanto al periculum in mora, esso conseguirebbe all'immediato inizio dei lavori, realizzato senza comunicazione di inizio lavori al Comune e senza affissione della cartellonistica necessaria, oltre che alla gia' intervenuta demolizione dei manufatti accessori, per i quali sussistevano dubbi sulla relativa legittimita' urbanistica, per cui i lavori all'indomani del dissequestro potranno essere ripresi trasformando l'area e pregiudicando anche ulteriori accertamenti. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Premesso che e' sollevato un vizio di violazione di legge, occorre stabilire se e quale sia l'intervento in ordine al quale si contesta la ricostruzione giuridica elaborata dal tribunale. 1.1. Dal provvedimento impugnato oltre che dal ricorso proposto, emerge che l'ipotesi accusatoria attiene all'intervenuto rilascio di un permesso di costruire autorizzante la demolizione di una casa colonica costituita da due unita' immobiliari e cinque annessi agricoli di varia tipologia, con costruzione, in luogo di tali strutture, di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso, costituito da 24 stalli con copertura foto vo I ta i ca. 1.2. Il tema essenziale proposto, e' quello della configurabilita' o meno di un intervento di ristrutturazione edilizia; quest'ultimo rinvenuto dal tribunale del riesame, con esclusione quindi di ogni abusivita' dell'intervento come invece sostenuto dal ricorrente. 1.3. 1.1. Va premesso che la nozione di ristrutturazione edilizia, introdotta inizialmente con l'articolo 31, lettera d), L. n. 457 del 1978, e da ultimo tradottasi nelle previsioni di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e' stata interessata da progressivi interventi legislativi, che hanno ampliato la stessa. Di recente, con l'articolo 10 del decreto del 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, dettato "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo" e' stato novellato l'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, nei seguenti termini: "alla lettera d), il terzo e il quarto periodo sono sostituiti dai seguenti: "nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresi' gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilita', per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento puo' prevedere altresi', nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purche' sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria." Per completezza va aggiunto che con D.L.l'1 marzo 2022, convertito in L. 27 aprile 2022 n. 34, con l'articolo 28 comma 5 bis e' stato disposto che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, dopo le parole: "decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42," sono inserite le seguenti: "ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142 del medesimo codice,". Inoltre, con Decreto Legge n. 17 maggio 2022, n. 50 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2022, n. 91 si e' disposto, con l'articolo 14, comma 1-ter, lettera a), la modifica dell'articolo 3, comma 1, lettera d) nel senso che "al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 3, comma 1, lettera d), sesto periodo, le parole: "dell'articolo 142" sono sostituite dalle seguenti: "degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142". 1.4. Purtuttavia, nonostante il riportato ampliamento, in particolare con la citata novella del 2020, dell'ambito di operativita' della nozione attuale di ristrutturazione, con particolare riferimento agli immobili non sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nonche' a quelli ubicati nelle zone omogenee A, permane comunque la ratio qualificante l'intervento edilizio, che postulando la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare, e' comunque finalizzata al recupero del medesimo, pur con le ammesse modifiche di esso. Si tratta di un indirizzo piu' volte sottolineato negli anni, oltre che dalla dottrina, anche dalla giurisprudenza. In tal senso si e' espressa anche di recente la giurisprudenza amministrativa, laddove ha evidenziato che la ristrutturazione edilizia, quale intervento sul preesistente, non puo' fare a meno di una certa continuita' con l'edificato pregresso (TAR Veneto Sez. H n. 660 del 2 maggio 2022T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna Sez. II, 16 febbraio 2022, n. 183; Consiglio di Stato, Sez. II, 6 marzo 2020 n. 1641) e analogamente ha fatto questa Suprema Corte (Sez. 3 - n. 23010 del 10/01/2020 Rv. 280338 - 01) laddove ha precisato, ancorche' rispetto a un quadro normativo non inclusivo ancora del citato decreto legge del luglio 2020 n. 76, che Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001articolo 3, comma 1, lettera d), , nel definire gli "interventi di ristrutturazione edilizia" non prescinde, ne' potrebbe, dalla necessita' che venga conservato l'immobile preesistente, del quale deve essere comunque garantito il recupero. Allo stesso modo la ristrutturazione dei manufatti crollati o demoliti e' possibile al solo fine del loro "ripristino", termine quest'ultimo dal significato univoco nella parte in cui esclude la mera demolizione a vantaggio di un edificio diverso. La ristrutturazione, per definizione, non puo' mai prescindere dalla finalita' di recupero del singolo immobile che ne costituisce l'oggetto. In tale quadro e' stata sottolineata, molto opportunamente, "la necessita' di un'interpretazione della definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3, comma 1, , che sia aderente alla (e non tradisca la) finalita' di conservazione del patrimonio edilizio esistente, finalita' che contraddistingue tale intervento rispetto a quelli di "nuova costruzione" di cui alla successiva lettera e), e non si presti all'elusione degli standard urbanistici vigenti al momento della riedificazione ed applicabili in caso di nuova costruzione. Del resto, la conferma della ontologica necessita' che l'intervento di ristrutturazione edilizia, pur con le ampie concessioni legislative in termini di diversita' tra la struttura originaria e quella frutto di "ristrutturazione", non possa prescindere dal conservare traccia dell'immobile preesistente, e' fornita dallo stesso articolo 10 sopra gia' citato, integrativo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 articolo 3 comma 1 lettera d), laddove si premette che le novelle introdotte rispondono "al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, nonche' di assicurare il recupero e la qualificazione del patrimonio edilizio esistente e lo sviluppo di processi di rigenerazione urbana, decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo". Anche la lettura stessa del citato articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 depone in tal senso, laddove, da una parte, definisce come ristrutturazione "gli interventi edilizi volti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso", dall'altra, distingue rispetto ad essa gli "interventi di nuova costruzione" (articolo 3 comma 1 lettera e), che sono strutturalmente connotati dalla assenza di una preesistenza edilizia. In altri termini, con riguardo alla ristrutturazione non vi e' spazio per nessun intervento che lasci scomparire ogni traccia del preesistente. 1.5. Alla luce delle precedenti considerazioni, deve essere esaminato l'intervento oggetto di sequestro. Che risulta indiscutibilmente consistente nell'abbattimento, in zona agricola, di edifici rurali accessori ad una casa colonica - composta di due unita' immobiliari - non ancora demolita, con aumenti di cubatura previsti per l'intervento finale, consistente nella creazione di un complesso residenziale costituito da 10 villini in linea, di cui 2 su due livelli, e un parcheggio a raso costituito da n. 24 stalli con copertura fotovoltaica. Si tratta di interventi edilizi in corso, funzionali, come appare evidente per quanto immediatamente sopra illustrato, non alla realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente ma pur sempre identificabile con quest'ultimo, quanto, piuttosto, di plurimi e diversi organismi, quali le villette, ancorche' in linea; laddove la previsione di una strada e di 24 parcheggi a raso conferma la predisposizione di un nuovo complesso residenziale, come tale distante dal criterio fondante della ristrutturazione, che pur con l'ampiezza operativa concessa ai sensi dell'articolo 3 attualmente vigente, impone, comunque, per rispettare la ratio dell'intervento e la distinzione rispetto ad altre operazioni edilizie, e in particolare rispetto alle "nuove costruzioni", un connubio materiale o comunque funzionale e identitario, tra l'edificio originario e l'immobile frutto di ristrutturazione. Correlazione evidentemente assente allorquando, come nel caso di specie, rispetto ad un unico edificio - quale la casa colonica comprensiva di due unita' immobiliari - si prospettano plurime e autonome unita' immobiliari, quali le 10 ville, nel contesto, peraltro, di una strada e di un parcheggio integranti interventi per i quali pare assente ogni riferimento strutturale originario, idoneo a inquadrare anche tali ultime opere nel novero di una ristrutturazione. Ne', per quanto detto, e anche per quanto di seguito si precisera' circa i rapporti tra Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e leggi regionali, appare pertinente la precisazione, in ordinanza, per cui con legge regionale sarebbe caduto il divieto di realizzare, previa demolizione e ricostruzione, diverse unita' immobiliari, atteso che qui viene in rilievo non la possibilita', consentita, che il nuovo organismo contempli, in se', altre unita' immobiliari, ma la necessita' che l'operazione di ripristino non si traduca nella moltiplicazione, da un unico edificio, di piu' distinte e autonome strutture edilizie. In altri termini, seppure la recente novella del 2020 abbia contribuito a delineare la possibilita' di interventi di ristrutturazione fortemente innovativi rispetto all'organismo preesistente, tanto che alcuni criteri prima utilizzati dalla legge e giurisprudenza, per sancire la corrispondenza tra i due organismi interessarti appaiono via via sfumati o scomparsi (quali, in sintesi, con riferimento in particolare a zone non vincolate, la fedele ricostruzione comprensiva di limitate innovazioni, oppure, poi, la medesima sagoma /volumetria o, ancora, l'identita' del sedime), permane il requisito, insuperabile, per cui deve pur sempre trattarsi di interventi di recupero del medesimo immobile ancorche' trasformato in organismo edilizio in tutto o in parte diverso. Per cui, in tale quadro va esclusa la moltiplicazione, da un unico edificio, di plurime distinte strutture o, di converso, l'assorbimento di plurimi immobili in un unico complesso edilizio. 1.6. In proposito, e' utile osservare come tale impostazione sia seguita dall'articolo 2 della L. 22/2009 della regione Marche che, nel consentire la demolizione e ricostruzione, fa chiaro riferimento al parametro, permanente, prima e dopo dell'intervento, dell'organismo edilizio preesistente, mediante le espressioni " ricostruzione" e "ricomposizione planovolumetrica" oltre che con riferimento - in zone agricole - alla realizzazione di un "nuovo edificio" (piuttosto che di plurimi edifici "generati" da un unico edificio - oltre che annessi "assorbiti" - come nel caso in esame); peraltro, si noti bene, il tutto per delineare i confini reali della fattispecie di ristrutturazione sancita dalla disciplina in esame, pur sempre "secondo il tipo edilizio e le caratteristiche edilizie storiche". Non sembra inoltre trascurabile, nel caso in esame, il seguente ulteriore dato: pur stabilendo, l'attuale articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che la ristrutturazione puo' prevedere altresi' "nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana", tale previsione fa evidentemente riferimento, nel quadro della gia' delineata ricostruzione normativa, ad ampliamenti relativi a ciascun singolo edificio da ristrutturare. Solo entro tali limiti, dunque, e' ammesso un aumento volumetrico. Di contro, il rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6 della stessa appare riferibile a fattispecie diversa, quale l'accorpamento, all'edificio principale, della volumetria di accessori ad esso di pertinenza e diversi, che nella misura in cui si traduca, come pare nel caso di specie, nella demolizione di immobili accessori distinti, con acquisizione all'immobile principale della relativa volumetria, e scomparsa, di fatto, dei predetti locali si traduce in un intervento che, per quanto sopra detto, con riguardo alla necessaria identificabilita' del singolo immobile ristrutturato con il nuovo organismo realizzato, esula dalla nozione legislativamente fissata di ristrutturazione. Cosicche', pur alla luce delle piu' recenti novelle, l'utilizzazione, a favore dell'unico edificio ricostruito, delle volumetrie espresse da altri edifici anch'essi demoliti e' concetto totalmente estraneo - e come tale deve essere interpretato il rinvio disposto dall'articolo 2 comma 8 citato all'articolo 1 comma 6 pure citato - alla definizione della ristrutturazione: manca infatti, in tal caso, la "ricostruzione" dell'edificio demolito (che invece scompare, con mero "acquisto" all'immobile principale della sola relativa volumetria), ancorche' rinnovato e modificato (nei termini di legge consentiti). Di rilievo, in tal senso, appare il principio affermato da Cons. Stato Sez. VI Sent., 16/12/2008, n. 6214, secondo cui la trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell'area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall'articolo 3, comma 1, lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale. Si tratta di decisione che, seppure formulata in un quadro giuridico piu' restrittivo rispetto a quello attualmente vigente a seguito della novella del 2020, ribadisce il senso della disciplina della ristrutturazione, nella sua correlazione tra edificio demolito ed edificio ricostruito, laddove evidenzia come "cio' che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione e', indubbiamente, il carattere innovativo di quest'ultima in ordine all'edificio preesistente; cio' che contraddistingue, pero', la ristrutturazione dalla nuova edificazione e' la gia' avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita". 1.7. Ne' osta a tale ultimo rilievo, sulla corretta interpretazione del rinvio di cui all'articolo 2 comma 8 della L. Marche 22/2009 all'articolo 1 comma 6, la previsione dell'articolo 2 comma 8 ter L. R. Marche 22/2009, per cui "gli interventi previsti da questo articolo costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia di cui alla lettera d) del comma 1 articolo 3 del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380", atteso che l'articolo 1, comma 1, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, stabilisce che "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell'attivita' edilizia", e i commi 1 e 3 dell'articolo 2, prevedono, rispettivamente, che "le regioni esercitano la potesta' legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuati ve dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi". Di rilievo e' anche il comma 3 dell'articolo 117 Cost., secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato". Consegue che la nozione di ristrutturazione di cui all'articolo 3 comma 1 lettera d) del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, costituendo un principio fondamentale della legislazione statale dettato in tema di caratteristiche di interventi lato sensu conservativi e di recupero, non puo' essere integrata o modificata con legge regionale. Tanto, del resto, risulta gia' stabilito da questa Suprema Corte, laddove si e' precisato che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. F - n. 46500 del 30/08/2018 Rv. 274173 - 01; Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 Ud. (dep. 20/06/2017) Rv. 270210 - 01). 1.8. Con riguardo, dunque, alla qualificazione giuridica dell'intervento, appare corretto il rilievo del ricorrente nel senso della esclusione di un'operazione di ristrutturazione, a fronte di un nuovo complesso residenziale dal notevole impatto edilizio ed urbanistico. Le cui caratteristiche, peraltro in area a destinazione agricola, non possono prescindere dalla considerazione dei principi piu' volte ribaditi da questa Suprema Corte secondo i quali in materia edilizia, e' configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche nel caso di interventi realizzati, in difetto di uno strumento pianificatorio di dettaglio, in zone gia' urbanizzate o parzialmente urbanizzate, purche' di consistenza e complessita' tali da costituire una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in mancanza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali, che garantisca il raccordo della nuova edificazione a quella preesistente (Sez. 3 -, n. 36616 del 07/06/2019 Rv. 277614 - 02). Inoltre integra il reato di lottizzazione abusiva il frazionamento e la predisposizione di un terreno agricolo alla realizzazione di piu' edifici aventi natura e destinazione residenziale, in quanto trattasi di attivita' edificatoria fittiziamente connessa alla coltivazione ed allo sfruttamento produttivo del fondo ed incompatibile con l'originaria vocazione dell'area (Sez. 3, n. 15605 del 31/03/2011 Rv. 250151 - 01), ed ancora, in tema di reati urbanistici, nel caso di costruzione in zona agricola, la destinazione del manufatto alle opere dell'agricoltura ed il possesso dei requisiti soggettivi di imprenditore agricolo in capo a chi lo realizza - tanto al momento della richiesta e del rilascio del permesso di costruire, quanto al tempo della eventuale voltura del titolo abilitativo in favore di terzi - sono elementi rilevanti nella valutazione della rispondenza dell'opera alle prescrizioni dello strumento urbanistico e, di conseguenza, anche per l'eventuale valutazione di conformita' ai fini del rilascio della sanatoria (Sez. 3, n. 7681 del 13/01/2017 Rv. 269159 - 01). 1.9. Rispetto a tale ricostruzione, anche di principio, le ulteriori considerazioni critiche in ordine alla interpretazione di atti amministrativi quali le NTA del PRG vigente, citate in ricorso, muovono su un piano fattuale, inammissibile in questa sede, proponendo un'analisi non effettuabile da parte di questa Corte, atteso che in tema di misure cautelari reali, costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche l'affermata erronea interpretazione di un atto amministrativo, poiche' essendo relativa ad atti privi di carattere normativo rientra, ai sensi dell'articolo 325, comma 1, c.p.p. nella valutazione del fatto (Sez. 3 - n. 14977 del 25/02/2022 Rv. 283035 - 01; Sez. 3, n. 37451 del 11/04/2017 (dep. 27/07/2017) Rv. 270543 - 01). 2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l'ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Ancona per nuovo esame in relazione alla ipotesi accusatoria formulata, alla luce delle considerazioni sopra riportate. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Ancona competete ai sensi dell'articolo 324 c.p.p. co 5 c. p. p.

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