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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Sezione Civile Il Tribunale, nella persona della giudice Dott.ssa Martina Cacioppo ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nella causa di I grado, iscritta al n. 566/2022 R.G., promossa da: SOCIETÀ AGRICOLA (...) S.A.S. DI (...), (C.F:(...)) in persona del socio accomandatario e legale rappresentante pro tempore, (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Cr.Ma. in forza di procura speciale posta in calce al ricorso introduttivo; - Ricorrente - Contro (...) S.A.S. DI (...) (P.IVA (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore (...), rappresentata e difesa dall'Avv. Eric Volpe in forza di procura posta in in calce alla memoria di costituzione in giudizio; - Resistente - Avente ad oggetto: contratto di affitto di azienda; MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., del 28.02.2022 la SOCIETÀ AGRICOLA (...) S.A.S. DI (...) (da qui in poi solo "la (...)") ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Alessandria, (...) S.A.S. DI (...) (da qui in poi solo "la (...)") deducendo: - che in data 9.02.2016 la società (...) S.r.l. affittava alla (...) il ramo d'azienda avente per oggetto l'attività "albergo ristorante" esercitata con l'insegna "(...)" all'interno dell'immobile sito in (...), pattuendo il pagamento di un canone, oggi pari ad Euro 10.166,67 al mese (IVA compresa); - che in data 7.01.2019 (...) S.r.l. cedeva alla società (...) il predetto ramo d'azienda, con conseguente subentro della cessionaria nel contratto di affitto di cui sopra; - che in data 13.05.2019 la (...) e la società (...) formalizzavano un accordo transattivo con il quale quest'ultima revocava la propria diffida ad adempiere per la morosità pregressa della affittuaria, compensandola con i costi sopportati dalla stessa per interventi di manutenzione straordinaria in luogo della (...) S.r.l.; - che nel periodo successivo alla transazione, la (...) ometteva di versare all'affittante n. 6 canoni di affitto ammontanti ciascuno ad Euro 10.166,66: relativi ai mesi di settembre 2019 e da gennaio a maggio 2020; - che con pec del 21.05.2020 la società (...) provvedeva a mettere formalmente in mora la resistente intimandole di adempiere entro 30 giorni; - che con pec del 22.06.2022 la ricorrente, preso atto del persistente mancato pagamento, cui si aggiungeva la mensilità di giugno, comunicava alla (...) l'avvenuta risoluzione del contratto ex art. 4 lett. l a far data dal 20.06.2020 e chiedeva l'immediata restituzione del compendio aziendale; - che la resistente non restituiva il ramo d'azienda, ma provvedeva a notificare alla (...), in data 27.06.2020, un ricorso ex art. 696 e 696 bis c.p.c. onde far accertare l'asserita carenza di manutenzione straordinaria della struttura oltre che l'abusività del bar della piscina parte del compendio aziendale; - che in seno all'instaurato giudizio di ATP in data 28.03.2021 veniva depositata la relazione tecnica a firma dell'Ing. Castellani la quale accertava: il pieno godimento e possesso dell'azienda da parte di (...); l'invio nel 2016 e nel 2021 di una richiesta di sanatoria della piscina e della serra adibita ad orto da parte della ricorrente non ancora definita; una carente manutenzione ordinaria imputabile alla responsabilità dell'affittuaria; - che pur non sanando la morosità pregressa, dopo l'avvenuta risoluzione del contratto avvenuta il 20.06.2020 la (...) provvedeva a corrispondere alla ricorrente alcune mensilità, le quali venivano dalla (...) imputate non a pagamento dei canoni ma, bensì - stante l'avvenuta risoluzione del contratto - a titolo di indennità da illegittima occupazione, con riferimento ai medesimi periodi; - che (...), senza alcuna preventiva autorizzazione della ricorrente ed in spregio a quanto pattuito tra le parti con la scrittura del 9.02.2016 (collaterale ed integrativa del contratto di affitto stipulato lo stesso giorno), nell'aprile 2021, senza alcun previo accordo con l'affittante, commissionava dei lavori sul compendio aziendale invasivi e dannosi del pregio della struttura ovvero smantellava il mosaico della piscina con l'applicazione di un telo in PVC; - che la resistente non prendeva parte alla procedura di conciliazione instaurata dalla ricorrente presso l'Ordine dei Commercialisti, come pattuito dall'art. 5 del contratto di affitto; - che, nonostante l'avvenuta risoluzione del contratto, (...) continuava a godere in modo pieno ed esclusivo del compendio aziendale della ricorrente senza effettuare i pagamenti dovuti a titolo di canoni (per il periodo ante 20.06.2020) ed a titolo di indennità per illegittima occupazione (per il periodo post 20.06.2020); da ciò scaturendo il diritto della ricorrente: 1) a far dichiarare risolto il contratto ex art. 1456 c.c. o ex art. 1454 c.c. con effetto dal 20.06.2020, o in subordine con effetto dal trentesimo giorno dalla notifica del ricorso (23.04.2022) o in ulteriore subordine ex art. 1453 c.c. con effetto dal deposito del ricorso (28.02.2022); 2) a ricevere il pagamento di quanto ancora dovuto a titolo di canoni e indennità di legittima occupazione; 3) a vedersi restituire l'azienda. Con memoria del 12.04.2022 si è costituita in giudizio la resistente (...) deducendo: - che in data 9.02.2016 erano stati conclusi tra le medesime parti di cui al contratto di affitto d'azienda stipulato in pari data, due accordi collaterali a cui la parte ricorrente ha colpevolmente inadempiuto; - che in particolare la prima scrittura integrativa prevedeva che l'allora affittante (...), si facesse carico delle spese di straordinaria manutenzione oltre che della fattiva esecuzione, entro il 30.05.2016, di alcune opere specificamente indicate nel contratto; - che con la seconda scrittura, (...) e (...) (quest'ultimo quale amministratore unico di (...)) si impegnavano ad usufruire continuativamente dei servizi di ristorazione e alberghiero fornito da (...) per un importo annuale di Euro 15.000,00 - una sorta di voucher - con obbligo da parte dei primi di versare la differenza laddove non si fosse raggiunta la spesa minima per ciascun quadrimestre; - che la ricorrente si rendeva inadempiente ai predetti obblighi in quanto: non eseguiva alcuna manutenzione straordinaria; non dava esecuzione alle opere espressamente menzionate nella scrittura a latere; disattendeva il pagamento del voucher; forniva alla (...) una struttura in parte abusiva (il bar della piscina e la serra), come accertato in sede di ATP; - che con scrittura transattiva del 13.05.2019, le parti revocavano alcuni degli obblighi reciprocamente assunti con le scritture a latere del 9.02.2016 e compensavano tra loro i rapporti di dare e avere riguardanti i canoni non corrisposti da (...) ed i costi di manutenzione straordinaria eseguiti da quest'ultima in luogo di (...) con una differenza a credito in favore di quest'ultima di Euro 6.000,00 da corrispondersi mediante la fornitura di servizi alberghieri e di ristorazione presso il (...); - che nella predetta scrittura la proprietà si assumeva l'impegno: di regolarizzare le componenti abusive (serra e bar piscina) entro il 30.09.2019 e di fornire all'affittuaria il DUVRI del lavoratore A.I., obbligazione cui non adempieva; - che la consulenza tecnica espletata in seno al giudizio di ATP celebrato su iniziativa della resistente, accertava uno stato manutentivo scarso, l'irregolarità della piscina e l'abusività sia del bar annesso a quest'ultima sia della serra, con costi di rimessione in pristino pari ad Euro 97.566,04; - che la ricorrente poneva in essere numerose condotte ostruzionistiche atte a pregiudicare il sereno esercizio dell'attività di ristorazione ed alberghiera da parte della (...): non rimediava ai vizi della struttura; tentava di bloccare i lavori di messa a norma della piscina intrapresi dalla resistente nell'inerzia di controparte; tentava di sottrarre quadri dalla sala ristorante; apriva strutture recettive non autorizzate nel medesimo territorio idonee a sviare la clientela di (...); non emetteva fatture per i canoni di locazione pagati impedendo all'affittuaria di giovarsi delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa emergenziale COVID; intentava una esecuzione presso terzi non eseguendo le comunicazioni di rito affinché potessero essere sbloccati i conti; promuoveva un giudizio cautelare per ottenere la restituzione del compendio aziendale - da cui usciva soccombente per entrambi i gradi-; - che dall'aprile 2019 (momento in cui è stata conclusa la transazione) al febbraio 2022 la (...) ha omesso la corresponsione di sole 9 mensilità a cui va anche detratto quanto percepito dalla ricorrente a seguito di pignoramento presso terzi così per Euro 9.673,09 ciò comportando una differenza a credito della (...) di soli Euro 81.843,35 (pag. 25 memoria di costituzione); che la (...) ha però al contempo sostenuto spese per la manutenzione straordinaria, dal 2019 ad oggi, per Euro 105.172,82 ciò comportando quindi uno sbilancio in favore della resistente di Euro 23.329,47; - che persiste inoltre l'esigenza di far fronte ad ulteriori costi per rimettere in pristino l'immobile per opere di straordinaria manutenzione di cui la proprietà continua a non farsi carico; - che l'inadempimento della proprietà legittima ex art. 1460 c.c. la mancata corresponsione di una parte dei canoni ciò facendo venir meno i presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto; - che la resistente ha subito dal comportamento ostruzionistico e sleale della ricorrente un danno patrimoniale e non patrimoniale quantificabile nella somma di Euro 100.000,00; La causa è stata istruita documentalmente ed attraverso l'escussione del testimone (...), rigettate tutte le ulteriori istanze. All'udienza del 31.05.2023, previa discussione, il Tribunale ha trattenuto la causa in decisione ed all'esito della camera di consiglio ha pronunciato la presente sentenza con lettura del dispositivo. Il ricorso è fondato e merita accoglimento seppur nei limiti di quanto si dirà. -1. Sulla domanda di risoluzione del contratto di affitto di azienda ex art. 1456 c.c. L'esame della presente controversia non può che muovere dal principio giurisprudenziale, ormai pacifico e consolidato, secondo cui il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, mentre può limitarsi ad allegare l'inadempimento di controparte, essendo onere del debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. Cass. S.U. n. 13533/01). Ebbene, nel caso di specie, i rapporti negoziali tra le parti (la maggior parte stipulati da (...) S.r.l. cui è subentrata la società (...) in data 7.01.2019 a seguito di cessione del ramo d'azienda), si sono per così dire "stratificati" nel corso del tempo, attraverso la stipula di più accordi, integrativi ed anche in parte derogativi di quelli precedentemente raggiunti: i) il contratto di affitto di azienda del 9.02.2016 (doc. 2 res.); ii) la scrittura integrativa al predetto contratto, stipulata in pari data (doc. 4 res.); iii) la lettera di impegno stipulata anch'essa il 9.02.2016 (doc. 5 res.); la transazione del 13.05.2019 (doc. 3 ric.). Parte ricorrente (...), allegando l'inadempimento di controparte al pagamento di più di due mensilità consecutive (in particolare cinque, da gennaio a maggio 2020) ha chiesto di accertarsi l'avvenuta risoluzione del contratto a far data dal 20.06.2016 (giorno in cui è scaduto il termine di giorni 30 indicato nella lettera di messa in mora del 21.05.2020), invocando ex art. 1456 c.c., l'operatività della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 4 lett. l del contratto di affitto di azienda, ai sensi della quale: "l'inosservanza anche solo di una delle obbligazioni ed in particolare il mancato pagamento di almeno due rate consecutive del canone di affitto, entro trenta giorni dalla data di comunicazione dell'inadempimento darà luogo alla risoluzione di diritto del contratto, fatto salvo il risarcimento del maggior danno". Orbene, deve ritenersi provato oltre che non specificamente contestato ex art. 115 c.p.c., che (...) non abbia effettivamente corrisposto le cinque mensilità di cui sopra. Infatti, nella propria memoria di costituzione, la resistente, senza prendere posizione sulle mensilità sulla base delle quali l'affittante ha invocato l'operatività della clausola risolutiva espressa (ovvero quelle da gennaio a maggio 2020) si è limitata genericamente ad eccepire di aver pagato da aprile 2019 (mese in cui tra le parti è stato raggiunto l'accordo transattivo con compensazione dei reciproci rapporti di dare e avere) un totale di 25 mensilità su 34, producendo quale prova dell'avvenuto pagamento delle contabili di bonifico e degli estratti conto (doc. 24). Ebbene, pur premessa la genericità di tale contestazione, in ogni caso, dagli estratti conto prodotti dalla resistente e prestando fede alle imputazioni fatte dalla stessa di cui alle causali di bonifico, si evince che nell'anno 2020 sono stati pagati dalla (...) solo i canoni relativi alle mensilità di: dicembre (bonifico 17.12.2020); novembre (bonifico 11.11.2020); ottobre (bonifico 12.10.2020); settembre (bonifico del 10.09.2020); agosto (bonifico 10.08.2020) e luglio (bonifico del 6.07.2020); nulla invece è stato provato circa l'avvenuto pagamento delle mensilità da gennaio a giugno 2020. Pertanto, è pacifico che il 21.05.2020, quando la (...) ha fatto pervenire alla resistente l'intimazione ad adempiere al pagamento della morosità pregressa entro e non oltre 30 giorni - dichiarando in difetto di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa di cui alla lett. l del contratto - la resistente non provvedeva da gennaio alla corresponsione dei canoni di affitto. Come noto, la pattuizione nel contratto di una clausola risolutiva espressa, determina, come di regola, la predeterminazione ad opera delle parti stesse della gravità dell'inadempimento. Secondo quanto pacificamente affermato in giurisprudenza, "la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandolo dall'onere di provarne l'importanza. Di talché, in siffatta ipotesi la risoluzione opera di diritto ove il contraente non inadempiente dichiari di volersene avvalere, senza necessità di provare la gravità dell'inadempimento della controparte (Cass. 29017/2018); inoltre, "la stipulazione di una clausola risolutiva espressa non significa che il contratto possa essere risolto solo nei casi espressamente previsti dalle parti, rimanendo fermo il principio per cui ogni inadempimento di non scarsa rilevanza può giustificare la risoluzione del contratto, con l'unica differenza che, per i casi già previsti dalle parti nella clausola risolutiva espressa, la gravità dell'inadempimento non deve essere valutata dal giudice" (Cass. n. 4369/1997; Cass Civ., Ord. n. 29301/2019). -2. Sull'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Tutto ciò premesso, rimane comunque da verificare se l'eccezione sollevata dalla resistente ex art. 1460 c.c. sia idonea a paralizzare la domanda della ricorrente finalizzata a conseguire la dichiarazione dell'avvenuta risoluzione del contratto ex art. 1456 c.c. Infatti, come noto, la Giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che "anche quando "la parte interessata" abbia manifestato la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, il giudice deve valutare l'eccezione di inadempimento proposta dall'altra parte attesa la pregiudizialità logica della stessa rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che normalmente discendono in modo automatico, ai sensi dell'art. 1456 c.c., dall'accertamento di un inadempimento colpevole" (v. Cass. Sez. 2, n. 21115/2013, ripresa da Cass. Sez. III, n. 27692/2021) Ed ancora che: "L'eccezione di inadempimento, se fondata, impedisce l'operatività della clausola risolutiva espressa, in quanto detta clausola non può essere ricompresa tra quelle che sanciscono limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni" (Cass. Civ. n. 4122/1982); La resistente costituendosi, ha sostenuto la legittima sospensione del pagamento dei canoni avuto riguardo agli antecedenti e plurimi inadempimenti di controparte da rinvenirsi: nel mancato assolvimento agli obblighi di manutenzione straordinaria come assunti nella scrittura integrativa del 9.02.2016 (doc.4); nella mancata esecuzione delle opere specificamente indicate nella predetta scrittura; nella mancata corresponsione del voucher di Euro 15.000,00 di cui alla lettera di impegno del 9.02.2016 (doc. 5); nella mancata sanatoria degli abusi e delle irregolarità affliggenti la struttura (a dispetto di quanto pattuito nella scrittura transattiva del maggio 2019); nell'omessa consegna del DUVRI del lavoratore addetto alla cura del giardino e dell'orto A.I. (anch'essa pattuita nella scrittura transattiva). Fondata su tali presupposti in fatto la legittimità e buona fede della propria condotta di omesso pagamento, quest'ultima secondo la resistente, sarebbe anche "proporzionata" da un punto di vista economico a quella di inadempimento imputabile all'affittante, dal momento che la prima volta che (...) aveva sollevato eccezione di inadempimento (prima della stipula della transazione del maggio 2019) i rapporti di dare e avere tra le parti si erano quasi del tutto reciprocamente compensati (se non per una minima eccedenza di credito residuo in capo alla (...) di Euro 6.000,00); e che in questo secondo frangente di eccezione nuovamente sollevata ex art. 1460 c.c., la differenza tra quanto speso da (...) per l'amministrazione straordinaria (Euro 105.172,82) e quanto trattenuto per via dell'eccezione di inadempimento (Euro 81.843,35) reca un saldo a credito della prima di Euro 23.329,47. L'eccezione ex art. 1460 c.c. non merita di essere accolta e ciò per i seguenti motivi. In punto di diritto, la regola iuris di cui deve farsi applicazione laddove venga sollecitata la pronuncia risolutiva di un rapporto negoziale a prestazioni corrispettive, relativamente al quale vengono dedotti reciproci inadempimenti, impone la formulazione di un giudizio di comparazione in merito al complessivo comportamento delle parti onde accertare e stabilire, in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, tenuto conto sia dell'elemento cronologico sia degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla causa concreta del contratto, quale parte si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti con conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. Vanno inoltre ricordati i seguenti principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte: -"Il rifiuto di adempiere, come reazione al primo inadempimento, oltre a non contrastare con i principi generali della correttezza e della lealtà, deve risultare ragionevole e logico in senso oggettivo, trovando concreta giustificazione nella gravità della prestazione ineseguita, alla quale si correla la prestazione rifiutata. Ne consegue che il giudice, ove venga proposta dalla parte l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum", deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460 co 2 c.c." (v. Cass. Sez. III Sent., n. 15796/2009). "in tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l'exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all'art. 1460 cod. civ., si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva; in applicazione di tale principio, conseguentemente, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell'immobile locato pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore (Sez. 3, Sentenza n. 8425 del 11/04/2006, Rv. 589183-01)" (Cass. Sez. 6 - 3, Ord. n. 17020/2022) Inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede da intendersi anche quest'ultima in senso oggettivo (v. ex plurimis Cass. Sez. 3, n. 8760/2019) e ciò anche qualora si preferisca l'orientamento meno rigoroso, anch'esso accolto dalla Cassazione secondo cui: "In tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nel caso in cui dall'inesatto adempimento del locatore derivi una riduzione del godimento del bene locato, purché la sospensione, totale o parziale, del pagamento del canone risulti giustificata dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento al complessivo equilibrio sinallagmatico del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede" (Cass. Sez. 3, Sent. n. 16918/2019; Cass. Sez. 3, Sent. n. 20322/2019). Sullo sfondo i principi di cui alla Giurisprudenza citata, nel caso di specie, sulla base della documentazione in atti e dell'istruttoria orale svolta, può ritenersi accertato quanto segue. In primo luogo, nella valutazione del comportamento complessivo delle parti e quindi dei reciproci inadempimenti che le medesime si contestano, non può tenersi conto di quelle condotte inadempienti già considerate nella transazione conclusa nel maggio 2019, in cui era precisa volontà di entrambe, quella di "ricominciare da zero", mantenendo vivo il contratto di affitto di azienda in essere e compensando (quasi) integralmente i reciproci debiti e crediti in allora esistenti. Infatti, nella predetta scrittura, (...) e la Società (...) pattuivano espressamente che: la prima non avrebbe più pagato la somma di Euro 1.000,00 mensili a titolo di rimborso delle spese di giardinaggio, gestione dell'orto e custode pattuita nella scrittura integrativa del 9.02.2016; che i Sig.ri (...) e (...) non avrebbero più pagato il voucher pattuito nella lettera di impegno e che i debiti ed i crediti sorti tra le parti per effetto di tali impegni si intendevano integralmente compensati. Ed ancora, che i canoni di affitto non corrisposti dalla (...) venivano parzialmente compensati con le spese affrontate da quest'ultima per i lavori di straordinaria amministrazione eseguiti in luogo di (...) di cui alla scrittura integrativa del 9.02.2016, con una rimanenza di credito di Euro 6.000,00 in favore della affittante che (...) si impegnava a corrispondere fornendo servizi alberghieri e di ristorazione ai Sig.ri (...) e (...) nei successivi cinque anni. Pertanto, tutti gli asseriti inadempimenti dell'affittante relativi ai voucher ed alle opere di straordinaria amministrazione che hanno giustificato - allora - il mancato pagamento di canoni da parte dell'affittuaria sino al maggio 2019 (data della transazione), certamente non possono essere riconsiderati in questa sede per legittimare ex art. 1460 c.c. la sospensione del pagamento dei canoni, nuovamente intrapresa dalla resistente a partire dal gennaio 2020, avendo le parti, a mezzo della transazione di cui si è detto, compensato i rapporti di dare e avere, evidentemente rinunciando a coltivare le azioni ed eccezioni che si correlavano agli inadempimenti già configuratisi sino a quel momento in capo a ciascuna. Passando oltre, non rimane quindi che valutare gli ulteriori profili di inadempimento allegati da (...) a fondamento dell'eccezione ex art. 1460 c.c., legati all'omessa manutenzione straordinaria, alla mancata regolarizzazione degli abusi edilizi presenti nel bar della piscina e nella serra ed all'omessa trasmissione del DUVRI del lavoratore (...). Procedendo partitamente, quanto all'omessa manutenzione straordinaria dei quali costi l'affittuaria si sarebbe fatta indebitamente carico al posto dell'affittante, non può non rilevarsi che a partire dall'aprile 2019 e sino al momento in cui (...) ha sospeso del tutto il pagamento dei canoni (da gennaio a maggio 2020) tali spese ammontavano a meno di 10.000 Euro. Infatti, dalla documentazione offerta in prova dalla stessa resistente, ovvero l'elenco riassuntivo di cui al doc. 26 e le relative fatture (docc. da 27 a 168) si evince che: i) relativamente al periodo aprile-dicembre 2019 le spese affrontate da (...) ammontavano ad Euro 6.224,04 (non essendo certamente addebitabili all'inadempimento dell'affittante le spese di cui alle fatture dell'Avv. Volpe impropriamente conteggiate nell'elenco quali "spese straordinarie"); ii) relativamente al periodo gennaio - maggio 2020, le spese ammontavano a circa Euro 540,00, essendo state emesse la maggior parte delle fatture di cui all'elenco del 2020 (doc. 26) in un periodo successivo (tutte quelle di "G.I.I. S.R.L" e "T. S.R.L" tra settembre e dicembre 2020; così come quelle di A. C.D.D.F.S. e di S.P.M., emesse per la maggior parte tra luglio e agosto 2020). Sulla scorta di ciò, a parere di chi scrive, il mancato pagamento di cinque canoni consecutivamente (oltre a quello di settembre 2019 anch'esso non pagato), per un complessivo importo di Euro 61.000,02 non pare giustificabile - in termini di proporzionalità - con l'esborso a titolo di spese straordinarie di meno di Euro 7.000. Oltre a ciò non può non rilevarsi che è rimasto priva di prova il fatto che la (...), prima del maggio 2020, si sia in qualche modo attivata per sollecitare alla (...) gli interventi di straordinaria amministrazione di cui necessitava (fatto questo espressamente contestato dalla ricorrente) mentre è provato documentalmente che la stessa, ricevuta dalla (...) la comunicazione di inadempimento e messa in mora il 21.05.2020, senza darne alcun riscontro stragiudiziale, ha iscritto a ruolo presso questo Tribunale un ricorso per ATP del 17.06.2020 (risalente quindi a tre giorni prima del perfezionamento della risoluzione ex art. 1456 c.c.) dolendosi dello stato di scarsa manutenzione del compendio aziendale e dell'abusività del bar della piscina. Tale comportamento, non può senz'altro ritenersi improntato a buona fede. Venendo all'ulteriore profilo di inadempimento dell'affittante, valorizzato da (...) ex art. 1460 c.c., ovvero la mancata sanatoria delle parti abusive del complesso immobiliare costitutivo del ramo d'azienda affittato, così come accertata anche in sede di ATP, costituiscono fatti documentalmente provati oltre che non contestati dalla ricorrente: che nella scrittura transattiva del maggio 2019 la proprietà assumeva l'impegno di "regolarizzare o fornire documentale conferma di regolarizzazione entro il 30.09.2019, delle parti eventualmente abusive dell'immobile oggetto di contratto di affitto di ramo d'azienda (in particolare il bar della piscina e la serra" e che ad oggi, - per quel che consta - tale sanatoria non è stata ancora rilasciata. Sul punto la ricorrente si è difesa sostenendo di essersi prontamente attivata sin dal 2016 richiedendo all'amministrazione comunale un permesso di costruire volto a sanare il bar a servizio della piscina e di aver inoltrato nuovamente una analoga richiesta, sia per il bar della piscina sia per la serra, nel 2021, di talché alla medesima non può essere imputato il mancato rilascio da parte dell'Amministrazione dei titoli autorizzativi richiesti. Ebbene, posto che dell'invio di tali richieste di permessi in sanatoria è lo stesso CTU ad averne dato atto nella propria relazione depositata in senso al procedimento di ATP, a parere del Tribunale, in ogni caso, la persistenza di tali irregolarità edilizie non era nel gennaio 2020 e non è nemmeno oggi sufficiente a giustificare la sospensione e mancata corresponsione dei canoni di affitto decisa dall'affittuaria (che come meglio si dirà è proseguita anche dopo il maggio 2020 ascendendo la morosità al complessivo importo di Euro 153.141,80) e ciò anche tenuto debitamente in conto che il contratto di affitto di azienda - diversamente da quello di locazione - è caratterizzato, sotto il profilo oggettivo, dalla concessione in godimento all'affittuario non di un singolo bene produttivo, ma di un complesso di beni mobili e immobili legati fra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà finalizzato al conseguimento di un determinato fine produttivo, a ciò conseguendo che diventa dirimente verificare se gli inadempimenti che l'affittuaria ascrive alla (...) abbiano fattivamente precluso o in qualche modo vulnerato l'esercizio dell'attività di impresa alberghiera e di ristorazione di cui al ramo d'azienda ceduto. Infatti, pur a voler ammettere che la mancata sanatoria dei locali serra e bar della piscina, configuri una forma di inadempimento addebitabile alla società (...), è di assorbente rilevanza nella disamina "comparativa" che si sta compiendo, la circostanza che le irregolarità in questione, contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, non le hanno mai impedito di disporre e godere a pieno anche di tali strutture per l'esercizio della propria attività alberghiera e di ristorazione. Infatti, come si evince dalle fotografie e dalle recensioni rilasciate da alcuni clienti del (...) nel giugno 2020 e nell'agosto 2021, a quel tempo, sia la piscina sia il bar adiacente alla stessa erano regolarmente utilizzate dalla clientela (docc. 27 e 28 ric.). Tali emergenze documentali sono state poi ulteriormente confermate nel presente giudizio dalla deposizione del testimone (...), che ha dichiarato che " l'estate del 2021, quando si è aperta la piscina il Bar ha lavorato per tutto il periodo sino a quando è arrivato il freddo, circa ottobre". Quanto alla serra, nella CTU espletata in sede di ATP si dà atto che la stessa non è ancora piantumata e sul punto la resistente, salvo dolersi della sua abusività, nulla ha allegato né provato in merito alle conseguenze negative che tale condizione ha procurato all'affittante in termini di godimento ed utilizzo della struttura ai fini dell'esercizio dell'attività aziendale. In ogni caso, anche ipotizzando che tale componente del compendio non sia stata fattivamente utilizzabile, mancherebbe nuovamente la "oggettiva proporzione tra gli inadempimenti" richiesta dalla giurisprudenza citata: infatti, (...), pur continuando ad usufruire dei 4/5 dei locali costitutivi del complesso aziendale oggetto di affitto (bar con piscina; ristorante; albergo; abitazione del giardiniere) da gennaio 2020 a giugno 2020 ha sospeso del tutto il pagamento dei canoni; nel 2021 ha nuovamente omesso il pagamento di cinque mensilità consecutive da febbraio a giugno e nel 2022 ha omesso di pagare altre tre mensilità, da ottobre a dicembre. Stesse considerazioni valgono per ciò che riguarda la mancata trasmissione da parte della affittante del DUVRI del lavoratore (...), che, regolarmente assunto dalla (...) (come dimostrano la comunicazione obbligatoria di assunzione del 1.06.2019, le buste paga e le quietanze di pagamento emesse dall'INPS di cui ai docc. 29 e 30) ha sempre continuato a lavorare presso il (...), con le mansioni di giardiniere (come da lui stesso affermato in sede di sua escussione testimoniale) e senza che - per quel che consta - l'affittante sia mai stata chiamata a rispondere quale debitrice solidale del mancato pagamento di retribuzioni e/o contributi previdenziali e assicurativi. Per tutte le ragioni esposte l'eccezione ex art. 1460 c.c. va respinta ed il contratto di affitto di azienda stipulato in data 9.02.2016 deve ritenersi validamente risolto alla data del 20.06.2020 ex art. 1456 co. II c.c., stante l'operatività della clausola risolutiva espressa di cui all'art. 4 lett. l del contratto e l'accertato mancato pagamento da parte dell'affittuaria di più di due rate consecutive del canone di affitto (da gennaio a maggio 2020). -3. Sulla domanda di pagamento dei canoni di affitto e delle indennità di legittima occupazione. La ricorrente ha chiesto, altresì, il risarcimento delle seguenti voci di danno: (a) canoni di affitto di azienda scaduti e non pagati sino al 20.06.2020; (b) indennità di illegittima occupazione - da quantificarsi in importo pari a quello dell'affitto - per tutte le mensilità maturate dal 21.06.2020 in poi. La domanda può essere accolta seppure per la minor somma così accertata. Parte resistente, infatti, contestando il quantum preteso da controparte, oltre ad aver prodotto documentazione bancaria tesa a dimostrare l'avvenuto pagamento dei canoni (a dire della stessa 24 su 35 maturati sino al febbraio 2022) ha anche eccepito la circostanza secondo la quale la (...) avrebbe anche incassato una parte delle somme dovutegli tramite un pignoramento presso terzi eseguito in odio alla (...) presso alcuni istituti bancari. Inoltre, in corso di causa, (...) ha continuato a versare alla ricorrente i canoni medio tempore progressivamente maturati, che invece la (...), ritenuto già risolto il contratto, ha imputato a pagamento delle relative indennità di illegittima occupazione. Ebbene, dalla disamina della documentazione prodotta dalle parti è emerso quanto segue. Quanto alla morosità maturata da (...) a far data dalla transazione del maggio 2019 sino alla data di risoluzione del contratto (20.06.2020), essa ha riguardato le seguenti mensilità: settembre 2019; da gennaio a maggio 2020, così per complessivi Euro 61.000,02 (pari a 6 mensilità) oltre alla somma di Euro 4.066,62 relativa al periodo dal 9.06 al 20.06.2020. Quanto alla domanda di condanna al pagamento dell'importo di Euro 10.166,67 mensili dall'intervenuta risoluzione sino alla presente decisione - da inquadrarsi quale domanda di pagamento delle indennità di occupazione, equitativamente determinate in una misura pari al canone convenuto nel contratto di affitto di azienda, in base ad una liquidazione del quantum debeatur, già svolta, a monte, d'accordo tra le parti, la stessa può essere accolta: per il periodo dal 21.06. all'8.07.2020 per Euro 6.099,99 e per le seguenti mensilità: da febbraio a giugno 2021; da ottobre a dicembre 2022 (la mensilità 9.09-8.10 risulta pagata dall'estratto conto di cui al doc. A prodotto dalla resistente in cui si rinviene un bonifico effettuato in favore della (...) il 27.10.2022); aprile 2023 (ultima indennità maturata e non ancora pagata al momento della presente decisione) così per complessivi Euro 91.500,03 (ovvero 9 mensilità). Ciò posto, in parziale accoglimento dell'eccezione sollevata dalla resistente, dalla documentazione bancaria prodotta ai docc. 24 e 25 è emerso che la (...) ha effettivamente ricevuto dall'affittuaria, in forza di un pignoramento presso terzi identificato "(...)" eseguito presso U.B. e S., le seguenti somme: 2.189,79 (dalla prima) e 7.335,13 (dalla seconda) così per totali Euro 9.524,92 che andranno quindi scorporati dal credito di cui sopra, addivenendosi così alla somma definitiva di Euro 153.141,8. Tutto quanto premesso in merito al quantum dovuto dalla resistente a titolo di canoni ed indennità di legittima occupazione, deve ora procedersi all'esame della domanda promossa da quest'ultima in via subordinata, di compensazione del credito eventualmente accertato in favore della (...) con quanto da quest'ultima dovuto alla resistente a titolo di refusione delle spese affrontate per la manutenzione straordinaria del complesso aziendale - di spettanza dell'affittante -. La domanda può essere parzialmente accolta. È un fatto pacifico che nella scrittura integrativa del contratto di affitto di azienda del 9.02.2016, l'allora affittante (...) si fosse obbligata - come di consuetudine - a farsi carico di tutti gli interventi di straordinaria amministrazione dei beni mobili ed immobili componenti il ramo d'azienda affittato (v. clausola n. 3). Ebbene, costituendosi in giudizio (...) ha allegato di aver sostenuto a far data da aprile 2019, spese per manutenzione straordinaria, in luogo della (...), per complessivi Euro 105.172,82. A riprova di ciò la medesima ha prodotto un elenco riassuntivo di tutte le fatture pagate divise per annualità (doc. 26) con annesse le 142 fatture relative agli anni da 2019 a 2022 (docc. da 27 a 168). Ebbene, nella memoria difensiva depositata dalla ricorrente, salvo un fugace e accenno a pag. 14 in cui viene genericamente contestata la riferibilità delle spese di cui sopra alla manutenzione straordinaria, nulla è stato ulteriormente eccepito e specificamente contestato ex art. 115 c.p.c., ciò bastando, in uno con la documentazione prodotta, a ritenere fondata la domanda di accertamento di tale voce di danno in favore della resistente, ai fini della compensazione con quello vantato dalla ricorrente, seppure con le seguenti limitazioni in ordine al quantum. Nell'elenco di cui al doc. 26 infatti, sono incluse alcune fatture che all'evidenza, non possono essere ascritte alla straordinaria amministrazione il cui inadempimento (...) addebita a controparte: i) quanto al 2019 ci si riferisce alle tre fatture emesse dall'Avv. Eric Volpe per complessivi Euro 2.967,8; ii) parimenti, quanto al 2021 non possono essere riconosciute quali spese straordinarie le altre tre fatture emesse dall'Avv. Volpe per complessivi Euro 11.539,92; iii) quanto al 2022, non rappresenta una spesa di straordinaria manutenzione, quella di cui alla fattura emessa dal CTU nominato in sede di ATP Dott. Castellani di Euro 5.184,34. Detratti quindi i suddetti importi, può essere accertato un credito risarcitorio in capo a (...) pari alla minor somma di Euro 84.550,73 (Euro 6.224,04 - anno 2019 - + Euro 12.120,51 - anno 2020 - + Euro 64.796,12 - anno 2021 - + Euro 1.410,06 - anno 2022-). Non possono invece essere aggiunte alle spese di cui sopra, quelle di cui la resistente ha dato atto nelle proprie note conclusive depositate in data 7.04.2023, per un importo complessivo di ulteriori Euro 20.699,31; l'allegazione sul punto è eccessivamente generica limitandosi la stessa ad un mero rinvio al doc. 181 prodotto con le note, contenente più 84 fatture di cui non viene nemmeno indicata la causale. A ciò si aggiunga che per la maggior parte, trattasi di fatture relative all'anno 2022, con il che la produzione deve ritenersi anche non tempestiva. Operata quindi la compensazione tra i due crediti risarcitori accertati in capo alle parti (153.141,80 la ricorrente e 84.550,73 la resistente) (...) rimane comunque tenuta al pagamento della differenza in favore di (...) di Euro 68.591,07. -4. Sulla domanda di risarcimento del danno promossa da (...). La resistente, in ultimo ha chiesto il risarcimento di un danno equitativamente liquidato nella somma di Euro 100.000,00, che le sarebbe derivato dalle condotte sleali e ostruzionistiche perpetrate della resistente da rinvenirsi: i) nell aver pregiudicato l'immagine di (...) omettendo di rimediare ai vizi di manutenzione della struttura; ii) nell'aver tentato di bloccare i lavori di manutenzione straordinaria della piscina intrapresi dalla resistente "interessando le forze dell'ordine ed intimorendo i lavoratori"; iii) nell'aver tentato di sottrarre dalla sala del ristorante numerosi quadri; iv) nell'aver aperto strutture recettive senza autorizzazione amministrativa sottraendo clientela alla (...); v) nell'aver coltivato due giudizi cautelari in cui è risultata soccombente costringendo tuttavia (...) a difendersi; vi) nell'aver omesso di fatturare le somme ricevute in pagamento a titolo di "canoni di locazione" così impedendo alla resistente di recuperarne quantomeno una parte, in forza della normativa emergenziale C.; vii) nell'aver tentato una esecuzione presso terzi senza poi effettuare alle Banche le comunicazioni di rito affinché fossero liberati i conti della esponente. La domanda non merita di essere accolta. In primo luogo, ai fini del suo rigetto assume centrale rilevanza la circostanza per cui, come accertato nel presente giudizio, il contratto di affitto di ramo d'azienda stipulato tra le parti si è legittimamente risolto in data 20.06.2020 ciò comportando che da tale momento, l'occupazione del complesso aziendale da parte di (...) e la sua mancata restituzione sia stata illegittima. Ebbene, tutte le condotte contestate alla (...) da cui sarebbero derivati alla resistente i danni di cui essa chiede il risarcimento, sono risalenti ad un momento successivo al giugno 2020, quando tra le parti vi era già un'accesa e reciproca conflittualità, riconducibile proprio alla mancata restituzione del complesso aziendale. A ciò si aggiunga che la domanda è stata proposta in termini eccessivamente generici sia quanto al titolo ("contrattuale e/o extracontrattuale") sia quanto all'individuazione delle conseguenze pregiudizievoli concretamente patite dalla resistente. Infatti, per quanto riguarda "i danni subiti" di cui (...) ha dato atto nel 4.4. della propria memoria difensiva si osserva che: - le spese legali sopportate dalla stessa nel giudizio di ATP promosso nel 2021 e nei due giudizi cautelari instaurati da controparte - in cui peraltro la ricorrente è stata ritenuta soccombente con conseguente condanna al pagamento delle spese di lite - non possono configurare un'ipotesi di danno emergente risarcibile in questo giudizio; - l'asserito danno all'immagine discendente dall'omessa straordinaria manutenzione non può ritenersi provato sulla sola base di due recensioni rilasciate da clienti su una piattaforma online (doc. 13) prive di data e di cui una, peraltro, riferisce, oltre alla presenza di danni alle pareti da umidità, anche "esterni ben curati"; - per quanto riguarda l'asserito mancato sblocco dei conti attinti da pignoramento, non è stato nemmeno allegato il danno economico che da tale situazione sarebbe derivato (nulla è stato riferito infatti in merito alle giacenze di cui la correntista non ha potuto disporre); - per quanto riguarda infine gli ulteriori profili di danno genericamente riconducibili allo sviamento ed alla perdita di clientela, anche qui le allegazioni si sono attestate su un livello totalmente generico, senza alcun riferimento specifico ad un'eventuale perdita di fatturato o di concrete possibilità commerciali direttamente riconducibili alla condotta avversaria. La domanda, pertanto, non può essere accolta. - 5. Le spese di lite. Le spese di lite seguono la soccombenza della resistente e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, considerato il valore di causa ed i parametri minimi per le fasi concretamente espletate (di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale), così per complessivi Euro 7.052,00 per compensi, oltre agli esborsi per contributo e marca, oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese generali, oltre IVA e CPA come per Legge. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: Dichiara risolto il contratto di affitto di ramo di azienda stipulato tra le parti, a far data dal 20.06.2020; Condanna (...) S.A.S. DI (...) all'immediato rilascio in favore della ricorrente del ramo d'azienda oggetto del predetto contratto; Accerta un credito in capo a SOCIETÀ AGRICOLA (...) S.A.S. DI (...), per le causali di cui in motivazione, di complessivi Euro 153.141,80; Accerta un credito in capo a (...) S.A.S. DI (...) per le causali di cui in motivazione di Euro 84.550,73; Operata la compensazione tra i crediti reciprocamente vantati dalle parti; Condanna (...) S.A.S. DI (...) al pagamento in favore di SOCIETÀ AGRICOLA (...) S.A.S. DI (...) della differenza, pari ad Euro 68.591,07 oltre interessi ex art. 1284 co. IV dal 28.02.2022 sino al saldo; Rigetta la domanda di risarcimento del danno di Euro 100.000,00 promossa in via riconvenzionale da (...) S.A.S. DI (...); Condanna (...) S.A.S. DI (...) a rimborsare alla parte ricorrente le spese di lite, che si liquidano in Euro 7.052,00 per onorari, oltre agli esborsi per contributo e marca, oltre al 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a. come per Legge, con pagamento in favore del procuratore Avv. Cr.Ma., dichiaratosi antistatario ex art. 93 c.p.c.; Visto l'art. 429 c.p.c. fissa il termine di giorni 15 per il deposito della motivazione. Così deciso in Alessandria il 31 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona della Giudice dott.ssa Martina Cacioppo ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di primo grado iscritta al n.r.g. 2232/2018 promossa da: (...) S.r.l., (P.IVA:(...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Gr., in forza di procura posta a margine del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. introduttivo del presente giudizio; - Attrice - Contro (...) S.p.a (C.F. e P.IVA: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Ma.Di. in forza di procura prodotta con la comparsa di costituzione; in corso di causa fusa mediante incorporazione in (...) S.p.a (C.F: (...)) - atto a rogito Notaio (...) (...) rep. (...) - racc. (...) -; - Convenuta - E Contro (...) S.p.A. (C.F. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Pa.Sa. per procura generale rilasciata il 29 marzo 2017 dinanzi al Dott. (...) - Notaio in R. - n. Rep. (...) registrata il (...); - Terza Chiamata - E Contro (...) (C.F: (...)); - Terzo chiamato contumace - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Allegazioni delle parti e svolgimento del processo Con l'atto introduttivo del presente giudizio, (...) S.r.l., ha domandato alla convenuta (...) (da qui in poi "(...)") il risarcimento del danno patito in ragione del mancato rimborso dell'assegno circolare n. (...), emesso dalla medesima in favore di (...), mai consegnato a quest'ultimo ma presentato all'incasso in copia contraffatta, presso una filiale di (...) in N. ed ivi negoziato; L'attrice a sostegno della propria azione ha dedotto: - che in data 30.03.2018 E., società operativa nel commercio di auto nuove e usate, aveva richiesto alla propria Banca (...), filiale di (...), l'emissione di un assegno circolare di Euro 24.000,00, intestato a tal (...), con l'intenzione di utilizzarlo per pagare il prezzo di compravendita di un'auto di proprietà di quest'ultimo; - che tuttavia il suddetto titolo, non era stato né negoziato né portato all'incasso, non essendo andata in porto la trattativa instaurata con il venditore (...), con la conseguenza che il titolo originale era sempre rimasto nella disponibilità di (...) che ne aveva domandato il riaccredito; - che in tale ultima circostanza (...) aveva rifiutato il riaccredito dell'assegno, rendendo noto alla propria cliente che esso era stato già pagato da (...) in favore di un omonimo del beneficiario; - che trattandosi di pagamento di un assegno circolare non trasferibile falso, la responsabilità del danno patito dall'esponente va ascritta alla Banca emittente; Con comparsa del 5.10.2018 si costituiva tempestivamente in giudizio (...) eccependo e deducendo: - che il danno lamentato dalla ricorrente, va ricondotto in via esclusiva o quantomeno prevalente alla sua condotta gravemente imprudente e negligente, consistita nel fatto di aver incautamente inviato, tramite messaggio WhatsApp, una foto dell'assegno circolare n. (...), così rendendone possibile la clonazione; - che quandanche si ritenesse non sussistente la responsabilità della danneggiata, sussiste una responsabilità esclusiva o concorrente della banca negoziatrice (...), che avrebbe dovuto accorgersi della non genuinità dell'assegno presentatole all'incasso, emergente ictu oculi sotto vari profili; - che di converso alcun rimprovero può esser mosso alla banca emittente, impossibilitata ad operare ulteriori controlli, trattandosi di assegno negoziato in modalità "check truncation", senza trasmissione del titolo o di una sua copia per immagine; Citata dalla convenuta (...) su autorizzazione del G.I., si è costituita tempestivamente in giudizio la terza chiamata (...), deducendo: - che l'assegno circolare n. (...) è stato presentato all'incasso in data 3.04.2018 presso l'ufficio postale di Napoli 79, ed ivi versato sul conto corrente postale n. (...) acceso in data 20.03.2018 ed intestato a (...); - che in alcun modo la (...) avrebbe potuto accorgersi della contraffazione del titolo negoziato, trattandosi di un esemplare di assegno "clonato" con indicazione del medesimo beneficiario; - che il funzionario non avrebbe potuto operare alcun confronto visivo tra il titolo originale ed il titolo contraffatto, avendo a disposizione solo quest'ultimo e avendo egli posto in essere tutte le cautele atte ad accertare sia la regolarità del titolo sia la corretta identificazione del beneficiario; - che quindi la responsabilità per l'occorso va ascritta esclusivamente ad (...) S.r.l. ex art. 1227 co. II c.p.c. per aver reso possibile la clonazione dell'assegno, inviando incautamente, tramite messaggio WhatsApp, una foto dell'assegno circolare n. (...); - che in ogni caso la domanda di manleva proposta da (...) è infondata essendo solo di quest'ultima, quale banca emittente, la responsabilità per l'omessa verifica dell'autenticità dell'assegno; - che comunque (...), effettivo prenditore dell'assegno falso, deve essere chiamato a rispondere di quanto (...) dovesse essere eventualmente condannata a pagare nel presente giudizio; Espletati gli incombenti preliminari dell'udienza di prima comparizione; con successiva ordinanza riservata del 22.10.2018, il GI, ha convertito il rito da sommario ad ordinario ex art. 702 ter co. III c.p.c. ed ha autorizzato la chiamata in causa di (...). Mutato il giudicante medio tempore, con ordinanza dell'8.03.2019 è stata autorizzata la chiamata in causa di (...). All'udienza del 19.12.2019, è stata dichiarata la contumacia del terzo chiamato (...) e sono stati concessi i termini di 183 co. VI c.p.c. Dopo una serie di mutamenti di Giudice, con decreto del settembre 2021 la causa è stata assegnata alla scrivente innanzi alla quale la stessa è stata istruita tramite l'espletamento di una CTU sugli assegni - originale e contraffatto - oggetto di causa. All'esito, esperito inutilmente un tentativo di conciliazione della causa, la stessa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 23.11.2022 le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata quindi trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. 2. Sull'estensione della domanda risarcitoria promossa da (...) Srl anche nei confronti della terza chiamata (...). A seguito della chiamata e costituzione in giudizio di (...), l'attrice (...) Srl, in prima memoria 183 c.p.c., ha domandato in via subordinata l'accertamento della responsabilità solidale e/o pro quota e quindi la condanna al risarcimento del danno, sia della banca emittente originaria convenuta - (...) - sia della banca negoziatrice terza chiamata da quest'ultima - (...) -. Come noto, per giurisprudenza pacifica: "In tema di responsabilità civile, nell'ipotesi in cui la parte convenuta chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell'evento dannoso, la richiesta risarcitoria deve intendersi estesa al medesimo terzo anche in mancanza di un'espressa dichiarazione in tal senso dell'attore, poiché la diversità e pluralità delle condotte produttive dell'evento dannoso non dà luogo a distinte obbligazioni risarcitorie, non mutando l'oggetto del giudizio; un'esplicita domanda dell'attore è, invece, necessaria quando la chiamata del terzo si fondi sulla deduzione di un rapporto sostanziale differente da quello invocato dall'attore nei confronti del convenuto." (Cfr. in massima Cass. Civ. Ord. n. 31066 del 2019). Ed ancora: "Qualora il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni chiami in causa un terzo con il quale non sussiste alcun rapporto contrattuale, indicandolo come il vero legittimato passivo, non si versa in un'ipotesi di chiamata in garanzia impropria (o manleva), la quale presuppone la non contestazione della suddetta legittimazione, ma di chiamata del terzo responsabile, con conseguente estensione automatica della domanda al terzo che il giudice può e deve esaminare senza necessità che l'attore ne faccia esplicita richiesta (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 20610 del 07/10/2011; id. Sez. 1 - , Sentenza n. 24294 de/ 29/11/2016; id. Sez. 1 - , Ordinanza n. 5580 del 08/03/2018)" (cfr. Cass. Civ. Ord. n. 30601 del 2018) Nel caso di specie, la chiamata operata da (...) nei confronti di (...), va senz'altro qualificata come chiamata del terzo responsabile e non come chiamata in garanzia, in quanto la convenuta (e ciò si ricava agevolmente dalle difese svolte), non invoca nei confronti della terza chiamata alcun rapporto contrattuale di garanzia, limitandosi ad indicarla - e chiamarla in giudizio - come soggetto tenuto a rispondere della pretesa risarcitoria di (...) Srl, avendo essa la responsabilità - esclusiva o concorrente con la danneggiata - dell'incasso del titolo contraffatto. La domanda di (...) Srl deve quindi ritenersi automaticamente e legittimamente estesa anche nei confronti della terza chiamata (...), che peraltro su tale specifico punto, nulla ha eccepito. 3. Sul merito della domanda risarcitoria promossa da (...) Srl. I fatti oggetto della pretesa risarcitoria promossa dalla convenuta opposta, si sono già, in parte, enunciati nel 1. In sintesi, (...) Srl, impresa operativa nel commercio di autoveicoli, si accordava con tale (...) per la compravendita di un'auto usata, conseguentemente la Società si assicurava quindi da parte della propria Banca (...) la predisposizione di assegno circolare di Euro 24.000,00, emesso in data 30.03.2018, in favore del presunto venditore (...). In data 10.04.2018 (si v. doc. 5 conv), non essendo la vendita andata a buon fine, (...), legale rappresentante di (...) Srl, faceva richiesta alla propria banca di riaccredito delle somme con annullamento dell'assegno circolare ed in quel frangente scopriva che esso - rectius una sua copia contraffatta - era stato già negoziato in data 3.04.2018 presso una filiale di (...) sita in N.. Ciò posto quanto ai fatti occorsi, l'attrice ha mosso una contestazione di negligenza nei confronti di entrambe le banche: (...) quale Banca emittente e (...) quale Banca negoziatrice. In via preliminare, occorre anche se brevemente inquadrare la questione nell'ottica dei più recenti arresti giurisprudenziali di legittimità e di merito per poi andare ad esaminare la condotta delle singole banche, tenendo conto della specifica modalità di incasso del titolo per cui è causa. In punto di diritto non si può che prendere le mosse dalle S.U., 21 maggio 2018, n. 12477, che hanno provveduto - in ordine alla responsabilità della banca emittente o trattaria e della banca negoziatrice ex art. 43 l.ass. - a fissare i seguenti principi di diritto: "a) la norma predetta si applica anche all'assegno circolare, all'assegno bancario libero della (...) ed all'assegno di traenza (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità; b) l'espressione "colui che paga" adoperata dall'art. 43, comma 2, 1. ass., si riferisce non solo alla banca trattaria (o all'emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l'unica concretamente in grado di operare controlli sull'autenticità dell'assegno e sull'identità del soggetto che, girandolo per l'incasso, lo immette nel circuito di pagamento; c) ha natura contrattuale la responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata; d) ai sensi dell'art. 43, 2 comma, legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato - per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo - dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176, II comma c.c. (si veda Cass. n. 25581 del 2018, in applicazione dei principi fissati dalle Sezioni Unite). Attesi questi principi di base, la Cassazione ha ripreso e ribadito anche l'assunto per cui la responsabilità della negoziatrice va qualificata nei termini di una responsabilità contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c. e dal quale derivano i doveri di correttezza e buona fede previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., con tutto ciò che detta qualificazione giuridica comporta in termini di oneri allegatori e probatori a carico delle parti ovvero in termini di prescrizione (cfr. Cass. n. 32408 del 2019, che in motivazione, nel richiamare Cass. SU n. 14712 del 2007, ravvisava il fondamento di detta responsabilità "... nella c.d. teoria del contatto sociale qualificato, ravvisabile ogni qualvolta l'ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l'affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto. ..."). Sul punto è ancora da aggiungere che, sulla scia di questi precedenti la Cassazione ha richiamato espressamente l'ulteriore principio (peraltro già tradizionale nella giurisprudenza della Corte; cfr., ad esempio, Cass. 22 maggio 2019, n. 13828), secondo cui "l'operatore professionale è tenuto a rispondere, ex art. art. 1176 comma 2 cod. civ., del danno provocato anche in ipotesi di colpa lieve." (Si veda Cass n. 34107 del 2019 e da ultimo Cass. n. 9842 del 2021). In conclusione, alla luce dei principi citati, una volta contestato l'inesatto adempimento dell'obbligazione di pagamento, ai sensi dell'art. 1218 c.c., spettava ad entrambe le banche, emittente e negoziatrice, provare di aver correttamente operato, ovvero, non essendo sufficiente una generica prova di diligenza, dimostrare di aver adempiuto - secondo il canone di diligenza del banchiere professionale, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. - agli obblighi, su entrambe incombenti, di controllo dell'originalità dell'assegno negoziato. 3.1. Sulla responsabilità di (...). La convenuta, nelle proprie difese ha insistito nel ritenere la natura di falso grossolano dell'assegno circolare presentato all'incasso e negoziato presso (...) e la propria impossibilità di operare alcun controllo sullo stesso, trattandosi di titolo negoziato attraverso la procedura c.d. di check truncation Prima di entrare nel merito del falso, diviene opportuno chiarire che cosa sia la procedura di check truncation e che rilevanza ha nella vicenda di causa. La procedura check truncation consente alla banca negoziatrice del titolo di presentarlo per il pagamento (compensazione) all'istituto trattario/emittente senza inviarne la materialità in stanza, ma trasmettendone solamente i relativi i dati, con mezzi informatici (attraverso (...)). Secondo detta procedura, si consente alla banca negoziatrice di presentare all'incasso assegni bancari (fino ad Euro 5.000,00) ed assegni circolari (senza limiti di importo) mediante la mera trasmissione alla banca trattaria o alla banca emittente di un flusso elettronico di dati, senza l'invio del documento cartaceo. Tale procedura è disciplinata dal Reg. (...) 22.3.2016, emanato in attuazione dell'art. 8 co. 7 del D.L. n. 70 del 2011, conv. dalla L. n. 105 del 2011. L'art. 7 del menzionato Regolamento rubricato "Presentazione al pagamento in forma elettronica dell'assegno" prevede che: "l. La presentazione al pagamento in forma elettronica dell'assegno da parte del negoziatore avviene con la trasmissione in via telematica al trattario o all' emittente: a) dell'immagine dell'assegno unitamente ai dati di cui all'art. 8 del Regolamento per gli assegni bancari e postali di ammontare superiore a quello indicato nell'Allegato tecnico (capitolo 5.1 ); b) dei soli dati di cui all'art. 8 del Regolamento per gli assegni bancari e postali di ammontare pari o inferiore a quello indicato nell'Allegato tecnico, nonché per gli assegni circolari, i vaglia postali e i titoli speciali della (...), di qualsiasi ammontare. 2. Nei casi di cui alla lettera b) di cui al comma precedente il negoziatore trasmette l'immagine dell'assegno a fronte di specifica richiesta da parte del trattario o dell' emittente. 3. Gli intermediari, d'accordo tra loro, possono prevedere casi in cui, per problematiche connesse con la materialità del titolo, l'immagine viene trasmessa, unitamente ai dati di cui al citato art. 8, anche per i titoli di cui al comma l, lettera b) del presente articolo.". Ciò posto, come ritenuto dal condivisibile orientamento formatosi in sede di (...) e (...); essendo la procedura di check truncation funzionale alla riduzione dei costi di negoziazione nell'esclusivo interesse delle banche partecipanti all'accordo, al quale resta completamente estraneo il cliente che chiede l'emissione dell'assegno, non può ritenersi che i rischi derivanti dall'utilizzo di tale procedura debbano ricadere sul cliente medesimo. Anche la giurisprudenza di merito sul punto è copiosa e pacifica: " la scelta di avvalersi del sistema di check truncation non può ricadere sul privato - correntista ed i possibili profili di responsabilità della banca devono rimanere sostanzialmente invariati a prescindere dalla procedura che venga utilizzata per la verifica e l'incasso degli assegni" (v. Trib. Reggio Emilia, Sentenza n. 1190/2019 pubbl. il 03/09/2019; ma si vedano anche: Tribunale Ferrara, 27/08/2020, (ud. 20/08/2020, dep. 27/08/2020), n.455; Tribunale Ivrea sez. I, 20/04/2021, (ud. 19/04/2021, dep. 20/04/2021), n.412; Tribunale Torino sez. I, 02/05/2022, (ud. 30/04/2022, dep. 02/05/2022), n.1897). Deve ritenersi pertanto che, scegliendo un sistema di pagamento che consente oggettivi risparmi economici e di tempo, evitando lo scambio materiale del titolo, le banche si assumano anche il rischio (e la conseguente responsabilità) delle falle a cui questo sistema espone i clienti in termini di sicurezza, soprattutto laddove, oltre a non verificare materialmente il titolo, esse presentino al pagamento un assegno (la negoziatrice) ed accettino di pagarlo (l'emittente), senza neanche trasmetterne l'immagine, azione questa che consentirebbe alla Banca emittente di operare un confronto - quantomeno per immagini - con la matrice dell'assegno originale. Su tale ultimo aspetto infatti preme rilevare che quando l'assegno è stato negoziato il 3.04.2018, sebbene non fosse ancora obbligatoria (lo diverrà a partire dal 9 luglio 2018), era già operativa e quindi adottabile la nuova procedura denominata "Check Image Truncation" (CIT) che prevede la trasmissione tra le Banche nel flusso informatico standardizzato anche dell'immagine dell'assegno. Al riguardo, si osserva anche che l'art. 2, comma 2, del Decreto ME. del 3.10.2014 n. 205 stabilisce che "si ha presentazione in forma elettronica quando il trattario in caso di assegno bancario o l'emittente in caso di assegno circolare ricevono dal negoziatore l'immagine dell'assegno unitamente alle informazioni previste dal regolamento della (...)". Lo stesso decreto ME. definisce, poi, "immagine dell'assegno: la copia per immagine dell'assegno, su supporto informatico, di cui all'art. 1, comma 1, lettera i-ter del CA. conforme all'originale cartaceo ai sensi di quanto previsto dall'art. 66 della legge assegni". Orbene, laddove nel caso di specie fosse stata richiesta e trasmessa, mediante procedura di check truncation, la scansione dell'immagine dell'assegno negoziato, l'istituto di credito emittente si sarebbe immediatamente avveduto delle palesi difformità di quest'ultimo ad un proprio qualsiasi originale, difformità perfettamente riconoscibili da un impiegato anche attraverso un mero controllo visivo; e sul punto basti richiamare gli elementi di difformità e anomalia meramente "visivi" rilevati dalla CTU esperita in corso di causa "- il colore dell'assegno falso è decisamente sbiadito, mentre l'assegno autentico ha colori più vivi; - l'assegno falso è leggermente più piccolo e tagliato "storto" rispetto all'assegno autentico; - diversa è la forma del marchio in basso al centro, posto sulla striscia con la dicitura "Decine di migliaia", con la scritta "Vale fino a 50000 Euro": quadrangolare sull'assegno falso, rettangolare su quello autentico; - assente, in alto a destra, sulla scritta "ibile" di "trasferibile", un quadrato di colore rosa sull'assegno falso, presente invece su quello autentico; - assenti, nello spazio dedicato all'importo in cifre, il puntino delle migliaia e la virgola dei decimali sull'assegno falso; presenti invece su quello autentico; - assente in alto a sinistra il logo della banca in rilievo sull'assegno falso; presente su quello autentico; - diverse sono le scritte prestampate, anzi, sull'assegno falso sono ripetute due volte in stampatello le parole "(...) (...)", mentre sull'assegno autentico è presente la dicitura "(...) Società per Azioni"; - manca sul verso il riquadro bianco dedicato alle firme di girata sull'assegno falso; presente sull'assegno autentico.". Quanto alle conseguenze sul piano giuridico di tale omissione, per ciò che riguarda la Banca emittente, in giurisprudenza è stato invero evidenziato che il rapporto che si instaura tra la banca che emette l'assegno circolare ed il suo richiedente (nella fattispecie in esame l'attrice) ha la natura di un mandato, la cui corretta esecuzione non si esaurisce certo nell'emissione dei titoli, ma abbraccia - evidentemente - anche la fase del relativo pagamento - che infatti viene autorizzato dalla Banca emittente. Pertanto, l'autorizzazione al pagamento dell'assegno bancario da parte della banca emittente si configura come esecuzione di un incarico ricevuto dalla correntista, che in quanto tale è soggetto, in base al disposto dell'art. 1856 c.c., all'applicazione delle regole del mandato (artt. 1710 e segg. c.c.), e dunque, in primis, all'obbligo del mandatario di agire con diligenza. La diligenza che la banca è tenuta ad osservare nel controllo della genuinità dell'assegno deve naturalmente essere valutata con riferimento alla natura dell'attività esercitata (art. 1176, secondo comma, c.c.) e va quindi commisurata a quella, "particolarmente qualificata", dell'accorto banchiere (Cass. 12 giugno 2007, n. 13777; 7 marzo 2003, n. 3389), vale a dire non di un generico soggetto di media prudenza ed avvedutezza, ma di un professionista dedito a quel particolare ramo di affari e quindi dotato, in quel settore, di una specifica esperienza e competenza. Tali principi valgono non solo per l'ipotesi in cui l'assegno sia presentato dal prenditore direttamente alla banca emittente, ma anche in quella - verificatasi nel caso di specie- in cui l'assegno sia stato negoziato presso altra banca e sia poi pervenuto alla banca emittente in sede di stanza di compensazione con la procedura della check truncation. Ebbene, nel caso in esame deve ritenersi che la banca emittente non ha usato la diligenza c.d. professionale richiesta dall'articolo 1176 comma 2 del c.c. nell'esecuzione del mandato in quanto essa: ha adottato una modalità di negoziazione dell'assegno, "mediante troncamento", oggettivamente rischiosa per la cliente e pur avendone la possibilità non ha adottato la più sicura procedura CIT; è stata negligente nella verifica del titolo in stanza di compensazione in quanto, una volta ricevuto il flusso informatico di dati, pur essendo legittimata dall'art. 7 co. 2 del regolamento citato, non ha chiesto alla negoziatrice l'invio dell'immagine dell'assegno presentato all'incasso, cautela quest'ultima che le avrebbe consentito di rilevare subito gli evidenti elementi di anomalia rispetto all'originale del titolo e conseguentemente di rifiutare il pagamento dell'assegno clonato portato all'incasso dal prenditore. Sulla base di tali considerazioni sussiste certamente una responsabilità contrattuale della convenuta (...) per la perdita patrimoniale subita dall'attrice (...) in ragione del pagamento della somma di Euro 24.000,00 a seguito della presentazione di un assegno clonato in luogo dell'originale del titolo. 3.2. Sulla responsabilità di (...). La convenuta (...) citando in giudizio (...) ha ritenuto sussistente una responsabilità esclusiva di quest'ultima quale banca negoziatrice, che avrebbe dovuto accorgersi della non genuinità dell'assegno presentatole all'incasso, emergente ictu oculi sotto vari profili. (...) costituendosi ha sostenuto l'infondatezza della pretesa avversaria per non essere la contraffazione rilevabile ictu oculi in mancanza del titolo originale e per avere essa adottato la diligenza richiesta nell'identificazione del cliente, già titolare di un conto corrente postale acceso in data 20.03.2018. Sull'argomento la Suprema Corte, ha statuito che: "il pagamento eseguito in favore di un soggetto diverso dal beneficiario dell'assegno, ma apparentemente legittimato in base alle indicazioni risultanti dal titolo, non comporta automaticamente l'affermazione della responsabilità della banca, a tal fine occorrendo invece una valutazione in concreto del comportamento della stessa, da condursi secondo il parametro della diligenza professionale, con la conseguenza che la banca può essere ritenuta responsabile soltanto nel caso in cui l'alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo" (cfr. Corte di Cassazione, sez. I, 21.06.2016; Cass., Sez. III, 4 ottobre 2011, n. 20292; Cass., Sez. 1, 15 luglio 2005, n. 15066; ABF, Collegio di Milano, 4 luglio 2019, n. 16401). La responsabilità della banca negoziatrice in termini di responsabilità "da contatto sociale" per violazione di uno specifico obbligo protettivo della sfera giuridica dei soggetti coinvolti comporta che, a fronte della contestazione dell'inadempimento nonché della prova del danno conseguitone, era onere di (...) s.p.a. ex art. 1218 c.c., provare il proprio adempimento o che l'inadempimento fosse dipeso da una impossibilità della prestazione a lei non imputabile, specie considerando che nel caso che ci occupa essa ha eccepito che la falsità dell'assegno, non era rilevabile ictu oculi con la diligenza inerente l'attività bancaria. Tale circostanza è stata apertamente smentita dall'istruttoria tecnica svolta in corso di giudizio, la quale ha dato atto che nella fattispecie in esame c'erano molteplici indici di anomalia sia tattili sia visivi, immediatamente rilevabili, che avrebbero dovuto apparire quantomeno sospetti al soggetto preposto all'incasso. Infatti, a fronte del deposito agli atti di entrambi gli assegni protagonisti della vicenda per cui è causa - originale e contraffatto - è stata disposta una CTU volta a fornire al Tribunale elementi su cui valutare la riconoscibilità o meno ictu oculi del falso; la Consulente, messi a confronto i due assegni ha accertato quanto segue: "o l'assegno circolare falso non presenta in controluce la filigrana personalizzata "(...)", né elementi di rilievo, mentre quello autentico ha sia i rilievi, sia la carta filigranata; - la carta dell'assegno circolare falso è liscia davanti, ruvida dietro, non altrettanto per il circolare autentico; - assente sull'assegno falso è la microforatura sulla striscia di avvaloramento dell'importo, che invece è presente sull'assegno circolare autentico; - assenti, nello spazio dedicato all'importo in cifre, il puntino delle migliaia e la virgola dei decimali sull'assegno falso; presenti invece su quello autentico; - assente in alto a sinistra il logo della banca in rilievo sull'assegno falso; presente su quello autentico; - diverse sono le scritte prestampate, anzi, sull'assegno falso sono ripetute due volte in stampatello le parole "(...)", mentre sull'assegno autentico è presente la dicitura "(...) Società per Azioni"; - manca sul verso il riquadro bianco dedicato alle firme di girata sull'assegno falso; presente sull'assegno autentico." Ebbene, sulla scorta di tali evidenze deve senz'altro ritenersi accertato che se è vero che alcune difformità necessitavano del necessario confronto con il titolo in originale, quelle sopra riportate invece, pur in mancanza di quest'ultimo, avrebbero dovuto generare profondi sospetti in capo all'addetto di (...) in merito all'autenticità del titolo presentatogli per l'incasso. Tra questi ultimi in particolare si evidenziano gli elementi del tutto desueti: di assenza di filigrana e di qualsivoglia rilievo; di palese errore di stampa nell'indicazione della Banca emittente il cui nome è ripetuto due volte e senza spazio "(...)"; di assenza del puntino delle migliaia e della virgola dei decimali nell'importo in cifre. Si tratta di anomalie evidenti ed autonomamente rilevabili senza il ricorso a particolari competenze o strumentazioni tecniche. A tali anomalie di natura materiale si aggiungono, poi, ulteriori elementi che avrebbero dovuto suggerire una maggiore prudenza all'ente negoziatore, all'atto dell'incasso dell'assegno. Intanto il prenditore (...) aveva acceso presso (...) il conto corrente sul quale ha richiesto l'accredito dell'assegno solo due settimane prima; non si trattava pertanto di cliente "fidelizzato" e (...) nulla allega circa il fatto che sul predetto conto fossero state eseguite altre operazioni diverse da quella truffaldina per la quale è causa. In secondo luogo, altro elemento che avrebbe dovuto destare sospetto è la diversità e lontananza fra il luogo in cui è stato emesso il titolo ((...)) e il luogo in cui è stato presentato all'incasso (Napoli) - peraltro ancora diverso dal luogo di residenza del prenditore (E.) -. Trattasi per entrambe le condotte di cui sopra, di modalità operative che avrebbero dovuto quanto meno allertare l'operatore di (...), poiché potenzialmente integranti un modus operandi al di fuori dall'ordinario, molto ricorrente nei casi di falsificazione di titoli e dunque, meritevole di maggiore approfondimento. Tutti gli elementi citati quindi, per la loro gravità e concordanza avrebbero dovuto indurre l'operatore postale ad effettuare ulteriori approfondimenti sulla genuinità del titolo, ad esempio inviando alla Banca emittente una copia per immagine dell'assegno posto all'incasso - come espressamente consentito dalla procedura CIT - azione quest'ultima che come già detto, avrebbe senz'altro scongiurato il compimento della frode in atto. Pertanto, tenuto conto che la falsità dell'assegno appariva piuttosto grossolana e pertanto risultava rilevabile senza ricorrere a particolari competenze e senza l'utilizzo di specifici strumenti meccanici o chimici, va affermata la responsabilità per colpa anche della banca negoziatrice, attesa la negligente condotta omissiva dalla stessa, da rinvenirsi sia nell'omessa verifica materiale del titolo posto all'incasso sia nell'omessa trasmissione alla banca emittente dell'immagine dell'assegno. Oltretutto (...) ha affermato di aver correttamente posto in essere tutte le cautele atte ad accertare la regolarità formale del titolo e la corretta identificazione del destinatario senza mai spiegare in quali azioni siano concretamente consistite tale cautele nel caso specifico. Le allegazioni sono sempre rimaste generiche e "di principio", prive di riferimenti alla fattispecie concreta per cui è causa "(...) all'atto del pagamento del titolo, come la documentazione in atti può provare ha posto in essere tutte quelle cautele (controllo di regolarità formale del titolo, identificazione del beneficiario mediante documento di riconoscimento che secondo il parametro di diligenza comune risultava regolare, pagamento del titolo) atte ad accertare la regolarità formale del titolo e la corretta identificazione del beneficiario, comportandosi nel rispetto del comuni regole di diligenza e pertanto, effettuando il pagamento a chi appariva legittimato a riceverlo secondo circostanze univoche." (v. pag. 6 comparsa); "(...) ha identificato il beneficiario tramite documenti di riconoscimento e controllato la regolarità del tutolo che non presentava segni evidenti di contraffazione" (v. pag. 7 comparsa). Pertanto, anche considerato l'onere della prova direttamente conseguente alla qualificazione della responsabilità nei termini di una responsabilità da contatto sociale, in assenza della prova liberatoria di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi di diligenza, anche (...) s.p.a. deve essere ritenuta - anch'essa - responsabile del danno subito da parte attrice. 4. Sulla responsabilità del terzo chiamato (...). Deve in ultimo essere trattata la responsabilità nell'evento dannoso per cui è causa del terzo chiamato da (...), (...), effettivo prenditore dell'assegno, che, pur ritualmente citato, non si è costituito, così rimanendo contumace. In questo giudizio, quello che deve ritenersi senz'altro un fatto pacifico è che l'assegno presentato all'incasso presso la filiale di (...) in Napoli era un falso. L'originale, infatti, è sempre rimasto nel possesso dell'attrice che lo ha depositato in giudizio in originale. Che questo assegno sia stato presentato proprio da (...) e che questi lo abbia fatto versare da (...) sul conto corrente da lui stesso acceso pochi giorni prima, è un'altra circostanza che può ritenersi documentalmente provata. Infatti, (...) costituendosi, ha prodotto in giudizio sia la copia fotostatica dell'assegno falso presentato all'incasso in data 3.04.2018 che sul retro riporta la sottoscrizione per girata di (...) (doc. 1) sia il contratto di conto corrente "(...)" sempre sottoscritto da quest'ultimo in data 20.03.2018 (doc. 2). Queste due scritture private ed in particolare le firme apposte sulle stesse devono ritenersi tacitamente riconosciute ex art. 215 co. I n. 1 c.p.c. dal terzo (...), vista la sua contumacia nel presente giudizio. A ciò si aggiungano due ulteriori indizi che portano a concludere per l'effettivo coinvolgimento del prenditore nella frode che ha generato i fatti di causa: (...) ha prodotto in giudizio anche le copie fotostatiche sia del documento di identità sia della tessera sanitaria esibite dal (...) e la firma apposta sulla prima è del tutto corrispondente a quella apposta per girata sull'assegno falso; inoltre è proprio (...) la persona con cui la società attrice ha intrapreso la trattativa volta alla compravendita di un auto che ha motivato l'emissione dell'assegno circolare da parte di (...) a lui intestato. Sulla base di tali elementi deve pertanto senz'altro imputarsi una condotta concorrente del terzo chiamato (...) nell'evento per cui è causa. Tale condotta illecita, anzi, è stata proprio l'antecedente causale primigenio, che ha originato tutta la catena di eventi che ne sono conseguiti. 5. Sulla ripartizione della responsabilità nei rapporti interni. Esaminate partitamente tutte le condotte dei tre soggetti coinvolti nella vicenda per cui è causa, tutte concorrenti nella causazione dell'evento e quindi accertata la responsabilità risarcitoria solidale ex art. 2055 c.c. in capo a tutti e tre, il Tribunale reputa equo ripartirne le conseguenze dannose nella misura del 50% in capo a (...), del 30% in capo a (...) e del 20% in capo a (...). Quanto alla ripartizione della responsabilità tra le due Banche, a parere di chi scrive le condotte negligenti tenute dalle medesime, la negoziatrice (...) e la emittente (...) non si pongono su un piano di piena parità, dovendosi ritenere la condotta tenuta dalla prima più gravemente colposa rispetto a quella tenuta dalla seconda. Infatti, entrambe le Banche condividono la responsabilità di non aver assunto alcuna iniziativa circa la trasmissione dell'immagine dell'assegno, che per i profili evidenziati dalla CTU avrebbe senz'altro facilmente consentito di metterne in luce la falsità ((...) non l'ha trasmessa nel flusso informatico di informazioni e (...) non ne ha preteso la trasmissione); ciò posto però, a (...) deve essere addebitata anche la negligenza di non essersi accorta dei macroscopici segnali di falsità materiale dell'assegno e degli indici di comportamento sospetto tenuti dal prenditore (...). 6. Sulle domande di manleva formulate da (...) e da (...). (...) ha domandato di essere manlevata da (...) di quanto fosse condannata a pagare a titolo di risarcimento, ravvisando la responsabilità esclusiva di quest'ultima nell'occorso. (...), anch'essa, in via subordinata, ha chiesto "di dichiarare e condannare il sig. (...) tenuto a manlevare la Società esponente da ogni avversaria pretesa e per qualsiasi somma essa sia condannata a pagare" Tali doglianze sono, in parte, fondate. Questo Tribunale, infatti, non ha attribuito a (...) e a (...) la posizione di soggetti "danneggiati", ma bensì quella di soggetti "danneggianti" (insieme a (...)) e quindi obbligati anche loro a risarcire i danni prodotti dalla propria condotta. Non possono dunque, sia (...) che (...), pretendere di recuperare integralmente l'importo del risarcimento gravante a loro carico, in danno rispettivamente di (...) e di (...), in quanto a questi ultimi si è attribuita non già la posizione di unici responsabili ma bensì quella di concorrenti nella produzione degli eventi dannosi subiti dall'attrice. Tuttavia, nelle domande di "manleva" proposte da (...) e (...) può ritenersi compresa (come "minus") una meno estesa domanda di regresso fondata sull'art. 2055 co. II c.c. che può essere accolta sul presupposto che la responsabilità fra (...), (...) e (...), è solidale e sul rilievo che l'azione di regresso può essere proposta anche in via preventiva e cioè in previsione dell'esito positivo dell'azione intrapresa dal danneggiato e condizionatamente alla fruttuosa escussione del regrediente per l'intero. Per tali ragioni, può essere accolta la domanda di regresso proposta da (...) contro la terza chiamata (...) per il caso in cui la prima sia costretta a pagare all'attrice il danno per intero (regresso che chiaramente si limiterà al 30% di spettanza di (...) ex art. 2055 co. II c.c.); e può essere accolta parimenti la domanda di regresso proposta da (...) nei confronti di (...) per il caso in cui la prima sia costretta a pagare all'attrice il danno per intero (regresso che chiaramente si limiterà al solo 50% di spettanza di (...)). 7. Sul concorso di colpa della danneggiata ex art. 1227 c.c. Veniamo ora alla condotta della società danneggiata. Entrambe le banche, opponente e terza chiamata, hanno eccepito la responsabilità esclusiva o quantomeno concorrente ex art. 1227 co. II c.c., della danneggiata, la quale avrebbe, secondo loro, trasmesso al sedicente venditore la foto dell'assegno circolare oggetto di causa, così consentendone la clonazione ed il successivo incasso fraudolento. L'eccezione non può essere accolta. Nel caso di specie, è pacifico che l'assegno presentato all'incasso presso la filiale di (...) fosse falso e che lo stesso riportasse i medesimi dati presenti sull'assegno originale. Tale circostanza, in uno con la documentazione prodotta in causa dalla convenuta (...), relativa a due richieste di informazioni pervenute dalla polizia giudiziaria, Carabinieri Legione Campania (doc. n. 3) e Carabinieri Stazione (...) (doc. 4) fa ritenere plausibile che effettivamente ciò che ha reso possibile la clonazione dell'assegno emesso da (...) sia stata la messa a disposizione al falsificatore di un'immagine che lo ritraeva (come solitamente accade peraltro). Ciò posto tuttavia, nel presente giudizio la circostanza che le cose siano andate proprio così e soprattutto che sia stata proprio l'attrice ad inviare tale foto o a consentire a terzi di farlo, non è stata in alcun modo provata. Solo l'emittente (...), ha offerto questa ricostruzione dei fatti, affermando di esser stata contattata dal Maresciallo dei Carabinieri Legione Campania (...), il quale aveva rinvenuto nel cellulare di un soggetto poi fermato e trovato in possesso di assegni contraffatti, la fotografia del titolo per cui è causa. La medesima (...) ha anche avanzato richieste istruttorie su tale circostanza, chiedendo l'escussione del predetto maresciallo, a cui però ha rinunciato all'udienza del 5.01.2021. Ciò che è rimasto agli atti in merito a tale vicenda ovvero le richieste di informazioni di cui ai docc. 3 e 4 sono del tutto insufficienti a provare che effettivamente sia stata mandata una foto dell'assegno al contraffattore, che quest'ultimo fosse effettivamente (...) e che l'invio sia stato fatto da persona riconducibile alla società attrice. Infatti, nelle menzionate richieste, non è indicata né l'identità del proprietario del telefono su cui sono state trovate le foto dell'assegno, né la modalità di trasmissione di tali immagini (mail, sms, messaggi WhatsApp), né - ammesso che si tratti di foto inviate tramite sms - da quale utenza telefonica provenisse l'invio. Tale assoluta carenza di elementi impedisce di ritenere integrata la prova di una qualche condotta dell'attrice, qualificabile come antecedente causale necessario rilevante ex art. 1227 commi I o II c.c. 8. Conclusioni e spese di lite Preliminarmente è opportuno rilevare che rispetto alle statuizioni relative alla parte (...), la sentenza è pronunciata nei confronti non della stessa (estinta per effetto della fusione per incorporazione avvenuta in corso di causa) ma bensì nei confronti di (...), quale società incorporante. La fusione, infatti, come previsto dall'art. 2504-bis c.c., realizza una successione a titolo universale corrispondente alla successione mortis causa e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell'estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione a questa, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, della società incorporante, che rappresenta il nuovo centro di imputazione e di legittimazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati. (si v. Cass. Sez. U - , Sentenza n. 21970 del 30/07/2021). Ciò premesso e venendo dunque alle conclusioni, la domanda di risarcimento del danno promossa da (...) deve essere accolta e per l'effetto (...) (già (...)) e (...) devono essere condannate, in solido tra loro, al pagamento di Euro 24.000,00 a titolo di risarcimento; tale somma andrà poi rivalutata secondo gli indici ISTAT dalla data del pagamento dell'assegno (4.04.2018) sino alla pubblicazione della presente sentenza - secondo i criteri di cui Cass. Civ. Sez. Un. 17/02/95 n.1712 -; sulla somma così rivalutata sono dovuti altresì gli interessi legali, decorrenti dalla presente pronuncia sino al saldo. Deve essere accolta la domanda di regresso proposta da (...) (già C.) contro la terza chiamata (...), entro il limite del 30% di spettanza di quest'ultima; e deve essere accolta parimenti la domanda di regresso proposta da Poste nei (soli) confronti di (...), entro il limite del 50% di spettanza di quest'ultimo. Quanto alle spese di lite, atteso l'esito complessivo del giudizio, quelle dell'attrice vanno poste a carico delle soccombenti (...) e (...), in solido tra loro. (ex art. 97 co. I c.p.c.); La liquidazione viene fatta ex D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 13 agosto 2022, tenuto conto del valore della causa, secondo i parametri medi previsti per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale, così per complessivi Euro 5.077,00, oltre al rimborso forfettario del 15%, oltre agli esborsi per contributo e marca, oltre ad IVA e CPA come per Legge. Parimenti le spese della CTU espletata in corso di causa, in ragione della soccombenza, devono essere definitivamente poste a carico di (...) e (...) nella misura del 50% ciascuna. Quanto alle spese di lite di cui al rapporto processuale tra (...) e (...), attesa la loro condanna in solido, con reciproca soccombenza in punto di responsabilità nei confronti della danneggiata, esse sono interamente compensate ex art. 92 co. II c.p.c. Quanto alle spese di lite di cui al rapporto processuale tra (...) ed il terzo chiamato (...), atteso il parziale accoglimento della domanda di regresso promossa, le stesse possono essere riconosciute nella misura 50% di quelle liquidate ut supra. P.Q.M. Il Tribunale di Alessandria, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede: - Accerta e dichiara che, relativamente all'evento di danno per cui è causa, la responsabilità va suddivisa tra i soggetti corresponsabili sulla base delle seguenti quote: 50% a carico di (...); 30% a carico di (...) S.p.a. e 20% a carico di (...) S.p.a (e quindi della sua incorporante (...) S.p.a); - Accoglie la domanda promossa da (...) S.r.l, nei confronti di (...) S.p.a (quale società incorporante di (...) S.p.a) e (...) S.p.a e per l'effetto; - condanna (...) S.p.a e (...) S.p.a in via solidale tra loro, al pagamento, in favore di (...) S.r.l, a titolo di risarcimento del danno, della somma di Euro 24.000,00 oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dal 4.04.2018 alla pubblicazione della presente sentenza, ed oltre agli interessi legali sulla somma rivalutata, sino al saldo effettivo; - Accoglie la domanda di regresso promossa da (...) S.p.a nei confronti di (...) S.p.a. e per l'effetto, condanna (...) S.p.a. a rifondere a (...) S.p.a - nei limiti della propria quota -, quanto quest'ultima dovesse pagare in favore di (...) S.r.l in eccesso rispetto alla sua quota di responsabilità del 20%; - Accoglie la domanda di regresso promossa da (...) S.p.A. nei confronti di (...) e per l'effetto, condanna (...) a rifondere a (...) S.p.A. - nei limiti della propria quota -, quanto quest'ultima dovesse pagare in favore di (...) S.r.l. in eccesso rispetto alla sua quota di responsabilità del 30%; - Condanna (...) S.p.a. e (...) S.p.a., in solido tra loro, a rifondere alla (...) S.r.l., le spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 5.077,00 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario del 15% per le spese generali, oltre agli esborsi per contributo unificato e marca, oltre IVA e CPA come per Legge; - Compensa integralmente le spese di lite nel rapporto processuale intercorrente tra (...) S.p.a. e (...) S.p.a.; - Condanna (...) a rifondere a (...) S.p.a., le spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 2.538,50 per compensi professionali, oltre al rimborso forfettario del 15% per le spese generali, oltre agli esborsi per contributo unificato e marca, oltre IVA e CPA come per Legge; - Pone definitivamente gli oneri della CTU, liquidati con decreto del 28/10/2022, a carico di (...) S.p.a. e (...) S.p.a., ciascuna nella misura del 50%. Così deciso in Alessandria il 4 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 1252/21 del Ruolo Generale dell'anno 2021, posta in deliberazione all'udienza del 15.3.2023 e vertente tra FALLIMENTO (...) SOC. COOP. già corrente in N. L., in persona del curatore Avv.to Ga.Ma., rappresentato e difeso dall'Avv.to Ma.Pa. del Foro di Alessandria, con domicilio eletto presso lo stesso, come da mandato a margine dell'atto di citazione Attore Contro (...), in persona del titolare omonimo, in atti gen.to, con sede in O., rappresentato e difeso dall'Avv.to Ra.Za. del Foro di Torino, come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta 2.7.2021 Convenuto OGGETTO: azione revocatoria fallimentare ex art. 67 comma II R.D. n. 267 del 1942 MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato il fallimento (...) soc. coop. conveniva in giudizio l'impresa individuale (...) esponendo che la stessa, a seguito dell'ottenimento di un decreto ingiuntivo non opposto e di successiva azione esecutiva di pignoramento presso terzi, aveva ottenuto, in data 6 agosto 2019 (come da contabile di bonifico che produceva) il pagamento di una propria fattura di Euro 1220,00 (la n. 1 del 31 gennaio 2018) emessa nei confronti della società poi fallita per l'esecuzione di opere di lavorazione ferro - pannelli da ringhiera, oltre interessi e spese sia della fase monitoria che della fase esecutiva, per un totale di Euro 3.622,58. Il pagamento si situava nella fascia temporale prevista per l'azione revocatoria di cui all'art. 67 comma II R.D. n. 267 del 1942 ( sei mesi prima della dichiarazione di fallimento avvenuta il 24 gennaio 2020) ed era inoltre indubbio che la ditta che lo aveva ottenuto fosse a conoscenza dello stato di insolvenza della (...) coop, come si evinceva dal fatto che aveva inoltrato plurimi solleciti di pagamento, aveva depositato ricorso monitorio con richiesta di provvisoria esecuzione, aveva, una volta ottenuto il titolo esecutivo, intrapreso azione esecutiva con pignoramento presso terzi a dimostrazione che sapeva che la società non aveva cespiti patrimoniali propri. Ulteriori indici della scientia decotionis erano la risalenza del credito e il fatto che la cooperativa si fosse dimostrata incapace di far fronte a un debito di appena 1220 Euro. Essendo quindi chiaramente rinvenibili tutti i requisiti per esercitare con successo l'azione revocatoria in questione, agiva l'attore affinché fosse dichiarata l'inefficacia del pagamento nei suoi confronti, condannando la controparte alla restituzione al Fallimento della somma ricevuta. Si costituiva in giudizio l'impresa individuale convenuta contestando decisamente di essere, nel momento in cui aveva ricevuto il pagamento, a conoscenza dello stato di decozione della cooperativa poi fallita. Oltre a replicare specificamente sui singoli fattori di presunta conoscenza indicati da parte attrice in atto di citazione evidenziava che l'impresa individuale (...) era una piccolissima impresa artigiana di lavorazione del ferro, in cui lavorava solo il titolare ( doc. 22), sprovvista di una struttura amministrativa e di qualsiasi altra posizione che le consentisse, diversamente da operatori qualificati o istituzionali, di essere a conoscenza della situazione patrimoniale ed economica della Cooperativa in oggetto, ed evidenziava inoltre che proprio in sede di pignoramento presso terzi - e pochi giorni prima di ottenere il pagamento - il terzo esecutato Consorzio (...) aveva dichiarato di non essere stato destinatario "di precedenti pignoramenti o sequestri". Evidenziava infine il difetto di interesse ad agire della procedura, e chiedeva il rigetto della domanda attorea. In corso di causa, con le memorie ex art. 183 comma VI c.p.c., il fallimento attore indicava ulteriori elementi presuntivi a suo dire idonei a dare prova della conoscenza in capo all'impresa convenuta dello stato di insolvenza della (...), e in particolare i dati ( allarmanti) ricavabili dal bilanci di esercizio 2018 ( doc. 10), dai verbali di assemblea dei soci, dalla relazione del revisore dei conti, dal fatto che a luglio 2019 la società procedeva ad affitto di azienda per procurarsi liquidità, dalla relazione del MISE. Evidenziava infine anche che uno degli amministratori della società, il sig. (...), era protestato fin dal 2017. La causa veniva istruita solo a mezzo produzioni documentali e poi avviata alla fase decisoria. All'esito il Tribunale decide come segue. L'azione revocatoria intentata è infondata e deve essere disattesa non avendo il Fallimento convenuto dato prova convincente della conoscenza dello stato di insolvenza della (...) Coop. in capo all'impresa convenuta. Si vedano in argomento le seguenti massime, tratte fra quelle più significative o recenti: In tema di revocatoria fallimentare relativa a pagamenti eseguiti dal fallito, il principio secondo il quale grava sul curatore l'onere di dimostrare la effettiva conoscenza, da parte del creditore ricevente, dello stato di insolvenza del debitore, va inteso nel senso che la certezza logica dell'esistenza di tale stato soggettivo (vertendosi in tema di prova indiziaria e non diretta) può legittimamente dirsi acquisita non ( solo n. d. r.) quando sia provata la conoscenza effettiva, da parte di quello specifico creditore, dello stato di decozione dell'impresa (prova inesigibile perché diretta), né quando tale conoscenza possa ravvisarsi con riferimento ad una figura di contraente astratto (prova inutilizzabile perché correlata ad un parametro, del tutto teorico, di "creditore avveduto"), bensì quando la probabilità della "scientia decoctionis" trovi il suo fondamento neipresupposti e nelle condizioni (economiche, sociali, organizzative, topografiche, culturali) nelle quali si sia concretamente trovato ad operare, nella specie, il creditore del fallito. Cass. 6686/2012; Conforme Cass. 27070/22 In tema di revocatoria fallimentare, il presupposto soggettivo, ai sensi dell'art. 67 della legge fall., è costituito dalla conoscenza effettiva da parte del terzo dello stato d'insolvenza del debitore e non dalla semplice conoscibilità, sebbene la relativa dimostrazione possa fondarsi anche su elementi indiziari purché caratterizzati dagli ordinari requisiti della gravità, precisione e concordanza prescritti dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. Tuttavia, tali condizioni non possono essere riscontrate nella mera esistenza di esecuzioni individuali, in quanto non soggette a forme pubblicitarie, o nelle iscrizioni ipotecarie a carico del debitore, quando non si sia dato conto di circostanze, quali la contiguità territoriale tra creditore e luogo delle procedure e l'esistenza di rapporti professionali tra creditore e debitore, che, in virtù di concreti collegamenti, permettano di ritenere effettivamente conosciuta e non solo conoscibile la "scientia decoctionis" Cass. 5256/2010 Tra i più comuni indici di conoscenza dello stato di decozione dell'impresa vi sono: l'esistenza di protesti in capo al debitore, l'iscrizione di ipoteche o la trascrizione di sequestri conservativi, l'emissione di decreti ingiuntivi e/o l'esistenza di plurime procedure esecutive a carico del fallito, la pendenza di istanza di fallimento, voci negative di bilancio, rateizzazioni di debiti, ritardi nei pagamenti, il ricorso a mezzi anormali nell'esecuzione degli stessi. Nulla di tutto ciò nel caso che ci occupa, ove il Fallimento attoreo basa la prova a suo carico solo sulla singola vicenda che ha interessato il rapporto tra (...) e la società poi fallita, asserendo in sostanza che il fatto che la (...) non riusciva a farsi pagare le sue spettanze, ha dovuto rivolgersi all'autorità giudiziaria per ottenere un decreto ingiuntivo e successivamente ha dovuto intentare azione esecutiva contro la (...) sarebbe sufficiente per provare la conoscenza dello stato di decozione della fallita. Trattasi di tesi non condivisibile, in quanto l'emissione di decreti ingiuntivi e/o l'esistenza di procedure esecutive a carico del fallito possono - da soli ( come nel caso di specie mancando, come si vedrà, indici ulteriori) - essere indici di scientia decotionissolo laddove non si tratti di un singolo decreto ingiuntivo o di una singola azione esecutiva, ma di una pluralità di azioni volte al pagamento di una pluralità di crediti, come accaduto ad es. per le azioni revocatorie decise da questo Tribunale con le sentenze prodotte da parte attrice sub doc.to n. (...), ove plurimi erano i creditori intervenuti in una procedura esecutiva contro il soggetto poi fallito ( le sentenze danno atto di almeno tre creditori). Nel nostro caso invece, come giustamente evidenziato dalla convenuta, in sede di dichiarazione ( doc. 17 fascicolo B.) il terzo pignorato (...) Coop. aveva dato atto del fatto di non essere stato destinatario di nessun altro pignoramento o sequestro. Né può ritenersi indice rilevante il fatto che (...) abbia scelto, tra le azioni esecutive possibili, il pignoramento presso terzi, trattandosi di un comune ed ordinario tipo di azione esecutiva, ben lontano dai "mezzi anormali di esecuzione" richiesti dalla giurisprudenza. Neppure è sufficiente per la prova richiesta evidenziare che si trattava di un credito risalente; di un credito di appena un migliaio di euro; che (...) aveva inviato più di un sollecito di pagamento; e che nel ricorso monitorio aveva chiesto la provvisoria esecuzione evidenziando pericolo nel ritardo: quanto al primo punto non consta alcuna particolare risalenza, trattandosi al contrario di un credito sorto nel 2018, appena un anno prima del pagamento; quanto al secondo non si conosce la risposta che la società poi fallita aveva dato ai solleciti di pagamento, sicché non si può escludere che abbia in qualche modo giustificato il mancato pagamento; quanto al terzo si tratta di due e-mail piuttosto informali - dalle quali nulla si può evincere per quanto qui di interesse - e della lettera di diffida di un avvocato, necessaria per intraprendere poi azioni giudiziarie; quanto al quarto dalla lettura del ricorso monitorio è evidente che si tratta di mera clausola di stile, non corredata da alcuna precisazione fattuale indicativa dell'asserito pericolo, tanto vero che la provvisoria esecuzione non fu neppure concessa dal Giudice. Ancor meno rilevanti gli indici di scientia decotionis indicati dal fallimento nella memoria ex art. 183 comma VI n. 2: in disparte il rilievo che si tratta di circostanze evidenziate per la prima volta solo in sede di memoria dedicata all'articolazione di mezzi istruttori, con evidente violazione del diritto al contraddittorio della controparte, in ogni caso si tratta di documenti ( bilanci, verbali di assemblea, relazione del revisore dei conti, contratto di affitto di azienda, relazione del MISE - alcuni peraltro formatisi e pubblicati dopo il pagamento qui impugnato !) che non si vede per quale (inusuale) motivo la piccola ditta di un fabbro avrebbe dovuto conoscere. Infine è del tutto irrilevante che uno degli amministratori della società, il sig. (...), fosse protestato fin dal 2017, trattandosi di un soggetto diverso dalla Cooperativa poi fallita ed anche in questo caso non potendosi ipotizzare alcun motivo per cui il (...) avrebbe dovuto informarsi su eventuali protesti a carico dei soci o amministratori della società. A tal proposito non è neppure emerso che il (...) li conoscesse o avesse avuto con gli stessi o con la cooperativa rapporti pregressi. In conclusione in mancanza della prova richiesta dall'art. 67 comma II L.F. - e non potendosi pertanto escludere che la società convenuta abbia intrapreso l'iter per farsi pagare il proprio credito all'oscuro delle gravi difficoltà finanziarie che affliggevano la sua debitrice ed abbia successivamente incassato il pagamento in totale buona fede - la domanda non può che essere rigettata. Le spese seguono la soccombenza di parte attrice e si liquidano in base al del D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 1922, tabella 2, causa di valore compreso fra Euro 1100 ed Euro 5.200, con esclusione della fase istruttoria che non si è tenuta. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e difesa rigettata così decide: rigetta la domanda attorea; condanna il Fallimento (...) Soc. Coop. a rifondere a parte convenuta le spese di giudizio che liquida in Euro 1.701,00 per compensi di Avvocato, oltre al 15% sui compensi per spese generali, Iva e CPNA come per legge Così deciso in Alessandria il 27 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 857/20 del Ruolo Generale dell'anno 2020, posta in deliberazione all'udienza del 14.12.2022 e vertente tra CAMERA DI COMMERCIO di ALESSANDRIA - ASTI, con sede in Alessandria, via Vochieri n. 58, in persona del Presidente Cav. G.P.C., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Ma.Oc. e dall'Avv. Fr.Lo. del foro di Torino e presso il secondo elettivamente domiciliata, come da mandato allegato all'atto di citazione e all'atto di costituzione volontaria del 31 marzo 2021. Attrice contro COMUNE DI ALESSANDRIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv.to Cr.Ro. dell'Avvocatura del Comune in forza di delibera della Giunta Comunale 161/2020, elettivamente domiciliato presso il difensore, come da procura generale alle liti in atti. Convenuto (...), in atti gen.to, res.te in A., via C. n. 4 convenuto contumace OGGETTO: azione di condanna al pagamento di somme dovute quale corrispettivo di prestazione di servizi. MOTIVI DELLA DECISIONE La causa trae origine dai seguenti fatti, esposti in sintesi. Come era già avvenuto negli anni precedenti, anche a inizio 2011 il Comune di Alessandria, rappresentato dal Sindaco dell'epoca (...), chiedeva alla Camera di Commercio di Alessandria di organizzare la Fiera di San Giorgio Floreale, una manifestazione a scopo commerciale e di valorizzazione del territorio che si teneva ad Alessandria in primavera, anticipandone i costi. La Camera di Commercio accettava di buon grado il compito, affidandosi per l'organizzazione della manifestazione ad Asperia, la propria azienda speciale per la promozione economica. Nell'espletamento dell'incarico Asperia forniva prestazioni di progettazione, pubblicità dell'evento, realizzazione filmati e striscioni, allestimento aree e stand floreali, fornitura piante, noleggio attrezzature varie e tutto quanto indicato nel doc.to 11 (richiesta Asperia saldo spese sostenute). La Camera di Commercio stanziava per parte sua la somma di Euro 50.000, mentre le ulteriori somme necessarie sarebbero state solo anticipate da tale ente (vedi doc. 7), e poi rimborsate dal Comune che aveva in tal senso preso impegno. La manifestazione dunque si svolgeva regolarmente ad aprile 2011 e al termine di essa Asperia presentava un conto di Euro 376.000, di cui Euro 50.000 come detto a carico della Camera di Commercio, il resto, Euro 326.000, a carico del Comune. Era però successivamente avvenuto che il Comune non pagasse le somme a suo carico ed anzi, nel 2012, aveva individuato e riconosciuto la sussistenza di debiti fuori bilancio per quasi ventinove milioni di Euro (doc. 14). Dopodiché l'ente locale era andato in dissesto economico, con conseguente insediamento della Commissione straordinaria di liquidazione avvenuto il 3.9.2021, e l'avvio della procedura di rilevazione delle passività. Il 24.10.2012 la Camera di commercio aveva presentato alla Commissione istanza di ammissione alla massa passiva in relazione (tra l'altro) al suo credito di Euro 326.000, tuttavia la Commissione non aveva inteso accogliere l'istanza, non ritenendo effettivamente sussistente un impegno, per quanto informale, di spesa da parte del Comune o dei suoi organi, ma solo la promessa di un non quantificato "contributo" a fronte di mai specificati servizi resi dalla Camera di Commercio. Avverso tale decisione l'odierna attrice aveva proposto impugnazione davanti al TAR del Piemonte che tuttavia - ritenendo che la controversia in ultima analisi attenesse all'accertamento della sussistenza o meno di un diritto soggettivo della Camera di Commercio ad essere pagata per le prestazioni di servizi rese al Comune di Alessandria su base contrattuale - con sentenza n. 555 del 6 maggio 2019 ha declinato la giurisdizione e rimesso le parti al Giudice Ordinario, dinanzi al quale la causa è stata riassunta. In questo giudizio parte attrice formula plurime domande: 1) innanzitutto chiede che il Tribunale voglia dichiarare illegittimi e annullare i provvedimenti del Comune di Alessandria e della Commissione Straordinaria di liquidazione con cui il debito in questione non sarebbe stato riconosciuto come debito fuori bilancio dagli organi comunali e successivamente non è stato ammesso al passivo accertato dalla Commissione straordinaria, con nota del 14 maggio 2013 (doc.to 2) e deliberazione del del 7 giugno 2013 (doc.to 1); 2) in secondo luogo ha chiesto di accertare il credito della Camera di commercio nei confronti del Comune di Alessandria, condannando quest'ultimo al pagamento di Euro 326.808,57, oltre rivalutazione monetaria e interessi moratori dalla data di richiesta di ammissione alla massa passiva del 25.10.2012 ( doc. 24) al saldo; 3) in terzo luogo, ed in via subordinata, per il caso di mancato accoglimento delle domande proposte in via principale, ha esperito domanda ai sensi dell'art. 191 comma IV TUEL per il pagamento sempre della medesima somma nei confronti di (...), in qualità di "amministratore" che, ai sensi della sopra citata norma, aveva consentito la fornitura di beni e servizi in violazione degli obblighi indicati dai commi 1,2,3 del medesimo articolo; 4) infine ha avanzato, di nuovo contro il Comune di Alessandria, domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. surrogandosi al convenuto (...) che tale azione, in caso di accoglimento della domanda nei suoi confronti, può vantare contro l'ente pubblico comunale. Si è costituito in giudizio il Comune di Alessandria, con ampia e articolata memoria di replica a tutte le domande proposte, concludendo per il rigetto delle stesse. La causa è stata istruita a mezzo produzioni documentali e poi avviata alla fase decisoria. All'esito il Tribunale decide come segue. Per quanto riguarda la prima domanda come noto al Giudice Ordinario è consentito solo di disapplicare i provvedimenti amministrativi e non di annullarli. Nel caso che ci occupa poi è lo stesso Tar Piemonte che nella sentenza pronunciata fra le medesime parti ha statuito che le decisioni della Commissione Straordinaria di liquidazione di un Comune non sono veri e propri provvedimenti amministrativi che possano incidere su posizioni giuridiche soggettive, in quanto tale organo non effettua valutazioni di discrezionalità amministrativa ma compie meri accertamenti e tutt'al più valutazioni di ordine tecnico. Anche le deliberazioni comunali che escludono il riconoscimento di un debito fuori bilancio non hanno natura provvedimentale ma solo ricognitiva del presupposto, ossia l'arricchimento per l'ente. In definitiva - ha statuito il TAR - la posizione soggettiva azionata dalla Camera di Commercio si configura in termini di diritto soggettivo e non di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al Giudice Ordinario. Ne consegue che è in questa sede del tutto irrilevante stabilire se le decisioni amministrative impugnate dall'attrice siano state o meno legittime, in quanto in ogni caso inidonee a degradare un diritto soggettivo pieno. Fra le ultime sentenze che si sono pronunciate in materia, ancora una volta evidenziando come in controversie del tipo di quella oggetto di questo giudizio la situazione giuridica fatta valere in causa dal fornitore di beni e servizi si configura come posizione di diritto soggettivo, giacché correlata ad una pretesa di adempimento contrattuale, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, vedi Cass. Sez. Unite 29178/2020. Si passa dunque senz'altro ad esaminare la seconda domanda attorea relativa all'accertamento del diritto della Camera di commercio a vedersi pagare il prezzo dei beni e servizi forniti al comune. La domanda è infondata e deve essere disattesa, in applicazione del noto principio secondo cui i contratti della P.A. richiedono, per essere fonti di obblighi vincolanti per la P.A. stessa, la forma scritta ad substantiam ( vedi fra le ultime Cass. n. 638/19; Cass. 8539/2011; Cass. 8621/06 secondo cui "In tema di attività di diritto civile della P.A. vige il principio "formalistico" il quale disciplina laconclusione dei contratti da parte della P.A., nel senso che i contratti stipulati "iure privatorum" dalla P.A., ed in genere dagli enti pubblici, richiedono sempre la forma scritta "ad substantiam", conseguendone la inammissibilità di una conclusione del contratto stesso per fatti concludenti"). Nel caso che ci occupa è pacifico che tra la Camera di Commercio e il Comune di Alessandria non fu stipulato alcun contratto avente forma scritta: la Camera di Commercio basa infatti le sue richieste su della corrispondenza alquanto informale intercorsa fra tale ente e il Sindaco del Comune di Alessandria in particolare le due missive del 20 gennaio e del 7 aprile 2011 (doc.ti 3 e 6) le quali tuttavia non possono essere ritenute un valido contratto redatto per iscritto, in mancanza di specificazione dell'oggetto delle prestazioni rese (si parla assai genericamente di collaborazione fra gli enti per l'allestimento della manifestazione) e del loro prezzo ( mai menzionato se non in termini di generico finanziamento cui il Comune era disposto e salvo quanto si dirà infra). Né la difesa di parte attrice può sostenere, che, essendosi nell'ambito della procedura speciale di riconoscimento di un debito fuori bilancio prevista dall'art. 194 D.Lgs. n. 267 del 2000, si derogherebbe alla necessità di un rapporto contrattuale scritto fra i due enti, "perché, in caso contrario, il Comune prima e la Commissione straordinaria di liquidazione poi, avrebbero accolto la pretesa creditoria di parte attrice" (memoria ex art. 183 comma VI n. I pag. 2). A parte l'osservazione che nel caso che ci occupa è pacifico che il Comune di Alessandria neppure annoverò fra i debiti fuori bilancio - da esso riconosciuti prima dell'apertura della procedura di dissesto - il rapporto oggetto di questo giudizio (vedi doc.to 14 in cui non si fa alcun riferimento a tale rapporto), in ogni caso, per giurisprudenza costante e ormai consolidata della Suprema Corte : "La delibera comunale con la quale, in sede di riconoscimento di debito fuori bilancio, il Comune destina una somma al pagamento del corrispettivo dell'opera eseguita, in assenza di un valido contratto a monte fonte di obbligazione, non può configurarsi come ricognizione postuma di debito, non innovando, pertanto, il detto riconoscimento la disciplina che regolamenta la conclusione di contratti da parte della P.A., né introducendo una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi senza la forma scritta richiesta "adsubstantiam". Cass. 15303/2022 Vedi anche le seguenti due massime scelte tra le ulteriori pronunce più recenti ( le sottolineature sono della scrivente): "La delibera comunale con la quale, in sede di riconoscimento di debito fuori bilancio, il Comune destina una somma al pagamento del corrispettivo dell'opera eseguita, in assenza di un valido contratto a monte fonte di obbligazione, non può configurarsi come ricognizione postuma di debito, non innovando, pertanto, il detto riconoscimento la disciplina che regolamenta la conclusione di contratti da parte della p.a., né introducendo una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi senza la forma scritta richiesta "ad substantiam". (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che una missiva inviata da un dirigente del comune, all'uopo incaricato con una delibera della Giunta Comunale, contenente una proposta transattiva, integrasse un accordo con valenza di riconoscimento di debito fuori bilancio a carico dell'ente pubblico)". Cass. 510/2021 Il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ex art. 5 del D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, poi trasfuso nell'art. 194, comma 1, lett. e), del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, costituisce un procedimento discrezionale che consente all'ente locale di far salvi nel proprio interesse - accertati e dimostrati l'utilità e l'arricchimento che ne derivano, per l'ente stesso, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza - gli impegni di spesa perl'acquisizione di beni e servizi in precedenza assunti tramite specifica obbligazione ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non introduce una sanatoria per i contratti nulli o,comunque, invalidi - come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta "ad substantiam" - né apporta una deroga al regime di inammissibilità dell'azione di indebito arricchimento di cui all'art.23 del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 1989, n. 144. Cass. 1510/2015 In conclusione in mancanza di un contratto scritto, necessario ad substantiam per obbligare il Comune nei confronti della Camera di Commercio, si deve concludere che l'ente attoreo non può vantare alcun valido diritto di credito nei confronti del Comune, per cui anche la seconda domanda attorea deve essere disattesa. Passando ora all'esame della terza domanda, proposta in via subordinata per il caso di mancato accoglimento delle domande proposte in via principale, la Camera di Commercio la propone ai sensi dell'art. 191 comma IV TUEL, per il pagamento sempre della medesima somma, nei confronti di (...), in qualità di "amministratore" che, ai sensi della sopra citata norma, aveva consentito la fornitura di beni e servizi in violazione degli obblighi indicati dai commi 1, 2, 3 del medesimo articolo. La domanda è fondata e merita accoglimento. Ed invero la norma richiamata e posta a base della domanda nei confronti dell'ex Sindaco di Alessandria (...), secondo cui nel caso in cui vi sia stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione degli obblighi indicati dai commi 1,2,e 3 dell'art. 191, il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per la parte che non è stata riconosciuta ai sensi dell'art. 194 Tuel, tra il fornitore e l'amministratore, il funzionario o il dipendente che hanno consentito la fornitura, ben può trovare applicazione nel caso che ci occupa, laddove certamente il rapporto obbligatorio in oggetto non è stato riconosciuto dal comune ai sensi dell'art. 194 TUEL e laddove il Sindaco ha giocato un ruolo fondamentale nell'indurre la Camera di Commercio a fornire i servizi di allestimento della manifestazione fieristica, non solo consentendo a tale fornitura, ma anzi espressamente e reiteratamente richiedendola. Si parla a tal proposito delle missive 20 gennaio ( doc. 3 fascicolo attoreo) e 7 aprile ( doc. 6) 2011, entrambe indirizzate al Presidente della Camera di Commercio di Alessandria: nella prima il Sindaco (...) propone il rinnovo della collaborazione fra Comune e Camera di Commercio per l'organizzazione della fiera" sulla base delle risorse economiche già conferite nello scorso esercizio", nella seconda chiede addirittura che "codesta amministrazione (e cioè la Camera di Commercio) "compia un ulteriore sforzo organizzativo e finanziario per completare tutti gli adempimenti necessari per la fiera stessa" precisando altresì che l'impegno economico della Camera di Commercio (che aveva già stanziato Euro 50.000) sarebbe rimasto invariato, mentre quanto anticipato da tale ente oltre a tale impegno sarebbe invece stato finanziato dal Comune, o dalle società ad esso collegate, o da sponsor privati. E' poi pacifico che la Fiera fu effettivamente organizzata dalla Camera di Commercio tramite il suo braccio operativo Aspera ed è documentalmente provato (vedi mandati di pagamento sub doc.ti 10 e 12 fascicolo attoreo) che la Camera di Commercio ha provveduto all'integrale pagamento delle spettanze di Aspera. Quanto alle prestazioni rese, dall'esame del documento n. 11, rendiconto reso da Aspera alla Camera di Commercio, è possibile ricavare quali servizi sono stati forniti ( ad es. progettazione, pubblicità dell'evento, realizzazione filmati e striscioni, allestimento aree e stand floreali, fornitura piante, noleggio attrezzature varie etc.) e da quali imprese subappaltatrici ( per ogni subfornitura è indicato il subfornitore, il servizio reso, il numero e la data della fattura, nonché l'importo richiesto da ciascuno). Il totale come detto è pari a Euro 376.808,57, di cui Euro 50.000 stanziati dalla Camera di Commercio, il resto a carico del Comune ( o di eventuali suoi sponsor). Non vi è quindi alcun ragionevole dubbio sul fatto che il già Sindaco del Comune di Alessandria abbia "consentito", come richiede la norma qui azionata, le forniture in oggetto a cui peraltro non si è mai opposto anche quando le stesse hanno comportato più che un raddoppio della spesa inizialmente preventivata sulla base di quella dell'anno precedente, con la conseguenza che, ex lege, si è instaurato un rapporto obbligatorio fra il (...) e la Camera di Commercio. Il convenuto deve pertanto essere condannato a pagare alla Camera di Commercio l'importo in questione. Infine parte attrice, surrogandosi nei diritti dell'amministratore (...), ha esercitato nei confronti del Comune l'azione di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.. Sul punto occorre innanzitutto chiarire che la Camera di Commercio, in qualità di fornitore, non aveva in effetti azione diretta ex art. 2041 c.c. nei confronti del Comune, azione preclusa verso l'ente locale per carenza del requisito di sussidiarietà (art. 2042 c.c.), poiché esiste altra azione esperibile, quella appunto ex art. 191 comma IV TUEL, sebbene non verso l'ente arricchito ma verso altro soggetto, qual è l'amministratore la cui condotta ha reso possibile il sorgere del credito vantato dal privato fornitore (cfr., tra le tante, Cass. n. 11036 e 30109 del 2018, n. 80 del 2017, n. 18567 e 25860 del 2015; SU n. 29178 del 2020, al p. 2.4). Tanto premesso, per un certo periodo la giurisprudenza si è interrogata sulla possibilità per il fornitore di esperire non solo l'azione verso l'amministratore, ma anche, surrogandosi nei diritti di quest'ultimo, quella di arricchimento senza causa contro l'ente pubblico, arricchitosi per effetto delle forniture, e ciò in base al suggerimento in tal senso contenuto in un paio di sentenze della Corte Costituzionale, tra cui in particolare la sentenza n. 446/95. Dopo alcune oscillazioni (vedi ad es. Cass. 9447/2010 citata dal convenuto nei suoi scritti difensivi) la giurisprudenza si è da ultimo attestata nel senso di ammettere tale azione surrogatoria, che è quindi correttamente stata proposta da parte attrice in questo giudizio. Un'ulteriore questione da affrontare riguardava poi la necessità o meno del riconoscimento dell'indebito arricchimento da parte dell'ente pubblico, in quanto alcune sentenze lo richiedevano, altre no. La questione è stata poi devoluta alle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali sul punto hanno così disposto: "Il riconoscimento dell'utilità da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l'arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di "arricchimento imposto". Cass. Sez. Unite 10798/2015 In tale prospettiva il riconoscimento da parte della P.A. dell'utilità della prestazione o dell'opera può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o comunque imperfetta - trattandosi di un elemento estraneo all'istituto - bensì in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell'imputabilità dell'arricchimento all'ente pubblico. Mentre le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell'articolazione interna della pubblica amministrazione, che l'espediente giurisprudenziale del riconoscimento dell'utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente riconosciute (e coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato), applicando il principio di diritto comune dell'arricchimento imposto, in ragione del quale l'indennizzo non è dovuto se l'arricchito ha rifiutato l'arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole dell'eventum utilitatis. Si vedano ad implementazione della superiore motivazione le seguenti massime tratte dagli ultimi arresti giurisprudenziali in materia: "In tema di spese comunali fuori bilancio, qualora il funzionario pubblico attivi un impegno di spesa per l'ente locale senza l'osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione dell'ente, si determina una frattura "ope legis" del rapporto di immedesimazione organica, sicché il rapporto obbligatorio, non perfezionatosi nei confronti della P.A., si costituisce tra il privato el'amministratore. Quest'ultimo peraltro può agire nei confronti della P.A. ai sensi dell'art. 2041 c.c., avendo solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento senza che sia necessario alcun riconoscimento dell'utilità della prestazione da parte dell'ente e salva la possibilità, per quest'ultimo, di dimostrare che l'arricchimento sia stato non voluto, non consapevole ovvero imposto". Cass. 15415/2018 In tema di fornitura e servizi prestati in favore degli enti locali senza l'osservanza del procedimento contabile previsto per l'assunzione di obbligazioni vincolanti per l'ente locale, ai sensi dell'art.23, comma 4, del D.L. n. 66 del 1989 conv. con mod. dalla L. n. 144 del 1989, sostituito dall'art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 77 del 1995 poi modificato dall'art. 4 del D.Lgs. n. 342 del 1997 , e trasfuso nell'art. 191 del D.Lgs. n. 267 del 2000, il contraente privato fornitore non è legittimato a proporre l'azione diretta di indebito arricchimento verso l'ente pubblico per difetto del requisito di sussidiarietà mentre può esercitare l'azione ex art. 2041 c.c. nei confronti dello stesso ente "utendo iuribus" dell' amministratore suo debitore, agendo in via surrogatoria ex art. 2900 c.c. (contestualmente alla ed indipendentemente dalla) iniziativa nei confronti dell'amministratore onde assicurare e conservare le proprie ragioni quando il patrimonio di quest'ultimo non offra adeguate garanzie. In tal caso, il privato contraente ha l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento in correlazione con il depauperamento dell'amministratore, senza che l'ente possa opporre il mancato riconoscimento della "utilitas", salva la possibilità per l'ente medesimo di dimostrare che l'arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto. Cass. 5665/21 Si riportano i seguenti passaggi motivazionali di Cass. 5665/2021, particolarmente chiarificatori in quanto ripercorrono l'intero iter giurisprudenziale in materia: 2.1. - E' noto che l'amministratore o il funzionario pubblico che abbia attivato un impegno di spesa per un ente locale senza l'osservanza dei controlli contabili previsti dalla normativa pubblicistica risponde direttamente verso il privato fornitore, in forza del rapporto obbligatorio che si costituisce con lui, ai sensi del citato art. 23, comma 4, sostituito dall'art. 35, comma 4, del D.Lgs. n. 77 del 1995, modificato dall'art. 4 del D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 342, e poi trasfuso nell'art. 191 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, stante la frattura ope legis del rapporto di immedesimazione organica tra l'amministratore e l'ente pubblico, che preclude il perfezionamento del rapporto obbligatorio nei confronti di quest'ultimo. E' anche noto che al privato creditore è preclusa (oltre all'azione contrattuale) anche l'azione di ingiustificato arricchimento verso l'ente locale per carenza del requisito di sussidiarietà (art. 2042 c.c.), poiché esiste altra azione esperibile sebbene non verso l'ente arricchito ma verso altro soggetto, qual è, appunto, l'amministratore la cui condotta ha reso possibile il sorgere del credito vantato dal privato fornitore (cfr., tra le tante, Cass. n. 11036 e 30109 del 2018, n. 80 del 2017, n. 18567 e 25860 del 2015; SU n. 29178 del 2020, al p. 2.4). 2.2.-Questo assetto delle tutele, desumibile dal menzionato art. 23, comma 4, suscitò dubbi di legittimità costituzionale da chi osservava che "la disposizione censurata appare irragionevole perché a fronte di un arricchimento della p.a. a danno del privato fornitore esclude che questi possa agire nei confronti del soggetto che si è giovato dell'arricchimento, non solo per ottenere il prezzo delle opere o dei servizi eseguiti, ma altresì per rivalersi della patita correlativa diminuzione patrimoniale. Ed infatti, sussistendo la personale responsabilità contrattuale del funzionario e/o dell'amministratore, la p.a. committente non potrebbe essere convenuta in giudizio dal privato fornitore ex art. 2041 cod. civ. difettando il requisito della sussidiarietà, che .. postula che nessuna altra azione sia prevista, neppure nei confronti di soggetti diversi da quello beneficiario dell'arricchimento" (Corte cost. n. 446 del 1995). Tra i parametri costituzionali evocati vi era (oltre all'art. 3 Cost. per i profili di irragionevolezza della disciplina e disparità di trattamento) anche l'art. 24 Cost. "perché la tutela giurisdizionale dell'appaltatore risulta vanificata nel momento in cui all'amministrazione pubblica debitrice viene sostituito ope legis altro soggetto munito di un indice di solvibilità quanto meno di grado inferiore, quando non nullo, con conseguente riduzione o elisione delle garanzie patrimoniali dell'iniziale obbligazione come sorta tra l'ente pubblico e il privato fornitore". La predetta questione di legittimità costituzionale fu dichiarata infondata dalla Corte costituzionale, la quale tuttavia non avallò in alcun modo soluzioni interpretative che avessero l'effetto di provocare un "disancoramento dell'acquisito vantaggio per l'ente da ogni possibilità che, per un verso, l'ente stesso sia chiamato a corrispondere l'indennizzo di cui all'art. 2041 c.c. e che, per altro verso, il contraente abbia strumenti per recuperare al proprio patrimonio una somma almeno pari a tale indennizzo". E' per questa ragione che la Corte, salvaguardando il principio di sussidiarietà dell'azione di ingiustificato arricchimento, affermò che "da un lato, quindi,sussistono in favore del funzionario (o amministratore) le condizioni affinché egli possa esercitare l'azione ex 2041 cod. civ. verso l'ente nei limiti dell'arricchimento da questo conseguito; dall'altro, e per conseguenza, il contraente privato è legittimato, utendo iuribus del funzionario (o amministratore) suo debitore, ad agire contro la pubblica amministrazione - anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui - in via surrogatoria ex art. 2900 cod. civ. "per assicurare che siano soddisfatte o conservatele sue ragioni" quando il patrimonio del funzionario (o amministratore) non offra adeguata garanzia". Ed ancora, "poiché, in definitiva, l'ente, nei limiti del suo arricchimento, è tenuto all'indennizzo, ed il contraente privato ha titolo per conseguire, entro gli stessi limiti, il ristoro della diminuzione patrimoniale subita, ne segue che si appalesa infondata, nei termini in cui è stata proposta, la censura di irragionevolezza della disposizione denunciata, la quale .. risulta finalizzata ad assicurare una rigorosa applicazione della normativa contabile e quindi un rigido controllo delle spese. La riconosciuta tutela del terzo contraente, così come sopra articolata, consente anche di escludere ... che sussista la disparità di trattamento denunziata rispetto alle ipotesi in cui un soggetto, non avendo alcuna azione specifica né nei confronti di chi si è arricchito, né di altri, può esperire in via diretta l'azione generale di arricchimento" (v. Corte cost. n. 446 del 1995). 2.3.( Omissis) 2.4.- L'azione diretta di indebito arricchimento verso l'amministrazione locale, come si è detto, è preclusa al fornitore, il quale può proporre in via principale l'azione contrattuale nei confronti dell'amministratore, in ragione della costituzione ope legis del rapporto obbligatorio tra il primo (fornitore) e il secondo (amministratore). La proposizione di tale azione può condurre a un risultato integralmente o parzialmente satisfattivo per le ragioni creditorie del privato fornitore e, in ogni caso, espone l'amministratore a un depauperamento patrimoniale che si correla ad un arricchimento ingiustificato dell'amministrazione pubblica per avere comunque beneficiato di una prestazione patrimoniale senza corrispettivo. Si innesca, di conseguenza, una duplice esigenza di tutela: 1) dell'amministratore, che può essere soddisfatta mediante la proposizione, in mancanza di altre azioni, dell'azione di ingiustificato arricchimento verso l'ente pubblico, a norma dell'art. 2041 c.c., assolvendo, a tal fine, al solo onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento: infatti, il principio secondo cui il riconoscimento dell'utilitas da parte dell'arricchito non costituisce requisito dell'azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. ha solo l'onere di provare il fatto oggettivo dell'arricchimento, senza che l'ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso (Cass. SU n. 10798 del 2015), è applicabile anche al caso in cui sia l'amministratore ad agire verso l'ente pubblico, ai sensi dell'art. 2041 c.c., salva la possibilità per l'ente di dimostrare che l'arricchimento sia stato non voluto, non consapevole o imposto (cfr. Cass. n. 15415 del 2018), restando superato il diverso orientamento emerso nella giurisprudenza antecedente alle Sezioni Unite del 2015 (cfr. Cass. n. 9447 del 2010); 2) del privato fornitore, al quale la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto il diritto di agire verso l'ente pubblico in surrogatoria "per assicurare che siano soddisfatte e conservate le sue ragioni creditorie" e, dunque, il diritto di "esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascuri di esercitare", ex art. 2900 c.c. 2.5.- Il fornitore ha il potere di agire verso l'ente pubblico utendo iuribus debitoris nella eventualità che il patrimonio del debitore (amministratore o funzionario) non offra adeguate garanzie per il soddisfacimento del credito (come di regola, per l'elevato valore delle prestazioni effettuate in favore di amministrazioni pubbliche), al fine di evitare gli effetti negativi che possano derivare alle proprie ragioni dall'inerzia del debitore. Come si è detto, "il contraente privato è legittimato ad agire contro la pubblica amministrazione anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui" (v. Corte cost. n. 446 del 1995) e, dunque, si sostituisce al proprio debitore (amministratore o funzionario) nell'esercizio dell'azione di indebito arricchimento verso l'ente pubblico, su di lui ricadendo l'onere di dimostrare i presupposti costitutivi dell'ingiustificato arricchimento dell'amministrazione in correlazione al depauperamento dell'amministratore. L'esito di tale giudizio, in caso di accoglimento della domanda, potrà essere anche di condanna diretta dell'amministrazione pubblica a favore del creditore agente insurrogazione, potendo l'azione proposta svolgere anche una funzione esecutiva (o "satisfattiva")qualora tenda al soddisfacimento di un credito in denaro che, se dal terzo (ente pubblico) fosse pagato al debitore, sarebbe da questi agevolmente sottratto all'esecuzione, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito, con la conseguenza che la finalità conservativa dell'azione risulterebbe del tutto frustrata (cfr., in tema di surrogatoria "satisfattiva", Cass. n. 723 del 1995, n.1435 del 1978, n. 72 del 1972, n. 188 del 1966). In applicazione dei superiori principi il Tribunale decide come segue sulla domanda surrogatoria proposta dalla Camera di Commercio. Fermo restando che la Camera di Commercio potrà agire esecutivamente contro il Comune solo laddove non abbia in qualche modo ottenuto il pagamento dall'amministratore (...), la domanda ex artt. 2900 e 2041 c.c. nei confronti del Comune appare parzialmente accoglibile. Infatti da un lato non è contestato che l'ottenuta condanna contro (...) si appalesa come del tutto inutile per la Camera di Commercio in quanto a fronte di assoluta assenza di beni facilmente aggredibili in capo al condannato ( cfr. doc. 47) è circostanza nota e documentalmente provata che il (...) è già stato destinatario di sentenza di condanna per oltre 4 milioni e mezzo di Euro da parte della Corte dei Conti, confermata in appello (doc.ti 48 e 49); dall'altro ritiene il Tribunale che vi sia in atti la prova dell'avvenuto arricchimento del Comune di Alessandria, che ha organizzato e patrocinato l'evento fieristico del 2011 senza sborsare finora nemmeno un Euro; sul punto si rimanda a quanto già argomentato supra con riferimento all'azione proposta nei confronti dell'amministratore. Peraltro che tale manifestazione rientrasse nell'attività dell'ente pubblico Comunale si può dare per più che provato, atteso che si tratta di manifestazione che il Comune organizzava da anni, che da anni finanziava sia pure con procedimenti di dubbia legalità (le risorse finanziarie venivano sempre deliberate e messe a disposizione dopo che la manifestazione si era già tenuta e le spese erano già state anticipate dalla Camera di Commercio), che è iniziativa, menzionata nei documenti 43 e 44 provenienti dal Comune, come rientrante nel perimetro dei fini istituzionali dell'ente. Ritenuto quindi che il Comune si è certamente arricchito ai danni della Camera di Commercio (o eventualmente del (...), qualora questi pagasse il suo debito) e rilevato come per la giurisprudenza sopra richiamata, l'ente non possa opporre né al (...) né alla Camera di Commercio il mancato successivo riconoscimento da parte sua dell'utilità ricevuta, occorre tuttavia accertare se una parte di tale arricchimento possa essere esclusa dalla condanna richiesta trattandosi di "arricchimento non voluto, non consapevole o imposto alla pubblica amministrazione". Sul punto ritiene il Tribunale che mentre una parte delle prestazioni effettuate al Comune dalla Camera di Commercio possono essere ritenute volute, consapevoli e non imposte, invece un'altra parte di tali prestazioni le abbia decise autonomamente la Camera di Commercio, senza in alcun modo neppure informare il Comune che per l'edizione 2011 avrebbe investito somme notevolmente superiori a quanto fatto precedentemente. In particolare risulta dalla documentazione in atti che mentre nelle edizioni precedenti al 2010 l'investimento richiesto al Comune era sempre stato piuttosto esiguo, per la prima volta nel 2010 il Comune aveva messo a disposizione Euro 150.000. Ed è in base a tale quantitativo di spesa che lo stesso (...), con la missiva del gennaio 2010, aveva chiesto alla Camera di Commercio di collaborare alla realizzazione dell'evento, e con la missiva in data 16 marzo 2011 (doc. 4) la Camera di Commercio aveva chiesto al Comune di procedere a liquidarle Euro 150.000. E' vero che con una lettera successiva il Sindaco aveva chiesto alla Camera di Commercio uno "sforzo ulteriore" rispetto al passato, ma tale invito appare tanto generico che a fatica si comprende come la spesa di cui inizialmente i due enti avevano parlato sia più che raddoppiata, passando da Euro 150.000 a Euro 326.000, anzi Euro 376.000 se si conta anche il contributo della Camera di Commercio. Altri contatti fra i due enti non ve ne sono stati, sicché appare evidente che di tale spesa, pari a più del doppio del normale, il Comune non è mai stato consapevole ( fino a che gli è poi stato chiesto il pagamento totale), e che una spesa tanto alta è stata decisa unilateralmente dall'ente attoreo. Ciò ad avviso del Tribunale è sufficiente per accogliere la domanda di arricchimento senza causa avanzata da parte attrice in via surrogatoria nei confronti del Comune nel limite di Euro 150.000, rigettandola per il resto. Le spese seguono la soccombenza di parte convenuta e si liquidano in dispositivo in base al D.M. n. 55 del 2014 aggiornato al D.M. n. 147 del 2022, causa di valore compreso tra Euro 52.000 e Euro 260.000, valori medi, con dimezzamento della fase di trattazione/istruttoria visto che non sono state raccolte prove costituende. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe, così decide: 1) Rigetta la domanda di annullamento provvedimenti del Comune di Alessandria; 2) Rigetta la domanda di condanna del Comune di Alessandria al pagamento di Euro 326.808,57 a titolo di adempimento contrattuale; 3) in accoglimento della domanda ex art. 191 comma IV TUEL proposta contro (...) condanna quest'ultimo a pagare alla Camera di Commercio di Alessandria la somma di Euro 326.808,57 oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data della domanda di ammissione al passivo dell'ente del 25-10-2012 al saldo; 4) in accoglimento della domanda ex artt. 2900 e 2041 c.c. proposta dalla Camera di Commercio di Alessandria surrogandosi nel diritto di (...) contro il Comune di Alessandria, condanna quest'ultimo a pagare a parte attrice la somma di Euro 150.000 oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data della domanda di ammissione al passivo dell'ente del 25-10-2012 al saldo; 5) condanna infine il comune di Alessandria e (...) in solido fra loro a rifondere a parte attrice le spese di lite che liquida in Euro 1.241,00 per esborsi e in Euro 11.268 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA nelle percentuali di legge. Così deciso in Alessandria il 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZ. CIVILE Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 448/18 del Ruolo Generale dell'anno 2018, posta in deliberazione all'udienza del 21.12.2022 e vertente tra (...) s.p.a. in persona del procuratore A.B., con sede in M., elett.te dom.ta in Acqui Terme presso lo studio dell'avv.to Gi.Br., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato Fe.Ca. del Foro di Verona come da mandato a margine dell'atto di citazione Attrice contro (...), in atti gen.to, res. in V. (A.) rappresentato e difeso dall'Avv.to En.Co. del Foro di Alessandria come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta. Convenuto (...), in atti gen.ta, res. in A., fraz. Z., rappresentata e difesa, per mandato a margine della comparsa di costituzione con nuovo difensore del 14 dicembre 2018, dall'Avv.to Ma.Ga. del foro di Alessandria. convenuta OGGETTO: azione di rivalsa ex artt. 1916 c.c. e 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 MOTIVAZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Nel presente giudizio (...) ha esercitato azione di rivalsa ex artt. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 nei confronti dell'assicurata del beneficiario della polizza che assicurava per la circolazione l'autovettura (...) di proprietà di (...) e condotta da (...), esponendo che il (...) aveva dolosamente cagionato, in data 9 agosto 2012 un sinistro stradale, utilizzando l'auto in questione per tamponare volontariamente l'auto condotta da (...) e successivamente, quando questi era sceso dalla stessa, investirlo cagionandogli gravi lesioni. A seguito di ciò la compagnia assicurativa aveva corrisposto al (...) l'indennizzo pari a Euro 108.919,20 ( Euro 97.500 oltre spese legali), che ora (...) chiedeva di recuperare contro il conducente e la proprietaria del veicolo, azione cui era legittimata in applicazione dell'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 a mente del quale l'impresa di assicurazione ha diritto di rivalsa verso l'assicurato, nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare del tutto o ridurre la propria prestazione. A tal proposito l'attrice richiamava l'art. 1917 comma I ultimo periodo del c.c. e l'art. 13 delle CDG del contratto di assicurazione per responsabilità civile verso terzi, a mente del quale erano assicurati solo i danni involontariamente cagionati a terzi, con esclusione di quelli, come nel caso oggetto di causa, causati invece con dolo. Evidenziava ancora come il (...), commessi i fatti di cui sopra, era stato successivamente tratto in arresto per tentato omicidio e poi condannato per tale reato, in appello derubricato in lesioni dolose aggravate. In via subordinata esercitava una non meglio precisata azione surrogatoria, richiamando l'artt. 1203 c.c. e 1917 comma I c.c.. Si costituivano in giudizio i convenuti. (...) contestava soprattutto il quantum della pretesa di parte attrice, evidenziando come (...) avesse indennizzato in maniera troppo generosa e comunque ingiustificata il danneggiato (...). (...) si difendeva evidenziando come il (...), padre dei suoi figli da cui si era da tempo separata al momento del fatto, le avesse sottratto di nascosto le chiavi dell'automobile di sua proprietà per poi utilizzarla per commettere, a sua totale insaputa e prohibente domino, i delitti contro il (...). In applicazione dell'art. 2054 comma III ultimo periodo c.c. che esonera il proprietario da responsabilità se la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, chiedeva che la domanda nei suoi confronti fosse integralmente rigettata. La causa veniva istruita mediante consulenza tecnica d'ufficio - volta a quantificare il danno non patrimoniale subito da E.(...) posto che il diritto dell'assicuratore che agisca in surrogazione è sottoposto al duplice limite dell'ammontare del danno effettivamente riportato dal danneggiato e dell'ammontare dell'indennizzo effettivamente pagato - e posta una prima volta in decisione. Il Tribunale rimetteva la causa sul ruolo per istruirla anche sull'eccezione di parte convenuta (...). Veniva quindi espletata prova per testi, dopodiché la causa veniva nuovamente rinviata per p.c. All'esito il Tribunale decide come segue. La domanda di parte attrice è per lo più fondata nei confronti di M.L.. A tal proposito la documentazione versata in atti, ivi compresa quella acquisita d'ufficio presso il NORM dei Carabinieri di Casale Monferrato e la Stazione di Cerrina, provano senza dubbio che il convenuto dolosamente dapprima tamponò l'auto del (...) e poi, sceso questo dall'auto, lo investì passandogli sopra con la vettura, cagionandogli lussazione della sinfisi pubica e diastasi delle ossa del pube. Il (...) giustificò il suo comportamento adducendo di avere crediti da lavoro contro il (...) che questi non gli aveva pagato; successivamente fu arrestato dai Carabinieri, processato e condannato, dapprima per tentato omicidio e poi per lesioni dolose aggravate. A seguito di ciò l'assicuratore ha pagato al (...) i danni dallo stesso subiti ( vedi doc.ti sub (...)). Sul fatto che la garanzia assicurativa nei confronti del terzo danneggiato copre anche i danni dolosamente causati dal conducente del veicolo vedi Cass. 20 agosto 2018 n. 20786; Cass. ulteriori 19368/2017. Il diritto di rivalsa dell'assicuratore per quanto pagato al danneggiato discende dall'art. 144 del Codice delle Assicurazioni che prevede che l'assicurazione ha diritto di rivalsa verso l'assicurato nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente il diritto di rifiutare la proprie prestazioni: in questo caso il diritto a rifiutare la copertura assicurativa discende dall'art. 1917 comma I ultimo periodo del c.c. e dall'art. 13 delle CDG del contratto di assicurazione per responsabilità civile verso terzi ( Doc. 1 fascicolo attoreo), a mente del quale erano assicurati solo i danni involontariamente cagionati a terzi, con esclusione di quelli, come nel caso oggetto di causa, causati invece con dolo. Circa il quantum dovuto il CTU ha accertato che il danneggiato, di anni 44 al momento del sinistro, riportò un'invalidità permanente pari a 15 punti percentuali, che, tenuto conto anche del danno morale, si liquida in base alle tabelle del Tribunale di Milano, in complessivi Euro 42.622. A ciò si aggiungano Euro 13.965 per gg. 120 di invalidità temporanea di grado elevato e per gg. 90 di invalidità temporanea di grado medio, secondo il conteggio proposto nella precisazione delle conclusioni da parte attrice, per un totale di Euro 56.587. Tale importo può poi essere aumentato del 30% per danno morale personalizzato conseguito da accertato fatto di reato doloso, così giungendosi all'importo finale di Euro 73.563,10. Ed è questo l'importo che deve essere posto a carico del convenuto M.L., mentre per l'importo residuo la domanda deve essere rigettata, non comprendendosi bene a quale titolo l'assicurazione abbia liquidato al danneggiato un importo maggiore ( pari a Euro 97.500, vedi doc.ti sub 7 ) e non potendosi porre a carico del (...) gli ulteriori oneri legali rimborsati dall'assicurazione. Passando ora alla domanda proposta nei confronti di (...) si deve rilevare come la stessa sia riuscita a provare che il (...) le aveva sottratto a sua insaputa le chiavi dell'automobile dalla borsa personale. Un tanto, dichiarato dalla convenuta in sede di interrogatorio libero, è stato indirettamente confermato dal teste (...), fratello della convenuta, il quale, pur non essendo presente a casa del (...) (ove la (...) si era recata per farlo stare insieme ai figli avuti dalla coppia da tempo separata) ha confermato sia la separazione della coppia, sia i cattivi rapporti fra i due e fra il (...) e la famiglia (...), sia che la sorella si recava di tanto in tanto a casa del (...) per fargli incontrare i figli, sia infine che il giorno del sinistro la sorella aveva ad un certo punto telefonato a casa della famiglia di origine per chiedere di andarla a prendere a casa del (...), essendosi questi allontanato con la sua auto dopo averle preso le chiavi. Lui stesso o il padre erano poi andati e prendere la ragazza e i bambini. Il teste ha anche aggiunto che da quando (...) se n'era andata da casa il (...) era rimasto privo di auto. Le riferite circostanze consentono di ritenere sufficientemente provato che la circolazione del veicolo in occasione del sinistro è avvenuta contro la volontà della proprietaria (...), la quale era da tempo separata dal (...) e non aveva nessun valido motivo per consentirgli di usare la propria auto, tanto più che certamente la donna sapeva che si trattava di soggetto poco affidabile, come dimostra il grave comportamento dallo stesso tenuto in occasione del sinistro. Anche la circostanza che il (...) non avesse una propria auto appare rilevante, perché conferma che la sottrazione alla (...) della chiavi faceva parte di un unico disegno criminoso iniziato con l'impossessamento dell'auto che il (...) aveva intenzione di usare come arma letale contro il (...). Va inoltre rilevato come tale impossessamento sia avvenuto non solo ad insaputa della (...) (invito domino), ma anche e certamente contro la volontà di questa (prohibente domino); né, visto che la (...) si trovava fuori di casa, le si può imputare alcuna leggerezza nella sorveglianza delle chiavi, che teneva nella sua borsa personale come chiunque altro avrebbe fatto, e di cui il (...) si impossessò approfittando di una sua momentanea distrazione. In diritto occorre osservare che, sebbene l'art. 144 D.Lgs. n. 209 del 2005 in punto azione di rivalsa dell'assicuratore verso l'assicurato non riproduca il vecchio disposto previsto dal comma III dell'art. 1 della (...) n. 990 del 1969 che escludeva l'azione di rivalsa dell'assicurazione contro il proprietario del veicolo nell'ipotesi di circolazione prohibente domino facendo salva l'azione solo verso il conducente, la nuova disposizione deve comunque essere interpretata nel senso che i sinistri causati da veicoli circolanti contro la volontà del proprietario, anche in assenza di denuncia di furto - non generano alcuna responsabilità del proprietario assicurato. Ciò non solo in quanto questa era l'interpretazione della norma sotto la vecchia codificazione ma anche perché il principio posto dall'art. 2054 comma III ultimo periodo c.c., che esonera il proprietario da responsabilità se la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, appare principio di tenore generale, applicabile non solo nel caso espressamente ivi previsto con riferimento alla responsabilità diretta di conducente e proprietario nei confronti del danneggiato, ma anche con riferimento all'azione di rivalsa ex art. 144 codice delle Assicurazioni. In tale senso vedi Cass. n. 8622/2003 che esclude l'azione di rivalsa contro il proprietario nell'ipotesi di circolazione del veicolo avvenuta contro la sua volontà, Cass. n. 1502/1997 e Cass. n. 5698/1991. A maggior ragione la stessa conclusione deve ritenersi anche per il caso di azione surrogatoria ex art. 1203 n. 3) c.c. , esercitata dall'assicurazione in via subordinata: è infatti evidente che se neppure il (...) aveva azione contro la (...) visto il disposto dell'art. 2054 comma III ultimo periodo c.c., tantomeno il medesimo inesistente diritto può essere fatto valere in via surrogatoria dalla compagnia assicuratrice. In conclusione la domanda è accolta contro il (...) e respinta contro la (...). Le spese tutte, che seguono il principio di soccombenza, si liquidano in base al D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 2022 , tabella 2, causa di valore da Euro 52.000 a Euro 260.000, valori minimi, considerato che il reale valore della causa si attesta assai vicino alla fascia più bassa dello scaglione. P.Q.M. Il Tribunale di Alessandria, definitivamente pronunciando, respinta ogni altra domanda, istanza, deduzione ed eccezione: condanna (...) a pagare a (...) s.p.a. la somma di Euro 73.563,10 per le causali di cui in motivazione oltre interessi moratori al tasso di cui cui all'art. 1284 comma IV c.c. dalla data della messa in mora del 30 dicembre 2016 (doc.to 9) al saldo; pone le spese di CTU definitivamente a carico di (...); rigetta la domanda proposta nei confronti di (...); Condanna (...) al pagamento delle spese di lite in favore di (...) s.p.a., che liquida in Euro 786,00 per esborsi ed Euro 7.051,50 per compensi, oltre al 15% sul compenso per spese generali, CPA e IVA come per legge; Condanna (...) s.p.a, al pagamento delle spese di lite in favore di (...), che liquida in Euro 7.051,50 per compensi, oltre al 15% sul compenso per spese generali, CPA e IVA come per legge; con distrazione delle spese a favore del difensore, dichiaratosi antistatario. Così deciso in Alessandria il 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 735/20 del Ruolo Generale dell'anno 2020, posta in deliberazione all'udienza del 6.12.2022 e vertente tra Azienda Agricola (...), in persona dell'omonimo rappresentante in atti gen.to, corrente in G. (A.), rappresentata e difesa dall'Avvocato Al.Pi. del foro di Alessandria come da mandato in calce all'atto di citazione, e presso lo stesso elettivamente domiciliata. Attrice contro SOCIETA' (...), con sede in (...), in persona del Responsabile Direzione Sinistri (...), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Fa.Be. e An.An. del Foro di Torino, ed elettivamente domiciliata presso gli stessi. Convenuta OGGETTO: azione per pagamento acconto su indennizzo assicurativo MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato l'Azienda Agricola (...) conveniva in giudizio (...) esponendo che la (...) s.r.l. aveva stipulato in data 20 dicembre 2018 la polizza assicurativa n. (...) che era un contratto di assicurazione "per conto di chi spetta" con cui erano state assicurate le merci di proprietà di terzi che transitavano nei magazzini della (...) Il 29 dicembre 2018 si sviluppava un grosso incendio nella proprietà della (...), ove andavano distrutti, oltre ai fabbricati della contraente, anche le merci ivi stoccate, tra cui una grossa quantità di merci ortofrutticole di proprietà dell'azienda agricola attrice, assicurate con la polizza in questione. Ebbene nonostante fosse trascorso oltre un anno dal sinistro, e l'(...), nel frattempo fallita, avesse fatto tutto quanto ad essa spettante per ottenere l'indennizzo assicurativo e il procedimento penale contro ignoti per incendio doloso fosse stato archiviato, nulla era stato pagato dalla Compagnia di assicurazione. Agiva pertanto l'azienda, in qualità di soggetto assicurato e terzo beneficiario della polizza, per vedersi pagare, in applicazione dell'art. 1891 comma II c.c., quanto meno l'acconto dell'indennizzo ad essa spettante, pari ad Euro 500.000 e cioè circa la metà del danno riportato dall'attrice, che era già stato quantificato dal tecnico incaricato a suo tempo da (...) in cifra compresa fra Euro 1.100.000 e Euro 1.300.000. Si costituiva in giudizio (...) che eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell'attrice la quale non poteva far valere i diritti derivanti dal contratto di assicurazione in forza della clausola di cui al 6.1. della Condizioni Generali di Contratto allegate alla polizza azionata, diritti spettanti invece al contraente (...), e previo lo svolgimento di un procedimento di accertamento e liquidazione del danno che non si era ancora svolto, sia perché nel frattempo la (...), di cui peraltro (...) era socio al 25%, era fallita, sia perché sin da subito il sinistro era apparso assai sospetto, e si erano radicati alcuni procedimenti penali. A tal proposito evidenziava come la (...) fosse da molto prima della stipula della polizza gravata da debiti per milioni di Euro nei confronti del fisco, che la polizza era stata stipulata appena otto giorni prima dell'incendio, che la stessa Procura di Alessandria aveva raccolto degli elementi che facevano propendere per la dolosità dell'incendio fra cui la testimonianza di alcuni dipendenti che avevano dichiarato che nei giorni precedenti al sinistro erano stati accumulati all'interno del capannone materiali di scarto, che (...) aveva già subito condanne penali. Infine eccepiva che non vi era alcuna effettiva prova del danno subito dall'attrice, la quale si era limitata ad allegare che merce di sua proprietà fosse all'interno dei magazzini (...), e che la stima di parte fornita dal tecnico inizialmente incaricato dalla contraente (poi revocato dalla curatela) non si capiva neppure su cosa fosse basata, oltre ad essere manifestamente eccessiva se si consideravano le capacità produttive dell'azienda agricola. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea. La causa veniva istruita a mezzo le produzioni delle parti, e rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'esito il Tribunale decide come segue. La domanda attorea è infondata e non può essere accolta. Parte attrice basa la sua istanza su quanto statuito dal comma II dell'art. 1891 c.c. dettato in materia di assicurazione per conto di chi spetta, categoria cui è ascrivibile, senza dubbio, il contratto di assicurazione invocato, e in particolare la Polizza e relative condizioni generali prodotta sub doc.ti n. 3 e 4 laddove la contraente (...) s.r.l. stipulò con reale Mutua un contratto per proteggere le merci depositate presso i suoi magazzini. In questo caso infatti, qualora le merci in deposito appartengano a soggetto diverso dal contraente, assicurato e beneficiario della polizza in caso di sinistro diviene il soggetto proprietario delle stesse, identificato (non al momento della conclusione del contratto di assicurazione) ma di volta in volta al momento del sinistro. Il comma II dell'art. 1891 c.c. recita in effetti che " I diritti derivanti dal contratto spettano all'assicurato"( nel nostro caso parte attrice); si tratta tuttavia di una norma che le parti possono derogare, in quanto il secondo comma dell'art. 1891 c.c. non è compreso tra le disposizioni che l'art. 1932 c.c. dichiara espressamente inderogabili se non in senso più favorevole all'assicurato. Deve pertanto ritenersi valida in un contratto di assicurazione per conto di chi spetta una clausola secondo la quale è il contraente (nel nostro caso (...) s.r.l.) e non il terzo beneficiario a poter esercitare i diritti e le azioni nascenti dal contratto. Si veda sul punto Cass. 31 gennaio 2012 n. 1362 secondo cui " In tema di assicurazioni, qualora il contratto rientri nello schema normativo di cui all'art. 1891 c.c., ben può derogare alla disciplina legale, atteso che l'articolo in questione non è compreso tra le disposizioni che l'art. 1932 c.c. dichiara espressamente inderogabili. Ne consegue che eventuali clausole limitative e le eccezioni in esso contenute possono essere opposte dalla compagnia di assicurazioni al beneficiario in quanto il suo diritto non è svincolato dalle pattuizioni contrattuali". Conforme Cass. n. 709/1995. Vedi anche Cass. 13 dicembre 2007 n. 26253 a mente della quale "Nell'assicurazione per conto di chi spetta ha diritto all'indennità chi al momento dell'evento dannoso risulti proprietario della cosa danneggiata o titolare di un diritto reale o di garanzia su di essa, mentre il contraente, anche quando si trova in una relazione di custodia con la cosa, può pretendere l'indennità in luogo dell'avente diritto se quest'ultimo presti il proprio consenso ovvero se ciò sia previsto da apposita clausola". Ebbene nel contratto posto a base della domanda di indennizzo è proprio presente una clausola di tal fatta: in particolare nelle condizioni generali al paragrafo 6.1. è previsto che "Le azioni, le ragioni e i diritti nascenti dalla polizza non possono essere esercitati che dal contraente (nel nostro caso (...) s.r.l.) e dalla (...)S. in particolare al contraente compiere gli atti necessari all'accertamento e alla liquidazione dei danni ...", accertamento e liquidazione vincolanti anche per il beneficiario assicurato - prosegue il 6.1. - il quale deve in ogni caso prestare il consenso al pagamento dell'indennizzo assicurativo al contraente, conformemente a quanto previsto dall'art. 1891 comma II c.c., seconda parte. La chiara e perfettamente valida clausola in questione, invocata da (...) nelle sue eccezioni, impedisce dunque al soggetto attore, semplice assicurato e non contraente, di agire in proprio per ottenere l'accertamento e la liquidazione del danno e il pagamento dell'indennizzo. Appare inoltre evidente che la prestazione del consenso al pagamento al contraente non coincide certo con la legittimazione a richiedere e ottenere l'indennizzo. La difesa di parte attrice sostiene che la clausola in oggetto non riguarda la titolarità del diritto all'indennizzo, ma prevederebbe solo la necessità di un iter, di tipo amministrativo, volto all'accertamento e liquidazione del danno; in altre parole bisognerebbe distinguere tra tale iter e il diritto al pagamento dell'indennizzo, da esso svincolato: a sostegno di tale tesi richiama Cass. 14 luglio 2017 n. 17447 secondo cui avendo tale clausola ad oggetto la sola attività necessaria alla liquidazione del sinistro, nel caso in cui poi l'assicuratore non corrisponda spontaneamente l'indennizzo e sia necessario ricorrere all'autorità giudiziaria deve tornare a trovare applicazione l'art. 1891 comma II; nel caso che ci occupa inoltre non è neppure stato richiesto il pagamento dell'intero indennizzo, ma solo dell'acconto previsto dal paragrafo 6.11 delle CGC che prescinde del tutto dall'iter di accertamento e liquidazione del danno, essendo sottoposto solo a limiti temporali, ormai trascorsi, e di quantificazione del danno finale liquidabile, che non deve essere inferiore a 100.000 Euro ( mentre qui il danno sarebbe di molto maggiore). Sul primo punto è facile osservare innanzitutto che non è chi non veda come l'accertamento e la liquidazione del danno, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa attorea, sono intimamente collegati con il pagamento dell'indennizzo, in quanto tale secondo momento presuppone inevitabilmente il primo; in secondo luogo che nel caso che ci occupa l'iter di accertamento eliquidazione del danno non si è affatto compiuto, essendosi al contrario limitato, come si evince dalla documentazione prodotta dalla stessa parte attrice (vedi doc.ti da 18 a 26), alla nomina dei periti delle due parti e alle stime effettuate dal Geom. Canovi ( incaricato da (...) s.r.l.) ed essendosi le operazioni poi arrestate sia per effetto della revoca del perito della (...), nel frattempo fallita (vedi doc.ti sub n. 2 fascicolo convenuta), sia con ogni probabilità a seguito della denuncia di fraudolento danneggiamento di beni assicurati presentata da (...) presso la Procura di Torino (oggi il procedimento - secondo quanto affermato da (...) in conclusionale e non contestato da controparte nella replica - è giunto al rinvio a giudizio di L.C.A.) e a seguito di altro procedimento penale già pendente presso la Procura di Alessandria, ufficio che - nel corso di questo giudizio - sarebbe giunto a chiedere il rinvio a giudizio di (...), legale rappr.te di (...), per insolvenza fraudolenta e incendio doloso. Né la pendenza di tali procedimenti potrebbe essere motivo di sospensione di questo processo (come richiesto dall'attrice nella replica conclusionale), non trattandosi di questione pregiudiziale in senso tecnico ed anzi ancora una volta dimostrando, proprio la sussistenza di accertamenti penali in corso, che non è al momento possibile accertare e liquidare il sinistro in oggetto. Quanto alla circostanza che nel caso che ci occupa è stato chiesto il pagamento del solo acconto è evidente che anche il diritto all'acconto è subordinato a determinate condizioni che non si sono (ancora) verificate e in particolare, secondo il dettato del paragrafo 6.11 delle CGC è sottoposto alla "condizione che non siano sorte contestazioni sulla indennizzabilità del sinistro", contestazioni che - in base a tutto quanto sopra riportato - qui sono sorte, eccome. In definitiva e per i motivi sopra esposti la domanda di parte attrice non può che essere rigettata. Le spese seguono la soccombenza dell'Azienda Agricola (...) e si liquidano in dispositivo in base al D.M. n. 55 del 2014 come aggiornato dal D.M. n. 147 del 1922, tabella 2, causa di valore compreso fra Euro 260.000 ed Euro 520.000, parametri medi, con esclusione della fase di trattazione/istruttoria visto che non sono state assunte prove. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, nella causa civile in epigrafe, così decide: rigetta la domanda attorea; condanna Azienda agricola (...) a rifondere alla convenuta le spese di lite, che liquida in Euro 12.046 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA come per legge. Così deciso in Alessandria il 13 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZ. CIVILE Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 3711/13 Ruolo Generale dell'anno 2013, posta in deliberazione all'udienza del 24.11.2022 vertente tra (...) e (...), in atti gen.ti, res.ti in (...) (A.), rappresentati e difesi dall'Avv.to Fa.Ma. del Foro di Genova, elett.te dom.ti presso lo studio dell'Avvocato Ma.Bi. del Foro di Alessandria, in Tortona via (...), come da mandato in calce all'atto di citazione. Attori Contro (...), (...) e (...), in qualità di eredi di (...), tutti in atti gen.ti, res.ti in G., rappresentati e difesi dall'Avv.to Ma.Ba. del Foro di Genova, elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, come da procura in calce alla comparsa di costituzione in riassunzione del 28 ottobre 2021. Convenuti Notaio (...), in atti gen.to, res.te in (...), rappresentato e difeso dagli Avv.ti St.Gi. e Ma.Fe. del Foro di Roma, elettivamente domiciliato presso l'Avv.to Do.Bu. del Foro di Alessandria, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta. Convenuto Geom. (...), in atti gen.to, res.te in (...), rappresentato e difeso dall'Avv.to St.Ci. del Foro di Alessandria e presso lo stesso domiciliato, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta. Convenuto e terzo chiamato (...), in persona del titolare (...), in atti gen.to, res.te in G., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Ma.Mo. e Em.Si. del Foro di Genova, elettivamente domiciliato presso l'Avv.to Ri.Gu. del Foro di Alessandria, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta. Convenuta OGGETTO:azione di garanzia ex art. 1489 c.c. in contratto di compravendita di immobile. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato ai convenuti (eccettuata la notifica a (...)) i sigg.ri (...) e (...) esponevano che in data 28 luglio 2008 avevano acquistato da (...) un immobile adibito ad abitazione e relativi terreni e pertinenze ( piccolo fabbricato ad uso ripostiglio) per il corrispettivo di Euro 80.000. Nel rogito redatto dal notaio (...) (doc. 3) la venditrice dava atto che l'immobile compravenduto era stato costruito anteriormente al 1 settembre 1967 in modo conforme agli strumenti urbanistici dell'epoca e che successivamente non aveva subito modificazioni, ampliamenti e opere di sorta che richiedessero provvedimenti autorizzativi; inoltre veniva al rogito allegata una piantina catastale rappresentativa dell'immobile compravenduto, nello stato di fatto riscontrato al momento della compravendita, sicché tutto appariva regolare. Senonché successivamente all'acquisto, dopo che la parte acquirente aveva affrontato ingeniti spese di ristrutturazione e migliorie di quanto acquistato ( quantificate in Euro 60.000 per lavori appaltati a terzi ed Euro 33.000 per lavori in economia), a seguito di un casuale controllo eseguito da un tecnico gli attori venivano a conoscenza di numerose ed evidenti discrepanze tra lo stato attuale dell'immobile, così come trasfuso nella planimetria allegata al rogito, e quelle depositate a suo tempo presso l'Agenzia del Territorio. Allarmati da quanto scoperto gli attori davano mandato al Geom. C.A. di approfondire gli accertamenti e questi confermava che lo stato attuale dell'immobile oggetto della compravendita non corrispondeva agli atti depositati presso i pubblici uffici, sussistendo divergenze -e quindi abusi - sia catastali che urbanistico/edilizi - che dovevano essere regolarizzati ( doc. 6 relazione Geom. (...)). Di un tanto venivano subito notiziati la venditrice sig.ra (...), nonché gli altri convenuti, affinché tenessero indenni i compratori di tutti i danni agli stessi occorsi, senza ricevere adeguato riscontro. Esercitavano pertanto gli attori innanzitutto l'azione prevista dall'art. 1489 c.c. chiedendo in via principale la risoluzione del contratto e la restituzione del prezzo pagato, oltre che la rifusione delle spese affrontate per migliorie e ristrutturazioni; in subordine chiedendo la diminuzione del prezzo, da quantificarsi nei costi necessari a sanare tutti gli abusi edilizi e le difformità catastali, nonché nella diminuzione di valore dell'immobile a seguito delle necessarie modifiche di esso; in ulteriore subordine, per il caso di rigetto delle domande ex art. 1489 c.c., esercitavano l'azione di garanzia ex art. 1490 c.c.; in ultima istanza chiedevano la dichiarazione di nullità o annullamento o inefficacia del contratto di compravendita dell'immobile: In ogni caso avanzavano domanda di risarcimento del danno. Quanto ai soggetti nei confronti dei quali indirizzavano le loro domande convenivano in giudizio non solo la venditrice (...), ma anche il Geometra (...) che aveva redatto la planimetria allegata al rogito così contribuendo a trarre in inganno gli acquirenti sebbene fosse certamente consapevole delle gravi irregolarità edilizie e catastali; il notaio rogante l'atto che non aveva controllato che la planimetria allegata al rogito fosse corrispondente a quella depositata presso il catasto; ed infine l'Agenzia di mediazione (...) che aveva colposamente taciuto le gravi difformità poi scoperte. Si costituiva in giudizio il notaio (...) il quale contestava qualsiasi sua responsabilità evidenziando che la sig.ra (...) - come risultava dall'atto da lui rogitato - aveva dichiarato che l'immobile oggetto della compravendita era perfettamente regolare e che, in assenza di specifico mandato al notaio comprensivo di ulteriori accertamenti, il solo rogito non era sufficiente a far scattare la responsabilità del professionista, pacificamente non responsabile della veridicità del contenuto delle dichiarazioni rese dalle parti. In particolare il notaio non aveva alcun strumento a disposizione per accertarsi della rispondenza dello stato di fatto dell'immobile alla planimetria fornita dalla sig.ra (...) e predisposta dal Geom. (...), unici due soggetti su cui doveva ricadere ogni responsabilità. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea, contestando altresì l'ammontare dei danni esposti dagli attori. Si costituiva anche il geom. (...), anch'egli contestando qualsiasi sua responsabilità. In particolare contestava di essere intervenuto al rogito e di avere fornito al notaio la planimetria poi allegata ad esso: si trattava anzi di una semplice bozza da lui predisposta, non firmata e non timbrata, né depositata in catasto, di cui la (...) si era appropriata durante un colloquio in cui aveva rifiutato di dargli mandato di effettuare la sanatoria dell'immobile adducendo che non voleva effettuare ulteriori spese. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda dell'attrice. Infine si costituiva in giudizio anche (...), contestando qualsiasi sua responsabilità in fatto e sulla base della giurisprudenza in materia di obblighi e responsabilità del mediatore immobiliare. Alla prima udienza di trattazione del 10 luglio 2014 veniva dichiarata la contumacia di (...) e venivano concessi i termini ex art. 183 comma VI c.p.c. A seguito poi della notifica al marito di questa di un ricorso in corso di causa per sequestro conservativo la (...), con comparsa 22 settembre 2014, si costituiva anche nel giudizio di merito evidenziando come la notifica dell'atto di citazione non fosse andata a buon fine essendo ella residente a G. in via B. 19/A int. 6 e non in via B. 19 int. 6. Ne seguiva la rimessione in termini della convenuta per costituirsi in giudizio esercitando tutte le facoltà previste dall'art. 167 c.p.c. (vedi ordinanza 24 settembre 2015) sicché, con memoria autorizzata 3.11.2015, (...), oltre a richiamare la difese già esposte con la comparsa di costituzione - ed in particolare le eccezioni di prescrizione e decadenza dall'azione esercitata da parte attrice per inosservanza dei termini di cui all'art. 1495 c.c. - proponeva domanda trasversale di manleva nei confronti del Geom (...), affermando di avere allo stesso affidato il compito di predisporre tutta la documentazione e di effettuare tutte le attività necessarie per addivenire alla vendita dell'immobile nel rispetto della normativa. Era dunque evidente che ella aveva confidato in perfetta buona fede nell'operato del Geom. (...) a cui era da attribuire ogni responsabilità per quanto accaduto. Chiedeva pertanto, nel denegato caso di accoglimento della domanda attorea, che il professionista fosse condannato a tenerla indenne da qualsiasi esborso. A seguito della proposizione della domanda di manleva (...) e (...) venivano autorizzati al deposito di nuove memorie ex art. 183 comma VI. Costituito finalmente il pieno contraddittorio la causa proseguiva con l'ammissione di consulenza tecnica d'ufficio volta ad accertare se davvero la planimetria allegata al rogito non era stata depositata in catasto, se davvero non corrispondeva alla planimetria invece ufficialmente depositata, se sussistevano le difformità edilizie lamentate dagli attori, se queste erano sanabili, e i costi da affrontare per la sanatoria. All'esito della CTU venivano infine ammesse ed espletate alcune prove orali e, all'esito anche di queste, la causa veniva finalmente avviata alla fase decisionale. Nel frattempo era deceduta la sig.ra (...) e si erano costituiti in giudizio i suoi eredi ( marito e figli). Tutto ciò premesso il Tribunale così si pronuncia. La domanda ex art. 1489 c.c. formulata dagli attori appare fondata. Premesso che tale domanda, al di là dell'esposizione confusa di parte attrice, può essere ovviamente proposta solo contro il venditore ( nel nostro caso la sola sig.ra (...)) e non contro soggetti terzi che non possono essere destinatari di pronunce di risoluzione del contratto e di restituzione di tutto o parte del prezzo, si riportano qui di seguito alcune sentenze in materia della Suprema Corte. Esaminando preliminarmente l'eccezione di decadenza e prescrizione dall'azione occorre qui richiamare la risalente ma mai superata Cass. 11 ottobre 1956 n. 3510 a mente della quale " Non è applicabile all'Azione di garanzia prevista dall'articolo 1489 codice civile per gli oneri o i diritti di godimento dei terzi sulla cosa venduta, la speciale prescrizione annuale prevista dall'art. 1495 per l'Azione di garanzia relativa ai vizi della cosa stessa. Pertanto, l'Azione prevista dall'art. 1489codice civile si prescrive solo nel normale termine di dieci anni, al pari di quella per evizione totale o parziale, e non è neppure soggetta all'Onere di alcuna preventiva denuncia, così come è invece disposto dall'art. 1495 codice civile per l'Azione di garanzia relativa ai vizi della cosa venduta". Sulla diversità fra azione di garanzia per i vizi della cosa venduta a cui si applicano i termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c e l'azione di garanzia ex art. 1489 c.c. ( a cui quei termini non si applicano) vedi Cass. 4786/2007 secondo cui : In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia, non è ravvisabile un vizio della cosa venduta, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 cod. civ., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto, ed altresì persista il potere repressivo della P.A. (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell'immobile. In mancanza di tali condizioni, non è possibile riconoscere all'acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo. Vedi anche la più risalente Cass.11218/91 a mente della quale : "In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformità della licenza edilizia (nella specie, per la trasformazione di una soffitta in locali abitabili), non è ravvisabile un vizio della cosa venduta, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene, ma trova applicazione l'art. 1489 cod. civ., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima,sempre che detta difformità non sia stata dichiarata nel contratto o comunque non sia conosciuta dal compratore al tempo dell'acquisto ed altresì persista il potere repressivo della Pubblica amministrazione (adozione di sanzione pecuniaria o di ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilità dell'immobile. Nel concorso di tali condizioni, pertanto, deve riconoscersi all'acquirente la facoltà di chiedere la riduzione del prezzo, ancorché l'Amministrazione non abbia ancora esercitato detto potere repressivo (salva restando, per il caso in cui venga impartito ed eseguito l'ordine di demolizione, l'operatività delle disposizioni degli artt. 1483 e 1484 cod. civ. circa l'evizione totale o parziale). Infine, sul contenuto della garanzia ex art. 1489 c.c. vedi anche Cass. n. 1479/75 "Perché operi la garanzia di cui all'art. 1489 cod. civ., occorre tener conto della natura e dell'intensità degli oneri edei diritti del terzo sulla cosa, e cioè controllare se essi incidono sulla stessa nel modo o nella misura richiesti dalla norma citata, ossia si risolvano in una limitazione del libero godimento della cosa medesima o, quanto meno, in una diminuzione del suo valore". Discende dall'applicazione dei sopra menzionati principi sia che la difesa attorea ha correttamente inquadrato la fattispecie qui in esame nell'ambito della garanzie ex art. 1489 c.c. in quanto l'esistenza di abusi e irregolarità edilizie e catastali taciuti al compratore si risolve sempre in un minor valore dell'immobile, sia che gli attori non sono né decaduti, né incorsi nella prescrizione dell'azione, non essendovi termini decadenza e dovendosi applicare l'ordinario termine di prescrizione decennale: pertanto, anche a voler ritenere che la prescrizione abbia iniziato a decorrere dalla stipula della compravendita nel 2008 - e non, come sarebbe senza dubbio più corretto, da quando gli attori hanno appreso nel 2013 dell'esistenza delle difformità catastali ed edilizie - il termine decennale non era decorso alla data di costituzione in giudizio della convenuta (...) il 24 settembre 2014. La domanda ex art. 1489 c.c. è inoltre fondata in quanto, come emerge chiaramente dalla svolta CTU, è risultato vero sia che l'immobile compravenduto era in uno stato di fatto, al momento del rogito, che non corrispondeva alla planimetria catastale depositata presso i pubblici uffici da ultimo nel 1981 per quanto riguarda l'abitazione e nel 1989 per quanto riguarda il ripostiglio - sicché sarebbe stata necessaria quanto meno la regolarizzazione della planimetria presso il catasto; sia che la sig.ra (...) ha dichiarato il falso davanti al notaio nel corso della redazione del rogito di compravendita quando ha asserito " che l'immobile compravenduto era stato costruito anteriormente al 1 settembre 1967 in modo conforme agli strumenti urbanistici dell'epoca e che successivamente non aveva subito modificazioni, ampliamenti e opere di sorta che richiedessero provvedimenti autorizzativi. Infatti il Ctu ha accertato che già negli anni '80 l'immobile in oggetto aveva subito delle modifiche - per le quali era stata regolarmente chiesta l'autorizzazione amministrativa ( vedi pagg. 17-18 rel. CTU) - corrispondenti dunque a quanto risultante presso gli uffici pubblici, e successivamente ne aveva subito delle ulteriori fino a diventare come si presentava alla data del rogito oggetto di causa. Queste ultime modifiche, descritte dal Ctu, oltre che negli elaborati grafici, a pag. 19 della sua relazione ( abitazione: nuove aperture nelle pareti esterne, diversa distribuzione ambienti interni, realizzazione di scala per i collegamenti fra piani, cambio di destinazione d'uso del piano seminterrato e del piano terra; ripostiglio: chiusura di una porta a sud/ovest e limitate modifiche interne) non erano state denunziate alla pubblica amministrazione e non risultavano né in catasto né negli uffici comunali, sicché concretizzano a tutti gli effetti abusi edilizi che si risolvono in oggi se non in una vera e propria limitazione nell'uso dell'immobile venduto dalla (...) agli odierni attori, certamente in un minor valore dell'immobile stesso, che, per essere regolarizzato, necessita di spese. Il che è proprio l'oggetto della garanzia prevista dall'art. 1489 c.c. Né si comprende come parte convenuta (...) possa sostenere che i compratori fossero a conoscenza delle irregolarità in quanto avevano vistato più volte l'immobile ed erano perfino stati immessi nel possesso dello stesso prima ancora del rogito di acquisto: infatti qui non si discute dalla conoscenza dello stato di fato dell'immobile al momento dell'acquisto, ma della conoscenza della circostanza che quello stato di fatto non era regolarmente denunciato presso i pubblici uffici preposti, e quindi abusivo, circostanze queste che non risulta in alcun modo che siano state portate a conoscenza degli acquirenti da parte della (...) ( che anzi in rogito ha dichiarato il contrario). In proposito il CTU ha accertato che, fortunatamente, le difformità catastali ed edilizie di cui l'immobile è affetto possono essere regolarizzate mantenendo immutata la situazione attuale. Tale accertamento è stato eseguito nel contraddittorio non solo con i consulenti tecnici di parte, che hanno anche inviato una memoria sul punto al CTU ( vedi allegato 6 alla relazione ), ma anche in contraddittorio con il tecnico del Comune di Prasco che ha confermato la possibile sanatoria sia delle modifiche ai prospetti che delle modifiche interne, sussistendo la doppia conformità ( al momento della realizzazione e al momento della sanatoria) richiesta dalla legge. Analogamente per le modifiche di destinazione d'uso il CTU ha condiviso le risultanze dei colloqui con il tecnico comunale, secondo cui la sanatoria è possibile perché sono previste dagli strumenti urbanistici le modifiche di destinazione d'uso in questione e anche le deroghe delle altezze minime per i locali interessati. Il tutto previo pagamento delle sanzioni e l'istruzione della pratica di sanatoria a mezzo professionista qualificato, con un esborso che il CTU alla data del deposito della sua relazione, nell'ormai lontano agosto 2017, ha quantificato in complessivi Euro 11.261,80, di cui Euro 5.461,80 per sanzioni ed Euro 5.800 per costi di assistenza professionale. Ciò detto occorre ora chiedersi quali possano essere le conseguenze dell'applicazione della garanzia ex art. 1489 c.c. azionata dagli attori. A tal proposito ritiene il Tribunale che sebbene gli attori abbiano richiesto in prima battuta la risoluzione del contratto di compravendita e la restituzione del prezzo pagato e solo in subordine la riduzione del prezzo, la prima domanda non possa essere accolta in quanto, ai sensi dell'art. 1480 c.c., richiamato dall'art. 1489 c.c., ritiene il Tribunale che - avuto riguardo al fatto che l'onere amministrativo che grava sull'immobile, grazie alla possibilità di sanatoria, risulta piuttosto lieve - si può ritenere che gli attori avrebbero ugualmente acquistato il bene anche se avessero saputo delle lievi difformità catastali ed edilizie di cui era affetto. Pertanto gli attori ai sensi degli artt. 1480 e 1489 c.c. possono ottenere solo una riduzione del prezzo pagato, riduzione che si determina in misura pari alle spese che dovranno affrontare per la regolarizzazione della loro proprietà , pari - come detto - a Euro 11.261,80. Tale importo - come detto stabilito ormai quasi sei anni or sono e probabilmente non più del tutto corrispondente ai costi attuali - viene però rivalutato ad oggi, così divenendo pari ad Euro 13.131,26, oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data di pubblicazione di questa sentenza al saldo. In sostanza si condanna la sig.ra (...), e per essa i suoi eredi, a restituire agli attori, a titolo di diminuzione del prezzo che le è già stato interamente pagato, la cifra sopra indicata. Gli attori hanno chiesto anche il risarcimento del danno ulteriore avanzando tale domanda non solo contro la venditrice, ma anche nei confronti del notaio, del geometra che aveva predisposto la planimetria allegata al rogito e dell'agenzia immobiliare che aveva svolto la mediazione nella compravendita. Quanto al danno concretamente sofferto lo hanno indicato, oltre che nella spesa necessaria alla regolarizzazione, di cui però si è tenuto già conto nelle riduzione del prezzo e su cui pertanto non può effettuarsi ulteriore liquidazione, 1) nelle spese affrontate per migliorie e ristrutturazioni; 2) nella diminuzione di valore dell'immobile a seguito delle necessarie modifiche di esso; 3) nella spesa, pari ad almeno due mensilità di locazione, necessaria per reperire un'abitazione sostitutiva durante i lavori di regolarizzazione degli abusi. Ora, a prescindere da ogni considerazione sulla reale responsabilità di ciascuno dei soggetti convenuti nella determinazione del danno lamentato dagli attori, la domanda risarcitoria degli attori nei confronti di tali soggetti deve in ogni caso essere rigettata in quanto le risultanze della svolta consulenza tecnica hanno escluso in radice i danni in oggetto. In particolare, una volta acclarato che le difformità sono lievi e sanabili e che gli attori resteranno proprietari del bene non potendosi accogliere la domanda di risoluzione della compravendita, va escluso che costituiscano una voce di danno per gli stessi le spese sostenute per migliorie e ristrutturazioni della loro abitazione, migliorie che tra l'altro si godono ormai da circa quindici anni; allo stesso modo, una volta stabilito che l'immobile non deve essere oggetto di lavori di modifica e che la sua regolarizzazione si può fare per così dire "sulla carta" ossia semplicemente instaurando un'apposita pratica amministrativa e pagando delle sanzioni, va escluso che il valore dell'immobile - immodificato rispetto a quello visto e piaciuto agli acquirenti - possa risultare ulteriormente diminuito a seguito di modifiche ( ad esempio non sarà necessario il paventato abbassamento del pavimento della cucina per avere l'altezza minima, essendo come detto prevista dagli strumenti urbanistici del Comune di Prasco una deroga all'altezza minima delle cucine in caso di modifica di destinazione d'uso ammessa, come in questo caso, dal piano regolatore); così come viene meno qualsiasi paventata spesa per reperire un'abitazione sostitutiva durante i lavori, come detto non necessari. In conclusione la domanda di risarcimento del danno va rigettata nei confronti di tutti i convenuti, il che permette di superare anche ogni questione relativa al richiamato disposto dell'art. 134 T.U. Edilizia e Urbanistica a mente del quale l'acquirente decade dal diritto al risarcimento del danno contro il committente o proprietario se non regolarizza l'immobile entro un anno dalla scoperta dell'abuso. Infine occorre esaminare la domanda di manleva avanzata da parte convenuta (...) nei confronti del Geom. (...). A tale proposito la difesa della sig.ra (...) ha sostenuto che avendo affidato al geom. (...) l'incarico di effettuare tutto quanto necessario ad effettuare la vendita dell'immobile ella era sicura che tutto fosse stato regolarizzato e in particolare che la planimetria allegata al rogito fosse davvero stata depositata presso il catasto. Sicché ogni responsabilità di quanto accaduto era da addebitare al (...) che invece non aveva eseguito l'incarico conferitogli. Il geometra (...) ha invece sostenuto di non aver ricevuto un incarico così completo - ed in particolare di nulla sapere della vendita in questione - ma solo un più modesto incarico di regolarizzazione di eventuali difformità catastali dell'immobile che tuttavia non aveva potuto completare perché quando aveva prospettato alla (...) - dopo aver trasfuso il rilievo dell'immobile nella bozza di planimetria poi allegata dalla (...) al rogito - l'opportunità di presentare anche istanze di sanatoria edilizia questa gli aveva nella sostanza revocato l'incarico dicendo che non voleva effettuare altre spese e accontentandosi della planimetria ( peraltro non firmata né timbrata dal professionista e tantomeno da questi depositata al catasto, come ben si poteva evincere esaminando la stessa). Fra le due versioni è risultata maggiormente provata quella del Geom. (...) ( vedi deposizioni (...) e (...)) mentre quella della sig.ra (...) non è stata confermata da alcun teste, se non con deposizioni (vedi quella di (...)) oltremodo generiche che non hanno consentito di risalire con un minimo di certezza al reale contenuto dell'incarico professionale. Inoltre che il geom. (...) non fosse stato incaricato della sanatoria appare confermato, oltre che dallo svolgimento successivo dei fatti (che confermano che non vi fu alcuna sanatoria), anche dall'esiguità della somma pacificamente a lui pagata dalla (...) ( appena Euro 1000 come da assegno in atti). E' risultato anche chiaro ( vedi interrogatorio notaio (...) non smentito da nessun teste) che il (...) non intervenne in alcun modo al momento del rogito e che non fu lui a consegnare al notaio la bozza di planimetria catastale poi allegata al rogito, ma la sig.ra (...), la quale poi rese al notaio la falsa dichiarazione di conformità trasfusa nell'atto. In conclusione mancando la prova dell'effettivo contenuto del mandato professionale dato al (...) e di conseguenza del suo inadempimento non è possibile attribuire allo stesso la responsabilità professionale che gli si addebita con la conseguenza che la domanda trasversale di manleva avanzata dalla convenuta (...) nei suoi confronti deve essere rigettata. Sulle spese di lite. Le spese legali degli attori seguono la soccombenza degli eredi (...) nei loro confronti, così come le spese di CTU, che si addebitano definitivamente ai sigg.ri (...). Fra gli attori e il notaio le spese sono compensate, in considerazione della circostanza che il notaio, seppur non condannato per mancanza di prova del danno, si è comunque reso responsabile di condotta negligente accettando di allegare al rogito una planimetria catastale ( la si veda nel doc.to 3 attoreo, firmata da tutte le parti intervenute al rogito), che appariva ictu oculi solo una bozza, priva della data e del numero di protocollo che l'ufficio del Territorio appone quando la variazione catastale è stata presentata e approvata ( sul punto vedi anche le considerazioni del CTU a pag. 15 della relazione). Ugualmente si compensano le spese fra gli attori e il geom. (...) che comunque viene rifuso dalla (...), verso cui è vincitore. Si condannano gli attori a rifondere le spese di (...) risultata vincitrice e nella sostanza del tutto estranea ad ogni responsabilità, in quanto non è stato provato che abbia colpevolmente taciuto alcunché, e neppure che fosse a conoscenza degli abusi de quo. Infine si compensano le spese del ricorso cautelare, tenuto conto del fatto che gli attori sono risultati vittoriosi nel merito ma la loro domanda cautelare era stata rigettata. Le spese tutte si liquidano in base al D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 147 del 1922, tabella 2, causa di valore compreso fra Euro 5.200 ed Euro 26.000, valori medi. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e difesa rigettata così decide: 1) In accoglimento della domanda ex art. 1489 c.c. avanzata dagli attori condanna gli eredi di (...) a restituire agli attori la somma di Euro 13.131,26, oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data di pubblicazione di questa sentenza al saldo; 2) Rigetta la domanda di risarcimento del danno; 3) Rigetta la domanda trasversale di manleva avanzata da (...) nei confronti del Geom. (...); 4) Pone le spese di CTU definitivamente a carico degli eredi (...); 5) Condanna gli eredi (...) a rifondere agli attori le spese processuali che liquida in Euro 477 per esborsi ed Euro 5.077 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA come per legge; 6) Compensa le spese fra gli attori e il notaio (...) e il geom. (...); 7) Condanna gli attori a rifondere a (...) Immobili le spese processuali che liquida in Euro 5.077 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA come per legge; 8) Condanna gli eredi (...) a rifondere al Geom. (...) le spese processuali che liquida in Euro 5.077 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA come per legge, 9) Compensa le spese del procedimento cautelare in corso di causa. Così deciso in Alessandria il 23 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa Alice AMBROSIO ha pronunciato la seguente: SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1011/2018 R.G. promossa da: (...) S.P.A., rappresentata e difesa dall'Avv. FE.MA. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Alessandria, Via (...), in forza di procura in calce all'atto di citazione; -PARTE ATTRICE- contro: (...), rappresentato e difeso dall'Avv. SA.GI. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio Alessandria, Corso (...), in forza di procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta; -PARTE CONVENUTA- (...), (...), in proprio e in qualità di legali rappresentanti di (...) s.s., rappresentate e difese dagli Avv.ti dimissionari, non sostituiti, MA.GA., TA.CA., BE.PA. ed elettivamente domiciliate in Alessandria, Corso (...), presso lo studio dell'Avv. MA., in forza di procura speciale in calce alla comparsa di costituzione e risposta; -PARTE CONVENUTA- EREDITA' (...) DI (...); -PARTE CONVENUTA CONTUMACE- (...) S.r.l., e per essa (...) S.r.l., rappresentata e difesa dall'Avv. SI.GI. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Milano, Via (...) in forza di procura speciale in calce alla comparsa di intervento; -PARTE INTERVENUTA 105 c.p.c.- avente per oggetto: revocatoria ordinaria; MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1.1. Con atto di citazione notificato in data 14.03.2018, (...) S.p.A. conveniva in giudizio (...), (...), (...) e (...), queste ultime personalmente e in qualità di legali rappresentanti di (...) Società Semplice Agricola, deducendo: - di essere creditrice, in virtù di un contratto di apertura di credito a breve termine e contratto di finanziamento 22.07.2015, della (...) e (...) s.s. e dei suoi soci illimitatamente responsabili, nonché garanti, (...) e (...), dell'importo di Euro 194.788,77, portato da decreto ingiuntivo n. 371/2017, emesso in data 28.2.2017, esecutivo con decreto 19.12.2018; - che la società debitrice era cessata per scioglimento senza messa in liquidazione, e che i due soci nonché garanti fideiussori non avevano adempiuto al pagamento del dovuto; - di aver tentato, senza esito, un pignoramento mobiliare a carico dei due soci personalmente e di aver appreso, nelle more, che gli stessi, con il contributo della rispettiva moglie/nuora, (...), nonché figlia/nipote, (...), avevano posto in essere una serie di negozi giuridici, tra loro tutti collegati, volti chiaramente a dismettere il loro patrimonio per sottrarsi al pagamento dei propri debiti. La Banca chiedeva, pertanto, di accertare e dichiarare l'inefficacia ex art. 2901 c.c. nei propri confronti, in quanto pregiudizievoli per gli interessi di essa creditrice, degli atti negoziali indicati nelle conclusioni di cui in epigrafe. 1.2. Si costituivano (...), nonché (...), (...) e (...) s.s., tutti chiedendo la reiezione della domanda attorea. 1.3. All'udienza del 13.11.2018, alla presenza dei legali dei sigg.ri (...), (...), (...) e di (...) s.s., l'attrice dava atto del decesso della sig.ra (...) e, dichiarando di aver già citato nella qualità di erede il sig. (...) (che, tuttavia, aveva dichiarato di non aver accettato l'eredità né di avervi rinunciato), chiedeva termine per esperire la procedura di cui all'art. 481 c.c. 1.4. A seguito di una serie di rinvii dovuti alle tempistiche necessarie per tale incombente, nel frattempo la causa veniva assegnata alla scrivente e, all'udienza del 17.11.2020, celebrata in forma scritta, veniva dichiarata la contumacia dell'eredità (...) di (...), nella persona dell'Avv. (...). 1.5. (...) i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma 6 c.p.c. la causa veniva istruita tramite assunzione di prove orali. 1.6. All'udienza del 21.04.2022, il Giudice, rilevata la volontà delle parti di tentare una definizione stragiudiziale della controversia, anche alla luce della Sentenza pronunciata dal Tribunale di Alessandria su analoga azione revocatoria contro i medesimi convenuti - nel giudizio RG. n. 4503/2016 - pur ritenendo la causa matura per la decisione, fissava udienza di precisazione delle conclusioni al 13.09.2022 onde consentire ai legali di coltivare nelle more l'intesa transattiva. 1.7. Con comunicazione di data 29.08.2022, gli avv.ti (...), (...) e (...) comunicavano di aver rinunciato al mandato professionale a suo tempo conferito dalle sigg.re (...) e (...), entrambe in proprio e in qualità di socie e legali rappresentanti di (...) s.s., e chiedevano di disporre congruo differimento della causa per consentire la sostituzione dei procuratori. 1.8. In data 06.09.2022, si costituiva in giudizio, quale cessionaria del credito posto alla base dell'azione revocatoria, (...) S.r.l. Per la mandataria (...) S.r.l., facendo proprie tutte le conclusioni della cedente. 1.9. All'udienza del 13.09.2022, l'avv. Gabriella Massa dava atto della dismissione del mandato del collegio difensivo delle convenute e chiedeva disporsi un breve rinvio onde consentire alle convenute signore (...) e N.S.A.M. di costituirsi in giudizio tramite nuovo difensore; la causa veniva quindi rinviata all'11.2022 per precisazione delle conclusioni. 1.10. All'udienza dell'08.11.2022, solamente (...) S.r.l. compariva per precisare le conclusioni ed il Giudice tratteneva la causa in decisione, previa concessione alle parti dei termini per il deposito di comparse conclusioni e delle memorie di replica ai sensi dell'art. 190 c.p.c. 2.1. L'azione revocatoria esercitata è fondata e va accolta. Al riguardo e in linea generale occorre premettere che l'azione revocatoria (c.d. actio pauliana) è un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale consistente nel potere del creditore (revocante) di domandare giudizialmente che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni. Precisamente, l'art. 2901, 1 comma, c.c., dispone testualmente quanto segue: "Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione." Dunque, i presupposti dell'azione revocatoria sono: A) il credito del revocante; B) il pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore (c.d. "eventus damni"); C) la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (c.d. "scientia damni"); D) la conoscenza del pregiudizio anche da parte del terzo se l'atto è a titolo oneroso; E) la dolosa preordinazione se il compimento dell'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito (c.d. "consilium fraudis"). Ebbene, nel caso di specie, ritiene il Tribunale che sussistano tutti i presupposti dell'azione revocatoria esercitata. 2.2. Il credito di (...) (d'ora in poi, anche (...)) origina da alcuni rapporti bancari rimasti insoluti facenti capo alla società (...) e (...) s.s., di cui (...) e (...), rispettivamente madre e figlio, erano soci illimitatamente responsabili, nonché garanti fideiussori, risultando, in particolare: - che in data 31.03.2014, la (...) s.s. sottoscriveva con (...) un contratto di apertura di credito a breve termine e in data 22.07.2015 otteneva un prestito di originari Euro 175.000,00 a rogito del Notaio dott.ssa (...) (docc. 2 e 3 parte attrice); - a garanzia di tali rapporti bancari, i soci illimitatamente responsabili della predetta società, (...) e (...), rilasciavano impegno fideiussorio specifico fino alla concorrenza di Euro 350.000,00 riguardo al contratto notarile, e impegno fideiussorio solidale fino alla concorrenza di Euro 500.000,00 a garanzia di tutte le linee di credito concesse dalla Banca (doc. 5 parte attrice); - stante il perdurante inadempimento dei debitori, (...) chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Alessandria, nei confronti della (...) s.s. e dei soci illimitatamente responsabili, nonché garanti, decreto ingiuntivo n. 371/2017, datato 28.2.2017, per l'importo di Euro 194.788,77 per capitale, oltre interessi e spese della procedura; tale decreto diveniva dichiarato definitivamente esecutivo in data 19.12.2018 (docc. 8 e 9 parte attrice); - da atto iscritto al Registro Imprese il 20.01.17, risulta che la (...) s.s. è cessata per scioglimento senza messa in liquidazione. Deve pertanto ritenersi documentalmente provato il credito originariamente vantato da (...) (e oggi, dalla cessionaria (...) S.r.l.) nei confronti di (...) e (...), sia in quanto soci illimitatamente responsabili che in quanto garanti fideiussori della cessata (...) s.s., pari all'importo portato dal decreto ingiuntivo n. 371/2017, datato 28.2.2017, definitivo il 19.12.2018. Si tratta, peraltro, di un credito sorto anteriormente agli atti di disposizione in contestazione, posti in essere dai convenuti nel marzo del 2016. Con riguardo alla posizione del fideiussore, infatti, è pacifico che l'acquisto della qualità di debitore risalga al momento della nascita stessa del credito, con la conseguenza che è a tale momento che occorre far riferimento al fine di stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore con successivi posso ai fini dell'azione revocatoria: "Prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un Istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1 prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore ('scientia damni'), ed al solo fattore oggettivo dell'avvenuto accreditamento di denaro da parte della Banca; l'acquisto della qualità di debitore del fideiussore nei confronti del creditore procedente risale al momento della nascita del credito, sicché a tale momento occorre fare riferimento per stabilire se l'atto pregiudizievole sia anteriore o successivo al sorgere del credito" così, Cass. Civ. Sez. III 10/7/14 n. 15773; Tribunale, Milano, sez. II, 28/06/2022, n. 5704; Tribunale Bergamo, sez. II, 24/11/2021, n. 2177). Ne deriva che (...) e (...) erano già debitori nei confronti di (...) quantomeno alla data del 22.07.2015, data in cui la (...) s.s. otteneva il prestito di originari Euro 175.000,00 (cfr. doc. 3 parte attrice). 2.3. Gli atti di disposizione patrimoniale pregiudizievoli delle ragioni creditorie della banca (c.d. "eventus damni") sono, nel caso di specie, più d'uno. Secondo quanto prospettato dalla (...), infatti, a pochi giorni di distanza dalla ricezione della raccomandata con la quale (...) revocava gli affidamenti alla (...) s.s. ed intimava e costituiva in mora la società e i soci nonché garanti fideiussori, chiedendo il pagamento dell'importo di Euro 190.418,68 oltre interessi (raccomandata a/r ricevuta dai destinatari in data 19.2.2016, cfr. doc. 6 parte attrice), questi ultimi, evidentemente al solo scopo di privarsi di ogni loro bene e di sottrarsi al pagamento del dovuto, con il supporto fattivo e consapevole della rispettiva moglie e nuora, (...), nonché della figlia e rispettiva nipote, (...), ponevano in essere una serie di atti tra loro concatenati, tutti a rogito Notaio (...), dismettendo nel giro di soli otto giorni l'intero patrimonio immobiliare di loro proprietà, e precisamente: - con atti del 22.03.2016 e 25.03.2016, trascritti, rispettivamente, il 23.03.2016 e il 04.04.2016, (...) e (...) accettavano tacitamente l'eredità di (...), rispettivo padre e marito, deceduto molti anni addietro, il 05.04.2011 (docc. 10 e 11 parte attrice); - con atto del 22.3.2016, trascritto il successivo 23.03.2016, (...) trasferiva a titolo di assegno di mantenimento in unica soluzione ex art. 337-sexies c.c., alla moglie (...), in forza di accordi di separazione sottoscritti dai coniugi il 4.3.2016 in sede di negoziazione assistita, l'intero patrimonio immobiliare di sua proprietà, anche in parte ereditato dal padre, in regime di comunione con la madre, (...) (docc. 12 e 13 parte attrice); - con atto del 25.03.2016, trascritto in data 04.04.2016, (...), unitamente alla nuora, (...), costituiva una nuova società, denominata (...) s.s., avente sede in Tortona, alla Strada per Sale n. 27, ovvero nel medesimo luogo in cui aveva già sede la (...) s.s. e in cui i coniugi (...) e (...) all'epoca ancora risultavano residenti nonostante l'asserita, intervenuta separazione; con il medesimo atto, la signora (...), a liberazione della quota sociale sottoscritta, conferiva nella nuova società l'intero patrimonio immobiliare trasferitole tre giorni prima dal marito e altrettanto faceva la signora (...) rispetto a tutti i beni immobili di sua proprietà (docc. 14-15-15bis-16-16bis parte attrice); - dopo soli cinque giorni dalla costituzione della nuova società, con atto del 30.03.2016, (...) cedeva alla nipote, (...), la sua partecipazione societaria al prezzo - irrisorio rispetto al valore del patrimonio immobiliare conferito in società - di Euro 2.750,00, così uscendo definitivamente dalla compagine sociale (doc. 17 parte attrice). Ora, la contiguità temporale estremamente ravvicinata degli atti negoziali posti in essere, peraltro, dai debitori, entro la cerchia dei più stretti rapporti familiari, consente di ravvisare un collegamento tra gli stessi, evidentemente posti in essere dai debitori al solo fine di spogliarsi, nel giro di pochi giorni, di tutto il loro patrimonio immobiliare, a danno della creditrice (...). In casi come questi, la revocatoria può colpire anche l'atto di per sé non pregiudizievole che rientri, tuttavia, in una successione fraudolenta, che costituisca cioè attuazione di un unitario intento di liquidazione del patrimonio (cfr. ad esempio Cass. 29.11.1977 n. 5178). 2.3.1. Quanto alla posizione del signor (...), è certamente revocabile il trasferimento immobiliare posto in essere in esecuzione degli accordi di separazione consensuale stipulati in sede di negoziazione assistita con la moglie, (...) (mentre non sono revocabili, in sé, gli accordi di separazione stessi). Secondo la giurisprudenza ormai prevalente, "l'atto con il quale un coniuge, in esecuzione degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale, trasferisca all'altro il diritto di proprietà (ovvero costituisca diritti reali minori) su un immobile è suscettibile di azione revocatoria ordinaria, non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo suddetto (cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione) né nella circostanza che l'atto sia stato posto in essere in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti" (cfr. ex multis, Cassazione civile, 4/3/2022, n. 7178; Cassazione civile, sez. III , 12/05/2022, n. 15169; Cassazione civile, sez. I, 21/05/2021, n. 14049; Cassazione civile, sez. III, 08/01/2021, n. 161; Cassazione civile, sez. II , 25/10/2019, n. 27409; Cassazione civile, sez. III, 04/07/2019, n. 17908; Tribunale Varese, sez. II, 14/07/2021, n. 667; Tribunale Venezia, sez. I, 08/07/2021, n. 1428; Tribunale Alessandria, sez. I, 08/07/2021 , n. 541). In altre parole, non risulta di ostacolo all'esperibilità dell'azione revocatoria la circostanza che il trasferimento immobiliare sia stato pattuito in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge, o di quello di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in considerazione non già la sussistenza dell'obbligo in sé, avente fonte legale, ma le concrete modalità del suo assolvimento. Secondo questa giurisprudenza, le attribuzioni patrimoniali dall'uno all'altro coniuge concernenti beni mobili o immobili, in quanto attuate nello spirito degli accordi di sistemazione dei rapporti fra i coniugi in occasione dell'evento di separazione consensuale, sfuggono sia alle connotazioni classiche dell'atto di "donazione" vero e proprio (tipicamente estraneo, di per sè, ad un contesto - quello della separazione personale, caratterizzato dalla dissoluzione della ragioni della convivenza materiale e morale), e dall'altro, a quello di un atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto); tali attribuzioni svelano piuttosto una loro "tipicità", la quale, di volta in volta, può colorarsi dei tratti della obiettiva "onerosità", ai fini della più particolare e differenziata disciplina di cui all'art. 2901 c.c., in funzione della eventuale ricorrenza, nel concreto, dei connotati di una sistemazione solutorio-compensativa più amplia e complessiva di tutta quella serie di possibili rapporti aventi contenuto (anche solo riflesso) patrimoniale intercorsi tra i coniugi durante la convivenza matrimoniale (così, recentemente, Cassazione civile , sez. III , 04/07/2019, n. 17908). L'onerosità dell'attribuzione patrimoniale non può quindi farsi discendere tout court dall'astratta sussistenza di un obbligo legale di mantenimento, ma occorre verificare se l'attribuzione tr ovi o meno giustificazione nel dovere di compensare e/o ripagare l'altro coniuge del compimento di una serie di atti a contenuto patrimoniale, anche solo riflesso, da questi posti in essere nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale (Cassazione civile sez. III , 04/07/2019, n. 17908; Cassazione civile 10/04/2013, n. 8678). Nel caso di specie, dall'atto di trasferimento immobiliare risulta che il (...) trasferiva alla moglie, senza corrispettivo, a titolo di "assegno di mantenimento in un'unica soluzione ex art. 337 sexies c.c.", non già il solo immobile adibito a casa coniugale, bensì l'intero suo patrimonio immobiliare; nell'atto non si fa menzione di pregressi rapporti di natura economica tra i coniugi, né si esplicita se tale trasferimento rispondesse all'esigenza di riequilibrare o ristorare il contributo dato dalla moglie al ménage famigliare nel corso della convivenza matrimoniale. L'atto è peraltro formalmente denominato "atto di trasferimento a titolo gratuito in esecuzione di accordi di separazione" (cfr. doc. 13 parte attrice). Ora, è indubbio che tale trasferimento incida negativamente sulla capienza del patrimonio facente capo al (...), quale garanzia del credito di (...) ("eventus damni"). Gravava su parte debitrice l'onere di dimostrare l'esistenza di un patrimonio residuo in grado di soddisfare ampiamente la pretesa della Banca creditrice, onere nella specie non soddisfatto (cfr., recentemente, Cass. civile Sez. III Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018). La circostanza che i beni immobili trasferiti siano gravati da tre ipoteche pregresse non incide sulla sussistenza dell'"eventus damni", atteso che l'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l'interesse del creditore, da valutarsi ex ante, e non al momento dell'effettiva realizzazione, di far dichiarare inefficace l'atto che renda maggiormente difficile ed incerta l'esazione del suo credito (cfr. ex multis, Cass. Civ., 16.12.2005, n. 27718; Cass. Civ., n. 16793/2015; Cass. Civ., n. 11892/2016; Cass. Civ., n. 5806/2019). Non risultando debiti del marito verso la moglie, e non essendo specificate le ragioni per cui sarebbe stato riconosciuto il mantenimento a quest'ultima, il trasferimento senza corrispettivo effettuato dal (...) alla moglie deve ritenersi, a tutti gli effetti, atto a titolo gratuito. Sotto il profilo dell'elemento soggettivo ("scientia damni") può ritenersi certo che il (...) conoscesse il pregiudizio che con tale trasferimento avrebbe arrecato alle ragioni creditorie di (...), posto che solo pochi giorni prima aveva ricevuto la raccomandata di intimazione e messa in mora a pagare l'importo dell'esposizione debitoria maturata in capo alla società. Ed emerge dalla stessa lettura degli atti delle parti convenute che il (...), dopo alcuni problemi con la giustizia, si determinò a tanto al solo scopo di "continuare a garantire un sostentamento alla moglie ed alle figlie? consentendole di esercitare una nuova attività agricola?." (cfr. pag. 6 comparsa di costituzione convenute (...) e (...)). Intento meritevole, non fosse altro che il (...) era sicuramente consapevole del fatto che la cessata (...) s.s. aveva debiti, anche ingenti (la Sentenza pronunciata da questo Tribunale nel giudizio RG. n. 4503/2016 dimostra che di debiti ve ne fossero più d'uno), ed avrebbe quindi dovuto chiedersi, prima di agire, se tutto ciò non si riverberasse a danno dei creditori di quella realtà agricola. Anzi, la contiguità temporale degli atti negoziali posti in essere consente finanche di ravvisare una dolosa preordinazione del debitore: è significativo che la società (...) s.s. venne sciolta, senza liquidazione, nel gennaio 2016, e che il (...), soltanto pochi giorni dopo aver ricevuto la raccomandata di intimazione e messa in mora della Banca, si determinò ad accettare l'eredità del padre, pendente dal 2011, e a "devolverla" insieme a tutti gli altri beni immobili di sua proprietà alla moglie, da cui peraltro si stava separando. Data la gratuità dell'atto dispositivo in esame, l'indagine non dovrebbe essere estesa al terzo avente causa (cfr. per tutte: Cass. civile, sez. III, 19/01/2016 n. 762 in Giust. civ. Mass. 2016; Cass. civile, sez. II, 19/11/2015 n. 23666, in Diritto & Giustizia 2015, 20 novembre; Cass. civile, sez. III, 30/12/2014 n. 27546 in Diritto & Giustizia 2015, 7 gennaio; Cass. civile 8/11/1985 n. 5451). In ogni caso, si osserva come nel caso in esame ricorrano indizi seri precisi e concordanti sul fatto che anche la moglie, (...), fosse del tutto consapevole del pregiudizio che l'atto di trasferimento comportava ai diritti dei creditori (c.d. "partecipatio fraudis"). Per l'accertamento dell'elemento soggettivo del terzo, si afferma in giurisprudenza che: "la prova della "partecipatio fraudis" del terzo, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente" (Cass. civ., sentenza del 29.04.2020, n. 8390). Nel caso di specie, (...), oltre ad essere sposata con il (...), lavorava con il marito e con la suocera presso la (...) s.s., occupandosi del magazzino, del confezionamento e dell'etichettatura dei prodotti, nonché delle relazioni con i clienti finali; è altamente improbabile che la stessa non fosse quindi a conoscenza, anche solo per "sentito dire" in azienda, della situazione debitoria della società. Né le prove orali espletate consentono di ritenere superata tale presunzione, vertendo le dic hiarazioni dei testi escussi circa il fatto che la (...) non si occupasse della contabilità e fosse pertanto all'oscuro della situazione debitoria della (...) s.s. su circostanze apprese dai testi de relato, dalla (...) stessa, e pertanto aventi un valore probatorio fortemente attenuato. È significativo, inoltre, nel senso di una "partecipatio fraudis" della moglie, anche il fatto che la stessa, esattamente tre giorni dopo aver ricevuto il patrimonio immobiliare del marito, si determinò a conferire lo stesso nella società di nuova costituzione (...) s.s.: la cronologia dei fatti, nuovamente, porta a ritenere che in famiglia vi fosse l'accordo di tutti i soggetti coinvolti per concludere, nel più breve tempo possibile, quel che a tutti gli effetti appare essere un'operazione unitaria di liquidazione del patrimonio dei debitori. In conclusione, sussistono tutti i presupposti per l'esperibilità dell'azione revocatoria azionata nei confronti di (...) per l'atto di trasferimento immobiliare posto in essere in favore della moglie in adempimento dei pregressi accordi di separazione assunti in sede di negoziazione assistita. 2.3.2. Non può, invece, trovare accoglimento la domanda revocatoria avanzata dalla (...) nei confronti dell'atto di conferimento immobiliare posto in essere dalla signora (...) nella società di nuova costituzione (...) s.s., trattandosi di un atto dispositivo non compiuto direttamente dal debitore, ma dal terzo avente causa del debitore stesso. 2.3.3. Quanto alla posizione di (...), è certamente revocabile l'atto di conferimento, nella società di nuova costituzione, (...) s.s., del suo ingente patrimonio immobiliare. Solo pochi giorni aver anch'essa ricevuto la raccomandata di intimazione e messa in mora di (...), la signora (...) costitutiva con la nuora (a quel punto formalmente già separata dal (...)) la (...) s.s., alla quale contestualmente conferiva l'azienda agricola condotta sotto la ditta "(...)", intestataria di tutto il suo patrimonio immobiliare, ma curiosamente iscritta al Registro delle Imprese in data 10.03.2016 e cancellata il 21.04.2016 (docc. 16 e 16bis parte attrice.) A soli cinque giorni di distanza dalla costituzione di tale nuova società, ovvero in data 30.03.2016, la signora (...) cedeva poi la propria quota partecipativa alla nipote diciannovenne, (...), figlia dei signori (...) e (...), per il prezzo - piuttosto irrisorio rispetto al valore dichiarato degli immobili conferiti in società, pari a Euro 445.700,00 - di Euro 2.750,00 (cfr. docc. 14, 14, 17 parte attrice). Ora, in giurisprudenza si riconosce pacificamente l'assoggettabilità ad azione revocatoria degli atti di conferimento d'azienda, in quanto il conferimento di beni in società costituisce un atto traslativo del diritto di proprietà sui beni in favore della società conferitaria, sostituendo tale diritto nel patrimonio del conferente con il titolo della partecipazione sociale; proprio questa partecipazione costituisce la controprestazione del trasferimento della proprietà dei beni conferiti alla società e rende quindi oneroso l'atto di conferimento. (Cassazione civile sez. III, 23/02/2021, n. 4863; Cassazione civile, sez. I, 09/02/2016, n. 2536; Cass. Civ., Sez. I, 22 ottobre 2013, n. 23891; Cass. Civ., Sez. I, 26 febbraio 2002, n. 2792; Cass. Civ., Sez. I, 18 febbraio 2000, n. 1804; Cass. Civ., Sez. I, 22 novembre 1996, n. 10359; Tribunale Vicenza, sez. II , 06/06/2022, n. 995; Tribunale Savona 26/01/2021; Tribunale Latina 17/04/2020; Tribunale Siena 03/01/2020, n. 12). In generale, la declaratoria dell'inefficacia relativa, ex art. 2901 c.c., non riguarda né l'atto costitutivo della società o la delibera di aumento del capitale, e neppure la sottoscrizione, da parte del socio/società debitore, della quota di capitale sociale, bensì il negozio di conferimento (che, in sé, costituisce l'atto di disposizione potenzialmente lesivo delle ragioni dei creditori del conferente). Trattandosi di atto a titolo oneroso è necessario, ai fini dell'esperibilità dell'actio pauliana, accertare l'esistenza di un pregiudizio alla garanzia patrimoniale offerta al creditore ("eventus damni"), nonché la conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato ("scientia damni"), ed altresì la conoscenza di tale pregiudizio da parte del terzo. Nel caso di specie, indubbiamente l'atto di conferimento in esame - peraltro seguito, a stretto giro, dalla cessione delle quote sociali in favore della nipote per un prezzo del tutto irrisorio rispetto al valore del patrimonio immobiliare conferito in società - è tale da pregiudicare la garanzia patrimoniale della (...) creditrice: è evidente, infatti, che i beni immobili, rispetto alle quote societa rie, forniscono una garanzia di gran lunga più stabile e facilmente aggredibile dai creditori. Se poi si considera che la quota societaria è stata ceduta alla nipote ad un prezzo apparentemente pari al valore nominale della quota partecipativa, ma del tutto simbolico se rapportato al valore del patrimonio immobiliare conferito in società (Euro 2.750,00 contro Euro 445.700,00) si può dire che il patrimonio della debitrice ha subito un'ingente variazione dal punto di vista qualitativo, oltre che quantitativo, a danno della creditrice, che non ha più né beni immobili, né denaro, su cui soddisfarsi. Gravava su parte debitrice l'onere di dimostrare l'esistenza di un patrimonio residuo in grado di soddisfare ampiamente la pretesa della (...) creditrice, onere nella specie non soddisfatto (cfr., recentemente, Cass. civile Sez. III Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018). Certamente, poi, la signora (...) era a conoscenza del carattere pregiudizievole degli atti posti in essere, sia perché, quale socia della cessata (...) s.s., doveva sapere che i debiti della società gravavano ormai sui di essi soci illimitatamente responsabili, e sia perché anch'essa aveva ricevuto, in data 19.2.2016, la lettera di intimazione e messa in mora da parte della (...) creditrice (cfr. doc. 6 parte attrice). Del resto, sono le stesse parti convenute ad ammettere che la signora (...) si determinò a costituire la nuova società agricola con la nuora e a farvi confluire l'intero suo patrimonio immobiliare, cedendo poi la quota partecipativa alla nipote, al solo fine di garantire alle stesse "un'attività lavorativa, viste le problematiche giudiziarie in cui era coinvolto il figlio" (pag. 16 comparsa di costituzione e riposta (...) e (...)". La signora (...) avrebbe però dovuto rappresentarsi che tale intento, sicuramente pregevole, andava a detrimento dei creditori della cessata (...) s.s., che aveva maturato debiti che andavano onorati, indipendentemente dalle vicissitudini famigliari e giudiziarie del figlio. Ed anzi, anche in questo caso, esaminando la cronologia degli atti posti in essere dalla debitrice, si perviene sul piano presuntivo alla facile conclusione non solo che la (...) fosse consapevole del pregiudizio che gli atti arrecavano alla creditrice (...), ma che la stessa avesse addirittura preordinato gli atti a danno della (...): è singolare, infatti, che soltanto dopo aver ricevuto la raccomandata di intimazione e messa in mora, la (...) si affrettò ad accettare l'eredità del marito (in attesa di accettazione dal 2011), a costituire, in data 10.3.2016, l'azienda agricola "(...)", intestataria di tutto il suo patrimonio immobiliare (ma cancellata singolarmente il mese successivo, cfr. docc. 16 e 16bis parte attrice), e al contempo a devolvere, per un improvviso senso del dovere nei confronti di nuora e nipote, la predetta ditta individuale comprendente tutto il patrimonio immobiliare alla nuora (che pur si stava separando, negli stessi giorni, dal N.) e alla giovane nipote. Si tratta di una contiguità temporale che consente di presumere una dolosa preordinazione del debitore volta alla dimissione del proprio patrimonio immobiliare, a danno dei creditori. Rimane, quindi, da esaminare la consapevolezza di tale pregiudizio da parte del terzo ("partecipatio fraudis"). In casi come questo, l'elemento psicologico della fattispecie revocatoria deve essere accertato in capo al legale rappresentante ovvero ai soci, con uno sdoppiamento della posizione del terzo acquirente: la società, quale destinataria dell'atto impugnato e legittimata passiva, ed il legale rappresentante o i soci, quali compartecipi del "partecipatio fraudis" (Cassazione civile , sez. III , 23/02/2021 , n. 4863Tribunale Napoli, 06/02/2008; Tribunale Teramo 13/09/2022, n. 893; Tribunale Vicenza sez. II 06/06/2022 n. 995). Nello specifico, al momento del conferimento immobiliare la (...) s.s. risultava costituita tra (...) e (...). Come si è già sopra evidenziato, (...) era la nuora della signora (...), in quanto moglie del condebitore, nonchè socio illimitatamente responsabile della (...) s.s., (...). La signora (...), per pacifica ammissione della stessa, lavorava nell'azienda agricola di famiglia con il marito e con la suocera. È quindi inverosimile che la stessa, per le ragioni già sopra indicate, non fosse a conoscenza della situazione debitoria della (...) s.s., di cui sia il marito che la suocera erano soci illimitatamente responsabili nonché garanti, e non conoscesse pertanto il pregiudizio arrecato con l'atto dispositivo in esame. Sussistono dunque tutti i presupposti per l'esperibilità dell'azione revocatoria azionata nei confronti di (...) per l'atto di conferimento nella società di nuova costituzione, (...) s.s., del suo ingente patrimonio immobiliare. 2.3.4. L'ultimo atto dispositivo di cui si chiede la revoca è quello di cessione delle quote societarie della (...) s.s. in favore della nipote. Come si è già detto, la signora (...), subito dopo aver costituito insieme alla (...) la società (...) s.s., conferendo a liberazione della quota sottoscritta l'intero suo patrimonio immobiliare, in data 30.03.2016, cedeva la propria quota di partecipazione, pari al (...)% del capitale sociale del nuovo ente, alla nipote (...). La vendita avveniva al prezzo dell'asserito valore nominale della quota societaria, pari ad Euro 2.750,00. Ebbene, occorre innanzitutto rilevare che anche la cessione della quota di partecipazione societaria è un atto di disposizione del patrimonio, inteso come quel complesso di rapporti attivi e passivi, facenti capo ad un soggetto, suscettibili di valutazione economica e, come tale, ricorrendone i presupposti di legge, è atto revocabile ai sensi dell'art. 2901 c.c. Nel caso di specie, tale atto si caratterizza così come l'ennesima disposizione patrimoniale posta in essere dalla signora (...) a nocumento delle ragioni dei creditori della (...) s.s., di cui la stessa era garante e socia illimitatamente responsabile: ciò in quanto la cessione della quota, pari al (...)% del capitale sociale di (...) s.s., è avvenuta al prezzo di nominali Euro 2.750,00, ovvero ad un prezzo assolutamente e palesemente non congruo se rapportato al valore effettivo della quota in relazione al patrimonio immobiliare conferito cinque giorni prima nella società dalla stessa debitrice (valore dichiarato di Euro 445.700,00, cfr. docc. docc. n. 14-15 parte attrice). La circostanza che la debitrice abbia realizzato un corrispettivo (irrisorio) in relazione al valore del patrimonio immobiliare conferito in società non esclude che l'atto sia pregiudizievole. Il pregiudizio sussiste, infatti, già in quanto un bene autonomamente identificabile come oggetto di esecuzione sia convertito in denaro o in altri beni non attualmente identificabili nel patrimonio del debitore. Sotto il profilo soggettivo, per tutto quanto già detto, la signora (...) era certamente a conoscenza del pregiudizio che l'atto di disposizione arrecava alle ragioni della creditrice, e tale conoscenza può fondatamente presumersi anche in capo alla nipote, (...), cessionaria della quota societaria. Come si è detto, la prova della "partecipatio fraudis" del terzo, necessaria ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l'atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore e il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente (Cass. Civ., Sentenza del 29.04.2020, n. 8390). Nel caso di specie, la conoscenza del pregiudizio in capo alla nipote (...) può presumersi proprio alla luce dello stretto vincolo parentale intercorrente tra le parti dell'atto di cessione (rispettivamente, nonna e nipote), nonché dal fatto (...) fosse figlia dell'altro condebitore, (...); è improbabile, pertanto, che la stessa fosse completamente all'oscuro delle problematiche debitorie dell'azienda di famiglia, e del motivo che stava spingendo il (...) e la (...) a compiere, nel giro di soli otto giorni, questa complessa operazione volta alla totale dimissione del patrimonio immobiliare a loro intestato. Ne discende che anche l'atto di cessione delle quote di (...) s.s. del 30.03.2016, a rogito del Notaio dott. (...), deve essere revocato. 2.4. In conclusione, per quanto sopra argomentato, accertata la sussistenza di tutti presupposti per l'esperimento dell'azione revocatoria, la domanda attorea deve essere accolta e deve dichiararsi l'inefficacia nei confronti di (...), ed oggi della cessionaria del credito (...) s.r.l., e per essa (...) s.r.l,, degli atti di disposizione patrimoniale stipulati in suo pregiudizio da (...) e (...), così come meglio specificati in dispositivo. 2.5. Deve invece essere rigettata, essendo rimasta totalmente priva di allegazione e supporto probatorio, la domanda risarcitoria avanzata da (...) in merito a non meglio definiti danni dalla stessa asseritamente subiti a causa degli atti pregiudizievoli posti in essere dai convenuti. 3.1. In virtù del principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., le parti convenute tutte devono essere condannate, in solido tra loro, a rimborsare a parte attrice le spese processuali, così come liquidate in dispositivo, in conformità del Regolamento adottato con il D.M. 10 marzo 2014, n. 55 (aggiornato al 2022). 3.2. Precisamente, tenuto conto: - del disposto di cui all'art. 5, comma 1, del citato D.M. n. 55 del 2014 (ai sensi del quale nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie "si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta"); - dei parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale previsti dall'art. 4 del citato D.M. n. 55 del 2014 (e, in particolare, delle caratteristiche, della natura, della e del valore dell'affare, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate); i compensi vengono liquidati sulla base della Tabella 2) allegata al predetto Regolamento, secondo i valori medi di liquidazione previsti nello scaglione "da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000,00" (credito indicato in citazione Euro 199.467,13) e così per i seguenti importi: Euro 2.552,00 per la fase di studio della controversia Euro 1.628,00 per la fase introduttiva del giudizio Euro 5.670,00 per la fase istruttoria e/o di trattazione Euro 4.253,00 per la fase decisionale per un totale di Euro 14.103,00, oltre alle spese documentate, al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge. 3.3. Stante l'intervento in giudizio della cessionaria del credito di (...), i compensi sono liquidati in favore di quest'ultima per la sola fase in cui è stata parte attiva del giudizio (fase decisionale). P.Q.M. Il TRIBUNALE DI ALESSANDRIA, Sezione Civile, in composizione monocratica, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 1011/2018 R.G. così provvede: 1) Dichiara l'inefficacia ex art. 2901 c.c., nei confronti della creditrice (...) S.p.A., ed ora della cessionaria del credito (...) S.r.l.: a) dell'atto di trasferimento immobiliare a rogito Notaio (...) (...), Rep. n. (...) - Racc. n. (...), trascritto presso l'Agenzia del Territorio - Direzione Provinciale di Alessandria - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Tortona, al n. 758 registro generale - n. 572 registro particolare, stipulato tra il signor (...) e la signora (...) in adempimento di pregressi accordi di separazione assunti in sede di negoziazione assistita, avente ad oggetto i seguenti beni immobili: - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), cons. vani 7, strada provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), cons. vani 7, strada provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), strada provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), strada provinciale per Sale n.27, piano T; - Foglio (...), mapp. (...), cat. (...), cons. mq 383, strada comunale Viscarda n.4, piano T; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 33are 30 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 27 are (...) centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 34 are 30 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 70 are 39 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 19 are (...) centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari (...) are 70 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 28 are 60 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 are 97 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 13 are 80 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 2 ettari 42 are (...) centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 ettari (...) are 52 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 ettari 8 are 40 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 10 are 81 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are 40 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 are 73 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 2 ettari 4 are 62 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are 19 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 30 are 91 centiare ; Unità Negoziale n. 2 In Comune di Tortona (AL) : - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 30 are 70 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 28 are 60 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 2 are 60 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari (...) are 28 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 99 are 30 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 2 ettari 38 are 20 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 26 are 20 centiare ; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 26 are 20 centiare; b) dell'atto di conferimento immobiliare nella (...) Società Semplice Agricola, costituita dalle signore (...) e (...), con atto a rogito Notaio (...) del (...) marzo 2016, Rep. n. (...)- Racc. n. (...), trascritto presso l'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Alessandria - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Tortona in data 4 aprile 2016, al n. 848 registro generale - n. 635 registro particolare, avente ad oggetto i seguenti beni immobili: con riguardo a (...): In Comune di Tortona (AL): - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), cons. vani 7, Strada Provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), cons. vani 7, Strada Provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), Strada Provinciale per Sale n.27, piano T-1; - Foglio (...), mapp. (...), sub. (...), cat. (...), Strada Provinciale per Sale n.27, piano T; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 33are 30 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 27 are (...) centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are 30 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 70 are 39 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 19 are (...) centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari (...) are 70 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 28 are 60 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 are 97 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 13 are 80 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 2 ettari 42 are (...) centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 ettari (...) are 52 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 ettari 8 are 40 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 10 are 81 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are 40 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 3 are 73 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 2 ettari 4 are 62 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are 19 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 1 ettari 30 are 91 centiare; - Foglio (...), mapp. (...), cat. (...), cons. mq 383, strada comunale Viscarda n.4. Unità negoziale n.2: in Comune di Tortona (AL): - Foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. 39 are 30 centiare. trascritto presso Agenzia delle Entrate - direzione Provinciale di Pavia - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Vigevano in data 5.04.2016 al numero 2562 Registro Generale - numero 1788 Registro Particolare, avente ad oggetto i seguenti immobili: con riguardo a (...): Comune di Isola Sant'Antonio (AL) - foglio (...), mapp. (...), terreno, cons. (...) are; c) dell'atto di cessione di quota sociale del 30.03.2016 a rogito Notaio (...), n. rep. (...), racc. (...), stipulato tra (...) e (...). 2) Ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Alessandria (Agenzia delle Entrate - Ufficio provinciale territorio - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Tortona) di annotare la suddetta declaratoria di inefficacia in margine: - alla trascrizione dell'atto Notaio (...) del (...), Rep. n. (...) - Racc. n. (...), effettuata in data 23.3.2016, Registro generale n. 758 - Registro particolare n. 572; - alla trascrizione dell'atto Notaio (...) del (...) marzo 2016, Rep. n. (...)-Racc. n. (...), effettuata in data 4.04.2016, Registro generale n. 848 - Registro particolare n. 635. 3) Ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari di Pavia (Agenzia delle Entrate - Ufficio provinciale territorio - Servizio di Pubblicità Immobiliare di Vigevano) di annotare la suddetta declaratoria di inefficacia in margine: - alla trascrizione dell'atto Notaio (...) del (...) marzo 2016, Rep. n. (...) - Racc. n. (...), effettuata in data 5.04.2016, Registro generale n. 2562 - Registro particolare n. 1788. 4) Dichiara tenuti e condanna i signori (...), l'eredità (...) di (...), nonché (...), (...) e (...) s.s., in solido tra loro, a rimborsare a (...) S.p.A. le spese processuali, liquidate in Euro 9.850,00 per compensi ed Euro 786,00 per spese documentate, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge, nonché le spese di registrazione della presente sentenza e successive occorrende; 5) Dichiara tenuti e condanna i signori (...), l'eredità (...) di (...), nonché (...), (...) e (...) s.s., in solido tra loro, a rimborsare a (...) S.r.l., e per essa (...) S.r.l., le spese processuali, liquidate in Euro 4.253,00 per compensi, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale della prestazione, oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge, nonché le spese di registrazione della presente sentenza e successive occorrende; Si precisa che, in relazione ad eventuali dati sensibili contenuti nel provvedimento, in caso di riproduzione del provvedimento non andrà riportata l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi della/e parte/i cui i dati sensibili si riferiscono nei termini di cui alle Linee Guida del Garante per la Privacy. Così deciso in Alessandria il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE In composizione monocratica, in persona del Giudice Istruttore in funzione di Giudice Unico, Dott. Diego Gandini, all'udienza del 05 dicembre 2022, previa lettura del dispositivo e con riserva di deposito delle motivazioni della sentenza ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 22, L. n. 689 del 1981, 6, D.Lgs. n. 150 del 2011, 429, comma 1, c.p.c., ha pronunciato, pubblicandola, la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al Nr. 4010/2017 R.G., avente ad oggetto "altri istituti e leggi speciali" (codice (...)), promossa con ricorso di: (...), come rappresentato e difeso dall'Avv.to Mi.Ga., del Foro di Alessandria RICORRENTE CONTRO MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sede Territoriale di Asti-Alessandria, Sede di Alessandria, in persona del proprio Direttore pro tempore, come rappresentato e difeso dalle Dott.sse Pa.Le. e Ro.Ri., Funzionari in servizio presso il medesimo RESISTENTE RITENUTO IN FATTO Con ordinanza-ingiunzione 11 settembre 2017, n. 324, notificata in data 22 settembre 2017, il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti-Alessandria, Sede di Alessandria, sanzionava (...) per la ritenuta violazione: 1) art. 4 bis, comma 2, primo periodo, D.Lgs. n. 181 del 2000 e s.m.i., per non aver consegnato, prima dell'inizio della prestazione lavorativa, copia della comunicazione obbligatoria di assunzione o copia del contratto di lavoro contenente le informazioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 1997 ai lavoratori (...), (...), (...) e (...); 2) art. 9 bis, comma 2, D.L. n. 510 del 1996 e s.m.i., per non aver comunicato al competente Centro per l'Impiego, relativamente al lavoratore (...), l'inizio del rapporto di lavoro (26 novembre 2014) e la qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato; 3) art. 39, commi 1 e 2, D.L. n. 112 del 2008 e s.m.i., per non aver registrato nel libro unico del lavoro (LUL) i dati anagrafici, le ore di lavoro effettivamente prestate e le retribuzioni corrisposte. - al lavoratore (...), periodo agosto/ottobre 2014; - ai lavoratori (...); (...) e (...), periodo novembre 2014; - ai lavoratori (...), (...) e (...); dicembre 2014; - alla lavoratrice (...), periodo gennaio 2015; 4) art. 4, comma 4, D.L. n. 352 del 1978, e s.m.i., per non aver consegnato il CUD 2015 (redditi 2014) ai lavoratori (...) e (...); 5) art. 3, comma 3, D.L. n. 12 del 2002 e s.m.i., per aver occupato, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al competente Centro per l'Impiego, il lavoratore (...), impiegato dal 01 agosto 2014 al 31 dicembre 2014, per n. 48 giorni di effettivo lavoro; 6) art. 3, comma 3, del D.L. n. 12 del 2002 e s.m.i., per aver occupato, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro al competente Centro per l'Impiego, le lavoratrici: - (...), in forza dal 01 novembre 2014 e successivamente regolarizzata in qualità di collaboratrice a progetto dal 21 novembre 2014 (per n. 14 giorni di lavoro effettivo); - (...), in forza dal 01 dicembre 2014 e successivamente regolarizzata in qualità di collaboratrice a progetto dal 05 gennaio 2015 (per n. 21 giorni di lavoro effettivo). Previo preliminare respingimento di ricorso ex art. 17, D.Lgs. n. 124 del 2004 (proposto innanzi il Comitato Regionale per i Rapporti di Lavoro presso la Direzione Interregionale del Lavoro di Milano avverso verbale unico di accertamento e notificazione, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sede Territoriale di Asti-Alessandria, 31 luglio 2015, n. (...), protocollo (...) settembre 2015, n. 17893, 22 settembre 2015, n. 18567), proponeva quindi opposizione all'ordinanza-ingiunzione in oggetto l'ingiunta con ricorso depositato in data 20 ottobre 2017, a mezzo il quale era a chiedere, previa sospensione della di essa efficacia esecutiva, in via di principalità, l'annullamento del provvedimento opposto ed, in via di subordine, la riduzione della sanzione ai minimi edittali. Con vittoria, in ogni caso, delle spese di lite. Si costituiva in giudizio la resistente Amministrazione che, contestando gli assunti di parte ricorrente e richiamando la documentazione tutta in proprio possesso (della quale eseguiva il versamento agli atti del giudizio), chiedeva la reiezione del ricorso stesso. Con vittoria della spese di lite. Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, respinta l'istanza in via cautelare da parte ricorrente svolta ai fini dell'ottenimento della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento opposto, assunta la deposizione dei testi (...), R.M., C.L., (...) e (...), il giudizio perveniva quindi in decisione all'udienza del 05 dicembre 2022 a mezzo lettura del dispositivo di sentenza e con riserva di deposito delle motivazioni della sentenza ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 22, L. n. 689 del 1981, 6, D.Lgs. n. 150 del 2011, 429, comma 1, c.p.c., sulle conclusioni come in epigrafe dalle parti rassegnate. RITENUTO IN DIRITTO - Sull'eccezione di carenza di legittimazione passiva di "(...) Srl" da parte ricorrente avanzata. Eccepisce, in via pregiudiziale, il ricorrente (...) la carenza di legittimazione passiva di "(...) Srl". L'eccezione è improcedibile e/o comunque infondata. La legittimazione ad agire, convenire, intervenire od essere chiamato in causa, processualmente intesa, costituisce una condizione dell'azione diretta all'ottenimento, da parte del Giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla domanda e prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità (attiva o passiva) del rapporto dedotto in causa, che (quale legittimazione meramente sostanziale) si riferisce invece al merito della causa medesima, investendo i concreti requisiti di sua accoglibilità e, perciò, fondatezza. La legitimatio ad causam (il cui eventuale difetto, in quanto presupposto processuale, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, a differenza del riscontro in ordine alla titolarità attiva e/o passiva del rapporto dedotto in causa che, afferendo il merito della causa, può essere deciso esclusivamente secundum alligata et probata partium) deve essere difatti intesa come il diritto potestativo di ottenere dal Giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole. Il relativo difetto riguarda pertanto esclusivamente la mancata astratta coincidenza dell'attore e/o del convenuto con i soggetti rispettivamente richiedente e destinatario della richiesta pronuncia, distinguendosi nettamente, si ripete, dall'accertamento in concreto che l'attore od il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ora: con l'ordinanza-ingiunzione 11 settembre 2017, n. 324, il MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti-Alessandria, Sede di Alessandria, sanzionava, ancorché nella di egli, contingente, qualità di amministratore unico di "V. Srl", (...) per la ritenuta violazione delle norme di legge nelle premesse in fatto illustrate. E lo sanzionava in qualità di trasgressore; senza altresì sanzionare in alcun modo "V. Srl" in qualità di obbligata in solido. "V. Srl" risulta poi essere stata dichiarata fallita. Mentre il ricorso è stato da (...) proposto, ancorché allegando la propria qualità di (già) legale rappresentante della più volte citata "V. Srl", in proprio (e non in nome e per conto della società stessa). Ne consegue, secondo gli assunti che precedono, prima ancora che un, eventuale, difetto di titolarità passiva (se si preferisce, difetto di legittimazione sostanziale passiva) del rapporto dedotto in causa in capo a "V. Srl", il, concreto, difetto di legittimazione processuale attiva di (...) a svolgere qualsivoglia domanda nell'interesse della suddetta società, che non è parte in causa. E che nemmeno avrebbe poi potuto svolgere domanda alcuna in questa sede in persona dell'odierno ricorrente, in quanto, per allegazione dello stesso, fallita; con conseguente carenza di legitimatio ad processum (poiché incapace di stare in giudizio in persona dell'odierno ricorrente medesimo). - Sull'eccezione di illegittimità del verbale unico di accertamento e notificazione presupposto, e conseguente illegittimità dell'ordinanza-ingiunzione impugnata, per carenza di motivazione. Eccepisce, in via preliminare, parte ricorrente l'illegittimità del verbale unico di accertamento e notificazione verbale unico di accertamento e notificazione, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sede Territoriale di Asti-Alessandria, 31 luglio 2015, n. (...), protocollo (...) settembre 2015, n. 17893, 22 settembre 2015, n. 18567, e, di conseguenza, dell'ordinanza-ingiunzione 11 settembre 2017, n. 324, in ragione di allegata sua carente motivazione; con violazione dell'art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 124 del 2004. L'eccezione è infondata e deve pertanto essere respinta. Come difatti documentalmente provato, detto verbale risulta essere stato regolarmente notificato all'odierno ricorrente in data 13 marzo 2015. Deve pertanto osservarsi come l'ordinanza-ingiunzione oggetto del presente giudizio possa, e debba, considerarsi correttamente adottata a fronte della legittimità, per costante e consolidata Giurisprudenza, sia di Merito che di Legittimità, della motivazione ivi (espressamente) operata ob relationem con riferimento agli atti procedimentali già portati a conoscenza del soggetto inciso dall'azione amministrativa (ovvero, il suddetto verbale unico di accertamento e notificazione). Sia (eventualmente) ai sensi dell'art. 3, L. n. 241 del 1990; che (in ogni caso) dell'art. 18, L. n. 689 del 1981. Ai sensi della suddetta norma di legge, oltre il resto, difatti, "il verbale di accertamento e notificazione deve contenere: a) gli esiti dettagliati dell'accertamento, con indicazione puntuale delle fonti di prova degli illeciti rilevati". E ritenuto come, sulla scorta del dato normativo di riferimento, nessun obbligo di allegazione integrale delle dichiarazioni raccolte dal personale ispettivo sia nella fattispecie richiesto, palese è come nel suddetto verbale risultino viceversa precipuamente espressi e definiti: il riferimento alle, nonché l'illustrazione delle, operazioni ispettive nella fattispecie eseguite; la chiara esposizione degli atti di accertamento e contestazione all'esito adottati; la descrizione del fatto e della condotta oggetto di contestazione; nonché, ed infine, la specifica valutazione, alla stregua della normativa sanzionatoria di riferimento, della di essa illiceità. L'apparato motivazionale dell'ordinanza-ingiunzione opposta, così come degli atti ad essa prodromici e connessi, risulta pertanto, con ampia evidenza, esaustivo e capace di illustrare pienamente e con chiarezza il substrato fattuale (ovverosia l'"ubi consistam") della violazione amministrativa commessa e la sua valutazione in punto diritto (quale, si ripete, illecito), così da non attingere lesione alcuna dei diritti difensivi del soggetto ingiunto. Nessuna doglianza, in altri termini, parte ricorrente può sollevare in ordine ad eventuali carenze motive della complessiva azione amministrativa condotta nei propri confronti, atteso come l'indicazione degli estremi presi a suffragio delle proprie determinazioni l'Amministrazione abbia compiutamente allegate, così da consentire, altrettanto compiutamente, ogni precipua difesa (nella fattispecie, d'altra parte, effettivamente da parte ricorrente stessa, sia in sede amministrative che in sede giudiziale esperita). - Sul merito dell'opposizione da parte ricorrente proposta. Dato atto che con riferimento alla contestazione contenuta sub n. (...)) dell'ordinanzaingiunzione opposta, nessun motivo di doglianza risulta dal ricorrente essere stato sollevato, oppone, nel merito, (...) l'insussistenza della condotta illecita contestata. La domanda di annullamento dell'impugnata ordinanze-ingiunzione in questa sede proposta, in ogni caso, è infondata e deve pertanto essere respinta. "Con l'opposizione alla ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa viene introdotto un giudizio ordinario sul fondamento della pretesa dell'amministrazione, nel quale le vesti sostanziali di attore e convenuto vengono assunte, anche ai fini dell'onere della prova, rispettivamente dall'amministrazione e dall'opponente", così che "ove l'amministrazione non adempia l'onere di dimostrare compiutamente la esistenza di fatti costitutivi dell'illecito", "l'opposizione deve essere accolta" (Cass. civ., Sez. I, n. 5095/1999). Conformi, Cass. civ., Sez. I, n. 1122/1999; Cass. civ., Sez. I, n. 1531/1996; Cass. civ., Sez. III, n. 3741/1999 (che, tra l'altro, precisa: "in tema di opposizione all'ordinanza ingiunzione di irrogazione della sanzione amministrativa, l'art. 23, comma 12, della L. n. 689 del 1981, a norma del quale il pretore accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell'opponente, recepisce le regole civilistiche sull'onere della prova, spettando all'autorità che ha emesso l'ordinanza ingiunzione di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata nei confronti dell'intimato"). Il presente giudizio di opposizione, difatti, non ha ad oggetto soltanto l'ordinanza-ingiunzione considerata in sé (quale atto di cui devesi scrutinare la legittimità), bensì (ed anche) il concreto contenuto di esercizio della potestà punitiva della Pubblica Amministrazione. Esso (qualificabile, secondo questo Giudicante, come di "impugnazione-merito") è pertanto finalizzato all'accertamento della fondatezza della pretesa sanzionatoria dell'Amministrazione, per cui, in caso di insufficiente prova della responsabilità del ricorrente, la domanda in opposizione dovrà essere accolta, in applicazione del principio "actore non probante, reus absolvitur". Fatte queste premesse, deve allora scrutinarsi il quadro probatorio oggi portato all'attenzione di questo Ufficio; quadro che, nella fattispecie, non può che condurre a giudizio di pieno assolvimento, da parte della resistente Amministrazione, dell'onere probatorio essa in capo gravante. In corso di giudizio, come già indicato, erano difatti escussi, quali testi indotti da parte ricorrente, R.M. e C.L.; quali testi indotti da parte resistente (...), (...) e (...) (non poteva assumersi la deposizione del teste (...), di fatto resosi irreperibile). I testi R.M. e C.L. riferivano di nulla conoscere in ordine i fatti di causa o fornivano, al più, risposte estremamente generiche e prive dei necessari riferimenti temporali. I testi viceversa intimati dall'Amministrazione confermavano il contenuto dei capitoli di prova da questa formulati, oltremodo conformemente a quanto già in sede ispettiva esposto in qualità di sommari informatori. Il teste (...) confermava difatti di aver lavorato dal 26 novembre 2014 al 19 dicembre 2014; di aver svolto mansioni di portalettere, ad A., dal lunedì al venerdì, per n. 8 ore di lavoro giornaliero; di aver utilizzato un palmare fornito dall'azienda. Le teste (...) riferiva di aver provveduto alla consegna della posta dal dicembre 2014; di aver lavorato dal lunedì al sabato dalle ore 08.00 alle 19.00, con i medesimi orari di (...) e (...); di aver percepito per il mese di dicembre 2014 la somma di Euro 300,00/400,00 in contanti; di avere avuto in dotazione un palmare e una pettorina forniti dall'azienda. La teste (...) confermava di aver lavorato per tre mesi, da novembre a gennaio 2015; di essersi occupata di ritiro, smistamento e consegna della posta; di aver lavorato dalle ore 07.00/7.30 alle 18.30/19.00, a volte anche il sabato; di aver utilizzato il palmare e la pettorina forniti dall'azienda; che quivi aveva lavorato altresì (...), anch'egli quale addetto alla consegna della posta, ancorché nella zona di Acqui Terme, con orario compreso tra le 08.00/9.00 e le 16:00, dal lunedì al venerdì, anch'egli dotato di palmare e pettorina forniti da parte datoriale. Con conseguente accertamento di effettivo intervenuto rapporto di lavoro subordinato tra (...) (quale titolare, dal lato attivo, della relativa connotazione datoriale) ed i contestati lavoratori tutti; e con altrettanto conseguente disconoscimento (a fronte delle mansioni da questi ultimi svolte) di eventuale, ma simulato, rapporto di lavoro a progetto o diverso ulteriore. - Sul trattamento sanzionatorio. Provata la sussistenza degli illeciti contestati in capo alla ricorrente G.G., valutati i criteri tutti di cui all'art. 11, L. n. 689 del 1981, in punto quantum, congrua, equa e dissuasiva (considerato il numero di lavoratori in successione coinvolti e le concrete modalità operative di consumazione degli illeciti tramite la creazione, all'evidenza anche "ad arte", di numerose realtà societarie facenti tuttavia sempre capo alla medesima persona fisica) risulta la sanzione inflitta, conformandone giudizio di effettiva e proporzionale corretta modulazione in rapporto alla complessiva gravità della condotta consumata. Altro dovere per gli effetti al procedente Ufficio non residua che integralmente respingere il ricorso da G.G. medesima nel presente giudizio proposto. - Sulle spese di lite. Le spese di lite, liquidate come in parte dispositiva sulla scorta dei parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022 (nella cui vigenza l'attività difensiva è stata portata a termine e nel valore conforme alle medie tariffarie per le cause di valore compreso tra Euro 26.000,01 ed Euro 52.000,00 per le fasi di giudizio effettivamente occorse di studio della controversia, introduttiva, istruttoria e decisionale, previa loro riduzione in misura prossima al 50% e ulteriore riduzione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 9, comma 2, D.Lgs. n. 149 del 2015, 152 bis, disp. att. c.p.c.), seguono la soccombenza. P.Q.M. Visti gli artt. 22 e s., L. 24 novembre 1981, n. 689; 6, D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150; 91, 413 e ss., 429 c.p.c. Definitivamente pronunciando; ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta; - respinge il ricorso da (...) proposto avverso l'ordinanza-ingiunzione MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Nazionale del Lavoro, Sede Territoriale di Asti-Alessandria, 11 settembre 2017, n. 324; - condanna (...) al pagamento delle spese di lite nel presente giudizio dal MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, Ispettorato Territoriale del Lavoro di Asti-Alessandria, Sede di Alessandria affrontate che, in favore dello stesso, si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00) oltre rimborso forfetario a titolo di spese generali; - riserva in giorni 60 (sessanta) il termine per il deposito delle motivazioni. Così deciso in Alessandria il 5 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Elisabetta Bianco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 511/2022 R.G. promossa da: (...) (C.F. (...)) con il patrocinio degli avv. DE.PA. (CF (...)) e DE.LU. ((...)), con elezione di domicilio in VIA (...) 15100 ALESSANDRIA presso lo studio dell'avv. DE.PA.; ATTORE- OPPONENTE contro: (...) S.R.L., (C.F. (...)) e per essa (...) SPA (CF (...)) con il patrocinio dell'avv. ME.IG. (CF (...)), con elezione di domicilio in Via (...) 90141 PALERMO, presso e nello studio dell'avv. ME.IG.; CONVENUTO - OPPOSTO IN FATTO Con atto di citazione (...) ha proposto opposizione al precetto notificatogli il 7.6.2021 per 57.244,93 a seguito del quale era stata instaurata procedura esecutiva (RG 211/21). In particolare, ha allegato che in forza di contratto di mutuo fondiario del 6.8.2003 e successivo atto di erogazione e quietanza (...) Spa aveva concesso a (...) 60.000 Euro, credito garantito da ipoteca su beni della stessa nonché da fideiussione dell'odierno attore. L'attore ha proposto un unico motivo di opposizione avente ad oggetto il difetto di titolarità del credito in capo a (...) srl allegando: - difetto di prova del passaggio del credito da (...) Spa a (...) spa e da questa a (...); - inidoneità della dichiarazione della banca cedente (...) sia perché non utilizzabile neppure a fini indiziari, in quanto dichiarazione di scienza proveniente da un terzo, sia per la mancata corrispondenza tra il numero di finanziamento indicato nella dichiarazione ed il numero di mutuo; - inidoneità degli avvisi di cessione pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, stante la loro indeterminatezza e l'impossibilità di individuare tra tutti gli ipotetici debiti riferibili a (...) quello specifico garantito dal sig. (...). Ha dato atto di aver proposto, per i medesimi motivi, istanza sospensiva nell'esecuzione, istanza rigettata dal GE. Si è costituita (...) srl dando atto che l'ordinanza di rigetto del 15.12.21 del GE era stata reclamata dall'opponente, reclamo anch'esso rigettato con ordinanza del 2.2.22 del Tribunale di Alessandria. Quanto al merito dell'opposizione ha allegato che gli avvisi in G.U. contenevano rinvio al sito nel quale erano indicati i codici CERI dei crediti ceduti. Ha ricostruito i passaggi che hanno portato alla cessione nei seguenti termini: - (...) Spa si era fusa per incorporazione in (...) spa (doc. 7 e 8) - (...) spa ha poi ceduto a (...) srl con avvisi pubblicati in GU n. 93/17 e 126/19 (doc.1 e 2); - (...) ha conferito alla mandataria (...) spa, ora (...) spa, procura per la gestione e l'incasso dei crediti (doc. 9,10); Quanto alla cessione contestata ha allegato come con avviso in G.U. n. 93 dell'8.8.17, integrato da avviso n. (...) del 26.10.19 (doc. 1,2) veniva indicato il sito internet dove erano pubblicati i singoli crediti ceduti da (...) a F., tra cui quello per cui è causa con CERI (...), a pagina 23, ultima riga (sub doc (...),(...)). Inoltre ha prodotto dichiarazione del 2.12.21 di (...) spa (doc.5) riferita al finanziamento di 60.000 Euro nonché la procura speciale della dirigente firmataria. Ha chiesto quindi il rigetto della domanda. Alla prima udienza le parti hanno richiamato gli atti e chiesto termini ex art. 183 c.p.c.. Nelle memorie 183 c.p.c. parte attrice ha affermato che non vi sarebbe la prova della cessione, non essendo prodotto il contratto di cessione e non essendo sufficienti gli avvisi pubblicati in G.U., in quanto identici ad altri avvisi aventi ad oggetto altri rapporti. Ha evidenziato l'irrilevanza dell'elenco dei crediti ceduti presente sul sito, non essendo riportato in G.U. così come del foglio di lavoro ad uso interno alla banca, insistendo sul fatto che non vi sia prova che la posizione indicata sia quella per cui è causa e non una diversa, non risultando il nome del fideiussore. Parte convenuta ha richiamato le difese e le ordinanze del G.e. e del Collegio in sede di reclamo. Dopo essersi scambiate le memorie le parti hanno chiesto fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni, conclusioni precisate all'udienza del 25.10.22 e si sono poi scambiate le memorie ex art. 190 c.p.c.. IN DIRITTO L'opposizione deve essere rigettata. È, infatti, stata fornita la prova delle cessioni del credito e della titolarità in capo alla convenuta. In primo luogo è stato prodotto l'atto di fusione tra (...) Spa a (...) spa che ha consentito l'acquisizione del credito in capo a (...) spa; peraltro, a fronte di tale produzione, parte attrice non ha più contestato tale passaggio. In secondo luogo è stata fornita la prova che il credito di cui al precetto fosse compreso tra quelli ceduti da (...) a (...) srl. Contrariamente a quanto sostenuto dall'attore, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'avviso pubblicato in G.U. sia idoneo a provare la titolarità del credito in capo al cessionario, anche quando individui i crediti in blocco, purché sia possibile individuare i singoli rapporti ceduti: "In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 delD.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza con la quale la Corte di Appello aveva ritenuto insufficiente la produzione dell'avviso di pubblicazione, recante l'indicazione per categorie dei rapporti esclusi dalla cessione, omettendo di verificare se il credito azionato fosse o meno riconducibile ad una delle predette categorie)" (Cassazione civile, sez. I , 29/12/2017 , n. 31188, Cassazione civile , sez. III , 13/06/2019 , n. 15884). Le argomentazioni sull'indeterminatezza e la genericità degli avvisi non colgono nel segno. In primo luogo ogni avviso pubblicato nella GURI è diverso dagli altri, essendo identificato con il relativo codice redazionale. Parte convenuta ha infatti prodotto l'avviso di pubblicazione di cui alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Parte II n. 93 del 8 agosto 2017, contrassegnato dal codice redazionale (...) - così come integrato dall'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Parte II n. 126 del 26 ottobre 2019 individuato dal codice redazionale (...) (doc. 2 - 3). Inoltre, l'avviso di cessione individuava la categoria dei crediti ceduti da (...) S.p.A. come "tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant'altro) di (...) S.p.A. derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1971 e il 2016 e qualificati come attività finanziarie deteriorate". A ciò, peraltro, si aggiungeva l'indirizzo del sito web (...) per consultare direttamente l'elenco di tutte le posizioni cedute. Si legge infatti nell'avviso: "I dati indicativi dei crediti ceduti, nonché la conferma dell'avvenuta cessione per i debitori ceduti che ne faranno richiesta, sono messi a disposizione da parte del cedente e del cessionario sul sito internet ...". Fermo restando il rilievo per cui l'avviso conteneva le indicazioni necessarie per provare la titolarità del credito, in ogni caso la Suprema Corte ha ritenuto che la prova della cessione del credito e, quindi, della titolarità del diritto, possa essere fornita anche nel corso del giudizio: "non può neppure esservi un ostacolo a che la stessa prova della cessione avvenga con documentazione successiva alla pubblicazione della notizia in Gazzetta Ufficiale, offerta in produzione nel corso del giudizio innescato proprio dall'intimazione al ceduto notificata dal cessionario" (Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 16/04/2021), n.10200). Nel caso di specie parte convenuta ha fornito la prova in giudizio della propria legittimazione, avendo prodotto, oltre agli avvisi pubblicati su G.U., l'elenco presente sul sito con le posizioni cedute da cui risulta, a pagina 23, il codice NDG/CERI: (...) da riferirsi alla posizione per cui è causa, come riscontrabile dall'all. 3 di riepilogo delle segnalazioni alla centrale rischi, nel quale al codice Ceri (...) corrisponde la posizione di (...). Le deduzioni sul fatto che la convenuta avrebbe prodotto un "foglio di lavoro interno alla banca" appaiono generiche e irrilevanti. L'elenco presente sul sito contenente i codici CERI è un documento richiamato in Gazzetta Ufficiale, pubblicato e consultabile da chiunque; neppure l'ulteriore documento prodotto dal quale si evince la corrispondenza del codice CERI al rapporto per cui è causa è un foglio di lavoro e il rilievo per cui provenga dalla Banca appare irrilevante, avendo ad oggetto i crediti da questa acquisiti e considerato che in assenza di contestazioni sulla veridicità del documento, lo stesso è valutabile in termini probatori. Anche l'ulteriore rilievo sul fatto che il codice CERI corrisponda alla posizione della (...) ma che potrebbero esserci in ipotesi varie linee di credito a lei intestate e diverse da quella per cui è causa non persuade. Si tratta di un rilievo del tutto generico senza alcuna allegazione concreta o prova anche indiziaria che permetta di ritenere fondata e concretamente valutabile tale ipotesi astratta. Non è mai stata concretamente dedotta, infatti, l'esistenza di altri rapporti di credito con l'istituto intestati alla (...). Fermo restando ciò, il rilievo contrasta con il fatto che la posizione non indichi solo il nome della debitrice principale ma anche il fatto che rispetto a quel credito vi fossero delle garanzie, come nel caso di specie quella rilasciata dall'odierno attore. Neppure il rilievo per cui il codice sia riferito alla debitrice principale e non al fideiussore, sposta i termini della questione, considerato che il rapporto obbligatorio è unico con la conseguenza per cui non può che esservi un unico codice riferito a quel rapporto e al debitore principale, senza che la presenza di coobbligati o garanti comporti l'attribuzione di ulteriori codici a loro riconducibili. Ferme queste valutazioni, già sufficienti a ritenere provata la cessione, si osserva che parte convenuta ha inoltre prodotto una dichiarazione della cedente (...), a firma della funzionaria, L.F., munita dei relativi poteri, per cui "tra i crediti compresi nella cessione a favore di (...) s.r.l. rientrano anche i crediti vantati nei confronti di (...) derivanti dal finanziamento di originari Euro 60.0000 numero (...)". Le contestazioni sulla valenza probatoria della dichiarazione non sono condivisibili. Sulla valenza dirimente della dichiarazione della cedente la Cassazione ha, infatti, affermato che: "nella descritta cornice ricostruttiva, la dichiarazione del cedente infine notiziata dal cessionario intimante al debitore ceduto con la produzione in giudizio, al pari della disponibilità del titolo esecutivo, era un elemento documentale rilevante, potenzialmente decisivo, e come tale ammissibile anche in grado di appello (Cass., Sez. (...), 04/05/2017, n. 10790 e succ. conf.)" (Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 16/04/2021), n.10200). Quanto all'unico rilievo sulla diversità del numero indicato nella dichiarazione e relativo al credito si osserva che tale diversità pare non dirimente a fronte dei molteplici elementi di segno contrario. In tal senso depone il fatto che tale dichiarazione era stata rilasciata proprio per essere prodotta, a riprova della cessione di questo specifico credito, nell'esecuzione fondata sul mutuo azionato con l'atto di precetto qui opposto, come già evidenziato nella fase cautelare davanti al GE e nel successivo reclamo davanti al Collegio. A ciò si aggiunga che vi è piena corrispondenza tra la dichiarazione e il titolo azionato dal creditore del nome e cognome della debitrice principale (...) e dell'esatto importo del mutuo per Euro 60.000,00. Per tali motivi, ritenuta provata la titolarità del credito azionato con il precetto in capo alla convenuta, l'opposizione deve essere rigettata. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte attrice che dovrà rifondere parte convenuta nella seguente misura: valori medi per fasi di studio, introduttiva e decisionale, minimi per fase istruttoria non essendo state chieste prove, e così: Euro 11.268 oltre spese generali, iva e cpa. P.Q.M. Il Tribunale di Alessandria in composizione monocratica, - rigetta l'opposizione all'esecuzione; - condanna parte attrice (...) a rifondere le spese del giudizio a parte convenuta (...) srl e per essa (...) s.p.a. per Euro 11.268 oltre spese generali, iva e cpa. Così deciso in Alessandria il 28 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZ. Civile Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 4087/19 del Ruolo Generale dell'anno 2019 posta in deliberazione all'udienza del 12.10.2022 e vertente tra (...), in atti gen.to, res. in (...) T. (A.), rappresentato e difeso dagli Avvocati Ma.Cu. e Al.Co. del Foro di Genova, e elett.te dom.to presso lo studio di questi ultimi in Genova via (...) Attore contro (...) s.p.a., con sede in M., nella qualità di Procuratore di (...) (...) s.p.a. in persona del procuratore (...), giusta procura in atti (doc. 2), rappresentata e difesa dagli Avvocati Lu.Zi. e Be.Mu. del foro di Milano, in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliata in Alessandria presso lo studio dell'Avv.to Ca.Fe.. Convenuta OGGETTO: azione di risarcimento del danno MOTIVI DELLA DECISIONE La presente causa si inserisce nel solco delle numerosissime cause di risarcimento danni intentate da clienti delle Banche, tra cui figura (...) s.p.a. al cui Gruppo appartiene (...) come Banca di affari, che prestarono la propria organizzazione imprenditoriale e la propria opera al fine di far acquistare ai propri clienti i diamanti commercializzati dalla (...) s.p.a., una società italiana poi dichiarata fallita dal Tribunale di Milano nel 2019. Infatti a partire dall'autunno 2017, anche grazie a inchieste giornalistiche dell'anno precedente, oltre che all'istruttoria svolta dall'Autorità Garante della concorrenza e del Mercato che nell'ottobre 2017 emise un provvedimento in cui sanzionava pesantemente (...) s.p.a., (...) s.r.l., (...) s.p.a. e (...) s.p.a., si apprese che tali soggetti avevano posto in essere pratiche commerciali scorrette nei confronti dei tanti consumatori che avevano acquistato i diamanti dalla (...), in estrema sintesi inducendo i clienti ad acquistare i diamanti in base a informazioni del tutto inveritiere ( tra cui spiccavano il far credere che si trattasse di investimento redditizio, facilmente commerciabile, basato su listini ufficiali) e soprattutto sovrastimando le pietre che i malcapitati clienti andavano ad acquistare per un prezzo eccessivo ( poi stimato dall'A. superiore del 60/80% a quello reale), il cui valore solo apparentemente era basato su valutazioni di terzi indipendenti, mentre in realtà si trattava di valutazioni effettuate dalla stessa (...) Peraltro questa mai avrebbe avuto tanto successo sul mercato se non si fosse avvalsa, stringendo sul punto appositi accordi di collaborazione (vedi per quanto qui di interesse l'Accordo di collaborazione tra (...) e (...) prodotto da parte convenuta sub doc.to n. 3) con primarie Banche presenti sul mercato, che già avevano un proprio portafoglio di clienti danarosi e propensi ad investire, ai quali dunque la Banca proponeva come investimento l'acquisto dei diamanti in oggetto. Avverso il provvedimento dell'Autorità Garante della concorrenza e del M.P.B. s.p.a. ha proposto impugnazione davanti al Giudice amministrativo, il quale l'ha rigettata completamente in primo grado ( vedi sentenza TAR Lazio n. 10967/18) e quasi del tutto in secondo grado ( vedi sentenza Consiglio di Stato n. 2081/21 dell'11 marzo 2021, con cui è stata solo parzialmente diminuita la sanzione amministrativa erogata). Deve pertanto ritenersi che, essendo i provvedimenti di cui sopra - emessi proprio nei confronti di (...) s.p.a. - ormai passati in giudicato, tutti i fatti in essi accertati, ed in particolare le gravi pratiche scorrette di cui sopra, sono ormai stati incontrovertibilmente accertati contro (...) s.p.a. Per quanto riguarda le reazioni dei consumatori truffati, i quali dopo aver chiesto a (...) di poter rientrare dai loro investimenti vendendo i diamanti acquistati si sono visti rispondere che ciò non era possibile, dopo un primo periodo in cui le azioni giudiziarie si sono rivolte contro la venditrice dei diamanti e solo in via sussidiaria contro le Banche, dopo il fallimento di (...) - pronunciato dal Tribunale di Milano con sentenza del 10 gennaio 2019 - le azioni si sono concentrate contro le Banche. I titoli in base ai quali si è agito sono plurimi ed anche nel nostro caso l'attore sig. (...) agisce : 1) innanzitutto sostenendo che al caso che ci occupa la Banca fosse obbligata ad applicare la normativa prevista dal TUF per gli investimenti finanziari, invece completamente disattesa; 2) in secondo luogo che è in ogni caso ravvisabile una responsabilità contrattuale della Banca, sia in base alla violazione del codice del Consumo, sia in base all'apporto causale nella conclusione del contratto sotto il profilo dell'attività di intermediazione e promozione concretamente svolta in violazione degli obblighi di buona fede di cui agli artt. 1175,1337 e 1375 c.c., anche eventualmente dal punto di vista della responsabilità precontrattuale 3) infine ed in ulteriore subordine viene avanzata domanda ai sensi dell'art. 2043 c.c., anche ai sensi degli artt. 2049 e 2055 c.c. per avere la Banca concorso con la (...) a commettere una vera e propria attività truffaldina nei confronti dei suoi clienti. Ha quindi l'attore proposto domanda di risarcimento del danno patito quantificando il danno come segue: 1) innanzitutto nella differenza di valore fra prezzo pagato dall'esponente e il reale valore dei diamanti al momento dell'acquisto, così come accertato a mezzo perizia di parte, basata peraltro sui parametri Rapaport, un listino che espone valori di riferimento universalmente riconosciuti; 2) inoltre nel danno derivante dall'impossibilità di rivendere i diamanti acquistati, con ulteriore decremento del loro valore; 3) nel danno morale, come previsto dall'art. 1338 c.c. 4) nel danno da mancato guadagno, consistente nell'introito che avrebbe ottenuto se avesse investito il proprio denaro altrimenti, ad es. in titoli di Stato. Si è costituita in giudizio la Banca convenuta che 1) in via preliminare ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva con riferimento alla responsabilità contrattuale demandatale posto che il contratto di acquisto dei diamanti, di cui la Banca non era parte, si era perfezionato fra il sig. (...) e la (...) s.p.a. 2) sempre in via preliminare l'improcedibilità dell'azione risarcitoria per non essersi il danno ancora verificato atteso che l'attore era ancora il proprietario dei diamanti e non aveva proceduto alla loro vendita, il che significava che al momento della proposizione della domanda nessuna perdita si era ancora verificata in capo all'investitore; 3) ancora in via preliminare la prescrizione delle domande di responsabilità extracontrattuale e contrattuale avanzata dal (...), per essere trascorsi oltre cinque anni dalla data degli acquisti ( risalenti il primo al 27 febbraio 2008, il secondo al 14 gennaio 2009, il terzo al 17 giugno 2010 e il quarto al 16 giugno 2011) e oltre dieci anni dal primo e dal secondo acquisto, senza che sul punto cambiasse qualcosa la messa in mora comunque ultradecennale del 28 marzo 2019; 4) nel merito evidenziava la Banca come essa avesse avuto il ruolo di mero segnalatore dell'affare, senza in alcun modo promuoverlo o fare da intermediatore; 5) evidenziava come il provvedimento della (...) non avesse incontrovertibilmente accertato pratiche scorrette in capo alla Banca in quanto non passato in giudicato, ed inoltre non provante l'assistenza di condotte censurabili con riferimento al caso concreto oggetto del giudizio; 6) evidenziava l'insussistenza di pratiche commerciali scorrette poste in essere dalla Banca posto che semmai queste erano da attribuire alla I.; 7) Eccepiva l'inapplicabilità al caso di specie della normativa in materia di intermediazione finanziaria e di servizi bancari non essendo i diamanti strumenti finanziari; 8) contestava la responsabilità da contatto sociale della Banca; 9) contestava la responsabilità precontrattuale attribuita alla Banca; 10) contestava la responsabilità extracontrattuale attribuita alla Banca; 11) eccepiva il concorso di colpa del consumatore; 12) in punto quantum contestava decisamente le modalità con cui era stato quantificato l'importo richiesto ed evidenziava l'infondatezza delle ulteriori voci di danno richieste. La causa, dopo alcune proposte conciliative formulate dal Giudice che non sortivano l'esito sperato veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni senza esperimento di attività istruttoria. All'esito il Tribunale decide come segue. La domanda attorea è in parte fondata. Per quanto riguarda il titolo in base al quale l'attore agisce ritiene il Tribunale che, tra le varie prospettazioni proposte, la più corretta ed aderente alla fattispecie portata alla conoscenza del Tribunale, così come di molti altri Tribunali della Repubblica, sia quella che ricostruisce la responsabilità della Banca o in termini di responsabilità derivata da contatto sociale, di cui sussistono tutti i presupposti, o di vera e propria responsabilità contrattuale assunta dalla Banca nel momento in cui ha posto in essere una condotta di mediatore e/o intermediario con riferimento al contratto di acquisto dei diamanti poi concluso fra il cliente e (...). In entrambi i casi infatti va ritenuto che la Banca, in qualità di professionista, fosse obbligata al rispetto dell'art. 5 del D.Lgs. n. 206 del 2005 laddove al comma III stabilisce che le informazioni al consumatore, da chiunqueprovengano ( controparte, mediatore e intermediari vari, pubblici ufficiali roganti, agenzie informative etc), devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto e delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore, che nel caso di specie non solo non è stato posto in grado di comprendere effettivamente cosa stava per acquistare, ma è anzi stato ingannato dalla (...), con la complicità della Banca, quanto meno sul valore di quanto stava per acquistare e sulla commerciabilità di tale bene. In tale prospettiva è evidente che si tratta di responsabilità contrattuale, con le conseguenze che ne derivano in materia di prescrizione e la non necessità di prendere in esame le diverse qualificazioni giuridiche della domanda date dall'attore, sia con riferimento alla responsabilità precontrattuale che con riferimento a quella extracontrattuale. Per quanto riguarda poi 1) la non riconducibilità della fattispecie in esame alla normativa in materia di intermediazione finanziaria e di servizi bancari non essendo i diamanti strumenti finanziari; 2) la prova delle pratiche scorrette addebitabili a (...) s.p.a. e alla banche del suo Gruppo tra cui figura anche (...); 3) l'asserito ruolo di mero segnalatore che avrebbe rivestito (...) s.p.a. secondo la prospettazione della convenuta, il Tribunale ritiene di poter richiamare alcune pagine della sentenza del Consiglio di Stato ( le evidenziazioni sono attribuibili all'odierno scrivente) pronunciata contro (...) s.p.a.: " omissis.. 4.1 - Deve precisarsi che non si è al cospetto neppure di un'attività "connessa" o "strumentale" a quella propria del settore regolato. Le banche, come noto, oltre all'attività ad esse riservata (quella bancaria in senso stretto) svolgono anche "ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali" (art.10 del TUB). E i poteri di regolazione e di vigilanza della (...), essendo diretti ad assicurare la "gestione sana e prudente, la trasparenza delle operazioni e dei servizi offerti e la correttezza delle relazioni con la clientela", non possono che concernere l'intera sfera delle attività poste in essere dagli enti creditizi in ambito finanziario, poiché è dal complesso di tali attività che dipende la stabilità del sistema. Tuttavia, nel caso di specie, come già evidenziato, non viene in alcun modo in considerazione l'esercizio dell'attività bancaria, né l'esercizio di attività ad essa connesse comunque sottoposte alla vigilanza della (...). Viene, invece, in considerazione un'attività di mera intermediazione per l'acquisto e la vendita di un bene (i diamanti) completamente estranea all'ambito regolamentato. Trattasi, invero, di attività estranea a quella bancaria e finanziaria,in quanto avente ad oggetto la compravendita di merci nella loro consistenza fisica (non attraverso strumenti finanziari) non suscettibile di incidere e di riflettersi sul sistema bancario e finanziario. Al riguardo, la comunicazione della CONSOB n. (...) del 10 luglio 1997 precisa che non rientrano nella nozione di prodotto finanziario "le operazioni di investimento in attività reali o di consumo, cioè le operazioni di acquisto di beni e di prestazioni di servizi che, anche se concluse con l'intento di investire il proprio patrimonio, sono essenzialmente dirette a procurare all'investitore il godimento del bene, a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore stesso". Da un altro punto di vista, come anticipato, non pare che la detta attività, di mera intermediazione in una compravendita, sia suscettibile di mettere a rischio l'attività bancaria esercitata in via principale dagli istituti di credito. La soluzione innanzi delineata risulta indirettamente confermata dalla stessa (...) che - nel comunicato stampa del 14 marzo 2018 reso proprio a seguito delle segnalazioni relative alla vicenda per cui è causa (che, in quanto di pubblica diffusione può assurgere ad elemento di prova alla stregua dell'art. 115 secondo comma c.p.c.) - ha dichiarato che alla commercializzazione dei diamanti attraverso il canale bancario non si applicano le tutele di trasparenza previste per la clientela dal Testo unico bancario e che la commercializzazione di diamanti non costituisce attività bancaria o finanziaria. Inoltre, la soluzione che precede risulta conforme all'orientamento della giurisprudenza espressasi in casi similari (Cons. St., 25 giugno 2019, n. 4357 e 11 dicembre 2017, n. 5795). 5 - Con il terzo motivo di appello si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 20, 21, co. 1, lett. b), c), d) e f), 22, 23, comma 1, lett. t) del Codice del Consumo e si contesta l'imputabilità della condotta all'Istituto di credito. La Banca prospetta che, anche a voler accedere alla tesi secondo cui dovrebbero rispondere delle pratiche commerciali scorrette anche i meri coautori delle stesse, tale responsabilità non può estendersi fino a ricomprendere il mero "segnalatore", ossia chi faccia solo "da tramite" con chi pone in essere una pratica scorretta la cui ideazione e realizzazione gli è del tutto estranea. A tal fine, rileva che gli artt. 20, 21, 22 e 23 del Codice del consumo trovano applicazione esclusivamente alle pratiche commerciali poste in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori (cfr. art. 18, lett. d) e art. 19 del Codice cons.). L'appellante rileva, inoltre, che la distinzione tra attività di segnalazione (quale quella posta in essere dalla Banca in virtù della Convenzione) e attività promozionale ha trovato pieno riconoscimento anche a livello normativo, per esempio in materia di intermediazione creditizia a partire dalla Direttiva 2014/17/UE, il cui considerando n. 74 afferma che "le persone che presentano o rinviano semplicemente un consumatore a un creditore o a un intermediario del credito a titolo accessorio nell'esercizio della loro attività professionale, per esempio segnalando l'esistenza di un particolare creditore o intermediario del credito senza ulteriore pubblicità né intervento nella presentazione, nell'offerta, nei preparativi o nella conclusione del contratto di credito, non dovrebbero essere considerati intermediari del credito ai sensi della presente direttiva". Considerando, questo, che hatrovato attuazione nella normativa interna in virtù dell'art. 12, comma 1 quater, D.Lgs. n. 141 del 2010, il quale, nel rimettere ad un Regolamento del Ministero dell'economia e delle finanze la disciplina dell'attività di segnalazione, precisa che si tratta di attività che non costituisce esercizio di agenzia in attività finanziaria né di mediazione creditizia. Dal che deriva che l'attività di segnalazione non comporta "corresponsabilità" ai sensi delle norme del Codice del consumo in questione, che possono applicarsi esclusivamente all'attività promozionale. 5.1 - La censura è infondata, muovendo da una premessa errata, ovvero che l'attività dell'Istituto bancaria si sia limitata a quella di mero "segnalatore". Deve, invero, escludersi che il ruolo della Banca nella realizzazione della pratica in oggetto si sia limitato semplicemente a trasmettere alla clientela un prodotto e un materiale divulgativo interamente predisposto da altri. L'indagine di tale aspetto non può limitarsi alle evidenze formali rappresentate dalle disposizioni contrattuali che regolavano i rapporti con (...) e (...) Intermediazioni, né rileva che l'appellante non abbia mai partecipato alla predisposizione e alla realizzazione dei materiali divulgativi che conterrebbero le informazioni ingannevoli contestate dall'Autorità, né rilevano le circolari interne dell'istituto. La compartecipazione dell'appellante all'illecito emerge, invece, inequivocabilmente dai riscontri fattuali già evidenziati dal T.A.R. solo genericamente contestati con l'atto di appello. Al riguardo, è sufficiente richiamare gli elementi più significativi del ruolo attivo svolto dalla Banca nella dinamica contrattuale complessiva in cui il consumatore era coinvolto: a) in forza dell'accordo di collaborazione sottoscritto tra (...) e (...), la banca era tenuta a mettere a disposizione dei clienti, nei propri locali, il materiale divulgativo predisposto da (...), provvedendo anche i funzionari dell'istituto a inoltrare alla (...) le disposizioni di acquisto sottoscritte dall'acquirente, previa informativa resa, dai medesimi funzionari, in ordine all'esatto ammontare dell'operazione; b) per l'attività svolta, la banca conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell'operazione conclusa (tra il 10% e il 20%); inoltre, è emerso come la stessa si prefiggesse, a mezzo dell'accordo con (...), di conseguire un aumento delle vendite di servizi bancari aggiuntivi (quali la custodia in cassette di sicurezza); c) l'appellante aveva previsto che alla raccolta della proposta di acquisto era deputato un c.d. "referente investimenti" e ed aveva descritto nel dettaglio il processo da seguire nel "proporre" l'investimento in diamanti e nell'assistere" il cliente nell'eventuale acquisto; d) dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni, è emerso che "i funzionari bancari ai quali normalmente i clienti si rivolgevano per la consulenza sui propri investimenti proponevano alla propria clientela ... l'acquisto dei diamanti come forma di investimento alternativa"; Il ruolo svolto dagli operatori degli istituti di credito nella realizzazione della pratica emerge anche dall'ampiezza delle attività svolte dagli stessi nelle diverse fasi dell'acquisto, così come risulta dal contenuto degli esposti dei risparmiatori. Infatti, gli impiegati della Banca curavano la compilazione e l'invio a (...) del modulo d'ordine di acquisto delle pietre sottoscritto dal cliente, informavano il cliente stesso dell'esatto importo dell'investimento, organizzavano e presenziavano ad eventuali incontri tra cliente e (...), nonché alla consegna della pietra, che avveniva nei locali della filiale laddove il cliente non avesse richiesto la custodia presso i caveaux di (...). Anche nel caso di richieste di ricollocamento, la banca assumeva un ruolo di intermediazione, mettendo in contatto i clienti con (...). E' dunque indubbio che il cliente - come confermato dal contenuto di molte segnalazioni e reclami - al momento dell'acquisto fosse persuaso del fatto che l'operazione nel suo complesso e le informazioni rese sull'investimento fossero verificate, e quindi "garantite", dalla banca. L'affidamento derivante dalla circostanza che l'opportunità dell'acquisto dei diamanti venisse presentata al cliente come forma di investimento dalla propria banca - e dal proprio referente di fiducia - emerge anche dal fatto che i reclami, in gran parte, sono stati presentati alle banche, proprio in quanto percepite come controparti di prima istanza. 5.2 - In base all'art. 5, comma 3, del codice del consumo "le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore". Deve, dunque, concludersi che la nozione di "professionista" rinveniente dal Codice del consumo deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di una attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o servizio. In tal senso, integra la nozione di professionista autore (o co-autore) della pratica commerciale "chiunque abbia una oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima". 5.3 - Alla luce di tale considerazione perde di consistenza anche il rilievo dell'appellante secondo cui nella specie non sarebbe ravvisabile una propria condotta colposa, in quanto non sarebbe possibile affermare in capo alla stessa un onere di verificare il contenuto dell'offerta. Al riguardo, deve anche osservarsi che ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di co-autore, alla realizzazione dell'illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione, ma anche allorquando il contributo abbia sostanziato una agevolazione dell'altrui condotta, traendone un diretto vantaggio economico (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763). Non può, inoltre, trascurarsi che la responsabilità della ricorrente per i fatti oggetto del provvedimento risulta correlata anche al ritorno economico da questa conseguito a seguito dell'attività di promozione dei diamanti di investimento (sulla rilevanza del ritorno economico del professionista al fine di fondare la sua responsabilità per pratica commerciale scorretta, a prescindere dalla estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma tipica di servizi forniti vedasi Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820). La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che "l'obbligo di diligenza richiede che, in presenza di vantaggi economici derivanti dalla pratica commerciale, il soggetto che consegue comunque un vantaggio, come nel caso di specie il titolare dei punti commerciali dove sono effettuate le vendite e sottoscritti i contratti di finanziamento, si attivi concretamente e ponga in essere misure idonee per comprendere appieno le modalità ed il contenuto delle operazioni proposte ai consumatori, solo in presenza delle quali la responsabilità editoriale può essere esclusa essendosi l'operatore economico diligentemente attivato" (Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 38). 6 - Con un diverso ordine di censure, l'appellante contesta la sentenza impugnata nel punto in cui conferma la valutazione dell'Autorità quanto alla qualificazione come scorrette delle pratiche commerciali poste in essere da (...). Anche tale censura, nelle sue plurime articolazioni, è infondata. L'analisi svolta sui contenuti del materiale pubblicitario utilizzato dalla società conferma la sussistenza dei presupposti dell'illecito e delle condotte come innanzi descritte (vedasi punto 1). Appaiono, invero, ragionevoli gli assunti su cui si basa il provvedimento ed in particolare la valutazione che l'attenzione dei consumatori sia stata condizionata: a) dalla enfatizzazione della estrema convenienza all'investimento in diamanti (reclamizzati quali beni rifugio); b) dall'asserita costante crescita della loro quotazione sul mercato, tale da assicurarne la realizzazione di cospicue plusvalenze in caso di rivendita. A tale scopo - ed in tale pratica risiede l'aspetto maggiormente censurabile - la società, a garanzia della sicurezza e della monitorabilità dell'investimento e a sostegno della trasparenza dell'operazione proclamava l'impegno di pubblicare trimestralmente sui principali giornali economici i dati relativi all'andamento dei prezzi dei diamanti. Ad imprimere il connotato illecito della condotta censurata, risulta dirimente il fatto che l'aggiornamento delle "quotazioni" pubblicate sui citati quotidiani, ancorché rappresentata come un servizio prestato dal venditore, consisteva, in realtà, nella pubblicazione a pagamento del suo listino-prezzi. E tale circostanza non era immediatamente percepibile dal consumatore. Da un altro punto di vista, la mancanza di qualsiasi attività di rilevazione preventiva e l'assoluta autoreferenzialità delle fonti di determinazione dei prezzi proposti ai consumatori privano di ogni attendibilità le assicurazioni fornite in merito alla "costante crescita" dei valori di mercato dei preziosi, disvelando in tutta la sua gravità distorsiva il carattere decettivo della pratica commerciale posta in atto. 6.1 - Il tenore dei rilievi dell'appellante conferma indirettamente la bontà della valutazione effettuata dal primo giudice e della conclusione di questo Collegio innanzi anticipata, ove si consideri che l'oggettiva assenza di una quotazione ufficiale del valore dei diamanti, rilevata dall'appellante, avvalora come l'enfatizzata pubblicazione trimestrale delle "quotazioni" - che in realtà rappresentavano un prezzo determinato in maniera autonoma dal professionista - lasciava intendere al potenziale acquirente di essere in presenza di rilevazioni oggettive di mercato raccolte ed elaborate dal professionista a beneficio degli acquirenti. 6.2 - Da un altro punto di vista, deve convenirsi che il materiale pubblicitario predisposto dalla società, enfatizzava la qualità dei diamanti, ne garantiva il valore intrinseco e quindi la facilità di disinvestimento, in grado di assicurare "Un rendimento sicuro nel tempo". Non appare, pertanto, illogica la conclusione che tali affermazioni si prestassero ad ingenerare nel consumatore l'idea del diamante come "bene rifugio" agevolmente monetizzabile in qualsiasi momento e che, pertanto, avrebbe potuto preservare il valore dei risparmi investiti. Al riguardo, l'indagine dell'Autorità ha, invece, appurato che la rivendibilità e redditività del bene erano subordinate alla permanenza di condizioni del tutto particolari, tra cui la scelta di ricollocare i diamanti utilizzando il medesimo canale di acquisto e la circostanza di chiedere il disinvestimento in un momento nel quale vi fosse una scarsa domanda di smobilizzo, la cui necessaria ricorrenza non era in alcun modo resa nota al consumatore. In particolare, l'istruttoria procedimentale ha permesso di appurare che la possibilità di recuperare il capitale investito dipendeva da diversi fattori quali, principalmente, il prezzo al quale si rivende il diamante sul mercato e la facilità di trovare una controparte disposta ad acquistare il diamante stesso. L'alea del ricollocamento, verosimilmente possibile solo all'interno del circuito nel quale operava lo stesso professionista (I. e (...) Intermediazioni), non veniva in alcun modo chiaramente esplicitata al consumatore, al quale invece venivano prospettati, in particolare attraverso il sito internet, rendimenti certi e, in generale, la conservazione del valore capitale, a fronte del mantenimento dei diamanti per un periodo medio-lungo. Al riguardo, deve ricordarsi che secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, 19 settembre 2017, n. 4878) grava sul professionista un obbligo di chiarezza e completezza dei messaggi promozionali al fine di evitare qualsivoglia forma di aggancio scorretta e ingannevole, ciò in quanto l'onere di completezza e chiarezza informativa previsto dalla normativa a tutela dei consumatori richiede che ogni messaggio rappresenti i caratteri essenziali di quanto mira a reclamizzare e sanziona la loro omissione, a fronte della enfatizzazione di taluni elementi, qualora ciò renda non chiaramente percepibile il reale contenuto ed i termini dell'offerta o del prodotto, così inducendo il consumatore, attraverso il falso convincimento del reale contenuto degli stessi, in errore, condizionandolo nell'assunzione di comportamenti economici che altrimenti non avrebbe adottato. 6.3 - E' nell'ambito della descritta condotta che si colloca anche la questione del rivendicato ruolo di leader del settore in Europa da parte della società venditrice. Da un lato, non può essere messo in discussione come tale affermazione contribuisca all'ingannevolezza della condotta complessivamente considerata; da un altro lato, la spendita della qualifica di "azienda leader in Europa" nel settore dell'investimento in diamanti, non ha trovato riscontro nella situazione di mercato, come del resto emerge dai dati allegati dalla stessa società, i quali oltretutto sono circoscritti all'ambito nazionale e non a quello europeo. 6.4 - Quanto al rilievo che nel mercato mondiale dei diamanti non vi sono quotazioni (fixing) ufficiali, le indagini istruttorie dell'Autorità hanno comunque accertato che il valore di mercato dei diamanti venduti da (...), oltre ad essere indecifrabile nelle sue componenti, risultava inferiore al prezzo proposto per l'acquisto. Non può, inoltre, ravvisarsi una carenza istruttoria nel fatto che quelli presi in considerazione dall'Autorità a fini comparativi sono anch'essi indici privati, giacché questi ultimi (diversamente dalle quotazioni di I.) erano, comunque, basati su dati reali, corrispondenti alle transazioni effettivamente concluse. Risulta, invece, irrilevante il fatto che l'effettiva stima dei preziosi possa aver risentito nel tempo dei fatti seguenti alla trasmissione televisiva "Report" (di cui in ogni caso non sussiste la prova), dal momento che tale aspetto non incide sulla sussistenza della condotta decettiva nei termini innanzi delineati, potendo rilevare, se del caso, al fine dell'ipotetica liquidazione del danno subito dal consumatore. In riferimento al prezzo dei diamanti ed in particolare quanto alla rivendicata fornitura di servizi ulteriori da parte dell'appellante incidenti sul prezzo dei diamanti, a differenza di quanto prospettato dalla società, deve evidenziarsi come di tale circostanza i consumatori non fossero edotti; invero, la società nel proprio materiale informativo non forniva alcuna indicazione circa l'incidenza di singole voci di costo". Vero è che lo stesso Consiglio di Stato conclude la sua sentenza rilevando come l'istruttoria svolta dalla (...) fosse volta a provare le specifiche violazioni da tale Autorità contestate, violazioni di mero pericolo, che prescindono quindi dalla prova che la pratica commerciale scorretta sia stata tenuta in ogni singolo caso e soprattutto che abbia effettivamente cagionato un danno al consumatore; tuttavia ritiene il Tribunale che i fatti esposti dall'attore, nella parte in cui sono documentati o non sono contestati o specificamente contestati da parte convenuta - in ordine cioè all'avvenuto acquisto in quattro occasioni negli anni tra il 2008 e il 2011 di diamanti da (...) con gli stessi modi in cui sono avvenute centinaia o migliaia di altre transazioni dello stesso tipo proprio presso (...) s.p.a. come accertato da (...) e fatto proprio dal Giudice amministrativo - sia più che sufficiente per poter ritenere accertato che anche nel caso che occupa questo Tribunale i fatti si siano svolti nello stesso modo, così concretizzandosi un illecito contrattuale in capo a (...) e un danno ingiusto in capo al consumatore. La Banca ha altresì eccepito in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva con riferimento alla responsabilità contrattuale demandatale posto che il contratto di acquisto dei diamanti, di cui la Banca non era parte, si era perfezionato fra il sig. (...) e la (...) s.p.a.: non è chi non veda come tale difesa sia del tutto inconferente, una volta acclarato che nel caso che ci occupa la (...) una propria obbligazione contrattuale nel momento in cui rivestì il ruolo di intermediario nella conclusione del contratto di acquisto dei diamanti. Sempre in via preliminare la Banca ha eccepito l'improcedibilità dell'azione risarcitoria per non essersi il danno ancora verificato atteso che l'attore era ancora proprietario dei diamanti e non aveva proceduto alla loro vendita, il che significava che al momento della proposizione della domanda nessuna perdita si era ancora verificata in capo all'investitore. Anche tale difesa si palesa tuttavia inconferente una volta che sia stato acclarato, come ben spiega anche il Consiglio di Stato nella sentenza sopra riportata, che non di investimenti finanziari si tratta, ma di semplice acquisto di beni materiali, venduti ingannevolmente all'ignaro cliente per un prezzo molto più alto del loro valore. Nel merito la Banca ha poi eccepito il concorso di colpa dell'attore, il quale se avesse utilizzato l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto informarsi ed avere contezza delle circostanze che lamenta, con riferimento in particolare alle fasulle quotazioni cui faceva riferimento (...) o ancora sul fatto che non vi era alcuna garanzia di liquidare i diamanti in tempi ragionevoli : si sarebbe trattato di circostanze facilmente evincibili dalla documentazione pubblicitaria e contrattuale, tenuto inoltre conto del fatto che, trattandosi di beni materiali e non di strumenti finanziari, l'attore aveva i medesimi strumenti della Banca per valutare la bontà e la convenienza dell'investimento. L'eccezione della Banca, oltre a non avere alcun pregio, spicca per la sua sfrontatezza, considerato che ribalta completamente i cardini della normativa a tutela del consumatore: non sarebbe il professionista a dover informare il consumatore correttamente sui termini del contratto ma questi a doversi informare aliunde (!); mentre non si vede come il materiale pubblicitario ingannevole consegnato dalla Banca avrebbe potuto, se attentamente letto, allertare il consumatore; particolarmente risibile poi appare l'affermazione secondo cui trattandosi di beni materiali e non di strumenti finanziari, l'attore aveva i medesimi strumenti della Banca per valutare la bontà e la convenienza dell'investimento, posto che è chiaro a chiunque che la valutazione di un diamante è operazione assai complessa ed effettuabile solo tramite professionisti, ben diversa dall'acquisto di un chilogrammo di pomodori o di un biglietto del treno. Pertanto ed in conclusione l'unica eccezione parzialmente fondata della Banca è quella di prescrizione con riferimento agli acquisti avvenuti in data 27 febbraio 2008 e 14 gennaio 2009 per essere trascorsi oltre dieci dalla proposizione della domanda, anche considerando non la notifica dell'atto di citazione avvenuta il 6 dicembre 2019, ma la messa in mora - comunque ultradecennale rispetto agli acquisti sopra menzionati - del 28 marzo 2019. Sul punto si richiama la chiara ordinanza del Tribunale di Asti del 24 febbraio 2020 a mente della quale poiché l'illecito lamentato presenta le caratteristiche dell'illecito istantaneo cui è seguita un'immediata verificazione del danno, la prescrizione inizia a decorrere dall'acquisto stesso. Non vi è dubbio infatti che il danno si è verificato al momento dell'acquisto atteso che, sin da quel momento, l'attore divenne proprietario di un bene, il diamante acquistato, di valore inferiore rispetto a quanto atteso e pagato. Il danno inoltre era in astratto accertabile oggettivamente, seppur non percepito dall'inconsapevole acquirente, così come nel caso, assimilabile a questo, di cui alla sentenza della Cass. 19509/12 con riferimento all'acquisto di un dipinto falso. Tutto ciò premesso si passa dunque alla liquidazione del danno sofferto dall'attore. Tale danno deve essere quantificato nella differenza tra il prezzo pagato dall'attore alla stipula della compravendita e il valore all'epoca dei diamanti. Sul punto si riporta la chiara sentenza del Tribunale di Modena n. 352/2020 del 18 febbraio - 10 marzo 2020: "Trattandosi, ad avviso del Tribunale, di un'ipotesi in cui la violazione dell'obbligo informativo è stata determinante per la conclusione dei contratti, il danno in via di principio è dato dall'intero esborso sostenuto in forza dei contratti che "è più probabile che non" che non sarebbero stati affatto stipulati se l'incidenza del valore dei diamanti sul prezzo complessivo fosse stato conosciuto dagli attori. Pare potersi dire, infatti, che i contratti non si potevano stipulare a "condizioni diverse", in quanto cifre inferiori avrebbero comunque comportato l'acquisto di diamanti di valore inferiore a quelle cifre e non è ragione di ritenere che, tramite una contrattazione caratterizzata da equilibrio informativo, si sarebbe giunti all'acquisto per un corrispettivo pari (o molto vicino) al valore del diamante. Quindi gli attori non hanno nulla da provare circa il danno se non l'intera somma pagata in dipendenza dell'omissione informativa di Banca X che integra l'inadempimento degli obblighi scaturenti dal rapporto tra gli attori e Banca X. L'assenza dei presupposti per una tutela caducatoria del contratto implica però che il valore, reale, dei diamanti, sia entrato nel patrimonio degli attori e possa essere qualificato in termini di vantaggio collegato all'illecito in applicazione della regola della causalità giuridica (SS.UU. sent. n. 12564/2018, ove si legge che "se l'atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest'ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell'entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato. Questo principio è desumibile dall'art. 1223 c.c., il quale stabilisce che il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito. Tale norma implica, in linea logica, che l'accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all'illecito in applicazione della regola della causalità giuridica. Se così non fosse - se, cioè, nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell'illecito non si considerassero anche le poste positive derivate dal fatto dannoso - il danneggiato ne trarrebbe un ingiusto profitto, oltre i limiti del risarcimento riconosciuto dall'ordinamento giuridico. In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l'illecito: come l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento"). Trattandosi di un elemento impeditivo del risarcimento, che va a erodere la misura del danno, la circostanza dell'arricchimento del danneggiato causalmente collegato all'illecito (qui, precontrattuale) rientra nell'onere probatorio del danneggiante e, sotto questo profilo, la (...) ha allegato in ordine al valore dei diamanti acquistati dagli attori. Per altro verso, è indubbio che un arricchimento ci sia stato e, dunque, non resta che attenersi alle informazioni fornite dagli attori medesimi, che, considerando tutti gli acquisti, indicano che il valore complessivo delle pietre, all'epoca dell'acquisto era di Euro 75.508,00, peraltro in linea con quanto emerge dal provvedimento (...) ove si legge che il valore delle pietre copriva il 20-40% del prezzo pagato". Pertanto posto che nel caso che ci occupa il sigg. (...) ha pagato per gli acquisti non coperti da prescrizione Euro 70.234,76 e che il valore delle pietre acquistate, come indicato dall'attore sulla base della CTP prodotta ( doc. 16, redatto sulla base degli indici Rapaport), non specificamente contestata da controparte, era pari ad Euro 19.939,00, ne consegue che il danno sofferto è stato pari ad Euro 50.295,76. Tale somma deve essere aumentata della rivalutazione monetaria e degli interessi sulla somma di anno in anno rivalutata dal momento dell'ultimo acquisto ad oggi, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, così giungendosi alla cifra di Euro 67.222,70. La parte onerata di dimostrare che il valore delle pietre era nel frattempo aumentato era la Banca ( che non lo ha fatto); inoltre non risulta che l'Iva sia stata compresa nel prezzo di acquisto, né che in esso siano state calcolate altre spese. Neanche il tema della difficoltà di rivendere i diamanti acquistati pare in grado di modificare i termini della questione. Non ci sono infatti ragioni per escludere che i diamanti acquistati da (...) possano essere rivenduti in un mercato non più alterato da pratiche commerciali scorrette, trattandosi in ogni caso di beni che hanno un loro intrinseco valore, anche in prospettiva futura. Si rigetta anche la domanda di liquidazione del danno morale, poco chiaramente ancorata alla violazione dell'art. 1338 c.c. che comunque non si è verificata posto che il contratto di compravendita concluso è da ritenersi valido ed efficace tra le parti, anche se foriero di danni per il consumatore. In ogni caso poi l'attore non ha provato di aver sofferto danni morali. Neppure può accogliersi la domanda di risarcimento del danno da mancato guadagno, consistente nell'introito che l'attore avrebbe ottenuto se avesse investito il proprio denaro altrimenti, ad es. in titoli di Stato. Sebbene infatti possa darsi per provato che se avesse ricevuto le informazioni corrette il (...) non avrebbe investito in diamanti della (...), o vi avrebbe investito cifre inferiori, pari all'effettivo valore delle pietre, non provato risulta che l'attore, il quale ha comunque evidenziato la propensione per investimenti particolari e remunerativi, avrebbe investito in titoli di Stato, come dallo stesso allegato, o altri titoli non comportanti il rischio di perdita del capitale o di mancata maturazione di plusvalenze. Le spese legali seguono la soccombenza di parte convenuta e si liquidano in dispositivo in base al D.M. n. 147 del 1922, tabella 2, causa di valore fino a Euro 260.000, valori medi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale e minimi per la fase di trattazione/istruttoria (posto che non sono state assunte prove). P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, nella causa civile in epigrafe, così decide: In accoglimento della domanda attorea condanna (...) s.p.a., (...), nella qualità di procuratrice di (...) (...) s.p.a. a pagare a (...) la somma di Euro 67.222,70, oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo; Condanna (...) s.p.a., (...), nella qualità di procuratrice di (...) (...) s.p.a. a rifondere a (...) le spese di lite che liquida in Euro 786 per esborsi e Euro 11.268,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPA come per legge, con distrazione delle spese a favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari. Così deciso in Alessandria il 9 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA SEZ. CIVILE Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 4032/19 del Ruolo Generale dell'anno 2019, posta in deliberazione all'udienza del 19.10.2022 e vertente tra (...), in atti gen.ta, elett.te dom.ta in Alessandria presso lo studio degli Avvocati St.Ma. e Ro.Li. del Foro di Alessandria, che la rappresentano e difendono per mandato a margine del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. Attrice contro (...) (già (...)) s.p.a., con sede in A. T. (A.), in persona del legale rappr.te dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avv.to Va.Fe. del Foro di Alessandria, elettivamente domiciliata presso quest'ultimo, come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta. Convenuta Dott. (...), res. in A. T. (A.), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Fa.Be. e An.An. d'Oulx del Foro di Torino, e presso gli stessi domiciliato, come da mandato in calce alla comparsa di costituzione con nuovo difensore del 19 giugno 2020 convenuto (...) s.p.a., con sede in B., in persona del legale rappr.te Dr. (...) come da procura speciale in atti, rappresentata e difesa, per procura spillata all'atto di citazione per chiamata di terzo, dall'Avvocato Re.Fe. del Foro di Milano e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata. terza chiamata OGGETTO: azione di risarcimento danni da responsabilità medica MOTIVAZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. (...), paziente con familiarità per carcinoma al seno, esponeva di essersi rivolta a partire dal 2010 a (...) s.p.a. per effettuare annualmente accertamenti diagnostici per immagine, sotto forma di mammografie e ecografie, alle mammelle, in modo da consentirle un accertamento precoce di eventuali neoplasie. Ad uno di tali accertamenti e precisamente quello del 2017 era purtroppo risultata la presenza di formazioni molto sospette ( nodulo con carattere infiltrativo in zona retro areolare sinistra) che, all'esame citologico, erano risultate compatibili con carcinoma alla mammella. Dopo tale infausta diagnosi era poi seguito un lungo iter terapeutico che, in ragione dello stato di avanzamento della patologia, si era articolato attraverso un intervento di mastectomia totale della mammella sinistra, praticato all'interno delle IEO di Milano e diversi cicli di chemioterapia a base di antracicline e taxani. Sottoposti i vari accertamenti diagnostici effettuati presso (...) a valutazione medico legale ( come da CTP del dott. Governa prodotta sub doc. 1), era emerso che già dagli esami eseguiti nel 2015 sarebbe stato possibile per il medico radiologo che operava presso questa struttura, il dott. (...), accertare la presenza di lesioni sospette che avrebbero meritato un approfondimento diagnostico. L'errore diagnostico si era poi ripetuto nel 2016, sempre per colpa dello stesso medico, e solo un anno dopo nel 2017 il dott. (...) si era reso conto della presenza di lesioni sospette e le aveva segnalate, finalmente consentendo la corretta diagnosi, purtroppo ampiamente tardiva. Infatti lo stadio cui era giunta la malattia aveva fatto sì che la sig.ra (...) dovesse per forza essere sottoposta ad un intervento di mastectomia della mammella sinistra, mentre in caso di corretta diagnosi precoce avrebbe con successo potuto accedere ad un meno invasivo intervento di quadrantectomia centrale che avrebbe comportato non solo la conservazione della più gran parte della mammella, con minori postumi permanenti, ma anche il ridursi dei tempi di terapia successivi all'intervento chirurgico, e terapie meno invasive (la più leggera terapia ormonale adiuvante invece che la chemioterapia che aveva dovuto eseguire per mesi prima dell'intervento). Dopo aver proposto ATP, iscritto al numero di R.G. 897/19, all'esito del quale era stata depositata consulenza tecnica che aveva ampiamente confermato la malpractice di cui era stata vittima la sig.ra (...), agiva ora l'attrice contro (...) s.p.a. e contro il radiologo dott. (...) per vedersi risarcire il danno biologico differenziale ( opportunamente personalizzato in relazione alla concreta vicenda sofferta, la perdita di chances di sopravvivenza, il danno morale, sia con riferimento alla menomazione anatomica sofferta con tutto quanto ne conseguiva dal punto di vista estetico e della sfera di intimità, sia in relazione al patimento, angoscia e paura già sofferti e che avrebbe sofferto in futuro per il timore di una statisticamente più facile recidiva. Infine l'attrice lamentava anche un danno patrimoniale da diminuzione del proprio reddito, per essersi dovuta assentare dal lavoro ( libero professionale) nei periodi di invalidità temporanea, e chiedeva il rimborso delle spese mediche affrontate dopo la diagnosi ( pari a Euro 1790,18). Vinte le spese del procedimento di ATP e del giudizio di merito. Si costituiva in giudizio (...) contestando che vi fossero profili di responsabilità in capo al dott. (...); l'assenza in ogni caso di qualsiasi responsabilità addebitabile alla struttura sanitaria, considerato che era allegato solo un errore diagnostico del dott. (...), senza alcun coinvolgimento di (...); ed il concorso di colpa della sig.ra (...) che, come rilevato anche dai CTU nel corso dell'ATP, non si era sottoposta a visite cliniche sulle mammelle. In via riconvenzionale/trasversale avanzava domanda di manleva nei confronti del dott. (...) il quale aveva firmato con (...) s.p.a. un contratto di collaborazione libero professionale ( doc. 1) in cui, all'art.8 era detto che "Il professionista, in quanto unico responsabile dell'attività da esso svolta negli ambulatori della Casa di cura, è obbligato a manlevare la Casa di cura dalle pretese di terzi che dimostrino di aver subito pregiudizi da fatto imputabile a colpa del professionista, e direttamente connessi all'attività svolte dallo stesso, tenendola indenne da ogni danno, costo, onere e spese per ciò subito e sostenuto dalla (...)"; infine ed in ogni caso chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa della propria compagnia assicurativa, (...) s.p.a. Si costituiva in giudizio anche il dott. (...), il quale riportandosi alla propria consulenza tecnica di parte contestava ogni sua responsabilità. Evidenziava inoltre come, sulla base dell'insegnamento della Suprema Corte, l'accertamento della responsabilità del sanitario non fa venir meno la responsabilità della struttura, che non può mai andar esente da una condanna, eventualmente in solido, con il sanitario, contestava infine la personalizzazione del danno, richiesta da parte attrice basandosi su circostanze ininfluenti e generiche. Nulla diceva sulla domanda di manleva di (...) s.p.a. A seguito dell'ottenuta autorizzazione veniva citata in giudizio e si costituiva anche (...) s.p.a., la quale, oltre a richiamarsi alle difese degli altri convenuti, contestava decisamente la sussistenza della copertura assicurativa, richiamandosi a quanto statuito nell'art. 19 lett. r) e 23 della condizioni generali di contratto relative alla polizza stipulata tra le parti, dove in particolare erano esclusi dai rischi assicurati "i danni derivanti da responsabilità personale dei medici non dipendenti dell'assicurato contraente, di cui lo stesso si avvale per lo svolgimento della propria attività" con la sola eccezione, nel nostro caso non operante, prevista dall'art. 23 successivo. La causa, dopo una prima udienza a trattazione scritta, la trasformazione del rito, la concessione dei termini ex art. 183 comma VI c.p.c., il deposito delle memorie e l'acquisizione al processo del procedimento per ATP n. 897/19, veniva avviata alla fase decisoria senza necessità di svolgimento di ulteriore attività istruttoria. All'esito il Tribunale decide come segue. Preliminarmente si osserva che non è chiaro il motivo per cui nel ricorso ex art. 702 bis c.p.c. introduttivo del giudizio la difesa di parte attrice richiami estesamente alcune sentenze della Corte di Cassazione in materia di consenso informato, posto che nessuna domanda relativa alla violazione del diritto di informazione dell'attrice sig.ra (...) pare essere stata formulata, se non con riferimento al fatto che, a causa della erronea refertazione delle risultanze degli accertamenti diagnostici effettuati ad aprile 2015 e maggio 2016, la paziente non fu informata del fatto che aveva un carcinoma. Non è chi non veda tuttavia come ciò si sostanzia sempre nella medesima domanda risarcitoria basata sull'errore del medico, il quale a ben vedere non omise l'informazione di cui sopra, ma molto più semplicemente non poteva darla in quanto a suo parere le immagini risultato delle mammografie e delle ecografie eseguite tra il 2015 e il 2016 non avevano evidenziato nulla di sospetto. Pertanto l'unica domanda che si andrà ad esaminare ha come fatti costitutivi l'errore del dott. (...) nell'interpretazione delle risultanze degli esami diagnostici da lui effettuati sulla sig.ra (...). Le lastre radiografiche e le immagini ecografiche sono state attentamente esaminate dai consulenti tecnici d'ufficio nel corso dell'ATP 897/19 e a loro giudizio - mentre nessun rilievo può essere mosso al dott. (...) per quanto riguarda gli esami eseguiti nel 2015 in cui quella che poi diventerà una lesione maligna si presentava ancora molto piccola ( "in sede retroareolare sinistra piccola cisti a contenuto denso o dotto galattoforo dilatato con diametro massimo di circa 7 mm") sostanzialmente immodificata rispetto al controllo precedente del 2014 - invece nel 2016 l'immagine della mammografia mostra, sempre in sede retroareolare sinistra, "alcune spicule convergenti verso il capezzolo, con apparente retrazione della cute periareolare" ( vedi CTU, paragrafo intitolato "Reperti medico legali Obiettivati" - Revisione dei radiogrammi, Mammografia del 25-5-2016, pag. 14). I consulenti d'ufficio hanno cioè accertato che mentre il dott. (...), ai controlli diagnostici del 2016, descrisse nei referti una situazione immutata rispetto a quella riscontrata nel 2015, invece vi erano evidenti differenze, che avrebbero dovuto allarmarlo e portarlo alla diagnosi corretta, formulata solo a marzo 2017, dieci mesi dopo. I consulenti hanno anche evidenziato che l'immagine della mammografia del 2016, da sola, avrebbe dovuto portare ad approfondimenti ulteriori, anche in caso di eventuale negatività dell'esame ecografico eseguito contestualmente, ed anche in assenza di sintomatologia clinica. Si trattava di un immagine sufficientemente chiara che avrebbe dovuto quantomeno indurre un sospetto nel radiologo, che invece non l'ha correttamente interpretata. La corretta diagnosi, ed a maggior ragione la formulazione almeno di un sospetto, non comportava affatto la risoluzione di problemi tecnici di speciali difficoltà, di tal ché i CTU hanno ritenuto che " mentre i referti negativi del 2014 e del 2015 possono considerarsi corretti, il referto negativo del maggio 2015 deve essere classificato come errore diagnostico responsabile di un ritardo nella diagnosi di dieci mesi" ( da maggio 2016 a marzo 2017). Si può sin da subito escludere qualsiasi concorso di colpa della sig.ra I.. Ed invero i consulenti hanno sì evidenziato che, vista l'apparente retrazione, evidenziata dalla mammografia, della cute attorno all'areola, tale evidenza, significativa di una possibile lesione maligna, avrebbe potuto essere confermata da una visita clinica senologica che non fu dalla paziente effettuata - ma tale osservazione era funzionale a stabilire che gli unici reperti a disposizione dei consulenti erano quelli per immagini, e non certo ad addossare colpe alla sig.ra I.. Ella infatti si sarebbe certamente sottoposta a visita senologica se il dott. (...) gli e lo avesse consigliato, mentre al contrario il radiologo evidentemente la tranquillizzò dicendole che non c'era alcuna novità e la congedò prescrivendole nuovi controlli 12 mesi dopo, come aveva sempre fatto in precedenza. Quanto agli esiti pregiudizievoli del ritardo diagnostico i consulenti tecnici hanno accertato: 1) un maggior danno biologico da invalidità permanente dell'ordine del 15-16% derivante dalla circostanza che la paziente si è dovuta sottoporre a mastectomia invece che al più conservativo intervento di quadrantectomia 2) una maggior durata dell'invalidità temporanea per le terapie più lunghe ed invasive cui la paziente si è dovuta sottoporre. A tal proposito i CTU alle pagg. da 17 a 21 della loro relazione evidenziano come al momento della diagnosi nel 2017 il carcinoma di cui soffriva la paziente fu correttamente classificato come di tipo T4, con conseguente necessità di chemioterapia preoperatoria, mastectomia, radioterapia su parete e linfonodi, somministrazione inibitori dell'aromatasi per 5 anni o più. Mentre se la lesione fosse stata diagnosticata nel 2016 sarebbe stata, con un grado di probabilità superiore al 50% ( vedi ultimo paragrafo pag. 18 ove si esclude che nel 2016 la lesione avesse già infiltrato il derma come poi accertato l'anno successivo), classificata come di tipo T1 con conseguente necessità solo di chirurgia conservativa, radioterapia sul tessuto residuo e somministrazione inibitori dell'aromatasi per 5 anni o più. I Ctu non hanno invece affermato che, a causa dell'errore diagnostico, si siano sensibilmente ridotte per la paziente le possibilità di guarigione definitiva e totale, non essendo a loro parere possibile formulare un serio giudizio sulle attuali prospettive di vita della perizianda e tantomeno accertare una differenza con le le prospettive che ella avrebbe avuto in caso di diagnosi anticipata di dieci mesi rispetto a quelle effettive ( pag. 27 relazione). A tal proposito i consulenti hanno evidenziato solo che le condizioni generali dell'attrice sono buone, e che l'indice di proliferazione cellulare, dopo il periodo di chemioterapia in cui era sceso a 4, si è rialzato a 19 ma ciò non è sufficiente per ritenere accertato un danno da perdita di chances di vita. Le risultanze della CTU svolta in ATP sono state contestate solo dal consulente di parte del dott. (...), il quale però, più che formulare puntuali e sintetiche considerazioni sull'elaborato dei CTU, ha prodotto un'altra relazione completa, rendendo oltremodo complicato, sia per i consulenti che per il Tribunale, estrapolare i rilievi critici che intendeva proporre. In particolare il consulente di parte non evidenzia il motivo per cui sarebbe criticabile il nodo fondamentale della valutazione dei CTU e cioè l'interpretazione scorretta data dal sanitario delle immagini della mammografia eseguita nel 2016, limitandosi a ribadire acriticamente che il dott. (...) andrebbe esente da responsabilità. Quanto alla perdita di chances di sopravvivenza non vi è discrepanza tra le conclusioni dei CTU e quelle del CTP. In conclusione, essendo stata accertata la malpractice attribuibile al dott. (...), occorre quantificare il danno riportato dall'attrice. A tal proposito si evidenza che il danno verrà quantificato in base alle Tabelle in uso al Tribunale di Milano, nella versione più recente disponibile ( che è quella del 2021), e che si tratterà di danno differenziale, ossia del danno residuato sottratto quello che, naturalisticamente, la sig.ra (...) avrebbe comunque riportato per la patologia di cui era affetta. I consulenti, in base al differente iter terapeutico come sopra evidenziato, hanno valutato la frazione differenziale attribuibile a malcondotta sanitaria in gg. 2 per inabilità temporanea totale; gg. 30 (mesi uno) per inabilità temporanea al 75%; gg. 120 ( mesi quattro) per inabilità temporanea al 50%; gg.60 (mesi due) per inabilità temporanea al 25%, così come indicato a pag. 22 della relazione ( le indicazioni riportate nelle conclusioni a pag. 26, parzialmente diverse e non corrispondenti al calcolo effettuato a pag. 22, sono evidentemente frutto di un errore di trascrizione). Il risarcimento per invalidità giornaliera viene liquidato in misura pari a Euro 99, così giungendosi alle seguenti cifre : Euro 99 x 2 = Euro 198; Euro 99 x 0,75 x 30 = Euro 2.227,50 ; Euro 99 x 0,50 x 120 = Euro 5.940; Euro 99 x 0,25 x 60 = Euro 1485. In tutto Euro 9.850,50. Tale importo viene personalizzato con un aumento di un terzo (33%) per gli stessi motivi per cui si procederà a personalizzazione del danno da invalidità permanente e di cui infra - giungendosi dunque ad Euro 13.101,17. Per quanto riguarda il danno da invalidità permanente i consulenti, sempre a pag. 22 della loro relazione, hanno evidenziato che la sig.ra (...) è ora portatrice, a causa della subita mastectomia a sinistra di un danno biologico permanente del 20%, liquidabile in Euro 50.807,00 ( cifra non comprensiva del danno morale da sofferenza interiore su cui vedi infra) in base alle Tabelle del Tribunale di Milano, tenuto conto dell'età di 46 anni che la sig.ra (...) aveva quando ha subito la mastectomia. Se invece fosse stata sottoposta al ben più leggero iter terapeutico indicato in caso di diagnosi precoce la sua invalidità permanente sarebbe stata pari, al peggio, al 5%, e tale invalidità sarebbe stata liquidabile in Euro 5.807,00. La differenza è pari ad Euro 45.000. Tale importo è meritevole di una personalizzazione del 33%, tenuto conto di quanto correttamente evidenziato dal CT di parte attrice, sia con riferimento alla menomazione anatomica sofferta, particolarmente grave per una donna ancora giovane e nel pieno della sua vita, con tutto quanto ne consegue dal punto di vista estetico e della sfera dell' intimità, sia in relazione al patimento, all'angoscia e alla paura già sofferti e che certamente l'attrice soffrirà in futuro per il timore, certamente fondato anche se il fatto in sé non è ad oggi oggettivamente provabile, di una più facile recidiva. Sul punto si osserva inoltre che la sig.ra (...) avrà giustamente provato molta rabbia nel vedere vanificato da un errore sanitario la sua scrupolosa attenzione alla prevenzione di un tumore già sofferto dalla madre, che la portava a sottoporsi ogni anno - invece che ad intervalli più lunghi come indicato dalle linee guida per le donne di età inferiore a 50 anni - a controlli mirati. A seguito della personalizzazione - aumento di un terzo - l'importo di cui sopra diviene pari ad Euro 60.000. La somma totale è dunque, di Euro 73.101,17. A ciò devono aggiungersi i danni morali da sofferenza soggettiva interiore liquidabili in base alle ultime Tabelle del Tribunale di Milano in Euro 18.290, somma che si riconosce interamente all'attrice, per un totale di Euro 91.391,17. Tale importo, quale debito di valore, deve, comunque, essere oggetto di rivalutazione, secondo l'indice ISTAT FOI e di interessi di tipo compensativo, da calcolarsi, a partire dalla data dell'intervento, il 5 novembre 2012, secondo il noto principio della Suprema Corte a SS.UU. di cui alla sentenza n.1712/95, anno per anno sulla somma via, via rivalutata annualmente. A seguito della rivalutazione e dell'applicazione degli interessi moratori si giunge alla cifra finale di Euro 109.242,00. Quanto alle spese mediche si liquidano nella misura richiesta di Euro 1790,18 ritenuta congrua dai consulenti. Il calcolo così effettuato porta ad un importo complessivo finale di Euro 111.032,18 alla data odierna, da maggiorarsi di interessi legali dalla data della presente sentenza, integrante, come detto, la liquidazione dei danni, fino al pagamento. Non si liquidano danni patrimoniali in quanto l'attrice, pur avendoli genericamente allegati nel ricorso introduttivo, non li ha poi né specificati né tantomeno provati. Si passa dunque a stabilire quali soggetti debbono rispondere del danno non patrimoniale subito dalla sig.ra (...). Per quanto riguarda la legittimazione passiva della struttura sanitaria rispetto alla domanda di risarcimento del danno contrattuale, va osservato che, per ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, la responsabilità della struttura sanitaria verso il paziente, a prescindere dalla natura pubblica o privata della struttura medesima, va in ogni caso ricondotta a un rapporto contrattuale atipico o "da contatto sociale", in forza del quale insorgono, a carico del soggetto presso cui viene effettuato il trattamento, sia in termini di ricovero, che di visita o altre prestazioni ambulatoriali, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, rispondendo, altresì, il luogo di cura, in forza di tale vincolo, anche ex art. 1228 c.c. rispetto all'inadempimento dellaprestazione, sia essa medico-professionale o tecnico-infermieristica, svolta direttamente da unSanitario ivi operante, qualora sussista comunque un collegamento tra la prestazione de qua el'organizzazione aziendale della struttura (vedasi ex plurimis Trib. Milano, sez. V, 5.3.2009, n. 3047; Cass. sez. III, 28.11.2008, n. 24742; Cass. , sez. III, 26.1.2006, n. 1698; vedasi anche Cass. SS.UU. 11.1.2008, n. 577 e, in ultimo, Corte di Cass., sez.III, 3.2.2012, n. 1620; Cass., sez. III, 30.9.2014 n. 20547; Trib.Monza , sez. I, 23.6.2015). Stante la natura privata della (...) e del personale operante nella stessa, ed atteso che la signora (...) ebbe, in modo incontestato, a concludere con tale struttura un contratto di assistenza, afferente sia all'utilizzo delle strutture della clinica, che dei macchinari utilizzati per la diagnostica, che del personale medico-infermieristico, devesi ritenere che la responsabilità dedotta in citazione vada ricondotta a quella di natura contrattuale, per prestazioni d'opera professionale intellettuale, come tale sottoposta alla disciplina di cui agli artt. 1228 c.c., 1218 e 1176, c. 2, c.c.. A fronte di ciò è, altresì, indubbio che sussistesse, a monte, un rapporto negoziale tra (...) s.p.a. e il sanitario dott. (...), tale da legittimare pienamente una pretesa ex art. 1228 c.p.c. da parte dell'odierna attrice, quale cliente della clinica ( vedasi doc. 1 di (...), afferente al contratto di collaborazione libero - professionale con il dott. (...)). Con riferimento a tale ricostruzione del rapporto paziente/medico/struttura sanitaria, la giurisprudenza ha, altresì, riaffermato l'applicazione dei noti principi in tema di onere della prova di cui alla sentenza n. 13533/2001 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, principi che, calati nella specifica fattispecie negoziale che occupa, hanno consentito di pervenire, del tutto condivisibilmente, a precisare che il paziente/creditore ha l'onere di provare l'esistenza del rapporto fonte delle obbligazioni e l'aggravamento o l'insorgenza di una patologia, allegando, poi, l'inadempimento oggetto di doglianza, inadempimento che deve essere qualificato eziologicamente, nel senso di essere potenzialmente idoneo a procurare il danno lamentato (così la citata Cass. SS.UU. n. 577/08, oltre che Trib. Varese 10.2.2010, n. 16, Trib. Bologna, sez. III, 6.10.2010 e, ancora, Cass., sez. III, 3.2.2012, n. 1620 che richiama la citata pronuncia del 2008 ed ancora, ex plurimis, Cass., sez. III, 12.12.2013, n. 27855 e le recenti Cass., sez. III, 20.2.2015, n. 3390, Cass., sez. III, 30.6.2015, n. 13328, Cass., sez. III, 20.10.2015, n. 21177, Cass., sez. III, n. 24073, 13.10.2017). Va sottolineato, in merito, che tali considerazioni non sono state in alcun modo poste in discussione dal cosiddetto Decreto B., D.L. n. 158 del 2012, convertito con L. n. 189 del 2012, in quanto l'art. 3 di tale testo normativo non riguarda affatto il rapporto fra struttura sanitaria e paziente, ma tra paziente e medico ausiliario, stabilendo che anche questi risponde nei confronti del primo, ma ex art. 2043 c.c. Parimenti l'ulteriore novella di cui alla L. n. 24 del 2017 non rileva ai fini de quibus, avendo confermato la responsabilità contrattuale della struttura ed avendo sancito la natura extracontrattuale della responsabilità del medico in termini, in questo caso, di ius superveniens, inapplicabile retroattivamente. Oltre alla domanda di risarcimento del danno da inadempimento del contratto proposta contro la struttura sanitaria e basata sugli artt. 1218 e 1228 c.c. parte attrice ha altresì proposto una domanda di risarcimento nei confronti del sanitario, il dott. (...), che le erogò la prestazione. Questa domanda, escluso che si sia instaurato un rapporto contrattuale tra la paziente e il sanitario ausiliario di (...), non può che qualificarsi come domanda ex art. 2043 c.c., in ossequio anche al dettato legislativo sopra richiamato. Le due azioni inoltre sono certamente cumulabili fra loro secondo il nostro ordinamento, che prevede l'apprezzabilità della condotta del medico sul piano risarcitorio, in quanto integrante un illecito extracontrattuale, non assorbito dalla sua integrale riconducibilità nei confini del programma terapeutico assunto come obbligazione dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, opzione questa smentita, sia pure indirettamente, anche dalla novella del 2017 che disciplina in modo esplicito all'art. 9 la rivalsa della struttura nei confronti del sanitario responsabile a titolo aquiliano, sia pure entro ben precisi limiti. Tutto ciò premesso, gli importi già liquidati dovranno essere posti a carico dei due convenuti in solido tra loro in forza del disposto dell'art. 2055 comma I c.c. e del cumulo della responsabilità della struttura sanitaria ex art. 1228 c.c. con quella extracontrattuale del medico. A tal proposito (...) s.p.a. ha sostenuto di non avere alcuna responsabilità in quanto ella ha correttamente e pienamente adempiuto ad ogni suo obbligo nei confronti della paziente, e che ogni danno alla stessa sarebbe derivato esclusivamente dalla malpractice del dott. (...). Trattasi tuttavia di posizione che contrasta con l'orientamento della giurisprudenza sopra estesamente richiamato, ormai consolidatosi da decenni, e indirettamente confermato anche dalla recente Cass. n. 28987 dell'11 novembre 2019, in tema di azione di rivalsa della struttura sul sanitario operante, a mente della quale nel regime anteriore ( qual è quello qui applicabile) alla L. n. 24 del 2017, nel rapporto interno tra struttura sanitaria e medico la responsabilità per i danni cagionati anche solo da colpa esclusiva di quest'ultimo deve essere ripartita in misura paritaria, secondo i criteri presuntivi di cui agli artt. 1298 comma II e 2055 comma III c.c., in quanto la struttura nello svolgimento della sua attività di impresa accetta il rischio connaturato all'utilizzazione di terzi per l'adempimento della propria obbligazione contrattuale; deve dunque rispondere anche essa dei danni causati ai clienti, secondo la struttura della responsabilità c.d. da rischio di impresa, (cuius commoda et incommoda): il principio prevede una sola eccezione per il caso, che qui non si è verificato e comunque non allegato, se non in termini genericissimi, da (...) s.p.a., che venga dimostrato che il sanitario ha operato in modo del tutto deviante dal programma di prestazioni oggetto dell'obbligazione assunta dalla struttura ( occorre cioè, così si esprime la massima della sentenza citata, "un'eccezionale, inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile (e oggettivamente improbabile) devianza del sanitario dal programma condiviso di tutela della salute che è oggetto dell'obbligazione"). (...) ha proposto verso il dott. (...) anche una domanda di manleva basata sul contratto di collaborazione libero professionale fra le due parti intercorso ( doc. 1 fascicolo convenuta) : la domanda è fondata in quanto a norma dell'art. 8 del contratto stesso, non contestato dal dott. (...) che sul punto non ha svolto attività difensiva, risulta che "Il professionista, in quanto unico responsabile dell'attività da esso svolta negli ambulatori della Casa di cura, è obbligato a manlevare la Casa di cura dalle pretese di terzi che dimostrino di aver subito pregiudizi da fatto imputabile a colpa del professionista, e direttamente connessi all'attività svolte dallo stesso, tenendola indenne da ogni danno, costo, onere e spese per ciò subito e sostenuto dalla (...)". Deve invece essere rigettata la domanda di manleva avanzata sempre dalla (...) nei confronti della propria compagnia di assicurazione e ciò sia perché, come si evince dalle condizioni generali di contratto prodotte da entrambe le parti, all' art. 19 lett. r) della condizioni relative alla polizza stipulata tra le parti, sono esclusi dai rischi assicurati "i danni derivanti da responsabilità personale dei medici non dipendenti dell'assicurato contraente, di cui lo stesso si avvale per lo svolgimento della propria attività" con la sola eccezione, nel nostro caso non operante trattandosi di sinistro denunciato nel 2017, prevista dall'art. 23 successivo ( sinistri denunciati tra l'entrata in vigore della polizza il 4 agosto 2014 e il 31 dicembre dello stesso anno); sia perché in ogni caso trattasi di polizza operante a secondo rischio e nel nostro caso è pacifico che anche il dott. (...) ha una propria copertura assicurativa con R.M.A.. s.p.a. Sulle spese di lite, ivi comprese quelle di ATP. In forza del principio di soccombenza i due convenuti devono essere condannati a rifondere le spese - di questa fase di giudizio e della fase di ATP, ivi comprese le spese di CTU e di CTP - sostenute dall'attrice vittoriosa. Inoltre il dott. (...) dovrà rifondere le spese di (...) verso cui è soccombente in relazione alla domanda di manleva. (...), sempre in ragione del principio di soccombenza, deve rifondere le spese di (...) s.p.a. Le spese tutte si liquidano in base al D.M. n. 147 del 2022, tabelle 2 e 9, causa di valore fino a Euro 260.000, valori medi. La fase di trattazione/istruttoria della causa di merito è diminuita del 50% posto che non è stata svolta nuova istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale di Alessandria, definitivamente pronunciando, respinta ogni altra domanda, istanza, deduzione ed eccezione: 1) DICHIARA TENUTI E CONDANNA (...) s.p.a. e il dott. (...), in solido tra loro, al pagamento della somma complessiva di Euro 111.032,18 a favore di (...), a titolo di risarcimento danno non patrimoniale, importo calcolato come in motivazione, oltre interessi moratori nella misura di quelli legali dalla data della pronuncia della presente sentenza al saldo; 2) DICHIARA TENUTI E CONDANNA (...) s.p.a. e il dott. (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese legali di questa fase del giudizio a favore di (...), spese che liquida in Euro 11.268,00 per compenso ed Euro 286 per esborsi, oltre al 15% sul compenso, ex art.2 D.M. n. 55 del 2014, C.P.A. ed IVA come per legge; 3) DICHIARA TENUTI E CONDANNA (...) s.p.a. e il dott. (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di ATP a favore di (...), spese che liquida in: a) Euro 3.000,00 oltre accessori di legge per consulenza tecnica d'ufficio; b) Euro 00,00 per spese di CTP (non esposte); c) Euro 3.827,00 per spese legali ed Euro 286,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso, ex art.2 D.M. n. 55 del 2014, C.P.A. ed IVA come per legge; 4) DICHIARA TENUTO E CONDANNA il dott. (...) a tenere indenne e manlevare (...) s.p.a. delle somme che la stessa pagherà a favore dell'attrice in forza dei capi 1), 2) e 3) della presente sentenza; 5) RIGETTA la domanda di manleva proposta da (...) s.p.a. nei confronti di (...) S.P.A., per inoperatività della polizza; 6) DICHIARA TENUTO E CONDANNA il dott. (...) al pagamento delle spese di lite a favore di (...) s.p.a., spese che liquida in complessivi Euro 11.268,00 per compenso, oltre al 15% ex art.2 D.M. n. 55 del 2014, CPA ed IVA come per legge; 7) DICHIARA TENUTA E CONDANNA (...) s.p.a al pagamento delle spese di lite a favore di (...) S.P.A., spese che liquida in complessivi Euro 11.268,00 per compenso, oltre al 15% ex art.2 D.M. n. 55 del 2014, CPA ed IVA come per legge. Così deciso in Alessandria il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ALESSANDRIA Sezione CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Antonio Marozzo - Presidente dott. Giuseppe Bersani - Giudice Relatore dott. Marco Bonci - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 583/2021 promossa da: (...) (...) nata R. (...) difesa da avv. AN.EN. domiciliata a PIAZZA (...) 15100 ALESSANDRIA ricorrente contro (...) nato il (...) a R. (...) difesa dall'avv. OL.SI. domiciliata CORSO (...) 15048 VALENZA resistente SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato in data 24.02.2021, ritualmente notificato la ricorrente signora (...) chiedeva dichiararsi la separazione personale dal marito (...), con affidamento delle figlie minori (...) e (...) in via esclusiva alla madre e la collocazione delle stesse presso di lei, con previsione del diritto di visita e frequentazione da parte del padre, con il monitoraggio dei Servizi Sociali di Alessandria, e l'obbligo a carico del padre del versamento di un contributo economico a titolo di concorso al mantenimento delle figlie di Euro 500,00 mensili, oltre alla previsione della ripartizione tra i genitori al 50% delle spese straordinarie relative alle figlie minori, come previste dal Protocollo vigente presso il Tribunale di Alessandria. A tal fine esponeva la ricorrente che dopo il matrimonio, celebrato in Alessandria il 26.01.2019, i rapporti tra i coniugi si erano presto deteriorati e la convivenza era divenuta intollerabile, con liti sempre più accese cui alcune volte erano seguite aggressioni verbali e fisiche da parte del (...), spesso ubriaco, nei confronti della moglie, anche davanti alle figlie. Evidenziava parte ricorrente che non riuscendo più a sopportare tale situazione, ogni giorno più grave, nel mese di marzo 2020 si era trasferita con le figlie a casa della madre, sempre in Alessandria, dopodiché, nel successivo mese di agosto, aveva stipulato un contratto di locazione per un alloggio arredato in (...), via (...), in cui era andata ad abitare con le minori e in cui attualmente risiede. Nel procedimento così instaurato si costituiva il (...) contestando le affermazioni della ricorrente, chiedendo l'affidamento condiviso delle figlie con collocazione alternata presso i genitori e il mantenimento diretto delle stesse in corrispondenza della loro permanenza presso ciascuno di essi. Sentite le parti, il Presidente del Tribunale di Alessandria con ordinanza in data 28.06.2021, in via provvisoria e urgente autorizzava i coniugi a vivere separatamente, affidava le figlie minori a entrambi i genitori disponendo la residenza anagrafica delle stesse presso la madre, stabiliva specifiche modalità di effettuazione del diritto di visita e frequentazione da parte del padre, disponendo a carico del sig. (...), quale contributo al mantenimento delle figlie, la somma mensile di Euro 300,00 oltre al 50% delle spese straordinarie. Nominava quindi il Giudice Istruttore della causa rimettendo le parti dinanzi a questi per la prosecuzione del giudizio. Le parti si costituivano regolarmente avanti al Giudice Istruttore designato il quale, su loro richiesta e vista la persistente situazione di forte tensione tra le parti, concedeva termini per il deposito di memorie istruttorie e rinviava la causa a successiva udienza per la loro discussione. Il Giudice Istruttore disponeva quindi la prosecuzione del monitoraggio da parte del (...) di Alessandria e del Servizio di Psicologia Asl Al, l'acquisizione presso l'Inps di Alessandria delle informazioni relative a rapporti di lavoro del resistente e, su accordo delle parti, l'invio al (...) per l'effettuazione degli esami volti ad escludere eventuali dipendenze da alcool e droghe, che risultava positivo ad alcool e francamente positivo alla cocaina per (...) e negativo per (...). Nel frattempo con ordinanza in data 26 dicembre 2021, alla luce della condotta del padre come riferita in particolare nelle relazioni dei Servizi Sociali, e del persistente inadempimento dello stesso all'obbligo di mantenimento, in parziale modifica dei provvedimenti presidenziali il Giudice istruttore disponeva l'affidamento esclusivo delle bambine alla madre e la limitazione del diritto di visita del padre con la prescrizione della sua effettuazione in luogo neutro secondo le indicazioni, i tempi e le modalità stabilite dal (...). Dopo una serie di ulteriori memorie autorizzate, produzioni documentali, relazioni degli enti incaricati del monitoraggio della coppia e delle minori, la causa veniva rinviata al 05.07.2022 per la precisazione delle conclusioni, con assegnazione alle parti dei termini di legge per il deposito degli atti conclusivi. Motivi della decisione. Sulla domanda di separazione. La domanda di separazione, richiesta dalla ricorrente merita accoglimento poiché risulta configurata la fattispecie di cui all'art. 151 co. 1 c.c. È provato, infatti, che si sono verificati fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza; i coniugi, infatti, vivono separati ormai da tempo e dal comportamento tenuto nel corso degli anni, dalle difese e dalle domande formulate si evince che la prosecuzione della convivenza non sarebbe tollerabile. Sull'affidamento dei figli minori L'affidamento monogenitoriale dei figli minori nell'ambito delle procedure di separazione, divorzio e relative a figli di genitori non coniugati è stato per anni la regola imperante nel nostro ordinamento il cui indiscusso ed indiscutibile predominio è stato definitivamente superato dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54 che, nel modificare integralmente l'art. 155 c.c., statuì il diritto del minore alla bigenitorialità e sancì che nelle predette procedure il giudice dovesse valutare prioritariamente la possibilità di affidare i figli ad entrambi i genitori. Tali disposizioni sono state letteralmente riprodotte nell'art. 337-ter c.c. introdotto dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, che ricalca sostanzialmente il contenuto del previgente art. 155 c.c.. L'affidamento esclusivo della prole minorenne è - pertanto - oggi disciplinato dall'art. 337-quater c.c. e rappresenta la forma di affidamento residuale da disporre solo in via rigorosamente subordinata e qualora il giudice ritenga, con provvedimento motivato, che l'affidamento ad entrambi i genitori sia contrario agli interessi del minore. Tale norma si applica nell'ambito delle procedure di separazione, cessazione degli effetti civili e scioglimento del matrimonio, nullità ed annullamento del matrimonio e relative a figli di genitori non coniugati. L'affidamento esclusivo dei figli minori deve - quindi - essere disposto come scelta residuale ed eccezionale rispetto all'affidamento condiviso, e non deve perseguire alcuna finalità punitiva o sanzionatoria nei confronti del genitore non affidatario. Presupposto legittimante la disposizione dell'affidamento monogenitoriale è, invece, come ricorre nel caso concreto, il costante e sistematico disinteresse manifestato da uno dei genitori nei confronti della prole anche tramite l'omessa ed immotivata frequentazione della medesima per lungo periodo (Trib. Bologna 17 aprile 2008). Altra fattispecie in cui, indiscutibilmente, la disposizione dell'affidamento ad un solo genitore si pone come necessaria si prospetta allorquando la conflittualità genitoriale degeneri in comportamenti violenti di un genitore nei confronti dell'altro di cui il minore sia involontario spettatore. Si tratta della cosiddetta violenza assistita di cui si è recentemente occupata la Suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 4332) definendola come violenza domestica che si configura nell'ipotesi in cui i figli minori siano sistematici spettatori obbligati ad assistere a scene di violenza tra i genitori. Nella ricorrenza di tale situazione, oltre alla adozione di provvedimenti espressamente connessi alla sussistenza di una fattispecie di reato, la violenza assistita deve essere opportunamente valutata anche e soprattutto ai fini della tutela della prole con l'esclusione dell'affidamento dei minori al genitore responsabile (in questo senso: Trib. Piacenza 23 ottobre 2008). È indiscutibile che ai fini della statuizione di tale forma di affidamento decisamente residuale e subordinata occorra concentrare l'attenzione sulle eventuali inidoneità ed inadeguatezze di uno dei genitori al fine di escludere il medesimo dall'affidamento condiviso. Affinché possa, quindi, derogarsi alla regola generale di quest'ultimo tipo di affidamento, il giudice non dovrà solo giustificare in positivo il proprio provvedimento in ordine all'accertata idoneità del genitore affidatario esclusivo, ma dovrà soprattutto motivare in negativo in merito all'inadeguatezza genitoriale dell'altro e sulla non rispondenza dell'affido condiviso agli interessi della prole (Trib. Napoli, sez. I, 22 febbraio 2012; Cass. civ., sez. I, 17 dicembre 2009, n. 26587). In ogni caso l'affidamento della prole minorenne ad un solo genitore deve avere come primario ed essenziale obiettivo quello della sua effettiva rispondenza agli interessi dei figli e talvolta anche a prescindere dalla idoneità genitoriale del genitore escluso dall'affidamento (Cass. civ., sez. I, 21 novembre 2013, n. 26122; App. Roma 18 aprile 2007). Nel caso concreto appare evidente come il resistente sia rimasto per lungo tempo inadempiente all'obbligo di mantenimento dei figli minori disinteressandosi, inoltre, della propria famiglia, rendendo necessario l'attivazione del pagamento diretto da parte del datore di lavoro. Il resistente, inoltre, nonostante il lungo monitoraggio, ed i tentativi di entrambi i difensori, oltre che del Giudice designato di giungere ad una soluzione condivisa della separazione che presupponeva un cambiamento radicale delle abitudini di vita, ha preferito mantenere abitudini e comportamenti che appaiono in contrasto con l'interesse delle minori. In particolare va ricordato il referto medico del 30.3.2022 in cui il resistente è risultato positivo alla cocaina ed a sostanze alcooliche (verifica negativa - al contrario - per la madre) A tal fine va ricordato che nelle diverse relazioni dei SS.SS. sono stati descritti comportamenti posti in essere dal resistente incompatibili con le prescrizioni dei medesimi Servizi (cfr. relazione del 15.2.22 e del 10.2.22). Tali circostanze giustificano - allo stato - l'accoglimento della richiesta della ricorrente di affidamento esclusivo delle figlie minori (...) e (...) in via super esclusiva alla madre, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 337 quater, III comma, c.c. , con conseguente collocazione delle stesse minori presso la madre. Sul diritto di visita del padre Il diritto alla bigenitorialità è attribuito e deve essere garantito ad ogni minore a prescindere dal tipo di affidamento disposto concordemente o statuito giudizialmente nelle procedure di separazione, divorzili, di nullità o annullamento del matrimonio o relative a figli di genitori non coniugati. Tale diritto, quindi, non è peculiarità esclusiva dell'affidamento condiviso, ma deve essere garantito ai figli minori anche qualora questi ultimi siano affidati ad un solo genitore. Tale dato assiomatico deriva anche dalla lettura combinata dei primi due commi dell'art. 337-ter c.c.: il primo riconosce il diritto del minore a mantenere un rapporto costante ed equilibrato con entrambi i genitori e di ricevere da ciascuno di essi cura, educazione, istruzione e assistenza morale, il secondo sancisce le forme di affidamento che devono essere disposte, condivisa in via prioritaria o esclusiva in via secondaria, per realizzare la finalità di garantire al minore il diritto alla bigenitorialità. Quindi, il riconoscimento del diritto del minore alla bigenitorialità è prioritario e prescinde dalla forma di affidamento statuita. Nel caso concreto, al fine di garantire il diritto alla bigenitorialità deve essere peraltro prevista la possibilità per il padre di vedere le figlie secondo calendari stabiliti dal (...) - almeno due volte la settimana - ed in luogo neutro. Sempre nella prospettiva di una risoluzione dele problematiche familiari deve essere altresì disposta la prosecuzione del monitoraggio del nucleo familiare da parte del (...) di Alessandria, del Servizio di Psicologia presso la (...), del Servizio di Neuropsichiatria Infantile presso la (...) e del SERD presso la (...). Sul contributo al mantenimento dei figli minori E' noto che costituisce diritto di tutti i figli - indipendentemente da un vincolo coniugale che possa legare i loro genitori - essere dagli stessi mantenuti sino al momento della raggiunta autosufficienza economica. L'obbligo di mantenimento dei figli può essere assolto in via diretta o in via indiretta. L'assegno periodico assicura al figlio il diritto ad essere mantenuto anche nella fase di disgregazione della famiglia per separazione, divorzio o cessazione della convivenza dei genitori. Il versamento dell'assegno è - pertanto - una modalità di mantenimento indiretto attraverso il quale un genitore adempie al suo obbligo di concorrere alle spese necessarie alla crescita dei figli che non siano prevalentemente con lo stesso conviventi. La misura dell'assegno indiretto, se non concordata, è giudizialmente stabilita in proporzione alla capacità reddituale e patrimoniale dell'obbligato al fine di assicurare al figlio, considerato il concorrente obbligo dell'altro genitore, il soddisfacimento delle sue esigenze primarie e di crescita tendenzialmente assicurandogli il medesimo tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei suoi genitori (art. 337-ter comma 4 c.c.). Pertanto, nessuno dei genitori può essere esonerato dal mantenimento del figlio neppure in caso di intervenuta decadenza, né l'assegno periodico di mantenimento non può essere oggetto di rinunzia da parte del genitore percipiente non trattandosi di un suo diritto ma del figlio. Il dovere di mantenere i figli deve essere adempiuto da parte di entrambi i genitori proporzionalmente alle loro sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo. La corresponsione dell'assegno è quindi la modalità con cui un genitore, generalmente quello non collocatario in via prevalente, provvede indirettamente e periodicamente alle spese connesse alle esigenze dei figli somministrando all'altro un importo con lo scopo di assicurare alla prole il soddisfacimento delle attuali esigenze e ad assicurargli uno standard di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza dei genitori (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2012, n. 785). Relativamente agli aspetti economici, e tenuto conto del reddito di entrambi i genitori, il Tribunale ritiene adeguato porre a carico del sig. (...) un assegno mensile di Euro 300,00 a titolo di concorso al mantenimento delle figlie minori, rivalutabile annualmente e automaticamente ai sensi dell'Istat, da corrispondersi alla signora (...) entro il giorno 5 di ogni mese mediante bonifico bancario, oltre al 50% delle spese straordinarie come previste dal Protocollo vigente presso il Tribunale di Alessandria, anche con riferimento a tempi e modalità di corresponsione ed accordo. Il resistente è stato per lungo tempo inadempiente all'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli. Alla luce della violazione di tale obbligo più volte posta in essere da parte del resistente, deve - pertanto - essere confermato l'ordine in capo al al datore di lavoro del sig. (...), attualmente l'impresa (...), con sede in via Del C. 44 ad (...), o altri successivi, ai sensi dell'art. 156, 6 comma, c.c., il versamento diretto a favore della signora (...) della somma mensile di Euro 300,00 di cui sopra. Sulle spese del giudizio Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: dichiara la separazione personale fra (...) e (...) che hanno contratto matrimonio il 26.1.2019 trascritto nel Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di Alessandria, atto n. 5, u. 1 p. 1 s. anno 2019 Manda all'Ufficio di Stato civile del Comune di Alessandria per i provvedimenti di competenza. affida le figlie minori (...) e (...) in via super esclusiva alla madre, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 337 quater, III comma, c.c. Dispone la collocazione delle minori presso la madre. Dispone la possibilità per il padre di vedere le figlie secondo calendari stabiliti dal (...) e in luogo neutro per due volte la settimana. Dispone senza alcun di rapporto al Tribunale, la prosecuzione del monitoraggio del nucleo familiare da parte del (...) di Alessandria, el Servizio di Psicologia presso la (...), del Servizio di Neuropsichiatria Infantile presso la (...) e del SERD presso la (...). ordina al sig. (...) di procedere al pagamento di un assegno mensile di Euro 300,00 a titolo di concorso al mantenimento delle figlie minori, rivalutabile annualmente e automaticamente ai sensi dell'Istat, da corrispondersi alla signora (...) entro il giorno 5 di ogni mese mediante bonifico bancario, oltre al 50% delle spese straordinarie come previste dal Protocollo vigente presso il Tribunale di Alessandria,. Conferma l'ordine al datore di lavoro del sig. (...), attualmente l'impresa (...), con sede in via Del C. 44 ad (...), o altri successivi, ai sensi dell'art. 156, 6 comma, c.c., di procedere al versamento diretto a favore della signora (...) della somma mensile di Euro 300,00; Condanna parte resistente Sig. (...) al pagamento delle spese di costituzione e difesa di parte ricorrente che liquida in Euro 4.500,00 oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Alessandria l'8 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ALESSANDRIA Il Tribunale di Alessandria, in persona del giudice monocratico dott.ssa Antonella Dragotto ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 740/18 del Ruolo Generale dell'anno 2018, posta in deliberazione all'udienza dell'8.6.2022 e vertente tra (...) s.r.l., in persona dell'amministratore unico G.S., corrente in T. (A.), rappresentata e difesa dall'Avvocato Ga.Pi. del Foro di Alessandria e presso lo stesso elett.te dom.ta. Attrice opponente contro (...) S.P.A. corrente in B., in persona del curatore speciale dott.ssa (...), rappresentata e difesa dall'Avv.to Fl.Ga. del Foro di Bergamo, elettivamente domiciliata presso l'Avv.to An.Mu. del Foro di Alessandria, per mandato a margine del ricorso per decreto ingiuntivo. Convenuta opposta (...) s.r.l. con sede in C., e per essa, quale mandataria, (...) s.p.a. con sede in M., in persona del procuratore Avv.to (...), rappresentata e difesa dall'Avv.to Ma.Ga. con studio in Milano. Terza intervenuta OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo n. 1845/17 del 17 novembre 2017 MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso monitorio 18 ottobre 2017 (...) s.p.a. esponeva di aver acquistato da (...) s.r.l. con contratto di cessione pro solvendo del 18 novembre 2013, regolarmente notificato al debitore il 22 novembre 2013, un credito che la stessa vantava nei confronti (...) s.r.l. pari a Euro 56.100; che successivamente (...) era stata dichiarata fallita e la Banca era stata ammessa al passivo del fallimento anche per il credito in questione; che ciò provava che si trattava di credito certo, liquido ed esigibile, come da fattura (...) emessa da (...) nei confronti di (...) s.r.l.; ciò premesso chiedeva che (...), in qualità di debitore ceduto, fosse condannata al pagamento di Euro 56.100, oltre interessi moratori dalla data della valuta del 18 marzo 2014 al saldo. Il Tribunale emetteva il decreto ingiuntivo richiesto; con atto di citazione 16.2.2018 proponeva opposizione (...) s.r.l., allegando che, al momento dell'emissione della fattura azionata ella già da tempo intratteneva rapporti commerciali con (...), lavorando entrambe le aziende nel medesimo ramo merceologico del commercio di rottami ferrosi, e che tra le parti vi erano sempre state reciproche partire di dare/avere regolate in un unico conto a fronte di reciproci acquisti/vendite di merci. Alla data della cessione del 18 novembre 2013 in particolare, come si evinceva dalle fatture prodotte emesse sia da (...) che da (...), (...) non era affatto a debito nei confronti di (...) (avendo emesso fatture per Euro 148.432.65), ma a credito di Euro 25.171,65 poiché (...) aveva invece un credito nei sui confronti di soli Euro 123.261,00. Trattandosi di un unico rapporto giuridico e commerciale ad esso si attagliava perfettamente l'istituto della compensazione impropria, sicché il Tribunale ben avrebbe potuto accertare che nulla era dovuto da (...) a (...) al momento della cessione del credito da parte di quest'ultima alla Banca, come si evinceva anche da una scrittura privata redatta successivamente dalle parti, in cui era riportata anche la fattura in oggetto, e in cui si accertava che era (...) ad essere creditrice anche alla data del 30 aprile 2014, quando poi il rapporto era stato chiuso, di (...) per Euro 166.806,80. Pertanto, dovendosi applicare l'art. 1248 comma II a mente del quale il debitore che non abbia espressamente accettato la cessione può eccepire in compensazione i propri crediti purché maturati anteriormente alla notificazione, era provato che alla data della cessione (...) aveva ceduto un credito inesistente perché estinto per compensazione impropria, sicché il decreto ingiuntivo opposto doveva essere revocato. Si costituiva in giudizio la Banca la quale chiedeva la conferma del decreto ingiuntivo opposto contestando che nel caso di specie la controparte avesse dato prova dell'operare della compensazione impropria, rilevando che l'art. 1248 c.c. era applicabile solo alla compensazione propria, e eccependo la non opponibilità a sé della scrittura privata 30 aprile 2014, perché firmata da terzi e priva di data certa. La causa è stata istruita solo a mezzo di produzioni documentali : nel corso del giudizio, e precisamente ad aprile 2019, si costituiva (...) s.r.l. in qualità di cessionaria del credito di (...) s.p.a., la quale faceva proprie tutte le difese e conclusioni della sua cedente. All'esito il Tribunale decide come segue. L'opposizione appare infondata e deve essere disattesa. Ed invero parte opponente invoca la compensazione impropria allegando che tra ella e (...) s.r.l. vi era un unico rapporto giuridico e commerciale con reciproca regolazione delle partite di dare e avere, ma dell'esistenza di tale rapporto alla data della cessione del credito, il 18 novembre 2013, non dà alcuna prova ( ad esempio attraverso la produzione di un accordo scritto). In atti vi è solo una scrittura di molto successiva al 18 novembre 2013, datata 30 aprile 2014 (doc.to 5 E.), la quale dunque, non poteva esplicare i suoi effetti (eventualmente estintivi) su un credito non più in capo a (...), in quanto da questa già ceduto a soggetto terzo da mesi. Per il resto (...) si è limitata alla produzione di fatture emesse da sé e dalla società fallita, che di per sé sole nulla provano, se non che tra le parti stipulavano reciproche vendite ed acquisti. Peraltro la mera produzione di fatture, anche a volerle considerare contabilità d'impresa, come noto fa prova solo contro l'imprenditore che le produce, e non a favore dello stesso ( vedi art. 2709 c.c.), mentre nei rapporti interni tra imprenditori è necessario produrre i libri contabili regolarmente bollati e vidimati (art. 2710 c.c.), che nel caso che ci occupa non sono stati prodotti. Oltre a ciò per l'operare della compensazione impropria il giudice deve essere messo in condizione di conoscere l'intero andamento del rapporto, al fine di accertare contabilmente il saldo finale delle poste di dare/avere di esso ( vedi fra le tante Cass. 12302/2016), mentre nel caso che ci occupa parte opponente, pur dando atto di un rapporto di lunga durata e alta frequenza, neppure allega quando esso sarebbe cominciato, limitandosi ad indicare alcune reciproche fatture emesse a partire da (appena) circa due mesi prima quella in oggetto, rendendo così impossibile l'accertamento contabile che chiede, e inducendo il sospetto che possa avere allegato e prodotto solo le fatture atte a provare un suo inesistente credito, omettendone altre. E' evidente anche l'assoluta inconferenza del richiamo all'art. 1248 c.c.: secondo la giurisprudenza prevalente infatti ( vedi da ultimo Cass. 4825/19) tale disposizione non può applicarsi alla compensazione impropria, ma solo a quella propria, ossia relativa a crediti/debiti derivanti da diversi rapporti autonomi, compensazione che deve essere puntualmente ed obbligatoriamente eccepita dalla parte che intende avvalersene, il che nel nostro caso non è avvenuto. In conclusione, avendo la Banca invece dato piena prova documentale del suo credito nei confronti di (...) s.r.l. a mezzo la produzione del contratto di cessione del credito da parte di (...) s.r.l., ( doc. 5 allegato al ricorso monitorio) regolarmente notificato al debitore ceduto (doc.to 6), non resta che confermare il decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza di parte opponente e si liquidano in base al D.M. n. 55 del 2014, tabella 2, valore da Euro 52.000 a Euro 260.000, parametri minimi (riduzione del 50% dei medi), con esclusione della fase istruttoria, vista l'attività processuale in concreto espletata. Le spese legali vengono liquidate solo a favore di (...) s.p.a. in quanto (...) non ha dato prova di essere cessionaria del credito di questa, ed inoltre, al di là di un intervento del tutto inutile visto l'art. 111 c.p.c., non ha in concreto svolto alcuna attività difensiva. P.Q.M. Il Tribunale definitivamente pronunciando, nella causa civile in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e difesa rigettata così decide: Conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 1845/17 del 17 novembre 2017, anche in punto spese e interessi di mora, che dichiara definitivamente esecutivo; Condanna (...) s.r.l. a rifondere a (...) s.p.a. le spese di giudizio, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% dei compensi, Iva e CPNA come per legge, compensa per il resto le spese. Così deciso in Alessandria il 3 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ALESSANDRIA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona della Giudice dott.ssa Martina Cacioppo, all'esito della discussione, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado tra PREFETTURA-UTG DI ALESSANDRIA, C.F. (...) , in persona del Prefetto pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura dello Stato di Torino; Appellante e (...), C.F. (...) , difesa e rappresentata dall'Avv. El.An. in forza di procura allegata all'atto di opposizione a sanzione amministrativa del 09/03/2021; Appellata OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 187/2021 del Giudice di Pace di Alessandria, depositata il 19 aprile 2021 nel proc. civ. RG 424/2020 con la quale è stata accolta l'opposizione al verbale di contestazione n. (...) elevato dalla Polizia Stradale di Alessandria. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1) Concisa esposizione del processo di I grado Con ricorso ex art. 204 bis C.d.S, (...) ha impugnato il processo verbale di contestazione n. (...), elevato dalla Polizia Stradale di Alessandria ed emanato per asserita violazione da parte della ricorrente dell'art. 141 commi 3 e 8 del Codice della Strada. La ricorrente in particolare ha allegato che è attualmente pendente un procedimento innanzi alla Procura della Repubblica di Alessandria a carico di (...), per il reato di cui all'art. 590 bis c.p. da ella commesso in occasione del sinistro occorso in data 24.11.2019, quando, nell'effettuare una svolta a sinistra, omettendo di dare precedenza alla ricorrente proveniente dal senso opposto di marcia, la (...) ha provocato l'impatto tra il proprio veicolo e quello condotto dalla (...) che a propria volta, per effetto dell'urto, ha colpito un terzo veicolo. In occasione del sinistro stradale che ha visto coinvolti i tre veicoli, la Polizia Stradale, ha contestato alla ricorrente, nel verbale oggetto di opposizione, la violazione di cui all'art. 141 C.d.S. per aver tenuto al momento del sinistro una velocità non idonea alle caratteristiche ed alle condizioni della strada e del traffico. La Prefettura ha depositato le proprie controdeduzioni, ritenendo in via pregiudiziale l'incompetenza funzionale del Giudice di Pace e nel merito la legittimità dell'atto impugnato visto che la vettura condotta dalla (...) viaggiava, al momento del sinistro, ad una velocità superiore a quella idonea, tenuto conto dello stato dei luoghi ispezionato dalla polizia, intervenuta sul luogo del sinistro per svolgere gli opportuni accertamenti. Con sentenza pubblicata in data 19.04.2021, il Giudice di Pace, ritenendo che la Prefettura non avesse fornito gli elementi obbiettivi e tecnici sulla base dei quali poter rilevare con certezza che il veicolo condotto dalla (...) viaggiasse ad una velocità superiore a quella idonea per lo stato dei luoghi, ha accolto la domanda attorea, ha annullato il verbale impugnato ed ha compensato tra le parti le spese di lite. Motivi di appello La Prefettura ha declinato, quali motivi di censura alla decisione impugnata: 1) l'ingiustizia ed erroneità della sentenza, laddove il Giudice di Pace, non ha dichiarato il proprio difetto di competenza in favore del Giudice penale, trovando applicazione nel caso di specie il disposto di cui all'art. 221 C.d.S.; 2) l'ingiustizia ed erroneità della sentenza laddove il Giudice di Pace, mal governando i principi che regolano il potere di valutazione e libero apprezzamento delle prove artt. 115 e 116 c.p.c. non ha considerato quelle documentali offerte in primo grado dalla Prefettura e rappresentate da atti pubblici elaborati dalla Polizia verbalizzante, come il prontuario di rilevazione del sinistro con tutti gli accertamenti effettuati dagli operatori intervenuti sul luogo teatro del sinistro, fondando invece la propria decisione su fatti notori e massime di comune esperienza; 3) la contraddittorietà e illogicità della motivazione laddove essa, prima rileva la mancata prova della violazione contestata alla ricorrente e poi presuppone la dinamica del sinistro così come accertata e ricostruita dalla Polizia Stradale; 4) l'erroneità della sentenza laddove essa entra nel merito della dinamica del sinistro, valorizzando la condotta dell'altra conducente coinvolta (...) la quale invece è priva di rilievo ai fini dell'accertamento della violazione di cui al 141 C.d.S. Motivi in fatto ed in diritto della decisione L'appello è infondato e deve essere rigettato. - 1. Quanto al primo motivo, vertente sull'asserito difetto di competenza del Giudice di Pace adito, le deduzioni della Prefettura non colgono nel segno, in particolare quando ritengono sussistere nel caso di specie il profilo della "connessione obbiettiva" (art. 221 C.d.S. D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 - art. 24 L. 24 novembre 1981, n. 689) tra la fattispecie di illecito per cui è causa addebitato alla ricorrente (...) ed il reato ex art. 590 bis c.p. imputato alla conducente dell'altro veicolo coinvolto nell'incidente, (...), in seno al procedimento penale pendente. Due le ragioni per cui tale tesi va disattesa. In primo luogo, come correttamente statuito dal Giudice di Pace, l'accertamento da svolgersi in sede penale quanto alla sussistenza della condotta ex art. 590 bis c.p. a carico dell'imputata (...), non dipende in alcun modo dall'accertamento della condotta di violazione del Codice della Strada addebitata alla ricorrente, che anche laddove sussistente, non assurgendo ad elemento costitutivo della fattispecie penale, non condizionerebbe in alcun modo l'esistenza o meno del reato. Inoltre, come ribadito in più occasioni dalla giurisprudenza, la connessione obbiettiva rilevante ex artt. 221 C.d.S. e 24 L. n. 689 del 1981, deve essere qualificata nei termini di una connessione "per pregiudizialità", tale da rendere necessario, ai fini della cognizione penale, stabilire preventivamente se il fatto sanzionato in via amministrativa sia stato commesso (v. Cass. Pen. Sez. IV, Sent. n. 1793 del 2019 la quale cita Sez. 1, n. 31662 del 2004) In secondo luogo, la competenza del giudice penale a decidere anche in merito alla violazione non costituente reato obiettivamente connessa con esso, può riguardare solo ed esclusivamente i casi in cui il responsabile della violazione amministrativa sia l'imputato. Nel caso di specie la ricorrente non solo non è imputata in alcun procedimento penale pendente per i medesimi fatti di causa, ma ella nel procedimento a carico della conducente (...) per il reato di cui all'art. 590 bis c.p. ricopre la qualità di persona offesa, come si evince dalla comunicazione ex art. 335 c.p.p. (doc. 2 parte ricorrente). Lo stesso tenore letterale dell'art. 24 L. 24 novembre 1981, n. 689 "Connessione obiettiva con un reato" non lascia spazio ad equivoci laddove prevede che la sanzione amministrativa venga irrogata dal giudice penale competente insieme alla condanna e quindi necessariamente, solo a carico dell'imputato "Qualora l'esistenza di un reato dipenda dall'accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa." Le suddette conclusioni sono peraltro suffragate anche dalla costante Giurisprudenza di legittimità, che pronunciandosi su molteplici risvolti dell'applicazione dell'art. 221 C.d.S. ha sempre presupposto l'identità tra opponente alla violazione amministrativa e imputato del reato connesso. Si veda ex multis Cass. pen. Sez. I Sent., n. 52138 del 2019: " Il conflitto negativo improprio di competenza insorto tra il giudice di pace, procedente nella causa civile di opposizione all'ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria irrogata in relazione ad un'infrazione amministrativa, e il giudice penale, procedente per il delitto ascritto all'opponente, deve essere risolto con l'affermazione della competenza del giudice penale qualora ricorra il presupposto della connessione oggettiva tra illecito amministrativo e illecito penale." ( si vedano anche Cass. Pen. Sez. I, Sent., n. 50493 del 2019; Cass. Pen. Sez. III Sent., n. 28174 del 2019). - 2. Venendo agli ulteriori motivi di appello, essi possono essere trattati congiuntamente in quanto riguardano tutti, in sostanza, il merito dell'opposizione e le motivazioni che hanno portato il giudice di prime cure a ritenere non provata la condotta contestata alla ricorrente nel verbale impugnato. Prima di entrare nel merito delle doglianze dell'appellante sul punto, si ritiene opportuno riassumere brevemente la dinamica del sinistro di causa riscostruita dai verbalizzanti e ciò al fine di meglio collocare l'addebito mosso alla ricorrente. In data 24.11.2019 verso le h. 14,45 circa, (...), alla guida del veicolo (...), percorreva la SP 82 proveniente da (...), fraz. Alessandria, con direzione di marcia casello autostradale di Alessandria est, ad una velocità di circa 50 Km/h. Giunta in prossimità dell'intersezione per impegnare il casello, percorreva la corsia di canalizzazione dopo aver inserito l'indicatore di direzione sinistro. A quel punto, presumibilmente per distrazione, svoltava improvvisamente verso il casello A21 all'altezza del KM 4,310 della SP 82, senza avvedersi del sopraggiungere dall'opposta direzione di marcia del veicolo (...) condotto da (...), con (...) passeggero, che procedeva ad una velocità ritenuta non commisurata alla condizione del luogo per la presenza di intersezione stradale e di traffico e per l'entità dell'urto di considerevole importanza avvenuto tra la parte anteriore centrale del veicolo della (...) e la parte centrale anteriore sinistra del veicolo della (...) il quale, a seguito dell'impatto, veniva sospinto, andando a colpire con la fiancata destra la parte anteriore dell'autocarro (...) condotto da (...) con (...) quale passeggero. Nel contesto di tale dinamica dei fatti, la cui ricostruzione non è messa in discussione, ad (...), è stata addebitata la violazione di cui all'art. 141 CdS commi 3 e 8, "per aver omesso di regolare adeguatamente la velocità in un tratto di strada caratterizzato da presenza di intersezione segnalata da limite di velocità fissato in 50 Km/h e con manto stradale bagnato per pioggia, in atto illecito emerso a seguito di istruttoria incidente stradale con lesioni gravi". Ciò premesso, la Prefettura appellante si duole del malgoverno delle prove operato dal Giudice di Pace laddove egli non ha valorizzato le risultanze degli accertamenti svolti dalla Polizia Stradale intervenuta nell'immediatezza del fatto sul luogo del sinistro, risultanze che secondo l'appellante sarebbero sufficienti a dimostrare la sussistenza della condotta illecita contestata alla ricorrente. Tale assunto non è condivisibile. A mente dell'art. 2700 c.c. l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. La norma fa dunque riferimento ai fatti verificatisi in presenza del pubblico ufficiale. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (SS.UU. n. 17355 del 2009) hanno infatti affermato che nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione relativo al pagamento di una sanzione amministrativa è ammessa la contestazione e la prova, unicamente delle circostanze di fatto della violazione che non sono attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale. Ricadono in tale disciplina accadimenti e circostanze (da descrivere con indicazione delle particolari condizioni soggettive ed oggettive dell'accertamento, ricordano le Sezioni Unite) avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale, quali, a titolo di esempio, il passaggio di un'autovettura con semaforo rosso, l'uso della cintura di sicurezza, il puntamento di apparecchiatura elettronica per il calcolo della velocità di un veicolo. Nel caso di specie, le uniche circostanze che potevano essere attestate con fede privilegiata dagli operatori di polizia verbalizzanti erano quelle riguardanti lo stato dei luoghi ovvero: la conformazione della strada con presenza di un'intersezione; le condizioni atmosferiche "pioggia", la visibilità "buona - pioggia"; lo stato dell'illuminazione "diurna"; il traffico "intenso" e la presenza di una segnaletica prescrivente il limite di velocità di 50 Km/h. (v. prontuario per le annotazioni e gli accertamenti urgenti al doc. 4). Nulla quindi che riguardi la velocità di percorrenza effettivamente tenuta dalla ricorrente al momento del sinistro. Tanto chiarito, secondo l'art. 141 C.d.S., la pericolosità della condotta di guida deve essere desunta dalle caratteristiche e dalle condizioni della strada e del traffico e da ogni altra circostanza di qualsiasi natura. Essa di per sé non costituisce un fatto storico che possa essere attestato, ma è il portato di un giudizio, di una valutazione sintetica, che è desunta dagli elementi indicati dal legislatore. Il giudizio di pericolosità implica quindi un'attività di elaborazione da parte dell'agente accertatore, il quale deve rilevare i fatti di cui ha una cognizione diretta (condizione del veicolo, della strada, del traffico) e sottoporli a critica, per desumerne la valutazione di congruità ai criteri di buona condotta di guida o, appunto, di pericolosità. Ne consegue che detta valutazione è priva di efficacia probatoria privilegiata. Orbene la condotta contestata alla ricorrente è quella di cui al co. III dell'art. 141 C.d.S. secondo cui "3. In particolare, il conducente deve regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezioni e delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnali, nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell'attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici". Questo Tribunale ritiene che la valutazione di inadeguatezza operata dagli agenti riguardo la condotta tenuta dalla (...) al momento del sinistro non sia sufficientemente supportata da circostanze di fatto necessarie e sufficienti ad integrare la fattispecie di cui al menzionato comma III, in quanto l'effettiva velocità tenuta o presumibilmente tenuta dalla conducente (...), né è stata accertata né è stata ipotizzata sulla scorta di altri elementi a disposizione. Infatti, anche volendo ammettere che lo stato dei luoghi (presenza di una intersezione, pioggia, suolo scivoloso) possa in qualche modo rendere ipotizzabile una velocità "adeguata" ad essi che possa assurgere a parametro di idoneità della condotta concretamente posta in essere, non solo i verbalizzanti tale velocità adeguata non l'hanno individuata specificamente, ma nemmeno hanno detto come ed in che misura quella (inadeguata) effettivamente tenuta dalla conducente se ne discosti. Detto altrimenti, gli agenti si sono limitati ad esprimere un giudizio di inadeguatezza senza indicare né il parametro di riferimento assunto, né la velocità concretamente sussistente e posta a confronto di tale parametro. Nemmeno peraltro dagli atti emergono elementi in fatto utili a colmare tali lacune, infatti, per quello che può evincersi dal prontuario per le annotazioni e gli accertamenti: sul luogo del sinistro non sono state rilevate tracce di frenata lasciate dai veicoli sul manto stradale; nessuno dei testimoni ha fatto alcun cenno alla velocità del veicolo dell'appellata, anzi la persona da lei trasportata, (...), sul punto ha spontaneamente dichiarato che la velocità di percorrenza si assestava intorno ai 50 Km /h quindi entro il limite previsto in quel punto; nessun dato cinetico è stato accertato né offerto in prova. Inoltre, come evidenziato dalla Cassazione (Cass. Civ. sez. VI n. 13264 del 2014) "il rilievo secondo cui l'accertamento della violazione dell'art. 141 C.d.S., che impone all'automobilista di regolare la velocità in modo da evitare ogni situazione di pericolo, è dalla legge rimesso al giudizio discrezionale dell'agente, incide sulla necessità che questi indichi nel verbale - per un generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi, che, in materia di violazioni del codice della strada, si sostanzia anche nel particolare contenuto della contestazione e del relativo verbale (artt. 200 e 201 C.d.S., e art. 383 reg. C.d.S.) - le circostanze di fatto da cui ha tratto il proprio giudizio, al fine di consentire l'esercizio del controllo su di esse nonché sul loro grado di attendibilità e di persuasività in relazione alla contestazione effettuata (v. Cass. n. 2238 del 2008)." Nel caso di specie quindi, correttamente il Giudice di Pace ha ritenuto di non poter fondare il proprio convincimento su un accertamento mancante di qualsivoglia indicazione in ordine alla velocità, anche presunta, tenuta dalla ricorrente al momento del sinistro. Per tutte le ragioni illustrate, anche i restanti motivi di appello devono essere rigettati con integrale conferma della sentenza di primo grado. Conclusioni e spese di lite In tema di regolamento delle spese di lite nel giudizio d'appello, la giurisprudenza ha statuito che: "Il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, poiché gli oneri della lite devono essere ripartiti in ragione del suo esito complessivo, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata dal giudice del gravame soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione" (Cass. Civ. ord. n. 14916/2020). Nel caso di specie, il rigetto del gravame comporta una conferma della sentenza di primo grado in tutte le sue parti, compresa quella contente la statuizione sulle spese di lite, che il Giudice di Pace ha integralmente compensato tra le parti. Quanto invece alle spese di questo secondo grado di giudizio, esse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenendo conto del valore dichiarato della causa, dei valori massimi per le fasi di studio, introduttiva e decisoria (non essendo stata espletata istruttoria) oltre agli esborsi, al rimborso forfettario per le spese generali nella misura del 15%, oltre C.P.A. e IVA. Sussistono, altresì, i presupposti per l'applicazione dell'art. 13 comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, in quanto l'impugnazione è stata respinta integralmente, ragion per cui va disposto a carico dell'appellante l'obbligo del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l'iscrizione a ruolo del presente giudizio d'appello. P.Q.M. Il Tribunale di Alessandria, in funzione di Giudice d'Appello, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, - rigetta l'appello proposto da PREFETTURA-UTG DI ALESSANDRIA, avverso la sentenza del Giudice di Pace di Alessandria n. 187/2021 che per l'effetto conferma; - condanna l'appellante PREFETTURA-UTG DI ALESSANDRIA al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore dell'appellata (...) che liquida complessivamente in Euro 792,00 per compensi, oltre agli esborsi, al rimborso forfettario per le spese generali nella misura del 15%, oltre IVA e CPA come per Legge; - dichiara, infine, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, a norma del comma 1-quater dell'art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Alessandria il 13 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 settembre 2022.

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