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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 111 del 2024, proposto da Lu. An., rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Ancona, corso Mazzini, 55; Comune di (Omissis); per l'annullamento previe misure cautelari - del provvedimento della Provincia di Ascoli Piceno 6/12/2023 r.g. n. 1395 - Determina del Responsabile Settore IV 6/12/2023 n. 86, recante diniego di accertamento della compatibilità paesaggistica per lavori abusivi di realizzazione rimessa attrezzi interrata e di contenimento per lo stoccaggio di derrate agricole; - della comunicazione inoltrata dalla Provincia di Ascoli Piceno protocollo n. (…) del 21/11/2023 recante motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza; - del parere negativo espresso dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata prot. (…) del 15/11/2023. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno Fermo e Macerata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 il dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente chiedeva, al Comune di (Omissis), l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ai sensi degli artt. 167 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004 per una rimessa attrezzi (da considerarsi interrata perché ricoperta di terreno) e muri di contenimento per lo stoccaggio di derrate agricole, trattandosi di opere realizzate in area vincolata ai sensi dell’art. 136, lett. c) e d), del citato D.Lgs. n. 42/2004 e per effetto del DPGRM 2/9/1980 n. 23965. Il Comune trasmetteva poi la richiesta alla Provincia di Ascoli Piceno (competente al rilascio dell’autorizzazione) che, a sua volta, chiedeva il prescritto parere della Soprintendenza. Questa esprimeva parere negativo confermato dalla Commissione Regionale per il patrimonio culturale presso Segreteria Regionale del MIC per le Marche. Dopo la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, la Provincia di Ascoli Piceno adottava il provvedimento di diniego oggetto dell’odierno gravame insieme al presupposto parere negativo espresso dalla Soprintendenza considerato vincolante dall’amministrazione provinciale. Il diniego si fonda sulla ritenuta riconducibilità delle opere in questione a quelle non sanabili ex art. 167, comma 4, lett. a) del D.Lgs. n. 42/2004 (lavori realizzati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica che abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati). Si è costituita in giudizio la sola amministrazione statale. 2. Con il primo motivo, rivolto contro il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere sotto svariati profili. In particolare viene dedotto che la Soprintendenza si limita a sostenere che l’intervento comporta aumento di volume ma senza darne le ragioni, rendendo così un parere con motivazione generica che non spiega perché un edificio completamente ricoperto di terreno comporti alterazione del paesaggio. In realtà trattasi di volume completamente interrato che non incide assolutamente sulla percezione del paesaggio. La censura non può trovare condivisione. Al riguardo va osservato che il parere espresso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata, del 15/11/2023 prot. (…), descrive chiaramente il manufatto in questione, ovvero “accessorio agricolo interrato per rimessa attrezzi, di circa 78 mq., realizzato in struttura mista in c.a. blocchi laterizio, avente altezza max di mt. 2,50 circa; tale manufatto è stato completamente rinterrato nel suo perimetro con angolo di naturale declivio di circa 35°, ivi compreso la coltre di terriccio sulla copertura piana. L’accesso avviene in trincea con apertura di circa mt. 3,00 con apposizione di vaschette in calcestruzzo colore grigio denominate <muro fiorito>”. Per tali ragioni è stato ritenuto che le opere “hanno comportato un aumento del volume legittimamente assentito”. A giudizio del Collegio non si può quindi sostenere, come deduce parte ricorrente, che detto parere risulti del tutto immotivato. Peraltro va osservato che dal predetto parere traspare chiaramente l’intento elusivo, del divieto di accertamento postumo della compatibilità paesaggistica ex art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2024, perseguito attraverso il rinterro artificiale, cioè ricoprendo interamente di terreno una costruzione fuori terra realizzata sopra il piano originario di campagna. Anche se questa sorta di “escamotage” può aver dato luogo ad un volume oggi interrato (ovvero, più precisamente, ricoperto con terreno di riporto), la percezione del paesaggio è stata comunque alterata poiché dove prima c’era un’area piana ora c’è una collinetta, così come si nota chiaramente dalla documentazione fotografica versata in atti (cfr. Allegato 010 - deposito Comune 23/4/2024). Non si può inoltre sostenere che trattasi di volume completamente interrato (cioè ricoperto di terreno), poiché nelle citate fotografie è ben visibile l’accesso con un lato completamente fuori terra e due muri di contenimento del terreno laterale per mascherare la restante parte dell’edificio. 3. Con il secondo motivo viene dedotto eccesso di potere e travisamento dell’art. 167, comma 4, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2024. In particolare viene dedotto che, nella procedura in esame, il parere della Soprintendenza non era necessario perché si tratta di un piccolo edificio in zona agricola ricoperto con i materiali del luogo e, in ogni caso, non era un parere che la Provincia di Ascoli Piceno poteva considerare vincolante, mantenendo inalterata la propria discrezionalità. Questa censura va dichiarata inammissibile, come preannunciato alle parti, ex art. 73, comma 3, del c.p.a., con l’ordinanza di questo Tribunale Sez. I, 21/3/2024 n. 53, perché vengono mosse contestazioni all’operato della Provincia di Ascoli Piceno che non è stata tuttavia evocata giudizio. 4. Con il terzo e ultimo motivo viene dedotto eccesso di potere e travisamento delle norme applicate in relazione al buon andamento della pubblica amministrazione. In particolare viene dedotto che non poteva essere applicata la Circolare n. 38 del 4/9/2023 del Segretario generale del Ministero della Cultura volta a riformulare la Circolare n. 33 del 26/6/2009 perché l’istanza di sanatoria era stata presentata in data antecedente cioè il 17/7/2020. Andava quindi applicata la precedente Circolare più permissiva in materia di volumi tecnici. Anche quest’ultima censura va disattesa dovendosi applicare il principio “tempus regit actum” alla data del provvedimento qualora non sussistano specifiche disposizioni transitorie che fanno salve le discipline alla data della domanda. 5. Le spese di giudizio possono tuttavia essere compensate per ragioni equitative. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe con riferimento al secondo motivo di gravame e lo respinge per quanto riguarda i restanti motivi. Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall'Autorità amministrativa ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele, Presidente Gianluca Morri, Consigliere, Estensore Tommaso Capitanio, Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 615 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca. e An. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ca. So., in Ancona, piazza (...); Commissione Esaminatrice della Procedura di Valutazione Comparativa per la Copertura di n. 1 Posto di Ricercatore, Senato Accademico dell'-OMISSIS-, Dipartimento di Giurisprudenza (Già Facoltà ) dell'-OMISSIS-, non costituiti in giudizio; Ministero dell'Istruzione e Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Ancona, corso (...); nei confronti -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fa. Me. e Gi. To., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; -OMISSIS-, non costituito in giudizio; -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Se. De Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione per quanto riguarda il ricorso introduttivo: del provvedimento con il quale è stata disposta la revoca ex art. 21 quinquies, L. n. 241/1990 della procedura comparativa in corso di svolgimento per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato del settore scientifico - disciplinare -OMISSIS-); per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati in data 11 gennaio 2022: del decreto n-OMISSIS-del Rettore dell'università degli studi di -OMISSIS- recante autorizzazione al prof. -OMISSIS- del passaggio dal settore scientifico disciplinare -OMISSIS-. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'-OMISSIS-, del Ministero dell'Istruzione, del Ministero dell'Università e della Ricerca, di -OMISSIS- e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 novembre 2022 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il presente giudizio riguarda la procedura di selezione indetta nel lontano -OMISSIS-(prima dell'entrata in vigore della L. n. 240/2010) dall'Università di -OMISSIS- per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario a tempo indeterminato nel settore scientifico disciplinare -OMISSIS-). La dott.ssa -OMISSIS- risultava vincitrice della procedura, ma il decreto del Rettore n. -OMISSIS-, recante l'approvazione degli atti e la nomina della dott.ssa -OMISSIS-, veniva annullato da questo TAR con pronuncia n. -OMISSIS- (su ricorso proposto dal candidato non vincitore dott. -OMISSIS-), con cui si disponeva una rivalutazione dei candidati. All'esito della nuova valutazione, la commissione dichiarava di nuovo vincitrice la dott.ssa -OMISSIS-, che veniva nominata ricercatrice ed assunta in servizio con decorrenza dal 1° ottobre 2015. Anche questi provvedimenti venivano impugnati dal dott. -OMISSIS-, il quale, soccombente in primo grado (sentenza di questo TAR n. -OMISSIS-), vedeva accolto il proprio appello con sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, la quale si fondava sul presupposto per cui l'Ateneo avrebbe dovuto rinnovare la procedura, nominando una nuova commissione in diversa composizione. L'Università dava seguito alla sentenza del Consiglio di Stato solo limitatamente alla parte relativa all'annullamento della nomina della dott.ssa -OMISSIS- e degli atti presupposti (Decreto Rettorale del 29 -OMISSIS-), ma non procedeva ad alcun altro adempimento, e segnatamente alla nomina della nuova commissione e al riavvio della procedura selettiva. Tanto la dott.ssa -OMISSIS- quanto il dott. -OMISSIS- adivano il Consiglio di Stato per l'ottemperanza della pronuncia n. -OMISSIS-. Dopo aver disposto la riunione dei due ricorsi, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. -OMISSIS-, assegnava all'Università il termine di 60 giorni per procedere alla nomina della nuova commissione e al riavvio del concorso, designando altresì un commissario ad acta per il caso di persistente inadempimento. La nuova commissione, che veniva nominata e si insediava dopo due anni dalla pronuncia di ottemperanza, ovvero nel novembre del 2020, non ha mai concluso i suoi lavori. Con provvedimento dell'Università di --OMISSIS-, a firma del Responsabile dell'Area Risorse Umane, Ufficio Personale Docente, veniva comunicato ai due candidati interessati che il Consiglio di Amministrazione, nella seduta del 23 luglio 2021, aveva disposto la revoca della procedura comparativa in corso di svolgimento. Il dott. -OMISSIS- e la dott.ssa -OMISSIS- adivano nuovamente il Consiglio di Stato con un'incidente di esecuzione, lamentando la violazione e/o elusione del giudicato. Il dott. -OMISSIS-, inoltre, riteneva di impugnare il citato provvedimento del -OMISSIS-e gli atti presupposti anche con il presente ricorso introduttivo, in cui, in sintesi, deduce che la revoca della procedura selettiva si fonda su una motivazione ad un tempo illogica ed errata. Successivamente, dopo aver formulato istanza di accesso agli atti e aver visionato i documenti relativi alla posizione di uno dei commissari (l'odierno controinteressato prof. -OMISSIS-), il dott. -OMISSIS- ha proposto i motivi aggiunti depositati in data 11 gennaio 2022, con cui censura i provvedimenti - risalenti al 2015 - con cui l'Ateneo aveva autorizzato il passaggio del prof. -OMISSIS- al -OMISSIS-. Per resistere al ricorso introduttivo e ai motivi aggiunti si sono costituiti in giudizio i Ministeri dell'Istruzione e dell'Università e della Ricerca (eccependo il difetto di legittimazione passiva), l'Università di -OMISSIS-, e i controinteressati dott.ssa -OMISSIS- e prof. -OMISSIS- (il quale ultimo ha eccepito l'inammissibilità, sotto vari profili, del ricorso e dei motivi aggiunti). 2. La trattazione della causa ha subito vari differimenti, dovuti alla necessità di attendere la decisione del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, fino a che è stata fissata per il 23 novembre 2022 l'udienza di discussione del merito. Nel frattempo, in data 27 aprile 2022 è stata pubblicata la sentenza della Sez. VII del Consiglio di Stato n. -OMISSIS-, con cui il giudice di secondo grado ha dichiarato nullo il provvedimento dell'Università recante la revoca della procedura ed ha ordinato il riavvio della selezione (operazione che, come risulta dai documenti depositati in vista dell'udienza del 23 novembre 2022, ha avuto effettivamente avvio con la designazione dei nuovi commissari). In vista dell'udienza di discussione l'Università, il ricorrente e il controinteressato prof. -OMISSIS- hanno depositato documenti e memorie. La causa è passata in decisione dopo ampia discussione orale. 3. Prima di passare alle conclusioni che il Tribunale ritiene di dover rassegnare in merito al ricorso introduttivo e all'atto di motivi aggiunti, è necessario dare conto di uno spiacevole "incidente" processuale, i cui esiti tuttavia (come si dirà infra) non incidono sulla legittimazione dell'odierno Collegio ad adottare la presente decisione. 3.1. È infatti accaduto che, in data 12 ottobre 2022, il controinteressato prof. -OMISSIS- ha depositato copia dell'atto di appello proposto dal dott. -OMISSIS- avverso la sentenza di questo Tribunale n. -OMISSIS-, con cui è stato respinto il ricorso proposto dall'odierno ricorrente nei riguardi dell'Università di -OMISSIS- e finalizzato ad ottenere l'accesso ad un atto del procedimento relativo al passaggio del prof. -OMISSIS- al -OMISSIS- - Diritto Tributario. Ebbene, e dato atto che nelle more il Consiglio di Stato ha riformato la prefata sentenza n. -OMISSIS- (decisione n. -OMISSIS-), dalla lettura del predetto atto di appello emergevano prima facie gravi ragioni che consigliavano l'astensione di almeno due dei componenti dell'odierno Collegio (ossia di quelli che facevano parte anche del Collegio che aveva deciso il giudizio in materia di accesso), cosa che era stata del resto rimarcata dalla difesa del prof. -OMISSIS- a pag. 4 della memoria difensiva depositata in data 22 ottobre 2022. In particolare, oltre all'utilizzo di espressioni che andavano al di là della consentita critica che la parte soccombente in primo grado è legittimata a svolgere nei confronti della decisione sfavorevole oggetto di impugnazione, rilevava la seguente frase (riportata a pag. 24 dell'atto di appello) "La valutazione del T.A.R., in sostanza, è affetta da gravissimo pregiudizio nei confronti dell'istante, addebitandogli senza motivo il rischio di una strumentalizzazione e, quindi, considerandolo ingiustamente "colpevole" di un tale rischio". 3.2. Per tali ragioni, all'odierna udienza pubblica il Presidente del Tribunale ha previamente sottolineato l'inopportunità di alcune espressioni contenute nel prefato atto di appello, invitando subito dopo tutte le parti a verbalizzare l'eventuale sussistenza di gravi ragioni di opportunità che imponessero il differimento della trattazione della causa ad altra udienza e la modifica del Collegio giudicante. A questo punto il difensore del ricorrente presente alla discussione orale ha: - manifestato il proprio vivo rammarico per l'eventuale, ma certamente non voluto, superamento dei limiti di critica alla sentenza n. -OMISSIS-; - dichiarato che non sussistono ragioni che impongano l'astensione del Collegio giudicante, in quanto il "pregiudizio" di cui si parlava nell'atto di appello non era da intendere riferito alla persona del dott. -OMISSIS- quanto piuttosto alle tesi difensive esposte nel ricorso che il Tribunale aveva respinto, aggiungendo inoltre che, laddove si parlava di "sacche di illegalità ", ci si intendeva riferire all'operato dell'Università e non certo alla decisione del T.A.R. Anche i difensori delle altre parti presenti hanno escluso la sussistenza di ragioni che impongano l'astensione del Collegio. 3.3. Preso atto di tali chiarimenti e dichiarazioni, il Tribunale ritiene di poter decidere la causa, non sussistendo né la causa ostativa di cui all'art. 51, comma 1, n. 3), c.p.c., né le gravi ragioni di convenienza di cui al successivo comma 2 dello stesso art. 51. Va peraltro chiarito che il passaggio della sentenza n. -OMISSIS- in cui si paventavano possibili rischi di strumentalizzazione del parere del C.U.N. oggetto dell'istanza di accesso civico non era riferito (ovviamente) all'odierno ricorrente, ma a qualunque altro soggetto - anche estraneo all'ambiente universitario - che, appellandosi al diritto di accesso civico, avesse avuto la possibilità di visionare il parere medesimo. Tale considerazione, va poi rimarcato, era stata svolta dal Tribunale in sede di esame della valutazione operata dal Responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza dell'Università, il quale, nel respingere in parte qua l'istanza di accesso presentata dal dott. -OMISSIS-, aveva per l'appunto evidenziato i possibili pregiudizi (non solo legati all'ambito universitario, ma anche alla sfera professionale) che al prof. -OMISSIS- sarebbero derivati dalla generalizzata ostensione del parere sfavorevole del C.U.N. 4. Ciò premesso, il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili. 4.1. Partendo dal mezzo introduttivo, l'improcedibilità discende dal fatto che, nelle more del giudizio, il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. -OMISSIS-, ha dichiarato nullo il provvedimento di revoca della procedura selettiva che è oggetto del presente giudizio. L'eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento di revoca e il conseguente riavvio della procedura de qua rende dunque improcedibile il ricorso introduttivo. 4.2. Con riguardo ai motivi aggiunti, il discorso è invece diverso. Infatti, e premesso che parte ricorrente ha dichiarato di avere interesse al loro accoglimento in quanto, in disparte l'incidenza sul provvedimento di revoca (ma questo profilo, ammette lo stesso ricorrente, è stato medio tempore superato), "...sussiste un autonomo interesse all'impugnazione del provvedimento in ragione di una qualificata posizione del ricorrente nell'ambito del procedimento di selezione..." in quanto "... nella sperata ipotesi di assunzione, il ricorrente si vedrebbe evidentemente pregiudicato dalla concorrenza nel settore disciplinare di un docente incardinato sulla scorta di un procedimento radicalmente illegittimo..." (pag. 6 della memoria depositata in data 22 ottobre 2022), i motivi aggiunti sono inammissibili ab origine, nonché irricevibili. 4.2.1. Partendo da questo secondo profilo, il Collegio osserva che: - per giurisprudenza consolidata (ex multis, TAR Marche, sentenza n. 370/2014), le istanze di accesso agli atti non possono essere utilizzate per dilatare in modo surrettizio e ad libitum il termine decadenziale di impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Naturalmente questo principio va applicato tenendo conto delle peculiarità di ciascuna specifica vicenda sostanziale, esistendo certamente casi in cui, anche in relazione al contegno ostruzionistico dell'amministrazione, l'interessato si vede costretto a proporre, a volte a notevole distanza di tempo, un'istanza di accesso ad atti e documenti endoprocedimentali. Per converso, però, vi sono vicende nelle quali la percezione della lesività di un atto emerge già ab origine e, in questo senso, la proposizione di un'istanza di accesso non riapre il termine di impugnazione; - applicando tali principi al caso di specie, va rilevato che il dott. -OMISSIS- quantomeno al momento della proposizione del ricorso introduttivo era a conoscenza dell'identità dei commissari e dunque sapeva che fra essi vi era un docente che era passato al -OMISSIS- già dal 2015. Infatti, seppure fosse vero che il provvedimento del Rettore recante l'accoglimento dell'istanza del prof. -OMISSIS- non sia mai stato pubblicato nei modi di legge, da un punto di vista sostanziale la piena conoscenza del provvedimento si era inverata già al momento della notifica del ricorso introduttivo. Questo è tanto vero che a pag. 4 della citata memoria difensiva del 22 ottobre 2022 il ricorrente, al fine di confutare l'eccezione di tardività formulata dalle parti resistenti, afferma che "...prima della formale conoscenza del provvedimento, all'esito dell'istanza di accesso, il Dott. -OMISSIS- poteva al massimo essere a conoscenza del fatto che controinteressato si fosse giovato di un passaggio di settore, ma non poteva minimamente immaginare che il relativo procedimento fosse affetto da tali e tante illegittimità ...". In sostanza, se l'interesse alla coltivazione dei motivi aggiunti è quello indicato dal ricorrente nella memoria del 22 ottobre 2022, esso sussisteva già al momento della proposizione del mezzo introduttivo, per cui la lesività del decreto rettorale che ha autorizzato il passaggio del prof. -OMISSIS- al -OMISSIS- era percepibile già a quel tempo, visto che il provvedimento di revoca sul punto non ha aggiunto alcunché . 4.2.2. Ma i motivi aggiunti, nella parte in cui si impugnano gli atti del procedimento all'esito del quale il prof. -OMISSIS- è passato al -OMISSIS-, sono in ogni caso inammissibili ab origine, e ciò per le seguenti ragioni. Per quanto concerne l'interesse che il dott. -OMISSIS- riteneva di far valere in parte qua nel mezzo introduttivo (ossia eliminare uno dei profili motivazionali sui quali si è fondato il provvedimento di revoca), rilevano pacifici principi dottrinali e giurisprudenziali in tema di motivazione dei provvedimenti amministrativi. Infatti, un provvedimento amministrativo deve fondarsi sugli esiti dell'istruttoria, ossia, come recita l'art. 3 della L. n. 241/1990, "La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria". Ora, con riguardo al caso di specie, la circostanza per cui il -OMISSIS- presso l'Università di -OMISSIS- è coperto da un professore associato costituisce una circostanza di fatto, così come costituirebbe una circostanza di fatto il richiamo all'entità dei finanziamenti concessi dal Ministero dell'Università all'Ateneo maceratese o, ancora, il numero degli studenti che in certo anno accademico risultano immatricolati al corso di laurea in Giurisprudenza. Tuttavia, affinché un provvedimento sia legittimo non basta che l'amministrazione procedente abbia correttamente ricostruito la situazione di fatto e che tale situazione corrisponda alla fattispecie normativa di riferimento, ma è altresì necessario che l'autorità emanante spieghi il collegamento logico-giuridico che ritiene esistente fra la situazione di fatto e il contenuto dispositivo del provvedimento finale. Come è noto, tale onere motivazionale è molto più sfuggente (per non dire assente) negli atti vincolati - nei quali l'amministrazione deve solo dare conto della riconduzione della situazione di fatto al paradigma normativo, mentre il contenuto dispositivo è "a rime obbligate" (si pensi, ad esempio, all'art. 31 del T.U. n. 380/2001) - mentre si apprezza pienamente negli atti discrezionali, massime negli atti discrezionali anche nell'an. E, sotto questo profilo, la revoca è il provvedimento discrezionale per eccellenza, visto che, anche laddove l'amministrazione abbia accertato che un proprio precedente provvedimento non ha sortito gli effetti sperati, non per questo la revoca sarebbe un atto dovuto. Tutto questo discorso serve a dire che nella specie il fatto che il -OMISSIS- sia coperto da un professore associato non ha spiegato alcuna particolare incidenza sul provvedimento di revoca, tanto è vero che nello stesso arco temporale in cui è avvenuto il passaggio del prof. -OMISSIS- al -OMISSIS- l'Università aveva riattivato la procedura per cui è causa dopo l'annullamento decretato dal TAR con la sentenza n. -OMISSIS-, con ciò dimostrando per facta concludentia che la presenza del titolare della cattedra di -OMISSIS-non era di ostacolo al reclutamento di un ricercatore a tempo indeterminato nella stessa materia. E, del resto, questo profilo è stato colto perfettamente dal Consiglio di Stato, che nella sentenza n. -OMISSIS- ha ritenuto immeritevoli di condivisione le varie ragioni addotte dall'Università a sostegno dell'esercizio del ius poenitendi. Il ricorrente, invece, ritiene evidentemente che ogniqualvolta nella motivazione di un provvedimento amministrativo l'autorità emanante richiami circostanze di fatto e/o situazioni giuridiche prodotte da un precedente provvedimento sia possibile "attaccare" tali presupposti di fatto, ed in particolare i provvedimenti, anche risalenti, che abbiano prodotto quella certa situazione di fatto. Ma tale strategia processuale, oltre che superflua (come si è detto), provoca le paradossali conseguenze di cui si dirà nella parte finale del presente paragrafo. Per quanto riguarda, invece, l'interesse "superstite" di cui il dott. -OMISSIS- fa menzione nella memoria conclusionale, rilevano le seguenti ulteriori considerazioni. In primo luogo viene in evidenza l'assenza di una posizione giuridica differenziata in capo al ricorrente rispetto al passaggio di settore disciplinare del prof. -OMISSIS-. Infatti, come è stato anche ribadito dalla difesa dell'Università nel corso della discussione orale, né con riguardo al momento della proposizione dei motivi aggiunti né con riguardo alla data in cui la causa è passata in decisione è ravvisabile un collegamento giuridico fra l'interesse che il dott. -OMISSIS- ha inteso tutelare nel presente giudizio e la collocazione didattica del prof. -OMISSIS-. Va infatti ricordato che il ricorrente ha agito in questa sede (nonché in sede di ottemperanza davanti al Consiglio di Stato) per tutelare la propria chance di essere individuato quale ricercatore universitario a tempo indeterminato. In questo senso, pertanto, egli non è al momento legittimato a censurare le modalità di nomina di professori ordinati o associati, atteso che: - non è detto che il dott. -OMISSIS-, all'esito della rinnovazione della presente procedura, risulti vincitore; - il ricorrente, in caso di vittoria nella selezione, verrebbe inquadrato come ricercatore universitario a tempo indeterminato (ancorché tale figura accademica non sia più contemplata nell'ordinamento di settore e sopravviva solo "ad esaurimento"); - il dott. -OMISSIS- non è in possesso dell'A.S.N. e dunque non potrebbe ancora concorrere per ricoprire il posto attualmente coperto dal prof. -OMISSIS-; - in ogni caso, anche per aspirare a tale prestigiosa cattedra il ricorrente dovrebbe sottoporsi ad una procedura selettiva allo stato meramente ipotetica e il cui esito è impronosticabile, ma che l'Ateneo potrebbe decidere di indire nonostante la presenza del prof. -OMISSIS-. In effetti, non è precluso ad un Ateneo reclutare più di un professore per il medesimo insegnamento. Da un punto di vista di politica giudiziaria, poi, va evidenziato che se l'iniziativa processuale del ricorrente dovesse trovare condivisione si aprirebbe uno scenario difficilmente sostenibile per l'ordinamento: per fare un esempio che potrebbe apparire assurdo ma che dal punto di vista giuridico riguarda una fattispecie del tutto assimilabile a quella odierna, si pensi al caso di un magistrato di prima nomina (o, addirittura, di un semplice candidato nel concorso per l'accesso alla magistratura) che, appena preso servizio, impugni il provvedimento di nomina (in ipotesi anche risalente nel tempo) di un suo collega e giustifichi tale azione sostenendo che in futuro quel collega potrebbe precederlo nella graduatoria per il conferimento di un posto direttivo o semi-direttivo. E esempi analoghi potrebbero farsi per tutti i concorsi pubblici: andrebbe così consentito a ciascun candidato non vincitore di chiedere l'accesso al fascicolo personale dei componenti della commissione esaminatrice e, anche a distanza di anni, di impugnare gli atti con cui quei commissari sono stati nominati dipendenti pubblici. Il principio, portato alle estreme conseguenze, potrebbe applicarsi anche ad altri settori, quali ad esempio l'urbanistica e l'edilizia: si pensi al caso di un soggetto che si sia visto rigettare un'osservazione al PRG tesa a conseguire l'edificabilità del proprio terreno per profili legati all'eccessivo carico urbanistico della zona. A seguire fino in fondo la strategia processuale dell'odierno ricorrente si dovrebbe ammettere che quel proprietario potrebbe impugnare i titoli edilizi in forza dei quali la zona è stata urbanizzata e contestarne la legittimità anche a distanza di decenni dal loro rilascio, e ciò sul presupposto giuridico che l'interesse ad impugnare è sorto solo al momento del rigetto dell'osservazione e in ragione del fatto che la presenza di quegli immobili gli impedisce di poter edificare sul proprio terreno. In realtà, e sebbene dottrina e giurisprudenza riconoscono che, in generale, l'interesse a ricorrere può anche sopravvenire a distanza di tempo dal momento in cui un determinato provvedimento è stato adottato, a tale estensione dell'arco temporale in cui un provvedimento amministrativo può essere considerato ancora "sub iudice" vanno posti limiti che attengono, in primo luogo, alla necessaria esistenza di un collegamento diretto fra gli effetti di quell'atto e l'interesse tutelato dal ricorrente e, in secondo luogo, all'esigenza di preservare la funzionalità e l'operatività dell'amministrazione interessata, nonché gli interessi degli eventuali controinteressati (se esistono). 5. Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile (anche se al riguardo rileva la soccombenza virtuale dell'Università di -OMISSIS-), mentre i motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili nonché irricevibili. In ragione della parziale reciproca soccombenza le spese del giudizio si possono compensare. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando: - dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso introduttivo; - dichiara inammissibili, nonché irricevibili, i motivi aggiunti; - compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle persone fisiche parti del presente giudizio. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Gianluca Morri - Consigliere Tommaso Capitanio - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 180 del 2009, proposto da Pr. Spa ed altri, rappresentate e difese dall'avvocato An. St., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Ta. in Ancona, corso (...); contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fr. Pe. in Ancona, corso (...); sul ricorso numero di registro generale 652 del 2009, proposto da Pr. Spa ed altri, rappresentate e difese dall'avvocato An. St., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Ta. in Ancona, corso (...); contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Fe. Ro., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Fr. Pe. in Ancona, corso (...); per l'annullamento quanto al ricorso n. 180 del 2009: dell'ordinanza del Funzionario A.P.O del Servizio Edilizia Privata del Settore Urbanistica del Comune di (omissis) 23.12.2008 n. 401 prot. 79859 con la quale è stata ingiunta la demolizione di alcuni manufatti abusivi; quanto al ricorso n. 652 del 2009: del diniego ex art. 36, comma 3, del DPR n. 380/2001, formatosi tacitamente sulla richiesta in data 6/3/2009 di accertamento di conformità in ordine ai manufatti descritti nell'ordine di demolizione 23/12/2008 n. 401 fatta eccezione del manufatto ad uso portineria. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 il dott. Gianluca Morri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente Pr. Spa allega di essere un'azienda leader nel settore della lavorazione dell'alluminio e della produzione dei relativi materiali inserita in un più ampio gruppo di società di cui fanno parte anche le altre ricorrenti. Avendo necessità di attivare un nuovo impianto tecnologico suddiviso tra più capannoni in cui si svolge la propria attività, in data 7/11/2006 presentava, al Comune di (omissis), il relativo progetto che contemplava anche la realizzazione di tettoie per il collegamento dei fabbricati industriali suddivisi su 5 lotti della zona industriale in cui la ricorrente è insediata. Il progetto non trovava tuttavia accoglimento perché ritenuto in contrasto con le vigenti previsioni urbanistiche. In data 15/5/2007 veniva quindi ripresentato un nuovo progetto con richiesta di variante urbanistica secondo la procedura di cui all'art. 5 del DPR n. 447/1998. Nel corso di quest'ultimo procedimento il Comune riceveva segnalazioni, da parte di imprese terze, a seguito delle quali accertava che gli interventi in progetto erano, in realtà, già stati realizzati abusivamente senza titolo insieme ad altre opere non previste nel progetto. Di conseguenza il Comune adottava l'ordinanza di demolizione riguardante una pluralità di abusi individuati, per gruppi omogenei, con le lettere A, B, C, D ed E. Il provvedimento veniva impugnato con il ricorso n. 180/2009. In particolare, per quanto riguarda il predetto ricorso e dopo le precisazioni fornite dalla ricorrente con memoria depositata in data 9/9/2022, assumono rilevanza i seguenti abusi esposti secondo la suddivisione contenuta nel provvedimento impugnato: B) realizzazione di una cabina EN. di mq 90, posta sul fronte del lotto (omissis); C) TETTOIE E STRUTTURE VARIE, COSÌ INDIVIDUATE: C1) tettoia aperta su tre lati in struttura metallica, della dimensione di mt 10,00 di profondità ; mt 37,90 di lunghezza e mt 7,00 di altezza, posizionata sul fronte del fabbricato lotto (omissis); C2) tettoia aperta su tre alti, delle dimensioni di mt 15,00 di profondità, mt 39,60 di lunghezza e mt 10,00 di altezza, posizionata sul fronte del fabbricato lotto (omissis); C3) tettoia aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 10,00 di profondità, mt 53 di lunghezza e mt 7,00 di altezza, posizionata sul fronte del fabbricato, lotto (omissis); C4) tettoia aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 10,00 di profondità, mt 31,200 di lunghezza e mt 7,00 di altezza, posta sul fronte del fabbricato, lotto (omissis); C5) tettoia aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 15,00 di profondità, mt 18,40 di lunghezza e mt 10,00 di altezza, posizionata sul fonte del fabbricato lotto (omissis); C6) tettoia aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 10,00 di profondità, mt 14,50 di lunghezza e mt 7,00 di altezza, posizionata sul fronte del fabbricato loto (omissis); C7) tettoia su tre lati, delle dimensioni di mt 15,00 di profondità, mt 16,00 di lunghezza e mt 10,00 di altezza, posizionata sul fronte del fabbricato lotto (omissis); C8) struttura metallica di forma trapezoidale, delle dimensioni di mt 58,00/63,00 di lunghezza, mt 20,00 di altezza e mt 11,50 di altezza, posizionata tra i fabbricati (omissis); C9) tettoia in aggetto aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 5.00 di profondità, mt 33,00 di lunghezza e mt 7,50 di altezza, posizionata sul retro del fabbricato (omissis); C10) tettoia in aggetto aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 5,40 di profondità, mt 53,50 di lunghezza e mt 7,50 di altezza, posizionata sul retro del fabbricato (omissis); C11) tettoia aperta su tre lati, costituente di fatto ampliamento della tettoia preesistente autorizzata, delle dimensioni di mt 49,00 di lunghezza, mt 30,00 di larghezza ed altezza di mt 10,00, con una rientranza di mt 13,00 x 11,00 per la presenza di un traliccio dell'alta tensione, posizionata sul fronte del fabbricato (omissis) ed a lato del fabbricato (omissis); C12) tettoia di forma irregolare ad L, avente un ingombro massimo di mt 68,00 di lunghezza, mt 45,00 di larghezza e mt 13,00 di altezza, posizionata sul retro del fabbricato (omissis) ed a lato del fabbricato (omissis); D) STRUTTURE E TETTOIE VARIE, DI SEGUITO INDIVIDUATE: (omissis)) struttura in profilati metallici coperta in lamiera e tamponata su tre lati, in adiacenza al fabbricato (omissis), delle dimensioni di mt 22,70 di lunghezza, mt 10,00 di profondità e mt 5,00 di altezza; D2) tettoia in aggetto aperta su tre lati, delle dimensioni di mt 4,70 di profondità, mt 23,00 di lunghezza e mt 7,50 di altezza; (omissis)) tettoia a forma di poligono irregolare, tamponata parzialmente da un muro di cemento armato, avente un ingombro massimo di circa mt 38,00 per mt 15,00 ed altezza media di circa mt 13,00, posizionato lato mare all'estremità del fabbricato (omissis); D4) tettoia aperta in aggetto, avente le dimensioni di mt 20,00 di lunghezza, mt 5,00 di profondità e mt 6,00 di altezza, posizionata sul lato mare del fabbricato (omissis) sul confine del comparto; D5) struttura in profilati metallici, chiusa su tre lati, delle dimensioni di mt 10,00 di lunghezza, mt 6,00 di larghezza e mt 4,80 di altezza, posizionata a ridosso di tettoie autorizzate nell'area retrostante il fabbricato (omissis); E) OPERE DI SISTEMAZIONE ESTERNA, COSÌ SPECIFICATE: E1) parcheggi per auto e mezzi pesanti ubicati sul fronte del comparto (lotti (omissis)); E2) manufatto chiuso ad uso portineria sul fronte del lotto (omissis), delle dimensioni di mt 4,20 x 3,00, con a lato corsie delimitate da pilastri utilizzate per le entrate ed uscite di tutti i mezzi dal comparto; E3) percorso viabile in stabilizzato. 1.2 Nelle more di trattazione del ricorso n. 180/2009, le ricorrenti hanno presentato istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del DPR n. 380/2001 per tutti gli abusi sopra ricordati, fatta eccezione del manufatto (E2) ad uso portineria perché oggetto di domanda separata. L'amministrazione comunale non si è tuttavia pronunciata al riguardo e, con ricorso n. 652/2009, è stato impugnato il provvedimento tacito di diniego. Con ricorso n. 653/2009, chiamato nell'odierna udienza pubblica e deciso con separata sentenza, è stato invece impugnato il silenzio rigetto formatosi sul manufatto (E2) ad uso portineria. 1.3 In entrambi i giudizi si è costituito il Comune di (omissis) per resistere al gravame chiedendone il rigetto. 2. I ricorsi in epigrafe (180/2009 e 652/2009) vanno previamente riuniti per connessione oggettiva e soggettiva. 3. Va trattato prioritariamente il ricorso n. 180/2009 avverso l'ordine di demolizione. 3.1 Con il primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 107, comma 3, lett. g), del D.Lgs. n. 267/2000, per incompetenza del funzionario A.P.O. che ha sottoscritto l'ordinanza impugnata poiché esso non riveste la qualifica dirigenziale (apicale) prevista nell'organizzazione del Comune di (omissis). La censura, così formulata, non può trovare condivisione. Al riguardo va osservato che, nell'ordinamento degli enti locali, la sottoscrizione di atti con rilevanza verso l'esterno (come un ordine di demolizione) non rientra nelle competenze inderogabili della figura apicale (in questo caso inquadrata nella qualifica contrattuale "dirigenziale"), ma può essere attribuita anche a personale inquadrato nelle qualifiche sottostanti come, nel caso in esame, l'Area delle Posizioni Organizzative (c.d. A.P.O.) riservata al personale di categoria D. Le ricorrenti non avrebbero quindi dovuto limitarsi a contestazioni di carattere generale valevoli, in astratto, per tutti gli enti locali, ma avrebbero dovuto entrare nel merito della specifica organizzazione del Comune di (omissis) risultante dai propri atti (dotazione organica, regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi, accordi sindacali, regolamento sui procedimenti amministrativi, ecc.). 3.2 Con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 27 del DPR n. 380/2001 poiché l'ordinanza di demolizione non è stata preceduta dall'ordine di sospensione dei lavori. La censura non può essere condivisa poiché dedotta in termini essenzialmente formali. Dagli atti emerge (e le ricorrenti non lo negano) che, alla data di adozione del provvedimento impugnato, le opere in oggetto erano già state concluse e non c'erano lavori in corso. Di conseguenza non vi era alcuna necessità di sospendere previamente lavori inesistenti. 3.3 Con il terzo e ultimo motivo viene dedotto eccesso di potere per omessa e/o errata valutazione dei presupposti. In particolare le ricorrenti deducono che era pendente il procedimento per il rilascio del titolo edilizio di cui ignoravano, alla data di notifica dell'ordinanza di demolizione, la conclusione negativa. In ogni caso l'area su cui sono stati eseguiti gli abusi risulta del tutto edificabile anche relativamente a quelli realizzati su terreno con vincolo preordinato all'esproprio (essendo decaduto). Sussisteva quindi la possibilità di rilascio del titolo in sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001. 3.3.1 Anche queste ultime censure non possono trovare condivisione. 3.3.2 Come ricordato in precedenza, il progetto per conseguire il titolo edificatorio ordinario, presentato in data 7/11/2006, era stato respinto e, di conseguenza, era stato presentato un nuovo progetto in data 15/5/2007 ex art. 5 del DPR n. 447/1998 nel corso del quale veniva tuttavia accertato che le opere erano, in realtà, già state tutte eseguite (insieme ad altre non previste in progetto). Quest'ultimo procedimento non avrebbe quindi potuto assumere efficacia ex art. 36 del DPR n. 308/2001, trattandosi di procedura non attivabile d'ufficio ma solo su iniziativa di parte (che potrebbe trovare più conveniente rimuovere l'abuso piuttosto che pagare l'oblazione), come poi avvenuto con la presentazione dell'istanza di sanatoria in data 6/3/2009 (quindi dopo l'ordinanza di demolizione, oggetto dell'odierno gravame, adottata in data 23/12/2008) su cui si è formato il silenzio rigetto impugnato con il ricorso n. 652/2009. Va poi osservato che il provvedimento di sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 richiede, oltre alla conformità dell'opera abusiva alla data della domanda, anche la sua conformità alla data di realizzazione dell'abuso, ovvero circostanza non pacifica considerato l'avvenuto diniego del primo progetto presentato il 7/11/2006 proprio per contrasto con la disciplina urbanistica. 3.3.3 Va infine osservato che l'ordine di demolizione è stato emesso sull'assorbente rilievo che trattasi di abusi eseguiti senza titolo, per cui risultano irrilevanti le ulteriori disquisizioni circa la pretesa edificabilità dell'area e la pretesa intervenuta decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio. 3.4 Il ricorso n. 180/2009 va quindi respinto. 4. Deve ora essere esaminato il ricorso n. 652/2009 contro il provvedimento tacito di rigetto dell'istanza ex art. 36 del DPR n. 380/2001. 4.1 Con il primo motivo viene dedotta violazione di legge ed eccesso di potere. In particolare si contesta la legittimità del provvedimento tacito di rigetto dell'istanza di sanatoria per carenza assoluta di motivazione. La censura va disattesa per le ragioni già esposte da questo Tribunale nella sentenza 14/6/2021 n. 487 che l'odierno Collegio ritiene di dover confermare. Va quindi ribadito che "Il configurarsi di un diniego tacito, pur escludendo ovviamente la possibilità di far valere vizi che attengono alla motivazione del rigetto, implica che il ricorso dell'interessato si incentri sui profili sostanziali, ovvero sulla effettiva sussistenza delle condizioni per la sanatoria" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28/9/2020 n. 5669 - § 9.1). 4.2 Con gli ulteriori due motivi di gravame, che possono essere trattati congiuntamente poiché connessi, viene dedotto che sussiste il requisito della doppia conformità (alla data dell'abuso e alla data della domanda) trattandosi, per la maggior parte, di tettoie per il collegamento tra i vari capannoni e necessarie a rendere funzionale il movimento di merci e macchine nell'ambito del complesso produttivo. In particolare le ricorrenti evidenziano che nei PRG del Comune di (omissis) del 1983, 1998 e 2009, le aree su cui insistono gli abusi erano destinate a zona industriale ((omissis) alla data dell'abuso e (omissis) alla data della domanda) mentre la natura delle opere non incide sulle superfici utili ai fini del calcolo della SUL. Oltre a tali ragioni, il manufatto ricadente sulla particella (omissis), originariamente gravata da vincolo preordinato all'esproprio per la realizzazione della strada denominata Asse III, doveva considerarsi sanabile perché il vincolo era medio tempore decaduto. A giudizio del Collegio le argomentazioni esposte nei motivi in esame non risultano sufficienti per dimostrare il requisito della doppia conformità . Come osservato nella trattazione del motivo precedente, spetta alla ricorrente dimostrare, in giudizio, la sussistenza della doppia conformità, che non contempla solo la compatibilità con la destinazione di zona (come sostenuto in ricorso), ma include anche la conformità con tutta l'ulteriore (e spesso complessa) disciplina urbanistica ed edilizia (ad es. compatibilità con vincoli di vario genere, con i limiti di altezza, delle distanze e dei distacchi, di utilizzazione e di edificabilità fondiaria e territoriale, di copertura dell'area, del rapporto di permeabilità, ecc.), da svolgere anche distintamente e analiticamente per ciascun abuso (nella fattispecie gli abusi contestati sono 21, la maggior parte dei quali di notevoli dimensioni, quindi con un impatto sul territorio non irrilevante trattandosi di quasi mq. 8.000 di nuova superficie coperta con altezze variabili tra ml. 4,80 e ml. 13,00, oltre ad opere a raso come parcheggi e percorsi viabilistici). Del resto il primo progetto, presentato in data 7/11/2006, era stato respinto proprio per contrasto con le vigenti previsioni urbanistiche ed infatti le ricorrenti avevano presentato un nuovo progetto con richiesta di variante urbanistica secondo la procedura di cui all'art. 5 del DPR n. 447/1998. Peraltro l'invocata decadenza del vincolo preordinato all'esproprio non imprimerebbe al terreno la destinazione urbanistica delle aree circostanti (omissis), ma soltanto l'assoggettamento alle stringenti regole della c.d. "zona bianca". Della completa doppia conformità sembra infatti dubitare la stessa ricorrente che, ammettendo difficoltà nell'individuare la disciplina applicabile, formula anche istanza per l'accertamento della normativa urbanistica vigente al momento dell'esecuzione degli interventi contestati (intero anno 2007) il che, tuttavia, non equivale a dimostrare la totale compatibilità di questa con le opere realizzate (come osservato in precedenza, la conformità edilizia e urbanistica richiesta dall'art. 36 del DPR n. 380/2001 non può limitarsi alla sola destinazione d'uso). Il dubbio risulta ulteriormente confermato con la formulazione della censura che segue dedotta in via subordinata. 4.3 Con il quarto e ultimo motivo le ricorrenti ritengono che si sarebbe comunque potuto prescindere dall'accertamento della conformità alla data dell'abuso, facendo riferimento soltanto alla conformità alla data della domanda per effetto della disciplina urbanistica sopravvenuta (PRG 2009 che contempla una destinazione urbanistica - (omissis) - compatibile con gli abusi). Anche quest'ultima censura deve essere disattesa poiché volta ad invocare, nella sostanza, la c.d. "sanatoria giurisprudenziale"; istituto non più attuale per contrasto con il regime della doppia conformità ex art. 36 del DPR n. 380/2001 (cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 3/3/2022 n. 1512 e giurisprudenza ivi richiamata; TAR Marche, 17/3/2022 n. 167; id. 6/5/2021 n. 389 che esclude anche la possibilità di invocare la compatibilità, con la disciplina urbanistica alla data della domanda, attraverso la procedura di variante di cui al DPR n. 160/2010). 4.4 Anche il ricorso n. 652 va quindi respinto. 5. Le spese di giudizio possono complessivamente essere compensate per ragioni equitative. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, li respinge entrambi. Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall'Autorità amministrativa ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Gianluca Morri - Consigliere, Estensore Simona De Mattia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 481 del 2022, proposto da Al. Fa., rappresentato e difeso dall'avvocato Cl. Br., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), non costituito in giudizio; nei confronti Pi. Al., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Or., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ca. Gi., non costituito in giudizio; per l'annullamento con il ricorso principale: - dell'atto di proclamazione degli eletti per l'elezione del Consiglio comunale e del Sindaco della città di (omissis) - elezioni amministrative del 12.06.2022 di cui al verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale del 27.6.2022; - del suddetto verbale della Commissione Centrale Elettorale del 27.6.2022 e del verbale della Commissione Elettorale Centrale del 15.6.2022 per la ammissione al turno di ballottaggio, con conseguente correzione degli stessi; e per la declaratoria del diritto del ricorrente di partecipare al turno di ballottaggio con il candidato Al. Pi., con conseguente rinnovazione delle operazioni di voto di ballottaggio, ovvero per l'adozione di ogni altro e diverso provvedimento di ragione e per legge; con il ricorso incidentale proposto da Al. Pi.: per l'annullamento, correzione e/o modifica - del verbale delle operazioni elettorali del seggio n. 9, limitatamente alla pag. 47, nella parte in cui è dichiarata la nullità della scheda che "presenta la scritta "Ca." a fianco della lista n. 12 e la scritta "Ro. Mi." a fianco della lista n. 10"; - di tutti gli atti ad essa presupposti, connessi e conseguenti, ivi compreso il verbale delle operazioni dell'Ufficio Centrale della Commissione Elettorale Centrale del 15.06.2022 nella parte relativa alla nullità della scheda del seggio n. 9, con richiesta che la scheda sia dichiarata come valida e il voto assegnato al candidato Sindaco Gi. Ca.; Visti il ricorso principale e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Al. Pi.; Visto il ricorso incidentale proposto da Al. Pi. e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2022 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Nel giugno del 2022 si sono svolte, presso il Comune di (omissis), le elezioni per il rinnovo degli organi di governo. Il ricorrente era candidato alla carica di sindaco e sostenuto dalle liste Partito Democratico, Azione, Continuità e Progresso, La Rinascita, Sinistra per (omissis), (omissis) al Centro. Alla competizione elettorale partecipavano, per la carica di sindaco, anche i signori Ca. Gi. e Pi. Al.. Successivamente alle operazioni di spoglio elettorale nessuno dei tre candidati otteneva il quorum necessario per essere eletto al primo turno. Dal verbale della commissione elettorale del 15 giugno 2022 risultavano ammessi al ballottaggio i due candidati che avevano ottenuto più voti, ovvero Ca., con voti 2300, e Pi., con voti 2933 (risultava escluso dal ballottaggio, per una differenza di un voto, l'odierno ricorrente Al., che conseguiva 2299 voti). 1.1. Con il presente ricorso, il ricorrente contesta la correttezza delle operazioni di spoglio elettorale, con riferimento, in particolare, alle seguenti quattro schede: - nella sezione elettorale n. 11, al candidato Ca. è stato assegnato un voto, nonostante la scheda votata si presentasse scarabocchiata in modo concentrico, in tal modo manifestando la volontà dell'elettore di rendere nullo il voto; - nella sezione elettorale n. 12, al candidato Ca. è stato assegnato un voto, nonostante la scheda presentasse il croce segno posto al di fuori del riquadro contenente i simboli di partito o i nominativi dei candidati alla carica di sindaco; - nella sezione elettorale n. 9, non è stato assegnato alcun voto perché "la scheda presenta la scritta "Ca." a fianco della lista n. 12 e la scritta "Ro. Mi." a fianco della lista n. 10"; tuttavia, secondo il ricorrente, tale voto sarebbe stato assolutamente da assegnare sia alla lista n. 10 ("Partito Democratico"), sia al candidato consigliere presente nella lista, ovvero il sig. Mi. Ro., sia al candidato sindaco Al., mentre avrebbe dovuto essere considerato nullo il solo voto espresso per la lista n. 12 "Gi. Me. Fratelli d'Italia", in quanto nella stessa lista non è presente il nome del candidato votato ("Ca."); - nella sezione elettorale n. 14, è stato assegnato un voto al candidato Ca., nonostante nessun simbolo fosse stato barrato e sul rigo corrispondente alla lista "Gi. Me. Fratelli d'Italia" fosse scritto il nome "Me.", che non era soggetto candidato della suddetta lista, e nonostante non fosse stato apposto il croce segno sul riquadro corrispondente al candidato sindaco Ca.. 1.2. A sostegno del gravame vengono sollevati i seguenti motivi di illegittimità : violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del DPR n. 132/1993, degli artt. art. 71 e ss. e 73, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000, degli artt. 63 e ss. e 69 del T.U. n. 570/1960. La parte ricorrente sottolinea come l'annullamento dei voti contestati sia in grado di influire e modificare nettamente il risultato elettorale, alla luce dell'esiguo numero di voti di differenza tra l'odierno ricorrente e il controinteressato, candidato Ca.. Anche in caso di parità di voti, conseguibile attraverso l'annullamento di uno solo dei tre voti contestati, il risultato elettorale muterebbe alla luce della previsione contenuta nell'art. 72, comma 5, del d.lgs. 267/2000, secondo cui "In caso di parità di voti tra i candidati, è ammesso al ballottaggio il candidato collegato con la lista o il gruppo di liste per l'elezione del consiglio comunale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, partecipa al ballottaggio il candidato più anziano di età ". Questo significa che, in caso di parità di voti, il candidato Al. avrebbe diritto ad accedere al ballottaggio in luogo del candidato Ca.. Pertanto la parte ricorrente chiede l'annullamento dei tre voti contestati nelle sezioni nn. 11, 12 e 14 e l'assegnazione in proprio favore del voto della sezione n. 9, con conseguente correzione in tal senso del risultato elettorale. 1.3. Si è costituito in giudizio, per resistere, il signor Al. Pi., il quale sostiene la correttezza dell'attribuzione dei voti contestati dal ricorrente principale relativi alle sezioni n. 11, n. 12 e n. 14, trattandosi di espressioni di voto da salvaguardare in virtù del principio di conservazione della validità del voto e del risultato elettorale e non essendo, tali manifestazioni di voto, interpretabili come volontà dell'elettore di rendere nullo o riconoscibile il voto medesimo. 1.4. Il signor Pi. ha proposto altresì ricorso incidentale nella parte in cui, con il verbale delle operazioni elettorali relativo alla sezione n. 9, è stata dichiarata la nullità della scheda che "presenta la scritta "Ca." a fianco della lista n. 12 e la scritta "Ro. Mi." a fianco della lista n. 10"; assume che la scheda qui in contestazione avrebbe dovuto essere interpretata come espressione della volontà dell'elettore di manifestare un voto disgiunto, avendo questi indicato una lista per la carica di sindaco (nella fattispecie quella collegata al candidato Ca.) - scelta rafforzata anche dall'indicazione nominativa del relativo candidato sindaco - e una preferenza nominale per un consigliere comunale appartenente a lista diversa (nella fattispecie, per il consigliere Ro. Mi. candidato della lista "Partito Democratico"). Irrilevante sarebbe l'errore materiale e grammaticale che ha indotto l'elettore a scrivere "Ca." in luogo di "Ca.", che non assumerebbe alcun significato nell'ottica della riconoscibilità o della volontà di annullare il voto espresso. 1.5. A seguito dell'istruttoria disposta con decreti presidenziali n. 151, n. 183 e n. 192 del 2022, in data 22 settembre 2022 è pervenuta, presso la Segreteria del Tribunale, la documentazione richiesta. 1.6. All'esito della pubblica udienza del 12 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Partendo, nell'ordine, dallo scrutinio del ricorso principale, esso è infondato. 2.1. Principalmente, giova ricordare il consolidato principio giurisprudenziale, dal quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, secondo cui "" l'attuale disciplina in materia elettorale è ispirata al principio generale del favore per la validità del voto, nel senso che il suffragio deve essere considerato valido "ogni qualvolta se ne possa desumere la volontà effettiva dell'elettore", dovendo salvaguardarsi la volontà del cittadino elettore ogni qualvolta le anomalie contenute nella scheda possano trovare ragionevoli spiegazioni nelle modalità con cui l'elettore ha espresso il voto, tenendo conto dell'esigenza di assicurare valore alle scelte effettuate anche da coloro che non siano in grado di apprendere appieno e di osservare alla lettera le istruzioni per l'espressione del voto: le ipotesi di nullità del voto sono configurabili come eccezione al principio della sua salvaguardia e devono essere circoscritte agli specifici casi in cui segni, scritture o errori siano tali da essere intesi in modo inoppugnabile e univoco come volontà dell'elettore di far riconoscere il proprio suffragio ovvero da non trovare alcuna ragionevole spiegazione (Consiglio di Stato sez. III, 05/03/2018, n. 1327; sez. V, 7 luglio 2015, n. 3368; 19 novembre 2009, n. 7241; 18 novembre 2011, n. 6070; 9 luglio 2012, n. 3992; 7 gennaio 2013, n. 12; 29 novembre 2013, n. 5720)" [...] Una finalità riconoscitiva, e il pericolo di infrangimento del velo di anonimato che deve circondare l'espressione del voto ed il suo successivo "trattamento" nell'ambito del procedimento elettorale, devono essere circoscritti a quelle forme o modalità di esternazione della volontà elettorale che non siano spiegabili con la mera scarsa dimestichezza dell'elettore (compresa la figura dell'elettore dotato di non particolare cultura e/o di età non giovanissima) con le norme elettorali ovvero che non costituiscano il frutto di una propria "personale", quanto non del tutto inverosimile, interpretazione delle regole elettorali (Consiglio di Stato, sez. III, 22/7/2020, n. 4689 e 18/07/2019, n. 5053)" (cfr., Cons. Stato, sez. II, 30 giugno 2022, n. 5419; in termini, ex multis, Cons. Stato, sez. II, 10 agosto 2021, n. 5841). 2.2. Alla luce del suesposto principio di conservazione dei risultati elettorali e della validità del voto, tenuto anche conto di quanto disposto nelle istruzioni ministeriali per le elezioni amministrative 2022, si osserva che: - con riferimento alla scheda relativa alla sezione elettorale n. 11, lo "scarabocchio" (segno di forma ellittica) non può essere interpretato come la manifestazione della volontà dell'elettore di rendere nullo il voto, ma piuttosto di esprimere la propria preferenza per la coalizione avente quale candidato sindaco Ca., essendo detto segno stato apposto nel riquadro corrispondente. Il fatto che lo stesso indichi contemporaneamente le liste "Gi. Me. Fratelli d'Italia" e "Lega Sa. Marche" rende incerta l'espressione del voto relativamente alle sole liste che compongono la coalizione, ma è evidente l'intenzione di esprimere la preferenza per la coalizione tutta e, dunque, per il candidato Ca.; - analogamente è a dirsi per quanto riguarda la scheda relativa alla sezione elettorale n. 12, dove il croce segno è stato apposto solo parzialmente al di fuori del riquadro riguardante la coalizione con candidato Ca., ma in chiara corrispondenza della stessa e senza intaccare gli ulteriori riquadri. Anche qui, dunque, non può dubitarsi della volontà dell'elettore di votare quella coalizione e non, invece, di rendere nullo il proprio voto; - con riferimento alla scheda relativa alla sezione elettorale n. 14, in primo luogo si osserva che non può escludersi che l'elettore abbia voluto proprio votare il nominativo del consigliere Me. quale candidato nella lista "Gi. Me. Fratelli d'Italia", essendo probabile, data la similitudine del segno grafico "l" di Me. con quello "c" di Me., specie se scritto a mano, che si sia verificato un errore interpretativo nella lettura della preferenza espressa. Ad ogni modo, pur prescindendo dal voto di preferenza, è innegabile, per il medesimo principio di conservazione applicato per le schede delle sezioni n. 11 e n. 12, che l'indicazione nominativa, ancorché mal scritta, apposta nel riquadro corrispondente alla lista "Gi. Me. Fratelli d'Italia", rende inequivocabile la volontà dell'elettore di votare la coalizione con candidato sindaco Ca. e quindi corretta l'attribuzione del voto a quest'ultimo. Peraltro, i segni grafici attraverso cui è stato manifestato il voto non sono tali da palesare l'intento dell'elettore di rendere riconoscibile il proprio suffragio, ma trattasi piuttosto di anomalie dovute alle modalità di espressione del voto medesimo, in tal caso dovendo prevalere l'esigenza di salvaguardare le scelte effettuate anche da coloro che, per età anagrafica o per altri fattori, non siano in grado di osservare appieno le istruzioni per la votazione. Infine, con riferimento alla scheda relativa alla sezione n. 9 che "presenta la scritta "Ca." a fianco della lista n. 12 e la scritta "Ro. Mi." a fianco della lista n. 10", si osserva che la stessa non avrebbe potuto essere interpretata nel senso invocato dal ricorrente principale. Ciò in quanto, a differenza delle manifestazioni di voto contenute nelle altre schede esaminate, in questa scheda manca l'univoca indicazione di voto verso l'uno o l'altro candidato a sindaco. Sono state infatti espresse due preferenze, l'una al consigliere Romanelli in corrispondenza della lista "Partito Democratico", l'altra con l'indicazione del nominativo "Ca." in corrispondenza della lista "Gi. Me. Fratelli d'Italia", dal che, a prescindere dall'errore ortografico nella scritta del cognome "Ca." invece che "Ca." e dall'apposizione di esso nel riquadro corrispondente alla lista collegata, non pare potersi desumere l'univoca volontà dell'elettore di votare il candidato sindaco Al., ma piuttosto, a tutto voler concedere, un intento rafforzativo della volontà di esprimere la preferenza per il candidato sindaco Ca.. La commissione, pertanto, ha correttamente ritenuto, nel dubbio, di non attribuire il voto né all'uno né all'altro candidato sindaco. 2.3. Per tutto quanto precede, il ricorso principale deve essere respinto, con conseguente conferma della correttezza delle operazioni elettorali e del relativo risultato. 3. Dalla reiezione del ricorso principale discende l'improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso incidentale proposto da Al. Pi.. 4. Avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, le spese del giudizio possono essere compensate tra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando: - respinge il ricorso principale proposto da Al. Fa.; - dichiara improcedibile il ricorso incidentale proposto da Pi. Al.; - compensa le spese del giudizio tra le parti. Manda alla Segreteria del Tribunale per le comunicazioni di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Gianluca Morri - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 182 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ro. Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in As. Pi., via (...); contro Ministero dell'Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza - Comando Generale, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Ancona, corso (...); Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, Ufficio Trattamento Economico personale in Quiescenza, Ministero dell'Economia e delle Finanze Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, non costituiti in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: e i motivi aggiunti del 7 giugno 2017: - della Determinazione Dirigenziale -OMISSIS-del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, Ufficio Trattamento Economico Personale in Quiescenza, notificato al ricorrente il -OMISSIS-, con il quale si informava il ricorrente che "l'infermità " gastroduodenite cronica HP negativa - esofagite da reflusso di primo grado " NON è riconosciuta dipendente da causa di servizio", nonché di ogni altro atto presupposto connesso e/o conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi incluso il Parere del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comitato di Verifica per le Cause di Servizio emesso al termine dell'adunanza n° -OMISSIS-tenutasi in data -OMISSIS- (posizione n° -OMISSIS-), ai sensi e per gli effetti dell'art. 11 del DPR n° 461/2001, con il quale si negava il nesso eziologico tra gli eventi di servizio e la patologia da cui è affetto il ricorrente, e, quindi, conseguire la declaratoria del diritto del ricorrente alla corresponsione, in proprio favore, dell'equo indennizzo (E.I.) nella misura prevista per legge e come da richiesta originariamente avanzata in data -OMISSIS-; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e della Guardia di Finanza - Comando Generale; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2022 il dott. Giovanni Ruiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO In ordine ai fatti di causa occorre premettere quanto segue. - il ricorrente ha presentato, in data -OMISSIS-, domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio (e del relativo equo indennizzo) per le infermità gastroduodenite cronica ed esofagite da reflusso; - la Commissione Medica Ospedaliera di -OMISSIS-, ha giudicato il militare affetto da "gastroduodenite cronica HP negativa, in paziente con esofagite da reflusso di primo grado"; - il Comitato di verifica per le cause di servizio, con parere del -OMISSIS-, ha ritenuto che le infermità : "Gastroduodenite cronica HP negativa" ed "Esofagite da reflusso di primo grado non potessero riconoscersi dipendenti da causa di servizio.. -dopo un primo diniego annullato in autotutela a causa della mancata notificazione del parere del Comitato, l'Ufficio Trattamento Economico Personale in Quiescenza della Guardia di Finanza emetteva quindi la determinazione dirigenziale -OMISSIS-, con la quale concludeva, sulla base dei predetti pareri, che le infermità gastroduodenite cronica HP negativa e esofagite da reflusso di primo grado non sono riconosciute come dipendenti da causa di servizio. Con il presente ricorso, gli atti che hanno negato il riconoscimento dell'infermità dipendente da causa di servizio sono impugnati per i seguenti motivi: 1) Violazione dell'art. 3 legge n. 241/1990 nonché degli artt. 11 e 14 D.P.R. n. 461/2001 in punto di difetto di motivazione, eccesso di potere sotto vari profili, mancata applicazione dell'art. 12 del d.p.r. 461/2001, violazione dei principi di cui all'art. 97 della Costituzione. Si lamenta in particolare la genericità e il carattere stereotipato della motivazione, che non contiene alcun riferimento concreto al servizio prestato dal ricorrente. 2) Violazione dell'art. 3 della legge 241/1990 nonché degli artt. 11 e 14 D.P.R. n. 461/2001 in punto di difetto di motivazione, in quanto le motivazioni utilizzate sarebbero identiche a quelle contenute in una sorta di "raccolta" dei dinieghi di riconoscimento causa di servizio per le varie patologie messa a disposizione dell'Amministrazione. 3) Eccesso di potere per manifesta illogicità, travisamento ed erronea valutazione dei fatti nonché per palese difetto di istruttoria comportante ulteriore profilo di difetto di motivazione, ancora eccesso di potere, con riferimento all'omessa valutazione delle circostanze del servizio prestato dal ricorrente. Con i motivi aggiunti, non impugnatori, si lamenta la mancata valutazione, da parte del Comitato di verifica per le cause di servizio, di un referto dell'Ospedale di -OMISSIS-(esofagite di 1^ grado. Piccola ernia hiatale. A livello antrale quadro di gastrite cronica antrale, con rare erosioni acute prepiloriche. Duodenite erosiva lieve) nonché di altre circostanze del servizio prestato dal ricorrente, contenute nelle relazioni elaborate dall'Amministrazione in ossequio alle disposizioni di cui al DPR n. 467/2001 (di cui parte ricorrente ha avuto conoscenza mediante accesso agli atti). Il ricorrente chiede, oltre all'annullamento degli atti impugnati, chiede che gli sia riconosciuta la spettanza dell'equo indennizzo. L'Amministrazione si è costituita per resistere al ricorso deducendo l'infondatezza della domanda di annullamento e l'inammissibilità di quella di accertamento della spettanza del diritto al riconoscimento dell'equo indennizzo. All'udienza pubblica del 6 aprile 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 1 Preliminarmente, va rigettata l'istanza di estromissione dal giudizio del Comitato di Verifica, che, incardinato nel Ministero dell'Economia e delle Finanze, agisce funzionalmente, nella specie, come organo consultivo della procedura, il cui parere fornisce il corredo motivazionale al provvedimento negativo espresso sulla domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un'infermità e di corresponsione dell'equo indennizzo (Tar Campania 27 settembre 2018, n. 5655). 1.1 Si ritiene di richiamare alcuni principi consolidati relativi alla materia in esame (si veda in particolare l'esaustiva sintesi in Tar Lazio Roma 18 gennaio 2022 n. 568) 1.2. Deve anzitutto premettersi che, secondo il d.p.r. n. 461/2001 contenente "Regolamento recante semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie" la competenza ad accertare il nesso eziologico tra l'attività lavorativa svolta dal dipendente e l'infermità sofferta è attribuito, in via esclusiva, al Comitato di verifica per le cause di servizio. 1.3 Rilevano in tal senso l'art. 11, comma 1, del d.p.r., il quale prevede che il predetto comitato "accerta la riconducibilità ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio ed al rapporto causale tra i fatti e l'infermità o lesione" e l'articolo 14, comma 1, del medesimo d.p.r. che ha escluso la possibilità per l'Amministrazione di discostarsi dal parere dell'Organo consultivo (C.V.C.S.), al quale può solo chiedere un nuovo parere. 1.4 Il parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, dunque, è non solo obbligatorio, ma anche vincolante e insurrogabile, posto che l'Amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento in conformità al giudizio da quest'ultimo espresso. Il giudizio conclusivo di sintesi e di superiore valutazione formulato dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio si impone all'Amministrazione, la quale è tenuta solo a verificare se l'organo in questione, nell'esprimere le proprie valutazioni, abbia tenuto conto delle considerazioni svolte dagli altri organi e, in caso di disaccordo, se le abbia confutate. Ai sensi del d.p.r n. 461 del 2001, dunque, soltanto il Comitato può riconoscere o negare la dipendenza da causa di servizio di un'infermità o lesione (Tar Lazio Roma 568/2022, cit.) 1.5 Occorre altresì evidenziare che, nella materia del riconoscimento della dipendenza da cause di servizio delle infermità o patologie sofferte dal pubblico dipendente, la manifestazione di giudizio espressa dal Comitato di verifica per le cause di servizio, all'interno della sequenza procedimentale azionata, costituisce un giudizio conclusivo di sintesi e composizione anche dei pareri resi dagli organi intervenuti nel procedimento e di accertamento definitivo sulla riconducibilità più in generale ad attività lavorativa delle cause produttive di infermità o lesione, in relazione a fatti di servizio e al rapporto causale tra i fatti e l'infermità medesima. Trattasi, nella sostanza, di una manifestazione di giudizio ampia e articolata, che riflette le competenze delle diverse professionalità (mediche, giuridiche ed amministrative) del Comitato e i cui pareri vengono riuniti nella definitiva e superiore valutazione adottata all'esito di un complesso procedimento amministrativo. Tale manifestazione di giudizio, in quanto espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, per i conosciuti limiti del sindacato giurisdizionale, è sindacabile dal G.A. solo nelle ipotesi di valutazioni abnormi o irragionevoli emergenti dagli atti impugnati, quali ad esempio un palese travisamento dei fatti o l'omessa considerazione di circostanze che possano incidere sulla valutazione finale, la non correttezza dei criteri adottati e del procedimento seguito, o l'evidente inattendibilità delle conclusioni cui è pervenuta l'Amministrazione. Il giudizio medico legale afferente alle domande di equo indennizzo si fonda su nozioni scientifiche e su dati di esperienza di carattere tecnico-discrezionale; che, in quanto tali, sono sottratti al sindacato di legittimità del giudice amministrativo salvi i casi in cui si ravvisi un'irragionevolezza manifesta o un palese travisamento dei fatti, ovvero quando non sia stata presa in considerazione la sussistenza di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione medica finale (Cons. Stato II 6 ottobre 2021 n. 6683) 1.6 Ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 14 d.p.r. n. 461 del 2001, quindi, il parere del CVCS si impone, nel suo contenuto tecnico-discrezionale, all'Amministrazione, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, deve limitarsi ad eseguire soltanto una verifica estrinseca della completezza e regolarità del precedente iter valutativo e non deve attivare una nuova ed autonoma valutazione che investa il merito tecnico. In altre parole, l'Amministrazione deve conformarsi al suddetto parere, al quale può senz'altro rinviare per relationem e, solo ove ritenga di non poterlo fare - per ragioni che deve in ogni caso esplicitare - può chiedere un ulteriore parere: Fatta questa premessa, si può passare all'esame del ricorso. 1.7 Nel caso di specie, il competente ufficio della Guardia di finanza, con la determina dirigenziale n- -OMISSIS-, ha recepito i pareri della Commissione di cui in premessa, a cui si è conformata e alla cui motivazione ha rinviato integralmente. 1.8 Nel parere - è specificato che la patologia Gastroduodenite cronica HP negativa "" NON PUO' RICONOSCERSI DIPENDENTE DA FATTI DI SERVIZIO, trattandosi di affezione prevalentemente a sfondo neuro-distonico endogeno, sull'insorgenza e decorso della quale, nel caso di specie, non può avere nocivamente influito, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, il servizio reso e non caratterizzato da condizioni di particolare e protratta gravosità . Con riguardo all'Esofagite da reflusso da primo grado che " NON PUO' RICONOSCERSI DIPENDENTE DA FATTI DI SERVIZIO, in quanto trattasi di un processo infiammatorio a carico dell'esofago, dovuto al reflusso in esso di contenuto gastrico per discinesia dello sfintere cardiale, su base neurovegetativa, o per la presenza di ernia iatale, o per un aumento della pressione addominale attribuibile a cause diverse. Poiché, la patologia in questione, si sviluppa per anomalie a carattere costituzionale, non può in alcun modo farsi risalire ai generici invocati disagi di servizio, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti 1.9 È opinione del Collegio che la motivazione, sia pure nella sua sinteticità, resista ai dedotti vizi, tenuto conto che il ricorrente non ha fornito qualsivoglia elemento idoneo a dimostrare la scorrettezza delle conclusioni dell'Amministrazione, in ciò omettendo di provare il fatto costitutivo del proprio diritto, come invece era suo onere ai sensi dell'articolo 2967 c.c. 1.10 Si osserva sul punto che le pur articolate e appassionate argomentazioni del ricorso incontrano un problema di fondo: il CVCS non può essere tenuto ad argomentare in maniera specifica sulle circostanze di servizio presentate da parte ricorrente. Infatti, in mancanza di straordinarietà delle circostanze di servizio tali da incidere sull'insorgere della patologia, la motivazione non potrà che vertere sulla ordinarietà del servizio fatto valere. Vale sul punto ricordare che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, la rilevanza sotto il profilo causale dei compiti svolti sull'insorgenza di un malattia dipendente da causa di servizio richiede una comprovata straordinarietà delle condizioni di lavoro, con la conseguenza che grava sul richiedente il riconoscimento della dipendenza l'onere di dimostrare, sulla base di puntuali allegazioni, l'esistenza di condizioni di espletamento del servizio che esulano dal suo normale svolgimento, indicando episodi o accadimenti inerenti alla prestazione lavorativa suscettibili di contribuire in maniera efficiente e preponderante sull'insorgenza della malattia (Tar. Emilia Romagna, Parma 14 giugno 2021 n. 164) Il pubblico dipendente, che chiede il riconoscimento della malattia come dipendente da causa di servizio deve fornire la prova non solo di essere stato sottoposto a lavori particolarmente stressanti e protratti per lungo tempo, ma anche che questi lavori abbiano carattere particolarmente gravoso, eccezionale ed esorbitante rispetto agli ordinari compiti di istituto e che pertanto, come tali, siano idonei ad incidere in maniera determinante sul manifestarsi dell'infermità quanto meno sul piano causale (Tar Puglia Lecce 3 maggio 2018 n. 741) Non si può quindi ipotizzare quindi un inverso onere per l'Amministrazione di dimostrare che l'ordinario servizio non abbia contribuito, almeno sotto il profilo concausale, all'insorgere della patologia. Al contrario, come già detto, spetta al ricorrente produrre circostanze straordinarie di servizio non adeguatamente valutate dall'Amministrazione tali da essere rilevanti per l'insorgere della patologia. Nel caso in esame tale onere della prova non è stato assolto. Il ricorrente difatti si è limitato ad allegare il proprio servizio reso tra l'altro, nella circoscrizione della -OMISSIS-), con compiti di vigilanza alla -OMISSIS-, alla locale stazione ferroviaria e lungo la tratta ferroviaria -OMISSIS-, nella Compagnia di -OMISSIS-e nella Sezione Mobile -OMISSIS-, sempre con compiti operativi. 1.11 Le allegazioni relative alla straordinarietà dell'attività di servizio svolta sono del tutto generiche e non riportano particolari circostanze di servizio, se non la semplice dichiarazione di essere state svolte sia di giorno che di notte, all'aperto, a piedi o a bordo di auto di servizio, con esecuzione di appostamenti, arresti, perquisizioni, sequestri che, per ovvie ragioni, venivano compiute in ogni condizione climatica, spesso anche avversa. Va quindi ritenuto che il ricorrente non abbia fornito alcun elemento volto a dimostrare che lo svolgimento del servizio, anche nei termini latamente intesi, abbia contribuito all'insorgenza della malattia, né ha fatto riferimento ad episodi particolarmente gravosi, eccezionali ed esorbitanti rispetto agli ordinari compiti d'istituto. Ancora, non è condivisibile la censura relativa all'utilizzo di una motivazione già utilizzata in precedenza, in quanto le motivazioni contestate soffermano sulla genesi della malattia e sulla non influenza sulla stessa dell'ordinario servizio, escludendo la presenza di circostanze straordinarie nel servizio ricorrente. Per i principi sopra ricordati, non è necessario che il parere CVCS contenga una contestazione specifica con riguardo all'attività di servizio riportata dal richiedente. L'Amministrazione ha quindi semplicemente ritenuto l'assenza di circostanze eccezionali tali da giustificare insorgenza delle patologie. Il giudizio è quindi sufficientemente motivato, motivato indipendentemente dal precedente utilizzo o meno della forma motivazionale. Si ripete come l'innegabile come l'esposizione a situazioni di disagio e a potenziali fonti di stress sia una condizione connessa alla tipica prestazione lavorativa di un militare, non sufficiente, da sola, a giocare un ruolo determinante nella patologia lamentata. Ne consegue che, nella nozione di causa di servizio, ovvero concausa efficiente e determinante, possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (Tar Marche, 12 ottobre 2017, n. 767). 1.12 Per quanto sopra, non sono presenti i profili di violazione di legge, difetto di motivazione, istruttoria ed eccesso di potere oggetto del ricorso introduttivo. 2 Con riguardo ai motivi aggiunti, in primo luogo è non condivisibile l'affermata mancata valutazione del referto del -OMISSIS-. Lo stesso, sia pure con errori di trascrizione riguardante la data e la diagnosi è stato regolarmente citato nel verbale della CMO di -OMISSIS-. L'Amministrazione ha peraltro depositato in atti il referto. Non vi è quindi alcuna prova, al di là della mancata immediata produzione del referto in sede di accesso agli atti richiesto ricorrente, che tale documento non sia stato valutato dal Comitato o che abbia influenzato il suo giudizio. 2.1 Con riguardo al secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, la documentazione istruttoria depositata nel corso del procedimento, particolare il verbale del 28 -OMISSIS- che riporta nel dettaglio i servizi del ricorrente, non muta la validità del giudizio espresso dal Comitato di Verifica, non emergendo circostanze di servizio di particolare rilevanza, in base ai principi già ricordati, per cui il rapporto di eventuale derivazione causale va verificato non rispetto al servizio in generale (per quanto gravoso e pieno di disagi, compatibili con l'attività prestata da soggetti aventi lo status di militare, per i quali l'ordinamento prevede una specifica serie di tutele per la gravosità del servizio prestato), ma rispetto a particolari modalità, ulteriori e speciali rispetto al normale espletamento del servizio, che valgono a connettere le patologie insorte con dette modalità " (Tar Puglia, Bari, 8 marzo 2018 n. 305). In sostanza, un'attività di servizio, sia pure impegnativa, non può comunque essere considerata ex se anche solo concausa dell'evento, ove non emerga quel surplus di fattori, rispetto al fisiologico dispiegarsi del servizio richiesto ai militari, costituenti rischio specifico dell'evento morboso (Tar Sicilia Palermo 12 settembre 2019 n. 2177). 2.2 Stante quanto precede la domanda di annullamento degli atti impugnati va respinta anche con riguardo ai motivi aggiunti- 3. La domanda di riconoscimento dell'equo indennizzo va dichiarata inammissibile in quanto volta a sollecitare all'adito organo di giustizia amministrativo una pronunzia avente valenza "sostitutiva", rispetto alle prerogative rimesse all'Amministrazione, evidentemente preclusa nel quadro della cognizione propria del presente giudizio di (mera) legittimità . 3.1. Le particolarità della controversia e la presenza di oscillazioni giurisprudenziali giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, in parte li dichiara inammissibili e per il resto di respinge, come specificato in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere Giovanni Ruiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 55 del 2004, proposto da Gu. Gi., in qualità di legale rappresentante pro tempore di Camping Co. S.r.l. (titolare del camping "Co."), rappresentato e difeso dall'avvocato Is. Ma. St., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. St. Gi., in Ancona, Corso (...) (Studio Cu.); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato La. Am., domiciliato presso la Segreteria T.A.R. Marche, in Ancona, via (...); Regione Marche, Provincia di Ancona, Ministero della Economia e delle Finanze, non costituiti in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 534 del 2005, integrato da motivi aggiunti, proposto da Gu. Gi., rappresentato e difeso come sopra, con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv. Lo. Gn., in Ancona, corso (...); Soc. Camping Co. A R.L., non costituita in giudizio; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati La. Am. e Fi. Lu., domiciliato presso la Segreteria T.A.R. Marche in Ancona, via (...), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Dirigente del Settore Urbanistica del Comune di (omissis), Dirigente VII Settore Assetto Territorio della Provincia Ancona, Agenzia del Demanio, Agenzia del Demanio di Ancona, non costituiti in giudizio; Provincia di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Do. e Fa. Ba., con domicilio eletto presso l'Ufficio Legale dell'Amministrazione Provinciale, in Ancona, Strada (...) e domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento quanto al ricorso n. 55 del 2004: della deliberazione del Consiglio Comunale n. 72 del 9 settembre 2003, recante "Adozione della variante parziale al p.r.g. "Variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea" ex art. 26 e seguenti della L.R. 34/92", e gli atti presupposti, connessi e consequenziali alla stessa; quanto al ricorso introduttivo n. 534 del 2005: della deliberazione del Consiglio Comunale n. 24 del 15 febbraio 2005, recante l'approvazione definitiva della predetta variante, e gli atti presupposti, connessi e consequenziali indicati in epigrafe; quanto ai motivi aggiunti al ricorso n. 534 del 2005 depositati il 13 marzo 2007: della pubblicazione "EC. - Il campeggio ecologico e la riqualificazione ambientale della costa"; quanto ai motivi aggiunti al ricorso n. 534 del 2005 depositati il 24 marzo 2022: della variante parziale al PRG "Ci. Re.", approvata con deliberazione del Consiglio Comunale n. 95 dell'8 novembre 2021, dei presupposti provvedimenti di Valutazione Ambientale Strategica, di adozione della Variante Parziale così come del Decreto del Presidente della Provincia n. 71 del 13/7/2021 recante il parere favorevole con prescrizioni; nonché di ogni atto presupposto, e per la condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni, indicativamente ma non esaustivamente quantificati in Euro 3.500.000,00. Visti i ricorsi, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e della Provincia di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 giugno 2022 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con i ricorsi che pervengono alla odierna decisione il sig. Gu. Gi., nella spiegata qualità di legale rappresentante della società Camping Co. S.r.l. (titolare del camping "Co.", ubicato nel litorale di (omissis), in (omissis)), impugna: - la deliberazione del Consiglio Comunale n. 72 del 9 settembre 2003, recante "Adozione della variante parziale al p.r.g. "Variante di tutela e valorizzazione della fascia litoranea" ex art. 26 e seguenti della L.R. 34/92", e gli atti presupposti, connessi e consequenziali alla stessa (ricorso n. 55/2004 R.G.); - la deliberazione del Consiglio Comunale n. 24 del 15 febbraio 2005, recante l'approvazione definitiva della predetta variante, e gli atti presupposti, connessi e consequenziali indicati in epigrafe (ricorso introduttivo n. 534/2005 R.G.); - la pubblicazione "EC. - Il campeggio ecologico e la riqualificazione ambientale della costa" (primi motivi aggiunti al citato ricorso n. 534/2005 R.G., depositati in data 13 marzo 2007); - la deliberazione del Consiglio Comunale n. 95 dell'8 novembre 2021, nella parte in cui sono state revocate le previsioni urbanistiche impugnate con i presenti ricorsi introduttivi, e gli atti presupposti, connessi e consequenziali indicati in epigrafe (secondi motivi aggiunti al citato ricorso n. 534/2005 R.G., depositati in data 24 marzo 2022). Il sig. Gu. Gi. chiede altresì la condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento dei danni che egli assume di aver subito per effetto delle varianti urbanistiche oggetto dei presenti giudizi. 2. In punto di fatto dai ricorsi in trattazione emerge quanto segue. 2.1. Il campeggio per cui è causa esiste dagli inizi degli anni '70 del XX secolo ed esso era legittimato anche dalla variante al p.r.g. approvata nel 1990. Nel 1995 il Comune approvava il Piano particolareggiato delle strutture turistiche ricettive (di seguito anche "P.P.S.T.R."), il quale, per quanto di interesse in questa sede, consentiva ai campeggi esistenti di realizzare strutture ricettive "pesanti" (bungalows) per una superfice pari al 45% di quella delle piazzole di sosta esistenti (con successiva variante al Piano, approvata nel 2002, tale percentuale era stata ridotta al 35%). In ragione di tali previsioni urbanistiche, il sig. Gu. Gi. (il quale, unitamente alla propria moglie, aveva acquisito la totalità delle quote del camping "Co." nel marzo del 2000) avviava una serie di iniziative finalizzate all'attuazione del citato piano particolareggiato. In particolare egli: - aveva ottenuto un finanziamento ministeriale a valere sulla L. n. 488/1992, sia per la realizzazione di interventi di adeguamento delle strutture esistenti (lavori conclusi nel luglio del 2001), sia per la realizzazione dei bungalows, ottenendo la liquidazione di una prima tranche del contributo complessivo spettantegli; - aveva richiesto al Comune il rilascio della concessione edilizia per l'esecuzione dei lavori di costruzione dei bungalows e per altri interventi di adeguamento della struttura esistente; - aveva ottenuto un ulteriore finanziamento dalla Regione Marche, sempre in relazione al progetto di ampliamento del camping. Al riguardo il ricorrente evidenzia che tanto in relazione al finanziamento ministeriale quanto in relazione al finanziamento regionale la regola è quella per cui la mancata realizzazione integrale degli interventi nel termine previsto implica l'obbligo di restituire tutte le somme già ricevute. 2.2. Nel frattempo il Comune avviava l'iter di adozione di una variante del vigente p.r.g., il quale era stato approvato in adeguamento al Piano Paesistico Ambientale Regionale (P.P.A.R.) nel 1997. La variante in questione, definita anche nei lavori consiliari variante "di blocco" (in quanto finalizzata alla riduzione delle volumetrie edificabili nella zona compresa fra la S.S. 16 e il lungomare), veniva adottata definitivamente dal Consiglio Comunale nell'ottobre del 2000 e approvata dalla Provincia di Ancona l'8 settembre 2003. 2.3. La nuova amministrazione insediatasi all'esito delle elezioni amministrative del 2000 avviava un'ulteriore modifica al p.r.g. ancora in itinere, commissionando a due liberi professionisti esterni uno Studio di Indirizzo Operativo (S.I.O.) finalizzato a dare attuazione alle previsioni della variante del 2000. Tale Studio veniva approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 74 del 25 settembre 2002. Il S.I.O. prevedeva, in particolare, la delocalizzazione dei campeggi ubicati nel litorale (fra cui anche il camping "Co.") in una fascia di terreno più a monte, retrostante la linea ferroviaria, e la realizzazione, al loro posto, di un parco naturale. Con ricorso iscritto al N.R.G. 20/2003 (anch'esso deciso all'odierna udienza pubblica) il S.I.O. veniva impugnato dai titolari dei campeggi interessati alla delocalizzazione. 2.4. Con i provvedimenti impugnati inizialmente con gli odierni ricorsi il Consiglio Comunale dapprima adottava e poi approvava la variante al p.r.g. recependo sostanzialmente il S.I.O., confermando la delocalizzazione, in un arco temporale di dieci anni, dei campeggi e consentendo nelle more unicamente interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di adeguamento igienico-sanitario delle strutture esistenti (facendo quindi venire meno la possibilità di realizzare i bungalows). Tuttavia le previsioni oggetto di gravame non sono state mai attuate, di talché il Comune, con la variante approvata con deliberazione consiliare n. 95/2021, ha: - revocato la previsione inerente la delocalizzazione dei camping; - previsto la possibilità di realizzare sulle strutture turistiche esistenti i seguenti interventi edilizi: manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento conservativo nonché ristrutturazione edilizia, così come definiti dall'art. 3 del D.P.R. n. 380/2001, nonché interventi di consolidamento statico che non alterino il volume totale degli edifici. 2.5. Con i motivi aggiunti depositati il 24 marzo 2022 il ricorrente ha impugnato anche quest'ultima deliberazione, evidenziando che, seppure il Comune ha finalmente abrogato la previsione inerente la delocalizzazione dei campeggi, la variante del 2021 non soddisfa pienamente le esigenze dei titolari delle strutture, in particolare per il fatto che, in violazione dell'art. 12, comma 3, della L.R. n. 9/2006, non è permessa la realizzazione di allestimenti stabili minimi nel limite di una capacità ricettiva non superiore al venticinque per cento di quella complessiva dell'esercizio. Il ricorrente, nelle memorie conclusionali, insiste dunque per l'accoglimento tanto dei ricorsi introduttivi che dei motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005 R.G., non potendo ritenersi, a suo avviso, che la variante del 2021 abbia fatto venire meno l'interesse alla decisione di merito (e ciò anche alla luce dell'avvenuta proposizione della domanda risarcitoria). In relazione a quanto si dirà nella parte in diritto non appare necessario riportare nel dettaglio e per esteso le numerose censure articolate dal sig. Gu. Gi. nei ricorsi introduttivi, potendo il Collegio limitarsi ad evidenziare che le stesse attengono principalmente: - alla illegittimità derivata della variante da quella del S.I.O. (che è a sua volta illegittimo per i motivi dedotti nel citato ricorso n. 20/2003 R.G.); - all'assenza di qualsivoglia congrua motivazione circa il rilevante sacrificio che si impone ai titolari dei campeggi esistenti sul litorale, a fronte di previsioni urbanistiche vaghe e di fatto irrealizzabili; - alla violazione delle regole procedurali previste dalla L.R. n. 34/1992, nonché alla falsa applicazione delle pertinenti prescrizioni del P.P.A.R. e di altri piani sovraordinati, e alla contraddittorietà delle previsioni impugnate rispetto a quelle contenute nei piani regolatori previgenti; - alla inidoneità, sotto vari profili, dell'area prescelta per la futura localizzazione dei campeggi; - alla disparità di trattamento rispetto alle previsioni relative ad altre aree ubicate nella zona del lungomare (in cui è invece consentita la realizzazione di strutture turistiche ricettive). Le censure contenute nel secondo atto di motivi aggiunti al ricorso n. 534/2005 R.G. - che invece andranno esaminate nel merito - sono le seguenti: - violazione art. 2 L.R. Marche 5 agosto 1992, n. 34 in combinato disposto con l'art. 12, comma 3, L.R. Marche 11 luglio 2006 n. 9. Violazione dei principi di pianificazione. Inesistenza della motivazione; - illegittimità derivata dall'illegittimità della variante al P.R.G. di tutela e valorizzazione della fascia litoranea del Comune di (omissis) per i vizi denunciati nei ricorsi introduttivi e nel primo ricorso per motivi aggiunti; - violazione art. 12, comma 5, L.R. L.R. Marche 11 luglio 2006 n. 9. Sviamento di potere. 2.6. La domanda risarcitoria viene invece fondata sulla lesione del legittimo affidamento che il ricorrente aveva maturato sulla vigenza del citato P.P.S.T.R. approvato nel 1995 e modificato nel 2002, e dunque sulla possibilità di riqualificare e ampliare la struttura preesistente. In relazione al quantum il ricorrente ha allegato due distinte perizie (la prima depositata il 30 dicembre 2021, la seconda il 12 maggio 2022), le quali pervengono a risultati numerici diversi. Anche in questo caso, per quanto si dirà infra, non appare necessario riportare in dettaglio le richieste di parte ricorrente. 3. Il Comune di (omissis) ha replicato tanto alle domande impugnatorie quanto alla domanda risarcitoria, evidenziando da ultimo che la variante del 2021 avrebbe reso improcedibili tutte le domande proposte dal sig. Gu. Gi.. Anche la Provincia di Ancona, costituitasi solo nel ricorso n. 534/2005 R.G., ha chiesto il rigetto delle domande proposte da parte ricorrente. Le cause sono passate in decisione all'udienza pubblica del 22 giugno 2022. DIRITTO 4. I due ricorsi che pervengono alla odierna decisione vanno riuniti ai sensi dell'art. 70 c.p.a., in ragione della evidente connessione soggettiva e oggettiva che li lega. Anticipando le conclusioni, il Collegio ritiene che i ricorsi in epigrafe vadano: - in parte dichiarati inammissibili; - in parte dichiarati improcedibili; - in parte respinti; - in parte accolti. 5. L'inammissibilità riguarda ovviamente i motivi aggiunti depositati in data 13 marzo 2007 nell'ambito del ricorso n. 534/2005 R.G. ed essa discende dal fatto che il ricorrente ha impugnato un documento che non ha nemmeno natura di atto amministrativo (e tantomeno di provvedimento), ossia la pubblicazione "EC." - "Il campeggio ecologico e la riqualificazione ambientale della costa", edita dal Comune di (omissis) e destinata semplicemente ad informare gli operatori economici e la popolazione in merito alla futura fisionomia del territorio e, in particolare, dei campeggi una volta che gli stessi fossero stati effettivamente delocalizzati in attuazione della variante urbanistica approvata nel 2005. Il ricorrente, peraltro, si era riservato di impugnare gli eventuali atti e provvedimento presupposti, connessi o conseguenti alla suddetta pubblicazione, ma tale intendimento non si è tradotto in alcuna ulteriore iniziativa giudiziaria. In parte qua, dunque, il ricorso n. 534/2005 R.G. va dichiarato inammissibile. 6. L'improcedibilità invece riguarda le domande impugnatorie proposte avverso i provvedimenti di adozione e di approvazione definitiva della variante urbanistica del 2005, ed essa discende dal fatto che con la recente variante approvata con deliberazione n. 95/2021 il Comune ha revocato le previsioni contenute nella variante 2005 a suo tempo contestate da parte ricorrente, ed in particolare la prevista delocalizzazione dei campeggi ricadenti nel (omissis) e quindi anche del campeggio "Co.". Al riguardo, e fermo restando che, ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a., ciò non preclude la disamina delle altre domande proposte, non si può negare che la revoca delle previsioni che avevano indotto il sig. Gu. Gi. ad agire in sede giudiziaria per ottenerne l'annullamento determini l'improcedibilità delle domande impugnatorie proposte ab initio, non potendo conseguirsi alcun vantaggio dall'annullamento di previsioni mai attuate e ormai eliminate dal mondo giuridico. A quest'ultimo riguardo va ricordato che l'interesse a ricorrere deve sussistere anche al momento in cui la causa passa in decisione. In parte qua, dunque, i ricorsi in epigrafe vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse. 7. Il rigetto riguarda invece i motivi aggiunti depositati in data 24 marzo 2022 nell'ambito del ricorso n. 534/2005 R.G. Come si è detto nell'esposizione in fatto, il ricorrente impugna la variante del 2021 solo nella parte in cui il Comune ha eliminato la possibilità di ampliamento delle strutture esistenti, deducendo che tale previsione, oltre che in contrasto con il Piano particolareggiato del 1995 (come modificato nel 2002), confligge anche con l'art. 12, commi 3 e 5, della L.R. n. 9/2006. Vengono anche dedotte, come visto, la illegittimità derivata della deliberazione n. 95/2021 e lo sviamento di potere (in quanto, secondo il ricorrente, la variante del 2021 è in realtà finalizzata a neutralizzare le domande proposte in questa sede). Il Tribunale ritiene infondate le doglianze di parte ricorrente, e ciò per le seguenti ragioni. Quanto alla illegittimità derivata, la stessa non sussiste atteso che, seppure i provvedimenti impugnati inizialmente fossero illegittimi, la loro revoca non è di per sé illegittima (essendo, al contrario, doverosa), potendo semmai, come si dirà infra, il complessivo operato dell'amministrazione rilevare a fini risarcitori. In relazione, invece, all'asserito sviamento di potere, si osserva che: - in primo luogo, la variante del 2021 non è una variante c.d. puntuale, per cui viene meno l'argomento principale che potrebbe indurre il Tribunale a condividere il sospetto di parte ricorrente; - in secondo luogo, il Comune, sia pure dopo molti anni, ha condiviso l'assunto di parte ricorrente circa la irrealizzabilità della delocalizzazione dei campeggi, per cui in parte qua non può certo intravvedersi un eccesso di potere, ma semmai una doverosa presa d'atto di una situazione oggettiva; - in terzo luogo, le conseguenze processuali della intervenuta revoca delle previsioni urbanistiche qui contestate sono state invece evidenziate dalla difesa tecnica del Comune (e, peraltro, avrebbero potuto essere rilevate ex officio anche dal Tribunale), per cui le stesse non sono attribuibili al Consiglio Comunale. In ogni caso, non si può rimproverare al Comune il tentativo, sia pure tardivo, di evitare una condanna al risarcimento dei danni attraverso l'adozione di un atto che soddisfa, anche se solo in parte, le pretese di parte ricorrente; - come si dirà infra, però, l'approvazione della variante del 2021 non impedisce al Tribunale di valutare le conseguenze risarcitorie della complessiva azione amministrativa posta in essere dal Comune nell'ultimo ventennio. Quanto invece alla dedotta violazione dell'art. 12, commi 3 e 5, della L.R. n. 9/2006, il Collegio rileva che parte ricorrente ha citato le predette norme solo in forma incompleta. Infatti il comma 5 recita testualmente quanto segue "Nelle strutture ricettive all'aria aperta è consentita la presenza di piazzole per i turisti forniti di mezzi propri di pernottamento tipici dei campeggi all'interno dei villaggi turistici, nonché di tende, caravan e di allestimenti stabili minimi installati a cura del gestore nei campeggi in misura superiore al venticinque per cento della capacità ricettiva dell'esercizio solo in caso di avvenuto rilascio delle prescritte autorizzazioni edilizie da parte dei Comuni prima della data di entrata in vigore della presente legge". E proprio l'inciso che inizia con le parole "...solo in caso di avvenuto rilascio..." impedisce di accogliere la prospettazione del ricorrente, visto che nella specie non risulta che il Comune, prima dell'entrata in vigore della L.R. n. 9/2006, abbia autorizzato il camping "Co." a realizzare bungalows in misura superiore al 25% della capacità ricettiva della struttura. La norma del comma 3, invece, non potrebbe essere interpretata nel senso che la possibilità di realizzazione di allestimenti stabili prevalga ex se sulle misure di tutela paesaggistica e ambientale che eventualmente interessino l'area in cui è ubicato un campeggio, perché ciò darebbe luogo alla sostanziale elusione del P.P.A.R. e delle prescrizioni urbanistiche più restrittive contenute nel p.r.g. Va infatti considerato che i campeggi possono anche essere ubicati in aree non interessate da vincoli e/o limitazioni di natura paesistico-ambientale, per cui la disposizione in commento va interpretata ed applicata in modo sistematico, ossia tenendo conto in primo luogo delle prescrizioni generali di natura paesistico-ambientale che interessano l'area in cui è ubicato il singolo campeggio. 8. Va invece accolta, nei termini che seguono, la domanda risarcitoria proposta con il ricorso n. 534/2005 R.G., il che impone l'esame delle eccezioni preliminari formulate al riguardo dalla difesa comunale nelle memorie conclusionali. Tali eccezioni sono infondate, atteso che: - i danni di cui il ricorrente chiede il ristoro sono relativi alla pretesa indebita compressione dell'attività economica svolta da Camping Co. S.r.l., ergo si tratta di danno afferente la sfera giuridica dell'imprenditore affittuario del terreno e non del proprietario (i terreni su cui è ubicato il campeggio sono infatti in parte di proprietà dell'Agenzia del Demanio e in parte della società La Torre S.r.l.). Pertanto, non potendo revocarsi in dubbio il fatto che anche per i proprietari dei terreni de quibus la destinazione urbanistica impressa dalla variante 2005 fosse meno favorevole (visto che essa impediva qualsiasi sfruttamento economico delle aree in questione), i ricorsi introduttivi, quanto alla domanda impugnatoria, avrebbero potuto al massimo essere notificati loro solo a titolo di litis denuntiatio, ma non a pena di inammissibilità . Nulla quaestio, invece, per la domanda risarcitoria, la quale, come detto, afferisce solo all'interesse del ricorrente; - come si evince dal motivo rubricato al n. XX nel ricorso n. 534/2005 R.G., la domanda risarcitoria viene fondata su tutti i profili posti a base della domanda impugnatoria, per cui non risponde al vero che essa sarebbe stata collegata unicamente alla previsione relativa alla delocalizzazione dei campeggi e che solo nelle memorie conclusionali si sarebbe inammissibilmente dedotta anche la violazione del P.P.S.T.R. In realtà, come risulta da una piana lettura del ricorso n. 534/2005 R.G., il ricorrente deduce la illegittimità della variante 2005 sia in ragione della immotivata previsione di delocalizzazione dei campeggi sia in ragione della lesione del legittimo affidamento dei titolari dei camping circa la vigenza del citato Piano particolareggiato e delle potenzialità edificatorie che esso concedeva ai gestori delle strutture turistiche. 8.1. Tornando dunque al merito della domanda, si deve osservare che, come si è visto nell'esposizione in fatto, non sia revocabile in dubbio la circostanza che fra il 1995 e l'autunno del 2003 la normativa urbanistica comunale vigente ratione temporis consentisse ai gestori dei campeggi di realizzare bungalows aventi una superficie complessiva pari dapprima al 45% e poi al 35% di quella delle piazzole preesistenti. Non rileva al momento stabilire se tali previsioni fossero o meno conformi al P.P.A.R. o al p.r.g. vigente, visto che, come pure risulta per tabulas, in capo al sig. Gu. Gi. si era creato un legittimo affidamento circa la realizzabilità di taluni interventi rispetto ai quali erano stati già rilasciati i titoli autorizzativi (o erano state presentate le relative domande) ed erano stati ottenuti finanziamenti pubblici che il ricorrente ha dovuto restituire (sul punto si rimanda al successivo § 8.3.). Sotto questo profilo, dunque, non vi è alcun dubbio sul fatto che il sig. Gu. Gi. ha subito un danno ingiusto discendente dal fatto che il Comune non si è premurato di verificare, prima dell'adozione della variante, se tutti o alcuni dei gestori avessero contratto obbligazioni o impegni di qualsiasi genere confidando sulla possibilità di ampliare le strutture esistenti. A questo riguardo trovano del resto applicazione analogica consolidati principi giurisprudenziali in merito ai limiti che lo ius variandi di cui i Comuni dispongono in materia urbanistica incontra in presenza di situazioni giuridiche consolidate in capo ai proprietari privati (ad esempio, convenzioni di lottizzazione già sottoscritte). Nel caso in esame, tuttavia, l'intervenuta revoca delle previsioni contestate impedisce al Tribunale di annullarle, ma ciò non rileva ai fini risarcitori. 8.2. Nella specie, tuttavia, va risarcito solo l'interesse negativo e ciò in quanto il Tribunale ritiene in sé legittime le previsioni urbanistiche approvate nel 2005, nella parte in cui esse non contemplano la possibilità di realizzare ampliamenti volumetrici delle strutture esistenti. In particolare l'interesse negativo di cui si parla attiene solo alla mancata realizzazione dei bungalows, mentre non sono ristorabili altri danni, visto che il campeggio ha di fatto continuato ad operare anche dopo il 2005 e sulla stessa area in cui esso è da sempre ubicato. Partendo proprio dal profilo inerente le previsioni urbanistiche in commento, il Collegio osserva quanto segue. Come emerge dalla documentazione depositata in giudizio dal Comune in data 11 maggio 2022, il p.r.g. approvato nel 1997 in adeguamento al P.P.A.R. imprimeva ai lotti in cui erano ubicati i campeggi (fra i quali il camping "Co.") in parte la destinazione a "Li. ma." (art. 35 delle N.T.A.) e in parte a "Paesaggio agrario litoraneo soggetto a tutela integrale" (art. 37 delle N.T.A.). Come si evince dalla lettura delle due disposizioni delle N.T.A., in entrambi i casi la tutela ai sensi del P.P.A.R. era integrale. L'art. 3, comma 4, delle N.T.A. prevedeva poi che "Su tutto il territorio comunale i campeggi esistenti alla data di adozione della Variante Generale (delib.60/90) possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari, anche se rientranti in zone non specificamente destinate a tale uso". La norma, a seguito della variante 2005, ha in parte qua conservato la medesima formulazione, visto che l'art. 3, comma 4, recitava testualmente quanto segue: "Su tutto il territorio comunale i campeggi esistenti ricadenti in zone non specificamente destinare a tale uso, dovranno gradualmente trasferirsi in zona CT4, nell'arco temporale di dieci anni [...]. Durante tale periodo possono essere assoggettati ad interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché adeguamenti igienico-sanitari". Solo il P.P.S.T.R. approvato nel 1995 e poi modificato in riduzione nel 2002 consentiva ai gestori dei campeggi di realizzare volumetrie aggiuntive, con ciò introducendo una vistosa cesura in una disciplina generale che era stata invece sempre improntata alla tutela integrale, ossia alla sola conservazione delle volumetrie esistenti. Naturalmente il Comune non avrebbe potuto impedire la realizzazione degli interventi ammessi dal P.P.S.T.R. per i quali, alla data di adozione della variante 2005, fossero già stati rilasciati i titoli edilizi. Risponde pertanto al vero quanto affermato nella relazione generale alla variante 2005, laddove il dirigente del Settore Urbanistica del Comune di (omissis) evidenziava che "Il P.P. per le strutture ricettive consente inoltre lo sviluppo dei campeggi esistenti nella fascia costiera, attraverso la realizzazione di bungalow in misura pari al 35% delle piazzole esistenti. Considerando che tali campeggi ricadono in ambito del paesaggio agricolo litoraneo, e in ambito della zona litoranea non urbanizzata, entrambe sottoposte a tutela integrale dal PPAR, si ritiene che il P.P. abbia disatteso sia le prescrizioni del PPAR, sia le disposizioni della L.R. 33/91, che prevede deroghe alle norme sui distacchi e non deroghe alle norme di tutela" e che "Nè si può sostenere che lo sviluppo dei campeggi, attraverso la realizzazione di bungalow, possa rientrare tra gli interventi "esentati" dalle prescrizioni del PPAR. Infatti l'art. 60 del PPAR, prevede l'esenzione dalle prescrizioni di base del piano stesso, tra gli altri, anche per i seguenti interventi: "progetti di ampliamento funzionale degli edifici industriali, artigianali, commerciali, direzionali e turistico-ricettivi (alberghi, pensioni, campeggi) esistenti, conformi agli strumenti urbanistici vigenti, fino ad un massimo di superficie utile non superiore al 50% di quella esistente." Dalla lettura dell'articolo appare chiaro che l'esenzione riguarda eventualmente l'ampliamento delle superfici utili esistenti, ovvero quelle delle attrezzature di servizio". In questo senso, dunque, le previsioni della variante 2005 che prevedevano solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di adeguamento igienico-sanitario erano confermative delle previsioni del p.r.g. 1997 e della variante "di blocco" del 2000. Quanto invece all'asserita applicabilità delle esenzioni di cui all'art. 60, let. 1c), delle N.T.A. del P.P.A.R., il Collegio osserva che: - la norma, come correttamente ritenuto dalla relazione generale alla variante 2005, riguarda l'ampliamento funzionale di edifici già esistenti (mentre nella specie si trattava della realizzazione ex novo di bungalows in misura rapportata non già ad una S.U.L. preesistente, ma alla superficie delle piazzole di sosta, la quale non costituisce superficie utile a fini edificatori); - in ogni caso, il P.P.A.R. non vieta ai Comuni di introdurre nei propri strumenti urbanistici previsioni più conservative rispetto a quelle contenute nel Piano paesistico-ambientale (artt. 3, let. c), e 27, ottavo capoverso, delle N.T.A. del P.P.A.R.). 8.3. Tuttavia, come detto, la legittimità delle previsioni urbanistiche approvate nel 2005 non esclude che vadano risarciti i danni subiti dal gestore che, confidando sulla legittimità del P.P.S.T.R., abbia contratto impegni economici giuridicamente rilevanti che in seguito si siano rivelati infruttuosi. In questo senso, il sig. Gu. Gi. ha provato per tabulas (vedasi in particolare la documentazione depositata in data 27 luglio 2005 e 12 maggio 2022) di avere: - ottenuto dal Comune di (omissis) atti di assenso per la realizzazione di interventi di adeguamento e potenziamento dei servizi già erogati ai turisti; - presentato allo stesso Comune la domanda di rilascio della concessione edilizia per la realizzazione dei bungalows (rispetto alla quale, ancora nel marzo 2003, l'amministrazione aveva richiesto un'integrazione documentale, ritenendo dunque che l'intervento fosse realizzabile alla luce della vigente disciplina urbanistica - si veda il documento allegato n. 4 al citato deposito del 12 maggio 2022); - ottenuto dal Ministero delle Attività Produttive la concessione di un contributo di £ 309.000.000 a valere sulla L. n. 488/1992 (e ciò sulla base di un business plan che prevedeva, per l'appunto, sia l'ammodernamento della struttura preesistente sia la realizzazione dei bungalows) e di essersi visto liquidare una prima tranche di tale contributo per un importo di circa £ 103.000.000; - ottenuto dalla Regione Marche, nell'ambito dell'Obiettivo 2, un ulteriore contributo di circa £ 100.000,00 e percepito una prima tranche di tale finanziamento per un importo di circa £ . 40.000.000; - dovuto restituire la somma già percepita dal Ministero, rivalutata e maggiorata di interessi legali. Le suddette attività e i suddetti impegni finanziari sono stati indubitabilmente posti in essere dal ricorrente confidando in buona fede sulla vigenza del P.P.S.T.R. e, dunque, la mancata realizzazione degli obiettivi a cui tale iniziative erano finalizzate ha concretizzato un danno ingiusto, limitatamente alle spese sostenute inutilmente e agli oneri finanziari discendenti dall'obbligo di restituire i contributi già percepiti. La domanda risarcitoria va dunque accolta in relazione all'an, anche se, come si preciserà infra, in misura notevolmente inferiore a quanto preteso dal ricorrente. La domanda, poi, va accolta solo nei riguardi del Comune di (omissis), in quanto nel sistema delineato dalla L.R. n. 19/2001 - che ha modificato sostanzialmente la L.R. 34/1992 - l'approvazione definitiva del p.r.g. o di sue varianti è di competenza del Comune, al quale vanno imputate in particolare le scelte di merito, mentre alla Provincia è riservato solo il potere di esprimere il parere di conformità rispetto a norme di legge e ai piani di livello sovracomunale. 8.4. In relazione al quantum il Tribunale ritiene di avvalersi dello strumento di cui all'art. 34, comma 4, c.p.a., per cui il Comune di (omissis) dovrà formulare al ricorrente, entro 120 giorni dalla notifica o dalla comunicazione della presente sentenza, una proposta risarcitoria che tenga conto: - delle spese sostenute dalla società Camping Co. S.r.l. per la predisposizione del progetto relativo alla costruzione dei bungalows e delle spese connesse (non sono invece ristorabili i costi di progettazione degli altri interventi, visto che questi lavori sono stati eseguiti ed essi hanno contribuito ad accrescere l'offerta che il camping "Co." ha potuto proporre alla clientela); - degli oneri finanziari che Camping Co. S.r.l. ha dovuto sopportare in relazione all'obbligo di restituzione dei contributi pubblici percepiti in relazione al programma di ampliamento del campeggio "Co." (programma che non si è potuto attuare integralmente proprio in ragione dell'adozione della variante 2005). Le relative somme dovranno essere rivalutate e maggiorate di interessi legali. Il ricorrente dovrà fornire al Comune l'ulteriore eventuale documentazione probatoria di cui dispone e che non sia stata già versata in atti, mentre il Comune provvederà ad acquisire presso la Regione Marche e le altre amministrazioni eventualmente interessate gli atti pubblici da esse formati e/o detenuti che riguardino le iniziative imprenditoriali del ricorrente ammesse a suo tempo a contribuzione. In base a quanto precede divengono irrilevanti le questioni inerenti l'attendibilità delle perizie di parte depositate in giudizio dal sig. Gu. Gi.. 9. In ragione della parziale reciproca soccombenza, le spese dei due giudizi si possono compensare. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti: - li riunisce ai sensi dell'art. 70 c.p.a.; - in parte li dichiara inammissibili; - in parte li dichiara improcedibili; - in parte li respinge; - in parte li accoglie, nei sensi e per gli effetti di cui ai § 8.2., 8.3. e 8.4. della motivazione; - compensa le spese dei giudizi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere, Estensore Simona De Mattia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 692 del 2000, proposto da Gi. Pi. ed altri, (in proprio e quali eredi di Co. Gi. Al.), rappresentati e difesi dall'avvocato Pa. Bo.i, con domicilio eletto presso lo studio Avv. Pa. Bo. in Ancona, via (...); contro Ministero per i Beni e le Attività Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Ancona, corso (...); nei confronti Gi. Co., rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Fe., domiciliato presso la Segreteria T.A.R. Marche in Ancona, via (...); sul ricorso numero di registro generale 554 del 2001, proposto da Gi. Pi. ed altri, (in proprio e quali eredi di Co. Gi. Al.), rappresentati e difesi dall'avvocato Pa. Bo., con domicilio eletto presso lo studio Avv. Pa. Bo. in Ancona, via (...); contro Ministero Beni e Attività Culturali, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Ancona, corso (...); nei confronti Gi. Co., rappresentato e difeso dall'avvocato Ra. Fe., domiciliato presso la, Segreteria T.A.R. Marche in Ancona, via (...); per l'annullamento quanto al ricorso introduttivo n. 692 del 2000 e il ricorso per motivi aggiunti del 20 settembre 2000: - del decreto datato 1.2.2000, notificato in data 13.4.2000, con il quale il Ministero per i Beni e le Attività culturali ha dichiarato di eccezionale interesse artistico e storico, ai sensi degli artt. 2, comma 1 lett. c) e 6, comma 2 del D.Lgs n. 490 del 29.10.1999, le due specchiere meglio individuate nelle premesse del provvedimento stesso; - di tutti gli atti presupposti, conseguenti e comunque collegati,. quanto al ricorso n. 554 del 2001: per l'annullamento - del Decreto datato 13.5.2000 e della lettera 19.10.1999, che estende alle pertinenze decorative fisse - individuate nella premessa del provvedimento - la dichiarazione dell'interesse particolarmente importante già dichiarato con D.M. 16.4.84 per l'immobile denominato Palazzo Co.; Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Gi. Co.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 aprile 2022 il dott. Giovanni Ruiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con ricorso 692/2000, la Sig.ra Alessandra Co. Gi. chiedeva l'annullamento del decreto del 1 febbraio 2000, con il quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali dichiarava di eccezionale interesse artistico e storico, ai sensi degli artt. 2, c. 1 lett. c) e 6, c. 2 del D. Lgs. n. 490/1999, le due specchiere meglio individuate nelle premesse del provvedimento stesso. Si costituivano in giudizio il Ministero resistente nonché il controinteressato (quale coerede coinvolto nella gestione dei beni) Gi. Co.. Successivamente, in data 20 settembre 2000, venivano notificati motivi aggiunti al ricorso, alla luce della conoscenza degli atti procedimentali depositati dalla difesa erariale. Con i ricorsi la ricorrente ha contestato, in primo luogo, l'illegittimità del provvedimento per la mancata applicazione delle norme a tutela della partecipazione e del contraddittorio, in violazione dell'art. 7 e ss. L. 241/90 e dell'art. 7 D. Lgs. 490/99. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'art. 2, c.1, lett. c), D. Lgs. 490/99, in quanto l'Amministrazione avrebbe rappresentato una situazione del tutto dissimile rispetto a quella reale. Alla data dell'imposizione del vincolo, le specchiere in oggetto non erano più site nel Palazzo Co. di Macerata, bensì, dal 13 aprile 1999, in un appartamento di proprietà della ricorrente, a seguito di divisione ereditaria con il controintressato. Con il successivo r.g: n. 554 del 2001 la Sig.ra Co. Gi. chiedeva l'annullamento del successivo decreto del 13 maggio 2000, con il quale il Ministero per i Beni e le Attività culturali, ai sensi dell'art. 2 c.1 lett. a) del D. Lgs. 490/99, estendeva anche alle pertinenze decorative fisse, individuate nelle specchiere indicate nella premessa del provvedimento, la dichiarazione dell'interesse particolarmente importante già dichiarato con D.M. 16 aprile 1984 per l'immobile denominato Palazzo Co.. Parte ricorrente, dopo avere osservato che la Soprintendenza, con note del 23 maggio 1987 e del 3 giugno 1987, aveva affermato l'assenza di vincoli di interesse storico artistico sui beni mobili di cui sopra, dichiara ancora di essere entrata in possesso in data 13 aprile 1999 di dette specchiere di cui risultava proprietaria. Successivamente, dopo il decreto del 1 febbraio 2000, oggetto del ricorso r.g. 692/2000, è stato emanato il citato decreto del 13 maggio 2000, di estensione di dichiarazione di interesse particolarmente importante per Palazzo Co. alle pertinenze decorative fisse, oggetto del ricorso 554/2001. La Sig.ra Co. Gi., che dichiara di essere venuta a conoscenza del secondo decreto solo il 5 aprile 2001, afferma in primo luogo la perplessità del decreto suddetto in quanto nell'immobile erano presenti originariamente quattro specchiere, ma solo due vi si trovavano al momento del vincolo, in quanto le altre due erano state erano già state portate dalla Sig.ra Gi. al suo domicilio, come più volte accennato Con il primo motivo si deduce violazione delle norme a tutela della partecipazione e del contraddittorio, per l'assenza di comunicazione di avvio del procedimento. L'Amministrazione non avrebbe tenuto in considerazione il ruolo della della Sig.ra Co. Gi., da tempo conosciuto dalla Soprintendenza. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D. Lgs. 490/99, eccesso di potere sotto vari profili e violazione dell'art. 818 c.c. Si contesta la già citata indeterminatezza del provvedimento e l'assenza della relazione storico-artistica. Inoltre si sostiene la contraddittorietà del decreto impugnato rispetto all'emanazione del precedente decreto dell'1 febbraio 2000 (che ha valutato le due specchiere come oggetti di eccezionale interesse artistico e storico), dato che il decreto del 13 maggio 2000 ha, al contrario, dichiarato le specchiere un unicum inscindibile con l'immobile vincolato con D.M. 16 aprile 1984. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell'art. 2 D. Lgs. 490/99, alla luce della mancata notifica del decreto e dell'assenza nell'edificio di due delle quattro specchiere, già nota all'Amministrazione. Si è costituito il Ministero per i Beni e le Attività Culturali resistendo a entrambi i ricorsi. Si è costituito il controinteressato Giorgio Co., inizialmente resistendo ai ricorsi e poi chiedendo, con note depositate il 4 settembre 2012, l'accoglimento delle domande di parte ricorrente. Al seguito del decesso della Sig.ra Gi., i ricorsi sono stati riassunti dai suoi eredi. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2022 i ricorsi sono stati trattenuti in decisione. 1 Preliminarmente, il ricorso n. 692 del 2000 (con i relativi motivi aggiunti) e il ricorso n. 554 del 2001 devono essere riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva. 1.1 Oggetto dei ricorsi sono due decreti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 1 febbraio e del 13 maggio 2000 Con il primo si dichiara di eccezionale interesse artistico e storico, ai sensi degli artt. 2, c. 1 lett. c) e 6, c. 2 del D. Lgs. n. 490/1999, le due specchiere meglio individuate nelle premesse del provvedimento stesso. Con il secondo, datato 13 maggio 2000, si estende la dichiarazione di interesse particolarmente importante per il Palazzo Co. alle pertinenze decorative fisse e, in particolare, alle specchiere (art. 2 comma 1 D. lgs. n. 490/1999). 1.2 Il nucleo di entrambi i ricorsi si basa sulla mancata individuazione dell'originaria ricorrente Alessandra Co. Gi. quale proprietaria delle specchiere oggetto del vincolo. Le stesse sono infatti state oggetto di contenzioso con il coerede Co. Alessandro. Quanto sopra ha porta a una situazione paradossale, dato che l'Amministrazione ha considerato destinatario dei vincoli solamente il controinteressato. Tanto che, precedentemente alla costituzione dei vincoli, con nota prot. 18123 del 19 ottobre del 1999 l'Amministrazione dichiarava che "...2 delle 4 specchiere sopracitate sono state rimosse a seguito di una divisione, tra gli eredi, dei beni della famiglia e che questa Soprintendenza, constatato l'accaduto a seguito di sopralluogo, ha espresso - che si allega in copia - l'urgenza della ricollocazione delle suddette specchiere al fine di ripristinare la situazione originaria". 1.3 La lettera suddetta, proveniente dal Soprintendente, non appare coerente con le difese dell'Amministrazione nelle quali si afferma che le specchiere in questione risultavano facenti ancora parte del bene indiviso e pertanto ancora di proprietà del Marchese Gi. Co.. 1.4 Con il ricorso r.g. 692/2000 (e i relativi motivi aggiunti) e il successivo ricorso r.g. 554/2001, la ricorrente ha quindi contestato, in primo luogo l'illegittimità dei provvedimenti per violazione delle norme a tutela della partecipazione e del contraddittorio. 1.5 Ad avviso del Collegio, la comunicazione di avvio del procedimento nei confronti del proprietario o, comunque, di chi fosse nella disponibilità del bene era senza dubbio dovuta. In termini generali, l'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento, imposto all'amministrazione dall'art. 7 della l. n. 241 del 1990, sussiste anche con riguardo ai procedimenti finalizzati all'imposizione di vincoli storico - artistici (e archeologici) ai sensi della l. n. 1089 del 1939 e, quindi, anche per la dichiarazione di particolare importanza, pena l'illegittimità della stessa in mancanza dell'avviso suddetto, anche se la regola di cui all'art. 7 della l. n. 241/1990 non va applicata meccanicamente e formalisticamente, ma secondo criteri sostanzialistici (tra le tante Cons. Stato VI, 27 novembre 2014, n. 5878). Conseguentemente, in ogni caso doveva essere inviata la comunicazione di avvio del procedimento al proprietario dei beni, indipendentemente dall'applicabilità o meno ratione temporiis, del d.lgs n. 490 del 1999. 1.6 Non si può altresì affermare che la Soprintendenza non conoscesse la situazione dei beni, alla luce della già citata nota del 19 ottobre 1999 e della precedente nota del 22 settembre, dalle quali risulta la conoscenza del giudizio civile che ha assegnato le due specchiere alla ricorrente. 1.6 Il primo motivo di ricorso è quindi fondato sia con riguardo al ricorso 652/2000, sia con riguardo al ricorso 554/2001. Il mancato coinvolgimento della ricorrente, infatti, non è giustificato. Sul punto la lettera della sig.ra Gi. del 20 aprile 1999, prodotta dalla difesa erariale, mostra una sua conoscenza del tutto generica del procedimento che non è tale da rendere in alcun modo superfluo il rispetto del contradittorio (al contrario, detta lettera avrebbe dovuto spingere ulteriormente l'ente a consentire la partecipazione della ricorrente). L'avvenuta divisione ereditaria e l'asportazione delle specchiere avrebbero quindi potuto essere conosciute pienamente dall'Ente se lo stesso avesse garantito la partecipazione della sig.ra Gi. al procedimento amministrativo. 2 Per quanto sopra, sia il decreto del Ministero per i Beni e le Attività culturali datato 1 febbraio 2000, sia il successivo decreto del 13 maggio 2000 sono illegittimi e devono essere annullati, con conseguente accoglimento, rispettivamente, del ricorso r.g. 692/200 (e dei relativi motivi aggiunti non impugnatori) e del ricorso r.g. 554 del 2001. L'annullamento è ovviamente nei limiti dell'interesse della ricorrente (e quindi dei suoi eredi) per cui riguarda solo le due specchiere di sua proprietà . 2.1 L'accoglimento del primo motivo per entrambi i ricorsi è da considerarsi assorbente, in quanto il corretto svolgimento del contraddittorio procedimentale avrebbe consentito all'Ente di valutare la diversa proprietà e l'assenza dall'immobile vincolato delle due specchiere, e quindi di valutare quali fossero i più adeguati strumenti di tutela eventualmente approvabili. Sono quindi fatti salvi eventuali ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione. 2.2 Le spese possono essere compensate per entrambi i ricorsi, in considerazione della relativa complessità della questione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando, riuniti per decisione i ricorsi r.g. 692/2000 (con i relativi motivi aggiunti) e 554/2001 li accoglie e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati, come specificato in motivazione. Spese compensate per tutti i ricorsi. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere Giovanni Ruiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 146 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Di. e Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ra. e Al. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Ba. An., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in -OMISSIS-, via (...); --OMISSIS-, non costituita in giudizio; per l'annullamento del provvedimento adottato dal Responsabile dell'Area 3 - Tecnica del Comune di -OMISSIS- in data -OMISSIS-, con il quale è stata comunicata la sospensione del procedimento di disamina dell'istanza formulata dalla ricorrente per ottenere la revoca dell'ordinanza del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, fino al passaggio in giudicato della denuncia/querela della sig.ra -OMISSIS- nei confronti del sig. -OMISSIS-depositata alla Procura della Repubblica di Ancona in data -OMISSIS-; Visti il ricorso e i relativi allegati; del Comune di -OMISSIS-, -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 aprile 2022 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. La vicenda per cui è causa è già nota a questo Tribunale, essendo quest'ultimo stato investito della decisione di altri due precedenti ricorsi promossi dalla medesima odierna ricorrente - proprietaria di una casa di civile abitazione sita nel Comune di -OMISSIS- adiacente all'abitazione di proprietà dei controinteressati - riguardanti la medesima questione: a) con il primo, -OMISSIS-, la ricorrente ha impugnato l'ordinanza del Comune n. -OMISSIS-, con cui è stato revocato l'ordine di demolizione relativo all'abitazione dei -OMISSIS- di cui all'ordinanza n. -OMISSIS-(con la quale veniva ingiunta la demolizione di alcune opere, in parte riguardanti l'abitazione -OMISSIS- e in parte riguardanti l'abitazione della ricorrente) e con cui è stata invece confermata la demolizione di due manufatti abusivi sulla proprietà della -OMISSIS- (un balcone e l'ampliamento della scala). Il ricorso è stato deciso con sentenza n. -OMISSIS-, recante declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, a causa della successiva emanazione dell'ordinanza n. -OMISSIS-, parzialmente satisfattiva per la ricorrente per la parte relativa al balcone; b) con il secondo ricorso, R.G. -OMISSIS-, la ricorrente ha impugnato la successiva ordinanza del Comune di -OMISSIS- n. -OMISSIS-, con cui il Comune ha revocato l'ordinanza n. -OMISSIS-limitatamente ad un abuso riguardante la sua abitazione. In altri termini, con tali provvedimenti l'ordine di demolizione è stato limitato ad una modifica della scala esterna, attraverso avanzamento verso il fronte strada, nell'abitazione della -OMISSIS- (è rimasta quindi ferma la revoca dell'ordine di demolizione dei manufatti sulla proprietà dei -OMISSIS- di cui alla precedente ordinanza n. -OMISSIS-). Il ricorso è stato respinto con sentenza n. -OMISSIS-(impugnata in appello senza richiesta di sospensiva), con la conseguenza che è stata confermata, da un lato, l'abusività della scala come ampliata dalla -OMISSIS- e, dall'altro, la precedente ordinanza n. -OMISSIS- per la parte relativa allo stralcio totale degli abusi dei -OMISSIS-, di cui si è accertata la loro regolarità urbanistica. La -OMISSIS- ha altresì presentato: - una querela di falso contro la dichiarazione resa al Comune dal signor -OMISSIS- -OMISSIS- il 21 settembre 2018 attestante la realizzazione di alcune opere ritenute abusive in epoca antecedente al 1967, in esito alla quale il Comune medesimo ha poi emanato l'ordinanza n. -OMISSIS-; - una diffida al Comune diretta ad ottenere la revoca dell'ordinanza n. -OMISSIS- e quindi la demolizione dei manufatti realizzati dai -OMISSIS-, nonché la revoca del condono accordato in favore di questi ultimi. E' poi accaduto che, con nota prot. n. -OMISSIS-, il Comune di -OMISSIS-, ritenendo necessaria l'acquisizione di elementi istruttori fondamentali per eventuali misure da adottare in autotutela, ha disposto la sospensione del procedimento instaurato con la diffida della -OMISSIS- "sino al passaggio in giudicato della denuncia/querela della Sig.ra -OMISSIS- nei confronti del Sig. -OMISSIS- depositata alla Procura della Repubblica ... in data -OMISSIS-". Avverso tale ultimo provvedimento la -OMISSIS- è insorta con il presente ricorso, affidato ai seguenti motivi: - violazione degli artt. 27 e ss. del DPR n. 380/2001 e omissione della dovuta vigilanza sull'attività edilizia; al responsabile del competente ufficio comunale spetterebbe, infatti, l'esercizio dei poteri sanzionatori laddove ne ravvisi i presupposti, senza che abbia alcun rilievo il fatto che sia esercitata l'azione penale. Inoltre, vi sarebbe l'obbligo di provvedere a fronte di diffide del privato atte a stimolare i poteri repressivi e di controllo sull'attività edilizia; - il provvedimento adottato sarebbe affetto da sviamento di potere, essendo stato emesso con intenti dilatori ed elusivi dell'obbligo di provvedere rispetto alla diffida; - violazione dell'art. 21 nonies, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990, il cui richiamo nella chiusura della parte dispositiva dell'atto non varrebbe a legittimarne l'adozione; difatti, la facoltà di procedere all'annullamento di atti amministrativi adottati sulla base di dichiarazioni mendaci non escluderebbe il fatto che l'Amministrazione sia tenuta ad esercitare i propri poteri attraverso l'autonoma disamina delle circostanze rilevanti per l'adozione dei provvedimenti di propria competenza. Si sono costituiti in giudizio, per resistere, il Comune di -OMISSIS- e i signori -OMISSIS-. In particolare, il Comune ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del gravame, sia perché rivolto avverso una nota soprassessoria, priva di autonoma portata lesiva, sia perché esso verte su questioni già trattate dal TAR nei precedenti citati giudizi e ora al vaglio del giudice di appello, sicché palese sarebbe la violazione del ne bis in idem. Tale ultimo profilo di inammissibilità è stato altresì evidenziato dalla difesa dei controinteressati nei propri scritti difensivi. Nel merito, le parti resistenti hanno chiesto il rigetto del ricorso perché infondato. Alla pubblica udienza del 27 aprile 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Il ricorso è infondato e va respinto. Ciò consente di prescindere dallo scrutinio delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalle resistenti. 2.1. In ordine al primo motivo, l'intera vicenda per cui è causa e il susseguirsi dei provvedimenti adottati dal Comune negli ultimi anni dimostrano tutt'altro che l'inerzia dell'Ente nell'attivazione dell'attività di vigilanza e di controllo. Il Comune, invero, sin dalla prima segnalazione ricevuta in data 23 aprile 2018, si è attivato per verificare la presenza di abusi edilizi sull'immobile in questione, emanando, all'esito dei sopralluoghi effettuati, prima l'ordinanza di demolizione n. -OMISSIS-e poi, all'esito di ulteriori approfondimenti istruttori, le successive ordinanze n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS- a parziale rettifica della precedente. Risulta, inoltre che, sempre ad opera del Comune, sia seguita un'intimazione ad eseguire l'ordinanza n. -OMISSIS- rivolta a tutti i comproprietari dell'immobile, per la rimessa in pristino stato della scala esterna della parte modificata senza autorizzazione. Risulta, altresì, che tutti i provvedimenti sono stati sempre preceduti da sopralluoghi e acquisizioni istruttorie, ivi compreso quello in questa sede gravato, con cui il Comune ha ritenuto di sospendere il procedimento avviato su istanza di parte volto alla revoca dell'ordinanza n. -OMISSIS-, stante l'opportunità di attendere gli esiti del procedimento penale instaurato a seguito della denuncia/querela sporta dalla -OMISSIS- a carico del signor -OMISSIS- -OMISSIS- in data 9 marzo 2020, rilevanti ai fini dell'adozione di eventuali provvedimenti in autotutela. Né si può negare l'esistenza di un rapporto di pregiudizialità logica e giuridica tra l'accertamento penale e la facoltà del Comune di procedere alla revoca dell'ordinanza n. -OMISSIS-, dal momento che oggetto dell'accertamento penale è la veridicità della dichiarazione del 21 settembre 2018 resa dal -OMISSIS- relativamente alla data di realizzazione delle opere, sulla scorta della quale l'ordinanza n. -OMISSIS- è stata adottata. Peraltro, l'esercizio da parte dell'Amministrazione dei poteri di vigilanza e controllo sull'attività edilizia ex art. 27 del DPR n. 380/2001 è stato stimolato dalla -OMISSIS- con la segnalazione dell'aprile 2018, a cui il Comune ha dato puntualmente seguito con l'attività procedimentale e provvedimentale innanzi illustrata. Diversamente, l'ultima diffida del marzo 2020 era diretta ad ottenere la rimozione in autotutela dell'ordinanza n. -OMISSIS- nella parte in cui contiene la rettifica dell'ordinanza n. -OMISSIS-, con ogni conseguenza sui correlati obblighi di rimessa in pristino stato; trattasi dunque di una diffida (quest'ultima) volta a stimolare l'esercizio del potere di autotutela mediante la rimozione di un provvedimento già emesso, rispetto alla quale, per principio giurisprudenziale pacifico e come già evidenziato in sede cautelare, non sussiste alcun obbligo di provvedere in capo all'Amministrazione, venendo in rilievo l'esercizio di poteri discrezionali. Ne consegue che "se l'amministrazione ha deciso, a sua discrezione, di avviare il procedimento oggetto dell'odierno giudizio, essa può comunque decidere, sempre sua discrezione, anche di sospenderlo in attesa di acquisire elementi istruttori fondamentali per eventuali misure da adottare in autotutela" (cfr., ord. caut. n. 109/2021). E' pur vero che, a fronte della richiesta della -OMISSIS- di agire in autotutela, il Comune ha consumato il potere di scelta nel momento in cui ha avviato il relativo procedimento, tuttavia non può negarsi il permanere di margini di discrezionalità rispetto all'ulteriore scelta di sospendere il procedimento medesimo in attesa di approfondimenti istruttori rilevanti, peraltro, nella specie, ben motivata. Anche sotto tale profilo, dunque, il provvedimento di sospensione del procedimento di autotutela già avviato non rivela i vizi denunciati dalla ricorrente. 2.2. Le argomentazioni che precedono valgono a confutare altresì le doglianze contenute nel secondo e nel terzo motivo, atteso che, per tutte le ragioni innanzi esposte, l'opportunità di attendere gli esiti del procedimento penale a carico del -OMISSIS- esclude lo sviamento di potere denunciato dalla ricorrente; inoltre, il richiamo nella parte dispositiva dell'atto impugnato all'art. 21 nonies, comma 2 bis, della legge n. 241 del 1990 sta esclusivamente a significare che, all'esito delle necessarie acquisizioni istruttorie, il Comune valuterà se sussistono i presupposti per agire in autotutela (il che appare una scelta logica e affatto irragionevole o arbitraria). 2.3. Giova solo precisare, a fronte del deposito in atti della sentenza del giudice penale di Ancona n. -OMISSIS-, che, sulla rilevanza del materiale fotografico in questione, dovrà eventualmente pronunciarsi il Consiglio di Stato investito dell'appello avverso la sentenza di questo TAR n. -OMISSIS-, mentre il thema decidendum dell'odierno giudizio attiene alla sola legittimità dell'atto di sospensione del procedimento di autotutela che, per le ragioni innanzi evidenziate, va ritenuto esente dai vizi denunciati con il gravame in argomento. 2.4. Per tutto quanto precede, il ricorso va respinto. 3. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, avuto riguardo alle peculiarità della vicenda amministrativa per cui è causa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti in causa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 404 del 2020, proposto da Sc. Co., rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Ancona, viale (...); per l'annullamento e/o per la declaratoria di nullità dell'ordinanza n. 26/2020 Prot. n. 18712/2019 del 10/06/2020, notificata in data 22/06/2020, adottata dal Responsabile IV U.O. Servizi Tecnici Comune di (omissis), e di tutti gli atti alla predetta ordinanza presupposti, preparatori, preordinati, connessi e conseguenti; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2022 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con l'ordinanza in epigrafe, il Comune di (omissis) ha ingiunto al ricorrente la rimozione di opere abusive, talune realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 3711 del 26 luglio 1978 e dalla variante n. 2017 del 4 maggio 1979, altre realizzate in totale assenza di titolo, con l'avvertenza che, in mancanza, il bene e l'area di sedime sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio dell'Ente. Gli abusi contestati consistono, in particolare, nelle seguenti opere: a) sul prospetto sud: eliminazione delle balaustre lateralmente all'ingresso su Via (omissis) (civici (omissis)) e sui n. 2 patii destinati a parcheggio privato con realizzazione di sovrastanti strutture aperte in calcestruzzo armato; b) sui lati est-ovest: realizzazione di n. 2 locali interrati sottostanti ai patii del piano terra dotati di aperture (porte e finestre); c) sul prospetto sud, lato dx: installazione di canna fumaria in mattoni pieni al piano primo; d) sui prospetti laterali est sx e ovest dx: modifica estetica e di diversa consistenza di elementi esterni; e) sostituzione delle balaustre con parapetti in calcestruzzo armato su tutti i lati del complesso; f) realizzazione nell'ambito di tutti i piani sottoscala interrati presenti nel fabbricato di locali dotati in parte di aperture di ingresso e finestre e in parte ancora da completare; g) installazione di pensiline a sbalzo sui prospetti est del piano primo seminterrato e sui prospetti est e ovest del piano secondo seminterrato; h) installazione nelle corti del lato est piano primo seminterrato e piano terra seminterrato di manufatti prefabbricati uso caminetto esterno (barbecue); i) realizzazione di scala a chiocciola sul alto ovest del fabbricato collegante il piano primo seminterrato ed il piano terra (patio civico (omissis)); l) installazione di condizionatore esterno al piano seminterrato lato ovest. Nell'atto è stato precisato che: - essendo stata depositata pratica di condono edilizio ex lege n. 47/1985 in relazione a taluni dei suddetti manufatti, non meglio specificati e individuabili con precisione nell'istanza di condono, gli abusi sopra elencati avrebbero potuto subire una "scrematura" in fase di avanzamento istruttorio della pratica; - esaminate le osservazioni inoltrate dall'interessato, il Comune le ha ritenute parzialmente accoglibili in relazione agli abusi sub lettere g), i) ed l) (corrispondenti ai manufatti descritti ai numeri 7, 9 e 10 dell'ordinanza di demolizione). Avverso tale provvedimento è stato proposto il presente ricorso, affidato ai seguenti motivi: - nullità dell'ordinanza n. 26 del 10 giugno 2020 per mancanza degli elementi essenziali, in violazione e falsa applicazione dell'art. 21 septies della legge n. 241/1990; posto che l'ordine di demolizione deve quantomeno contenere l'indicazione delle opere abusive e del carattere abusivo delle stesse, con la specificazione analitica di quelle realizzate in assenza del titolo edilizio e di quelle eseguite in difformità dal provvedimento autorizzativo, nel caso di specie risulterebbero addirittura non definiti gli ipotetici abusi, stante la riserva di "scrematura" da effettuarsi in un secondo momento; - mancata comunicazione di avvio del procedimento e violazione del principio del contraddittorio e degli artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990, dal momento che, pur a fronte dell'avvenuta revoca della precedente ordinanza di demolizione e rimessione in pristino n. 8 del 20 marzo 2020 in ragione della mancata osservanza delle garanzie partecipative, neppure l'ordinanza in questa sede gravata sarebbe stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, necessaria per il fatto che, successivamente alla revoca, si sarebbe aperta una fase procedimentale del tutto nuova; - eccesso di potere per abuso, sviamento e difetto di istruttoria, non essendo stato effettuato alcun accertamento preventivo sull'effettiva sussistenza e consistenza degli abusi contestati; - violazione degli artt. 3, comma 1, della legge n. 241/1990 e 31, 32, 33 e 34 del DPR n. 380/2001, difetto di motivazione, eccesso di potere sotto distinti profili e violazione del principio del legittimo affidamento; l'ordinanza impugnata sarebbe genericamente motivata, in quanto ometterebbe la ricognizione dei presupposti di fatto, non distinguendo le asserite opere edilizie realizzate in difetto di concessione da quelle realizzate in difformità dalla concessione e non indicando l'interazione delle medesime con la domanda di condono presentata dal ricorrente. Addirittura, la motivazione sarebbe perplessa, atteso che nell'ordinanza si parla di presunte opere abusive, in tal modo restando una mera ipotesi quella dell'esistenza di esse. Con l'impugnato provvedimento, inoltre, dato il notevole lasso di tempo trascorso dalla realizzazione degli abusi, il Comune avrebbe violato il legittimo affidamento del privato nella loro possibile conservazione; - violazione degli artt. 31, 35, comma 15, e 38, comma 1, della legge n. 47/1985 e dell'art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per falso presupposto, abuso e sviamento di potere, carenza di istruttoria e di motivazione; a fronte della domanda di sanatoria presentata nel 1986, mai sarebbe stato notificato al ricorrente alcun diniego, sicché, dovendosi ritenere il procedimento ancora pendente, illegittima sarebbe l'adozione, nelle more, dell'ordinanza di demolizione; - violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 6, 6 bis, 10, 22 e 37 del DPR n. 380/2001, eccesso di potere per falso presupposto e travisamento dei fatti, abuso e sviamento di potere, dal momento che talune delle opere indicate nell'ordinanza impugnata e, precisamente, gli abusi di cui ai punti 1), 3), 4), 5) e 8) sopra elencati, ricadrebbero tra le opere che sarebbe possibile realizzare mediante edilizia libera (ovvero quelli di cui alle lettere 3, 4 e 8) o mediante SCIA (ovvero quelli di cui alle lettere 1 e 5), con la conseguente inapplicabilità, in relazione agli stessi, della disciplina di cui all'art. 31 del DPR n. 380/2001. Quanto alle restanti opere, esse sarebbero ricomprese nella domanda di condono. Si è costituito in giudizio, per resistere, il Comune di (omissis). Quest'ultimo ha provveduto, in data 12 novembre 2021, al deposito di documentazione in adempimento alle istanze istruttorie del TAR formulate con ordinanza n. 281 del 2021, con la quale è stata altresì accolta la domanda cautelare. All'esito della pubblica udienza del 23 febbraio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Il ricorso non è fondato, nei termini che si vanno a chiarire. 2.1. Il primo motivo di ricorso non merita condivisione. Dal semplice raffronto tra l'ordinanza n. 8 del 20 marzo 2020, poi revocata in ragione dell'omessa considerazione delle osservazioni pervenute dall'interessato, e l'ordinanza n. 26 del 10 giugno 2020, si può agevolmente ricavare che quest'ultima ha conservato pressoché integra la motivazione della prima, salvo che per la parte in cui ha precisato le opere accertate come abusive all'esito del parziale accoglimento delle memorie del ricorrente. Ebbene, con detta ultima precisazione l'Amministrazione ha inteso dare atto dell'avvenuto definitivo accertamento della consistenza degli abusi contestati sulla base degli esiti istruttori; la preannunciata "scrematura", quindi, è stata posta in essere e le opere di cui si è ingiunta la rimozione sono chiaramente e definitivamente individuate in quelle descritte ai punti 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 8 dell'ordinanza di demolizione. Non si rinviene, pertanto, alcuna perplessità nella motivazione, né alcuna mancanza degli elementi essenziali dell'atto, dato che l'ordine di demolizione contiene l'indicazione puntuale delle opere ritenute abusive; inoltre, il carattere abusivo delle stesse, una volta precisato che trattasi di manufatti in parte realizzati in difformità dalla concessione edilizia n. 3711 del 1978 e dalla sua variante e in parte realizzati in totale assenza di titolo edilizio, è accertabile attraverso il raffronto con quanto autorizzato in virtù di detti titoli. Peraltro, a fronte di tale definitivo accertamento della consistenza degli abusi, il ricorrente nulla ha prodotto o documentato per dimostrare la natura non abusiva dei manufatti oggetto di contestazione. 2.2. Infondato è anche il secondo motivo, dal momento che le censure in esso contenute sono smentite per tabulas. Invero, nell'ordinanza n. 9 del 24 aprile 2020 la revoca è stata motivata con la necessità di rivalutare le osservazioni proposte dal ricorrente e quindi di emettere eventualmente un nuovo provvedimento sanzionatorio rivisitato e corretto. L'Amministrazione si era dunque espressamente riservata di adottare una nuova ordinanza di demolizione all'esito dell'esame delle osservazioni dell'interessato, il che esclude che il procedimento fosse stato definitivamente concluso. Qualora, tuttavia, si voglia ritenere che con l'ordinanza di revoca si sia chiusa una fase procedimentale, l'espressa riserva in essa contenuta non può non valere quale comunicazione di avvio dell'ulteriore procedimento poi conclusosi con l'adozione dell'ordinanza in questa sede gravata. Peraltro, quest'ultima è stata adottata tenendo conto delle osservazioni del ricorrente, che sono state addirittura parzialmente accolte, il che fa salvo il contraddittorio procedimentale. Ad ogni modo, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui, in ragione della natura vincolata dell'ordine di demolizione, non è necessaria la preventiva comunicazione di avvio del procedimento e neppure un'ampia motivazione sulla sussistenza di un concreto interesse pubblico alla rimozione delle opere abusive (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 7 dicembre 2021, n. 7872), sicché, anche qualora detta comunicazione fosse mancata, ciò non avrebbe avuto rilevanza sulla legittimità dell'atto. 2.3. Il terzo motivo di ricorso, oltre ad essere confutabile per le stesse considerazioni già espresse al precedente punto 2.1, è smentito dal verbale di accertamento n. 28119 del 24 ottobre 2019, in cui si dà atto del sopralluogo effettuato in data 12 aprile 2019 dalla Polizia Municipale e dai tecnici comunali incaricati, durante il quale è stata rilevata la presenza dei manufatti oggetto di contestazione. 2.4. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato. Al riguardo valgano ancora le considerazioni già evidenziate al punto 2.1; alle stesse si aggiunge l'ulteriore considerazione che, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, qui condivisa, l'ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita di particolare motivazione, potendosi ritenere adeguata e sufficiente la compiuta descrizione delle opere abusive, la constatazione della loro esecuzione in assenza o difformità dal permesso di costruire e l'individuazione della norma applicata (artt. 31 e 34 del d.P.R. n. 380/2001), come ravvisabile nel caso di specie (cfr. ex multis T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 7 marzo 2022, n. 1541; Sez. VIII, 30 maggio 2017, n. 2870 e 28 gennaio 2016, n. 538; Sez. VI, 23 gennaio 2012, n. 315). Quanto alla denunciata violazione del principio dell'affidamento, è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale, a cui ha aderito anche questo Tribunale (cfr., ex multis, sentenza 31 marzo 2022, n. 210) e da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, in base al quale l'ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione neppure quando sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua realizzazione, non potendo configurarsi alcun legittimo affidamento in relazione a situazioni contra legem; in sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l'Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore (tra le numerose decisioni, Cons. Stato, Sez. II, 3 novembre 2021, n. 7353 e 14 ottobre 2021, n. 6913; Sez. VI, 22 novembre 2021, n. 7764 e 4 ottobre 2021, n. 6613). 2.5. Il quinto motivo è infondato, dal momento che esso poggia su un presupposto erroneo: l'ordinanza di demolizione impugnata, infatti, si basa sul fatto che gli abusi contestati consistono in opere ulteriori rispetto a quelle per le quali si è chiesto (e a quanto pare ottenuto) il condono. L'assunto secondo cui la pratica di condono sarebbe ancora pendente è dunque smentito dallo stesso Comune di (omissis), che, nell'ordinanza impugnata fa riferimento ad opere "sanate" con le domande di condono di cui ai modelli 47/85-A e 47/85-B. 2.6. Infine, con riguardo al sesto ed ultimo motivo, neppure le censure in esso contenute meritano condivisione. Ai sensi dell'art. 10, comma 1, lettera c), del D.P.R. n. 380/2001, le opere di ristrutturazione edilizia necessitano di permesso di costruire se consistenti in interventi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comportino, modifiche del volume o dei prospetti. E' stato precisato, in giurisprudenza, che, per aversi ristrutturazione edilizia, le modifiche volumetriche e/o di sagoma debbano essere di portata limitata e comunque riconducibili all'organismo preesistente; in caso contrario, qualora le modifiche siano tali da comportare un manufatto del tutto diverso da quello originario, allora si verte nell'ipotesi di nuova costruzione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 13 gennaio 2021, n. 423 e Sez. IV, 19 gennaio 2016, n. 328). E' stato, altresì, precisato che, nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, si deve necessariamente effettuare una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione; di conseguenza, in presenza di un abuso composto da diverse opere, l'una funzionale all'altra, si è in realtà in presenza di un'unica attività di trasformazione urbanistica, per la quale è necessario il permesso di costruire, senza possibilità di scomporne una parte per sostenerne l'assoggettabilità ad un diverso regime autorizzatorio e, conseguentemente, ad un differente trattamento sanzionatorio (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 14 gennaio 2022, n. 70; Cons. Stato, Sez. VI, 8 settembre 2021, n. 6235; TAR Campania Napoli, Sez. III, 13 agosto 2021, n. 5498). Applicando i suesposti principi al caso in esame, sicuramente deve affermarsi che i diversi interventi realizzati sull'immobile in questione (creazione di strutture in calcestruzzo armato in sostituzione delle precedenti balaustre, installazione di una canna fumaria in mattoni pieni, modifiche estetiche ai prospetti, realizzazione di locali interrati dotati di aperture, chiusura dei piani sottoscala per creare locali dotati di porte e di finestre in parte ancora da completare, installazione di manufatti prefabbricati nelle corti ad uso camino/barbecue), a prescindere dall'epoca di costruzione di ciascuna singola opera e dalla loro autonomia strutturale, sono comunque legati dal medesimo vincolo funzionale, essendo strumentali al perseguimento dello stesso scopo pratico, che è quello di consentire la realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso alla loro realizzazione. Trattasi, dunque, di opere edilizie tra loro connesse, che hanno dato luogo ad un intervento unitario, il quale, data la modifica dei volumi e dei prospetti, non può che essere considerato di ristrutturazione edilizia, assoggettabile, come tale, al regime autorizzatorio del permesso di costruire. L'istante è dunque tenuto a scegliere tra l'integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante la demolizione e rimozione delle opere accertate come abusive dall'Amministrazione, e la presentazione di una domanda di accertamento di conformità riferita alle stesse, che il Comune potrà accogliere o meno, in tutto o in parte. Avendo l'Amministrazione richiamato, nell'ordinanza di demolizione, anche l'art. 34 del DPR n. 380/2001 (interventi realizzati in parziale difformità dal titolo edilizio), resta eventualmente salva la valutazione, riservata alla fase esecutiva, sulla possibilità di dar corso o meno alla misura ripristinatoria e conseguentemente di scegliere tra demolizione e irrogazione della sanzione pecuniaria (art. 34, comma 2, del DPR n. 380/2001). Va infine ribadito, quanto all'asserita inclusione nel condono dei manufatti elencati nella gravata ordinanza, che non risulta adeguatamente dimostrata la coincidenza tra le opere oggetto di sanatoria edilizia e quelle contestate. Qualora, tuttavia, il ricorrente riesca a dimostrare anche successivamente l'avvenuto condono, l'Amministrazione ne dovrà tenere conto ai fini dell'esecuzione dell'ordine di demolizione. 3. In conclusione, il ricorso va respinto. 4. Le peculiarità che hanno caratterizzato la vicenda amministrativa per cui è causa giustificano la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Morri - Presidente FF Tommaso Capitanio - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 218 del 2003, proposto da Fo. Fa., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Di. e Ba. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Ma. Di., in Ancona, via (...); contro Azienda Ospedaliera "Os. Ri. Um. I° - G.M. La. - G. Sa." di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Vi. Io., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Lu. Ro., non costituita in giudizio; per l'annullamento dell'avviso pubblico per il reclutamento n. 1 operatore professionale/dietista approvato con deliberazione del direttore generale n. 629 del 9 maggio 2001, della deliberazione del direttore generale n. 1065 del 1° agosto 2001, recante l'approvazione della graduatoria concorsuale, del provvedimento con cui é stata decisa la proroga del rapporto di lavoro in favore della controinteressata Lu. Ro.; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2022 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ricorrente, in possesso del diploma di dietista, impugna in questa sede il bando di selezione indicato in epigrafe, adottato dall'Azienda Ospedaliera "Um. I° " di Ancona (di seguito anche "A.O.") per il reclutamento di un operatore professionale collaboratore/Dietista a tempo determinato con rapporto di lavoro a tempo parziale (25 ore settimanali) e gli altri atti pure indicati in epigrafe, esponendo in punto di fatto quanto segue. 1.1. Essa ricorrente aveva partecipato ad analoga selezione bandita dall'azienda ospedaliera con deliberazione del direttore generale n. 325/2000. All'esito delle prove era risultata vincitrice l'odierna controinteressata sig.ra Lu.. Ritenendo la procedura concorsuale inficiata da numerosi vizi di legittimità, la sig.ra Fo. aveva impugnato la graduatoria e gli atti endoprocedimentali con ricorso rubricato al n. 798/2000 R.G. di questo T.A.R. Il ricorso è stato accolto con sentenza n. 5/2003. 1.2. Sennonché la sig.ra Lu. ha continuato a prestare servizio presso l'A.O. "Um. I° ", dapprima in forza di proroga del primo incarico conseguente alla predetta selezione, e, da ultimo, in virtù degli esiti della selezione bandita con l'avviso odiernamente impugnato. 2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale la ricorrente censura le modalità (a suo dire "informali" e dunque illegittime) con cui lo stesso è stato pubblicizzato, vizio che si ripercuoterebbe sulla procedura con effetto caducante. In particolare, la ricorrente espone che: - dell'avviso pubblico è stata data pubblicità esclusivamente mediante affissione all'albo della direzione generale dell'azienda ospedaliera e degli altri enti del Servizio Sanitario Regionale, nonché mediante pubblicazione su un periodico locale specializzato nella pubblicità dei concorsi pubblici; - la giurisprudenza è ferma nel ritenere che le procedure di avviso pubblico per il conferimento di posti di sanitario ospedaliero hanno un regime di pubblicità identico a quello previsto per i concorsi pubblici, per cui i bandi vanno pubblicati sulla G.U. e sul B.U.R., in conformità a quanto prevede, in generale, l'art. 12 del D.P.R. n. 761/1979. Ciò al fine di assicurare, ovviamente, la maggior diffusione possibile del bando e la massima partecipazione dei candidati in possesso dei requisiti richiesti; - la violazione di tali regole (che nella specie ha evidentemente favorito la controinteressata, già in servizio presso l'A.O. e dunque in grado di venire a conoscenza tempestivamente dell'avviso e di presentare la domanda di partecipazione) rende radicalmente illegittima la procedura selettiva; - altro profilo di illegittimità radicale della procedura risiede nel fatto che alla delibera di indizione del concorso è stata attribuita l'immediata esecutività con precedenza rispetto anche alla data della sua pubblicazione, avvenuta solo in data 5 giugno 2001, e dunque in assenza di un elemento necessario allo stesso perfezionarsi del provvedimento; - ma anche la pubblicazione dell'avviso su un giornale locale e agli albi degli altri enti del SSR è avvenuta con modalità discutibili, posto che il bando di concorso sarebbe stato inviato ai suddetti destinatari solo il 18 maggio 2001, ma non si conoscono le date in cui gli stessi destinatari hanno ricevuto la comunicazione dell'A.O. Questo è rilevante, visto che il termine ultimo per la presentazione delle domande di partecipazione era fissata per il 28 maggio 2001 ed è dunque ben possibile che, di fatto, i candidati potenzialmente interessati abbiano avuto a disposizione pochissimi giorni per predisporre ed inviare la domanda. La riprova empirica di ciò sta nel fatto che alla selezione hanno partecipato solo tre candidati, fra cui la controinteressata; - la fondatezza delle argomentazioni dianzi esposte risulta altresì confermata dal fatto che il bando di concorso approvato nel 2000 era stato regolarmente pubblicato sul B.U.R.M., per cui, in assenza di indicazioni desumibili dall'avviso impugnato, non si spiega perché in questo caso l'azienda ospedaliera abbia scelto una modalità di pubblicità diversa e "minore"; - né potrebbe ritenersi che nella specie vi fossero le ragioni di urgenza richiamate nell'avviso, visto che, nei fatti, dalla data di scadenza del termine di presentazione delle domande alla data di avvio delle operazioni concorsuali sono trascorsi più di due mesi; - per la verità i tempi della procedura inducono a pensare che il reale obiettivo dell'amministrazione fosse quello di confermare l'incarico conferito nel 2000 alla sig.ra Lu., la quale è stata difatti assunta per la prima volta dal maggio 2000 con contratto a tempo determinato di sei mesi e si è vista poi prorogare il contratto di altri sei mesi (e quindi con scadenza proprio nel maggio 2001). 3. Nessuna delle parti intimate si è inizialmente costituita. All'esito dell'udienza pubblica del 12 gennaio 2022 il Tribunale ha disposto istruttoria, al fine di acquisire gli atti di cui all'art. 46, comma 2, c.p.a. (ordinanza n. 11/2022). L'amministrazione ha eseguito l'istruttoria in data 9 febbraio 2022, depositando altresì una relazione a firma del direttore generale pro tempore in cui sono riferite circostanze di cui si dirà infra. Con memoria depositata in data 17 marzo 2022 la ricorrente ha contestato l'esito dell'istruttoria, nella parte in cui l'azienda ospedaliera ha eccepito la tardività del ricorso in modo irrituale, non essendo costituita in giudizio. In data 11 aprile 2022 l'Azienda Ospedaliero-Universitaria "Os. Ri. Um. I° - G.M. La. - G. Sa." di Ancona, nelle more succeduta all'A.O. "Um. I° ", si è costituita in giudizio, chiedendo, con memoria di stile, che il ricorso sia dichiarato inammissibile o improcedibile e comunque respinto nel merito. 4. Il ricorso va dichiarato irricevibile. In effetti, dalla documentazione versata in atti dall'amministrazione resistente in esecuzione dell'ordinanza istruttoria n. 11/2022 emerge che: - risponde certamente al vero che il bando di selezione per cui è causa è stato pubblicizzato unicamente secondo le forme di cui si riferisce in ricorso (forme che peraltro l'azienda ospedaliera resistente ha utilizzato anche in occasione di selezioni coeve e successive); - ma la sig.ra Fo., oltre al ricorso originario del 2000 da cui è in seguito scaturito l'odierno contenzioso, aveva successivamente proposto davanti a questo Tribunale il ricorso n. 944/2001 R.G., finalizzato all'accertamento del diritto di essa ricorrente all'ostensione del bando di selezione oggetto del presente ricorso e degli altri atti del procedimento. Il ricorso è stato accolto con sentenza n. 216/2002, alla quale l'A.O. ha dato esecuzione con la nota prot. n. 11231 del 26 marzo 2002 (doc. allegato n. 19 alla produzione dell'amministrazione). Ma nonostante l'invito dell'A.O. a ritirare copia degli atti de quibus, la ricorrente (la quale non ha dedotto nelle memorie conclusionali l'omessa ricezione della prefata nota o altre circostanze analoghe che le abbiano impedito di avere tempestiva conoscenza di essa) ha lasciato trascorrere molti mesi prima di rinnovare, in maniera evidentemente strumentale, la richiesta di accesso a mezzo del legale che l'assiste nel presente giudizio (si veda l'istanza di accesso presentata in data 29 gennaio 2003, allegata al ricorso). E che la ricorrente fosse a conoscenza dell'avvenuta esecuzione della sentenza n. 216/2002 è comprovato anche dal fatto che il Tribunale aveva accordato alla ricorrente anche le spese di lite, per cui appare inverosimile che la sig.ra Fo. si sia disinteressata all'esito del ricorso ex art. 25 L. n. 241/1990; - a fronte di tali circostanze, trova applicazione il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il destinatario di un provvedimento amministrativo potenzialmente lesivo non può prolungare ad libitum il termine decadenziale di cui all'art. 29 c.p.a. omettendo di esercitare tempestivamente il diritto di accesso agli atti del procedimento (come è noto, la problematica si presenta molto spesso nelle controversie in materia di appalti pubblici). Nella specie, peraltro, il principio è a fortiori applicabile proprio perché la sig.ra Fo. aveva già visto riconosciuto da questo Tribunale il diritto di accesso al bando di selezione oggetto del presente ricorso e agli altri atti del procedimento, per cui si è in presenza della violazione di un onere di diligenza oltremodo "qualificato". Quanto al profilo processuale evidenziato dalla ricorrente nella memoria conclusionale depositata in data 17 marzo 2022, lo stesso è stato in ogni caso superato dalla costituzione in giudizio dell'azienda ospedaliera, avvenuta in limine litis. Infatti, nella memoria di costituzione l'amministrazione ha formalmente eccepito l'inammissibilità del ricorso, facendo implicito richiamo alla relazione del direttore generale depositata in occasione dell'esecuzione dell'istruttoria. Al riguardo va evidenziato che questo Tribunale, nella sentenza n. 328/2019 (relativa ad un giudizio in cui l'amministrazione resistente si avvaleva del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, ma i cui principi sono applicabili anche nella specie), ha già ritenuto corretto un tale modus procedendi, essendo superflua, ai fini della regolare instaurazione del contraddittorio, la formale reiterazione negli scritti processuali della difesa tecnica degli argomenti difensivi esposti dall'amministrazione resistente in rapporti informativi o in relazioni istruttorie, laddove la controparte abbia comunque potuto articolare al riguardo le proprie difese. Va peraltro aggiunto che: - la ricorrente avrebbe dovuto lealmente esporre al Tribunale anche le altre vicende giudiziarie che l'hanno vista contrapposta all'A.O. resistente, ed in particolare quella introdotta con il ricorso n. 944/2001 R.G.; - ad ogni modo, una volta che la stessa ricorrente, nella citata memoria del 17 marzo 2022, ha richiamato il predetto ricorso, il Tribunale era autorizzato a verificare anche ex officio gli esiti di quel giudizio e in che modo essi influissero eventualmente sulla tempestività del presente ricorso. 5. Da ultimo va evidenziato che: - l'impugnazione degli atti relativi al rapporto di lavoro della controinteressata non sono impugnabili davanti al G.A., trattandosi di atti datoriali afferenti un rapporto di pubblico impiego c.d. privatizzato venuto in essere dopo il 30 giugno 1998 (art. 45, comma 17, del D.Lgs. n. 80/1998 e s.m.i.); - le altre vicende di cui l'A.O. ha riferito nella relazione istruttoria non hanno rilievo nel presente giudizio, per cui di esse non è necessario trattare in questa sede. 6. Il ricorso va dunque dichiarato irricevibile. Le spese del giudizio si possono tuttavia compensare, sia alla luce della durata del processo sia in ragione dell'atteggiamento processuale dell'amministrazione (che, per la gran parte del giudizio, è stato poco collaborativo). P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile e compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere, Estensore Giovanni Ruiu - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 81 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. St. Ot. e Si. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Gi. Ma. Gi. in Ancona, via (…); contro Ministero dell'Interno e U.T.G. - Prefettura di Ancona, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso cui domiciliano in Ancona, corso (…); per l'annullamento a) del provvedimento della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Ancona Prot. n.-OMISSIS- emesso il 16.11.2020 e notificato in data 24.11.2020 via pec all'Avv. Si. Co., difensore e procuratore domiciliatario del sig. -OMISSIS-, con cui veniva rigettata la richiesta di revoca del divieto di detenzione di armi, munizioni o altro materiale esplodente, datata 06.11.2019; b) del provvedimento del Prefetto di Ancona prot. -OMISSIS-Fasc. -OMISSIS- del 31.03.2016, notificato il 14.04.2016, con cui veniva disposto nei confronti del sig. -OMISSIS- il divieto di detenere armi e munizioni o altro materiale esplodente, con consequenziale ritiro immediato delle stesse e della relativa custodia; c) del provvedimento del Questore della provincia di Ancona Cat. -OMISSIS-emesso il 09.04.2016, notificato il 14.04.2016, con cui veniva revocata al sig. -OMISSIS- la licenza di porto di fucile per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Fabriano in data 08.08.2012; d) nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell'U.T.G. - Prefettura di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2022 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO Con atto del 31 marzo 2016, la Prefettura di Ancona faceva divieto al ricorrente di detenere armi e munizioni o altro materiale esplodente, provvedendo al ritiro cautelare di quelle in suo possesso. Con provvedimento del 9 aprile 2016, inoltre, la Questura di Ancona disponeva nei confronti del medesimo la revoca della licenza di porto di fucile per uso caccia n. -OMISSIS-, rilasciata dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Fabriano in data 8 agosto 2012. Tali provvedimenti venivano adottati sulla base della circostanza che il -OMISSIS-, nel 2015, in occasione di una perquisizione nella sua abitazione da parte dei Carabinieri della Stazione di Genga per fatti di rilevanza penale coinvolgenti il proprio figlio convivente, avrebbe manifestato intenzioni suicide; nella medesima circostanza, gli agenti provvedevano al sequestro di munizioni non regolarmente denunciate, dal che scaturiva l'apertura di un procedimento penale a carico del ricorrente per il reato di cui all'art. 697 c.p., definito con decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale penale di Ancona in data 9 giugno 2016, per intervenuta oblazione. Con istanza del 17 settembre 2018, il sig. -OMISSIS-, anche alla luce degli esiti del procedimento penale, chiedeva la revoca del sopra indicato provvedimento prefettizio, allegando all'istanza sia il provvedimento di archiviazione, sia il certificato medico datato 5 settembre 2018, relativo alla visita neurologica effettuata dalla dott.ssa -OMISSIS-(doc. n. 12 allegato al ricorso), la quale, analizzando anche il percorso del paziente, aveva concluso ritenendolo idoneo al porto d'armi. Con provvedimento prot. n. -OMISSIS-del 20 febbraio 2019, l'istanza di revoca veniva rigettata. In data 6 novembre 2019, il sig. -OMISSIS-, ritenendo il provvedimento prefettizio di divieto di detenzione di armi sproporzionato alla situazione attuale, visto anche l'ampio lasso di tempo trascorso, ne chiedeva nuovamente la revoca. La Prefettura avviava la relativa istruttoria, chiedendo documentazione medica integrativa. Il ricorrente provvedeva, quindi, a produrre un nuovo certificato, datato 10 settembre 2020, relativo alla visita neurologica effettuata dalla dott.ssa -OMISSIS-(doc. n. 15 allegato al ricorso), in cui si confermava l'idoneità del sig. -OMISSIS- al porto d'armi. Inoltre quest'ultimo, a seguito di specifica richiesta della Prefettura, si sottoponeva, in data 6 novembre 2020, a visita neurologica presso il Distretto sanitario di Fabriano - ASUR Marche - Area vasta n. 2, all'esito della quale non gli veniva riscontrata alcuna patologia (cfr., certificato a firma del dott. -OMISSIS-, doc. n. 16 allegato al ricorso). Al sig. -OMISSIS-, peraltro, veniva rilasciato un certificato medico di idoneità per il rilascio o il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso caccia in data 7 ottobre 2020 dall'ASUR Marche - Area Vasta n. 1 (doc. n. 17 allegato al ricorso). Ciò nonostante, la Prefettura, con il provvedimento del 16 novembre 2020 in questa sede gravato, pur prendendo atto della documentazione medica fornita dall'interessato, ha confermato il diniego, ritenendo di dover recepire il parere negativo espresso dalla competente Autorità di P.S. (documento n. 19 allegato al ricorso) in ordine alla non completa affidabilità del ricorrente all'uso delle armi. Avverso gli atti indicati in epigrafe quest'ultimo ha proposto il presente ricorso, lamentando, con due distinti motivi: - violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 39 e 43 T.U.L.P.S., eccesso di potere per travisamento del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, difetto di istruttoria e di motivazione, per non avere l'Amministrazione congruamente motivato la valutazione di inaffidabilità nei confronti del ricorrente; - violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per insufficiente e apparente motivazione, erronea valutazione dei fatti, carenza di istruttoria, ingiustizia e sproporzionalità manifesta, per avere l'Autorità provveduto al rigetto della richiesta di revoca del divieto di detenzione di armi, munizioni o altro materiale esplodente senza tenere conto dei rilievi mossi dal ricorrente e della successiva produzione documentale, con conseguente difetto di istruttoria. Le intimate Amministrazioni si sono costituite in giudizio per resistere al ricorso. 3.1. Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione. Il ricorso è fondato e va accolto. 4.1. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dalle resistenti Amministrazioni, fondata sulla considerazione che l'impugnato divieto di revoca costituirebbe un atto meramente confermativo del provvedimento di divieto di detenzione di armi adottato nel 2016 e, come tale, sarebbe insuscettibile di autonoma impugnazione. Come è noto, gli atti meramente confermativi sono quelli che, a differenza degli atti di conferma, si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell'Amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. provvedimenti di secondo grado, essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo. In pratica, l'atto meramente confermativo si caratterizza per la sola funzione di illustrare all'interessato che la questione è stata già delibata con precedente provvedimento, di cui si opera un integrale richiamo; tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell'affare nonché espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di valenza provvedimentale e, conseguentemente, insuscettibile di impugnazione. Di contro, l'atto di conferma in senso proprio è quello adottato all'esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione (Consiglio di Stato, sez. V, 28 febbraio 2022, n. 1407; sez, II, 14 gennaio 2022, n. 272). Nel caso in esame, come si evince dalla stessa parte motiva dell'atto, il diniego impugnato non può dirsi meramente confermativo del precedente, dal momento che esso è stato adottato all'esito di una rinnovata istruttoria ed è accompagnato da una nuova motivazione, quest'ultima caratterizzata anche dal richiamo per relationem di atti successivamente intervenuti. 4.2. Passando all'esame del merito, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui, in materia di detenzione e di porto di armi, l'Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell'uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità. Il porto d'armi, infatti, non costituisce oggetto di un diritto assoluto, ma rappresenta un'eccezione al normale divieto di circolare armati, potendo esso essere riconosciuto soltanto in condizioni di affidabilità sul buon uso delle armi stesse in perfetta e completa sicurezza, e quindi quando non sussistono dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l'ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività. Il giudizio che compie l'Autorità di pubblica sicurezza, proprio perché connotato da ampia discrezionalità, è sindacabile solo a fronte di vizi che afferiscano all'abnormità, alla palese contraddittorietà, all'irragionevolezza, all'illogicità, all'arbitrarietà e/o al travisamento dei fatti (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 20 maggio 2020, n. 3199; T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 30 luglio 2019, n. 425 e giurisprudenza in esse richiamata). Tuttavia, costituisce principio altrettanto pacifico quello secondo cui "l'Amministrazione, nel vagliare l'istanza del privato, deve svolgere un'istruttoria congrua ed adeguata, di cui deve dar conto in motivazione, che le consenta una valutazione complessiva del soggetto e dunque tenendo conto anche del percorso di vita del richiedente successivo agli eventuali episodi ostativi, e ciò in particolare laddove tali episodi... siano risalenti nel tempo" (cfr., Consiglio di Stato, sez. III, 20 maggio 2020, n. 3199, cit.). 4.3. Nel caso in esame, l'Amministrazione non risulta avere correttamente esercitato il potere ampiamente discrezionale attribuitole dalla legge. In particolare, dalla motivazione dell'atto emerge che la stessa ha continuato a basare il diniego sui fatti e sulle circostanze esaminati nel lontano 2016 - gli stessi fatti, peraltro, che erano stati posti a sostegno del precedente diniego opposto nel 2019 sulla prima istanza di revoca del divieto presentata dal ricorrente - nonostante in fase istruttoria l'interessato abbia fornito nuovi elementi che avrebbero dovuto essere oggetto di adeguata valutazione. In particolare, il diniego della Prefettura rinvia al giudizio di inaffidabilità espresso nel parere del Commissariato di P.S. di Fabriano di cui alla nota datata 29 luglio 2020, allegata alla nota della Questura datata 30 luglio 2020 (la quale ultima, peraltro, aveva evidenziato l'assenza di episodi di rilievo o segnalazioni ulteriori a carico dell'istante); tuttavia, detto giudizio di pericolosità richiama elementi già vagliati all'epoca dei fatti, non disponendo l'Ufficio, per sua espressa ammissione, di ulteriori elementi sul conto del ricorrente. A tale ultimo riguardo, giova evidenziare che l'assenza di nuovi elementi negativi a carico del -OMISSIS- avrebbe dovuto piuttosto costituire un fattore di valutazione favorevole al ricorrente, mentre l'Amministrazione ha ritenuto che la circostanza fosse indice di un immutato quadro fattuale e dunque della permanenza dei presupposti che avevano, a suo tempo, giustificato il divieto di detenzione di armi. 4.4. Sia dall'anzidetto parere, sia dal provvedimento di diniego che lo ha recepito, si ricava che l'Amministrazione, pur avendo acquisito ulteriori elementi istruttori, di fatto non ne ha tenuto adeguatamente conto nella determinazione finale; la Prefettura, infatti, si è limitata a confermare le conclusioni cui è giunto il Commissariato di P.S., il quale ha basato il giudizio di inaffidabilità dell'istante circa il corretto utilizzo delle armi con il generico richiamo di precedenti giurisprudenziali riferibili alla fattispecie astratta, senza considerare il percorso di vita successivo agli eventi inizialmente ritenuti ostativi. E ciò, nonostante dagli atti depositati in giudizio (in particolare, dai certificati medici e di idoneità sopra citati, rilasciati nel 2020) si ricavi l'assenza di patologie a carico del ricorrente e l'assenza di episodi degni di destare allarme e preoccupazione oltre a quello che aveva dato origine al divieto di porto d'armi. L'Amministrazione, invece, anche a fronte della richiesta di riesame di un precedente provvedimento, qualora l'interessato fornisca adeguati elementi atti a comprovare la cessazione di ogni pericolo di abuso, vieppiù rispetto a fatti risalenti nel tempo, è tenuta a riconsiderare la personalità del soggetto richiedente e a valutare la sua affidabilità, mediante la formulazione di un giudizio rapportato all'attualità, che tenga conto di tutte le circostanze sopravvenute eventualmente allegate all'istanza di riesame nonché del successivo percorso di vita dell'istante. Gli esiti di siffatte valutazioni, inoltre, devono essere esternate attraverso un adeguato corredo motivazionale. 4.5. Né alla scarna motivazione dell'atto gravato (oltre che del parere negativo del Commissariato di P.S. del luglio 2020) può sopperire la relazione istruttoria che la Prefettura ha indirizzato all'Avvocatura erariale (-OMISSIS-del 24 febbraio 2021, depositata in data 16 aprile 2021) unitamente alla pertinente documentazione, con cui l'Amministrazione, oltre ad avere più diffusamente articolato le ragioni del diniego nel tentativo di sostenere la persistente pericolosità e inaffidabilità del ricorrente, ha per la prima volta (e dunque solo in sede difensiva e non anche in sede procedimentale) contestato la valenza dei certificati medici prodotti a supporto dell'istanza di revoca. Ciò in base al consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto è ammissibile solo se effettuata mediante adozione di un autonomo provvedimento che intervenga all'esito di una rinnovata istruttoria, mentre deve ritenersi inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi, in quanto la motivazione costituisce contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 3 agosto 2021, n. 5428). E invero, pur dovendosi riconoscere l'ampio margine di valutazione discrezionale che all'Autorità di pubblica sicurezza è consentito in materia di ponderazione dei presupposti per la detenzione ed il porto delle armi, è affetto da insufficiente motivazione l'atto con il quale, rispetto alla richiesta di ritiro in autotutela di un precedente provvedimento amministrativo, non vengano adeguatamente palesati i nuovi elementi sui quali è stato basato il riesame della vicenda e, soprattutto, quali siano le ragioni che hanno indotto l'Autorità a confermare il giudizio di inaffidabilità già espresso in precedenza a carico dell'interessato (cfr., T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 10 ottobre 2013, n. 2425). 4.6. Per le suesposte ragioni, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del diniego impugnato ai fini di un riesame da parte dell'Amministrazione; quest'ultima, nella riedizione del potere, terrà conto dei principi innanzi enunciati. L'accoglimento per i sopraindicati motivi e le peculiarità della vicenda per cui è causa giustificano la compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi precisati in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: Tommaso Capitanio - Presidente FF Giovanni Ruiu - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 78 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Da. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Questura di Ancona, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Ancona, domiciliataria ex lege in Ancona, corso Mazzini, 55; per l'annullamento del provvedimento del Questore di Ancona nr. -OMISSIS-^/-OMISSIS-con il quale si dispone che il ricorrente sia sottoposto alla misura di prevenzione prevista dall'art. 2 del Decreto Legislativo nr. 159 del 6 settembre 2011; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2022 il dott. Giovanni Ruiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;   Il Questore della provincia di Ancona, con provvedimento -OMISSIS-, ha emanato nei confronti dell'odierno ricorrente un ordine di rimpatrio con foglio di via obbligatorio, con divieto di fare ritorno nel -OMISSIS-per tre anni. Egli è stato ritenuto pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica poiché annovera precedenti penali e di polizia materia di reati contro la persona, il patrimonio, porto d'armi, resistenza a pubblico ufficiale, porto d'armi, interruzione di pubblico servizio. Inoltre lo stesso è stato già sottoposto ad avviso orale e al divieto di ritorno nel -OMISSIS-. Il provvedimento è stato impugnato con il presente ricorso lamentando, con il primo motivo, che il ricorrente non rientrerebbe in alcuna delle categorie elencate dall'art. 1 d.lgs. n. 159/2011. Inoltre si deduce la violazione dell'art. 97 della Costituzione ed eccesso di potere, con particolare riguardo alle circostanze che hanno portato all'adozione del provvedimento impugnato. Con il secondo motivo si lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento, in assenza di ragioni di urgenza. Si sono costituiti il Ministero dell'Interno e la Questura di Ancona, resistendo al ricorso. Sussistendone i presupposti, all'odierna Camera di Consiglio il ricorso è stato trattenuto per la decisione ai sensi dell'art. 60 c.p.a. Considerato che: - con riguardo al secondo motivo, i provvedimenti in materia di misure di prevenzione possono prescindere dal previo coinvolgimento procedimentale del destinatario della misura, in quanto volti alla più efficace tutela dell'ordine pubblico e ad evitare la reiterazione dei comportamenti vietati (Tar Campania-Salerno 9 marzo 2016 n. 588), e nell'atto impugnato si dà atto dell'urgenza di provvedere; - il provvedimento impugnato dà conto dei comportamenti attuati dal ricorrente, i quali legittimamente possono ascriversi alle categorie descritte all'articolo 1, comma 1, lett. c) del citato d.lgs. n. 159/2011, consistenti nell'accattonaggio con disturbo delle persone, uniti alla presenza di numerosi precedenti di polizia e alla pregressa sottoposizione a misure di prevenzione; - il suo comportamento e la rilevanza dei suoi precedenti di polizia, nonché la precedente sottoposizione ad avviso orale e a un provvedimento di divieto di ritorno nel -OMISSIS- -OMISSIS-, hanno ragionevolmente indotto l'Amministrazione a ritenere che il ricorrente fosse persona pericolosa e che, quindi, fosse opportuna l'emanazione del provvedimento impugnato; - nel caso in esame non si contesta il mero accattonaggio, ma il disturbo delle persone, ulteriormente qualificato dai numerosi precedenti di polizia del ricorrente, il quale, si ripete, è già stato sottoposto a foglio di via da altro comune e a misura di prevenzione (si veda -OMISSIS-); - con riguardo alla mancata indicazione del luogo di destinazione, il ricorrente ha un indirizzo di residenza altrove e non risulta residente o domiciliato nel -OMISSIS-, non essendo sufficiente la frequentazione di una struttura -OMISSIS-, documentata in atti, a testimoniare la presenza di un legame con la città; Ritenuto pertanto di respingere presente ricorso; Ritenuto inoltre di compensare le spese processuali in ragione della natura degli interessi fatti valere. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Giuseppe Daniele - Presidente Tommaso Capitanio - Consigliere Giovanni Ruiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 493 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ca. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Ca. e Ma. Cr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Al. Mo., in Ancona, viale (...); contro Provincia di Ancona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Cl. Do., Fa. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'Avvocatura Provinciale, in Ancona, Strada (...); Provincia di Ancona - Settore IV, Area Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali, U.O. Valutazioni Ambientali, Provincia di Ancona - U.O. Pareri Tecnici Urbanistici ed Edilizi dei Procedimenti Intersettoriali, non costituiti in giudizio; nei confronti Provincia di Ancona - Area Tutela e Valorizzazione Dell'Ambiente ed altri, non costituiti in giudizio; per l'annullamento previa sospensione per quanto riguarda il ricorso introduttivo: 1) della determinazione del Dirigente del Settore IV - Area Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali - U.O. Valutazioni Ambientali della Provincia di Ancona n. 933 del 12.07.2021 recante ad oggetto: "Verifica di Assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale ex art. 19 d.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii. art. - 4 l.r. 11/2019 (screening). Comune di (omissis) - Modifica non sostanziale ai sensi dell'art. 208 del d.lgs. 152/2006 dell'autorizzazione per impianto di recupero e smaltimento rifiuti sito in via dell'industria, zona industriale (omissis), località (omissis) - Proponente: Ca. srl. Assoggettamento del progetto alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale" e allegata istruttoria tecnica, trasmessa a Ca. in data 14/07/2021 a mezzo PEC; 2) della nota prot. 24076 del 16.06.2021 della Provincia di Ancona, Area Governo del Territorio - UO Pareri Tecnici urbanistici ed edilizi dei procedimenti intersettoriali, recante contributo istruttorio nel procedimento di screening VIA, riportato in ampi stralci nella istruttoria tecnica allegata alla Determina provinciale ma non trasmesso alla ricorrente; 3) di ogni atto, parere, contributo, provvedimento comunque denominato connesso e/o collegato ai provvedimenti sopra richiamati ed emesso nel corso del procedimento, anche se non noto alla ricorrente e/o non espressamente menzionati negli atti e provvedimenti richiamati nei precedenti punti, ivi inclusi: a) la nota prot. n. 7440 del 12.02.2021 della Provincia di Ancona; b) la nota prot. n. 9698 del 1.03.2021 della Provincia di Ancona; c) la nota prot. n. 11701 del 19.03.2021 della Provincia di Ancona; d) la nota prot. n. 14340 del 8.04.2021 della Provincia di Ancona; e) la nota prot. n. 14781 del 13.04.2021 della Provincia di Ancona; f) nota prot. n. 27928 del 14.07.2021 della Provincia di Ancona di trasmissione della Determina n. 933 del 12.07.2021; g) nota prot. n. 88431 del 20.05.2021 di ASUR Marche; h) nota prot. n. 17477 del 27.05.2021 di ARPAM; i) Certificato di Assetto Territoriale rilasciato dal Comune di (omissis) prot. n. 5681 del 08.06.2021; l) nota prot. n. 21057 del 24.05.2021 dell'Area Tutela e valorizzazione dell'ambiente, rifiuti, suolo - UO Gestione dei rifiuti della Provincia di Ancona; m) comunicazione prot. n. 40827 del 4.11.2019 della Provincia di Ancona; n) Nota Tecnica 404.1 e relativa lettera di trasmissione nota prot. n. 40827 del 4.11.2019 della Provincia di Ancona; o) nota prot. n. 36894 del 5.10.2021 della Provincia di Ancona, atti qui tutti pure impugnati per quanto di ragione, anche se non noti o non espressamente richiamati; per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 13 dicembre 2021: 1) della nota prot. n. 2021/37840 del 12/10/2021 della Provincia di Ancona, recante ad oggetto "ISTANZA DI VERIFICA DI ASSOGGETTABILITÀ A VALUTAZIONE AMBIENTALE EX ART. 19 D. LGS. 152/2006 E SS.MM.II. - ART. 4 L.R. 11/2019 - MODIFICA NON SOSTANZIALE AI SENSI DELL'ART. 208 DEL D.LGS. 152/2006 DELL'AUTORIZZAZIONE PER IMPIANTO DI RECUPERO E SMALTIMENTO RIFIUTI SITO IN VIA DELL'INDUSTRIA, ZONA INDUSTRIALE (omissis), LOCALITÀ (omissis) - PROPONENTE: Ca. SRL - COMUNE DI (omissis). RISCONTRO ALLA NOTA PROT. N. 36348 DEL 30.09.2021", trasmessa ai legali del ricorrente a mezzo PEC in data 12.10.2021; 2) di ogni atto, parere, contributo, provvedimento comunque denominato connesso e/o collegato ai provvedimenti impugnati in questa sede e con il ricorso introduttivo, ivi incluse le note prot. 38053 del 14.10.2021 e prot. n. 39511 del 27.10.2021 della Provincia di Ancona di evasione della istanza di accesso agli atti di Ca. srl, inclusi tutti gli allegati alla PEC di trasmissione, atti qui tutti pure impugnati per quanto di ragione, anche se non noti o non espressamente richiamati, nonché di tutti gli atti e provvedimenti già oggetto del ricorso introduttivo. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2022 il dott. Tommaso Capitanio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La ditta Ca. S.r.l., nel ricorso introduttivo e nell'atto di motivi aggiunti, espone quanto segue. 1.1. Essa ricorrente è un'azienda che da anni opera nel settore del trattamento dei rifiuti. Nel Comune di (omissis), zona industriale (omissis), è situato uno dei suoi stabilimenti, in cui l'azienda è autorizzata ai sensi dell'art. 208 del D.Lgs. n. 152/2006 al trattamento di rifiuti pericolosi e non pericolosi. L'autorizzazione è stata rinnovata fino al 2027 con determina della Provincia di Ancona n. 161 del 7 febbraio 2017. Nel settembre 2019 la ditta aveva avviato un procedimento di valutazione preliminare ai sensi dell'art. 6, comma 9, del D.Lgs. n. 152/2006 in relazione ad un progetto di modifica non sostanziale dell'autorizzazione, conclusosi con la nota tecnica trasmessa con il foglio prot. n. 40827 del 4 novembre 2019, con cui la competente Provincia di Ancona segnalava la necessità di assoggettare il progetto a screening di V.I.A., allo scopo di approfondire una serie di aspetti ritenuti sensibili sotto il profilo ambientale. Ca. presentava una prima istanza di screening a febbraio 2021, seguita dalla nota provinciale n. 7440 del 12 febbraio 2021, recante la richiesta di integrazioni documentali, e da una seconda nota prot. n. 9698 del 1° marzo 2021, con cui si disponeva l'archiviazione del procedimento per inutile decorso del termine assegnato alla ditta per le integrazioni. 1.2. In data 10 marzo 2021 la società ha presentato una nuova istanza di verifica di assoggettabilità a V.I.A. per il suddetto progetto. Con note prot. n. 11701 del 19 marzo 2021 e prot. n. 14340 dell'8 aprile 2021 la Provincia ha chiesto ulteriori integrazioni, fornite da Ca. S.r.l. con nota inviata il 2 aprile 2021 e con il deposito dello Studio Preliminare Ambientale aggiornato. In tale ultima documentazione è stato individuato l'oggetto della istanza di modifica non sostanziale, che consiste in un aumento dei quantitativi annui dei rifiuti trattati (operazioni di recupero R3-R4-R5) inferiore al 30% della potenzialità autorizzata in sede di screening di V.I.A. effettuato nel 2012, passandosi da 67.880 tonnellate/anno a 88.200 tonnellate/anno, senza modifiche alle strutture né alla capacità di trattamento e stoccaggio giornaliera. Con nota prot. 14781 del 13 aprile 2021 la Provincia di Ancona ha avviato il procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e richiesto i contributi istruttori a tutte le amministrazioni che ha ritenuto di coinvolgere nel procedimento. Nella determinazione impugnata e nella allegata istruttoria tecnica si legge che sono stati acquisiti i seguenti contributi: nota prot. n. 88431 del 20 maggio 2021 di A.S.U.R. Marche; nota prot. n. 17477 del 27 maggio 2021 di A.R.P.A.M.; Certificato di Assetto Territoriale rilasciato dal Comune di (omissis) prot. n. 5681 dell'8 giugno 2021; nota prot. n. 21057 del 24 maggio 2021 dell'Area Tutela e Valorizzazione dell'ambiente, rifiuti, suolo - UO Gestione dei Rifiuti della stessa Provincia di Ancona; nota prot. 24076 del 16 giugno 2021 dell'Area Governo del Territorio - UO Pareri Tecnici Urbanistici della stessa Provincia di Ancona. Tali contributi istruttori non sono allegati al documento istruttorio annesso alla determinazione impugnata, ma i relativi contenuti sono ivi riportati in ampi stralci. La ricorrente ha chiesto copia di tali atti con istanza di accesso presentata in data 6 ottobre 2021, non ancora evasa alla data di notifica del ricorso (per la qual cosa la ricorrente si era riservata la proposizione di motivi aggiunti). 1.3. Alla luce dei contributi acquisiti e dell'istruttoria tecnica espletata dagli uffici interni, la Provincia ha adottato la determinazione n. 933 del 12 luglio 2021, recante l'assoggettamento a procedura di Valutazione di Impatto Ambientale di quella che è una mera modifica non sostanziale dell'autorizzazione al trattamento dei rifiuti, non comportante alcuna modifica fisica dello stabilimento. L'unica motivazione riportata nell'istruttoria tecnica che ha determinato l'assoggettamento a V.I.A. consiste nel fatto che gli elementi forniti non consentirebbero di escludere un rischio idraulico connesso all'intervento (in verità, non c'è alcun "intervento" ma solo una modifica gestionale) e dunque non sarebbe possibile escludere la presenza di potenziali impatti significativi rispetto al contesto idraulico: di qui l'esigenza di approfondimento in sede di V.I.A. Nell'istruttoria tecnica la Provincia più volte riferisce di aver chiesto un contributo anche all'Autorità di Bacino del distretto idrografico dell'Appennino Centrale e all'Autorità Idraulica della Regione Marche, senza ricevere riscontri in merito ai profili idraulici. Nell'istruttoria emergono ulteriori profili suscettibili di approfondimento (quanto alla matrice rumore e alle richieste dell'A.S.U.R.) che però non hanno concorso a fondare il giudizio conclusivo di assoggettamento a V.I.A. Successivamente alla determina n. 933, è pervenuta alla ricorrente la nota rif. prot. n. 0877048 del 15 settembre 2021 della PF Tutela del Territorio di Ancona e Gestione del Patrimonio della Regione Marche, recante la sintesi di un colloquio tra l'ufficio regionale e il tecnico di fiducia di Ca. S.r.l. Nella nota viene precisato che l'autorità idraulica non è chiamata a esprimere pareri e comunque l'intervento proposto da Ca. non comporta neanche il consumo di ulteriore suolo. Anche alla luce della nota regionale, in data 30 settembre 2021 essa ricorrente, a mezzo dei suoi legali, ha inviato alla Provincia di Ancona una istanza di riesame e di ritiro/revoca/annullamento in autotutela della determina impugnata, adducendo una serie di motivazioni di ordine giuridico e fattuale. Alla data di notifica del ricorso introduttivo la Provincia non aveva fornito riscontro alla citata istanza, anche se ha inviato alla Regione Marche e al tecnico di fiducia di essa Ca. (dott. geol. Stronati) la nota prot. n. 36894 del 5 ottobre 2021, controdeducendo rispetto ad alcuni argomenti esposti dalla Regione, invero secondari, e affermando che il mancato invio del contributo istruttorio da parte della stessa Regione avrebbe concorso alla formulazione del giudizio di assoggettamento a V.I.A. 1.4. Dopo la notifica del ricorso introduttivo, effettuata l'11 ottobre 2021, la Provincia ha adottato il provvedimento prot. n. 37840 del 12 ottobre 2021, limitandosi ad affermare che "...nel riscontrare il contenuto della nota assunta al. ns. prot. n. 36348 del 30.09.2021 (...) si conferma il contenuto della propria Determinazione n. 933 del 12.07.2021 di Assoggettamento del progetto in oggetto alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale e delle valutazioni poste a fondamento della adozione del provvedimento provinciale". Questo atto è stato impugnato con i motivi aggiunti depositati in data 13 dicembre 2021. 2. Queste le censure svolte nel ricorso introduttivo: a) violazione di legge. Violazione e falsa applicazione art. 57 e 66 del D.Lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione artt. 4 e 7 delle N.T.A. del P.A.I. Marche. Violazione e falsa applicazione par. 12 del P.R.G.R. 2015. Violazione e falsa applicazione artt. 16, 17 e 17-bis della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà, palese travisamento, carenza di motivazione, sproporzione. Con questo primo gruppo di motivi la società ricorrente evidenzia, in sintesi, che la modifica non sostanziale proposta non varia la capacità di stoccaggio istantanea, le dimensioni, la modalità e le volumetrie delle aree di stoccaggio e quindi non incide sul rischio idraulico. Più in dettaglio Ca. S.r.l. evidenzia che: - la modifica non sostanziale per cui è causa ha ad oggetto un aumento dei quantitativi annui dei rifiuti trattati (operazioni di recupero R3-R4-R5) inferiore al 30% della potenzialità autorizzata nel 2012, il che avviene semplicemente incrementando sia il numero dei giorni annui di funzionamento dell'installazione sia, soprattutto, la velocità di rotazione dei rifiuti trattati. Come descritto nello studio preliminare ambientale, non viene modificata la capacità di stoccaggio istantanea; non sarà necessario installare nuovi macchinari, né implementare nuove tipologie di lavorazione; non subiscono variazioni i quantitativi complessivi autorizzati per lo stoccaggio istantaneo dei rifiuti non pericolosi; non verrà superato il 30% del valore massimo autorizzato; l'unico cambiamento rilevante riguarda i camion in transito, per cui dagli attuali 70 camion/giorno si passerebbe a circa 80 camion/giorno. Ciò significa che la modifica non comporta una maggiore occupazione di suolo per l'aumento degli stoccaggi e per nuove strutture o macchinari, bensì solo una maggiore rotazione dei rifiuti trattati; - risulta pertanto evidente la illogicità della decisione di assoggettamento a V.I.A., la quale, a fronte di una modifica di tale portata, si fonda sull'argomento per cui "...gli elementi forniti dal proponente non consentono di escludere un rischio idraulico connesso all'intervento in oggetto...", di talché non sarebbe possibile "...escludere la presenza di potenziali impatti significativi del progetto rispetto allo specifico contesto idraulico, che pertanto necessitano di approfondimento in sede di valutazione di impatto ambientale". Questi argomenti, a cominciare dalla questione del rischio idraulico, sono però infondati, anche alla luce di precedenti atti autorizzativi adottati dalla stessa Provincia di Ancona; - infatti l'impianto in questione ricade nella (omissis) di (omissis) di (omissis), la quale, a seguito della esondazione del fiume Ne. avvenuta nel maggio 2014, è stata perimetrata a rischio idraulico R4 in sede di aggiornamento del P.A.I. adottato dall'Autorità di Bacino della Regione Marche con delibera n. 68 dell'8 agosto 2016. In pari data, con deliberazione della Giunta Regionale n. 982/2016, sono state approvate le misure di salvaguardia, valide per il triennio successivo all'adozione (con scadenza quindi l'8 settembre 2019, visto che l'aggiornamento del P.A.I. e le misure di salvaguardia sono stati pubblicati l'8 settembre 2016), le quali prevedevano l'immediata applicabilità, nelle aree di nuova perimetrazione, di alcune disposizioni delle N.T.A. del PAI, tra cui l'art. 7, che pone vincoli alla trasformazione delle aree assoggettate al medesimo rischio idraulico assegnato alla (omissis) di (omissis). In data 18 novembre 2019 la Conferenza Istituzionale Permanente di quella che nel frattempo è diventata Autorità di Bacino Distrettuale dell'Appennino Centrale (di seguito AdB) ha deliberato la definitiva adozione dell'aggiornamento del P.A.I. Tale aggiornamento, tuttavia, per acquisire efficacia, avrebbe dovuto essere approvato, ai sensi degli artt. 57, comma 1, let. a), n. 2, e 66, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza Stato-Regioni. Ad oggi, però, l'approvazione non è ancora intervenuta, per cui, in data 8 settembre 2019, hanno cessato di avere efficacia le misure di salvaguardia, e pertanto alle aree di nuova perimetrazione (come la (omissis) dove ricade l'impianto Ca.) non si applicano le N.T.A. del P.A.I., ed in particolare l'art. 7; - da ciò discendono specifici effetti anche per quanto concerne la pianificazione del ciclo dei rifiuti. Infatti il par. 12.8.1 del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti della Regione Marche approvato con deliberazione del Consiglio Regionale n. 128/2015 (P.R.G.R. 2015) assoggetta a vincolo di tutela integrale per l'insediamento di impianti di rifiuti la fascia di territorio inondabile assimilabile a piene con tempi di ritorno fino a 200 anni come identificata dall'art. 7 delle N.T.A. del P.A.I. Stante la inapplicabilità dell'art. 7 alla (omissis) di (omissis) di (omissis), è da ritenersi inefficace anche il vincolo di tutela integrale previsto dal P.R.G.R. Per le medesime ragioni, non si applica neppure la delibera del Consiglio Provinciale di Ancona n. 38 del 5 settembre 2017, attuativa dei criteri localizzativi del P.R.G.R. 2015, ove la (omissis) risulta classificata con un livello di tutela integrale (la ricorrente aggiunge che la inapplicabilità dei criteri localizzativi di cui al P.R.G.R. discende anche da un ulteriore profilo, su cui si tornerà nel prosieguo); - in ogni caso, stante il venir meno delle misure di salvaguardia e la inapplicabilità delle N.T.A. del P.A.I., l'Autorità di Bacino si è fatta carico di dettare, con nota prot. 7252 del 21 ottobre 2019, alcune indicazioni operative per il periodo successivo all'8 settembre 2019 e valide fino all'adozione del D.P.C.M. di approvazione dell'aggiornamento del P.A.I. In particolare l'Autorità ha preliminarmente richiamato il principio di precauzione, osservando come vadano comunque garantite le azioni ritenute opportune per la prevenzione del rischio, e ha dettato alcune indicazioni di metodo alle amministrazioni competenti a rilasciare titoli autorizzativi, quali: i) fornire informazioni ai soggetti che richiedono un titolo abilitativo per eseguire interventi di "trasformazione"; ii) richiedere, per ogni procedimento, un adeguato livello di approfondimento della pericolosità mediante una verifica tecnica in base alla quale le condizioni di pericolosità e rischio devono risultare almeno inalterate (tale verifica, "...elemento sostanziale" per la fattibilità degli "interventi...", "...può essere finalizzata all'individuazione di misure e di azioni in grado di rendere compatibile la prevista edificazione/trasformazione edilizia..." tramite prescrizioni); iii) richiamare il rispetto delle vigenti norme statali in materia di costruzioni. In questo modo, l'AdB ha realisticamente considerato la situazione creatasi con il venir meno delle misure di salvaguardia ed ha dettato indicazioni operative e di metodo (puntualmente rispettate dalla ditta ricorrente) che rispondono appieno al principio di precauzione. Peraltro, a ben vedere l'AdB valorizza i concetti di "intervento", "edificazione", "trasformazione edilizia", ossia fa sempre riferimento ad interventi che implicano una trasformazione materiale dello stato di fatto, il che vuol dire che tali prescrizioni, in sé anche condivisibili, non si applicano in ogni caso al progetto presentato da Ca., che consiste in una modifica non sostanziale di tipo gestionale e che dunque non comporta alcun intervento né edificazione, né trasformazione edilizia, né nuova occupazione di suolo rispetto all'autorizzato; - peraltro essa ricorrente, in sede di redazione del progetto e dello Studio Ambientale, si è attenuta alle indicazioni dell'AdB ed ha dim(omissis)to la compatibilità della modifica progettuale con il rischio idraulico, dedicandovi il cap. 3.6, in cui si evidenzia chiaramente che la variante non modifica le modalità e le volumetrie degli stoccaggi. E' stata inoltre richiamata e confermata la perizia giurata presentata nel 2016 nell'ambito del procedimento di rinnovo dell'autorizzazione culminato con la summenzionata determina provinciale n. 161 del 7 febbraio 2017, in cui, sulla base dei dati a disposizione in quel momento, si attestava la compatibilità dell'impianto Ca. rispetto allo scenario di rischio idraulico. A questo riguardo va inoltre sottolineato che nel 2016 essa ricorrente, contestualmente al rinnovo del titolo, aveva richiesto anche una modifica non sostanziale implicante l'aumento dei quantitativi massimi di rifiuti in stoccaggio, da 67.880 tonnellate/anno assentite nel 2012 a 77.130 tonnellate/anno; tale modifica, in piena vigenza delle misure di salvaguardia del P.A.I., è stata assentita dalla Provincia proprio sulla base delle risultanze della perizia giurata e della considerazione che quello di Ca. è un impianto esistente. E anche in quella sede, peraltro, Autorità di Bacino e Regione Marche erano state interpellate ed avevano espressamente escluso di dover fornire qualsivoglia parere in quanto non previsto dalla normativa di riferimento. Ciò che rileva, dunque, è che nel 2017 la Provincia ha assentito il rinnovo e l'aumento della capacità di stoccaggio dell'impianto senza alcun problema e senza neppure assoggettare la variante a screening di V.I.A.; - ma poiché la odierna modifica non comporta alcuna variazione impiantistica e di stoccaggio rilevante per la capacità di invaso, le valutazioni espresse nella perizia giurata valgono tutt'oggi a confermare la compatibilità idraulica dell'intervento. In più lo Studio Ambientale presentato nell'ambito del presente procedimento ha fornito alla Provincia ulteriori elementi atti a fugare eventuali dubbi residui in merito al rischio idraulico, ossia informazioni in merito agli interventi di manutenzione straordinaria del torrente Ne. approvati dalla Regione Marche con decreto n. 185 del 1° dicembre 2020 ed avviati a febbraio 2021. In particolare, alle pagg. 65 e 66 viene illustrato lo scenario esondativo che le modellazioni idrauliche prevedono una volta che i suddetti interventi saranno ultimati; tali studi m(omissis)no che anche negli scenari esondativi più gravosi l'area su cui insiste l'impianto Ca. non verrà interessata dalle onde di piena. Nel frattempo, ovviamente, i lavori sono proseguiti e, alla data di notifica del ricorso, erano vicini alla conclusione; - per quanto sopra, può sicuramente concludersi nel senso che essa ricorrente, ancorché ciò non fosse dovuto, ha pienamente adempiuto alle prescrizioni transitorie emanate dall'AdB nelle more dell'entrata in vigore dell'aggiornamento del P.A.I., depositando un elaborato tecnico da cui emerge la non alterazione delle condizioni di rischio idraulico e tanto bastava ai fini delle valutazioni che l'amministrazione provinciale era chiamata a svolgere ai fini della favorevole conclusione del procedimento di screening; - la Provincia, al contrario, non ha ritenuto tali documenti sufficienti ad escludere un rischio idraulico connesso all'intervento proposto. Peraltro, evidenzia la ricorrente, il convincimento della Provincia era in qualche modo già preannunciato, visto che sin dalla verifica preliminare avviata nel 2019 l'amministrazione aveva sempre menzionato il rischio idraulico, e ciò nonostante i plurimi approfondimenti ed elementi forniti da Ca. nel corso delle varie fasi del procedimento. In particolare, nello Studio ambientale depositato ad aprile 2021, Ca. ha risposto punto per punto alle osservazioni formulate dalla Provincia nella nota del 12 febbraio 2021, ma nel provvedimento impugnato si afferma che "...da un punto di vista formale si è risposto a tutti i quesiti posti nelle ns. precedenti osservazioni, ma rimangono tuttavia inalterate le perplessità relative alla fattibilità dell'intervento sia in merito alle compatibilità del progetto con i criteri localizzativi del Piano di Gestione Rifiuti Regionale che con le previsioni del PAI...". La Provincia, però, non indica mai le motivazioni per cui tali "perplessità " (non meglio identificate) non sarebbero superate né quali sarebbero gli elementi che potrebbero far ritenere sussistente una qualche criticità . Da questo punto di vista, la motivazione è palesemente generica e carente, dunque insufficiente a sorreggere la decisione di assoggettamento a V.I.A.; - il provvedimento, inoltre, viola il principio di proporzionalità, perché, a fronte di un rischio puramente teorico, non vengono addotti elementi oggettivi che contraddicano la "seria verifica" richiesta dall'AdB e incontestatamente svolta da Ca.. A tal riguardo non è certo sufficiente la considerazione per cui, aumentando la capacità di stoccaggio annua e la potenzialità giornaliera di recupero, la modifica "...va sicuramente a incidere sulla capacità di invaso del corso d'acqua in quanto aumenta la probabilità che il sito, in un determinato lasso di tempo, possa risultare occupato sempre con la massima capacità di stoccaggio prevista". Tale affermazione, infatti, è in primo luogo generica e apodittica, giacché non viene dim(omissis)to perché l'eventuale occupazione più frequente con la massima capacità di stoccaggio prevista possa costituire un aggravio del rischio idraulico rispetto allo stato attuale. In secondo luogo, essa è il frutto di una lettura travisata del progetto presentato dal proponente e non tiene conto (né peraltro smentisce) di quanto lo stesso proponente dichiara nello Studio Preliminare Ambientale, in particolare che: i) "l'aumento della potenzialità di recupero giornaliera, comunque contenuta entro il 30% del valore massimo autorizzato, non modifica le modalità e le volumetrie degli stoccaggi che permangono invariati e rispondenti all'attestazione contenuta nella perizia giurata sopra citata" (pag. 61); ii) "la capacità di stoccaggio istantaneo di ciascuna tipologia di rifiuti non viene modificata, ma l'aumento dello stoccaggio annuale deriva esclusivamente dal massimo sfruttamento del rendimento degli impianti esistenti" (sempre a pag. 61); iii) "ad oggi il numero di mezzi pesanti addetti al trasporto dei rifiuti è di 70 camion/giorno in entrata/uscita (...), mentre nello scenario futuro si prevede il transito di circa 80 camion/giorno" (a pag. 3). Se modalità e volumetrie degli stoccaggi restano invariate e sono irrilevanti per il rischio idraulico (come dim(omissis)to dal fatto che in occasione del precedente rinnovo dell'autorizzazione la Provincia non ha sollevato alcuna obiezione rispetto ai dati emergenti dalla perizia giurata prodotta da Ca.) non si vede come l'aumento della frequenza di stoccaggio possa assumere rilevanza con riguardo a tale rischio; - ma anche dal punto di vista sostanziale la preoccupazione della Provincia è infondata. Infatti quel che rileva ai fini del rischio idraulico è se e quanti ostacoli trova l'acqua nel suo deflusso, per cui l'unico dato a tal fine rilevante è la capacità di stoccaggio istantanea dell'impianto, cioè quanto spazio fisico è occupato momento per momento, mentre la frequenza di occupazione è del tutto indifferente a fini idraulici. Ebbene, come il proponente ha chiarito in più occasioni, la capacità di stoccaggio istantanea resta invariata, così come restano invariati la potenzialità oraria di lavorazione dei macchinari e il volume (quindi l'ingombro) degli stoccaggi. Quella che varia è solo la rotazione nella produzione, tanto che si prevede un aumento del numero di camion che trasportano rifiuti in entrata e in uscita dallo stabilimento (fattore neutro rispetto al profilo idraulico, giacché è evidente che i camion non costituiscono ostacolo all'eventuale deflusso delle acque, essendo muniti di ruote di dimensioni ragguardevoli). In sostanza, aumenta la rotazione dei rifiuti in ciascuna ora, ma non il loro stoccaggio (se fosse un'azienda produttiva, si parlerebbe di magazzino). Come si vede, si tratta di un fatto completamente neutro in relazione alle valutazioni sul rischio idraulico. La Provincia, invece, continua a fraintendere la natura della modifica, ritenendo che l'aumento della potenzialità comporti un maggiore stoccaggio e quindi più ostacoli fisici al deflusso delle acque; - ma se le precedenti considerazioni sono corrette, ne discende altresì l'inutilità pratica della V.I.A., in quanto il proponente non potrebbe proporre alcuna misura di mitigazione del rischio, considerato che non vengono variati in alcun modo gli ingombri che potrebbero costituire ostacolo al deflusso delle acque; - altro profilo di illegittimità del provvedimento impugnato risiede nel fatto che la Provincia non ha attribuito alcuna rilevanza all'ampia descrizione che il proponente ha svolto nello Studio Ambientale degli interventi in corso sull'argine del fiume Ne., che producono un oggettivo miglioramento idraulico dell'intera zona. La Provincia, infatti, che nella nota del 12 febbraio 2021 affermava di non avere notizie in merito alla tempistica di tali interventi, nel provvedimento impugnato valuta poi non sufficienti le informazioni fornite dal proponente né ritiene possibile confidare sulla futura realizzazione di tali interventi. In parte qua l'operato dell'amministrazione è illegittimo sia perché la Provincia non smentisce le modellazioni prospettate da Ca. nello Studio Ambientale (le quali, come detto, dim(omissis)no che, una volta eseguiti i lavori, anche in caso di un'onda di piena come quella del 2014, l'area su cui insiste l'impianto non sarebbe raggiunta dall'acqua), sia perché non ha tenuto conto che alla data di adozione della determina n. 933 i lavori erano in corso e sarebbero stati ultimati entro pochi mesi (come è poi in effetti accaduto), e sia perché non ha svolto un'autonoma istruttoria al riguardo, disponendo, anzi, l'assoggettamento a V.I.A. anche in ragione della opportunità di acquisire il contributo dell'autorità idraulica regionale sulla tempistica di realizzazione di tali interventi. A quest'ultimo riguardo Ca. evidenzia che una tale richiesta, ritenuta decisiva, non è mai stata formulata dalla Provincia alla Regione Marche in questi termini, giacché nella nota di avvio del procedimento (prot. n. 14781 del 13 aprile 2021) si limitava a chiedere "...gli apporti istruttori di competenza...", senza ulteriori specificazioni. E non a caso la Regione, non essendo chiamata a esprimersi da nessuna norma di legge, non ha fornito alcun contributo, e questo anche perché da un lato già lo Studio Ambientale di Ca. conteneva le informazioni sufficienti sui lavori sul torrente Ne., dall'altro, come evidenziato nella stessa nota regionale del 15 settembre 2021, "...nel caso specifico non vi è neanche uso di ulteriore suolo rispetto allo stato già autorizzato.... e non sono previsti interventi..."; - tutti questi elementi sono stati però minimizzati dalla Provincia, la quale afferma che le opere eseguite sul fiume Ne. non sono mitigazioni dirette dell'intervento proposto da Ca. e che esse peraltro sembrerebbero superare la proposta iniziale di mitigazione del rischio idraulico avanzata dal Comune di (omissis) con la deliberazione consiliare n. 29 del 6 giugno 2018. Tali osservazioni non sono pertinenti, sia perché il rafforzamento degli argini costituisce un oggettivo miglioramento idraulico dell'intera (omissis) (per cui si tratta di un elemento che andava comunque considerato in sede istruttoria), sia perché non si vede quale altro intervento il proponente avrebbe potuto realizzare in relazione ad una modifica meramente gestionale e non "fisica". Ma in ogni caso, già in sede di screening la Provincia avrebbe potuto prescrivere le misure mitigative e le condizioni gestionali ritenute idonee a ridurre il presunto rischio idraulico; - inoltre, il provvedimento impugnato attribuisce una rilevanza aprioristica alla perimetrazione della (omissis) operata in sede di aggiornamento del P.A.I., svincolata dall'effettivo contenuto della modifica e dalle risultanze delle verifiche effettuate dalla ricorrente. In questo modo la Provincia, pur non facendo formalmente applicazione delle misure di salvaguardia e dei vincoli del P.R.G.R., nella sostanza attribuisce al rischio idraulico il medesimo effetto ostativo automatico che discenderebbe dalla applicazione di dette disposizioni (che peraltro non sarebbero neppure ostative). Questa conclusione emerge nella parte dell'istruttoria tecnica, dove: i) viene evidenziato che l'area a rischio idraulico ricadente nel campo di applicazione dell'art. 7 delle N.T.A. del P.A.I. comporta un livello di tutela integrale ai sensi del P.R.G.R. 2015, il che osta sia alla realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti sia all'ampliamento e alla modifica sostanziale degli impianti esistenti (pag. 16, ove è riportato il contributo dell'Area Governo del Territorio della Provincia); ii) viene specificato che "...l'art. 7 delle NTA del PAI non consente in tali aree nessun nuovo intervento che comporti l'occupazione temporanea di materiali qualificabili come rifiuti..." e che "...si ritiene che la particolare procedura prevista dalla lett. e), c. 6 dell'art. 7 NTA del PAI non può essere estesa al presente procedimento..." (pag. 19, nella citazione del contributo dell'Area Governo del Territorio e pag. 21 nelle valutazioni dell'Autorità competente); iii) si legge che il progetto non contiene indicazione degli interventi volti a mitigare gli impatti generati dall'impianto da realizzare, così come previsto dal par. 12.5 del P.R.G.R., e che sussisterebbe la necessità di acquisire maggiore conoscenza dall'AdB "...in merito all'eventuale successiva eliminazione e/o modifica parziale del perimetro dell'area a rischio idraulico in questione a seguito della realizzazione..." dei lavori di miglioramento del rischio idraulico approvati dalla Regione Marche (pag. 20, nel medesimo contributo dell'Area di Governo del Territorio e pag. 23-24 nelle valutazioni dell'Autorità competente). Tali considerazioni si fondano su una lettura sviata del P.A.I. e del P.R.G.R. 2015, oltre che su un palese travisamento. Infatti, la circostanza per cui la Provincia ritiene che la partecipazione dell'AdB alla fase istruttoria sia decisiva al fine di conoscere le determinazioni che la stessa Autorità assumerà in merito alla eliminazione/modifica del perimetro di rischio idraulico (e la mancanza del relativo contributo istruttorio ha costituito una delle principali ragioni che hanno determinato l'assoggettamento a V.I.A., come riferisce la Provincia nella nota prot. n. 36894 del 5 ottobre 2021) conferma che, in realtà, l'amministrazione intimata considera l'intervento di Ca. incompatibile con l'attuale perimetrazione della zona con rischio idraulico 4, e questo nonostante ad oggi le N.T.A. del P.A.I. siano inapplicabili per avvenuta decadenza delle misure di salvaguardia adottate nel 2016. La non applicabilità dei vincoli del P.A.I. (e dei conseguenti criteri localizzativi del P.R.G.R. 2015) implicava dunque che la Provincia verificasse in concreto se il progetto proposto comporti o meno un aggravio dal punto di vista idraulico; - è invece palesemente errato il richiamo al par. 12.5 del P.R.G.R., visto che esso disciplina l'ipotesi del rinnovo dell'autorizzazione di impianti esistenti, fattispecie differente dalla presente che consiste in un aumento della potenzialità di trattamento. Inoltre il par. 12.5. si applica solo nelle aree in cui è esclusa la localizzazione di impianti di rifiuti, esclusione che non sussiste nel caso di specie stante la inapplicabilità dei criteri localizzativi del P.R.G.R. 2015 (la quale, a sua volta, discende dall'inapplicabilità dell'art. 7 delle N.T.A. del P.A.I.). In ogni caso i criteri localizzativi del PRGR 2015 non sono applicabili in ragione della non sostanzialità della modifica, riconosciuta dalla stessa Provincia nel provvedimento impugnato; - a identiche conclusioni si perviene anche laddove si volessero per ipotesi ritenere applicabili le N.T.A. del P.A.I. Infatti, e ribadito che la modifica proposta da essa ricorrente non varia la consistenza edilizia dell'impianto né implica l'installazione di ulteriori macchinari, l'art. 7 delle N.T.A. del P.A.I. si applica solo alle nuove occupazioni, giacché il precedente art. 4 delle stesse N.T.A. esclude l'applicazione dell'art. 7 agli interventi già autorizzati ed eseguiti (come è per l'impianto di Ca.); - tale travisamento ha portato la Provincia a conclusioni errate e contraddittorie anche nella valutazione della documentazione prodotta dalla società, laddove ad esempio non si è data alcuna rilevanza alla perizia giurata depositata da Ca., ritenendo che la procedura prevista dall'art. 7, comma 6, let. e), delle N.T.A. del P.A.I. sia inapplicabile perché essa riguarda solo le attività preesistenti già autorizzate. In parte qua, infatti, emerge la palese contraddittorietà rispetto all'autorizzazione rilasciata con la determina n. 161/2017, con cui la Provincia ha accordato non sono il rinnovo dell'autorizzazione ma anche l'aumento dei quantitativi in stoccaggio proprio facendo espressa applicazione della procedura prevista dall'art. 7, comma 6, let. e), delle N.T.A. del P.A.I. L'unica giustificazione legittima per non applicare oggi tale procedura è il venir meno (per l'intervenuta decadenza delle misure di salvaguardia) del vincolo di cui all'art. 7 delle N.T.A., il che significa però che la compatibilità idraulica poteva essere verificata senza limitazioni formali o procedurali, e dunque anche basandosi sulla perizia giurata prodotta nel 2016, giacché l'attività di Ca. è tuttora un'attività preesistente rispetto all'aggiornamento del P.A.I. e regolarmente autorizzata e il profilo che maggiormente assume rilievo ai fini della capacità di invaso, cioè essenzialmente l'occupazione di suolo, non subisce alcuna variazione rispetto a quanto già autorizzato. Per questo la perizia giurata assume grande rilevanza, in quanto essa dim(omissis) che l'occupazione di suolo derivante dall'attività non reca danni sotto il profilo idraulico, non solo perché, contrariamente a quanto ritenuto dalla Provincia, rientra nel paradigma previsto dall'art. 7, comma 6, let. e), delle N.T.A. del P.A.I., ma soprattutto perché fornisce elementi tecnici utili a dim(omissis)re la non rilevanza della modifica proposta sotto il profilo idraulico; - un ultimo profilo di illegittimità dell'operato provinciale consiste nel travisamento in ordine ai contributi istruttori richiesti all'Autorità di Bacino e all'autorità idraulica regionale per verificare la compatibilità idraulica del progetto. Infatti, come ha correttamente evidenziato la Regione nella nota del 15 settembre 2021, queste due autorità non sono chiamate a esprimere pareri obbligatori nel procedimento in esame, in quanto la modifica richiesta non è soggetta a vincoli derivanti dalle N.T.A. del P.A.I. Non vi era dunque alcun parere obbligatorio da acquisire (ma al più contributi istruttori "volontari"), il che è confermato peraltro da quanto accaduto in occasione del rinnovo dell'autorizzazione richiesto da Ca. nel 2017. Infatti anche in quel caso, e pur essendo all'epoca vigenti le misure di salvaguardia, sia la Regione che l'AdB avevano espresso il medesimo concetto e si erano astenute per identici motivi dal formulare pareri. Ad ogni modo, a fronte del silenzio delle due amministrazioni, la Provincia avrebbe dovuto applicare le disposizioni degli artt. 16, 17 e 17-bis della L. n. 241/1990, per cui, anche se i pareri in questione fossero stati ritenuti obbligatori, decorsi i termini assegnati essi dovevano darsi per acquisiti in senso favorevole (visto che la Regione aveva già evidenziato che "...nel caso specifico non vi è neanche uso di ulteriore suolo rispetto allo stato già autorizzato.... e non sono previsti interventi"); b) violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell'art. 19 D.Lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, carenza di motivazione, indeterminatezza, sproporzione, sviamento. Con questo secondo gruppo di censure Ca. evidenzia che l'assoggettamento a V.I.A. del progetto è contraddittorio con le precedenti autorizzazioni e sproporzionato per il fine perseguito, violando il divieto di aggravio procedimentale. Tale convincimento discende dalle seguenti considerazioni: - la Provincia afferma che non sarebbero state superate le perplessità inerenti la compatibilità del progetto con i criteri localizzativi previsti dal P.R.G.R., dimenticando però che l'U.O. Gestione dei rifiuti della medesima Provincia ha affermato che nel caso di specie tali criteri localizzativi non si applicano perché la modifica non è sostanziale ai sensi dello stesso P.R.G.R. e che non vi erano particolari osservazioni in merito agli altri aspetti illustrati nello Studio Preliminare; - la Provincia, inoltre, non ha considerato i precedenti atti autorizzativi rilasciati per il medesimo impianto, adottati peraltro in un momento in cui erano in vigore le misure di salvaguardia del P.A.I. Al riguardo, oltre alla citata determina n. 161/2017, rilevano in particolare le autorizzazioni n. 9/2018 e n. 24/2019, quest'ultima avente ad oggetto la ricollocazione delle aree di stoccaggio e quindi, a differenza di quella odierna, comunque incidente sull'occupazione fisica di spazi diversi rispetto a quelli autorizzati in precedenza. In quei casi non sorte le perplessità che solo oggi, ed in maniera immotivata, sono state opposte per disporre l'assoggettamento del progetto a V.I.A.; - il provvedimento impugnato è illegittimo anche per indeterminatezza, in quanto, non essendo stati indicati specifici profili da approfondire, è impedito al proponente di predisporre lo Studio Ambientale necessario per la V.I.A.; - la scelta di assoggettare il progetto a V.I.A. è in contrasto con l'art. 19, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006, il quale, nella versione vigente ratione temporis, prevede che per particolari ragioni istruttorie l'autorità competente possa prorogare il termine di conclusione del procedimento ed eventualmente chiedere chiarimenti e integrazioni al proponente "...finalizzati alla non assoggettabilità del progetto al procedimento di VIA...". Pertanto, sebbene il legislatore abbia ritenuto di introdurre anche in subiecta materia termini procedimentali più stringenti, ciò non preclude all'amministrazione competente di richiedere i chiarimenti e le integrazioni idonei ad evitare il più oneroso procedimento di valutazione di impatto ambientale. Nella specie, peraltro, la Provincia avrebbe dovuto attivare anche i suoi poteri officiosi, avendo ritenuto necessari i contributi istruttori di altre pubbliche amministrazioni (Regione e AdB); - lo svolgimento della V.I.A. costituisce per essa ricorrente un enorme quanto inutile aggravio gestionale ed economico, visto che entro il 15 novembre 2021 si prevede di esaurire la capacità annuale di trattamento (dal che deriverebbero il blocco dell'attività aziendale e la interruzione del conferimento dei rifiuti provenienti dal bacino territoriale di riferimento); - in realtà, e a ben vedere, l'argomento di fondo usato dalla Provincia per assoggettare la modifica progettuale a V.I.A. (ossia che "...gli elementi forniti dal proponente non consentono di escludere un rischio idraulico connesso all'intervento in oggetto"), alla luce dello sviluppo del procedimento, delle obiezioni mosse di volta in volta nonostante i plurimi documenti e argomenti esposti da Ca. e dell'indeterminatezza dell'obiezione formulata, prelude ad diniego di carattere sostanziale all'autorizzazione della modifica progettuale in sé, manifestata però sotto l'apparenza di un atto di carattere procedimentale (assoggettamento a V.I.A.). Sotto questo profilo viene dunque in rilievo uno sviamento di potere. 2.1. Nell'atto di motivi aggiunti da un lato vengono sostanzialmente reiterate le censure dedotte nel mezzo introduttivo (con l'aggiunta di un ulteriore argomento tratto da giurisprudenza sopravvenuta), dall'altro lato viene dedotta l'illegittimità derivata della nota prot. n. 37840 del 12 ottobre 2021, la quale viene altresì censurata in ragione della sua natura meramente confermativa della determinazione n. 933 (nonostante la ricorrente, nell'istanza di riesame, avesse introdotto argomenti che la Provincia era tenuta ad esaminare ed eventualmente confutare nel merito). L'argomento nuovo introdotto nell'atto di motivi aggiunti si fonda sulla recente sentenza del Consiglio di Stato, n. 7408/2021, relativa anch'essa ad un impianto di trattamento di rifiuti, in cui si afferma che l'amministrazione competente deve concludere il procedimento di screening tenendo conto dei criteri di cui all'allegato V alla Parte Seconda del T.U. n. 152/2006, laddove si prevede che ogni progetto sia valutato in base alle sue caratteristiche, alla localizzazione e alla tipologia di impatti che esso è idoneo a produrre. Ebbene, trasportando tali principi al caso in esame, la ricorrente evidenzia che: - nella determina n. 933/2021 la Provincia ha fatto riferimento ai predetti criteri attingendo all'allegato C della L.R. n. 11/2019 (che in parte qua recepisce la norma statale), giungendo a ritenere rilevante ai fini dell'assoggettamento a V.I.A. il solo profilo del rischio idraulico; - essa ricorrente, nell'istanza di riesame, ha contestato le conclusioni della Provincia ed in particolare le valutazioni sul rischio idraulico, con argomenti poi sviluppati come censure nel ricorso introduttivo; - ciononostante, nel provvedimento di riesame non viene svolta alcuna valutazione in merito né vengono presi in esame gli argomenti di Ca. in rapporto ai criteri di assoggettabilità a V.I.A.; - ciò da un lato avvalora le censure di indeterminatezza dei motivi che hanno portato all'assoggettamento del progetto a V.I.A. e di carenza di motivazione; dall'altro lato implica la falsa applicazione dell'allegato V del D.Lgs. n. 152/2006 (e dell'allegato C della L.R. n. 11/2019), visto che il provvedimento di riesame non contiene alcun riferimento ai citati criteri di valutazione. 3. Per resistere al ricorso e ai motivi aggiunti si è costituita in giudizio la Provincia di Ancona. Con ordinanza n. 336/2021 il Tribunale ha fissato per la trattazione del merito l'udienza pubblica del 23 febbraio 2022, all'esito della quale (e dopo ampia discussione) la causa è passata in decisione. DIRITTO 4. Il ricorso è fondato e va dunque accolto, per le seguenti ragioni. 5. Nella parte in fatto il Collegio ha volutamente riportato per esteso le dettagliate doglianze della ditta Ca. in quanto tali doglianze, riferite per lo più ad aspetti fattuali non contestati dalla Provincia, costituiscono il presupposto delle considerazioni di ordine giuridico che il Tribunale ritiene di porre a base della propria decisione. 5.1. Va però fatta una doverosa premessa, utile a sgomberare il campo da qualsiasi dubbio circa la condivisione da parte del T.A.R. dei principi fondamentali a cui si ispira la normativa sulla valutazione di impatto ambientale per come gli stessi sono declinati in giurisprudenza, ed in particolare l'assunto per cui si deve ritenere, con un'espressione colorita ma efficace, che "...nel dubbio è preferibile svolgere la procedura di V.I.A...". Tali principi sono stati del resto ribaditi da questo T.A.R., da ultimo, nella sentenza n. 642/2021, in cui, in maniera del tutto condivisibile, si chiarisce che "...questo Tribunale, conformandosi alla più recente e condivisibile giurisprudenza (si veda Cons. Stato, II n. 5379 del 17 settembre 2020) si è soffermato sulla natura del provvedimento di sottoposizione a VIA e sui limiti del sindacato del giudice. I presupposti per la VIA sono oggettivi, e riposano nel ricadere o meno di un certo progetto fra le tipologie per le quali la normativa contenuta nel D.lgs. n. 152 del 2006, o nelle leggi regionali, contempla la verifica ambientale, obbligatoriamente, ovvero facoltativamente, imponendo il legislatore la preliminare verifica di assoggettabilità (sul punto Cons. Stato. IV, 12 maggio 2014, n. 2403). Quanto detto rende evidente la peculiarità dell'autonomia del procedimento di screening, che non si conclude mai con un diniego di VIA, bensì con un giudizio di necessità di approfondimento. Il rapporto tra i due procedimenti (screening e VIA) appare configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull'ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa. La "verifica di assoggettabilità ", come positivamente normata, anticipa sostanzialmente la valutazione di impatto, delibandone l'opportunità, sulla base della ritenuta sussistenza prima facie dei relativi presupposti, "con la conseguenza che l'attività economica, libera sulla base della (omissis) Costituzione, non possa che svolgersi nel pieno rispetto delle normative di tutela ambientale" La decisione di sottoposizione a valutazione di impatto ambientale presume quindi il giudizio, solo ipotetico, di nocività per l'ambiente sotteso alla procedura di assoggettabilità . Se è vero, infatti, che essi non possono essere intesi nel senso della meccanicistica imposizione della V.I.A. ogniqualvolta insorga un -peraltro immotivato - dubbio sulla probabilità di danno all'ambiente, con ciò vanificando la portata della specifica disciplina; lo è egualmente che la logica di tutela dell'ambiente, e non certo di punizione, sottesa all'assoggettamento a VIA, non può non orientare verso la stessa in tutti i casi in cui si ritenga necessario un approfondimento progettuale ben più pregnante della mera integrazione e chiarimento richiedibile in fase di screening. Ne consegue che, in presenza di dubbi sulla sostenibilità e sull'impatto ambientale dell'intervento, l'amministrazione può cautelare la collettività e quindi, in senso più ampio, l'ambiente - non impedendo la realizzazione dell'intervento, ma semplicemente imponendo l'approfondimento dei suoi esiti mediante la sottoposizione a VIA. 1.1 Per quanto sopra, la decisione ben può conseguire a una scelta di cautela, seppur adeguatamente motivata in relazione a fattori di oggettiva pericolosità rivenienti dagli indici di cui all'Allegato V al Codice ambientale, stante che ciò implica solo il rinvio ad un più approfondito scrutinio della progettualità proposta, che dalle ragioni dello stesso non risulta comunque in alcun modo condizionata. Il sindacato del giudice amministrativo in materia, necessariamente limitato alla manifesta illogicità ed incongruità, al travisamento dei fatti o a macroscopici difetti di istruttoria o difetto di motivazione risulta ancora più limitato in riferimento alla fase di screening, connotata da una sostanziale sommarietà, e, conseguentemente, doverosamente ispirata a più rigorose esigenze di cautela: in pratica, la soglia di negatività ed incisività dell'impatto può paradossalmente essere ritenuta travalicabile con margini più ampi in sede di delibazione preliminare, proprio perché di per sé non preclusiva degli esiti della successiva VIA (Cons Stato 5379/2020 cit., Tar Marche 14 giugno 2021 nn. 481 e 482)...". 5.2. Peraltro, come sempre accade, i principi generali debbono essere calati nella concreta vicenda procedimentale, non riconoscendo l'ordinamento diritti che, per usare un'espressione che sta diventando di moda, possano essere considerati "tiranni". E allora vanno operate due puntualizzazioni utili a comprendere il senso della richiamata decisione del T.A.R., la quale, come si è visto, rimandava ad altre due coeve decisioni pubblicate il 14 giugno 2021, la n. 481 e la n. 482. Anzitutto queste tre decisioni riguardano impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (una un impianto fotovoltaico e le altre due impianti a biomasse) di nuova costruzione, i quali, dunque, erano idonei a produrre sulle matrici ambientali sensibili effetti rilevanti ma non "consolidati" (come invece accade nella specie, essendo l'impianto di Ca. già operante da anni). In particolare, nel caso deciso dalla sentenza n. 642/2021 gli effetti rilevanti afferivano all'impatto paesaggistico cumulativo con altri impianti analoghi di prevista realizzazione nel medesimo areale, di talché lo svolgimento della V.I.A. si rendeva opportuno anche in relazione al fatto che durante il procedimento avrebbero potuto essere individuate misure di mitigazione reciproca fra gli impianti de quibus. Le altre due sentenze riguardano invece vicende di cui questo Tribunale si è occupato in numerose decisioni, vicende collegate alla declaratoria di incostituzionalità, per violazione della direttiva 2011/92/UE, della L.R. n. 3/2012 (sentenza della Corte Costituzionale n. 93 del 2013), da cui era disceso l'annullamento di tutte le autorizzazioni ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 rilasciate medio tempore dalla Regione Marche in assenza di V.I.A. Come è noto, ciò ha posto il problema dell'ammissibilità della c.d. V.I.A. postuma, ritenuta possibile dalla Corte di Giustizia U.E. (si veda la sentenza 26 luglio 2017, in cause riunite C-196/19 e C-197/16, pronunciata su ordinanze di rinvio pregiudiziale di questo Tribunale). Come si può vedere, dunque, in quei casi esistevano oggettivamente i presupposti per la sottoposizione dei progetti a V.I.A., anche e soprattutto per il fatto che si trattava di impianti di nuova costruzione. Peraltro, nella sentenza n. 642/2021 il Tribunale ha avuto anche modo di osservare che i suesposti principi generali che presidiano la materia "... non possono essere intesi nel senso della meccanicistica imposizione della V.I.A. ogniqualvolta insorga un - peraltro immotivato - dubbio sulla probabilità di danno all'ambiente, con ciò vanificando la portata della specifica disciplina...", e proprio questo inciso consente all'odierno Collegio di addivenire nel caso di specie alla conclusione per cui la determina n. 933/2021 non è adeguatamente motivata dal punto di vista sostanziale e si fonda su alcuni presupposti giuridici erronei quanto agli aspetti procedimentali, di talché la pur ampia discrezionalità di cui l'amministrazione dispone in sede di screening non è stata correttamente esercitata. 6. Partendo proprio dai profili procedurali, il Tribunale osserva quanto segue. In primo luogo, è indiscutibile che, alla data di adozione del provvedimento impugnato, le misure di salvaguardia imposte dalla Giunta Regionale contestualmente all'aggiornamento del P.A.I. erano decadute da circa due anni, il che rendeva inutile il coinvolgimento nel procedimento sia dell'AdB sia dell'autorità idraulica regionale (la quale ultima ha comunque chiarito la propria posizione nella nota del 15 settembre 2021, evidenziando di non ravvisare profili di proprio specifico interesse in ragione della invarianza idraulica del progetto, il quale non dà luogo ad alcun "intervento" fisico sull'impianto). In secondo (e conseguente) luogo, il fatto che non fossero applicabili le disposizioni procedurali di cui all'art. 7 delle N.T.A. del P.AI. non significa che il proponente non potesse comprovare l'invarianza idraulica della modifica non sostanziale richiamando la perizia giurata depositata nell'ambito del procedimento di rinnovo dell'autorizzazione conclusosi con la determina n. 161/2017 (perizia di cui non è stata né eccepita né comprovata dall'amministrazione l'inattualità dal punto di vista tecnico), integrata da ulteriori modellazioni che muovono dallo scenario determinato dall'esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria degli argini del fiume Ne. (pagg. 58-67 del S.I.A., in particolare pag. 66). In terzo luogo, seppure è vero che il procedimento di screening è connotato da termini particolarmente serrati e di per sé incompatibili con lo svolgimento di approfondimenti tecnici complessi (i quali sono propri della procedura di V.I.A.), non si deve dimenticare che tali termini sono stati previsti dal legislatore soprattutto a favore del proponente, il quale, salvo casi particolarissimi, è l'unico soggetto legittimato a contestarne la violazione, sia ai fini dell'annullamento del provvedimento finale, sia, soprattutto, nell'ottica della proposizione di una domanda di risarcimento del danno da ritardo. Ma se il proponente, al fine di evitare lo svolgimento della V.I.A., si rende disponibile a fornire integrazioni anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 19, comma 6, del T.U. Ambiente, l'amministrazione non può essere "più realista del re" e chiudere forzatamente il procedimento solo perché è decorso il termine di legge. In quarto luogo, appare abbastanza singolare che una pubblica amministrazione pretenda che sia il proponente privato a fornire notizie in merito ad interventi che incidano in qualche modo sul progetto sottoposto a screening ma che siano finanziati con fondi pubblici, della stessa o di altra amministrazione. Il riferimento va ovviamente alla questione relativa ai lavori di manutenzione straordinaria degli argini del fiume Ne., che alla data di adozione del provvedimento impugnato erano in corso di esecuzione e che nelle more del giudizio sono stati ultimati. In parte qua l'operato della Provincia è davvero incomprensibile, anche in ragione del fatto che l'ente non poteva non essere a conoscenza di tali importanti lavori di mitigazione del rischio idraulico, e che, in ogni caso, era ben possibile richiedere in merito notizie e aggiornamenti al competente ufficio regionale che ha progettato e affidato i lavori de quibus. Ai sensi della L. n. 241/1990, infatti, le amministrazioni pubbliche sono tenute ad acquisire ex officio da altre P.A. documenti che queste detengono e che sono rilevanti nel procedimento, mentre al privato è addossato solo l'onere di segnalare all'autorità procedente l'esistenza di tali documenti. 7. Nel merito, invece, si possono svolgere le seguenti osservazioni. 7.1. Come ampiamente dedotto dalla ditta Ca., la modifica per cui è causa non implica anzitutto alcuna trasformazione fisica dell'impianto, né la modifica dei quantitativi di rifiuti che momento per momento stazionano nei settori adibiti allo stoccaggio temporaneo. Al riguardo va peraltro aggiunto che, mentre nel caso di modifiche fisiche dell'impianto (quali ad esempio, la costruzione di nuovi capannoni o l'ampliamento di quelli esistenti; la realizzazione di baracche di servizio o di altri manufatti analoghi; e così via) la valutazione dell'invarianza idraulica andrebbe sicuramente approfondita in sede di V.I.A., laddove le modifiche riguardassero invece solo i quantitativi di rifiuti stoccati momento per momento la conclusione non sarebbe altrettanto perentoria, visto che andrebbe comunque dim(omissis)to che i quantitativi aggiuntivi di rifiuti rivestono un'autonoma efficacia - rispetto ai quantitativi già autorizzati - nell'ostacolare il regolare deflusso delle acque esondate. Questi discorsi, peraltro, nella specie sono puramente accademici, stante il fatto che Ca. non ha previsto modifiche fisiche nei sensi dianzi chiariti. Alla luce di ciò, davvero non si comprende da cosa derivi il rischio potenziale che nell'idea della Provincia giustifica lo svolgimento della V.I.A. Peraltro, da ciò discende un ulteriore profilo di illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto, rebus sic stantibus, il proponente non saprebbe quali specifici profili idraulici sarebbero da approfondire nel S.I.A. da predisporre per la V.I.A. (se non quelli già esaminati nella perizia giurata prodotta e nello Studio Ambientale presentato in sede di screening), e né quali modifiche progettuali prevedere al fine di ridurre a zero il rischio idraulico. Questo vuol dire che in sede di V.I.A. si ripeterebbe il medesimo copione che ha caratterizzato la fase di screening, il che va contro la ratio legis che informa di sé l'art. 19 del T.U. n. 152/2006. Infatti, la V.I.A. è finalizzata a risolvere le questioni più complesse che non sono affrontabili in sede di screening, ma ciò implica per necessità logica che i due procedimenti abbiano ad oggetto livelli diversi di approfondimento progettuale, il che nella specie non accadrebbe. 7.2. Infatti, l'unico parametro che subisce una modifica è il numero di camion che giornalmente affluiranno nell'impianto di (omissis) di (omissis), ma al riguardo è agevole osservare che già in sede di screening sarebbe stato possibile per la Provincia - in un'ottica massimamente cautelativa - impartire a Ca. una prescrizione in base alla quale l'afflusso (o perfino l'avvicinamento) dei camion all'impianto deve essere bloccato ogni qualvolta la Protezione Civile o l'analoga struttura regionale diramino allerta meteo relativi a possibili esondazioni dei corsi d'acqua che interessano la zona. I camion, infatti, anche a prescindere dalle considerazioni difensive svolte sul punto dalla ricorrente, non costituiscono in ogni caso un ostacolo permanente al deflusso delle acque, visto essi non stazionano in maniera continuativa all'interno dell'impianto. 7.3. Queste considerazioni sono ovviamente rafforzate dal fatto che la stessa Provincia, nel vigore delle misure di salvaguardia del P.A.I., ha rinnovato l'autorizzazione in forza della quale Ca. esercisce l'impianto di (omissis) di (omissis) ed ha altresì approvato due successive ulteriori varianti, senza sollevare mai alcuna problematica inerente il rischio idraulico. È vero che la P.A. non deve perseverare negli errori eventualmente commessi in passato, ma questo si può affermare solo se la stessa amministrazione dia conto di tali errori, il che nella specie non è accaduto, non avendo la Provincia avanzato il benché minimo dubbio circa la legittimità delle precedenti autorizzazioni. 7.4. Peraltro, e con questo si passa ad esaminare le ricadute sostanziali dei lavori di manutenzione straordinaria del fiume Ne., dal 2014 la situazione è sicuramente migliorata, sia perché, fortunatamente, non si sono più verificati eventi alluvionali, sia perché la Regione ha finanziato le opere de quibus, le quali sono finalizzate proprio a ridurre il rischio di esondazioni del torrente. Ora, è vero che tali opere non sono specificamente finalizzate a proteggere l'impianto di Ca., ma è altrettanto vero che: - la ditta ricorrente risentirà comunque dei benefici dell'intervento eseguito a carico della finanza pubblica, il che costituisce peraltro l'essenza stessa delle opere e dei lavori pubblici, i quali sono in fondo destinati proprio a vantaggio della collettività, ed in particolare di quei soggetti che risiedono o lavorano nella zona dove viene eseguito l'intervento pubblico; - Ca., peraltro, da un lato non sarebbe legittimata a realizzare in proprio lavori di manutenzione dell'alveo fluviale (perché si tratta di aree demaniali), dall'altro lato non potrebbe essere obbligata a sostenere da sola gli oneri di un intervento che ha una finalità di interesse pubblico e quali destinatari tutte le famiglie e le imprese che risiedono e operano nella zona. 7.5. Tornando alla questione relativa alla partecipazione al procedimento dell'AdB e della Regione Marche, oltre ai profili formali evidenziati nel precedente § 6., dal punto di vista sostanziale va aggiunto che: - dall'esame degli atti di causa sembra emergere la preoccupazione della Provincia dovuta al mancato contributo istruttorio delle due autorità idrauliche, che l'amministrazione resistente ritiene recuperabile in sede di V.I.A.; - ora, in disparte il fatto che l'ordinamento prevede ben precisi meccanismi finalizzati a superare il silenzio inadempimento delle P.A. in sede procedimentali (e si tratta di meccanismi previsti proprio per evitare aggravi procedurali dovuti alla, a volte maliziosa, inerzia di una o più delle amministrazioni coinvolte nel procedimento), nella specie la mancata partecipazione è discesa da ragioni giuridiche oggettive, legate al fatto che allo stato attuale la perimetrazione della (omissis) operata in sede di aggiornamento del P.A.I. non è efficace, e dunque l'AdB, a parte le disposizioni transitorie di cui si riferisce in ricorso, non può dire altro. Lo stesso vale per l'autorità idraulica regionale, la quale ha tuttavia anche reso note alla Provincia le ragioni sostanziali per le quali la modifica per cui è causa è irrilevante dal punto di vista della valutazione del rischio idraulico. 8. Se invece si volesse ritenere, come pure adombra la ricorrente, che in realtà la Provincia ritiene la modifica contrastante tanto con l'art. 7 delle N.T.A. del P.A.I. quanto con i criteri localizzativi di cui al P.R.G.R. 2015 (e dunque non autorizzabile in ogni caso), allora lo svolgimento della V.I.A. sarebbe doppiamente inutile, visto che, da un lato Ca. non potrebbe, in sede procedimentale, opporre al riguardo alcuna ragione di ordine giuridico diversa da quelle già esposte nel presente ricorso, dall'altro lato sarebbe per la ricorrente del tutto impossibile adeguare in qualche modo il progetto (fermo restando che ciò comunque impossibile stante l'indeterminatezza dei rilievi mossi dalla Provincia nel provvedimento impugnato). In questo caso, quindi, il procedimento di screening avrebbe dovuto concludersi semmai con l'esclusione dalla V.I.A., motivato dal contrasto della modifica con i suddetti atti pianificatori. Peraltro, come risulta dal documento istruttorio allegato alla determina n. 933/2021, il contrasto con il P.R.G.R. viene solo accennato, visto che la struttura provinciale competente in materia (U.O. Gestione Rifiuti) sul punto non ha formulato osservazioni. Pertanto il Tribunale, stante il divieto di cui all'art. 34, comma 2, c.p.a., non può pronunciarsi su un potere (quello di denegare l'autorizzazione alla modifica) non ancora esercitato. 9. Per tutte queste ragioni il ricorso e i motivi aggiunti vanno accolti, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati. Le spese del giudizio si possono però eccezionalmente compensare, vista la particolarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie e compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Morri - Presidente FF Tommaso Capitanio - Consigliere, Estensore Giovanni Ruiu - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 356 del 2019, proposto da Em. St., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Di. e Fa. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Ancona, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di Ancona - Dirigente Sportello Unico Integrato - Edilizia Privata Produttiva e Commercio Patrimonio; nei confronti Ente Parco del Conero; Iv. Ba.; sul ricorso numero di registro generale 482 del 2019, proposto da Em. St., rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Di. e Fa. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Ancona, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Fr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di Ancona - Dirigente Sportello Unico Integrato - Edilizia Privata Produttiva e Commercio Patrimonio; nei confronti Ente Parco Regionale del Conero; Iv. Ba.; per l'annullamento quanto al ricorso n. 356 del 2019: del provvedimento datato 14/5/2019 prot. 76020, recante ordine di demolizione di cui alle precedenti ordinanze prot. 92875 del 13/10/2008 e prot. 70351 del 6/8/2009, con assegnazione del termine massimo di 90 giorni e con l'avvertimento che, in caso di inottemperanza, i manufatti, le aree di sedime e le aree circostanti, per una superficie fino a 10 volte l'area di sedime, verranno acquisiti al patrimonio dell'Ente Parco Regionale del Conero. quanto al ricorso n. 482 del 2019: - del provvedimento datato 23/8/2019 prot. 138461 che dichiarava improcedibile l'istanza prot. n. 114923 del 9/7/2019 rivolta ad ottemperare all'ordinanza di demolizione 14/5/2019 prot. 76020; - del provvedimento datato 26/8/2019 prot. n. 138895 che dichiarava improcedibile l'istanza prot. n. 116261 del 11/7/2019 per l'ottenimento del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Ancona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2022 il dott. Gianluca Morri; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La presente controversia trae origine da una complessa vicenda già trattata da questo Tribunale, sempre su ricorso della signora St. Em., con sentenza n. 372/2013 confermata in appello con sentenza Sez. VI, n. 2813/2019. Di tale vicenda, e per quanto qui interessa, si può sinteticamente ricordare che il padre e dante causa della ricorrente ottenne, dal Comune di Ancona, la licenza n. 40/1975 per ricostruire (come da progetto) una casa colonica in località (omissis), via (omissis) (oggi via (omissis)), di mc. 637 circa. L'intervento era subordinato alla demolizione di un limitrofo fabbricato inagibile di mc. 638 circa, originariamente destinato ad abitazione. Nell'anno 1976 l'odierna ricorrente ottenne la voltura della licenza a suo nome. Quest'ultima, intenzionata a proseguire nella costruzione del nuovo edificio ma anche a conservare l'edificio esistente, presentava, nell'anno 1977, un progetto di trasformazione di quest'ultimo da casa colonica a fienile motivato con l'esigenza di maggiori spazi accessori. Il progetto non risulta essere stato approvato dall'amministrazione comunale. Tra gli atti che seguirono risulta opportuno ricordare un'ordinanza del Sindaco datata 31/7/1980 con cui la ricorrente veniva diffidata: - a ripristinare il nuovo fabbricato autorizzato con licenza n. 40/1975 e costruito nel 1978, secondo i relativi disegni poiché realizzato con varianti abusive; - a demolire la vecchia casa colonica come previsto nel progetto autorizzato con la licenza n. 40/1975; - a demolire un manufatto prefabbricato installato in loco nel 1972 a seguito di eventi sismici per fronteggiare una situazione di emergenza ormai cessata con la costruzione del nuovo edificio. A tal fine veniva assegnato il termine di 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza. Questa non risulta essere stata tempestivamente impugnata e neppure ottemperata, come da accertamenti compiuti nell'anno 2008 su esposto dei proprietari di un edificio confinante che segnalavano una situazione di degrado. Segue, sempre nel 2008, un'istanza della ricorrente per lavori di risanamento conservativo della vecchia casa colonica; istanza tuttavia respinta con provvedimento del 10/4/2008 prot. 36346 sul rilievo che tale edificio avrebbe dovuto essere demolito a seguito della costruzione del nuovo edificio come da licenza n. 40/1975. Il diniego veniva confermato con successivo provvedimento del 13/5/2008 prot. 20910/46099. Con due ordinanze datate 13/10/2008 rispettivamente prot. 92829 e 92875 veniva disposta: - (relativamente al nuovo edificio) la demolizione di opere realizzate in difformità dalla licenza n. 40/1975 (modifica della sagoma con spostamento di superfici e volumi, modifica della distribuzione interna, modifica delle bucature, realizzazione di balcone) e la rimessione in pristino in conformità al progetto autorizzato. L'ordinanza rammentava la possibilità, qualora ne ricorressero le condizioni, di presentare istanza di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 e di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004 (prot. 92829); - la demolizione della vecchia casa colonica e del manufatto prefabbricato del 1972 poiché realizzati in assenza di permesso di costruire e in assenza dell'autorizzazione paesaggistica (prot. 92875). In data 10/12/2008 la ricorrente presentava quindi istanza di sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 per il nuovo edificio nonché, in data 11/3/2009, istanza di autorizzazione paesaggistica in sanatoria. L'istanza ex art. 36 veniva tuttavia respinta con provvedimento del 20/5/2009 prot. 45502 sulla scorta dei seguenti rilievi: - la traslazione del nuovo edificio di circa 31 mt, rispetto all'ubicazione autorizzata, costituisce variante essenziale ex art. 31 del DPR n. 380/2001; - l'intervento, con le modifiche apportate, non può essere considerato ristrutturazione edilizia ma nuova costruzione mediante demolizione e ricostruzione in altra area di sedime incompatibile con la zona, dove ricade l'immobile, disciplinata dall'art. 84.9 delle NTA; - la nuova costruzione non rispetta la disciplina in materia di distanze dai confini di proprietà e dalle strade. Con provvedimento prot. n. 29081 notificato il 3/4/2009, il Comune dichiarava l'irricevibilità ovvero l'improcedibilità alla domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica, sul rilievo che "la stessa risulta carente di tutta la documentazione necessaria per accertare la compatibilità " e perché "l'oggetto della domanda si riferisce a opere eseguite in parziale difformità mentre l'opera abusiva è da considerarsi in totale difformità ". Il nuovo edificio è stato poi oggetto di ordine di demolizione datato 5/8/2009 prot. 70351. I sopra ricordati provvedimenti, adottati dal Comune tra il 2008 e il 2009, sono stati impugnati con ricorso n. 554/2008, integrato da motivi aggiunti, che questo Tribunale ha respinto con la ricordata sentenza n. 372/2013 confermata in appello con sentenza Sez. VI, n. 2813/2019. Per quanto qui interessa possono essere ricordate le seguenti considerazioni espresse dal Giudice di appello sui singoli motivi di impugnazione: - deve ritenersi accertato che l'originaria licenza di costruzione n. 40/1975 desse titolo a costruire un nuovo immobile, ma solo in quanto l'esistente fosse demolito (paragrafo 3.1); - la necessità di demolire il preesistente vecchio fabbricato risulta comunque dall'ordinanza 31/7/1980 che deve considerarsi valida ed efficace e che costituisce fatto ormai inoppugnabile (paragrafi 3.2, 3.3 e 4); - il nuovo edificio non può essere considerato e trattato come una pertinenza del vecchio edificio non demolito (paragrafo 4); - il giudizio di non sanabilità del nuovo edificio, in base alle considerazioni precedentemente ricordate, resiste alle censure dedotte dalla ricorrente (paragrafi 6, 6.1. e 6.2); - vanno dichiarati inammissibili e comunque infondati i motivi dedotti contro il diniego di autorizzazione paesaggistica poiché l'intervento, in mancanza della demolizione più volte citata, è effettivamente creazione di nuovi volumi, e perché ai fini dell'accertamento di conformità l'epoca di imposizione del vincolo non rileva (paragrafo 7). Per dovere di completezza è altresì utile ricordare che questo Tribunale, con la ricordata sentenza n. 372/2013, aveva qualificato l'originaria licenza n. 40/1975 come intervento di ristrutturazione edilizia mediante demolizione dell'edificio esistente e ricostruzione come da progetto. L'avvenuta realizzazione di un edificio sensibilmente diverso da quello autorizzato (perché non mantiene inalterati i parametri urbanistici ed edilizi preesistenti tra cui le volumetrie dei due edifici in progetto sostanzialmente equivalenti, ovvero, come già ricordato, circa mc. 638 il vecchio e circa mc. 637 il nuovo), esula dalla nozione di ristrutturazione delizia trattandosi di nuova costruzione a tutti gli effetti previa demolizione di una costruzione preesistente. 1.1 Sulla scorta delle ricordate pronunce del giudice amministrativo, il Comune di Ancona rinnovava, con diffida datata 14/5/2019 prot. 76020, l'ordine di demolizione di cui alle precedenti ordinanze prot. 92875 del 13/10/2008 e prot. 70351 del 6/8/2009, con assegnazione del termine massimo di 90 giorni e con l'avvertimento che, in caso di inottemperanza, i manufatti, le aree di sedime e le aree circostanti, per una superficie fino a 10 volte l'area di sedime, verranno acquisiti al patrimonio dell'Ente Parco Regionale del Conero. Tale provvedimento è stato impugnato con il ricorso n. 356/2019. 1.2 Nelle more di definizione del predetto giudizio la ricorrente presentava, al Comune, due nuove istanze ovvero: - prot. n. 114923 del 9/7/2019 per ottemperare all'ordinanza del 2019 con la demolizione della vecchia casa colonica e della struttura prefabbricata posta sulla corte, con ripristino a prato dell'area di sedime di tali manufatti; - prot. n. 116261 del 11/7/2019 per l'ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 del DPR n. 380/2001, relativamente al nuovo edificio realizzato in difformità dalla licenza n. 40/1975. Sulla prima istanza il Comune si pronunciava con provvedimento del 23/8/2019 prot. 138461 rilevando la carenza del modulo regionale del procedimento SCIA e comunque evidenziando che l'ordinanza di demolizione costituisse titolo idoneo ad effettuare le opere richieste anche ai sensi della normativa in materia di beni paesaggistici. Di conseguenza l'istanza veniva dichiarata improcedibile. Sulla seconda istanza si pronunciava invece con provvedimento del 26/8/2019 prot. n. 138895 rilevando che questa non aggiungeva ulteriori elementi rispetto a quanto già valutato dal Comune con i provvedimenti oggetto del precedente contenzioso. Di conseguenza veniva anch'essa dichiarata improcedibile. Questi due ultimi provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso n. 482/2019. 1.3 In entrambi i giudizi si è sostituito il solo Comune di Ancona per controdedurre e chiederne il rigetto. 2. I ricorsi vanno previamente riuniti per connessione oggettiva e soggettiva. 3. Occorre innanzitutto trattare il ricorso n. 356/2019. 3.1 Con il primo motivo (paragrafo V dell'atto introduttivo) viene dedotta violazione dell'art. 31, comma 2, del DPR n. 380/2001, perché l'ordinanza impugnata non indica l'estensione dell'area che sarà acquisita di diritto in caso di inottemperanza. Tale omissione impedisce alla ricorrente di valutare la convenienza tra adempiere all'ordine di demolizione oppure non adempiere e lasciare che provveda il Comune acquisendo edifici ed area. Peraltro la ricorrente avrebbe intenzione di adempiere limitatamente alla vecchia casa colonica perché considerata ostacolo alla sanatoria della nuova costruzione; sanatoria che sarà quindi riproposta. La censura è infondata. Al riguardo va osservato che l'ordinanza del 14/5/2019 prot. 76020 si limita, nella sostanza, a riassegnare un termine per adempiere alle precedenti ordinanze di demolizione prot. 92875 del 13/10/2008 e prot. 70351 del 6/8/2009, dopo che queste hanno superato il vaglio giurisdizionale. A sua volta l'ordinanza prot. 92875/2008 (demolizione della casa colonica come previsto nel progetto autorizzato con licenza 40/1975 e demolizione del prefabbricato installato nel 1972) riporta dettagliatamente le indicazioni che qui si assume essere state omesse ovvero l'acquisizione (in caso di inottemperanza): dell'edificio ex casa colonica distinto al catasto foglio 156 particella 218 della superficie utile complessiva di circa mq 186; area di sedime della ex casa colonica della superficie di circa mq 100; manufatto prefabbricato della superficie utile di circa mq. 44 non censito; area di sedime dello stesso manufatto ricadente nelle particelle 138 e 139 del foglio 156. L'ordinanza prot. 70351/2009 (demolizione del nuovo edificio) reca analoghe indicazioni come segue: edificio colonico non censito al catasto costituito da piano terra e piano primo della superficie complessiva di mq 219 circa; area di sedime dello stesso edificio ricadente nella particella 137 del foglio 156 della superficie di mq 109,50 circa. L'ordinanza del 14/5/2019 prot. 76020 ha solo aggiunto il riferimento alle aree circostanti per una superficie fino a 10 volte l'area di sedime; aree che possono quindi essere facilmente determinate nella misura di mq 2535 (ovvero 100 x 10 + 44 x 10 + 109,50 x 10) o porzione inferiore se la proprietà degli intimati non raggiunge la complessiva superficie da acquisire. 3.2 Con il secondo motivo (paragrafi VI e VII del ricorso) viene dedotto eccesso di potere per illogicità intrinseca, violazione del principio di ragionevolezza, contraddittorietà estrinseca nonché violazione dell'art. 30 del D.L. n. 69/2013. In particolare la ricorrente lamenta l'ingiustizia che deriverebbe dall'adempimento dell'ordine di demolizione sia della vecchia casa colonica che di quella nuova, poiché la prima potrebbe essere conservata se venisse demolita solo la seconda quale circostanza che farebbe cadere il presupposto originario (demolizione del vecchio edificio per consentire la realizzazione del nuovo). Inoltre il Comune non ha considerato che, per effetto della normativa sopravvenuta (art. 30, comma 1, lett. a, del D.L. n. 69/2013), la costruzione della nuova casa colonica va considerata intervento di ristrutturazione anche ai fini della sanatoria. Le censure vanno disattese. Al riguardo va osservato che il Comune si è limitato a riassegnare un termine per ottemperare a precedenti ordinanze di demolizione considerate legittime dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato. Saranno poi gli intimati ad effettuare valutazioni di convenienza per conservare almeno un edificio ovvero scegliendo di demolire il nuovo per poi avanzare istanza al Comune diretta a salvaguardare il vecchio oppure (come concretamente avvenuto) decidere di demolire il vecchio e riproporre istanza di sanatoria per il nuovo sulla scorta di fatti e discipline sopravvenute. 3.3 Con il terzo motivo (paragrafi da VIII a XII del ricorso) viene dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del DPR n. 380/2001 e dell'art. 3 della Legge n. 241/1990 nonché eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. In particolare viene dedotta l'illegittimità degli ordini demolizione perché la ricorrente ha intenzione di demolire la vecchia casa colonica (come da ordinanza prot. n. 92875/2008) e di chiedere la sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 per quella nuova che oggi sarebbe possibile per le seguenti ragioni: - il nuovo edificio è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione dovendosi considerare irrilevante l'avvenuta traslazione dello stesso rispetto all'ubicazione autorizzata con la licenza n. 40/1975; - oggi il nuovo edificio rispetta le distanze dai confini per effetto di una sentenza di usucapione pronunciata dal Tribunale di Ancona (n. 15/2015 del 7/1/2015), relativa al terreno distinto al foglio 156, mappale 223, su cui insiste porzione del fabbricato (per una parte) con corte circostante (per la restante parte); - la ricorrente è imprenditrice agricola e può beneficiare delle disposizioni di cui all'art. 5 della L.r. 13/1990 disciplinante la realizzazione delle case coloniche; - la costruzione della nuova casa colonica va considerata intervento di ristrutturazione ex art. 30, comma 1, lett. a), del D.L. n. 69/2013; - a seguito dell'aggiornamento del PRG, nel febbraio 2006, l'immobile è stato censito come "Edifici e Manufatti di interesse storico e/o architettonico non coerenti con l'impianto tipologico ordinario". Anche queste censure vanno disattese per le ragioni esposte in precedenza ovvero perché non rientrava negli obblighi del Comune valutare d'ufficio le varie opzioni, a disposizione della ricorrente, per evitare la demolizione di almeno un edificio, come non era onere del Comune valutare d'ufficio l'astratta possibilità di ottenere un titolo di sanatoria al momento non richiesto. 3.4 Con il quarto motivo (paragrafo XIII del ricorso) viene dedotta violazione dell'art. 8 della L.r. n. 17/2015 perché in base a tale disciplina sopravvenuta, la diversa localizzazione del nuovo edificio non costituisce più variazione essenziale. La censura non può essere condivisa. Al riguardo va osservato che le difformità rispetto alla licenza n. 40/1975 sono state commesse in epoca anteriore e sotto altra disciplina ed inoltre non hanno riguardato solo la diversa localizzazione come ricordato nel precedente paragrafo 1. 3.5 Con il quinto e ultimo motivo (paragrafi da XIV a XVII del ricorso) viene dedotta violazione del principio di affidamento (trattandosi di abusi commessi da lungo tempo), carenza di motivazione e violazione dei principi sulla sanatoria giurisprudenziale. In particolare viene citato un caso ana di edificio realizzato su diverso mappale rispetto a quello di progetto e tale difformità non era stata considerata variante essenziale (cfr. Cons. Stato, n. 2512/2015). Anche queste censure sono infondate. Al riguardo va osservato quanto segue: - sulla pretesa violazione del legittimo affidamento maturato dalla signora Sturba si sono già pronunciati questo Tribunale (Sent. n. 372/2013, cit.) e il Consiglio di Stato (Sent. Sez. VI, n. 2813/2019, cit., paragrafo 5) affermandone l'insussistenza e l'odierno Collegio non intravede ragioni per giungere ad una diversa conclusione poiché l'ordinanza qui impugnata segue la conclusione del predetto contenzioso; - le questioni trattate dal precedente giurisprudenziale citato dalla ricorrente sono irrilevanti per il caso in esame dove le medesime questioni sono già state trattate sia in primo che in secondo grado, giungendo a conclusioni diverse e con effetto di giudicato; - in disparte il fatto che, come già ricordato, non compete all'amministrazione valutare l'astratta sanabilità di un'opera abusiva (sanatoria che deve essere richiesta dall'interessato secondo un proprio giudizio di convenienza), è sufficiente ricordare l'indirizzo ormai consolidato secondo cui l'istituto della c.d. "sanatoria giurisprudenziale" non è più attuale per contrasto con il regime della doppia conformità ex art. 36 del DPR n. 380/2001 (cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 3/3/2022 n. 1512 e giurisprudenza ivi richiamata). 3.6 Il ricorso n. 356/2019 deve conclusivamente essere respinto. 4. Va ora trattato il ricorso n. 482/2019. 4.1 Con un primo gruppo di censure si contesta il provvedimento del 23/8/2019 prot. 138461 che ha dichiarato improcedibile l'istanza di demolizione della vecchia casa colonica in ottemperanza alle ordinanze emesse dal Comune. Al riguardo viene dedotto quanto segue: - l'ordinanza prot. 76020 del 14/5/2019 non può considerarsi titolo idoneo per procedere alla demolizione della vecchia casa colonica poiché oggetto del ricorso n. 356/2019; - per la nuova casa colonica è stata invece presentata istanza di sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001 che determinava la sospensione dell'ordine di demolizione: - la demolizione di un edificio esistente non rientra nell'attività edilizia libera ma richiede quantomeno una comunicazione di inizio lavori asseverata. Le censure sono infondate. Considerato che nel ricorso n. 356/2019 non sono state adottate misure cautelari, il Collegio ritiene di condividere la posizione del Comune secondo cui l'adempimento ad un ordine di demolizione non richiede ulteriori titoli per procedere; titoli che risulterebbero peraltro in contrasto con il principio del divieto di aggravio del procedimento ex art. 1, comma 2, della Legge n. 241/1990 e che potrebbero rappresentare una facile occasione per eludere i termini assegnati e procrastinare l'adempimento attraverso successivo contenzioso. Se la ricorrente fosse veramente intenzionata a demolire la vecchia casa colonica potrebbe farlo semplicemente comunicando al Comune l'inizio dei lavori. 4.2 Con un secondo gruppo di censure si contesta il provvedimento del 26/8/2019 prot. n. 138895 che ha dichiarato improcedibile l'istanza per l'ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 del DPR n. 380/2001, relativamente al nuovo edificio realizzato in difformità dalla licenza n. 40/1975. In particolare viene dedotta violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili poiché il Comune si è limitato ad evidenziare che la nuova istanza ex art. 36 non aggiungeva ulteriori elementi rispetto a quanto già valutato con i provvedimenti oggetto del precedente contenzioso. L'amministrazione avrebbe invece dovuto prendere posizione sulle circostanze sopravvenute idonee a superare le ragioni del precedente diniego di sanatoria del 20/5/2009 prot. 45502. Oggi la nuova casa colonica può essere sanata in forza delle seguenti circostanze: - è intenzione della ricorrente demolire la precedente casa colonica riconducendo così l'intervento abusivo alla ristrutturazione e non alla nuova costruzione; - il nuovo edificio è conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della sua realizzazione dovendosi considerare irrilevante l'avvenuta traslazione dello stesso rispetto all'ubicazione autorizzata con la licenza n. 40/1975; - oggi il nuovo edificio rispetta le distanze dai confini per effetto della sentenza di usucapione pronunciata dal Tribunale di Ancona (n. 15/2015 del 7/1/2015), relativa al terreno distinto al foglio 156, mappale 223, su cui insiste porzione del manufatto (per una parte) con corte circostante (per la restante parte); - la costruzione della nuova casa colonica va considerata intervento di ristrutturazione ex art. 30, comma 1, lett. a), del D.L. n. 69/2013. Anche queste ultime censure vanno disattese. Si può convenire, con la ricorrente, sul fatto che il Comune si sia limitato ad asserire sbrigativamente che la nuova istanza non aggiungeva elementi ulteriori rispetto a quelli valutati in precedenza, mentre invece nuovi elementi sussistono. Questi, tuttavia, riguardano solo l'eventuale conformità edilizia ed urbanistica alla data della nuova domanda. La ricorrente non ha però fornito elementi idonei per accertare che sussistesse la piena conformità anche alla data dell'abuso (anno 1978). Al riguardo va osservato quanto segue: - anche demolendo il precedente edificio, quello nuovo risulta essere stato realizzato con volumetria superiore rispetto a quella autorizzata come riconosce la stessa parte ricorrente pur sminuendone la rilevanza (cfr. relazione tecnica allegata all'istanza di sanatoria in cui si legge che la volumetria assentita era di mc 637,60 mentre lo stato attuale è di mc 682,57, quindi con un incremento volumetrico di mc 44,97 che corrisponde al 7,05%); - come già ricordato nel precedente paragrafo 1, questo Tribunale, con la sentenza n. 372/2013, aveva ricondotto l'abuso alla nuova costruzione essendo stato realizzato un edificio sensibilmente diverso da quello autorizzato (perché non mantiene inalterati i parametri urbanistici ed edilizi preesistenti tra cui le volumetrie dei due edifici in progetto sostanzialmente equivalenti, ovvero, circa mc. 638 il vecchio e circa mc. 637 il nuovo); - l'avvenuta acquisizione di ulteriore terreno, per effetto della sentenza di usucapione, conferma che, alla data dell'abuso, non erano quantomeno rispettate le distanze dai confini (il Comune contestava anche la violazione della distanza dalla strada che ancora oggi non sarebbe rispettata per 45 cm come riportato nella citata relazione tecnica di parte). In tale sentenza si legge infatti che la ricorrente ha occupato l'ulteriore terreno in forza di una scrittura privata del 18/6/1976 sulla quale però è stata rilevata una sottoscrizione apocrifa da parte di un allora comproprietario, con conseguente rigetto della prima e principale domanda (acquisto per atto di vendita). È stata invece accolta la domanda subordinata di acquisto a titolo originario per usucapione che, nel 1978 (data dell'abuso), non si era ovviamente ancora formato per carenza del possesso ultraventennale. In disparte la considerazione delle ulteriori difformità (ad. es. la modifica della sagoma e dei prospetti anche con l'inserimento di un terrazzo non originariamente previsto), le predette circostanze sono comunque sufficienti per escludere il requisito della doppia conformità . 4.3 Va conclusivamente respinto anche il ricorso n. 482/2019. 5. Le spese di giudizio possono comunque essere compensate per ragioni equitative. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, li respinge entrambi. Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall'Autorità amministrativa ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Gianluca Morri - Presidente FF, Estensore Tommaso Capitanio - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 552 del 2020, proposto da Unione Montana dei Monti Azzurri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Marche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lu. Di Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l'Avvocatura regionale, piazza (...), 23; nei confronti Consorzio di Bonifica delle Marche e Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per l'annullamento del decreto del dirigente della Regione Marche n. 91 del 14.09.2020, nonché delle comunicazioni di esito istruttorio con cui venivano ammesse le domande di aiuto con esclusione di alcune spese, delle comunicazioni di esito della graduatoria e di ogni altro atto connesso, dipendente e/o presupposto, ivi compresa la pec della Regione Marche del 12.05.2020; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Marche; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 novembre 2021 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO 1. Con deliberazione n. 97 del 7 dicembre 2017, l'Unione Montana dei Monti Azzurri approvava una convenzione con il Consorzio di Bonifica delle Marche, per le finalità di cui alla legge regionale n. 13 del 2013, avente ad oggetto l'incarico per la progettazione, l'appalto e la direzione dei lavori relativi alla viabilità secondaria (o cosiddetta vicinale) nel territorio di competenza dell'Unione. Con atto del dicembre 2018, quindi, quest'ultima delegava al Consorzio le funzioni per le attività di progettazione, esecuzione, ammodernamento e adeguamento delle infrastrutture viarie a servizio delle aree rurali dei Comuni dell'Unione, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettere h) e i), della citata legge regionale. Con la delega venivano definiti i reciproci impegni e, in particolare, veniva pattuito il corrispettivo che sarebbe stato riconosciuto al Consorzio (art. 6). Con decreto n. 165 del 13 aprile 2019, la Regione Marche pubblicava il bando relativo alla sottomisura 4.3. Operazione a) del PSR Marche 2014-2020, "Sostegno a investimenti nell'infrastruttura necessaria allo sviluppo, all'ammodernamento e all'adeguamento dell'agricoltura e della silvicoltura-viabilità rurale", con lo scopo di realizzare investimenti per sostenere il miglioramento e il potenziamento delle infrastrutture di accesso ai terreni e a servizio delle imprese agricole nell'area colpita dal sisma 2016. Al bando partecipava l'Unione Montana ricorrente con la presentazione di trentanove differenti domande, ciascuna riferibile ad un autonomo progetto, di cui solo trentasei sono state ritenute ammissibili, con esclusione, però, per ciascuna di esse, delle spese generali fissate nel limite del 12% (con la motivazione che "il soggetto richiedente ha affidato la progettazione, la direzione lavori, il collaudo degli interventi richiesti in domanda ricorrendo ad una forma esclusa dall'ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs 50/2016 (identificata con la Check list di autovalutazione AGEA allegata alla domanda come convenzione tra enti di cui all'art. 5 comma 6, del d.lgs 50/2016) mentre il bando ne richiedeva specificatamente l'applicazione (punto 8 del par. 5.1.1 del bando). Peraltro alcuni elementi richiamati nella convenzione per delega, allegata alla domanda, evidenziano una natura di accordo non in linea con i requisiti previsti per gli affidamenti ai sensi dell'art. 5 comma 6, del d.lgs 50/2016 e delle relative delibere ANAC che intervengono sull'argomento (delibera del Consiglio dell'ANAC n. 567/2017 e n. 619/2018) con particolare riferimento al rapporto economico di cui all'art. 6 della convenzione") e, per alcune di esse, mancando di accogliere alcune categorie di lavorazione. 2. Con il presente ricorso, quindi, l'Unione Montana ricorrente ha impugnato gli atti indicati in epigrafe, deducendone l'illegittimità sotto distinti profili. In particolare e in sintesi, essa assume che: - la collaborazione tra l'Unione Montana e il Consorzio di Bonifica delle Marche rientrerebbe nelle finalità della legge regionale n. 13 del 2013 e le funzioni delegate al Consorzio sarebbero proprio quelle previste da quest'ultima; in particolare, all'art. 14, lettera f), della citata legge sarebbe espressamente previsto che il Consorzio si occupi di eseguire, tra l'altro, la manutenzione delle strade vicinali di uso pubblico, quali sono quelle in questione. La stessa Regione Marche avrebbe stipulato apposite convenzioni con il Consorzio per la delega di funzioni a quest'ultimo, finalizzata alle attività di supporto tecnico per la gestione dell'emergenza sisma 2016 (cfr. delibere n. 133/2017, n. 150/2017 e n. 329/2017); - contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione Marche, la convenzione stipulata tra l'Unione Montana e il Consorzio di Bonifica risponderebbe alle condizioni di cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, dal momento che la cooperazione tra i due Enti avrebbe lo scopo di garantire l'erogazione di servizi pubblici di loro competenza nel perseguimento di obiettivi comuni e del pubblico interesse, la determinazione dei compensi sarebbe notevolmente inferiore alle risorse effettivamente impiegate dal Consorzio, quest'ultimo non svolgerebbe alcuna attività sul mercato aperto. Peraltro, le delibere Anac citate dalla Regione Marche non sarebbero pertinenti al caso di specie, mentre sarebbero utili a chiarire la legittimità della convenzione de qua le delibere Anac n. 567/2017 e n. 619/2018; - l'intesa raggiunta dalle Amministrazioni in questione sarebbe volta a permettere una economica ed efficace realizzazione dei progetti; conseguentemente, gli atti gravati sarebbero violativi degli artt. 182 e 183 del TUEL, che disciplinano le modalità di gestione delle spese degli Enti locali associati anche in vista del pareggio di bilancio. Va peraltro sottolineato che il compenso pattuito per il Consorzio di Bonifica è nella misura massima complessiva del 12% dell'importo di investimento, quindi notevolmente inferiore a quello fissato nel DM del 17 giugno 2016 e comunque nella misura consentita dal bando, e che lo stesso è dovuto solo in caso di esito positivo delle domande di aiuto; - quanto alla scelta della Regione di non riconoscere alcune categorie di lavorazione per alcuni dei progetti presentati, la ricorrente lamenta che i controlli regionali avrebbero dovuto essere di natura amministrativa e non appuntarsi sul merito dei progetti, peraltro valutati senza adeguato approfondimento sotto l'aspetto tecnico-professionale (le censure della ricorrente contenute nel motivo in esame riguardano specificamente le domande di aiuto n. 41610, n. 41615 e n. 41607). Di contro, il Consorzio di Bonifica avrebbe fornito appositi chiarimenti tecnici al riguardo (cfr., allegato 015 della produzione della ricorrente depositata in data 1° dicembre 2020); - infine, l'avvenuta prescrizione delle richieste di integrazione in quanto intervenute oltre il termine fissato dal bando di 120 giorni a decorrere dal giorno successivo alla data di scadenza di presentazione delle domande. 3. Si è costituita in giudizio, per resistere, la Regione Marche, deducendo l'infondatezza delle avverse censure e insistendo per la reiezione del gravame. 4. Alla pubblica udienza del 3 novembre 2021, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Reputa il Collegio che le doglianze con cui la ricorrente contesta la non ammissione delle spese tecniche possono essere trattate congiuntamente. La Regione Marche motiva l'inammissibilità sostanzialmente con le seguenti argomentazioni: - ai sensi dell'art. 5.1.1, punto 8, del bando, i beneficiari, se Amministrazioni pubbliche o Enti pubblici, sono tenuti ad applicare le disposizioni di cui al d.lgs. n. 50/2016; - l'Unione Montana Monti Azzurri e il Consorzio di Bonifica delle Marche, entrambi Enti pubblici, hanno stipulato una convenzione per delega con la quale l'Unione ha affidato al Consorzio la progettazione generale, la verifica e la validazione dei progetti, dell'appalto, dell'esecuzione e del collaudo di tutti gli interventi di ammodernamento e di adeguamento delle infrastrutture viarie a servizio delle aree rurali dei Comuni dell'Unione dietro corrispettivo pari al 2% dell'investimento per i servizi amministrativi e pari al 10% dell'investimento per l'attività di progettazione; - nella check list post aggiudicazione il beneficiario ha definito la propria collaborazione con il Consorzio di Bonifica delle Marche ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016; - tuttavia, considerato il tenore dell'accordo, non sussisterebbero i requisiti di cui al citato comma 6, costituendo esso accordo un conferimento di incarico con esplicita e puntuale previsione dell'oggetto e del relativo corrispettivo; - inoltre, gli Enti non perseguirebbero alcun obiettivo comune. 5.1. Gli assunti dell'Amministrazione regionale non sono del tutto condivisibili, per le ragioni che si vanno ad esporre. Il bando approvato con decreto dirigenziale n. 165 del 13 aprile 2019 prevede, all'art. 5.1.1 (requisiti di ammissibilità del soggetto richiedente), punto 8, che, nel caso in cui i soggetti richiedenti fossero Amministrazioni pubbliche o Enti pubblici o di diritto pubblico, essi, al momento della presentazione della domanda, avrebbero dovuto possedere il seguente requisito: applicare le disposizioni di cui al d.lgs. n. 50/2016. Quest'ultimo, all'art. 5, comma 6, stabilisce le condizioni essenziali affinché due o più Amministrazioni aggiudicatrici possano procedere ad affidamenti mediante accordi, in deroga alla disciplina sull'affidamento dei contratti pubblici, prevedendo che "Un accordo concluso esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell'ambito di applicazione del presente codice, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l'accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell'ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l'attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all'interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione". Trattasi di una disposizione derogatoria ed eccezionale, la cui applicazione è consentita solo in presenza di tutte le condizioni dettate dalla stessa norma per l'utilizzo di tale forma di collaborazione, da accertarsi in concreto caso per caso. 5.2. Venendo al caso in esame, la sussistenza della condizione di cui alla lettera c) è stata più volte dichiarata dalla ricorrente nei propri scritti difensivi, senza che la Regione abbia mosso al riguardo specifiche contestazioni. In assenza di allegazioni contrarie, pertanto, la stessa è certamente configurabile. 5.3. Quanto al conseguimento di "obiettivi in comune" (condizione di cui alla lettera a), il concetto di partecipazione all'interesse pubblico e di cooperazione tra Amministrazioni partecipanti all'accordo in vista dello svolgimento di servizi pubblici comuni è stato recentemente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa e comunitaria (cfr., in particolare, Consiglio di Stato, sez. III, 25 agosto 2021, n. 6034 e giurisprudenza ivi richiamata, che, sebbene riguardi la diversa fattispecie della concessione di aree demaniali, afferma principi di carattere generale, mutuabili anche per la soluzione della presente controversia); in particolare, la menzionata sentenza, a sua volta citando i principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza della sezione IV, n. 796 del 28 maggio 2020, ha precisato che la cooperazione tra Amministrazioni partecipanti, che deve essere dettata solo da considerazioni legate al pubblico interesse, può riguardare tutti i tipi di attività connesse alla prestazione di servizi e alle responsabilità ad esse affidati o dalle stesse assunti; inoltre, i servizi forniti dalle diverse Amministrazioni partecipanti non devono necessariamente essere identici, potendo gli stessi anche essere complementari. Al fine di verificare se con la convenzione in parola le Amministrazioni partecipanti realizzino in maniera effettiva l'interesse pubblico comune ai sensi dell'art. 5, comma 6, lett. a), del decreto legislativo n. 50 del 2016, occorre principalmente individuare le finalità perseguite dalla legge regionale n. 13/2013 e le funzioni che, in attuazione di dette finalità, la medesima legge demanda al Consorzio di Bonifica. L'art. 14 della legge regionale n. 13/2013 individua, tra le funzioni del Consorzio: la manutenzione delle strade vicinali di uso pubblico ove non sia costituito uno specifico Consorzio stradale ai sensi della legge 12 febbraio 1958, n. 126 (comma 1, lettera f); lo svolgimento, per conto dello Stato, della Regione e degli Enti locali, della progettazione e dell'esecuzione delle opere pubbliche di rispettiva competenza, fatta salva l'applicazione della disciplina statale ed europea in materia di contratti pubblici (comma 1, lettera h); la realizzazione e la gestione degli interventi e delle opere finanziate dall'Unione europea o da altri Enti pubblici (comma 1, lettera i). Tali funzioni devono sicuramente essere svolte nel rispetto delle finalità di cui all'art. 1 della citata legge regionale. Nella deliberazione della Giunta n. 97 del 7 dicembre 2017, l'Unione Montana, nel richiamare espressamente l'art. 3, comma 4, della legge regionale n. 13/2013, ha inteso sottolineare che le attività regolate dalla convenzione (progettazione e realizzazione dei lavori relativi alla viabilità secondaria nei territori dell'unione) sono poste in essere per le finalità di cui alla legge regionale n. 13/2013. Infine, sempre per le medesime attività, ai sensi dell'art. 14, comma 1, lettere h) e i), della suddetta legge regionale, l'Unione ha delegato al Consorzio le funzioni di sua competenza. Ebbene, tenuto conto delle funzioni istituzionali dell'Unione Montana e del Consorzio di Bonifica e considerate le finalità per cui è stata stipulata la convenzione ed è stata conferita la delega, non può escludersi una collaborazione tra i due soggetti pubblici ai sensi dell'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016, dal momento che, dal tenore dell'accordo, è possibile ravvisare un interesse comune a garantire l'adempimento di una funzione di servizio pubblico attraverso la regolazione delle rispettive attività funzionali (nello specifico, le attività di vigilanza, di gestione e di manutenzione delle strade vicinali ad uso pubblico non possono non riflettersi sull'ottimale fruizione dei fondi circostanti anche per l'esercizio delle funzioni proprie del Consorzio; peraltro, poiché l'art. 14, comma 1, lettera f), della legge regionale n. 13/2013 esplicitamente prevede "la manutenzione delle strade vicinali di uso pubblico" tra le funzioni tipiche del Consorzio, non può escludersi che detta manutenzione possa avvenire anche attraverso "la progettazione e l'esecuzione delle opere pubbliche" necessarie in virtù di apposita delega (art. 14, comma 1, lettera h, della legge regionale n. 13/2013). 5.4. Come innanzi già chiarito, non rappresenta un ostacolo alla configurazione "dell'interesse comune" neppure la circostanza secondo cui l'apporto collaborativo o i servizi forniti dalle Amministrazioni non siano identici, bensì complementari (cfr., Consiglio di Stato, sez. III, n. 6034/2021, citata). Invero, il Consorzio non può essere ritenuto completamente estraneo all'interesse pubblico sotteso alle attività di competenza dell'Unione; nello specifico, si ribadisce, l'esercizio delle funzioni specifiche del Consorzio passa anche per l'ottimale fruizione della viabilità secondaria. 5.5. Quanto al carattere oneroso della convenzione, come è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo ed ex multis, ancora Consiglio di Stato, sez. III, n. 6034/2021), lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune tra due pubbliche amministrazioni esclude che l'una possa avvalersi delle prestazioni dell'altra dietro pagamento di un corrispettivo, se non nella forma di un rimborso spese o di un canone compensativo. Nel caso in esame, ad avviso del Collegio, l'onerosità della convenzione in parola è da escludere nella misura in cui il riconoscimento economico espressamente pattuito in favore del Consorzio di Bonifica delle Marche - attualmente determinato nell'importo massimo forfetario e omnicomprensivo del 12% del valore dell'investimento totale - non costituisca un utile in senso tecnico, inteso quale risultato di una prestazione di tipo imprenditoriale, ma sia determinato esclusivamente a supporto delle spese necessarie per le attività oggetto della convenzione. Solo qualora dalla convenzione dovesse derivare un vantaggio economico per il Consorzio rispetto ad altri possibili operatori, allora sarebbe necessario il ricorso ad una procedura ad evidenza pubblica. Al riguardo, la Regione Marche non ha fornito una specifica motivazione, essendosi limitata ad escludere che la convenzione in questione potesse configurare un'ipotesi rientrante nella previsione di cui all'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 50/2016 per il solo fatto della pattuizione di un compenso (il riferimento, nelle comunicazione di esito istruttorio, è al "rapporto economico di cui all'art. 6 della convenzione"), senza tuttavia approfondire la natura dello stesso e l'effettiva onerosità dell'accordo sulla base delle coordinate ermeneutiche innanzi esposte. E ciò, nonostante con pec del 29 maggio 2020 (allegato 007 della produzione della ricorrente in data 1° dicembre 2020) l'Unione Montana e il Consorzio si siano resi disponibili a una verifica sui costi sostenuti per le attività oggetto della convenzione rispetto agli importi portati a rimborso. 6. Passando all'esame delle censure con cui si lamenta il mancato riconoscimento delle spese sostenute per taluni lavori in economia relativamente a diciannove progetti sui trentasei ammessi al finanziamento (nello specifico, trattasi delle domande nn. 1610, 41615, 41612, 41606, 41540, 41343, 41544, 41605, 41532, 41535, 41344, 42851, 41818, 41531, 41347, 41346, 41609, 41345 e 41820), la ricorrente sostiene che la decisione di non ammettere tali spese sia stata presa senza valutare essenziali aspetti tecnici che ne avrebbero dimostrato l'importanza e la rilevanza nell'ambito dei rispettivi progetti. 6.1. Giova al riguardo chiarire che, contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, i controlli regionali non hanno riguardato il merito tecnico dei progetti, ma sono consistiti in una verifica delle condizioni necessarie per il riconoscimento delle voci di spesa presentate, ai sensi delle disposizioni del PSR 2014-2020 e dei relativi regolamenti di attuazione. In particolare, ai sensi dell'art. 6.2.1 del bando, "i controlli amministrativi sono inoltre volti a definire che la spesa relativa a ciascun intervento richiesto risulti funzionale al raggiungimento degli obiettivi..."; "i controlli riguardano in particolare: 1. La verifica della congruità e ragionevolezza dei costi relativi ai singoli investimenti proposti: La congruità e ragionevolezza dei costi, si valuta in base a: a) computi metrici estimativi completi di misure analitiche...". La norma prevede inoltre che "è data facoltà all'istruttore di effettuare visite in situ per acquisire ulteriori elementi conoscitivi a supporto delle valutazioni tecniche sulla iniziativa progettuale...". Alla luce delle citate disposizioni, è assolutamente consentito che, in fase di controllo amministrativo, venga valutata la congruità dei lavori in economia in base al loro inserimento in un computo metrico estimativo e, quindi, alla loro esatta quantificazione da parte del progettista. Non solo, il bando espressamente prevede, proprio nella fase del controllo amministrativo, la possibilità di visite in situ per la valutazione dell'iniziativa progettuale. Conseguentemente, poiché la mancanza di una specifica quantificazione non consente il controllo di congruità della spesa, l'esclusione di quelle non specificate nel CME si rivela legittima. Peraltro, con decreto dirigenziale n. 25 del 23 febbraio 2021, la Regione ha provveduto ad ulteriormente ridurre il finanziamento laddove era stata erroneamente riconosciuta l'ammissibilità di spese per lavori in economia non definiti da un computo metrico estimativo e da prezzi riferiti al prezziario regionale, come invece previsto dal bando. Tale nuovo provvedimento non è stato fatto oggetto di gravame. Analogamente, è conforme alle previsioni della lex specialis l'ammissione delle spese per gli imprevisti nei limiti del massimo consentito - in ragione appunto della natura imprevedibile di esse - e sempre che sia rispettata la procedura per le modifiche progettuali di cui all'art. 7.2 del bando. 6.2. Passando alle lavorazioni escluse, giova innanzitutto premettere che le censure della ricorrente sollevate con il ricorso hanno riguardato esclusivamente le domande n. 41607, n. 41610 e n. 41615. Sulle medesime domande di aiuto si sono concentrate le deduzioni tecniche del Consorzio di Bonifica contenute nei chiarimenti depositati in allegato n. 015 della produzione di parte ricorrente depositata in data 1° dicembre 2020 e richiamati dalla ricorrente medesima a sostegno dei propri assunti. Conseguentemente, le ulteriori deduzioni sollevate da quest'ultima con riferimento alle lavorazioni escluse in relazione alle domande n. 41605 e n. 41612, in quanto contenute per la prima volta nella memoria di replica depositata in data 13 ottobre 2021, non possono essere oggetto di scrutinio in questa sede. 6.3. Quanto alle domande n. 41607, n. 41610 e n. 41615, posto che non risulta essere stata presentata istanza di riesame ai sensi dell'art. 7.8 del bando, va in ogni caso rilevato che: a - con riferimento alla domanda n. 41607, dalla documentazione versata in atti dall'Amministrazione regionale in data 11 dicembre 2020 (documenti n. 7 e n. 7 bis) si evince che, effettivamente, il CME della ricorrente prevedeva la realizzazione di n. 7 pozzetti, corrispondenti a n. 7 "bocche di lupo", e non sei (di cui uno già esistente), come invece indicato nella relativa comunicazione di esito istruttorio. Sul punto, pertanto, è necessario un riesame da parte dell'Amministrazione regionale; b - con riguardo alla domanda n. 41610, correttamente il tratto di strada di metri lineari 42 è stato espunto dalle spese ammissibili, essendo stato riscontrato, all'esito di sopralluogo, che esso è già asfaltato e in ottime condizioni. Il fatto che l'asfalto risalirebbe ad oltre quindici anni fa nulla prova rispetto alle accertate buone condizioni del manto stradale, né la ricorrente ha dimostrato come lo stralcio di tale parte dell'intervento possa di fatto pregiudicare l'efficienza dell'opera complessiva, circostanza solo genericamente asserita. Inoltre, sempre dalla documentazione versata in atti dall'Amministrazione regionale in data 11 dicembre 2020 (documenti n. 8 e n. 8 bis), si evince che nello stesso progetto proposto dalla richiedente (punto 3.2 della relazione generale) è stata indicata una larghezza media della strada di metri 3, sicché correttamente le corrispondenti voci del CME sono state ricondotte a tale misura. Quanto, infine, ai lavori di sistemazione del fossato in corrispondenza del vialetto di ingresso alla cantina vitivinicola, l'Amministrazione regionale esclude l'ammissibilità dell'intervento in quanto ricadente in area non di competenza. La circostanza non è smentita dalla ricorrente. Tanto basta a giustificare la non ammissione, nonostante il tentativo della ricorrente medesima di dimostrare che l'intervento sarebbe necessario ad evitare il fenomeno dell'erosione spondale anche a protezione degli edifici esistenti; c - in merito alla domanda n. 41615, l'investimento non è stato ritenuto ammissibile limitatamente alla sistemazione del manto stradale e della cunetta nel primo tratto di strada di metri lineari 350. Conseguentemente, sono state ridotte le corrispondenti voci del CME. Ancora una volta esaminando la documentazione versata in atti dall'Amministrazione regionale in data 11 dicembre 2020 (documenti n. 9 e n. 9 bis), si ricava che già nel progetto proposto dalla richiedente (punto 3.1 della relazione generale) detto tratto stradale viene definito "in condizioni accettabili", il che non contrasta con quanto riportato nella comunicazione di esito istruttorio. Inoltre, il progetto prevede, in corrispondenza del medesimo tratto, interventi di pulizia e risagomatura delle cunette di scolo delle acque, i quali sono stati correttamente ritenuti, dalla Regione, come "di manutenzione ordinaria" e dunque non rientranti tra le lavorazioni ammesse dal punto 5.2, lettera c), del bando, che invece parla di "realizzazione di opere di regimazione delle acque superficiali (tombini, cunette, tubazioni di attraversamento, canalette di sgrondo, guadi)". Infine, la ricorrente nulla dice circa le ragioni che renderebbero "assurdo il riutilizzo dell'inerte esistente proveniente dal precedente scavo" (cfr., deduzioni tecniche del Consorzio di Bonifica contenute nei chiarimenti depositati in allegato n. 015 della produzione di parte ricorrente depositata in data 1° dicembre 2020). 7. Non merita condivisione neppure la censura contenuta nell'ultimo motivo, atteso che il termine di 120 giorni indicato dal punto 6.2.1 del bando per effettuare le verifiche amministrative non è perentorio bensì ordinatorio. 8. Per completezza, giova evidenziare che la lex specialis, all'art. 6.2.3, individua nella persona del dirigente responsabile di attuazione della sottomisura il soggetto tenuto ad adottare il provvedimento di non ammissibilità, il che esclude qualsiasi vizio di incompetenza dei gravati provvedimenti. 9. In conclusione, per tutte le argomentazioni che precedono, fondate sono solo le doglianze con cui la ricorrente contesta la non ammissione delle spese tecniche (nei sensi e nei termini precisati ai precedenti punti da 5 a 5.5. della motivazione, ogni altra censura assorbita) e delle lavorazioni relative alla domanda n. 41607 (nei sensi e nei termini precisati al precedente punto 6.3, lettera a, della motivazione). Entro tali limiti, dunque, il ricorso va accolto ai fini di un riesame da parte dell'Amministrazione regionale. 10. Data la complessità delle questioni e la parziale fondatezza delle censure, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti precisati in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2021 con l'intervento dei magistrati: Sergio Conti - Presidente Gianluca Morri - Consigliere Simona De Mattia - Consigliere, Estensore

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