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Il contratto di locazione finanziaria (leasing) non si considera risolto per il mancato pagamento dei canoni anteriori alla domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi di impresa, in quanto l'art. 94-bis, comma 2, del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (CCII) preclude la risoluzione per inadempimenti pregressi. Pertanto, il debitore che abbia depositato la domanda ex art. 44 CCII è tenuto a pagare i canoni maturati e maturandi successivamente, mentre i canoni pregressi sono soggetti alla eventuale falcidia concordataria. In tale contesto, il debitore può chiedere il sequestro liberatorio ex art. 687 c.p.c. delle somme offerte a titolo di canoni successivi alla domanda, in presenza di controversia sull'obbligo o sul modo del pagamento, al fine di evitare gli effetti della mora debendi, anche in funzione difensiva per tutelare un eventuale credito restitutorio. Il sequestro può essere disposto anche in presenza di incertezza sul soggetto legittimato a ricevere il pagamento, senza che sia necessaria l'offerta dell'intero importo richiesto dal creditore. Le modalità di attuazione del sequestro sono rimesse alla determinazione del giudice, il quale deve contemperare le esigenze di tutela del debitore con quelle di salvaguardia del patrimonio del creditore.
L'amministratore di società di capitali è responsabile verso la società e i creditori sociali per i danni derivanti dall'inosservanza dei doveri di diligente gestione dell'impresa a lui imposti dalla legge e dall'atto costitutivo. Tale responsabilità sussiste anche in caso di amministrazione congiunta, essendo ciascun amministratore tenuto a vigilare sull'operato degli altri e a intervenire tempestivamente per impedire condotte pregiudizievoli, nonché in caso di delega di poteri gestionali, non potendo l'amministratore delegante abdicare al proprio dovere di controllo. L'inadempimento degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, di corretta tenuta delle scritture contabili e di tempestiva richiesta di liquidazione o fallimento in presenza di perdite che erodono il capitale, comporta la responsabilità dell'amministratore per i danni conseguenti, quantificabili anche in via equitativa sulla base del deficit patrimoniale accertato in sede fallimentare, ove sia impossibile una ricostruzione analitica per carenza documentale imputabile all'amministratore. Il risarcimento del danno, costituendo un debito di valore, deve essere rivalutato e maggiorato degli interessi compensativi del lucro cessante.
Il contratto atipico di ormeggio, caratterizzato dalla messa a disposizione e utilizzazione delle strutture portuali con assegnazione di uno spazio acquatico protetto e delimitato, è validamente costituito anche in assenza di una formale sottoscrizione, qualora il comportamento complessivo delle parti dimostri l'esistenza di un accordo tacito sull'utilizzo dello spazio acqueo e sui relativi obblighi di pagamento. La mancata contestazione specifica dei fatti costitutivi della domanda, quali la fruizione dell'ormeggio e l'acquisto di materiali nautici, comporta l'onere per il giudice di considerarli come pacificamente sussistenti, salvo che si tratti di fatti secondari, non incidenti sulla costituzione, modifica, estinzione o impedimento del diritto fatto valere. In tali ipotesi, il principio di non contestazione impone alla parte di prendere posizione in modo chiaro e puntuale sui fatti allegati dalla controparte, al fine di evitare che il giudice li ritenga pacificamente acquisiti.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Il beneficio della carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del personale docente, previsto dall'art. 1, comma 121, della legge n. 107/2015, spetta anche ai docenti assunti con contratti a tempo determinato, in quanto il diverso trattamento rispetto ai docenti di ruolo costituisce una discriminazione vietata dalla clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999. Ciò in quanto i docenti a tempo determinato hanno le medesime esigenze e i medesimi doveri formativi dei docenti a tempo indeterminato, essendo pacifico che i compiti assegnati ai primi sono del tutto omologhi a quelli svolti dai secondi. Pertanto, il mero carattere temporaneo del rapporto di lavoro non può costituire ragione obiettiva per giustificare il diverso trattamento, dovendo l'amministrazione garantire la medesima qualità del servizio scolastico a tutti gli utenti a prescindere dall'assegnazione delle classi a personale di ruolo o a personale non di ruolo. Il beneficio della carta docente deve, quindi, essere riconosciuto anche ai docenti assunti con supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche, in quanto tali tipologie di incarico presentano il medesimo nesso tra la formazione del docente che viene supportata, la durata e la funzionalità rispetto ai discenti, come previsto per il personale di ruolo.
Il principio di diritto fondamentale che emerge dalla sentenza è il seguente: Nei casi di scontro tra veicoli, in assenza di elementi certi sulla dinamica dell'incidente, trova applicazione il principio della presunzione di pari responsabilità di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., il quale impone di ripartire equamente il danno tra i conducenti coinvolti, salvo che uno di essi non riesca a dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il sinistro. Tale presunzione opera anche nell'ipotesi di scontro tra velocipedi, atteso che il codice della strada equipara la bicicletta agli altri veicoli che transitano sulla strada. Pertanto, ove non sia possibile accertare con certezza le circostanze di maggior rilievo influenti sulla dinamica del sinistro, non è consentito addossare in via esclusiva la responsabilità ad uno solo dei conducenti, dovendosi procedere alla ripartizione equa del danno risarcibile. Il giudice, in tali casi, è tenuto a verificare in concreto se entrambi i conducenti abbiano tenuto una condotta di guida corretta, non potendo limitarsi a ritenere superata la presunzione di pari responsabilità per il solo fatto di aver accertato la colpa di uno di essi. Inoltre, il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in caso di decesso di un congiunto, si presume sussistente in capo ai familiari più stretti (coniuge, figli, genitori, fratelli) in ragione dell'intensità del legame affettivo, salva la possibilità per il convenuto di provare l'assenza di tale legame. Infine, il danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita dell'apporto economico del congiunto deceduto deve essere liquidato in via equitativa, tenendo conto del reddito percepito dalla vittima, al netto del carico fiscale e della quota di reddito destinata alle proprie esigenze personali.
Il condominio è tenuto a provvedere alla manutenzione e riparazione delle parti comuni dell'edificio, tra cui rientra l'impianto fognario condominiale. Il singolo condomino può essere legittimato a intervenire autonomamente solo in caso di urgenza e indifferibilità della spesa, che deve essere provata dal condomino stesso. Tuttavia, il condomino non può interferire indebitamente nella gestione del bene comune, essendo previsti dall'ordinamento giuridico strumenti alternativi, quali la richiesta di intervento all'amministratore o all'assemblea condominiale. Pertanto, il condomino che abbia effettuato autonomamente lavori di manutenzione straordinaria sull'impianto fognario condominiale, senza dimostrare l'urgenza e l'indifferibilità dell'intervento, non può pretendere il rimborso delle spese sostenute dal condominio, il quale rimane titolare della proprietà e della gestione del bene comune. Ove tuttavia si accerti che il malfunzionamento dell'impianto fognario abbia cagionato danni al singolo condomino, quest'ultimo potrà agire in responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c., previa valutazione tecnica delle cause che hanno determinato gli eventi dannosi.
La responsabilità sanitaria per danni derivanti da intervento chirurgico è esclusa quando il medico si sia attenuto alle linee guida vigenti al momento dell'intervento, abbia fornito un'adeguata informazione al paziente sul trattamento proposto e sulle possibili complicanze, e il nesso causale tra la condotta del sanitario e il danno lamentato non sia provato. In tali casi, il paziente non può ottenere il risarcimento dei danni, né per violazione del consenso informato, ove risulti che, anche se adeguatamente informato, avrebbe comunque acconsentito all'intervento, né per responsabilità professionale, in assenza della prova di un nesso causale tra l'operato del medico e l'evento dannoso. Spetta al paziente l'onere di provare la condotta negligente o imperita del sanitario e il nesso di causalità con il danno subito, mentre grava sul medico l'onere di dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta dalla natura dell'attività svolta o che l'evento dannoso è dipeso da causa a lui non imputabile.
La coobbligazione solidale passiva ex art. 1292 c.c. si differenzia dalla fideiussione in quanto il coobbligato assume ab initio l'obbligo di adempiere l'obbligazione insieme al debitore principale, moltiplicando i patrimoni aggredibili dal creditore comune, senza che sia necessaria una specifica garanzia fideiussoria. Pertanto, la disciplina della decadenza della garanzia fideiussoria di cui all'art. 1957 c.c. non trova applicazione nel caso di coobbligazione solidale, essendo questa riconducibile alla responsabilità patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. Il creditore non è tenuto a preventivamente escutere il debitore principale, potendo agire direttamente nei confronti del coobbligato per ottenere l'adempimento dell'obbligazione. La titolarità del credito ceduto è provata dalla documentazione contrattuale e dalle comunicazioni di cessione, senza che sia necessaria la produzione della polizza fideiussoria. L'opponente, in qualità di coobbligato, non può eccepire la decadenza della garanzia fideiussoria, essendo tenuto all'adempimento solidale dell'obbligazione.
Il contratto di leasing finanziario è caratterizzato da una struttura negoziale complessa, in cui il canone di locazione assolve a una pluralità di funzioni: di finanziamento, traslativa e di godimento. Il tasso interno di attualizzazione (TIA) o tasso interno di rendimento (TIR) rappresenta il costo del leasing in termini economici e consente all'utilizzatore di verificarne la convenienza, in quanto esprime la parità tra il valore del bene locato e il valore attuale di tutti i flussi dovuti dal cliente, canoni e prezzo di acquisto. Pertanto, il prezzo di opzione finale costituisce una componente essenziale della struttura del contratto di leasing, la cui inclusione nel piano di ammortamento ai fini della determinazione del TIA è legittima e conforme alla normativa di settore. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ai fini dell'applicabilità della sanzione sostitutiva prevista dall'art. 117, comma 7, TUB, è sufficiente che il tasso leasing, pur non essendo indicato espressamente nel contratto, sia determinabile per relationem, attraverso il rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, funzionali alla sua concreta determinazione, senza che rilevi la difficoltà del calcolo necessario o la perizia richiesta per la sua esecuzione. Pertanto, la mancata indicazione del TIA o la sua difformità rispetto al tasso effettivamente praticato non determinano la nullità del contratto di leasing per indeterminatezza della prestazione dovuta dall'utilizzatore, essendo sufficiente che gli elementi necessari per il suo calcolo siano desumibili dal regolamento contrattuale con l'ordinaria diligenza.
Il ritardo e la negligenza del professionista incaricato di trascrivere tempestivamente la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica di un preliminare di compravendita immobiliare, prima dell'apertura della procedura concorsuale del promittente venditore, determinano la responsabilità del professionista per il mancato conseguimento del risultato sperato dal cliente, consistente nell'acquisto della proprietà dell'immobile, in quanto la tardiva trascrizione rende la domanda giudiziale inopponibile alla massa dei creditori concorsuali, con conseguente autorizzazione allo scioglimento del preliminare e rigetto della domanda di esecuzione. In tal caso, il danno risarcibile a carico del professionista è pari al valore dell'immobile, oggetto del preliminare, al netto di quanto il cliente possa eventualmente recuperare dalla procedura concorsuale a titolo di restituzione del corrispettivo versato, in quanto tale differenza rappresenta la perdita patrimoniale diretta ed immediata derivante dall'inadempimento del professionista.
La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle scelte di gestione, da compiersi sia ex ante, secondo i parametri della diligenza del mandatario, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere. Gli atti di gestione devono essere legittimi, cioè conformi alla legge e allo statuto sociale, non determinati da conflitti di interesse dei gestori, preceduti dall'assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria e proporzionati all'incidenza sul patrimonio dell'impresa. Laddove le decisioni gestorie siano tali da ledere l'integrità del patrimonio dell'ente a vantaggio di altre società del gruppo, gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, essendo onere dell'amministratore convenuto allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell'operazione compiuta. Tuttavia, se gli atti contestati obbediscono ad una "logica di gruppo" e sono quindi espressione di una politica imprenditoriale volta al perseguimento di obiettivi che trascendono quelli delle singole società partecipanti, appare ben difficile ipotizzare che l'attività gestoria sia ingiustificata o irrazionale, soprattutto per quei profili che rappresentano l'adempimento di obblighi assunti nell'ambito di una più vasta aggregazione imprenditoriale. In tal caso, l'eventuale pregiudizio economico che ne derivi può aver trovato la sua contropartita in un altro rapporto e l'atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato ed indiretto.
L'assemblea dei soci di una società a responsabilità limitata ha la facoltà di revocare ad nutum l'amministratore, anche senza l'esplicitazione nella delibera di revoca dei motivi riconducibili a una giusta causa. In tal caso, la mancata indicazione della giusta causa non comporta l'invalidità della delibera di revoca, ma determina solo il diritto dell'amministratore revocato al risarcimento del danno per il mancato preavviso, parametrato all'emolumento che l'amministratore avrebbe conseguito dalla sua funzione nell'arco di 6 mesi. Ogni altro tipo di danno, come quello all'immagine e alla reputazione professionale, richiede l'allegazione di fatti illeciti diversi e non coincidenti con la sola revoca, quali condotte connotate da colpa o dolo che ledano un diritto della persona distinto dal diritto dell'amministratore alla prosecuzione della carica. L'amministratore revocato senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno per il mancato preavviso, ma non può pretendere la reintegra nel posto di lavoro o il risarcimento di ulteriori danni, in assenza di allegazioni e prove di fatti illeciti ulteriori rispetto alla revoca stessa. L'amministratore di una società di capitali risponde dei danni cagionati alla società per atti di mala gestio, salvo il limite della valutazione di ragionevolezza delle sue scelte gestionali secondo il principio della "business judgement rule". Pertanto, l'ex amministratore è tenuto a risarcire alla società le spese estranee all'oggetto sociale e non giustificate, mentre non risponde per le scelte gestionali che, pur discutibili, non risultino manifestamente irragionevoli o diseconomiche per l'azienda.
Il Tribunale, in presenza di una situazione di elevata conflittualità tra i genitori che impedisce loro di assumere in modo condiviso le decisioni più importanti per la crescita e l'educazione del figlio minore, può disporre l'affidamento del minore ai Servizi Sociali, attribuendo a tali Servizi il potere di adottare, nell'interesse esclusivo del minore, le decisioni relative alla salute e al percorso scolastico del figlio, qualora i genitori non raggiungano un accordo. Tale affidamento ai Servizi Sociali, pur non comportando la sottrazione del minore dal contesto familiare, costituisce una limitazione della responsabilità genitoriale finalizzata a superare le difficoltà manifestate dai genitori nell'esercizio della responsabilità genitoriale, evitando che il conflitto tra i genitori possa compromettere le scelte di maggiore rilevanza per l'educazione e la crescita del minore. I Servizi Sociali, in questi casi, hanno il duplice compito di contenere la conflittualità tra i genitori, predisponendo interventi di monitoraggio e sostegno della coppia genitoriale, e di assumere le decisioni più importanti nel caso in cui i genitori non riescano ad esprimere una volontà condivisa neppure con il loro supporto, sentiti gli insegnanti e i professionisti che seguono il minore. Tale affidamento ai Servizi Sociali, inoltre, può essere accompagnato da limitazioni all'esercizio della responsabilità genitoriale delle parti, più o meno ampie, che consentano all'ente di salvaguardare gli interessi del minore in caso di disaccordo tra i genitori.
La responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per inadempimento del contratto di spedalità sussiste qualora i sanitari, pur avendo a disposizione tutti gli elementi clinici necessari per effettuare una corretta diagnosi secondo le regole della scienza medica, ritardino ingiustificatamente tale diagnosi, cagionando un aggravamento delle condizioni di salute del paziente e rendendosi così responsabili dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti, salvo che la struttura sanitaria non provi di aver agito con la diligenza richiesta o che l'inadempimento sia dipeso da causa a lei non imputabile.
Il possesso di un bene in comunione, ai fini dell'usucapione, richiede la dimostrazione di un'attività incompatibile con il godimento altrui, tale da evidenziare un'inequivoca volontà di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri comproprietari ogni atto di godimento o di gestione. La mera coltivazione o utilizzo prevalente del bene, in assenza di atti di esclusione degli altri partecipanti alla comunione, non è sufficiente a integrare il requisito del possesso "uti dominus" necessario per l'usucapione. Inoltre, l'accesso e l'utilizzo del bene da parte degli altri condomini, anche a fini manutentivi, nonché la disponibilità delle chiavi di eventuali recinzioni da parte di più soggetti, sono elementi che escludono la sussistenza di un possesso esclusivo idoneo all'usucapione.
Il contratto di fideiussione omnibus sottoscritto dal garante è parzialmente nullo per violazione della normativa antitrust, in quanto contiene clausole ritenute abusive dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, come la deroga al regime di opponibilità delle eccezioni previsto dall'art. 1957 c.c. Tuttavia, tale nullità parziale non determina l'invalidità dell'intero contratto di fideiussione, che rimane valido ed efficace per la restante parte, con applicazione della disciplina codicistica in luogo delle clausole nulle. Spetta al creditore provare l'avvenuta interruzione del termine decadenziale di cui all'art. 1957 c.c. mediante l'esperimento di idonee iniziative giudiziali nei confronti del debitore principale, non essendo sufficiente la mera diffida stragiudiziale. L'apertura di una procedura concorsuale a carico del debitore principale non esonera il creditore dall'onere di proporre tempestivamente la domanda di accertamento del credito nelle forme dell'insinuazione al passivo, ai fini della conservazione della garanzia fideiussoria.
Il creditore che agisce in giudizio affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un'operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito medesimo in detta operazione, fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale. La sola allegazione della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'avvenuta cessione non è sufficiente a provare l'effettiva cessione di quello specifico credito, essendo necessaria la produzione del contratto di cessione o, in alternativa, una dichiarazione scritta e dettagliata firmata dalla cedente, nella quale si dia atto della cartolarizzazione di quella specifica posizione debitoria. In mancanza di tali prove, il giudice deve dichiarare la nullità del precetto e del successivo pignoramento immobiliare per difetto di titolarità del credito in capo al creditore procedente.
Il contratto di cessione di crediti in blocco, concluso ai sensi della Legge n. 130 del 1999, è opponibile al debitore ceduto anche in assenza di notifica, essendo sufficiente la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, purché il credito rientri tra quelli indicati nell'estratto di cessione ivi pubblicato e il cessionario fornisca la prova della titolarità del rapporto, attraverso la produzione del contratto di cessione o, in alternativa, di una dichiarazione scritta e dettagliata del cedente. La prescrizione del credito derivante da un contratto di mutuo decorre dalla scadenza dell'ultima rata, salvo che il debitore non sia stato messo in mora con la comunicazione di recesso dal contratto per il suo perdurante inadempimento, nel qual caso il termine prescrizionale inizia a decorrere da tale data. L'ammontare del credito risultante dalla documentazione prodotta dal creditore non può essere inficiato da generiche contestazioni del debitore.
Il contratto di appalto pubblico, anche se ad esecuzione continuata o periodica, non può essere considerato un contratto ad esecuzione continuata o periodica ai fini dell'applicazione dell'art. 1458 c.c. sulla retroattività degli effetti della risoluzione. Pertanto, rispetto alle prestazioni già eseguite, il rapporto contrattuale deve intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio, con la conseguenza che l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. può essere fatta valere solo con riferimento alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta, e non può giustificare la sospensione o la trattenuta del pagamento di prestazioni già eseguite e non contestate. Inoltre, il riconoscimento da parte dell'appaltante del credito dell'appaltatore per le prestazioni rese, anche attraverso atti amministrativi, preclude all'appaltante di opporre l'eccezione di inadempimento per pretese inadempienze relative ad obbligazioni diverse da quelle oggetto del credito riconosciuto, salvo il caso in cui le prestazioni eseguite non abbiano soddisfatto le ragioni del creditore o non siano conformi al contratto.
Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all'altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore di esse. Ai fini del riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge separato, il riferimento deve essere fatto ai redditi necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell'assegno di divorzio. Pertanto, il coniuge richiedente l'assegno di mantenimento deve essere privo di adeguati redditi propri, mentre l'altro coniuge deve avere i mezzi per far fronte all'assegno, tenuto conto della capacità economico-patrimoniale complessiva di entrambi.
La condotta del legislatore regionale nell'esercizio della funzione legislativa, anche quando si traduca nell'emanazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, non è suscettibile di dar luogo a responsabilità risarcitoria ai sensi dell'art. 2043 c.c. nei confronti dei privati che abbiano subito un danno in conseguenza dell'applicazione della norma illegittima. L'attività legislativa, essendo espressione di un potere politico libero e insindacabile, non può dar luogo a situazioni giuridiche soggettive protette dall'ordinamento, sicché il rimedio esperibile nei confronti di una legge incostituzionale è esclusivamente quello della declaratoria di illegittimità costituzionale, senza che possa configurarsi un diritto al risarcimento del danno. Analogamente, l'attività amministrativa posta in essere dalla pubblica amministrazione in attuazione di una norma legislativa successivamente dichiarata incostituzionale non è suscettibile di dar luogo a responsabilità risarcitoria, ove non emerga una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e lealtà, connotata da colpa o dolo. In particolare, ove l'amministrazione abbia agito in conformità alla normativa vigente al momento dell'adozione del provvedimento, senza che l'illegittimità costituzionale della stessa fosse prevedibile, non può ravvisarsi una condotta colposa idonea a fondare una responsabilità aquiliana. Parimenti, le eventuali condotte omissive successive all'annullamento del provvedimento favorevole non possono dar luogo a responsabilità risarcitoria, ove l'amministrazione si sia limitata ad adottare i provvedimenti doverosi e coerenti con il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
Il giudice, nel pronunciare la separazione personale dei coniugi, può disporre a favore del coniuge al quale non sia addebitata la separazione un contributo al mantenimento posto a carico dell'altro coniuge. Tale contributo non presuppone lo stato di bisogno del coniuge richiedente, ma mira a garantirgli la conservazione del tenore di vita precedentemente goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea. L'onere di provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare dell'assegno grava sul coniuge richiedente, il quale deve dimostrare l'impossidenza di sostanze o di redditi sufficienti a mantenere il precedente tenore di vita, ferma restando la possibilità dell'altro coniuge di contestare la pretesa inesistenza o insufficienza di reddito o sostanze. Nella valutazione della domanda di mantenimento, il giudice deve inoltre tenere conto dell'attitudine al lavoro di ciascuno dei coniugi, intesa quale potenziale capacità di guadagno, potendo incidere tale accertamento sull'an o sul quantum del diritto, in relazione a fattori quali l'età, le condizioni di salute, la durata del matrimonio, il possesso di un determinato titolo di studio o di una potenziale professionalità, l'eventuale ingiustificato rifiuto di proposte lavorative confacenti alle attitudini. Ove il coniuge richiedente il mantenimento abbia assunto l'onere di provvedere al mantenimento di figli comuni, tale circostanza deve essere adeguatamente valutata ai fini della determinazione dell'assegno, in quanto incidente sul tenore di vita precedentemente goduto.
Il contratto di fideiussione, anche se stipulato in esecuzione di un'intesa restrittiva della concorrenza dichiarata parzialmente nulla dall'Autorità Garante, è valido ed efficace, salvo che il fideiussore non dimostri l'inscindibile connessione tra la clausola nulla e il resto del contratto, in modo tale che le parti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità. In mancanza di tale prova, il contratto di fideiussione rimane valido ed efficace, con la sola esclusione delle clausole contrastanti con la normativa antitrust. Inoltre, la rinuncia preventiva del fideiussore ad eccepire la decadenza ex art. 1957 c.c. non costituisce una clausola vessatoria, rientrando nell'ambito dell'autonomia contrattuale delle parti, e pertanto è validamente efficace anche se non specificamente approvata per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c. Infine, la mancata attivazione della mediazione obbligatoria entro il termine di quindici giorni non comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale, in quanto tale termine ha natura meramente ordinatoria e non perentoria.
Il ritardo ingiustificato e reiterato nell'esecuzione dei lavori, unitamente all'inadempimento degli obblighi di versamento dei canoni concessori e di rilascio delle garanzie assicurative, integrano una grave violazione contrattuale che legittima la risoluzione del contratto da parte della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, il concessionario inadempiente ha diritto al riconoscimento del compenso per le opere effettivamente eseguite e consegnate, in detrazione delle ragioni di danno spettanti all'Amministrazione. Pertanto, il credito del concessionario deve essere compensato con il credito dell'Amministrazione per la penale contrattuale dovuta a titolo di ritardata esecuzione, i canoni concessori non versati e le ulteriori somme dovute per lavori complementari e risparmi di spesa non realizzati, con conseguente condanna del concessionario al pagamento della differenza a favore dell'Amministrazione.
Il diritto alla percezione di una somma una tantum prevista da un accordo sindacale successivo alla scadenza di un contratto collettivo nazionale di lavoro è condizionato all'attualità del rapporto di lavoro alla data di stipula dell'accordo, senza che le organizzazioni sindacali siano tenute a riconoscere tale emolumento anche ai lavoratori già cessati dal servizio prima di tale data, in assenza di un espresso mandato in tal senso. Il mancato adeguamento della retribuzione all'aumentato costo della vita durante un lungo periodo lavorativo non determina di per sé l'insufficienza della retribuzione ai sensi dell'art. 36 Cost., in mancanza di specifiche allegazioni e prove in tal senso, essendo la finalità dell'una tantum quella di conservare il potere di acquisto e porre le basi per la futura contrattazione.
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