Sentenze recenti Tribunale Aosta

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AOSTA in persona del dott. Luca Fadda pronuncia la seguente SENTENZA (art. 429 c.p.c.) definitiva nella causa iscritta al n. 323/2022 R.G. Lav, promossa da: (...) Avv. Al.Ar. Ricorrente contro Regione Autonoma Valle d'Aosta Avv. Ri.JA., Fr.PA. e Ma.CA. Resistente FATTO RILEVATO - che, con ricorso depositato in Cancelleria il 21.12.2022, (...) adiva in giudizio la Regione Autonoma Valle d'Aosta, chiedendo la condanna della resistente al pagamento della somma di Euro 3.000,00, oltre interessi legali, nonché al risarcimento del danno ex art. 32 c. 5 L. n. 183 del 2010 stante l'abusiva reiterazione dei contratti a termine stipulati a far data dall'anno scolastico 2017/2018 a quello 2021/2022; in particolare sosteneva di avere svolto negli anni scolastici indicati nei rispettivi atti introduttivi mansioni di docente supplente in forza di ripetuti contratti d'insegnamento a tempo determinato, sempre per la medesima classe di insegnamento e nella medesima istituzione scolastica, chiedendo, pertanto, il relativo risarcimento; lamentava, altresì, di aver svolto mansioni del tutto identiche a quelle proprie dei docenti assunti a tempo indeterminato e, ciò nonostante, la Regione, in violazione del divieto di discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato, non avrebbe loro accreditato in busta paga -ai sensi della L.R. n. 18 del 2016- la somma annua di Euro 500,00, vincolata all'acquisto di beni e servizi formativi finalizzati allo sviluppo delle competenze professionali - c.d. Carta elettronica del docente -, prevista dall'art. 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015, per complessivi ulteriori 3.000 Euro, pari al rapporto tra la predetta somma annua e gli anni scolastici in considerazione; - che si costituiva tempestivamente la Regione, contestando le pretese attoree e chiedendone la reiezione; - che il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, invitava le parti ad immediata discussione, per poi pronunciare sentenza ex art. 429 c. 1 c.p.c., di cui veniva data lettura in udienza; OSSERVA Il ricorso è fondato e, pertanto, merita accoglimento. In prima battuta va esaminata la domanda di risarcimento del danno per asserita abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato a far data dall'anno scolastico 2017/2018 fino all'anno scolastico 2021/2022, come specificato in atto introduttivo. Si deve, a tal proposito, premettere che la Suprema Corte, nella notissima sentenza n. 22552/2016 del 18.10.2016, dopo una ricostruzione del complesso quadro normativo e tenuto conto delle sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale in subiecta materia, ha affermato i seguenti principi di diritto: "118. A. La disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel D.Lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, essendone stata disposta la salvezza dall'art. 70, comma 8, del D.Lgs. n. 165 del 2001, che ad essa attribuisce un connotato di specialità. 119. B. Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4 commi 1 e 11 della L. 3 maggio 1999, n. 124 e in applicazione della Direttiva 1999/70/CE 1999 è illegittima, a far tempo dal 10.07.2001, la reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 4 commi 1 e 11 della L. 3 maggio 1999, n. 124, prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, sempre che abbiano avuto durata complessiva, anche non continuativa, superiore a trentasei mesi. 120. C. Ai sensi dell'art. 36 (originario comma 2, ora comma 5) del D.Lgs. n. 165 del 2001, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. 121. D. Nelle ipotesi di reiterazione dei contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 4 comma 1 della L. 3 maggio 1999, n. 124, realizzatesi prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, con il personale docente, per la copertura di cattedre a posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l'abuso ed a "cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione" la misura della stabilizzazione prevista nella citata L. n. 107 del 2015, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell'organico di diritto, relativamente al personale docente, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell'art. 1 della L. n. 107 del 2015. 122. E. Nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi dal 10.07.2001 e prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l'abuso ed a "cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell'Unione" la stabilizzazione acquisita dai docenti e dal personale ausiliario, tecnico ed amministrativo, attraverso l'operare dei pregressi strumenti selettivi- concorsuali. 123. F. Nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi prima dell'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, deve affermarsi, in continuità con i principi affermati dalle SS.UU. di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016, che l'avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall'immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l'onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza. 124. G. Nelle predette ipotesi di reiterazione di contratti a termine stipulati ai sensi dell' art. 4 c. 1 L. n. 124 del 1999, avveratasi a far data da 10.07.2001, ai docenti ed al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario che non sia stato stabilizzato e che non abbia (come dianzi precisato) alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella già richiamata sentenza delle SSUU di questa Corte n. 5072 del 2016. 125. H. Nelle ipotesi di reiterazione di contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su "organico di fatto" e per le supplenze temporanee non è in sé configurabile alcun abuso ai sensi dell'Accordo Quadro allegato alla Direttiva, fermo restando il diritto del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le sintomatiche condizioni concrete della medesima.". Nello specifico, quanto ai contratti a termine del tipo di quelli oggetto dell'appena riprodotto punto 125 della sentenza, la S.C. ha motivato nel modo che segue: "97. Art. 4. c. 2 e 3 L. n. 124 del 1999 supplenze su organico di fatto 98. Come evidenziato innanzi, la scopertura dei posti individuati dall'art. 4 comma 1 si manifesta solo dopo l'esaurimento delle procedure di trasferimento, assegnazione provvisoria, utilizzazione di personale soprannumerario e immissione in ruolo; solo allora, verificato che sono rimasti privi di titolare, quei posti possono essere coperti - in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo - mediante l'assegnazione delle supplenze su organico di diritto, dette anche annuali. 99. Come sottolineato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 279/2012 e 200/2009 ( in materia di revisione dell'organico del personale ATA), il comparto scolastico presenta profili di complessità, di flessibilità e di necessaria integrazione tra ragioni di unità ed uniformità nazionale ed esigenze locali, profili che concernono la razionalizzazione e l'accorpamento delle classi di concorso (al fine di garantire una maggiore flessibilità nell'impiego di docenti), la ridefinizione dei "curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola" (attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e degli orari), la revisione dei criteri di formazione delle classi (al fine di adeguare il rapporto alunni/docente agli standards europei); la rimodulazione dell'organizzazione didattica delle scuole primarie, la revisione di criteri e parametri per la determinazione complessiva degli organici; la ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di formazione per gli adulti. 100. La Corte di Giustizia nella sentenza (...) ha affermato ( 91-95) che la sostituzione temporanea di un altro dipendente al fine di soddisfare esigenze provvisorie del datore di lavoro in termini di personale, al pari della necessità per lo Stato di organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra numero di docenti e numero degli scolari, in relazione a non preventivabili flussi migratori interni ed esterni ed alle scelte di indirizzi scolastici da parte degli scolari, possono, in linea di principio, costituire una "ragione obiettiva", ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell' Accordo quadro per il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato al fine di rispondere adeguatamente alla domanda scolastica ed evitare allo Stato, datore di lavoro, di immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario 101. Ha riconosciuto anche ( 96) che, quando uno Stato membro riservi nelle scuole dal medesimo gestite, l'accesso ai posti permanenti al personale vincitore di tali concorsi, tramite l'immissione in ruolo, può altresì oggettivamente giustificarsi che, in attesa dell'espletamento di detti concorsi, i posti da occupare siano coperti con una successione di contratti a tempo determinato 102. Ne consegue, pertanto, che non può configurarsi, in relazione ai posti individuati per le supplenze su "organico di fatto" e per le supplenze temporanee, l'abuso, contrario alla Direttiva 1999/70/CE , salvo che non sia allegato e provato da parte del lavoratore che, nella concreta attribuzione delle supplenze della tipologia in esame, vi sia stato un uso improprio o distorto del potere di organizzazione del servizio scolastico, delegato dal legislatore al Ministero, e, quindi, prospettandosi non già la sola reiterazione ma le condizioni concrete della medesima (quali il susseguirsi delle assegnazioni presso lo stesso Istituto e con riguardo alla stessa cattedra)". Ciò premesso, la Regione, in primis, contesta l'applicabilità di tali principi alla fattispecie in esame, in quanto i contratti a termine stipulati dall'insegnante sono tutti successivi all'entrata in vigore della L. 13 luglio 2015, n. 107. L'obiezione, tuttavia, non sembra cogliere nel segno, poiché, da un lato, oggettivamente - come si vedrà- la reiterazione dei contratti a termine si è protratta per oltre un triennio, mentre, dall'altro, nel periodo di cui trattasi non era prevista alcuna "misura di stabilizzazione" ovvero di "certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego". E' pur vero, infatti, che tra il 2018 ed i 2020 sono state indette due procedure concorsuali straordinarie ed un concorso ordinario: tuttavia ciò non sembra idoneo a sanare l'abuso perpetrato dall'amministrazione. Secondo la migliore e più recente giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, (vds. Cass. Sez. L - , Ordinanza n. 15353 del 17/07/2020, Cass. Sez. L - , Sentenza n. 14815 del 27/05/2021 e, da ultima. Cass. Sez. L, Sentenza n. 15240 del 1/06/2021), "in tema di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine, la successiva immissione in ruolo del lavoratore costituisce misura sanzionatoria idonea a reintegrare le conseguenze pregiudizievoli dell'illecito a condizione che essa avvenga nei ruoli dell'ente che ha commesso l'abuso e che si ponga con esso in rapporto di diretta derivazione causale, non essendo sufficiente che l'assunzione sia stata semplicemente agevolata dalla successione dei contratti a termine, ma occorrendo che sia stata da essa determinata, costituendo l'esito di misure specificamente volte a superare il precariato, che offrano già "ex ante" una ragionevole certezza di stabilizzazione, sia pure attraverso blande procedure selettive; ne consegue che - anche alla luce di Corte giust. U.E. 19 marzo 2020, C-103/18 e C-429/18 - non possiede tali caratteristiche una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine, atteso che in caso di concorsi riservati l'abuso opera come mero antecedente remoto dell'assunzione e il fatto di averlo subito offre al dipendente precario una semplice "chance" di assunzione, come tale priva di valenza riparatoria. Applicando tali condivisibili principi al caso di specie, è del tutto evidente che dette procedure avrebbero al più potuto comportare l'immissione in ruolo di parte ricorrente all'esito di una ordinaria procedura di tipo concorsuale, per cui l'assunzione non si sarebbe potuta porre in relazione immediata e diretta con l'abuso, ma, piuttosto, sarebbe stata l'effetto diretto del superamento della selezione di merito, in ragione di capacità e professionalità proprie del dipendente (per usare i termini di cui alla sentenza sopracitata n.15240/2021). In particolare, la Corte di Cassazione, in detta ultima pronuncia, ha ritenuto inidonea a riparare l'illecito la partecipazione di una precaria "ad un concorso pubblico per titoli ed esami con riserva parziale di posti, all'esito del quale ella neppure risultava idonea": mutatis mutandis, risulta pertanto irrilevante l'esclusione delle ricorrenti dalle procedure concorsuali. Né, nella specie, sembra potersi aderire alla tesi della resistente, secondo cui non si potrebbe prospettare un abuso, in quanto il ricorrente era prive della necessaria abilitazione, per cui non avrebbe comunque potuto partecipare ad un concorso per l'immissione in ruolo: la Regione, infatti, avrebbe dovuto quantomeno allegare che fosse stata bandita una procedura per il conseguimento dell'abilitazione. Ciò detto in punto diritto, in punto fatto è pacifico che tutti i contratti di interesse (dall'a.s. 2017/2018 all'a.s. 2021/2022) siano contratti a termine stipulati per supplenza annuale ex art. 4, comma 1 L. n. 124 del 1999. Ritiene il Tribunale che, perché sia configurabile abuso di contratto a termine per supplenze su "organico di fatto" o temporanee, sia necessario -sotto il profilo della durata (così come per l'abuso di contratti a termine per supplenze su "organico di diritto" e per evidenti ragioni di coerenza ed uniformità del sistema)- il superamento di 36 mesi (congiuntamente, s'intende, all'ulteriore requisito della medesimezza di istituto e cattedra). Stante il tipo di supplenze, i 36 mesi in questione non possono essere consecutivi (le supplenze su "organico di fatto" fino al termine delle attività didattiche si interrompono, per loro natura, nei mesi di luglio ed agosto), ma i contratti (per lo stesso istituto e per la stessa cattedra) devono comunque susseguirsi (per oltre 36 mesi) senza che fra un contratto e l'altro vi sia una consistente soluzione di continuità, perché solo in tal caso la reiterazione (anche in assenza di continuità intesa in senso stretto) rende manifesto quell'uso improprio e distorto al quale allude la Suprema Corte, in quanto evidenzia l'assenza di esigenze realmente temporanee. Dai contratti depositati, si evince che l'insegnante abbia stipulato contratti come docente di scuola secondaria di secondo grado sempre presso il Liceo Classico, Artistico e Musicale di Aosta e sempre per la medesima classe di concorso ((...) discipline grafico-pubblicitarie). Nel caso di specie, dunque, applicando i condivisibili principi desumibili dalla citata sentenza della Suprema Corte n.22552/2016 al periodo successivo all'anno 2015, ritiene il Tribunale che si possa configurabile un abuso, in quanto emerge un ricorso improprio e distorto alle supplenze su "organico di diritto" e "organico di fatto", desumibile dalla frequenza e dalla durata delle stesse, congiuntamente al fatto che si siano svolte presso lo stesso istituto e sulla stessa cattedra. Una volta, quindi, ritenuta la sussistenza dell'abuso, non può che conseguirne il diritto del ricorrente al risarcimento del danno, nella misura e secondo i principi affermati dalle S.U. della S.C. con sentenza n. 5072/2016 ("Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall'art. 36, comma 5, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall'onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all'art. 32, comma 5, L. 4 novembre 2010, n. 183, e quindi nella misura pari ad un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 L. 15 luglio 1966, n. 604."). Deve, pertanto, essere dichiarata la sussistenza dell'abuso nella reiterazione dei contratti a termine dall'anno scolastico 2017/2018 all'anno scolastico 2021/2022 e, per l'effetto, la Regione deve essere condannata a risarcire a parte ricorrente il danno, che (tenuto conto del numero di reiterazioni presso la stessa scuola e sulla stessa cattedra) pare equo liquidare in 3 mensilità della retribuzione globale di fatto, pari a mezza mensilità per ogni anno scolastico successivo al quarto, in cui si è verificato l'abuso: a tal proposito parte convenuta, in punto quantum, non ha specificatamente contestato l'ammontare di detta retribuzione come individuato in atto introduttivo (euro 2.326,61 lordi mensili), per cui l'importo complessivo liquidabile è pari ad Euro 6.979,83 lordi, oltre interessi dal 1.9.2020. Andando, ora, ad esaminare le ulteriori pretese attoree, come è noto, "al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali", l'art. 1, comma 121, L. n. 107 del 2015, ha istituito la Carta elettronica del docente. Essa, "dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124". La somma oggetto d'accredito, poi, "non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile". In attuazione di quanto previsto dal successivo comma 122 della legge citata, è stato adottato il D.P.C.M. del 23 settembre 2015, poi sostituito dal D.P.C.M. 28 settembre 2016; questo, nell'identificare i "beneficiari della carta" ha confermato quanto già previsto dall'atto ministeriale previgente (art. 2) e ha chiarito - all'art. 3 - che la platea è composta dai "docenti di ruolo a tempo indeterminato delle Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute di cui all'articolo 514 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati, i docenti nelle scuole all'estero, delle scuole militari". La L. Reg. V.d.A. n. 18 del 2016, infine, dando attuazione a quanto sopra, ha previsto l'attribuzione diretta in busta paga della somma annuale di Euro 500,00 (salvo obbligo di rendicontazione) e non la consegna di una carta elettronica da utilizzare per gli acquisti, come previsto dalla legislazione nazionale. Ricostruito, così, il quadro normativo, in punto diritto il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1842/2022, pur prescindendo da parametri di valutazione di provenienza eurounitaria, ha però ritenuto che la scelta ministeriale preveda un sistema di formazione "a doppia trazione": quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l'erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico. Secondo il Supremo Consesso amministrativo, tuttavia, "un tale sistema collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.". Si sarebbe, allora, in presenza di un contrasto "con l'esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non certo esclusivamente quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, affinché sia garantita la qualità dell'insegnamento complessivo fornito agli studenti" corrispondente al canone di buona amministrazione. Detto canone, quindi, sarebbe violato da "un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandogli gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche di un'altra aliquota di personale docente, la quale è tuttavia programmaticamente esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla: non può dubitarsi, infatti, che, nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l'erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell'insegnamento fornito agli studenti". Ne consegue, dunque, che "il diritto-dovere di formazione professionale e aggiornamento grava su tutto il personale docente e non solo su un'aliquota di esso ... Del resto, l'insostenibilità dell'assunto per cui la Carta del docente sarebbe uno strumento per compensare la pretesa maggior gravosità dell'obbligo formativo a carico dei soli docenti di ruolo, si evince anche dal fatto che la Carta stessa è erogata ai docenti part-time (il cui impegno didattico ben può, in ipotesi, essere più limitato di quello dei docenti a tempo determinato) e persino ai docenti di ruolo in prova, i quali potrebbero non superare il periodo di prova e, così, non conseguire la stabilità del rapporto. E l'irragionevolezza della soluzione seguita dalla P.A. emerge ancora più chiaramente dalla lettura del D.P.C.M. del 28 novembre 2016 (che, come già ricordato, ha sostituito quello del 23 settembre 2015), il quale, all'art. 3, individua tra i beneficiari della Carta anche "i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati", sicché "vi sarebbero dei docenti che beneficerebbero dello strumento pur senza essere impegnati, al momento, nell'attività didattica, mentre altri docenti, pur svolgendo diversamente dai primi l'attività didattica, non beneficerebbero della Carta e, quindi, sarebbero privati di un ausilio per il loro aggiornamento e la loro formazione professionale". Il Consiglio di Stato ha, poi, ritenuto che il contrasto evidenziato con gli artt. 3, 35 e 97 Cost. possa essere superato mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 1, commi 121 ss., legge cit.; è giunto a tale esito evidenziando che, nella specie, mancando una norma innovativa rispetto al D.Lgs. n. 165 del 2001, la materia della formazione professionale dei docenti è ancora rimessa alla contrattazione collettiva di categoria. Le regole dettate dagli artt. 63 e 64 del Ccnl di riferimento "pongono a carico dell'Amministrazione l'obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio (così il comma 1 dell'art. 63 cit.). E non vi è dubbio che tra tali strumenti possa (e anzi debba) essere compresa la Carta del docente, di tal ché si può per tal via affermare che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato (come gli appellanti), così colmandosi la lacuna previsionale dell'art. 1, comma 121, della L. n. 107 del 2015, che menziona i soli docenti di ruolo". Sulla conformità di questa disposizione rispetto alla disciplina eurounitaria è successivamente intervenuta la Corte di giustizia dell'Unione europea, a seguito del rinvio pregiudiziale con cui il Tribunale di Vercelli l'ha investita dell'analisi del rapporto tra la disciplina interna e le clausole 4 punto 1 e 6 dell'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. La Corte ha ritenuto che "la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell'importo di Euro 500 all'anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali", mediante la c.d. carta elettronica del docente. Ha in proposito osservato che, salve le valutazioni del giudice a quo, la misura in questione pare rientrare tra le "condizioni di impiego" ai sensi della clausola 4, punto 1, perché essa "è versata al fine di sostenere la formazione continua dei docenti, la quale è obbligatoria tanto per il personale a tempo indeterminato quanto per quello impiegato a tempo determinato presso il Ministero". La Corte ha, altresì, escluso la configurabilità di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento tra docenti di ruolo e non di ruolo e ha ricordato che "la nozione di ragioni oggettive richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti necessaria a tal fine". Si tratta di elementi che "possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro", mentre va escluso che rilevi la "mera natura temporanea del lavoro degli impiegati amministrativi a contratto" perché ciò significherebbe pregiudicare "gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell'accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato". Alla luce di tale ricostruzione giurisprudenziale, non può che concludersi che la natura temporanea del rapporto tra docente e Regione non incida sulla titolarità del diritto a ricevere la carta del docente: la stessa, infatti, spetta a tutti i docenti, anche a quelli assunti con contratto a termine, purché si trovino in una situazione analoga a quelli di ruolo. A questo proposito, si ribadisce che costituisce, ormai, ius receptum il principio per cui la disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori precari tra periodi di lavoro con contratti a termine e periodi di lavoro a tempo indeterminato, "non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare" (vds., ex multis, la notissima, Cass., Sez. Lav., n. 31149/2019). La comparabilità, come noto, non può essere esclusa nemmeno "per i supplenti assunti ai sensi dell'art. 4, comma 3, della L. n. 124 del 1999 facendo leva sulla temporaneità dell'assunzione, perché la pretesa differenza qualitativa e quantitativa della prestazione, oltre a non trovare riscontro nella disciplina dettata dai CCNL succedutisi nel tempo, che non operano distinzioni quanto al contenuto della funzione docente, non appare conciliabile, come la stessa Corte di giustizia ha rimarcato, con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere integralmente l'anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio dell'attività professionale dei docenti a tempo determinato (punto 34 della citata sentenza Motter), ossia nel periodo in cui, per le peculiarità del sistema di reclutamento dei supplenti, che acquisiscono punteggi in ragione del servizio prestato, solitamente si collocano più le supplenze temporanee, che quelle annuali o sino al termine delle attività didattiche" (vds. sempre Cass., Sez. Lav. n. 31149/2019 già citata). Né può sostenersi che la posizione del ricorrente, per il periodo in cui non era immesso in ruolo, si distinguesse dal personale di ruolo in ragione della diversa modalità di selezione e del diverso livello qualitativo della prestazione, nonché dei differenti obblighi contrattuali, in assenza del titolo di abilitazione: tali differenze, infatti, non possono costituire quelle ragioni oggettive in presenza delle quali veniva meno l'operatività del principio di non discriminazione di cui all'art. 6 D.Lgs. n. 368 del 2001 e alla clausola n. 4 Direttiva 1999/70/CE. Quanto alla carenza del titolo abilitativo, invero, ritiene questo Tribunale di aderire al migliore orientamento di merito (vds. C. App. Torino, sent, n.317/2018, RG n.750/2016, Pres. M., Est. M.) secondo cui "la mancanza del titolo di abilitazione all'insegnamento non rientra tra le caratteristiche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali potrebbero legittimare la disparità di trattamento" di cui alla notissima sentenza della Suprema Corte n.22558/2016, alle cui argomentazioni comunque si rimanda. Quanto al sistema di reclutamento, poi, esso attiene ad una condizione esterna al contenuto delle prestazioni ed alla natura delle funzioni espletate dal personale supplente: non può, quindi, essere considerato idoneo a giustificare una disparità di trattamento retributivo tra docenti assunti con contratto a tempo determinato rispetto a quelli assunti a tempo indeterminato. Analoghe considerazioni, poi, possono essere svolte in punto periodo di prova: l'esito positivo del medesimo, infatti, non differenzia per nulla le prestazioni di un insegnate di ruolo da quelle di uno non di ruolo. Dai contratti versati in atti, peraltro, si evince chiaramente che le supplenze svolte, su posto normale o su posto di sostegno, si siano protratte in maniera pressoché costante fino al termine delle lezioni, connotandosi per intensa frequenza e continuità: non è dato, allora, dubitare della piena assimilabilità della posizione dei ricorrenti a quella dei docenti assunti a tempo indeterminato (vds., in senso sostanzialmente conforme, la recentissima sentenza del Trib. di Gorizia, est. A., del 22.11.2022, RG 189/2022). Ciò posto, sul piano delle conseguenze va evidenziato che la normativa regionale, a differenza di quella nazionale, prevede l'accredito diretto in busta paga della somma di Euro 500,00 annui, salvo l'obbligo di rendicontazione delle spese. E' possibile, allora, condannare la Regione a liquidare il controvalore in denaro della "rappresentazione di valore" contenuta nella carta del docente, poiché ciò non assicura ai docenti a termine un trattamento privilegiato rispetto a quello proprio dei colleghi di ruolo: anche questi ultimi, infatti, si vedono attribuire in busta paga l'importo de quo. Accertato, dunque, il diritto attoreo al beneficio di cui all'art. 1, comma 121, per gli anni scolastici di servizio svolto in virtù dei contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti e indicati in premessa, la Regione va condannata all'adozione delle attività necessarie a consentire al ricorrente il pieno di godimento del beneficio medesimo, tra cui l'accredito in busta paga delle somme di cui trattasi. In conclusione, quindi, la Regione Autonoma Valle d'Aosta dovrà essere condannata al risarcimento del danno subito dalle ricorrenti ex art. 32 c. 5 L. n. 183 del 2010, che si liquida in 3 mensilità della retribuzione globale di fatto, pari ad Euro 6.979,83 oltre interessi come sopra. Dichiarato, poi, il diritto del ricorrente al beneficio di cui all'art. 1, c. 121, L. n. 107 del 2015, per gli anni scolastici indicati nei rispettivi atti introduttivi, la Regione deve essere condannata all'adozione di ogni atto necessario per consentirne il godimento, tra cui l'accredito in busta paga dell'importo di Euro 3.000,00 in favore del ricorrente. Quanto, infine, alle spese di lite, esse seguono la soccombenza, e possono essere liquidate come in dispositivo, in misura di poco inferiore ai minimi ministeriali per lo scaglione di riferimento (da Euro 5.200,00 ad Euro 26.000,00), senza tener conto della fase istruttoria. P.Q.M. "definitivamente pronunciando, contrariis reiectis: a) in accoglimento del ricorso, dichiara la sussistenza dell'abuso nella reiterazione dei contratti a termine dal 1.9.2017 al 30.8.2022 e, per l'effetto, condanna la Regione Autonoma Valle d'Aosta al risarcimento del danno in favore di (...), danno liquidato in 3 mensilità della retribuzione globale di fatto (euro 2.326,61 lordi mensili) per complessivi Euro 6.979,83 lordi, oltre interessi dal 1.9.2021; b) dichiara il diritto del ricorrente al beneficio di cui all'art. 1, c. 121, L. n. 107 del 2015, per gli anni scolastici indicati nei rispettivi atti introduttivi e per l'effetto, d) condanna la Regione Autonoma Valle d'Aosta all'adozione di ogni atto necessario per consentirne il godimento, tra cui l'accredito in busta paga dell'importo di Euro 3.000,00 in favore del ricorrente; e) condanna la Regione Autonoma Valle d'Aosta alla rifusione delle spese processuali sostenute dai ricorrenti, che liquida in complessivi Euro 1.800,00 per compensi ed Euro 49,00 per spese, oltre 15,00% per spese generali, I.V.A. e C.P.A.. Così deciso in Aosta il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 56 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Co. Ma. ed Em. Ic., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino, con domicilio legale presso gli Uffici in Torino, Corso (...); Questura di Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per l'annullamento Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: del Decreto a firma del Questore di Aosta, prot. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, notificato in data -OMISSIS- avente ad oggetto il diniego del rilascio della licenza di porto -OMISSIS-, richiesto dalla -OMISSIS-, nonché per l'annullamento, di ogni atto preparatorio, inerente, conseguente e/o comunque connesso, cognito e non, nessuno escluso, ed in particolare: - nota prot. n. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta; - nota prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta; - nota prot. n. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS- il 9 maggio 2022: per l'annullamento, del Decreto a firma del Questore di Aosta, prot. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, notificato in data -OMISSIS- avente ad oggetto il diniego del rilascio della licenza di porto -OMISSIS-, richiesto dalla -OMISSIS-, nonché per l'annullamento, di ogni atto preparatorio, inerente, conseguente e/o comunque connesso, cognito e non, nessuno escluso, ed in particolare: - nota prot. n. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta; - nota prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta; - nota prot. n. -OMISSIS- in data -OMISSIS-, a firma del Dirigente della Divisione Pasi - Vice Questore di Aosta. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2022 la dott.ssa Katiuscia Papi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La -OMISSIS- presentava alla Questura di Aosta, in data -OMISSIS-, istanza per il rilascio di licenza di porto di -OMISSIS-. Il Questore di Aosta respingeva la domanda, dando atto che la situazione della richiedente si appalesava, all'esito dell'attività istruttoria svolta dalla Questura, notevolmente complessa, e tale da non consentire il rilascio di un'autorizzazione di polizia che, in deroga al generale divieto di detenzione di armi, avrebbe consentito all'istante di venire in possesso di armi e munizioni: "Considerato l'eloquente e ricco quadro registrato, che appare alquanto preoccupante, nell'ambito della predetta attenta valutazione che vi deve essere riguardo la concessione di un particolare Titolo di Polizia, come quello richiesto dalla -OMISSIS-, e che comporta, se rilasciato, detenzione e uso di armi e munizioni. Atteso che (...) ci si trova dinanzi ad una situazione complessa ed articolata, caratterizzata da elementi conoscitivi che attualmente in tutta evidenza non consentono di optare per una concessione di un Titolo di Polizia come quello voluto dalla richiedente". In particolare, dall'istruttoria emergeva che: "(...) in data -OMISSIS- una volante della Questura di -OMISSIS- interveniva presso l'abitazione della -OMISSIS- a seguito di chiamata da parte di alcuni vicini di casa, che avevano sentito delle urla provenire dall'abitazione in cui la predetta donna vive con -OMISSIS- a -OMISSIS- e dove sul posto gli operatori accertavano un contesto domestico dalle critiche condizioni, con evidenti -OMISSIS- in un contesto di -OMISSIS-, con possibile compromissione della salute della -OMISSIS- dell'interessata, valutando quindi la necessità di far intervenire in quell'ambito familiare le preposte istituzioni. (...) (...)la Polizia di Stato raccoglieva informazioni in merito ai motivi che avevano portato i vicini di casa, nonché parenti della -OMISSIS-, ad allertare il soccorso pubblico in modo che le fonti interpellate confermavano le impressioni degli Agenti operanti, descrivendo un contesto familiare assai problematico e dai preoccupanti connotati, a tal punto da darne comunicazione al Comune di -OMISSIS-, i cui addetti con paziente opera di intermediazione riuscivano a convincere l'interessata a far ricoverare nel -OMISSIS- la propria -OMISSIS- presso una RSA". Le suddette circostanze erano state portate a conoscenza della -OMISSIS-, quali motivi ostativi ai sensi dell'art. 10 bis L. 241/1990, e la richiedente aveva presentato memorie procedimentali affermando che l'intervento delle forze dell'ordine era stato determinato dai problemi -OMISSIS-, -OMISSIS-. Precisava inoltre che la mancata presentazione presso il -OMISSIS-, ove era stata invitata, era dovuta alla non chiarezza delle ragioni della convocazione, e che la propria -OMISSIS- era stata confermata in sede di visita specialistica privata, posta in essere dal -OMISSIS-, specialista in -OMISSIS-. La Questura, ancora in sede istruttoria, chiedeva chiarimenti al -OMISSIS- il quale, con mail del -OMISSIS-, precisava che la -OMISSIS- gli si era rivolta onde attestare le proprie condizioni -OMISSIS al solo fine di essere -OMISSIS-, e che solo a tale precipuo fine doveva intendersi emessa la documentazione medica dallo stesso rilasciata; il -OMISSIS- dava atto che i procedimenti volti al rilascio del porto d'armi "richiedono -OMISSIS-a seconda dei casi nonché un necessario approfondimento mediante test -OMISSIS- (...) con tale complessa procedura che va eseguita presso struttura pubblica" (dal provvedimento). Seguiva una nuova comunicazione ex art. 10 bis L. 241/1990, con la quale si rappresentava che: "(...) da annotazione di servizio datata -OMISSIS- del Commissariato di P.S. di -OMISSIS-, si apprende che la -OMISSIS-, -OMISSIS- dell'interessata, veniva ricoverata nel -OMISSIS- presso la struttura per anziani "-OMISSIS-" in -OMISSIS- (...); l'-OMISSIS- della struttura (...) riferiva che la signora -OMISSIS- aveva deliberatamente prelevato dalla predetta RSA la -OMISSIS- dopo il suo ricovero, con quest'ultima non in grado di -OMISSIS- (...), altresì riferendo che -OMISSIS- giunta presso la struttura in data -OMISSIS-, visibilmente -OMISSIS- e -OMISSIS-, palesava -OMISSIS- rispetto alla -OMISSIS- e da successive -OMISSIS- emergevano numerose -OMISSIS-, con -OMISSIS- della richiedente incapace di -OMISSIS- ed -OMISSIS-; sempre da parte dell'-OMISSIS- di "-OMISSIS-", veniva riferito che personale sanitario dovette procedere a -OMISSIS- ed -OMISSIS- al fine di -OMISSIS- per -OMISSIS- della -OMISSIS-, essendo giunta in struttura in condizioni alquanto precarie, come a lasciare percepire -OMISSIS-". Si dava atto altresì che, dopo aver ricondotto -OMISSIS- presso l'abitazione comune, la stessa veniva di nuovo trovata dagli agenti del Commissariato di -OMISSIS- in condizioni precarie sotto il profilo -OMISSIS-. Con ulteriore comunicazione ex art. 10 bis L. 241/1990 del -OMISSIS- l'Amministrazione evidenziava ulteriori motivi di rigetto dell'istanza, rilevati dal colloquio con il -OMISSIS- della -OMISSIS-, -OMISSIS-, alla quale l'interessata aveva riferito di frequenti contrasti con le persone con cui la stessa quotidianamente interagiva (parenti e vicini di casa); dall'ascolto di alcuni parenti e di un -OMISSIS- della -OMISSIS-, da cui si rilevava un atteggiamento -OMISSIS- della ricorrente in varie situazioni e nei rapporti con -OMISSIS-; nonché dalle dichiarazioni dell'-OMISSIS-, che aveva trovato la -OMISSIS-, alcuni giorni dopo il ricovero della -OMISSIS- "-OMISSIS-, con -OMISSIS- e comunque -OMISSIS- in quanto raccontando la -OMISSIS- forniva tre date diverse, riferendo altresì che -OMISSIS- non era stata -OMISSIS- in passato. Inoltre il predetto -OMISSIS-, in merito ai suoi rapporti con -OMISSIS- riferiva di essersi trovata di fronte -OMISSIS-". 2. Avverso il suddetto provvedimento proponeva ricorso la -OMISSIS-, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: I) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S. Violazione dell'art. 3 della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Illogicità, irrazionalità ed irragionevolezza manifeste. potere per difetto di motivazione. Violazione del principio di proporzionalità " con cui si evidenziava l'assenza di motivi ostativi al rilascio dell'autorizzazione, come tipizzati dagli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S.; II) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Violazione del principio partecipativo", con cui si rilevava l'omessa considerazione per le circostanze dedotte nel procedimento dalla -OMISSIS-, con eccessiva rilevanza di quelle dichiarate da vicini e parenti, che esprimevano meri giudizi personali. Si costituiva in giudizio l'Amministrazione dell'Interno, instando per la reiezione del ricorso, evidenziando come il T.U.L.P.S. richieda al Questore di valutare, tra i requisiti per la licenza, la buona condotta della richiedente il porto d'armi, e l'affidamento nel non abuso delle stesse, con la necessità di considerare l'assenza di rischi anche potenziali per la pubblica sicurezza; rischi che, nella fattispecie, non potevano escludersi. 3. Con ricorso ex art. 43 c.p.a. depositato il 9 maggio 2022, la -OMISSIS- chiedeva, a seguito della consegna da parte della P.A. degli atti di cui aveva chiesto accesso, l'annullamento del diniego gravato anche per i seguenti motivi aggiunti: III) "Violazione e falsa applicazione degli artt. art. 10 e 22 e segg. della Legge n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. a) del D.M. del 10/05/1994. Violazione dell'art. 1 della Legge n. 241/1990 e dell'art. 97 Cost. Violazione delle garanzie partecipative procedimentali e del principio di trasparenza. Violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa", con cui si denunciava la condotta della P.A., che a seguito della prima istanza di accesso aveva precluso alla ricorrente la visione di alcuni atti in versione integrale; da ciò sarebbe derivata l'impossibilità di una piena partecipazione procedimentale della ricorrente e, per conseguenza, l'illegittimità del provvedimento conclusivo; IV) "Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S. Violazione dell'art. 3 della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Illogicità, irrazionalità ed irragionevolezza manifeste. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Violazione del principio di proporzionalità ", relativo ancora una volta alla dedotta carenza dei presupposti per il diniego; V) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del D.M. 28 aprile 1998. Violazione degli artt. 3 e 10 bis della Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Illogicità, irrazionalità ed irragionevolezza manifeste, sotto altro profilo", con riferimento al difetto di motivazione e all'eccesso di potere per illogicità . L'Amministrazione resisteva anche ai motivi aggiunti. 4. All'udienza pubblica dell'8 novembre 2022 la causa veniva trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Le doglianze avanzate dalla -OMISSIS- con il ricorso introduttivo e con quello per motivi aggiunti vengono scrutinate congiuntamente, siccome intimamente connesse. 1.1. Ai sensi dell'art. 43 comma 2 del R.D. 773/1931 (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza), la licenza di portare armi "(...) può essere ricusata (...) a chi (...) non dà affidamento di non abusare delle armi". La disposizione attribuisce all'Amministrazione di pubblica sicurezza un potere fortemente discrezionale, consistente nella necessità di valutare se siano escludibili, secondo un giudizio necessariamente prognostico, rischi per la pubblica sicurezza che possano scaturire dal possesso di armi e munizioni da parte del soggetto richiedente la licenza. Ai fini dell'espressione, da parte della Questura, del giudizio di inidoneità del soggetto istante, non è determinante l'assenza di precedenti penali o la sussistenza di previ episodi di abuso delle armi. Costituisce infatti ius receptum il principio secondo cui la suddetta valutazione, diretta alla tutela dell'incolumità pubblica - in ragione dell'obiettivo rischio che a quest'ultima deriva dalla possibilità di utilizzo delle armi -, deve essere fondata sul complesso della condotta di vita del soggetto interessato, e ben può basarsi su circostanze del tutto prive di rilevanza penale, ma tali da non consentire di escludere la possibilità che l'accesso alle armi da parte del richiedente sia foriero di un futuro pregiudizio per la sicurezza della collettività tutta. In tal senso: "A norma degli artt. 11 e 43 del TULPS la licenza di portare armi non può essere concessa ai soggetti che abbiano riportato determinati tipi di condanne penali o che siano sottoposti a misure di sicurezza, mentre può essere rifiutata, in base ad una valutazione discrezionale dell'autorità di polizia, "a chi (...) non dà affidamento di non abusare delle armi". Si tratta di norme poste a presidio dell'ordine e della sicurezza pubblica, che impongono di consentire l'utilizzo e la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti solo a chi sia indenne da mende e osservi una condotta di vita improntata a puntuale osservanza delle norme penali e di tutela dell'ordine pubblico, nonché delle comuni regole di buona convivenza civile, così da potersi escludere sospetti di impiego improprio delle armi o, comunque, di comportamenti incompatibili con i tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati" (TAR Toscana, Firenze, II, 8 febbraio 2016 n. 200); "Ai sensi delle previsioni degli artt. 11 e 43, T.U.L.P.S., il potere riconosciuto al Questore in materia di porto d'armi è connotato da elevata discrezionalità, in considerazione dei rischi di commissione di illeciti connessi al possesso delle stesse. Ne consegue che il diniego della licenza di porto d'armi o la revoca del titolo non richiedono un oggettivo ed accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'autorità amministrativa. Si tratta, dunque, di un giudizio prognostico che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario, stante il potenziale pericolo per la sicurezza pubblica rappresentato dalla possibilità di utilizzo delle armi possedute" (TAR Campania, Napoli, V, 3 gennaio 2020 n. 35; ibidem; 4 luglio 2018 n. 4442); "Nel valutare il grado di affidamento dell'interessato nel non abusare delle armi, ai sensi dell'art. 43, comma 2, del T.U.L.P.S., l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sicché l'inaffidabilità del soggetto in tal senso non deve essere necessariamente ancorata all'eventuale pendenza di procedimenti penali ed alla loro definizione, ma deve essere evinta dall'esame dei fatti storici che ne costituiscono il fondamento, atteso che un giudizio negativo in termini di affidabilità ben potrebbe essere fondato su vicende e situazioni personali del soggetto che non assumono in nessun modo, nemmeno a livello di astratta qualificazione, alcuna rilevanza penale" (TAR Emilia-Romagna, Parma, 18 marzo 2019 n. 64; cfr: TAR Piemonte, Torino, I, 6 agosto 2018 n. 932). Del resto, la licenza richiesta dalla -OMISSIS- non costituisce un'ordinaria autorizzazione di polizia, bensì un permesso di carattere eccezionale, che deroga al generale divieto di portare armi, con conseguente maggior severità e pregnanza della valutazione di idoneità posta in essere dall'Amministrazione nei confronti del richiedente (TAR Basilcata, potenza, I, 1° giugno 2018 n. 358); valutazione nell'ambito della quale la richiesta espansione della sfera di libertà dell'individuo è necessariamente destinata a recedere di fronte al bene della sicurezza collettiva (TAR Umbria, Perugia, I, 1° giugno 2015 n. 228). 1.2. Nel caso di specie, l'Amministrazione valutava la -OMISSIS- inidonea a conseguire la licenza di portare armi sulla base di condotte della stessa, accertate alla luce di convergenti dichiarazioni e/o rapporti di servizio acquisiti dalla PA presso plurimi soggetti, disinteressati alla vicenda (la volante della Questura di -OMISSIS- in data -OMISSIS- veniva chiamata dai vicini per urla nell'abitazione comune della ricorrente e -OMISSIS-, e rinveniva la -OMISSIS- in -OMISSIS-, interpellando i servizi sociali del Comune; l'-OMISSIS- ove -OMISSIS- della -OMISSIS- per breve tempo veniva ricoverata riferiva di -OMISSIS- espresse dall'-OMISSIS- nei riguardi della -OMISSIS-, del prelievo della -OMISSIS- posto in essere dopo breve tempo dall'avvenuto ricovero; ricovero in occasione del quale l'-OMISSIS- era stata trovata in -OMISSIS-, che avevano richiesto interventi peculiari e prolungati; uno dei -OMISSIS- riferiva di condotte -OMISSIS- poste in essere dalla -OMISSIS- verso -OMISSIS-; il -OMISSIS- raccontava di rapporti conflittuali della stessa con pressoché tutti i parenti e i vicini) le quali, sebbene non identificabili come casi di abuso di armi né quali fattispecie di rilevanza penale, evidenziano purtuttavia un'assenza di serenità della ricorrente nei rapporti con -OMISSIS- e con i consociati con i quali interagisce. La -OMISSIS- veniva pertanto ritenuta inidonea al porto d'armi, in quanto inaffidabile rispetto al possibile futuro nocumento per la società, ritenuto in via prognostica non escludibile. 1.3. La valutazione in tali termini posta in essere dal Questore appare al Collegio logica e ragionevole, sorretta da idonea istruttoria e da congrua motivazione oltre che, in tutta evidenza, pienamente in linea con il quadro normativo sopra ricostruito. Non ha alcuna rilevanza il richiamato art. 3 D.M. 28 aprile 1998, che attiene all'accertamento -OMISSIS- per il conseguimento della licenza e non riguarda la valutazione di affidabilità del richiedente, che viene invece in rilievo nella presente causa. Nel contempo, i vizi di carattere procedimentale posti in luce dalla ricorrente non sono tali da rendere prospettabile (almeno allo stato) un contenuto del provvedimento finale diverso dal diniego adottato dal Questore, con conseguente dequotazione degli stessi, che non potranno costituire presupposti per l'annullamento dell'atto ai sensi impugnato dell'art. 21 octies comma 2 L. 241/1990. 2. In virtù delle considerazioni che precedono il ricorso principale e quello per motivi aggiunti, siccome in toto destituiti di fondamento, devono essere respinti. 3. Le spese del giudizio vengono compensate tra le parti, in ragione della peculiarità della fattispecie che ha costituito oggetto di causa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto e integrato da motivi aggiunti, lo respinge per le ragioni indicate in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Silvia La Guardia - Presidente Katiuscia Papi - Primo Referendario, Estensore Liliana Felleti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di AOSTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio D'Abrusco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 624/2021 promossa da: ASSOCIAZIONE (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) del foro di Milano e degli avv.ti (...) del foro di Roma, elettivamente domiciliata i domicili digitali dei difensori ATTRICE contro S.A.P. (C.F. (...)) e G.G. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliati in VIA (...), 10121, TORINO, presso il difensore nonché A.-ASSOCIAZIONE A.I.T. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliata in C.SO (...), 28100, NOVARA, presso i difensori OGGETTO: risarcimento danni CONVENUTI Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L'Associazione N.C.L. (A.) ha convenuto in giudizio lo Studio associato (...), il dr. G.G. e l'A. - Associazione A.I.T., formulando le domande oggetto di conclusioni, a sostegno delle quali ha allegato e dedotto in sintesi che: l'associazione, cui aderiscono attualmente 26 dei circa 80 professionisti iscritti all'albo della Valle d'Aosta, è organo periferico/provinciale del sindacato unitario della categoria dei consulenti del lavoro; il dr. G., presidente provinciale di A.A. dal 19.1.2010, si era dimesso dalla carica nella riunione del consiglio in data 9.10.2014; qualche giorno prima avevano fatto altrettanto gli altri consiglieri; stante l'impossibilità di dar corso alla nomina del nuovo direttivo, A.A. è stata commissariata dall'ente nazionale fino al primo trimestre 2017, quando hanno avuto luogo le elezioni all'origine dell'attuale organo di gestione; lo S.P. è un'associazione professionale di consulenti del lavoro, recante il nome della fondatrice dott.ssa C.P., cui si sono uniti ad inizio anni '90 i dott.ri R.V. e M.C.; attualmente lo Studio si compone di questi ultimi due professionisti, del dr. G. e della dott.ssa A.C., oltre che di sei collaboratori, tutti originariamente iscritti ad A.A. (del cui collegio dei probiviri la dott.ssa V. era membro effettivo); dal 1 gennaio 2015, lo S.P. è consulente del lavoro di A. - organizzazione territoriale rappresentativa delle imprese del comparto turistico/ricettivo di basilare importanza nell'economia valdostana - e "assiste nella gestione del personale ed elaborazione delle buste paga più di 130 aziende alberghiere, rifugi e pubblici esercizi che applicano il CCNL del Turismo - Federalberghi "; con scrittura privata del 2 febbraio 1999, A. e l'Associazione R.C.T. (A. - C.V.) avrebbero pattuito con A.A. di demandare e riservare a quest'ultima il servizio di consulenza del lavoro nei confronti degli iscritti A. e A. - C.V., "entrambe le Associazioni datoriali rinunciando a svolgere in proprio il medesimo "; nel settembre 2014, alcuni consulenti del lavoro, avendo appreso che A. intendeva affidare ad un'unica associazione professionale lo svolgimento della consulenza del lavoro e l'elaborazione dei dati giuslavoristici in favore delle imprese ricettive aderenti alla stessa A., si sarebbero rivolti all'allora presidente di A.A., dr. G., affinché si attivasse per la tutela degli interessi della categoria; il dr. G. sarebbe rimasto inerte, perché - al pari della dott.ssa R.V., all'epoca componente del collegio dei probiviri di A.A. - membro dello S.P., di cui A. aveva già deciso di avvalersi per fornire alle imprese associate, a condizioni economiche vantaggiose per costoro, i servizi di consulenza del lavoro ed elaborazione delle buste-paga; lo S.P. presta agli associati di A. i propri servizi nei locali della medesima A., con un account di posta elettronica riferibile ad A., facendo comparire la dott.ssa V. quale responsabile della consulenza del lavoro nello staff riportato sul sito internet di A. e partecipando attivamente ad iniziative di formazione telematica rivolte agli associati, nonché venendo pubblicizzato in vario modo su canali comunicativi ufficiali di A.; l'attrattività dell'offerta dello S.P., generata dal rapporto di quest'ultimo con A., avrebbe prodotto in capo a numerosi consulenti del lavoro (studi associati e individuali) valdostani la perdita di clientela, costringendoli inoltre a rivedere al ribasso l'entità dei compensi praticati e rendendo loro difficile l'acquisizione di nuovi incarichi professionali nel settore turistico/ricettivo, con conseguente calo del volume d'affari dell'intera categoria, svendita dei servizi, diminuzione della loro qualità ed esclusione dal mercato di una porzione considerevole di operatori. Ciò posto, l'attrice ha in sintesi dedotto: la violazione del codice deontologico dei consulenti del lavoro, la violazione del codice etico A., la violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte del dr. G.; la violazione dell'Acc. del 1999 A./A. da parte di A.; la violazione della normativa in tema di consulenza del lavoro (L. n. 12 del 1979) da parte dello S.P. e di A.; la violazione di cui all'art. 2598 c.c. da parte dello S.P. e di A.; in definitiva la responsabilità solidale tra tutti i convenuti, anche per diverso titolo e per concorso nelle altrui violazioni. Parte attrice ha chiesto quindi che sia accertato, ai sensi dell'art. 2599 c.c., l'illecito concorrenziale posto in essere dai convenuti S.P. e A. nei confronti dei consulenti del lavoro operanti in Valle d'Aosta e che ne sia inibita la continuazione con provvedimento inibitorio munito di sanzione pecuniaria ex art. 614-bis c.p.c.; che sia adottato, sempre ai sensi dell'art. 2599 c.c., ogni provvedimento idoneo affinché vengano eliminati gli effetti dell'illecito anticoncorrenziale accertato; che sia accertato, ai sensi dell'art. 2600 c.c., il danno derivante dall'illecito anticoncorrenziale sui consulenti del lavoro, con condanna generica dei convenuti al risarcimento dei danni e in ogni caso con la pubblicazione della sentenza; che i convenuti siano condannati al risarcimento dei danni all'immagine subiti da A.V.D., in conseguenza del comportamento posto in essere dagli stessi, in concorso tra di loro, in violazione di regole di comportamento di natura contrattuale ed extracontrattuale, nonché al risarcimento dei danni materiali subiti dalla stessa attrice per effetto della possibile perdita di credibilità subita e per la diminuzione del numero di associati in seguito ai fatti per cui è causa e la conseguente diminuzione degli introiti dell'associazione; che pertanto i convenuti siano condannati a risarcire all'associazione sia il danno all'immagine sia il danno materiale subito, con riserva di quantificare i danni subiti in corso di causa. Nel costituirsi in giudizio, lo S.P. e il dr. G. hanno eccepito la carenza di legittimazione attiva e passiva, osservando che la normativa invocata dall'attrice (art. 2598 c.c., al pari della sezione I del relativo capo I e, più in generale, dell'intero titolo X del libro quinto del codice civile) concerne unicamente gli imprenditori, sia quali autori sia quali vittime delle condotte di concorrenza sleale, consentendo unicamente a costoro (ed alle eventuali associazioni che li rappresentino) di agire giudizialmente per la tutela dei diritti in ipotesi lesi. Nel merito, lo S.P. e il dr. G. hanno dedotto: l'infondatezza delle domande, stante la piena correttezza della condotta dei detti convenuti; quanto al dr. G., l'insussistenza di violazioni del codice etico di A., del codice deontologico, dei doveri connessi alla carica di presidente provinciale A.A., dei doveri di correttezza professionale (in subordine, l'intervenuta prescrizione di ogni pretesa di A.A. sia ai sensi dell'art. 2949 c.c. sia ai sensi dell'art. 2947 c.c.); quanto allo S.P., la correttezza del relativo comportamento sul piano delle condizioni giuridiche ed economiche di cui all'Acc. del 23 ottobre 2014; quanto alla domanda ex art. 2599 c.c., la relativa improponibilità per difetto di interesse ad agire, essendo scaduta (in data 31.12.2019) e non rinnovata la convenzione in esame, e per carenza di legittimazione passiva, non essendo lo S.P. e il dr. G. imprenditori. L'A. si è costituita eccependo la carenza di legittimazione attiva dell'attrice e la carenza dei presupposti per la proposizione dell'azione di cui all'art. 2598 c.c.; il difetto di effettiva rappresentatività di A., posto che per sua stessa ammissione l'attrice rappresenterebbe solo 26 consulenti su 80 iscritti all'Albo della Valle d'Aosta, 8 dei quali (indicati in citazione) avrebbero subìto la lamentata perdita di clientela; la carenza di legittimazione passiva, essendo essa convenuta un'associazione privata e senza scopo di lucro. A. ha dedotto inoltre che: essa convenuta è soggetto di diritto privato, che opera con fondi privati, svolge attività d'interesse privatistico, sceglie i propri professionisti, fornisce qualsivoglia servizio (nella specie una prestazione intellettuale ex artt. 2229 c.c.) ai propri associati (che sono liberi di ricorrervi o meno); l'attività opzionale di consulenza da essa proposta ai propri associati è in linea con il proprio scopo sociale e costitutivo; la non vincolatività del preteso accordo fra A., A. e A.C., sottoscritto nel febbraio 1999; in ogni caso, la convenzione del 2014 aveva durata quinquennale, è scaduta nel dicembre 2019 ed è quindi irrilevante nell'odierno contendere, onde la carenza di interesse ad agire dell'attrice ex art. 100 c.p.c.; A. ha 850 associati, 150 dei quali si sono rivolti allo S.P. fruendo della convenzione (al riguardo, peraltro, lo S.P. ha allegato in comparsa che 50 imprese sono riunite nel Consorzio degli O.T. già cliente dello Studio prima della convenzione e che altre 5 intrattenevano rapporti con lo Studio prima della stipula della convenzione stessa, cosicché da allora sono 95 le imprese che si sono rivolte allo S.P.), onde l'insussistenza della lamentata distrazione di clientela o di una condizione di "monopolio" da parte dello studio (...); ove pure si ravvisi la fattispecie di cui all'art. 2598 c.c., A. non è legittimata a richiedere un risarcimento "per conto terzi", in quanto non svolge attività libero professionale di consulenza del lavoro né ha qui agito su mandato dei professionisti asseritamente danneggiati, dei quali, quindi, difetta di rappresentanza in termini processuali; in ogni caso, l'azione per la eventuale responsabilità aquiliana sarebbe comunque prescritta. Espletata l'istruttoria orale, la causa è stata successivamente spedita a sentenza previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Preliminarmente, si rileva che l'eccezione di difetto di legittimazione attiva e passiva e l'eccezione di carenza di interesse ad agire qui formulate dai convenuti attengono, rispettivamente, alla causa petendi costituita dal dedotto illecito concorrenziale ex artt. 2598 e ss. c.c. e al petitum costituito dalla richiesta di inibitoria. Come si è sopra rilevato, parte attrice ha dedotto, a base della domanda risarcitoria, anche inadempimenti contrattuali e illeciti ex art. 2043 c.c. Effettivamente, non sussiste l'interesse di parte attrice ad ottenere una pronuncia volta ad inibire, anche con l'imposizione di una misura coercitiva ex art. 614-bis c.p.c. di almeno Euro 10.000,00 (ovvero la diversa somma ritenuta di giustizia) per ogni violazione e inosservanza, la prosecuzione dei comportamenti posti in essere dai convenuti, così come meglio descritti in narrativa, ed in particolare lo svolgimento da parte dello S.A.P., tramite i suoi soci e collaboratori, dell'attività di consulenza del lavoro presso i locali di A. - Associazione A.I.T., in favore delle imprese turistico ricettive che aderiscono a quest'ultima associazione, e/o alle condizioni economiche attualmente applicate, e prendere ogni opportuno provvedimento al fine di eliminarne gli effetti. Ed infatti, per come allegato e provato dai convenuti (teste C.E.) la convenzione del 23.10.2014 tra A. e lo S.P. è scaduta il 31 dicembre 2019 e nessuna proroga è stata pattuita. L'eccezione di difetto di legittimazione attiva e passiva non è fondata. Ed invero, la legittimazione processuale si determina in base alla prospettazione dell'attore, mentre la questione della titolarità del diritto azionato attiene al merito della controversia, ossia ai profili della sussistenza o meno della posizione sostanziale fatta valere, dei fatti illeciti lamentati e della loro qualificazione giuridica. La legittimazione attiva e passiva sussiste anche in riferimento alle domande connesse al preteso illecito concorrenziale in quanto, in virtù della prospettazione attorea, le norme in materia sarebbero applicabili nei rapporti tra liberi professionisti ed in quanto le condotte qui lamentate, sempre secondo la prospettazione attorea, integrerebbero la fattispecie di illecito dedotta in causa. Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951 ha chiarito che: La legittimazione ad agire attiene al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare. La sua carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Cosa diversa dalla titolarità del diritto ad agire è la titolarità della posizione soggettiva vantata in giudizio. La relativa questione attiene al merito della causa. La titolarità della posizione soggettiva è un elemento costitutivo del diritto fatto valere con la domanda, che l'attore ha l'onere di allegare e di provare. Può essere provata in positivo dall'attore, ma può dirsi provata anche in forza del comportamento processuale del convenuto, qualora quest'ultimo riconosca espressamente detta titolarità oppure svolga difese che siano incompatibili con la negazione della titolarità. La difesa con la quale il convenuto si limiti a dedurre, ed eventualmente argomentare (senza contrapporre e chiedere di provare fatti impeditivi, estintivi o modificativi), che l'attore non è titolare del diritto azionato, è una mera difesa. Non è un'eccezione, con la quale si contrappone un fatto impeditivo, estintivo o modificativo, né quindi, un'eccezione in senso stretto, proponibile, a pena di decadenza, solo in sede di costituzione in giudizio e non rilevabile d'ufficio. Essa, pertanto, può essere proposta in ogni fase del giudizio (in cassazione solo nei limiti del giudizio di legittimità e sempre che non si sia formato il giudicato). A sua volta il giudice può rilevare dagli atti la carenza di titolarità del diritto anche d'ufficio. Sempre in via preliminare, quanto all'eccezione di prescrizione in ordine all'illecito aquiliano o concorrenziale formulata dai convenuti se ne rileva l'infondatezza, nei riguardi di S.P. e A., in quanto l'illecito dedotto in causa avrebbe natura permanente e la relativa consumazione non si sarebbe esaurita con la stipula della convenzione del 23.10.2014, ma si sarebbe protratta per tutto il tempo della sua esecuzione (fino alla scadenza allegata e provata dai convenuti) con la pretesa applicazione di condizioni tariffarie "anticoncorrenziali". Certamente è maturata la prescrizione quanto all'illecito aquiliano attribuito al G. (che ha formulato l'eccezione solo in via di subordine), essendosi la relativa presunta condotta illecita esaurita con il "favorire" la stipula della convenzione avvenuta oltre cinque anni prima della notificazione dell'atto di citazione (costituente primo atto interruttivo, posto che le lettere dell'Avv. I. e dell'Avv. F. prodotte da parte attrice non sono state indirizzate al G. né contengono censure sul relativo operato). Nel merito, si rileva che le allegazioni attoree sugli svariati profili di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale attribuiti a vario titolo ai convenuti anche in concorso tra loro originano essenzialmente dalla stipula della convenzione del 23.10.2014 (qui prodotta dai convenuti con la seconda memoria di cui all'art. 183 c.p.c.), in relazione alla quale parte attrice lamenta che: A. ha potuto iniziare a offrire ai propri associati l'attività di consulenza del lavoro finora prestata dalla generalità dei consulenti del lavoro della Valle d'Aosta alle imprese turistico ricettive; l'attività di consulenza sarebbe svolta non direttamente dal personale di A., ma dai soci e collaboratori dello S.P.; l'attività sarebbe svolta anche presso i locali di A., anziché presso i locali dello S.P.; il compenso dovuto da ciascun associato A. allo S.P. sarebbe decisamente contenuto; l'attrattività dell'offerta dello S.P., generata dal rapporto di quest'ultimo con A. avrebbe prodotto in capo a numerosi consulenti del lavoro (studi associati e individuali) valdostani la perdita di clientela, costringendoli inoltre a rivedere al ribasso l'entità dei compensi praticati e rendendo loro difficile l'acquisizione di nuovi incarichi professionali nel settore turistico/ricettivo, con conseguente calo del volume d'affari dell'intera categoria, svendita dei servizi, diminuzione della loro qualità ed esclusione dal mercato di una porzione considerevole di operatori. Dalla convenzione prodotta dai convenuti con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., consta che il compenso richiesto per una serie di attività variava da Euro 12,00/cedolino ad Euro 20,00/cedolino e comprendeva una serie di attività (ad es. predisposizione e trasmissione dei modelli CUD, compilazione e trasmissione dei modelli relativi ai sostituti d'imposta (770), predisposizione dei modelli Uniemens) per cui gli importi indicati come "costo a cedolino" (al netto di iva e cass. prev.) erano da intendersi, come previsto in convenzione, forfettari ed omnicomprensivi di ogni onere legato alla fornitura di tutti i servizi connessi con le attività elencate a titolo esemplificativo ma non esaustivo nella convenzione stessa, compensi che, in definitiva, parte attrice assume essere molto inferiori a quelli praticati dalla concorrenza, con conseguente "sviamento" di clientela in favore dello S.P.. In proposito, si rileva che il caso trattato dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 6359/2017 richiamata dall'attrice nella prima memoria istruttoria è del tutto differente da quello in esame. In quel caso, un avvocato, dichiarandosi esperto di diritto tedesco e in contatto con numerosi clienti tedeschi, proponeva ad uno Studio Legale facente capo a due avvocati una collaborazione nell'ambito dell'istituendo German Desk nello Studio di questi ultimi, proposta che gli avvocati accettavano; circa quatto anni dopo, insorte incomprensioni di natura economica, l'avvocato aveva comunicato ai colleghi la sua intenzione di abbandonare lo Studio e di mettersi in proprio, informando che altro avvocato, collaboratore dello Studio da egli stesso "portato", l'avrebbe seguito; ciò avvenne una mattina, senza fornire alcun preavviso in tal senso, e a fronte della richiesta dello Studio di dare assistenza per un ordinato passaggio di consegne, l'avvocato avrebbe opposto un ingiustificato rifiuto, non presentandosi più in Studio; considerate le anomale modalità di abbandono dello Studio, gli avvocati di quest'ultimo avevano dato corso ad attività investigative, volte, in particolare, a verificare eventuali manomissioni o un'indebita appropriazione di informazioni riservate dei clienti, ed avevano instaurato un procedimento cautelare per ottenere il sequestro o, in subordine, la descrizione di tutti quei beni (documenti, oggetti, etc.) di proprietà industriale ed intellettuale dello Studio, o comunque riconducibili ad esso o ai suoi clienti, che fossero stati indebitamente rinvenuti nel possesso degli avvocati "dimissionari"; il Tribunale disponeva la descrizione inaudita altera parte sia presso il nuovo studio di questi ultimi sia presso l'abitazione dell'avvocato in questione, cui seguiva il sequestro di quanto ivi rinvenuto; attraverso la CTU e quanto reperito nella documentazione oggetto di descrizione, era emersa l'intrusione illecita nel sistema informatico dello Studio, la riproduzione integrale del suo archivio, l'indebita appropriazione dell'intero know how dello Studio, nonché la riproduzione fotostatica selettiva di documenti personali e privati di componenti dello Studio e di terzi, fatti per i quali gli avvocati dello Studio avevano sporto querela nei confronti dell'avvocato "infedele" che veniva rinviato a giudizio per i reati di cui agli artt. 615-ter e 167 c.p., in relazione agli artt. 4 e 23 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e, in seguito, definitivamente condannato dopo tre gradi di giudizio. Con un'interpretazione evolutiva, il Tribunale ha ritenuto che ricorresse un'ipotesi di concorrenza sleale pur riconoscendo che la possibilità di applicare le norme poste a tutela della libera concorrenza nell'ambito delle libere professioni e, in generale, a fronte di soggetti che operano sul mercato ma non hanno le caratteristiche dell'imprenditore, è questione controversa. Con la sentenza in esame, il Tribunale ha condannato gli avvocati convenuti al risarcimento del danno, nei limiti di quanto allegato e provato dagli attori, in riferimento al mancato guadagno per la perdita di clientela e alla lesione del diritto all'immagine. La questione della sussistenza o meno di un'ipotesi di concorrenza sleale nel caso trattato dal Tribunale di Milano non era quindi neppure rilevante ai fini della decisione sulla domanda risarcitoria, in quanto il danno lamentato dagli attori era conseguente ad una fattispecie ampiamente riconducile al paradigma di cui all'art. 2043 c.c., in presenza di condotte illecite e predatorie talmente eclatanti che è anche riduttivo ricondurre ad una mera fattispecie di concorrenza sleale. Nel caso qui in esame, secondo le allegazioni di A., otto professionisti indicati in citazione (tra cui il rappresentante A. firmatario della procura ad litem) avrebbero subito danni economici per effetto di una convenzione (intervenuta tra lo S.P. ed A.) prevedente condizioni tariffarie di favore per gli associati A. che avrebbero determinato uno sviamento di clientela ai danni di detti professionisti, oltre che la perdita di credibilità e un danno all'immagine dell'associazione attorea che avrebbero a sua volta determinato una diminuzione del numero di iscritti con conseguente diminuzione di introiti in favore di quest'ultima. La norma qui invocata da parte attrice (art. 2598, comma 1, n. 3, c.c.) stabilisce che "compie atti di concorrenza sleale chiunque ... si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda". In via generale, si rileva che, per come è noto, la "concorrenza sleale" di cui alla norma in esame è integrata dall'esercizio di attività o dalla tenuta di condotte dirette ad appropriarsi illegittimamente di una fetta di mercato o della clientela del concorrente, e quindi da azioni che sono illegittime in quanto si concretizzano in atti non conformi alla correttezza professionale, mentre resta del tutto irrilevante, ad esempio, il danno da perdita di clientela in sé considerato derivante da una condotta che non esorbita dai limiti della libera concorrenza, la quale rende legittime condotte anche "egoistiche", dirette al perseguimento di maggiori introiti, ove attuate senza violazione dei detti principi di correttezza professionale. E' altrettanto noto che Cass. civ., sez. III, n. 560/2005, ha chiarito che presupposto giuridico per la legittima configurabilità di un atto di concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori (e la conseguente idoneità della condotta di uno dei due concorrenti ad arrecare pregiudizio all'altro, pur in assenza di danno attuale) e che la normativa dettata, in materia, dall'art. 2598 c.c. non può ritenersi applicabile ai rapporti tra professionisti (nella specie, trattavasi di avvocati). La Corte ha precisato che la nozione di azienda di cui al n. 3 dell'art. 2598 coincide infatti con quella di cui al precedente art. 2555 c.c., sicché (pur riconoscendo la Corte che, sotto il profilo meramente ontologico, studi di liberi professionisti sono, di fatto, per personale, mezzi tecnici impiegati e quant'altro, assimilabili ad una azienda) l'intento del legislatore, inteso a differenziare nettamente la libera professione dall'attività d'impresa (intento confermato, come rilevato dalla Corte, proprio con riguardo alla professione di avvocato, dal regime delle incompatibilità di cui all'art. 3 primo comma del R.D.L. n. 1578 del 1933, comprendente, tra l'altro, il divieto dell'esercizio del commercio in nome proprio o altrui, divieto privo di significato se lo studio professionale fosse assimilabile ad un'azienda commerciale) va interpretato ed attuato nel senso della inapplicabilità tout court del regime di responsabilità da concorrenza sleale ai rapporti tra liberi professionisti, e ciò in via di interpretazione tanto diretta, quanto analogica, senza che possa, in contrario, invocarsi il disposto di cui all'art. 2105 c.c., funzionale alla disciplina della responsabilità contrattuale del prestatore nei confronti del proprio datore di lavoro ed alla repressione di una fattispecie di concorrenza illecita, laddove l'art. 2598 attiene alla responsabilità extracontrattuale tra imprenditori onde reprimerne comportamenti di concorrenza sleale. Ma anche volendo prescindersi da tali rilievi peraltro fatti propri dalla giurisprudenza, resta il fatto che sarebbe giuridicamente e concettualmente errato ravvisare un caso di concorrenza sleale o comunque di illecito aquilano nell'ipotesi del libero professionista, o dello Studio di liberi professionisti, che legittimamente contratta ed applica compensi anche inferiori ai "minimi tariffari", nell'ambito di un ordinamento in cui il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (conv. dalla L. 27 marzo 2012, n. 27 - c.d. "D.L. Bersani") li ha aboliti proprio alla luce dei principi comunitari in tema di libera concorrenza tra gli esercenti le professioni intellettuali. D'altra parte, come condivisibilmente osservato dai convenuti G./S.P., neppure sarebbe corretto invocare le regole in tema di equo compenso, dettate dall'art. 13-bis della L. 31 dicembre 2012, n. 247 (applicabile in quanto compatibile a tutte le professioni regolamentate, ai sensi dell'art. 19-quaterdecies del D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, conv. dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172), in quanto non ricorrono nella fattispecie né i presupposti soggettivi, non essendo A. un'impresa, né quelli oggettivi, trattandosi di convenzione e non di condizioni predisposte unilateralmente da A.. In ogni caso, la normativa sull'equo compenso è posta a tutela del decoro professionale e del diritto del professionista a conseguire compensi adeguati che gli consentano un'esistenza libera e dignitosa. Inoltre, costituisce prassi, a titolo esemplificativo, la stipula di convenzioni tra singoli avvocati o Studi professionali e associazioni sindacali di lavoratori prevedenti condizioni economiche favorevoli, in quanto inferiori a quelle generalmente applicate, per prestazioni di consulenza stragiudiziale in materia giuslavoristica o sindacale o per prestazioni di difesa e assistenza individuale o collettiva in giudizio. Ove si ritenga che tali attività, peraltro del tutto legittime e replicabili negli ambiti più disparati, integrino altrettanti casi di illecito concorrenziale e/o aquiliano dovrebbe allora ripensarsi seriamente alla questione della carenza di organico negli uffici giudiziari, i quali verrebbero intasati dai conseguenti contenziosi. L'ovvietà dei rilievi sopra espressi è tale che neppure parte attrice, in verità, ha richiamato pretesi minimi tariffari o il diritto all'equo compenso, avendo essa lamentato nell'atto di citazione: che la tariffa applicata dallo S.P. in favore degli associati A. non può essere praticata dagli altri studi professionali, che non si sono assicurati una sorta di esclusiva con A.. Infatti, l'applicazione di tale tariffa condurrebbe gli altri studi a una condizione di default, in quanto, senza il supporto di A., non potrebbero assicurarsi un volume di lavoro sufficiente a ricavarne un utile; che l'elevato volume di lavoro assicurato allo S.P. dalla convenzione consente a quest'ultimo di offrire le proprie prestazioni professionali applicando un corrispettivo decisamente inferiore rispetto a quello generalmente praticato sul territorio valdostano; che le condizioni economiche applicate dai convenuti sarebbero talmente basse da imporre agli altri studi professionali, che cercassero di formulare controproposte simili per non perdere clienti o per conquistarne altri, di ridurre al massimo i margini di guadagno o di svolgere la propria attività in perdita, mettendo così a rischio la prosecuzione della propria attività; che l'accettazione, da parte, dello S.P., di svolgere la propria attività applicando le suddette "condizioni economiche decisamente contenute" rappresenta quindi di per sé un atto contrario ai principi della correttezza professionale, in quanto idoneo a escludere dal mercato gli studi professionali che cercassero di competere con lo S.P., mentre lo S.P. se lo può permettere perché la convenzione con A. assicura un volume elevato di incarichi; che le condizioni economiche praticate dallo S.P. per effetto della convenzione non rappresentano un illecito perché inferiori alle vecchie tariffe professionali, ma perché un atto di concorrenza sleale posto in essere da un concorrente (lo S.P.) che si trova in una posizione di vantaggio concorrenziale conquistata grazie allo sfruttamento di una posizione divisibilità istituzionale da parte di due dei suoi soci e alla violazione di una serie di norme che questi ultimi avrebbero dovuto osservare quando erano in carica. Trattasi, a ben vedere, di allegazioni e deduzioni puramente assertive e tautologiche: le condizioni praticate dallo S.P. non sono praticabili da altri consulenti e quindi sono anticoncorrenziali; l'accettazione di siffatte condizioni economiche da parte dello S.P. è contraria ai principi di correttezza professionale in quanto idonea a escludere dal mercato gli altri consulenti del lavoro. La prova dei fatti posta a fondamento delle domande è stata affidata, con la seconda memoria attorea ex art. 183 c.p.c., alla produzione di documenti (lettere) che comproverebbero la cessazione di rapporti di consulenza del lavoro fra taluni clienti (una decina circa su 850 iscritti ad A.) ed un determinato professionista (per un totale di 4 o 5 professionisti su 80 iscritti A.) che nella maggioranza dei casi (relativi a clienti asseritamente "persi" a causa della convenzione in esame) si identifica nello stesso Studio (...), riconducibile al legale rappresentante di A.A., firmatario della procura ad litem. Oltre a ciò, nella seconda memoria attorea (capi A, B, D) si è articolata prova orale del tutto priva di rilevanza, avendo lo stesso convenuto G./S.P. riconosciuto, sin dalla costituzione in giudizio, che almeno 95 imprese si sono rivolte allo S.P. successivamente alla stipula della convenzione per cui è causa, cosicché a nulla rileva il fatto che tra queste rientri anche l'ex cliente, indicato come teste, dello Studio (...). Quanto al capo C della stessa memoria attorea, è stata dedotta una circostanza del tutto valutativa e generica (al più, il teste potrebbe essere chiamato a rispondere sulle tariffe specificatamente applicate dal precedente e dal nuovo consulente e non certo sulle ragioni della scelta del proprio consulente) e comunque non rilevante in relazione al tema della decisione. Con la terza memoria di cui all'art. 183 c.p.c. parte attrice non solo ha abusato dello strumento processuale, utilizzandolo alla stregua di una comparsa conclusionale, per lo sviluppo di argomentazioni difensive, ma ha tardivamente offerto mezzi di prova diretta mediante la produzione di documenti volti a dimostrare la sussistenza di un elemento che, secondo la prospettazione attorea, costituirebbe il fondamento delle domande, costituito dal raffronto tra il "parametro" tariffario applicato da taluni professionisti e quello che si assume costituire il dedotto illecito concorrenziale e/o aquiliano e/o inadempimento contrattuale posto a base delle domande stesse. Peraltro, non rileva che la convenzione per cui è causa sia stata prodotta dai convenuti con le seconde rispettive memorie, rappresentando essa stessa un elemento costitutivo dell'illecito e/o inadempimento secondo la prospettazione attorea. In definitiva, le generiche doglianze relative ad un asserito illecito concorrenziale e/o aquiliano non solo sono ex se infondate per quanto sopra espresso, ma sono anche sfornite di qualsivoglia prova circa l'esistenza di un danno effettivo riconducibile alla stipula e alla esecuzione della convenzione per cui è causa. Le ulteriori doglianze circa inadempimenti contrattuali e/o violazioni di codici etici o deontologici sono parimenti infondate e pretestuose alla luce delle allegazioni offerte dai convenuti e delle risultanze della prova orale sulle circostanze dedotte dal convenuto G./S.P. ai capi 1, 2, 18, 19, 20 della seconda memoria e I e II della terza memoria. Si è detto che l'attrice, oltre che la violazione di cui all'art. 2598 c.c. da parte dello S.P. e di A., ha altresì dedotto: la violazione del codice deontologico dei consulenti del lavoro, la violazione del codice etico A., la violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte del dr. G.; la violazione dell'Acc. del 1999 A./A. da parte di A.; la violazione della normativa in tema di consulenza del lavoro (L. n. 12 del 1979) da parte dello S.P. e di A.. In particolare, quanto al G., oltre che la violazione di generali doveri di correttezza e buona fede, l'attrice ha dedotto che: sarebbero state violate le previsioni contenute nell'art. 2 del codice etico A., secondo le quali gli eletti, nominati o incaricati a particolari funzioni interne od esterne, si impegnano ad assumere gli incarichi per spirito di servizio verso gli associati senza avvalersene per ottenere vantaggi diretti o indiretti, e nell'art. 17 del codice deontologico, ai sensi del quale coloro che rivestono cariche elettive presso istituzioni o enti previsti dall'ordinamento di categoria devono adempiere al loro ufficio con disponibilità, obiettività e imparzialità e devono curare le modalità con cui svolgono il mandato al fine di non conseguire, per effetto di esse, utilità di qualsiasi natura; sarebbe stata violata altra previsione contenuta nell'art. 2 del codice etico, secondo la quale i soggetti in carica devono rimettere il proprio mandato qualora motivi personali comportino una dissonanza grave fra le proprie motivazioni e gli interessi o le direttive dell'associazione; sarebbe stato violato il principio per cui la competizione tra gli studi professionali di consulenza del lavoro deve svolgersi nel rispetto dei principi in materia di correttezza professionale, senza arrecare indebitamente pregiudizio all'attività altrui, come stabilito dal codice deontologico dei consulenti del lavoro all'art. 14, ai sensi del quale la concorrenza deve svolgersi secondo i principi dell'ordinamento giuridico, così come integrati dalle norme del codice. Quanto all'Acc. del 1999 tra A.V.D., A. e A.C. qui prodotto, l'attrice ha rilevato: che con lo stesso le parti, dopo aver concordato sull'opportunità di trasporre per iscritto e di procedere all'attuazione degli accordi orali intervenuti, in via formale, a partire dal mese di dicembre 1998 ed aver preso atto della costruttiva collaborazione che l'avvio delle Commissioni Paritetiche Regionali di Conciliazione rappresentava per le parti, decidevano di demandare e riservare alla categoria rappresentata da A. il servizio di consulenza del lavoro nei confronti degli scritti A. e A., entrambe le Associazioni datoriali rinunciando a svolgere in proprio il medesimo; che con tale accordo le parti avrebbero voluto, da un lato, evitare che tali associazioni datoriali organizzassero al loro interno un servizio di consulenza del lavoro rivolto ai propri associati e, dall'altro, far sì che i membri di tali associazioni datoriali si rivolgessero alla categoria dei consulenti del lavoro per soddisfare le proprie richieste di assistenza rientrante nell'ambito di competenza dei consulenti del lavoro. Quanto alla violazione della L. n. 12 del 1979, in virtù della quale gli adempimenti previsti da norme vigenti per l'amministrazione del personale possono essere curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, mentre fuori da tale ipotesi, i suddetti adempimenti possono essere svolti solo dai professionisti iscritti all'albo dei consulenti del lavoro di cui all'art. 8 della legge stessa, parte attrice ha allegato che l'esistenza di un indirizzo di posta elettronica - "A. - Consulenza Lavoro " - dedicato all'attività di consulenza del lavoro svolta in attuazione degli accordi tra A. e lo S.P., oltre a favorire la creazione di una simbiosi tra i convenuti, contribuirebbe anche alla violazione della norma di cui all'art. 1, comma 1, L. n. 12 del 1979, in quanto la prestazione di consulenza verrebbe resa anche da soggetti non iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, ma da dipendenti di A. con accesso alla relativa casella di posta elettronica. C., tuttavia, che A., che pacificamente è un soggetto privato, ha purtuttavia indetto, in vista della convenzione in questione, una procedura competitiva fra due studi professionali (come da doc. 4 A.), ossia lo S.P. (Studio i cui membri erano pacificamente associati A. e che, per come allegato dai convenuti, era da oltre dieci anni il consulente del lavoro di fiducia del Consorzio O.T., associato di A.) e lo Studio (...) di Aosta, in persona di X. e G.C., che (per come confermato dal teste X.C.) all'epoca era già consulente del lavoro di A. e i cui componenti erano iscritti ad A.A.. Peraltro, l'appartenenza del G. al consiglio direttivo di A.A. e la relativa carica di presidenza sono del tutto irrilevanti avendo la stessa attrice allegato che il G. ha rinunciato alla carica il 9.10.2014, due settimane prima della stipula della convenzione per cui è causa. In ogni caso, il codice etico di A. e il codice deontologico richiamati dall'attrice non vietano, neppure a chi ricopre cariche elettive, di continuare ad esercitare la professione, ma solo di sfruttare l'ufficio per conseguire vantaggi o utilità personali, per come si evince dalle stesse allegazioni attoree. Si rileva, inoltre, che, come correttamente rilevato dai convenuti, l'Acc. del 1999 non è affatto un contratto, ma una mera dichiarazione di intenti. Per come è evidente dal relativo tenore letterale, tale accordo non regola né costituisce alcun rapporto giuridico patrimoniale, tanto che nel medesimo si rimanda ad una separata sede la determinazione di quanto oggetto della prestazione e delle tariffe. D'altra parte, ove in ipotesi si voglia attribuire valenza contrattuale a tale accordo, lo stesso sarebbe nullo per contrasto con norme imperative anche comunitarie recepite dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223 (conv. in L.N.), come quelle in materia di libera concorrenza nei servizi professionali, e per assenza dei requisiti previsti dall'art. 1325 c.c., in ragione della totale indeterminatezza dell'oggetto e della causa. Peraltro, come rilevato dalla convenuta A., nella lettera di risposta dell'allora Presidente A.., A.C., ad A.C., prodotta dalla stessa attrice sub doc. 24, si precisava la preesistenza, all'Acc. del 1999, di una precedente convenzione con altri due studi di consulenza del lavoro (Bonino e (...)), succedutisi dal dicembre 1987 al 2015, per garantire agli associati A. l'elaborazione delle paghe e le prestazioni libero professionali giuslavoristiche, a riprova dell'impegno ultratrentennale profuso da A. in favore dei propri associati nella materia in esame. Infine, il teste C. ha confermato quanto dedotto a prova dai convenuti G./S.P., cioè che: durante la vigenza della convenzione del 23.10.2014, il centralino elettronico del numero di telefono della A. ha indirizzato automaticamente allo S.P. gli associati che siano clienti di quest'ultimo; le credenziali di accesso alla casella di posta elettronica (...) sono sempre state possedute unicamente dagli esponenti dello Studio associato (...); la casella di posta elettronica (...) è sempre stata utilizzata solo dagli esponenti dello Studio associato (...) e su computer nella disponibilità unicamente degli stessi. In definitiva, non sussiste né vi è prova degli illeciti e inadempimenti cumulativamente e/o alternativamente prospettati da parte attrice. Ai convenuti non è quindi ascrivibile alcuna violazione della libera concorrenza, applicabile o meno che sia la disciplina in materia, alcun illecito riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., alcun inadempimento contrattuale, alcuna violazione di codici di disciplina, codici etici, normative professionali. Le domande vanno tutte rigettate nel merito e le spese seguono la soccombenza e sono liquidate secondo i valori medi dello scaglione medio per le cause di valore indeterminato (da 26.000 a 52.000) per le quattro fasi di giudizio, ex D.M. n. 55 del 2014 come modificato dal D.M. n. 147 del 2022, con aumento del 20% ex art. 4, comma 2, DM cit., quanto alla difesa dei convenuti G./S.P.. P.Q.M. Rigetta le domande dell'attrice e condanna la stessa al pagamento delle spese in favore dei convenuti G./S.P. e A. liquidate, rispettivamente, in Euro 9.139,20 ed Euro 7.616 per onorario, oltre iva, cpa, rimb. forf. spese gen. come per legge. Così deciso in Aosta, il 1 dicembre 2022. Depositata in Cancelleria il 1 dicembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio D'Abrusco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado iscritta al n. r.g. 1099/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. PE.FI., elettivamente domiciliato in VIA (...), MILANO, presso il difensore avv. PE.FI. APPELLANTE contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. SO.LO., elettivamente domiciliato in VIA (...), AOSTA, presso il difensore avv. SO.LO. APPELLATO OGGETTO: appello avverso sentenza del Giudice di Pace n. 79/2021/risarcimento danni CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Devono ritenersi richiamate le allegazioni e deduzioni delle parti per tutto quanto non viene qui trattato in quanto rilevante ai fini della decisione. La (...) conveniva in giudizio l'odierno appellante allegando che: in qualità di legale rappresentante della "(...) srl", ha rivestito per anni il ruolo di amministratore presso i condomìni "(...)" e "(...)", siti in L. S., nei quali il (...) ha degli immobili di proprietà; in data 8 luglio 2019, verso le ore 10.15, il (...) si presentava presso l'ufficio della (...) per richiedere alcune informazioni in merito alla ricezione di una e-mail con la quale veniva comunicata la provvisoria interruzione della rete idrica del condominio in cui egli risiede; sebbene sia la (...) sia le segretarie della società "(...) srl", (...) e (...), si siano da subito dimostrate disponibili nel fornire al (...) tutte le informazioni da lui richieste, questi assumeva un atteggiamento aggressivo ed iniziava ad inveire con gravi ingiurie contro la (...), sostenendo erroneamente che nella predetta e-mail gli fosse stato illegittimamente chiesto di indicare la professione da lui svolta; in particolare, il (...) rivolgeva alla (...) le seguenti offese: "stupida, incapace, sei una deficiente, non sai fare un cazzo"; a fronte di un simile comportamento, la (...) invitava il (...) ad allontanarsi dall'ufficio, ma lo stesso, in risposta a tale invito, afferrava un fermacarte in legno e lo scagliava in direzione della (...) che solo per pochi centimetri riusciva ad evitare l'impatto; a seguito della vicenda, la (...), onde scongiurare il verificarsi di analoghi spiacevoli episodi e in considerazione delle offese e delle aggressioni ricevute, si è vista costretta, malgrado le proteste e le dichiarazioni di volontà espresse in sede di assemblea dagli altri condòmini, a rassegnare le proprie dimissioni dall'incarico di amministratore di entrambi. All'esito del giudizio, era emessa la sentenza impugnata il cui dispositivo così recita: Il Giudice di Pace di Aosta, Paolo Romagnoli, definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa istanza o domanda delle parti; dichiara il convenuto (...) responsabile dell'illecito allo stesso addebitato, condannandolo a risarcire la parte attrice, (...), i conseguenti danni che liquida, per le ragioni di cui in motivazione, nella somma di Euro 1.500,00, oltre gli interessi ex art. 1284, 4 c.civ. da oggi al saldo. Visto l'art. 91 cod. proc. civ. condanna il signor (...) a rimborsare a parte attrice le spese di lite che liquida in complessivi Euro 1.003,23, di cui 138,23 per esborsi, ed Euro 865,00 per compensi (fase studio 225,00; fase introduttiva: 240,00; fase istruttoria e trattazione 250,00; fase decisionale: 150,00) oltre al 15% rimborso forfettario, cpa ed iva, se non detraibile da parte attrice. Visto l'art. 96 cod. proc. civ. dichiara tenuto e condanna il signor (...) al pagamento a parte attrice della somma di Euro 1000,00 a titolo di responsabilità aggravata, con interessi ex art. 1284 4 c.. da oggi al saldo. Visti gli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 7 del 2016 pone a carico del signor (...) la sanzione pecuniaria civile quantificata, per le ragioni di cui in motivazione, in Euro 2000,00, mandando alla cancelleria di trasmettere copia della presente sentenza agli organi competenti a provvedere al recupero di tale sanzione in conformità del D.Lgs. n. 7 del 2016. Per un utile raffronto, si riportano di seguito le conclusioni rassegnate dalla (...) in primo grado: nel merito: dichiarare responsabile il signor (...) dell'illecito civile di cui all'art. 4 D.Lgs. n. 7 del 2016 per le gravi ingiurie rivolte alla signora (...); accertare e dichiarare che la signora (...), a seguito del comportamento aggressivo ed ingiurioso del signor (...), ha subito danni, patrimoniali e non, come dettagliatamente illustrati sopra; condannare il convenuto al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti e subendi, dalla signora (...) così come determinati in corso di causa, se del caso anche in via equitativa da parte del Giudice; condannare il convenuto alla corresponsione di una sanzione a titolo di sanzione pecuniaria civile, da determinarsi tenuto conto della gravità della violazione commessa, alle modalità delle circostanze di luogo e di tempo in cui la stessa è stata posta in essere; il tutto ed i ogni caso nei limiti della competenza per valore del Giudice di Pace adito. Vinte le spese del giudizio. L'appellante adduce tre motivi a sostegno dell'impugnazione. Il primo motivo è il seguente: La domanda attrice era fondata specificatamente sul danno patrimoniale quantificato in Euro 4.200. Tuttavia, il Giudice di Pace in motivazione rigetta la domanda, ma nel dispositivo omette di disporne il rigetto. Il motivo è ictu oculi destituito di fondamento, avendo il GdP accolto in parte la domanda di condanna per le ragioni indicate in motivazione (ossia per il solo danno non patrimoniale come chiaramente esposto nella motivazione stessa) rigettando nel resto la domanda risarcitoria con riferimento al danno patrimoniale per la ritenuta insussistenza del pregiudizio lamentato (come si evince dalla motivazione) con la locuzione disattesa ogni diversa istanza o domanda delle parti contenuta nel dispositivo. Il secondo motivo relativo alla condanna ex art. 96 c.p.c. è in sintesi il seguente: ...da un esame della sentenza emerge il mancato rispetto in linea di massima di tre parametri previsti dalla suddetta norma: non vi è stata istanza di parte attrice; non vi è richiamo all'art. 91 c.p.c., se non per la condanna alle spese; la durata del processo è stata breve ... Su due domande fatte da parte attrice, una è stata rigettata e l'altra decisa in via equitativa per mancanza di prova diretta ... Il motivo è fondato. Ed invero, la motivazione sul punto del GdP è la seguente: La soccombenza del sig. (...) impone altresì di porre a carico dello stesso le spese di lite, meglio liquidate in dispositivo, con officiosa condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 u. c. cod. proc. civ.; l'irragionevole resistenza in giudizio, fondata su argomentazioni inidonee a giuridicamente giustificare il comportamento, non disgiunta dalla mancata adesione all'invito alla stipulazione di convenzione di negoziazione assistita, rappresentano elementi che -nel loro insieme - impongono di affermare la responsabilità aggravata in capo al convenuto, con conseguente sua condanna al risarcimento, in favore dell'attrice, dell'ulteriore danno, equitativamente quantificato nella somma di Euro 1.000,00 considerata la celerità del presente giudizio. Nonostante il richiamo fatto in motivazione all'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c., non si tratta di una pronuncia resa ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., avendo il giudice inteso affermare la responsabilità aggravata in capo al convenuto, con conseguente sua condanna al risarcimento, in favore dell'attrice, dell'ulteriore danno ... La responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. può essere posta a base della condanna al risarcimento dei danni ai sensi del comma 1 o a base della condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi del comma 3, a titolo sanzionatorio e a prescindere dalla prova di un danno che nel caso del primo comma deve viceversa sussistere ed essere provato nell'an, anche se è liquidabile in via equitativa. La condanna ai sensi del comma 1 richiede la domanda della parte che nella specie non è stata in effetti formulata. La condanna ai sensi del comma 3 è pronunciabile d'ufficio, prescinde dall'esistenza di un danno ed ha natura in senso lato sanzionatoria. La condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, deve giungere all'esito di un accertamento che il giudicante è chiamato a compiere caso per caso, anche tenendo conto della fase in cui si trova il giudizio e del comportamento complessivo della parte soccombente, onde verificare se essa abbia esercitato le sue prerogative processuali in modo abusivo, cioè senza tener conto degli interessi confliggenti in gioco,sacrificandoli ingiustificatamente o sproporzionatamente in relazione all'utilità effettivamente conseguibile (Cass., sez. III, 30 settembre 2021, n. 26545). In ogni caso, la condanna al risarcimento del danno ai sensi del comma 1 e la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi del comma 3 richiedono la totale soccombenza della parte nei cui confronti sono pronunciate. Nella specie, il GdP ha ritenuto la totale soccombenza della parte convenuta in primo grado, ma non ha tenuto conto dell'integrale rigetto della domanda risarcitoria dell'attrice con riferimento al danno patrimoniale da lucro cessante indicato in Euro 4.200. Le spese di lite per onorario avrebbero dovuto essere compensate per la metà, con la condanna del (...) al pagamento della restante metà in quanto soccombente sulle domande di risarcimento del danno non patrimoniale e di condanna al pagamento della sanzione civile. Infine, anche sulla ritenuta responsabilità aggravata la sentenza è censurabile in quanto non tiene conto del fatto che il convenuto nel costituirsi non aveva contestato l'illecito civile e in sede di libero interrogatorio lo aveva sostanzialmente ammesso (circostanze di cui si dà atto nella stessa motivazione della sentenza impugnata). Il terzo motivo di appello è il seguente: L'attrice ha quantificato i danni materiali in Euro 4.200, la competenza del Gdp è di Euro 5.200,00 per come dichiarato legittimamente in calce all'atto di citazione. La richiesta di danno in concreto è di 1000,00 Euro. Il ricorso alla via equitativa imponeva al Gdp di contenere la richiesta di danno a non più di 1000,00. La conseguenza è che, per come eccepito, il Gdp è andato oltre la sua competenza per valore. Il motivo è fondato. Ed invero, avendo parte attrice chiaramente allegato un danno patrimoniale di Euro 4.200 per il lucro cessante derivante dall'abbandono della carica di amministratore condominiale, la domanda risarcitoria relativa al danno non patrimoniale, la cui liquidazione è stata richiesta in via equitativa e nei limiti della competenza per valore del GdP (euro 5.200), doveva intendersi comunque formulata per l'importo massimo di Euro 1.000 (euro 5.200 meno Euro 4.200). La sentenza di condanna sul punto è pertanto viziata in quanto emessa ultra petita. La sentenza deve essere pertanto parzialmente riformata quanto alla condanna alle spese del giudizio di primo (che vanno compensate per la metà) e alla condanna al risarcimento del danno non patrimoniale (che va ridotto all'importo di Euro 1.000) ed interamente riformata quanto alla condanna al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.. Le spese dell'impugnazione vanno interamente compensate tra le parti considerato che i motivi di appello, in parte accolti, attengono esclusivamente a profili di censurabilità della sentenza appellata cui non ha dato causa l'appellata, restando ferma ed acclarata la responsabilità dell'appellante per la condotta ingiuriosa oggetto di causa, per la quale è intervenuta condanna al risarcimento del danno non patrimoniale e al pagamento della sanzione civile. P.Q.M. In parziale accoglimento dell'appello, riforma nei limiti che seguono la sentenza impugnata: compensa per la metà le spese di onorario per il primo grado e condanna (...) al pagamento, in favore di (...), della restante metà liquidata in Euro 138,23 per esborsi e in Euro 432,50 per onorario, oltre iva, cpa, rimb. forf. spese generali come per legge; ridetermina in Euro 1.000 la somma capitale dovuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e per l'effetto condanna (...) al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 1.000, oltre interessi dal dovuto al saldo; annulla la condanna al risarcimento del danno a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c; conferma nel resto la sentenza impugnata. Compensa per intero le spese dell'appello. Così deciso in Aosta il 12 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio D'Abrusco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 14/2021 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. SC.DA., elettivamente domiciliato in Via (...), 11100, AOSTA, presso il difensore avv. SC.DA. ATTORE contro UNITE' DES COMMUNES VALDOTAINES MONT EMILIUS (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. SAMMARITANI PAOLO, elettivamente domiciliato in via Losanna, 10, 11100 11100 Aosta, presso il difensore avv. SA.PA. CONVENUTA OGGETTO: risarcimento danni CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) conveniva in giudizio la "Unitè des Communes Valdotaines Mont Emilius" al fine di sentirla condannare, ex artt. 2043 e/o 2051 c.c., al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza del sinistro occorso in data 02 novembre 2019, nel Comune di Saint Marcel (AO), in tarda mattinata, allorquando, in sella alla propria "mountain bike", con il casco regolarmente indossato, nel percorrere la pista ciclabile denominata "(...)" in direzione Brissogne-Saint Marcel, dopo aver affrontato alcune curve e iniziato un tratto rettilineo, incappava nella pavimentazione dissestata del percorso ciclabile, all'incirca alla chilometrica 12.5; allegava che a seguito del passaggio sull'insidia, non segnalata da alcun cartello di pericolo, rovinava a terra procurandosi gravi lesioni da politrauma, nonché una ferita lacero contusa sopracciliare e palpebrale a sinistra dovuta agli occhiali che portava; che, in particolare, lungo tutta la larghezza della sede viaria, si trovava un innalzamento causato verosimilmente dalla spinta di una grossa radice a forma di "Y", sottostante il manto stradale, fuoriuscente dal suolo quasi a creare una sorta di cordolo rialzato ed insidioso, come foto prodotte al doc.n.1 e foto scattata dopo il sinistro dove si nota un segnale di pericolo posizionato nei giorni successivi e che al momento del fatto dannoso non era presente; che recentemente la sporgenza veniva spianata e ad oggi il tratto presenta unicamente una differenza di colore nell'asfalto lasciando intravedere la c.d. Ypsilon non più in rilievo; al momento del sinistro, sul luogo dove è avvenuto il fatto e lungo tutta la tratta viaria non vi erano segnalazioni di pericolo o di esclusione alla viabilità di alcuni tratti tramite il transennamento; nulla poteva l'attore onde evitare l'ostacolo in quanto la larghezza del rialzamento non consentiva manovre di scarto o di fuga a lato; la velocità di percorrenza era molto bassa in quanto l'attore, conducente una "mountain bike" non a pedalata assistita, aveva appena affrontato due curve e procedeva pertanto a velocità ridottissima; a seguito della caduta, derivavano danni personali in capo all'attore per i quali doveva essere ricoverato per un mese presso l'Ospedale Regionale di Aosta a seguito della diagnosi di "frattura pluriframmentaria scomposta esposta del femore distale a sinistra, frattura pluriframmentaria scomposta rotula sinistra prognosi gg. clinici 30 ..." e in data 20.11.2019 veniva sottoposto ad intervento chirurgico di riduzione e sintesi interna con placca e viti della frattura del femore e riduzione e sintesi interna con viti cannulate della frattura della rotula; successivamente, veniva dimesso con prognosi di giorni 90 con divieto di carico sull'arto inferiore sinistro; in data 03 ottobre 2020, l'attore, giunto alla fase di stabilizzazione dei postumi, si sottoponeva a visita medico legale presso la Dr.ssa (...), la quale riconosceva il nesso di causalità con il fatto occorso valutando il danno conseguente le lesioni in una percentuale non inferiore al 18% per l'invalidità permanente, in giorni 30 l'inabilità temporanea totale, in giorni 80 l'inabilità temporanea parziale al 75%, in 60 l'inabilità temporanea parziale al 50% ed in 90 giorni quella al 25% e riconosceva inoltre l'inabilità temporanea al lavoro nella misura di 120 giorni a totale ed altrettanti giorni a parziale, oltre al danno psicologico da stress da trauma, considerando le spese mediche future ed i periodi di inabilità temporanea futuri per la rimozione dei mezzi di sintesi e/o impianto protesico. L'ente convenuto si costituiva rilevando la infondatezza nell'an e nel quantum della domanda e chiedendone in via principale il rigetto, in subordine chiedendo accertarsi il concorso causale del danneggiato ex art. 1227 c.c.; ferma la contestazione dell'an, deduceva che il comportamento dell'attore indurrebbe, in ogni caso, ad individuare quantomeno un ampio grado di concorso della persona lesa nella causazione dell'evento dannoso, anche ai sensi dell'art.141 CdS; che l'attore, per fatto proprio, riconducibile ad imperizia ed imprudenza, avrebbe cagionato o comunque contribuito a cagionare la sua caduta, finendo a terra rovinosamente, in un tratto rettilineo a visuale ampia, laddove transitano molte migliaia di ciclisti (per una stima di circa 150.000 passaggi annui), anche in sella a mezzi (bici da strada) meno stabili del suo che, al contrario, è dedicato proprio al superamento di asperità ben diverse e superiori a quelle asseritamente incontrate sulla via che egli stava percorrendo al momento della caduta; che è onere dell'attore dimostrare di avere rispettato il limite di velocità di 20 km/h vigente sulla pista ciclabile e che la presunta insidia fosse tale da integrare quelle caratteristiche di imprevedibilità e non visibilità richieste al fine di individuare un nesso di causalità idoneo a ricondurre un fatto dannoso alla responsabilità del soggetto chiamato a risponderne per azione od omissione; che pertanto, anche nella denegata ipotesi di accertamento di una colpa o di un concorso di colpa esterni alla condotta dell'attore, occorrerà graduare il grado della responsabilità e del conseguente risarcimento, in considerazione delle predette circostanze. Espletate l'istruttoria orale e la consulenza medico - legale, la causa era spedita a sentenza previa concessione dei termini di rito di cui all'art. 190 c.p.c.. Sulla scorta dell'istruttoria svolta, la domanda va accolta per quanto di ragione, avendo trovato riscontro le circostanze allegate da parte attrice. Il teste (...), il quale ha dichiarato che era in compagnia dell'attore al momento del sinistro, seguendolo a bordo della propria bicicletta a una distanza di 5 o 6 metri, e di avere assistito alla caduta verificatasi nel novembre 2019 sulla ciclabile da Aosta a St. Vincent, lungo la Dora, prima del paese di Lillaz, ha riferito che: l'attore è caduto di lato battendo la faccia, l'occhio, il mento e la gamba sinistra; l'attore indossava il casco da ciclista, aveva una mountainbike non elettrica, muscolare, uscivamo da una curva dopo il ponte, abbiamo percorso 50 metri dopo la curva e l'ho visto cadere, sull'asfalto era indicato il km 102,50 se ben ricordo; sul luogo della caduta c'era un rialzo con una radice che fuoriusciva dall'asfalto e che prendeva tutta la carreggiata, attraversava tutta la carreggiata, sollevata di almeno 2 o 3 centimetri; riconosco la radice nelle foto che mi sono esibite ed anche la curva dopo il ponte; preciso che la radice aveva determinato il sollevamento dell'asfalto. Il teste ha quindi precisato che il sinistro si è verificato all'altezza della chilometrica 12,50, che non vi era alcun segnale di pericolo o di strada dissestata, che il tratto di pista in questione si presentava spianato nella successiva primavera, che prima del sinistro eravamo appena usciti dalla curva, certamente non andavamo a più di dieci km orari. Il teste ha quindi confermato i capi 25, 26, 27 dedotti dall'attore, ossia il fatto che questi prima del sinistro era dedito ad attività sportiva quali bicicletta, corsa e sci, che dopo il sinistro lo stesso ha interrotto ogni attività sportiva, che il medesimo è un agente assicurativo della (...) e, per quanto dal medesimo riferito, svolgeva prima del sinistro viaggi tutte le settimane presso i domicili dei clienti nell'ambito della sua attività lavorativa. Il teste G.M. ha riferito sulle circostanze della propria caduta verificatasi nell'estate 2020, nel medesimo punto della pista ciclabile, fatto per il quale ha intentato causa ed ha ottenuto il risarcimento del danno (come da sentenza del GdP prodotta dalla difesa dell'attore). Il teste ha dichiarato: riconosco la "famosa" ipsilon dalle foto prodotte relative al tratto di pista che precede l'arrivo al campo sportivo di St. (...), dopo l'area umida; io sono caduto con gli skiroll (sci a rotelle) e lo skiroll si èbloccato su entrambe le gambe, io andavo dal ponticello verso il campo sportivo, quindi in direzione Aosta/St. (...); la ruota dello skiroll ha un diametro di circa 8 centimetri, il rialzamento dell'asfalto era di sicuro superiore ai 4 centimetri, non vi erano segnali di pericolo o strada dissestata all'epoca della mia caduta. Il teste (...) ha riferito che, in veste di perito assicurativo per conto della (...) ass.ni, compagnia assicuratrice della Comunità Montana, è intervenuto sui luoghi il 26.8.2020, in autonomia, e di aver riscontrato che il fondo della pista sul luogo del sinistro indicatomi era fresato, era liscio, vi era traccia scura di una forma tipo biforcazione come da copia di foto in mio possesso che esibisco da me scattata all'epoca del sopralluogo. Il teste ha precisato che il punto del sinistro era a circa 13 metri dopo la semicurva in direzione di St. (...). Tale ultimo rilievo, circa l'individuazione del luogo esatto della caduta, trova riscontro in quanto dichiarato dal teste (...) (uscivamo da una curva dopo il ponte), dal teste (...) (riconosco la "famosa" ipsilon ... tratto di pista che precede l'arrivo al campo sportivo di St. (...), dopo l'area umida ... andavo dal ponticello verso il campo sportivo, quindi in direzione Aosta / St. (...)) e dallo stesso attore in sede di interrogatorio (la caduta è successiva all'attraversamento del ponte e della curva). E' provato, quindi, che l'attore, dopo aver percorso un ponticello e subito dopo una curva stretta, in direzione ovest/est (da Aosta a Saint Marcel), a velocità non superiore ai 20 Kmh (limite massimo consentito secondo il regolamento presente all'ingresso della pista per come risulta dalla foto prodotta dalla convenuta confermata dal (...)), verosimilmente prossima ai 10 Kmh (per come riferito dal (...) e per come è plausibile, considerato che l'irregolarità del fondo della pista si trovava a soli 13 metri dalla curva per come riscontrato dal (...), e non a 50 metri come riferito dal (...) che però a differenza del primo non aveva proceduto ad alcuna misurazione), ha perso il controllo della sua "mountain bike" a causa del fondo stradale caratterizzato da un innalzamento dell'asfalto non segnalato, determinato verosimilmente dalla pressione di una radice che aveva formato una "Y" in rilievo che occupava l'intero spazio orizzontale della pista (come risulta anche dalle foto prodotte). Ai sensi dell'art. 2051 c.c., l'ente convenuto deve ritenersi responsabile dei danni patiti dall'attore in quanto custode della pista ove si è verificato l'evento dannoso. Il custode ha infatti l'onere di adottare ogni accorgimento atto ad evitare che dalla cosa possano derivare eventi pregiudizievoli a carico di terzi. Costituisce pacifico principio affermato in giurisprudenza quello secondo cui il danneggiato deve solo provare il danno lamentato e il nesso casuale tra la cosa in custodia e il danno stesso, spettando al custode la prova dell'esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale, idoneo ad interrompere il nesso casuale. Ciò posto, è del tutto evidente come le descritte condizioni della pista ciclabile nel luogo del sinistro abbiano costituito circostanza determinante della caduta e dei danni che ne sono derivati. Peraltro, la irregolarità, pur se obiettivamente visibile, non era stata neppure segnalata. L'ente, dal canto suo, avrebbe dovuto esercitare il controllo sulla regolare tenuta della pista ciclabile e, d'altra parte, non costituisce circostanza imprevedibile ed eccezionale, interruttiva del nesso di causale, la mera condotta dell'attore che, percorrendo la pista ciclabile a cavallo di una bicicletta, sia caduto per essersi imbattuto nella condizione di irregolarità del fondo stradale. L'attore, infatti, non ha tenuto alcun comportamento abnorme, ma ha utilizzato la cosa secondo l'uso al quale la stessa era destinata. In diritto, è utile richiamare quanto bene affermato da Cass. civ. sez. III n. 26524 del 20.11.2020 circa la rilevanza del comportamento negligente del danneggiato: E' noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può escludere la responsabilità del custode solo "ove sia colposa ed imprevedibile" (Cass. n. 25837/2017), ossia "quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo" (Cass. n. 18317/2015), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente "carattere di imprevedibilità ed eccezionalità" (Cass. n. 2660/2013); in tal senso, anche i più recenti arresti di legittimità, pur affermando che il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 1 c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire "quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale" (Cass. n. 2480/2018 e Cass. n. 9315/2019). Deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa. Giova richiamare, al riguardo, le lucide considerazioni svolte da Cass. n. 25837/2017, secondo cui "la eterogeneità tra i concetti di "negligenza della vittima" e di "imprevedibilità" della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode. Questa è infatti esclusa dal casofortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile. In questo senso, di recente, si è già espressa questa Corte, stabilendo che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all'art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 27/06/2016) ... La condotta della vittima d'un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire se una certa condotta della vittima d'un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima". Nel caso specifico della caduta di pedone in una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la buca possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere la buca o, almeno, di segnalarla adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano. Ciò non significa, tuttavia, che la colpa della vittima -ancorché inidonea ad integrare il caso fortuito- non possa rivestire rilevanza ai fini risarcitori; ma ciò deve avvenire sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile -ai sensi dell'art. 1227 c.c. - sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, 1 co. c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, 2 co. c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte. Deve conclusivamente affermarsi che, in ambito di responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., nel caso di caduta di pedone in una buca stradale non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1 o 2 co. c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno. Nel caso di specie, risulta ictu oculi evidente il comportamento negligente dell'attore il quale, pur essendo un ciclista "esperto", solito a pedalare con la bicicletta da corsa al di fuori della pista ciclabile (per come da egli stesso dichiarato), a fronte di una visibile condizione di obiettiva pericolosità, non ha adottato la dovuta cautela e la giusta attenzione che gli avrebbero consentito di evitare la caduta. Siffatta negligenza, tuttavia, incide sul quantum debeatur, determinando la riduzione del 50% del danno risarcibile, e non interrompe il nesso di causa, non potendo definirsi eccezionale ed imprevedibile la circostanza che un ciclista possa cadere a causa del fondo sconnesso di una pista ciclabile (laddove maggiore è l'affidamento da parte dell'utente), utilizzando la stessa in conformità all'uso cui è deputata, ossia percorrendola in sella a una bicicletta. All'esito della prova orale, è stata disposta consulenza medico - legale volta ad "accertare l'entità del danno biologico subito dall'attore, in termini di invalidità permanente e temporanea (anche futura, in caso di rimozione dei mezzi di sintesi e/o impianto protesico), oltre che la relativa riconducibilità eziologica al sinistro per cui è causa, tenendo conto della incidenza del danno riportato sulle attività ordinarie del vivere quotidiano, nonché la congruità e pertinenza delle spese sanitarie documentate, determinando quelle eventualmente necessarie nel futuro". Il CTU, con valutazione esaustivamente motivata, condivisa dai consulenti di parte e fatta propria da questa AG, ha così concluso: La problematica del caso in questione, non pone alcun dubbio sulla compatibilità dell'evento con le lesioni riportate, ponendo in relazione causale il riferito trauma con le lesioni riportate, vale a dire una "frattura pluriframmentaria scomposta esposta del femore distale a sinistra ed una frattura pluriframmentaria scomposta rotula sinistra ( in data 20/11/2019 intervento chirurgico di riduzione e sintesi interna con placca e viti della frattura del femore e riduzione e sintesi interna con viti cannulate della frattura della rotula). Alla luce di quanto sopra enunciato, il danno biologico permanente, vista la soggettività e l'obiettività clinica, è pari al 17%-18% ( diciassette - diciotto per cento ), tenendo conto anche del fatto che le fratture articolari vanno incontro ad un progressivo deterioramento, prodromo di un' altamente probabile necessità di sostituzione protesica articolare, cui il paziente potrà e forse dovrà sottoporsi. Dall'incidente, complessivamente, è derivato: - Un periodo di incapacità temporanea totale di 33 giorni, seguitida - 80 giorni come incapacità temporanea parziale al 75%, quindi - 60 ( sessanta ) giorni come incapacità temporanea parziale al 50% ed altri - 60 giorni come incapacità temporanea parziale al 25%. Per quanto attiene alle spese sanitarie, documentate agli atti, il CTU, salvo errori, non ne ha trovato traccia sul PCT. Le spese per la rieducazione e l'eventuale sostituzione protesica saranno ampiamente prevedibili, non urgenti, né di particolare specificità, per cui saranno tali da poter essere effettuate con minimi esborsi essendo erogate dal SSN. Parte attrice ha diritto al risarcimento del danno biologico sia in relazione alla inabilità permanente sia in relazione alla inabilità temporanea (posto che rientra certamente nel danno biologico, ed è soggetto ad autonoma valutazione, il complesso degli effetti pregiudizievoli medio tempore prodotti dalla menomazione del diritto alla salute del soggetto leso). Secondo il condivisibile orientamento espresso da Cass., sez. III civile, n. 12408/2015, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione all'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto. Nella specie, si ritiene allora di fare applicazione delle tabelle milanesi 2021, vigenti al momento della decisione, in conformità al principio dell'effettivo e integrale risarcimento del danno che non consente di discostarsi dagli adeguamenti elaborati dalla prassi giurisprudenziale. Età del danneggiato alla data del sinistro 58 anni Percentuale di invalidità permanente 18% Punto danno biologico Euro 3.071,83 Incremento per sofferenza soggettiva (+ 34%) Euro 1.044,42 Punto danno non patrimoniale Euro 4.116,25 Punto base I.T.T. Euro 99,00 Giorni di invalidità temporanea totale 33 Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 80 Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 60 Giorni di invalidità temporanea parziale al 25% 60 Danno biologico risarcibile Euro 39.534,00 Danno non patrimoniale risarcibile Euro 52.976,00 Con personalizzazione massima (max 41% del danno biologico) Euro 69.185,00 Invalidità temporanea totale Euro 3.267,00 Invalidità temporanea parziale al 75% Euro 5.940,00 Invalidità temporanea parziale al 50% Euro 2.970,00 Invalidità temporanea parziale al 25% Euro 1.485,00 Totale danno biologico temporaneo Euro 13.662,00 TOTALE GENERALE: Euro 66.638,00 Totale con personalizzazione massima Euro 82.847,00 Pertanto, in virtù delle vigenti tabelle del Tribunale di Milano, tenuto conto dell'età del soggetto leso all'epoca del sinistro, della percentuale di inabilità permanente, del punto base per il danno non patrimoniale, dei giorni di inabilità temporanea totale e parziale, della "personalizzazione" massima (41% del danno biologico), in ragione delle gravissime ripercussioni delle lesioni permanenti sugli atti quotidiani della vita e della rilevante compromissione delle attività sportive e ludiche, come emerso in istruttoria e per come confermato dal consulente, il danno non patrimoniale ammonta complessivamente ad Euro 82.847. Il danno patrimoniale per spese mediche non risulta documentato. E così la convenuta va condannata al pagamento della somma complessiva di Euro 41.423,50 (applicata la riduzione del 50% per quanto sopra osservato circa la colpa concorrente del danneggiato) per danno non patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate di anno in anno dalla data del sinistro alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché interessi legali da tale ultima data al saldo. Spese giudiziali per onorario compensate per la metà, in ragione del concorso di colpa qui ritenuto, restante metà a carico della convenuta, liquidato secondo i valori medi dello scaglione di riferimento, ex D.M. n. 55 del 2014. Spese di CTU definitivamente a carico della convenuta. P.Q.M. Accoglie per quanto di ragione la domanda e per l'effetto condanna la (...), in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 41.423,50, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate di anno in anno dalla data del sinistro alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché interessi legali da tale ultima data al saldo, e al pagamento della metà delle spese di lite per onorario liquidate in Euro 3.627, oltre iva, cpa, rimb. forf. spese gen. come per legge, e della somma di Euro 545 per esborsi di contributo unificato e marca, con distrazione in favore del procuratore dell'attore. Pone definitivamente a carico della convenuta le spese di CTU liquidate in causa. Così deciso in Aosta il 10 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AOSTA in persona del dott. Luca Fadda pronuncia la seguente SENTENZA definitiva nella causa iscritta al n. 184/2022 R.G. Lav. promossa da: (...) e (...), elettivamente domiciliate presso lo studio dell'Avv. Da.Fr., che le rappresenta e difende come da procura separata depositata nel fascicolo telematico Ricorrenti contro UNITÉ DES COMMUNES VALDÔTAINES GRAND-PARADIS, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Fa.Ca., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in forza di procura speciale i calce alla memoria di costituzione, contenuta nella busta telematica ex art. 83, comma 2, c.p.c. ed in virtù del decreto presidenziale n. 3 in data 7.7.2022 Resistente In punto a: Reimmissione posto lavoro (Covid 19) e 700 cpc MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che, con ricorso depositato telematicamente in Cancelleria in data 24.6.2022, (...) e (...) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Aosta la Unité des Communes Valdotaines Grand-Paradis al fine di ottenere -in via cautelare-, la riammissione in servizio e, nel merito, previo accertamento dell'illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, la condanna della convenuta al risarcimento del danno subito, con percezione della retribuzione dalla sospensione sino alla sua ripresa in servizio. In particolare, sostenevano -in punto fatto- di essere dipendenti della Unité con mansioni di O.S.S., inquadramento in categoria (...), posizione economica B2S, rispettivamente posizione retributiva 2 e 4, orario a tempo pieno la prima e a tempo parziale 80% la seconda, e di essere state sospese dalla retribuzione e dal servizio per inosservanza dell'obbligo vaccinale contro l'infezione Sars - CoV2 con decorrenza entrambe dall'11.10.2021, per poi essere reimmesse in servizio a seguito di infezione e successiva guarigione rispettivamente il 14.1.2022 e il 2.2.2022 e nuovamente sospese con decorrenza, per entrambe, dal 20.6.2022. In punto diritto sostenevano l'inapplicabilità dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 per inesistenza materiale dell'oggetto dell'obbligo vaccinale, non sussistendo un vero e proprio vaccino contro la Sars - CoV2, nonché per il raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico Nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS - CoV-2. Evidenziavano, inoltre, che l'amministrazione non aveva verificato la sussistenza di posizioni alternative a quelle assegnate di O.S.S. e che aveva modificato unilateralmente il contratto di lavoro; lamentavano, inoltre, il contrasto della normativa nazionale con quella Comunitaria e, comunque, l'incostituzionalità dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 per violazione degli artt. 3, 1, 4, 35, 36, 32, 38 Cost.; sostenevano, infine, l'illegittimità dell'accorciamento della validità temporale della certificazione verde da guarigione ed, in subordine chiedevano concedersi un assegno alimentare, previa se del caso rimessione di questione di Costituzionalità al giudice delle leggi. Si costituiva tempestivamente la convenuta, contestando la fondatezza delle domande attoree, sia dal punto di vista cautelare, sia del merito e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso. Alla prima udienza le ricorrenti personalmente dichiaravano di rinunciare agli atti del procedimento cautelare a spese compensate, la resistente accettava la rinuncia a spese compensate ed il giudicante provvedeva all'estinzione del relativo giudizio come da richiesta delle parti; alla successiva udienza, fissata per il merito, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione -anche alla luce delle delucidazioni fornite dalle parti- invitava le stesse alla discussione ed alla trattazione, per poi ritirarsi in camera di consiglio e decidere la causa come da dispositivo letto in udienza. Ciò posto, il ricorso non può trovare accoglimento. Si deve doverosamente premettere che buona parte del presente ricorso ha contenuto del tutto analogo a quello iscritto al n.96/2022 RG Lav. e già deciso da questo Giudice con sentenza n.40/2022 ben nota ai difensori delle parti, cui non si ritiene di discostarsi. Così, prive di pregio appaiono, in primis, le deduzioni della difesa delle ricorrenti con riferimento alla presunta illegittimità costituzionale della normativa introduttiva dell'obbligo vaccinale, la cui violazione appare pacificamente commessa dalle attrici, trattandosi di questione più volte esaminata, sotto gli specifici profili censurati da parte ricorrente, dalla migliore giurisprudenza, apparendo sufficiente richiamare, ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., le argomentazioni spese dal Consiglio di Stato, 20 ottobre 2021, n. 7045 e ribadite da Consiglio di Stato sez. III, 04/02/2022, n.583, nonché, in senso conforme, da TAR Lazio, sez. III quater, n. 2455 del 2 marzo 2022: - "la vaccinazione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento e ribaditi da ultimo dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo, ..., con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata" - Quanto alla natura discriminatoria della previsione... il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia"; - "Spetta al decisore pubblico, nell'esercizio del c.d. biopotere, fissare le regole e i limiti entro i quali l'esercizio dell'autodeterminazione da parte di ciascuno, senza divenire un diritto tiranno e indifferente alle sorti dell'altro, si possa accordare con la tutela della salute degli altri secondo una legge universale di libertà, ma questo delicato bilanciamento, per tutte le ragioni sin qui viste, non ha varcato nel caso di specie, ad avviso di questo Consiglio, i limiti della ragionevolezza, della proporzionalità e dell'eguaglianza, sicché ogni dubbio al riguardo è e deve ritenersi manifestamente infondato anche in rapporto ai valori protetti dall'art. 2 Cost" - "Correttamente il legislatore nel comma 1 dell'art. 4, ha stabilito che vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. Questa previsione risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza - ma il tema è discusso - dall'applicazione combinata della regola generale di cui all'art. 2087 c.c. e dalle disposizioni specifiche del D.Lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.). Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all'art. 36 cost.,, e d'altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all'impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. La sospensione dell'attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l'extrema ratio ed operano solo quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitarie e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l'obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell'epidemia. Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l'appello deve essere accolto, quanto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellanti, ma questo ricorso, pur ammissibile, deve essere respinto in tutte le sue censure.". Più in particolare, la Corte costituzionale con la sentenza n. 218/1994 - chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, terzo e quinto comma, e 6 della L. 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS) - ha affermato che la tutela della salute, sancita dall'art. 32 della Costituzione quale "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" ... "implica e comprende il dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo. L'interesse comune alla salute collettiva e l'esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell'esercizio delle attività stesse". Lo Stato, quindi, ha un potere di intervento e di prescrizione in materia vaccinale che gode di copertura costituzionale, al fine di bilanciare la libertà del singolo con il diritto alla salute dei terzi. A tale riguardo la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 2018, nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale di cui al D.L. n. 73 del 2017 (convertito in L. n. 119 del 2017) contro il morbillo, parotite, rosolia, varicella.., ha osservato che "la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell'affermare che l'art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l'interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994). In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall'art. 32 Cost.), anche l'interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell'esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004). Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell'esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)". Alla luce di tali principi, nel doveroso bilanciamento degli interessi contrapposti appare in ogni caso prevalente, rispetto all'interesse dei singoli che non vogliono sottoporsi al vaccino, quello pubblico finalizzato alla tutela dei soggetti fragili e a circoscrivere il più possibile strutture, come la struttura residenziale per anziani e disabili ove sono addette le attrici, potenzialmente in grado di incrementare la circolazione del virus. Pertanto, va ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in ragione della ritenuta prevalenza, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID - 19, del diritto alla salute della collettività, compromesso dalla perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da COVID 19. Del resto, ormai anche l'assolutamente prevalente giurisprudenza di merito appare ritenere conforme a Costituzione la normativa emergenziale: ex multis, invero, si vedano da ultimi Trib. Verona, ord. 14.6.2022, est. G. e Trib. Padova, ordinanza collegiale 17.7.2022, Pres. D., Est. R., che ha revocato una delle poche ordinanza -Trib. Padova, ord. 28.4.2022 citata dalle ricorrenti- con cui era stata disposta la riammissione in servizio di un operatore sanitario non vaccinato. Parimenti privi di pregio sono i dubbi di asserito contrasto della normativa nazionale con quella comunitaria, non ponendo la Certificazione Verde alcun problema di compatibilità con il diritto dell'Unione Europea nel suo complesso né, in particolare, con i regolamenti UE 953 e 954 del 2021. Infatti, i suddetti regolamenti, nell'introdurre un certificato verde digitale a tutela della libera circolazione dei cittadini dell'unione europea durante la pandemia da 19 si riferiscono a una misura diversa da quella decisa dal legislatore statale essendo finalizzati a facilitare la circolazione tra gli Stati superando eventuali misure restrittive transfrontaliere introdotte dalle legislazioni emergenze emergenziali nazionali. In altri termini, la materia degli obblighi vaccinali non costituisce oggetto della disciplina dell'Unione, sicché rispetto ad essa ciascuno Stato mantiene un ampio margine di autonomia. Come noto, il diritto europeo può prevalere su quello interno imponendo la disapplicazione solo nell'ambito delle competenze proprie dell'Unione europea in ragione del principio di attribuzione di cui all'articolo 5 del TUE in virtù del quale "l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri". A tale riguardo, chiarisce la Corte di Cassazione, che "ai fini dell'applicabilità dei diritti fondamentali dell'Unione europea, una norma nazionale, per rientrare nella nozione di "attuazione del diritto dell'unione", ai sensi dell'articolo 51, 1, della Carta di Nizza, deve avere un collegamento di una certa consistenza con il diritto europeo che vada al di là dell'affinità tra le materie prese in considerazione o dell'influenza esercitata da una materia sull'altra, occorrendo verificare se essa risponda allo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione, quale sia il suo carattere, e se persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto unionale, quand'anche sia in grado di incidere indirettamente su quest'ultimo, nonché se esista una normativa unionale che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa" (Cass. 27.9.2018, n. 2372). Ai sensi degli artt. 3 e 4 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea la materia della salute non rientra tra le competenze esclusive né concorrenti dell'Unione Europea. In materia di sanità pubblica l'Unione interviene, nell'ambito delle azioni di sostegno di cui all'articolo 6, unicamente come misure "intese a sostenere, coordinare, completare l'azione degli Stati membri" e sotto il profilo della competenza concorrente disciplinata dall'articolo 5 solamente nei casi in cui l'intervento dell'unione rappresenta un valore aggiunto rispetto all'azione degli Stati membri. La prescrizione della vaccinazione obbligatoria è ritenuta dalla Corte consentita allorquando, a fronte della prescrizione legislativa, vengono perseguiti obiettivi di protezione della salute e dei diritti di libertà altrui e la misura si ribelli necessaria, come si è verificato nella attuale situazione di pandemia ove la prescrizione dell'adempimento, da parte delle categorie indicate dalla legge, costituisce misura del tutto proporzionata "nella doverosa valutazione scientifica del rapporto tra rischi e benefici" (Cfr. Consiglio di Stato 7045/21 cit.). L'obbligo vaccinale previsto dal legislatore per il personale inserito, a diverso titolo, nelle strutture socio-sanitarie, risulta finalizzato alla tutela dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute di tutto il personale e dei soggetti fragili che vi sono ospitati, oltre che dei soggetti esterni che le frequentano e, dunque, della salute pubblica. Del resto, da recenti dati forniti dall'Istituto Superiore di Sanità emerge che i vaccini anti Sars Covid 2 contribuiscono a ridurre la circolazione del virus e di conseguenza si riduce anche la possibilità che questo muti; a febbraio 2022, in Italia, erano 22 i morti considerati "corrrelabili" ai vaccini contro il Covid su 108 milioni di somministrazioni: in pratica le morti accertate per il vaccino Covid sono circa di 1 decesso ogni 5.000.000 di dosi, come riportato nel "Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti Covid-19", presentato dall'Agenzia Italiana del Farmaco Aifa, dal quale emerge anche che vi sono state circa 118 mila segnalazioni di eventi avversi, dei quali l'84% non sono risultati gravi, mentre invece, il Covid-19 ha provocato 6.356.812 morti nel mondo (Fonte: OMS, 14.07.2022), dei quali 2.039.125 in Europa (Fonte: OMS, 15.07.2022) e 169.735 in Italia (al 15.07.2022). Tali dati giustificano - nel necessario bilanciamento degli interessi - l'esigibilità dell'obbligo vaccinale richiesto alle lavoratrici e la tollerabilità per le stesse della scelta di non vaccinarsi, scelta che non comporta comunque la risoluzione del rapporto di lavoro, ma soltanto la sua temporanea sospensione. L'obbligo vaccinale previsto dal legislatore per il personale inserito, a diverso titolo, nelle strutture socio-sanitarie, risulta finalizzato alla tutela dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute di tutto il personale e dei soggetti fragili che vi sono ospitati, oltre che dei soggetti esterni che le frequentano e, dunque, della salute pubblica. In ragione di ciò si ritiene la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in ragione della prevalenza, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID - 19, del diritto alla salute della collettività, compromesso dalla perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia. Neppure sembrano cogliere nel segno le altre difese delle ricorrenti. Quanto all'inesistenza materiale dell'oggetto dell'obbligo, i vaccini approvati dall'Aifa, a detta delle attrici avrebbero la funzione di impedire l'insorgere di forme acute della malattia e non invece quella di prevenire l'infezione e il contagio a terzi. La tesi risulta infondata, in quanto l'utilità del vaccino nel contrasto alla pandemia è stata previamente verificata dalle competenti autorità autorizzatorie europea (Ema) e nazionale (Aifa); in ogni caso, la nozione di "prevenzione dell'infezione da Sars-Cov-2", cui è finalizzata la vaccinazione obbligatoria, di cui all'art. 4 co. 1 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021, ricomprende con tutta evidenza la prevenzione della corrispondente malattia, che comunque si configura quale obiettivo fondamentale per la tutela della salute pubblica, che anzi è minacciata certamente in maniera più grave dalle patologie (anche gravi) derivanti dall'infezione che non da quest'ultima in sé considerata. Ad analoghe conclusioni si perviene in ordine alla asserita illegittimità della sospensione per essere venute meno le condizioni stabilite dall'art. 4 co. 1 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021, che sanciva l'obbligo di vaccinazione del personale sanitario "fino alla completa attuazione del piano di cui all'art. 1 co. 457 L. 30 dicembre 2020, n. 178 e comunque non oltre il 31.12.2021". Invero, la norma in esame è stata modificata dall'art. 1 co. 1 lett. b) D.L. 26 novembre 2021, n. 172 conv. in L. 21 gennaio 2022, n. 3, che per un verso ha riconfermato l'obbligo vaccinale "in attuazione del piano di cui all'art. 1 co. 457 L. 30 dicembre 2020, n. 178", così sancendone la persistente attualità, e per altro verso ha eliminato il limite temporale del 31.12.2021, che peraltro non era ancora scaduto alla data (11.10.2021) della decorrenza della sospensione, disposta con provvedimento del settembre 2021. Ancora, parte datoriale non può ritenersi inadempiente all'onere di repechage previsto dall'art. 4 co. 8 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021. Premesso che deve escludersi che nella fattispecie in esame possano applicarsi tout court i principi giurisprudenziali sanciti in relazione al regime probatorio operante in materia di repechage nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo - attesa la diversità delle situazioni in raffronto - dovendo pertanto ritenersi assolto il relativo onere datoriale anche mediante presunzioni, in difetto di specifiche allegazioni attoree (in termini, cfr. ancora Trib. Roma 8.12.2021 in proc. 26698/2021 r.g., e in senso conforme Trib. Ravenna 31.12.2021 in proc. 689-1/2021 r.g), emerge, comunque, dalla dotazione organica dell'Unité (vds. prodd. 30-31 resistente, non specificatamente contestate dalle onerate) che all'epoca della sospensione sussistessero solo scoperture nelle mansioni di OO.SS., cui non poteva ovviamente essere addette le ricorrenti. Per quanto concerne, invece, le mansioni di cuoco e aiuto cuoco (premesso che le onerate non si sono offerte di provare di avere le conoscenze tecnico pratiche per poterle esercitare all'interno di una casa di riposo, ove sono pacificamente addette), le stesse non risultavano disponibili, poiché il 31.8.2021 -vale a dire in data antecedente all'accertamento dell'inosservanza dell'obbligo vaccinale e della conseguente sospensione del settembre 2021 era stata effettuata una "richiesta di avviamento a selezione" al Centro per l'impiego di Aosta per "4 titolari + n. 4 riservatari" (vds. doc. 32 resistente) per cui detti posti non potevano essere messi a disposizione delle attrici. Ma anche a voler superare -e non si vede come- questa circostanza, non è stato contestato che le mansioni di cuoco e aiuto cuoco, espletate all'interno di una residenza per anziani, avrebbero comunque comportato per le attrici non vaccinate un assiduo contatto con gli ospiti della struttura, in contrasto con il dettato normativo. Ne consegue, allora, che le lavoratrici non potevano essere utilmente reimpiegate in altre mansioni. Neppure, ancora, può ritenersi che con la sospensione, il datore di lavoro abbia modificato unilateralmente il rapporto di lavoro, in quanto è stato dato corso ad un obbligo di legge, per il periodo successivo alla cessazione della malattia. Maggiore attenzione, invece, meritano le residue difese delle ricorrenti. In particolare, assai suggestivamente si è sostenuto che -in contrasto con il dettato delle circolari ministeriali e sulla sola base di una nota ministeriale (priva di qualsivoglia efficacia vincolante)l'Unité avrebbe, di fatto, illegittimamente ridotto la vigenza temporale della carta verde da guarigione da 6 mesi a 3 mesi, sospendendo una seconda volta le attrici con decorrenza dal 20.6.2022, quando certificazione verde in loro possesso avrebbe consentito la loro permanenza in servizio almeno fino al luglio 2022. La tesi seppur doviziosamente argomentata, non sembra poter essere fatta propria da questo Tribunale. Come è noto, l'art. 4, comma 5, D.L. n. 44 del 2021, applicabile alle ricorrenti, prevede che in caso di intervenuta guarigione la cessazione temporanea della sospensione è disposta "sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione è differita in base alle indicazioni contenute nelle circolari del Ministero della salute". Due, allora, sono le circolari di interesse, vale a dire la n. 8284 del 03.03.2021, avente ad oggetto "Vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un'infezione da SARS-CoV-2" (doc. 33 resistente), e la n. 32884 del 21.07.2021, avente ad oggetto "Aggiornamento indicazioni sulla Vaccinazione dei soggetti che hanno avuto un'infezione da SARS-CoV-2" (doc. 34 resistente). Orbene, nella prima si legge, per quanto di interesse che "è possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino anti-SARS-CoV-2/COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa"; la seconda, invece, testualmente recita che "è possibile considerare la somministrazione di un'unica dose di vaccino anti-SARSCoV-2/COVID19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 (decorsa in maniera sintomatica o asintomatica), purché la vaccinazione venga eseguita preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa e comunque non oltre 12 mesi dalla guarigione". A detta delle attrici, da un lato a seconda circolare avrebbe abrogato la prima, sostanzialmente elidendo il termine (dilatorio) di tre mesi tra infezione ed unica dose di vaccino; d'altro canto priva di qualsivoglia efficacia giuridica sarebbe la nota del Ministero della Salute del 29.3.2022. Si può anche concordare con la difesa delle ricorrenti nel ritenere priva di vincolatività erga omnes di detta nota, in quanto meramente esplicativa delle circolari sopracitate: ciò non toglie, tuttavia, che debba accedersi alla tesi attorea, secondo cui la circolare del luglio 2021 avrebbe abrogato quella del marzo dello stesso anno. Ritiene, infatti, il Tribunale che la seconda circolare abbia semplicemente aggiunto un termine (12 mesi dalla guarigione) entro il quale la somministrazione di un'unica dose di vaccino possa essere equiparata ad un ciclo completo, per i soggetti -come le ricorrenti- infettati dal Covid -19; nessun elemento, invece, può far propendere per l'eliminazione del primo termine (3 mesi dall'infezione) entro il quale non è possibile ricevere una dose vaccinale. Certo, tale termine non viene richiamato nel secondo provvedimento, ma ciò accade solo perché è stato introdotto il terzo termine (12 mesi) che è correlato esclusivamente al secondo (preferibilmente entro 6 mesi): del resto, diversamente opinando, dovrebbe essere consentito - e così evidentemente non è- ad un soggetto appena guarito dall'infezione di ricevere una dose di vaccino. Non resta, allora, che verificare se possa ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021, nella parte in cui non preveda un assegno alimentare in favore dei soggetti che vengano sospesi dal lavoro in quanto non ottemperanti all'onere vaccinale, a differenza di quanto previsto per i dipendenti sospesi per un procedimento disciplinare o addirittura, penale. Nonostante autorevoli pronunce in senso opposto, ritiene il Tribunale di dover aderire al prevalente orientamento, secondo cui si tratta di situazioni non comparabili, per cui è pienamente giustificata una disparità di trattamento (vds., da ultima sent. Tar Lazio del 14.7.2022). Come condivisibilmente sostenuto in questa sentenza, "l'art. 4 D.L. n. 44 del 2021, infatti, esula da profili di rilevanza disciplinare e, anche, ordinariamente, da profili di rilevanza penale (soltanto eventuali, come espressamente si precisa al comma 6); non è, quindi, fondatamente prospettabile un'analogia con la speciale disciplina del D.Lgs. n. 66 del 2010, vale a dire quella afferente alle sospensioni del dipendente che l'amministrazione disponga, appunto, in concomitanza con la pendenza di procedimenti disciplinari e di procedimenti penali, compreso il caso di espiazione di pene detentive. E per ragioni non dissimili occorre sottolineare che l'art. 82 del D.P.R. n. 3 del 1957 (in cui è previsto che all'impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre agli assegni per carichi di famiglia) è disposizione inquadrata nel capo dedicato alle infrazioni e sanzioni disciplinari. A compendio di tali evidenze si deve, inoltre, rilevare che il procedimento disciplinare e quello penale, una volta avviati, procedono in modo autonomo e indifferente rispetto alla volontà dell'incolpato o dell'imputato di poterne bloccare lo svolgimento, e per questo è giustificata l'erogazione di alcune provvidenze (corresponsione di parte degli assegni a carattere fisso e continuativo dell'assegno alimentare). Prova della regolazione eteronoma è che la sospensione precauzionale non è può avere una durata superiore ad anni 5. Decorso tale termine, la sospensione precauzionale è revocata di diritto e che la sospensione è revocata retroattivamente a tutti gli effetti: a) se il procedimento penale ha termine con sentenza definitiva che dichiara che il fatto non sussiste o che l'imputato non l'ha commesso; b) in ogni altro caso di proscioglimento, se il militare non è sottoposto a procedimento disciplinare di stato; c) se, per i medesimi fatti contestati in sede penale, il procedimento disciplinare si esaurisce senza dar luogo in sanzioni di stato, ovvero si conclude con l'irrogazione della sanzione disciplinare per un periodo che non assorbe quello sofferto di sospensione precauzionale; d) se il militare è stato assolto all'esito di giudizio penale di revisione. Di contro, nel caso della sospensione disposta per violazione dell'obbligo vaccinale, è prevista una reversibilità immediata della situazione originaria, nel senso che al dipendente è stata data la possibilità di riprendere l'esercizio dell'attività lavorativa, sol che questi si sottoponga alla vaccinazione.... In secondo luogo, la privazione della retribuzione non è affatto un istituto inedito. Essa è prevista dall'art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 per il caso del dipendente che essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o d servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall'Ufficio disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti (comma 7); nonché a carico del personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali (comma 9 quater); ed è altresì prevista dall'art. 55 sexies, in cui si prevede che la violazione di obblighi concernenti la prestazione lavorativa, che abbia determinato la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno comporta la provazione della retribuzione a carico del dipendente responsabile (comma 1)". Mutatis mutandis (la sentenza de qua, infatti, era riferita ad un appartenente alla Guardia di Finanza), la questione di costituzionalità appare manifestamente infondata: la sospensione disciplinare è, infatti, istituto completamente differente da quello relativo all'onere di sottoposizione al vaccino per il Covid -19, per cui appare rientrare nella discrezionalità del legislatore un diverso trattamento delle due fattispecie. In conclusione, quindi, le domande attoree debbono essere rigettate. In ordine, infine, alle spese di lite, quanto al procedimento cautelare si è già detto che vi è stata in udienza rinuncia a spese compensate da parte delle ricorrenti, con contestuale accettazione della resistente; quanto al merito, stante la complessità e novità degli argomenti giuridici trattati, possono venire integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione respinta, definitivamente decidendo: A) rigetta ogni domanda attorea; B) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Visto l'art. 429 comma 1 c.p.c. indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Aosta il 3 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 16 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di AOSTA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Bonfilio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 203/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.FE., elettivamente domiciliato in VIA (...) AOSTA presso il difensore avv. MA.FE. ATTORE/I contro (...) S.p.A. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. RO.MA., elettivamente domiciliato in Loc. (...) null 11020 ST. Christophe presso il difensore avv. RO.MA. CONVENUTO/I FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 19.02.2021 il sig. (...), premesso di essere proprietario di un immobile sito nel Condominio (...) in Valtournanche, loc. Cielo Alto, riferiva di essere già stato citato in giudizio, con atto in data 23.07.2012, dal sig. (...), che lamentava infiltrazioni di acqua nel proprio appartamento, sottostante a quello di proprietà dell'esponente, e di aver quindi comunicato tempestivamente la circostanza all'Amministratore del Condominio ed alla Società assicuratrice dello stesso, (...) S.p.A. sollecitando una definizione transattiva della vertenza. Il Condominio (...), evocato nel giudizio, aveva a sua volta citato in manleva la propria assicuratrice. Lamentava tuttavia il sig. (...) che la (...) S.p.A. pure costituita nel giudizio richiamato, si fosse limitata ad una posizione processuale passiva, omettendo iniziativa alcuna per ricercare una soluzione transattiva della controversia, costringendolo così a resistere giudizialmente alle avverse domande, trovandosi a dover sostenere infine, in forza di sentenza n. 406/2016 emessa da questo Tribunale in data 28.12.2016, la quota delle spese per l'esperimento di C.T.U. posta a suo carico e pari ad Euro 785,09, i danni conseguenti alle attività di ricerca del guasto per un importo di Euro 6.740,00 oltre OVA e le spese per la nomina di un proprio C.T.P., per un importo di Euro 3.192,80. Lamentava inoltre di aver subito a sua volta danno conseguente all'impossibilità di utilizzare il proprio alloggio nel periodo dal 26.03.2015 al 25.03.2016, dalla notifica dell'atto di citazione di cui innanzi sino al completamento dell'indagine peritale svolta nel giudizio conseguente. Riferiva peraltro di aver già richiesto e sollecitato la (...) S.p.A. al pagamento di importo transattivamente determinato nella misura di complessivi Euro 16.218,80, ricevendo tuttavia indennizzo di soli Euro 8.690,00 di cui Euro 6.440,00 per rimborso delle spese di ricerca del guasto, ingiustificatamente così liquidate non solo previa detrazione della franchigia di polizza, ma anche al netto di IVA, comunque dovuta, ed Euro 2.250,00, pari al 50% del danno per mancato utilizzo dell'immobile come transattivamente esposte per un importo complessivo di Euro 5.500,00. Conveniva perciò in giudizio la predetta Compagnia, chiedendone condanna al pagamento di ulteriore indennizzo ancora dovuto per un importo complessivo di Euro 18.001,44, di cui Euro 786,00 quale quota parte delle spese pagate per la C.T.U. esperita nel giudizio pregresso nei confronti del sig. (...), Euro 3.192,00 per spese di C.T.P. in quella sede sostenute, Euro 674,00 per IVA dovuta sulla spesa occorsa per la ricerca del guasto ed Euro 14.338,64 per perdita dei canoni di locazione relativi al predetto immobile nel periodo sopra indicato; con vittoria delle spese del giudizio. Si costituiva nel giudizio la (...) S.p.A. eccependo preliminarmente la carenza di legittimazione attiva del sig. (...) in relazione a diritti fondati su polizza assicurativa stipulata in specie dal Condominio in cui è compreso l'immobile di proprietà attorea. Contestava peraltro ogni avversa pretesa per rimborso della quota delle spese di C.T.U. esperita nel primo giudizio, allegando di aver già puntualmente ottemperato alla sentenza in quella sede resa, respingendo comunque la domanda di rimborso delle spese sostenute dall'attore per il pagamento del proprio C.T.P., non previste in polizza, evidenziando infine come la copertura prestata non fosse in alcun modo estesa ai danni subiti dallo stesso soggetto responsabile del danno. Chiedeva pertanto rigettarsi le domande attoree, con vittoria delle spese del giudizio. Ritenuta superflua la prova orale dedotta dalla parte attrice, nonché la C.T.U. dalla stessa invocata per la stima del valore locativo dell'immobile di proprietà attorea, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, previo inutile esperimento di un tentativo di conciliazione fra le parti, invitava alla precisazione delle conclusioni, che la parti formulavano come in epigrafe riportate. Previo deposito delle difese di rito, la causa perviene, dunque, in decisione. Preliminare e virtualmente assorbente rispetto al merito dell'intera controversia, merita preventivo esame l'eccezione formulata in limine dalla parte convenuta, nell'atto di costituzione nel giudizio, di carenza di legittimazione attiva dell'odierno attore in relazione a pretese nascenti da polizza assicurativa stipulata in specie dal Condominio in cui risulta compresa l'unità immobiliare di proprietà del sig. (...). Emerge dalle stesse allegazioni svolte dall'odierno attore nell'atto introduttivo che il sig. (...), come appunto esposto, essendo stato chiamato in giudizio dal sig. (...), che lamentava di aver subito infiltrazioni nel proprio immobile a causa di percolazioni provenienti dall'appartamento sovrastante, di sua proprietà, ebbe a comunicare la circostanza sia al Condominio (...), in cui è compreso l'appartamento di cui è proprietario, sia la Compagnia con la quale il Condominio stesso aveva stipulato polizza assicurativa cd fabbricati di cui al documento n. 8 di parte attrice, sollecitando dapprima "intervento volto alla ricerca di una definizione transattiva della questione", e, successivamente, preannunciando la volontà di costituirsi nel procedimento e di chiamare in causa la predetta Compagnia. Per vero nel giudizio di cui innanzi il sig. (...), in sede di costituzione, ebbe quindi a chiamare in causa non già la Compagnia ora convenuta, ma il Condominio, quale contraente della polizza in questa sede invocata. Allega tuttavia l'odierno attore che "l'odierna citazione a giudizio della società (...) S.p.A. consegue al contegno silente dalla stessa tenuto nel caso come sopra riportato, in forza del quale la stessa anziché provvedere ad esperire tutte le attività del caso finalizzate al risarcimento del danno patito dall'Avv. (...) per le infiltrazioni de quibus, rimaneva inerte, obbligando, conseguentemente, l'Avv. (...) a radicare il giudizio di cui si è più sopra esposto e l'odierno attore a costituirsi nel medesimo, evocando in giudizio il condominio, il quale, a sua volta, era obbligato a chiamare ulteriormente in giudizio l'assicuratore odierno convenuto"; chiede quindi condanna della Compagnia convenuta al ristoro di tutti i danni da lui subiti in conseguenza delle infiltrazioni d'acqua cagionate nell'immobile di proprietà dell'Avv. (...), comprensive delle spese sostenute ed allo stato non rimborsategli relative a spese di C.T.P. e C.T.U., nonché per IVA relativa alle spese di ricerca del guasto pure ristorategli da (...) S.p.A. dopo la definizione del giudizio risarcitorio instaurato dal sig. (...) e del danno per mancato godimento dell'appartamento di sua proprietà nel periodo decorso dalla proposizione della domanda giudiziale del danneggiato nei suoi confronti sino al completamento dell'indagine peritale esperita in causa. Orbene, risulta dall'esame della polizza assicurativa stipulata dal Condominio (...) con la (...) S.p.A. prodotta in atti dallo stesso attore al documento n. 8 che, come del resto già accertato in forza di sentenza n. 406/2016 emessa inter partes da questo Tribunale in data 28.12.2016, secondo il tenore "delle condizioni generali di polizza, al quadro III, relativo a "danni da acqua e altri liquidi", sub B., in relazione alla voce "danni a terzi", "la Società si obbliga a tenere indenne l'Assicurato/Contraente, nei limiti del Massimale convenuto per la Responsabilità Civile della proprietà del Fabbricato ed alle condizioni che seguono, di quanto sia tenuto a pagare quale civilmente responsabile a titolo di Risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente causati a terzi in conseguenza di: - Fuoriuscita di acqua condotta e altri liquidi causata da guasto o rottura accidentali di pluviali, grondaie, impianti idrici, igienici, di condizionamento e di riscaldamento stabilmente installati nel Fabbricato o di pertinenza dello stesso", laddove "l'Assicurazione comprende inoltre la Responsabilità Civile derivante all'Assicurato e/o al conduttore delle Unità immobiliari assicurate, compresa la responsabilità civile delle persone con lui conviventi e/o delle persone di cui deve rispondere a norma di legge, per danni involontariamente causati a terzi a seguito di fuoriuscita di liquidi in conseguenza della conduzione di locali adibiti ad abitazioni, uffici, studi professionali e relative pertinenze". Peraltro, secondo quanto previsto in via generale al punto 3.1 delle richiamate condizioni generali in tema di "Danni da acqua e altri liquidi", risulta che "la garanzia comprende sia i danni materiali e diretti al Fabbricato sia la responsabilità civile dell'Assicurato a seguito di fuoriuscita di acqua condotta e altri liquidi", laddove, alla voce "A) Danni al Fabbricato", si dispone che "la Società si obbliga ad indennizzare, nei limiti della somma assicurata per il Fabbricato ed alle condizioni che seguono, i danni materiali e diretti al Fabbricato, causati da: o Fuoriuscita di acqua condotta ed altri liquidi causata da guasto o rottura accidentale di pluviali, grondaie, impianti idrici, igienici, di condizionamento e di riscaldamento stabilmente installati nel Fabbricato o di pertinenza dello stesso" (v. documento n. 8, pag. 27). Nondimeno, in applicazione delle "Condizioni sempre operanti" di cui al paragrafo 3.4, per l'ipotesi di "Fabbricato di proprietà di terzi", "le azioni, le ragioni ed i diritti nascenti dalla Polizza possono essere esercitati solo dal Contraente e dalla Società. Spetta in particolare al Contraente compiere gli atti necessari all'accertamento ed alla liquidazione dei danni, che sono vincolanti anche per l'Assicurato, restando esclusa ogni sua facoltà di impugnativa. L'Indennizzo liquidato a termini di Polizza può tuttavia essere pagato solo nei confronti o con il consenso dei titolari dell'interesse assicurato" (v. ancora documento n. 8 di parte attrice, pag. 30 ). Orbene, contraente della predetta polizza è unicamente il Condominio stipulante, laddove, in considerazione della copertura conseguente offerta, comprensiva della responsabilità civile anche dei conduttori delle unità immobiliari comprese nel Condominio, "dovendosi intendere per tali - in mancanza di più precise indicazioni nel contesto delle condizioni generali di polizza in esame - i soggetti che hanno in godimento le unità in questione, siano esse adibite ad uffici ovvero ad abitazione" (v. sentenza innanzi richiamata e prodotta dall'attore al documento n. 7 in atti ), possono ritenersi assicurati anche i singoli condomini ovvero comunque i soggetti che abbiano in legittimo godimento le unità comprese nel condominio. E, tuttavia, secondo le pattuizioni contenute in polizza detti assicurati, in quanto non contraenti, non possono ritenersi legittimati ad esercitare "azioni, ragioni e diritti nascenti dalla polizza". Peraltro in materia, la Suprema Corte ha chiaramente affermato che "la circostanza che il condominio sia un ente di gestione, sprovvisto di personalità giuridica, non comporta che, nel caso di polizza stipulata dal condominio in persona dell'amministratore, ciascun condomino possa sostituirsi all'amministratore stesso ed agire, nel proprio interesse, nei riguardi dell'assicuratore; la rappresentanza spetta, infatti, comunque all'amministratore ed il singolo condomino non può considerarsi singolarmente legittimato a rappresentare l'ente di gestione, contraente della polizza nell'interesse di tutti i partecipanti al condominio (tra le altre, cfr. Cass. 26 marzo 1996, n. 2678)" (Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 4245 del 2009; v. anche Corte d'Appello di Milano, sentenza 4 maggio 2021, n. 1411). Con recente pronuncia di merito, la giurisprudenza ha per vero rilevato che "questa conclusione non è valida se un condomino, per colpa del boiler difettoso, allaga il vicino e la polizza globale del caseggiato copre - sino a concorrenza del massimale - il risarcimento delle somme (capitale, interessi e spese) che condomini e/o locatari del fabbricato assicurato siano tenuti a pagare nella loro qualità di conduttori dei singoli appartamenti per fatto proprio e delle persone con le quali o delle quali devono rispondere nonché di altre persone con loro conviventi; in tal caso, anche se tale estensione di garanzia è limitata al solo rischio derivante dall'uso del fabbricato, impianti fissi ed apparecchi elettrodomestici, compresi i relativi allacciamenti (e quindi riguarda anche un boiler difettoso), il condomino-danneggiante è pienamente legittimato a chiamare direttamente in causa la compagnia stipulata dal condominio" (Corte d'Appello Genova - III sez. civ. - sentenza n. 45 del 14-01-2021 ). E, tuttavia, laddove la stessa polizza assicurativa invocata a fondamento della pretesa risarcitoria esposta dal Condomino danneggiante e al tempo stesso danneggiato in quanto "assicurato" preveda espressamente che le sole parti stipulanti - contraente e società assicuratrice - possano esercitare i diritti nascenti dalla polizza, deve certamente escludersi ogni legittimazione del mero assicurato ad agire per far valere pretese comunque derivanti dal contratto alla cui stipulazione è estraneo. Le conclusioni esposte precludono ogni disamina nel merito delle stesse doglianze esposte dall'odierno attore, nel rilevare che "l'esame dei documenti prodotti sub n. 2 evidenzia, infatti, la circostanza sia relativa alla comunicazione formale effettuata dal signor (...), sia all'indicazione al medesimo data dall'assicuratore odierno convenuto di provvedere "pure alla sua difesa in proprio e all'eventuale chiamata in causa della compagnia", rilevando quindi come sia stata "la stessa società odierna convenuta, pertanto, a decidere di non prendere direttamente in carico la problematica, indicando essa medesima al proprio assicurato odierno attore il nominativo dell'avvocato fiduciario da nominarsi nel giudizio R.G. n. 442/2014 come avviene spesse volte in situazioni analoghe da parte delle compagnie assicuratrici, sollevando così da ogni incombenza l'odierno attore. Al contrario, la società convenuta non solo non operava in tal modo, ma anche consigliava al signor (...) di occuparsi direttamente della propria difesa e, se del caso, di chiamare in causa la compagnia" (v. comparsa conclusionale attorea, pag. 11). Secondo principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità deve peraltro ritenersi che "la responsabilità per "mala gestio" dell'assicuratore della responsabilità civile è configurabile solo quando l'assicuratore ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l'esistenza della responsabilità dell'assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza, con valutazione da effettuarsi non già "ex post" (alla stregua dell'esito del giudizio) bensì "ex ante" (con riferimento cioè alla situazione preesistente ed alla probabilità dell'esito del giudizio secondo il parametro della diligenza media che si richiede all'assicuratore)" (Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 2195 del 05/02/2004; Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 24747 del 28/11/2007 ). Più chiaramente "affinché possa configurarsi una responsabilità che superi i limiti del massimale per "mala gestio" dell'assicuratore della responsabilità civile non è necessario che questi ometta il pagamento dell'indennizzo nonostante il debito dell'assicurato verso il terzo danneggiato sia stato accertato e quantificato con sentenza passata in giudicato ovvero per effetto di accordo negoziale, ma è sufficiente che vi sia stata la suddetta omissione nonostante la responsabilità dell'assicurato e l'ammontare del danno fossero determinabili dall'assicuratore alla stregua dell'ordinaria diligenza e del principio di buona fede" (Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 11908 del 13/05/2008). Ed infatti "nell'assicurazione della responsabilità civile l'obbligo dell'assicuratore di indennizzare l'assicurato sorge nel momento in cui quest'ultimo causi un danno a terzi; tuttavia, l'assicuratore è in mora rispetto a tale obbligo solo dopo che sia decorso il tempo presumibilmente occorrente ad un diligente assicuratore per accertare la sussistenza della responsabilità dell'assicurato e per liquidare il danno e sempre che vi sia stata una efficace costituzione in mora da parte dell'assicurato stesso" (Cass. civ. Sez. 3-, Sentenza n. 28811 del 08/11/2019 ). In specie risulta, tuttavia, "che l'odierno attore" nel giudizio pregresso richiamato e descritto nell'atto introduttivo del presente giudizio - sig. (...) - "abbia nel corso del giudizio respinto ogni possibilità conciliativa, pure a seguito dell'eliminazione delle infiltrazioni denunciate ed a fronte dei modesti danni così accertati, insistendo nella richiesta di ulteriore ristoro del danno cd. figurativo allegato, assumendo che l'alloggio di sua proprietà sia rimasto per lungo tempo inutilizzabile, dal verificarsi degli eventi infiltrativi in questione nel dicembre 2013 sino all'eliminazione della perdita da cui dette infiltrazioni erano cagionate, avvenuta in corso di C.T.U. nel giugno 2016.( v. sentenza di questo Tribunale n. 406/2016 al documento n. 7 di parte attrice, pag. 6 ). La pretesa risarcitoria avanzata dal sig. (...) era quindi di entità ben superiore al danno effettivo quindi accertato nel giudizio. Peraltro - come pure evidenziato nella sentenza di cui innanzi, nel corso della consulenza tecnica esperita nel giudizio promosso dal sig. (...) nei confronti dell'odierno attore, "il C.T.U. ha quindi di sua iniziativa "ritenuto di stimare i costi dei lavori necessari alla ricerca del danno e ai successivi ripristini, lavori effettuati presso l'unità immobiliare di proprietà della parte convenuta", "considerato che l'attività di ricerca è risultata indispensabile per lo svolgimento della stessa attività peritale e tenuto conto che le spese richiamate rilevano nei rapporti" tra le parti in causa. "Non risulta, tuttavia - come pure rilevato dal Tribunale in sede di decisione - che l'odierno convenuto abbia formulato nel presente giudizio domanda alcuna per il ristoro di siffatti danni - pure certamente compresi dalla copertura assicurativa prestata dalla (...) Assicurazioni s.p.a. - la cui valutazione esula perciò dall'oggetto del contenzioso in esame e resta semmai riservata ad altra sede di giudizio". Pure addivenendosi a declaratoria di carenza di legittimazione attiva dell'odierno attore in relazione a tutte le domande formulate nel presente giudizio, giova comunque evidenziare, in merito, che, secondo quanto previsto e disciplinato nella sezione III delle condizioni generali che regolano la polizza assicurativa invocata dal sig. (...), al punto 3.1 B) "l' Assicurazione comprende inoltre la Responsabilità Civile derivante all'Assicurato e/o al conduttore delle Unità immobiliari assicurate, compresa la responsabilità civile delle persone con lui conviventi e/o delle persone di cui deve rispondere a norma di legge, per danni involontariamente causati a terzi a seguito di fuoriuscita di liquidi in conseguenza della conduzione di locali adibiti ad abitazioni, uffici, studi professionali e relative pertinenze". Non risulta, dunque, coperto il danno subito dal conduttore di unità immobiliare pure assicurata. Peraltro la responsabilità dell'assicuratore per mala gestio comporta unicamente che egli sia tenuto al ristoro anche oltre il massimale previsto in polizza, ma non che sia tenuto a risarcire un danno non compreso nella copertura assicurata (cfr. Cass. civ. Sez. 3-, Sentenza n. 28811 del 08/11/2019 ). Addivenendosi pertanto ad integrale rigetto delle domande attoree le spese del presente giudizio seguono la piena soccombenza attorea e si liquidano come da dispositivo in applicazione di valori medi dei parametri normativi in vigore, avuto riguardo al valore della controversia, alla sua media complessità ed all'attività difensiva concretamente svolta nel giudizio dal difensore della parte avente titolo al rimborso, che ha comportato in specie pieno esperimento delle quattro fasi del procedimento. P.Q.M. IL TRIBUNALE definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. accertata la carenza di legittimazione attiva del sig. (...) rispetto alle domande formulate nel giudizio, rigetta integralmente le istanze attoree; 2. condanna il sig. (...) al pagamento in favore della (...) Assicurazioni S.p.A. delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.835,00, oltre rimborso delle spese al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Aosta il 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Bonfilio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1028/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), AL.BI. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. VA.FI., elettivamente domiciliato in CORSO (...) 11100 AOSTA presso il difensore avv. VA.FI. ATTORE/I contro (...) S.r.l. (C.F. (...)), come rappresentata nel giudizio da (...) S.r.l. (già (...) S.p.A. ), con il patrocinio dell'avv. MA.RI. e dell'avv. MA.FR. (...) CORSO (...) 14100 ASTI, elettivamente domiciliato in CORSO (...) 14100 ASTI presso il difensore avv. MA.RI. CONVENUTO/I FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 12.11.2020 i sigg.ri (...) ed (...) promuovevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 266/2020, emesso da questo Tribunale in data 3.10.2020, su ricorso promosso dalla (...) s.r.l., per il pagamento della somma di Euro 219.119,79. Gli esponenti, chiamati a rispondere quali fideiussori della sig.ra (...) in relazione a mutuo con garanzia ipotecaria dalla stessa stipulato con la (...) S.p.A. in data 27.06.2007 per l'importo originario di Euro 230.000,00, eccepivano prescritta la garanzia personale prestata, rilevando come la Banca mutuante avesse in effetti revocato la predetta linea di credito alla mutuataria già con lettera raccomandata in data 22.08.2008, intimando alla debitrice ed agli stessi fideiussori di provvedere immediatamente alla copertura dell'esposizione maturata, nulla comunicando in seguito al sig. (...) sino al 27.05.2020 ed al sig. (...) sino al 6.06.2020, assumendo perciò maturata la prescrizione decennale del credito in contestazione. Contestavano peraltro in merito l'entità della pretesa creditoria esposta dalla ricorrente in sede monitoria, risultando già venduto in sede esecutiva il bene ipotecato a garanzia del mutuo in questione. Convenivano perciò in giudizio la (...) s.r.l. chiedendo accertarsi l'insussistenza di ogni avversa pretesa creditoria e quindi revocarsi, o annullarsi o dichiararsi nullo ed inefficace il decreto ingiuntivo opposto; con vittoria delle spese del giudizio. Si costituiva ritualmente nel giudizio la Società ricorrente opposta, allegando di essersi resa cessionaria del credito in contestazione a titolo oneroso e pro soluto nell'ambito di un'operazione unitaria di cartolarizzazione ex lege n. 130/1999, comunicata mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Allegava peraltro di aver iniziato e proseguito azione giudiziale per il recupero del credito nei confronti del debitore principale, sig.ra (...), assumendo così interrotta ogni prescrizione ex art. 1310 c.c. anche nei confronti dei fideiussori, tenuti in solido al pagamento. Riferiva peraltro di aver spiegato intervento nella procedura esecutiva promossa dalla (...) S.p.A. nei confronti della sig.ra (...) dinanzi al Tribunale di Cuneo, definita in data 5.03.2014 con piano di riparto che produceva in atti. Evidenziava peraltro l'estrema genericità delle contestazioni ex adverso svolte dagli opponenti sull'ammontare del credito esposto. Chiedeva pertanto, in via preliminare, autorizzarsi la provvisoria esecutività dell'ingiunzione opposta e, nel merito, rigettarsi integralmente l'avversa opposizione, ovvero, in via subordinata, condannarsi comunque gli opponenti al pagamento dell'importo di Euro 219.119,79 quali fideiussori della sig.ra (...) in relazione al mutuo in contestazione; con vittoria delle spese del giudizio e con condanna degli opponenti ex art. 96 c.p.c.. Con ordinanza in data 20.05.2021 il Giudice rigettava l'istanza promossa dalla parte ricorrente opposta per l'autorizzazione della provvisoria esecutività dell'ingiunzione opposta, rilevando carente la prova offerta in sede monitoria del credito in contestazione. In carenza di istanze istruttorie, invitava quindi alla precisazione delle conclusioni, che le parti formulavano come in epigrafe riportate. Dopo il deposito delle difese di rito, la causa perviene, dunque, in decisione. Rileva il Tribunale che gli odierni opponenti si sono limitati in sede di citazione ad eccepire l'intervenuta prescrizione del credito ex adverso vantato in sede monitoria dalla ricorrente opposta, omettendo alcun rilievo in merito alla corretta qualificazione della garanzia da loro prestata in favore della debitrice principale. Solo in comparsa conclusionale gli opponenti hanno invece assunto che "nel caso di specie si tratta proprio di un contratto autonomo (cfr. doc. E n. 7-8 avversaria) in cui gli esponenti si costituiscono fidejussori, tra l'altro, per l'adempimento tutte le obbligazioni della sig.ra (...) verso la (...) S.p.A. quindi verso le obbligazioni in modo generico e quindi la prescrizione è del tutto maturata", richiamando in merito principi chiaramente affermati dalla Suprema Corte in merito, secondo cui "al contratto autonomo di garanzia non è applicabile il regime sull'opponibilità delle eccezioni previsto dall'art. 1297 c.c., né la disciplina della prescrizione, quale stabilita in materia di fideiussione dall'art. 1957, comma 4, c.c. e dall'art. 1310 c.c., per le obbligazioni solidali in generale, con la conseguenza che l'atto con il quale, come nel caso di specie, il creditore ha interrotto la prescrizione contro il debitore non ha effetto nei confronti del garante autonomo" (sentenza n. 32402/2019 della prima sezione civile della Corte di Cassazione). A fondamento del principio innanzi richiamato la Corte ha peraltro rilevato che "non sussiste vincolo di solidarietà tra l'obbligazione assunta dal debitore principale e quella derivante da un contratto autonomo di garanzia, perché la causa concreta del negozio autonomo consiste nel trasferire da un soggetto all'altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, mentre nelle obbligazioni solidali in generale, e nella fideiussione in particolare, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale, sicché l'obbligazione del garante autonomo rimane sempre distinta da quella del debitore principale, essendo finalizzata ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione, configurandosi tra le stesse un mero collegamento negoziale ed un cumulo di prestazioni" (Cass. civ. Sez. 1-, Sentenza n. 32402 del 11/12/2019; conforme: Cass. civ. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8874 del 31/03/2021). Solo laddove sia configurabile un contratto autonomo di garanzia può ritenersi quindi che l'atto interruttivo della prescrizione nei confronti del debitore principale non abbia effetto nei confronti del garante. Ed infatti "non sussiste vincolo di solidarietà tra l'obbligazione assunta dal debitore principale e quella derivante da un contratto autonomo di garanzia, perché la causa concreta del negozio autonomo consiste nel trasferire da un soggetto all'altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, mentre nelle obbligazioni solidali in generale, e nella fideiussione in particolare, è tutelato l'interesse all'esatto adempimento della medesima prestazione principale, sicché l'obbligazione del garante autonomo rimane sempre distinta da quella del debitore principale, essendo finalizzata ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione, configurandosi tra le stesse un mero collegamento negoziale ed un cumulo di prestazioni" (Cass. civ. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 8874 del 31/03/2021). E, tuttavia, risulta in specie, da attento esame delle fideiussioni rilasciate dagli odierni opponenti sino a concorrenza dell'importo di Euro 230.000,00 "per l'adempimento delle obbligazioni verso codesta (...) S.p.A. dipendenti da operazioni bancarie di qualunque natura già consentite o che venissero in seguito consentite al predetto nominativo" del debitore garantito ed inoltre "qualsiasi altra obbligazione che il debitore principale si trovasse in qualunque momento ad avere verso codesta" Banca. All'art. 1 delle condizioni generali che regolano la predetta garanzia si legge peraltro che "la fideiussione garantisce tutto quanto dovuto dal debitore per capitale, interessi anche se moratori ed ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario ed ogni onere tributario". Pare evidente, dunque, che in specie la garanzia prestata dagli odierni opponenti in favore della sig.ra (...), siccome relativa a tutte le obbligazioni, presenti e future, comunque assunte dalla debitrice verso la (...) S.p.A. e prevista con obbligo per il garante di rimborsare alla Banca, in caso di inadempimento della debitrice garantita, gli importi esatti dalla stessa dovuti "per capitale, interessi anche se moratori ed ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario ed ogni onere tributario", e quindi per ogni onere comunque maturato in relazione al debito od ai debiti inadempiuti, ha natura di fideiussione cd. omnibus. Ben diversa, come chiaramente rilevato dalla Suprema Corte, sarebbe invece la prestazione dovuta dal garante laddove avesse sottoscritto invece un contratto autonomo di garanzia, distinta ed autonoma da quella dovuta dal debitore garantito e non necessariamente con essa coincidente. Qualificata, dunque, la garanzia prestata dagli odierni opponenti verso la Banca dante causa dell'odierna ricorrente opposta in relazione alle obbligazioni tutte contratte dalla debitrice principale, quale fideiussione, in specie "omnibus", è altresì evidente l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione opposta dagli stessi opponenti. Ed infatti, "nel caso di solidarietà tra più obbligati, ex art. 2055 c.c., l'interruzione della prescrizione compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati ha effetto anche nei confronti degli altri condebitori solidali, ai sensi dell'art. 1310, comma 1, c.c., senza che sia richiesto che questi ultimi abbiano conoscenza dell'atto interruttivo, in quanto gli effetti conservativi che tale atto produce incidono direttamente sul rapporto da cui origina l'obbligazione, e non sulla sfera giuridica del singolo condebitore solidale, il quale in conseguenza dell'estensione nei suoi confronti del relativo effetto conservativo dell'interruzione non viene a perdere alcun diritto, né viene inciso in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva di cui sia titolare" (Cass. civ. Sez. U-, Sentenza n. 13143 del 27/04/2022). Del tutto generiche risultano peraltro, come formulate in citazione e mai esplicitate diversamente sino alla precisazione delle conclusioni, le contestazioni svolte dagli odierni opponenti in ordine all'effettiva entità del credito esposto nei loro confronti in sede monitoria. La ricorrente opposta, che si era limitata in sede monitoria a produrre mera certificazione ex art. 50TUB, neppure comprensiva di estratto conto completo del rapporto in contestazione, ha quindi prodotto in sede di opposizione estratto conto del c/c su cui risulta erogato, e quindi accreditato, l'importo concesso a mutuo alla debitrice principale in forza del contratto già prodotto in sede monitoria (v. documento L di parte opposta) ed inoltre piano di ammortamento di detto mutuo sottoscritto dalla debitrice (v. documento M di parte opposta) e prospetto di computo del credito in oggetto, da cui risulta portato in detrazione, oltre ad acconti versati dalla debitrice principale, la somma ricavata dall'esecuzione nella quale la Banca creditrice ha spiegato intervento (v. documento N di parte opposta). E, dunque, alla luce della documentazione complessivamente versata in atti dalla ricorrente opposta, risulta pienamente provato il credito nell'ammontare già esposto in sede monitoria. Addivenendosi pertanto ad integrale rigetto dell'opposizione in esame, le spese del giudizio seguono la piena soccombenza della parte opponente e si liquidano come da dispositivo in applicazione di valori medi dei parametri normativi in vigore, avuto riguardo al valore della controversia, alla sua modesta complessità ed all'attività difensiva concretamente svolta nel giudizio dal difensore della parte avente titolo al rimborso, che ha comportato in specie integrale esperimento delle quattro fasi del giudizio. Non si ravvisano peraltro in specie i presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria genericamente formulata ex art. 96 c.p.c. dalla parte opposta e solo in comparsa conclusionale esplicitata in riferimento al dettato ex art. 96, comma III, c.p.c.. Ed infatti "la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all'esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall'art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della "potestas agendi" con un'utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l'accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell'infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell'ordinaria diligenza volta all'acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell'iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione" (Cass. civ. Sez. U-, Sentenza n. 22405 del 13/09/2018 ). Deve ritenersi quindi che "l'accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l'aver abusato dello strumento processuale" (Cass. Civ. Sez. U-, Ordinanza n. 25041 del 16/09/2021 ). In specie, seppure l'opposizione in esame risulta con ogni evidenza infondata, alla luce di chiara e consolidata giurisprudenza in materia, deve peraltro rilevarsi che la stessa parte opposta ha di fatto omesso di documentare compiutamente la propria pretesa creditoria in sede monitoria, limitandosi a produrre mero estratto conto, pure certificato ex art. 50 TUB, ed omettendo invece di produrre documentazione completa del rapporto in contestazione, nonché del giudizio esecutivo esperito avverso la debitrice principale garantita, così legittimando le avverse contestazioni. P.Q.M. IL TRIBUNALE definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. rigetta l'opposizione in esame perché infondata e per l'effetto conferma integralmente il decreto ingiuntivo n. 266/2020 emesso da questo Tribunale in data 3.10.2020 in questa sede opposto; 2. condanna i sigg.ri (...) ed (...), in solido fra loro, al pagamento in favore di (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante, delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 13.430,00, oltre rimborso forfettario delle spese al 15%, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Aosta l'11 luglio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AOSTA in persona del dott. Luca Fadda pronuncia la seguente SENTENZA definitiva nella causa iscritta al n. 96/2022 R.G. Lav. promossa da: (...) e (...), elettivamente domiciliate presso lo studio dell'Avv. Da.Fr., che le rappresenta e difende come da procura depositata nel fascicolo telematico Ricorrenti Contro (...), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Fa.Ca., presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in forza della procura speciale contenuta nella busta telematica ex art. 83, comma 2, c.p.c. ed in virtù del D.P. n. 1 in data 31 marzo 2021 Resistente In punto a: Illegittimità sospensione dal lavoro e retribuzione MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che, con ricorso depositato telematicamente in Cancelleria in data 14.23.2022, (...) e (...) convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Aosta la (...) al fine di ottenere -in via cautelare-, la riammissione in servizio e, nel merito, previo accertamento dell'illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, la condanna della convenuta al risarcimento del danno subito, con percezione della retribuzione dalla sospensione sino alla sua ripresa in servizio. In particolare, sostenevano -in punto fatto- di essere dipendenti della (...) con mansioni di O.S.S., inquadramento in categoria (...), posizione economica B2, posizione retributiva 1, orario a tempo parziale al 50% la prima e a tempo pieno la seconda, e di essere state sospese dalla retribuzione e dal servizio per inosservanza dell'obbligo vaccinale contro l'infezione Sars - CoV2 con decorrenza dal 20.9..2021 la prima e dal 9.9.2021 la seconda. In punto diritto sostenevano l'inapplicabilità dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 per inesistenza materiale dell'oggetto dell'obbligo vaccinale, non sussistendo un vero e proprio vaccino contro la Sars - CoV2, nonché per il raggiungimento degli obiettivi del Piano Strategico Nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS - CoV-2. Evidenziavano, inoltre, che l'amministrazione non aveva verificato la sussistenza di posizioni alternative a quelle assegnate di O.S.S. e che aveva modificato unilateralmente il contratto di lavoro; lamentavano, inoltre, il contrasto della normativa nazionale con quella Comunitaria e, comunque, l'incostituzionalità dell'art. 4 D.L. n. 44 del 2021 per violazione degli artt. 3, 1, 4, 35, 36, 32, 38 Cost.; sostenevano, infine, essere stato violato l'obbligo ex L. n. 219 del 2017 in punto consenso informato e l'illegittimità del trattamento per assenza di prescrizione medica, nonché la discriminazione subita dalla ricorrente (...), per essere stata sospesa prima della sorella A.. Si costituiva tempestivamente la convenuta, contestando la fondatezza delle domande attoree, sia dal punto di vista cautelare, sia del merito e chiedendo, pertanto, la reiezione del ricorso. Alla prima udienza le ricorrenti personalmente dichiaravano di rinunciare agli atti del procedimento cautelare a spese compensate, la resistente accettava la rinuncia a spese compensate ed il giudicante provvedeva all'estinzione del relativo giudizio come da richiesta delle parti; alla successiva udienza, fissata per il merito, il giudice, ritenuta la causa matura per la decisione -anche alla luce delle delucidazioni fornite dalle parti- invitava le stesse alla discussione ed alla trattazione, per poi ritirarsi in camera di consiglio e decidere la causa come da dispositivo letto in udienza. Ciò posto, il ricorso non può trovare accoglimento. Prive di pregio appaiono, in primis, le deduzioni della difesa delle ricorrenti con riferimento alla presunta illegittimità costituzionale della normativa introduttiva dell'obbligo vaccinale, la cui violazione appare pacificamente commessa dalle attrici, trattandosi di questione più volte esaminata, sotto gli specifici profili censurati da parte ricorrente, dalla migliore giurisprudenza, apparendo sufficiente richiamare, ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., le argomentazioni spese dal Consiglio di Stato, 20 ottobre 2021, n. 7045 e ribadite da Consiglio di Stato sez. III, 04/02/2022, n.583, nonché, in senso conforme, da TAR Lazio, sez. III quater, n. 2455 del 2 marzo 2022: - "la vaccinazione rispetta tutti i requisiti fissati dal nostro ordinamento e ribaditi da ultimo dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 5 del 18 gennaio 2018 per configurare un trattamento sanitario obbligatorio legittimo, ..., con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata" - Quanto alla natura discriminatoria della previsione ... il carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario, relazione che postula, come detto, la sicurezza delle cure, impedendo che, paradossalmente, chi deve curare e assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia"; - "Spetta al decisore pubblico, nell'esercizio del c.d. biopotere, fissare le regole e i limiti entro i quali l'esercizio dell'autodeterminazione da parte di ciascuno, senza divenire un diritto tiranno e indifferente alle sorti dell'altro, si possa accordare con la tutela della salute degli altri secondo una legge universale di libertà, ma questo delicato bilanciamento, per tutte le ragioni sin qui viste, non ha varcato nel caso di specie, ad avviso di questo Consiglio, i limiti della ragionevolezza, della proporzionalità e dell'eguaglianza, sicché ogni dubbio al riguardo è e deve ritenersi manifestamente infondato anche in rapporto ai valori protetti dall'art. 2 Cost" - "Correttamente il legislatore nel comma 1 dell'art. 4, ha stabilito che vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati. Questa previsione risponde non solo ad un preciso obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro, a contatto con il pubblico, obbligo che, secondo una tesi dottrinaria autorevole, già discenderebbe in questa fase di emergenza - ma il tema è discusso - dall'applicazione combinata della regola generale di cui all'art. 2087 c.c. e dalle disposizioni specifiche del D.Lgs. n. 81 del 2008, ma anche, come detto, al principio, altrettanto fondamentale, di sicurezza delle cure, rispondente ad un interesse della collettività (art. 32 Cost.). Un simile interesse è sicuramente prevalente, nelle attuali condizioni epidemiologiche, sul diritto al lavoro, di cui all'art. 36 cost.,, e d'altro canto il legislatore, seguendo un criterio di gradualità, ha stabilito sanzioni proporzionate all'impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni perché, come prevede il comma 8, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. La sospensione dell'attività lavorativa e della retribuzione, peraltro temporanee perché possibili solo fino al 31 dicembre 2021, costituiscono l'extrema ratio ed operano solo quando l'assegnazione a mansioni diverse non è possibile sicché, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato. Anche in questo caso il bilanciamento non appare irragionevole, avuto riguardo alla comparazione degli opposti valori, e qui merita solo ricordare che il Conseil constitutionnel in Francia, pronunciandosi con la decisione n. 824 del 5 agosto 2021 su una analoga legge la quale prevede che al lavoratore, che non presenta il passe sanitarie e non scelga di utilizzare ferie e congedi retribuiti, venga comunicata il giorno stesso la sospensione dal lavoro, ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità perché il legislatore ha perseguito l'obiettivo, di valore costituzionale, di proteggere la salute, limitando la propagazione dell'epidemia. Analoghe considerazioni non possono che valere a fortiori per il personale sanitario in Italia, con la conseguente manifesta infondatezza della questione di costituzionalità qui sollevata. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l'appello deve essere accolto, quanto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto in primo grado dagli odierni appellanti, ma questo ricorso, pur ammissibile, deve essere respinto in tutte le sue censure.". Più in particolare, la Corte costituzionale con la sentenza n. 218/1994 - chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, terzo e quinto comma, e 6 della L. 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS) - ha affermato che la tutela della salute, sancita dall'art. 32 della Costituzione quale "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività" ... "implica e comprende il dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell'interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo. L'interesse comune alla salute collettiva e l'esigenza della preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori, accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto da una malattia trasmissibile in occasione ed in ragione dell'esercizio delle attività stesse". Lo Stato, quindi, ha un potere di intervento e di prescrizione in materia vaccinale che gode di copertura costituzionale, al fine di bilanciare la libertà del singolo con il diritto alla salute dei terzi. A tale riguardo la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 2018, nel ritenere infondata la questione di legittimità costituzionale dell'obbligo vaccinale di cui al D.L. n. 73 del 2017 (convertito in L. n. 119 del 2017) contro il morbillo, parotite, rosolia, varicella.., ha osservato che "la giurisprudenza di questa Corte in materia di vaccinazioni è salda nell'affermare che l'art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute del singolo (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto degli altri e con l'interesse della collettività (da ultimo sentenza n. 268 del 2017), nonché, nel caso di vaccinazioni obbligatorie, con l'interesse del bambino, che esige tutela anche nei confronti dei genitori che non adempiono ai loro compiti di cura (ex multis, sentenza n. 258 del 1994). In particolare, questa Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990). Dunque, i valori costituzionali coinvolti nella problematica delle vaccinazioni sono molteplici e implicano, oltre alla libertà di autodeterminazione individuale nelle scelte inerenti alle cure sanitarie e la tutela della salute individuale e collettiva (tutelate dall'art. 32 Cost.), anche l'interesse del minore, da perseguirsi anzitutto nell'esercizio del diritto-dovere dei genitori di adottare le condotte idonee a proteggere la salute dei figli (artt. 30 e 31 Cost.), garantendo però che tale libertà non determini scelte potenzialmente pregiudizievoli per la salute del minore (sul punto, ad esempio, ordinanza n. 262 del 2004). Il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017), e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell'esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante di questa Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)". Alla luce di tali principi, nel doveroso bilanciamento degli interessi contrapposti appare in ogni caso prevalente, rispetto all'interesse dei singoli che non vogliono sottoporsi al vaccino, quello pubblico finalizzato alla tutela dei soggetti fragili e a circoscrivere il più possibile strutture, come la struttura residenziale per anziani e disabili ove sono addette le attrici, potenzialmente in grado di incrementare la circolazione del virus. Pertanto, va ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale in ragione della ritenuta prevalenza, sulla libertà di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione contro il COVID - 19, del diritto alla salute della collettività, compromesso dalla perdurante emergenza sanitaria derivante dalla pandemia da COVID 19. Né pare aver rilievo, nella fattispecie, la questione relativa alla mancata previsione di un assegno alimentare in favore dei lavoratori sospesi, sollevata dalla difesa attorea in sede di discussione: in difetto di apposita domanda, infatti, la questione appare manifestamente irrilevante. Parimenti privi di pregio sono i dubbi di asserito contrasto della normativa nazionale con quella comunitaria, non ponendo la Certificazione Verde alcun problema di compatibilità con il diritto dell'Unione Europea nel suo complesso né, in particolare, con i regolamenti UE 953 e 954 del 2021. Infatti, i suddetti regolamenti, nell'introdurre un certificato verde digitale a tutela della libera circolazione dei cittadini dell'unione europea durante la pandemia da 19 si riferiscono a una misura diversa da quella decisa dal legislatore statale essendo finalizzati a facilitare la circolazione tra gli Stati superando eventuali misure restrittive transfrontaliere introdotte dalle legislazioni emergenze emergenziali nazionali. In altri termini, la materia degli obblighi vaccinali non costituisce oggetto della disciplina dell'Unione, sicché rispetto ad essa ciascuno Stato mantiene un ampio margine di autonomia. Come noto, il diritto europeo può prevalere su quello interno imponendo la disapplicazione solo nell'ambito delle competenze proprie dell'Unione europea in ragione del principio di attribuzione di cui all'articolo 5 del TUE in virtù del quale "l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri". A tale riguardo, chiarisce la Corte di Cassazione, che "ai fini dell'applicabilità dei diritti fondamentali dell'Unione europea, una norma nazionale, per rientrare nella nozione di "attuazione del diritto dell'unione", ai sensi dell'articolo 51, 1, della Carta di Nizza, deve avere un collegamento di una certa consistenza con il diritto europeo che vada al di là dell'affinità tra le materie prese in considerazione o dell'influenza esercitata da una materia sull'altra, occorrendo verificare se essa risponda allo scopo di attuare una disposizione del diritto dell'Unione, quale sia il suo carattere, e se persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto unionale, quand'anche sia in grado di incidere indirettamente su quest'ultimo, nonché se esista una normativa unionale che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa" (Cass. 27.9.2018, n. 2372). Ai sensi degli artt. 3 e 4 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea la materia della salute non rientra tra le competenze esclusive né concorrenti dell'Unione Europea. In materia di sanità pubblica l'Unione interviene, nell'ambito delle azioni di sostegno di cui all'articolo 6, unicamente come misure "intese a sostenere, coordinare, completare l'azione degli Stati membri" e sotto il profilo della competenza concorrente disciplinata dall'articolo 5 solamente nei casi in cui l'intervento dell'unione rappresenta un valore aggiunto rispetto all'azione degli Stati membri. La prescrizione della vaccinazione obbligatoria è ritenuta dalla Corte consentita allorquando, a fronte della prescrizione legislativa, vengono perseguiti obiettivi di protezione della salute e dei diritti di libertà altrui e la misura si ribelli necessaria, come si è verificato nella attuale situazione di pandemia ove la prescrizione dell'adempimento, da parte delle categorie indicate dalla legge, costituisce misura del tutto proporzionata "nella doverosa valutazione scientifica del rapporto tra rischi e benefici" (Cfr. Consiglio di Stato 7045/21 cit.). L'obbligo vaccinale previsto dal legislatore per il personale inserito, a diverso titolo, nelle strutture socio-sanitarie, risulta finalizzato alla tutela dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla salute di tutto il personale e dei soggetti fragili che vi sono ospitati, oltre che dei soggetti esterni che le frequentano e, dunque, della salute pubblica. Neppure sembrano cogliere nel segno le altre difese delle ricorrenti. Quanto all'inesistenza materiale dell'oggetto dell'obbligo, i vaccini approvati dall'Aifa, a detta delle attrici avrebbero la funzione di impedire l'insorgere di forme acute della malattia e non invece quella di prevenire l'infezione e il contagio a terzi. La tesi risulta infondata, in quanto l'utilità del vaccino nel contrasto alla pandemia è stata previamente verificata dalle competenti autorità autorizzatorie europea (Ema) e nazionale (Aifa); in ogni caso, la nozione di "prevenzione dell'infezione da Sars-Cov-2", cui è finalizzata la vaccinazione obbligatoria, di cui all'art. 4 co. 1 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021, ricomprende con tutta evidenza la prevenzione della corrispondente malattia, che comunque si configura quale obiettivo fondamentale per la tutela della salute pubblica, che anzi è minacciata certamente in maniera più grave dalle patologie (anche gravi) derivanti dall'infezione che non da quest'ultima in sé considerata. Ad analoghe conclusioni si perviene in ordine alla asserita illegittimità della sospensione per essere venute meno le condizioni stabilite dall'art. 4 co. 1 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021, che sanciva l'obbligo di vaccinazione del personale sanitario "fino alla completa attuazione del piano di cui all'art. 1 co. 457 L. 30 dicembre 2020, n. 178 e comunque non oltre il 31.12.2021". Invero, la norma in esame è stata modificata dall'art. 1 co. 1 lett. b) D.L. 26 novembre 2021, n. 172 conv. in L. 21 gennaio 2022, n. 3, che per un verso ha riconfermato l'obbligo vaccinale "in attuazione del piano di cui all'art. 1 co. 457 L. 30 dicembre 2020, n. 178", così sancendone la persistente attualità, e per altro verso ha eliminato il limite temporale del 31.12.2021, che peraltro non era ancora scaduto alla data (11.10.2021) della decorrenza della sospensione, disposta con provvedimento del settembre 2021. Ancora, parte datoriale non può ritenersi inadempiente all'onere di repechage previsto dall'art. 4 co. 8 D.L. n. 44 del 2021 conv. in L. n. 76 del 2021. Premesso che deve escludersi che nella fattispecie in esame possano applicarsi tout court i principi giurisprudenziali sanciti in relazione al regime probatorio operante in materia di repechage nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo - attesa la diversità delle situazioni in raffronto - dovendo pertanto ritenersi assolto il relativo onere datoriale anche mediante presunzioni, in difetto di specifiche allegazioni attoree (in termini, cfr. ancora Trib. Roma 8.12.2021 in proc. 26698/2021 r.g., e in senso conforme Trib. Ravenna 31.12.2021 in proc. 689-1/2021 r.g), emerge, comunque, dalla dotazione organica dell'(...) (vds. prodd. 22-23 resistente, non specificatamente contestate dalle onerate) che all'epoca della sospensione sussistessero solo scoperture o nelle mansioni di OO.SS., cui non poteva ovviamente essere addette le ricorrenti. Ne consegue, allora, che le lavoratrici non poteva essere utilmente reimpiegata in altre mansioni. Neppure, ancora, può ritenersi che con la sospensione, il datore di lavoro abbia modificato unilateralmente il rapporto di lavoro, in quanto è stato dato corso ad un obbligo di legge, per il periodo successivo alla cessazione della malattia. Nessuna discriminazione, infine, pare aver subito la sig.ra (...). Come correttamente sottolineato dal difensore della convenuta, la differente tempistica del provvedimento di sospensione (solo 11 giorni, peraltro) è evidentemente collegata agli accertamenti effettuati dalla (...). Ed invero, (...) è stata sospesa il 09.09.2021 (doc. 14 res.), perché l'accertamento della (...) della sua inottemperanza all'obbligo vaccinale è del 19.08.2021 (doc. 13 res.) e perché la stessa aveva riferito (con dichiarazione al prot. (...) del 24.08.2021) di una prenotazione della vaccinazione, poi omessa, del 08.09.2021; (...), invece, è stata sospesa il 20.09.2021 (doc. 6 res.), Nessuna discriminazione, dunque, pare aver perpetrato la resistente. Non resta, allora, che verificare se possa configurarsi qualche violazione in tema di cd. "consenso informato". Occorre a questo punto precisare che il c.d. "obbligo" vaccinale (la novellazione portata al D.L. n. 44 del 2021 dal D.L. n. 172 del 2021 ha diffusamente utilizzato tale parola) in realtà sia assimilabile ad un onere, o comunque al doveroso ottenimento di un requisito essenziale per la prestazione dell'attività lavorativa, in relazione al quale rimane rispettata l'eventuale volontà del lavoratore di non ottenere il requisito; in buona sostanza, i prestatori di lavoro appartenenti a determinate categorie sensibili sono liberi di decidere se vaccinarsi o meno, rimanendo però fermo che la vaccinazione è necessaria ed anzi indispensabile per poter prestare l'attività lavorativa (per la ricostruzione dell'asserito obbligo quale onere, v. Trib. Roma, sez. feriale, 18/8/2021, e Trib. Genova 6/10/2021). La sospensione in caso di mancato accesso alla vaccinazione non costituisce, allora, sanzione per inottemperanza "all'obbligo", ma soltanto un motivo legittimo di rifiuto della prestazione lavorativa da parte del datore di lavoro, tipizzato normativamente; al rifiuto legittimo della prestazione del lavoratore consegue la sospensione del sinallagma contrattuale, rimanendo così sospesa anche la corresponsione della retribuzione, che pertanto non assume alcun carattere sanzionatorio; la sospensione dal servizio non ha ulteriori conseguenze, infatti, sul rapporto di lavoro, neppure disciplinari. Al più, la vaccinazione in discorso può ritenersi solamente "necessitata". Ciò premesso, posta in termini di onere la natura dell'imposizione vaccinale e ritenuta sussistente la piena libertà di scelta tra vaccinazione e rifiuto della stessa da parte del lavoratore, deve nuovamente affermarsi che le conseguenze sul rapporto di lavoro della scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario (la sospensione del servizio) non hanno rilievo alcuno sul trattamento stesso e sulle sue condizioni volontaristiche; né le condizioni specifiche del trattamento, a loro volta, rilevano in sede di valutazione dell'esecuzione del rapporto di lavoro; in altri termini, ben può essere convinta la reclamante di non vaccinarsi per ragioni che attengono alle proprie opinioni in tema medico-scientifico (salvo che dette opinioni rilevino in tema di legittimità costituzionale delle norme di cui all'art. 4 D.L. n. 44 del 2021; ma, come si è già detto, tale rilevanza è da escludersi); Insomma, la volontà negativa espressa dalle lavoratrici ha quale effetto necessario la loro sospensione dal lavoro. Quanto, poi, all'esaustività delle informazioni fornite al momento della prestazione del consenso al trattamento sanitario si deve infatti affermare che completezza del corredo informativo fornito al soggetto che acconsenta al trattamento medico-sanitario deve essere, fisiologicamente, tutto ciò che è scientificamente noto al momento del trattamento stesso, non di certo quanto possa assicurare in modo incontestabile circa l'assenza di rischi sul lungo periodo (laddove tale conoscenza, in un dato momento storico, non sia ancora acquisita, non si vede come essa possa essere fornita al paziente; paziente, che in ragione dell'assenza, allo stato dell'arte e della scienza, di dati ed informazioni che ritenga essenziali, è infatti libero di rifiutare il trattamento, come si è già detto). Tanto è sufficiente per confermare l'irrilevanza delle doglianze delle attrici alla tematica del consenso informato e, quindi alle pretese violazioni della L. n. 219 del 2017 e della Convenzione di Oviedo del 1997. In conclusione, quindi, le domande attoree debbono essere rigettate. In ordine, infine, alle spese di lite, quanto al procedimento cautelare si è già detto che vi è stata in udienza rinuncia a spese compensate da parte delle ricorrenti, con contestuale accettazione della resistente; quanto al merito, stante la complessità e novità degli argomenti giuridici trattati, possono venire integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione respinta, definitivamente decidendo: A) rigetta ogni domanda attorea; B) compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Visto l'art. 429 comma 1 c.p.c. indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Aosta il 13 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI AOSTA Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Anna Bonfilio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 541/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. ME.DA. e dell'avv. MARAINI GIAN PAOLO ((...)) Via (...) 16122 GENOVA, elettivamente domiciliato in VIA (...) AOSTA presso il difensore avv. ME.DA. ATTORE/I contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CA.MA., elettivamente domiciliato in via (...), 43 PALERMO presso il difensore avv. CA.MA. CONVENUTO/I Nella quale le parti formulavano le seguenti FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato in data 16.07.2020, il sig. (...) riferiva di aver contattato l'Impresa (...) per l'esecuzione di alcuni interventi di restauro su immobile di sua proprietà in Gressan, concordando quindi con fitta corrispondenza a mezzo e-mail i termini e le modalità dell'intervento richiesto, inoltrando infine a mezzo posta elettronica conferma d'ordine per l'esecuzione delle opere richieste in data 29.03.2019 per il prezzo convenuto di Euro 4.880,00 al netto di IVA. Avviati quindi i lavori, sulla base di effettiva verifica della superficie da trattare con sabbiatura, le parti concordavano verbalmente un corrispettivo definitivo di Euro 5.000,00 oltre IVA ed il sig. (...) corrispondeva un anticipo di Euro 2.000,00 sul dovuto in contanti. (...) l'esponente di aver quindi corrisposto all'Impresa richiesta, per il tramite del sig. (...), un'ulteriore somma a saldo del dovuto di Euro 3.000,00, riservando il pagamento dell'IVA dovuta all'emissione di fattura. Evidenziava peraltro come l'intervento fosse stato in specie svolto con sorprendente velocità il sole tre giornate lavorative a mezzo di un unico addetto. Solo in data 13.05.2019 egli aveva verificato quindi il lavoro svolto, constatando tuttavia gravi vizi e difetti nell'esecuzione dei lavori, giacché il trattamento operato non risultava eseguito in modo uniforme e sul legno erano visibili tracce scure della precedente colorazione; inoltre talune zone della superficie risultavano solo parzialmente trattate. L'esponente aveva quindi contestato telefonicamente al sig. (...) i vizi riscontrati, non ottenendo tuttavia alcun riscontro alle sue doglianze e, dopo ripetute richieste di pagamento del corrispettivo convenuto, in effetti da lui già versato in corso d'opera, gli venivano richiesti infine i dati necessari per l'emissione di fattura. (...) di essersi perciò rivolto ad altro artigiano per il rifacimento delle opere in questione per un corrispettivo di Euro 5.000,00. Non avendo ricevuto quindi alcun riscontro alle sue richieste per una definizione della controversia, conveniva in giudizio il sig. (...), chiedendo accertarsi i vizi denunciati e determinarsi quindi il congruo corrispettivo per l'opera effettivamente svolta dalla predetta Impresa, condannandosi il convenuto al risarcimento nella misura del corrispettivo inutilmente versato per l'opera viziata; con vittoria delle spese del giudizio. Si costituiva nel giudizio il sig. (...), titolare dell'impresa (...), contestando ogni avversa doglianza e pretesa, assumendo piuttosto che il sig. (...), lamentando supposti inadempimenti all'incarico conferitogli, lo avesse insultato telefonicamente in data 20.05.2020, chiedendo quindi ristoro del danno in conseguenza dovuto nella misura di Euro 10.000,00, opponendo il relativo credito in compensazione di quanto eventualmente dovuto alla controparte. Assumeva peraltro di aver ricevuto per l'opera prestata un mero acconto di Euro 2.000,00, non ricevendo peraltro alcuna doglianza in relazione all'opera eseguita. Chiedeva pertanto rigettarsi ogni avversa domanda, con vittoria delle spese del giudizio. Ammessa parzialmente la sola prova orale dedotta dalla parte convenuta, il Giudice provvedeva all'assunzione dell'interrogatorio formale del sig. (...) ed all'escussione del teste sig. (...). Sulle conclusioni infine formulate dalle parti come in epigrafe riportate, previo deposito delle difese di rito, la causa perviene in decisione. Rileva anzitutto il Tribunale che, pure a fronte della domanda riconvenzionale promossa dal convenuto a titolo risarcitorio, sul presupposti di essere stato vittima di ingiurie e minacce da parte dell'odierno attore, il sig. (...), che pure ha opposto il credito risarcitorio vantato in compensazione rispetto al credito esposto dalla controparte, e comunque contestato, per asserito inadempimento del contratto stipulato tra le parti, ha infine unicamente chiesto rigettarsi ogni pretesa attorea. Peraltro, alla luce delle risultanze complessive del giudizio, le contrapposte istanze delle parti risultano in effetti solo parzialmente fondate. Emerge infatti, dal tenore della corrispondenza telematica intercorsa tra le parti, che, a seguito di richiesta formulata dal sig. (...) di un preventivo per intervento di sabbiatura da realizzarsi presso l'immobile di sua proprietà a Gressan, le parti ebbero a concordare nel marzo 2019 l'effettuazione dell'opera per un corrispettivo riferito concordemente pattuito per un importo complessivo di Euro 5.000,00 al netto di IVA ( v. documenti nn. 1 e 2 di parte attrice ). Risulta peraltro dal tenore di comunicazione e-mail inoltrata dal sig. (...) in data 28.03.2019 che l'intervento richiesto era stato valutato sin dall'inizio tale da richiedere tre giornate lavorative. Emerge inoltre da report di conversazione intercorsa tra le parti a mezzo web tramite whatsapp ( v. documento prodotto in allegato a comparsa di costituzione del convenuto ) che l'intervento richiesto venne quindi effettuato dal sig. (...) previo sopralluogo, con previsione di successivo intervento di verniciatura da eseguirsi a cura di falegname di fiducia del sig. (...) e che comunque il sig. (...) aveva in effetti prospettato qualche dubbio sull'efficacia di un mero intervento di sabbiatura, almeno in relazione agli infissi interni dell'immobile. Si evince quindi dall'esame delle conversazioni documentate tra le parti che, già all'esame delle fotografie trasmesse dall'odierno convenuto, il sig. (...) aveva manifestato grosse perplessità e disapprovazione rispetto all'opera realizzata, lamentando che talune delle parti trattate fossero state solo in parte sabbiate, presentando "larghe parti non trattate", rilevando quindi necessario "almeno un altro giorno di lavoro" per il completamento dell'opera nei termini richiesti e per il compenso di Euro 5.000,00 convenuto, concludendo che "il lavoro, così come è, è assolutamente inaccettabile", chiedendo quindi al sig. (...) di fissare al fine un appuntamento per il completamento dei lavori così da consentirgli di essere presente. Verosimilmente a fronte del silenzio del sig. (...), che pure avrebbe dovuto indicare una data per il completamento dell'opera, in data 14.05.2019 il sig. (...) ebbe infine a prorompere con messaggi recanti aperti insulti nei confronti dell'odierno convenuto, apostrofandolo come "truffatore di merda", "buffone", "farabutto", aggiungendo con tenore minaccioso " questa truffa te la faccio pagare, pezzo di merda" ( vedi ancora report in allegato a comparsa di costituzione del convenuto ). Risulta peraltro dalle concordi allegazioni delle parti in merito che il sig. (...) all'atto del conferimento dell'incarico ebbe a corrispondere al sig. (...) un acconto di Euro 2.000,00, verosimilmente in contanti. E' emerso infine dall'esame del teste sig. (...), del tutto estraneo alle vicende in contestazione, fratello dell'artigiano incaricato quindi dal sig. (...) di ripetere i lavori di sabbiatura che egli riteneva compiuti dal sig. (...) in modo insoddisfacente. A fronte delle circostanze come sopra acclarate nel giudizio, il Tribunale rileva, in merito ai criteri di riparto dell'onere probatorio in relazione al tenore delle domande formulate in causa, che, "in tema di garanzia per difformità e vizi nell'appalto, l'accettazione dell'opera segna il discrimine ai fini della distribuzione dell'onere della prova, nel senso che, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata, al committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte, mentre, una volta che l'opera sia stata positivamente verificata, anche "per facta concludentia", spetta al committente, che l'ha accettata e che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate, giacché l'art. 1667 cod. civ. indica nel medesimo committente la parte gravata dall'onere della prova di tempestiva denuncia dei vizi ed essendo questo risultato ermeneutico in sintonia col principio della vicinanza al fatto oggetto di prova" (Cass. civ. Sez. 2, Sentenza n. 19146 del 09/08/2013). In specie risulta, peraltro, che l'odierno attore abbia contestato prontamente la qualità dell'opera eseguita dal sig. (...) già a seguito di mero esame delle fotografie trasmessegli a conclusione dei lavori, dichiarando apertamente di non poter accettare il lavoro così come eseguito, risultando necessario almeno un giorno di lavoro aggiuntivo per l'eliminazione del vizi contestati (v. ancora report di conversazione intercorsa tra le parti a mezzo web tramite whatsapp al documento prodotto in allegato a comparsa di costituzione del convenuto). L'odierno convenuto, che pure aveva manifestato già all'accettazione dell'incarico affidatogli dal committente, perplessità sulla possibilità che la mera sabbiatura delle superfici da trattare fosse sufficiente per il loro ripristino,. Indicando necessaria anche successiva verniciatura, non ha offerto tuttavia prova alcuna di aver eseguito l'opera in piena conformità alle regole dell'arte. Già con ordinanza in data 12.04.2021 questo Giudice aveva del resto rilevato "l'evidente impossibilità di esperire utilmente indagine peritale quale richiesta dalla parte attrice, risultando lo stato dei luoghi esistente al termine dell'esecuzione dei lavori in contestazione certamente mutato al presente, come allegato dalla stessa parte attrice, e risultando apertamente contestata la documentazione fotografica prodotta in atti". Ritiene, dunque il Tribunale di poter ravvisare in specie sussistenti vizi dell'opera eseguita dal convenuto tali da rendere necessaria una giornata lavorativa quale stimata dallo stesso committente all'atto delle sue contestazioni, da rapportarsi quindi al corrispettivo pattuito tra le parti per un'opera che necessitava complessivamente di tre giorni lavorativi per l'esecuzione. Risulta nondimeno con palmare evidenza dall'esame dello stesso report di conversazioni a mezzo di whatsapp di cui al documento prodotto in allegato a comparsa di costituzione del convenuto che a fronte dei vizi contestati ed in attesa che gli venisse comunicato un appuntamento per un sopralluogo congiunto per la verificazione e la sistemazione dell'opera, il sig. (...), in data 14.05.2019 e quindi ancora in data 17.05.2019 ebbe ad aggredire verbalmente, con messaggi apertamente offensivi ed infine anche minacciosi, il sig. (...), per la condotta imperita avuta nell'esecuzione dell'incarico affidatogli. Pure a seguito di depenalizzazione del reato prima previsto e punito ex art. 594 c.p. ( ingiuria ), la condotta ad esso corrispondente di "offesa all'onore o al decoro di una persona presente" anche in ambito di conversazione on-line, costituisce certamente illecito civile, corrispondendovi condotta lesiva di un diritto costituzionalmente protetto. Permane peraltro la punibilità anche in sede penale del fatto di minaccia, che costituisce anch'esso, per le medesime ragioni, illecito anche in sede civile. Pare, dunque, fondata anche la pretesa risarcitoria esposta dalla parte convenuta ed opposta in compensazione ad ogni avversa pretesa creditoria. E, dunque, sussistendo prova in atti dell'avvenuto pagamento da parte del sig. (...) di anticipo sul corrispettivo di Euro 2.000,00, come concordemente riferito dalle parti, e di ulteriore importo sul dovuto pari ad Euro 3.000,00, come risultante da deposizione testimoniale resa in giudizio dal sig. (...), il Tribunale ritiene che, a fronte di vizi ravvisabili nell'opera prestata dal sig. (...) quali denunciati dall'odierno attore , tali da richiedere una giornata lavorativa per la loro eliminazione, il credito risarcitorio vantato dal sig. (...) possa ritenersi in specie integralmente compensato a fronte del corrispondente debito risarcitorio maturato a suo carico in conseguenza della condotta ingiuriosa e minacciosa assunta in danno dell'odierno convenuto. Addivenendosi quindi, per le ragioni esposte, ad integrale rigetto delle pretese attoree, considerata la condotta inadempiente tenuta dal convenuto in relazione al contratto tra le parti e la condotta lesiva assunta per contro dall'odierno attore, il Tribunale ravvisa sussistenti gravi e fondati motivi per l'integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. IL TRIBUNALE definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. accertato il parziale inadempimento del convenuto al contratto d'opera stipulato tra le parti, accertata altresì la condotta lesiva assunta dal sig. (...) in danno del sig. (...), previa compensazione della prestazione risarcitoria vantata dall'attore a fronte dei vizi contestati in relazione all'opera resa dalla controparte con la prestazione risarcitoria dovuta al convenuto stesso a ristoro del danno subito in conseguenza della condotta illecita del committente, rigetta integralmente le domande attoree; 2. compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio. Così deciso in Aosta il 9 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AOSTA in persona del dott. Luca Fadda pronuncia la seguente SENTENZA definitiva nella causa iscritta al n. 1/2022 R.G. Lav. promossa da: (...), elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avvocato Si.BI., che lo rappresenta e difende in forza di procura alle liti rilasciata su foglio separato materialmente congiunto al ricorso Ricorrente Contro (...) S.p.A., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, come da procura prodotta in giudizio, dagli avv.ti prof. Lu.PE., Al.MA. e Fa.FA. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Aosta Resistente e contro (...), rappresentato e difeso dall'Avvocato El.RE. ed elettivamente domiciliato presso lo Studio della stessa, in virtù di procura alle liti allegata alla memoria di costituzione Resistente e contro (...) Resistente contumace In punto a: Riformulazione graduatoria finale MOTIVI DELLA DECISIONE Si premette che, con ricorso depositato telematicamente in Cancelleria in data 6.1.2022, (...) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Aosta (...) s.p.a. e (...), al fine di ottenere la declaratoria di nullità della selezione concursuale di cui all'avviso pubblicato il 30.6.2021, con conseguente declaratoria di nullità del contratto di lavoro stipulato dalla dott.ssa (...); in via cautelare ed urgente, chiedeva che il giudice volesse sospendere tale procedura concursuale, diffidando la resistente dall'assumere la vincitrice della selezione. Fissata udienza in ordine all'istanza cautelare, si costituiva (...) s.p.a., riferendo che la vincitrice dott.ssa (...) era già stata assunta e, nel merito, sostenendo la legittimità del proprio operato; si costituiva, altresì il dott. (...), aderendo, sostanzialmente, alle allegazioni attoree, mentre nessuno compariva per la dott.ssa (...), per cui, stante la regolarità della notifica dell'atto introduttivo, ne veniva dichiarata la contumacia. Il giudizio cautelare, quindi, si concludeva con la rinuncia attorea a spese compensate, rinuncia che veniva accettata dalle altre parti, per cui veniva dichiarato estinto; quanto, invece, al giudizio di merito, esperito vanamente tentativo di conciliazione il giudice, con ordinanza riservata del 26.3.2022, ritenuta la causa matura per la decisione, fissava udienza di discussione e, all'esito di ampia ed articolata trattazione, decideva la causa come da dispositivo letto in udienza. Ciò posto, il ricorso è sostanzialmente fondato. Invero, in applicazione del principio processuale della "ragione più liquida", desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., il giudice può decidere la causa decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell'evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare ai sensi dell'art. 276 c.p.c.. Orbene, alla luce di quanto sopra, deve in primis verificarsi la fondatezza della doglianza attorea in punto violazione dei principi di equità, trasparenza ed imparzialità, con particolare riferimento alla prova scritta: è, infatti, pacifico e, comunque, documentalmente provato che la commissione esaminatrice abbia preteso che tutti i candidati sottoscrivessero ogni pagina dei rispettivi elaborati. Preliminarmente, però, non può trovare accoglimento l'ardita tesi della società, secondo cui l'attore avrebbe dovuto preliminarmente impugnare il Regolamento (...), ovvero l'avviso di selezione, quale lex specialis, nella parte in cui non prevedeva che le prove scritte non fossero anonime. Orbene, come anche ammesso dalla convenuta, né il Regolamento, né la lex specialis prevedevano alcunchè in punto anominato: non è dato, allora, comprendere come e quando l'attore avrebbe dovuto impugnare in parte qua detti provvedimenti, poiché egli -a ben ragione, per quanto tra poco si dirà- evidentemente prevedeva che un principio immanente dell'ordinamento in punto selezioni dovesse imporre che una eventuale prova scritta godesse della garanzia dell'anonimato. Passando, ora, al merito, il Tribunale concorda con le difese di (...), per cui, secondo consolidata giurisprudenza, non è mai consentito al giudice di sostituirsi alla commissione esaminatrice per compiere, in luogo di quella, la valutazione tecnica sulla votazione di una prova di concorso. Tuttavia, si legge anche nella giurisprudenza più risalente (vds. Cass. Civ., sent. 21/06/2000, n. 8468, emessa in controversia relativa a procedimento per l'assunzione di personale da par te di azienda municipalizzata) che "questa Corte ha più volte affermato che al datore di lavoro è certamente consentito di fissare, in ipotesi di bando di concorso in regime privatistico, i criteri di selezione che ritiene più opportuni, in vista degli interessi che intende soddisfare (Cass.11847 del 16 novembre 1995). Stante la qualificazione privatistica del bando di concorso, opera, tuttavia, un regime paritetico, che esclude l'esistenza di un'autonomia normativa e di autarchia da parte dell'azienda, la quale resta soggetta, nell'individuazione dei candidati da assumere, oltre alle clausole del bando, alle disposizioni collettive e procedimentali, nonché al controllo del giudice ordinario per quanto riguarda l'osservanza di tutta tale normativa e dei principi di parità di trattamento, di lealtà, correttezza e buona fede (Cass. 1431 del 26 febbraio 1996). Come è stato rilevato da questa Corte (Cass. 755 dell'8 febbraio 1982), a prescindere dall'inquadrabilità o meno del meccanismo concorsuale nella fattispecie dell'offerta o promessa al pubblico, il sistema del concorso pubblico per l'assunzione del personale (persino nel caso di ente pubblico) non dà luogo all'esercizio di una discrezionalità amministrativa, ma solo ad una attività valutativa tecnica, che in quanto di natura privatistica, caratterizzata dall'attribuzione alle parti di situazioni attive e posizioni pariteticamente contrapposte, è sindacabile in sede giudiziale per quanto riguarda l'osservanza dei meccanismi procedimentali precostituiti ed, in ogni caso, del principio generale di correttezza di cui all'art. 1175 codice civile (Co.. Cass. 3149-82, 6224-87, 5027-88, 5383-88, 4913-89, 12664-92)". In sostanza, poiché il comportamento del datore di lavoro in ordine allo svolgimento della procedura selettiva si configura come attuazione di quanto prefigurato nel bando, qualificabile come un'"offerta al pubblico" che, ai sensi dell'art. 1336, 1 comma, c.c., ove contenga "gli estremi essenziali alla cui conclusione è diretta", vale come proposta contrattuale (v. Cass. 19/04/2006, n. 9049, Id. 08/03/2007, n. 5295, Id. 21/08/2004, n. 16501), il candidato si trova nella posizione di colui che può pretendere l'esatta osservanza di quanto stabilito dalla controparte e può quindi - ove non siano state rispettate le specifiche regole del bando o non siano stati rispettati i generali principi di correttezza e buona fede (che si concretizzano e dettagliano, nella specie, in quelli di trasparenza, pubblicità ed imparzialità) - adire il giudice per ottenere l'adempimento e/o il risarcimento del danno, ma non può ottenere che il giudice si sostituisca al datore di lavoro nel compiere la valutazione tecnica che si ritiene essere stata compiuta in modo non corretto. La posizione del candidato deve qualificarsi propriamente come un interesse legittimo di diritto privato (si veda, ad esempio, la posizione in cui viene a trovarsi il dirigente pubblico a fronte del potere discrezione del datore di lavoro di conferire gli incarichi, e cioè, il lavoratore può pretendere che il datore di lavoro si comporti in conformità alle specifiche regole della procedura e comunque osservi i criteri di correttezza e buona fede, ma non può mai ottenere dal giudice una pronuncia che tenga luogo dell'atto di conferimento dell'incarico. In definitiva, come di recente ben ribadito dalla Corte d'appello di Palermo nella sentenza 01/06/2021, n. 644, "in materia di lavoro privatistico, il controllo giurisdizionale relativo allo svolgimento delle procedure concorsuali di assunzione e promozione del personale è limitato a verificare che il datore di lavoro, nell'esercizio del potere di gestione concernente l'assunzione di nuovi lavoratori o la promozione dei più validi professionalmente - rientrante nella libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost. - sia rispettoso dei canoni generali di correttezza e buona fede (i quali si traducono, fra l'altro, sia nell'obbligo di adottare regole concorsuali che pongano i candidati in una condizione di assoluta parità sia nell'obbligo di imparzialità dei criteri valutativi) e non ponga in essere comportamenti manifestamente inadeguati o irragionevoli (come, ad esempio, la sottoposizione dei candidati a prove palesemente incongruenti rispetto alle mansioni di destinazione). Al di là di tale verifica non è, invece, consentito al giudice di ingerirsi nella valutazione del contenuto del bando di concorso, nella determinazione delle relative procedure attuative, nella scelta dei criteri di selezione né, ancora, nel merito del giudizio dei singoli candidati". Nella parte motiva si spiega chiaramente che "in alcun caso è comunque consentito al giudice di sostituirsi all'operato dell'organo a ciò preposto nell'effettuazione della valutazione del curriculum dei candidati, attribuendo, ad esempio, un voto diverso rispetto a quello assegnato. Trattasi, infatti, di attività che in quanto equiparabile, nel pubblico impiego contrattualizzato, ad un atto privato del datore di lavoro, costituisce espressione di vera e propria autonomia negoziale e, in quanto tale, non direttamente sindacabile dal giudice nel merito, né possibile oggetto di poteri sostitutivi da parte di quest'ultimo, nemmeno nell'esercizio dei più penetranti poteri di cognizione conferitigli dall'art. 63 D.Lgs. n. 165 del 2001 (non essendo notoriamente consentito al giudice ordinario, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge, di sostituirsi alla parte nell'esercizio di atti che sono espressione di autonomia privata)". Orbene, nella specie il dott. (...) ha proprio stigmatizzato un comportamento manifestamente inadeguato e, comunque, irragionevole della Commissione esaminatrice, che ha imposto l'obbligo di sottoscrizione delle prove scritte, senza alcuna valida ragione. E' pur vero, infatti, come sostenuto dalla convenuta costituita, che alle società pubbliche non si possano applicare sic et simpliciter tutte le norme previste per le procedure di selezione concursuali della pubblica amministrazione: tuttavia, nello stesso art. 1 dell'avviso di selezione (...) ha espressamente indicato (né poteva far diversamente, ad avviso del giudicante) di voler seguire i principi di cui all'art. 35 D.Lgs. n. 165 del 2001. Viene, allora, direttamente in gioco il principio dell'anonimato delle prove scritte, che, secondo l'ormai assolutamente consolidato orientamento del Supremo Consesso amministrativo (vds. Cons. Stato, ad. plen. 20.11.2013, P.. G., Est. Anastasi) "costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati; tale criterio, costituendo applicazione di precetti costituzionali, assume una valenza generale ed incondizionata, mirando esso in sostanza ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti. Qualora l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza delle norme in materia di anonimato delle prove scritte di concorso, si determina una illegittimità di per se rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse; mutuando la antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell'anonimato da parte della commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione". Applicando tali condivisibili principi al caso di specie, ne consegue la irrimediabile nullità della procedura concursuale, per cui deve essere accolta la domanda principale di condanna della (...) ad un esatto adempimento dell'avviso di selezione: il contratto stipulato con la dott.ssa (...), d'altro canto, non potrà che essere travolto da quanto sopra. Quanto, infine, alle spese di lite, si già detto che la fase cautelare è stata estinta a spese compensate, con l'accettazione di tutte le parti costituite. Per ciò che concerne, invece, il merito, esse seguono la soccombenza di (...) s.p.a. e vanno liquidate come in dispositivo in misura prossima ai parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 riferito allo scaglione indicato in atto introduttivo (euro 5.200-26.000) per quanto concerne il rapporto processuale tra attore e convenuta (...) s.p.a., stante la mancata accettazione, da parte della seconda, della proposta transattiva formulata dal giudice ed accettata dalla prima. Le spese di lite, invece, possono essere integralmente compensate tra le residue parti. P.Q.M. ogni altra domanda, eccezione e deduzione respinta, definitivamente decidendo: in accoglimento del ricorso, A) dichiara la nullità della selezione concorsuale di cui all'avviso pubblicato il 30.6.2021 e, per l'effetto B) dichiara nullo il contratto di lavoro stipulato tra (...) s.p.a. e (...); C) condanna (...) s.p.a. alla rifusione delle spese legali sostenute da (...), che liquida in Euro 4.766,00 per compensi ed Euro 518,00 per spese, oltre 15,00% per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge; D) compensa integralmente tra le residue parti le spese di lite. Visto l'art. 429 comma 1 c.p.c. indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Aosta il 17 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di AOSTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Maurizio D'Abrusco ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1408/2019 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. DE.GI., elettivamente domiciliato in VIA (...), 26900, LODI, presso il difensore avv. DE.GI. ATTORE contro CONDOMINIO RESIDENCE DEI (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. SO.LO., elettivamente domiciliato in VIA (...), 11100, AOSTA, presso il difensore avv. SO.LO. CONVENUTO (...) SPA (C.F. ), con il patrocinio dell'avv. SA.PA., elettivamente domiciliato in VIA (...), 11100, AOSTA, presso il difensore avv. SA.PA. TERZA CHIAMATA OGGETTO: risarcimento danni/art. 2051 c.c. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) conveniva in giudizio il Condominio Residence dei (...) allegando che: in data 7 dicembre 2018, verso le ore 15.00, accompagnato dalla moglie, recandosi verso i box sottostanti ai corpi A, B e C del complesso condominiale e transitando sul camminamento realizzato in lastre di pietra tra il corpo D e i corpi B e C, appoggiava il piede sinistro su una losa della pavimentazione, la quale si sollevava improvvisamente nella parte posteriore di qualche centimetro, ostacolando il passaggio del piede destro e causandogli la perdita di equilibrio, con conseguente caduta al suolo; a causa della rovinosa caduta, colpiva violentemente la pavimentazione con le mani, picchiava il costato, la spalla e il braccio sinistri, con ematomi diffusi e conseguenti forti dolori, anche al collo e alla cervicale; nell'impatto, avveniva la rottura del telefono cellulare Iphone 6 che trasportava nel taschino del maglione; a seguito dell'evento, intervenivano la moglie, (...) e (...); aveva dovuto, poi, fare largo uso di medicinali e ancora oggi soffre di forti dolori alla spalla sinistra e alla cervicale; il Condominio Residence dei (...) negava ogni responsabilità, contestando la fondatezza della richiesta. Premesso di aver subito un danno non patrimoniale (danno biologico da inabilità temporanea e permanente certificato da documentazione sanitaria prodotta e stimato dal proprio consulente medico-legale), danno da quantificarsi sulla base alle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, nonché un danno patrimoniale per spese mediche sostenute e per la rottura del telefono, chiedeva, ai sensi dell'art. 2051 c.c. o in subordine ex art. 2043 c.c., condannarsi l'ente convenuto al risarcimento del danno in misura di Euro 7.403,15, o di altro importo superiore o inferiore, oltre interessi e rivalutazione. Il condominio convenuto si costituiva rilevando la totale infondatezza nell'an (sia in relazione all'art. 2051 c.c. sia in riferimento all'art. 2043 c.c.) e nel quantum della domanda, eccependo il caso fortuito, in subordine chiedendo accertarsi il concorso causale del danneggiato ex art. 1227 c.c., in particolare osservando che ove i fatti si siano svolti come descritto in atto di citazione, sarebbe senz'altro ravvisabile la colpa dell'attore che, usando l'ordinaria diligenza, sarebbe stato in grado di prevenire ed evitare il pericolo e, quindi, la caduta. Il convenuto chiamava in causa in manleva la (...) S.p.A., in virtù di polizza "Assicurazione (...)" qui prodotta. La compagnia di assicurazione si costituiva contestando nell'an e nel quantum la domanda dell'attore e circa la chiamata in garanzia evidenziava che il Condominio Residence dei (...) non ha provveduto alla formale denuncia di sinistro, limitandosi all'invio di una mail nella quale preannunciava un sopralluogo sul sito cui non ha più fatto seguito alcun contatto, motivo per il quale la (...) non è stata posta nella condizione di gestire il sinistro, anche nell ottica di limitare i costi di difesa; rilevava altresì che dalla documentazione attorea risulta l'invito alla negoziazione assistita del marzo 2019, ma di questa comunicazione la (...) non è stata messa al corrente. Espletate l'istruttoria orale e la CTU medico - legale, la causa era spedita a sentenza con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Sulla scorta dell'istruttoria svolta, la domanda va accolta per quanto di ragione. Il teste (...), presente al momento del sinistro, ha riferito di non avere assistito alla caduta, ma di aver visto con la coda dell'occhio l'attore cadere e rialzarsi velocemente. Il teste ha dichiarato che si trovava a circa 15/20 metri di distanza e di non essersi avvicinato. La teste (...), moglie dell'attore, in separazione dei beni, confermava tutti i capi di prova della memoria attorea n. 2: 1. Vero che il sig. (...) e la moglie, sig.ra (...), in data 07.12.2018 giungevano presso la loro casa di vacanze facente parte del corpo D del Condominio Residence dei C., sito in P. (A.), Fraz. T., 10, per ivi trascorrere la festività dell'Immacolata il giorno successivo; 2. Vero che verso le ore 15.00 del medesimo giorno, 07.12.2018, il sig. (...), in compagnia della moglie, usciva dalla sua proprietà di cui al precedente capitolo 1 e mentre percorreva il camminamento condominiale realizzato in lastre di pietra, in direzione dei box sottostanti ai corpi A, B e C del medesimo complesso, appoggiava il piede sinistro su una losa della pavimentazione che, alla pressione esercitata dal suo peso corporeo, si sollevava improvvisamente nella parte posteriore di qualche centimetro da terra, ostacolando il passaggio del piede destro, che andava a urtare contro di essa, così causando la perdita di equilibrio e la sua conseguente caduta al suolo; 3. Vero che al momento della caduta erano presenti in loco la moglie del sig. (...), sig.ra (...), che lo seguiva qualche metro più in dietro lungo il camminamento, e il sig. (...), titolare dell'Agenzia Immobiliare Studio (...) (AO), che si trovava a pochi metri di distanza per mostrare a un cliente l'abitazione in vendita vicina a quella di proprietà di parte attrice, i quali subito accorrevano in aiuto del sig. (...); 4. Vero che il sig. (...), rovinando a terra, per proteggere il volto e la testa, portava in avanti le mani, che colpivano la pavimentazione in pietra, e picchiava il costato, la spalla e il braccio sinistro; 5. Vero che nell'impatto al suolo il cellulare di proprietà del sig. (...), modello Iphone 6, che quest'ultimo trasportava nel taschino del maglione indossato quel giorno, si danneggiava al punto da divenire inservibile ed essere pertanto successivamente sostituito da parte attrice con l'acquisto di uno nuovo; 6. Vero che il sig. (...) nell'imminenza della caduta lamentava forti dolori alle mani, al costato, alla spalla e al braccio sinistro, nonché al collo e alla cervicale; 7. Vero che la losa del camminamento condominiale sollevatasi dal terreno, a seguito dell'impatto contro il piede destro del sig. (...), si ribaltava a terra a pochi centimetri di distanza dalla sua collocazione originaria, come da documentazione fotografica prodotta (docc. nn. 1 e 20 del fascicolo attoreo) che si mostra al teste; 8. Vero che il sig. (...), proprietario di un'unità immobiliare compresa nel medesimo Condominio, successivamente giunto sul luogo della caduta, visionato lo stato del camminamento, si premurava di rimuovere la losa che si era distaccata dal terreno e la riponeva nella vicina cabina contatori del gas per tutte le opportune verifiche; 9. Vero che il giorno successivo alla caduta, in data 08.12.2018, il sig. (...) e la moglie facevano rientro nella loro abitazione di (...) (M.) e alla guida della loro autovettura si poneva la sig.ra (...) in quanto parte attrice non si sentiva in grado di guidare a causa del dolore conseguente alla caduta del giorno precedente. Sul capo 2 precisava che il marito è inciampato proprio, la pietra si è sollevata, sul capo 6 precisava che il marito urlava e piangeva per il dolore. Precisava inoltre: mio marito faceva fatica ad alzarsi, è rimasto a terra qualche minuto, dieci minuti, l'ho aiutato ad alzarsi, ma non riuscivo e poi è venuto (...) a darmi una mano a rialzarlo e a spostare la pietra. Il fatto storico e le relative modalità di accadimento possono ritenersi quindi provate. Il fatto che l'attore si sia rialzato velocemente conferma la circostanza della caduta e non inficia l'attendibilità della teste L., essendo del tutto plausibile che l'attore, rialzatosi d'istinto, si sia poi riaccasciato a terra a causa del dolore. Il teste (...) ha peraltro riferito di aver assistito alla scena da una certa distanza con la coda dell'occhio e di non essersi avvicinato. Dal canto suo, la L. ha dichiarato che solo il (...) era giunto in soccorso. E' indiscutibile che, ai sensi dell'art. 2051 c.c., il condominio è responsabile dei danni patiti dall'attrice in quanto custode della strada di sua proprietà ove si è verificato l'evento dannoso. Il proprietario ha infatti l'onere di adottare ogni accorgimento atto ad evitare che dalla cosa possano derivare eventi pregiudizievoli a carico di terzi. Costituisce pacifico principio affermato in giurisprudenza quello secondo cui il danneggiato deve solo provare il danno lamentato e il nesso casuale tra la cosa in custodia e il danno stesso, spettando al custode la prova dell'esistenza di un fattore esterno imprevedibile ed eccezionale, idoneo ad interrompere il nesso casuale. Ciò posto, è del tutto evidente come il distacco e il sollevamento della losa presente sul fondo del camminamento che conduce all'immobile condominiale abbia costituito circostanza determinante della caduta e dei danni che ne sono derivati. Il condominio, dal canto suo, avrebbe dovuto esercitare il controllo sulla regolare tenuta della strada e, d'altra parte, non è ascrivibile al novero dell'imprevedibile il comportamento dell'attore che semplicemente non ha visto la situazione di pericolo, peraltro neppure percepibile. Non è eccezionale ed imprevedibile la circostanza che una persona possa cadere a causa di una losa che si solleva dal fondo stradale semplicemente camminando sullo stesso e, quindi, utilizzando la cosa in conformità all'uso cui la stessa è funzionale. Deve inoltre escludersi il concorso di colpa del danneggiato per un suo supposto comportamento distratto o incauto, atteso che la situazione dei luoghi, con la losa posta nella sua sede e la non visibilità dell'insidia, ha reso inevitabile per l'attore la caduta, determinata dalla semplice pressione del piede sulla pietra non assicurata al suolo che ne ha causato l'immediato sollevamento e l'inciampo con il piede di rimando. Si è affermato (Cass. sez. 3 n. 15761/2016) che L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze, indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della P.A.; su tale responsabilità può influire la condotta della vittima, la quale, però, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioè estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell'art. 1227 c.c. (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, escludendo che lo stato di una strada comunale - risultata "molto sconnessa" e contraddistinta dalla presenza di "buche e rappezzi" - costituisse esimente della responsabilità dell'ente per i danni subiti da un pedone, caduto a causa di una delle buche presenti sul manto stradale, atteso che il comportamento disattento dell'utente non è astrattamente ascrivibile al novero dell'imprevedibile). Si è anche recentemente affermato (Cass. civ. sez. III n. 26524 del 20.11.2020): E' noto, infatti, che la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può escludere la responsabilità del custode solo "ove sia colposa ed imprevedibile" (Cass. n. 25837/2017), ossia "quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo" (Cass. n. 18317/2015), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente "carattere di imprevedibilità ed eccezionalità" (Cass. n. 2660/2013); in tal senso, anche i più recenti arresti di legittimità, pur affermando che il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 1 c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno, non hannomancato di evidenziare che ciò può avvenire "quando sia da escludere che lo stesso comportamentocostituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterioprobabilisticodi regolarità causale" (Cass. n. 2480/2018 e Cass. n. 9315/2019). Deve pertanto ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, non basti a escludere il nesso causale fra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa. Giova richiamare, al riguardo, le lucide considerazioni svolte da Cass. n. 25837/2017, secondo cui "la eterogeneità tra i concetti di "negligenza della vittima" e di "imprevedibilità" della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sé ad escludere la responsabilità del custode. Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile. In questo senso, di recente, si è già espressa questa Corte, stabilendo che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all'art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 27/06/2016) ... La condotta della vittima d'un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata. Stabilire se una certa condotta della vittima d'un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui fosse prevedibile o imprevedibile è un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito: ma il giudice di merito non può astenersi dal compierlo, limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima". Nel caso specifico della caduta di pedone in una buca stradale, non può evidentemente sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la buca possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere la buca o, almeno, di segnalarla adeguatamente); deve allora ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l'agire umano. Ciò non significa, tuttavia, che la colpa della vittima -ancorché inidonea ad integrare il caso fortuito- non possa rivestire rilevanza ai fini risarcitori; ma ciò deve avvenire sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo deldanneggiato, valutabile -ai sensi dell'art. 1227 c.c.- sia nel senso diunapossibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, 1 co. c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, 2 co. c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte. Deve conclusivamente affermarsi che, in ambito di responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., nel caso di caduta di pedone in una buca stradale non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1 o 2 co. c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno (nella specie, la cassazione ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata la quale aveva affermato che doveva escludersi che l'anomalia del fondo stradale (avente dimensioni di circa due metri di lunghezza e venti centimetri di profondità) "non fosse tempestivamente avvistabile e pertanto prevenibile ed evitabile da parte dell'attrice" e che "il delineato comportamento colposo dell'utente danneggiato esclude la responsabilità della PA integrando il cd. caso fortuito -comprensivo del fatto del terzo e della colpa esclusiva della vittima- che interrompe il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno"). All'esito della prova orale, è stata disposta consulenza medico - legale volta ad "accertare la natura delle lesioni ed il nesso di causa in relazione al sinistro, nonché l'entità e la durata dell'inabilità temporanea, l'entità dell'eventuale inabilità permanente, la congruità e pertinenza delle spese mediche documentate". Il CTU, con valutazione esaustivamente motivata fatta propria da questa AG, ha così concluso: Al Signor (...), in seguito ad infortunio del 07.12.2018 in cui ha riportato " un trauma contusivo - distorsivo della spalla sinistra in quadro di preesistenti degenerazioni articolari ", è residuata: o Una lieve limitazione dell' escursione articolare scapolo - omerale sinistra. Per quanto attiene al danno biologico permanente, ne deriva una valutazione complessiva del danno biologico patito dal periziando, quantificabile nella misura e nello ordine del 2% (due per cento), sulla base dei più comuni testi di riferimento (1 Linee guida per la valutazione medico legale del danno alla persona in ambito civilistico", testo ufficiale della Società (...) e delle Assicurazioni, edito da Giuffré nel 2016. 2 Guida alla valutazione medico - legale dell'invalidità permanente "di Ronchi, Mastroroberto e Genovese - Giuffrè Editore, 2009. 3 Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente" della Società (...) e delle Assicurazioni, di Bargagna ed al. 4 Guida alla valutazione medico legale del danno biologico e dell'invalidità permanente ((...), (...), (...)). Il periodo di incapacità temporanea biologica è così ripartibile: - Giorni 20 ( venti ) di inabilità temporanea parziale al 50% - Giorni 20 ( venti ) giorni di inabilità temporanea parziale al 25%. Dalla documentazione depositata agli atti, risultano ricevute sanitarie, congrue e pertinenti, per un totale di Euro 534,65. Parte attrice ha diritto al risarcimento del danno biologico sia in relazione alla inabilità permanente sia in relazione alla inabilità temporanea (posto che rientra certamente nel danno biologico, ed è soggetto ad autonoma valutazione, il complesso degli effetti pregiudizievoli medio tempore prodotti dalla menomazione del diritto alla salute del soggetto leso). Secondo il condivisibile orientamento espresso da Cass., sez. III civile, n. 12408/2015, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione all'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi che, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, da modularsi a seconda delle circostanze del caso concreto. Nella specie, si ritiene allora di fare applicazione delle tabelle milanesi 2021, vigenti al momento della decisione, in conformità al principio dell'effettivo e integrale risarcimento del danno che non consente di discostarsi dagli adeguamenti elaborati dalla prassi giurisprudenziale. In virtù delle vigenti tabelle del Tribunale di Milano, tenuto conto dell'età del soggetto leso all'epoca del sinistro, della percentuale di inabilità permanente, del punto base per il danno non patrimoniale, dei giorni di inabilità temporanea parziale, il danno risarcibile ammonta ad Euro 3.539. Nessun'altra somma è dovuta a titolo di "personalizzazione" del danno in assenza di allegazioni specifiche e offerte di prova sul punto. Il danno patrimoniale per spese mediche ammonta ad Euro 534,65, secondo la stima di congruità e pertinenza del CTU. Non sono stati offerti elementi ai fini della quantificazione del danno per la rottura del telefono cellulare. La spesa per onorario pagato al CTP che ha redatto la consulenza in via stragiudiziale non è pertinente né direttamente e necessariamente connessa all'evento dannoso. Il danno risarcibile è pari alla somma di Euro 4.073,65 per danno non patrimoniale e danno patrimoniale, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate di anno in anno dalla data del sinistro alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché interessi legali da tale ultima data al saldo. La domanda di manleva deve essere accolta non essendo in contestazione l'operatività della polizza. L'onere della denuncia di sinistro deve ritenersi assolto con la trasmissione alla compagnia della denuncia dello stesso attore (doc. 2 del convenuto). Le spese giudiziali seguono la soccombenza nei rapporti tra attore e convenuto e sono liquidate secondo i valori medi dello scaglione di riferimento, ex D.M. n. 55 del 2014. Nei rapporti tra convenuto e terzo chiamato le spese vanno compensate per intero posto che, da un lato, la compagnia non ha assunto alcuna iniziativa in seguito alla tempestiva denuncia, ma, dall'altro, la stessa non è stata interessata dal procedimento di negoziazione assistita così da consentirle di attivarsi per evitare il contenzioso. Le spese di CTU già liquidate vanno poste definitivamente a carico del convenuto. P.Q.M. Condanna il Condominio Residence dei (...), in persona del legale rapp.te p.t., al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 4.073,65, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulle somme rivalutate di anno in anno dalla data del sinistro alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché interessi legali da tale ultima data al saldo, e al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 2.430 per onorari, oltre iva, cpa, rimb. forf. spese gen. come per legge, ed Euro 264 per esborsi di contributo unificato e marca. Pone definitivamente a carico del convenuto le spese di CTU già liquidate in causa. Condanna la (...) S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., a manlevare il Condominio Residence dei (...) dal pagamento delle somme qui liquidate per risarcimento, spese legali e di CTU. Compensa per intero le spese tra il convenuto e il terzo chiamato. Così deciso in Aosta il 7 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 3 del 2022, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Cl., Ge. Ma., Ma. Pa., Fi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, (...); contro Comune di Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. Sa., Lo. So., Fa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; In. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. Sa., Fa. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati He. D'H., De. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio De. Za. in Aosta, via (...); per l'annullamento a) del provvedimento di esclusione di cui alla nota della IN. S.p.A. Centrale Unica di Committenza Regionale per servizi e forniture, del -OMISSIS-, prot. N. -OMISSIS-, con la quale è stato comunicato al raggruppamento ricorrente che "in data -OMISSIS-, così come comunicato nella seduta pubblica, Codesto RTI è stato escluso dalla procedura di affidamento di cui all'oggetto in quanto, all'esito dell'attività istruttoria effettuata, in ottemperanza a quanto disposto dalla Sentenza del Tar Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, il seggio ha ritenuto la mandataria del raggruppamento -OMISSIS- carente dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 per i motivi meglio esplicati nell'allegata relazione"; b) di ogni altro atto premesso, connesso, presupposto e consequenziale, comunque lesivo degli interessi della ricorrente, e in particolare della relazione allegata alla nota di comunicazione della esclusione, del verbale del Seggio di gara del -OMISSIS-, nonché, ove e per quanto occorra, delle note di IN. S.p.A. del -OMISSIS-, prot. N. -OMISSIS-, del -OMISSIS-, prot. N. -OMISSIS-, del -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Aosta e di -OMISSIS- e di In. Va Spa; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2022 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe sono stati impugnati i seguenti provvedimenti: a). provvedimento di esclusione di cui alla nota della IN. S.p.A. - Centrale Unica di Committenza Regionale per servizi e forniture, prot. N. -OMISSIS-del -OMISSIS-,, con la quale è stato comunicato al raggruppamento ricorrente che "...in data -OMISSIS-, così come comunicato nella seduta pubblica, il RTI ricorrente è stato escluso dalla procedura di affidamento di cui all'oggetto in quanto, all'esito dell'attività istruttoria effettuata, in ottemperanza a quanto disposto dalla Sentenza del Tar Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, il seggio ha ritenuto la mandataria del raggruppamento -OMISSIS- carente dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 per i motivi meglio esplicati nell'allegata relazione..."; b) ogni altro atto premesso, connesso, presupposto e consequenziale, comunque lesivo degli interessi della ricorrente, e in particolare la relazione allegata alla nota di comunicazione della esclusione, il verbale del Seggio di gara del -OMISSIS-, nonché, ove e per quanto occorra, le note di IN. S.p.A. del -OMISSIS-, prot. N. -OMISSIS-, del -OMISSIS-, prot. N. -OMISSIS- e del -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-. Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi di diritto: 1). Violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 80 del D.Lgs. n. 50/2016; eccesso di potere per errore sui presupposti, travisamento dei fatti, insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia e arbitrarietà manifeste; 2). Violazione del giudicato; illogicità e contraddittorietà della motivazione; 3). Violazione e falsa applicazione dell'art. 80 del D.Lgs. n. 50/2016; violazione dell'art. 57 della direttiva 2014/24/UE; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà e per manifeste ingiustizia ed arbitrarietà . Si sono costituite le controparti: -OMISSIS-, IN. S.p.A e Comune di Aosta, con deposito di scritti difensivi, relazioni e documenti. I). Giova richiamare in breve i fatti di causa. La ricorrente -OMISSIS- partecipava, in ATI con -OMISSIS-, alla gara indetta per conto del Comune di Aosta da IN. VA. S.p.A. - Centrale Unica di Committenza Regionale, per "l'affidamento dei servizi di -OMISSIS-". Alla gara partecipavano tre operatori economici. All'esito delle valutazioni, la Commissione attribuiva i seguenti punteggi: - Ati -OMISSIS- punteggio tecnico -OMISSIS-; punteggio economico -OMISSIS-, punteggio complessivo -OMISSIS-; ribasso -OMISSIS-; offerta economica Euro -OMISSIS-; - -OMISSIS- punteggio tecnico -OMISSIS-; punteggio economico -OMISSIS-, punteggio complessivo -OMISSIS-; ribasso -OMISSIS-; offerta economica Euro -OMISSIS-. In data -OMISSIS-, la gara veniva aggiudicata in via definitiva all'Ati con mandataria la -OMISSIS-. La seconda classificata, -OMISSIS-, impugnava l'aggiudicazione, nonché, in subordine, la lex specialis. Con sentenza n. -OMISSIS- del -OMISSIS- codesto TAR, in accoglimento del primo motivo di ricorso - ritenendo che la Stazione appaltante avesse omesso di esplicitare la motivazione necessaria in merito alla sussistenza dei requisiti di affidabilità morale e professionale in capo all'aggiudicataria - annullava il provvedimento di ammissione a gara della -OMISSIS- e tutti gli atti successivi, disponendo che "la Stazione appaltante esamini nuovamente il contenuto della dichiarazione della controinteressata (-OMISSIS-) e, anche attraverso un'eventuale attività istruttoria, esprima un motivato giudizio se i fatti segnalati nel loro complesso minino o meno l'integrità e l'affidabilità del concorrente". Con nota del -OMISSIS- IN. S.p.A. inviava alla ricorrente una richiesta di integrazioni documentali in ottemperanza alla surrichiamata pronuncia di codesto TAR. La ricorrente in data -OMISSIS- trasmetteva i documenti richiesti e, nella relativa nota esplicativa, forniva aggiornamenti sullo stato dei procedimenti in corso. Con separata nota in pari data, poi, la medesima ricorrente trasmetteva l'avviso di conclusione delle indagini preliminari della procura di -OMISSIS- aventi origine dalla segnalazione del Comune di -OMISSIS- in relazione alle vicende oggetto di contenzioso prendente presso il Tar -OMISSIS-. Con successiva nota del -OMISSIS-, IN. S.p.A. chiedeva aggiornamenti in merito a taluni procedimenti oggetto delle precedenti dichiarazioni. Alla richiesta veniva fornito riscontro con nota del -OMISSIS-; peraltro, la ricorrente segnalava la intervenuta emanazione, in data -OMISSIS-, di un'ordinanza del GIP presso il Tribunale di -OMISSIS- nell'ambito di un procedimento aperto nel -OMISSIS- e di cui aveva fatto menzione già in sede di partecipazione alla gara; nella comunicazione venivano puntualmente indicate le misure cautelari reali e personali disposte con l'ordinanza e le misure di self-cleaning già adottate dalla società, chiarendo che nessuno soggetti destinatari delle misure aveva conservato la carica societaria. Con la medesima nota, la ricorrente dava notizia di un contenzioso instauratosi con la società -OMISSIS- in relazione a un affidamento provvisorio non sfociato nella sottoscrizione del contratto. In particolare, veniva al riguardo specificato che "in data -OMISSIS- la Società, avvalendosi della facoltà di cui all'art. 32, comma ottavo del decreto legislativo n. 50/2016, ha esercitato il recesso da ogni vincolo nei confronti della -OMISSIS-, connesso all'aggiudicazione dell'appalto avente ad oggetto il servizio di -OMISSIS-. Successivamente, la predetta -OMISSIS- ha comunicato provvedimento di decadenza dall'aggiudicazione dell'appalto, per presunto inadempimento (Al momento, pende ricorso innanzi al TAR -OMISSIS- avente ad oggetto l'annullamento del predetto provvedimento-decreto - Prossima udienza -OMISSIS-)". Infine, in esito alla nota del -OMISSIS- della Stazione appaltante, la ricorrente, con nota del -OMISSIS- trasmetteva tutti gli ulteriori documenti richiesti e una ampia illustrazione delle vicende più recenti. All'esito della disamina della suddetta documentazione, con nota prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, la IN. S.p.A. disponeva di escludere la società ricorrente dalla procedura di gara "in quanto, all'esito dell'attività istruttoria effettuata, in ottemperanza a quanto disposto dalla Sentenza del Tar Valle d'Aosta n. -OMISSIS-, il seggio ha ritenuto la mandataria del raggruppamento -OMISSIS- carente dei requisiti di cui all'art. 80 del D.lgs. n. 50/2016 per i motivi meglio esplicati nell'allegata relazione...", II). Può ora passarsi al merito della causa. II.A). In via preliminare, occorre rilevare che la giurisprudenza è sostanzialmente univoca nel ritenere che la Stazione appaltante, quando si esprime in merito alla integrità o affidabilità professionale di un determinato operatore economico ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. c), del D.lgs. n. 50/2016, "...formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare il quale non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità e l'evidente insostenibilità del giudizio, con la conseguenza che, ove non emergano travisamenti, pretestuosità o irrazionalità, ma solo margini di fisiologica opinabilità e non condivisibilità della valutazione discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il Giudice Amministrativo non potrà sovrapporre alla valutazione opinabile del competente organo della stessa la propria..." (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 24 luglio 2017, n. 3645; Consiglio di Stato, sez. III, 24 maggio 2017, n. 2452). In altri termini, costituisce ius receptum che, nell'ipotesi che qui interessa, "...il sindacato che il G.A. è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della "non pretestuosità " della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera "non condivisibilità " della valutazione stessa" (così Cass. civ., Sez. un., 17 febbraio 2012, n. 2312)" (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1367). II.B). Tanto premesso in termini generali, il Collegio è dell'avviso che la valutazione svolta nella specie dalla Stazione appaltante non risulti inficiata dai gravi profili d'illegittimità in precedenza richiamati, avendo la IN. S.p.A. esternato una congrua motivazione a supporto della propria determinazione, all'esito di un articolato iter istruttorio che ha visto a più riprese il coinvolgimento della società ricorrente. In particolare, non può trovare favorevole condivisione il rilievo di parte ricorrente - avanzato con il primo motivo di ricorso - secondo cui la Stazione appaltante avrebbe dato una lettura "parziale" dei fatti richiamati nella relazione istruttoria, obliterando del tutto i puntuali rilievi formulati dalla medesima ricorrente nel corso del procedimento. Dalla disamina di detta relazione emerge, invero, come la Stazione appaltante abbia compiuto una approfondita ed autonoma disamina dei provvedimenti, delle circostanze e dei fatti comunicati dall'operatore economico nel corso del procedimento, discostandosi anche - in talune occasioni - da quanto contestato alla ricorrente in sede penale e civile ed assumendo una propria posizione in merito a tutte le differenti risultanze emergenti dagli atti di causa. In ogni caso, vale al riguardo rilevare che, secondo consolidata giurisprudenza, "l'obbligo, in capo alla stazione appaltante, di motivare l'esclusione di un concorrente dalla gara pubblica è formalmente rispettato se l'atto reca l'esternazione del percorso logico-giuridico seguito per giungere alla decisione adottata e se il destinatario è in grado di comprendere le ragioni di quest'ultimo e, conseguentemente, di accedere utilmente alla tutela giurisdizionale; non è invece richiesto che la motivazione del provvedimento di esclusione sia articolata in punti separati, ciascuno dei quali dedicato ad uno specifico aspetto di rilievo della pregressa vicenda, e così alla sua "gravità ", al "tempo trascorso dalla violazione" e, infine, alla "inaffidabilità " dell'operatore, purché emerga che ciascuno di tali profili sia stato considerato dalla stazione appaltante" (Cons. St., sez. V, 12 aprile 2021, n. 2922; id. 21 luglio 2020, n. 4668). Orbene, nel caso di specie, l'articolata motivazione esternata dalla Stazione appaltante ha senza dubbio consentito alla ricorrente di comprendere l'iter logico-giuridico sotteso alla sua esclusione dalla procedura di cui trattasi, di talché - anche sotto questo ulteriore profilo - il primo motivo di gravame appare destituito di fondamento. Pertanto, in assenza di quei gravi vizi di illegittimità ictu oculi rilevabili che soli consentono al Giudice Amministrativo di sindacare nel merito le decisioni discrezionali assunti dai competenti organi di amministrazione attiva, il Collegio ritiene che il provvedimento in questa sede impugnato debba ritenersi legittimo. II.C) Fermo restando quanto precede, si rileva che la ricorrente ha anche contestato le modalità con cui la Stazione appaltante ha applicato nel caso di specie il disposto dell'art. 80, comma 10-bis, del D.Lgs. n. 50/2016, evidenziando che la IN. avrebbe surrettiziamente esteso la durata del "triennio" in relazione al quale i pretesi illeciti professionali possono assumere rilevanza ai fini della valutazione demandata alla medesima Stazione appaltante. Al riguardo, il Collegio osserva che tale circostanza non assume rilievo dirimente nell'ambito della presente controversia, atteso che le due contestazioni principali mosse dalla Stazione appaltante nei confronti della ricorrente concernevano: i) i fatti, aventi rilievo penale, relativi all'appalto di -OMISSIS- che - anche nella ricostruzione della ricorrente - risalgono quantomeno al "-OMISSIS-", e, dunque, rientrano nel triennio di riferimento di cui all'art. 80, comma 10-bis, del Codice dei contratti pubblici - calcolato a ritroso dalla pubblicazione del bando (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 13/12/2019, n. 8480) - atteso che nella specie il Bando è stato pacificamente pubblicato il -OMISSIS-, con conseguente rilevanza ai fini che qui interessano di tutti i fatti successivi al -OMISSIS-, ivi compresi dunque quelli relativi a -OMISSIS-, avvenuti come detto anche nel "-OMISSIS-" e, del resto, la relazione puntualmente specifica che i fatti risultano commessi sino al -OMISSIS-, riferendosi ai verbali di visita finale e al certificato di collaudo (date -OMISSIS- e -OMISSIS-), in relazione all'imputazione di -OMISSIS-; ii) la risoluzione del contratto per il servizio di -OMISSIS- del Comune di -OMISSIS-, disposta da -OMISSIS-, avvenuta nel -OMISSIS- e, quindi, certamente rilevante ai fini della valutazione demandata alla Stazione appaltante anche tenendo conto di quanto disposto dal su citato art. 80, comma 10-bis, del Codice dei contratti pubblici. Pertanto, considerando che i due rilievi di carattere principale - e, come avremo modo di evidenziare nel prosieguo, assorbente - mossi dalla Stazione appaltante nei confronti della ricorrente rientrano, a livello temporale, nel triennio individuato dall'art. 80, comma 10-bis del Codice dei contratti pubblici, non può ritenersi nella specie sussistente la violazione della predetta disposizione dedotta dalla -OMISSIS- in sede di ricorso. Da ciò, peraltro, discende anche la non accoglibilità dell'istanza di remissione alla CGUE avanzata dalla ricorrente, afferente la compatibilità del predetto art. 80, comma 10-bis del Codice dei contratti pubblici con quanto previsto dall'art. 57 paragrafo 7, della Direttiva UE n. 24 del 2014. II.D). Ciò posto, rileva il Collegio che dall'impianto motivazionale del provvedimento impugnato - e, in particolare, dalla disamina del contenuto della su citata relazione, che ne costituisce la motivazione per relationem - emerge che la Stazione appaltante abbia ritenuto integrata la fattispecie espulsiva di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici "essendosi l'operatore "reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità ", con riferimento ai fatti occorsi in -OMISSIS- (n. progressivo 14), nella gestione dell'appalto per -OMISSIS- bandito da -OMISSIS- (n. 19)" (si veda pag. 79 della relazione depositata in atti). Tale rilievo - che va considerato alla stregua del fulcro centrale della decisione assunta dalla Stazione appaltante e che concerne due contestazioni che, come in precedenza evidenziato, rientrano nell'ambito del triennio di riferimento individuato ai sensi dell'art. 80, comma 10-bis, del Codice dei contratti pubblici - individua ad avviso del Collegio un presupposto adeguato e sufficiente a sorreggere la determinazione assunta dalla P.A., e ciò a maggior ragione laddove si consideri la congrua ed articolata motivazione esternata dall'Amministrazione a sostegno di tale posizione ed il rilievo, nella relazione, di considerare detti fatti come integranti causa espulsiva già "in una prospettiva unitaria", ossia isolatamente considerati, ancor prima che in ottica cumulativa (pagg. 48 e 49 della relazione). Da ciò discende, dunque, non soltanto la legittimità dell'operato della Stazione appaltante e l'infondatezza del primo motivo di ricorso, ma anche l'improcedibilità per sopravvenuta carenza d'interesse del secondo e del terzo motivo di gravame avanzato dalla ricorrente, atteso che - come noto - "In caso di atti pluri-motivati ovvero fondati su una pluralità di autonomi motivi è sufficiente la legittimità di una sola delle ragioni per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale, il che comporta che il rigetto delle censure proposte contro una di tali ragioni rende superfluo l'esame di quelle relative alle altre parti del provvedimento" (Cons. Stato, Sez. V, 14/04/2020, n. 2403). Difatti - come in precedenza accennato - i rilievi della Stazione appaltante in merito ai fatti occorsi in -OMISSIS- ed in relazione alla gestione dell'appalto per -OMISSIS- bandito da -OMISSIS- risultano di per sé stessi adeguati a sorreggere l'impianto motivazionale del provvedimento espulsivo oggetto della presente controversia, con conseguente irrilevanza, ai fini della decisione, delle censure formulate dalla ricorrente afferenti agli ulteriori rilievi esternati dalla P.A. nell'ambito del provvedimento pluri-motivato di cui trattasi. III). In conclusione, alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso va respinto. Le questioni in precedenza vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica definitivamente pronunciando: Respinge il ricorso, come in epigrafe proposto. Condanna il soccombente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore delle controparti costituite nella misura di Euro 3000,00 oltre accessori di legge per ciascuna di esse. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private. Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Silvia La Guardia - Presidente Maria Ada Russo - Consigliere, Estensore Carlo Buonauro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 48 del 2021, proposto da Pi. Ri., rappresentato e difeso dagli avvocati Au. To., An. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Au. To. in Genova, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Aosta, via (...); Regione Autonoma Valle D'Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Pa., Ri. Ja., Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Fr. Fi., Ca. Fi., rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Ge. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento 1) del p.d.c. 23/2/2021 n. 7 rilasciato dal Comune di (omissis) alle controinteressate per la ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d'uso ed ampliamento a sensi della L.R. 24/2009 di edificio ed autorimessa interrata esistenti in capoluogo, foglio (omissis), mapp. (omissis) in zona di PRG Ac1; 2) del p.d.c. 5/10/2021 n. 29, rilasciato in variante al p.d.c. di cui sub 1); 3) di tutti gli atti presupposti e/o propedeutici, con specifico riferimento a: a) le nuove disposizioni attuative della L.R. n. 24/2009, approvate con DGR n. 514 del 9/3/2012; b) la tipologia e le caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie a sensi dell'art. 59, comma 4, L.R. 11/1998 approvata con DGR n. 378 del 12/4/2021; c) ogni altro atto presupposto e/o propedeutico connesso e/o consequenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di (omissis) e di Fr. Fi. e di Regione Autonoma Valle D'Aosta e di Ca. Fi.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2022 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe è stato chiesto l'annullamento dei seguenti atti: 1) p.d.c. 23/2/2021 n. 7 rilasciato dal Comune di (omissis) alle controinteressate per la ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d'uso ed ampliamento a sensi della L.R. 24/2009 di edificio ed autorimessa interrata esistenti in capoluogo, foglio (omissis), mapp. (omissis) in zona di PRG Ac1; 2) p.d.c. 5/10/2021 n. 29, rilasciato in variante al p.d.c. di cui sub 1); 3) di tutti gli atti presupposti e/o propedeutici, con specifico riferimento a: a) le nuove disposizioni attuative della L.R. n. 24/2009, approvate con DGR n. 514 del 9/3/2012; b) la tipologia e le caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche ed edilizie a sensi dell'art. 59, comma 4, L.R. 11/1998 approvata con DGR n. 378 del 12/4/2021; c) ogni altro atto presupposto e/o propedeutico connesso e/o consequenziale. Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi di diritto: 1. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 9 DM 1444/1968 nonché dell'art. 3 DPR n. 380/2001, in relazione all'art. 59, comma 4, L.R. 24/2009 ed alle disposizioni di cui al provvedimento regionale indicato in epigrafe sub 3 b), nonché all'art. 2 L.R. 24/2009. 2. Violazione o falsa applicazione art. 2 bis comma 1 ter DPR 380/2001. Eccesso di potere per falsità dei presupposti o travisamento dei fatti. In subordine illegittimità costituzione delle norme legislative regionali e/o illegittimità dei provvedimenti regolamentari in contrasto con l'art. 2 bis sopra richiamato. 3. Altra violazione e/o falsa applicazione dell'art. 9 DM 1444/1968 nonché dell'art. 3 DPR n. 380/2001, in relazione all'art. 59, comma 4, L.R. 24/2009 ed alle disposizioni di cui al provvedimento regionale indicato in epigrafe sub 3 b), nonché all'art. 2 L.R. 24/2009. 4. Falsa applicazione dell'art. 2 L.R. 24/2009 in relazione all'art. 8 D.M 1444/1968 e all'art. 117 Cost. anche in relazione agli atti regionali di definizione degli interventi sul patrimonio edilizio esistente. Evidente illegittimità costituzionale di norme regionali derogatorie e/o illegittimità di atti normativi. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e/o di motivazione. 5. Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 7 DM 1444/1968 in relazione all'art. 2 L.R. 24/2009. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e/o di motivazione per illegittimità costituzionale di quest'ultima norma in relazione all'art. 117 Cost. Si sono costituite, con deposito di memorie e documenti, tutte le controparti: Comune di (omissis), Regione autonoma Valle d'Aosta e signore Fi. Fr. e Fi. Ca.. I). Giova richiamare gli eventi in fatto. Il dott. Pi. Ri. è proprietario di alcune unità immobiliari site all'interno dell'edificio individuato con il civico n. 12 e 13 della Via Grand Paradis, posto nel centro storico del Comune di (omissis). Le unità immobiliari aggettano a Ovest, Sud e Sud-Ovest su un fabbricato esistente contraddistinto alla Via Grand Paradis n. 14, individuato al NCEU al foglio n. (omissis) part. (omissis), ricompreso nella zona Ac1 nel vigente PRG, di proprietà delle controinteressate, prospiciente i prati di Sant'Orso che caratterizzano la località e da cui è separato solamente dalla strada comunale. Il ricorrente afferma di essere venuto di recente a conoscenza - anche in considerazione dell'avvio di lavori di demolizione - del fatto che il Comune di (omissis) ha rilasciato alle controinteressate i due titoli edilizi indicati in epigrafe per realizzare un intervento di demolizione parziale con ampliamento in attuazione della L.R. 24/2009, attuativa del Piano Casa. A quanto è dato apprendere dagli atti acquisiti - prosegue parte ricorrente - l'intervento, come legittimato dal primo titolo, sarebbe costituito da una parziale demolizione e ristrutturazione dell'edificio esistente con ampliamento, realizzato con innalzamento di circa cm 140 della quota di copertura e, quindi, del corpo di fabbrica frontistante di m. 4,09 dalla banda dell'edificio in cui sono poste le unità Ri., trasformata da due a 4 falde e nell'ampliamento planimetrico e della sagoma verso est, nord e ovest, nonché quello dell'autorimessa interrata. Quanto sopra, nell'asserto che tutti gli ampliamenti rispettino le distanze minime dalle costruzioni limitrofe. In realtà, seppure tale descrizione manca completamente nella Relazione Illustrativa alla domanda di P.d.C., dalle tavole progettuali si evincerebbe secondo parte ricorrente che anche il vano scala a Nord viene molto ampliato per realizzare il vano ascensore ed inoltre viene costruita sempre a Nord una nuova tettoia pesante a 2 falde a piano 0 con spostamento della (ampliata) parete Nord, prima inesistente, così da creare a tutti gli effetti un nuovo evidente volume. Il tutto in aggiunta all'elevazione della copertura e costruzione di un nuovo colmo a croce, che stravolgerebbe completamente la costruzione modificando l'area di sedime, i prospetti e la planivolumetria della stessa. Peraltro, la marcata elevazione del colmo e dei piani di gronda e la trasformazione da 2 a 4 falde, costituirebbero architettonicamente una vera e propria sopraelevazione dell'intero fabbricato con impatto su ogni fronte anche in termini di distanze specifiche tra questa parte nuova e il fabbricato di proprietà del Ri.. Secondo la relazione annessa al progetto, tuttavia, l'ampliamento autorizzato in altezza ed in orizzontale sarebbe stato contenuto nei limiti di cui all'art. 2 L.R. 24/2009 in relazione ai punti 4.4. e 4.8 del DGR 25/2/2016. La variante assentita dal secondo titolo, invece, non inciderebbe tanto sui parametri fondamentali del primo progetto, quanto sulle modalità esecutive, prevedendo un più incisivo intervento demolitivo sul corpo preesistente, che di fatto, è divenuto totale, come emerge dalla documentazione fotografica allegata al ricorso. II). In via preliminare, il Collegio ritiene di poter prescindere dalla disamina delle eccezioni di rito sollevate dalla Regione Valle d'Aosta atteso che il ricorso - come meglio precisato nel prosieguo - deve ritenersi infondato nel merito. Ciò posto, può passarsi alla disamina del merito del gravame di cui trattasi. 1) Con il primo motivo il ricorrente sostiene l'illegittimità dei titoli rilasciati dall'Amministrazione laddove pretendono di autorizzare un intervento di ristrutturazione ed ampliamento, mentre l'intervento di cui trattasi andrebbe qualificato come una nuova costruzione, attesa la totale demolizione del volume preesistente e la ricostruzione, su sedime (parzialmente)diverso, fuori sagoma in altezza ed in orizzontale, di un nuovo fabbricato, totalmente diverso, anche nei prospetti. Ciò, d'altronde, alla luce delle definizioni di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (TU dell'edilizia) che prevarrebbero sulle norme regionali con esse incompatibili, atteso che - diversamente opinando - le disposizioni di carattere regionale dovrebbero ritenersi incostituzionali sotto il profilo della violazione dell'art. 117 della Costituzione. 1.1) Il motivo non può trovare favorevole accoglimento. Occorre innanzitutto svolgere una breve premessa in merito alla normativa applicabile al caso di specie, valevole anche in relazione ai successivi motivi di ricorso. Come noto, la Regione Valle d'Aosta - quale Regione a statuto speciale ai sensi dell'art. 116, comma 1, della Costituzione - è titolare di una competenza legislativa primaria in materia urbanistica ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. g) dello Statuto Speciale (L. cost. n. 4/1948) più ampia di quella, concorrente, attribuita alle Regioni ordinarie in materia di governo del territorio (cfr. Corte cost., sentenza n. 46/2014). Ne discende, dunque, che nell'ambito territoriale della Regione Valle d'Aosta la Legge regionale n. 11/1998 - con cui la Regione ha attuato la predetta competenza legislativa di carattere primario in materia urbanistica - "...deve essere applicata in via esclusiva, senza che via sia alcuna possibilità di integrare o sostituire le disposizioni contenute nella stessa con il Testo unico dell'edilizia di provenienza statale..." (cfr. TAR Valle d'Aosta, 15 maggio 2012, n. 48). Ciò, d'altronde, trova esplicita conferma sia nell'art. 2, comma 2, del T.U. dell'edilizia di cui al d.P.R. n. 380/2001 - in base al quale "le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione" - sia in base a quanto previsto dalla citata L.R. n. 11/1998 che, all'art. 97, reca una specifica disciplina in ordine alla "applicazione di disposizioni statali in materia edilizia e urbanistica", prevedendo che "solo per quanto non disciplinato dalla presente Legge e da altre Leggi regionali hanno applicazione le norme statali in materia edilizia e urbanistica". Svolta questa premessa di carattere generale, in relazione al motivo di ricorso di cui trattasi occorre rilevare che l'art. 59, comma 4, della L.R. n. 11/1998 dispone che "la Giunta regionale, con propria deliberazione, definisce le tipologie e le caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche o edilizie... nelle zone del PRG". In attuazione della suddetta disposizione - come detto di carattere primario - con d.G.R. n. 378 del 12.04.2021 la Giunta, dato atto che il D.L. 16.7.2020, n. 79, come modificato dalla legge di conversione n. 120 dell'11.9.2020, aveva apportato importanti modificazioni al d.P.R. n. 380 del 2001, ha approvato le "Tipologie e caratteristiche delle trasformazioni urbanistiche o edilizie ai sensi dell'art. 59, comma 4, della L.R. n. 11/ 1998" di cui all'allegato A, che, assunti a riferimenti normativi l'art. 3 del d.P.R. citato e la L.R. 11/1998 come da ultimo modificati, aggiorna la definizione dell'intervento di ristrutturazione edilizia comprendendovi "le opere di demolizione e ricostruzione di fabbricati esistenti", con la precisazione che "gli interventi di ristrutturazione edilizia possono comportare diversi sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio esistente". Nella fattispecie, peraltro, la modifica di sagoma e prospetti è legata all'aumento volumetrico di cui l'intervento ha goduto in base alle previsioni della L.R. n. 24/2009 (c.d. Piano casa), aumento che è rimasto contenuto - come pacifico tra le parti - entro i limiti previsti dalla suddetta normativa regionale di carattere primario. Tale essendo la ragione su cui poggiano i permessi di costruire che hanno assentito l'intervento, non è dirimente l'aspetto della sua definibilità come ristrutturazione con ampliamento piuttosto che come nuova costruzione né, correlativamente, rilevante il dubbio di costituzionalità dell'art. 59 della L.R. 11/1998, peraltro non meglio argomentato che con un generico riferimento all'art. 117 Cost., ma la sussistenza o meno degli specifici presupposti per l'applicazione della normativa derogatoria di carattere speciale di incentivazione della riqualificazione del patrimonio edilizio, che autonomamente stabilisce condizioni, limiti, procedimento e titoli occorrenti, poteri del Comune di imporre modalità costruttive per l'armonizzazione con il contesto. Può, comunque, soggiungersi, che, del resto, l'ultima parte della lettera d) dell'art. 3 d.P.R. n. 380/2001, che il ricorrente valorizza in memoria, mentre prevede in termini assoluti, per gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, il restringimento del concetto di ristrutturazione alla sola ricostruzione fedele, tanto prevede, per quelli ubicati in zona A, "fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici", ipotesi cui la citata L.R. n. 24/2009 è riconducibile. Pertanto, la DGR n. 378 del 12.4.2021 neppure può dirsi in radicale contrasto con l'art. 3 citato laddove, nella ricognizione dei casi riconducibili alla categoria della ristrutturazione, vi ricomprende gli interventi contemplati da detta legge regionale, fermo restando che il riferimento alla L.R. 24/2009 va inteso come implicante quello ai limiti, anche per zona, ivi stabiliti. Donde anche la manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 59 L.R. 11/1998. Alla luce della richiamata definizione - ed in considerazione della consistenza dell'intervento di cui trattasi, così come risultante dagli atti - si ritiene che quest'ultimo sia stato correttamente qualificato dalla Pubblica Amministrazione alla stregua di un intervento di ristrutturazione edilizia con ampliamento, con conseguente infondatezza del primo motivo di ricorso. 2). Con il secondo motivo parte ricorrente sostiene che, in ogni caso, l'intervento di cui trattasi - anche a volerlo qualificare come intervento di demolizione e ricostruzione (oltre che di ampliamento) - sarebbe comunque illegittimo in quanto afferente ad un immobile ricompreso in zona omogenea A di cui al D.M. n. 1444/1968. Ciò in quanto, in relazione alla predetta tipologia di immobili, troverebbe applicazione l'art. 2 bis, comma 1 ter, del T.U. dell'edilizia di cui al d.P.R. n. 380/2001, in base al quale gli interventi di demolizione e ricostruzione possono essere consentiti esclusivamente nell'ambito di Piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, nella specie giammai approvati dalla Pubblica Amministrazione in relazione all'area d'interesse. 2.1) Anche detto motivo non può trovare favorevole accoglimento. Si è detto al punto 1 che nella Regione non trova applicazione diretta il d.P.R. n. 380/2001 ma si applica la normativa regionale. In ambito regionale, successivamente alla sostituzione del comma 1 -ter dell'art. 2-bis del d.P.R. n. 380/2001 operata dal D.L. n. 76/20202, convertito con modificazioni dalla L. 11.9.2020, n. 120, alla L.R. n. 11/1998 è stato aggiunto, dall'art. 2, comma 12, L.R. 21.12.2020, n. 14, l'art. 88-bis (Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati) il cui testo riproduce i primi due periodi dell'anzidetto comma 1-ter, consentendo la ricostruzione nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti e la realizzazione degli incentivi volumetrici eventualmente riconosciuti anche con ampliamenti fuori sagoma e con il superamento dell'altezza massima dell'edificio demolito, sempre nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti, e si differenzia nell'ultimo periodo: laddove la norma statale prevede che "Nelle zone omogenee A... gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti esclusivamente nell'ambito dei piani urbanistici di recupero e di riqualificazione particolareggiati, di competenza comunale, fatti salvi le previsioni degli strumenti di pianificazione territoriale, paesaggistica e urbanistica vigenti e i pareri degli enti preposti alla tutela", l'art. 88-bis prevede che "nelle zone territoriali di tipo A... gli interventi di demolizione e ricostruzione sono consentiti in assenza di strumento attuativo nei limiti stabiliti dall'articolo 52, comma 2.". Quest'ultimo stabilisce: "2. In assenza di strumenti attuativi di cui al comma 1, nelle zone territoriali di tipo A, previo parere delle strutture regionali competenti in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio, nel caso in cui l'immobile sia tutelato ai sensi del D.Lgs. 42/2004, dell'articolo 40 delle norme di attuazione del PTP e della L.R. 56/1983, sono consentiti: a)...; b)...; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia su edifici non classificati monumento, documento o di pregio storico, culturale, architettonico o ambientale; tali interventi: 1) devono essere tesi al mantenimento degli elementi di pregio, all'eliminazione di quelli di contrasto e all'adeguamento ai caratteri tipologici del fabbricato con quelli del contesto storico; 2) possono consistere anche nella totale demolizione e ricostruzione sullo stesso sedime; 3) possono consistere anche nella totale demolizione e ricostruzione su diverso sedime, alle condizioni stabilite dall'articolo 88-bis, limitatamente ai fabbricati classificati nelle categorie E2 e E4 e ubicati al di fuori della aree classificate nelle categorie F1 e F2 ai sensi dell'articolo 52-quater, comma 2; d)...". Se ne ricava che un ruolo centrale assume il particolare strumento integrativo del PRG specificamente previsto dall'art. 52-quater che in dettaglio valuta i singoli edifici ed aree in sé, per le relative caratteristiche, ed in relazione al contesto (così, ad esempio, le categorie E2 e E4 individuano, rispettivamente, gli edifici in contrasto con l'ambiente e i bassi fabbricati in contrasto con l'ambiente e le categorie F1 e F2 individuano, la prima, le aree archeologiche e aree di pertinenza di monumenti, documenti o edifici di pregio storico, culturale, architettonico o ambientale e, la seconda, le aree di pregio storico, culturale, architettonico o ambientale). Anche in relazione agli interventi previsti dagli artt. 2 e 3 della L.R. n. 24/2009 tale legge e la normativa attuativa attribuiscono centrale rilievo allo strumento della classificazione, prevedendo che tali interventi non sono consentiti nelle zone territoriali di tipo A, in assenza della classificazione degli edifici (v. art. 6, comma 2, lett. d)) e stabilendo le classificazioni escluse (ad esempio vengono esclusi gli edifici classificati E2a (edifici in contrasto con l'ambiente per volumetria). Il ricorrente sostiene, in subordine, che le norme regionali dissonanti rispetto all'art. 2-bis, comma 1-ter D.P.R. 380/2001 siano incostituzionali, ma tale contestazione, per così dire in blocco, che non indica la specifica disposizione, rilevante nella fattispecie, in cui il ricorrente reputa annidarsi il vizio di costituzionalità, né approfondisce l'esame della normativa fornendo una precisa argomentazione al riguardo, risulta del tutto generica. Anche il secondo motivo va, quindi, respinto. 3). Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che nella relazione accompagnatoria degli elaborati progettuali, con riguardo alle distanze tra le costruzioni, si legge soltanto che esse (peraltro senza individuare quali) sarebbero rispettate. Ciò, secondo parte ricorrente, non risponderebbe al vero, in quanto l'intervento edilizio di cui trattasi avrebbe ridotto la distanza del "nuovo" fabbricato rispetto a quello di proprietà del ricorrente al di sotto del limite minimo di 10m tra pareti finestrate previsto, per le zone A come quella d'interesse, dall'art. 9 del citato D.M. n. 1444/1968. 3.1) Anche tale motivo non può trovare favorevole accoglimento. Non si riscontra la lamentata violazione dell'art. 9 D.M. n. 1444/1968, considerato che la distanza di 10m da pareti finestrate è prevista da tale articolo per zone diverse dalla zona A, ove rileva la distanza preesistente. Nel caso di specie, l'intervento, per la parte in cui non mantiene la distanza preesistente (ampliamento laterale) rientra nelle disposizioni di cui all'art. 44 comma 3, delle NTA del PRG del Comune di (omissis) e, in particolare, nelle previsioni di cui alla tabella A6, la quale prevede che nella zona A, in assenza di strumento attuativo, come pacifico nella specie, la distanza minima tra gli edifici sia pari a 3 metri, in linea con quanto previsto dall'art. 873 del Codice civile. Tale distanza minima risulta, nella specie, rispettata, con conseguente infondatezza del presente motivo di ricorso. 4). Con il quarto motivo parte ricorrente sostiene che l'art. 8 del D.M. n. 1444/1968 - nella parte in cui individua i limiti di altezza degli edifici nelle zone A - dovrebbe considerarsi alla stregua di una "disposizione inderogabile costituente norma di principio della materia" e, quindi, porrebbe un limite inderogabile al potere legislativo regionale e prevarrebbe sugli atti normativi regionali e/o comunali. Tale disposizione di carattere inderogabile dispone che l'altezza massima degli edifici in zona A per gli interventi di risanamento vada calcolata con riguardo all'altezza degli edifici esistenti circostanti, senza tener conto delle superfetazioni e/o sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture, mentre per gli interventi di trasformazione o nuova costruzione non possa superare l'altezza degli edifici esistenti di carattere storico-artistico. Nel caso di specie, tuttavia - evidenzia parte ricorrente - vi sarebbe un innalzamento di circa cm 140 dell'edificio delle controinteressate, che nella parte nord si eleverebbe persino di cm 409 nel punto più alto, con conseguente violazione della predetta disposizione di cui al D.M. n. 1444/1968. 4.1) Anche detto motivo non può trovare favorevole accoglimento. L'art. 8 del DM 1444/68, al comma 1, prevede che "per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico". Parte ricorrente, tuttavia - pur evidenziando una modifica dell'altezza del fabbricato di cui trattasi (innalzamento di 140 cm dell'edificio ed elevazione a Nord di circa 409 cm) - non rileva la violazione della su citata disposizione, non rilevandosi nel motivo di cui trattasi alcun riferimento all'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico. La doglianza, dunque - ancor prima che infondata - appare inammissibile per genericità . 5). Con il quinto motivo il ricorrente sostiene che l'art. 7 del D.M. n. 1444/1968 prevede che la densità edilizia degli interventi in zona A non possono superare, negli interventi di risanamento, la densità preesistente, computata senza tener conto delle sovrastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico, mentre per le nuove costruzioni il limite di densità viene individuato nel 50% della densità fondiaria media della zona. Secondo parte ricorrente, tuttavia, l'intervento di cui trattasi non sarebbe stato oggetto di istruttoria e/o di motivazione in relazione a detto profilo, nonostante quest'ultimo pacificamente comporti un rilevante incremento volumetrico, esuberante il 20%, nonché un aumento superficiario eccedente il 25%, e l'art. 3 della L.R. n. 24/2009 sarebbe costituzionalmente illegittimo laddove non ha considerato il limite massimo di densità ammissibile in zona A. 5.1) Anche tale motivo non può trovare favorevole accoglimento. La critica in esame, come quella del motivo precedente, si presenta generica e non comprovata, non venendo fornite indicazioni sulla densità fondiaria media della zona, pretesamente superata, cui confrontare l'incidenza dell'incremento volumetrico assentito in relazione alle dimensioni del lotto; e tanto si riflette anche sul piano della non rilevanza ai fini della decisione del non dubbio di costituzionalità avanzato assumendo come termine di raffronto detto art. 7. Può, comunque, soggiungersi che il D.M. n. 1444/1968 reca limiti da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, laddove l'art. 3 della L.R. n. 24/2009 introduce una previsione speciale in deroga agli strumenti urbanistici. D'altra parte, l'art. 3 si limita a prevedere in termini generali e astratti l'ammissibilità di incrementi funzionali alla riqualificazione energetica, ma la concreta modulazione per tipologia di fabbricati e zone territoriali, in particolare quella A, è stabilita dal successivo art. 6, che il ricorrente non prende in considerazione. III) In conclusione, alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve ritenersi infondato e va, pertanto, respinto. Sussistono, tuttavia, involgendo il ricorso anche recenti modifiche normative, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica definitivamente pronunciando: Respinge il ricorso come in epigrafe proposto. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Aosta nelle camere di consiglio dei giorni 8 marzo 2022, 12 aprile 2022, con l'intervento dei magistrati: Silvia La Guardia - Presidente Maria Ada Russo - Consigliere, Estensore Carlo Buonauro - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 33 del 2021, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Be. Ca. Di To., Gi. Bo. e Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio legale Ca. Di To. in Roma, via (...); contro Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pa. Ro., Ro. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati El. Pa., St. So., Cl. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - dell'ordinanza di demolizione e rimessione in pristino n. -OMISSIS- emanata dal Comune di -OMISSIS- in data -OMISSIS- e notificata ai ricorrenti in data -OMISSIS-; - nonché di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di -OMISSIS- e di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2022 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; FATTO e DIRITTO Con il ricorso in epigrafe è stata impugnata l'ordinanza di demolizione e rimessione in pristino n. -OMISSIS- emanata dal Comune di -OMISSIS- in data -OMISSIS- e notificata ai ricorrenti in data -OMISSIS-. Si sono costituiti in giudizio il Comune intimato ed il -OMISSIS- con deposito di documenti e memorie difensive. Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, il Collegio - senza prendere posizione sulle questioni preliminari, neppure implicitamente stante l'espressa specificazione di tenere "in disparte le sollevate questioni di rito" - ha respinto l'istanza cautelare e fissato il merito alla data dell'11.1.2022. I) Il Collegio ritiene di essere in possesso di sufficienti elementi per procedere alla disamina della presente controversia. II) Ciò posto, il Collegio ritiene di dover vagliare in via preliminare l'eccezione di difetto di competenza avanzata dai controinteressati. Detta eccezione risulta fondata nei termini che seguono. Oggetto della presente controversia è - appunto - l'ordinanza di demolizione n. -OMISSIS-, adottata dal Comune di -OMISSIS- - come si legge espressamente nelle premesse del medesimo atto - in ossequio ed in ottemperanza a quanto disposto dal Consiglio di Stato con sentenza inter partes della Sez. IV n. -OMISSIS-, con cui il G.A., nell'ambito del giudizio di ottemperanza al giudicato di annullamento del permesso di costruire (sentenza n. -OMISSIS-), ha statuito che "il Comune di -OMISSIS- ha l'obbligo, per effetto del giudicato, di procedere alla demolizione dei fabbricati costruiti in base al permesso di costruire n. -OMISSIS- del -OMISSIS- annullato" e disposto che "...in esecuzione della presente decisione il Comune è pertanto tenuto a completare il procedimento avviato in data -OMISSIS- mediante l'adozione dell'ingiunzione di demolizione nel termine di 60 giorni decorrenti dalla comunicazione ovvero dalla notificazione, se anteriore, della presente sentenza...". Orbene, al riguardo, non ci si può esimere dal rilevare che l'art. 114, comma 6, c.p.a., dispone che "Il giudice conosce di tutte le questioni relative all'ottemperanza", di talché la competenza in merito ad ogni eventuale controversia in merito agli atti meramente esecutivi adottati in ossequio ad una pronuncia resa in sede di ottemperanza non può che essere demandata allo stesso giudice dell'ottemperanza individuato ai sensi dell'art. 113, comma 1, c.p.a. (cfr. Cons. di Stato, Ad. plen., 15.01.2013, n. 2) ovvero, nella specie, il Consiglio di Stato. Pertanto - considerando che nell'ambito della presente controversia viene in rilievo esclusivamente un provvedimento adottato in diretta esecuzione della richiamata sentenza del Consiglio di Stato - la relativa competenza, da qualificarsi come funzionale ed inderogabile, è del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza. Di qui la fondatezza dell'eccezione di rito di cui trattasi. III) Per mera completezza espositiva occorre, peraltro, rilevare che non può trovare favorevole accoglimento la tesi dei ricorrenti che nel presente giudizio essi intendano far valere vizi autonomi del provvedimento; tesi che postula che la sentenza citata abbia lasciato margini di valutazione all'amministrazione comunale. In particolare, i ricorrenti sostengono, in estrema sintesi, che il Comune abbia mancato di adeguatamente e motivatamente considerare: 1) l'affidamento riposto nella legittimità della concessione; 2) che la strada sul lotto confinante avrebbe dovuto essere ceduta al Comune come opera di urbanizzazione; 3) la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria. Contrariamente a quanto affermato di ricorrenti, invero, la piana lettura del ricorso - unitamente alla disamina del contenuto della richiamata sentenza del Consiglio di Stato n. -OMISSIS- - consente agevolmente di rilevare che, tramite il ricorso di cui trattasi, gli interessati si sono invero limitati a ribadire rilievi già formulati nel corso del giudizio di ottemperanza instaurato dagli odierni controinteressati dinanzi al Consiglio di Stato e già puntualmente rigettati dal medesimo Consiglio di Stato sulla base delle motivazioni enucleate nella sentenza testé richiamata. Questa, infatti: 1) richiama, quanto al punto di equilibrio individuato nel delicato bilanciamento fra tutela dell'affidamento, tutela del territorio e tutela del terzo, le indicazioni dell'Adunanza plenaria n. 17 del 2020; 2) considera irrilevante l'addotta circostanza dell'impegno a cedere opere di urbanizzazione perché "non in grado di elidere i plurimi vizi sostanziali del permesso di costruire n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, tra i quali figura, ad esempio, la mancanza di un piano urbanistico di dettaglio"; 3) afferma che "le violazioni accertate dal giudicato sono insuscettibili di essere fiscalizzate ai sensi dell'art. 38 del TUE" in quanto attinenti a vizi di carattere sostanziale e non essendo state dedotte circostanze che rendano tecnicamente impossibile la riduzione in pristino. In altri termini, tramite il ricorso di cui trattasi i ricorrenti - contrariamente a quanto dai medesimi affermato - non hanno dedotto la sussistenza di nuovi ed autonomi profili d'illegittimità del provvedimento impugnato, avendo al contrario ribadito le deduzioni già puntualmente analizzate dal Consiglio di Stato in sede di ottemperanza. Né assume rilievo alcuno l'affermazione dei ricorrenti - recata nella memoria da ultimo depositata - secondo cui con il medesimo ricorso gli interessati avrebbero "articolato censure prevalentemente inerenti a gravi vizi di motivazione del provvedimento impugnato", considerando che - anche volendo prescindere dalla fondatezza o meno di siffatto rilievo - l'ordinanza di demolizione in questa sede impugnata trova il suo unico (e del tutto adeguato) fondamento motivazionale nella citata sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV. n. -OMISSIS-, non a caso esplicitamente richiamata nelle premesse del predetto provvedimento. IV) In definitiva, alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile sotto il profilo del difetto di competenza del giudice adito, rientrando la medesima controversia nella competenza funzionale ed inderogabile del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Valle D'Aosta Sezione Unica definitivamente pronunciando: Dichiara il ricorso in epigrafe inammissibile sotto il profilo del difetto di competenza del giudice adito, rientrando la medesima controversia nella competenza funzionale ed inderogabile del Consiglio di Stato in sede di ottemperanza. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida -a favore di ciascuna delle controparti costituite- nella misura di Euro 2.000,00 oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti private. Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati: Silvia La Guardia - Presidente Maria Ada Russo - Consigliere, Estensore Carlo Buonauro - Consigliere

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