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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. (...)/2024 promossa da: (...) s.r.l., con sede (...) via (...) n. 13, con C.F. e P.IVA (...), in persona del legale rappresentante pro-tempore, ed elettivamente domiciliat (...), presso lo (...) dell'Avv. (...) rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. (...) del (...) di (...) e dall'Avv. (...) - RICORRENTE - CONTRO (...) C.F. (...), titolare dell'omonima ditta individuale (...) di (...) con sede (...), (...) del (...), P. IVA (...), nato a (...) del (...) il (...) - RESISTENTE CONTUMACE Conclusioni: come da note scritte per l'udienza del 19.7.2024 FATTO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c. per accertamento di accettazione tacita di eredità ex art. 476 ritualmente notificato, (...) S.R.L. evocava in giudizio (...) deducendo, in sintesi e per quanto di interesse, che: -il (...) il Giudice del Tribunale di (...) emetteva decreto ingiuntivo con il quale si ingiungeva a (...) di pagare immediatamente e senza dilazione a favore del ricorrente l'importo di euro 6.665,33 oltre interessi, spese di procedura ed onorari; -il suddetto decreto ingiuntivo, munito di formula esecutiva, veniva notificato all'interessato in copia conforme all'originale unitamente al relativo atto di precetto in data (...); - in data (...) veniva notificato atto di precetto portante l'intimazione di pagamento di euro 10.980,10; - in data (...) veniva iscritta ipoteca giudiziale, per euro 15.000,00, in forza dei predetti titoli e veniva promosso pignoramento immobiliare; - (...) manifestava volontà al bonario componimento della controversia come dimostrato da atto di transazione, sottoscritto dallo stesso debitore, al fine di evitare la prosecuzione dell'azione esecutiva immobiliare; - l'immobile oggetto di pignoramento risulta ricevuto dal (...) per successione ed esso stesso ha effettuato la trascrizione del "(...) di denunciata successione" sull'immobile oggetto di pignoramento; - l'(...) non ha mai proceduto a trascrivere accettazione espressa di eredità su tale immobile ove ha trasferito la propria residenza ed ha compiuto una serie di atti che presuppongono necessariamente la sua volontà di accettare l'eredità e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede; Rassegnava le seguenti conclusioni: "(...) l'On.le Tribunale adito, previa ogni più utile declaratoria del caso o di legge, ogni diversa e contraria istanza ed eccezione disattesa anche in via istruttoria ed incidentale: accertare e dichiarare che il convenuto, (...) ha accettato tacitamente l'eredità del decuius (...) autorizzando la trascrizione del provvedimento sul pubblico registro immobiliare; - in ogni caso, con condanna del convenuto alla refusione delle spese ed onorari del presente giudizio". Nessuno si costituiva per il resistente ritualmente evocato in giudizio, di talché ne veniva dichiarata la contumacia e, dopo la trattazione ed in assenza di istruttoria orale, essendo la controversia di natura documentale, in data (...), veniva riservata la decisione. Orbene, il ricorrente domandava l'accertamento dell'intervenuta accettazione tacita dell'eredità del defunto padre (...) da parte di (...) Ai sensi dell'art. 476 cc l'accettazione tacita dell'eredità postula la ricorrenza di due condizioni, ossia, il porre in essere un atto che necessariamente presuppone la volontà di accettare e la qualificazione di siffatto atto, cioè che al compimento di esso non sia legittimato nessuno se non chi abbia la qualità di erede. Da ciò discende che deve verificarsi se esso stesso abbia accettato tacitamente l'eredità compiendo un atto che -oggettivamente considerato - postula, per sua intrinseca natura, l'acquisto dell'eredità, non traducendosi in un mero esercizio di amministrazione ordinaria e conservazione dei beni ereditari. Dalla nota di trascrizione prodotta dal ricorrente emerge che il resistente, nella qualità di chiamato all'eredità, in quanto figlio, ha trascritto la denuncia di successione nei confronti del de cuius (...) in relazione ai beni immobili siti in (...) del (...) distinti al N.C.E.U. di detto Comune al (...) 15 particella 647 subalterno 13 e 15. Al riguardo, la dichiarazione di successione, pur essendo un elemento con valore indiziario, necessita di ulteriore corredo probatorio al fine di dimostrare l'appartenenza di determinati beni al patrimonio ereditario, in assenza del quale non può considerarsi sufficientemente provata la sussistenza del diritto (cfr. Cassazione civile sez. II, 05/03/2024, n.5876). In primo luogo, nel caso di specie, dalla visura catastale relativa agli immobili oggetto di causa risulta che gli stessi, già intestati al defunto sono stati - in seguito al di lui decesso intestati pro quota a (...) e (...) in qualità di coniuge e figli del precedente intestatario. Già da tale elemento ben potrebbe desumersi l'accettazione tacita dell'eredità rappresentando questo, al contrario della denuncia di successione, non solo un adempimento di natura tributaria, ma un atto avente valore anche in sede civilistica. Sul punto, infatti, la Corte di Cassazione, con orientamento consolidato, ha a più riprese chiarito che l'accettazione tacita di eredità ex art. 476 c.c. ben può essere desunta dalla voltura catastale dei beni immobili appartenuti al de cuius, trattandosi di atto rilevante non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell'imposta, ma anche dal punto di vista civile, per l'accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi, in quanto soltanto chi intende accettare l'eredità assume l'onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio di proprietà dal de cuius a se stesso (cfr. Cass. 5226/2002, succ. conf. Cass. 10796/2009; Cass. 11478/2021). A tali considerazioni occorre aggiungere che è stato, altresì, prodotto il certificato di residenza del resistente contumace, da cui risulta che esso stesso risiede nell' immobile sito in (...) del (...) 1 rientrante nel patrimonio del de cuius. Da ultimo, ad abundantiam, non può sottacersi che (...) rappresentato e difeso dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) si è costituito nella procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto gli immobili sopra individuati, resistendo alla avversa pretesa senza che risulti aver dedotto un difetto di titolarità ma anzi, di converso, concludendo un accordo transattivo (allegato 4 all'atto di citazione) di cui ha dato atto anche il GE nel provvedimento del 23.6.23 in atti. Al riguardo, è indubbio che, in tal modo, il resistente ha senz'altro compito atti integranti l'esercizio di prerogative che sarebbero spettate ai soli eredi poiché, diversamente, non avrebbe avuto alcun titolo per stare in giudizio nel procedimento esecutivo n. 89/21. Sul punto, infatti, deve ritenersi che la partecipazione del chiamato ad un giudizio concernente beni del de cuius (cfr. Cass., 08/06/2007, 13384) sia un comportamento non altrimenti giustificabile se non con la veste di erede (cfr. Cass., 1183/2017). Pertanto, deve ritenersi, nel silenzio del resistente rimasto contumace - che sia intervenuta l'accettazione tacita dell'eredità di (...) atteso che (...) ha esplicato un'attività personale tale da presupporre la volontà di accettare l'eredità, estrinsecatasi mediante iniziative che non rivestono i caratteri e le finalità degli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall'articolo 460 del Cc, ma, travalicando il semplice mantenimento della stato di fatto e di diritto quale esistente al momento dell'apertura della successione che il chiamato non avrebbe avuto il diritto di compiere se non in forza dei propri diritti successori (cfr. in tal senso Cassazione civile sez. II, 18/09/2023, n.26690). Sulla scorta di tali risultanze, il Tribunale ritiene che la domanda formulata dal ricorrente sia fondata e meriti accoglimento, con conseguente accertamento dell'acquisto in capo a (...) della qualità di erede di (...) ex art. 476 cc. Le spese di lite seguono la soccombenza del resistente contumace e si liquidano per le sole fasi di studio, introduttiva e decisionale essendo con quest'ultima sostanzialmente coincisa la fase di trattazione come da dispositivo con riduzione rispetto ai medi stante la non particolare complessità della questione. PQM Il Tribunale di Ascoli Piceno definitivamente pronunciando nel giudizio RG (...)/24 ogni ulteriore domanda ed eccezione assorbita e/o disattesa, così provvede: Accerta e dichiara che (...) è divenuto erede, ex art 476 cc, avendo accettato tacitamente l'eredità di (...) per le ragioni di cui in parte motiva (...) al (...) dei competenti registri immobiliari di provvedere alla trascrizione del presente provvedimento con esonero da qualunque responsabilità; (...) alla refusione delle spese di lite che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed in euro 288,86 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 15% sui compensi ed accessori di legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Sirianni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. r.g. 1338/2023 promossa da: (...), con il patrocinio dell'avv. SA.PA. OPPONENTE contro (...), con il patrocinio dell'avv. LI.FR. e dell'avv. AR.MA. OPPOSTO oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. CONCLUSIONI Per l'opponente: "Voglia il Tribunale adito, disattesa ogni avversa istanza eccezione e deduzione: in via pregiudiziale: - dichiarare l'inesistenza della procura alle liti, con pronuncia sulle spese di lite come esposto nell'atto introduttivo; in via preliminare: - dichiarare la propria incompetenza territoriale a favore del Tribunale di Milano, qui indicato anche ai sensi dell'art. 38 c.p.c.; con condanna al rimborso delle spese legali a carico dell'opposto - dichiarare l'improcedibilità del procedimento monitorio per mancato espletamento di valido tentativo obbligatorio di conciliazione ex Delibera 203/18/Cons - dando atto della nullità del procedimento di conciliazione incardinato innanzi alla Media-Cons di (...) - e per l'effetto revocare il decreto ingiuntivo n. 13/2023, oggetto di opposizione, con condanna al rimborso delle spese legali a carico dell'opposto nel merito: - dichiarare, in via subordinata, comunque infondato ed illegittimo il predetto decreto ingiuntivo procedendo alla sua revoca. Con vittoria di spese e compensi legali.". Per l'opposto: "si riporta alle conclusioni rassegnate nei propri atti e scritti, insistendo per l'accoglimento delle domande avanzate". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 25.9.2023 la (...) proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 1117/2023, emesso dal Tribunale di Ascoli Piceno in favore di (...) per la consegna di "documentazione dei dati di traffico per il periodo dal 03/12/2022 al 16/05/2023 relativi alle comunicazioni telefoniche in uscita e telematiche, con data e ora di inizio della conversazione, numero selezionato in chiaro oppure con le ultime cifre oscurate, tipo di numerazione, località, il tutto in relazione al rapporto contrattuale per la fornitura di servizi di telefonia con utenza 073642573". Eccepiva l'opponente: l'inesistenza dell'avversa procura alle liti, poiché priva dell'autenticazione di firma da parte del legale del ricorrente; l'incompetenza per territorio del giudice adito, essendo competente il Tribunale di Milano tanto in base all'art. 1182 c.c. (ex art. 20 c.p.c.) quanto in base all'art. 19 c.p.c.; l'improcedibilità della domanda essendo stato omesso l'obbligatorio tentativo di conciliazione. Nel merito contestava di aver mai ricevuto l'istanza contenente la richiesta di copia del traffico telefonico e ne contestava comunque la genericità. Chiedeva, quindi, dichiararsi l'incompetenza per territorio e l'improcedibilità del ricorso e, in subordine, la revoca del decreto opposto. Si costituiva (...) sostenendo la competenza dell'adito tribunale in base all'art. 10, c. 1, D.Lgs. 150/2011, essendo la tutela invocata nell'ambito di un rapporto di consumo e prevalendo il foro del consumatore in base all'art. 33, lett. u), D.Lgs. 206/2005. Eccepiva comunque l'incompletezza dell'avversa eccezione d'incompetenza per territorio ed allegava la piena validità della procura rilasciata. Nel merito contestava le avverse difese e concludeva per il rigetto dell'opposizione. Alla prima udienza celebrata dopo il deposito delle memorie integrative - nelle quali l'opposto dava atto di aver medio tempore esperito il tentativo di conciliazione davanti al (...) e a cui l'opposto replicava eccependo l'incompetenza di detto organismo poiché avente sede ad (...) - le parti chiedevano fissarsi udienza per la decisione della causa. Venivano, dunque, assegnati alle parti i termini di cui all'art. 189 c.p.c. e all'udienza del 27.6.2024 la causa veniva trattenuta in decisione. Dev'essere disattesa l'eccezione di inesistenza della procura alle liti rilasciata dall'opposto. Il vizio della procura originariamente allegata al ricorso monitorio (che recava la firma analogica del cliente ma non la firma per autentica del difensore, bensì solo quella digitale di conformità) è stato spontaneamente sanato con la produzione (in allegato alla comparsa di costituzione) di procura munita della firma digitale del difensore per autentica (oltre che di quella di conformità) del 21.7.2023 (data antecedente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo), con piena sanatoria ex art. 182, c. 2, c.p.c. Quanto alla pregiudiziale eccezione d'incompetenza, deve osservarsi che, per orientamento pacifico di legittimità, quando il foro previsto dall'art. 10 del D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150, in materia di trattamento dei dati personali nei confronti del titolare del trattamento, venga invocato nell'ambito di un rapporto di consumo, come tale soggetto al foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore, fissato dall'art. 33, comma 2, lettera u), del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, quest'ultimo prevale, in quanto stabilisce una competenza esclusiva, alla luce delle esigenze di tutela, anche sul terreno processuale, che sono alla base dello statuto del consumatore (cfr. Cass. ordinanza n. 5707/2014, Cass. ordinanza n. 2687/2016). Nel caso di specie è documentato (all. 1.1 alla comparsa di costituzione) e comunque non contestato che la richiesta di trattamento dei dati personali si colloca nell'ambito di un contratto di utenza telefonica ed internet stipulato dalla persona fisica (...) con (...). Il (...) è residente ad Ascoli Piceno, luogo indicato nel contratto stesso quale luogo di esecuzione della fornitura, e, pertanto, l'adito Tribunale risulta territorialmente competente in via esclusiva. E' stata, poi, eccepita l'improcedibilità per mancanza del tentativo di conciliazione obbligatoria e comunque per incompetenza territoriale dell'organismo adito dall'opposto. Al riguardo deve, in primo luogo, osservarsi che in tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazione e gli utenti, il mancato previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 1 della l. n. 249 del 1997 per poter introdurre una controversia in materia di telecomunicazioni, dà luogo alla improcedibilità e non alla improponibilità della domanda; ne consegue che, ove difetti tale adempimento, il giudizio debba essere sospeso con concessione di un termine per svolgere il tentativo di conciliazione e prosegua all'esito di esso, non potendosi definire, come nell'ipotesi dell'improponibilità, con una pronuncia in rito così Cass. SS.UU. sentenza n. 8241/2020). Il citato art. 1 stabilisce, al comma 11, che l'Autorità garante disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie, e che per tali controversie non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione. Con delibera 203/18/CONS l'Autorità garante ha adottato, all'allegato A, il "Regolamento sulle procedure di risoluzione delle controversie tra utenti e operatori di comunicazioni elettroniche". Tale regolamento indica, all'art. 3, gli organismi davanti ai quali può essere svolto il tentativo obbligatorio di conciliazione (Corecom competente, organismi di negoziazione paritetica iscritti nell'elenco di cui alla delibera n. 661/15/CONS, organismi ADR iscritti nell'elenco di cui alla delibera n. 661/15/CONS, camere di conciliazione istituite presso le Camere di commercio) e al c. 3 stabilisce che "Per determinare il CORECOM territorialmente competente per lo svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione si ha riguardo al luogo in cui è ubicata la postazione fissa a uso dell'utente; per le altre tipologie di utenza o in caso di controversie relative a utenze ubicate in regioni diverse si ha riguardo al domicilio indicato dall'utente al momento della conclusione del contratto o, in mancanza, alla residenza o sede legale dell'utente.". Detto comma 3, dunque, detta le regole di competenza solo per il caso che adito sia un Corecom e non, invece, un organismo di tipo diverso. Per gli organismi (...) dunque, non pare sussistere alcun vincolo territoriale, come confermato anche dalla nota trasmessa dall'AGCOM in data 27.7.2022 (v. doc. allegato alla memoria ex art. 171 ter, n. 2, c.p.c. di parte opposta, documento in alcun modo contestato dall'opponente). Nel caso di specie l'opposta ha allegato copia della domanda di conciliazione presentata davanti all'organismo (...). Con sede ad Alcamo (TP) (autorizzazione AGCOM n. 3/21/ADR del 15.4.2021) e copia del verbale, da questo redatto, nel quale si dà atto dell'esito negativo del tentativo di conciliazione poiché "dalla parte invitata perveniva in data 25.01.2024 comunicazione di non adesione alla procedura telematica medesima". Tanto basta a ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità. Nel merito, la domanda di consegna della documentazione sottesa al ricorso monitorio appare fondata. Il (...) ha, infatti, domandato copia della documentazione dei dati di traffico per il periodo dal 03/12/2022 al 16/05/2023 relativi alle comunicazioni telefoniche in uscita e telematiche, con data e ora di inizio della conversazione, numero selezionato in chiaro oppure con le ultime cifre oscurate, tipo di numerazione, località, in relazione alla propria utenza telefonica fissa, richiesta che appare sufficientemente specifica e circostanziata. Il tutto solo a seguito di previa istanza stragiudiziale regolarmente ricevuta da (...) in data 15.6.2023 (v. ricevuta di consegna della pec, doc. 5.1 allegato al ricorso monitorio), ed inviata dall'avv. De. per conto dell'avv. Li. (al quale il (...) aveva rilasciato regolare mandato, del pari allegato nella pec in questione). Il decreto ingiuntivo opposto dev'essere, dunque, confermato e dichiarato esecutivo. Le spese di giudizio seguono il principio della soccombenza e devono essere distratte in favore dei procuratori dell'opposto, dichiaratisi antistatari nella misura del 50% ciascuno. Non si rinvengono i presupposti per la condanna dell'opponente ai sensi dell'art. 96, c. 3, c.p.c. (richiesta dall'opposto), essendo l'opposizione originariamente fondata per alcuni profili poi sanati dall'opposto solo in corso di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale così dispone: Rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1117/2023, che conferma e dichiara esecutivo; condanna l'opponente al pagamento, in favore dell'opposto, delle spese di giudizio, che si liquidano in Euro 5.077,00 per compensi, oltre il 15% per rimborso spese forfettarie, i.v.a. e c.p.a.; dispone la distrazione delle relative somme in favore dei difensori dell'opposto dichiaratisi antistatari in ragione del 50% ciascuno. Ascoli Piceno, 1 luglio 2024.
TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO Il Tribunale di Ascoli Piceno, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati: Dott. Luigi Cirillo - Pres. Dott.ssa Rita De Angelis - Giudice Rel. Dott.ssa Enza Foti - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento introdotto con ricorso depositato ai sensi dell'art. 473 bis e s.s. c.p.c.;,L. n. 164 del 1982 da J.V. (C.F.:(...)) nata a N. il (...) e residente ad A. P. in L. dei G. n.3, rappresentata e difesa dall'avv. ...del Foro di Roma ed elettivamente domiciliata nel suo studio, in Roma alla via ... RICORRENTE Nei confronti di PM presso il Tribunale di Ascoli Piceno, Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con il sopra indicato ricorso, J.V., premesso: -che fin dall'infanzia aveva sempre manifestato una sua natura psicologica e comportamentale tipicamente maschile pur essendo un individuo di sesso biologico femminile; -che, al fine di adeguare l'aspetto fisico alla sua psiche, aveva ormai da tempo assunto l'aspetto e gli atteggiamenti di un uomo; -che, sentendo soggettivamente propria l'identità sessuale maschile, viveva con sofferenza la propria condizione con notevoli problemi nell'integrazione sociale; -che aveva interesse ad essere autorizzata ad un trattamento chirurgico al fine di adeguare i propri caratteri sessuali a quelli maschili e che, a tal fine, aveva già da tempo preso contatti con l'Azienda O.U. "F.I." di N.; -che gli esperti della predetta struttura avevano stilato un'esaustiva relazione psicosessuale attestante la condizione di disforia di genere (DIG), più comunemente noto come transessualismo nella sua persona; -che, anche grazie alla somministrazione di una terapia ormonale virilizzante, aveva già assunto l'aspetto esteriore di un uomo; -che, al fine di evitare la frustrante condizione nella quale un soggetto, ormai di aspetto totalmente maschile, si trova a vivere nella propria quotidianità, aveva motivo di chiedere al Tribunale, contestualmente all'autorizzazione a procedere con intervento chirurgico, la pronuncia dell'ordine di rettifica del sesso e del nome chiedeva al Tribunale di autorizzarla a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l'adeguamento dei suoi caratteri sessuali a quelli maschili; contestualmente, stante lo stato di avanzata virilizzazione raggiunto, di ordinare all'Ufficiale di Stato civile di Napoli di effettuare la rettificazione nel relativo registro mediante l'indicazione del nuovo sesso e nome, specificando che intendeva sostituire il proprio prenome J. con J.. In data 05 Settembre 2023, il ricorso e il decreto di fissazione di udienza venivano notificati al PM presso il Tribunale di Ascoli Piceno. All'udienza del 09/11/2023, innanzi al Giudice istruttore, la parte ricorrente, peraltro accompagnata dai suoi genitori, ribadiva la sua volontà di sottoporsi al sopra indicato intervento chirurgico per il mutamento di sesso e di ottenere la rettifica delle risultanze dei registri di stato civile. Si procedeva, quindi alla discussione orale della causa; la difesa della ricorrente insisteva nell'accoglimento del ricorso, rinunciando ai termini per il deposito delle memorie; la causa veniva, pertanto, rimessa al Collegio per la decisione. Il data 14/11/23, il PM, al quale, peraltro, come detto il ricorso era stato ritualmente notificato, apponeva il "visto". Ritiene il Collegio che la domanda sia fondata e che vada accolta. Dalle relazioni dell'UOS di endocrinologia pediatrica dell'Azienda O.U. F.I. di N. allegate al ricorso, risulta che parte attrice si è sottoposta ad un percorso di valutazione psicodiagnostica dal 28/01/2020 al 01/06/2021 presso il consultorio InConTra (consultorio per le persone Trans e con identità non binarie) dell'UOC Assistenza Consultoriale Medicina di genere dell'A.N. 3 sud, per approfondire e valutare la presenza di tratti temperamentali tipici del carattere sessuale maschile. Nella relazione si legge che "il percorso psicologico ha consentito di porre la diagnosi di disforia di genere, ovverosia una condizione di profondo disagio derivato dalla discordanza tra le caratteristiche anatomiche del proprio sesso femminile e il vissuto soggettivo di appartenenza al genere sessuale maschile. Tale condizione ha condotto l'utente ad assumere nel tempo un ruolo di genere maschile, con relativo cambio del nome da femminile al maschile e a intraprendere, dal mese di ottobre 2021, una specifica terapia ormonale ad azione mascolinizzazione presso l'UOS di endocrinologia pediatrica di questa Azienda.... I colloqui psicologici effettuati dopo l'inizio della terapia ormonale hanno consentito di riscontrare l'emergere, da parte di J., del desiderio di proseguire il percorso di transizione al genere vissuto come proprio (maschile) attraverso idonei interventi chirurgici e la modifica dei dati anagrafici. E' importante sottolineare che per J. tali interventi abbiano esclusivamente valenza estetica, essendo volti a migliorare l'immagine corporea ai propri vissuti di appartenenza di genere, essendo comunque presente il raggiungimento di un adeguato equilibrio psicofisico.... Infatti, in base agli elementi riferiti dall'utente e a quanto osservato nel corso dei colloqui, è stato possibile rilevare la presenza, nel soggetto, da più di sei mesi, di un vissuto di appartenenza al genere sessuale maschile e di un'espressione di questo sia sul piano comportamentale sia in quello intersoggettivo. L'incongruenza tra il genere sessuale esperito e il genere sessuale assegnato alla nascita appare al momento marcata. Si osserva una divergenza tra il genere sessuale vissuto e i caratteri sessuali primari, un forte desiderio di disfarsi dei caratteri sessuali primari e secondari, in ragione della suddetta marcata incongruenza con il genere esperito, ed un forte desiderio di appropriazione dei caratteri secondari propri del genere maschile. In generale, il desiderio di appartenenza all'altro genere, quello di essere trattato come un membro del genere maschile e il convincimento di avere sentimenti e reazioni tipiche di un soggetto di genere sessuale maschile appaiono, allo stato, marcatamente evidenti. Viene negata la presenza di condizioni fisiche di intersessualità. Il complesso dei sintomi e dei segni rilevati depongono, pertanto, per una diagnosi di disforia di genere in soggetto biologicamente femmina in fase di post- transizione e in assenza di condizioni fisiche di intersessualità. Oltre a ciò, nel percorso di valutazione psicologica effettuato è stato possibile rilevare quanto segue. L'utente ha manifestato nel complesso un atteggiamento collaborativo rispetto al lavoro di esplorazione delle proprie questioni di genere. Nel corso dei colloqui è stato possibile seguire un processo esplorativo nel quale si è mostrato disponibile alla ricostruzione dei principali snodi biografici connessi allo sviluppo e al manifestarsi della propria condizione, nonché aperto ad una riflessione sui propri schemi mentali cognitivo- affettivi e sulle modalità di accesso e di gestione delle relazioni interpersonali. Il comportamento è apparso sintonico e adeguato alla situazione. Non si sono rilevati i disturbi quantitativi e qualitativi dello stato di coscienza: l'utente è apparso sempre orientato nei parametri spazio- temporali e riguardo alla propria e all'altrui persona. Non sono stati rilevati, né riferiti, segni o sintomi rinvianti alla possibile presenza di disturbi della percezione, così come di disturbi del corso e del contenuto del pensiero. Non sono state rilevate, allo stato, alterazioni del tono dell'umore. Le capacità intellettive appaiono pienamente adeguate all'età e al livello culturale, non evidenziandosi disturbi specifici della sfera cognitiva. Non vengono rilevati segni, né vengono descritti i sintomi potenzialmente rinvianti ad un franco disturbo di personalità". Come si è già accennato, all'udienza del 9/11/23, la V., esaminata dal Giudice istruttore in merito alle motivazioni profonde delle sue istanze e, in coerenza con quanto già rilevato dall'UOS di Endocrinologia Pediatrica suddetto, dichiarava: "Da quando ero piccolo ho sempre sentito di non voler essere una donna; mi chiamavano maschiaccio; non sapevo cosa fosse questa sensazione, ma poi ho cominciato a documentarmi e a chiedermi cosa potessi fare per stare meglio con me stesso. Quando ho avuto il menarca, ho pianto; mi danno fastidio le mammelle e ritengo di dovermi sottoporre senz'altro all'intervento di mastectomia. In seguito, intendo anche sottopormi al ciclo di interventi per la costituzione dei genitali maschili esterni. Assumo ormoni dall'età di 17 anni, con il consenso dei miei genitori. Sono stato seguito presso un centro a N., A. 3: pertanto, sono consapevole della complessità degli interventi e del loro esito. Durante questo percorso sono state approfondite anche a livello psicologico le motivazioni che mi spingono a questa decisione". Effettivamente, sia negli atteggiamenti, sia nel suo apparire, la ricorrente manifestava l'appartenenza al genere maschile e gli effetti dell'assunzione degli ormoni maschili erano particolarmente evidenti nei caratteri sessuali secondari. Nella già menzionata relazione dell'UOS di Endocrinologia Pediatrica, posta la "diagnosi di disforia di genere in soggetto femmina adulto, in fase di post transizione e in assenza di un disordine della differenziazione sessuale, si dava atto di aver riscontrato il pieno raggiungimento, allo stato, dell'equilibrio tra soma e psiche e della piena consapevolezza espressa dal soggetto della definitività e della irreversibilità della scelta di modifica dei propri dati anagrafici"; a fronte di tali accertamenti, tale modifica veniva indicata "suggerimento terapeutico", "per la risoluzione della discordanza ad oggi esistente tra la propria identità di genere maschile e i propri dati anagrafici .. e per garantire un sostanziale miglioramento delle condizioni psicologiche e sociali dell'interessato"; si rilevava, inoltre, che "la risoluzione della discordanza ad oggi esistente tra la propria identità di genere maschile e i propri dati anagrafici, potrebbe consentire all'utente di ridurre in maniera sostanziale quei vissuti di disagio anche marcati che, suo dire, verrebbero ad essere oggi elicitati da quei contesti e da quelle situazioni in cui debba esibire i propri documenti di identità... Sulla base del profilo di personalità dell'interessato, inoltre, si ritiene che gli interventi chirurgici cui egli intende sottoporsi, aventi esclusivamente una motivazione di ordine estetico, possano anch'essi contribuire sensibilmente al miglioramento del proprio benessere psicologico e della qualità della vita" Nel corso del colloquio con il Giudice istruttore, la parte ricorrente, alla quale veniva rammentata l'invasività e, l'irreversibilità della decisione quanto agli interventi chirurgici ai quali aveva intenzione di sottoporsi, dimostrava di essere pienamente informata e ribadiva la propria determinazione. La Corte di Cassazione nella sentenza n. 15138/15 ha stabilito che "Alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della CEDU, dell'art. 1 della L. n. 164 del 1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31 comma 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011, per ottenere le rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale". Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale n. 221/15: "Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione - come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico". Si può pertanto ritenere che, dell'art. 31 co. 4 cit. L. n. 150 del 2011, possa essere interpretato nel senso che la necessità dell'intervento chirurgico debba essere intesa esclusivamente in funzione del benessere psicofisico dell'interessato, il quale può ottenere dal Tribunale l'autorizzazione all'intervento allorché sia accertato - come nel caso di specie, in base alle conclusioni della relazione psichiatrica e psicologica agli atti e alla dichiarazioni rese dalla parte attrice al GI - che l'intervento possa "consentire all'utente di ridurre in maniera sostanziale quei vissuti di disagio anche marcati che, suo dire, verrebbero ad essere oggi elicitati da quei contesti e da quelle situazioni in cui debba esibire i propri documenti di identità", come si legge nella parte della relazione sopra riportata. Come ha posto in evidenza la parte ricorrente, vari Tribunali hanno affermato che, contestualmente all'autorizzazione a procedere con l'intervento chirurgico, la rettificazione anagrafica deve essere considerata come "importante strumento di tutela dell'identità avvertita e vissuta dall'interessato" soprattutto nei casi in cui, come nel caso di specie, "è evidente, anche a prescindere dall'intervento chirurgico, la stabilità del conseguimento dell'identità maschile, frutto di una decisione irreversibile e comprovata dalla terapia ormonale cui si è sottoposta (la parte) e che l'ha profondamente trasformata anche nel soma. Con conseguenze sul piano dell'identità sociale finanche maggiori rispetto a quelle che deriverebbero dalla modifica somatica dei genitali esterni" (Tribunale di Roma sent. n. 7670/2022 pubbl. il 17/05/2022). P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in accoglimento della domanda, così provvede: - autorizza V.J., nata a N. il (...), a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l'adeguamento dei suoi attuali caratteri sessuali a quelli maschili; - ordina all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Napoli, presso il quale è stato compilato l'atto di nascita, di effettuare la rettifica nel relativo registro con l'indicazione del nuovo sesso, da quello attualmente femminile a quello maschile, e del nuovo nome, J.V. in luogo di J.V.. Così deciso ad Ascoli Piceno, nella Camera di Consiglio del 15 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 16 gennaio 2024.
TRIBUNALE di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Sirianni ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado iscritta al n. r.g. .../2021 promossa da: I.M. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv..., elettivamente domiciliato in Ascoli Piceno, Piazza ...presso il difensore APPELLANTE contro PREFETTURA - UTG DI ASCOLI PICENO (C.F. (...)), con il patrocinio dell'AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO DI ANCONA, elettivamente domiciliato in CORSO MAZZINI n. 55, ANCONA, presso il difensore APPELLATO oggetto: appello su opposizione a verbale di accertamento di infrazioni al codice della strada. Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con ricorso depositato in data 23.6.2021 e notificato insieme al decreto di fissazione dell'udienza, I.M. proponeva appello alla sentenza del Giudice di Pace di Ascoli Piceno n. 289/2020. Tale sentenza aveva rigettato l'opposizione, proposta dal M., al verbale di contravvenzione n. (...) elevato il 6.12.2019 dalla Polizia stradale di S. B. del T. per violazione dell'art. 116/15-17 C.d.S. perché "in qualità di educatore del minore T.M....attualmente affidato alla comunità educativa per minori "L."...con provvedimento...emesso dal dipartimento della giustizia minorile di Ancona in data 17.09.2019, consentiva al T. di circolare alla guida del predetto ciclomotore, risultato essere compendio di furto, senza essere in possesso della patente di guida perché mai conseguita". L'appellante impugnava la sentenza nelle seguenti parti e per i seguenti motivi: 1) nella parte in cui aveva erroneamente individuato il soggetto "tenuto alla sorveglianza dell'incapace" ex art. 2, c. 2, L. n. 689 del 1981 nel M., semplice educatore nella Cooperativa "L. 2001", anziché proprio in quest'ultima, presso la quale il minore era, peraltro, semplicemente collocato - con persistenza, dunque, della responsabilità genitoriale - e non affidato; 2) nella parte in cui aveva addebitato comunque la sanzione al M. nonostante questi avesse fornito la prova contraria prescritta dall'art. 2 L. n. 689 del 1981, avendo i testimoni dichiarato che il T. godeva di spazi di autonomia - peraltro in conformità al provvedimento del Dipartimento per la Giustizia minorile - durante i quali poteva uscire autonomamente dalla Comunità, e si serviva per gli spostamenti dei mezzi pubblici e non del motorino in questione. Chiedeva, dunque, in riforma della sentenza di prime cure, la revoca dell'opposto verbale. Si costituiva la Prefettura - UTG chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, anche considerato che: l'appellante non era stato sanzionato quale autore materiale del fatto bensì per la constatata violazione del dovere di vigilanza su di lui incombente quale educatore ed addetto alla sorveglianza del minore, in ossequio peraltro al principio espresso da Cass. n. 17189/2008; nel programma di messa alla prova era previsto che, nell'ambito degli spazi di autonomia concordati, il comportamento del minore al di fuori del contesto comunitario doveva essere monitorato, e il provvedimento d'inserimento in Comunità disponeva di acquisire l'autorizzazione della competente autorità giudiziaria per le uscite dalla Comunità del minore stesso. Fissata l'udienza per la discussione e decisione della causa, questa subiva due successivi rinvii. In data 26.5.2023 il procedimento veniva assegnato all'attuale giudice, che fissava il termine del 11.1.2024 per il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. per la discussione e decisione ex art. 281 sexies c.p.c. Entro il termine perentorio assegnato ha depositato le proprie note scritte l'avv. (...) per l'appellante, mentre nulla perveniva per l'appellato da parte dell'Avvocatura dello Stato. Il Giudice dà atto che la discussione orale è sostituita dalle note di trattazione scritta depositate e dalle memorie conclusionali precedentemente concesse e pronuncia sentenza ex art. 281-sexies c.p.c. Il primo motivo di appello non appare fondato. Come, infatti, si legge nel verbale opposto, il sig. M. è stato sanzionato - ex art. 2, c. 2, L. n. 689 del 1981 - in quanto soggetto tenuto, proprio nella sua qualità di educatore della Cooperativa, alla sorveglianza del minore al momento del fatto. Ciò anche in ossequio al principio di diritto enunciato da Cass. sentenza n. 17189/2008, secondo cui in caso di violazione amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, della stessa risponde, a norma dell'art. 2 della L. n. 689 del 1981, applicabile anche agli illeciti amministrativi previsti dal codice della strada ex art. 194, colui che era tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Ne consegue che, in caso di violazione commessa da minore, fermo l'obbligo di redazione immediata del relativo verbale di accertamento, la contestazione della violazione deve avvenire nei confronti dei soggetti tenuti alla sorveglianza del minore con la redazione di apposito verbale di contestazione nei loro confronti, nel quale deve essere enunciato il rapporto intercorrente con il minore che ne imponeva la sorveglianza al momento del fatto e la specifica attribuzione ad essi della responsabilità per l'illecito amministrativo. Nessun rilievo ha, in questo quadro, il fatto che il minore fosse affidato o più semplicemente collocato (con persistenza della responsabilità genitoriale) nella struttura comunitaria, posto che il soggetto concretamente tenuto alla sorveglianza al momento del fatto era appunto il M. quale educatore (circostanza, peraltro, mai contestata nei due gradi di giudizio). Anche il secondo motivo di appello non risulta fondato, non avendo il M. fornito una sufficiente prova dell'impossibilità di impedire il fatto (come prescritto dal comma 2 dell'art. 2 L. n. 681 del 1981 citata). Infatti, nel provvedimento del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità che disponeva - facendo seguito a specifico provvedimento dell'autorità giudiziaria - l'inserimento del minore nella Comunità ex art. 28 D.P.R. n. 448 del 1988, era espressamente previsto che la Comunità avrebbe dovuto acquisire le autorizzazioni della competente autorità giudiziaria "se necessarie" per le uscite del minore dalla stessa, nonché segnalare tempestivamente l'eventuale allontanamento del giovane dalla Comunità. Inoltre, è certamente vero che nella relazione del Servizio Sociale contenente la proposta di messa alla prova era previsto che il ragazzo potesse godere di spazi di autonomia personale, conformemente al regolamento della Comunità che consente delle uscite in autonomia per raggiungere i luoghi ove si trovano le attività previste dal progetto di messa alla prova e frequentare la propria rete amicale; tuttavia è ivi stesso precisato anche che tali "spazi di autonomia permetteranno di monitorare il comportamento del ragazzo anche a di fuori del contesto comunitario". Difronte a tale quadro di obblighi gravanti sulla struttura - e dunque necessariamente sui suoi concreti operatori - giustamente il giudice di prime cure ha valutato come eccessivamente generica fosse stata la prova contraria offerta dall'opponente. I testimoni sentiti, infatti, hanno genericamente dichiarato che il T. godeva dei suoi spazi di autonomia, di non averlo mai visto utilizzare il motorino in questione, e che i ragazzi si spostavano dalla Comunità servendosi di mezzi pubblici. Indimostrato, tuttavia, è rimasto se nel caso concreto si trattasse di un'uscita dalla Comunità prevista dal programma di messa alla prova, o se, invece, essa necessitasse di autorizzazione dell'autorità giudiziaria e se questa fosse stata richiesta, né se comunque fosse stato esercitato da parte dell'educatore un qualche tipo di controllo almeno preventivo sull'uscita che il T. si apprestava ad effettuare (con chi usciva, dove andava, ecc.). Generica è, poi, l'allegazione (pag. 7 atto di appello) secondo cui la Comunità aveva molteplici ragazzi affidati (dal registro del giorno della sanzione ne risultavano 12 compreso il T.), non essendo in alcun modo dimostrato, né allegato con riferimento a specifici elementi di fatto, che ciò abbia concretamente influito sulla possibilità di esercitare una efficace sorveglianza al momento del fatto. L'appello dev'essere, in conclusione, rigettato. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate con esclusione della fase di trattazione/istruttoria, considerata la limitata attività svolta, e con riduzione rispetto al valore medio della fase decisionale (considerato il mancato deposito degli scritti finali da pare dell'appellato). Si dà atto, inoltre, essendo l'impugnazione stata rigettata, della sussistenza delle condizioni di cui all'art. 13 c. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, con la conseguenza che l'appellante è tenuto "a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ... di cui al comma 1 bis" del medesimo articolo. P.Q.M. Il Tribunale così dispone: rigetta l'appello proposto e conferma la sentenza impugnata; condanna l'appellante al pagamento, in favore dell'appellato, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in Euro 1.500,00 per compensi, oltre il 15 % per rimborso spese forfettarie, i.v.a. e c.p.a. dà atto che nel caso di specie ricorrono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 per il pagamento del doppio contributo unificato, essendo l'impugnazione stata rigettata. Così deciso in Ascoli Piceno, il 12 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Paola Mariani a scioglimento della riserva assunta alla udienza del (...) che si teneva in modalità telematica con sostituzione di udienza con note, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 468/2022 promossa da: (...) con domicilio eletto in (...) presso lo studio del difensore (...) OPPOSTA contro (...) con l'avv. (...) con domicilio eletto presso lo studio del difensore in (...) CONDUTTORE (...) OPPONENTE OGGETTO: Opposizione a convalida di sfratto per morosità uso abitativo/ Risoluzione del contratto di locazione per inadempimento CONCLUSIONI: Le parti hanno concluso come da udienza di precisazione delle conclusioni del (...) che si teneva in modalità telematica ex 127 ter c.p.c. con sostituzione di note ad udienza. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di intimazione di sfratto per morosità le sigg.re (...) intimavano lo sfratto per morosità nei confronti degli odierni opponenti per il mancato pagamento dei canoni locatizi relativamente all'immobile sito in (...) alla (...), maturati nell'intero anno Dt_2, oltre al mese di (...), per un importo complessivo pari a 5.590,00 (13 x 430,00=5.590,00), in virtù di un contratto di locazione 4 + 4 divenuto tale successivamente alla scadenza dell'ultimo di tre contratti ad uso transitorio succedutisi fra le medesime parti dal 2015 al 2018. Con provvedimento steso in calce al verbale di udienza del (...), all'esito del procedimento per la convalida dello sfratto, il Giudice, preso atto che i conduttori si costituivano regolarmente in giudizio e si opponevano alla convalida di sfratto per morosità, espressamente " rilevato che sussistano i requisiti ed i presupposti per l'emissione del provvedimento ex art.665 c.p.c. richiesto dalla parte intimante tenuto conto che in ogni caso sia venuto definitivamente meno il rapporto di buona fede e correttezza contrattuale fra le parti per cui il rapporto contrattuale, qualsiasi sia la definizione giuridica, non possa proseguirsi anche tenuto conto del dato di fatto che da quasi due anni i resistenti abbiano la detenzione dell'immobile senza versare alcuna somma a titolo di corrispettivo, con ciò negando di funzione economica e dunque di causa, qualsiasi rapporto contrattuale fra di esse esistente; ORDINA il rilascio da parte intimata dell'immobile meglio descritto in atto di citazione, riservando al prosieguo del giudizio l'esame delle eccezioni tutte sia di merito che di rito sollevate dal conduttore opponente anche in punto di procedibilità della intimazione di sfratto che, tenuto conto delle ragioni del proprietario sulla validità della scelta del rito, dovranno essere decise con sentenza ed all'esito della opposizione. FISSA LA DATA DELL'ESECUZIONE AL (...) tenuto conto che trattasi di una abitazione familiare entro cui l'immobile essere riconsegnato libero e vuoto da persone e cose ai proprietari aventi diritto. DISPONE ai sensi e per gli effetti degli artt.667 e 426 c.p.c. il mutamento del rito. MANDA le parti alla procedura di mediazione obbligatoria da iniziarsi entro giorni 15 dalla data odierna a cura di parte conduttore opponente "....e fissa l'udienza del (...) in sede di prima comparizione parti nel giudizio di opposizione con termine fino a 10 giorni prima per il deposito di memorie integrative. Le parti si costituivano tempestivamente in giudizio di opposizione a mezzo deposito di memorie integrative ed alla udienza del (...) di rinvio per pendenza di mediazione fra le parti, il Giudice "preso atto che nella memoria integrativa parte proprietaria odierna opposta non svolgesse istanze istruttorie, né la conduttrice opponente nella memoria del (...) pure riportandosi alla precedente comparsa di costituzione nella procedura di sfratto, non formalizzava istanze di prova orale, ritenuto in ogni caso che la richiesta di CTU volta alla determinazione del canone sia esplorativa ed in ogni caso irrilevante ai fini del decidere tenuto conto che la determinazione del canone sia contrattuale e la prova del pagamento è onere della parte conduttrice, ritenuta la causa matura per la decisione non necessitandosi di attività istruttoria, fissa per la discussione e dunque per la pronuncia di dispositivo di sentenza tenuto conto della specialità del rito locativo, la nuova udienza del 17.7.2023.". Alla udienza del (...) il Giudice "rinvia sempre in sede di discussione alla nuova udienza del (...) che si terrà in modalità scritta ex art. 127 ter c.p.c. con termine fino al (...) per il deposito di brevissime note di replica alla conclusionale avversaria." Alla udienza di precisazione delle conclusioni e discussione del (...) sostituita da note di trattazione, il Giudice pronunciava dispositivo di sentenza a verbale. Ritiene il Giudice che l'opposizione non sia fondata e vada rigettata, con conseguente pronuncia in via definitiva di risoluzione del contratto di locazione originario fra le parti e con condanna dei conduttori al pagamento dei canoni dovuti e non versati fino al rilascio di (...), come in dispositivo. Sostiene la parte conduttrice opponente che il contratto di locazione originario fra le parti sia nullo per mancata registrazione/comunicazione del rinnovo dell'anno e successivi con cedolare secca ad uso transitorio, così pretendendo la restituzione delle somme pagate in pretesa buona fede dai conduttori dal 2019 per la dedotta nullità del contratto di locazione posto a fondamento della pretesa delle intimanti e delle conseguenze che ne derivano e si opponevano altresì al pagamento del canone di locazione tenuto conto dello stato manutentivo inidoneo dell'immobile che presentava muffe. Ritiene il Giudice che l'eccezione dei conduttori opponenti non siano fondate e vadano rigettate: in particolare il contratto di locazione oggetto di causa veniva originariamente stipulato fra le parti per la durata di 12 mesi per esigenze lavorative come da art.1, ma prevedeva altresì, all'art.2 che con accordo fra le parti, la durata de contratto poteva tramutarsi in 4 + 4 ove espressamente si assume "di comune accordo, il contratto potrà essere perfezionato con la formula quattro più quattro" : è evidente pertanto che le parti avessero già dall'origine previsto e pattuito la possibilità di prolungare la durata del rapporto, senza ulteriore accordo, per essere, detta proroga, già prevista in contratto e di fatto attuata dalle parti per diverse annualità. Di fatto, dalla prima scadenza annuale del contratto, lo stesso è stato è stato prorogato e il rapporto locatizio è rimasto in essere fra le parti che concordemente hanno ritenuto di voler proseguire nella locazione in attuazione di quanto già previsto e pattuito all'art. 2. Che a voler ammettere che il rinnovo del contratto di locazione per le annualità successive all'anno non sia stato registrato presso l'Agenzia delle Entrate, ritiene il Giudice che la parte proprietaria potrà essere sottoposta alla sanzione prevista, ma la mancata registrazione del rinnovo del rapporto locativo non comporti la nullità del contratto, con conseguente possibilità per le proprietarie di intimare lo sfratto stante il mancato pagamento dei canoni di locazione mensili da parte della parte conduttrice e dunque a mezzo la procedura speciale regolarmente intrapresa. L'ordinanza 13870/2023 della Cassazione ha stabilito che il mancato pagamento dell'imposta di registro per le annualità successive alla prima non intacca la validità negoziale del contratto di locazione: il principio enunciato dalla Cassazione nell'ordinanza richiamata è il seguente: "il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma dell'articolo 1, comma 346, della legge 311/2004, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto"." Nel caso di che trattasi non è contestato dalla stessa parte opponente che i contratti transitori siano stati registrati, per cui è evidente alla luce della pronuncia di cui sopra, alcuna nullità della locazione possa essere invocata, incorrendo il proprietario esclusivamente in sanzioni di carattere fiscale per le annualità di mancata registrazione del contratto ancora in essere. Le ulteriori eccezioni della parte conduttrice sulla pretesa riduzione/compensazione del canone di locazione sono totalmente infondate per avere il conduttore detenuto continuativamente per tutta la durata del contratto e fino al rilascio nel (...) la detenzione dell'appartamento, ove ha abitato e ciò tenuto conto che solo la perdita della detenzione totale o parziale, dell'immobile e dunque la mancata disponibilità dello stesso per i fini previsti in contratto, giustifica l'omissione del pagamento del canone per le mensilità relative. Peraltro gli assunti sulle muffe risultano indimostrati specie in punto di provenienza delle stesse, sulla di loro natura o sulla causa. E' pienamente dimostrato, invece, l'inadempimento dei conduttori nel pagamento degli oneri condominiali mensili così come indicati dalla parte proprietaria e peraltro non contestati dai conduttori, che oltre ad eccepire la nullità del contratto per la mancata registrazione dell'intervenuto rinnovo, avevano richiesto la riduzione del canone mensile pure confermando il mancato pagamento del corrispettivo della detenzione per gli anni richiesti dalla parte proprietaria intimante. Si ribadisce che l'accordo delle parti sulla proroga dei termini dell'originario contratto transitorio, abbia posto nel vuoto le contestazioni della parte conduttrice, che ha regolarmente proseguito nella detenzione dell'immobile oggetto di contratto versando peraltro successivamente all'ultima scadenza del contratto registrato della (...), il canone mensile così come previsto in contratto, dimostrando pienamente la propria volontà di proseguire nel contratto, come peraltro già concordato nella ripetuta clausola di cui al punto 2. Risulta in atti che il (...) la parte convenuta abbia provveduto a riconsegnare le chiavi dell'immobile , con ciò ottemperando alla ordinanza di rilascio del Giudice e la questione sollevata dalla parte proprietaria odierna opposta sui danni rinvenuti nell'immobile così come verificato dopo il rientro in possesso dell'appartamento non possono essere oggetto del presente giudizio in quanto trattasi di domanda nuova . Alla luce di tutto quanto sopra espresso pertanto, come in dispositivo, la parte conduttrice deve essere condannata al pagamento della somma richiesta dalla parte proprietaria a titolo di pagamento dei canoni di locazione per le mensilità dovute e non versate fino al rilascio per essere perfettamente valido ed efficace il contratto di locazione fra le parti stante l'intervenuta proroga tacita del contratto transitorio con scadenza al (...), non rilevando, come da pronuncia di cui sopra, la omessa rinnovazione della registrazione ai fini della operatività del contratto fra le parti e per avere il conduttore mantenuto con continuità la detenzione dell'immobile e ciò nonostante la presenza di muffe pure evidenziate in opposizione dal condutture. In via preliminare e rituale rileva ai fini del rigetto della opposizione, che pure avendo la parte opponente presentato la domanda di mediazione obbligatoria, in ogni caso, la relativa procedura non si sia instaurata correttamente stante la mancata partecipazione della parte personalmente in quanto solo uno dei due conduttori era presente unitamente al difensore con ciò non instaurandosi correttamente la procedura: nel giudizio di opposizione a convalida d sfratto, la procedura di mediazione è obbligatoria per cui la mancata instaurazione della mediazione, con la partecipazione necessaria di tutte le parti e dei rispettivi difensori, comporta l'improcedibilità della opposizione, con conseguente improcedibilità della opposizione. Ai sensi dell'art. 12 bis D.Lgs. n. 28/2010 dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione, senza un valido motivo in grado di giustificare tale assenza, il giudice può desumere argomenti di prova, con riflessi inevitabili nel giudizio successivo. La mancata partecipazione della parte alla mediazione, quando è condizione di procedibilità della domanda in giudizio, può condurre, altresì, anche alla condanna al pagamento di una somma che il giudice deve determinare equitativamente nel provvedimento che chiude il giudizio in favore della controparte che ne fa richiesta. Pertanto anche alla luce di tutto quanto sopra esposto la opposizione è improcedibile. Alla soccombenza segue la condanna della opponente alla refusione delle spese sostenute dalla proprietaria sia per la fase di convalida che di opposizione oltre che di mediazione, che si liquidano come in dispositivo tenuto conto della non complessità del presente giudizio, che si è svolto senza espletamento di attività istruttoria orale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: Respinge l'opposizione in quanto indimostrata ed infondata, oltre che improcedibile per mancato espletamento della mediazione obbligatoria quale condizione di procedibilità e per l'effetto dichiara definitivamente risolto fra le parti il contratto di locazione originario; Condanna (...) e (...), in solido fra loro, al pagamento, a favore della parte proprietaria intimante, della complessiva somma di euro 7.740,00 per canoni di locazione dovuti e non versati per tutto l'anno (...) fino al (...) per un totale di 18 mensilità. Condanna i conduttori altresì, in solido fra loro, alla refusione delle spese di lite sostenute dalla parte proprietaria intimante, che si liquidano in Euro 145,50 per spese ed Euro 2.400 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e 15 % per spese generali relativi alla fase di convalida, di mediazione e di opposizione. Ascoli Piceno, (...)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ascoli Piceno Giudice Riccardo Ionta Sentenza pronunciata art. 281 sexies c.p.c., causa n. 81/2020 r.g., udienza del 20 ottobre 2023 Au. s.a.s., Avv. Ma.Ce. parte attrice Sa. s.r.l. Avv. Cr.Sa. parte convenuta Le ragioni della decisione I. È necessario premettere come la presente causa è stata assegnata, provenendo da altro ruolo, nel maggio 2023 in fase decisoria. II. L'accertamento dei fatti rilevanti per la definizione della controversia, che segue, è fondato sulla valutazione delle allegazioni delle parti, concordi per la maggior parte dei fatti, e sulle circostanze non specificatamente contestate. La valutazione del giudizio di accertamento ha come oggetto, in particolare, gli elementi emersi dalla prova documentale. Le fonti di prova non indicate, e quelle non ammesse, sono irrilevanti ai fini della decisione. 1 In data 16 ottobre 2018 l'attrice - società avente ad oggetto principale la fornitura di servizi di autonoleggio - e la convenuta hanno concluso un contratto di affiliazione commerciale (franchising) avente ad oggetto "il diritto di utilizzare il marchio, le parole e gli altri segni distintivi dei C.A.A. (...) con la possibilità di aprire un punto di noleggio con insegna A. situato in A., Via Fr. Fr., 4 - Cap. 60131" (citazione, doc. 2). 2 Secondo l'art. 3.1 del contratto, relativo agli obblighi dell'attrice, "il Fr. non potrà, per tutta la durata del presente contratto, direttamente o indirettamente e in qualsivoglia veste, svolgere attività nel settore del noleggio o possedere partecipazioni dirette o indirette in società esercenti questo tipo di attività, se non previa autorizzazione scritta del Fr.. (...) Il Fr. si obbliga a soddisfare direttamente le prenotazioni di noleggio che verranno raccolte dal Fr. a mezzo di un proprio ufficio prenotazione. Il Fr. avrà l'onere di eseguire, di volta in volta, la verifica sia sull'esistenza dei requisiti del cliente atti alla stipula del contratto di noleggio, quali la validità della patente di guida, carta di credito in corso di validità, non essere iscritti alla black list (...) Il Fr. non avrà nessun potere discrezionale di poter decidere di accettare e/o rifiutare la conclusione della prenotazione salvo nei casi in cui il cliente non soddisfi i requisiti sopra descritti". 1 L'art. 3.8 prevede che "quale corrispettivo per i diritti concessi al Fr. ai termini e condizioni previsti nel presente contratto (...) il Fr. versa al Fr. a titolo di diritto di entrata (fee d'ingresso) la somma di Euro 10.000,00, oltre i.v.a., alla sottoscrizione del presente contratto definitivo di franchising". 1 L'art. 4 del contratto contiene gi obblighi posti in capo alla società convenuta in qualità di Fr., divisi in "corso di formazione iniziale", "riserva dell'area territoriale del Fr.", "assistenza commerciale", "dotazione iniziale" e "corsi di aggiornamento". 2 Secondo l'art. 4a del contratto, "Il Fr. si impegna a fornire un corso iniziale di formazione onde propiziare il migliore inizio dell'attività da parte del Fr., fornendogli le cognizioni di base, i propri schemi operativi, nonché il materiale didattico e formativo ritenuto utile per la conoscenza dell'attività. A tal fine il Fr. provvederà a predisporre appositi percorsi formativi/lavorativi per il titolare e/o i dipendenti del Fr.; questi percorsi formativi verranno predisposti da "Al." presso strutture indicate dallo stesso Fr.". 3 Secondo l'art. 4b "Per tutta la durata del contratto, il Fr. si impegna a non stipulare contratti di affiliazione commerciale relativamente all'area di esclusiva assegnata e riservata al Fr.. L'area assegnata al Fr. per il presente contratto è la città di A. (A.). Per la durata del presente Contratto il Fr. si impegna a non aprire altri C.A.A. nella Zona indicata nell'allegato "B" del presente contratto salvo la deroga di cui di seguito ovvero a non stipulare accordi uguali o similari al presente contratto con altri autonoleggi che siano situati nella predetta Zona. In deroga al diritto di esclusiva le parti convengono che sono escluse da tale diritto, in favore del Fr., le seguenti zone ben determinate: stazioni ferroviarie, aeroporti, porti navali; per le quali, dunque, il Fr. si riserva il diritto di aprire nuovi punti di noleggio con insegna A. anche in proprio". 4 Secondo l'art. 4c del contratto, "Il Fr. metterà a disposizione e comunicherà al Fr. i propri metodi o le proprie tecniche di noleggio, promozione e commercializzazione dei propri servizi e fornirà, anche tramite il proprio personale, al Fr., l'assistenza necessaria all'utilizzo di tali metodi e tecniche operative". Inoltre, secondo l'art. 4e, "il Fr. si impegna a fornire al Fr. nei tempi e con le modalità meglio ritenute e previamente comunicate dal Fr., gli opportuni aggiornamenti mediante la tenuta di corsi". 5 L'art. 14 del contratto prevede che "Nei casi di inadempimento alle obbligazioni contrattuali previste all'art. 3.1 (attività concorrente); del presente contratto si conviene a favore del Fr. ed a carico del Fr., una penale di Euro 50.000,00". 6 Con pec del 21 gennaio 2019 parte attrice ha comunicato alla convenuta la volontà di recedere dal contratto di franchising per inadempimento di quest'ultima alle obbligazioni contrattualmente pattuite (citazione, doc. 10). 7 Il 15 aprile 2019 è stato esperito il procedimento di negoziazione assistita, che si è concluso negativamente (citazione, doc. 14). II. La prima questione controversa attiene all'accertamento dell'inadempimento della convenuta e al conseguente diritto dell'attrice ad ottenere il risarcimento del danno. Parte attrice ha dedotto che la società convenuta "ha fornito errate indicazioni in merito alle pratiche da svolgere per ottenere le autorizzazioni dal Comune per l'esercizio di autonoleggio", "ha disatteso l'impegno assunto in fase precontrattuale di indicare venditori in grado di garantire convenzioni particolari per il noleggio o l'acquisto dei veicoli"; "non ha svolto adeguatamente i corsi di formazione previsti nel contratto"; "ha modificato le condizioni contrattuali assicurative, rendendole difformi a quelle inizialmente pubblicizzate"; "ha intimato all'associata di sottoscrivere nuove condizioni contrattuali unilateralmente pattuite"; "non ha effettuato alcuna campagna pubblicitaria per favorire il lancio della nuova sede A.-A."; "diversamente da quanto assicurato in fase precontrattuale, ha concluso solamente sei contratti di autonoleggio tramite il proprio centro di prenotazione". 3 La questione è definita con l'accertamento negativo del diritto. 4 In tema di riparto dell'onere probatorio nella responsabilità contrattuale, l'art. 1218 c.c. prevede che il creditore che vuol far valere la responsabilità contrattuale del convenuto ed ottenere l'adempimento dell'obbligazione assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento dell'obbligazione deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e dunque l'esistenza del contratto da cui deriva l'obbligazione dedotta in giudizio; l'adempimento della propria obbligazione; il danno subìto; la riconducibilità del danno all'inadempimento. Al contrario il debitore deve fornire la prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, di avere adempiuto correttamente la propria obbligazione oppure di dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento. 5 Nel caso di specie, con riguardo al primo inadempimento addebitato alla società convenuta, ossia di aver fornito indicazioni errate sulle pratiche da espletare per ottenere le autorizzazioni comunali per l'esercizio di autonoleggio nei locali di Via Fr. (A.), con conseguenti gravi ritardi e spese aggiuntive di oltre 200,00 euro, occorre rilevare che nessun obbligo è contrattualmente previsto, al riguardo, in capo alla convenuta, che l'asserzione è del tutto generica - non essendo specificato il contenuto delle asserite "errate indicazioni" fornite dal Fr. - e che non vi è prova del nesso di causalità tra l'asserito inadempimento e il danno subito. Le medesime considerazioni valgono anche per la lamentata perdita del contributo del Fondo Se. gestito dalla Regione Marche, pari a 30.000,00 euro. 6 Parte attrice imputa, altresì, alla convenuta l'inadempimento dell'obbligo di formazione previsto dall'art. 4a del contratto. 7 La convenuta ha dimostrato, allegando l'invito all'attrice a partecipare ad un corso di formazione nei giorni 8 e 9 dicembre 2018, di aver organizzato appositi corsi di aggiornamento, a cui l'attrice non ha volontariamente partecipato (comparsa, all. 3). Non essendo determinati nel contratto giorni ed orari specifici del corso di formazione e dei corsi di aggiornamento, ma risultando dallo stesso che il Fr. "si impegna a fornire al Fr. nei tempi e con le modalità meglio ritenute e previamente comunicate dal Fr. gli opportuni aggiornamenti mediante la tenuta di corsi", l'obbligo di formazione è da ritenersi correttamente adempiuto dalla convenuta. 8 È irrilevante la circostanza allegata dall'attrice per cui "con comunicazione del 3.1.2019 il Fr. intimava agli affiliati di sottoscrivere entro e non oltre il 15 gennaio successivo le nuove condizioni contrattuali in ossequio di un asserito principio di uniformità". Parte attrice non ha concluso alcun successivo accordo con la convenuta a nuove condizioni contrattuali, per cui non è provata una condotta dolosa o colposa del Fr. né un danno risarcibile. 9 Non rientrano, infine, tra le obbligazioni contrattualmente assunte dalla convenuta l'indicazione all'attrice di venditori/noleggiatori a cui rivolgersi per l'acquisto o il noleggio di vetture con particolari convenzioni, il mantenimento delle originarie condizioni contrattuali pattuite con la compagnia assicuratrice, lo svolgimento di campagne pubblicitarie in occasione dell'apertura della sede gestita dall'attrice (obbligo che, al contrario, l'art. 3.4 pone a carico del F.) né la conclusione di un numero minimo di contratti di noleggio tramite il proprio centro prenotazioni. Al riguardo, è irrilevante la circostanza per cui la convenuta avrebbe "fornito ampie rassicurazioni nella fase precontrattuale". III. La seconda questione controversa attiene all'accertamento della vessatorietà delle clausole poste in calce all'atto e il conseguente diritto di parte attrice a recedere dal contratto. L'attrice afferma "risulta evidente il grave squilibrio sinallagmatico che tali condizioni contrattuali hanno imposto in danno del contraente debole". 1 La disciplina relativa alle clausole vessatorie applicabile al caso in esame è l'art. 1341 comma 2 c.c., trattandosi di contratto stipulato tra due società (c.d. contratto business to business). La norma dispone: "Non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria". 2 La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che "l'adempimento della specifica approvazione o doppia sottoscrizione delle clausole vessatore può dirsi assolto quando le stesse siano oggetto di una approvazione separata, specifica ed autonoma, distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni dell'accordo; il requisito in parola assolve infatti al fine di richiamare l'attenzione del contraente debole verso il significato di quella determinata e specifica clausola a lui sfavorevole, sicché esso può reputarsi assolto soltanto quando la sottoscrizione avviene con modalità idonee a garantire tale attenzione" (ex multis, Cass. n. 2970/2012, Cass. n. 21816 del 2009; Cass. n. 5733 del 2008). 3 Nel contratto di franchising concluso tra le parti gli articoli contestati - nonché l'indicazione del titolo degli stessi idonei a richiamare l'attenzione della società attrice sul loro contenuto - sono stati riportati in calce all'atto e appositamente sottoscritti dalle parti. A ciò si aggiunga che le parti hanno iniziato la fase delle trattative nel gennaio 2018 e che, essendo l'attrice in possesso del "contratto tipo di affiliazione a S. sub marchio A." sin dal 21 marzo 2018 (seconda memoria ex art. 183 c.p.c. di parte attrice, doc. 3), la stessa avrebbe potuto tempestivamente contestare l'apposizione delle asserite clausole vessatorie all'interno del contratto. Non sussistono, dunque, i presupposti per l'accoglimento della domanda subordinata di parte attrice. IV. La terza questione controversa attiene all'accertamento dell'inadempimento dell'attrice al contratto di franchising e al conseguente diritto della convenuta di ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno patrimoniale e d'immagine. 1 Parte convenuta asserisce che: 1.1 "l'attrice non ha pagato parte del fee d'ingresso previsto dall'art. 3.8 del contratto, per un importo pari a 2.440,00 euro"; 1.2 "ha violato l'art. 3.1 del contratto per omessa evasione della prenotazione n. 24471 del 21 Febbraio 2019, con conseguente applicabilità della penale prevista dall'art. 14"; "La violazione prevede l'applicazione di una penale di Euro 50.000,00, poiché detto inadempimento viene considerato grave per una società la cui attività principale è quella del noleggio e per questi motivi vi si quantificata in 50.000,00 la penale e ciò affinchè fungesse da deterrente per il Fr.." 1.3 "ha causato alla convenuta un danno da mancato guadagno delle royalties di circa 60.000,00 euro, calcolate sulla base della durata del contratto di franchising e del fatturato medio". 1.4 "il danno è altresì aggravato dal pregiudizio sofferto dal marchio A. dovuto, non solo dall'iniziale mancata evasione della prenotazione ma soprattutto con una ingiustificata chiusura della filiale di A. sita in una zona con un alto tasso di traffico cittadino ove il logo A. veniva vista da migliaia di persone ogni giorno". 2 In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza ma non l'inadempienza dell'obbligato, potendosi limitare alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, spettando, invece, al debitore convenuto l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cassazione, n. 13685/2019). 2.1 Per quel che riguarda l'inadempimento di cui al punto 1.2, l'articolo 3.8 prevede che "il Fr. versa al Fr. a titolo di diritto di entrata (fee d'ingresso) la somma di Euro 10.000,00, oltre i.v.a., alla sottoscrizione del presente contratto definitivo di franchising". È documentalmente accertato che parte attrice ha pagato il fee d'ingresso, pari a complessivi 12.200,00 euro inclusa l'i.v.a., tramite la corresponsione di 10 assegni bancari dall'importo di 1.220,00 euro ciascuno (prima memoria ex art. 183 c.p.c. di parte attrice, doc. 6). Parte convenuta non ha contestato i suddetti pagamenti; è dunque provato il fatto estintivo del diritto di credito della stessa. 2.2 Non merita accoglimento la domanda di risarcimento del danno della somma di 50.000,00 euro proposta dalla convenuta in via riconvenzionale per l'inadempimento dell'attrice consistito "nell'omessa evasione della prenotazione n. 24471 del 21 Febbraio 2019". Secondo l'art. 3.1 "Il Fr. (...) non potrà, per tutta la durata del presente contratto, direttamente o indirettamente e in qualsivoglia veste, svolgere attività nel settore del noleggio o possedere partecipazioni diretto o indirette in società esercenti questo tipo di attività, se non previa autorizzazione scritta del Fr.. La violazione di detto obbligo comporterà l'applicazione di una penale di cui all'art. 14 del presente contratto". L'art. 14 prevede delle penali in caso di inadempimento da parte del Fr.; in particolare, nei casi di inadempimento all'obbligazione contrattuale prevista dall'art. 3.1 (attività concorrente) "si conviene a favore del Fr. ed a carico del Fr., una penale di Euro 50.000,00". Secondo quanto pattuito nei due articoli riportati, dunque, la penale di 50.000,00 euro è prevista per il caso di violazione da parte del Fr. del divieto di svolgere attività concorrente. La penale non è invece prevista, contrariamente a quanto affermato dalla convenuta, per l'ipotesi di omessa evasione delle prenotazioni. 5.1 Va, del pari, respinta la domanda di risarcimento del danno da mancato guadagno delle royalties per l'importo di 60.000,00 euro calcolato della convenuta "sulla base della durata del contratto di franchising e del fatturato medio". È principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che "il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell'accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall'inadempimento dell'obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi solo i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l'entità del danno subito" (Cassazione n. 24632/2015 e n. 11254/2011). Nell'art. 3.8 del contratto le parti hanno pattuito che "il Fr. riconoscerà al Fr. a titolo di corrispettivo per le royalties una percentuale pari al 7% del fatturato lordo (tempo+km) per i primi due anni, al 9% del fatturato lordo(tempo+km) per il terzo e quarto anno ed al 11% del fatturato lordo (tempo+km), per i successivi anni. Le somme spettanti al Fr. dovranno essere corrisposte dal Fr. trimestralmente dietro presentazione della relativa fattura". In mancanza dei presupposti per la corresponsione delle royalties - non essendo allegati i documenti relativi al fatturato lordo annuo della società attrice - i mancati guadagni sono meramente ipotetici; non sussiste, dunque, il diritto dell'attrice al relativo risarcimento del danno. 5.2 Parte convenuta non ha, infine, adeguatamente provato il danno d'immagine di cui chiede il risarcimento. Questo, inteso come danno conseguenza, non sussiste in re ipsa, dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento. Nel caso di specie parte convenuta non ha soddisfatto l'onere di allegazione su di essa gravante, limitandosi alla scarna affermazione sul danno all'immagine riferibile "alla non evasa prenotazione del 21 febbraio 2019". VI. Le spese sono compensate (art. 92.2 c.p.c.) in considerazione della soccombenza reciproca. P.Q.M. I. Rigetta le domande di parte attrice. II. Rigetta la domanda riconvenzionale di parte convenuta. III. Compensa per intero le spese di giudizio tra le parti. Così deciso in Ascoli Piceno il 20 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO SEZIONE LAVORO II Giudice dott. Giovanni Iannielli, quale Giudice del Lavoro, nella causa iscritta al n. 553/2022 RG. alla udienza del 13/10/2023, richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa, viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti, all'esito di discussione orale, ha pronunciato la seguente:: SENTENZA Tra (...) rappresentata e difesa dall'avv.to PA.OR.; ricorrente e (...) SNC DI (...) in persona del suo l.r. pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. DA.DI. resistente MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso del 26 maggio 2022, la ricorrente domandava di accertare e dichiarare la nullità del licenziamento perché discriminatorio o ritorsivo per ragioni legate al genere e/o allo stato peculiare di madre biologicamente connesso alla condizione di genere o comunque per le ragioni sopraesposte tanto in fatto quanto in diritto; in subordine chiedeva dichiararsi la nullità o l'illegittimità del licenziamento intimatole per l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore o perché carente della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, e/o per l'applicazione della sanzione conservativa come prevista da C.c.n.l. di riferimento all'art. 238, e/o per insussistenza della gravità o sproporzione della sanzione espulsiva rispetto alla condotta tenuta dalla lavoratrice; Chiedeva accertarsi il diritto ad un equo ristoro per l'illecita prassi datoriale di trattenere ogni giorno i propri dipendenti nel posto di lavoro oltre l'orario normale e senza retribuzione; chiedeva, quindi, di ordinare alla (...) la reintegrazione della ricorrente nel posto di lavoro e condannarla a corrispondere alla ricorrente l'indennità (prevista dall'art. 2 o dall'art. 3 comma 2 del D.Lgs. n. 23 del 2015, ove applicabile) dal licenziamento fino all'effettiva reintegrazione, nella misura massima consentita, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal recesso fino alla reintegrazione; in subordine, domandavo di condannare la (...) a corrispondere alla ricorrente l'indennità (prevista dall'art. 3 comma 1 del D.Lgs. n. 23 del 2015, ove applicabile) nella misura massima consentita, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria; chiedeva, altresì, di condannare la (...) a corrispondere alla ricorrente un risarcimento o indennizzo, anche secondo valutazione equitativa, per l'illecita prassi datoriale di trattenere i dipendenti nel posto di lavoro oltre l'orario normale e senza retribuzione. La ricorrente osservava: di aver iniziato a lavorare nel Supermercato C in via X n.7 nel quartiere di (...) nel 2013 con contratto a termine poi, dal 18 novembre 2016, con contratto a tempo indeterminato sempre nella stessa sede, con mansioni di banconista nel reparto macelleria, per sei giorni alla settimana e per un totale di 38 ore settimanali; di aver una mamma cardiopatica e malata di diabete di tipo 2 insuline-trattato, cui è conseguita la cecità totale, è invalida al 100% e portatrice di handicap con gravità ai sensi dell'art. 3 comma 3 della L. n. 104 del 1992, la quale necessita di assistenza per la cura della persona o per le curo relative alla saluto; dunque di aver richiesto di poter usufruire dei giorni mensilmente previsti con la L. n. 104 del 1992; di esser stata licenziata dalla società resistente per aver impropriamente utilizzato i permessi suddetti, avendo la stessa, nei giorni richiesti, espletato proprie incombenze e non attività relative all'assistenza della mamma; nello specifico, nei giorni 30 settembre 2021; 4 ottobre 2021; 21 ottobre 2021 e 26 ottobre 2021, di aver svolto attività riconducibili all'attività di assistenza o con questa non incompatibile; di esser stata, dunque, ingiustamente licenziata, non essendo configurabile l'ipotesi di abuso del diritto ex art. 33 L. n. 104 del 1992; che detto licenziamento debba essere, pertanto, dichiarato nullo perché discriminatorio o ritorsivo, ovvero per insussistenza del fatto materiale contestatole, ovvero, infine, per carenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, con conseguente reintegra nel posto di lavoro, nonché la condanna a corrispondere, in favore della ricorrente, l'indennità, prevista dagli artt.2 e 3 D.Lgs. n. 23 del 2015, dal giorno del licenziamento fino all'effettiva reintegrazione; oltre gli interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal recesso fino alla reintegrazione. D.M.P. S.N.C. si costituiva nel processo, domandando di "accertare e dichiarare la legittimità del licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c. intimato dalla resistente alla ricorrente in data 27.11.2021, per tutti i motivi in fatto e in diritto esposti in atti; in subordine, di accertare e dichiarare la legittimità del prefato licenziamento intimato alla dipendente per giustificato motivo soggettivo ex art. 3 L. n. 604 del 1966, per tutti i motivi in fatto e in diritto allegati in atti; in ogni caso, di rigettare integralmente l'impugnativa di licenziamento esperita dalla ricorrente nonché tutte le altre richieste, pretese e domande azionate dalla lavoratrice nel ricorso depositato, poiché destituite di qualsiasi fondamento in fatto e in diritto per i motivi compiutamente allegati in atti. Va preliminarmente rigettata la richiesta di nullità del licenziamento perché ritorsivo o discriminatorio. Ciò posto, va osservato che la nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della L. n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della L. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito sulla natura discriminatoria di un licenziamento che conseguiva la comunicazione della dipendente di volersi assentare per sottoporsi ad un trattamento di fecondazione assistita). Va anche rilevato che in tema di licenziamento discriminatorio, in forza dell'attenuazione del regime probatorio ordinario introdotta per effetto del recepimento delle direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, così come interpretate dalla CGUE, incombe sul lavoratore l'onere di allegare e dimostrare il fattore di rischio e il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe, deducendo al contempo una correlazione significativa tra questi elementi, mentre il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso. (Sez. L-, Sentenza n. 23338 del 27/09/2018, Rv. 650563 -01 ). Nulla di tutto ciò è stato rilevato dalla ricorrente, la quale non ha allegato nessuno degli elementi necessari affinché il licenziamento possa essere ritenuto discriminatorio e cioè, in particolare, non dimostra né chiede di dimostrare quale sia lo specifico fattore di rischio e quale sia il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe. Preliminarmente va rilevato che è principio consolidato in giurisprudenza di legittimità quello per cui l'allegazione del carattere ritorsivo del licenziamento impugnato comporta a carico del lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso, sempre che il datore di lavoro abbia almeno apparentemente fornito la prova dell'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso, ai sensi dell'art. 5 della L. n. 604 del 1966. In tema di licenziamento ritorsivo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l'intento ritorsivo quale motivo unico e determinante del recesso, atteso che in tal caso la doglianza ha por oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa, o di un giustificato motivo, pur formalmente apparenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto l'intento ritorsivo sulla base di generici riferimenti alle modalità temporali della contestazione e all'inconsistenza degli addebiti). (Sez. L -, Sentenza n. 20742 del 16/08/2018, Rv. 649930-01). In altre parole, il lavoratore ha l'onere di dimostrare, anche per presunzioni, che il recesso è stato motivato esclusivamente dall'intento ritorsivo. Effettuate tali necessarie premesse, si rileva che nel caso di specie il datore di lavoro ha dimostrato per tabulas di aver irrogato il licenziamento a seguito delle indagini espletate al fine di valutare se la ricorrente utilizzasse o meno i permessi per le finalità specifiche per la quali gli stessi erano concessi e dunque nella convinzione della piena legittimità del proprio comportamento all'esito di tali accertamenti. Nel caso di specie il datore di lavoro ha ritenuto, in buona fede, che la dipendente abusasse dei diritti connessi alla particolare situazione in cui la stessa versava e dunque fosse meritevole della massima sanzione. Non vi è dunque alcun intento ritorsivo, ma la ritenuta legittima reazione ad un ritenuto comportamento scorretto. Nel caso di specie va quindi semmai vagliata la sussistenza o meno della scorrettezza della ricorrente in tema di fruizione dei permessi a lei spettanti per legge. Ciò premesso, il ricorso è fondato e va dunque, accolto per quanto di ragione. L'art. 2119 c.c., nel disciplinare il licenziamento disciplinare, dispone che "ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto". La giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che "In tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto, bensì con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all'intensità dell'elemento intenzionale o di quello colposo. L' onere della prova del fatto contestato al lavoratore, che spetta al datore di lavoro, deve riguardare quindi lg sussistenza di una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di guello fiduciario" (Sezione Lavoro, Cassazione n,13188 del 2003). In ordine alla sussistenza del fatto, ossia l'indebita fruizione dei permessi ex art. 33 L. n. 104 del 1992, nel caso de quo, questo Giudice non ammetteva le prove testimoniali, così come articolate in atti, essendo, la prova circa la sussistenza del fatto, interamente documentale (cfr. doc. n. 5 memoria di costituzione, copia relazione investigativa), considerate anche le ammissioni sul punto della ricorrente. Deve premettersi infatti che la ricorrente non contesta di aver compiuto azioni, estranee all'assistenza della mamma, nei giorni in oggetto. Afferma, difatti, di aver sbrigato incombenze riguardanti l'assistenza della mamma e di aver sbrigato altre, ulteriori, incombenze, assolutamente non incompatibili con la predetta (cfr. p.5 memoria di costituzione). Ciò viene pienamente confermato dalla relazione investigativa, allegata agli atti (sopra menzionata). Da quest'ultima emerge che: in data 30 settembre 2021, la ricorrente non si recava dalla propria madre per assisterla, anzi non usciva di casa, se non per accompagnare i propri figli minori in piscina, ivi attendendo la fine dei corsi. La stessa ricorrente afferma che nel giorno in questione stava male, dunque, evitava sia di uscire di casa, che di avvicinarsi alla madre, temendo di contagiarla: in data 4 ottobre 2021, la ricorrente prestava assistenza dalle ore 11 alle ore 14.00 circa, nonché accompagnava la mamma dal suo medico di base; in data 21 ottobre 2021, la ricorrente prestava assistenza dalle ore 9.20 alle ore 10.30 circa, accompagnandola, altresì, dal suo medico di base; in data 26 ottobre 2021, infine, la ricorrente prestava assistenza alla mamma dalle ore 8.50 alle ore 11.10 circa, provvedendo, altresì, ad accompagnarla ad una visita. Ciò che veniva contestato alla ricorrente, dapprima con la lettera di contestazione di addebito (doc. n. 3 ricorso) e successivamente con la lettera di irrogazione del licenziamento (doc. n. 5 ricorso), era, propriamente, la fruizione dei suddetti permessi, "non in relazione causale diretta con l'assistenza al disabile", (...), madre della ricorrente, restando impegnata, nei giorni oggetto di permesso, in attività di verosimile assistenza alla stessa, solo per pochissime ore. Orbene, ciò premesso, si rileva che la giurisprudenza di legittimità afferma che la fruizione di tali permessi non deve avvenire durante l'intero orario lavorativo, ma almeno durante l'arco della giornata (cfr. Ordinanza Cassazione n. 7306 del 2023). Inoltre l'assistenza deve essere valutata in maniera flessibile, così da poter considerare anche i bisogni personali e familiari della ricorrente, nonché l'integrità del suo equilibrio psicofisico, in ossequio ai principi costituzionali di tutela della salute e di solidarietà familiare. "La disposizione di cui all'articolo 33, comma 3 L. n. 104 del 1992 cit. è stata più volte modificata, prima ad opera della L. n. 53 del 2000 (articolo 19) che ha eliminato il requisito della convivenza, e successivamente ad opera della L. n. 183 del 2010 (articolo 24, comma 1) che ha eliminato i requisiti della "continuità" e della "esclusività" dell'assistenza prestata al disabile (successive modifiche sono state apportate dall'articolo 6, D.Lgs. n. 119 del 2011 e, da (OMISSIS) o, dal D.Lgs. n. 105 del 2022). L'articolo 33, comma 3 L. n. 104 del 1992 cit., nella versione risultante dopo la L. n. 183 del 2010 e che rileva nella fattispecie in esame, prevede: "A condizione che la persona handicappata non sia ricoverata a tempo pieno, il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado , ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa". 14. Il permesso mensile retribuito di cui all'articolo 33, comma 3 L. n. 104 del 1992 cit., come sottolineato dalla Corte Cost., nella sentenza 213 del 2016, è espressione dello Stato sociale che eroga una provvidenza in forma indiretta, tramite facilitazioni e incentivi ai congiunti che si fanno carico dell'assistenza di un parente disabile grave. Si tratta di uno strumento di politica socio assistenziale, che, come quello del congedo straordinario di cui all'articolo 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, è basato sul riconoscimento della cura alle persone con handicap in situazione di gravità prestata dai congiunti e sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale". La ratio della previsione in esame è quella di "assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell'assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare" (v. Coste Cost., sentenze n. 19 del 2009 e n. 158 del 2007) e si inserisce nelle più ampie finalità della L. n. 104 del 1992, di tutela dei soggetti portatori di handicap in situazione di gravità, affetti cioè da una compromissione delle capacità fisiche, psichiche e sensoriali tale da "rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione", secondo quanto previsto dall'articolo 3, comma 3, della L. n. 104 del 1992 (v. Cass. n. 21416/19). 16. Nella cornice appena descritta, che ha sullo sfondo i valori di rilievo costituzionale di cui agli articoli 2 e 32 Cost., nonché i principi di solidarietà interpersonale ed intergenerazionale, il diritto ai permessi retribuiti è riconosciuto al "lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità"; il nesso che il testo normativo pone non è di tipo strettamente temporale, cioè tra la fruizione del permesso e la prestazione di assistenza in precisa coincidenza con l'orario di lavoro, bensì funzionale, tra il godimento del permesso e le necessità, gli oneri, gli incombenti che connotano l'attività di assistenza delle persone disabili in condizioni di gravità. II contenuto dell'assistenza che legittima l'assenza dal lavoro (il permesso retribuito), quindi i tempi e i modi attraverso cui la stessa viene realizzata, devono individuarsi in ragione della finalità per cui i permessi sono riconosciuti, cioè la tutela delle persone disabili, il cui bisogno di ricevere assistenza giustifica il sacrificio organizzativo richiesto al datore di lavoro. 17. E' quindi elemento essenziale della fattispecie di cui all'articolo 33, comma 3 L. n. 104 del 1992 cit., l'esistenza di un diretto e rigoroso nesso causale tra la fruizione del permesso e l'assistenza alla persona disabile, da intendere, come questa Corte ha già chiarito, non in senso così rigido da imporre al lavoratore il sacrificio, in correlazione col permesso, delle proprie esigenze personali o familiari in senso lato, ma piuttosto quale chiara ed equivoca funzionalizzazione del tempo liberato dall'obbligo della prestazione di lavoro alla preminente soddisfazione dei bisogni della persona disabile. Ciò senza automatismi o rigide misurazioni dei segmenti temporali dedicati all'assistenza in reiezione all'orario di lavoro, purché risulti non solo non tradito (secondo forme di abuso del diritto) ma ampiamente soddisfatta, in base ad una valutazione necessariamente rimessa al giudice dì merito, la finalità del beneficio che l'ordinamento riconosce al lavoratore in funzione della prestazione di assistenza e in attuazione dei superiori valori di solidarietà sopra richiamati (v. Cass. n. 19580/2019: Cass. n. 21520/2019; Cass. n. 30676/2018: Cass. n. 23891/2018: Cass. n. 20098/2017). Da ciò consegue che ove manchi del tutto un nesso causale tra l'assenza dal lavoro e l'assistenza al disabile, non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede, privando sine causa il datore di lavoro della prestazione e determinando uno sviamento dell'intervento assistenziale dell'Inps (v. Cass. 17968/16: Cass. n. 9217/2016: Cass. n. 9749/2016; Cass. n. 4984/2014); nei casi in cui il lavoratore in permesso ex articolo 33, comma 3 L. n. 104 del 1992 cit., svolga l'attività di assistenza in tempi e modi tali da soddisfare in via preminente le esigenze ed i bisogni dei congiunti in condizione di handicap grave, pur senza abdicare del tutto alle esigenze personali e familiari altre rispetto a quelle proprie dei congiunti disabili e pure a prescindere dall'esatta collocazione temporale di detta assistenza nell'erario liberato dall'obbligo della prestazione lavorativa, non potrà ravvisarsi alcun abuso del diritto o lesione degli obblighi di correttezza e buona fede, quindi alcun inadempimento. La ricorrente svolgeva comunque compiti costituenti un'utilità per la madre, non avvalendosi di tale beneficio per esigenze del tutto opposte rispetto all'assistenza della suddetta. Sarebbe stato del tutto diverso se la ricorrente avesse utilizzato i suddetti permessi per compiere viaggi o attività del tutto estranee rispetto all'assistenza della mamma, non recandosi presso questa, mancando del tutto un nesso causale tra l'assenza dal lavoro e l'assistenza alla madre medesima. Ciò detto, deve ritenersi che il licenziamento è stato irrogato in assenza di giusta causa o giustificato motivo. In tal caso il rapporto di lavoro va dichiarato estinto con effetto dalla data del licenziamento ed il datore di lavoro dovrà essere condannato al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva che si ritiene equo determinare in sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: a) accoglie il ricorso e per l'effetto dichiara il rapporto di lavoro estinto dalla data del licenziamento; b) condanna la società resistente al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva di sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto: c) Pone a carico del resistente le spese del giudizio, che liquida nella complessiva somma di Euro 2.400,00 per competenze, oltre IVA e CAP come per legge e rimborso spese generali, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Ascoli Piceno il 13 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 13 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Enza Foti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1058/2022 promossa da: Pi.Fa. ((...)) rappresentato e difeso dall'avv. RO.MA. giusta procura in atti; attore contro CONDOMINIO LA Ce. DI A. Pi. ((...)) in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. SE.GI. e dall'avv. LU.MA. giusta procura in atti; convenuto MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato Pi.Fa. spiegava di essere un condomino del Condominio Ex C., ovvero E. O. di Via Pi. T., sito in Via Pi. T. civ.7-19 e che, in data del 09.06.2021, era approvato dall'assemblea il "RIFACIMENTO IMPIANTO CITOFONICO CONDOMINIALE". Successivamente, con delibera condominiale del 23.2.2022 era approvato il seguente punto all'ordine del giorno "relazione del condominio ristretto sui preventivi di spesa per l'impianto videocitofonico e relative determinazioni - riparto spese - prospetto rateale" con 660,375 millesimi. Tale ultima delibera era impugnata in questa sede in quanto ritenuta nulla poiché adottata in violazione dell'art. 1120 c.c., trattandosi, in base alla ricostruzione dell'attore, di un'innovazione; spiegava il Pi. che alla precedente assemblea del 9.6.2021 era stato approvato il rifacimento dell'impianto citofonico e non l'installazione di un nuovo "videocitofono" cosicchè tale ultima opera non era stata in alcun modo deliberata. In ogni caso, trattandosi di innovazione, il punto all'ordine del giorno che ci occupa avrebbe dovuto essere approvato con le maggioranze di cui all'art. 1136 c. VI c.c. ossia con "la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio". Impugnava altresì la citata delibera per violazione dell'art. 1121 c.c. trattandosi di innovazione "gravosa e voluttuaria" e, infine, impugnava la delibera per errata ripartizione delle spese. Concludeva, dunque, chiedendo di "accertare e dichiarare che la delibera del Condominio L. Ce. del 23.02.2022 adottata in narrativa, è nulla per espressa violazione dell'art.1120 c.c. e dell'ar1121 c.c. nonché per tutte le altre motivazioni espresse in narrativa; in via meramente gradata, accertata e dichiarata la possibilità di utilizzazione separata, dichiarare il sig. Pi.Fa. esonerato da qualsiasi contributo alla spesa; in via ulteriormente subordinata accertare e dichiarare che la Delib. del 23 febbraio 2022 è nulla per errata ripartizione della spesa". Si costituiva in giudizio il condominio contestando in fatto ed in diritto quanto affermato dalla parte attrice e chiedendo di "respingere la richiesta di sospensione della delibera impugnata; respingere la richiesta di declaratoria di nullità della delibera del Condominio L. Ce. del 23.02.2022, per insussistenza dei presuppostidi di cui agli artt. 1120 e 1121 c.c. e di ogni altra ragione di nulità; respingere la richiesta di declaratoria di eventuali utilizzazioni separate dell'impianto vidieocitofocnico e di esonero dell'attore dal contributo dovuto, in ogni caso per l'assenza dei requisiti di cui all'art. 1121 c.c.; rigettare comunque ogni altra domanda formulata dall'attore in quanto improcedibile per intervenuta decadenza e per insussistenza dei relativi presupposti di fatto e diritto; In ogni caso condannare l'attore al pagamento di spese e compensi del giudizio". Il procedimento, in assenza di necessità istruttorie, era chiamato all'udienza 16.6.2023 - poi sostituita con il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. - per la precisazione delle conclusioni e, in quella sede, trattenuto in decisione con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. nella loro massima estensione. Principiando con il primo motivo di impugnazione della delibera assembleare che ci occupa va subito precisato come la sostituzione dell'impianto citofonico con un nuovo impianto videcitofonico non potrebbe in alcun caso rientrare nel novero delle innovazioni. La giurisprudenza, sul punto, è costante nel ritenere che "la previsione del videocitofono non comporta un'innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche, il concetto di innovazione impone una trasformazione, un'introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l'impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all'evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia" (ex multis Corte d'appello di Genova, sent. n. 755 del 30 luglio 2020). È noto, infatti, che le innovazioni possono essere definite come tutte quelle modificazioni che determinano l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, nel senso che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, devono presentare una diversa consistenza materiale oppure devono essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (così ex multis: Cass.,23 ottobre 1999, n. 11936; Cass., 29 ottobre 1998, n. 1389; Cass., 5 novembre 1990, n. 10602; Cass. 26 maggio 2006 n. 12654, ma anche, tra la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, sent. n. 15695 del 26 ottobre 2022). Nel caso di specie, come visto, con la Delib. del 9 giugno 2021 era stato deciso dall'assemblea dei condomini il rifacimento dell'impianto citofonico condominiale, decisione integrata con la Delib. del 23 febbraio 2022 che oggi ci occupa ove si optava per l'installazione di un videocitofono in luogo dell'ormai obsoleto citofono, al fine di adeguare il condominio all'innovazione tecnologica nelle more intervenuta. Non vi è, dunque, alcuna alterazione dell'entità materiale ovvero alcun mutamento della destinazione originaria posto che si tratta, giova ribadirlo, solamente di installare, in luogo del vecchio impianto già esistente, un impianto adeguato ai tempi. Chiarito che non potrebbe parlarsi, nel caso di specie, di "innovazione", l'intervento che ci occupa va sicuramente incluso nell'alveo delle c.d. opere di straordinaria manutenzione. Ed infatti, come ricorda l'art. 3, D.P.R. n. 380 del 2001, rientrano nella manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso". Pertanto, trattandosi di manutenzione straordinaria, la delibera di approvazione delle stessa doveva essere adottata con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio (500 millesimi) anche in seconda convocazione. Quorum ampiamente rispettati nel caso che ci occupa. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, il primo motivo di impugnazione andrà rigettato. Con il secondo motivo di impugnazione il Pi. lamentava la violazione dell'art. 1121 c.c. Come visto, tuttavia, la sostituzione dell'impianto citofonico con un impianto videocitofonico, esula dall'alveo applicativo della disciplina delle innovazioni con la conseguenza che l'art. 1121 c.c. non potrebbe essere invocato. Tra l'altro, va in ogni caso escluso che la spesa relativa all'installazione di un videocitofono possa essere considerata opera voluttuaria o gravosa trattandosi, invece, dell'istallazione di un impianto certamente utile alla sicurezza dello stabile e dai costi invero non sproporzionati rispetto all'installazione di un normale impianto citofonico. Ed infatti, partendo dal presupposto che, nel caso che ci occupa, il rifacimento dell'impianto citofonico era stato comunque deliberato da tutti i condomini in sede di assemblea del 9.6.2021 - circostanza ammessa dallo stesso condomino impugnante - non potrebbe in alcun modo parlarsi di gravosità della spesa a fronte di una minima differenza di costi - a fronte di una certamente maggiore funzionalità - tra l'esborso necessario per l'installazione di un citofono e quello necessario per l'installazione di un videocitofono. In conclusione, anche il predetto motivo di impugnazione andrà respinto. Da ultimo, in relazione alla doglianza attinente all'errata ripartizione delle spese va innanzitutto precisato come la stessa vada annoverata tra i casi di annullamento della delibera condominiale, come pure affermato dalla parte attrice nel corso del giudizio. In relazione al predetto motivo l'attore lamentava - invero genericamente - che "il bilancio per d'esercizio straordinario viene riportato (ed approvato) in maniera confusa ed errata, in quanto presentato e contabilizzato come Videosorveglianza + Videocitofono, non consentendo quindi al Pi. di versare la sua quota di spettanza per la videosorveglianza". Lamenta dunque il Pi. l'assenza di una specifica ripartizione tra le spese relative all'impianto di videosorveglianza e quelle relative all'impianto di videocitofonia. Ciò posto, è lo stesso Pi., sin dall'atto di citazione, ad affermare che "le Sezioni Unite della Cassazione hanno orientato la giurisprudenza nel senso che la delibera assunta per la ripartizione delle spese riguardanti i beni comuni, ove adottata in violazione dei criteri legali o regolamentari deve considerarsi annullabile" (Cass. S.U.07 marzo 2005 n.4806). Ed infatti, è ormai pacifico in giurisprudenza il principio in base al quale sono nulle solamente le deliberazioni dell'assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. (cass. Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839, ribadita, da ultimo da Cass. n. 20888 del 18 luglio 2023). Nel caso di specie è evidente come il condomino lamenti, in concreto, l'assenza di indicazione specifica delle spese con la conseguenza che (a tutto voler concedere) la relativa delibera andava impugnata entro il termine di cui all'art. 1137 c. 2 c.c. termine che, al momento di introduzione del presente giudizio, era ampiamente spirato. In relazione al presente motivo di annullamento della delibera condominiale, infatti, il Pi. non notificava, nel suddetto termine, la richiesta di avvio del procedimento di mediazione con la conseguenza che il termine di impugnazione non era opportunamente interrotto come invece avvenuto per i primi due motivi di impugnazione. Alcun accenno, infatti, il Pi. faceva nella richiesta di avvio del procedimento di mediazione alla circostanza che "il bilancio per d'esercizio straordinario viene riportato (ed approvato) in maniera confusa ed errata, in quanto presentato e contabilizzato come Videosorveglianza + Videocitofono, non consentendo quindi al Pi. di versare la sua quota di spettanza per la videosorveglianza". Ne discende che l'attore andrà dichiarato decaduto dalla possibilità di richiedere l'annullamento della delibera sul punto. Infine, in ordine alla richiesta avanzata dall'attore in sede di memoria di replica di "disporre con ordinanza la cancellazione, e, con la sentenza che deciderà la causa, voglia assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale", ritiene questo giudice che le espressioni additate dall'attore quali offensive e sconvenienti, invero, non travalicano l'alveo della legittima difesa con la conseguenza che la richiesta non potrebbe essere accolta. Le spese di lite seguiranno la soccombenza ed andranno liquidate come da dispositivo in relazione al valore del procedimento (indeterminabile), al numero e complessità delle questioni trattate (bassa) ed all'attività effettivamente svolta dal procuratore della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in persona del giudice Enza Foti, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al 1058 del 2022, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il primo e il secondo motivo di impugnazione; - Dichiara tardiva la richiesta di annullamento della delibera condominiale in relazione al terzo motivo di impugnazione; - condanna la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite, che si liquidano nella somma complessiva di Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali, i.v.a., c.p.a. come per legge. Così deciso in Ascoli Piceno il 10 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p.) Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr.ssa Angela Miccoli alla pubblica udienza del 11 LUG. 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - Or.Da. n. il (...) a G. ( S. ) - Or.An. n. il (...) a A. P. ( I. ) res: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In data 7.4.2023 gli agenti in servizio della squadra mobile della Questura di Ascoli Piceno hanno tratto in arresto gli imputati sopra indicati perché ritenuti responsabili del reato di cui all'imputazione. All'udienza dell'8.4.2023 la Polizia Giudiziaria ha presentato gli imputati dinanzi all'intestato Tribunale per la convalida degli arresti e per lo svolgimento del giudizio direttissimo, con l'escussione dell'Agente operante Ve.Co. e l'interrogatorio degli imputati Or.An. e Or.Da.. All'esito il Tribunale, ritenuta la sussistenza dei presupposti di legge, ha convalidato l'arresto degli imputati ed ha applicato agli stessi la misura degli arresti domiciliari presso la comune abitazione di residenza. Di seguito, la difesa degli Or. ha avanzato richiesta di un termine a difesa. All'udienza del 9.5.2023 il difensore degli imputati, dopo aver depositato la procura speciale, ha richiesto di procedersi con il rito abbreviato condizionato alla perizia tossicologica sulle sostanze in sequestro. All'udienza del 17.5.2023 il Tribunale ha disposto la trasformazione del rito, come richiesto dalla difesa, nominando, inoltre, come perito il dott. Fr.. All'udienza del 30.5.2023, preso atto dell'impossibilità del dott. Fr. di esperire l'incarico, il Giudice ha conferito l'incarico al dott. Sp., previa nomina con Provv. del 19 maggio 2023. All'udienza del 27.5.2023 è stata acquisita la relazione peritale e le parti hanno rinunciato all'esame del perito. All'udienza odierna si è svolta la discussione, all'esito della quale le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Dall'istruttoria svolta è emerso quanto segue. In data 7.4.2023 gli agenti in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Ascoli Piceno, dopo aver ricevuto nei giorni precedenti diverse segnalazioni per un andirivieni di persone sospetto presso il condominio di via N. n. 5, predisponevano un apposito servizio di osservazione, ritenendo probabile lo svolgimento di attività di spaccio di sostanze stupefacenti da parte dei fratelli Or., Da. ed An., noti all'ufficio per i loro precedenti penali specifici (cfr. verbale di arresto e trascrizione dell'escussione all'udienza dell'8.4.2023 del teste Ve.Co., Agente operante in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Ascoli Piceno). Alle ore 16.45, dopo aver avvistato Or.Da. uscire di casa, procedevano al suo controllo e notavano che palesava un evidente stato di nervosismo e agitazione. Alla domanda se avesse con sé le chiavi di casa, il medesimo esternava la preoccupazione per un eventuale controllo domiciliare, tanto che affermava: "Ma voi non potete farmi una perquisizioni". Si rafforzava così la convinzione degli agenti che le segnalazioni ricevute corrispondessero al vero e procedevano dunque ad una perquisizione domiciliare presso l'appartamento di residenza di Or., al n. 1 di via N. n. 5, dove riscontravano anche la presenza del fratello, An.. La perquisizione dava esito positivo, in quanto venivano rinvenuti all'interno della camera da letto di Or.An. due involucri di cellophane contenenti sostanza stupefacente del tipo eroina, per un peso lordo complessivo di grammi 35,72, oltre a tre dosi della medesima sostanza dal peso complessivo di grammi 1,98, già pronte per lo spaccio, un bilancino elettronico di precisione funzionante e una busta di plastica di tipo "spesa" con numerosi fori di forma circolare da cui era stato ricavato il cellophane per il confezionamento delle singole dosi destinate allo spaccio (cfr. verbale di arresto e di perquisizione e sequestro in atti). A quel punto, Or.Da. consegnava spontaneamente un involucro di plastica sottovuoto contenente sostanza stupefacente di tipo cocaina dal peso lordo di grammi 105,98, ed un altro involucro con ulteriori grammi 37,57, che teneva nascosti in un'altra camera dell'appartamento (cfr. verbale di arresto e di perquisizione e sequestro in atti). Le sostanze rinvenute nella camera di Or.An. e quelle consegnate da Or.Da. venivano sottoposte a narcotest, che dava esito positivo rispettivamente all'eroina e alla cocaina (cfr. narcotest in atti). Gli imputati venivano così dichiarati in stato di arresto. All'udienza dell'8.4.2023, l'Agente operante Ve.Co. in servizio presso la Squadra Mobile della Questura di Ascoli Piceno ha aggiunto che gli imputati erano stati collaborativi nel corso delle operazioni. È stato acquisito l'elaborato peritale da cui si evince che, dalle analisi effettuate, i reperti 1,2,5,6 e 7 risultavano positivi alla cocaina e che, considerando debitamente le relative percentuali di purezza dei singoli reperti interessati, il peso del principio attivo ricavabile era circa di 87.834 mg e le dosi ottenibili erano circa 586, risultando un quantitativo di cocaina circa 117 volte superiore ai limiti tabellari; i reperti 3,4,7,8 risultavano positivi all'eroina e al 6-MAM e che il peso del principio attivo ricavabile era circa di 5.659 mg e le dosi ottenibili erano circa 226, risultando un quantitativo di oppiacei circa 22 volte superiore ai limiti tabellari. Nel reperto n. 7 vi era poi la contemporanea presenza di cocaina ed oppiacei, mix conosciuto con il nome di "speedball". 2. All'udienza di convalida dell'arresto svoltasi l'8.4.2023, nel corso dell'interrogatorio, gli imputati hanno dichiarato di risiedere in via N. n.5, dove vivono insieme ai genitori, di non svolgere attività lavorativa e di essere in cura presso il SERT. Or.An., con riferimento sii fatti contestati ha dichiarato che l'eroina sequestrata la deteneva per uso personale e che "tirando, il quantitativo è maggiore di quando uno se la inietta", precisando che il bilancino di precisione lo utilizzava per quantificare la sostanza; ha poi riferito che non era a conoscenza della presenza in casa della cocaina e che non era sua. Or.Da. sui fatti contestati si è avvalso della facoltà di non rispondere; tuttavia ha poi reso dichiarazioni spontanee all'udienza odierna, riferendo che la cocaina la deteneva per uso personale. 3. Tanto premesso, ritiene il Tribunale che gli elementi emersi dimostrino senza ombra di dubbio la sussistenza dei fatti contestati e la responsabilità degli imputati. Indubbio è il possesso della sostanza stupefacente del tipo cocaina ed eroina da parte degli imputati nella propria abitazione. Lp. finalità di spaccio risulta evidente dalla ingente quantità di sostanza detenuta: grammi 105,98 e 37,57 di peso lordo di cocaina, da cui sono ricavabili 586 dosi e grammi 35,72 e 1,98 peso lordo di eroina, da cui sono ricavabili 226 dosi singole. Tale circostanza sembra, già di per sé, deporre nel senso di una detenzione finalizzata alla cessione a terzi, piuttosto che all'uso personale. A ciò si aggiungono altri elementi emersi dagli atti: sono state rinvenute tre dosi di eroina già preconfezionate e dunque pronte per lo spaccio, nonché una busta con numerosi fori di forma circolare del tipo di quelli utilizzati per il confezionamento delle singole dosi destinate allo spaccio. Il possesso di dosi confezionate e delle bustine suddette non ha altro senso se non quello di tenerle pronte per una cessione a terzi. È stato rinvenuto inoltre un bilancino elettronico di precisione e sebbene Or.An. abbia affermato di usarlo per tirarsi la cocaina, si rileva che il tossicodipendente, di regola, non pesa la sostanza al milligrammo con la bilancia di precisione. A tutto ciò si aggiunge il movimento sospetto di persone segnalato alle forze dell'ordine nei pressi dell'abitazione degli imputati e lo stato di agitazione di Or.Da. al momento del controllo. L'accertato stato di tossicodipendenza degli imputati non inficia la ricostruzione svolta, posto che non giustifica la detenzione di una così elevata quantità di stupefacente e inoltre di due tipologie diverse. È vero che, alla luce della documentazione del Sert prodotta dalla difesa, non è possibile escludere in radice che una quota di droga venisse effettivamente consumata dagli imputati, ma ciò non toglie che buona parte venisse invece destinata allo spaccio. La tesi sostenuta da entrambi gli imputati circa l'uso personale della sostanza stupefacente, rispettivamente dell'eroina da parte di Or.An. e della cocaina da parte di Or.Da. non appare credibile, tenuto in particolare conto del loro stato di disoccupazione, che non consente di ritenere che i predetti potessero acquistare elevanti quantitativi di droga in un'unica soluzione come scorta e che invece lascia ritenere oltre ogni ragionevole dubbio il loro inserimento in modo stabile in un ambiente criminale dedito al traffico di stupefacenti. La non credibilità in merito porta anche a non ritenere veritiero, né appare d'altronde verosimile, che i due fratelli ignorassero reciprocamente la detenzione e l'uso della sostanza dell'altro, anche alla luce della loro stessa affermazione di essere tossicodipendenti da anni in cura presso il Sert, nonché dei precedenti di natura specifica. Si ritiene dunque che gli stessi agissero in concorso. In conclusione, la dichiarazione della penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro ascritti si impone. Corretta è infine la contestazione di recidiva specifica nei confronti di entrambi gli imputati, a fronte dei precedenti risultanti dai rispettivi casellari giudiziali che, seppur non recentissimi, tuttavia denotano una maggiore pericolosità degli imputati, tenuto conto che condotte di detenzione a fini di spaccio si sono susseguite ni corso degli anni e lasciano ritenere che gli Or. non si siano mai allontanati dall'ambiente criminale. Non può riqualificarsi la condotta degli Or. nella fattispecie di cui al V comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, come richiesto dalla difesa, alla luce di una valutazione unitaria e globale di tutti gli elementi normativamente indicati, sia di quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia di quelli attinenti all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacente) come manifestatisi nel caso concreto, essendo il contesto emerso espressivo di una significativa potenzialità offensiva, e, dunque di un elevato pericolo di diffusività della sostanza. Si sottolinea la particolarmente rilevante quantità di sostanza sequestrata e la duplice tipologia di sostanza rinvenuta. Il possesso di differente tipologia delle sostanze detenute, entrambe rientranti nella tabella I attinente alle droghe pesanti, in elevate quantità, costituisce condotta indicativa della capacità degli agenti di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice (v. Cass., sez.4, n. 6624/2016; sez.3, n. 26205/2015; sez.3, n. 47671/2014). D'altronde, per giustificare il diniego della "lieve entità" è sufficiente che anche uno solo dei canoni indicati dal quinto comma della norma citata (mezzi, modalità, circostanze dell'azione, quantità e qualità della sostanza) ecceda il limite della minima offensività (Sez. U. n. 35737/10; Cass. n. 27064/14): nel caso di specie, tale limite è stato oltrepassato quantomeno sotto il profilo della quantità delle sostanze (ricavabili 586 dosi di cocaina e 226 di eroina). Si richiama Cassazione penale , sez. IV , 08/03/2018 , n. 24092: "In tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'articolo 73, comma5, del D.P.R. n. 309 del 1990, anche all'esito della formulazione normativa introdotta dall'articolo 2 del D.L. n. 146 del 2013 (convertito dalla L. n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (fattispecie in cui è stata ritenuta legittima l'esclusione dell'ipotesi attenuta attraverso la valorizzazione negativa del rilevante quantitativo della droga, del possesso di un bilancino di precisione utilizzabile per il confezionamento delle dosi, delle particolari modalità di occultamento della droga: circostanze considerate indicative di una pur minima organizzazione finalizzata allo spaccio di quantitativi non modesti di droga, tali da soddisfare un numero non esiguo di tossicodipendenti) e Cassazione penale , sez. VI, 06/12/2022 , n. 2595 : "Il reato di cui all' articolo 73, comma 5, del D.P.R. n. 309 del 1990 può essere riconosciuto solo in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio". 4. Ciò posto, quanto al trattamento sanzionatorio, si osserva quanto segue. Correttamente è stata contestata la continuazione tra i due reati di detenzione di eroina e cocaina a fini di spaccio, dovendosi ritenere gli stessi, in ragione della loro omogeneità e del medesimo contesto spazio temporale, espressione di un medesimo disegno criminoso. Reato più grave risulta essere quello di detenzione di cocaina, tenuto conto del maggior peso complessivo lordo e del maggior numero di dosi ricavabili. Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche ad entrambi gli imputati, da ritenersi equivalenti alla contestata recidiva, tenuto conto dello stato di tossicodipendenza e dunque della concorrente detenzione di una parte della sostanza per uso personale. Ciò posto, tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si stima equo infliggere agli imputati la pena di anni 4 mesi 1 di reclusione ed Euro 18.000 di multa, così calcolata: pena base per il reato più grave anni 6 di reclusione ed Euro 26.000, aumentata di due mesi ed Euro 1.000 ai sensi dell'art. 81 cpv. c.p., ridotta per il rito alla pena di anni 4 mesi 1 giorni 10 di reclusione ed Euro 18.000 di multa, (tuttavia essendo riportato per errore nel dispositivo la pena di anni 4 mesi 1 di reclusione è questa la pena che deve intendersi inflitta, in quanto più favorevole al reo). Segue di diritto la condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali. Ai sensi dell'art. 29 c.p. alla condanna segue l'interdizione degli imputati dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Ai sensi dell'art. 304 c.p.p. si dichiarano sospesi i termini di custodia cautelare durante il tempo occorrente alla stesura della motivazione. Vanno infine ordinate la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente e di quant'altro in sequestro. P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533, 535 c.p.p. dichiara Or.Da. E Or.An. colpevoli dei reati loro ascritti unificati dal vincolo della continuazione e, concesse ad entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ridotta la pena per il rito, li condanna alla pena di anni 4 e mesi 1 di reclusione ed euro di 18.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p. dichiara gli imputati interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni 5. Ordina la confisca e la distruzione di quanto in sequestro. Visto l'art. 544 co. III c.p.p., indica in giorni 15 il termine per il deposito della motivazione della sentenza. Visto l'art. 304 c.p.p. dichiara sospesi i termini di custodia cautelare durante il tempo occorrente alla stesura della motivazione. Così deciso in Ascoli Piceno l'11 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Adriano Cassini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 442/2020 promossa da: (...) ((...)), rappresentato e difeso dall'Avv. AL.CL. presso lo studio del quale in Ascoli P., v. (...), è elettivamente domiciliato; ATTORE Contro (...) (P.Iva (...)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. AR.SI. presso lo studio del quale in Ascoli P., v. (...), è elettivamente domiciliata; (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. PI.MA. presso lo studio del quale in Ascoli P., v. (...), è elettivamente domiciliato; (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. DA.AL. presso lo studio del quale in Ascoli P., c.so (...), è elettivamente domiciliata; CONVENUTI SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., ritualmente notificato, (...), conveniva in giudizio l'(...), il Dott. (...) e la Dott.ssa (...) al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni patiti a seguito dell'errato intervento chirurgico effettuato dai sanitari della struttura resistente. In particolare, spiegava il ricorrente che in data 18.12.2012 veniva ricoverato presso l'(...) di Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di Ascoli Piceno con una diagnosi di "trauma contusivo dell'anca destra con frattura del collo del femore", per poi essere sottoposto, il giorno successivo, ad intervento chirurgico dai Dott.ri (...) e (...), a seguito del quale riportava una lesione del nervo sciatico dovuta a malpractice chirurgica e assenza di diligenza. Aggiungeva di aver presentato ricorso ex art. 696-bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Ascoli P., nei confronti dei resistenti e che, all'esito dell'accertamento in sede di ATP della responsabilità del personale ospedaliero e della struttura sanitaria, incardinava il presente giudizio e concludeva chiedendo al Tribunale "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, provvedere come appresso: Accertare e dichiarare, come da relazione del consulente Dott. (...) nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo della quale si chiede l'acquisizione ex art. 696 bic c. 5 c.p.c., che il danno subito dal ricorrente è riconducibile ad un comportamento colposo dei Dott.ri (...) e (...) e comunque alla violazione degli obblighi contrattualmente assunti dal convenuto -resistente (...) 5 in persona del Direttore Generale pro tempore e per l'effetto condannare i convenuti -resistenti tutti, in solido tra loro, al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito da (...) nella misura di Euro 76.433,18 - Euro 69.309,79 per il danno biologico da permanente , temporanea e spese mediche ritenute congrue, ed Euro 7.123,39 per le spese del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. Tribunale di Ascoli RGN. 1230/2019, di cui Euro 438,39 per spese procedimento ex art. 696 bis c.p.c. ( C.U. Euro 379,50 , Euro 27,00 per marca, Euro 31,89 per notifica decreto comparizione parti), Euro 3.220,00 per spese di CTU - spese tutte delle quali si chiede il riconoscimento - ed Euro 3.465,00 per parcella del sottoscritto difensore per onorari procedura ex art. 696 bis di cui si chiede la liquidazione, salvo diversa somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia a seguito dell' espletamento dell'istruttoria del presente procedimento, oltre gli interessi e la rivalutazione monetaria. Il tutto con vittoria di spese, competenze e onorari di causa". Si costituiva in giudizio l'(...), contestando in fatto ed in diritto la domanda e chiedendone il rigetto. Evidenziava, in particolare, come il percorso diagnostico e terapeutico attuato dai sanitari fosse stato conforme ai più elevati standards, alle linee guida e alla buone pratiche mediche conosciute, sottolineando la carenza di qualsivoglia nesso di causalità tra i fatti ed i presunti danni ex adverso lamentati ed affermando come le conseguenze lesive derivassero direttamente da altre cause legate alla preesistente condizione del paziente e che alcun aggravamento si era verificato a causa dell'intervento. Contestava il quantum indicato dal ricorrente. Così concludeva: "Voglia l'Ill.mo Giudice adito, contrariis reiectis: in via principale accertato che le domande svolte dal ricorrente richiedono un'istruttoria non sommaria, disporre il mutamento del rito e fissare con ordinanza non impugnabile, l'udienza ex art. 183 c.p.c. per le motivazioni esposte in narrativa; nel merito, in via gradatamente subordinata 1. rigettare integralmente la domanda di cui al ricorso poiché infondata in fatto ed in diritto, per tutti motivi di cui alla presente comparsa. 2. Accertare l'inesistenza di responsabilità alcuna da imputarsi all'(...) 5, in relazione all'evento per cui è causa; 3. Nella denegata ipotesi si ravvisino elementi di responsabilità in relazione all'evento per cui è causa, accertare la responsabilità concorrente del soggetto ricorrente nella causazione del danno per cui è lite, con conseguente riduzione proporzionale del quantum risarcitorio. In ogni caso con vittoria dei compensi e refusione delle spese di giudizio". Si costituiva in giudizio il Dott. (...) chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti e contestando le risultanze della CTU espletata in sede di ATP in quanto generica ed approssimativa. Affermava, in particolare, come dalla CTU non fosse emerso né quale operatore avesse materialmente commesso l'errore - se i paramedici, gli anestesisti o i chirurghi ortopedici - né la specifica condotta eventualmente lesiva. Eccepiva, in ogni caso, come i danni lamentati dal ricorrente fossero conseguenza di una condotta negligente riconducibile esclusivamente alla struttura sanitaria. Contestava, altresì, la quantificazione dei danni effettuata dal CTU. Si costituiva in giudizio anche la Dott.ssa (...) contestando le avverse pretese poiché infondate in fatto ed in diritto, sia sotto il profilo dell'an che del quantum, e concludeva chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. All'udienza del 09.09.2020 il Giudice disponeva il mutamento del rito da sommario in ordinario e l'acquisizione del fascicolo del procedimento di ATP n. 1230/2019. MOTIVI DELLA DECISIONE Se per le norme procedurali di cui alla legge Gelli-Bianco vale il principio cristallizzato nel brocardo "tempus regit actum", per ciò che concerne quelle sostanziali - quali quelle qualificatorie della responsabilità della struttura sanitaria - in assenza di norme che diversamente dispongano, il principio di irretroattività di cui all'art. 11 delle pre leggi, comporta che la legge nuova non possa essere applicata ai fatti, come quello oggetto del presente giudizio, già consumati al momento della sua entrata in vigore (ciò è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione nelle celebri sentenze di "San Martino", vedasi per tutte Cass. 28994/2019 ove di legge che "le norme sostanziali contenute nella L. n. 189 del 2012, al pari di quelle di cui alla L. n. 24 del 2017, non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro entrata in vigore, a differenza di quelle che, richiamando gli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni private in punto di liquidazione del danno, sono di immediata applicazione anche ai fatti pregressi", v. anche Cass. n. 28811/2019). Alla luce di tali considerazioni, e in applicazione dei principi giurisprudenziali maturati prima dell'entrata in vigore della citata normativa, nell'ipotesi in cui il paziente alleghi di aver subito danni in conseguenza di una attività svolta dal medico in esecuzione della prestazione che forma oggetto del rapporto obbligatorio tra quest'ultima e il paziente, tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale. Ed infatti, il rapporto che si instaura tra paziente e ente ospedaliero ha la sua fonte in un atipico contratto (c.d. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria) a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo. Anche l'obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente ha natura contrattuale, ma è fondata su di un contatto sociale avente ad oggetto una prestazione che si modella su quella del contratto d'opera professionale. Il medico, quindi, risponderà a fronte della violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l'affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con lo stesso. L'azienda sanitaria risponde dei danni derivati al paziente da trattamenti sanitari praticatigli con colpa dai suoi dipendenti, alla stregua delle norme di cui agli art. 1176 e 2236 c.c., essendo ravvisabile una responsabilità contrattuale del committente per l'errore commesso dai suoi preposti (ex multis Cass. n. 6386/2001). La responsabilità del medico investe la struttura sanitaria ove lo stesso opera e nella cui organizzazione è inserito. L'art. 1228 c.c., infatti, prevede una forma di responsabilità contrattuale indiretta secondo cui: "il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi risponde dei fatti dolosi e colposi di questi". La struttura sanitaria, pertanto, è responsabile solidamente (Cass. n. 18805/2009; Cass. n. 6436/2015) con il medico in caso di malpractice di quest'ultimo: la stessa, per essere esente da responsabilità, dovrà dimostrare di aver predisposto in maniera ottimale e tempestiva tutti i servizi richiestigli e di essersi avvalsa, nell'esplicazione degli stessi, di personale idoneo e competente. Il criterio di riparto dell'onere della prova in siffatte fattispecie, pertanto, non è quello che governa la responsabilità aquiliana (nell'ambito della quale il danneggiato è onerato della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi l'illecito ascritto al danneggiante) ma quello che governa la responsabilità contrattuale di cui all'art.1218 c.c.. Pertanto, è onere del creditore che agisce (per la risoluzione del contratto o per l'adempimento o) per il risarcimento del danno, dare prova della fonte negoziale o legale del suo diritto (in questo caso del contratto o del contatto sociale), limitandosi alla allegazione dell'avvenuto inadempimento del debitore e, quindi, del danno e del nesso causale fra quest'ultimo e l'inadempimento (provando che la condotta del professionista è stata la causa del danno lamentato). Ciò, fermo restando che il principio applicabile ai fini della ricostruzione dell'efficienza causale della condotta del sanitario sull'eventus damni è quello della "preponderanza dell'evidenza", anche noto come principio della "causalità adeguata" o del "più probabile che non" - (Cass. 29315/2017; Cass. 3704/2018; Cass. 20812/2018). Compete quindi al debitore la prova che l'inadempimento è insussistente o che comunque non sia stato causa del danno stesso. Dopo che il creditore-paziente avrà assolto al proprio onere probatorio, sarà compito del debitore-sanitario dimostrare di aver adempiuto diligentemente la prestazione oppure che l'inadempimento, pur verificatosi, sia dipeso da circostanze imprevedibili ed inevitabili e, per tale ragione, a lui non imputabili (Cass. 18392/2017; Cass. 26700/2018; Cass. 14335/2019; Cass. 27606/2019; Cass. 26907/2020; Cass. 10050/2022). Trasponendo tali principi al caso di specie, l'attore ha allegato e provato di essersi affidato alle cure dell'Ospedale di Ascoli Piceno a seguito della caduta e l'errore dei medici dal quale è conseguito l'aggravamento della situazione patologica Sarebbe stato onere delle convenute dimostrare di aver posto in essere tutte le cautele necessarie ad evitare il danno e, in particolare per quanto attiene ai sanitari, di aver operato con la massima diligenza ed il massimo scrupolo ovvero che il danno lamentato sarebbe da ascriversi ad una causa non imputabile, ad un evento imprevedibile, anche utilizzando l'ordinaria diligenza. Tale prova non è stata fornita. La struttura sanitaria e i sanitari convenuti, infatti, si sono limitati ad opporre genericamente la correttezza del percorso diagnostico e terapeutico attuato e l'inutilizzabilità dei risultati della CTU espletata in sede di ATP. Al contrario, la domanda attrice ha ricevuto conferma dalla CTU svolta nel procedimento di ATP promosso in via preventiva dal P., secondo cui "dall'analisi documentale non vi è prova che la lesione dello sciatico popliteo esterno sia da addebitarsi ad una complicanza imprevedibile e non prevenibile, essendo con maggior probabilità da attribuire alla mancata messa in atto di strategie adeguate alla prevenzione di questi eventi, in particolare un adeguato accesso chirurgico, attenzione del posizionamento dei retrattori e nella movimentazione della gamba, inadeguato controllo anestesiologico, oppure può essere dovuto alla formazione di voluminosi ematomi o edemi perifratturativi. La prova del danno è ben rappresentata dalla elettromiografia del gennaio 2013 che evidenziava la grave neuropatia dello sciatico; tuttavia il danno neurologico è andato progressivamente incontro ad un miglioramento ed infine ad una stabilizzazione nel 2015, ulteriormente confermata dall'ultimo esame elettromiografico del 2020. Anche l'esame obiettivo effettuato dallo specialista ortopedico depone per un discreto recupero funzionale, residuando attualmente esiti funzionali "modesti", discretamente compensati dall'uso delle stampelle. Per quanto riguarda la patologia psichiatrica vi è da dire che all'epoca dei fatti il P. presentava già da alcuni anni un disturbo di personalità per il quale era in terapia, l'aggravamento imputato alla perdita di autonomia conseguente alla frattura femorale non può essere interamente addebitato alla lesione nervosa, ma solo in misura ridotta può essere correlato con il prolungamento del periodo di invalidità temporanea dovuto al deficit dello SPE. In ultima analisi anche l'incremento ponderale (riferito) non sembra con sufficiente grado di probabilità da attribuire esclusivamente al prolungato periodo di riabilitazione e alle difficoltà deambulatorie derivanti dalla lesione nervosa; l'attuale peso corporeo inoltre non costituisce una condizione inemendabile" (v. pag. 27 CTU all. 7 ricorso). Le conclusioni a cui è pervenuto il collegio peritale in sede di ATP si sono palesate del tutto soddisfacenti, congrue ed ampiamente ed esaustivamente motivate, e devono e possono essere pienamente utilizzate ai fini della decisione della presente causa di merito. Correttamente i CCTTUU hanno commisurato il danno da ascrivere alla responsabilità dei sanitari quale danno iatrogeno. Il danneggiante dovrà essere chiamato a rispondere "di tutto il danno provocato e soltanto di esso, ovvero, in presenza di concause, delle sole conseguenze dannose a lui ascrivibili sotto il profilo della causalità giuridica" (cfr. anche Cass. n. 514/2020). Pertanto, il danno risarcibile sarà rappresentato dall'invalidità del paziente al netto del valore della patologia originaria e dell'intervento subito (così ex multis Cass. 27265/21). Dall'esame della storia clinica del paziente i Consulenti hanno correttamente rilevato che "Attualmente residuano le seguenti alterazioni: - lieve deficit EPA e ECD a destra validi almeno per l '80% (modesto deficit dello SPE discretamente compensato dall'uso dei bastoni canadesi) in esiti elettromiografici stabilizzati di pregressa lesione del nervo sciatico destro, prevalentemente nella sua componente peroneale, nell'ambito di una modesta polineuropatia mista, di natura non nota (dismetabolica?), aggravamento del quadro psichiatrico preesistente (disturbo di personalità poi evolutasi in psicosi affettiva bipolare) . Tenuto conto dei normali esiti dovuti ad una frattura di femore con necessità di protesizzazione dell'anca, della modesta polineuropatia da cui il P. risulta affetto, della pregressa anamnesi psichiatrica di disturbo della personalità, le alterazioni permanenti sopra descritte costituiscono un danno iatrogeno, che riduce la validità biologica del Soggetto, nella misura del 20 % (venti percento )" aggiungendo come "Le lesioni hanno comportato un periodo di incapacità temporanea assoluta di 30 gg ed un ulteriore periodo di incapacità temporanea al 50% di 60 gg, al 25% di 60 gg" (v. pag. 28-29). Dunque, i consulenti del Tribunale, nella quantificazione della misura dell'invalidità subita dall'attore direttamente riconducibile all'errore iatrogeno, hanno opportunamente tenuto conto dell'esistenza di altri "fattori concausali menomativi" che, pur non ritenuti idonei ad assorbire integralmente l'errore medico, tuttavia hanno avuto una (seppur minima) incidenza sulla catena causale. I CCTTUU hanno affermato poi che"la lesione dello SPE, ben documentata nel corso dei ripetuti esami elettromiografici eseguiti dal P., sia una complicanza nota ma quanto mai rara dopo interventi di artroprotesi d'anca. Esistono delle misure preventive adeguate per contrastare tale evenienza e sono rappresentate da un accesso chirurgico antero-laterale, da una accurata individuazione dei possibili fattori di rischio preoperatori, dall'accurata e cautelativa manipolazione dell'arto inferiore , evitando di applicare trazioni eccessive e utilizzando in modo appropriato lo strumentario (in particolar modo i retrattori), nonché dalla possibilità di registrare eventuali lesioni nervose in tempo reale eseguendo una registrazione neurofisiologica (potenziali evocati, elettromiografie) intraoperatoria che permetta di individuare la lesione precocemente e di eseguire manovre chirurgiche nella maniera adeguata e con la corretta applicazione di forza. Tutta la letteratura scientifica è concorde nell'individuazione di queste componenti dell'atto chirurgico come fonte di lesione iatrogena dello SPE. Se la lesione nervosa fosse stata attribuibile al trauma, l 'esame obiettivo al momento del ricovero avrebbe dovuto evidenziare un deficit pre operatorio della flesso estensione del piede, tuttavia, al momento del ricovero veniva espressamente negata la sussistenza di deficit nervosi periferici all'arto inferiore destro, dunque, con la logica del più probabile che non, la lesione nervosa è più probabilmente attribuibile ad un evento intraoperatorio, quale una eccessiva trazione durante le manipolazioni chirurgiche, un non adeguato posizionamento del paziente in relazione anche al tipo di accesso chirurgico o un incongruo utilizzo dei retrattori, piuttosto che alla frattura stessa, rimanendo tuttavia difficile individuare l'esatto momento in cui, nel corso dell'intervento, si verificò tale lesione"(v. pag. 38). Hanno poi ribadito come: "La valutazione del 20% racchiude in sé sia la componente del danno nervoso dello SPE, quantificabile in circa 8 -10%, valore che ben si correla con i reperti elettromiografici ed obiettivi riscontrati anche in sede di CTU, alla luce sia del recupero funzionale che del rilievo di una polineuropatia mista, sia il peggioramento delle condizioni psichiche, documentato dalla esecuzione di una visita psichiatrica, eseguita tra l 'altro nella stessa struttura ospedaliera dell'intervento ortopedico, che documenta un peggioramento del quadro clinico , da intendersi quadro clinico psichiatrico, dopo frattura del femore destro e successive complicazioni che hanno determinato grave compromissione personale nella deambulazione con peggioramento delle condizioni psicopatologiche" (v. pag. 39). Può dirsi dunque accertato che l'errore medico ha casualmente inciso, in applicazione della regola del più probabile che non, ad aggravare le conseguenze patite dal (...) I convenuti non hanno fornito alcun elemento idoneo a superare le predette conclusioni, per cui andranno dichiarati solidalmente responsabili dei danni subiti dall'attore (ferma restando la ripartizione del risarcimento nei rapporti interni fra i convenuti, sulla quale l'odierno giudicante non è stato comunque chiamato a decidere). In ordine all'entità del risarcimento, trattandosi di danni "macropermanenti", saranno applicabili le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano che oltre alla "vocazione nazionale" - evidenziata anche dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 12408/11 - sono state rielaborate all'esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008. Va precisato che, alla luce del costante orientamento della Corte di Cassazione, non è più ammesso il riconoscimento di molteplici voci di liquidazione del danno non patrimoniale e ciò al fine di evitare inammissibili duplicazioni risarcitorie. Com'è noto, infatti, si è avuto espresso riconoscimento di un sistema di risarcimento del danno alla persona bipolare - ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale - ove quest'ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione del diritto della persona alla salute consistente in una menomazione dell'integrità dell'organismo umano nella sua struttura psicofisica), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d'animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona. Tali conseguenze dannose non patrimoniali ulteriori e peculiari non sono state allegate dalla parte; ne discende che non possono essere risarcite in questa sede. Se è vero, infatti, che il danno morale soggettivo può essere comprovato mediante lo strumento delle presunzioni - posto che ad un certo tipo di lesione, anche se di lieve entità, può riconnettersi di regola una sofferenza - tuttavia, il ricorso alle presunzioni non può esonerare il danneggiato dall'onere di una compiuta allegazione del danno, o quanto meno degli elementi di fatto da cui desumere la sussistenza di un pregiudizio morale. Allo stesso modo, non potrebbe riconoscersi all'attore alcuna personalizzazione del danno, trattandosi, anche questa, di una voce di danno non patrimoniale non solo non provata, ma nemmeno allegata dalla parte attrice. In conclusione, tenuto conto della gravità delle lesioni e dell'età del soggetto leso, posto in relazione il concreto evento biologico con il quadro completo delle funzioni vitali in cui poteva e potrà estrinsecarsi l'efficienza psicofisica dell'attore, si ritiene equo ex art. 1226 c.c. liquidare il danno personale patito dall'attore come segue: - a titolo di risarcimento del danno derivante dalla lesione permanente del 20% dell'integrità psicofisica, Euro 58.373,55; - a titolo di risarcimento del danno derivante da inabilità temporanea assoluta per giorni 30, invalidità temporanea parziale al 50% per giorni 60 e parziale al 25% per giorni 60, Euro 9.001,02 In conclusione, all'attore andrà riconosciuta, a titolo di danno non patrimoniale, la complessiva somma di Euro 67.374,57, già rivalutata. Su tale somma dovranno conteggiarsi gli interessi legali dal giorno del fatto alla data della presente pronuncia. Al fine di effettuare tale calcolo, in base al costante insegnamento della Corte di Cassazione sarà necessario "devalutare" tale somma al giorno in cui si è consumato l'illecito e sull'importo così ottenuto calcolare gli interessi sulla somma anno per anno rivalutata (Cass. Civ. Sez. Un. 17/02/95 n.1712). Sul totale delle somme così liquidate per sorte capitale ed interessi competono all'attore gli interessi legali, dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c. Passando alla valutazione della richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, in omaggio al principio per cui con il risarcimento del danno occorre riportare il patrimonio del danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato in assenza dell'inadempimento, andranno rimborsati i costi sostenuti per attivare il procedimento di ATP (v. all. 12-13-14 ricorso). Pertanto i convenuti, andranno, in solido tra loro, condannati a risarcire all'attore le spese per il contributo unificato e diritti di cancelleria, pari ad euro Euro 438,39 (C.U. Euro 379,50 , Euro 27,00 per marca, Euro 31,89 per notifica decreto comparizione parti), le spese per la consulenza tecnica, pari ad Euro 3.220,00, nonché Euro 3.645,00 per l'attività espletata in sede di ATP dal procuratore dell'attore, per un totale di Euro 7.303,39. I convenuti devono altresì rimborsare all'attore le spese mediche sostenute, per un totale di Euro 1.935,22 (v. all. n. 8 ricorso), ritenute congrue dai CCTTUU (v. pag. 31 CTU). Ne discende che, a titolo di danno patrimoniale, all'attore andrà risarcito il complessivo importo di Euro 9.238,61 per le spese sostenute e documentate, causalmente riconducibili all'illecito nel senso che, in assenza del comportamento omissivo dei sanitari, le stesse non sarebbero state necessarie. Le spese di lite del presente procedimento seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo in relazione al valore della causa, al numero e complessità delle questioni trattate ed all'attività effettivamente svolta dal procuratore della parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in persona del Giudice Onorario di Pace Avv. Adriano Cassini, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al RG 442 del 2020, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1 Riconosciuta la responsabilità dei convenuti, condanna gli stessi, in solido tra loro, per le ragioni di cui alla parte motiva a risarcire all'attore, a titolo di danno non patrimoniale, la complessiva somma di Euro 67.374,57 oltre interessi e rivalutazione come specificato in parte motiva; 2 Condanna altresì i convenuti, in solido tra loro, a rimborsare alla parte attrice, a titolo di danno patrimoniale, la somma di Euro 9.238,61, oltre interessi dal giorno del singolo esborso all'effettivo soddisfo; 3 Condanna le parti convenute, in solido tra loro, a rimborsare all'attore, le spese di lite, che si liquidano nella somma complessiva di Euro 12.628,87 di cui Euro 11.806,20 per onorari di avvocato ed Euro 822,67 per spese, oltre al 15% per spese generali, Iva se dovuta e Cap nelle misure di legge. Così deciso in Ascoli Piceno l'11 luglio 2023. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luisella Lorenzi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 314/2016 promossa da: (...) (c.f.: (...)) e (...) (c.f. (...)) rappresentate e difese dall'avv. Gi.Na. ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Ascoli Piceno, c.so (...), in virtù di procura in atti ATTRICI contro (...) (c.f.: (...)) CONVENUTO-CONTUMACE Oggetto: divisione ereditaria SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 3.2.2016 le signore (...) e (...), in qualità di eredi del sig. (...), convenivano in giudizio il sig. (...) chiedendo: -l'accertamento dell'esistenza di una comunione tra le attrici, in ragione di un quarto ciascuna, e il convenuto, in ragione di un mezzo, su alcune attrezzature agricole elencate analiticamente, -la stima di dette attrezzature con riferimento all'anno 2007, -la nomina di C.T.U. che, formata la massa, individui due quote e l'eventuale conguaglio, -disporre la diminuzione del valore dei beni a totale carico del convenuto, -porre le spese e le competenze di causa a carico della massa o, in caso di opposizione, a carico del convenuto. Le attrici deducevano che: - dopo la morte del sig. (...) erano divenute comproprietarie insieme al convenuto di alcuni beni immobili e di varie attrezzature agricole utilizzate sino al marzo del 2005 dai fratelli (...) per la coltivazione dei loro terreni; - la divisione delle proprietà immobiliari in comune veniva fatta con atto Notaio (...) del 20.7.2007, mentre quella delle attrezzature agricole non veniva mai effettuata esclusivamente a causa della mancata collaborazione del convenuto, malgrado le numerose richieste anche scritte avanzate sin dal settembre 2007; - come da stima della ditta S. s.r.l., incaricata dalle attrici, il valore delle attrezzature in questione nel tempo si era più che dimezzato: Euro 18.283,00 anno 2007 - Euro 15.000,00 luglio 2010 - Euro 7.650,00 luglio 2013; - tale considerevole riduzione di valore delle attrezzature in questione era da addebitarsi non solamente al passare del tempo ma anche al fatto che erano rimaste esposte alle intemperie per tanti anni nel giardino in comune tra le parti; - malgrado i numerosi tentativi di trovare un accordo bonario, il convenuto ha sempre rifiutato di incontrarle perfino in occasione del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la Camera di conciliazione Forense Picena tenutosi in data 13 giugno 2014. Alla prima udienza del 12.5.2016 il convenuto veniva dichiarato contumace e venivano concessi i termini ex art. 183, 6 comma, c.p.c. Le attrici chiedevano l'ammissione della prova per interrogatorio formale e della prova testimoniale, nonché C.T.U. per accertare il valore delle attrezzature agricole nell'attualità e con riferimento all'anno 2007. Espletato l'interrogatorio formale del convenuto all'udienza del 7.9.2017, in data 19.7.2018 veniva formulata proposta conciliativa ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c. Concessi numerosi rinvii su espressa richiesta delle attrici, che notificavano regolarmente al convenuto contumace la proposta conciliativa e il verbale di udienza del 1.7.2021, veniva fissata per la data del 5.5.2022 l'udienza di precisazione delle conclusioni in cui le attrici insistevano per l'ammissione dei mezzi istruttori dedotti nella memoria ex art. 186, 6 comma, n. 2, c.p.c. La C.T.U. depositata in data 28.7.2022 stimava i beni in complessivi Euro 3.400,00 alla data della perizia ed Euro 4.220,00 per l'anno 2007 e redigeva due tabelle contenenti masse di attrezzature di pari valore. Nelle note di trattazione scritta per l'udienza del 6.10.2022 le attrici sollevavano alcune contestazioni alla C.T.U. All'udienza del 15.12.2022 le attrici precisavano le conclusioni chiedendo l'assegnazione dell'intero compendio ereditario, vista l'esiguità del valore degli stessi come accertata in C.T.U., con vittoria delle spese di lite e, concessi i termini ex art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione. La domanda di divisione va accolta. Si rileva che parte attrice ha dimostrato la sussistenza dei presupposti di legge per procedere alla divisione, ossia la legittimazione attiva delle attrici e quella passiva del convenuto nonché l'esatto contenuto del compendio ereditario. Prova della legittimazione delle parti e della consistenza della rispettiva quota di proprietà è stata fornita per tabulas: dal contratto di divisione dei beni immobili caduti in successione a seguiti della morte del sig. (...) del 25.3.2005 7.2007 - atto Notaio C. del 20.7.2007 - si evince che le attrici, in qualità di eredi del de cuius, sono proprietarie in ragione di un quarto ciascuna dei beni in comunione mentre il convenuto è proprietario in ragione di due quarti. La prova sull'entità del compendio ereditario è stata fornita dal convenuto che, in sede di interrogatorio reso all'udienza del 7.9.2017, confermava che i beni elencati nell'atto di citazione erano proprio quelli in comune tra le parti e oggetto del presente giudizio di divisione. Peraltro, sempre all'udienza del 7.9.2017, il sig. (...) non solo non avanzava alcuna opposizione alla domanda delle attrici ma, seppure contumace, proponeva di conciliare la causa con la vendita dei beni a terzi, non essendo interessato alle attrezzature agricole, dichiarandosi disponibile a sottoscrivere gli atti per il passaggio di proprietà del trattore. Inoltre, la C.T.U. stimava i beni in comune e formava due masse di identico valore da assegnare alle parti. Le attrici, però, non accettavano la proposta di divisione formulata dal convenuto ma proseguivano il giudizio per accertare i danni da loro subiti a seguito dell'asserito rifiuto del sig. (...) di procedere alla divisione e alla conseguente condanna mediante riduzione della quota di spettanza di questi di un importo pari alla riduzione di valore di detti beni. Tale ulteriore domanda deve essere rigettata per i seguenti motivi. Invero, ai sensi dell'art. 713 c.c. i coeredi possono sempre domandare la divisione, ma naturalmente non vi è alcun obbligo giuridico di farlo e la comunione può durare per sempre. Nel caso di specie si rileva che è stato il comportamento delle attrici a determinare il grave ritardo nel procedere con la divisione. In primo luogo, sono trascorsi oltre undici anni tra l'apertura della successione - marzo 2005 - e l'iscrizione a ruolo del giudizio di divisione - febbraio 2016. Peraltro, non è stata fornita la prova che le attrici avevano avanzato la domanda di divisione nell'anno 2007 e tantomeno del rifiuto asseritamente opposto dal sig. (...). Invero, nella lettera dell'8 novembre 2007, redatta in risposta ad altra missiva, di cui non si ha contezza, inviata dal legale del convenuto alle attrici, queste, oltre a lamentare vari disagi nella gestione delle parti in comune degli immobili, dichiarano di voler "dismettere la quota del trattore di loro competenza" offrendola in vendita al convenuto. Solamente nelle note del 27 aprile 2010 e del 10.6.2013, tra le altre questioni, emerge la volontà delle attrici di dividere i beni della comunione ereditaria di cui è causa poiché propongono la vendita di detti beni oppure la loro assegnazione al sig. P., salvo conguaglio. Per inciso, si rileva che non sono state versate in atti le lettere di risposta del convenuto a sostegno del suo rifiuto a procedere nella divisione. Inoltre, in sede di interrogatorio reso all'udienza del 7.9.2017, sulla circostanza che le attrici già nel 2007 avevano chiesto di dividere le attrezzature agricole in comproprietà, il convenuto precisava che gli era stato chiesto di non usare più il trattore e che poi aveva ricevuto la lettera. Tale affermazione è perfettamente in linea con il tenore della lettera citata e conferma che l'oggetto del contendere, tra le altre cose, verteva esclusivamente sulla divisione della proprietà del trattore. In ogni caso, l'asserito e non provato rifiuto del sig. (...) non impediva alle attrici di procedere alla divisione giudiziale. Inoltre, durante il presente giudizio, parte attrice chiedeva innumerevoli rinvii dimostrando di non avere alcuna fretta di arrivare alla divisione con sentenza. Pertanto, si rigetta la domanda di risarcimento del danno quantificato nella misura della riduzione di valore dei beni in comune. In relazione alle spese del giudizio va seguito l'indirizzo costante della giurisprudenza di legittimità secondo cui: "Le spese relative al giudizio di divisione vanno poste a carico della massa allorché attengano al comune interesse dei condividenti, mentre valgono i principi generali sulla soccombenza per quelle spese che, secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, siano conseguenza di eccessive pretese o di inutili resistenze, cioè dell'ingiustificato comportamento della parte" (Cass., ordinanza n. 21184/2015; conf. Cass. n. 3083/2006). Esse vengono liquidate facendo applicazione del D.M. n. 55 del 2014 con riferimento al decisum e ai valori medi di scaglione ma con riduzione ex art. 4 in considerazione dell'attività svolta e della contumacia del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Luisella Lorenzi, definitivamente pronunciando: - dichiara sciolta la comunione ereditaria tra le parti; - assegna a parte attrice i beni di cui all'elenco n. 3 e a parte convenuta. i beni . elencati nella lista n. 2 della CTU del dott. Rocchi Pasquale depositata in giudizio il 28.7.2022, con ogni conseguenza in ordine alla trascrizione del passaggio di proprietà dei beni mobili registrati ivi indicati; - pone a carico della massa le spese di lite sostenute dalle attrici che liquida in complessivi Euro 1.300,00 per compenso professionale oltre spese gen. 15%, cap ed iva di legge, le spese vive documentate (c.u. marche e notifiche) e le spese di CTU come già liquidate con autonomo provvedimento; - per l'effetto condanna parte convenuta a rifonderne alle attrici la metà. Così deciso in Ascoli Piceno il 3 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luisella Lorenzi ha pronunciato, ex art. 429 cpc, la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 23/2021 promossa da: (...) S.R.L. (part. iva (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, come in atti, dagli avv.ti Li.Ni. e Se.Mo. OPPONENTE contro (...) (c. f. (...)), rappresentata e difesa, come in atti, dall'avv. Gi.Fa. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ascoli Piceno, c.so (...) OPPOSTA Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo in materia locativa SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione tempestivamente notificato (...) Srl proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 670/2020 del Tribunale di Ascoli Piceno, con il quale veniva ingiunto il pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 11.000,00, oltre interessi legali e spese, a titolo di differenze per canoni locatizi dal dicembre 2019 al dicembre 2020; l'opponente ha concluso rassegnando le seguenti conclusioni: "- ACCERTARE E DICHIARARE l'intervenuta eccessiva onerosità del contratto di locazione stipulato tra l'avv. (...) e la (...) S.r.l. in data 31/5/2015 avente ad oggetto la locazione di un fondo sito in R. degli A. per quanto esposto nel ricorso nonché la sussistenza del dovere di buona fede in capo all'avv. (...) consistente nell'obbligo di modificare il contratto di locazione stipulato con la (...) in data 31/5/2015, mediante la riduzione del 50% del canone di locazione per l'anno 2020; - ACCERTARE E DICHIARARE, per l'effetto e per quanto esposto in narrativa nel ricorso, la violazione da parte dell'avv. (...) del dovere di buona fede integrativo del contratto di locazione stipulato con la (...) S.r.l.; - DICHIARARE, alla luce del dovere di buona fede in capo alla locatrice, integrativo della vicenda negoziale per cui è causa, la riduzione del 50% dell'importo del canone di locazione per l'anno 2020 relativo al contratto stipulato fra la (...) S.r.l. e l'avv. (...) in data 31/01/2015, avente ad oggetto la locazione di un fondo ubicato in R. degli A., o la riduzione per la minor somma, in via subordinata ritenuta di giustizia; - R., per l'effetto, il Decreto ingiuntivo opposto, n. 670/2020 emesso dal Tribunale Ordinario di Ascoli Piceno all'esito del procedimento monitorio iscritto a ruolo con n.r.g. 1894/2020". A sostegno della opposizione, la società attrice allegava: - che, come titolare del villaggio turistico "(...)" ubicato a R. degli A., in prossimità del litorale da diversi anni era locataria di due terreni (confinanti con i terreni di proprietà della (...)), utilizzati per l'attività ricettiva del Villaggio, di cui uno di proprietà dell'avv. (...), alla quale aveva sempre regolarmente pagato i canoni; - che a causa dello stato di emergenza sanitaria dichiarato in virtù della pandemia da Covid-19, nell'anno 2020 aveva subito una rilevante contrazione dei propri ricavi a causa del calo netto delle presenze turistiche normalmente registrate prima della pandemia; - di avere quindi richiesto ai propri creditori principali la concessione di sconti sul prezzo delle forniture e/o dei canoni di locazione, ma che l'unica che non aveva voluto accordare il richiesto sconto del 50% sul canone di locazione per l'anno 2020 era stata l'avv. (...), la quale nel corso delle trattative aveva notificato il decreto ingiuntivo; - che ciò era contrario a buona fede in quanto la grave situazione economica che aveva colpito durante la pandemia l'opponente doveva considerarsi come sopravvenienza contrattuale integrante una ipotesi di eccessiva onerosità del contratto che consente al debitore di ottenere sia la risoluzione dello stesso sia una riduzione dell'obbligazione; - che l'importo di Euro 1.000,00 relativo all'anno 2019, non era esigibile al momento della notifica del decreto ingiuntivo, in quanto, alla fine del 2018, le parti avevano intavolato una trattativa nel corso della quale la locatrice si era resa disponibile ad addivenire alla modifica contrattuale rinunciando all'importo di Euro. 1.000,00. Si costituiva regolarmente in giudizio (...), contestando ogni deduzione avversa e così concludendo: "1) In via preliminare rigettare l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività concessa per il decreto ingiuntivo opposto n. 670/2020, in quanto sprovvista della prova del fumus boni iuris e del periculum in mora; 2) Nel merito, rigettare l'opposizione formulata da controparte avverso il decreto ingiuntivo n. 670/2020 del Tribunale di Ascoli Piceno poiché infondata e illegittima; 3) In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio". Rigettata l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo, disposta la mediazione obbligatoria con esito negativo, la causa, istruita solo documentalmente, sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'odierna udienza, viene discussa e decisa con sentenza a verbale di cui viene data lettura. L'opposizione è infondata e va respinta. Premesso che è principio ormai univoco che in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (così, per tutte, Cass. civ., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). Nel caso in esame l'opposta ha prodotto il contratto di locazione laddove sono espressamente convenuti fra le parti i canoni di locazione conformemente agli importi ingiunti, assolvendo quindi l'onere probatorio su di lei incombente. Nella fattispecie, però l'opponente non contesta il mancato pagamento, o meglio il pagamento del canone nella misura del 50% di quanto pattuito, ma deduce di avere diritto alla rinegoziazione del canone locatizio a seguito della situazione di crisi economica indotta dalla pandemia di covid19, configurandosi la fattispecie dell'eccessiva onerosità sopravvenuta. L'art. 1467 c.c. prevede che "Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'art. 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto". Nella fattispecie, però, l'opponente non ha richiesto la risoluzione del contratto nell'ambito della quale potevano esserne modificate le condizioni e quindi "rinegoziato" il canone di locazione. Nessuna norma, neppure emergenziale, infatti, consente al conduttore di ridurre unilateralmente il canone di locazione sia pure per un tempo limitato, dovendosi considerare che fra le misure previste a livello statale per ridurre l'impatto finanziario della pandemia nelle attività produttive, in particolare nel D.L. n. 18 del 2020, non è previsto alcun obbligo di rinegoziazione e/o "sconto" dei canoni di locazione commerciale relativi al periodo emergenziale, se non un credito d'imposta del 60% in favore del conduttore. Si deve dare conto che una parte della giurisprudenza di merito ha accolto la tesi difensiva di parte opponente dell'esistenza, nel caso, di un obbligo di rinegoziazione in applicazione del principio generale di buona fede. In merito va però rilevato che la Corte di Cassazione, quando afferma che l'art. 1374 c.c. e i principi di buona fede, correttezza e solidarietà sociale, esplicano la loro rilevanza nell'imporre a ciascuna parte di un rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, precisa anche che ciò deve avvenire "nei limiti dell'interesse proprio" (Cass.23069/2018) ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori" (Cassa. n. 17642/2012) ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio a suo carico" (Cass. n. 10182/2009) ovvero sempre che "non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse" (Cass. n. 5240/2004). Appare evidente che la riduzione di un proprio diritto contrattuale costituisce proprio quell'apprezzabile sacrificio che la norma pone quale limite all'obbligo di buona fede. Nel caso specie va, inoltre, considerato che la società opponente non ha neppure dato prova della contrazione degli introiti posta a base della richiesta di riduzione del canone per l'anno 2020. Essa ha depositato un mero prospetto delle presenze degli utenti nel campeggio negli ultimi anni, dal quale si evincerebbe un "grave calo di presenze pari a 42.977 in meno rispetto al 2019". A ben vedere però si tratta di documentazione unilateralmente predisposta che non ha alcuna efficacia probatoria in difetto del deposito di documentazione contabile che rammostri l'effettivo calo degli introiti nel 2020 rispetto agli anni precedenti. Infine, del tutto ingiustificato risulta il mancato pagamento dell'importo di Euro 1.000,00 quale residuo per i canoni dell'anno 2019, attesa l'infondatezza della pretesa di riduzione del canone per quanto sopra esposto, in periodo peraltro non interessato dalla pandemia. Riguardo alle spese del presente giudizio si ritiene equo compensarle integralmente tra le parti, attesa la sussistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi sui punti salienti della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Luisella Lorenzi, definitivamente pronunciando, così provvede: a) rigetta l'opposizione e conseguentemente conferma il decreto ingiuntivo opposto; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite del presente giudizio. Così deciso in Ascoli Piceno il 20 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ascoli Piceno Giudice Riccardo Ionta Sentenza pronunciata art. 281 sexies c.p.c., causa n. 738/2021 r.g., udienza del 17 marzo 2023 (...), Avv. Ro.Pa. parte attrice opponente (...) di (...), Avv. Al.An. parte convenuta opposta Le ragioni della decisione I. L'accertamento dei fatti rilevanti per la definizione della controversia, che segue, è fondato sulla valutazione delle allegazioni delle parti, concordi per la maggior parte dei fatti, e sulle circostanze non specificatamente contestate. La valutazione del giudizio di accertamento ha come oggetto, in particolare, gli elementi emersi dalla prova documentale. Le fonti di prova non indicate, e quelle non ammesse, sono irrilevanti ai fini della decisione. 1 L'opponente è proprietario di un appartamento sito in Viale A. n. 95 di F.. 2 Parte opponente ha commissionato all'opposta l'esecuzione i lavori di manutenzione dell'immobile secondo il preventivo di spesa ricevuto da quest'ultima il 31 maggio 2020 (comparsa, doc. 6). 3 L'opponente ha pagato un acconto di 1.065,57 euro oltre IVA, come da fattura n. (...) emessa dall'opposta in data 25 gennaio 2021 (comparsa, all. 3). 4 Con decreto ingiuntivo n. 121/2021 del 17 febbraio 2021 il Tribunale di Ascoli Piceno ha ingiunto all'opponente di pagare la somma di 26.943,00 euro oltre interessi e spese di procedura sulla base della fattura n. (...) emessa il 27 gennaio 2021 per i lavori eseguiti nell'appartamento (citazione, doc. 1). I lavori indicati sono i seguenti: "rifacimento di n. 3 bagni completi mediante la rimozione di massetti, sostituzione tubi, rifacimento dei massetti, montaggio dei rivestimenti e sanitari, montaggio di pavimenti nell'appartamento, nella mansarda e nei bagni, realizzazione di nuova linea idrica in cucina, sostituzione di tubi per riscaldamento e tutto come da preventivo, compreso il carico dei pavimenti ed il trasporto sino ai piani" 5 In corso di causa, a seguito di ricorso dell'opponente, è stato espletato il procedimento di accertamento tecnico preventivo n. 738-1/2021 r.g., avente ad oggetto i lavori eseguiti nell'appartamento dell'opponente. 6 Il convenuto non ha depositato le memorie ex art. 183 c.p.c. e, di fatto, è stato inattivo per la maggior parte del giudizio. II. La prima questione controversa riguarda l'accertamento del diritto dell'opponente alla risoluzione del contratto. L'opponente afferma, in sintesi, che l'opposto ha realizzato solo una parte dei lavori oggetto del preventivo e che "delle opere commissionate, in parte sono fatte male e tali da rendere l'appartamento non abitabile, ed in parte non sono state proprio effettuate", specificando nel dettaglio sia le opere non compiute, sia i vizi. 1 Il diritto alla garanzia ex art. 1667 c.c. configura un'ipotesi speciale di responsabilità contrattuale per inadempimento o per inesatto adempimento dell'obbligazione di esecuzione dell'opera. In tal senso la norma non prevede una garanzia in senso tecnico ossia un'obbligazione separata e distinta rispetto a quella, principale, di esecuzione dell'opera. 2 Se l'appaltatore agisce per ottenere il pagamento del corrispettivo, come nel caso di specie, grava su di esso l'onere della prova dell'esatto adempimento della propria obbligazione nel momento in cui il committente abbia eccepito l'inadempimento (Cassazione n. 936/2018). 3 L'opposta, sulla base della fattura posta alla base del decreto ingiuntivo, chiede il pagamento della somma di 26.943,00 euro IVA inclusa per l'esecuzione dei seguenti lavori: "il rifacimento di 3 bagni completi mediante la rimozione dei massetti, la sostituzione dei tubi, il rifacimento dei massetti, il montaggio dei rivestimenti e dei sanitari, il montaggio dei pavimenti nell'appartamento, nella mansarda e nei bagni, realizzazione di nuova linea idrica in cucina, sostituzione ti tubi per riscaldamento e tutto come da preventivo, compreso il carico dei pavimenti ed il trasporto sino ai piani che non erano previsti" (comparsa, all. 2). 4 Nella fattura non risultano specificate le seguenti lavorazioni presenti invece nel preventivo: risanamento delle pareti della cucina e dei due bagni, ove sono stati rimossi i rivestimenti, prevede la rasatura a due passate di prodotto specifico con riempimento della parte alta mediante applicazione di malto a spessore poi uniformata con le pareti con rasatura; montaggio di nuova linea di tubi e riempimento di tracce, montaggio battiscopa; posizionamento lavabo esterno, sostituzione impianto elettrico, rimozione fili esistenti e riposizionamento dei nuovi; fornitura e posa nuovo frutto e placca; realizzazione muretto. 5 In primo luogo, deve esser evidenziato come il convenuto-attore sostanziale, non depositando le memorie ex art. 183 c.p.c., non abbia soddisfatto l'onere della prova su di esso gravante. 6 In secondo luogo, la discrasia tra la pattuizione iniziale, conclusa per fatti concludenti sulla base del preventivo accettato, e le lavorazioni per cui è stato richiesto il pagamento, dimostrano che l'opposto non ha realizzato tutte le opere commissionate. 7 In terzo luogo, la consulenza resa in sede di a.t.p. ha verificato una serie di inadempienze e vizi tali da rendere giustificata la risoluzione del contratto. Appare utile precisare che L'appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall'art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite (Cassazione n. 4225/2022). 7.1 La consulenza tecnica d'ufficio ha accertato il mancato compimento a regola d'arte di tutte le opere indicate nella fattura e nel preventivo di spesa, risultando le stesse mancanti o viziate. 7.2 Nello specifico, non risultano ultimate le seguenti lavorazioni: posa in opera dei battiscopa del vano mansarda, posizionamento del pavimento del vano mansarda, montaggio lavabo esterno e relativa impiantistica, sostituzione dell'impianto elettrico, rimozione dei cavi esistenti e riposizionamento di quelli nuovi, posa in opera del lavabo di un bagno e della rubinetteria della vasca dell'altro bagno, posa in opera del battiscopa e dei pavimenti nel soggiorno, nella cucina e nel corridoio, posa in opera delle greche di un bagno, mancata applicazione della boiacca sulla pavimentazione di soggiorno, cucina, corridoio e bagni, con conseguente presenza di dislivelli tra piastrelle adiacenti che comportano un'effettiva alterazione del risultato funzionale ed estetico. 7.3 Per quanto concerne le opere viziate, la consulenza tecnica d'ufficio ha verificato che "le piastrelle posizionate non seguono un profilo uniforme, (...) nel bagno ubicato a nord-est è stato posato in opera un mosaico non a perfetta regola d'arte, non è stata considerata la differenza di spessore dei materiali usati (...), nel bagno centrale non è stato rispettato il disegno di posa, il rivestimento della vasca non è stato posato a perfetta regola d'arte e manca di planarità, (...) nel bagno del locale sottotetto il rivestimento non segue una regolare planarità e le piastrelle non seguono un filo dritto; nel locale stenditoio del sottotetto la pavimentazione è stata posizionata ma con porzioni mancanti, la fioriera del balcone che è parte integrante del parapetto è effettivamente rotta in un tratto". 7.4 La consulenza tecnica d'ufficio, considerando necessario il ripristino dello stato grezzo dell'appartamento per poter eseguire i lavori a regola d'arte, ha quantificato i costi necessari per emendare i vizi riscontrati in 25.864, 87 euro e in 8.152,42 euro i costi necessari per il completamento delle opere mancanti. Gli importi sono stati calcolati sulla base dei dati ricavabili dal prezziario regionale 2021 e dal prezziario cratere 2018. III. La seconda questione controversa riguarda l'accertamento dell'inadempimento dell'appaltatore e del diritto al risarcimento del danno oggetto della domanda riconvenzionale svolta dall'opponente. Parte opponente nelle note conclusive allega che "è risultato provato che le opere commissionate non sono state eseguite tutte; alcune delle opere effettuate sono state eseguite parzialmente; le opere effettuate presentano vizi e difetti gravi; onde completare le opere ed emendare i vizi sono necessari interventi il cui costo è rilevante. È una ovvietà che non potendo accedere all'immobile il (...) abbia dovuto sostenere i costi per utenze di due abitazioni e vivere ulteriormente il disagio di rinviare il trasloco nella casa più grande ed accogliente". 1 La domanda risarcitoria è infondata. 2 Il risarcimento del danno in caso di vizi dell'opera appaltata è rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall'art. 1668 c.c., e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall'appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori, deve essere raccordato con la particolare natura dell' "opus" commissionato. 3 Ne consegue che, se l'oggetto dell'appalto sia costituito dalla realizzazione di una "res", gli interventi emendativi si rapportano all'opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d'arte; mentre, se oggetto dell'appalto sia l'esecuzione di un'attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell'appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa, facendo altrimenti conseguire al danneggiato una "res" qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l'originario oggetto dell'appalto viene ricompreso (così Cassazione n. 19103/2012). 4 Il risarcimento del danno che si aggiunge alla risoluzione del contratto non può quindi avere natura di reintegrazione in forma specifica, nel senso che non può essere richiesto il ripristino della situazione esistente anteriormente all'esecuzione del contratto e, contemporaneamente, anche la realizzazione di quella che sarebbe conseguita all'esatto adempimento del medesimo, determinandosi altrimenti un illegittimo duplice beneficio conseguente dalla restituzione di ciò che si è dato e dal conseguimento dell'utilità che l'adempimento avrebbe determinato (Cassazione n. 8889/2011). 5 Non risulta adeguatamente provato invece il danno patrimoniale asseritamente subito dall'opponente e consistente nei "costi per utenze di due abitazioni". Non è possibile ricondurre in modo univoco le ricevute di versamento all'opponente né è chiaro il periodo a cui le stesse si riferiscono (essendo inoltre le stesse prodotte come foto neppure integrali). IV. La somma domandata per le spese del procedimento di accertamento preventivo ex art. 696 bis c.p.c. rientra nell'alveo delle spese stragiudiziali, e non di quelle giudiziali, avendo quindi natura di danno emergente (Cassazione n. 2644/2018). Le spese documentate solo quelle relative alla consulenza tecnica preventiva (1.812,53 euro). V. Le spese seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.). La liquidazione - considerando il valore della controversia, i parametri del Regolamento di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, - tiene conto (art. 4 e Cassazione n. 30286/2017, n. 11601/2018 e n. 23798/2019) della complessità della controversia, in particolare del numero e della complessità delle questioni trattate, dell'assenza di attività istruttoria svolta, della natura delle parti in causa, della natura dei diritti oggetto del giudizio. I parametri dello scaglione di riferimento sono considerati ai minimi, salvo la fase introduttiva ai medi, in ragione del valore effettivo della causa. P.Q.M. I. Revoca il decreto ingiuntivo opposto. II. Dichiara risolto il contratto. III. Condanna l'opposto alla restituzione delle somme ricevute oltre interessi sino al soddisfo. IV. Respinge le ulteriori domande. V. Condanna parte convenuta al pagamento delle spese di a.t.p. per la somma di 1.812,53 euro oltre interessi. VI. Condanna parte convenuta al pagamento delle spese di giudizio a favore dell'altra parte che liquida nella somma di 4.659 euro, oltre accessori dovuti per legge. Così deciso in Ascoli Piceno il 17 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ascoli Piceno Giudice Riccardo Ionta Sentenza pronunciata art. 281 sexies c.p.c., causa n. 1199/2021 r.g., udienza del 17 marzo 2023 (...), Avv. Em.Ar. parte attrice opponente (...) - Società Cooperativa, Avv. Pi.Ca. parte convenuta opposta (...) s.r.l., Avv. An.An. intervenuto LE RAGIONI DELLA DECISIONE I. L'accertamento dei fatti rilevanti per la definizione della controversia, che segue, è fondato sulla valutazione delle allegazioni delle parti, concordi per la maggior parte dei fatti, e sulle circostanze non specificatamente contestate. La valutazione del giudizio di accertamento ha come oggetto, in particolare, gli elementi emersi dalla prova documentale. Le fonti di prova non indicate, e quelle non ammesse, sono irrilevanti ai fini della decisione. 1 (...) S.r.l. Società Benefit e l'opposto hanno concluso nel dicembre 2017 un mutuo (n. (...) e già n. (...)) per la somma di 300.000,00 euro. L'attore ha garantito l'obbligazione mediante fideiussione. 2 Il Tribunale di Ascoli Piceno, con decreto ingiuntivo n. 356/2021, ha ingiunto all'opponente fideiussore il pagamento della somma 77.164,83 euro allegando l'inadempimento del debitore principale. II. E' infondata l'eccezione di incompetenza in favore del Tribunale delle Imprese di Roma posto che la nullità della fideiussione, in disparte quanto segue in merito al difetto totale di allegazione dei fatti posti alle base delle eccezioni, è chiesta in incidentale e non in via principale. III. La prima questione controversa - in disparte quindi le dissertazioni, non concludenti da un punto di vista processuale, della prima parte del ricorso - riguarderebbe la richiesta di "accertamento incidenter tantum" della nullità della fideiussione riproduttiva dello schema contrattuale predisposto dall'A.B.I., contenente disposizioni contrastanti con l'art. 2, comma 2, lett. a), della L. 10 ottobre 1990, n. 287. IV. La seconda questione controversa riguarda la "nullità delle clausole contrattuali del finanziamento di cui è causa per indeterminatezza ed indeterminabilità ex artt. 1284, 1346 e 1418 c.c. Usura. Questione Euribor". V. La terza questione controversa riguarda la "Mancanza di accordo delle parti sul tasso effettivamente applicato, violazione degli artt. 1325, 1326 c.c. Nullità dei contratti di finanziamento per la parte relativa all'applicazione dell'interesse ultralegale". VI. La quarta questione controversa riguarda la "Mancanza di sufficiente chiarezza e comprensibilità della pattuizione scritta dell'interesse ultralegale. Violazione dell'art. 1284, comma 3, c.c. Illegittimità della pattuizione di commissioni a vario titolo richieste dall'istituto. Violazione da parte dell'Istituto delle norme in materia di buona fede contrattuale e di trasparenza nei rapporti con il cliente: nullità delle clausole vessatorie". VII. La quinta questione controversa riguarda la "d) Nullità delle clausole su indicate per mancanza della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 c.c." VIII. La domanda è complessivamente infondata per un evidente difetto di allegazione. 1 Parte attrice ha inteso opporsi al decreto ingiuntivo mediante un atto in puro "diritto", eccependo cinque nullità, senza dedurre alcun elemento di fatto a supporto delle stesse. La citazione e le memorie sono una lunga, e non sempre chiara, dissertazione di norme e pronunce giurisprudenziali, privi di riferimento concreto alle eccezioni sollevate. 2 La parte che agisce in giudizio non può proporre la sua domanda in modo generico, ma deve consentire che il suo contenuto sia compiutamente identificato e percepito, affinché possa essere oggetto di accertamento, sia in fatto, che in diritto (Sezioni Unite n. 13533/2001, Cassazione n. 6618/2018). 3 Il principio dispositivo in senso processuale impone al giudice il vincolo di decidere juxta allegata partium senza possibilità di deroga alcuna (a differenza dell'onere della prova che conosce diverse modellazioni), pena l'indebita adozione di un modello processuale in cui si realizza l'antitetico principio inquisitorio (Cassazione, S.U., 26972/2008; Cassazione 6943/2004) L'allegazione processuale (in senso stretto) dei fatti non è soddisfatta da una mera e generica dichiarazione informativa ma dalla chiara prospettazione con cui la parte, esponendo i fatti a fondamento della domanda o dell'eccezione (artt. 112, 163, 167, , 414, 416, c.p.c., 2697 c.c.), afferma l'esistenza e la consistenza del diritto per cui chiede la tutela. 4 L'onere allegazione dei fatti costitutivi, estintivi o modificativi non può ritenersi assolto tramite il mero e generico alla produzione documentale. Questo vale soprattutto quando la carenza di allegazione coinvolge fatti primari (e non secondari) del complessivo fatto costitutivo, estintivo, modificativo del diritto. In altri termini, la mera produzione documentale può avere la funzione di consolidare l'individuazione dei fatti primari costitutivi già allegati negli atti del procedimento, ma non può avere la funzione di supplire totalmente la mancanza di allegazione stessa, comprimendo la funzione probatoria che le è propria, ledendo il diritto di difesa dell'altra parte e gravando il giudice del potere di prospettazione dei fatti costitutivi della domanda, in violazione del principio dispositivo e del divieto di scienza privata. 5 E tanto vale anche per quel che riguarda le nullità posto che il rilievo di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l'esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito (così, tra le molte, Cassazione n. 36353/2021). 6 La mancata soddisfazione del primario onere di allegazione non consente di ritenere ammissibile una consulenza tecnica d'ufficio inevitabilmente esplorativa e meramente suppletiva dell'inerzia di parte. IX. L'ultima questione controversa è relativa all'accertamento della titolarità del credito in capo all'intervenuto, oggetto dell'eccezione dell'attore negli scritti conclusivi. 1 E' utile premettere che la questione è affrontata in via incidentale al sol fine di chiarire la sussistenza dell'interesse ad intervenire. 2 L'art. 58.2 e 4 T.U.B. dispone che 2. La banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La B.I. può stabilire forme integrative di pubblicità. 2.1 La parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un'operazione di cessione in blocco ex art. 58, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta (Cassazione n. 4116/2016, n. 24798/2020). 2.2 La norma ha inteso agevolare la realizzazione della cessione "in blocco" di rapporti giuridici, prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, e dispensando la banca cessionaria dall'onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti. L'adempimento ha tale esclusiva finalità ed è estraneo al perfezionamento della fattispecie traslativa e quindi non incide sulla circolazione del credito, il quale, fin dal momento in cui la cessione si è perfezionata, è nella titolarità del cessionario che è, quindi, legittimato a ricevere la prestazione dovuta anche se gli adempimenti richiesti non sono stati ancora eseguiti. In sintesi, la pubblicazione ex art. 58 si pone su un piano, quello degli adempimenti pubblicitari, nettamente distinto rispetto alla prova del fatto costitutivo della titolarità del credito. In definitiva, la norma dell'art. 58 comma 4 si limita a stabilire che la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale fissa il giorno a partire dal quale il pagamento fatto nelle mani del cedente comunque non libera il ceduto (Cassazione n. 22548/2018). Sempre che, naturalmente, una cessione, che venga a riguardare quel particolare credito, sussista effettivamente: la previsione dell'art. 58.4 si applica al caso in cui una cessione rilevante esista, non dimostra che la stessa esiste. 2.3 L'adempimento si pone sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall'art. 1264 c.c. può essere validamente surrogato da questi ultimi, e segnatamente dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma, e può quindi aver luogo anche mediante l'atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio (ex multis Cassazione n. 20495/2020). L'adempimento impone un "contenuto informativo minimo", senza che siano specificati i contorni dei crediti che ne sono oggetto né la reale validità o efficacia dell'operazione posta in essere (Cassazione n. 5617/2020). E' così sufficiente la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cassazione n. 15884/2018). 3 Premessa la distinzione tra funzione dell'art. 58 T.U.B. e prova della titolarità del credito la recente giurisprudenza ha espresso tre considerazioni utili al ragionamento probatorio. 3.1 In primo luogo "la pubblicazione nella Gazzetta può costituire elemento indicativo dell'esistenza materiale di un fatto di cessione, come intervenuto tra due soggetti in un dato momento e relativo - in termini generici, se non proprio promiscui - ad "aziende, rami di azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco" (art. 58.1 T.U.B.) Ma di sicuro non dà contezza - in questa sua "minima" struttura informativa - degli specifici e precisi contorni dei crediti che vi sono inclusi ovvero esclusi, né tanto meno consente di compulsare la reale validità ed efficacia dell'operazione materialmente posta in essere... la norma dell'art. 58 comma 2 TUB, se non impone che un contenuto informativo minimo, consente tuttavia che la comunicazione relativa alla cessione da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie. Con la conseguenza, assunta questa diversa prospettiva, che - qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta ..., sui crediti inclusi/esclusi dall'ambito della cessione - detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il "prudente apprezzamento" del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito" (così Cassazione n. 5617/2020). 3.2 Il cessionario, al fine di fornire la prova dell'inclusione del credito nell'operazione di cessione in blocco, e dunque della sua legittimazione attiva, può avvalersi anche della dichiarazione ricognitiva della cessione stessa da parte del cedente, la quale costituisce "elemento documentale rilevante, potenzialmente decisivo" così come di ogni altro elemento, compreso il possesso della documentazione relativa al credito (Cassazione, n. 10200/2021). 3.3 Il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità. 4 Nel caso di specie l'intervenuto appare esser cessionario del credito, e quindi l'intervento appare ammissibile, posto che l'avvenuta cessione non risulta mai contestata dal cedente-opposto. X. Le spese seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.). La liquidazione - considerando il valore della controversia, i parametri del Regolamento di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, - tiene conto (art. 4 e Cassazione n. 30286/2017, n. 11601/2018 e n. 23798/2019) della complessità della controversia, in particolare del numero e della complessità delle questioni trattate, dell'assenza di attività istruttoria svolta, della natura delle parti in causa, della natura dei diritti oggetto del giudizio. Le spese sono compensate nei confronti dell'intervenuto in ragione della posizione processuale assunta. XI. I parametri dello scaglione di riferimento sono considerati ai minimi per la fase di studio. P.Q.M. I. Respinge l'opposizione. II. Condanna parte opponente al pagamento delle spese di giudizio a favore della parte opposta che liquida nella somma di 8.328 euro, oltre accessori dovuti per legge. Compensa le altre spese di giudizio tra l'opponente e l'intervenuto. III. Ordina ex art. 87 c.p.c. la cancellazione della frase contenuta a pag. 3) dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo "una anomala e fraudolenta attività creditizia". Così deciso in Ascoli Piceno il 17 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO Composto dai signori Magistrati: Dott. Luigi Cirillo - Presidente Dott.ssa Rita De Angelis - Giudice rel. Dott.ssa Barbara Caponetti - Giudice Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 1936/2022 tra (...), C.F.: (...), nata ad A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35, rappresentata e difesa dall'avv. La.Ta., elettivamente domiciliata ad Ascoli Piceno presso lo studio dell'Avv. La.Ta.; -ricorrente E (...), C.F.: (...), nata a A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35; -resistente, contumace Con l'intervento del Pubblico Ministero. OGGETTO: interdizione. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La ricorrente, (...), in qualità di nipote di (...), ha chiesto la pronuncia dell'interdizione della zia, in ragione della assoluta incapacità della medesima di provvedere ai suoi interessi, a causa dell'infermità mentale e fisica abituale in cui ella versa, essendo affetta da "demenza mista di grado moderato grave, poliartrosi a severa incidenza funzionale con claudicatio spinale, cardiopatia ipertensivo degenerativa", come attestato dal verbale di accertamento della Commissione medica Inps per l'accertamento dell'handicap del 02/10/2018. L'interdicenda, alla quale il ricorso è stato notificato, non si è costituita. Dalla documentazione depositata in atti e dall'esame dell'interdicenda emerge con evidenza la necessità di dover disporre una misura di protezione a tutela di (...). In particolare, dalla documentazione medica allegata al ricorso (verbale sanitario contenente il giudizio definitivo espresso dall'Inps sull'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità del 02/10/2018) risulta che (...) presenta "demenza mista di grado moderato grave, poliartrosi a severa incidenza funzionale con claudicatio spinale, cardiopatia ipertensivo degenerativa"; per questa condizione, l'interdicenda permane in un grave e permanente stato di compromissione della salute, tanto che (...) è stata dichiarata non autosufficiente e riconosciuta invalida permanente nella misura del 100%. Dunque, è stata giudicata in condizione di disabilità gravissima. Inoltre, la (...) è vedova, non ha figli e vive da tredici anni insieme alla nipote, (...), anch'ella vedova, che si occupava di lei a tempo pieno, provvedendo ad ogni necessità e bisogno, fino al trasferimento dell'interdicenda presso l'RPD San Giuseppe di Ascoli Piceno. L'esame dell'interdicenda, compiuto all'udienza del 2/3/2023 e svoltosi alla presenza del Pm, Dott.ssa (...), ha confermato la necessità di disporre una misura di protezione in favore di (...), la quale non è stata capace di riferire, a parte il proprio nome, la data di nascita, né di indicare quali sono i suoi parenti prossimi. Ella è apparsa tranquilla, ma non in grado di elaborare autonomamente un discorso di senso compiuto, né tantomeno è stata capace di comprendere le domande che le venivano rivolte, anche relative ai suoi interessi economici; (...) ha unicamente riferito: "Mi chiamo E., non ricordo quando sono nata, sono vedova, anzi si trattava di due uomini che venivano a casa mia e mangiavano, poi se ne andavano, qualche marito è morto, gli altri no, non ho avuto figli, ho accudito il bambino di una mia amica, ho cento anni, più di cento anni, abitavo a Frosinone, ho un nipote maschio e una femmina, sono qui perché sono venuta a trovare mia zia, ho una pensione, non so a quanto ammonti, ma mangio di qua e di là e non ho necessità di fare i conti; ho sempre lavorato" (verbale udienza del 02/03/2023). Dei prossimi congiunti è stata sentita la ricorrente, (...), nella sua qualità di nipote e persona stabilmente convivente con la persona beneficiaria da circa tredici anni: ella ha riferito che la (...) si è sempre occupata di lei e della sua famiglia per sessantacinque anni, vivendo quasi sempre insieme; tuttavia, l'interdicenda ha cominciato ad avere crisi nervose ed una degenerazione cognitiva dopo la morte del marito, Natale, che è avvenuta in data 01/02/2019; da lì non si è più ripresa. Il Pm, alla stessa udienza del 02/03/2023, ha espresso parere favorevole all'accoglimento del ricorso. La domanda proposta dalla ricorrente va, dunque, accolta, essendo emersa la sussistenza dei presupposti legittimanti l'interdizione di (...). In base al disposto dell'art. 414 c.c. - Persone che possono essere interdette - "Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione". A seguito delle modifiche introdotte con la L. n. 6 del 2004, ai fini della pronuncia di interdizione l'art. 414 c.c. postula non solo l'abituale infermità di mente dell'interdicendo, ma anche l'inadeguatezza di altri strumenti idonei ad assicurare un'adeguata protezione della persona. Ciò che rileva, quindi, ai fini della pronuncia di interdizione, non è unicamente il grado, più o meno intenso, d'infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, bensì la ritenuta inadeguatezza degli altri strumenti di tutela dovendosi, tale ultima valutazione, da compiersi "tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie" (Cass., 12.6.2006, n. 13584; CASS., 22.4.2009, n. 9628). La scelta tra i diversi istituti previsti dal legislatore a tutela della persona (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno) deve, quindi, essere effettuata tenendo in considerazione il fatto che l'interdizione, in considerazione della gravità degli effetti che da essa derivano ha, comunque, carattere residuale, e deve essere riservata a quelle fattispecie in cui nessun'altra misura sarebbe idonea a conseguire l'effetto protettivo. La L. n. 6 del 2004 ha, infatti, introdotto il principio per cui, a fronte di una persona non in grado di provvedere, in tutto o in parte, ai propri interessi, è necessario ricorrere a strumenti di tutela che ne sacrifichino il meno possibile la capacità di agire. Nel caso di specie, le risultanze istruttorie hanno dato conto dell'abituale e stabile condizione di infermità mentale e fisica di (...), la quale è soggetta anche a crisi epilettiche; come da documentazione allegata e da quanto esposto dalla parte ricorrente, risulta che dopo la morte del marito, Natale, verificatosi nel febbraio 2019, a distanza di pochi giorni si sono ripresentati episodi critici, in seguito ai quali è iniziato un processo di degenerazione del quadro psichico dell'interdicenda. Le predette risultanze documentali hanno trovato, poi, conferma nell'esame dell'interdicenda. (...) può, quindi, ritenersi priva della piena capacità di autodeterminarsi, di programmare e di adempiere gli impegni di una vita relazionale, nonché di amministrare e di provvedere convenientemente ai propri interessi, patrimoniali e non. Ella si trova, pertanto, certamente in uno stato di abituale infermità di mente e fisica, tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi. La (...) è titolare del diritto di usufrutto dell'immobile ove viveva, unitamente alla nipote, (...), prima di essere ricoverata presso la struttura RDP San Giuseppe di Ascoli Piceno, mentre quest'ultima risulta avere la nuda proprietà dell'immobile di cui sopra. Inoltre, la (...) percepisce una propria pensione ed un'indennità di accompagnamento, per un importo mensile pari a circa Euro 1.650,00. Ciò posto, malgrado le attività necessarie da compiere nell'interesse della interdicenda appaiano esigue e semplici, la gravità e stabilità della sua condizione e, quindi, la natura permanente della sua incapacità, destinata a protrarsi per tutto il tempo della sua esistenza, nonché la necessità di assicurarle una protezione totale, a fronte della sua incapacità di compiere coscientemente atti di ordinaria amministrazione (tra cui semplici commissioni), stante la sua non comprensione della realtà circostante, accompagnata, tuttavia, da una pressoché totale mancanza di autonomia fisica, rendono la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, nel caso concreto, inadeguata: essa dovrebbe, infatti, essere necessariamente accompagnata dall'attribuzione al rappresentante anche del potere di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione e dalla contemporanea esclusione della facoltà per la beneficiaria di porli in essere autonomamente, il che renderebbe l'amministrazione di sostegno priva di significato, in assenza di residui spazi di autonomia per la beneficiaria. L'interdizione appare, quindi, nel caso di specie, misura più tutelante ed adeguata per (...). La domanda della ricorrente va pertanto accolta, dovendosi dichiarare l'interdizione di (...); dopo il suo esame è già stata nominata come tutore provvisorio, la nipote, (...), C.F.: (...), nata ad A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35. La natura della controversia e l'assenza di opposizione al ricorso giustificano l'irripetibilità delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio avente R.G. n. 1936/2022, così provvede: - dichiara l'interdizione di (...), C.F.: (...), nata a A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35; - dichiara irripetibili le spese di causa; - manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 423 c.c. e per la trasmissione degli atti all'ufficio del Giudice Tutelare. Così deciso in Ascoli Piceno il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.
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