Sentenze recenti Tribunale Ascoli Piceno

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Enza Foti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1058/2022 promossa da: Pi.Fa. ((...)) rappresentato e difeso dall'avv. RO.MA. giusta procura in atti; attore contro CONDOMINIO LA Ce. DI A. Pi. ((...)) in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. SE.GI. e dall'avv. LU.MA. giusta procura in atti; convenuto MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato Pi.Fa. spiegava di essere un condomino del Condominio Ex C., ovvero E. O. di Via Pi. T., sito in Via Pi. T. civ.7-19 e che, in data del 09.06.2021, era approvato dall'assemblea il "RIFACIMENTO IMPIANTO CITOFONICO CONDOMINIALE". Successivamente, con delibera condominiale del 23.2.2022 era approvato il seguente punto all'ordine del giorno "relazione del condominio ristretto sui preventivi di spesa per l'impianto videocitofonico e relative determinazioni - riparto spese - prospetto rateale" con 660,375 millesimi. Tale ultima delibera era impugnata in questa sede in quanto ritenuta nulla poiché adottata in violazione dell'art. 1120 c.c., trattandosi, in base alla ricostruzione dell'attore, di un'innovazione; spiegava il Pi. che alla precedente assemblea del 9.6.2021 era stato approvato il rifacimento dell'impianto citofonico e non l'installazione di un nuovo "videocitofono" cosicchè tale ultima opera non era stata in alcun modo deliberata. In ogni caso, trattandosi di innovazione, il punto all'ordine del giorno che ci occupa avrebbe dovuto essere approvato con le maggioranze di cui all'art. 1136 c. VI c.c. ossia con "la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio". Impugnava altresì la citata delibera per violazione dell'art. 1121 c.c. trattandosi di innovazione "gravosa e voluttuaria" e, infine, impugnava la delibera per errata ripartizione delle spese. Concludeva, dunque, chiedendo di "accertare e dichiarare che la delibera del Condominio L. Ce. del 23.02.2022 adottata in narrativa, è nulla per espressa violazione dell'art.1120 c.c. e dell'ar1121 c.c. nonché per tutte le altre motivazioni espresse in narrativa; in via meramente gradata, accertata e dichiarata la possibilità di utilizzazione separata, dichiarare il sig. Pi.Fa. esonerato da qualsiasi contributo alla spesa; in via ulteriormente subordinata accertare e dichiarare che la Delib. del 23 febbraio 2022 è nulla per errata ripartizione della spesa". Si costituiva in giudizio il condominio contestando in fatto ed in diritto quanto affermato dalla parte attrice e chiedendo di "respingere la richiesta di sospensione della delibera impugnata; respingere la richiesta di declaratoria di nullità della delibera del Condominio L. Ce. del 23.02.2022, per insussistenza dei presuppostidi di cui agli artt. 1120 e 1121 c.c. e di ogni altra ragione di nulità; respingere la richiesta di declaratoria di eventuali utilizzazioni separate dell'impianto vidieocitofocnico e di esonero dell'attore dal contributo dovuto, in ogni caso per l'assenza dei requisiti di cui all'art. 1121 c.c.; rigettare comunque ogni altra domanda formulata dall'attore in quanto improcedibile per intervenuta decadenza e per insussistenza dei relativi presupposti di fatto e diritto; In ogni caso condannare l'attore al pagamento di spese e compensi del giudizio". Il procedimento, in assenza di necessità istruttorie, era chiamato all'udienza 16.6.2023 - poi sostituita con il deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. - per la precisazione delle conclusioni e, in quella sede, trattenuto in decisione con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. nella loro massima estensione. Principiando con il primo motivo di impugnazione della delibera assembleare che ci occupa va subito precisato come la sostituzione dell'impianto citofonico con un nuovo impianto videcitofonico non potrebbe in alcun caso rientrare nel novero delle innovazioni. La giurisprudenza, sul punto, è costante nel ritenere che "la previsione del videocitofono non comporta un'innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche, il concetto di innovazione impone una trasformazione, un'introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l'impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all'evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia" (ex multis Corte d'appello di Genova, sent. n. 755 del 30 luglio 2020). È noto, infatti, che le innovazioni possono essere definite come tutte quelle modificazioni che determinano l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, nel senso che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, devono presentare una diversa consistenza materiale oppure devono essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti (così ex multis: Cass.,23 ottobre 1999, n. 11936; Cass., 29 ottobre 1998, n. 1389; Cass., 5 novembre 1990, n. 10602; Cass. 26 maggio 2006 n. 12654, ma anche, tra la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, sent. n. 15695 del 26 ottobre 2022). Nel caso di specie, come visto, con la Delib. del 9 giugno 2021 era stato deciso dall'assemblea dei condomini il rifacimento dell'impianto citofonico condominiale, decisione integrata con la Delib. del 23 febbraio 2022 che oggi ci occupa ove si optava per l'installazione di un videocitofono in luogo dell'ormai obsoleto citofono, al fine di adeguare il condominio all'innovazione tecnologica nelle more intervenuta. Non vi è, dunque, alcuna alterazione dell'entità materiale ovvero alcun mutamento della destinazione originaria posto che si tratta, giova ribadirlo, solamente di installare, in luogo del vecchio impianto già esistente, un impianto adeguato ai tempi. Chiarito che non potrebbe parlarsi, nel caso di specie, di "innovazione", l'intervento che ci occupa va sicuramente incluso nell'alveo delle c.d. opere di straordinaria manutenzione. Ed infatti, come ricorda l'art. 3, D.P.R. n. 380 del 2001, rientrano nella manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso". Pertanto, trattandosi di manutenzione straordinaria, la delibera di approvazione delle stessa doveva essere adottata con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio (500 millesimi) anche in seconda convocazione. Quorum ampiamente rispettati nel caso che ci occupa. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, il primo motivo di impugnazione andrà rigettato. Con il secondo motivo di impugnazione il Pi. lamentava la violazione dell'art. 1121 c.c. Come visto, tuttavia, la sostituzione dell'impianto citofonico con un impianto videocitofonico, esula dall'alveo applicativo della disciplina delle innovazioni con la conseguenza che l'art. 1121 c.c. non potrebbe essere invocato. Tra l'altro, va in ogni caso escluso che la spesa relativa all'installazione di un videocitofono possa essere considerata opera voluttuaria o gravosa trattandosi, invece, dell'istallazione di un impianto certamente utile alla sicurezza dello stabile e dai costi invero non sproporzionati rispetto all'installazione di un normale impianto citofonico. Ed infatti, partendo dal presupposto che, nel caso che ci occupa, il rifacimento dell'impianto citofonico era stato comunque deliberato da tutti i condomini in sede di assemblea del 9.6.2021 - circostanza ammessa dallo stesso condomino impugnante - non potrebbe in alcun modo parlarsi di gravosità della spesa a fronte di una minima differenza di costi - a fronte di una certamente maggiore funzionalità - tra l'esborso necessario per l'installazione di un citofono e quello necessario per l'installazione di un videocitofono. In conclusione, anche il predetto motivo di impugnazione andrà respinto. Da ultimo, in relazione alla doglianza attinente all'errata ripartizione delle spese va innanzitutto precisato come la stessa vada annoverata tra i casi di annullamento della delibera condominiale, come pure affermato dalla parte attrice nel corso del giudizio. In relazione al predetto motivo l'attore lamentava - invero genericamente - che "il bilancio per d'esercizio straordinario viene riportato (ed approvato) in maniera confusa ed errata, in quanto presentato e contabilizzato come Videosorveglianza + Videocitofono, non consentendo quindi al Pi. di versare la sua quota di spettanza per la videosorveglianza". Lamenta dunque il Pi. l'assenza di una specifica ripartizione tra le spese relative all'impianto di videosorveglianza e quelle relative all'impianto di videocitofonia. Ciò posto, è lo stesso Pi., sin dall'atto di citazione, ad affermare che "le Sezioni Unite della Cassazione hanno orientato la giurisprudenza nel senso che la delibera assunta per la ripartizione delle spese riguardanti i beni comuni, ove adottata in violazione dei criteri legali o regolamentari deve considerarsi annullabile" (Cass. S.U.07 marzo 2005 n.4806). Ed infatti, è ormai pacifico in giurisprudenza il principio in base al quale sono nulle solamente le deliberazioni dell'assemblea di condominio con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell'esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. (cass. Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839, ribadita, da ultimo da Cass. n. 20888 del 18 luglio 2023). Nel caso di specie è evidente come il condomino lamenti, in concreto, l'assenza di indicazione specifica delle spese con la conseguenza che (a tutto voler concedere) la relativa delibera andava impugnata entro il termine di cui all'art. 1137 c. 2 c.c. termine che, al momento di introduzione del presente giudizio, era ampiamente spirato. In relazione al presente motivo di annullamento della delibera condominiale, infatti, il Pi. non notificava, nel suddetto termine, la richiesta di avvio del procedimento di mediazione con la conseguenza che il termine di impugnazione non era opportunamente interrotto come invece avvenuto per i primi due motivi di impugnazione. Alcun accenno, infatti, il Pi. faceva nella richiesta di avvio del procedimento di mediazione alla circostanza che "il bilancio per d'esercizio straordinario viene riportato (ed approvato) in maniera confusa ed errata, in quanto presentato e contabilizzato come Videosorveglianza + Videocitofono, non consentendo quindi al Pi. di versare la sua quota di spettanza per la videosorveglianza". Ne discende che l'attore andrà dichiarato decaduto dalla possibilità di richiedere l'annullamento della delibera sul punto. Infine, in ordine alla richiesta avanzata dall'attore in sede di memoria di replica di "disporre con ordinanza la cancellazione, e, con la sentenza che deciderà la causa, voglia assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale", ritiene questo giudice che le espressioni additate dall'attore quali offensive e sconvenienti, invero, non travalicano l'alveo della legittima difesa con la conseguenza che la richiesta non potrebbe essere accolta. Le spese di lite seguiranno la soccombenza ed andranno liquidate come da dispositivo in relazione al valore del procedimento (indeterminabile), al numero e complessità delle questioni trattate (bassa) ed all'attività effettivamente svolta dal procuratore della parte convenuta. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in persona del giudice Enza Foti, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al 1058 del 2022, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Rigetta il primo e il secondo motivo di impugnazione; - Dichiara tardiva la richiesta di annullamento della delibera condominiale in relazione al terzo motivo di impugnazione; - condanna la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite, che si liquidano nella somma complessiva di Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali, i.v.a., c.p.a. come per legge. Così deciso in Ascoli Piceno il 10 ottobre 2023. Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Luisella Lorenzi ha pronunciato, ex art. 429 cpc, la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 23/2021 promossa da: (...) S.R.L. (part. iva (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, come in atti, dagli avv.ti Li.Ni. e Se.Mo. OPPONENTE contro (...) (c. f. (...)), rappresentata e difesa, come in atti, dall'avv. Gi.Fa. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ascoli Piceno, c.so (...) OPPOSTA Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo in materia locativa SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione tempestivamente notificato (...) Srl proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 670/2020 del Tribunale di Ascoli Piceno, con il quale veniva ingiunto il pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 11.000,00, oltre interessi legali e spese, a titolo di differenze per canoni locatizi dal dicembre 2019 al dicembre 2020; l'opponente ha concluso rassegnando le seguenti conclusioni: "- ACCERTARE E DICHIARARE l'intervenuta eccessiva onerosità del contratto di locazione stipulato tra l'avv. (...) e la (...) S.r.l. in data 31/5/2015 avente ad oggetto la locazione di un fondo sito in R. degli A. per quanto esposto nel ricorso nonché la sussistenza del dovere di buona fede in capo all'avv. (...) consistente nell'obbligo di modificare il contratto di locazione stipulato con la (...) in data 31/5/2015, mediante la riduzione del 50% del canone di locazione per l'anno 2020; - ACCERTARE E DICHIARARE, per l'effetto e per quanto esposto in narrativa nel ricorso, la violazione da parte dell'avv. (...) del dovere di buona fede integrativo del contratto di locazione stipulato con la (...) S.r.l.; - DICHIARARE, alla luce del dovere di buona fede in capo alla locatrice, integrativo della vicenda negoziale per cui è causa, la riduzione del 50% dell'importo del canone di locazione per l'anno 2020 relativo al contratto stipulato fra la (...) S.r.l. e l'avv. (...) in data 31/01/2015, avente ad oggetto la locazione di un fondo ubicato in R. degli A., o la riduzione per la minor somma, in via subordinata ritenuta di giustizia; - R., per l'effetto, il Decreto ingiuntivo opposto, n. 670/2020 emesso dal Tribunale Ordinario di Ascoli Piceno all'esito del procedimento monitorio iscritto a ruolo con n.r.g. 1894/2020". A sostegno della opposizione, la società attrice allegava: - che, come titolare del villaggio turistico "(...)" ubicato a R. degli A., in prossimità del litorale da diversi anni era locataria di due terreni (confinanti con i terreni di proprietà della (...)), utilizzati per l'attività ricettiva del Villaggio, di cui uno di proprietà dell'avv. (...), alla quale aveva sempre regolarmente pagato i canoni; - che a causa dello stato di emergenza sanitaria dichiarato in virtù della pandemia da Covid-19, nell'anno 2020 aveva subito una rilevante contrazione dei propri ricavi a causa del calo netto delle presenze turistiche normalmente registrate prima della pandemia; - di avere quindi richiesto ai propri creditori principali la concessione di sconti sul prezzo delle forniture e/o dei canoni di locazione, ma che l'unica che non aveva voluto accordare il richiesto sconto del 50% sul canone di locazione per l'anno 2020 era stata l'avv. (...), la quale nel corso delle trattative aveva notificato il decreto ingiuntivo; - che ciò era contrario a buona fede in quanto la grave situazione economica che aveva colpito durante la pandemia l'opponente doveva considerarsi come sopravvenienza contrattuale integrante una ipotesi di eccessiva onerosità del contratto che consente al debitore di ottenere sia la risoluzione dello stesso sia una riduzione dell'obbligazione; - che l'importo di Euro 1.000,00 relativo all'anno 2019, non era esigibile al momento della notifica del decreto ingiuntivo, in quanto, alla fine del 2018, le parti avevano intavolato una trattativa nel corso della quale la locatrice si era resa disponibile ad addivenire alla modifica contrattuale rinunciando all'importo di Euro. 1.000,00. Si costituiva regolarmente in giudizio (...), contestando ogni deduzione avversa e così concludendo: "1) In via preliminare rigettare l'istanza di sospensione della provvisoria esecutività concessa per il decreto ingiuntivo opposto n. 670/2020, in quanto sprovvista della prova del fumus boni iuris e del periculum in mora; 2) Nel merito, rigettare l'opposizione formulata da controparte avverso il decreto ingiuntivo n. 670/2020 del Tribunale di Ascoli Piceno poiché infondata e illegittima; 3) In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio". Rigettata l'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione al decreto ingiuntivo, disposta la mediazione obbligatoria con esito negativo, la causa, istruita solo documentalmente, sulle conclusioni rassegnate dalle parti all'odierna udienza, viene discussa e decisa con sentenza a verbale di cui viene data lettura. L'opposizione è infondata e va respinta. Premesso che è principio ormai univoco che in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (così, per tutte, Cass. civ., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533). Nel caso in esame l'opposta ha prodotto il contratto di locazione laddove sono espressamente convenuti fra le parti i canoni di locazione conformemente agli importi ingiunti, assolvendo quindi l'onere probatorio su di lei incombente. Nella fattispecie, però l'opponente non contesta il mancato pagamento, o meglio il pagamento del canone nella misura del 50% di quanto pattuito, ma deduce di avere diritto alla rinegoziazione del canone locatizio a seguito della situazione di crisi economica indotta dalla pandemia di covid19, configurandosi la fattispecie dell'eccessiva onerosità sopravvenuta. L'art. 1467 c.c. prevede che "Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'art. 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto". Nella fattispecie, però, l'opponente non ha richiesto la risoluzione del contratto nell'ambito della quale potevano esserne modificate le condizioni e quindi "rinegoziato" il canone di locazione. Nessuna norma, neppure emergenziale, infatti, consente al conduttore di ridurre unilateralmente il canone di locazione sia pure per un tempo limitato, dovendosi considerare che fra le misure previste a livello statale per ridurre l'impatto finanziario della pandemia nelle attività produttive, in particolare nel D.L. n. 18 del 2020, non è previsto alcun obbligo di rinegoziazione e/o "sconto" dei canoni di locazione commerciale relativi al periodo emergenziale, se non un credito d'imposta del 60% in favore del conduttore. Si deve dare conto che una parte della giurisprudenza di merito ha accolto la tesi difensiva di parte opponente dell'esistenza, nel caso, di un obbligo di rinegoziazione in applicazione del principio generale di buona fede. In merito va però rilevato che la Corte di Cassazione, quando afferma che l'art. 1374 c.c. e i principi di buona fede, correttezza e solidarietà sociale, esplicano la loro rilevanza nell'imporre a ciascuna parte di un rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, precisa anche che ciò deve avvenire "nei limiti dell'interesse proprio" (Cass.23069/2018) ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori" (Cassa. n. 17642/2012) ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio a suo carico" (Cass. n. 10182/2009) ovvero sempre che "non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse" (Cass. n. 5240/2004). Appare evidente che la riduzione di un proprio diritto contrattuale costituisce proprio quell'apprezzabile sacrificio che la norma pone quale limite all'obbligo di buona fede. Nel caso specie va, inoltre, considerato che la società opponente non ha neppure dato prova della contrazione degli introiti posta a base della richiesta di riduzione del canone per l'anno 2020. Essa ha depositato un mero prospetto delle presenze degli utenti nel campeggio negli ultimi anni, dal quale si evincerebbe un "grave calo di presenze pari a 42.977 in meno rispetto al 2019". A ben vedere però si tratta di documentazione unilateralmente predisposta che non ha alcuna efficacia probatoria in difetto del deposito di documentazione contabile che rammostri l'effettivo calo degli introiti nel 2020 rispetto agli anni precedenti. Infine, del tutto ingiustificato risulta il mancato pagamento dell'importo di Euro 1.000,00 quale residuo per i canoni dell'anno 2019, attesa l'infondatezza della pretesa di riduzione del canone per quanto sopra esposto, in periodo peraltro non interessato dalla pandemia. Riguardo alle spese del presente giudizio si ritiene equo compensarle integralmente tra le parti, attesa la sussistenza di orientamenti giurisprudenziali difformi sui punti salienti della controversia. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, nella persona della Dott.ssa Luisella Lorenzi, definitivamente pronunciando, così provvede: a) rigetta l'opposizione e conseguentemente conferma il decreto ingiuntivo opposto; b) compensa integralmente fra le parti le spese di lite del presente giudizio. Così deciso in Ascoli Piceno il 20 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ascoli Piceno Giudice Riccardo Ionta Sentenza pronunciata art. 281 sexies c.p.c., causa n. 738/2021 r.g., udienza del 17 marzo 2023 (...), Avv. Ro.Pa. parte attrice opponente (...) di (...), Avv. Al.An. parte convenuta opposta Le ragioni della decisione I. L'accertamento dei fatti rilevanti per la definizione della controversia, che segue, è fondato sulla valutazione delle allegazioni delle parti, concordi per la maggior parte dei fatti, e sulle circostanze non specificatamente contestate. La valutazione del giudizio di accertamento ha come oggetto, in particolare, gli elementi emersi dalla prova documentale. Le fonti di prova non indicate, e quelle non ammesse, sono irrilevanti ai fini della decisione. 1 L'opponente è proprietario di un appartamento sito in Viale A. n. 95 di F.. 2 Parte opponente ha commissionato all'opposta l'esecuzione i lavori di manutenzione dell'immobile secondo il preventivo di spesa ricevuto da quest'ultima il 31 maggio 2020 (comparsa, doc. 6). 3 L'opponente ha pagato un acconto di 1.065,57 euro oltre IVA, come da fattura n. (...) emessa dall'opposta in data 25 gennaio 2021 (comparsa, all. 3). 4 Con decreto ingiuntivo n. 121/2021 del 17 febbraio 2021 il Tribunale di Ascoli Piceno ha ingiunto all'opponente di pagare la somma di 26.943,00 euro oltre interessi e spese di procedura sulla base della fattura n. (...) emessa il 27 gennaio 2021 per i lavori eseguiti nell'appartamento (citazione, doc. 1). I lavori indicati sono i seguenti: "rifacimento di n. 3 bagni completi mediante la rimozione di massetti, sostituzione tubi, rifacimento dei massetti, montaggio dei rivestimenti e sanitari, montaggio di pavimenti nell'appartamento, nella mansarda e nei bagni, realizzazione di nuova linea idrica in cucina, sostituzione di tubi per riscaldamento e tutto come da preventivo, compreso il carico dei pavimenti ed il trasporto sino ai piani" 5 In corso di causa, a seguito di ricorso dell'opponente, è stato espletato il procedimento di accertamento tecnico preventivo n. 738-1/2021 r.g., avente ad oggetto i lavori eseguiti nell'appartamento dell'opponente. 6 Il convenuto non ha depositato le memorie ex art. 183 c.p.c. e, di fatto, è stato inattivo per la maggior parte del giudizio. II. La prima questione controversa riguarda l'accertamento del diritto dell'opponente alla risoluzione del contratto. L'opponente afferma, in sintesi, che l'opposto ha realizzato solo una parte dei lavori oggetto del preventivo e che "delle opere commissionate, in parte sono fatte male e tali da rendere l'appartamento non abitabile, ed in parte non sono state proprio effettuate", specificando nel dettaglio sia le opere non compiute, sia i vizi. 1 Il diritto alla garanzia ex art. 1667 c.c. configura un'ipotesi speciale di responsabilità contrattuale per inadempimento o per inesatto adempimento dell'obbligazione di esecuzione dell'opera. In tal senso la norma non prevede una garanzia in senso tecnico ossia un'obbligazione separata e distinta rispetto a quella, principale, di esecuzione dell'opera. 2 Se l'appaltatore agisce per ottenere il pagamento del corrispettivo, come nel caso di specie, grava su di esso l'onere della prova dell'esatto adempimento della propria obbligazione nel momento in cui il committente abbia eccepito l'inadempimento (Cassazione n. 936/2018). 3 L'opposta, sulla base della fattura posta alla base del decreto ingiuntivo, chiede il pagamento della somma di 26.943,00 euro IVA inclusa per l'esecuzione dei seguenti lavori: "il rifacimento di 3 bagni completi mediante la rimozione dei massetti, la sostituzione dei tubi, il rifacimento dei massetti, il montaggio dei rivestimenti e dei sanitari, il montaggio dei pavimenti nell'appartamento, nella mansarda e nei bagni, realizzazione di nuova linea idrica in cucina, sostituzione ti tubi per riscaldamento e tutto come da preventivo, compreso il carico dei pavimenti ed il trasporto sino ai piani che non erano previsti" (comparsa, all. 2). 4 Nella fattura non risultano specificate le seguenti lavorazioni presenti invece nel preventivo: risanamento delle pareti della cucina e dei due bagni, ove sono stati rimossi i rivestimenti, prevede la rasatura a due passate di prodotto specifico con riempimento della parte alta mediante applicazione di malto a spessore poi uniformata con le pareti con rasatura; montaggio di nuova linea di tubi e riempimento di tracce, montaggio battiscopa; posizionamento lavabo esterno, sostituzione impianto elettrico, rimozione fili esistenti e riposizionamento dei nuovi; fornitura e posa nuovo frutto e placca; realizzazione muretto. 5 In primo luogo, deve esser evidenziato come il convenuto-attore sostanziale, non depositando le memorie ex art. 183 c.p.c., non abbia soddisfatto l'onere della prova su di esso gravante. 6 In secondo luogo, la discrasia tra la pattuizione iniziale, conclusa per fatti concludenti sulla base del preventivo accettato, e le lavorazioni per cui è stato richiesto il pagamento, dimostrano che l'opposto non ha realizzato tutte le opere commissionate. 7 In terzo luogo, la consulenza resa in sede di a.t.p. ha verificato una serie di inadempienze e vizi tali da rendere giustificata la risoluzione del contratto. Appare utile precisare che L'appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, e fatte salve le ipotesi in cui le prestazioni in esso dedotte attengano a servizi o manutenzioni periodiche, non può considerarsi un contratto ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall'art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite (Cassazione n. 4225/2022). 7.1 La consulenza tecnica d'ufficio ha accertato il mancato compimento a regola d'arte di tutte le opere indicate nella fattura e nel preventivo di spesa, risultando le stesse mancanti o viziate. 7.2 Nello specifico, non risultano ultimate le seguenti lavorazioni: posa in opera dei battiscopa del vano mansarda, posizionamento del pavimento del vano mansarda, montaggio lavabo esterno e relativa impiantistica, sostituzione dell'impianto elettrico, rimozione dei cavi esistenti e riposizionamento di quelli nuovi, posa in opera del lavabo di un bagno e della rubinetteria della vasca dell'altro bagno, posa in opera del battiscopa e dei pavimenti nel soggiorno, nella cucina e nel corridoio, posa in opera delle greche di un bagno, mancata applicazione della boiacca sulla pavimentazione di soggiorno, cucina, corridoio e bagni, con conseguente presenza di dislivelli tra piastrelle adiacenti che comportano un'effettiva alterazione del risultato funzionale ed estetico. 7.3 Per quanto concerne le opere viziate, la consulenza tecnica d'ufficio ha verificato che "le piastrelle posizionate non seguono un profilo uniforme, (...) nel bagno ubicato a nord-est è stato posato in opera un mosaico non a perfetta regola d'arte, non è stata considerata la differenza di spessore dei materiali usati (...), nel bagno centrale non è stato rispettato il disegno di posa, il rivestimento della vasca non è stato posato a perfetta regola d'arte e manca di planarità, (...) nel bagno del locale sottotetto il rivestimento non segue una regolare planarità e le piastrelle non seguono un filo dritto; nel locale stenditoio del sottotetto la pavimentazione è stata posizionata ma con porzioni mancanti, la fioriera del balcone che è parte integrante del parapetto è effettivamente rotta in un tratto". 7.4 La consulenza tecnica d'ufficio, considerando necessario il ripristino dello stato grezzo dell'appartamento per poter eseguire i lavori a regola d'arte, ha quantificato i costi necessari per emendare i vizi riscontrati in 25.864, 87 euro e in 8.152,42 euro i costi necessari per il completamento delle opere mancanti. Gli importi sono stati calcolati sulla base dei dati ricavabili dal prezziario regionale 2021 e dal prezziario cratere 2018. III. La seconda questione controversa riguarda l'accertamento dell'inadempimento dell'appaltatore e del diritto al risarcimento del danno oggetto della domanda riconvenzionale svolta dall'opponente. Parte opponente nelle note conclusive allega che "è risultato provato che le opere commissionate non sono state eseguite tutte; alcune delle opere effettuate sono state eseguite parzialmente; le opere effettuate presentano vizi e difetti gravi; onde completare le opere ed emendare i vizi sono necessari interventi il cui costo è rilevante. È una ovvietà che non potendo accedere all'immobile il (...) abbia dovuto sostenere i costi per utenze di due abitazioni e vivere ulteriormente il disagio di rinviare il trasloco nella casa più grande ed accogliente". 1 La domanda risarcitoria è infondata. 2 Il risarcimento del danno in caso di vizi dell'opera appaltata è rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall'art. 1668 c.c., e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall'appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori, deve essere raccordato con la particolare natura dell' "opus" commissionato. 3 Ne consegue che, se l'oggetto dell'appalto sia costituito dalla realizzazione di una "res", gli interventi emendativi si rapportano all'opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d'arte; mentre, se oggetto dell'appalto sia l'esecuzione di un'attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell'appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa, facendo altrimenti conseguire al danneggiato una "res" qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l'originario oggetto dell'appalto viene ricompreso (così Cassazione n. 19103/2012). 4 Il risarcimento del danno che si aggiunge alla risoluzione del contratto non può quindi avere natura di reintegrazione in forma specifica, nel senso che non può essere richiesto il ripristino della situazione esistente anteriormente all'esecuzione del contratto e, contemporaneamente, anche la realizzazione di quella che sarebbe conseguita all'esatto adempimento del medesimo, determinandosi altrimenti un illegittimo duplice beneficio conseguente dalla restituzione di ciò che si è dato e dal conseguimento dell'utilità che l'adempimento avrebbe determinato (Cassazione n. 8889/2011). 5 Non risulta adeguatamente provato invece il danno patrimoniale asseritamente subito dall'opponente e consistente nei "costi per utenze di due abitazioni". Non è possibile ricondurre in modo univoco le ricevute di versamento all'opponente né è chiaro il periodo a cui le stesse si riferiscono (essendo inoltre le stesse prodotte come foto neppure integrali). IV. La somma domandata per le spese del procedimento di accertamento preventivo ex art. 696 bis c.p.c. rientra nell'alveo delle spese stragiudiziali, e non di quelle giudiziali, avendo quindi natura di danno emergente (Cassazione n. 2644/2018). Le spese documentate solo quelle relative alla consulenza tecnica preventiva (1.812,53 euro). V. Le spese seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.). La liquidazione - considerando il valore della controversia, i parametri del Regolamento di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, - tiene conto (art. 4 e Cassazione n. 30286/2017, n. 11601/2018 e n. 23798/2019) della complessità della controversia, in particolare del numero e della complessità delle questioni trattate, dell'assenza di attività istruttoria svolta, della natura delle parti in causa, della natura dei diritti oggetto del giudizio. I parametri dello scaglione di riferimento sono considerati ai minimi, salvo la fase introduttiva ai medi, in ragione del valore effettivo della causa. P.Q.M. I. Revoca il decreto ingiuntivo opposto. II. Dichiara risolto il contratto. III. Condanna l'opposto alla restituzione delle somme ricevute oltre interessi sino al soddisfo. IV. Respinge le ulteriori domande. V. Condanna parte convenuta al pagamento delle spese di a.t.p. per la somma di 1.812,53 euro oltre interessi. VI. Condanna parte convenuta al pagamento delle spese di giudizio a favore dell'altra parte che liquida nella somma di 4.659 euro, oltre accessori dovuti per legge. Così deciso in Ascoli Piceno il 17 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Ascoli Piceno Giudice Riccardo Ionta Sentenza pronunciata art. 281 sexies c.p.c., causa n. 1199/2021 r.g., udienza del 17 marzo 2023 (...), Avv. Em.Ar. parte attrice opponente (...) - Società Cooperativa, Avv. Pi.Ca. parte convenuta opposta (...) s.r.l., Avv. An.An. intervenuto LE RAGIONI DELLA DECISIONE I. L'accertamento dei fatti rilevanti per la definizione della controversia, che segue, è fondato sulla valutazione delle allegazioni delle parti, concordi per la maggior parte dei fatti, e sulle circostanze non specificatamente contestate. La valutazione del giudizio di accertamento ha come oggetto, in particolare, gli elementi emersi dalla prova documentale. Le fonti di prova non indicate, e quelle non ammesse, sono irrilevanti ai fini della decisione. 1 (...) S.r.l. Società Benefit e l'opposto hanno concluso nel dicembre 2017 un mutuo (n. (...) e già n. (...)) per la somma di 300.000,00 euro. L'attore ha garantito l'obbligazione mediante fideiussione. 2 Il Tribunale di Ascoli Piceno, con decreto ingiuntivo n. 356/2021, ha ingiunto all'opponente fideiussore il pagamento della somma 77.164,83 euro allegando l'inadempimento del debitore principale. II. E' infondata l'eccezione di incompetenza in favore del Tribunale delle Imprese di Roma posto che la nullità della fideiussione, in disparte quanto segue in merito al difetto totale di allegazione dei fatti posti alle base delle eccezioni, è chiesta in incidentale e non in via principale. III. La prima questione controversa - in disparte quindi le dissertazioni, non concludenti da un punto di vista processuale, della prima parte del ricorso - riguarderebbe la richiesta di "accertamento incidenter tantum" della nullità della fideiussione riproduttiva dello schema contrattuale predisposto dall'A.B.I., contenente disposizioni contrastanti con l'art. 2, comma 2, lett. a), della L. 10 ottobre 1990, n. 287. IV. La seconda questione controversa riguarda la "nullità delle clausole contrattuali del finanziamento di cui è causa per indeterminatezza ed indeterminabilità ex artt. 1284, 1346 e 1418 c.c. Usura. Questione Euribor". V. La terza questione controversa riguarda la "Mancanza di accordo delle parti sul tasso effettivamente applicato, violazione degli artt. 1325, 1326 c.c. Nullità dei contratti di finanziamento per la parte relativa all'applicazione dell'interesse ultralegale". VI. La quarta questione controversa riguarda la "Mancanza di sufficiente chiarezza e comprensibilità della pattuizione scritta dell'interesse ultralegale. Violazione dell'art. 1284, comma 3, c.c. Illegittimità della pattuizione di commissioni a vario titolo richieste dall'istituto. Violazione da parte dell'Istituto delle norme in materia di buona fede contrattuale e di trasparenza nei rapporti con il cliente: nullità delle clausole vessatorie". VII. La quinta questione controversa riguarda la "d) Nullità delle clausole su indicate per mancanza della specifica approvazione per iscritto ex art. 1341 c.c." VIII. La domanda è complessivamente infondata per un evidente difetto di allegazione. 1 Parte attrice ha inteso opporsi al decreto ingiuntivo mediante un atto in puro "diritto", eccependo cinque nullità, senza dedurre alcun elemento di fatto a supporto delle stesse. La citazione e le memorie sono una lunga, e non sempre chiara, dissertazione di norme e pronunce giurisprudenziali, privi di riferimento concreto alle eccezioni sollevate. 2 La parte che agisce in giudizio non può proporre la sua domanda in modo generico, ma deve consentire che il suo contenuto sia compiutamente identificato e percepito, affinché possa essere oggetto di accertamento, sia in fatto, che in diritto (Sezioni Unite n. 13533/2001, Cassazione n. 6618/2018). 3 Il principio dispositivo in senso processuale impone al giudice il vincolo di decidere juxta allegata partium senza possibilità di deroga alcuna (a differenza dell'onere della prova che conosce diverse modellazioni), pena l'indebita adozione di un modello processuale in cui si realizza l'antitetico principio inquisitorio (Cassazione, S.U., 26972/2008; Cassazione 6943/2004) L'allegazione processuale (in senso stretto) dei fatti non è soddisfatta da una mera e generica dichiarazione informativa ma dalla chiara prospettazione con cui la parte, esponendo i fatti a fondamento della domanda o dell'eccezione (artt. 112, 163, 167, , 414, 416, c.p.c., 2697 c.c.), afferma l'esistenza e la consistenza del diritto per cui chiede la tutela. 4 L'onere allegazione dei fatti costitutivi, estintivi o modificativi non può ritenersi assolto tramite il mero e generico alla produzione documentale. Questo vale soprattutto quando la carenza di allegazione coinvolge fatti primari (e non secondari) del complessivo fatto costitutivo, estintivo, modificativo del diritto. In altri termini, la mera produzione documentale può avere la funzione di consolidare l'individuazione dei fatti primari costitutivi già allegati negli atti del procedimento, ma non può avere la funzione di supplire totalmente la mancanza di allegazione stessa, comprimendo la funzione probatoria che le è propria, ledendo il diritto di difesa dell'altra parte e gravando il giudice del potere di prospettazione dei fatti costitutivi della domanda, in violazione del principio dispositivo e del divieto di scienza privata. 5 E tanto vale anche per quel che riguarda le nullità posto che il rilievo di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l'esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito (così, tra le molte, Cassazione n. 36353/2021). 6 La mancata soddisfazione del primario onere di allegazione non consente di ritenere ammissibile una consulenza tecnica d'ufficio inevitabilmente esplorativa e meramente suppletiva dell'inerzia di parte. IX. L'ultima questione controversa è relativa all'accertamento della titolarità del credito in capo all'intervenuto, oggetto dell'eccezione dell'attore negli scritti conclusivi. 1 E' utile premettere che la questione è affrontata in via incidentale al sol fine di chiarire la sussistenza dell'interesse ad intervenire. 2 L'art. 58.2 e 4 T.U.B. dispone che 2. La banca cessionaria dà notizia dell'avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La B.I. può stabilire forme integrative di pubblicità. 2.1 La parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un'operazione di cessione in blocco ex art. 58, ha l'onere di dimostrare l'inclusione del credito oggetto di causa nell'operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l'abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta (Cassazione n. 4116/2016, n. 24798/2020). 2.2 La norma ha inteso agevolare la realizzazione della cessione "in blocco" di rapporti giuridici, prevedendo, quale presupposto di efficacia della stessa nei confronti dei debitori ceduti, la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale, e dispensando la banca cessionaria dall'onere di provvedere alla notifica della cessione alle singole controparti dei rapporti acquisiti. L'adempimento ha tale esclusiva finalità ed è estraneo al perfezionamento della fattispecie traslativa e quindi non incide sulla circolazione del credito, il quale, fin dal momento in cui la cessione si è perfezionata, è nella titolarità del cessionario che è, quindi, legittimato a ricevere la prestazione dovuta anche se gli adempimenti richiesti non sono stati ancora eseguiti. In sintesi, la pubblicazione ex art. 58 si pone su un piano, quello degli adempimenti pubblicitari, nettamente distinto rispetto alla prova del fatto costitutivo della titolarità del credito. In definitiva, la norma dell'art. 58 comma 4 si limita a stabilire che la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale fissa il giorno a partire dal quale il pagamento fatto nelle mani del cedente comunque non libera il ceduto (Cassazione n. 22548/2018). Sempre che, naturalmente, una cessione, che venga a riguardare quel particolare credito, sussista effettivamente: la previsione dell'art. 58.4 si applica al caso in cui una cessione rilevante esista, non dimostra che la stessa esiste. 2.3 L'adempimento si pone sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall'art. 1264 c.c. può essere validamente surrogato da questi ultimi, e segnatamente dalla notificazione della cessione, che non è subordinata a particolari requisiti di forma, e può quindi aver luogo anche mediante l'atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, ovvero nel corso del giudizio (ex multis Cassazione n. 20495/2020). L'adempimento impone un "contenuto informativo minimo", senza che siano specificati i contorni dei crediti che ne sono oggetto né la reale validità o efficacia dell'operazione posta in essere (Cassazione n. 5617/2020). E' così sufficiente la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cassazione n. 15884/2018). 3 Premessa la distinzione tra funzione dell'art. 58 T.U.B. e prova della titolarità del credito la recente giurisprudenza ha espresso tre considerazioni utili al ragionamento probatorio. 3.1 In primo luogo "la pubblicazione nella Gazzetta può costituire elemento indicativo dell'esistenza materiale di un fatto di cessione, come intervenuto tra due soggetti in un dato momento e relativo - in termini generici, se non proprio promiscui - ad "aziende, rami di azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco" (art. 58.1 T.U.B.) Ma di sicuro non dà contezza - in questa sua "minima" struttura informativa - degli specifici e precisi contorni dei crediti che vi sono inclusi ovvero esclusi, né tanto meno consente di compulsare la reale validità ed efficacia dell'operazione materialmente posta in essere... la norma dell'art. 58 comma 2 TUB, se non impone che un contenuto informativo minimo, consente tuttavia che la comunicazione relativa alla cessione da pubblicare in Gazzetta contenga più diffuse e approfondite notizie. Con la conseguenza, assunta questa diversa prospettiva, che - qualora il contenuto pubblicato nella Gazzetta indichi, senza lasciare incertezze od ombre di sorta ..., sui crediti inclusi/esclusi dall'ambito della cessione - detto contenuto potrebbe anche risultare in concreto idoneo, secondo il "prudente apprezzamento" del giudice del merito, a mostrare la legittimazione attiva del soggetto che assume, quale cessionario, la titolarità di un credito" (così Cassazione n. 5617/2020). 3.2 Il cessionario, al fine di fornire la prova dell'inclusione del credito nell'operazione di cessione in blocco, e dunque della sua legittimazione attiva, può avvalersi anche della dichiarazione ricognitiva della cessione stessa da parte del cedente, la quale costituisce "elemento documentale rilevante, potenzialmente decisivo" così come di ogni altro elemento, compreso il possesso della documentazione relativa al credito (Cassazione, n. 10200/2021). 3.3 Il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità. 4 Nel caso di specie l'intervenuto appare esser cessionario del credito, e quindi l'intervento appare ammissibile, posto che l'avvenuta cessione non risulta mai contestata dal cedente-opposto. X. Le spese seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.). La liquidazione - considerando il valore della controversia, i parametri del Regolamento di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, - tiene conto (art. 4 e Cassazione n. 30286/2017, n. 11601/2018 e n. 23798/2019) della complessità della controversia, in particolare del numero e della complessità delle questioni trattate, dell'assenza di attività istruttoria svolta, della natura delle parti in causa, della natura dei diritti oggetto del giudizio. Le spese sono compensate nei confronti dell'intervenuto in ragione della posizione processuale assunta. XI. I parametri dello scaglione di riferimento sono considerati ai minimi per la fase di studio. P.Q.M. I. Respinge l'opposizione. II. Condanna parte opponente al pagamento delle spese di giudizio a favore della parte opposta che liquida nella somma di 8.328 euro, oltre accessori dovuti per legge. Compensa le altre spese di giudizio tra l'opponente e l'intervenuto. III. Ordina ex art. 87 c.p.c. la cancellazione della frase contenuta a pag. 3) dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo "una anomala e fraudolenta attività creditizia". Così deciso in Ascoli Piceno il 17 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO Composto dai signori Magistrati: Dott. Luigi Cirillo - Presidente Dott.ssa Rita De Angelis - Giudice rel. Dott.ssa Barbara Caponetti - Giudice Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 1936/2022 tra (...), C.F.: (...), nata ad A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35, rappresentata e difesa dall'avv. La.Ta., elettivamente domiciliata ad Ascoli Piceno presso lo studio dell'Avv. La.Ta.; -ricorrente E (...), C.F.: (...), nata a A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35; -resistente, contumace Con l'intervento del Pubblico Ministero. OGGETTO: interdizione. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La ricorrente, (...), in qualità di nipote di (...), ha chiesto la pronuncia dell'interdizione della zia, in ragione della assoluta incapacità della medesima di provvedere ai suoi interessi, a causa dell'infermità mentale e fisica abituale in cui ella versa, essendo affetta da "demenza mista di grado moderato grave, poliartrosi a severa incidenza funzionale con claudicatio spinale, cardiopatia ipertensivo degenerativa", come attestato dal verbale di accertamento della Commissione medica Inps per l'accertamento dell'handicap del 02/10/2018. L'interdicenda, alla quale il ricorso è stato notificato, non si è costituita. Dalla documentazione depositata in atti e dall'esame dell'interdicenda emerge con evidenza la necessità di dover disporre una misura di protezione a tutela di (...). In particolare, dalla documentazione medica allegata al ricorso (verbale sanitario contenente il giudizio definitivo espresso dall'Inps sull'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità del 02/10/2018) risulta che (...) presenta "demenza mista di grado moderato grave, poliartrosi a severa incidenza funzionale con claudicatio spinale, cardiopatia ipertensivo degenerativa"; per questa condizione, l'interdicenda permane in un grave e permanente stato di compromissione della salute, tanto che (...) è stata dichiarata non autosufficiente e riconosciuta invalida permanente nella misura del 100%. Dunque, è stata giudicata in condizione di disabilità gravissima. Inoltre, la (...) è vedova, non ha figli e vive da tredici anni insieme alla nipote, (...), anch'ella vedova, che si occupava di lei a tempo pieno, provvedendo ad ogni necessità e bisogno, fino al trasferimento dell'interdicenda presso l'RPD San Giuseppe di Ascoli Piceno. L'esame dell'interdicenda, compiuto all'udienza del 2/3/2023 e svoltosi alla presenza del Pm, Dott.ssa (...), ha confermato la necessità di disporre una misura di protezione in favore di (...), la quale non è stata capace di riferire, a parte il proprio nome, la data di nascita, né di indicare quali sono i suoi parenti prossimi. Ella è apparsa tranquilla, ma non in grado di elaborare autonomamente un discorso di senso compiuto, né tantomeno è stata capace di comprendere le domande che le venivano rivolte, anche relative ai suoi interessi economici; (...) ha unicamente riferito: "Mi chiamo E., non ricordo quando sono nata, sono vedova, anzi si trattava di due uomini che venivano a casa mia e mangiavano, poi se ne andavano, qualche marito è morto, gli altri no, non ho avuto figli, ho accudito il bambino di una mia amica, ho cento anni, più di cento anni, abitavo a Frosinone, ho un nipote maschio e una femmina, sono qui perché sono venuta a trovare mia zia, ho una pensione, non so a quanto ammonti, ma mangio di qua e di là e non ho necessità di fare i conti; ho sempre lavorato" (verbale udienza del 02/03/2023). Dei prossimi congiunti è stata sentita la ricorrente, (...), nella sua qualità di nipote e persona stabilmente convivente con la persona beneficiaria da circa tredici anni: ella ha riferito che la (...) si è sempre occupata di lei e della sua famiglia per sessantacinque anni, vivendo quasi sempre insieme; tuttavia, l'interdicenda ha cominciato ad avere crisi nervose ed una degenerazione cognitiva dopo la morte del marito, Natale, che è avvenuta in data 01/02/2019; da lì non si è più ripresa. Il Pm, alla stessa udienza del 02/03/2023, ha espresso parere favorevole all'accoglimento del ricorso. La domanda proposta dalla ricorrente va, dunque, accolta, essendo emersa la sussistenza dei presupposti legittimanti l'interdizione di (...). In base al disposto dell'art. 414 c.c. - Persone che possono essere interdette - "Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione". A seguito delle modifiche introdotte con la L. n. 6 del 2004, ai fini della pronuncia di interdizione l'art. 414 c.c. postula non solo l'abituale infermità di mente dell'interdicendo, ma anche l'inadeguatezza di altri strumenti idonei ad assicurare un'adeguata protezione della persona. Ciò che rileva, quindi, ai fini della pronuncia di interdizione, non è unicamente il grado, più o meno intenso, d'infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, bensì la ritenuta inadeguatezza degli altri strumenti di tutela dovendosi, tale ultima valutazione, da compiersi "tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie" (Cass., 12.6.2006, n. 13584; CASS., 22.4.2009, n. 9628). La scelta tra i diversi istituti previsti dal legislatore a tutela della persona (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno) deve, quindi, essere effettuata tenendo in considerazione il fatto che l'interdizione, in considerazione della gravità degli effetti che da essa derivano ha, comunque, carattere residuale, e deve essere riservata a quelle fattispecie in cui nessun'altra misura sarebbe idonea a conseguire l'effetto protettivo. La L. n. 6 del 2004 ha, infatti, introdotto il principio per cui, a fronte di una persona non in grado di provvedere, in tutto o in parte, ai propri interessi, è necessario ricorrere a strumenti di tutela che ne sacrifichino il meno possibile la capacità di agire. Nel caso di specie, le risultanze istruttorie hanno dato conto dell'abituale e stabile condizione di infermità mentale e fisica di (...), la quale è soggetta anche a crisi epilettiche; come da documentazione allegata e da quanto esposto dalla parte ricorrente, risulta che dopo la morte del marito, Natale, verificatosi nel febbraio 2019, a distanza di pochi giorni si sono ripresentati episodi critici, in seguito ai quali è iniziato un processo di degenerazione del quadro psichico dell'interdicenda. Le predette risultanze documentali hanno trovato, poi, conferma nell'esame dell'interdicenda. (...) può, quindi, ritenersi priva della piena capacità di autodeterminarsi, di programmare e di adempiere gli impegni di una vita relazionale, nonché di amministrare e di provvedere convenientemente ai propri interessi, patrimoniali e non. Ella si trova, pertanto, certamente in uno stato di abituale infermità di mente e fisica, tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi. La (...) è titolare del diritto di usufrutto dell'immobile ove viveva, unitamente alla nipote, (...), prima di essere ricoverata presso la struttura RDP San Giuseppe di Ascoli Piceno, mentre quest'ultima risulta avere la nuda proprietà dell'immobile di cui sopra. Inoltre, la (...) percepisce una propria pensione ed un'indennità di accompagnamento, per un importo mensile pari a circa Euro 1.650,00. Ciò posto, malgrado le attività necessarie da compiere nell'interesse della interdicenda appaiano esigue e semplici, la gravità e stabilità della sua condizione e, quindi, la natura permanente della sua incapacità, destinata a protrarsi per tutto il tempo della sua esistenza, nonché la necessità di assicurarle una protezione totale, a fronte della sua incapacità di compiere coscientemente atti di ordinaria amministrazione (tra cui semplici commissioni), stante la sua non comprensione della realtà circostante, accompagnata, tuttavia, da una pressoché totale mancanza di autonomia fisica, rendono la misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, nel caso concreto, inadeguata: essa dovrebbe, infatti, essere necessariamente accompagnata dall'attribuzione al rappresentante anche del potere di compiere tutti gli atti di ordinaria amministrazione e dalla contemporanea esclusione della facoltà per la beneficiaria di porli in essere autonomamente, il che renderebbe l'amministrazione di sostegno priva di significato, in assenza di residui spazi di autonomia per la beneficiaria. L'interdizione appare, quindi, nel caso di specie, misura più tutelante ed adeguata per (...). La domanda della ricorrente va pertanto accolta, dovendosi dichiarare l'interdizione di (...); dopo il suo esame è già stata nominata come tutore provvisorio, la nipote, (...), C.F.: (...), nata ad A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35. La natura della controversia e l'assenza di opposizione al ricorso giustificano l'irripetibilità delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel giudizio avente R.G. n. 1936/2022, così provvede: - dichiara l'interdizione di (...), C.F.: (...), nata a A. (F.) il (...), residente a F. (A.), in viale G. n.35; - dichiara irripetibili le spese di causa; - manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 423 c.c. e per la trasmissione degli atti all'ufficio del Giudice Tutelare. Così deciso in Ascoli Piceno il 15 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p) Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice Dr.ss Domizia Proietti , alla pubblica udienza del 20 LUG. 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a A. (...) ( I. ) res: Comunanza via T. 70 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto depositato il 15 aprile 2021 e ritualmente notificato, (...) veniva citato a giudizio per rispondere dei reati descritti nell'imputazione. Nella prima udienza, in data 11 ottobre 2021, il Giudice, dott. Matteo Di Battista, dichiarava l'assenza dell'imputato e, su richiesta della difesa di procedersi con giudizio abbreviato non condizionato all'ammissione di prove, ammetteva il rito speciale. L'udienza del 24 gennaio 2022 veniva rinviata d'ufficio al 20 luglio 2022, udienza nella quale, dato atto del mutamento della persona fisica dell'organo giudicante, il Giudice, dott.ssa Do.Pr., acquisiva il fascicolo del Pubblico Ministero e, a scioglimento della riserva assunta in data 13 dicembre 2021 dal Dott. Ma.Di., acquisiva la memoria ex art. 415 bis c.p.p., richiesta della difesa. Venivano, altresì, acquisiti ulteriori documenti depositati dal Pubblico Ministero. Il Giudice invitava, dunque, alla discussione e le parti rassegnavano le rispettive conclusioni nei termini riportati in epigrafe. Al termine della discussione, il Giudice si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale pronunciava la presente sentenza mediante lettura del dispositivo in udienza e riservava il deposito delle motivazioni nel termine di giorni novanta. MOTIVI DELLA DECISIONE La dinamica dei fatti dal quale ha avuto origine il presente procedimento si può ricostruire sulla base della dettagliata descrizione contenuta negli atti presenti nel fascicolo del P.M. (verbale di sommaria descrizione del fatto, nonché nell'annotazione di servizio e verbale di contestazione, redatti a cura della Polizia Locale del Comune di Monteprandone). In particolare, è emerso che in data 1 febbraio 2021 il personale in servizio come Pronto Intervento, composto dall'Ispettore di (...) e dal V. Ispettore di (...), riceveva una telefonata dalla Centrale Operativa del Comando Compagnia Carabinieri di San Benedetto del Tronto che segnalava che in Contrada Isola, in prossimità dell'area di servizio "La Sosta", si era verificato un incidente stradale, senza che alcuno dei soggetti coinvolti rimanesse ferito. Pertanto, la Polizia Locale raggiungeva il luogo dell'accaduto e, a margine della carreggiata, rinveniva i due veicoli coinvolti nell'incidente e constatava la presenza dei rispettivi conducenti, (...) e (...). L'odierno imputato risultava palesemente disorientato e in stato confusionale, non riuscendo a fornire alcuna spiegazione in merito all'incidente, e presentava evidenti sintomi di ebbrezza alcolica. Più precisamente, come emerge dall'annotazione di servizio della Polizia Locale, il (...) manifestava: "alito fortemente vinoso, linguaggio sconnesso, occhi lucidi, difficoltà di coordinamento dei movimenti e di rimanere in piedi in equilibrio, andatura barcollante". Data l'assenza di un etilometro nel veicolo di servizio, la Polizia Locale chiedeva l'intervento di una pattuglia della Sezione Polizia Stradale di Ascoli Piceno al fine di sottoporre il (...) alla prova etilometrica. Giunta sul posto, la pattuglia della Polstrada (appartenente al Distaccamento di San Benedetto del Tronto) inizialmente sottoponeva agli accertamenti qualitativi preliminari ("pre-test") (...), che risultava negativo. Successivamente, gli stessi componenti della pattuglia della Polizia Stradale citata si avvicinavano al veicolo del (...) al fine di sottoporre anche l'odierno imputato agli accertamenti qualitativi preliminari, avvedendosi, tuttavia, che si era addormentato sul sedile del lato passeggero del proprio veicolo. Pertanto, sebbene si fosse, dopo pochi istanti, parzialmente risvegliato, egli non risultava assolutamente in grado di eseguire il pre-test né, tantomeno, la prova etilometrica. La valutazione degli atti di indagine non consente di affermare la responsabilità penale dell'imputato per i reati a lui ascritti. Orbene, l'art. 186 co. 7 del Codice della Strada recita: "salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell'accertamento di cui ai commi 3, 4 o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c". Alla luce della più recente giurisprudenza, affinché la condotta di un soggetto possa qualificarsi come 'rifiuto' deve ricorrere una manifestazione di volontà negativa a fronte della richiesta, rivolta al conducente dell'organo di polizia competente per il controllo, a sottoporsi all'accertamento strumentale della condizione di ubriachezza alla guida. Può trattarsi di un rifiuto, comunque espresso, in modo manifesto o tacito, esplicito o implicito, cortese o scortese, purché siano però inequivoci l'atteggiamento di riottosità del conducente e il suo intendimento di sottrarsi al controllo. Ciò in base al principio secondo cui il reato di rifiuto si configura non solo in presenza di manifestazioni espresse di indisponibilità a sottoporsi al test, ma anche quando il conducente del veicolo - pur opportunamente edotto circa le modalità di esecuzione dell'accertamento - attui una condotta ripetutamente elusiva del metodo di misurazione del tasso alcolemico (cfr. Cass., Sez. 4, n. 5409 del 27/01/2015-dep. 05/02/2015). Nel caso de quo non si ravvisa la prova della sussistenza del reato di cui all'art. 186 co. 7 C.d.S. atteso che, da quanto emerge dai verbali in atti, al (...) non è stata rivolta alcuna richiesta di sottoporsi agli accertamenti qualitativi preliminari o alla prova con l'etilometro, bensì sono stati gli stessi operanti che autonomamente hanno dedotto e dichiarato che lo stesso non era in grado di effettuare né il pre-test né la prova con l'etilometro, senza neppure effettuare un tentativo. Alla luce del compendio probatorio in atti non si possono, dunque, ritenere integrati, in capo all'odierno imputato, i presupposti oggettivi e soggettivi del contestato reato di cui all'art. 186 co. 7 C.d.S. Quanto alla contestazione della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 186 co. 2 lett. c) del Codice della Strada, la stessa recita: "Chiunque guida in stato di ebbrezza è punito, ove il fatto non costituisca più grave reato: con l'ammenda da Euro 1.500 a Euro 6.000, l'arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro (g/l)". L'orientamento più rigoroso della giurisprudenza di legittimità- a cui si aderisce- è nel senso di escludere la possibilità di configurare le ipotesi di cui all'art. 186, comma 2, lett. b) e c) in mancanza di uno specifico accertamento volto a determinare il tasso alcolemico. Infatti, in tema di guida in stato di ebbrezza, pur potendo lo stato di alterazione alcolica essere accertato anche sulla base di elementi sintomatici, in mancanza di alcoltest può ritenersi integrata esclusivamente la fattispecie meno grave prevista dalla lett. a) dell'art. 186, comma 2, C.d.S., imponendosi per le ipotesi aventi rilievo penale, di cui alle successive lett. b) e c), la verifica tecnica dell'effettivo livello di alcool (cfr. ex multis Cass., Sez. 4 n. 15705 del 20.02.2015). Vale altresì ricordare che le ipotesi di guida in stato di ebbrezza previste rispettivamente dall'art. 186 C.d.S., comma 2, lett a), b) e c), integrano fattispecie autonome: si tratta di disposizioni in ordine crescente di gravità, modellate sul tasso alcolemico accertato, che sono caratterizzate, tra loro, da un rapporto di reciproca alternatività e, quindi, di incompatibilità. Orbene, dopo il novum normativo introdotto con la L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 33, comma 4, non si tratta più di diverse ipotesi di reato, perché l'ipotesi meno grave di cui alla lett. a), tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro è stata depenalizzata, costituendo mero illecito amministrativo. La dimostrazione circa la sussistenza dell'una o dell'altra ipotesi presuppone, quindi, necessariamente il riscontro rappresentato dal tasso alcolemico. Talvolta è possibile ricavare l'esistenza dello stato di ebbrezza anche da elementi sintomatici, quali l'alito vinoso, l'eloquio sconnesso, l'andatura barcollante, le modalità di guida o altre circostanze che possano far fondatamente presumere l'esistenza dello stato indicato. Tuttavia, in mancanza dell'accertamento sul tasso alcolemico, se appunto il giudice può formare il suo libero convincimento anche in base alle sole circostanze sintomatiche riferite dagli agenti accertatori, tale possibilità, come esplicato, deve circoscriversi alla sola fattispecie meno grave prevista dall'art. 186, comma 2 lett. a) C.d.S., imponendosi, invece, per le ipotesi più gravi di cui alle lett. b) e c) del citato articolo l'accertamento tecnico del livello effettivo di alcool. Nel caso per cui è processo, come si evince chiaramente dagli atti di indagine (cfr. in particolare verbale di contestazione e annotazione di servizio), è stato effettuato un accertamento meramente sintomatico dello stato di ebbrezza, mancando qualsivoglia accertamento strumentale nei confronti del (...). Pertanto, applicando tali coordinate ermeneutiche alla fattispecie concreta de quo, difettando l'esame etilometrico che possa far ritenere provato lo stato di ebbrezza penalmente rilevante e, quindi, l'assunzione di bevande alcoliche in quantità tale da superare la soglia prevista dalla legge, occorre pervenire all'esito assolutorio, come meglio indicato in dispositivo, anche in relazione al reato di cui all'art. 186 co. 2 lett c) C.d.S. Per tali motivi (...) va assolto dai reati a lui ascritti, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Visto l'art. 530, comma 2, c.p.p. assolve (...) dal reato a lui ascritto di cui all'art. 186, comma 7, Codice della Strada perché il fatto non sussiste; Visto l'art. 530 c.p.p. assolve (...) dal reato a lui ascritto di cui all'art. 186, comma 2, lett. c) Codice della Strada, perché il fatto non sussiste; Visto l'art. 544 c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito delle motivazioni. Manda al Prefetto per eventuali adempimenti di competenza. Così deciso in Ascoli Piceno il 20 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 5 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Enza Foti ha pronunciato la seguente SENTENZA ex art. 429 co. 1 c.p.c. e art. 447 bis c.p.c. nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 50/2021 promossa da: (...) (...) rappresentato e difeso dall'avv. PA.PA. giusta procura in atti; OPPONENTE contro (...) S.r.l. (...) rappresentato e difeso dall'avv. VI.SI. giusta procura in atti; OPPOSTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE In data 9.12.2020 (...) riceveva la notifica del decreto ingiuntivo n. 1780/2020 emesso dal Tribunale di Ascoli Piceno in data 26.11.2020, con il quale si ingiungeva di pagare in favore della (...) s.r.l. la somma di Euro 938,00, gli interessi come da domanda nonché le spese e i compensi della procedura di ingiunzione. Avverso tale decreto (...) proponeva rituale opposizione spiegando che il decreto ingiuntivo era stato fondato su fatture emesse dall'opposto per somme asseritamente dovute per i canoni di locazione dell'immobile di proprietà di (...), relative al periodo agosto-novembre 2020. A fondamento dell'opposizione spiegava di aver stipulato con il (...) un contratto di locazione ad uso transitorio di una stanza e di aver concordato un canone mensile di Euro 200,00 "comprensivo delle spese ed utenze luce acqua e gas". Aggiungeva che nonostante il contratto in essere fosse stipulato tra lo stesso e il (...), persona fisica, le relative fatture erano emesse dalla società (...). Sottolineava, poi, come il credito derivante dai canoni di locazione di cui al contratto che ci occupa era ceduto, a partire dal 01.08.2020, alla società (...) s.r.l., e di aver, in ogni caso, provveduto a saldare quanto dovuto - fino al mese di dicembre 2020 - ad eccezione delle somme che esulavano da quelle pattuite nel contratto di locazione, quali quelle relative alla tassa rifiuti, all'utilizzo dello stendino, all'uso extra della cassettiera per le scarpe, al rimborso delle spese ordinare per la maniglia del portone blindato, all'uso improprio e contrario al buon senso delle utenze e all'aumento del canone unilateralmente predisposto dalla cessionaria. Concludeva, pertanto, chiedendo: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis: 1. In via preliminare e previo accertamento dell'inesistenza dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo, per tutti i motivi di cui alla narrativa che precede, e per l'effetto dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo n. R.G. 1780/2020; 2. sempre in via preliminare, per tutti i motivi meglio esposti nel corpo del presente atto, accertare e dichiarare, la nullità della clausola contrassegnata art. 3 nella parte in cui prevede che: "qualora si dovesse riscontrare un uso improprio e contrario al buon senso al conduttore potrà essere richiesto un incremento del canone di locazione pari al 10%... Qualora si dovesse riscontrare un uso superiore e non autorizzato potrà esse - re richiesto un extra pari al 10% del canone di locazione mensile "per vessatorietà della stessa e indeterminatezza dell'oggetto e per l'effetto dichiararla nulla e, come tale, non apposta; 3. in ogni caso, nel merito, in accoglimento dei motivi suesposti, accertata e dichiarata la non debenza delle somme portate nel decreto ingiuntivo n. R.G. 1780/2020, revocare l'opposto decreto perché infondato, ingiusto ed illegittimo e conseguentemente accertare e dichiarare che nulla è dovuto dall'odierno opponente alla società (...) SRL, P.IVA (...), con sede legale in Mosciano Sant'Angelo (TE) in persona del legale rappresentante (...), C.F. (...), rigettando tutte le domande così formulate nel relativo ricorso per ingiunzione; 4. in via riconvenzionale, per tutte le motivazioni in premessa, accertato il comportamento del sig. (...), C.F. (...), nato (...), residente in San Benedetto del Tronto (AP), alla via Giovanni da Procida, 3, in proprio e quale legale rappresentante della società opposta, contrario ai principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto in essere tra le parti, condannare la (...) SRL, P.IVA (...), con sede legale in Mosciano Sant'Angelo (TE) in persona del legale rappresentante (...), a risarcire tutti i danni patrimoniali e non, subiti e subendi dal sig. (...), C.F. (...), in conseguenza della vicenda in atti nonché al rimborso di Euro 175,00 per spese sostenute, per una somma complessiva di Euro 1.000,00 o della maggiore o minore somma che risulterà in corso di causa anche per mezzo di valutazione equitativa o a mezzo di consulenza tecnica d'ufficio, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal di del dovuto fino al soddisfo per i motivi tutti meglio dedotti nel corpo del presente atto". Si costituiva in giudizio la società (...) s.r.l. contestando in fatto ed in diritto tutto quanto sostenuto dall'opponente e concludeva chiedendo: "Voglia l'Ill.mo Giudice adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione: In via pregiudiziale e/o preliminare = accogliere l'eccezione pregiudiziale e/o preliminare per improcedibilità dell'azione proposta con l'opposizione, trattandosi di materia per cui è prevista la preventiva mediazione civile e commerciale obbligatoria. In via pregiudiziale e/o preliminare = accogliere l'eccezione pregiudiziale e/o preliminare, per carenza di legittimità passiva della (...) SRL, in quanto mera cessionaria dei canoni locatizi, inerenti il contratto di locazione stipulato tra il (...) e (...) personalmente, in quanto proprietario dell'immobile locato, al quale unicamente può rivolgersi il (...), non avendo nulla a che vedere pertanto parte opposta (...) S.r.l. con le questioni e le problematiche sollevate da parte opponente, per tutte le argomentazioni contenute nella propria comparsa, qui da intendersi integralmente e materialmente riportate e trascritte, confermando il decreto ingiuntivo opposto e/o in via subordinata comunque per la cifra che sarà accertata e/o confermata, anche tenendo conto di tutte le motivazioni ivi sopra a cui ci si riporta in toto. In subordine e/o comunque nel merito = in via preliminare, concedere la provvisoria esecuzione del D.I. n. 1780/2020, atteso che l'opposizione non è fondata su prova scritta né di pronta soluzione, ai sensi dell'art. 648 c.p.c.. In subordine nel merito = rigettare l'opposizione ex adverso, respingendo tutte le domande avversarie in quanto infondate in fatto e in diritto per tutte le ragioni per tutte le argomentazioni contenute nella propria comparsa, qui da intendersi integralmente e materialmente riportate e trascritte, essendovi tutti i presupposti di legge per l'emissione del decreto ingiuntivo de quo e confermando il decreto ingiuntivo opposto in via subordinata, comunque per la cifra che sarà comunque confermata ed accertata, con ogni conseguente condanna della parte opposta al pagamento le somme portate dal decreto ingiuntivo de quo, anche considerando i canoni locatizi impagati sino al 31.05.2021, termine del contratto". All'esito della prima udienza, con le note autorizzate del 6.5.2021, l'opponente sollevava eccezione di inesistenza della procura alle liti, con conseguente invalidità del decreto ingiuntivo e della successiva memoria di costituzione della opposta in giudizio, per essere stata la procura rilasciata da soggetto non legittimato, non essendo il legale rappresentante della società. Con ordinanza del 27.05.2021 il giudice istruttore, considerato che la materia delle locazioni rientra tra quelle per cui è obbligatoria la mediazione, sospendeva il procedimento ed invitava le parti ad attivare il procedimento di mediazione, il quale si concludeva, però, con esito negativo. Rigettate tutte le richieste istruttorie, all'odierna udienza il procedimento era discusso mediante le modalità della trattarne scritta e, all'esito, la presente sentenza viene pronunciata e pubblicata mediante deposito telematico. Preliminarmente occorre analizzare l'eccezione di difetto di procura dell'opposta avanzata dalla parte opponente. Ed infatti l'opposta ha dimostrato - e la circostanza non è stata contestata dalla controparte - che, con verbale di assemblea del 20.11.2020, la precedente amministratrice della società (...) S.r.l. rassegnava le proprie dimissioni dall'incarico cosicché, in pari data, era nominato amministratore unico della società (...) con la conseguenza che la procura rilasciata ai fini del ricorso per decreto ingiuntivo da (...), in qualità di amministratore unico della (...) srl, datato 23.11.2020 deve considerarsi valida ed efficace. Passando all'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dall'opposta per mancata partecipazione personale dell'opponente alla mediazione ordinata dal giudice valgano le considerazioni che seguono. È vero che la disposta mediazione si arrestava alla fase introduttiva e non dava esito favorevole per la mancata partecipazione dell'opponente che non presenziava personalmente all'incontro disposto dal mediatore, essendo presente, in sua vece, solo il procuratore (...). Come noto, nel mese di settembre del 2020, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si sono pronunciate su una questione che aveva diviso la giurisprudenza di merito e di legittimità, ossia l'individuazione del soggetto onerato all'attivazione della procedura di mediazione in caso di opposizione a decreto ingiuntivo (SSUU sentenza 19596/20). In particolare, all'esito dell'attenta analisi della disciplina della mediazione e, in particolare, della sua ratio, hanno concluso affermando che "nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo" (v. anche Cass. sez. 3, n. 159 del 8.01.2021). Partendo da tale assunto - e dunque dall'esistenza di un onere di attivazione della procedura di mediazione gravante sulla parte opposta - dovrà dunque analizzarsi, per quanto principalmente interessa in questa sede, il tema connesso (e consequenziale) dell'omessa e personale partecipazione delle parti alla procedura di mediazione. In altri termini occorre valutare, al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, quando il procedimento di mediazione può dirsi utilmente concluso (anche con esito negativo). Sul punto è intervenuta, a più riprese, la Suprema Corte di Cassazione (che in questa sede si intende condividere) con due pronunce che (seppur temporalmente antecedenti alle citate SSUU) hanno statuito che la condizione di procedibilità debba ritenersi assolta dal soggetto onerato (e, dunque, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, da parte dell'opposto) non solo con l'avvio del procedimento di mediazione ma anche a seguito della personale presentazione dello stesso avanti al mediatore (quantomeno) al primo incontro (Cass. n. 8473/19 e Cass. n. 18068/19; Tribunale di Roma 12/06/2019; C.d.A. Napoli 22/09/2020; Tribunale di Milano 11/02/2020; Tribunale Torino 2019; Tribunale di Crotone 5/02/2021; Tribunale di Monza 5/02/2021; v. Trib. Palermo 14 febbraio 2017; Trib. Napoli Nord 17 gennaio 2017; Trib. Pavia 1° aprile 2015; Trib. Pavia 30 marzo 2015; Trib. Pavia 9 marzo 2015; Trib. Pavia 10 febbraio 2015; Trib. Cassino 16 dicembre 2014; Trib. Firenze 26 novembre 2014; Trib. Bologna 16 ottobre 2014; Trib. Bologna 5 giugno 2014; Trib. Firenze 19 marzo 2014; Trib. Firenze 17 marzo 2014). In altri termini, sulle parti grava l'onere, pena la declaratoria di improcedibilità nei casi di mediazione obbligatoria ex art. 5, co. 1-bis, di presentarsi personalmente (ovvero di conferire apposita procura speciale) al primo incontro di mediazione e di seguire il mediatore nelle fasi iniziali del percorso stragiudiziale. Solo all'esito del primo incontro inizia la procedura di mediazione vera e propria, sicché soltanto da questo momento in poi le parti possono legittimamente abbandonare le trattative, non prima (cfr. Trib. Milano 27 aprile 2016; Trib. Taranto 16 aprile 2015; Trib. Pavia 1 aprile 2015, cit.; Trib. Palermo 17 marzo 2015; Giud. Pace Monza 28 gennaio 2015; Trib. Siracusa 17 gennaio 2015; Trib. Monza 20 ottobre 2014; Trib. Rimini 16 luglio 2014). Se ciò è vero e se, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di attivare e utilmente concludere la procedura di mediazione grava sull'opposto (così come statuito dalle citate Sezioni Unite) ne discende che solo la mancata partecipazione dello stesso comporta l'improcedibilità del giudizio, traducendosi in termini di mancato assolvimento dell'onere di mediazione. Ed infatti, se - come rilevato dalle SSUU 19596/20 - occorre mantenere fermo l'onere di attivazione della procedura di mediazione in capo sempre alla stessa parte, a prescindere dal rito, con ciò identificando nell'attore - e quindi, in capo alla parte convenuta opposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo -, il soggetto tenuto a promuovere la mediazione, ne deriva che l'improcedibilità non può che essere annessa alla domanda, e quindi, conseguire all'omissione (e alla mancata presenza personale) dell'attore in mediazione. Ne discende che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata partecipazione personale del soggetto non onerato (ossia dell'opponente) avrà come sola conseguenza l'applicazione della sanzione di cui all'art. 8, co. 4-bis con la conseguenza che l'eccezione di improcedibilità sollevata dall'opposto dovrà dichiararsi infondata. Sempre in via preliminare parte opposta sollevava eccezione di difetto di legittimazione passiva, relativamente alle eccezioni al contratto avanzate dalla opponente ed alle richieste formulate in via riconvenzionale. Ed infatti, l'opposta affermava di essere mera cessionaria dei canoni locatizi, inerenti al contratto di locazione stipulato tra (...) e (...), per cui l'opponente avrebbe dovuto rivolgere le eccezioni relative al contratto e le ulteriori questioni dallo stesso discendenti a quest'ultimo. Sul punto, deve innanzitutto osservarsi che nel caso in esame vi è stata cessione del credito (futuro) derivante dal contratto di locazione - la quale è stata comunicata al (...) in data 15.7.2020 (v. doc. 6 ricorso in opposizione a decreto ingiunto), circostanza questa confermata anche dalla stessa opposta, e non cessione del contratto come sostenuto dall'opponente. Non è fuor d'opera ricordare altresì che, mentre nella cessione del contratto opera il trasferimento dal cedente al cessionario, con il consenso dell'altro contraente, dell'intera posizione contrattuale, con tutti i diritti e gli obblighi ad essa relativi, la cessione del credito ha un effetto più circoscritto, in quanto è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto e produce, inoltre, rispetto a tale diritto, uno sdoppiamento fra la titolarità del contratto, che resta all'originario creditore-cedente, e il diritto di esigere il credito dallo stesso derivante, che è trasferito al cessionario. In altri termini, nella cessione del credito, tra i diritti derivanti dal contratto, il cessionario acquista soltanto quelli rivolti alla realizzazione del credito ceduto, e cioè, le garanzie reali e personali, i vari accessori e le azioni dirette all'adempimento della prestazione (v. Cass. 17727/2018; v. anche Cass. 3034/2020). La cessione del credito è, dunque, così come stabilito dall'art. 1260 c.c., un accordo cui è estraneo il debitore ceduto per il quale, salvo casi particolari, è indifferente pagare ad uno o ad un altro soggetto. Proprio per questa ragione si giustifica la scelta del legislatore di non riconoscere la necessità di disciplinare il regime delle eccezioni opponibili dal debitore ceduto al cessionario (fatto salvo, in tema di eccezione di compensazione, quanto previsto dall'art. 1248 c.c.). Come costantemente ritenuto in giurisprudenza, infatti, la cessione non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio. In tale logica, pertanto, il debitore è legittimato ad opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare nei confronti dell'originario creditore e in particolare quelle concernenti l'esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito ceduto e le eccezioni riguardanti l'esatto adempimento (v. Cass. 8373/2009; Cass. 4078/2005). Tanto premesso e posto che la legittimazione a contraddire è la situazione di coincidenza soggettiva tra colui contro il quale la domanda è proposta e colui che nella domanda è affermato come soggetto passivo del diritto azionato, ritiene questo Giudice che sussista la legittimazione passiva della (...) s.r.l. relativamente alle eccezioni relative al diritto di credito (ceduto) derivante dal contratto. Quanto all'ulteriore eccezione sollevata dall'opponente, di insussistenza dei presupposti per l'emissione del decreto ingiuntivo, avendo la società cessionaria portato a supporto della propria pretesa il contratto, l'atto di cessione del credito e le relative fatture, ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, il credito può dirsi certamente provato. Altro discorso, poi, è la prova nella successiva fase di opposizione. Come noto, infatti, il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, secondo comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (v. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03); ne consegue che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria. Ed infatti, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, solo da un punto di vista formale l'opponente assume la posizione di attore e l'opposto quella di convenuto, poiché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori, mentre l'opponente è il convenuto cui compete di addurre e dimostrare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, trovando così applicazione i criteri dettati dall'art. 2697 c.c. in tema di onere probatorio. Orbene, in base ai principi generali in tema di adempimento, il creditore, che agisce per il pagamento di un suo credito, è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo, da cui deriva il proprio diritto, e della scadenza del termine per l'adempimento ma non anche a provare il mancato pagamento, che va meramente allegato, con la conseguenza che, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la relativa prova incombe sul debitore che l'eccepisce, al pari della prova di eventuali fatti modificativi o impeditivi (v. Cass. 9439/08; Cass. 15677/09; Cass. 3373/10; Cass. 7530/12 e, per tutte, SSUU 13533 del 2001). Tanto premesso, passando all'esame del merito, l'opposta ha agito in via monitoria per ottenere il pagamento della somma di Euro 938,00, a titolo di canoni scaduti e non pagati relativi ai mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 2020 come risultanti dalle seguenti fatture: n. 09/2020 del 01.08.2020 con importo di Euro 300,00; n. 11/2020 del 01.09.2020 con importo complessivo pari ad Euro 278,00, n. 14/2020 del 02.10.2020 con importo complessivo pari ad Euro 270,00, n. 16/2020 del 02.11.2020 con importo complessivo pari ad Euro 300,00 dalle quali veniva sottratto l'importo pari ad Euro 210,00 già corrisposto dall'opponente. Tale cifra, come anticipato, era ritenuta non dovuta dall'opponente che, da un lato, affermava di aver saldato il canone di locazione pattuito, pari ad Euro 200,00 mensili "comprensivo delle spese ed utenze luce acqua e gas", fino al mese di novembre 2020 e, dall'altro, eccepiva la non debenza delle ulteriori somme richieste in quanto derivanti da conteggi arbitrari e da unilaterali modifiche degli accordi contrattuali. Innanzitutto, infatti, eccepiva l'illegittimità della decisione della locatrice di applicare al canone di locazione, in forza dell'art. 3 del contratto, l'aumento del 10% per asserito uso improprio del bene. Sul punto, va innanzitutto puntualizzato come tale clausola di cui all'art. 3 (pur volendola fare rientrare nell'alveo delle c.d. clausole vessatorie) è stata puntualmente approvata, mediante doppia sottoscrizione, dal conduttore come risulta dalla semplice lettura del contratto di locazione (cfr. doc. 1 ricorso in opposizione). In forza della predetta clausola, in particolare, le parti convenivano che "qualora si dovesse riscontrare un uso improprio e contrario al buon senso al conduttore potrà essere richiesto un incremento del canone di locazione pari al 10% ... Qualora si dovesse riscontrare un uso superiore e non autorizzato potrà essere richiesto un extra pari al 10% del canone di locazione mensile" (v. doc. n. 1 ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo). E tuttavia, pur volendo ritenere la stessa valida ed efficace, non risulta dagli atti di causa che l'opposto abbia fornito prove dell'"uso improprio e contrario al buon senso" dell'immobile da parte dell'opponente cosicché l'aumento del 10% del canone di locazione non appare giustificato. A nulla vale la fattura della CIIP depositata in atti attestante un anomalo consumo di acqua e ciò in quanto, da un lato, la predetta fattura si riferisce anche a periodi in cui non era in essere il contratto di locazione tra le parti, dall'altro, tale fattura si riferisce non solo all'unità immobiliare occupata dal (...) ma anche ad altra unità immobiliare estranea al contratto di locazione che ci occupa. In ogni caso, non vi è alcuna prova che gli asseriti consumi anomali di acqua possano essere attribuiti all'opponente cosicché apparirebbe arbitrario, in questa sede, applicare allo stesso un aumento del canone di locazione per fatti di cui non vi è alcuna prova di imputabilità allo stesso. Nemmeno potranno essere addebitate, poi, le ulteriori spese (utilizzo dello stendino, uso extra della cassettiera per le scarpe, rimborso delle spese ordinare per la maniglia del portone blindato) in assenza di idonea prova giustificativa delle stesse. A ciò si aggiunga la circostanza che l'opponente viveva nell'immobile insieme ad altri conduttori e non vi è prova del fatto che tali presunti utilizzi siano addebitabili allo stesso. Ed infatti, come noto, parte creditrice, avrebbe dovuto fornire, a supporto delle proprie richieste di aumenti del canone mensile, idonee prove volte a sorreggerle, onere che, invece, non ha in alcun modo assolto. Per quanto, poi, attiene agli importi relativi alla TARI, pure richiesti dalla (...) srl, in qualità di cessionaria del credito, al (...), è evidente che tali somme non potrebbero essere pretese dalla cessionaria del credito al conduttore posto che, come comunicato al (...), con pec del 15 luglio 2020, la cessione del credito ha avuto ad oggetto "il canone di locazione" e non anche le ulteriori ed eventuali somme dovute in forza del contratto di locazione. Si tratta infatti di somme che, eventualmente, se dovute, il conduttore sarà tenuto a pagare al locatore, (...). Alla luce di quanto sopra, dunque, avendo l'opponente dimostrato, come era suo onere, di aver provveduto al pagamento degli importi contrattualmente previsti relativi ai mesi di agosto, settembre, ottobre e novembre 2020 (v. doc. 10, 12, 14 e 22 di cui al ricorso in opposizione) è evidente come, allo stato, nulla è dovuto alla cessionaria del credito da parte del sig. (...). Per quanto riguarda poi, la richiesta dell'opposta di condanna dell'opponente al pagamento dei canoni relativi ai mesi da gennaio a maggio del 2021 è pacifico che, in data 6.01.2021, il (...) abbia lasciato l'immobile in oggetto, come altresì pacifica è la circostanza che lo stesso solo in data 8.01.2021 abbia provveduto a comunicare al locatore il recesso mediante lettera raccomandata (doc. 8 comparsa di costituzione). Ciò posto, deve subito precisarsi come la legittimità del recesso dal contratto da parte del conduttore è questione che non involge in alcun modo la società (...), cessionaria (si ripete) del credito che, pertanto, in conseguenza del predetto recesso (ed indipendentemente dalla legittimità dello stesso) non potrà pretendere dal conduttore i canoni dovuti a titolo di mancato preavviso. Ed infatti, solo all'esito dell'accertamento dell'illegittimità del recesso dal contratto da parte del (...) (accertamento da condursi nel contraddittorio con il titolare del contratto) potranno dirsi dovute le somme relative ai mesi di mancato preavviso, questioni dalle quali la cessionaria del credito, odierna opposta, risulta del tutto estranea. Si ribadisce, infatti, che in caso di cessione del credito, il trasferimento, anche se il credito nasce da contratto, ha per oggetto solo il credito in quanto tale e la sostituzione riguarda unicamente la posizione di "creditore". Ne consegue che il cessionario del credito, non essendo anche parte del contratto costitutivo del credito stesso, non può avvalersi dei poteri connessi a tale posizione e pertanto, agire proponendo azioni a tutela del sinallagma contrattuale. Pertanto, la domanda di pagamento dei canoni di locazione fino al mese di maggio del 2021 andrà rigettata per difetto di titolarità attiva. Per le medesime ragioni andrà rigettata altresì, anche la richiesta risarcitoria avanzata da parte opposta a fronte degli asseriti danni cagionati dall'opponente. Ed infatti, come noto, il diritto al risarcimento del danno compete esclusivamente a chi, essendo proprietario del bene al momento dell'evento dannoso, ha subito la relativa diminuzione patrimoniale. Riconoscere tale titolarità in capo al cessionario significherebbe consentirgli una indebita ingerenza nella sfera giuridica del cedente, il quale invece, nonostante la cessione, è sempre parte del contratto originario. Le stesse considerazioni varranno ai fini del rigetto della domanda riconvenzionale, avanzata dall'opponente, di risarcimento dei danni patiti dal (...). Ed infatti, tale domanda andava (eventualmente) correttamente indirizzata al titolare del contratto di locazione (proprietario dell'immobile) e non alla società cessionaria del credito. Le spese di lite, in considerazione della revoca del decreto ingiuntivo opposto e del rigetto della domanda riconvenzionale avanzata dall'opponente, tenuto conto del rigetto di tutte le eccezioni reciprocamente sollevate, andranno integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in persona del giudice Enza Foti, definitivamente pronunciando sulla causa civile iscritta al 50 del 2021, e vertente tra le parti di cui in epigrafe, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - Accoglie l'opposizione e per l'effetto; - revoca il decreto ingiuntivo opposto; - rigetta la domanda dell'opposta di condanna dell'opponente al pagamento dei canoni fino al 31.05.2021 e la domanda di risarcimento dei danni; - rigetta la domanda riconvenzionale dell'opponente; - compensa le spese di lite. Così deciso in Ascoli Piceno il 4 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 4 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di ASCOLI PICENO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Stefania Iannetti ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g.1934/2019 promossa da: (...) nato a (...) (cod. fisc.(...) ), titolate della ditta "(...) di (...)) corrente in (...) Via (...) con il patrocinio dell'Avv. Pi.D'A.. Attore contro (...) SpA codice fiscale (...), con sede in T. Piazza D. C. n.(...) 156, in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'Avv. Pa.Po. e dell'Avv. Gi.Lo.. Convenuta Oggetto: Contratti bancari CONCISA ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTA DELLA DECISIONE Con atto di citazione ex art. 616 c.p.c. notificato il 04/10/2019, (...), nella sua qualità di titolare della ditta "(...) di (...)" conveniva in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale di Ascoli Piceno, (...) SpA, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: "Voglia l'adito Tribunale, provvedendo con ogni più opportuna statuizione e consequenziale pronuncia, a) In via principale, accertare e dichiarare il grave inadempimento posto in essere da (...) nell'esecuzione tanto del contratto di conto corrente quanto di quello ancillare di pagamenti telematici e per l'effetto, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 1223 cod. civ. condannare la società convenuta al risarcimento del danno da inadempimento, quantificabile sin d'ora in Euro 47,781.30 o nella maggiore o minor somma che risulti di giustizia h) tu via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della superiore domanda, accertare e dichiarare la illiceità della condotta distrattiva posta in essere da (...) S.p a. e. ai sensi e per gli effetti dell'art. 2043 cod. civ., condannare la società convenuta al risarcimento del danno cagionato alla (...), quantificabile sin d'ora in Euro 47.781,30 o nella maggiore o minore somma che risulti di giustizia, c) vinte le spese. A sostegno della demanda,(...), nella sua qualità dì titolare della ditta "(...) di (...)"asseriva: -di essere correntista della (...) Soc. Coop. a resp. limitata per azioni, confluita nella banca convenuta, (...) SpA -di aver sottoscritto, in data 14/05/3016, contratto di servizi di pagamenti telematici con la (...) SpA, oggi (...) SpA, per cui veniva consegnato al (...) il c.d. OTP acronimo di "one time password", dunque un dispositivo elettronico in grado di generare un codice numerico tempo-dinamico e valido per un singolo accesso o una singola transazione da operarsi mediante sistema informatico -di essersi concretizzato il grave inadempimento della banca convenuta nell'esecuzione del contratto di conto corrente e di quello ancillare dei pagamenti telematici, come meglio descritto nell'atto introduttivo del presente giudizio Si costituiva in giudizio la convenuta, (...) SpA, rassegnando le seguenti conclusioni: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, premesso ed assunto ogni provvedimento ritenuto opportuno, rigettare te domande ed istanze tutte formulate contro (...) S.p.A. così giudicare: nel merito: - rigettare integralmente tutte le domande della (...) di (...), in quanto infondate in fatto ed in diritto per le motivazioni diffusamente esposte in narrativa; - al contempo, accertare e dichiarare l'esclusiva responsabilità della (...) di (...) per i fatti contestati nel presente giudizio, con esclusione di qualsiasi profilo di responsabilità, contrattuale ed extracontrattuale, di (...) S.p.A. e, per l'effetto, rigettare integralmente le domande dell'attrice infondate in fatto e in diritte per le ragioni in narrativa: - in subordine, accertare e dichiarare ex art. 1227, comma 2 c.c. l'incidenza della condotta della (...) di (...) nella causazione del danno e, conseguentemente, rigettare ogni richiesta risarcitoria di quest'ultima a carico di (...) S.p.A.; - in ulteriore subordino, accertare e dichiarare ex art. 1227, comma 1, c.c. il concorso della (...) di (...) nella causazione del danno e, conseguentemente, rigettare in tutto o in parte, nella misura che emergerà all'esito del presente giudizio, le domande di quest'ultimo a carico di (...) S.p.A.; in ogni caso: - condannare parte attrice all'integrale rifusione in favore di (...) S.p.A. delle spese e dei compensi professinali e tecnici del presente giudizi, come liquidate, oltre accessori di legge". A sostegno della difesa, la (...) S.p.A. salvo altro asseriva: - la diversa realtà dei fatti - l'infondatezza della domanda per carenza del nesso causale - la infondatezza della domanda, in virtù della disciplina contrattuale tra le parti - l'omessa custodia delle credenziali e l'assenza di misure di sicurezza da parte del cliente - la tardiva segnalazione delle distrazioni alla banca - l'assolvimento delle obbligazioni da parte della banca Concessi i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. c depositate dai procuratori dello parti le relative memorie come in atti. il giudice ammetteva la prova per testi cd interpello, sicchè assunta la prova testimoniale dell'unico teste indicato da parte attrice,(...) veniva fissata udienza per la discussione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., con termine alle parti per note conclusive. La domanda attorea è infondata e, pertanto, non merita accoglimento. Sulla base dell'ormai consolidato principio della c.detta "ragione più liquida" - al giudice è consentito di non rispettare rigorosamente l'ordine logico delle questioni da trattare (art. 216 comma 2 c.p.c.), ove sia più rapido ed agevole risolvere li controversia in base ad una questione che, pur se subordinata ad altre, sia più evidente e più rapidamente risolvibile. Poiché nel presente giudizio si verte nell'ambito della responsabilità contrattuale, l'utilizzazione dei servizi telematici da parte del correntista (home banking) rientra nell'area del rischio professionale della banca e richiede una diligenza di natura tecnica specifica. In caso di contestazione, spetta, pertanto, alla banca tornire la prova della riconducibilità dell'operazione al cliente correntista. La causa attiene, più precisamente, alla tematica dell'esecuzione di operazioni di pagamento, nello specifico bonifici a distanza, ossia tramite internet, attraverso uri insieme di procedure concordate tra l'utente di servizi di pagamento e il relativo prestatore, utilizzate per dispone un ordine di pagamento ed una procedura di autenticazione che consente al prestatore di verificare l'identità del cliente e la validità dell'uso di uno specifico strumento di pagamento, compreso l'uso delle credenziali di sicurezza personalizzate dell'utente. Attualmente, il sistema più evoluto, previsto a livello comunitario, è quello che prevede l'autenticazione del cliente non solo tramite le cosiddette credenziali statiche (UserId e Pi.) consegnate al cliente al momento dell'apertura del rapporto e solo da lui conosciute, ma anche attraverso l'utilizzo di un codice dinamico, detto OTP (one time password), ovvero un codice cifrato monouso generato contestualmente all'accesso al servizio/esecuzione dell'operazione e con durata limitata nel tempo. Tali misure tutelano la riservatezza e l'integrità delle credenziali di sicurezza personalizzate e comprendono di norma sistemi di cifratura basati su dispositivi personali del pagatore, tra cui lettori di carte o telefoni cellulari. A tal fine è stato imposto l'obbligo ai prestatori di servizi di pagamento di applicare, sia in fase di accesso al conto online, sia in fase di pagamento elettronico, l'autenticazione forte del cliente che comprenda clementi che colleghino in maniera dinamica l'operazione a uno specifico importo e a uno specifico beneficiario, nel rispetto delle norme tecniche demandate all'Autorità Bancaria Europea. Sicché, mentre in precedenza, l' OTP veniva generato dal cd. token, ovvero il dispositivo fisico fornito al cliente: dal prestatore di servizi di pagamento per generare l'OTP, oggi è invece prevista la creazione di un OTP personalizzato, generato attraverso un algoritmo che utilizza i dati specifici dell'operazione da autorizzare. Le disposizioni dettate, sul punto, in sede comunitaria, sono state recepite nel nostro ordinamento dal D.Lgs. del 15 dicembre 2017, n. 218 che ha modificato il D.Lgs. n. 11 del 2010 disciplinante i sistemi di pagamento, tuttavia, la medesima normativa ha previsto che l'entrata in vigore delle disposizioni sull'autenticazione e sulle misure di sicurezza "si applicano decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore delle norme tecniche di regolamentazione di cui all'art. 98 della direttiva (UE) n. 2015/2366" dunque dal 14/09/2020. Le suddette disposizioni in materia di autenticazione e misure di sicurezza non erano, pertanto, ancora entrate in vigore all'epoca dei fatti che ci occupano, ossia quando l'ultore ordinava online due bonifici, di cui il primo, in data 25/03/2019, dell'importo di Euro 9.479,01 e il secondo, in data 08/04/2019, di Euro 18.302,29 entrambi in favore di (...) S.p.A. ed invece erroneamente accreditati a due nominativi diversi e, pertanto, il primo a tale (...) il secondo a tale (...). L'attore allega di aver adottato tutte le precauzioni disposte sia dalla legge che dal contratto e di aver tempestivamente informato la banca dell'esito delle operazioni di cui era venuta a conoscenza e, in sintesi, deduce che è obbligo della banca, prestatrice del servizio quello di assicurare che i dispositivi personalizzati siano a garanzia del buon esito delle operazioni online come pure di aver adottato tutte le cautele previste al fine di ridurre, al minimo la possibilità di frodi o truffe online, per esempio adottando sistemi di sicurezza al passo con i tempi. La banca contesta quanto ex adverso dedotto, in particolare, eccependo che non le perveniva alcuna tempestiva comunicazione da parte dell'attore in merito all'irregolarità delle operazioni di pagamento effettuate, deducendo altresì salvo altro che l'attore, dopo la disposizione del primo bonifico per cui e causa, ne effettuava addirittura un altro, con uguale superficialità. In particolare, evidenzia che, all'epoca dei fatti non era in vigore quanto disposto dal D.Lgs. n. 218 del 2017 in merito all'evoluzione degli strumenti di pagamento, introdotti dalla Direttiva (UE) n. 2015/2366 e di aver pertanto correttamente fornito ai cliente il sistema di autenticazione c.d. "a due fattori" ossia il sistema vigente al tempo dei funi, così adempiendo a quanto previsto dal l'ari, 8 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 11 del 2010. Orbene, la banca ha assolto al proprio onere probatorio, dal momento che ha posto a disposizione del cliente le password one time generate dai dispositivi OTP o "token", quali congegni capaci di generare password monouso da aggiungersi alla password fissa nota solo al l'utente, cosi formando il predetto sistema di autenticazione "a due fattori", quale sistema vigente - si ribadisce - all'epoca degli occorsi di specie, circostanza non contestata. Detta autenticazione a due fattori, ossia in due passaggi costituisce già un'importante misura di sicurezza che offre un ulteriore livello di protezione rispetto alla password poiché, grazie all'aggiunta di questo secondo livello di sicurezza, per gli hacker sarà inulto più difficile violare gli account. Ciò posto, nella specie, é lo stesso attore a riconoscere la paternità delle operazioni di pagamento online per cui è causa, apparendo superfluo ogni relativo accertamento sulla identità dell'ordinante i pagamenti in oggetto. Occorre, invece, evidenziare che è certo che le disposizioni di bonifico online che ci occupano sono state ordinato dall'attore e che le stesse sono state eseguite dalla banca, in conformità ai dati ivi riportati, non avendo la banca alcun obbligo di verifica circa il beneficiario e il conto indicato dall'identificativo unico (v. Cass. n. 20639/2019). Più esattamente, risulta che l'attore ha indicato il codice SWTFT errato: (...) identificativo di U. SpA (cfr. doc. 13 di parte attrice), ossia della banca di (...), reale beneficiario del bonifico e non anche della (...) SpA alla quale invece il pagamento doveva essere destinato. Detta anomalia non è stata ravvisata ne segnalata dall'attore, sebbene egli avesse effettuato pregressi bonifici online alla beneficiaria. (...) SpA, andati a bum fine. Eppure l'attore, una volta effettuato il bonifico, lo aveva esaminalo, stampato e archiviato (cfr. dichiarazione testo (...), accorgendosi della distrazione solo a distanza di giorni. Quanto al riaccredito momentaneo della somma del primo bonifico, da parte della banca, a seguito della contestazione dell'attore, lo stesso non assurge a riconoscimento del debito, poiché effettuato pei quanto previsto dall'art. 11 comma 3 D.Lgs. n. 11 del 2010 e portante b seguente testuale precisazione: "qualora sia successivamente dimostrato che le operazioni erano state autorizzate, la limita ha diritto di ottenere la restituzione dell'importo rimborsalo. ... come se il rimborso non avesse avuto luogo (doc. 3 parte attrice, lett. b), somma infatti successivamente di nuovo addebitata al cliente, essendo emerso che ('operazione contestata era effettivamente riconducibile a quest'ultimo. Nonostante l'occorso del 25/03/2019, il (...) effettuava, personalmente, in data 08/04/2019, un secondo bonifico online sempre alla medesima (...) SpA, bonifico anche questa volta accreditato a persona diversa dal destinatario, tale (...) e ciò senza che l'attore- stante il pregresso occorso del 25/03/2019- avesse previamente verificato la sicurezza dei propri dispositivi (non vi è prova di verifico, in atti). Detto secondo bonifico, nel campo relativo al codice SWIFT del beneficiario, porta la sequenza generica "XXXX" (due. 14 in arti di parte attrice). Non coglie nel segno il riferimento compiuto dall'attore al problema alla rete Swift, comunicato dalla banca il 29/03/2019 e dalla medesima riferito allo stesso giorno, poiché il suddetto elemento temporale non coincide con quelli in cui sono stati effettuati i bonifici in parola, ossia il 25/03/2019, il primo e il 08/04/2019. il secondo, evidenziandosi pertanto la carenza del nesso causale tra gli eventi de quibus. E' infine opportuno ricordare che, qualora iban e beneficiario non coincidono e l'errore ricade sull'iban o su un codice esistente ma errato e appartenente a un altro soggetto o sugli altri dati forniti dal cliente, la banca non ha alcuna responsabilità per l'errore in cui sia caduto il proprio correntista. Se l'identificativo unico fornito dall'utilizzatore è inesatto, il prestatore di servizi di pagamento non è responsabile, ai sensi D.Lgs. n. 11 del /2010, della mancata o inesatta esecuzione dell'operazione di pagamento. Tali principi sono ribaditi e confermati dal D.Lgs. n. 11 del 2010, ove si precisa che l'obbligazione della banca si riduce ad eseguire il bonifico in conformità con l'identificativo unico fornito dal pagatore, anche nel caso in cui questi avesse fornito alla propria banca ulteriori informazioni, quali, ad esempio, la denominazione del beneficiario. Alla luce di quanto sopra, alcuna responsabilità contrattuale ne extracontrattuale può essere attribuita alla banca, per cui la domanda attorea va integralmente rigettata anche in riferimento ai presunti esborsi che quest'ultimo riferisce di aver sostenuto per adempiere a pagamenti. Si evidenzia che il cliente non ha revocato gli ordini di bonifico ed ha indugiato nel segnalare le distrazioni, non consentendo alla banca di porvi rimedio prima che le somme venissero effettivamente ed erroneamente accreditate. Certo è che, al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (ciò che rappresenta interesse degli stessi operatori, appare (v. in tal senso Cass. n. 2950/17 e Cass. n, 9158/18) del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di soggetti terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo. L'ipotesi oggetto di causa, oltre ad evidenziare comportamenti incauti del cliente, tali da non poter essere fronteggiati in anticipo dalla banca, come sopra evidenziato, concreta la differente ipotesi dell'errore commesso dal soggetto ordinante nell'indicare/omettere dati per cui, coerentemente con la citata normativa, si precisa che in tale caso nessuna responsabilità possa essere invocata in cupo alla banca, quale prestatore dei servizi di pagamento, essendo questa tenuta all'identificazione del beneficiario esclusivamente in forza del codice IB indicato, salvo solo l'"obbligo del pagatore di compiere gli sforzi ragionevoli per recuperare le somme erroneamente bonificate a un soggetto differente dal reale beneficiario, qualora tempestivamente avvisata. Ritiene il Tribunale che nella fattispecie in esame la banca convenuta abbia adempiuto al gravoso onere probatorio posto a suo carico in ordine all'adozione di misure atte a prevenire frodi informatiche e all'adeguatezza dei sistemi informatici da essa utilizzati all'epoca delle operazioni disconosciute de quibus e che i fatti per cui è causa non sono da attribuirsi alla responsabilità della banca convenuta. Le spese di lite seguono la soccombenza e, per l'effetto, l'attore va condannato al pagamento, in favore della banca convenuta, come da seguente dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa istanza disattesa: - rigetta la domanda attorea, per quanto in parte motiva: - condanna l'attore a pagare, in favore della banca convenuta, le spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 6.800,00 oltre il rimborso forfettario nella misura del 15% cap ed iva di legge. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicate mediante allegazione al verbale. Così deciso in Ascoli Piceno il 25 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p.) Con motivazione contestuale Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice Dr.ssa Domizia Proietti alla pubblica, udienza, del 19 OTT. 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a N. ( I. ) res: N. vicoletto S. V. 11 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto depositato in data 21 luglio 2021 e ritualmente notificato, è stata disposta la citazione a giudizio di (...). Alla prima udienza, fissata per il 12 novembre 2021, il giudice, dott. (...) ha dichiarato l'assenza dell'imputato; il difensore ha chiesto rinvio al fine di acquisire dati relativi al luogo ove è stata attivata la Post-pay evolution ai fini della valutazione della competenza territoriale, non evincendosi dal contenuto del fascicolo processuale. Il Giudice, pertanto, ha accordato breve rinvio al 20 marzo 2022, udienza nella quale il giudice, dott.ssa (...) ha disposto rinvio al 19 ottobre 2022. In tale udienza, il giudice, dott.ssa Domizia Proietti ha dato atto del mutamento della persona fisica del giudicante e, nei termini di cui all'articolo 491 c.p.p., la difesa ha rilevato l'incompetenza territoriale del Tribunale di Ascoli Piceno. Il Pubblico Ministero e il difensore hanno concluso nei termini sopra riportati. Il giudice ha dunque dato lettura del dispositivo di cui alla presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE Alla luce della formulazione accusatoria, si deve ritenere che il Tribunale di Ascoli Piceno sia territorialmente incompetente, dovendosi invece considerare competente il Tribunale di Napoli. Il reato ascritto all'imputato configura una classica ipotesi di "truffa online": tale fattispecie delittuosa è caratterizzata dal fatto che la contrattazione tra il soggetto agente e la persona offesa avviene mediante strumenti informatici di comunicazione a distanza (siti internet, e-mail, chat, messaggistica istantanea, telefono), così come l'atto di disposizione patrimoniale, realizzato usualmente attraverso strumenti di pagamento telematici, attivabili da canali di home banking, sportelli bancomat o uffici tradizionali. In tali circostanze, si può assistere ad una scissione tra il momento in cui l'atto dispositivo viene eseguito dal soggetto raggirato, determinandone la diminuzione patrimoniale, e quello in cui l'agente beneficia di tale disposizione. Tuttavia, dal momento che entrambi gli eventi sono necessari per il perfezionamento della fattispecie di cui all'art. 640 Codice Penale, il delitto può dirsi consumato soltanto nel momento e nel luogo in cui il reo ottiene l'indebito vantaggio economico. Ai fini dell'individuazione del locus commissi delicti della truffa online è indispensabile distinguere tra i diversi mezzi di pagamento con i quali viene effettuata la disposizione. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, quando l'atto dispositivo è rappresentato dalla ricarica di una carta prepagata, non c'è distinzione spaziale né temporale tra l'atto dispositivo e l'arricchimento dell'agente, dal momento che le somme vengono accreditate immediatamente al beneficiario: ne consegue che il delitto si consuma laddove viene effettuata la ricarica (ex multis, Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 23781 del 17 luglio 2020). Al contrario, la truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni "on line", in cui il pagamento eseguito dalla parte offesa avvenga tramite bonifico bancario con accredito su conto corrente, si consuma nel luogo ove l'agente consegue l'ingiusto profitto tramite la riscossione della somma e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 54948 del 16/11/2017 dep. 07/12/2017 Rv. 271761). Infatti, quando l'atto dispositivo si realizza tramite bonifico bancario, la truffa si consuma soltanto con l'accredito delle somme sul conto corrente del beneficiario, poiché fino a quel momento la disposizione può ancora essere revocata. Il luogo della consumazione, dunque, deve essere individuato nella sede in cui il conto corrente destinatario dell'indebito accredito è stato aperto (cfr. già Cass. n. 48067/2016, "chi effettua il pagamento -nella specie le persone truffate- perde subito il denaro (anche se, fintanto che il beneficiario non lo riscuota, l'ordine può essere revocato con conseguente reimpossessamento del denaro da parte di colui che ha effettuato l'ordine); il beneficiario -nella fattispecie, l'imputato agente-, consegue il profitto solo quando riscuote il denaro presso la sede o una filiale dell'ufficio bancario o postale dove ha acceso il conto corrente sul quale la somma è stata accreditata"). La Cassazione, nella medesima pronuncia ora richiamata, ha stabilito anche il caso in cui non sia determinabile il luogo di riscossione: "nell'ipotesi di truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni "on line", in cui il pagamento da parte della parte offesa avvenga tramite bonifico bancario con accredito su conto corrente (...) qualora non sia determinabile il luogo di riscossione, si applicano - per la determinazione della competenza territoriale - le regole suppletive previste dall'art. 9 cod. proc. pen." (Sez. 2, n. 48027 del 20/10/2016, Va., Rv. 268369). Alla medesima conclusione deve giungersi per i pagamenti indirizzati a carte prepagate munite di codice IBAN, che possono essere ricaricate tramite bonifico bancario: anche in questa ipotesi il momento consumativo va fatto coincidere con l'accredito delle somme sulla carta del beneficiario e il locus commissi delicti va identificato nel luogo di riscossione delle somme da parte dell'agente, che si presume coincidente con la filiale dell'istituto bancario presso la quale il conto corrente è domiciliato (cfr., sul punto, Cass. pen., Sez. 2, sent. n. 54948 del 16/11/2017, Rv. 271761; nonché Cass. pen., Sez. 2, sent. n. 48027 del 20/10/2016, Va., Rv. 268369 e Cass. pen., Sez. Feriale, sent. n. 37400 del 30/08/2016, Rv. 268011). È evidente pertanto che nel caso di specie, essendo contestata una truffa contrattuale consumatasi con la disposizione di una ricarica a mezzo Post-pay evolution, associata ad un IBAN, il luogo di consumazione del reato deve essere individuato nel luogo in cui l'imputato avrebbe conseguito l'ingiusto profitto, vale a dire in NAPOLI, ove ha sede la filiale di (...) S.p.A. presso la quale è risultato essere stata attivata la Post-pay evolution, associata ad Iban su cui è stata accreditata la somma di 212,00 Euro (cfr. documentazione prodotta dal P.M. all'udienza del 19.10.2022). Deve pertanto dichiararsi l'incompetenza territoriale del Tribunale ordinario di Ascoli Piceno in favore del Tribunale ordinario di NAPOLI. P.Q.M. Visti gli artt. 8 e 23 c.p.p., dichiara l'incompetenza per territorio del Tribunale di Ascoli Piceno in favore del Tribunale di Napoli e, per l'effetto, ordina la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica di Napoli. Così deciso in Ascoli Piceno il 19 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p) Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr. Bondi Ciutti Barbara 0119, alla pubblica udienza del 21 LUG. 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a T. ( I. ) res: A. A. via C. B. 175 INT. 4 Imputato Omissis SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto della Procura della Repubblica (...) veniva citata davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, per rispondere del reato di cui in epigrafe. Il giudizio non si svolgeva alla presenza dell'imputata; all'udienza del 30.01.2020 interveniva costituzione di parte civile nell'interesse prima di (...) poi, a causa della morte della persona offesa, degli eredi. Successivamente si procedeva all'ammissione delle prove richieste; esaurita l'assunzione delle prove, il P.M., il Difensore della parte civile e il Difensore dell'imputato formulavano e illustravano le rispettive conclusioni in epigrafe trascritte. MOTIVI DELLA DECISIONE La condotta dì appropriazione indebita contestata all'odierna imputata risulta pienamente provata infatti, sia dalla valutazione della prova testimoniale che dall'analisi della documentazione prodotta, risulta evidente che la prevenuta abbia utilizzato, per effettuare dei pagamenti personali nell'anno 2016, 2017 e 2018, delle somme consegnate tramite assegni tratti dal conto della persona offesa; utilizzo che le era stato precluso con espresso provvedimento di revoca del 2012. Nel corso del giudizio, accertato l'avvenuto decesso di (...), quindi l'impossibilità di procedere all'esame, veniva disposta ex art. 512 c.p.p. l'acquisizione e la lettura della querela. La persona offesa riferisce di aver avuto un rapporto sentimentale con la prevenuta, relazione interrottasi nel luglio del 2012; a ciò seguiva la revoca della delega ad operare sul conto corrente acceso presso la CARIT di Terni (doc. in atti). In data 29.11.2016 (...) presentava denuncia di smarrimento del libretto degli assegni rilasciato per il citato conto; la prevenuta aveva, comunque, già avuto conoscenza nel 2013 della revoca (ricorso per sequestro e relata di notifica in atti). Il teste (...), in servizio all'epoca dei fatti effettivo presso il Comando Stazione Carabinieri di Temi, riferisce quanto da lui accertato: "La denuncia è stata formalizzata dal signor (...) presso il Comando Stazione di Perugia ed è arrivata presso il Comando Stazione di Temi per competenza territoriale in quanto il signore era correntista presso una filiale dell'ex Carit, attuale (...), praticamente la filiale di (...), che dovrebbe essere quella attigua all'ospedale di Terni. Il signore denunciava il fatto che erano stati bancati alcuni assegni, per la precisione due assegni incassati e uno non andato a buon fine perché aveva fatto una denuncia di smarrimento presso la Questura di Perugia, bancati senza la sua autorizzazione, o comunque senza che gli stessi fossero stati fomiti a terze persone. Un assegno era dell'importo di 550 Euro e un assegno di 1200 Euro. Dopo questa acquisizione della notizia ho fatto una formale richiesta presso la filiale e mi rispondeva che i titoli erano stati incassati per tramite la (...). Era un istituto di credito che stato poi assorbito all'epoca dalla (...). Dopo l'ulteriore richiesta... Due assegni andati a buon fine e un assegno che non è stato bancato. Sì, confermo. Una volta arrivata la conferma da parte della (...) si accertava che i due titoli andati a buon fine erano stati dati in pagamento a una ditta di immobili". Precisa che si trattava della "Primula mobili". Prosegue: "Invece i due andati a buon fine sono quelli... a un 'autofficina. (...) S.n.c". Il teste riconosce gli assegni che gli vengono esibiti (doc. in atti), dichiara: "Questo di 340 non è andato a buon fine presso la Primula Mobili. Poi successivamente siamo venuti a conoscenza che il legale rappresentante o chi per lui, tramite delega, aveva presentato una denuncia querela. Invece gli assegni andati a buon fine sono questo di 1200 Euro per la (...) e l'altro di 550, sempre (...)". Continua nel riferire gli accertamenti eseguiti: "E una volta giunti questi accertamenti, tra i quali comunque era inserito anche il nominativo della persona che aveva consegnato i titoli a queste due distinte ditte, la signora (...),... Sia dalla firma sull'emissione del titolo che la stessa banca ha fornito le generalità di chi aveva emesso il titolo stesso (...). Perciò delegavo su espressa delega della Procura di Temi che all'epoca era la Procura competente per le indagini, anche di escutere le parti che avevano posto all'incasso. Quindi il legale rappresentante dell'autofficina e il titolare del negozio di mobili che anche loro confermavano". Conclude: "Le indagini riconducevano a (...) che poi è emerso che era l'ex compagna della parte offesa. O comunque l'ex conoscente della parte offesa. Del signor (...), sì". Il teste (...) riferendosi alla prevenuta dichiara: "È una cliente dell'azienda che ha acquistato dei mobili e ha dato questo assegno che poi è risultato con firma contraffatta e assegno denunciato al CAI (...) come denunciato smarrito o sottratto". Risulta di tutta evidenza che la prevenuta avendo la disponibilità di alcuni assegni, a causa della pregressa relazione sentimentale interrottosi bruscamente già nel 2012, abbia dato agli stessi una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificavano il possesso. La A. tratteneva degli assegni che sapeva essere relativi ad un conto per il quale le era stata revocata la possibilità di operare, inoltre li utilizzava a distanza di anni per effettuare dei pagamenti personali senza alcuna autorizzazione (Cass. Pen. n. 46475 del 26/05/2014, Cass. Pen. 12869 2016). Perché vi sia appropriazione indebita occorre la sussistente del "dolo specifico", in quanto oltre alla rappresentazione della coscienza e della volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui posseduta, occorre lo specifico ed ulteriore scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante una condotta che eccede le facoltà o i diritti compresi nel titolo del possesso (la c.d. interversione del possesso), senza che sia indispensabile che il profitto ingiusto sia effettivamente conseguito (Cass. n. 32155/2012). Nel caso concreto, per quanto è emerso in dibattimento, risulta provato che l'imputata abbia avuto il possesso degli assegni che avrebbe dovuto restituire o quanto meno non utilizzare; diversamente li offriva in pagamento, traendone un ingiusto profitto. Dalla documentazione in atti emerge che tra le parti, per ragioni anche economiche, già dal 2013 c'erano dei forti contrasti; detta circostanza accompagnata all'atto di revoca già individuato e citato, rendono il comportamento della prevenuta sicuramente illegittimo. Infatti il possesso, che inizialmente poteva risultare legittimo poiché autorizzato dal (...), è poi divenuto illecito sulla base delle ragioni già enunciate. Appare certo, quindi, che vi siano elementi fondati per ritenere sussistente la penale responsabilità dell'imputata per il reato di appropriazione indebita. Riguardo al trattamento sanzionatorio analizzati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. si stima equo condannare (...), concesse le attenuanti generiche anche in ragione dell'assenza di precedenti recenti, alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro, 400,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; si dispone che la pena rimanga sospesa alle condizioni di legge. Gli aspetti di natura civile vengono trattati come indicato nel dispositivo. P.Q.M. Visto l'art. 533 e 535 c.p.p. Dichiara l'imputata colpevole del reato a lei ascritto e, concesse le attenuanti generiche, la condanna alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro. 400,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Visto l'art. 538 c.p.p. Condanna l'imputata al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, da quantificarsi in separata sede civile. La condanna, inoltre, al pagamento delle spese di costituzione e giudizio della parte civile che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA e CAP come per legge Visto l'art. 544 c.p.p. Fissa il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione Così deciso in Ascoli Piceno il 21 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p) Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr. Domizia Proietti, alla pubblica udienza del 21/9/22 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a K. ( S. ) res: A. P. via S. 5 IMPUTATO a) del reato di cui all' art. 81 cpv e 612 c.2 e art. 61 n. 11 quinques c.p, perché, in tempi diversi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, minacciava di un male ingiusto la propria convivente (...) e (...), figlio della donna, nato da una precedente relazione; in particolare: - minacciava di morte (...), proferendole, dopo vari insulti, la seguente frase "ti ammazo, anzi non a te ma a tuo figlio (...)... a te ti lascio", reiterando anche in seguito minacce dello stesso tenore; ; - minacciava di morte (...) (n. (...)) proferendo al suo indirizzo la seguente frase " io ti ammazzo di botte, se chiami i Carabinieri ti ammazzo subito, prima che arrivino i Carabinieri, tu sei già morto"; - nel replicare le condotte in danno di (...), reiterando e rinforzando le minacce impugnando un coltello da cucina, puntandolo sotto la gola della donna, afferrandola energicamente sotto la gola, proferendo la frase " adesso di accoltello, adesso ti ammazzo"; Minaccia grave perché accompganata dall'uso di un coltello da cucina da considerarsi arma atta ad offendere e perché accompagnato da una azione violenta, avendola afferrata per il collo; Con l'aggravante di aver commesso il fatto in presenza ed in danno di persona minore. In Ascoli Piceno in data 16.05.2021 b) del reato di cui all'art. 581 c.p. e art. 61 n. 11 quinques c.p., perché, aggrediva (...), afferrandola per il collo, stringendola energicamente sotto la gola, senza cagionarle, con tale condotta, una malattia del corpo o della mente. Con l'aggravante di aver commesso il fatto in presenza di una persona minore in Ascoli Piceno in data 16.05.2021 c) art. 81 cpv 56 e 610 c.p. , e art. 61 n. 11 quinques c.p., perché, nel contesto dei fatti indicati nei capi precedenti, proferendo le minacce di morte indicate al capo a) compiva atti diretti in modo non equivoco a impedire a (...) di telefonare per richiedere soccorso ai Carabinieri, non riuscendo nell'intento per cause non dipendenti dalla sua volontà Con l'aggravante di aver commesso il fatto in danno di una persona minore In Ascoli Piceno in data 16.05.2021 FATTO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta del 7 ottobre 2021 e ritualmente notificato, (...) veniva tratto a giudizio di fronte a questo Tribunale per rispondere dei reati descritti nell'imputazione. Per consentire la trattazione prioritaria del procedimento ai sensi dell'art. 132 bis c.p., rilevato che l'imputato era sottoposto ad una misura cautelare, con decreto del 20 ottobre 2021, il giudice Dott.ssa Claudia Di Valerio, disponeva l'anticipazione della prima udienza fissata per il 14 marzo 2022 al 20 dicembre 2021, udienza in cui, verificata la regolarità delle notifiche e dichiarata l'assenza dell'imputato, si procedeva all'apertura del dibattimento e all'ammissione dei mezzi di prova richiesti dalle parti. All'udienza del 21 marzo 2022, il giudice, dott.ssa Di Valerio, iniziava l'istruttoria dibattimentale e venivano esaminate le persone offese, (...) e (...). All'udienza del 23 maggio 2022, il giudice, dott.sa Di Valerio, stante l'assenza giustificata del teste (...), nonché l'assenza dei testi (...) e (...), rinviava il processo applicando, solo a quest'ultima, la sanzione di Euro 300,00 in favore delle Casse delle Ammende poiché regolarmente citata e non comparsa. All'udienza del 20 giugno 2022, visto il provvedimento presidenziale n. 57/2022, il giudice, dott.ssa Di Valerio, disponeva rinvio. All'udienza dell'11 luglio 2022, il giudice, dott.ssa Domizia Proietti, stante il mutamento della persona fisica dell'organo giudicante, provvedeva alla rinnovazione dell'apertura del dibattimento, e, conformemente ai principi espressi dalle Sezioni Unite n. 41736/2019 ("Bajrami"), ammetteva le prove già richieste e dichiarava l'utilizzabilità delle prove assunte e degli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento, mediante lettura, non avendo le parti richiesto l'ammissione di prove nuove o circostanze nuove su prove già assunte. Si procedeva, quindi, all'esame del teste (...). All'udienza del 7 settembre 2022, venivano esaminati i testi (...) e (...). Il giudice, dott.ssa Domizia Proietti, atteso che l'esame delle persone offese era avvenuto dinanzi ad altro giudice, ritenuto necessario provvedere personalmente a nuovo esame delle stesse stante la peculiarità e la delicatezza del capo d'imputazione, disponeva ex art. 507 c.p.p. il rinnovo della loro citazione e revocava la sanzione comminata alla teste (...) all'udienza del 23 maggio 2022, considerate le giustificazioni addotte. All'udienza del 12 settembre 2022, il giudice, dott.ssa Domizia Proietti, procedeva, dunque, a nuovo esame delle persone offese (...) e (...), disponendo breve rinvio all'udienza del 21 settembre 2022, nella quale dichiarava la chiusura del dibattimento e le parti, argomentando le proprie richieste, concludevano nei termini sopra riportati. Il giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, decideva come da dispositivo letto in udienza, riservando in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione. DIRITTO MOTIVI DELLA DECISIONE Gli esiti dell'istruttoria dibattimentale consentono di affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell'imputato per i reati a lui ascritti, limitatamente ai capi a) e b). Tale decisione si fonda sull'analisi delle deposizioni rese dalle persone offese escusse nel corso del dibattimento, nonché sulle testimonianze dei testi (...), (...) e (...). Il procedimento a carico dell'odierno imputato trae origine dalla querela sporta nei suoi confronti dalla persona offesa, (...). Quest'ultima, esaminata all'udienza del 21 marzo 2022, ha spiegato i fatti accaduti la domenica del 16 maggio 2021 all'interno della propria abitazione nella quale conviveva con quello che al tempo era il suo compagno, (...). La persona offesa ha riferito che, negli ultimi tempi, l'odierno imputato "aveva incominciato a bere spesso. Cioè, quando era venerdì...sabato e domenica, lui doveva essere ubriaco" (cfr. pag. 4 del verbale di fonoregistrazione del 21 marzo 2022). In particolare, quella domenica era rincasato dopo il lavoro ubriaco e, mentre la (...) era intenta a fare il bagno al figlio dell'età di tre anni e mezzo avuto dall'odierno imputato, egli iniziava a rivolgerle le seguenti offese: "Guarda come sei diventata! Mi fai schifo! Non riesco più, con te, neanche a fare l'amore" (cfr. pag. 4 del verbale di fonoregistrazione del 21 marzo 2022). Poco dopo, il (...) contattava telefonicamente un suo amico e avviava una diretta "(...)" con il cellulare. Nel corso di tale conversazione, egli iniziava nuovamente ad inveire contro la donna e contro il quattordicenne (...), figlio della (...), avuto da una precedente relazione. A quel punto, la persona offesa rispondeva alle sue provocazioni e l'imputato, avvicinandosi con fare minaccioso, le metteva la mano sotto il mento. Lei, quindi, reagiva spintonandolo per difendersi, sicchè lui cadeva a terra. Nel rialzarsi, l'imputato afferrava un coltello dalla cucina, lo puntava alla gola della (...) e proferiva al suo indirizzo le seguenti espressioni: "Io ti ammazzo! Io ti ammazzo!" (cfr. pag. 5 del verbale di fonoregistrazione del 21 marzo 2022). N., quindi, invocava in suo soccorso il nome del figlio (...) - che si trovava nella propria camera - esortandolo a chiamare i Carabinieri. L'imputato, a quel punto, la minacciava nuovamente esclamando: "Se chiami i Carabinieri, io ti ammazzo!" (cfr. pag. 6 del verbale di fonoregistrazione del 21 marzo 2022). La persona offesa ha riferito che il (...) si calmava solo dopo aver visto suo figlio piangere; tale circostanza le consentiva di riuscire a sottrargli il coltello. L'imputato, dunque, raggiungeva (...)- nel frattempo chiuso in camera- e dal corridoio gli rivolgeva le seguenti frasi: "Se tu chiami i Carabinieri, prima che arrivino i Carabinieri io ti ammazzo.. .prima ti ammazzo di botte, poi ti ammazzo" (cfr. pag 6 del verbale di fonoregistrazione del 21 marzo 2022). A seguito di quell'episodio, i due addivenivano alla separazione personale e il (...) era costretto a lasciare l'abitazione familiare, essendogli stata applicata dal GIP di Ascoli Piceno la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa. Il teste (...), esaminato all'udienza del 21 marzo 2022, ha riferito che il 16 maggio 2021, alle ore 14,00/15,00 circa, mentre era nella propria camera intento a studiare lo spagnolo- con le cuffie alle orecchie, a basso volume- sentiva l'odierno imputato rincasare. Riusciva ad udire anche gli insulti, proferiti ad alta voce, che lo stesso, in evidente stato di alterazione da assunzione di alcolici, rivolgeva alla mamma (...), in bagno con il figlio minore. Successivamente, sentiva anche la voce della madre, proveniente dalla cucina, invocare il suo nome, esortandolo a chiamare le Forze dell'Ordine. Egli, quindi, spaventato cercava di raggiungere la (...) e, contemporaneamente, contattava i Carabinieri. A quel punto, il l'odierno imputato minacciava il (...) di ucciderlo e di malmenarlo qualora avesse chiamato i Carabinieri. Il teste ha precisato, altresì, di non essere mai entrato in cucina, ma di aver visto dall'esterno un coltello di grandi dimensioni sul tavolo. I Carabinieri, quindi, sopraggiungevano dopo circa mezz'ora e allontanavano il (...). Il teste (...), Brigadiere dei Carabinieri presso il N.O.R.M. di Ascoli Piceno, esaminato all'udienza dell'11 luglio 2022, ha riferito circa le attività da lui svolte in data 16 maggio 2021 presso l'abitazione della famiglia (...). Egli ha dichiarato che l'imputato era in evidente stato di ubriachezza, avendolo trovato seduto sul tavolo della cucina con davanti a sé una bottiglia di vino e un bicchiere pieno. Il (...) aveva un linguaggio sconnesso, occhi lucidi ed alito vinoso e all'interno dell'abitazione erano presenti i figli minori della (...): (...) e (...). Il teste ha precisato, altresì, che al suo arrivo non aveva notato alcun tipo di maltrattamento ai danni dei minori e della (...). Quanto alle minacce, non era in grado di riferire poiché l'imputato parlava in lingua straniera, specificando, però, che la modulazione della voce era sicuramente alterata. La teste (...), sorella di (...), esaminata all'udienza del 7 settembre 2022, ha riferito di aver visto, in data 16 maggio 2021, in compagnia di sua nipote, (...) - nonché figlia della persona offesa - una diretta dal social network "(...)" attivata dall'odierno imputato. La teste poteva notare nel video l'odierno imputato, seduto al tavolo della cucina, che mentre beveva un bicchiere di birra- con accanto il piccolo (...)- conversava al telefono con un amico. La teste ha spiegato che, nel corso della chiamata, l'imputato si lamentava di (...) e del figlio maggiore di lei, (...), denigrandolo ( "(...) che è ciccione, che è grosso, che dorme sempre, che sta sempre sopra al letto, che è un bambino...in poche parole un pezzo di merda, gli ha detto così", cfr. pag. 8 del verbale di fonoregistrazione del 7.9.2022). (...), anche lei in cucina a preparare la cena, si arrabbiava e tra i due iniziava un'accesa discussione nel corso della quale avvertiva l'odierno imputato che, se non si fosse calmato, avrebbe richiesto l'intervento dei Carabinieri. A quel punto, l'imputato rivolgeva all'indirizzo dell'allora compagna le seguenti frasi: "Prova a chiamare i Carabinieri che ti ammazzo" (cfr. pag 7 del verbale di fonoregistrazione del 7.9.2022) e ancora: "Anzi, non ammazzo te...ammazzo tuo figlio". La persona offesa, quindi, invocava a gran voce il nome del figlio (...), esortandolo a chiamare i Carabinieri. Il (...), dunque, si alzava dalla sedia della cucina e correva in direzione della camera di (...), con (...) al seguito. Poco dopo, la teste ha affermato di aver visto i due rientrare in cucina, ove proseguiva la discussione in lingua serba. Mentre si spintonavano, la teste ha sentito il (...) rivolgere alla compagna varie minacce, tra le quali: "adesso ti accoltello, adesso ti ammazzo". La teste (...), esaminata all'udienza del 7.9.2022, ha raccontato che in data 16 maggio 2016 si trovava a casa della zia V. e che, mentre erano in cucina a guardare la televisione, si avvedeva, dal telefono cellulare della (...), di una diretta "(...)" avviata dall'odierno imputato. In particolare, la teste ha spiegato che tale diretta riprendeva una discussione tra sua madre e l'odierno imputato nella loro lingua di origine. Tale discussione culminava con l'immagine del (...) che, con atteggiamento aggressivo, brandiva un coltello di colore giallo, contro la persona offesa. La teste ha riferito, inoltre, che riusciva ad udire l'odierno imputato pronunciare- questa volta in lingua italiana-le seguenti parole: "Se chiami la Polizia, ti ammazzo" (cfr. pag. 22 del verbale di fonoregistrazione del 7.9.2022). Le persone offese (...) e (...), venivano nuovamente esaminate, ex art. 507 c.p.p., stante il mutamento del giudice e la peculiarità e delicatezza del processo, all'udienza del 12.9.202, nella quale entrambi confermavano integralmente la versione dei fatti già fornita all'udienza del 21.3.2022, ripercorrendoli in modo collimante rispetto a quanto esposto in precedenza. Orbene, le dichiarazioni testimoniali rese dalle persone offese circa la dinamica dei fatti risultano essere pienamente credibili, sia perché intrinsecamente coerenti, che per la presenza di riscontri estrinseci a sostegno. Come è noto, infatti, le dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a base dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della loro credibilità soggettiva e dell'attendibilità intrinseca del racconto (cfr. ex multis, già S.U., n. 41461 del 19 luglio 2012, Sez. 2, Sentenza n. 43278 del 24/09/2015 Ud. Rv. 265104-01; Sez. 5, Sentenza n. 12920 del 13/02/2020 Ud. Rv. 279070 - 01; da ultimo cfr. Sez. 4, Sentenza n. 410 del 09/11/2021 Ud. Rv. 282558 - 01). Il vaglio positivo dell'attendibilità del dichiarante deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello generico cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone, di talché tale deposizione può essere assunta da sola come fonte di prova unicamente se venga sottoposta a detto riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva. Dagli esami delle persone offese (...) e (...) non sono emersi indici dai quali desumere una scarsa credibilità oggettiva e soggettiva. Al contrario, gli stessi, hanno riferito, in ben due occasioni - all'udienza del 21.2.2022 e all'udienza del 12.9.2022 - in modo preciso, chiaro e coerente al loro interno, nonché concordante tra loro, gli episodi delittuosi ascritti all'odierno imputato. Le loro dichiarazioni sono, infatti, risultate dettagliate, congruenti, prive di contraddizioni, nonché in grado di offrire la completa spiegazione degli eventi accaduti. Non vi è, dunque, ragione di dubitarne in punto di attendibilità. L'apparente discrasia- rilevata dalla difesa- sulla posizione del coltello riferita dal teste (...), nel lavandino- quando è stato sentito per la prima volta dal giudice precedente- e sul tavolo nella seconda occasione, non appare conferente o, comunque, dirimente, avendo il medesimo, in ogni caso, riferito, in entrambe le occasioni, di aver visto il coltello in cucina. Si aggiunga il dettaglio - decisivo per fugare eventuali dubbi su quanto sintetizzato- che il (...) ha specificato di aver constatato che nel cassetto in cui tale coltello era normalmente riposto risultava mancante. Ciò appare significativo e sufficiente a non scalfire l'attendibilità della sua testimonianza. Le dichiarazioni rese dalle persone offese trovano, poi, ulteriore conferma nelle testimonianze di (...), (...) e (...), perfettamente compatibili con quanto riferito da (...) e (...), rappresentandone un riscontro estrinseco. In particolare, il teste (...) ha constatato lo stato di evidente ubriachezza in cui si trovava il (...), nonché la presenza dei minori presso l'abitazione. A nulla rileva che al suo arrivo non abbia notato alcun tipo di maltrattamento ai danni dei minori e della (...), né che il teste non abbia saputo riferire circa le minacce proferite dall'imputato in lingua straniera, da lui non compresa. È, infatti, evidente che l'agente di P.g., essendo intervenuto dopo la chiamata effettuata da (...), non era presente al momento della commissione dei fatti per cui è processo. Altrettanto lapalissiano è che il (...), ben consapevole della chiamata effettuata ai Carabinieri da (...)- avendoglielo quest'ultimo espressamente riferito- abbia cessato le condotte in previsione dell'arrivo delle Forze dell'Ordine. La teste (...) ha confermato di aver visto una diretta "(...)", avviata dall'imputato, il cui segmento rilevante mostrava una violenta discussione tra l'odierno imputato e la persona offesa, avvenuta in cucina, dinanzi al piccolo (...). In particolare, ha dichiarato di aver udito- dal video- gli insulti rivolti, plurime volte, dal (...) a (...): "prova a chiamare i Carabinieri che ammazzo tuo figlio". Sebbene abbia riferito di non aver visto il coltello, la teste (...) ha potuto comunque affermare di aver sentito che la minacciava con un'arma da taglio, atteso che il contenuto letterale delle frasi riportate era "stai calma che ti accoltello", mentre li vedeva spingersi a vicenda (cfr. pp. 9, 13 e 14 del verbale di fonoregistrazione del 7.9.2022). La teste (...) ha riferito, analogamente, di aver seguito, mentre era a casa con la zia, la diretta (...) avviata dall'imputato. Nella stessa poteva vedere e udire un'accesa discussione in lingua straniera tra il (...) e (...). Più nello specifico, ha appurato la presenza del coltello- di colore giallo- brandito dal (...) e rivolto alla persona offesa, avendo la zia richiamato la sua attenzione: "Guarda (...), il coltello, ha un coltello". Ha aggiunto che, a quel punto, ha visto che il (...) lo teneva in mano e che lo alzava ad altezza uomo. Altresì, nonostante la discussione fosse per lo più in serbo, ha sentito le frasi pronunciate- in lingua italiana- dall'imputato del seguente tenore letterale: "Se chiami la Polizia, ti ammazzo", inequivocabilmente rivolte a (...), non essendo in grado di comprendere la lingua serba, come emerso dalla sua testimonianza (cfr. pp. 22 del verbale di fonoregistrazione del 7.9.2022). La teste ha aggiunto che, durante tutta la discussione, l'aggressività del (...) era tale da farla preoccupare per l'incolumità della mamma (...). Alla luce delle risultanze probatorie acquisite nel corso del processo, si debbono, pertanto, ritenere integrati i presupposti oggettivi e soggettivi del contestato reato di minaccia aggravata ex art. 612 c. 2 c.p. di cui al capo a) dell'imputazione, essendo stato dimostrato che l'imputato: 1. ha minacciato di morte (...) rivolgendo al suo indirizzo la seguente frase: "ti ammazzo, anzi non a te ma a tuo figlio (...)...a te ti lascio"); 2. ha minacciato di morte il (...) proferendo la frase: "io ti ammazzo di botte, se chiami i Carabinieri ti ammazzo subito, prima che arrivino i Carabinieri, tu sei già morto"; 3. nel replicare le condotte ai danni della (...), ha reiterato le minacce impugnando un coltello da cucina, puntandolo sotto il mento e proferendo la seguente frase: "adesso ti accoltello, adesso ti ammazzo". Le parole pronunciate dall'imputato nei confronti di (...) e (...), accompagnate, altresì, dall'azione di brandire un coltello nell'ipotesi di cui al punto 3), sono idonee ad integrare la minaccia aggravata del comma 2 dell'art. 612 c.p., trattandosi di prospettazione di un male ingiusto. Atteso - anche soltanto-il loro contenuto letterale, appaiono, certamente tali da incidere sulla libertà morale delle persone offese, considerato altresì il contesto nel quale sono state proferite e l'aggressività rivolta verso le stesse. Il reato di cui all'art. 612 c.p. è, infatti, inquadrabile in un reato di pericolo, sicché è necessario, ma anche sufficiente, che la minaccia sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto (cfr. già Cass., V, 6 novembre 2013, n. 644; da ultimo, Cass. Sez. V, 16 dicembre 2019 n. 9392). Non è, infatti, richiesto che il bene tutelato dalla norma incriminatrice sia realmente leso, essendo sufficiente che il male prospettato possa incutere timore nel soggetto passivo, menomandone la sfera della libertà morale. Al fine di verificare se la condotta posta in essere dal soggetto agente sia effettivamente idonea ad incidere sulla capacità di autodeterminazione della controparte deve certamente tenersi conto del contesto spazio - temporale in cui essa si colloca, nonché del tenore delle espressioni verbali utilizzate. Nel caso di specie, il male minacciato è assolutamente definito e preciso, atteso l'inequivocabile tenore delle frasi "ti ammazzo (... anzi non a te ma tuo figlio D.), ti accoltello, ti ammazzo". Il carattere intimidatorio delle minacce rivolte a (...) e a (...) è insito, oltre che nell'entità in sé del male minacciato, nella collocazione della condotta- promanata al culmine di un'accesa discussione tra il (...) e l'allora compagna (...) - nonché nell'atto di puntare contro il volto della stessa un'arma da taglio, alla quale hanno fatto riferimento anche le testi R. e (...). Dunque, in tale frangente, è del tutto ragionevole ritenere che le persone offese si siano sentite effettivamente intimidite ed abbiano percepito come reale e concreto il pericolo del male prospettato. In punto di elemento soggettivo, sussiste il dolo del reato contestato: le circostanze dell'alterco, nonché la veemenza della condotta, consentono di ritenere che l'imputato abbia agito con piena coscienza e volontà di intimidire la controparte, avvalendosi dell'uso di un coltello. Parimenti integrata è raggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinques avendo l'imputato commesso il reato de quo anche ai danni del minore (...), nonché in presenza del piccolo (...). La condotta di (...) integra, altresì, il reato di percosse di cui al capo b) dell'imputazione. In particolare, l'articolo 581 c.p. sanziona la condotta di chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente. Ciò premesso, si ritengono integrati i presupposti oggettivi e soggettivi del reato de quo, posto che dalle risultanze dell'istruttoria è stato dimostrato che il (...), consapevolmente, ha aggredito (...), afferrandola per il collo e stringendola energicamente sotto la gola, senza cagionarle, con tale condotta, una malattia del corpo o della mente. Del pari risulta configurata l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 quinquies c.p. avendo l'imputato commesso il reato de quo in presenza del minore (...). Diversamente, con riferimento al reato di tentata violenza privata nei confronti di (...) di cui al capo c), deve pervenirsi ad una formula assolutoria nei confronti dell' odierno imputato. Invero, per giurisprudenza consolidata, l'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 610 c.p., "è costituito da una violenza o da una minaccia che abbiano l'effetto di costringere taluno a fare, tollerare, od omettere una determinata cosa; la condotta violenta o minacciosa deve atteggiarsi alla stregua di mezzo destinato a realizzare un evento ulteriore: la costrizione della vittima a fare, tollerare od omettere qualche cosa. Il delitto di cui all'art. 610 c.p., non è configurabile, dunque, qualora gli atti di violenza e di natura intimidatoria integrino, essi stessi, l'evento naturalistico del reato, vale a dire il pati cui la persona offesa sia costretta: l'evento del reato, nell'ipotesi di ricorso alla violenza, non può coincidere con il mero attentato all'integrità fisica della vittima o anche solo con la compressione della sua libertà di movimento conseguente e connaturata all'aggressione fisica subita" (cfr. Cass. pen. sez. V, 28/01/2022 n.20346; Sez. 5, n. 10132 del 5/02/2018, Ippolito, Rv. 272796; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, Altoe, Rv. 268405, di cui si ripercorrono le articolate argomentazioni; Sez. 5, n. 1215 del 06/11/2014, dep. 13/01/2015, Ca., Rv. 261743). Per altro verso, va rilevato come, "ai fini dell'integrazione del delitto di violenza privata è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, si rivelino inidonei a limitarne la libertà di movimento, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà" (cfr. Cass., Sez. 5, n. 1786 del 20/09/2016 - dep.2017, Panico, Rv. 268751, (...) 3562 del 2015 Rv. 262848). Ciò premesso, nel caso in esame, non si è raggiunta la prova in ordine alla sussistenza dell'elemento oggettivo del reato di violenza privata, atteso che è stata la stessa persona offesa, (...), ad affermare che nel momento in cui il (...) lo minacciava di morte se avesse chiamato i Carabinieri, lui gli rispose di averlo già fatto. Pertanto, la condotta contestata non raggiunge neanche l'integrazione della soglia del tentativo, non apparendo gli atti idonei e diretti in modo non equivoco a porre in essere il delitto di cui all'art. 610 c.p. secondo le coordinate ermeneutiche sopra richiamate. Si impone, dunque, per (...) l'assoluzione per il reato di cui al capo c) ex art. 530 c.p.p. con la formula di cui in dispositivo. Per tutte le ragioni suesposte, (...) deve essere ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi a) e b) dell'imputazione che, per come manifestatisi, possono dirsi commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso. Sotto il profilo sanzionatorio, è, infatti, possibile unificare tutte le condotte sopra descritte nell'ambito di un unico disegno criminoso, giacché l'imputato ha evidentemente perso il controllo di sé ed integrato più fattispecie criminose in un arco temporale contenuto. Va pertanto riconosciuto il vincolo della continuazione, tanto interna tra le condotte di cui al capo a), quanto esterna tra le condotte di cui al capo a) e quella di cui al capo b). Il calcolo della pena dovrà seguire i criteri impartiti dal giudice di legittimità (Cass., Sez. Un. "Giglia", 21 giugno 2018, n. 40983) in materia di continuazione tra reati puniti con pene eterogenee: se il reato più grave è punito con la sola pena detentiva ed i reati satellite con pena alternativa, si aumenta solo la pena prevista per la violazione più grave. Reato "più grave", in virtù della più elevata cornice edittale, deve ritenersi quello di cui al capo a). In favore dell'imputato non possono essere riconosciute le attenuanti di cui all'articolo 62-bis c.p., atteso il grado di intensità massima del dolo e l'assenza di elementi emergenti dagli atti processuali che possano giustificare il riconoscimento di tale beneficio. Ciò risulta senz'altro sufficiente a negare il beneficio in commento, non essendovi neppure un obbligo per il Giudice di giustificare, sotto ogni possibile effetto, l'affermata insussistenza dei presupposti del diritto alla concessione, e piuttosto, imponendosi la necessità di motivare la positiva meritevolezza, mai scontata in sé né presunta, del beneficio ex art. 62 bis cod. pen. (così Cass. pen., sez. IV, 27 febbraio 2015, n. 8906, secondo la quale "la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l'adeguatezza della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, né l'applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell'esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento"). Quanto alla determinazione della pena, richiamati i parametri di cui all'articolo 133 c.p., in particolare, avuto riguardo alla modalità dell'azione e alla personalità dell'imputato, appare congruo irrogare nei confronti di (...) la pena di mesi 6 e giorni 10 di reclusione, determinata come segue: -pena base per il reato di cui al capo a) mesi 6 di reclusione, stabilita in misura intermedia tra il minimo e il massimo edittale per il carattere violento delle plurime azioni; -aumentata a mesi 6 e giorni 10 di reclusione ex art. 81 cpv. c.p. per il reato di cui al capo b), così addivenendosi alla pena finale in tale misura indicata. Ai sensi dell'articolo 535 c.p.p., alla suddetta condanna consegue anche quella al pagamento delle spese processuali. Alla luce delle modalità della condotta e dell'intensità del dolo, non appare possibile formulare nei riguardi dell'imputato un giudizio prognostico favorevole in ordine ad un eventuale pericolo di recidivanza e, dunque, non si può concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel Certificato del Casellario Giudiziale. Nulla, pertanto, sulla richiesta della difesa di dichiarazione di inefficacia della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alle persone offese, applicata al (...), poiché, ex art. 300, comma 3, c.p.p., l'inefficacia della misura cautelare va dichiarata solo in caso di concessione della sospensione condizionale della pena, della quale - come detto- nel caso di specie non sussistono i presupposti. Il gravoso carico di lavoro impone l'indicazione del termine di cui all'art. 544 co. 3 c.p.p. per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533, 535 c.p.p., dichiara (...), responsabile dei reati a lui ascritti ai capi a) e b), e, previo riconoscimento del vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., individuato, il reato più grave in quello di cui al capo a), per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi sei e giorni 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; Visto l'art. 530 c.p.p. assolve (...) dal reato di cui al capo c) perché il fatto non sussiste; Visto l'art. 544 c.p.p., indica in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Ascoli Piceno il 21 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p.) Con motivazione contestuale Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr. Domizia Proietti alla pubblica udienza del 26 SET. 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a (...) D. T. ( I. ) res: (...) D. T. via F. T. 83 MOTIVI DELLA DECISIONE 1. (...) veniva tratto innanzi a questo Tribunale all'udienza del 6 agosto 2022 per la convalida dell'arresto operato nei suoi confronti alle ore 20.00 circa del 4 agosto 2022 ed il successivo giudizio ex art. 558 c.p.p. All'udienza suddetta il (...), chiamato a rendere l'interrogatorio, si avvaleva della facoltà di non rispondere; il Giudice, ritenuta la sussistenza dei requisiti di legge dapprima convalidava l'arresto e applicava per il (...) la misura cautelare degli arresti domiciliari da eseguirsi presso l'abitazione sita in Via (...) (...) n. 6, (...) del T. (A.); immediatamente di seguito, il difensore dell'imputato chiedeva termine a difesa. L'imputato dichiarava di conferire procura speciale al proprio difensore al fine di accedere ai riti alternativi. Il pubblico ministero procedeva alla correzione il capo d'imputazione nel senso che laddove si legge "art. 73 comma 1 bis" deve intendersi "art. 73 comma 1". Il giudice, su richiesta del difensore, rinviava all'udienza del 12 settembre 2022 per l'eventuale formalizzazione della richiesta di riti alternativi. All'udienza del 12 settembre 2022 il difensore, munito di procura speciale, depositava richiesta di definizione del procedimento mediante il rito di cui agli artt. 444 e ss. c.p.p., previa derubricazione del reato di cui al capo A) nell'art. 73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990 con parere favorevole del P.M. in calce. Più nel dettaglio, le parti hanno concordemente richiesto l'applicazione nei confronti dell'odierno imputato (...) della pena, relativa ai reati in oggetto, nella misura finale di 8 mesi di reclusione. Tale pena è stata così determinata: -ritenuta la sussistenza del vincolo della continuazione di cui all'art. 81 cpv. c.p. fra i reati ascrittigli; -individuato nel più grave reato quello di cui al capo b) del presente procedimento, ovvero l'art. 337 c.p., pena base 9 mesi di reclusione; -considerate le circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. equivalenti alla contestata recidiva specifica, infraquinquennale; -aumentata di mesi 3 di reclusione per il reato di cui all'art. 73 comma 5 D.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo a) del presente procedimento così come derubricato rispetto all'originaria contestazione ex art. 73 comma 1 D.P.R. n. 309 del 1990 per un totale di anni 1 di reclusione; -diminuita per il rito prescelto alla pena finale di 8 mesi di reclusione. Sulla richiesta formulata dalle parti ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p. nei termini indicati, il processo ha trovato definizione con la pronunzia resa in dispositivo, pubblicato mediante lettura in udienza con motivazione contestuale. 2.La richiesta di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. c.p.p. merita accoglimento. Alla stregua degli atti contenuti all'interno del fascicolo del Pubblico Ministero cfr., in particolare, verbale di arresto del 4 agosto 2022 e relativi allegati, verbale di perquisizione personale e domiciliare, nonché pedissequo sequestro di pari data, Narcotest sullo stupefacente in sequestro), non ricorrono in alcun modo le condizioni per il proscioglimento dell'imputato (...) ai sensi dell'art. 129 c.p.p. Alla stregua dell'attività espletata da parte dei militari del Commissariato di San Benedetto del Tronto (AP) - cosi come compendiata negli atti d'indagine già in precedenza menzionati - può ritenersi processualmente acclarata - ai limitati fini del giudizio ex art. 129 c.p.p. che deve essere compiuto in questa sede - la commissione, da parte dell'odierno imputato (...), della condotta di resistenza a pubblico ufficiale nei confronti del personale di P.G., Vice isp. (...) e Vice Sovr. (...), nonché quella di detenzione di sostanza stupefacente di tipo eroina (peso complessivo 10,11 g) finalizzata alla successiva cessione onerosa a terzi. Risulta infatti che nel tardo pomeriggio del 4 agosto 2022 il personale di PG, Vice isp. (...), insieme con il Vice Sovr. (...), durante un servizio per l'accertamento e repressione del traffico di sostanze stupefacente, nei pressi di Viale dello (...) di (...) del T. (A..), notavano uno scooter con a bordo due persone. Mentre il conducente parcheggiava, il trasportato si dirigeva in via (...) (...) al civico n. 6: li, gli operanti si avvedevano della presenza di (...) - a loro conosciuto per i suoi precedenti penali in materia di stupefacenti e ivi residente - che sembrava dirigersi a reperire stupefacente da consegnare al conducente del motociclo, rimasto ad attenderlo. Non appena il (...) usciva dall'abitazione, gli operanti lo sottoponevano a controllo. L'odierno imputato, con mossa repentina, metteva in bocca ciò che teneva nel palmo della mano destra. Al tentativo degli operanti di bloccarlo e farsi consegnare quanto appena occultato in bocca, il (...) tentava di dimenarsi per guadagnare la fuga, colpendo e spingendo gli operanti, sia in piedi, che a terra. Ne scaturiva così una colluttazione, tale da richiedere l'intervento di una pattuglia di supporto; infatti, solo con l'arrivo degli operanti (...) e (...), (...) e (...) riuscivano ad immobilizzare il (...), Veniva, altresì, rinvenuta una banconota da 20 Euro nelle tasche del (...), che gli agenti presumevano essere il corrispettivo della cessione della dose destinata al conducente del veicolo e ingoiata dal (...) per il sopravvenuto e imprevisto controllo. Gli operanti, effettuavano, dunque, la perquisizione presso l'abitazione del prevenuto, sita in via (...) (...) n. 6, e, in particolare nel garage di pertinenza, ove all'interno di un cerchione di una ruota di ciclomotore posta a terra, venivano rinvenuti 10,11 g di eroina suddivisa in due involucri (9,80 g e 0,31 g) e sostanza da taglio all'interno di un barattolo di vetro, materiale per il confezionamento, un bilancino di precisione, forbici, ritagli di cellophane di forma circolare, beni poi sottoposti a sequestro. L'analisi NARCOTEST dava esito positivo per eroina, con peso pari a circa 10,11 g lordi. 3.Dal complesso delle fonti di prova sin qui compendiate emerge con tutta evidenza che la condotta del (...) rientri nell'ambito di applicazione della fattispecie di cui all'art. 73, quinto comma, D.P.R. n. 309 del 1990 - sub specie di detenzione finalizzata alla successiva cessione onerosa a terzi -, in tal senso riqualificata. Ciò si afferma in considerazione del rinvenimento, nella diretta disponibilità dell'imputato, ovvero nel garage di pertinenza della propria abitazione, di una non considerevole quantità di eroina che, avuto riguardo al peso lordo rinvenuto in sede di accertamenti tecnici (pari a 10,11 g), al numero di dosi singole ricavabili dal principio attivo, nonché alle modalità di frazionamento e confezionamento (avvolgimento in cellophane) e di occultamento (busta in plastica riposta nel cerchione di una ruota di un ciclomotore) risultava con ogni evidenza, almeno in parte, finalizzata alla successiva cessione onerosa a terzi. Si tratta, quest'altana, di circostanza ulteriormente confermata dal rinvenimento di un bilancino di precisione, forbici, ritagli di cellophane, altro materiale per il confezionamento, essendo irragionevole che un soggetto detenga quel quantitativo di sostanza stupefacente solo per sé e sia dotato di siffatta strumentazione. Tuttavia, nel caso di specie, la concreta portata offensiva della condotta accertata appare di lieve entità, non risultando connotata da un grado di offensività tale da giustificare, secondo un principio di proporzionalità e ragionevolezza, la riconducibilità della condotta nella fattispecie di cui all'articolo 73, comma 1 della summenzionata legge. Infatti configura un fatto di lieve entità quello in cui la condotta sia caratterizzata da minima offensività penale, deducibile sia dagli elementi attinenti all'azione criminosa, che da quelli relativi all'oggetto materiale del reato. La sussistenza di questi ultimi deve essere svolta avendosi riguardo a tutti i parametri richiamati dalla norma di cui all'art. 73, quinto comma, D.P.R. n. 309 del 1990 per cui il giudice è tenuto a complessivamente valutare sia gli elementi concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti). Le conclusioni sin qui accolte, si noti, sono state ribadite, anche di recente, dalla Corte Suprema di Cassazione la quale ha avuto modo di affermare financo che "In tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa, come si desume dall'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, che, con il riferimento ad un'associazione costituita per commettere fatti descritti dal quinto comma dell'art. 73, rende evidente che è ammissibile configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo" (in termini, ex plurimis, Cass. Pen., Sez. VI, n. 39374 del 03 luglio 2017, Rv. 270849). Anche la recente sentenza della Corte Costituzionale, n. 40/2019, si è soffermata in tal senso sulla fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 rilevando che "il costante orientamento della Corte di Cassazione è nel senso che la fattispecie di lieve entità di cui all'art. 73, comma 5, può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione". Il dato ponderale da solo può escludere l'applicazione del comma 5, quando la condotta abbia avuto ad oggetto un quantitativo significativo di sostanza stupefacente. Al contrario, quando la condotta abbia ad oggetto un quantitativo minimo di sostanza stupefacente, nella generalità dei casi, fermo restando l'obbligo di verificare le caratteristiche dell'azione, tale indice diviene prevalente. Il minimo quantitativo detenuto o ceduto è, infatti, espressione di un'attività che genera una ridotta circolazione di stupefacenti e consente di realizzare un profitto illecito modesto. Alla luce delle considerazioni che precedono deve in definitiva ritenersi integrata la più lieve fattispecie autonoma di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990. Corretta appare altresì la qualificazione della condotta di cui al capo b) nell'art. 337 c.p., avendo il (...) usato violenza per opporsi al compimento di un atto di ufficio, ovvero la perquisizione personale, dei P.u., previamente identificatisi come tali. Infine, è condivisibile anche la contestazione della recidiva specifica reiterata e infraquinquennale, atteso che in base al Certificato del Casellario giudiziale, al tempo del fatto di cui al presente procedimento risultava già passato in giudicato la sentenza emessa dal Tribunale di Ascoli Piceno n. 228 del 29.3.2021, definitiva in data 15.9.2021 avente ad oggetto il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. Come noto, al di là del dato meramente oggettivo della ripetizione del delitto, tale circostanza aggravante deve essere applicata solo se, all'esito della valutazione del Giudice, assume rilievo la ricaduta sotto il profilo sintomatico di una più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo (si veda Corte Cost. sentenza n. 192/2007 e Cass. SSUU sentenza n. 35738 del 2010). Nel caso in questione risulta in concreto che la commissione del reato in contestazione sia indice di maggiore pericolosità e colpevolezza del (...), rispetto ai fatti per cui è già stato condannato, trattandosi infatti di un delitto della medesima indole; tale circostanza impone l'applicazione dell'aggravante della recidiva per come contestata. 4.Ad avviso del Tribunale risulta inoltre corretto il calcolo della pena effettuato dalle parti; essa peraltro risulta senz'altro congrua alla luce dei parametri di cui all'art. 133 c.p. Appare pienamente condivisibile, in particolare, il riconoscimento delle circostanze generiche, ritenute equivalenti alla correttamente contestata e sussistente recidiva di cui all'art. 99, comma 2 nn. 1 e 2 e co. 3, c.p., tenuto conto del comportamento serbato nel corso del processo: il (...), pur trovandosi in condizioni di salute precarie, è comparso all'udienza di convalida e alla successiva udienza del 12 settembre 2022 fissata per la formalizzazione della richiesta di riti alternativi. Tali circostanze attenuanti generiche, tenuto conto del complessivo contesto in cui si sono verificati gli episodi delittuosi, possono essere considerate solo equivalenti alla ritenuta recidiva. È certamente condivisibile altresì il richiesto riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto di contestazione, commessi nel medesimo contesto spazio temporale e in presenza di un unico disegno criminoso. Il reato oggetto del presente procedimento, di cui al capo b), è il fatto più grave, trattandosi dell'art. 337 c.p., avendo un limite edittale massimo superiore a quello di cui al capo a) come derubricato nella fattispecie più lieve di cui all'art. 73 co. 5 D.P.R. n. 309 del 1990. Il computo proposto dalle parti è certamente condivisibile, in quanto pienamente aderente al concreto disvalore dei fatti. Congrua appare, infatti, la pena base stabilita in misura pari a 9 mesi di reclusione in ragione del fatto che la condotta del (...) non ha cagionato danni agli agenti, sebbene sia stato necessario l'intervento di altra pattuglia per riuscire a immobilizzarlo e compiere regolarmente l'atto d'ufficio. Stabilita, dunque, in 9 mesi di reclusione la pena base, esatto appare altresì l'aumento di mesi 3 di reclusione per il reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo a) del presente procedimento, stante il quantitativo di stupefacente rinvenuto, addivenendosi a complessivi anni 1 di reclusione. Corretta risulta poi la diminuzione, nella misura massima di un terzo, in conseguenza del rito premiale, addivenendosi alla pena finale concordata di mesi 8 di reclusione, che si ritiene di poter applicare a (...). 5. Ai sensi dell'art. 445 c.p.p., in ragione della pena in concreto applicata, non può farsi luogo alla condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali. 6. Ai sensi degli artt. 240 c.p. e 87, quarto comma, D.P.R. n. 309 del 1990 va ordinata la confisca e distruzione dello stupefacente e degli altri beni in sequestro. 7. Ai sensi degli artt. 448, primo comma, 544, primo comma e 545, secondo comma, c.p.p. è redatta motivazione contestuale che viene esposta alle parti in forma riassuntiva. P.Q.M. Visti gli artt. 444 e ss. c.p.p., previa riqualificazione del delitto di cui al capo a) nella fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, riconosciuto il vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., e individuato il reato più grave in quello di cui al capo b) dell'imputazione, su concorde richiesta delle parti, APPLICA a (...), tenuto conto della diminuzione di pena derivante dal rito prescelto, la pena finale concordata di 8 mesi di reclusione: Visti gli artt. 240 c.p. e 87, quarto comma, D.P.R. n. 309 del 1990 ORDINA la confisca e la distruzione dello stupefacente e del bilancino di precisione e di tutto quanto altro eventualmente sottoposto a sequestro; Visto l'art. 445 c.p.p. nulla in ordine alle spese processuali del giudizio. Visti gli artt. 448, primo comma, 544, primo comma e 545, secondo comma, c.p.p. è redatta motivazione contestuale che viene esposta alle parti in forma riassuntiva. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito. Così deciso in Ascoli Piceno il 26 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 26 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg. c.p.p.) Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr. Domizia Proietti, alla pubblica udienza del 21/9/22 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a D. ( A. ) res: M. via B. D. M. 64 Imputato Omissis SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di citazione diretta depositato in data 4 marzo 2021 e ritualmente notificato, (...) è stato tratto a giudizio di fronte a questo Tribunale per rispondere del reato descritto nell'imputazione. Nella prima udienza dibattimentale, tenutasi in data 12 luglio 2021, il giudice, dott.ssa Claudia Di Valerio, rilevato che il carico di lavoro non consentiva un'adeguata trattazione disponeva rinvio. All'udienza del 6 ottobre 2021, il giudice, dott.ssa (...), dato atto del mutamento dell'identità fisica del giudice e verificata la regolarità della notifica, ha dichiarato l'assenza dell'imputato, l'apertura del dibattimento e ha ammesso le prove richieste dalle parti. Il Pubblico Ministero ha prodotto un cd contenente la videoregistrazione allegata alla querela sporta dalla persona offesa. L'udienza del 2 marzo 2022 è stata rinviata al 30 marzo 2022. All'udienza del 30 marzo 2022 sono stati esaminati i testi, richiesti dal Pubblico Ministero, (...) e (...). Il Pubblico Ministero ha prodotto documentazione fotografica estrapolata dal video, acquisita in atti. All'udienza del 21 settembre 2022, il giudice ha dichiarato, dunque, la chiusura del dibattimento; le parti hanno argomentato le proprie richieste e hanno concluso nei termini sopra riportati. Il giudice, dopo essersi ritirato in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo letto in udienza, riservandosi il deposito della motivazione in giorni novanta. MOTIVI DELLA DECISIONE Gli esiti dell'istruttoria dibattimentale consentono di ritenere provata la responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli nel capo d'imputazione. Tale decisione si fonda sull'analisi delle deposizioni rese dai testi escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, nonché sulla valutazione della documentazione in atti. Il procedimento a carico dell'odierno imputato trae origine dalla querela sporta nei suoi confronti dalla persona offesa (...). In particolare, la dinamica dei fatti è stata descritta da quest'ultimo, esaminato all'udienza del 30 marzo 2022. Il teste ha spiegato che in data 23 dicembre 2019 gli venivano rubati quattro conigli, quattro galline e due agnelli, dalla baracca di sua proprietà sita in M., Contrada M.. Nel dettaglio, l'agente, per commettere il furto, manometteva il lucchetto con il quale l'(...) aveva chiuso a chiave la propria recinzione e, quindi, si introduceva all'interno e sottraeva gli animali da cortile. Quanto affermato dalla persona offesa trova riscontro nelle immagini captate dall'impianto di video sorveglianza, dalla stessa allocato nella baracca insistente sul terreno di sua proprietà. Dalle suddette immagini l'(...) riconosceva, quale soggetto attivo dell'illecito, l'odierno imputato e sporgeva querela nei suoi confronti. Il teste (...), Luogotenente presso la Caserma dei Carabinieri di Monteprandone, esaminato all'udienza del 30 marzo 2022, ha riferito sugli accertamenti e sulle attività svolte in merito ai fatti per cui è processo. In particolare, egli ha acquisito- contestualmente alla redazione della denuncia sporta dall'(...)- le registrazioni dell'impianto di videosorveglianza installato dalla persona offesa nel terreno recintato di sua proprietà: dai fotogrammi estrapolati, ha riconosciuto, con assoluta certezza, l'agente del furto nella persona del (...), già noto all'ufficio per alcuni precedenti di polizia. Circa il valore del suddetto riconoscimento, si è univocamente affermato che i riconoscimenti informali dell'imputato operati dai testi in dibattimento costituiscono accertamenti di fatto utilizzabili nel giudizio in base ai principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice. In particolare, il momento ricognitivo costituisce parte integrante della testimonianza, di modo che l'affidabilità e la valenza probatoria dell'individuazione informale discendono dall'attendibilità accordata al teste ed alla deposizione del medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del giudice che, ove sostenuto da congrua motivazione, non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass., VI, 27 gennaio 2015, n. 12501; conf. Cass., IV, 13 settembre 2018, n. 47262; Cass., VI, 31 ottobre 2018, dep. 2019, n. 17103). Nel caso de quo il riconoscimento risulta intrinsecamente attendibile, posto che: - in primo luogo l'(...) ha spiegato di conoscere il (...) in quanto lo aveva già visto in precedenza e per un segno particolare individualizzante, ovvero il tatuaggio colorato al collo, esattamente corrispondente a quello visibile dalle immagini fotografiche; - in secondo luogo il teste (...) ha affermato di aver riconosciuto il (...) dai fotogrammi estrapolati in quanto soggetto a lui già noto per ragioni di ufficio e di aver successivamente confrontato tali immagini con la patente di guida dell'odierno imputato. In definitiva, il riconoscimento dell'uomo raffigurato nelle immagini fotografiche captate dall'impianto di videosorveglianza, effettuato dalla persona offesa, nonché confermato dal teste (...), merita credibilità assoluta ai fini dell'individuazione dell'odierno imputato quale autore della condotta. Si ritiene, dunque, possa affermarsi con certezza la responsabilità dei fatti contestati in capo a (...). La fattispecie penale di cui all'art. 624 c.p. punisce "chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trame profitto per sé o per altri, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da Euro 154 a Euro 516". La norma è posta a tutela della relazione di fatto con la cosa, individuata nel possesso e nella detenzione; infatti, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie è il patrimonio, inteso in senso ampio e quale complesso di beni che una persona "possiede". Il furto consiste, dunque, nella sottrazione illegittima e dolosa della cosa altrui a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri. Perché si determini la sottrazione è richiesta l'uscita del bene dalla signoria di fatto del precedente possessore, e quindi lo spossessamento vero e proprio. Oggetto materiale del delitto è la cosa mobile altrui, la quale non deve necessariamente avere un valore economico in sé, essendo sufficiente riferirsi alla normale detenzione d uso ed al profitto che ne ricava il colpevole. Quest'ultimo deve infatti agire con il dolo specifico di trarre profitto, per tale intendendosi qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale, pur senza doverlo necessariamente conseguire ai fini della configurabilità del delitto. Nel caso de quo risultano integrati sia l'elemento oggettivo che l'elemento soggettivo della fattispecie penale del furto. Invero, come emerge dal racconto della persona offesa, nonché dalla inconfutabile prova documentale rappresentata dalle immagini captate dall'impianto di videosorveglianza, il (...) si introduceva, volontariamente e al fine di trarne profitto, all'interno del terreno di proprietà dell'(...) su cui insisteva la baracca, manomettendo il lucchetto posto a chiusura della recinzione ivi presente e sottraeva dieci animali da cortile, legittimamente detenuti dalla persona offesa (quattro conigli, quattro galline e due agnelli). Per quanto concerne la contestata circostanza aggravante di cui all'art. 625 n. 2 c.p., quest'ultima è da ritenere sussistente: risulta, infatti, integrata la violenza sulla cosa, atteso che l'imputato per introdursi all'interno della recinzione manometteva il lucchetto inserito dall'(...) a chiusura della medesima. Nei confronti dell'odierno imputato possono essere, altresì, riconosciute le circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis c.p, tenuto conto del comportamento processuale, scevro da strategie difensive meramente dilatorie. Va premesso che la giurisprudenza, in tema di circostanze attenuanti generiche, ritiene che la ratio della relativa previsione normativa sia quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto, quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile (cfr. Cass, Sez. 2 - , Sentenza n. 5247 del_15/10/2020 Ud. (dep. 10/02/2021 ) Rv. 280639-01). Ai fini della concessione delle stesse è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per concedere le attenuanti medesime (cfr. Cass. Sez. 2 - , Sentenza n. 23903 del 15/07/2020 Ud. -dep. 12/08/2020 - Rv. 279549 - 02, già Cass., Sez. II, 10/03/2011, n. 9849). Nonostante il (...) sia gravato da precedenti penali, nel caso di specie si deve positivamente valorizzare la condotta processuale del medesimo e la necessità di adeguamento al disvalore del fatto della dosimetria della pena, per cui si ritengono concedibili le circostanze di cui all'art. 62bis c.p. Deve, altresì, essere riconosciuta ed applicata la circostanza attenuante di cui all'art. 62 nr. 4 c.p. Infatti "la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res", senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato". Il valore delle cose sottratte è inferiore a Euro 500,00, secondo quanto riferito dalla persona offesa e risulta avere un valore di mercato anche un inferiore a quello dichiarato, per cui il pregiudizio può essere considerato di speciale tenuità. Le suddette circostanze attenuanti, nel bilanciamento delle contrapposte circostanze, sono da ritenersi prevalenti sulla contestata aggravante. Quanto al trattamento sanzionatorio, considerati i parametri di cui all'art. 133 c.p., si stima equo irrogare la pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, cui si perviene: -pena base 6 mesi di reclusione ed Euro 450,00 di multa; -ridotta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata e sussistente aggravante, a 4 mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa; - ulteriormente ridotta, ex art. 63 ultimo comma c.p., per la circostanza attenuante di cui all'art. 62 n. 4 c.p. alla pena finale di 2 mesi e 20 giorni di reclusione ed Euro 200,00 di multa. Segue per legge la condanna dell'imputato alle spese processuali ex art. 535 c.p.p. Non sussistono, infine, i presupposti per l'applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Infatti, i precedenti penali e la capacità a delinquere dell'imputato emergente dagli atti processuali inducono ad emettere una prognosi negativa in ordine all'astensione da parte dello stesso dalla commissione di ulteriori reati e, dunque, a non poter riconoscere il suddetto beneficio. Beneficio, peraltro, di cui egli non potrebbe comunque godere, in virtù di quanto disposto dall'art. 164 c.p., poiché egli ne ha già usufruito ben due volte. P.Q.M. Visti gli artt. 533-535 c.p.p., dichiara (...), responsabile del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, nonché la circostanza attenuante ex art. 62 n. 4) c.p., riconosciute prevalenti sulla contestata e sussistente aggravante, per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; Visto l'art. 544 c.p.p., indica in novanta giorni il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Ascoli Piceno il 21 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI ASCOLI PICENO (Artt. 544 e seg c.p.p.) Con motivazione contestuale Innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica in persona del Giudice dr. Tiziana Got D'ecclesia, alla pubblica udienza del 16 SET. 2022 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di - (...) n. il (...) a C. ( I. ) res: M. D. T. via V. 23 Imputato Omissis SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto della Procura della Repubblica (...) veniva citato davanti al Tribunale di Ascoli Piceno per rispondere dei reati di cui in epigrafe (capo a: art.648, 61 n.2, c.p.; capo b: art. 640 c.p.). Il giudizio non si svolgeva in presenza dell'imputato che, a mezzo del difensore munito di procura speciale formulava richiesta di applicazione del rito abbreviato. Si procedeva, quindi, alla discussione: il P.M. esponeva i risultati delle indagini, tenendo conto anche dei fatti sopravvenuti in corso di giudizio, e il Difensore dell'imputato formulava ed illustrava le proprie conclusioni. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene questo giudicante che dagli elementi agli atti si possa evincere la penale responsabilità dell'imputato con riferimento al solo reato, contestato al capo a) dell'imputazione, di ricettazione sebbene nella forma attenuata da particolare tenuità di cui al secondo comma dell'art. 648 c.p. Infatti, con riferimento al reato di truffa, contestato al capo b) dell'imputazione, va evidenziato che nel corso del giudizio (in data 14/04/2020) la parte offesa (...) rimetteva la querela presentata nei confronti del prevenuto il quale accettava in data 26/04/2020. Il Giudice preso atto della avvenuta remissione di querela e della intervenuta contestuale accettazione, così come in atti documentato, conformemente alla richiesta delle parti, dichiara l'improcedibilità dell'azione penale iniziata nei confronti dell'imputato con riferimento al capo b) dell'imputazione: considerato che il reato ascritto all'imputato, art. 640 c.p., possa ritenersi perseguibile solo a querela di parte, l'intervenuta remissione ne ha prodotto, a norma dell'art. 152 c.p. l'estinzione. Dalla dichiarazione di estinzione del reato di truffa, presupposto per la contestazione, al capo a) dell'imputazione, dell'aggravante di cui all'art.61 n.2) c.p., consegue il venir meno della stessa e considerato che dagli atti del PM e dalle produzione della difesa emerge quanto segue: - il telefono cellulare (Apple Iphone XS 64G) di provenienza delittuosa (furto), oggetto del reato di truffa di cui al b) dell'imputazione, veniva restituito all'avente diritto sig.ra (...) (cfr. querela del 12/07/2019) in data 18/04/2020 (come da decreto di convalida sequestro e contestuale restituzione del 17/04/2020 e verbale di restituzione del 18/04/2020, in atti); - il prevenuto provvedeva, a mezzo bonifico del 15/04/2022, al versamento in favore della persona offesa sig.ra (...) della somma di Euro 1.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale; - nulla risulta dal Certificato del Casellario Giudiziale a carico del prevenuto. Premesso quanto sopra, preliminarmente, considerata la dichiarazione di estinzione del reato di truffa, va operata la riqualificazione del reato di cui al capo a) dell'imputazione nella previsione attenuata dalla particolare tenuità di cui al secondo comma dell'art. 648 c.p. Però, se da un lato risulta certa la responsabilità del prevenuto per l'ipotesi di reato come riqualificata, dall'altro lato risulta evidente la tenuità del fatto e il contesto entro il quale si è compiuta l'azione. Per tale ragione, questo giudicante ritiene applicabile alla presente fattispecie l'istituto di cui all'art. 131 bis c.p. Orbene, in merito all'applicabilità dell'art.131 bis c.p. al reato di cui all'art.648, comma 2, c.p., va evidenziato quanto segue. Con ordinanza del 12 luglio 2019, il Tribunale ordinario di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 131 bis c.p., nella parte in cui non consentiva l'applicazione della norma in esame al reato di ricettazione attenuata, ex art. 648, comma secondo, c.p. Il casus decisis originante l'ordinanza predetta appariva alquanto singolare: l'imputato si era reso responsabile dell'acquisto di confezioni di rasoi e lamette da barba di provenienza furtiva. Risultava chiara, dunque, l'assoluta tenuità del fatto tipico, come tale suscettibile di essere sussunto, almeno in astratto, nel paradigma dell'art. 131 bis c.p. Tuttavia tale soluzione era preclusa dai limiti edittali di pena previsti tanto dalla causa di non punibilità in discorso, quanto dalla ricettazione attenuata: l'art. 131 bis c.p., infatti, prevedeva (e prevede tuttora), ai fini della sua applicabilità, il limite massimo di 5 anni di reclusione per il reato oggetto di imputazione; viceversa, il delitto di cui all'art. 648. comma secondo, c.p., è punito fino a 6 anni di reclusione. Di talché, ad un primo sommario esame, sembrerebbe precludersi la possibilità di rendere non punibile la ricettazione attenuata. Sennonchè il giudice a quo, attraverso il giudizio incidentale di costituzionalità, riteneva che l'art. 131 bis c.p., in tale accezione, violasse gli art. 3 e 27 Cost. Ciò in quanto l'art. 648, comma secondo, c.p., pur prevedendo un massimo edittale superiore alla previsione di cui all'art. 131 bis c.p., non contempla un quantum minimo di pena detentiva. Sicché, secondo i principi generali, la cornice di pena edittale della ricettazione di lieve entità si estenderebbe da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 6 anni di reclusione. Ebbene, tale previsione avrebbe cagionato, ad opinione del giudice rimettente, una irragionevole disparità di trattamento contraria al principio di ragionevolezza, osservando che l'art. 131 bis c.p. risultava viceversa applicabile a fattispecie omogenee (quali la truffa ed il furto) sol perché il limite di pena rimaneva circoscritto nei necessari 5 anni, pur prevedendo, tali ultimi reati, un minimo di pena (6 mesi) di molto superiore ai ridetti 15 giorni. La così ampia forbice edittale della ricettazione di lieve entità (senza la previsione di un minimo) apriva, a tutta evidenza, la strada a fatti che il legislatore avrebbe potuto considerare come estremamente tenui, in astratto meritevoli di una irresponsabilità penale; ma su tale via si frapponeva l'ostacolo derivante dalla discrasia tra i massimi di pena previsti dalla legge. Per tali motivi, ordunque, il giudice a quo sollevava la predetta questione di incostituzionalità. E'doveroso premettere taluni brevi cenni sulla previsione di cui all'art. 131 bis c.p. La disposizione citata è stata introdotta con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 e rubricata "esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto". L'art. 131 bis c.p. prevede una causa di non punibilità in senso stretto, ancorata a mere valutazioni di opportunità: il legislatore, infatti, ha ritenuto che in presenza degli indici richiesti dalla disposizione in esame, il fatto, pur tipico, risulti non punibile, poiché disancorato dai quei principi di meritevolezza e proporzionalità della pena, necessari all'irrogazione della sanzione più afflittiva contemplata dall'ordinamento. Occorre sin da subito chiarire come la portata dell'art. 131 bis c.p. sia radicalmente diversa dalla mancanza di offesa: invero, un fatto inoffensivo, cioè totalmente carente nell'offesa al bene giuridico, fa venir meno la stessa tipicità del fatto, con ciò determinando l'assoluzione del reo perché il fatto non sussiste, ai sensi dell'art. 530, primo comma, c.p.p.; viceversa, il riconoscimento della causa di non punibilità di cui si discorre viene da molti definita come una "condanna mascherata": la medesima, infatti, determina da un lato la mera non punibilità del reo (di fronte ad un fatto tipico, antigiuridico e colpevole) e, dall'altro lato, rende applicabile il disposto di cui all'art. 651 bis c.p.p., che prevede addirittura l'efficacia di giudicato della sentenza che dichiari la non punibilità (quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità penale ed al fatto che l'imputato lo abbia commesso) nei successivi giudizi extrapenali. Ciò premesso, ed in modo tutt'affatto esaustivo, è possibile enucleare i 3 grandi requisiti necessari all'applicazione della predetta causa di esclusione della punibilità. In primo luogo, come dianzi riportato, è necessario che il reato commesso dall'imputato preveda una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni: limite edittale che ha sollevato i problemi enunciati in premessa e che, ordunque, è stato investito dalla censura di costituzionalità da parte del Tribunale rimettente. In secondo luogo, è indispensabile che l'offesa risulti di particolare tenuità. Tale criterio risulta dirimente e deve essere valutato in relazione alla condotta del reo ed all'esiguità del danno e del pericolo dallo stesso cagionati: il legislatore ha quindi ritenuto a monte che, in presenza di fatti tenui, l'agente non sarebbe meritevole di pena ed in conseguenza difetterebbe ogni opportunità di punirlo. Da ultimo, la legge richiede che il comportamento del reo risulti non abituale: su tale ultimo punto, dottrina e giurisprudenza non sposano sempre soluzioni univoche, spaziando da interpretazioni ragionevoli, quale quella dell'incompatibilità del reato abituale con l'art. 131 bis c.p., ad altre quantomeno discutibili, in tema di mancata applicazione della causa di non punibilità al reato a consumazione prolungata e, addirittura, al reato complesso. L'applicazione dell'art. 131 bis c.p. ha trovato notevoli riscontri ed applicazione nella prassi: l'intervento del legislatore deve, quindi, accogliersi con estremo favore, in quanto ha reso possibile la non punibilità di fatti bagatellari e totalmente immeritevoli di pena, anche in un'ottica rieducativa del reo, ai sensi dell'art. 27, comma terzo, Cost. Con sentenza n.207/2017 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità in relazione all'art. 131 bis c.p., nella parte in cui non estendeva l'applicabilità dell'esimente all'ipotesi attenuata dell'art. 648, secondo comma, c.p. La ragione della declaratoria di infondatezza è stata motivata, in sintesi, con l'esigenza di salvaguardare la discrezionalità legislativa nella prospettazione del limite di 5 anni di reclusione, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità: limite che ai giudici non appariva né arbitrario, né irragionevole. Tuttavia, il Giudice delle Leggi rilevava l'anomalia dell'inconsueta ampiezza dell'intervallo tra minimo e massimo di pena detentiva, in relazione alla ricettazione attenuata: riconoscendo come in tale forbice edittale ben sarebbe stato possibile riscontrare fatti tenui, la Corte esortava il legislatore ad intervenire sull'art. 131 bis c.p., magari prescrivendo una pena minima al di sotto del quale il fatto avrebbe potuto essere considerato di particolare tenuità. Il legislatore, tuttavia, rimaneva inerte sul punto: la naturale conseguenza dell'immobilismo legislativo è stata, dunque, l'ulteriore rimessione della questione alla Corte Costituzionale. Con una recente sentenza, la n. 156/2020, i Giudici di Legittimità hanno compiuto un decisivo revirement rispetto alla pronuncia del 2017, concludendo come la mancata sanatoria, da parte del legislatore, della questione controversa, giustifichi l'intervento riformatore della Corte. Si legge nella motivazione: "l'assoluta mitezza del minimo edittale rispecchia una valutazione legislativa di scarsa offensìvità della ricettazione attenuata (...) In linea generale, l'opzione del legislatore di consentire l'irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela inequivocabilmente che egli prevede che possano rientrare nella sfera applicativa della norma incriminatrice anche condotte della più tenue offensività. Rispetto a queste ultime è dunque manifestamente irragionevole l 'aprioristica esclusione dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 131 bis c.p., quale discende da un massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione". La Consulta, ordunque, ritiene violato l'art. 3 Cost., in quanto la fattispecie determina un'ingiustificata disparità di trattamento, rendendo punibili condotte connotate da evidente tenuità, e viceversa lasciando impuniti fatti di reato che, pur tenui, prevedano un minimo edittale di pena superiore alla ricettazione attenuata. "Deve quindi essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 131 bis c.p., per violazione dell'art. 3 Cost. nella parte in cui non consente l'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva". La sentenza, peraltro, estende il principio di diritto ad altri reati, diversi dalla ricettazione: invero, in tutti i casi in cui i reati prevedano un massimo superiore ai 5 anni, ma tuttavia non prevedano un minimo, la scure di incostituzionalità sarà destinata ad operare, con la possibilità di applicare l'art. 131 bis c.p. ad ulteriori fattispecie, diverse dall'art. 648 c.p.. Una scelta, quella operata dal Giudice delle Leggi, costituzionalmente orientata e dotata di assoluto buon senso: la sanzione penale, primariamente afflittiva, deve essere comminata soltanto a fatti che ne siano realmente meritevoli; in caso contrario, sarebbero violati i massimi principi di proporzione e di sussidiarietà della pena. Non da ultimo, ingolfare il sistema processuale con fatti bagatellari non farebbe altro che vulnerare il sistema Giustizia, con tutte le conseguenze ben note in tema di ragionevole durata dei procedimenti penali. Ecco come l'estensione della portata dell'art. 131 bis c.p. potrebbe anche rappresentare un meccanismo più ampio di deflazione processuale (potendo intervenire, come noto, sia in sede di archiviazione durante le indagini preliminari, sia in sede di proscioglimento predibattimentale, ex art. 469 c.p.p.). E ancora la Corte Costituzionale, nella succitata sentenza, impone al Giudice del caso un ragionamento a contrario: "Pertanto, anche nell'ipotesi di ricettazione attenuata ex art. 648, secondo comma, cod. pen., e in ogni altra ipotesi di reato privo di un minimo edittale di pena detentiva, l'esimente non potrà essere riconosciuta quando la valutazione giudiziale di cui all'art. 133, primo comma, cod. pen. sia negativa per l 'autore del fatto o la condotta di questi risulti abituale ovvero, ancora, quando ricorra una fattispecie tipica di non tenuità tra quelle elencate dal secondo comma dell'art. 131-bis cod. pen.". Premesso tutto quanto sopra esposto, considerata la riqualificazione del reato (di cui al capo a) dell'imputazione) in quello di cui al secondo comma dell'art. 648 c.p. e considerato che nel caso di specie non sussistano gli elementi, richiamati anche dalla citata sentenza e di cui all'art.131 bis commi 2 e 3, che non permettano l'applicazione della esimente (come già sopra evidenziato) laddove, richiamata la sentenza Corte Cost. n. 156/2020, si ritiene che nel caso di specie sussistano i presupposti per una sentenza di proscioglimento dell'imputato ai sensi dell'art. 131 bis c.p. Il reato rientra nell'ipotesi di cui alla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 131 bis c.p., così come argomentato nella citata sentenza. Si deve poi rilevare che, tenuto conto della condotta oggetto di contestazione, il danno derivato per l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice deve ritenersi assolutamente esiguo (e tra l'altro la p.o. è stata risarcita sia nella sfera patrimoniale che in quella non patrimoniale), avuto riguardo ai parametri di cui all'art. 133 c.p. Del pari, si deve ritenere che la condotta, così come contestata nel capo di imputazione, presenti tratti di modesto disvalore penale, avuto riguardo alla natura, specie, mezzi, oggetto, tempo e luogo dell'azione criminosa. Inoltre, l'imputato è incensurato e, dunque, non è mai stata dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né ha mai commesso reati della stessa indole di quello per cui si procede. Infine, il reato oggetto di contestazione risulta contestato come commesso con azione unitaria e non con condotta plurima reiterata o abituale (ci si richiama sul punto alla sentenza della Corte a Sezioni Unite n. 38344 del 18 settembre 2014). Infine, non essendo la condotta dell'odierno imputato aggravata dalle circostanze dei motivi abietti o futili motivi risulta pienamente configurabile la particolare tenuità del danno prodotto. Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che nel caso di specie sussistano tutti i presupposti per poter pronunciare sentenza di proscioglimento in favore dell'imputato, con riferimento al capo a) dell'imputazione, per essere lo stesso non punibile per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131 bis c.p. P.Q.M. Visti gli artt.469 co.1 bis cpp e 131 bis c.p., previa riqualificazione del reato di cui al capo a) dell'imputazione nella previsione di cui al secondo comma dello stesso art. 648 c.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) in ordine al reato allo stesso ascritto al capo a) dell'imputazione, così come riqualificato, perché non punibile per la particolare tenuità del fatto. Visto l'art. 129 c.p.p. Dichiara di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il reato contestatogli al capo b) dell'imputazione, per essersi lo stesso estinto in seguito a remissione e accettazione di querela; spese come per legge. Motivazione contestuale Così deciso in Ascoli Piceno il 16 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 16 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI ASCOLI PICENO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Stefania Iannetti ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2342/2019 introitata a sentenza all'odierna udienza ex art. 281 sexies c.p.c., spirato il termine concesso alle parti per il deposito di note conclusive. promossa da (...) fisc. (...), residente in S. B. del T. Via della T. (...) n. 4, con il patrocinio dell'avv. Gi.Ba.. Attore - Opponente Contro (...) Spa (già (...) Spa) cod. fisc. (...) e partita Iva (...) con sede in M. Via (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Sa.Fi.. Convenuta - Opposta Oggetto. Opposizione a decreto ingiuntivo. CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato il 06/12/2019, (...) spiegava opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 587/2019 Ing., n. 1686/2019 Ing. emesso dall'intestato Tribunale di Ascoli Piceno in data 11/09/2019 ed in favore della (...) Spa, per la somma di Euro 11.896,38 quale sorte capitale oltre spese di procedura, accessori di legge ed interessi come da domanda, concludendo, in via pregiudiziale affinchè l'opposto decreto venisse dichiarato illegittimo, nullo, inammissibile, privo di effetti e comunque revocato in quanto privo dei requisiti di esigibilità; nel merito, perché fosse accertata e dichiarata la funzione di garanzia del rapporto giuridico instauratosi tra la (...) Spa e il fideiussore (...), pertanto, affinché fosse accertato e dichiarato il vano decorso del termine ex art. 1957 c.c. e, per l'effetto, accertata e dichiarata l'estinzione della fideiussione e la conseguente liberazione del garante ex art. 1957 c.c., con vittoria di spese. A sostegno dell'opposizione, salvo altro, (...), premettendo che la sua qualità di coobbligato andava qualificata come fideiussore rispetto al debito principale della (...) Srl, eccepiva la decadenza dalla garanzia ai sensi dell'art. 1957 c.c., per avere la (...) Spa (già (...) Spa) omesso di tempestivamente proporre, nel termine di legge dei sei mesi, le opportune istanze nei confronti della citata debitrice principale. Si costituiva in giudizio la (...) Spa (già (...) Spa) resistendo all'opposizione in oggetto e ribadendo la natura di coobbligato dell'opponente, per quanto espressamente previsto dal contratto di finanziamento in oggetto, contestando pertanto trattarsi di fideiussione e conseguentemente l'applicabilità dell'art. 1957 c.c. per cui concludeva, in via principale, per il suo integrale rigetto e per la conferma del decreto ingiuntivo opposto, di cui chiedeva concedersi la provvisoria esecutorietà ai sensi dell'art. 648 c.p.c., ed in via subordinata, nella denegata ipotesi di revoca dell'opposto decreto ingiuntivo, affinché fosse accertato e dichiarato che (...) è debitore nei confronti della (...) Spa (già (...) Spa) della somma di Euro 11.896,38 oltre interessi legali ex art. 1284 c.c. per l'effetto, chiedendo l'emissione di sentenza di condanna dell'opponente al pagamento della somma di cui al provvedimento monitorio o di quella diversa ritenuta di giustizia; in ogni caso chiedeva la condanna al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., valutata d'ufficio la sussistenza della responsabilità ex art. 96 c.p.c., con vittoria di spese. A sostegno della propria difesa, la (...) Spa (già (...) Spa) asseriva, salvo altro, che l'opponente non aveva sollevato alcuna contestazione circa l'an debeautur e che- contrariamente a quanto sostenuto dall'opponente, erano stati prodotti il contratto di finanziamento per cui è causa, il relativo piano di ammortamento, l'estratto conto certificato ex art. 50 TUB e la comunicazione di decadenza dal beneficio del termine, precisando che il (...) aveva sottoscritto il contratto di finanziamento quale soggetto coobbligato con la debitrice principale (...) Srl, e non quale mero fideiussore, non trovando pertanto applicazione, nella specie, le norme dettate in materia di fideiussione, ritenendo invece sussistere la c.d. coobbligazione solidale passiva; aggiungeva che non si era verificata la decadenza di cui all'art. 1957 c.c. poiché, oltre alla comunicazione di decadenza dal beneficio del termine datata 15/10/2018, era stata successivamente inviata la diffida datata 15/03/2019 ad opera della mandataria (...) con conseguente interruzione dei termini prescrizionali; insisteva sulla temerarietà dell'opposizione, in quanto del tutto strumentale, e dunque per la concessione della provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto. Veniva concessa la provvisoria esecutorietà dell'opposto decreto ingiuntivo come pure venivano concessi i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. sicché depositate dalle parti le relative memorie come in atti ed espletate le prove orali ammesse, la causa veniva trattenuta in decisione all'odierna udienza, fissata per la discussione ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., spirato il termine concesso alle parti per il deposito di note conclusive. L ' opposizione è fondata e pertanto merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte. Sulla base dell'ormai consolidato principio della c. detta "ragione più liquida" al giudice è consentito di non rispettare rigorosamente l'ordine logico delle questioni da trattare (art. 276 comma 2 c.p.c.), ove sia più rapido ed agevole risolvere la controversia in base ad una questione che, pur se subordinata ad altre, sia più evidente e più rapidamente risolvibile. Pertanto, nella specie, possono essere superate tutte le altre eventuali eccezioni preliminari e/o pregiudiziali, come in atti, atteso che la domanda della parte attrice opponente va accolta nel merito. 1) Sulla natura dell'obbligazione assunta dal (...) nel contratto di finanziamento al consumo in atti La natura dell'obbligazione assunta dal (...) nel contratto di finanziamento in atti è questione centrale della controversia. Ad avviso dell'opponente la fattispecie è inquadrabile nell'ambito della prestazione di mera garanzia/fideiussione, conseguendone l'applicazione dell'art. 1957 c.c. in punto di decadenza dell'azione del creditore nei confronti del fideiussore. Viceversa, la banca opposta deduce trattarsi di coobbligazione e non di mera fideiussione, per cui il (...) sarebbe debitore in solido verso la banca, con la conseguente inapplicabilità della citata disposizione codicistica. Si ricorda che il nostro ordinamento disciplina la figura del fideiussore, quale soggetto che garantisce l'adempimento dell'altrui debito, senza invece espressamente prevedere la figura del "coobbligato", quale possibile soggetto che, a parere della banca, non essendo parte del contratto principale né garante sarebbe responsabile in solido dell'adempimento delle obbligazioni della parte contrattuale. La tematica delle obbligazioni solidali è disciplinata nel libro IV del vigente codice civile (art. 1292 c.c.). La solidarietà dal lato passivo dell'obbligazione, presumibile ex lege in presenza di una pluralità di debitori (art. 1294 c.c.) può trovare sua fonte direttamente nella legge come nel caso, ai sensi dell'art. 2291 c.c., del socio di una società in nome collettivo rispetto ai debiti sociali o in un atto illecito come nell'ipotesi di cui all'art. 2055 c.c. in caso di concorso di vari soggetti nell'illecito extracontrattuale, oppure in un apposito titolo contrattuale che tuttavia non si rinviene nella specie. In buona sostanza, nell'ambito contrattuale, si è parte e, pertanto, laddove sussista una pluralità soggettiva, si assumono in genere obbligazioni solidali e contitolarità degli effetti derivanti dal contratto o si è fideiussori/garanti, ossia, senza diventarne parte e quindi essere titolare degli effetti derivanti dal contratto, essere invece meri responsabili di obbligazioni che terzi hanno assunto con il contratto principale. Non è di contro prevista dall'ordinamento la qualità del coobbligato, quale soggetto che, pur non essendo parte e, dunque, titolare degli effetti nascenti dal contratto, assumerebbe, senza la qualità del fideiussore, l'obbligo di garantire l'altrui adempimento. Il tertium genus asserito dalla banca non trova pertanto conferma nel dettato normativo, dovendosi ritenere esclusa la figura ibrida tra quella di parte e quella del fideiussore/garante. Nel caso che ci occupa, non risulta che il (...) sia stato parte del contratto di finanziamento in qualità di co-richiedente e, di conseguenza, co-beneficiario della somma erogata dalla banca, impiegata per l'acquisto di autovettura, essendo invece pacifico, trattandosi di credito al consumo, che il suddetto intero importo finanziato sia stato versato direttamente alla società venditrice del mezzo, intestato alla debitrice, (...) Srl, società di capitali, dotata, come noto e a differenza delle società di persone (es. società in nome collettivo) di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale perfetta. Invero, dalla scheda contrattuale si legge che il soggetto richiedente il finanziamento in parola è la (...) Srl e che l'odierno opponente, (...) è "coobbligato" ai sensi del D.L. n. 231 del 2007 (normativa sull'antiriciclaggio), circostanza che, di per sé, non fa assumere al (...) la qualità di parte finanziata, trattandosi di sottoscrizione evidentemente apposta per le necessità dettate dal citato D.L. n. 231 del 2007. del tutto ininfluente, sotto il profilo giuridico, è la circostanza che la garanzia del (...) sia stata prestata nell'ambito del modulo di richiesta del finanziamento, quale atto avente contenuto negoziale complesso poiché trilaterale, pertanto, di finanziamento tra il soggetto finanziatore (...) Spa (già (...) Spa) e il soggetto finanziato, (...) Srl, e di fideiussione tra il primo ed il coobbligato, (...). Il ruolo del (...) nel contratto che ci occupa, non può pertanto essere che quello di fideiussore, con la conseguente applicazione della relativa normativa. D'altro canto, la natura di debitore solidale del coobbligato è del tutto compatibile con l'istituto della fideiussione, il quale è obbligato in solido con il debitore principale, in virtù del disposto di cui all'art. 1944 c.c. I comma secondo cui: "Il fideiussore è obbligato in solido con il debitore principale al pagamento del debito". 2) Sull'eccezione di decadenza L'eccezione è fondata. Il creditore che, entro sei mesi dalla scadenza del debito, non attiva le azioni di recupero del proprio credito nei confronti del debitore principale decade dal diritto di pretendere l'adempimento da parte del fideiussore e ciò secondo quanto disposto dall'art. 1957 c.c., quale termine decadenziale ex art. 2964 c.c., che non risulta pattiziamente derogata e che, pertanto, è certamente applicabile nella specie. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, l'istanza del creditore, nei confronti del debitore principale, deve essere necessariamente "giudiziale" dovendo consistere nel ricorso a mezzi di tutela processuale volti ad ottenere l'accertamento ed il soddisfacimento della pretesa, indipendentemente dall'esito (Cass. 16041/2016; Cass. 1724/2016), non costituendo idonea istanza, ex art. 1957 c.c., la notifica di un atto stragiudiziale. Deve inoltre aggiungersi che, ai sensi del medesimo citato articolo, il creditore non deve limitarsi a proporre istanza contro il debitore principale ma deve diligentemente proseguirla e coltivarla e ciò al fine di evitare che il fideiussore resti esposto alla escussione della garanzia, per un tempo potenzialmente indefinito. Nella fattispecie, per quanto anche riferito negli atti della banca opposta, la missiva inviata alla debitrice principale, (...) Srl, portante la dichiarazione di decadenza del beneficio del termine, con la quale la banca ha chiesto "il rimborso in unica soluzione del ? credito, dichiarandolo decaduto dal beneficio del termine ? in pari data" è del 15/10/2018 mentre il ricorso per decreto ingiuntivo è stato depositato il 06/09/2019, ben oltre il termine dei sei mesi previsto ex lege. La banca opposta è dunque decaduta da ogni diritto verso il fideiussore, sicché, alla luce delle suesposte motivazioni, il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio di opposizione, deve essere revocato. Le spese di lite seguono la soccombenza della parte convenuta opposta e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Ascoli Piceno, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, nella causa civile rubricata con il numero 2342/2019 R.G. vertente tra le parti sopra indicate, ogni diversa domanda ed eccezione respinta, così provvede: 1) accoglie, per quanto in parte motiva, l'opposizione, con revoca dell' opposto decreto ingiuntivo; 2) dichiara la banca opposta decaduta da ogni diritto verso il fideiussore, per quanto in parte motiva; 3) condanna la convenuta opposta, (...) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di lite che liquida, in favore dell'attore opponente, (...), in complessivi Euro 4.200,00 oltre il rimborso forfettario del 15%, cap ed Iva di legge. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante allegazione al verbale. Così deciso in Ascoli Piceno il 6 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2022.

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