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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO - SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa Maria Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 5005 del Registro Generale Affari Contenziosi dell'anno 2019, avente ad oggetto: "opposizione a decreto ingiuntivo, pagamento contratti bancari ", vertente TRA (...) (c.f.: (...)) Ra.Sc. (c.f.: (...)) rappresentati e difesi dall'Avv. Gi.Ci. e dall'Avv. Pa.So., domiciliatari in Avellino, alla via (...), in virtù di mandato in atti; - opponenti - E (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Ca.La. e dall'Avv. Ma.Gi., domiciliatari in Milano, alla via (...), in virtù di mandato in atti; - opposta - MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Sulla condizione di procedibilità Ex art. 5 D.Lgs. n. 28 del 4 marzo 2010 (si ricorda che a seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge 9 agosto 2013, n. 98, di conversione con modifiche del D.L. n. 69/2013, la mediazione civile e commerciale è ritornata obbligatoria, a decorrere dal 21 settembre 2013) modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 e dal D.Lgs. 6 agosto 2015, n. 130, devono essere precedute dal tentativo di mediazione, a pena di improcedibilità della domanda, "le controversie in materia di condominio, locazioni, comodato, affitto di aziende, diritti reali, divisioni, successioni ereditarie, patti di famiglia, risarcimento danni da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con alto mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari". Nella specie si controverte in tema di contratti di finanziamento/bancari, sicché la domanda rientra nella mediazione obbligatoria, che è stata ritualmente esperita. Invero, si rileva dal verbale di incontro di mediazione prodotto in atti, che la banca opposta non ha partecipato a mezzo del proprio legale rappresentante, ma era presente solo l'avvocato, peraltro munito di valida procura sostanziale. Dalla lettura del verbale di legge che il collegamento è avvenuto in videoconferenza ed era collegato il difensore della banca ("collegato" in video conferenza l'avv. Ma.Gi. per la banca). La Corte di Cassazione, nella sentenza, sez. III, 27/03/2019 n. 8473 ha rilevato come la lettera dell'art. 8 del D.lgs. 28/2010 non lasci adito a dubbi nel ritenere obbligatoria la presenza delle parti al primo incontro, argomentando poi come tale partecipazione al primo incontro "non comporta che si tratti di attività non delegabile', recependo sul punto un orientamento già espresso da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Massa, 29 maggio 2018, n. 398), per cui si deve ammettere la possibilità di delegare ad un terzo soggetto il potere sostanziale di partecipare al procedimento (e quindi di conciliare la lite), esito interpretativo peraltro del tutto conforme ai principi fondamentali del nostro ordinamento in tema di mandato (art. 1392 c.c.), pacificamente ritenuti applicabili anche alla transazione (Cass. civ. Sez. III 27 gennaio 2012 n. 1181) e che appaiono del tutto conformi e funzionali anche allo spirito del D.Lgs. 28/2010". La Corte prosegue argomentando che la delega, mancando una previsione espressa, può essere effettuata anche a favore del proprio difensore. In tal caso, tuttavia, affinché la delega sia valida, la parte deve conferire tale potere al difensore "mediante una procura avente lo specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto". Ebbene è presente in atti procura notarile alle liti (all. 6 alla comparsa di costituzione) nella quale, tra gli altri poteri, è stato conferito al difensore il potere sostanziale di "attivare e partecipare per conto ed in rappresentanza della società ai procedimenti di mediazione promossi ai sensi del d. lgs. del 4.3.2010 n. 28". La Corte affronta poi un'altra questione riferibile al momento in cui il tentativo di mediazione obbligatoria possa ritenersi utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità, esponendo il principio di diritto secondo il quale è sufficiente il primo incontro. Secondo la Corte sia il testo dell'art. 8 sia l'interpretazione sistematica (con la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo) depongono nel senso che la condizione di procedibilità debba ritenersi assolta "con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione". Sulla partecipazione all'incontro di mediazione si è pronunciata anche la Corte di appello Napoli sez. II, 29/09/2020, n. 3227: La parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'Avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista. In definitiva, nel procedimento di mediazione obbligatoria, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale. La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una od entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. Nel caso in esame vi è potere sostanziale al difensore di partecipare alla mediazione conferito con procura notarile. Neppure ha rilievo che la mediazione sia stata avviata dall'una o dall'altra parte: la ratio della mediazione è avviare e rendere possibile l'incontro, evenienza pacificamente realizzatasi. La domanda è dunque procedibile. 2. La opposta banca ha chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo opposto in forza di un debito originato dall'erogazione di un prestito personale (contratto del 17.1.2015) e da un'apertura di credito con carta c.d. revolving (contratto del 28.12.2013). A sostegno della domanda monitoria la opposta ha prodotto entrambi i contratti, regolarmente sottoscritti e completi nelle condizioni contrattuali (interessi, spese, costi). In riferimento all'apertura di credito, nella presente fase di opposizione la banca ha prodotto anche tutti gli estratti conto. 3. Quanto al prestito personale del 17.1.2015 è stato prodotto il contratto regolarmente sottoscritto; è, dunque, osservata la forma scritta richiesta ad substantiam in materia di contratti bancari e finanziari. Lo stesso è garantito da Raffaella Scotti. Peraltro, la forma scritta richiesta per i contratti bancari può ritenersi soddisfatta anche nel caso in cui il contratto, che abbia avuto pacifica esecuzione, sia sottoscritto dal solo cliente su moduli predisposti dalla banca che, producendo il contratto, ha implicitamente accettato la proposta. Il contratto contiene la chiara indicazione dell'importo finanziato, delle rate, dell'importo, dei costi, anche assicurativi, del tasso di interesse (TAN 7,45%; TAEG 7,73%) e di quello di mora (1,5% mensile sull'importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata ma con previsione di contenimento degli interessi nei limiti delle soglie antiusura: clausola di salvaguardia). Tale documentazione integra prova sufficiente del credito non solo nella fase monitoria ma anche nella presente fase di opposizione. Va, infatti, chiarito che, quanto al debito derivante dai contratti di mutuo/finanziamento, ai fini della prova necessaria per ottenere l'ingiunzione di pagamento, la Banca o l'istituto finanziatore in genere, non hanno alcun onere di produrre a conforto della richiesta l'estratto conto certificato conforme ex art. 50 t.u.b., essendo sufficiente la produzione del contratto di finanziamento con prova di erogazione del credito, secondo il disposto di cui agli art. 633 e ss. c.p.c., documenti regolarmente esibiti in fase monitoria (vedi distinta di erogazione della somma finanziata). Peraltro, l'opponente contesta la mancanza di prova dell'erogazione di parte del credito ma non contesta affatto l'esistenza del contratto e la sua operatività, con difesa, dunque, contraddittoria ed inidonea allo scopo. L'erogazione dell'importo finanziato è pacifica e il contratto ha avuto esecuzione con il pagamento di svariate rate (il che rende inammissibile anche generici disconoscimenti della documentazione). La possibile destinazione di parte dell'importo finanziato alla estinzione di passività pregresse è ritenuta condotta meritevole di tutela dalla giurisprudenza, non vertendosi nell'ambito del mutuo di scopo. L'interesse corrispettivo concordato rientra nei limiti delle soglie (17,50% nel trimestre di riferimento) anche a voler considerare tutti i costi, pure assicurativi, pattuiti. 4. Usura e mora. Nell'ordinanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, ai fini della verifica del superamento delle soglie antiusura in riferimento all'interesse moratorio, si è sostenuto che l'interesse moratorio non si cumula all'interesse corrispettivo ai fini del calcolo degli interessi usurari, trattandosi di oneri solo eventuali; e si è aggiunto che, in ogni caso, posto che la verifica dell'usura va limitata al momento genetico della conclusione del contratto, è concordata in contratto una clausola di salvaguardia che contiene comunque l'interesse dovuto nei limiti delle soglie. Ferma restando la validità di tale ultima considerazione, che rimane assorbente, nel corso del giudizio è intervenuto, a soluzione del contrasto sulla rilevazione degli interessi moratori oltre soglia, il noto pronunciamento della corte di Cass. a sez. un. 19597 del 2020. Occorre allora verificare se il contratto in esame è rispettoso delle soglie alla luce dei nuovi criteri dettati dalla corte in materia. Occorre un riepilogo. La legge n. 108 del 1996 ha modificato l'art. 644 c.p. in materia di usura. La norma prevede che il limite usurario del tasso di interesse si determina raffrontando il tasso fissato dai contraenti (T.E.G.M. tasso effettivo globale medio) al c.d. tasso soglia, la cui rilevazione è rimessa con cadenza trimestrale al Ministro del Tesoro, di concerto con la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi (art. 2, L. n. 108/1996), La norma prevede anche che per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito (cd. costo del finanziamento). Con la legge di interpretazione autentica n. 24 del 28/02/2001 il legislatore ha tentato di chiarire i numerosi dubbi interpretativi sorti all'indomani dell'entrata in vigore della riforma del '96; in particolare, per quel che qui interessa, è stato specificato che "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p. e dell'art. 1815, secondo comma, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento" (art. 1, comma 1). Le questioni dibattute in giurisprudenza riguardano soprattutto il significato dell'inciso "a qualunque titolo", a fine di determinare in concreto il tasso di interesse che le parti private hanno determinato, risolto nel senso che tutti i costi devono essere inclusi, e la determinazione del momento in cui fare questa rilevazione (usura genetica e sopravvenuta). Quanto al momento di rilevanza dell'usura, a seguito della interpretazione autentica sopra riportata si è chiarito che occorre guardare al momento in cui i tassi sono promessi o, comunque, convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento". Tale interpretazione fornita per i mutui è chiaramente estensibile anche ai contratti di conto corrente. Il che vuol dire che non solo la legge antiusura non è applicabile retroattivamente ma che non sarebbe in astratto neppure ipotizzabile la c.d. usura sopravvenuta (sforamento dei tassi in un momento successivo alla stipula) e ciò perché per la valutazione del carattere usurario degli interessi, la legge stessa impone di guardare al momento in cui gli stessi sono stati "promessi o comunque convenuti" (sulla inconfigurabilità della usura sopravvenuta cfr. Cass. sez. un. 2017 n. 24675). Quanto poi all'inclusione dei tassi di mora nel rilievo dell'usura, come detto, sono intervenute, nel corso di questo giudizio, le sezioni unite nel 2020 con la sentenza n. 19597 a dettarne i criteri di rilevazione e calcolo, che sono quelli che seguono. Cass. sez. un. n. 19597/2020: - "La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso". - "La mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.e.g.m. non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché "fuori mercato", donde la formula: "T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto"". - "Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista". "Si applica l'art. 1815, comma 2, cod. civ., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l'art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti". - "Anche in corso di rapporto sussiste l'interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell'accordo; una volta verificatosi l'inadempimento ed il presupposto per l'applicazione degli interessi di mora, la valutazione di usurarietà attiene all'interesse in concreto applicato dopo l'inadempimento". - "Nei contratti conclusi con un consumatore, concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo, di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies cod. civ.". - "L'onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'entità usuraria degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall'altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto". Così riportati i principi delle sezioni unite, è in questa sede sufficiente riepilogare nel senso che la Corte ha affermato, innanzitutto, il principio secondo cui anche gli interessi moratori devono intendersi soggetti alla normativa antiusura, ritenendo che quest'ultima abbia la precipua finalità di sanzionare non soltanto la pattuizione di interessi oltre soglia, previsti al momento dell'accordo contrattuale, in termini di corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria, che risultasse dovuta in relazione al contratto. Hanno poi chiarito le SS.UU. che la mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.E.G.M. non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali; è sufficiente, infatti risalire alla rilevazione del tasso medio di mora praticato dagli operatori professionali, rilevato, in forma statistica, con modalità oggettive e unitarie. Tale meccanismo è idoneo a rilevare il carattere usurario di una clausola relativa agli interessi moratori, in quanto "fuori mercato". Da qui la possibilità di usare la seguente formula: "T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto". Qualora, invece, i decreti ministeriali non dovessero contenere neanche l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione prevista. Si è poi definitivamente chiarito che, in caso di verifica di effettivo superamento del limite di legge, debba trovare applicazione l'art. 1815, comma 2, c.c., con conseguente non debenza degli interessi moratori pattuiti, ferma restando la debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti (cioè gli interessi legali o quelli convenzionali e corrispettivi, se superiori e in origine nei limiti delle soglie). Il Collegio ha, quindi, affermato di condividere l'orientamento espresso da Cass. Civ. n. 26286/19 secondo il quale "nei rapporti bancari, gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all'applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. "tasso soglia"previsto dall'art. 2 della L. n. 108 del 1996, si configura la cosiddetta usura "oggettiva" che determina la nullità della clausola ai sensi dell'art. 1815, comma 2 c.c. Non è a ciò di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d'Italia non prevedano l'inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio)che costituisce la base sulla quale determinare il "tasso sogli". Poiché la Banca d'Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è infatti possibile individuare il "tasso soglia di mora" del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall'art. 2, comma 4, della L. n. 108 del 1996". Conseguentemente, si è ritenuto doveroso tenere conto delle indicazioni fornite da Banca d'Italia nei propri chiarimenti del 3 luglio 2003, laddove è stato chiarito che, per evitare il confronto tra tassi disomogenei, i Decreti trimestrali riportano i risultati di un'indagine per cui "la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali' (questa la rilevazione applicabile al contratto in esame, stipulato nel 2010; si tenga conto, infatti, che la rilevazione campionaria effettuata nel 2001/2002 ha indicato una maggiorazione media del tasso di mora sul tasso corrispettivo del 2,1%; secondo l'ultima rilevazione statistica condotta dalla Banca d'Italia d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, D.m. 21.12.2017, i tassi di mora pattuiti presentano, rispetto ai tassi percentuali corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti"). Va poi considerato che ai fini dell'usura vanno inclusi nel costo del finanziamento tutte le spese, commissioni e penali pattuite. Il concetto di onnicomprensività di fatto scrutinato anche dalle sezioni unite, non attiene strettamente all'interesse usurario, ma al "costo usurario" del finanziamento. E' chiara sul punto la prima massima sopra riportata: - "La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. La Corte non parla solo di mora, o di interessi, ma di ma di "qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso". Laddove, nei contratti bancari, si discorre di "interesse usurario", si evoca il più ampio concetto di "costo usurario" del credito. Inoltre, sono le stesse istruzioni della banca d'Italia che argomentano in termini di mora e oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo. Ne consegue che, la prescrizione "Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi" deve essere riletta nel senso che se è convenuto un costo (TAEG) usurario, la clausola è nulla e sono dovuti solo gli interessi corrispettivi se essi da soli in origine sono pattuiti legittimamente. Dunque, nella individuazione del tasso effettivo, e dunque, nel TEG del singolo contratto, vanno inclusi tutti i costi, compresa la mora e comprese le penali per la risoluzione/ritardo. Ebbene, il contratto in esame prevede un autonomo tasso di mora pari all'1,5 mensile sull'importo dovuto alla scadenza di ciascuna rata. Poiché il tasso soglia rilevato è pari al 17,50%, già attraverso un sommario aumento del tasso soglia in base al rilevamento della mora (2,1%), si ha un nuovo "tasso soglia di mora" del 19,6% ampiamente rispettato anche a voler includere e tradurre in percentuale tutti i costi. Peraltro, nessun calcolo alternativo ha fornito il debitore, che non ha neppure indicato la percentuale di sforamento. Ma in ogni caso vi è la clausola di salvaguardia, clausola perfettamente valida "è volta ad assicurare l'effettiva applicazione del precetto d'ordine pubblico che fa divieto di pattuire interessi usurari" e che "non ha carattere elusivo, poiché il principio d'ordine pubblico che governa la materia è costituito dal divieto di praticare interessi usurari, non dalla sanzione che consegue alla violazione di tale divieto" (Cass. 2019 n. 26286). 5. Sull'indicazione dell'ISC e sull'anatocismo A differenza di quanto sostenuto in opposizione, il contratto contiene anche l'ISC (indicatore sintetico di costo, 9,74%, ben evidenziato in contratto in pagina separata); dalla lettura della previsione ben si comprende che il nuovo costo è dato dalla ricomprensione anche dei costi assicurativi. Nessun anatocismo è ipotizzabile in presenza di previsione di reciprocità del calcolo degli interessi attivi e di quelli passivi. Nessun meccanismo anatocistico-usurario è determinato dal meccanismo del calcolo del cd. ammortamento alla francese, come argomentato da concorde giurisprudenza. L'inadempimento è del tutto incontestato. Il debitore, che ne era onerato, non ha dato prova di aver adempiuto e della sua mancanza di colpa. 6. Quanto al secondo contratto, si tratta di operazione di credito revolving; secondo la definizione che ne dà la Banca d'Italia (Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull'usura, agosto 2009), con "operazione di credito revolving" si intende la messa a disposizione di una linea di fido, diversa dall'apertura di credito in conto corrente, da utilizzare interamente o parzialmente, anche in tempi diversi, per l'acquisto di beni e servizi presso venditori convenzionati o per l'acquisizione di disponibilità monetarie. I versamenti rateali del cliente, dei quali è fissato contrattualmente l'importo minimo periodico, ripristinano la disponibilità sulla linea di fido; una simile operazione può anche essere connessa con l'utilizzo di una carta di credito. La consegna e l'utilizzo della carta presuppongono la conclusione di un apposito contratto in cui vengono fissate le regole che disciplineranno il futuro rapporto. La carta revolving, dunque, svolge diverse funzioni:1. consente di acquistare un bene presso gli esercenti che aderiscono al circuito della carta di credito, senza pagamento all'atto della fornitura del bene o del servizio, ma soltanto con la sottoscrizione dell'ordine di pagamento; 2. consente di prelevare giornalmente, attraverso l'uso di sportelli abilitati, una somma come anticipo di danaro contante; 3. consente prestiti di danaro a mezzo bonifico sul conto di regolamento del consumatore entro il limite della somma messa a disposizione. La carta revolving prevede un meccanismo di pagamento rateale del debito; ogni rata comprende una parte di capitale e una parte di interessi. Il carattere revolving del credito consiste nel fatto che con il pagamento della rata il cliente ripristina parzialmente la somma messa a disposizione, che può dunque essere utilizzata per altri acquisti di beni o servizi. Considerando che la carta di credito revolving consente al cliente di ottenere un finanziamento, dal punto di vista della qualificazione contrattuale essa opera similmente all'apertura di credito con previsione di un limite massimo di indebitamento. La carta dovrà altresì disciplinare le rate da corrispondersi a restituzione del capitale e il pagamento degli interessi. Con riferimento alla sua durata, il contratto di concessione di carta revolving è tipicamente a tempo indeterminato. Nel caso in esame la banca ha prodotto il contratto sottoscritto e le condizioni anche del rilascio della carta, con previsione di interessi (TAN 16,50%, TAEG 20,98%). L'importo massimo finanziato è di Euro 1.250,00. La carta è stata sicuramente attivata ed utilizzata, come dimostrano gli estratti conto prodotti, riferibili a tutto il periodo considerato. Sono regolarmente pattuiti gli interessi: TAN 16,50%; TAEG 20,98%; e gli stessi rientrano nelle soglie (per la messa a disposizione di somme al di sotto di Euro 5.000,00, come nella specie, la soglia nel trimestre di riferimento è del 24,99%). Lo scarto tra l'accordo e le soglie è tale che pur volendo tradurre in percentuale i costi pattuiti non si potrebbe raggiungere il superamento. L'inadempimento è incontestato. 7.L'opposizione va, dunque, rigettata e il decreto ingiuntivo n. 1214/2019, già dichiarato provvisoriamente esecutivo, va confermato. Si rileva che, come documentato dall'istanza di correzione del decreto ingiuntivo accolta dal giudice del monitorio, il decreto ingiuntivo è stato corretto nel senso che, poiché nel contratto di finanziamento era stata prestata rituale garanzia da Raffaella Scotti, la predetta è stata condannata in solido con il debitore principale al pagamento dell'insoluto riferibile a tale titolo (cioè in solido limitatamente al finanziamento per il quale ha prestato valida garanzia); così è da intendersi il reso decreto. 8. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo tenendo conto del valore della lite e dell'assenza di istruttoria orale, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1.rigetta l'opposizione e per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 1214/2019, già dichiarato provvisoriamente esecutivo; 2.condanna parte opponente al pagamento in favore di parte opposta delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre spese generali al 15%, cap e iva come per legge. Così deciso in Avellino il 30 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO La dott.ssa MONICA d'AGOSTINO, in funzione di Giudice del Lavoro, ha pronunciato all' odierna udienza ex lege n. 77/2020 la seguente SENTENZA nella controversia n. r.g. 1835/2018 promossa DA (...), rapp. e dif. dall'avv. CI.RO. RICORRENTE CONTRO INPS in persona del legale rappresentante p.t., rapp. e dif. dall'avv. SE.GI.; AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del legale rapp. p.t., rapp. e dif. dall'avv. LU.MA. RESISTENTI MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato in data 17.05.2018, parte ricorrente di cui in epigrafe adiva questo Giudice del Lavoro, proponendo opposizione all'estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione il 23.04.2018, deducendo la mancata notifica della cartella di pagamento presupposta n. (...), per un totale cartella di 1.841,93 euro, stante l'omesso versamento di contributi I.V.S. competenza anni 2002/2003/2004. Pertanto, proponeva azione di accertamento negativo del credito dell'Amministrazione risultante dal ruolo, deducendo altresì l'estinzione per prescrizione del medesimo. Esposti i motivi a sostegno della domanda, chiedeva l'accoglimento delle conclusioni che, per una migliore intellegibilità del provvedimento, si trascrivono qui di seguito: "-preliminarmente, sospendere, anche inaudita altera parte, stante l'esistenza del periculum in mora e del fumus boni iuris, l'efficacia esecutiva del titolo, in quanto ne deriverebbero grave ed irreparabile danno per il ricorrente; -dichiarare, previo accertamento, inesistente ovvero priva di rilevanza giuridica la notifica della cartella di pagamento n. (...), e per l'effetto annullarla, con consequenziale dichiarazione di insussistenza del suddetto credito; -dichiarare, previo accertamento, prescritto il credito di cui alla cartella di pagamento n. (...), e per l'effetto dichiarare nulla più dovuto, per il suddetto titolo dall'esponente; - condannare la controparte anche al pagamento delle spese e competenze del presente procedimento." Si costituiva l'INPS eccependo in via pregiudiziale l'inammissibilità del ricorso per i motivi meglio specificati in comparsa e, nel merito chiedendo il rigetto di qualsiasi domanda in quanto nulla, inammissibile ed infondata nonché, in via subordinata, che fosse accertato e dichiarato il diritto del resistente e per esso dell'Ente della Riscossione di procedere ad esecuzione forzata relativamente ai crediti accertati in corso di causa, con vittoria di spese. Si costituiva altresì l'A.D.E.R., a seguito di integrazione del contraddittorio disposta da questo GL con Provv. datato 8 maggio 2019, opponendosi all'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva dell'atto impugnato per insussistenza dei presupposti di legge, stante la mancata prova del danno grave e irreparabile onde poter avanzare una simile richiesta. Inoltre, eccepiva l'inammissibilità dell'opposizione avverso estratto di ruolo per avvenuta notifica della cartella di pagamento contestata e per carenza di interessa ad egire e chiedeva il rigetto del ricorso in quanto infondato. All' odierna udienza, sulle conclusioni delle parti, all'esito della discussione a trattazione scritta, la causa era decisa con la seguente motivazione. In via preliminare, va vagliata l'eccezione sollevata da parte attorea relativa alla carenza dello ius postulandi del difensore dell'Agenzia delle Entrate - Riscossione, avv. Ma.Lu., in quanto avvocato del libero foro. L'art. 1, comma 8, del D.L. n. 193 del 2016 conv. nella L. n. 225 del 2016, prevede, in ordine alla difesa in giudizio che: "L'Ente è autorizzato ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ai sensi dell'art. 43 del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura di Stato, di cui al R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, fatte salve le ipotesi di conflitto e comunque su base convenzionale. Lo stesso ente può altresì avvalersi, sulla base di specifici criteri definiti negli atti di carattere generale deliberati ai sensi del comma 5 del presente articolo, di avvocati del libero foro, nel rispetto delle previsioni di cui agli articoli 4 e 17 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ovvero può avvalersi ed essere rappresentato, davanti al tribunale e al giudice di pace, da propri dipendenti delegati, che possono stare in giudizio personalmente; in ogni caso, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli interessi economici, l'Avvocatura dello Stato, sentito l'ente, può assumere direttamente la trattazione della causa. Per il patrocinio davanti alle commissioni tributarie continua ad applicarsi l'articolo 11, comma 2,del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Per la tutela dell'integrità dei bilanci pubblici e delle entrate degli enti territoriali, nonché nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali e delle società da essi partecipate sono affidate a soggetti iscritti all'albo previsto dall'art. 53 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446". Dalla lettura di tale disposizione si evince che l'affidamento della difesa dell'ente all'Avvocatura dello Stato non è generalizzato, non riguardando l'intero contenzioso, ma avviene su "base convenzionale". Detta convenzione è rappresentata dal Protocollo del 22.06.2017 intercorsa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate - Riscossione pubblicato sui siti internet di entrambi i contraenti. Nelle premesse del Protocollo si legge che: "Le parti, ponderate le rispettive esigenze organizzative, anche in considerazione dell'organico e dei carichi di lavoro rappresentati dall'Avvocatura dello Stato, hanno di comune accordo individuato le tipologie di controversie da affidare al patrocinio dell'Avvocatura, indicate all'art. 3". Per quanto di rilievo nella specie, l'art. 3, comma 4 ("Contenzioso afferente l'attività di Riscossione") stabilisce che: "L'Avvocatura assume il patrocinio nei seguenti casi: - azioni risarcitorie (escluse quelle radicate davanti al Giudice di pace, anche in fase di appello); - azioni revocatorie, di simulazione e ogni altra azione ordinaria a tutela dei crediti affidati in riscossione; - altre liti innanzi al Tribunale civile e alla Corte di Appello civile nelle ipotesi in cui sia parte anche un ente difeso dall'Avvocatura dello Stato; - liti innanzi alla Corte di Cassazione civile e tributaria. In tutte le altre ipotesi di contenzioso riguardante la riscossione, quindi, l'ente sta in giudizio, di regola, avvalendosi di propri dipendenti (ove consentito) o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco Avvocati, redatto e pubblicato seguendo la procedura indicata nell'apposito Regolamento di amministrazione dell'ente". Tale eccezione risulta pertanto destituita di fondamento e va disattesa. Tanto premesso, l'opposizione è inammissibile per difetto di interesse ad agire. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: "L'impugnazione diretta del ruolo esattoriale, da parte del debitore che chieda procedersi ad un accertamento negativo del credito dell'Amministrazione in esso risultante, è inammissibile per difetto di interesse, sempre che le cartelle esattoriali siano state regolarmente notificate, non prospettandosi tale accertamento come unico strumento volto ad eliminare la pretesa impositiva della Amministrazione, alla quale, invece, il debitore può rivolgersi in via amministrativa, domandando l'eliminazione del credito in autotutela mediante il cd. Sgravio". (v. Cass. n. 22946 del 2016). Secondo quanto risulta dagli atti, il concessionario della riscossione, non ha intrapreso alcuna iniziativa finalizzata alla "riscossione" dei crediti di cui alla cartella in esame, di cui parte ricorrente deduceva essere giunta a conoscenza solo a seguito di una verifica spontaneamente eseguita presso gli Uffici del concessionario. Orbene, stante l'orientamento condiviso di questa sezione (cfr. in particolare, sentenze del Tribunale di Avellino n. 318/2020 G.L. Dott. (...) del 10/09/2020 e n. 108/2021 G.L. Dott.ssa (...) del 17/02/2021) tendente ad applicare il principio di cui alla sentenza n. 22946/2016 della Suprema Corte, cui peraltro si intende dare continuità, il debitore avrebbe potuto eliminare il provvedimento afflittivo, ossia la cartella esattoriale ancora iscritta a ruolo e costituente titolo esecutivo nei suoi confronti, la cui riscossione a suo avviso non era più esigibile per intervenuta prescrizione del credito dell'amministrazione, attivandosi in via amministrativa, ovvero limitandosi a richiedere lo sgravio, in via di autotutela del credito dell'amministrazione ormai prescritto ed evitare di esercitare l'azione di accertamento negativo del medesimo. Si riporta uno stralcio saliente della motivazione della sentenza n. 22946/2016:" La Corte d'appello ha accertato che le cartelle esattoriali erano state a suo tempo regolarmente notificate al Signor X. Egli era quindi (o avrebbe potuto essere, il che è equivalente) ben a conoscenza della esistenza del credito vantato dall'amministrazione nei suoi confronti, che non aveva tempestivamente opposto. L'impugnazione della cartella esattoriale, la cui esistenza risulti da un estratto di ruolo rilasciato dal concessionario per la riscossione su richiesta del debitore è ammissibile a prescindere dalla notificazione di essa congiuntamente all'estratto di ruolo soltanto se il contribuente alleghi di non aver mai avuto conoscenza in precedenza della cartella per un vizio di notifica, e quindi solo in funzione recuperatoria. Diversamente opinando, e cioè ammettendo l'azione di mero accertamento negativo del credito risultante dalla cartella o dal ruolo tutte le volte in cui il contribuente si procuri un estratto di ruolo in cui essa sia riportata si produrrebbe l'effetto distorto di rimettere in termini il debitore rispetto alla possibilità di impugnare la cartella anche in tutti i casi (come il presente) egli fosse già stato ben a conoscenza, in precedenza, della sua inesistenza. Nel caso sottoposto al nostro esame, il debitore intendeva poi far valere fatti estintivi del credito successivi alla formazione del titolo (in particolare, la prescrizione). Lo strumento a sua disposizione sarebbe stato, a fronte dell'iniziativa esecutiva dell'amministrazione in forza di un credito prescritto, l'opposizione all'esecuzione. Nel caso di specie, però, nessuna iniziativa esecutiva è stata intrapresa dall'amministrazione. L'impugnazione diretta del ruolo esattoriale da parte del debitore che chieda procedersi ad un accertamento negativo del credito dell'amministrazione ivi risultante deve ritenersi inammissibile per difetto di interesse non prospettandosi tale accertamento come l'unico strumento volto ad eliminare la pretesa impositiva dell'amministrazione: ben avrebbe potuto infatti il debitore, rivolgersi direttamente all'amministrazione, in via amministrativa, chiedendo l'eliminazione del credito in via di autotutela (il c.d. sgravio). Avendo egli uno strumento per eliminare la pretesa dell'amministrazione a cui far ricorso, ciò rende non percorribile per difetto di interesse, la proposizione di un'azione di mero accertamento. A ciò si aggiunga una considerazione di carattere generale, sulla possibilità di far valere, in via di azione, l'intervenuta estinzione per prescrizione di un diritto altrui. Il debitore intendeva infatti far accertare, con l'azione di mero accertamento, l'estinzione del suo debito per intervenuta prescrizione. È ben vero che l'ordinamento, con la disciplina della prescrizione, attribuisce al soggetto passivo del rapporto la disponibilità dell'effetto estintivo, escludendone la rilevabilità d'ufficio. Tuttavia, l'attribuzione al debitore della scelta se far valere o meno l'estinzione della pretesa nei suoi confronti in dipendenza dell'inerzia del creditore prolungata nel tempo è strutturata, nella previsione normativa (artt. 2938 e 2939 c.c.) nella forma dell'eccezione, ovvero della facoltà del debitore di opporsi all'altrui pretesa creditoria, ove la stessa sia fatta valere nei suoi confronti e sia fatta valere quando ormai l'inerzia del titolare del diritto si è protratta per il periodo di tempo preso in considerazione dalla legge al fine di determinare l'estinzione. Deve escludersi, perché estranea all'operatività giudiziale e oppositiva della prescrizione come fatto estintivo del credito altrui, che essa possa essere fatta valere in via di azione, a mezzo, come in questo caso, di un'azione di mero accertamento". La predetta pronuncia, come si evince dalla motivazione, si riferisce espressamente ad un caso in cui era stata provata in giudizio la regolare notifica delle cartelle esattoriali presupposte e non tempestivamente opposte. Caso del tutto analogo alla fattispecie de qua. Invero, nonostante parte ricorrente, lamentasse la mancata notifica dell'atto presupposto, tuttavia, dall'esame degli atti è risultata la prova dell'avviso di ricevimento prodotto in copia dall'A.D.E.R. della cartella di pagamento oggetto di contestazione, consegnato e ricevuto il 10.02.2005. Ciò posto, l'affermazione della inesistenza della notifica è infondata. A sostegno delle proprie ragioni e a riprova di quanto assunto in ricorso, all'udienza del 5.05.2020 parte attorea disconosceva la conformità delle copie prodotte telematicamente dall'ADER al loro originale, come si evince testualmente dal verbale di udienza, e più precisamente, "sia dell'avviso di ricevimento con data di presunta notifica il 20.12.2005, in quanto riferita ad una cartella di pagamento che non forma oggetto di opposizione oltre ad avere quale destinatario un soggetto diverso dal ricorrente, per cui, se ne disconosce altresì la sottoscrizione, sia dell'avviso di ricevimento con n. di racc. (...)-8 in quanto non riporta il numero civico della Via di residenza del C., né è intellegibile il numero seriale della cartella di pagamento ivi riportata, né la data di presunta ricezione, oltre a non essere la sottoscrivente riconducibile all'esponente né a un suo familiare convivente". Orbene, la generica contestazione della conformità della copia all'originale è inammissibile, appunto perché generica. Detto disconoscimento, che fa perdere alla stessa qualità di prova, pur non soggetto ai limiti ed alle modalità previste dall'art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, secondo quanto sancito dalla Suprema Corte (Cass., Sez, L. n. n. 03122 del 2015). Inoltre, il C. solo nel corso del giudizio affermava la non ritualità della notifica effettuata dal concessionario. Detto ultimo motivo integra un motivo di opposizione che andava proposta entro 20 giorni dalla conoscenza della cartella (avvenuta secondo quanto asserito dal ricorrente il 23.04.2018, data risultante dall estratto di ruolo prodotto in atti), laddove il ricorso è stato tardivamente depositato il 17.05.2018, ossia circa 24 giorni dopo. Analogo modus operandi è stato utilizzato anche nella causa iscritta al RG n. 1256/2018 cui è stata riunita la n. 1285/2018. Orbene, come ribadito dalla Suprema Corte nell'ordinanza n. 13085 del 2022 "il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all'originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma 2 c.p.c, perché mentre quest'ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni. Ne consegue che l'avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all'originale, tuttavia, non vincola il giudice all'avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l'efficacia rappresentativa" (Cass. n. 12737 del 2018). Quanto alla presunta impossibilità di individuare la persona cui la raccomandata n. (...)-8 è stata consegnata e al disconoscimento della sottoscrizione non riconducibile all'esponente né a un suo familiare convivente, da tale ultimo avviso di ricevimento si evince chiaramente che il ricevente sia un familiare convivente, e, più precisamente la moglie del ricorrente, il che appare sufficiente ad individuare il soggetto cui la sottoscrizione è attribuita. Ad ogni buon conto, valga il principio secondo il quale: "La cartella esattoriale può essere notificata, ex art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento nel qual caso è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senza alcun altro adempimento da parte dell'ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull'avviso di ricevimento da restituire al mittente" (sent. Cass. n. 1091 del 2013). Addirittura "La notifica della cartella di pagamento è specialmente disciplinata dall'art. 26, D.P.R. n. 602 del 1973 e può farsi direttamente dal concessionario mediante lettera raccomandata senza affidamento a soggetti abilitati e, perciò senza che debba formarsi alcuna relata di notifica. Al concessionario viene fatto obbligo di conservare per anni cinque l'avviso di ricevimento della raccomandata, per cui lo stesso costituisce l'unica prova richiesta dell'avvenuta notifica a mezzo di spedizione postale". Relativamente all'intellegibilità della sottoscrizione del ricevente apposta sull'avviso di ricevimento, consolidata giurisprudenza di legittimità ha affermato che: "Nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, la consegna deve ritenersi validamente effettuata amani proprie del destinatario, fino a querela di falso, ove l'atto sia stato consegnato all'indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l'avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla firma del destinatario o di persona delegata" (cfr. Cassazione civile, Sez. unite, 17 giugno 2010, n. 14617). Né in tema di notificazioni a mezzo posta, l'art. 4 della L. 20 novembre 1982, n. 890 prescrive che l'avviso di ricevimento debba essere sottoscritto, dal consegnatario del piego con firma leggibile, per cui, il precetto di legge è evidentemente soddisfatto anche nel caso in cui la sottoscrizione sia illeggibile. Ciò posto, la notifica, non può dirsi inesistente ed il ricorrente era quindi (o avrebbe dovuto essere, il che è equivalente) ben a conoscenza dell'esistenza del credito vantato dall'Amministrazione. Il ricorso, cui pertanto non può essere attribuita funzione recuperatoria come nel caso di omessa notifica, va quindi dichiarato inammissibile per difetto di interesse ad agire. Discende da quanto precede la decisione di cui al dispositivo, restando assorbita ogni altra domanda o eccezione. Compensa le spese di lite stante l'esito del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale, nella intestata composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione o deduzione disattesa, così provvede: a) dichiara inammissibile il ricorso per le ragioni di cui in parte motiva; b) compensa le spese di lite. Così deciso in Avellino il 4 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO SECONDA SEZIONE CIVILE In composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa Maria Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento civile iscritto al n. 3437/2013 R.G.A.C.C., avente ad oggetto: risarcimento danni, vertente TRA (...) s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. (...), elett.te dom.to in Grottolella (AV) alla via (...) presso lo studio dell'Avv. (...), in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione; - opponente - E Comune di Serino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...), domiciliatario in Avellino, alla via (...), in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta; -opposta - MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Al fine di decidere se vi è giurisdizione del giudice ordinario nella materia in esame, occorre esporre la domanda proposta e la prospettazione. La società attrice espone di svolgere attività di stoccaggio e trattamento di rifiuti pericolosi e non, e di essere proprietaria di un impianto nella zona industriale ASI di Pescarole del Comune di Serino. Che il Comune, già nel 2006, in data antecedente alla realizzazione dell'impianto della (...), "si era impegnato" a realizzare nell'area PIP indicata un depuratore comunale da porre a servizio degli insediamenti industriali ivi allocati al fine di ridurre i costi di smaltimento delle acque reflue; il comune, pertanto, con delibera del 2006 n. 112 aveva approvato il relativo progetto, nei successivi anni aveva adottato bando, capitolato, crono programma, come da atti analiticamente indicati; in data 9.11.2009 aveva stipulato il contratto per la esecuzione delle opere con termine di realizzazione del 12.1.2011; all'attualità l'impianto non era funzionante. Poiché l'impianto non era mai entrato in esercizio per fatto e colpa dell'amministrazione, il cui ritardo nell'adozione di tutti i necessari provvedimenti era inscusabile, ha chiesto, in ragione del ritardo patito, tutti i danni rappresentati dal maggior costo sopportato per smaltire i reflui presso impianti di terzi. In particolare, nell'atto di citazione l'attore qualifica la citata delibera del 2006 come una promessa unilaterale al pubblico ex art. 1989 c.c. di realizzare il depuratore. Ai sensi dell'art. 1989 c.c., la promessa al pubblico è un negozio unilatelare dotato di efficacia in deroga alla regola generale stabilita dall'art. 1987 c.c. e perciò vincolante per il promittente a prescindere dalla manifestazione di consenso dei beneficiari; ove contenga gli elementi del contratto cui è preordinata, costituisce offerta al pubblico ex art. 1336 c.c., revocabile solo fino a che non sia intervenuta accettazione da parte degli interessati. Approfondire la questione delle riconducibilità della delibera nell'una o nell'altra fattispecie è esercizio superfluo poiché ciò che è certo è che l'attore non è beneficiario diretto di alcuna promessa, se è vero che la stessa sarebbe stata fatta addirittura prima della realizzazione del suo impianto. In ogni caso dalla lettura della delibera non pare che sia stata formulata una promessa e men che meno un'offerta: si tratta di un'ordinaria delibera di approvazione di un progetto di opera pubblica. Nessun vincolo contrattuale è mai sorto con l'attore né vi sono vincoli obbligatori unilaterali. Al più la domanda di danno potrebbe ricondursi nello schema generale dell'art. 2043 c.c. In ogni caso occorrerebbe anche approfondire se vi è una posizione tutelabile del terzo a fronte di un ritardo generico della p.a. nel realizzare opere pubbliche (cd. danno da mero ritardo). Ma in ogni caso la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo anche laddove si dibatta di diritti soggettivi in virtù della materia trattata e del riparto di giurisdizione dettato dal nuovo codice amministrativo. Infatti, è pacifico che nella specie si dibatte del ritardo della p.a. nell'adottare tutti i provvedimenti necessari al fine di realizzare un'opera pubblica vantaggiosa in particolare per taluni operatori economici. Orbene, sia la fattispecie di danno da ritardo per tardiva adozione di provvedimento favorevole, con preventivo accertamento della spettanza diretta del bene della vita richiesto in capo al danneggiato, sia quella di danno da mero ritardo nell'azione della p.a., a prescindere dall'accertamento della spettanza del bene della vita richiesto, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. a) del d.Lgs. 2010 n. 104 (risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo); si tratta, infatti, di provvedimenti che restano amministrativi anche quando la realizzazione dell'opera pubblica per fini collettivi, investe privati che hanno interesse ad ottenere vantaggio proprio. Il danno da ritardo ha avuto il suo primo fondamento normativo con l'art. 2 bis della l. 241 del 1990 introdotto nella sua versione originaria dall'art. 7 della l. 18.6.2009, n. 69. Nella categoria del danno da ritardo possono essere ricondotte tre ipotesi: 1. l'adozione tardiva di un provvedimento legittimo ma sfavorevole per il privato interessato; 2. l'adozione di un provvedimento favorevole ma tardivo; 3.la mera inerzia e cioè la mancata adozione di un provvedimento. La seconda ipotesi coincide con il risarcimento dell'interesse legittimo pretensivo riconosciuto sin dalla nota sentenza n. 500 del 1999 delle sezioni Unite della Corte di Cassazione; le altre hanno avuto riconoscimento giurisprudenziale più limitato e solo in epoca più recente. In particolare, mentre talune pronunce della giurisprudenza amministrativa riconoscono il danno da ritardo solo quando sia stata accertata la spettanza diretta del bene della vita in capo al privato (da intendersi riferibile all'adozione del provvedimento richiesto; cfr. Consiglio di Stato 2013, n. 1406), secondo altre, il tempo costituisce un bene della vita risarcibile a prescindere dalla spettanza o meno del provvedimento favorevole, soprattutto quando si tratti di attività imprenditoriale, e va, dunque, riconosciuto il danno da mero ritardo (Cons. Stato 2014, n. n. 468). La fattispecie del danno da ritardo mero, infatti, muove dal presupposto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un 'costo', dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell'attuazione di piani finanziari relativi a progetti imprenditoriali, condizionandone la relativa convenienza economica; in questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell'aumento del c.d. "rischio amministrativo". Con la codificazione del processo amministrativo (D.Lgs. 104 del 2010) sono state apportate rilevanti modifiche all'art. 2 bis cit. ma soprattutto sono state ricondotte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande di danno da ritardo. In altri termini, vi è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella ordinaria fattispecie del danno da ritardo per tardiva adozione di provvedimento favorevole, con preventivo accertamento della spettanza del bene della vita richiesto in capo al danneggiato: tale forma di tutela risarcitoria sostanzialmente coincide con il risarcimento dell'interesse legittimo pretensivo, come già esposto (cfr. Cons. St., sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63). Ma vi è giurisdizione esclusiva del g.a. anche nella ipotesi, sicuramente controversa e frutto di più recenti elaborazioni giurisprudenziali, del danno da mero ritardo, con la quale, secondo un'opinione, minoritaria in giurisprudenza, si potrebbero risarcire i danni derivanti dal puro e semplice superamento dei termini di conclusione del procedimento, a prescindere dall'accertamento della spettanza del bene della vita finale, come appare più propriamente nella specie. Va, dunque, dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rientrando la controversia nella giurisdizione del giudice amministrativo dinanzi al quale la causa dovrà essere riassunta nei termini di legge. La particolarità e complessità della questione e la complessa elaborazione giurisprudenziale, integrano "gravi motivi", nel senso voluto dalle disposizioni che regolano la soccombenza ed applicabili ratione temporis, per compensare interamente tra le parti le spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. dichiara il proprio difetto di giurisdizione, rientrando la controversia nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dinanzi al quale il giudizio dovrà essere riassunto nei termini di legge; 2. compensa le spese. Così deciso in Avellino il 12 aprile 2017. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA                      IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                  IL TRIBUNALE DI AVELLINO – SECONDA SEZIONE CIVILE        in composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa Maria Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente                           SENTENZA                          nella causa civile iscritta al n. 5031 del Registro Generale Affari  Contenziosi dell'anno 2012, avente ad oggetto: "esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre, danni e altro", vertente                  TRA                             An. Ce. (c.f.: (omissis...)) e Ma. De Le. (c.f.: (omissis...)),   rappresentati e difesi dall'Avv. Roberto Raimondi, domiciliatario in Mercogliano, alla via (omissis...), giusta mandato a margine  dell'atto introduttivo                                                 - attori -  E                             GRC Consulting s.r.l., in personale legale rappresentante p.t., con  sede in (omissis...), rappresentata e difesa dall'Avv. Salvatore Fontana, elett. dom.to in Solofra (AV), alla via Felice De Stefano n. 65, presso lo studio dell'Avv. An. De Stefano, in virtù di mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;                    - convenuta –                                       NONCHE'                        Gi. Ia. (c.f.: (omissis...)), rappresentato e difeso dall'Avv. Modestino Batista, domiciliata rio in Atripalda (AV), alla via Madre Te. di Calcutta n. 3, in virtù di mandato a margine della comparsa di intervento   -Interventore volontario-       Conclusioni:                     le parti hanno concluso come da atti e verbali di causa.             Motivi di fatto e di diritto della decisione 1.Sulla domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c.. All'esito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto in corso di causa, è stata già accolta l'istanza cautelare attorea di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto preliminare concluso con la GRC Consulting in data 11.6.2009 e, per l'effetto, è stato disposto il trasferimento dalla società convenuta in favore degli attori indicati in epigrafe dell'immobile dedotto in lite, ben descritto nel ricorso cautelare e in citazione, subordinando il pagamento del residuo prezzo da parte del promissario acquirente all'estinzione, da parte del promittente alienante, dell'ipoteca gravante sull'immobile e del pignoramento, meglio indicati in parte motiva; è stato, altresì, ordinato al convenuto di provvedere all'ottenimento del rilascio delle autorizzazioni necessarie ed all'accatastamento (cfr. ordinanza del 4.2.2014). Più in dettaglio, nel provvedimento richiamato, in punto di fumus, sono state svolte le argomentazioni che si riprenderanno di seguito, ampiamente utilizzabili anche nella presente sentenza, atteso che la istruttoria svolta, anche a mezzo c.t.u., ha confermato le doglianze attoree in punto di inadempimento grave del promissario venditore. Orbene, non è contestato che in esecuzione del contratto preliminare dell'11.6.2009 avente ad oggetto l'immobile di cui è lite, i ricorrenti abbiano versato la totalità del prezzo di vendita (€ 262.000,00: 237.000,00 come indicato nel provvedimento cautelare cui vanno aggiunti documentati € 25.000,00); il termine per la stipula del preliminare è stato convenuto entro sessanta giorni dalla consegna ed in ogni caso a scadere entro non oltre il 31.12.2011; con accordo integrativo, il termine per l'ultimazione dei lavori di spettanza della convenuta (impianto elettrico) è stato prorogato al 14.6.2012 (con previsione anche di una penale per il ritardo), data entro la quale i ricorrenti avrebbero dovuto essere immessi nel possesso dell'immobile con effettiva consegna delle chiavi anche se subordinatamente al rilascio delle autorizzazione ed all'accatastamento dell'immobile (obblighi questi ultimi tutti posti a carico della convenuta); in tale accordo integrativo, premesso che il terreno su cui erano stati edificati gli immobili era gravato da ipoteca in favore della Banca Cooperativa Irpina soc. coop. a r.l., con sede in (omissis...) del 20.10.2008 (accesa in epoca successiva al preliminare) e che era anche iniziata una procedura esecutiva su istanza del creditore 2M Appalti per il mancato pagamento proprio di taluni lavori di costruzione (R.G.E. n. 36/2012), la convenuta si era impegnata anche a cancellare l'ipoteca sul terreno e ad estinguere la ridetta procedura. La convenuta, secondo la prospettazione degli istanti, a tutt'oggi non aveva consentito la stipula del definitivo; non aveva ultimato i residui lavori, nè predisposto alcun atto per l'accatastamento e per il ritiro delle necessarie autorizzazione; non aveva neppure provveduto a cancellare l'ipoteca e ad estinguere la procedura esecutiva. Iniziata la procedura esecutiva immobiliare sui terreni ove erano stati edificati gli immobili – nelle more del giudizio di merito, con atto di pignoramento trascritto il 22.2.2012 - erano intervenuti nella procedura numerosi creditori per somme considerevoli, sicchè vi era il pericolo imminente ed irreparabile che il bene promesso in vendita fosse venduto a terzi. Orbene, tutto quanto esposto dagli istanti è documentalmente provato; peraltro, a fronte di specifiche contestazioni, la società convenuta non ha dedotto nulla di significativo. Va evidenziato, inoltre, che gli attori sono nel possesso del bene dal mese di luglio 2012. Tale immissione è stata definita arbitraria dalla convenuta la quale assume che erano stati i ricorrenti ad impedire la chiusura del cantiere perchè non avevano consentito di recuperare del materiale necessario per ultimare i lavori, e che la loro condotta era oggetto di separato giudizio penale dinanzi al giudice di pace (si segnala anche l'apposizione di talune scaglie di marmo in sostituzione del percorso pedonale); ha precisato la convenuta che proprio tale occupazione rappresentava inadempimento dello stesso istante al rispetto degli obblighi di cui al contratto integrativo (ove si era concordato il trasferimento del possesso all'esito del completamento dei lavori all'impianto elettrico, rilascio autorizzazioni ed accatastamento, punto n. 6). Premesso che la sospensione del giudizio civile in pendenza di giudizio penale (pure chiesta) non è ipotesi contemplata vigendo nel sistema processuale il principio dell'autonomia dei giudizi (come già deciso con ordinanza cui si rimanda nel giudizio di merito, ove è stata posta analoga questione dalla convenuta); ribadito che i lavori da concludere sarebbero solo quelli – minimi - riferibili all'impianto elettrico, non può non evidenziarsi che le difese della convenuta - che a sua volta prospetta gli inadempimenti di controparte sopra indicati a sostegno della eccezione d'inadempimento e della richiesta di rigetto delle pretese attoree - sono limitate a tali questioni, sicchè emerge all'evidenza che nella valutazione dei reciproci inadempimenti è ben più grave la condotta della convenuta che, a fronte di precisi obblighi temporali di consegna e immissione del possesso, e dopo aver ricevuto l'intero prezzo, non è addivenuta alla stipula del definitivo, ha acceso ipoteca in favore di una Banca in epoca successiva al preliminare, non ha adempiuto all'obbligo di cancellazione dell'ipoteca ed all'estinzione di una procedura esecutiva in violazione degli impegni di cui all'accordo integrativo, non si è attivata per il rilascio delle autorizzazioni e per provvedere all'accatastamento, a fronte della condotta degli istanti che non si comprende bene in che modo impedirebbero il recupero di materiali (peraltro, di ben scarsa importanza) ed il completamento dei lavori ovvero l'accatastamento dell'immobile e quanto altro necessario. Inoltre, l'occupazione dell'immobile da parte dei convenuti, rappresenta inadempimento agli obblighi di cui alla scrittura integrativa che, a fronte delle reciproche contestazioni, appare di per sè meno grave, seppur censurabile; peraltro, tale condotta non è che conseguenza delle inadempienza della convenuta se è vero che il trasferimento del possesso era condizionato ad attività che la convenuta stessa doveva compiere e non ha posto in essere. Va, dunque, accolta la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto e, per l'effetto, va disposto il trasferimento dalla società convenuta in favore dei ricorrenti dell'immobile dedotto in lite, ben descritto in ricorso e nella citazione del giudizio di merito. Va, inoltre, ordinato al convenuto di provvedere all'ottenimento del rilascio delle autorizzazioni necessarie ed all'accatastamento nonchè alla cancellazione della ipoteca ed alla estinzione della procedura esecutiva, obblighi posti a carico della convenuta giusta scrittura integrativa suindicata. Fissa il termine di mesi sei per l'adempimento di tali obblighi. 2.Sulla domanda di riduzione del prezzo. Quanto al diritto alla riduzione del prezzo va chiarito che parte attrice lo correla in primo luogo alla diminuzione del valore del bene non per la presenza di vizi della cosa riconducibili in diritto nella speciale azione di garanzia di cui all'art. 1490 c.c., ma per il mancato completamento dell'opera e per il sostanziale inesatto inadempimento, in riferimento specifico al completamento dell'immobile, il che dà luogo ad un'ordinaria azione di riduzione del prezzo (o risoluzione o risarcimento) svincolata dalla disciplina dei vizi (Cass. 1991, n. 8834), poichè si tratta di riequilibrare le reciproche prestazioni. Non vi è dubbio, dunque, sul diritto di parte attrice ad ottenere la riduzione del prezzo per il mancato completamento dell'immobile. Sul punto il c.t.u. nominato in giudizio, nella relazione in atti, ivi da intendersi integralmente richiamata e trascritta, ha calcolato il costo di lavori di completamento, che ha compiutamente descritto, in complessivi € 4.668,35. Quanto alla ulteriore riduzione del prezzo dell'immobile, gravato pure da una ipoteca che all'attualità la convenuta non ha inteso cancellare, va premesso, in linea del tutto generale, che il destinatario di una promessa di vendita immobiliare, ove la cosa sia gravata da garanzie reali o da vincoli della cui esistenza egli non sia stato edotto, può esercitare, in luogo dell'azione di risoluzione del contratto per inadempimento, quella di esecuzione in forma specifica dell'obbligazione assunta dall'altra parte, ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., nonchè contestualmente la "quanti minoris", in ragione della corrispondente diminuzione di valore del bene (Cass. 2000, n. 7471). Parte attrice ha documentato e dimostrato che vi è ipoteca a favore della Banca di credito Cooperativo Irpino sui terreni ove è stata realizzata la villetta bifamiliare (quella sub A nella relazione di consulenza è quella attribuita agli attori, quella sub B è ancora in proprietà della convenuta) per € 900.000,00 Nella specie l'ipoteca è stata accesa dal promissario venditore dopo il preliminare e vi è stato un accordo integrativo tra le parti contenente pure l'obbligo di cancellare l'ipoteca a carico del predetto, all'attualità non adempiuto; anche tale evenienza non solo è fonte di danno, ma lascia integra la necessità di riequilibrare le prestazioni per il minor valore dell'immobile. In tal caso, fermo restando il consolidato principio sopra esposto secondo cui l'art. 2932 c.c. non esaurisce la tutela della parte adempiente, è forse più calzante al caso di specie, il diverso e connesso principio, al quale deve darsi qui piena adesione, in base al quale, in materia di contratto preliminare di vendita immobiliare, l'inadempienza del promittente all'obbligo di provvedere alla cancellazione di pregresse ipoteche, ovvero la sopravvenienza di trascrizioni o iscrizioni implicanti pericolo di evizione, non osta a che il promissario possa chiedere l'esecuzione in forma specifica a norma dell'art. 2932 cod. civ. e comporta che il promissario medesimo, ove si avvalga di tale facoltà, sia dispensato dall'onere del pagamento o della formale offerta del prezzo (di cui sia previsto il versamento all'atto della stipulazione del definitivo), potendo chiedere che il giudice, con la pronuncia che tenga luogo del contratto non concluso, fissi condizioni e modalità di versamento idonee ad assicurare l'acquisto del bene libero da vincoli ed a garantirlo dall'eventualità dell'evizione (v. sent. 22.12.1988 n. 7013, 27.2.1985 n. 1720). Ben può consentirsi, allora che il promissario acquirente impieghi le eventuali somme ancora dovute per residuo prezzo per cancellare le iscrizioni o trascrizioni gravanti sull'immobile attuando un legittimo intervento di riequilibrio delle contrapposte prestazioni, laddove ciò sia sufficiente, oppure può subordinarsi il pagamento del residuo prezzo all'estinzione, da parte del promittente alienante, dell'ipoteca -vedi Cass. 2004, n. 8143- fermo restando il minor valore dell'immobile e i danni ulteriori laddove sussistenti. Va però chiarito che la riduzione del prezzo richiesta espressamente ex art. 1482 c.c. non può essere rapportata alla somma pari alla porzione di debito garantito da ipoteca con la Banca (che il ricorrente indica in oltre 254 mila Euro), trattandosi di danno solo ipotetico e potenziale. Al più può considerarsi un danno da deprezzamento dell'immobile a causa dell'omessa cancellazione della ipoteca stessa, che il c.t.u. non ha quantificato, ricollegabile a difficoltà di rivendita e commercializzazione. Infatti, il compratore è stato messo a conoscenza del vincolo ed ha pattuito l'obbligo del venditore di provvedere alla cancellazione della ipoteca (art. 1482 comma 3); in tal caso non può essere chiesta la risoluzione del contratto ma il venditore è tenuto a liberare il bene entro il termine stabilito dalle parti o fissato giudizialmente; inoltre, il venditore è tenuto verso di lui solo in caso di evizione ma la garanzia prevista non opera fino a che la evizione non si materializzi, ovvero non si è verificata la perdita totale o parziale del bene acquistato (Tribunale Orvieto, 21.11.1996: "Nel caso di compravendita, conclusa durante una procedura fallimentare, di bene immobile gravato da ipoteca, gli acquirenti hanno diritto; se hanno pagato il prezzo e sono a conoscenza dell'iscrizione ipotecaria, a che il venditore intervenga ex art. 1482, comma 3, c.c., in caso di evizione. Tuttavia, tale garanzia non opera se l'evizione non si è ancora materializzata e cioè non si è verificata la perdita, totale o parziale, del diritto acquistato, e neppure il pericolo di detta perdita che, nella fattispecie, trattandosi di bene gravato da ipoteca nota all'acquirente, esiste "in re ipsa"; Trib. Torino, 10/01/1983, n. 961: Nell'ipotesi di un immobile compravenduto come libero da ipoteche, e come tale (espressamente dichiarato e quindi) garantito, risulti invece essere gravato da ipoteca già esistente al momento dell'atto di compravendita, l'acquirente ha - almeno in linea di principio - la possibilità di scegliere fra varie azioni per reagire a tale situazione nei confronti del venditore, e cioè le azioni specifiche ex art. 1482 c.c., ex art. 1483 c.c. e ex art. 1497 c.c. e l'azione generica di garanzia: però l'azione ex art. 1483 c.c. può essere esercitata solo dopo che sia effettivamente intervenuta l'evizione - in particolare, nel caso che il terzo creditore ipotecario eserciti l'azione esecutiva per l'espropriazione forzata immobiliare, non basta la pendenza della procedura esecutiva a creare presupposti dell'azione ex art. 1483 c.c. ma occorre che tale procedura sia sfociata nella pronuncia del decreto di trasferimento dell'immobile ipotecato). Non è un caso, infatti, che nella citazione la riduzione del prezzo è orientativamente indicata in € 50.000,00 dalla stessa parte attrice ed è tale somma che può essere presa in considerazione dalla scrivente, stimandosi equa una tale prospettata riduzione di valore del bene, da ricollegare esclusivamente al minor valore dell'immobile in ragione delle evidenti difficoltà di eventuali future commercializzazioni. Conseguentemente, poichè alla società convenuta è già stato dato ordine di cancellare l'ipoteca e di estinguere la procedura esecutiva entro il termine di mesi sei dalla presente sentenza, va disposto che sia dovuto a parte attrice un risarcimento di € 50.000,00, poichè resta fermo, come da giurisprudenza richiamata, il minor valore del bene. 3.I danni ulteriori. Vi è poi il diritto alla penale per il ritardo pattuita convenzionalmente quanto all'ultimazione dei lavori, che ascende ad € 24.660,00 al settembre 2014, come pure indicato dal c.t.u.; è fondata anche la domanda di danno per il mancato utilizzo dell'immobile e per l'acquisto degli impianti (elettrico e di riscaldamento): a tale titolo sono documentati esborsi per € 6.000,00. In conclusione, nella specie la tutela dovuta riguarda la riduzione del prezzo per mancato completamento dell'opera; la penale pattuita; gli esborsi per mancato uso dell'immobile ed acquisto impianti; il deprezzamento dell'immobile per la presenza di un'ipoteca. Va, dunque, condannata la società convenuta al pagamento in favore di parte attrice dell'importo complessivo di € 85.328,35 che, rivalutata all'attualità rispetto alla perizia, diviene pari ad € 86.181,63. Tale somma va devalutata al momento del fatto (individuabile nella data ultima di consegna dei lavori del 14.6.2012) e su tale importo sono dovuti gli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata in applicazione dei notori insegnamenti della giurisprudenza di legittimità (Cass. 1995, n. 1712) riferibili sia all'illecito contrattuale che extracontrattuale. L'importo finale è di € 90.991,92, oltre interessi dalla presente sentenza al saldo. 4.Sulla domanda di conferma del sequestro conservativo. Come accennato, in corso di causa è stato già concesso il sequestro conservativo sul bene indicato in ricorso ancora in asserita proprietà della convenuta nei limiti di € 80.000,00. È stata domandata la conferma/convalida del sequestro, provvedimento che, all'attualità, non è più necessario. Infatti, nella ipotesi di sequestro conservativo il vincolo cautelare è destinato a trasformarsi in vincolo esecutivo allorchè il creditore sequestrante ottenga sentenza esecutiva di condanna, senza necessità che siano poste in essere le attività preliminari all'esecuzione rappresentate dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto (art. 686 c.p.c.). Il sequestro è, dunque, assorbito dalla sentenza. 5.Sulla posizione dell'interventore. L'interventore Gi. Ia. assume di vantare diritti di proprietà sull'immobile posto sotto sequestro per il quale si è riservato di agire in separato giudizio. Si oppone, pertanto, al sequestro conservativo pure disposto ed alla sua conferma. Poichè, come detto, il sequestro è assorbito dalla condanna ottenuta da parte attrice, ogni questione proprietaria dello Ia. sul bene assoggettato ad eventuale esecuzione non può essere in questa sede risolta ma nel separato giudizio che il predetto si è anche riservato di proporre. 6.Sulle spese di lite. Le spese di lite della fase di merito e di quella cautelare, seguono la soccombenza della convenuta e sono liquidate in dispositivo; vanno compensate quelle dell'interventore in ragione del tipo di decisione adottata e della assoluta peculiarità della sua posizione, che integrano gravi motivi per compensare in applicazione della disciplina della soccombenza applicabile ratione temporis. Le spese di c.t.u. vanno poste a definitivo carico del convenuto. P.Q.M.  Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: 1.accoglie la domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto e, per l'effetto, dispone il trasferimento dalla società convenuta in favore dei ricorrenti dell'immobile dedotto in lite, ben descritto in citazione e nel ricorso cautelare; 2.ordina al convenuto di provvedere all'ottenimento del rilascio delle autorizzazioni necessarie ed all'accatastamento nonchè alla cancellazione della ipoteca ed alla estinzione della procedura esecutiva; fissa il termine di mesi sei per l'adempimento di tali obblighi; 3.condanna la convenuta al risarcimento di danni patiti dagli attori quantificati in complessivi € 90.991,92, oltre interessi dalla presente sentenza al saldo; 4.condanna parte convenuta alla rifusione in favore di parte attrice delle spese di lite del giudizio di merito e della fase cautelare che liquida in complessivi € 18.000,00, di cui € 500,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge con attribuzione; 5.compensa le spese dell'interventore; 6.pone le spese di c.t.u. a carico del convenuto. Così deciso i Avellino il 17.8.2017.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Maria Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. OMISSIS del Registro Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, avente ad oggetto: nullità contratto e ripetizione indebito, vertente TRA CORRENTISTA - attore - E BANCA S.p.A. - convenuta - MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. A sostegno delle domande di nullità e indebito formulate da parte attrice, in riferimento al contratto di finanziamento in atti prodotto, sono state sollevate eccezioni riferibili all'applicazione di interessi non concordati e comunque usurari. E' prodotto in atti il contratto di finanziamento, regolarmente sottoscritto, ove il tasso di interesse è concordato al 7% fisso; è previsto poi un tasso in caso di mora pari ad una maggiorazione di tre punti percentuali. La previsione espressa degli interessi corrispettivi e moratori esclude, dunque, che i tassi non siano stati concordati. Quanto all'usura si osserva quanto segue. In via preliminare l'attore non ha prodotto i D.M. di rilevazione delle soglie che era suo onere produrre, senza i quali non si può neppure esaminare l'eccezione nel merito (da ultimo in tal senso vedi Trib. Catania n. 1546/17; vedi anche Trib. Roma 2013, n. 12523). In ogni caso ad abundantiam si osserva che il contratto è stato stipulato in data 24.10.2005. Si tratta di un finanziamento chirografario e nel periodo di riferimento (trimestre) il tasso soglia era pari al 14,4% che non è superato nella sua fase genetica pur laddove si volessero sommare gli interessi moratori ai corrispettivi (13%). La scrivente aderisce infatti all'orientamento espresso da maggioritaria giurisprudenza che non include gli interessi moratori nella soglia antiusura. Ma, si ribadisce, pur volendo cumulare gli interessi moratori, le soglie non sono superate. La consulenza di parte in atti richiamata e prodotta poi muove da un calcolo degli interessi del tutto erroneo atteso che non ha sommato il tasso di maggiorazione del 3% previsto in caso di mora al tasso fisso concordato del 7%, ma ha sommato tale ultimo tasso ad un tasso di mora del 10%, mai pattuito, arrivando, dunque ad una soglia superiore al 17% che non ha nessuna corrispondenza con le pattuizioni contrattuali in esame. A ben leggere l'atto introduttivo e la stessa CTP, poi l'attore si duole anche di un presunto meccanismo anatocistico - usurario provocato dal cd. ammortamento alla francese. Sul punto si osserva quanto segue. Il criterio di calcolo cd. ammortamento alla francese, è considerato legittimo da maggioritaria giurisprudenza (Tribunale Padova, 29/05/2016, Tribunale Larino, 08/03/2016, n. 80, Tribunale Mantova, sez. II, 21/10/2015, n. 985, Tribunale Verona, sez. III, 24/03/2015, n. 758). Il sistema di rimborso del prestito progressivo o francese avviene mediante il pagamento di un numero predefinito di rate costanti, che contengono una quota capitale e una quota interessi. La specificità del calcolo (e verosimilmente la ragione per la quale il metodo è assai diffuso) consiste nel prevedere, dunque, che la rata di mutuo da corrispondere nella periodicità convenuta sia sempre costante, abbia cioè sempre io stesso importo, si da permettere al mutuatario la massima pianificazione nel tempo dell'onere che con il mutuo si è addossato. Ciascuna rata costante è costituita da una quota interessi e da una quota capitale; la somma delle quote capitale contenute nell'insieme delle rate deve corrispondere all'importo originario del prestito, mentre gli interessi equivalgono a quelli maturati nel periodo cui la rata si riferisce. Il metodo di calcolo alla francese - a rata costante e, nella specie, a tasso fisso - si distingue per il progressivo decrescere della quota interessi e, viceversa, per il progressivo crescere della quota capitale. Dal piano di ammortamento, dalla prima all'ultima rata, la quota interessi si presenta all'inizio assai alta, perché calcolata sul totale del debito, e poi progressivamente decresce, perché calcolata su un debito residuo sempre inferiore. Invece, la quota capitale si presenta all'inizio assai bassa e poi cresce, quale effetto matematico dell'importo costante della rata. Tale criterio di calcolo, secondo taluni sarebbe da considerarsi comunque illegittimo in quanto produttivo di interessi anatocistici. Di contro, la tesi prevalente nella giurisprudenza recente, come accennato, ne sostiene la legittimità atteso che la quota interessi è calcolata solamente sul debito residuo (sul capitale) al momento del conteggio e poi sul debito residuo si calcolano gli interessi da pagare con la rata successiva. Il metodo non implica pertanto alcuna capitalizzazione degli interessi e ogni rata determina il pagamento unicamente degli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce, laddove la rimanente parte della quota serve ad abbattere il capitale. Dunque, nei sistemi di rimborso graduale dei mutui, gli interessi maturati sul prestito di periodo in periodo non sono capitalizzati, ma sono pagati con la quota interessi di ciascuna rata, essendo tale pagamento periodico della totalità degli interessi elemento essenziale e caratterizzante del sistema. In conclusione, nei prestiti con rimborso graduale del capitale si registra un fenomeno di segno inverso rispetto a quanto si verifica in regime di capitalizzazione: qualora sia prevista la capitalizzazione, il capitale che fruttifica non solo rimane uguale a se stesso, ma si arricchisse progressivamente degli interessi maturati nel precedente periodo, producendo interessi sempre maggiori; al contrario, nei mutui con rimborso graduale del prestito, ciascuna rata paga, oltre agli interessi del periodo, anche una quota del debito in linea capitale, con conseguente riduzione del capitale che fruttifica nel periodo successivo. Però, in riferimento al mutuo una possibilità di anatocismo illegittimo è ravvisabile nella ipotesi in cui vengano capitalizzati gli interessi contrattuali di mora: l'art. 1283 c.c. disciplina i limiti in cui sono dovuti gli interessi sugli interessi e la eventuale capitalizzazione di interessi di mora si tradurrebbe nella produzione di interessi anatocistici illegittimi (dal principio stabilito nell'art. 1283 c.c., secondo cui "gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi", consegue che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali (sui quali calcolare gli interessi secondari), e cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora, e che vi sia una specifica domanda giudiziale del creditore o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi). Orbene, tale ipotesi è prevista al successivo art. 3 della delibera CICR che, nel regolare la produzione di interessi su interessi nei contratti di finanziamento con "rimborso rateale" stabilisce che, in caso di inadempimento del debitore, l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente previsto, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Anche quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto, l'importo dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data della risoluzione, ed anche su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica. Il contratto di finanziamento in lite è rispettoso del disposto di cui all'art. 3 poiché all'art. 3 u.c. del contratto è previsto che in caso di mancato pagamento delle rate alla scadenza la banca ha diritto agli interessi di mora concordati; su questi interessi non è consentita la ulteriore capitalizzazione. La domanda va, dunque, rigettata. 2.Le spese di lite, liquidate in dispositivo in ragione del valore della controversia, dell'attività svolta e dell'assenza di attività istruttoria, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. rigetta ogni domanda; 2. condanna parte attrice alla rifusione in favore di parte convenuta delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 250,00 per esborsi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge. Così deciso in Avellino il 31 luglio 2017. Depositata in Cancelleria il 31 luglio 2017.

  • TRIBUNALE DI AVELLINO REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Unico di Avellino in funzione di giudice del lavoro dott.ssa Gerardina Guglielmo alla udienza del 25/01/2017 ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4340/2015 R.G.L. TRA LU.AD., C.F.: (...) elett.te dom.to in Napoh alla Piazza (...) presso lo studio dell'avv. Gi.Li. che lo rapp.ta e difende in forza di mandato in calce su atto separato; RICORRENTE E CO. S.p.A. in persona del l. r.p.t., rappresentato e difeso, anche separatamente, dagli avv.ti Nu.Ri. e Pi.Ri., ed elett.te dom.to con gli stessi difensori presso il loro studio in Napoh, Centro (...) Convenuto E I.R.C.C.S. - "Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori - fondazione G. Pa.", in persona del suo legale rappresentante pro - tempore, Commissario Straordinario rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati dell'Ente avv. Ca.Ma. e avv. Pa.Co., in virtù di procura rilasciata a margine della memoria di costituzione; elettivamente domiciliato presso la sede legale dell'istituto, in Napoli; Convenuto Conclusioni: come in atti. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Questioni preliminari. La presente decisione viene adottata, all'esito della discussione orale e udite le conclusioni delle parti, ai sensi degli artt. 429 cod. proc. civ. (nel testo successivo alla modifica di cui all'art. 53 del D.L. 25-6-2008 n. 112, conv. in l. 6-8-2008 n. 133) e 132 c.p.c. - come modificato dall'art. 45 comma 17 legge 18-6-2009 n. 69 - dunque, omettendo la concisa esposizione dello svolgimento del processo. 2. Sul merito. Con ricorso in riassunzione depositato in data 9.11.2015 l'epigrafato ricorrente conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Avellino - Settore Lavoro: 1) la società Co. S.p.A. per sentir dichiarare l'illegittimità del trasferimento operato in suo danno, in quanto figlio di invalido e possessore delle prerogative ex lege 104/92, e per l'effetto la revoca dello stesso e la ricollocazione sull'appalto "Fondazione Gi.Pa."; 2) la "Fondazione Gi.Pa." per il risarcimento del danno, solidarmente con la Co.; la prima in relazione alla culpa in eligendo e alla responsabilità connessa alla mancata vigilanza sulle condizioni di lavoro del dipendente dell'appaltatrice CO. e all'applicazione dell'art. 1676 C.C. Esponeva: a) di essere stato assunto il 21.08.2014 con contratto di lavoro a tempo indeterminato dalla Co. S.p.A., a seguito di passaggio diretto ed immediato di cantiere ex art. 24 e ss. CCNL "Istituti di vigilanza privata" (appalto Fondazione Pa.); b) di essere familiare del sig. Fe.Ad. nato (...) in accertato stato di handicap e pertanto di trovarsi nelle condizioni di legge per le quali è possibile usufruire delle agevolazioni previste per l'assistenza delle persone portatrici di handicap ex lege 104/1992 e successive modifiche; c) di aver richiesto l'accertamento delle condizioni per il godimento dei permessi all'I.N.P.S. che, con lettera del 26/9/2014 provvedeva a comunicare alla Co., l'accoglimento dell'istanza per la concessione dei giorni di permesso per l'assistenza al disabile, a comprova della sussistenza e importanza delle esigenze del ricorrente; d) di essere stato spostato, dopo alcune settimane dall'inizio del rapporto di lavoro con la Co. (rapporto costituito successivamente all'incardinamento di procedura giudiziaria d'urgenza) illegittimamente, senza il suo consenso, come dovuto in ottemperanza della legge per i portatori di handicap, dal luogo di lavoro sito in Napoli presso l'Azienda ospedaliera "Fondazione Pa.", e di essere stato adibito ad altra sede, presso l'ospedale di Aversa, provincia di Caserta, eccessivamente distante dal domicilio del padre che domicilia in Giugliano in Campania alla Via (...); e) di essere stato adibito, altresì, dopo il trasferimento ad Aversa, a turnazioni non funzionali a garantire l'adeguata assistenza domiciliare al genitore, nello specifico lavorando principalmente di notte, in violazione del principio del pieno rispetto della dignità umana e dei diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata promossi dalla Repubblica Italiana; f) di aver provveduto a informare Co. S.p.A., la "Fondazione Pa." nonché la DTL di Napoli - Servizio Ispettivo, per il tramite del sindacato di appartenenza, con lettera del 10/11/2014, degli inadempimenti posti in essere dalla Datrice di Lavoro Co. in violazione delle norme previste per la fruizione delle agevolazioni della legge 104/92; g) di non aver avuto, a tutt'oggi, alcun riscontro positivo alle legittime istanze atteso che la CO. continua ad imporre ritmi lavorativi impropri (sede e turnazione) e privi di qualsivoglia buon senso e buona fede, nella piena - e consapevole - violazione di legge, nello specifico legge 104/92 e del CCNL di categoria. Chiedeva che, accertata la sussistenza con la Co. S.p.A. di un rapporto di lavoro subordinato e continuativo, decorrente dal 21.08.2014, con qualifica di guardia particolare giurata armata - cat. Operaio - IV livello, e dichiarato il suo diritto alle agevolazioni previste dalla legge 104/1992, venisse conseguentemente condannata la convenuta Co. S.p.A. a ricollocarlo nella sede di lavoro per la quale era stato assunto (Fondazione Pa. di Napoli); chiedeva la condanna della Co. S.p.A. e della Fondazione Pa. al risarcimento del danno in via equitativa e comunque stimato in Euro 1.000,00, nonché alle spese diritti ed onorario del giudizio. Si costituiva la convenuta Co. S.p.A. insistendo per la infondatezza della domanda; si costituiva la Fondazione Pa., chiedendo la estromissione dal giudizio. Acquisito il fascicolo relativo alla fase cautelare svoltasi innanzi al Tribunale di Napoli, all'odierna udienza, la causa veniva decisa con dispositivo del quale veniva data lettura in udienza, unitamente con la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Preliminarmente va dato atto che è stata emessa dal Tribunale di Napoli Sentenza n. 8068/2016 pubbl. il 08/11/2016 RG n. 3052/2015 avente ad oggetto i medesimi fatti di cui al presente giudizio. Orbene, la pronuncia di cui sopra che ha vagliato la identica questione oggetto del presente giudizio, appare pienamente condivisibili nella sua impostazione di fondo e questo giudice ritiene, dunque, di prestare adesione alla medesima. - cfr. art. 118 disp. att. c.p.c., secondo la attuale previsione, introdotta dall'art. 52, co. 5, della citata L. n. 69 del 2009. Appare opportuno riportare, innanzitutto, l'art. 4 del contratto di assunzione della Co. S.p.A. sottoscritto dal ricorrente ove, si precisa che "la sede di lavoro sarà presso le varie postazioni dei committenti richiedenti il servizio di vigilanza nell'ambito territoriale in cui opera la Co. S.p.A. con riferimento all'unita locale di Napoli". Va, altresì, rimarcato che a decorrere dal 20.04.2015 il ricorrente è stato addetto alla filiale Cr. di Portici, con turni diurni - cfr. verbale di udienza del 3.02.2016 - sicché anche la situazione prospettata in ricorso risulta essersi modificata anche prima del deposito del ricorso in riassunzione. Ciò premesso, la domanda risulta infondata e pertanto non può essere accolta. Dalla documentazione prodotta da parte ricorrente risulta che l'istante è figlio del sig. Fe.Ad. nato (...), soggetto, in stato di handicap e pertanto si trova nelle condizioni di legge per le quali è possibile usufruire delle agevolazioni previste per l'assistenza delle persone portatrici di handicap ex lege 104/1992 e successive modifiche. Come correttamente argomentato nella sentenza sopra richiamata, la giurisprudenza ha costantemente affermato che la disciplina limitativa del trasferimento non concerne lo spostamento del lavoratore all'interno dello stesso complesso aziendale o, comunque, in un ambito geografico ristretto, non potendosi configurare un "trasferimento" ove lo spostamento del lavoratore si verifichi nell'ambito della medesima unità produttiva (Cass.22.3.2005 n. 6117; Cass. 26.5.2999 n. 5153). Perché sussista un'ipotesi di "trasferimento" ex art. 2103 c.c. occorre, quindi, che la nuova sede di lavoro ricada in una diversa unità produttiva; la società convenuta ha contestato che le varie postazioni di lavoro assegnate al ricorrente possano qualificarsi come unità produttive. L'"unità produttiva" va individuata in ogni articolazione autonoma dell'impresa, anche se composta da stabilimenti o uffici dislocati in zone diverse dello stesso Comune, avente, sotto il profilo funzionale e finalistico, idoneità ad esplicare, in tutto o in parte, l'attività di produzione dell'impresa; ai fini del trasferimento per unita produttiva deve intendersi, cioè l'entità aziendale che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell'attività produttiva aziendale. Ne consegue che deve escludersi la configurabilità di un'unità produttiva in relazione alle articolazioni aziendali che, se pur dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell'impresa, sia rispetto ad una frazione dell'attività produttiva della stessa che integrano semplici sedi urbane di lavoro (Cass. 4.10.2004 n. 19837; Cass. 15.5.2006 n. 11103). Nel caso in esame, nulla ha dedotto in proposito il ricorrente neppure a fronte della specifica ed argomentata eccezione di parte resistente che ha negato l'autonomia tecnico - organizzativa ed amministrativa delle sedi di lavoro del ricorrente e, quindi, la configurabilità di distinte unità produttive. Non vi è prova, cioè, della sussistenza dell'elemento costitutivo della fattispecie prevista dall'art. 2103 c.c. e, cioè, della configurabilità delle postazioni di lavoro quali "unita produttiva" che il ricorrente ha ritenuto apoditticamente sussistente senza fornire la relativa prova. In mancanza di tale prova, non essendo configurabili due distinte unita produttive, vi è solo un atto di spostamento interno alla medesima unita, ricadendosi nella diversa ipotesi del trasferimento endoaziendale per il quale non solo non e richiesto che ricorra il presupposto delle comprovate ragioni tecnico, organizzative e produttive di cui all'art. 2103 c.c., ma neppure esistono i vincoli e le limitazioni invocate dal lavoratore di cui alla L. 104/92. Né parte ricorrente ha dedotto la sussistenza di una disciplina contrattuale collettiva che identifichi in senso più ampio la nozione di unità produttiva, introducendo una previsione più favorevole al lavoratore. Alla luce dei rilievi svolti deve, quindi, escludersi la configurabilità di un trasferimento essendo stato il ricorrente semplicemente assegnato ad altro incarico nella medesima unità produttiva, conformemente a quanto previsto nel contratto di assunzione della Co. S.p.A. sottoscritto dal ricorrente ove, all'art. 4, si precisa che "la sede di lavoro sarà presso le varie postazioni dei committenti richiedenti il servizio di vigilanza nell'ambito territoriale in cui opera la Co. S.p.A. con riferimento all'unita locale di Napoli". A voler diversamente opinare, appare comunque, pienamente condivisibile il ragionamento esplicitato nella ordinanza cautelare del 28-29/07/2015, in atti nella produzione della Co. S.p.A. La menzionata pronunzia ha chiarito, in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte, che l'art. 33, comma quinto, cit. si presenta come un vero e proprio diritto soggettivo di scelta da parte del familiare lavoratore che presta assistenza con continuità a persone handicappate ad essa legate da uno stretto vincolo di parentela o di affinità, diritto che, tuttavia, non è assoluto o illimitato, in quanto presuppone, oltre agli altri requisiti previsti dalla legge, la compatibilità con l'interesse comune, dovendo il diritto alla tutela dell'handicappato essere contemperato - come è dimostrato anche dalla presenza dell'inciso "ove possibili - con le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro che, nel settore del lavoro privato, trovano anch'esse una copertura costituzionale. L'orientamento sopra indicato ha trovato conferma in successive pronunce (v. Cass. n. 3896/09; Cass. n. 15873/12), ribadendosi la necessità - in ogni caso - di dover contemperare i diversi interessi in gioco. - cfr. ordinanza resa in sede di reclamo dal Tribunale di Napoli in data 28 - 29/07/2015 -. Il rigetto della domanda principale rende ininfluente la disamina della domanda di risarcimento avanzata nei confronti della medesima società resistente nonché della Fondazione Pa., peraltro, anche carente di legittimazione passiva relativamente alla domanda svolta ai sensi dell'art. 1676 c.c. attinente al solo credito maturato dal lavoratore in forza dell'attività ¦ svolta per l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio oggetto dell'appalto, e non riferibile ad ulteriori crediti, pur relativi allo stesso rapporto di lavoro (cass n. 23489/2010). Peraltro, la gestione del rapporto di lavoro e, nel caso specifico, l'impiego del dipendente tra le diverse sedi operative della società datrice, è riferibile alla responsabilità esclusiva della Co. S.p.A., risultando infondata la tesi della asserita responsabilità per culpa in eligendo della Fo.Pa. per avere affidato il contratto di vigilanza alla Co., considerate le modalità di individuazione della stessa società, a seguito di procedura ad evidenza pubblica,' allo stesso modo non ipotizzabile sarebbe la ritenuta culpa in vigilando atteso che l'Istituto convenuto non avrebbe potuto interferire con le scelte aziendali riferite alla gestione del rapporto di lavoro che riguardano esclusivamente il ricorrente da una parte e la Co. S.p.A. dall'altra, con i rispettivi diritti ed obblighi previsti dal C.C.N.L. e dalla legge. Anche sotto detto profilo, pertanto, la domanda non potrebbe trovare accoglimento. Il ricorso va, pertanto, rigettato. 3. Sulle spese di lite. Stante la natura degli interessi coinvolti nel giudizio le spese di lite tra il ricorrente e la Co. S.p.A. possono essere integralmente compensate; mentre il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di lite nei confronti della Fondazione Pa., spese che si liquidano, tenuto conto della fase cautelare, in complessivi Euro 900,00 oltre iva, cpa e rimborso spese generali. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, ogni contraria istanza disattesa, così provvede: 1. rigetta il ricorso, 2. compensa le spese di lite tra il ricorrente e la Co. S.p.A. 3. condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite nei confronti della IRCCS "Fondazione Pa." che liquida in complessivi Euro 900,00, oltre iva, cpa e rimborso spese generali, se dovute come per legge. Così deciso in Avellino il 25 gennaio 2017. Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2017.

  • TRIBUNALE DI AVELLINO SEZIONE SECONDA PENALE Udienza del 4.2.2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Avellino in composizione monocratica nella persona del dott. G. Argenio, con l'intervento del Pubblico Ministero ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento penale a carico di: (...) ed ivi residente alla via (...) libero assente, difeso di fiducia dall'avv. Fe.Ta. presente IMPUTATO del reato previsto e punito dall'art. 595 co. 3 c.p. perché, inviando una mail a numerose persone e quindi a mezzo internet, offendeva la reputazione di (...) nella sua qualità di avvocato e di estensore di un parere, per il Comune di (...) circa l'affidamento della gestione dell'acquedotto civile a società miste. In particolare la detta mail era corredata da ben 17 allegati, uno dei quali, indirizzato al (...), conteneva offese e accuse nei confronti della (...) lesive della sua reputazione professionale allorquando veniva riportato testualmente alla fine della prima pagina: "...con superficiali spiegazioni le cui evanescenti spiegazioni venivano imposte con minacce dall'Avv. (...) portavoce del Tuo Sindaco...", a pagina 2: "...il vostro emissario difendendo la propria inconsistente opera professionale, il cui costo è a carico dell'intera comunità...", a pagina 3: "...Infatti, benché non ne condividessi il progetto, come avevo già in precedenza rappresentato all'esimio (...) emissario del tuo Sindaco, ricevendone in cambio la prima minaccia di pubblico ludibrio per mancato asservimento alla volontà istituzionale non avevo prestato molta importanza alle parole arroganti e pretenziose di una "sciocca serva del potere" evitando da quel momento in poi di avere rapporto con costei...nonostante fossi rimasto molto infastidito dall'indecenza dei modi". Per concludere con accuse rivolte alla predetta denunziando reati che la stessa avrebbe commesso nell'espletamento dell'incarico ricevuto, come meglio riportati nell'atto citato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE All'esito delle indagini preliminari, veniva tratto a giudizio a mezzo di decreto emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avellino (...) come sopra generalizzato per rispondere del reato compiutamente ascrittogli in rubrica. Dopo una serie di rinvii dovuti alla mancata notifica del decreto di citazione a giudizio all'imputato nonché al mutamento del giudice titolare del procedimento, l'imputato non compariva all'udienza del 9.6.2015, sicché ricorrendo i presupposti di cui all'art. 420 bis c.p.p. (elezione di domicilio e nomina del difensore di fiducia) ne veniva dichiarata l'assenza. All'udienza del 21.12.2015 l'imputato depositava richiesta di definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato e relativa procura speciale. Il giudice, ammettendo il ricorso al rito alternativo, disponeva l'acquisizione del fascicolo del pubblico ministero e rinviava il processo per la sola discussione. All'odierna udienza le parti concludevano come in epigrafe e il Giudice decideva come da separato dispositivo. Dalla documentazione acquisita non può ritenersi provata la penale responsabilità dell'odierno imputato. I fatti contestati al (...) sono portati a conoscenza dell'Autorità Giudiziaria tramite la denuncia - querela sporta dalla persona offesa, costituitasi parte civile, (...). Dal predetto atto emerge che la (...), sarebbe venuta a conoscenza di uno scritto all'apparenza proveniente dall'odierno imputato e riportante una serie di giudizi riferiti alla persona offesa e dalla stessa ritenutiti lesivi della propria reputazione. In particolare trattavasi di un documento informatico in formato pdf recante in calce il nome dell'imputato ma da questi non sottoscritto. La mail "incriminata" comprensiva degli allegati. È stata inviata all'indirizzo di posta elettronica della dall'indirizzo (...). A tale indirizzo la mail sarebbe giunta dall'indirizzo (...) a cui sarebbe poi arrivata dall'indirizzo (...). Così ricostruita la vicenda in esame, non è possibile addivenire alla condanna dell'odierno imputato, difettando in toto l'attribuibilità della condotta allo stesso. Il reato contestato all'odierno imputato è di aver leso la reputazione della persona offesa comunicando con più soggetti tramite mezzo di diffusione della comunicazione, nel caso di specie internet. Il ricorso a mezzo elettronico, maggiormente idoneo ad una diffusione immediata ed indifferenziata, è previsto al III comma dell'art. 595 c.p. quale aggravante della diffamazione semplice di cui al I comma del medesimo articolo. Infatti, la maggior gravità della condotta è insita proprio nell'utilizzo di uno strumento particolarmente insidioso, quale internet, a causa della sua estesa diffusione. A nulla rileva, infatti, ai fini dell'esclusione dell'aggravante e della riqualificazione della condotta nel minor grave reato di ingiuria, la possibilità che tra i destinatari del messaggio diffamatorio ci sia il soggetto a cui lo stesso è indirizzato. Recente giurisprudenza ritiene che l'invio di e-mail a contenuto diffamatorio, realizzato tramite l'utilizzo di internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 44980 del 16/10/2012). Premettendo che le lacunose indagini della pubblica accusa si sono limitate a risalire, nei diversi passaggi e inoltri di cui la mail è stata oggetto (essendo stata trasmessa a molteplici destinatari e con più di un invio), all'indirizzo di posta elettronica (...) risulta in realtà particolarmente utile a fornire elementi di prova validi ed apprezzabili da Questo Giudicante la consulenza tecnica commissionata dall'imputato agli esperti in ingegneria informatica, ingg. Lu.Co. e Gi.Ca. La consulenza ha ad oggetto una prova informatica, che, in un procedimento penale, non è diversa da quella tradizionale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37419 del 05/07/2012 secondo cui i dati di carattere informatico contenuti nel computer, in quanto rappresentativi, alla stregua della previsione normativa, di cose, rientrano tra le prove documentali) se non per la caratteristica di essere per sua natura più facile da manipolare e meno facilmente riferibile al suo autore. Il canone alla luce del quale anche la prova informatica va valutata è sempre ancorato alla prova "al di là di ogni ragionevole dubbio" in merito sia alla sua genuinità che alla riferibilità all'imputato. Orbene, nel caso di specie dall'analisi condotta dai consulenti tecnici della difesa ed allegata al fascicolo del pubblico ministero, emergono fondati dubbi in merito alla ri conducibilità dell'indirizzo di posta elettronica (...) all'odierno imputato. I consulenti tecnici danno conto, infatti, dell'estrema facilità con cui è possibile creare un dominio a nome (...) da parte di chiunque. Inoltre da una semplice ricerca su internet ha trovato conferma l'esistenza di siti web (ad esempio (...): fonte (...)) che consentono di inviare email con mittente falso e con file allegati. L'operazione, per quanto evidentemente illecita, appare, come dimostrato nella citata consulenza ed in particolare nelle diverse schermate acquisite e riprodotte sul ed rom allegato, non richiede particolari abilità tecniche in materia informatica ed è pertanto alla portata di tutti. Per sostenere l'assunto accusatorio allora l'organo della pubblica accusa avrebbe dovuto accertare in maniera ben più approfondita la riconducibilità dell'indirizzo e mail da cui risulterebbe inviato il file contenente le espressioni ingiuriose. D'altro canto anche a voler ritenere che la mail (...) sia effettivamente riconducibile all'odierno imputato resta il problema della possibile alterazione dei numerosi allegati trasmessi con la mail nei diversi invii effettuati. Anche sotto tale profilo i consulenti tecnici della difesa evidenziano che chiunque dei precedenti destinatari dall'e-mail avrebbe potuto agevolmente alterarne il contenuto aggiungendovi files ulteriori rispetto a quelli ad essa originariamente allegati. L'operazione è semplicissima e può essere effettuata anche da soggetti privi di cognizioni tecniche specialistiche in materia informatica (anche Questo Giudice nel corso della camera di consiglio tenuta all'esito dell'udienza ha effettuato senza alcuna difficoltà una simulazione inviando dapprima una mail comprensiva di un unico allegato ad un indirizzo di posta elettronica e poi inviando ad altro indirizzo la medesima mail con l'aggiunta di un ulteriore allegato). Per tutto quanto esposto la prova raggiunta in ordine alla riferibilità all'imputato della condotta descritta nell'imputazione appare evidentemente insufficiente. Ai sensi dell'art. 530 cpv c.p. se ne impone pertanto l'assoluzione con la formula "per non aver commesso il fatto". P.Q.M. Letti gli artt. 442 e 530 c.p.p. ASSOLVE dal reato a lui ascritto per non aver commesso il fatto. Giorni sessanta per la motivazione. Così deciso in Avellino il 4 febbraio 2016. Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2016.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO SENTENZA (ART. 544 e segg. c.p.p.) Innanzi al Tribunale di Avellino - Sez. Penale composto da: 1) Dott. Fulvio PALLADINO - Presidente 2) Dott. Davide DI STASIO - Giudice 3) Dott. Natalia CECCARELLI - Giudice Alla pubblica udienza del 05 OTTOBRE 2007 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente(1) SENTENZA A seguito di giudizio Ordinario nei confronti di: Tr.Sa. nato a Qu. il (...) ed ivi residente alla via Pi. n. (...) Libero contumace. IMPUTATO A. del reato p. e p. ex art. 640 bis, 483, 81 c.p., perché quale titolare del fondo sito alla località Lu. e Cu., con gli artifici ed i raggiri rappresentati dal richiedere alla Regione Gi. il contributo previsto ex art. 20 dell'Ordinanza del Ministero dell'interno n. 2787\98 finalizzato alla ripresa immediata dell'attività agricola in favore delle aziende gravemente danneggiate dall'evento calamitoso del 5-6 maggio 1998, dichiarandosi contrariamente al vero proprietario di azienda agricola ed allegando il certificato attributivo di partita Iva mentre in realtà l'azienda agricola per la quale chiedeva il contributo non era più operativa essendo l'attività cessata a partire dal 1996 (data questa dalla quale la ditta non era più in possesso di partita Iva), conseguiva l'ingiusto profitto con correlativo danno per la giunta regionale Campana - ente erogatore - pari a complessive 4.159.000 (70% del contributo concesso con ordinanza n. 379 del 26.8.1999). In Qu. il 26.8.1999 B. del reato p. e p. ex art. 316 bis, perché avendo ottenuto dalla Regione Campania il contributo previsto ex art. 20 dell'Ordinanza del Ministero dell'interno n. 2787\98 finalizzato alla ripresa immeditata dell'attività agricole in favore delle aziende gravemente danneggiate dall'evento calamitoso del 5-6 maggio 1998, concesso con ordinanza n. 379 del 26.8.1999 e vincolato alla esecuzione di lavori di ripristino di cui alla perizia giurata del 28.5.1999, non lo destinava alla predetta finalità. In Qu. accertato il 3.7.2000 Con l'intervento del P.M. dr.ssa A. Ciccarella e avv. M.R.Ca. presente anche in sostituzione dell'avv. Pi..Le parti cosi concludono: Il P. M. - chiede l'assoluzione previa riqualificazione del capo B) in truffa aggravata con data di contestazione del fatto 26/08/1999 - proscioglimento per intervenuta prescrizione. Il dif. di P.C. si rimette al Tribunale. La difesa si associa alle richieste del P.M. Fatto e diritto Con decreto del G.U.P. presso il Tribunale di Avellino datato 15 aprile 2004, Tr.Sa. era tratto innanzi a questo Tribunale per rispondere dei reati ascrittigli in rubrica. Dopo una serie i rinvii -dovuti alla precaria composizione del Collegio (cfr. udienza del 21 giugno 2004), all'astensione degli avvocati dalle udienze penali (cfr. udienze dell'8 novembre 2004 e 14 marzo 2005) e all'assenza dei testi di lista (cfr. udienza del 3 ottobre 2005) - all'udienza del 9 gennaio 2006, dopo la richiesta di prove formulata dalle parti, si è celebrata l'istruttoria dibattimentale, articolatasi nell'acquisizione di documentazione e nell'esame del coordinatore del Settore Bi. e Cr.Ag. presso la Gi., dott. Fa.An.. All'esito, è stato disposto ex art. 195 c.p.p. l'esame del teste di riferimento Ge.Ge., escusso all'udienza del 14 aprile 2006. Dopo una serie ulteriore di differimenti -dovuti all'assenza dei testi di difesa (cfr. udienza del 27 ottobre 2006) e alla precaria composizione del Collegio (cfr. udienza del 6 aprile 2007) - sono stati escussi Tr.Fa. e Sa.An. (cfr. udienza del 13 aprile 2007). Alla nuova udienza dell'8 giugno 2007, il processo è stato sottoposto alla cognizione di un collegio in diversa composizione, il quale (preso atto del consenso manifestato dalle parti a rinnovare mediante lettura la già espletata istruttoria dibattimentale) ha dichiarato l'utilizzabilità (ex art. 511 c.p.p.) degli atti del processo ai fini della decisione; all'odierna udienza, nella perdurante contumacia dell'imputato, le parti hanno concluso nei termini trascritti in epigrafe. Dalle risultanze istruttorie e, in particolare, dalla lettura degli acquisiti ex artt. 234 e ss., 431 c.p.p., e dalla deposizione dei testi escussi, è emerso che, in data 22 giugno 1998, Tr.Sa. avanzò richiesta dei benefici ex art. 20 Ordinanza Ministero dell'Interno n. 2787/98 (che prevedeva la concessione di un contributo in conto capitale a favore di operatori agricoli, le cui aziende erano state danneggiate dall'evento calamitoso del 5 e 6 maggio 1998), allegando, tra gli altri, una perizia giurata, i certificati catastali e un certificato di attribuzione partita l.V.A.. Con ordinanza del 26 agosto 1999, la Gi.Re.Ca. erogò un contributo di 5.942.000, con attribuzione immediata di un acconto pari al 70% dell'intero importo erogato, da liquidarsi mediante commutazione in vaglia cambiario della Banca d'Italia. Successivi accertamenti consentirono di acciaiare che le opere per le quali era stato concesso il contributo (e consistenti nella sistemazione e reimpianto del noccioleto) non erano state affatto eseguite, in quanto sulle particelle del Tr. erano stati effettuati lavori di canalizzazione per la regimentazione delle acque. Inoltre fu accertato che la ditta intestata al Tr. non era più in possesso della partita i.v.a. dal 28/10/96. Alla luce delle surriferite emergenze dibattimentale, risulta, quindi, pienamente integrata l'oggettività del reato di cui all'art. 640 bis cod. pen., nel quale deve ritenersi interamente assorbita la fattispecie contestata al capo b) della rubrica (e invero, la fattispecie criminosa di cui all'art. 316 ter cod. pen. ha "carattere residuale e sussidiario rispetto alla fattispecie di truffa aggravata e non con essa in rapporto di specialità, sicché ciascuna delle condotte ivi descritte può concorrere ad integrare gli artifici e i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa figura criminosa siano integrati gli altri presupposti come si verifica qualora le falsità o le omissioni si traducano in una artificiosa rappresentazione della realtà idonea a indurre in errore quanti, non per scelta soggettiva ma in ragione del carattere giuridicamente fidefaciente degli atti o documenti ad essi destinati, siano tenuti a fare sugli stessi affidamento": cfr. Cass. pen., sez. Il, 6 luglio 2006 n. 30729). Si pone a questo punto il problema di stabilire a quale regola di giudizio debba attenersi il giudice chiamato a vagliare il materiale probatorio raccolto nel corso i dell'attività istruttoria, a fronte della sicura possibilità di applicare una causa di; estinzione del reato, maturata successivamente o non tempestivamente rilevata. Pur nella consapevolezza della problematicità della tematica, che ha dato luogo a contrapposte soluzioni in dottrina ed in giurisprudenza, ritiene questo Tribunale che -alla stregua del chiaro richiamo normativo operato dal primo comma dell'art. 531 c.p.p. ("salvo quanto disposto dall'art. 129 secondo comma "), altrimenti inspiegabile- in presenza di una causa estintiva del reato il giudice è tenuto alla declaratoria conseguente, se dalle prove acquisite al processo non risulta in positivo l'insussistenza del fatto o l'innocenza dell'imputato, ipotesi queste ultime in cui deve farsi luogo all'adozione di formule assolutorie nel merito (cfr. Cass. pen., 13 novembre 1989, Bezicheri; Cass. pen. 30 giugno 1993, Mussone). Si tratta del tradizionale principio, fissato dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p., che sancisce il principio della (limitata) prevalenza delle formule assolutorie di merito, subordinata ad una situazione di evidenza probatoria in ordine alla insussistenza del fatto e all'innocenza dell'imputato, cui può essere equiparata soltanto la mancanza totale della sussistenza del fatto e della colpevolezza. Quando, invece, dalla disamina degli elementi acquisiti emerga una situazione di insufficienza e contraddittorietà della prova della colpevolezza dell'imputato, la formula di assoluzione nel merito è subvalente rispetto alla declaratoria di estinzione, in quanto la regola di giudizio contenuta nell'art. 531 c.p.p. è derogatoria rispetto a quella dettata dal secondo comma dell'art. 530 del nuovo codice di rito (cfr. Cass. pen., sez. VI, 18 novembre 2003, Tesserin; Cass. pen., sez. IlI, 24 aprile 2002, Artico). Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come, di regola, l'estinzione del reato spogli il giudice penale "di ogni motivo per l'esercizio della sua giurisdizione, sicché soltanto esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona possono costituire una deroga per prorogarlo". Ebbene, tale esigenza si rinviene quando vi sia evidenza dell'innocenza dell'imputato, con conseguente necessità di tutelarne l'onorabilità, ma non qualora, invece, dagli atti risultino uno o più elementi probatori a carico, sia pure non di tale momento da giustificare una dichiarazione di responsabilità penale (cfr. Cass. pen., sez. VI, 17 gennaio 2006, n. 1748). L'unico rimedio processuale per far valere in simili casi il diritto dell'imputato a vedere affermata la propria innocenza, non dotata del requisito della "evidenza", è rappresentato dalla manifestazione da parte sua della volontà di rinunciare alla causa estintiva, facoltà riconosciuta a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del 31 maggio 1990, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 157 cod. pen. (e oggi espressamente regolata dal novellato art. 157, al comma 7). Venendo al caso che ci occupa -in cui alcuna rinuncia alla prescrizione è stata esercitata dall'imputato- si è già evidenziato come le risultanze processuali non esprimano, alla luce di quanto sopra esposto, quella situazione di evidenza probatoria legittimante un provvedimento (li assoluzione piena per l'imputato. Pertanto, tenuto conto dell'epoca del commesso reato (28 agosto 1999, corrispondente alla data di erogazione del contributo), ricorrono le condizioni per pronunciare sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione. Trova, invero, applicazione nel caso di specie la più favorevole disciplina introdotta dalla legge n. 251/05: conformemente a una consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, l'art. 2, comma 4, cod. pen. deve essere, infatti, interpretato nel senso che la locuzione "disposizioni più favorevoli al reo" si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato (cfr. Corte Costituzionale n. 455/98). Orbene, per effetto del novellato art. 157 cod. pen., il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche si prescrive non più in dieci anni (fino a un massimo di quindici, in caso di eventi interruttivi) ma in soli sei anni. Inoltre il carattere più favorevole della nuova disciplina emerge anche con riferimento agli effetti delle cause di sospensione della prescrizione (art. 159 cod. pen.) : la normativa in tema di sospensione del procedimento o del processo per impedimento delle parti e dei difensori è, oggi, chiaramente finalizzata ad una rapida definizione del giudizio, evitandosi stasi del dibattimento per periodi di tempo non necessari. In tali ipotesi l'udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell'impedimento, dovendosi avere riguardo -in caso contrario- al tempo dell'impedimento aumentato di sessanta giorni. Sicché, nel caso di specie, l'applicazione della lex mitior comporta che anche rinvii disposti per un tempo superiore ai sessanta giorni producano un effetto sospensivo non superiore ai limiti massimi introdotti dal novellato art. 159 cod. pen. Infinè non è ostativa all'applicazione della più favorevole disciplina la circostanza che nel presente processo, alla data dell'8 dicembre 2005, era stato già aperto il dibattimento: l'art. 10 comma 3, legge 251/05, il quale aveva individuato il momento della dichiarazione di apertura del dibattimento come discrimine temporale per l'applicazione delle nuove norme sui termini di prescrizione del reato nei processi in corso di svolgimento in primo grado alla data di entrata in vigore della legge n. 251 cit. (norma che pure era stata reputata immune da censure di incostituzionalità dalla VI sezione della Corte di Cassazione con la sentenza Marcantonini del 12 dicembre 2005), è stata dichiarata incostituzionale proprio nella parte in cui subordina l'efficacia ratione temporis della nuova disciplina all'espletamento dell'incombente ex art. 492 c.p.p., in quanto non conforme al canone della "necessaria ragionevolezza" (cfr. Corte Cost. 23 ottobre 2006, n. 393). Tenuto conto, pertanto, dell'epoca del commesso reato, di tutti gli atti interruttivi nelle more sopravvenuti e delle sospensioni del corso della prescrizione (durante tutto il tempo in cui il dibattimento è stato rinviato per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori: cfr. udienze dell'8 novembre 2004 e 14 marzo 2005), il termine di prescrizione massima (nella specie: sette anni e sei mesi 120 giorni di sospensione) risulta interamente decorso alla data del 26 giugno 2007. P.Q.M. letto l'art. 531 c.p.p., previo assorbimento del reato di cui al capo b) in quello di cui all'art. 640 bis cod. pen. contestato al capo a) della rubrica, dichiara non doversi procedere nei confronti di Tr.Sa. in ordine ai reati ascrittigli, perché estinti per intervenuta prescrizione. Motivi riservati in giorni settanta. (1) La sentenza deve contenere tutti i requisiti previsti dall'art. 546 c.p.p.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO SEZIONE PENALE Il Giudice monocratico del Tribunale di Avellino Dr. Natalia CECCARELLI alla pubblica udienza del 21.11.07 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: La.Ne. n. Sa. (...) res.te Mo.In. Via Ri. (...) Detenuto per questa causa presente Imputato In ordine ai seguenti fatti - reato posti in essere con il vincolo della continuazione art. 81 cpv c.p.c.: A) in ordine al delitto p. e p. dagli art. 56 e 629 c.p. poiché, mediante violenza consistita nel colpire il padre La.Ga. con calci e pugni, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi della sua autovettura. In Mo.In. il 29 novembre 2006 B) in ordine al delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 2, 582, 585 in relazione all'art. 576 c.p. poiché, al fine di commettere il reato di cui al capo precedente, nelle circostanze di tempo e di luogo ivi indicate, colpendo il padre La.Ga. con calci e pugni, gli cagionava lesioni personali giudicate guaribili in giorni 7. Con le aggravanti di aver commesso il fatto nei confronti dell'ascendente ed al fine di eseguire il reato di cui ai capo precedente. In Mo.In. il 29 novembre 2006 C) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 629 c.p. poiché mediante violenza consistita nell'afferrare il padre La.Ga. per il petto e minacciando di morte tutta la famiglia costringeva lo stesso a dargli al somma di 20 euro per l'acquisto di alcolici. In Mo.In. il 15 dicembre 2006 D) in ordine al delitto p. e p. dall'art. 629 c.p. poiché con violenza consistita nello scaraventare a terra il padre La.Ga. lo costringeva a corrispondergli la somma di 150 Euro per l'acquisto di alcolici. In Mo.In. il 16 dicembre 2006 E) In ordine al delitto p. e p. dagli art. 56 e 629 c.p. poiché, mediante violenza consistita nel colpire il padre La.Ga. e la madre Sc.Te. con calci e pugni, compiva atti idonei e diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di somme di danaro per l'acquisto di alcolici. In Mo.In. il 21 febbraio 2007 F) in ordine al delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 2, 582, 585 in relazione all'art. 576 c.p. poiché, al fine di commettere il reato di cui al capo precedente, nelle circostanze di tempo e di luogo ivi indicate, colpendo il padre La.Ga. e la madre Sc.Te. con calci e pugni, cagionava loro lesioni personali giudicate guaribili, rispettivamente, in giorni 5 e 7. Con le aggravanti di aver commesso il fatto nei confronti dell'ascendente ed al fine di eseguire il reato di cui al capo precedente. In Mo.In. il 21 febbraio 2007 Con fa recidiva specifica infraquinquennaleCon l'intervento del P.M.: De Asmundis Il Difensore: avv. Pi. di fiducia presente Le parti hanno concluso come segue: Il P.M.: previa la continuazione dei reati anni 1 e mesi 8 di reclusione. La difesa: assoluzione per il reato di estorsione; per il reato di lesioni; contenersi la pena nei limiti di quanto già sofferto; in sub. ne minimo pena e benefici di legge. Chiede revocarsi la misura custodiale. Il P.M. non si oppone ma chiede applicarsi adeguata misura alternativa alla custodia cautelare. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Con decreto emesso in data 5.9.2007 il G.I.P. presso il Tribunale di Avellino disponeva procedersi a giudizio immediato nei confronti del nominato in epigrafe per i reati di cui alla rubrica. In dibattimento, celebratosi alla presenza dell'imputato, all'udienza del 13.11.2007, dopo le richieste istruttorie delle parti aveva inizio l'istruzione dibattimentale con l'acquisizione, ai sensi dell'art. 493, c. 3, c.p.p., dei verbali di denuncia e di s. i. t. resi nel corso delle indagini preliminari dalle parti offese La.Ga. e Sc.Te..L'istruttoria aveva termine all'odierna udienza con l'esame del teste del P.M. An.Fi.Fe., in servizio presso la Stazione C.C. di Mo.In.; dopo l'esame dell'imputato, le parti concludevano come da verbale ed il giudice pronunciava sentenza mediante lettura pubblica ed immediata del dispositivo. L'imputato va, senz'altro, riconosciuto colpevole delle contestazioni ascrittegli, previa riqualificazione di quella sub d) nell'ipotesi di cui all'art. 628, c. 1, c.p.. La prova si fonda sulle risultanze delle denuncie e delle dichiarazioni rese dalle parti offese, della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, a dispetto delle dichiarazioni difensive rese dall'imputato in sede di interrogatorio: le dichiarazioni accusatorie dei genitori, oltre che reciprocamente riscontrate, trovano intrinseco conforto nella lucidità e nel carattere dettagliato della ricostruzione della triste vicenda familiare nella quale i fatti si collocano, ed estrinsecamente sono suffragate dalle risultanze dei referti medici in atti. Dalle risultanze in atti emerge, invero, che il La., dedito all'uso di sostanze alcoliche (e, a dire dei genitori, anche di stupefacenti, quantomeno fino al 1997, come ammesso dallo stesso imputato in sede di interrogatorio), si è reso ripetutamente responsabile di episodi di violenza nei confronti dei familiari, coi quali ha convissuto fino alla data dell'arresto (avvenuto in data 4.7.2007, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa per i fatti per i quali oggi si procede), tutti più o meno motivati dalle richieste di denaro quotidianamente rivolte ai medesimi per l'acquisto di alcool e sigarette Ta. stato di cose si protrae fin da oltre un decennio orsono, con conseguente intollerabilità della convivenza familiare col prevenuto, ("sono il genitore di La.Se. vittima delle sue violenze, che da circa dodici anni si scaglia verso di me. Come di consueto nelle prime ore serali mio figlio suole ubriacarsi o fare uso di sostanze stupefacenti e pertanto quando rientra a casa per me e mia moglie diventa un vero e proprio problema in quanto semina panico": cfr. denuncia di La.Ga. del 29.11.07; " mio figlio Ne. quotidianamente pretende denaro per l'acquisto di sigarette e alcool, ed allorquando la sottoscritta o membro familiare si rifiuta, lo stesso va in escandescenza, diventando aggressivo, tanto che in questi mesi ha distrutto gli interni dell'appartamento ove siamo in fitto ancora per qualche giorno, poiché il proprietario ci ha sfrattati, a causa sempre dello stesso, il quale ripetutamente ubriaco infastidisce anche i condomini del parco": cfr. s. i. t. rese da Sc.Te. il 4.5.07). In tale contesto, la sera del 29.11.2006 l'imputato chiese al padre di essere accompagnato in ospedale al fine di farsi somministrare delle flebo per disintossicazione da alcolici, ma, nel mentre il padre si apprestava ad accompagnarlo, gli chiese di consegnargli le chiavi della vettura. Al rifiuto del padre, si scagliò su di lui colpendolo con calci e pugni e procurandogli lesioni refertate la sera stessa presso il nosocomio di So., con prognosi di giorni 7. In un'altra occasione, precisamente la sera del 15. 12. 2006, il La. afferrò suo padre per il petto minacciando di morte tutta la famiglia ove le sue richieste non fossero state soddisfatte, così costringendo il padre a consegnargli la somma di 20 Euro. La sera successiva il La., in preda ai fumi dell'alcool, scaraventò al suolo il padre per impedirgli di sbarrargli la strada verso la camera da letto, ove era custodito il denaro della pensione, in tal modo riuscendo ad impossessarsi della somma di 150 Euro ("gli ultimi 150 Euro che mi erano rimasti per giungere alla fine del mese": cfr. integrazione di denuncia di La.Ga. del 18.12.2006). Ed ancora, la sera del 20 febbraio 2007, per l'ennesima volta il La., in preda ai fumi dell'alcool, chiese denaro ai genitori. Avutone un diniego, si scagliò contro il padre, picchiandolo con schiaffi e calci negli stinchi. L'aggressione si ripetè, per gli stessi motivi, anche il giorno successivo, allorquando, di mattina, si avventò contro il padre sferrandogli uno schiaffo, e danneggiò, nel contempo, la porta d'ingresso dell'abitazione. Successivamente, rivolto verso la madre, la colpì con dei pugni sulle braccia. Anche in tale occasione procurava ad entrambi i genitori lesioni, refertate in ospedale quello stesso giorno, con prognosi di giorni 7 per la madre e di giorni 5 per il padre. Il clima di costante intimidazione ingenerato dal La. in seno alla famiglia traspare chiaramente dalla penosa richiesta di aiuto espressa dai denuncianti nelle numerose istanze di punizione formulate all'A. G. nel breve lasso di tempo di pochi mesi: "Spesso ci capita di essere minacciati da parte di Ne. se non gli diamo tutti i soldi che ci chiede, e ad ogni rifiuto da parte mia o da parte di mia moglie, siamo costretti a subire tutte le angherie e i soprusi. Ogni sua crisi nevrotica non solo riportiamo lesioni ma subiamo anche danni consistenti, in quanto sfascia porte, finestre, armadi e vetri" - "tutti i giorni mio figlio mi costringe minacciandomi di ammazzarmi, a dargli i soldi per cercare di evitare la sottrazione di denaro, atteso che mi ha messo sul lastrico, cambio sempre luogo di custodia dello stesso" - "tale comportamento non ci consente più di vivere facendoci materialmente soffrire e condurre una vita penosa e tormentata" - "è perennemente ubriaco, gli alterchi e le aggressioni da parte dello stesso nei confronti di noi familiari sono sempre più frequenti ed animate, per motivi riconducibili alle continue richieste di denaro per acquisti di alcool e sigarette" - "molte volte sono costretta a chiamare l'intervento dei 118, a causa dello stato di ubriachezza e pericolosità del Ne., ma dopo qualche giorno di ricovero è sempre tornato presso la dimora ancora più determinato e aggressivo che mai": cfr. denunce e s. i. t. in atti). La ricostruzione dei fatti fornita dalle parti offese appare vieppiù credibile alla luce delle sorprendenti dichiarazioni rese dall'imputato in sede di interrogatorio: costui, manifestando una totale mancanza di elaborazione critica dei fatti commessi e del danno cagionato alla serenità familiare con la sua alcool dipendenza (clamorosamente negata dallo stesso), si è difeso asserendo di essere vittima degli altrui comportamenti. Pur ammettendo di avere bevuto un poco la sera dell'episodio denunciato il 29.11.07, ha riferito essersi trattato solo di una discussione verbale, nel corso della quale egli avrebbe subito anche qualche schiaffo. Il La. - che riferisce essere superati all'attualità i suoi problemi di alcool e droga, che nega di avere bisogno di aiuto alcuno per disintossicarsi ("io non credo nella comunità non credo di averne bisogno") - si è difeso asserendo essere i suoi familiari, e non lui, dediti all'abuso di alcool, così trasformandosi, del tutto inverosimilmente, da soggetto attivo in vittima di condotte penalmente rilevanti. Alla luce delle predette emergenze possono ritenersi pienamente integrati gli estremi oggettivi e soggettivi dei reati ascritti ai capi a), b), e), e) ed f) della rubrica, con le aggravanti contestate, sussistendone pienamente gli estremi oggettivi e soggettivi. Le condotte come sopra ricostruite sono senz'altro riconducibili alle contestate fattispecie estorsive, sia nella forma tentata che in quella consumata, avuto riguardo all'ingiustizia del profitto perseguito attraverso la coartazione dell'altrui volontà, rispetto alla quale va riconosciuta sicura idoneità causale all'atteggiamento sistematicamente aggressivo e violento del prevenuto, più volte manifestato contro persone e cose. Sussistono, altresì, gli estremi oggettivi e soggettivi dei contestati reati di lesione personale, con le aggravanti contestate (integrate dal rapporto di ascendenza con le pp.oo. e dalla evidenziata strumentalità delle aggressioni fisiche che hanno dato causa alle lesioni patite dalle pp.oo. con le condotte di tentativo di impossessamento in contestazione), attesa la evidente compatibilità tra le lesioni documentate in atti e le condotte come ricostruite alla luce delle coerenti e dettagliate dichiarazioni rese dalle persone offese. Quanto al reato sub d), rispetto al quale va, parimenti, affermata la penale responsabilità dell'imputato, reputa il giudicante che i fatti occorsi il 16.12.06, come riferiti dal denunciante, vadano più correttamente qualificati sub specie di rapina, piuttosto che come un episodio estorsivo, risultando in essi realizzata la sottrazione di denaro mediante violenza sulla p.o., anziché la coartazione dell'altrui volontà, posto che difetta, nel caso di specie, una qualsiasi facoltà di scelta alternativa da parte della vittima. Venendo alla determinazione della pena, reputa il giudicante che i plurimi e specifici precedenti penali del prevenuto, nonché la gravità e reiterazione delle condotte oggi in valutazione - rispetto alle quali, come detto, l'imputato ha manifestato l'assenza di qualsivoglia sentimento di ravvedimento - non consentano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Va fatta, peraltro, applicazione del più favorevole regime sanzionatorio di cui al capoverso dell'art. 81 c.p., attesa l'evidente unicità del disegno criminoso perseguito, resa palese dalla omogeneità e reciproca strumentalità delle condotte e dei motivi a delinquere. Pertanto, tenuto conto dell'entità obiettiva dei fatti, della personalità dell'imputato, nonché degli altri criteri di cui all'art. 133 c.p., stimasi conforme a giustizia irrogare a La.Ne. la pena di anni sei di reclusione ed euro 850,00 di multa (così determinata: pena base per il reato sub e), più grave: anni cinque di reclusione ed euro 600,00 di multa, aumentata alla pena finale sopra indicata per effetto della continuazione con gli altri reati, con imputazione di mesi due e gg. 12 di reclusione ed euro 50,00 per ciascuno dei residui reati accertati). Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p, dichiara l'imputato colpevole del reato di cui all'art. 628 c. 1, c.p., così riqualificati i fatti di cui al capo d) della rubrica, nonché degli ulteriori reati a lui ascritti in rubrica, e lo condanna alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 850,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Motivazione riservata in giorni 30.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice monocratico del Tribunale di Avellino Dr. Natalia CECCARELLI alla pubblica udienza del 6.11.07 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: 1) Sa.An. - Omissis 2) Ga.Ni. n. Av., il (...), ivi res. C.Da.Qu.Ov. n. (...) Libero già presente oggi assente Imputato Artt. 110 c.p., art. 73, comma 1 bis, D.P.R. 309/90, così come modificato dalla L. 21.2.06 n. 49, perché, in concorso tra loro, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17, illecitamente detenevano gr. 3,7 di sostanza stupefacente del tipo eroina, nonché gr. 4,1 di sostanza stupefacente tipo hashish che, per modalità di presentazione -suddivisioni in dosi - nonché per altre circostanze dell'azione, desumibili dal verbale di arresto e dai verbali di perquisizione e sequestro dei C.C. - Comando Provinciale di Av. - Reparto - Nucleo Operativo del 24.10.06 - ai quali si rinvia, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale. Accertato in Av. 24.10.06 Con l'intervento del P.M.: Angiuoli Il Difensore: avv. Sc. di fiducia assente sost. per delega dall'avv. Sa. presente Le parti hanno concluso come segue: Il P.M.: anni 2 di reclusione 10.000 Euro di multa. La difesa: assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma 1; in via sub.ta minimo della pena e benefici di legge. MOTIVAZIONE In seguito ad arresto operato dal personale del N.O. dei C.C. di Av. alle ore (...) del (...), il nominato in epigrafe veniva condotto, unitamente a Sa.An., dinanzi a questo giudice per la convalida ed il contestuale giudizio con il rito direttissimo. Dopo la relazione orale dell'ufficiale di p.g. esecutore dell'arresto e l'interrogatorio degli arrestati, sulle richieste delle parti, come da verbale, il giudice con ordinanza convalidava l'arresto (disponendo la rimessione in libertà degli arrestati in assenza di richieste cautelari del p. m.), e disponeva procedersi al contestuale giudizio. Costituite le parti, preliminarmente, l'imputato Sa. chiedeva, a mezzo del suo difensore, l'applicazione della pena patteggiata, mentre il difensore dell'odierno imputato avanzava richiesta di termine a difesa. Dopo lo stralcio e la separazione delle posizioni, dopo un rinvio per impedimento del giudice titolare, uno per variazione tabellare, ed uno per astensione degli avvocati, all'udienza del 20.6.2007 l'imputato presente, chiedeva, a mezzo del suo difensore, la definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato, condizionato all'escussione del redattore della relazione tecnica in atti. Il giudice, ritenuta la necessità ai fini della decisione dell'integrazione probatoria richiesta, disponeva procedersi a giudizio abbreviato, disponendo altresì, ai sensi dell'art. 441, comma 5, c.p.p., l'esame testimoniale di Tr.Ni., in alternativa, l'acquisizione del verbale di s.i.t. del medesimo, non rinvenuto in atti. Dopo ulteriori rinvii per astensione degli avvocati e per impedimento del difensore, all'odierna udienza il pubblico ministero produceva il verbale di s.i.t. di Tr.Ni.; dopo l'esame del Mar.llo Ru.Fe., firmatario della relazione tecnica in atti, le parti concludevano come da verbale ed il giudice pronunciava sentenza mediante lettura pubblica ed immediata del dispositivo. Va senz'altro affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestatogli. Nei fatti in valutazione, come emergenti dalle risultanze in atti, deve ritenersi perfettamente integrata la fattispecie di reato ipotizzata. Risulta, invero, in atti che, il giorno dell'arresto, il Ga. si trovava alla via Pe.Di.Av., seduto al lato passeggeri dell'autovettura in transito Volkswagen Lupo targata (...), in compagnia di Sa.An. (alla guida del veicolo). I militari, dopo aver proceduto al controllo del mezzo e all'identificazione dei passeggeri, decidevano di perquisire la vettura e i suoi occupanti ai sensi dell'art. 103 D.P.R. 309/90. Prima che dessero inizio all'operazione, il Sa., spontaneamente, prelevava dal calzino sinistro un piccolo involucro in plastica, con tappo, contenente polvere bianca che, a suo dire, era cocaina, ma successivamente, dalle analisi di laboratorio effettuate, era risultata essere eroina. Nel mentre era in corso la perquisizione personale e veicolare, si fermava nei pressi un'autovettura in transito, con tre giovani a bordo. Uno degli operanti, il Brig. De.Sa., udiva distintamente il conducente della vettura, evidentemente ignaro dell'operazione di p.g. in corso, esclamare "Sono arrivati è arrivata la roba". A questo punto, il passeggero seduto sul sedile posteriore, avvedutosi della presenza degli operanti, gridava "I Carabinieri", e subito dopo l'autovettura si allontanava repentinamente. Frattanto, però, colui che aveva gridato ai Carabinieri era stato riconosciuto dal Brig. De.Sa. in tale Tr.Ni., giovane di Av. noto agli operanti. Le operazioni venivano, a quel punto, fatte proseguire negli uffici del Comando Provinciale, ove, i due soggetti controllati venivano sottoposti ad una più accurata perquisizione personale. Sulla persona del Sa., occultati negli slip, venivano rinvenuti: una bustina di fazzolettini di carta con all'interno altri tre piccoli involucri in plastica, con tappo, contenenti polvere di colore marrone, risultata essere, dalle successive analisi di laboratorio, eroina, nonché due stecchette di sostanza risultata essere, dalle medesime analisi, hashish. Nella tasca del giubbino del Sa. gli operanti rinvenivano, invece, la somma contante di Euro 270,00. Mentre nulla veniva rinvenuto sulla persona dell'odierno imputato, nel vano portaoggetti dell'autovettura, veniva rinvenuto e sottoposto a sequestro un taglierino con lama lunga 9,5 cm, recante piccole tracce di polvere scura, verosimilmente sostanza stupefacente, sulla punta della lama. Nell'immediatezza il Sa. rendeva spontanee dichiarazioni, asserendo che la droga trovatagli indosso era stata da lui acquistata quello stesso giorno in Se., ove egli si era recato in compagnia dell'amico Ga., ed era destinata, oltre che al consumo personale, ad un altro amico, il già citato Tr.Ni., che gli aveva dato incarico di comprarla per suo conto, anticipandogli il denaro occorrente (Euro 36,00). Al Tr. erano destinate, a suo dire, tre dosi di cocaina ed una stecca di hashish. Aggiungeva che, il sabato precedente, gli era capitato di comprare la droga, sempre in Se., anche per conto di un altro amico, tale Sc. An., che gli aveva chiesto "la cortesia", ed al quale egli aveva consegnato, al ritorno da Se., quattro dosi di cocaina. Anche il Ca.Ni. rendeva spontanee dichiarazioni che confermavano quanto asserito dal Sa. in ordine alla cessione di sostanza stupefacente in favore dello Sc.An.. I due giovani venivano tratti in arresto per il reato di cui all'art. 73 D.P.R. 309/90. Nel corso della medesima notte dell'operato arresto veniva sentito a sommarie informazioni il Tr.Ni., il quale dichiarava di conoscere solo di vista i due arrestati. Egli negava che gli occupanti della vettura a bordo della quale era stato visto fermarsi nei pressi del posto di controllo stessero cercando i due arrestati per acquistare droga, coi quali negava di avere alcun appuntamento. La macchina, a suo dire, si sarebbe fermata sol perché nei pressi erano state avvistate delle ragazze, e tutti e tre gli occupanti erano ubriachi. La sostanza verosimilmente stupefacente rinvenuta e sequestrata veniva sottoposta ad analisi di laboratorio; queste consentivano di accertare che: i 3,7 grammi di sostanza custodita nei 4 contenitori di plastica erano un miscuglio a base di diacetilmorfina contenente eroina con principio attivo pari a 0,19 grammi, e dalla stessa erano ricavabili 7,6 dosi medie giornaliere; i 4,1 grammi di sostanza resinosa confezionata in stecche erano costituiti da Resina di Cannabis Sativa L. (hashish), contenenti THC (principio attivo) in misura pari a 0,25 grammi, e dalla stessa erano ricavabili 10 dosi medie giornaliere. In sede di interrogatorio effettuato all'udienza per la convalida dell'arresto, mentre il Sa. si avvaleva della facoltà di non rispondere, il Ca. ammetteva di essere a conoscenza della circostanza che il Sa. avesse della droga sulla sua persona la sera dell'arresto - che, per quello che egli ne sapeva, era destinata al consumo personale del Sa. - e di averlo accompagnato a Se. per acquistarla, precisando di averlo aspettato in macchina. Confermava la circostanza che, qualche giorno prima, il Sa. aveva acquistato altra droga per conto di Sc.An., dichiarando, peraltro, che quella era stata l'unica occasione in cui era stata acquistata droga per conto di altre persone. Alla luce delle predette emergenze, alcun dubbio può sorgere, a parere del giudicante, in ordine alla configurabilità, anche a carico dell'odierno imputato, oltre che del Sa. An., del contestato delitto di detenzione a fini di spaccio dello stupefacente rinvenuto la sera dell'arresto. Univocamente indicativi della destinazione alla cessione a terzi risultano, invero, l'elemento quantitativo, l'eterogeneità della sostanza, le modalità di custodia e confezionamento, la contestuale disponibilità di uno strumento atto alla suddivisione in dosi della sostanza stupefacente e quella di una ingente somma di denaro (considerata l'età e le condizioni degli arrestati), nonché, infine, l'episodio dell'avvicinamento di altra vettura con a bordo persone evidentemente interessate (avuto riguardo alle espressioni udite dai verbalizzati) all'acquisto di droga dagli arrestati. Non appare credibile la tesi dell'acquisto finalizzato al consumo di gruppo, non trovando, in tale prospettiva, giustificazione il possesso dell'ingente somma di denaro denaro rinvenuta indosso al Sa. dopo la trasferta di approvvigionamento a Se.. Più verosimilmente, il denaro deve ritenersi il provento dell'illecita attività di spaccio. Lo stesso Tr. ha, del resto, smentito la versione dei fatti offerta dal Sa. sul punto. E' dunque legittimo ritenere, alla luce delle risultanze in atti, che il Sa. fosse dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti di varia natura, ed in tale sua qualità, fosse noto ai consumatori della zona, ivi compresi gli occupanti della vettura che, la sera del controllo, si erano avvicinati alla macchina degli arrestati per acquistare droga. Né rileva la circostanza che i quantitativi sequestrati non superassero la soglia della dose media giornaliera di cui alle nuove tabelle allegate al D.P.R. 309/90. Tale parametro è rilevante in situazioni di pacifica insussistenza di elementi sintomatici della destinazione allo spaccio, non anche nei casi, come quello in valutazione, in cui anche il possesso di una singola dose, se appaia destinato alla cessione, renda penalmente rilevante la condotta. Del tutto evidente è, poi, la consapevole compartecipazione dell'odierno imputato all'illecita attività di spaccio posta in essere dal Sa.. Le circostanze di tempo e di luogo in cui i due arrestati sono stati sorpresi fanno ragionevolmente ritenere che il Ga., oltre ad accompagnare il Sa. nei suoiviaggi di rifornimento, partecipasse anche alla fase di smercio della sostanza, presenziando allo scambio con gli acquirenti. Tanto premesso, vanno, dunque, ritenuti perfettamente integrati, nella vicenda in valutazione, gli estremi oggettivi e soggettivi del reato ipotizzato (sulla cui unicità, pur in presenza di sostanze stupefacenti di diversa natura, depone, oggi, il dato testuale dell'art. 73, come modificato dalla L. 49/2006 che ha ricondotto ad un'unica tabella sostanze variamente classificate in precedenza). Venendo alla determinazione della pena, nei fatti in valutazione va senz'altro ritenuta la configurabilità dell'ipotesi attenuata di cui al comma 5, dell'art. 73 D.P.R. 309/90 avuto riguardo all'incensuratezza di entrambi gli arrestati, al non ingente quantitativo e alla non elevata qualità delle sostanze stupefacenti complessivamente detenute (cfr. perizia in atti). L'incensuratezza dell'imputato legittima, poi, la concessione al medesimo delle circostanze attenuanti generiche. Pertanto, valutati i criteri tutti di cui all'art. 133 c.p., stimasi equo applicare la pena di mesi otto di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa (così determinata: previo riconoscimento dell'ipotesi attenuata di cui al comma 5, dell'art. 73 D.P.R. 309/90 p.b. anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 4. 500,00 di multa, diminuita per effetto delle circostanze attenuanti generiche ad anni uno di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa, definitivamente ridotta alla pena finale sopra indicata per effetto del rito prescelto), oltre al pagamento delle spese processuali. L'imputato è meritevole della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in ragione dell'incensuratezza e potendosi ragionevolmente ritenere che lo stesso si asterrà, in futuro, dalla commissione di altri reati. Vanno disposte la confisca e la distruzione dello stupefacente in sequestro a cura della p. g. operante, vertendosi in ipotesi di confisca obbligatoria. P.Q.M. Letti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole del reato ascrittogli e, ritenuta l'ipotesi attenuata di cui all'art. 73 comma 5, del D.P.R. 309/90, con le attenuanti generiche e con la diminuzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Dispone la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro a cura della polizia giudiziaria operante. Motivazione riservata in giorni 60.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Monocratico del Tribunale di Avelllino dr. Gian Piero SCARLATO alla pubblica udienza del 27/9/07 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Ba.Cl. n. (...), En. (...) res. S.St.De.So. via Pr.Tu n. (...) libero-assenteIMPUTATO Del reato p. e. p. dall'art. 372 c.p. perché escussa, nella qualità di infermiera di turno (ore 14.00-20.00) in data (...) presso la Clinica Ma., nel processo n. 4857/95 R. G. notizie di reato, 3342/99 dibattimento, a carico di De.St.Cr. ed altri sanitari in servizio presso la clinica imputati dell'omicidio colposo consumato ai danni di Ro.En., nella sua deposizione testimoniale dichiarava contrariamente al vero di non aver visto bagnate di sangue le lenzuola del letto ove si trovava la RO.. In Av. il (...). Con l'intervento del P.M.: Angiuoli Il difensore: avv. Ma.Pr. di fid. assente, è presente in in sost. l'avv. O.P.Pr..Le parti hanno concluso come segue: Il P.M.: un anno quattro mesi di reclusione. La difesa: assoluzione perché il fatto non costituisce reato. MOTIVAZIONE Con decreto emesso il 15 luglio 2004 dal G.U.P. presso il Tribunale di Avellino, Ba.Cl. veniva rinviata a giudizio per rispondere del reato di falsa testimonianza. Dopo due rinvii preliminari, all'udienza del 26.5.2005, decise le questioni preliminari ed aperto il dibattimento, veniva pronunciata l'ordinanza ex art. 495 c.p.p.; quindi, all'udienza del 6.12.2005 aveva inizio Fattività di istruzione probatoria, poi completata in quella del 30.11.2006; infine, dopo un altro differimento, all'odierna udienza, le parti procedevano alla discussione finale e rassegnavano le conclusioni innanzi trascritte. Il processo a carico di Ba.Cl. nasce nell'ambito del processo penale n. 3342/99 R.G. (n. 4857/95 R.N.R.) contro De.St.Cr. 6, imputati del reato di omicidio colposo, celebrato innanzi al Tribunale di Avellino e definito in primo grado con sentenza n. 1336/91 del 17.7.2001. Ed invero, nel corso di tale processo, esaminata come teste del P.M. all'udienza del 12.7.2000, Ba.Cl., nel riferire quanto a sua conoscenza in ordine al ricovero, all'intervento chirurgico, alla degenza ed al decesso di Ro.En. presso la Casa di Cura "Ma." di Av., ebbe a dichiarare che, nel riportare la paziente in stanza dopo l'operazione, non aveva visto sangue né sulle lenzuola, né sulla pala, né in bagno (cfr. il verbale di udienza "incriminato", pag. 150). All'esito del giudizio, il giudice ricostruiva i fatti dando credito ad altre dichiarazioni testimoniali e, conseguentemente, disponeva la trasmissione degli atti al P.M. di Avellino perché procedesse contro la Ba. in ordine al delitto di cui all'art 372 c.p. (cfr. sentenza in atti). Tanto premesso, ritiene il Tribunale che le prove raccolte in dibattimento consentano di pervenire alla affermazione della penale responsabilità dell'imputata in ordine al reato ascrittole. I testi Ci.Sa., Ve.Sa., Ve.Li. e Ve.Ca., hanno tutti riferito che la Ro., dopo l'intervento chirurgico, aveva evidenti perdite di sangue (" il letto era tutto imbrattato di sangue "; "Quando è stata portata su ed è stata passata dalla barella al lettino, sulla barella c'era già del sangue; "La lettiga che hanno portato sopra era tutta sporca di sangue"; le lenzuola del letto "erano bagnante di sangue"- v. verbale di udienza del 6.12.2005). Le deposizioni raccolte, dunque, smentiscono clamorosamente quella rilasciata dalla Ba. innanzi al G.M. del Tribunale di Avellino nel corso del processo a carico di De.St. ed altri. D'altra parte, la stessa imputata, nel corso del suo esame, ha confermato la presenza di macchie di sangue sulle lenzuola anche se, poi, non è stata in grado di spiegare perché nel corso della deposizione incriminata ella non riferì la circostanza ed anzi, incalzata sul punto, si è trincerata nel silenzio. Resta, a questo punto, solo da chiarire che alcuna rilevanza sulla sussistenza del reato de quo riveste il fatto che la falsa dichiarazione sia stata o non sia stata decisiva nel giudizio in cui è stata resa. Per la configurabilità del reato di falsa testimonianza è infatti sufficiente che la circostanza sulla quale il teste rende mendace dichiarazione sia pertinente alla causa ed abbia possibilità, sia pure astratta, di influire sulla decisione; ne deriva che non è dato distinguere fra circostanze importanti e circostanze accessorie o secondarie, poiché la configurabilità del reato è esclusa solo quando il mendacio, vertendo su fatti e circostanze assolutamente estranei alla materia oggetto dell'accertamento giudiziale, non ha alcuna idoneità ad alterare il convincimento del giudice e, quindi, alcuna possibilità di incidere sul normale funzionamento dell'attività giudiziaria. Passando, così, all'esame delle questioni concernenti il concreto trattamento sanzionatoti, ritiene questo giudice che a Ba.Cl., siccome incensurata, possono essere riconosciute le attenuanti generiche; valutati così tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., stimasi equa ed adeguata al caso concreto la pena di anni uno e mesi otto di reclusione, così determinata operando la sola riduzione per le concesse attenuanti sulla pena base di due anni e mesi sei di reclusione. Alla condanna segue il pagamento delle spese processuali. L'entità della pena in concreto irrogata e l'incensuratezza dell'imputata consentono la concessione in suo favore del beneficio della sospensione condizionale della pena. P.Q.M. letti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ba.Cl. colpevole del reato ascrittole e, concesse le attenuanti generiche, la condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; pena sospesa; motivi riservati in giorni sessanta.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Dispositivo di sentenza e contestuale motivazione (Artt. 544 e SEGG., 549 C.P.P.) II Giudice monocratico del Tribunale di Avellino Dr. Lucia RUGGIERO alla pubblica udienza del 16/11/2007 ha pronunziato e pubblicato la seguente. SENTENZA Nei confronti di: Me.Fa., nato a Cr. il (...) residente a Is. di Ca.Ri. località Ca. (LIBERO CONTUMACE) IMPUTATO art. 14, 2° c. L. n. 230/98 perché, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l'ammissione a servizio civile, chiamato alle armi e presentatosi il 26/4/2001 al 231° Rgt. "Av." in Av., cui era destinato per adempiere ai propri obblighi militari, rifiutava, prima di assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo motivi di coscienza che ostano alla presentazione del servizio militare. Con l'intervento del Pubblico Ministero dott. DE ASMUNDISIl difensore dell'imputato avv. F.S.Ia. in sostituzione per delega dell'Avv. A.Ma. di fiducia assente. Le parti hanno concluso come segue: il PM assoluzione perché il fatto non costituisce reato; il difensore dell'imputato si associa alla richiesta del PM. MOTIVAZIONE Con decreto di citazione a giudizio emesso dal PM in sede in data 23.03.2002, l'imputato Me.Fa. veniva citato a giudizio innanzi a questo ufficio per rispondere del reato ascrittogli; Il processo subiva alcuni rinvii variamente motivati. All'udienza del 24 marzo 2006, libero già contumace l'imputato, veni va aperto il dibattimento, ed ammesse le prove così come richieste dalle parti costante l'assenza del teste della pubblica accusa il procedimento veniva rinviato all'udienza del 26.05.2006, Il processo nella detta udienza sempre per l'assenza del teste subiva ulteriore rinvio. In data 24.11.2006, veniva escusso il teste Papale, nonché acquisizione di domanda di ammissione al servizio civile e nulla osta all'accoglimento da parte dell'"ARCI", infine dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e data lettura degli atti legittimamente acquisiti ai fini della presente decisione, si rinviava per la sola decisione. In data odierna, raccolte le conclusioni delle parti, e acquisita la documentazione richiesta all'ARCI di Crotone, il giudice ha deciso come dispositivo pubblicamente letto in udienza con motivazione contestuale. Tanto premesso si osserva che dall'esame del teste Papale e dalla documentazione in atti, è emerso che il Me., in data 26.04.2001, presentatosi al 231° Distretto Militare di Avellino si dichiarava obiettore totale di coscienza, indi, veniva denunciato perché si era rifiutato di prestare il servizio militare di leva. L'art. 14 comma 2 della legge 8.7.98 n. 230 stabilisce che il militare che si rifiuta di svolgere il servizio militare è punibile per tale inosservanza, per cui rilevato che dagli atti di causa, pur risultando che il Me. sia stato ammesso al servizio civile, lo stesso non ebbe mai a prestare il detto servizio civile alternativo a quello militare, così come disposto dalla legge 230/98. Difatti, dalla documentazione acquisita in atti, non risulta che il Me. abbia prestato il servizio civile alternativo a quello militare, ai sensi dell'art. 14 comma 8^, deve dichiararsi penalmente responsabile per quanto ascrittogli in rubrica. Ne consegue che nel caso di specie, deve ritenersi perfettamente integrata, nella sua materialità, l'ipotesi di cui all'imputazione. Quanto all'elemento soggettivo del reato in contestazione, la semplice dichiarazione di volersi sottrarre agli obblighi militari, è prova del dolo generico richiesto dalla norma, consistente nella volontà generica, libera e nell'intenzione di non volere svolgere il servizio di leva, con la consapevolezza che con il proprio comportamento poneva in essere una condotta violai iva della normativa sul servizio militare. Bisogna rilevare che se è pur vero che è stato sospeso il servizio obbligatorio di leva (art. 7 c. 1 d.lg. 8.5.2001 n. 215), non è stato disposto un regime transitorio di norme per disciplinare le situazioni incriminatrici poste a tutela dell'obbligo di quel servizio. Vero che gli interventi normativi hanno reso non più obbligatorio il servizio militare, sospendendone si ne die l'obbligo a far data dal 31.10.2005 (anticipato al 1.7.2005, v. articolo 12 del dl. n. 115/2005), ma è altrettanto vero che le norme penali incriminatrici più volte richiamate risultano ancora in vigore, in quanto nessuna abolitio criminis si è verificata. Norme che descrivono un fatto cha a partire dal 31.10.2005 successivamente dal 1.7.2005 non si concretizzerà in una fattispecie penale, il che non equivale abolitio criminis, in mancanza di una esplicita abrogazione delle norme penali in questione, indi rimane ancora illecito non prestare il servizio militare se e nei termini in cui è dovuto; ciò anche se ad oggi tale prestazione non è più obbligatoria. Ed il caso che qui ci occupa, il Me.Fa. nato prima dell'anno 1985, precisamente in data 29.10.82, e chiamato alle armi prima del 31.10.2005, data di cessazione dal servizio dell'ultimo contingente chiamato alle armi 31.10.2004, sicché rifiutandosi di prestare il servizio militare di leva ha integrato il reato così come contestatogli. Tenuto conto dell'assenza di precedenti penali a carico del Me., come da certificato in atti, è possibile concedere all'imputato le attenuanti generiche. Valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., pena equa si stima essere quella di mesi 4 di reclusione (p.b. mesi 6 di reclusione; ridotta per le generiche alla pena finale indicata). Stante la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 164 c.p. e 175 c.p. si concede il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. IL GIUDICE letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA Me.Fa. colpevole del reato ascritto a lui in rubrica e previa concessione delle attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Il Giudice monocratico del Tribunale di Avellino dr. Irene BARRA alla pubblica udienza del 11/06/2007 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di 1) Ga.Ro., nato a So. il (...) ivi residente alla Via So.So. n. (...) (LIBERO CONTUMACE) 2) Mo.Te., nata a So. il (...) ivi residente via De.Li. (LIBERA CONTUMACE) IMPUTATI del reato p. e p. ex art. 388, 110 c.p. perché, in concorso tra loro e Mo. al di fine consentire a Ga. di sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili verso il creditore Bu.Mi., rappresentati dal suo diritto al pagamento della somma di Euro 27.656,50 indicata nel decreto ingiuntivo n. (...) reso dal Tribunale di Avellino e nel successivo atto di precetto del (...), compivano atti patrimoniali simulati e fraudolenti e, segnatamente, prima il Ga. in data 12.5.2003 con atto per notar Ba. modificava il regime patrimoniale coniugale passando a quello della separazione dei beni e costituiva un fondo patrimoniale nel quale inseriva una proprietà immobiliare in So., indi il 24.9.2004 il Ga. cedeva in favore della suocera Mo. il credito vantato pari ad Euro 123.052,545 quale beneficiario del 50% dei diritti derivanti dalla disposizione testamentaria del defunto zio Mo.Ga., così non ottemperando il Ga. alla suindicata ingiunzione di pagamento. In Avellino, 29/10/04. Con intervento del Pubblico Ministero dr. M. L. GIORDANO; il difensore dell'imputato Avv. L.Ca. di fiducia presente; il difensore di parte civile Avv. M.Pr. di fiducia presente. Le parti hanno concluso come segue: il PM condanna a mesi tre di reclusione per entrambi; il difensore di parte civile deposita conclusioni scritte e nota spese; il difensore dell'imputato assoluzione perché il fatto non costituisce reato. MOTIVAZIONE IN FATTO E DIRITTO Con decreto di citazione a giudizio emesso in data 14.02.2005, Ga.Ro. e Mo.Te. venivano tratti a giudizio per rispondere del reato in epigrafe loro ascritto. L'istruttoria dibattimentale, assai articolata, veniva aperta all'udienza del 06.03.2006. A tale udienza l'offeso Bu.Mi. si costituiva parte civile e, nella contumacia degli imputati, definite le questioni preliminari sollevate dalla difesa, si procedeva alla dichiarazione di apertura del dibattimento. Venivano ammesse le prove richieste dalle parti e si procedeva, previa acquisizione ex art. 493, comma 3, c.p.p. della querela del 29.10.2004, al controesame della parte civile. All'esito, il processo veniva rinviato in prosieguo istruttorio per l'esame del teste assente all'udienza del 12.06.2006. A tale udienza, escusso il M.Uo.Gi., risultando assolutamente necessario esaminare quale testimone l'avvocato Cl.Pr." in merito ai contatti avuti ed alle azioni intraprese per l'espropriazione del credito da disposizione testamentaria vantato dall'imputato Ga.", il giudice, con ordinanza, ne disponeva la citazione ex art. 507 c.p.p. a cura della parte civile, rinviando il processo all'udienza del 20.12.2006. Dopo un rinvio per assenza del teste, all'udienza del 14.03. 2007, la prima innanzi a questo giudicante, appresa la volontà concorde delle parti alla rinnovazione mediante lettura degli atti di istruzione dibattimentale già compiuti, si procedeva ad escutere il teste presente ed, all'esito, il giudice rinviava il processo per la sola discussione all'udienza odierna. Dichiarata quindi l'utilizzabilità degli atti (ex art. 511 c.p.p.) ai fini della decisione, le parti concludevano come in epigrafe riportato ed il giudice decideva dando lettura del dispositivo cui segue la presente motivazione. Ritiene questo Giudice che le risultanze processuali abbiano fornito la prova certa della penale responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto, risultando accertato in maniera inconfutabile che gli atti loro contestati nel capo di imputazione, con riferimento specifico alla convenzione matrimoniale del 12.05.2003 ed all'atto di costituzione del fondo patrimoniale di pari data, oltre che all'atto di cessione del credito del 24.09.2004, integrano gli estremi del reato di cu all'art. 388 c.p.p., essendo tutti fraudolentemente compiuti al fine di sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti da una sentenza di condanna per l'adempimento dei quali era già in corso la procedura esecutiva previa formale intimazione all'adempimento per effetto della notifica del decreto ingiuntivo e del precetto in data 24.03.2003. Per la comprensione dei fatti di causa è necessario esporre con precisione il contenuto della querela, utilizzabile ai fini della decisione per espressa volontà delle parti, opportunamente confermata e puntualizzata, oltre che dalle dichiarazioni rese dai testimoni nel corso del dibattimento, anche dalla documentazione in atti. La parte civile inizia l'esposizione dei fatti in cui fu vittima facendo riferimento alla sentenza n. (...) con la quale il Tribunale di Avellino condannava la Mo.Sp. s.a.s. a reintegrare nel posto di lavoro il signor Bu. per averlo illegittimamente licenziato, oltre che a risarcirlo del danno procuratogli quantificato nella misura di 5 mensilità oltre al pagamento delle spese legali. Il Bu. però optava per l'indennità sostitutiva della reintegra pari a 15 mensilità ai sensi dell'art. 18 S.L. ed otteneva, per effetto della suindicata sentenza e dell'esercitata opzione, il decreto ingiuntivo n. (...) emesso nei confronti della Mo.Sp. s.a.s. per circa Euro 28.000,00. In seguito, con sentenza della Corte di Appello n. (...) depositata il 4.06.2004, veniva parzialmente riformata la sentenza emessa in primo grado e, lasciando invariata la pretesa risarcitoria del lavoratore Bu., ne veniva unicamente ridotto il quantum dagli originari 28.000,00 Euro alla somma di Euro 18.437,66. Volendo essere più precisi, anticipando un argomento che sarà in prosieguo ancor più rilevante, la Corte d'Appello confermava l'illegittimità del licenziamento subito dal Bu., condannando il datore di lavoro a riassumerlo o, in mancanza, a risarcirgli il danno nella misura pari a 10 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore al momento del licenziamento. La pronuncia della Corte di Appello faceva solo venir meno la possibilità per il Bu. di optare per le 15 mensilità sostitutive, ma lasciava invariata la tutela risarcitoria spettante al lavoratore incidendo solamente sul quantum della stessa. Sostanzialmente la sentenza in primo grado riconosceva al Bu. l'indennità complessiva di Euro 27. 656,50 ridotta complessivamente ad Euro 18. 437,66 in grado di appello. Risultando infruttuose le azioni giudiziarie intraprese al fine di dare esecuzione al decreto ingiuntivo n. (...) emesso sulla base della sentenza di primo grado, il Bu. chiese ed ottenne nei confronti di Ga.Ro., socio illimitatamente responsabile della Mo.Sp. s.a.s., un ulteriore decreto ingiuntivo n. (...) del (...) provvisoriamente esecutivo. L'atto di precetto, con formale intimazione a corrispondere al Bu. la somma di Euro 27.656,50, veniva notificato al debitore in data 24.03.2003, ma tutte la azioni successive finalizzate alla realizzazione del credito rimasero tuttavia infruttuose. In particolare, riferisce l'offeso, ed ogni sua dichiarazione risulta confermata dalla documentazione in atti, non sortì alcun effetto il pignoramento immobiliare del 29.05.2003 avente ad oggetto il 50% di proprietà del Ga. di un appartamento con annesso box garage sito in So., poiché tale immobile risultava devoluto al fondo patrimoniale costituito in data 12.05.2003 in una sospetta coincidenza temporale con la procedura esecutiva intrapresa dal Bu. (dopo la notifica del precetto e poco prima del pignoramento). Sempre in data 12.05.2003 il Ga. e la moglie Ca.Fl. optavano, con atto per notar Ba., per il regime della separazione dei beni, vanificando, quindi, l'ulteriore azione di pignoramento intrapresa dal Bu. avente ad oggetto la somme intestate alla Ca., depositate presso la Banca della Ca. di So. e di pertinenza del Ga. per la quota non inferiore alla metà in virtù del regime di comunione legale preesistente tra i coniugi. Anche questa convenzione matrimoniale, dunque, risultava in maniera sospetta stipulata nelle more della procedura di espropriazione. L'esito negativo delle due procedure esecutive (pignoramento immobiliare del 29.05.2003 e pignoramento presso terzi del 30.06.2003), indussero il creditore a tentare l'esecuzione forzata su altri beni del debitore prima ancora di sporgere querela per comportamenti che fin da subito sembravano avere come unico scopo quello di sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili rappresentati dal diritto del Bu. al pagamento della somma di Euro 27.656,50 indicata nel decreto ingiuntivo n. (...) e nel successivo atto di precetto del 24.03.2003. In particolare, come chiaramente emerge dalla documentazione in atti, il Bu. aveva appreso che il Ga. aveva ereditato dallo zio Mo.Ga., per effetto di legato in suo favore di cui al testamento registrato il 14.06.2002, il 50% di un'indennità di espropriazione e di occupazione pari alla somma di Euro 246,105,09 di cui lo stesso de cuius era creditore a seguito di vittoria riportata nel giudizio civile contro il signor Nu.Gi.. Quest'ultimo, in qualità di debitore ed in adempimento della sentenza "del giudizio civile in cui soccombeva, aveva depositato tale indennità presso la Tesoreria Provinciale sezione di Av. in data 03.05.2004. In atti vi è prova documentale di tutto quanto esposto in querela. Il Bu., appresa la notizia del deposito di tale cospicua somma presso la Direzione Provinciale del Tesoro, sapendo che il 50% di essa spettava al suo debitore Mo. per effetto del legato sopra esposto, avviava, con l'ausilio dell'avvocato Pr.Cl., una procedura di espropriazione presso terzi in relazione al predetto credito. Sempre nell'ennesimo tentativo di dare esecuzione al decreto ingiuntivo n. (...), il Bu., quindi, notificava in data 28.09.2004 al Ministero dell'Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro Direzione Provinciale di Av., l'atto di pignoramento di tale credito. In merito all'espropriazione del credito assai importante è proprio quanto l'avvocato Cl.Pr. riferisce alla pag. 12 del verbale di stenotipia relativo alla sua deposizione. Egli sostanzialmente riferisce di aver proceduto direttamente all'atto di pignoramento presso la Direzione Provinciale del Tesoro, sulla basa del medesimo precetto, relativo al decreto ingiuntivo n. (...), notificato in data (...), posto a fondamento dei precedenti atti di pignoramento immobiliare del 29.05.2003 e di pignoramento presso la Ba.Po. dell'Ir. del 30.06.2003. Riferiva ancora l'avvocato Pr. di aver proceduto con una certa celerità a questo ulteriore tentativo di esecuzione del decreto ingiuntivo in questione, poiché il suo assistito lo aveva messo in guardia da possibili movimenti di denaro. Infatti, a conferma dei sospetti e dei timori nutriti, coevamente alla notifica alla Direzione Provinciale del Tesoro dell'atto di pignoramento, risultava notificato al medesimo soggetto un atto di cessione di quel credito di cui il Ga. era beneficiario, in favore della suocera Mo.Te.. È in atti la dichiarazione con prot. n. (...) in cui il terzo (il direttore del Di.Pr. del Te.) rivela, a conferma dei timori e dei sospetti del Bu., che il giorno stesso dell'atto di espropriazione del credito (avvenuta il 24.09.2004) era stato stipulato l'atto di cessione dello stesso credito alla Mo. in una coincidenza temporale ancora una volta sospetta ed ancora una volta finalizzata a lasciare insoddisfatte le esigenze legalmente riconosciute del Bu.. Sono numerose le ragioni che portano a riconoscere in quella cessione i caratteri di un atto simulato e fraudolento. In primo luogo, il signor Ga. conosceva bene l'intenzione del Bu. di procedere al pignoramento del credito ereditato, poiché tale intenzione era stata rivelata confidenzialmente proprio mentre era in corso di svolgimento il giudizio che lo aveva visto prevalere sul signor Nu.Gi.. In secondo luogo quella cessione risultava assolutamente in contrasto con quanto la logica e la prassi commerciale suggerivano, emergendo dall'art. 2 dell'atto di cessione citato che: "il prezzo è stato pagato prima d'ora dalla concessionaria al cedenta" ed esso era pari al valore facciale del credito che però sarebbe stato riscosso dalla cessionario dopo un tempo sicuramente tanto lungo da comportare una considerevole perdita di interessi attivi sul prezzo e per il quale avrebbe dovuto sopportare spese non insignificanti per la pratica di svincolo del deposito amministrativo. II prezzo convenuto per la cessione appariva pertanto fittizio e l'atto di cessione era stato sicuramente simulato dal Ga. con il concorso di Mo.Te., al fine di sottrarsi all'adempimento degli obblighi civili nascenti dalla sentenza di condanna n. (...) e dal decreto ingiuntivo n. (...). Proprio la sospetta coincidenza temporale tra la notifica del pignoramento del credito e la cessione dello stesso alla Mo. né determinavano il sequestro a cura della Guardia di Finanza in data 19.11.2004. È in atti il decreto in cui il Pubblico Ministero dispone, ex art. 253 c.p.p., il sequestro dell'atto di cessione poiché esso "nella prospettazione accusatoria allo stato emergente dalla querela e dalla documentazione prodotta", risulta essere uno strumento giuridico mediante il quale il reato è stato consumato. È evidente, alla luce di quanto esposto, che ricorrono tutti gli elementi costitutivi del reato contestato. Tutte le azioni intraprese dal Ga. erano finalizzate all'inadempimento degli obblighi nascenti dalla sentenza di condanna n. (...) e dal decreto ingiuntivo n. (...). La costituzione del fondo patrimoniale e la scelta dei coniugi Ga. di modificare il loro regime patrimoniale, non furono scelte libere ed occasionali, ma sicuramente condizionate dalla procedura esecutiva già in corso dal momento della notifica del precetto del 24.03.2003. Da tale momento il debitore riceve formale intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal titolo esecutivo, e non possono essere certo frutto di pura coincidenza le azioni intraprese dal debitore che in più occasioni puntualmente agiva frustrando ogni legittima pretesa del Bu.. Si consideri in primo luogo che il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui al primo comma dell'art. 388 c.p. tutela l'autorità di decisioni giudiziarie in sé per sé, indipendentemente dal fatto che l'interessato abbia promosso l'esecuzione forzata del diritto riconosciutogli dal giudice, essendo solo sufficiente che egli abbia chiesto, anche in modo informale di adempiere. Tale principio trova applicazione particolarmente in relazione a fattispecie concernenti, come quella sottoposta al nostro esame, decisioni giudiziarie immediatamente esecutive. Nel caso di specie il Bu. agiva esecutivamente sulla base del decreto n. (...) munito di clausola di provvisoria esecuzione; con la notifica del precetto, effettuata in data 24.03. 2003, egli aveva già formalmente intimato l'adempimento dell'obbligo derivante dal titolo esecutivo. L'art. 388 c.p. ha lo scopo di tutelare l'autorità delle decisioni del giudice costitutive di obblighi civili ed assistite da forza esecutiva anche se provvisoria. Non ha quindi alcun rilievo, al cospetto di un pignoramento immobiliare legittimamente intrapreso, l'opposizione agli atti esecutivi proposta dal Ga. in data 04.06.2003, né il fatto che la stessa venisse accolta con successiva sentenza del 02.02.2006. Tale sentenza, si badi bene, dichiarava l'illegittimità sopravvenuta dell'esecuzione coattiva intrapresa dal Bu. come conseguenza della revoca, con sentenza n. (...), del titolo esecutivo n. (...), autonomamente impugnato dal Ga. in data 11.04.2003. Se si presta un minimo di attenzione alla motivazione di tale sentenza di revoca del decreto n. (...) si comprende che essa accoglie solo parzialmente l'opposizione proposta; sostituendosi, per gli importi residui del credito, all'originario decreto ingiuntivo opposto. Per meglio intenderci la sentenza di revoca del decreto ingiuntivo confermava la condanna della Mo.Sp. s.a.s. e del Ga. in proprio, alla soddisfazione delle legittime pretese risarcitorie del Bu. riducendone, coerentemente a quanto deciso nella sentenza n. (...) che in appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado n. (...), unicamente il quantum dalla somma originaria di Euro 27.656,50 alla minor somma di Euro 18.437,66. Rimane quindi confermata in sentenza, indipendentemente dalle opposizioni agli atti esecutivi ed all'esecuzione proposte dal Ga., la legittimità del credito che il Bu. in più occasioni, sempre cori esito negativo, aveva tentato di portare ad esecuzione. Il fatto che con l'ultima ordinanza del 12.02.2007 il giudice dell'esecuzione abbia assegnato in pagamento al Bu. il credito che il signor Ga.Ro. vantava verso il Ministero dell'Economia e delle Finanze Dipartimento Provinciale del Tesoro, Direzione di Av., fino alla concorrenza della somma di Euro 18.437,66, proprio in virtù della sentenza n. (...), conferma quanto sopra esposto. In pratica, indipendentemente dalla revoca del decreto ingiuntivo, gli atti esecutivi compiuti sulla base di esso conservano i loro effetti (l'ordinanza di assegnazione è una chiara conferma di ciò) sia pure limitatamente alla somma ridotta. Neppure può essere condivisa l'argomentazione difensiva secondo la quale avendo alla fine soddisfatto il creditore le proprie pretese, non sussisterebbero gli estremi per la condanna degli imputati. Si ricordi in proposito che il reato di cui all'art. 388 c.p. si concretizza in presenza dell'azione od omissione del colpevole senza che occorra il verificarsi dell'evento successivo. In particolare, nell'ipotesi che nel caso di specie interessa, quella di cui al primo comma, esso è un reato istantaneo e si consuma con il verificarsi della condizione di punibilità, consistente nel compimento di atti simulati e fraudolenti per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da una sentenza di condanna giuridicamente esistente anche se suscettibile di annullamento, e dell'inottemperanza all'ingiunzione di eseguire detta sentenza. Ciò che rileva, è che dolosamente il Ga. ha in più occasioni agito al fine di pregiudicare le pretese creditorie del Bu.; quest'ultimo, anzi, prima di pretendere in sede penale la punizione del colpevole, ha sempre attivato nuove azioni per tentare di soddisfare il suo credito ed il fatto che alla fine sia riuscito ad ottenere quanto in sentenza riconosciutogli, non esclude certo la rilevanza penale dei fatti ascritti agli imputati. Risulta quindi accertata la responsabilità penale di Ga.Ro. e Mo.Te. per il reato loro ascritto e, considerati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., concesse le attenuanti generiche, questo giudice li condanna alla pena di mesi 2 di reclusione (pena base mesi tre ridotta ex art. 62 bis c.p. alla pena suesposta), oltre al pagamento in solido delle spese processuali. Viene concessa ad entrambi la sospensione condizionale della pena risultando possibile una prognosi di futura astensione degli imputati dal commettere ulteriori reati. Gli imputati devono essere, inoltre, condannati, ex art. 538 c.p.p., al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile costituita da liquidarsi in separata sede, oltre che alla rifusione, ex art. 541 c.p.p., delle spese dalla stessa sostenute liquidate fin da ora in Euro 2.400,00 (di cui 200 per spese) oltre iva e c.p.a. come per legge. Il giudice dispone infine il dissequestro e la restituzione all'avente diritto di quanto oggetto di sequestro. P.Q.M. Il Giudice, letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. DICHIARA gli imputati responsabili del reato loro ascritto condannandoli alla pena di mesi due di reclusione previa concessione delle attenuanti generiche, oltre al pagamento in solido delle spese processuali. Pena sospesa. Gli imputati devono essere inoltre condannati al risarcimento in solido dei danni cagionati alla parte civile da liquidarsi in separata sede oltre alla rifusione delle spese dalla stessa sostenute, liquidate fin da ora in Euro 2.400,00 oltre iva e c.p.a.. Si dispone il dissequestro e la restituzione all'avente diritto di quanto oggetto di sequestro. Moti riservati in gg. 90.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Il Giudice monocratico del Tribunale di Avellino dr. MARZULLO alla pubblica udienza del 19/6/07 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Pe.Lu. n. (...) il (...) ivi dom. via Mi.Sa. n. (...) libero-contumaceIMPUTATO Con l'intervento del  P.M. Silvestro Il difensore:avv. De.Be. assente, d'uff. avv. Fa. presente Avv. De. assente, sost. Avv. Sa. presente per la p.c. Le parti hanno concluso come segue: Il P. M.: mesi sei di arresto e Euro 700,00 di ammenda e demolizione del fabbricato. Il Difensore: per la p.c.: affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e condannarsi lo stesso al risarcimento danni; come da nota spese e conclusioni che deposita. La difesa dell'imputato: assoluzione perché il fatto non sussiste, in subordine minimo della pena. IMPUTATO quale locatario dell'area e committente dei lavori; a) del reato p. e p. dalla lettera c) dell'art. 20 L. 28.2.1985 nr. 47-83-110 c. p. per aver, in concorso tra loro, iniziato, continuato ed eseguito, in assenza della concessione edilizia le seguenti opere: "manufatto delle dimensioni di mt., 4,20 x 17,30 con altezza minima a. i circa mt. 5 e massima di mt. 5.50 con tompagnatura laterale sinistra e copertura in lamiera gregata nonché con muro di chiusura, non ultimato, a confine e struttura impilastrature in profilati in ferro. Il tuttoposto su una base di conglomerato cementi: io con altezza di circa 40 cm ". b) del reato p. e p. artt. 2 -(...)-4-14 L. 5.11.1971 n. 108681 c.p. perchè in esecuzione di un medesimo disegno i criminoso, realizzavano le strutture in e cemento armato non in base a progetto esecutivo, senza previa demanda dei lavori del genio civile e senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico competente; c) del reato p. e p. dagli artt. 1-2 -20 L. 2.2.1974 nr. 64 e 2 REG. 71.1983 nr. 9 per aver eseguito i lavori relativi alle opere di cui al capo a) in zona sismica omettendo di depositare, prima dell'iniziodei lavori, gli atti;progettuali presso l'Ufficio del genio Civile competente; d) del reato p e p. dell'art 20, lett. c), L. 47/85 in relazione all'art. (...) sexies, L. 431/85 per aver eseguito le opere di cui al capo a) in area sottoposta a vincolo di inedificabilità, imposte con la misura della salvaguardia prevista dall'art. 1 quinquies della citatata ultima legge o comunque in assenza del prescritto nulla osta rilasciato da parte dell'autorità preposta alia tutela del vincolo; e) del reato p. e p. di cui all'art. 734 c.p. per avere, mediante le opere di cui al capo a) distrutto o-alterato le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell'autorità ex R.D. 1497/1939. In Me., sequestro dell'immobile non ultimato alla data dell'accertamento (...). Con la recidiva reiterata. MOTIVAZIONE Con decreto di citazione emesso in data 05.10.2000, Pe.Lu. veniva tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Avellino per rispondere dei reati ascrittogli in rubrica. All' udienza del 05.03.2002, libero non comparso l'imputato, preliminarmente il Giudice disponeva l'ammissione nell'odierno procedimento della parte civile, Comune di Me. in persona del vice Sindaco, veniva dichiarato aperto ti dibattimento e dopo la richiesta di prove formulala dalle partì si è celebrata f istruttoria dibattimentale articolatasi con escussione dei testi ammessa. All'esito, dichiarata chiusa istruttoria dibattimentale, apprese le conclusioni delle parti (vedasi verbale), sulla base degli atti del processo utilizzabili ai firn della decisione (ex-art 511 c.p.p.), è stata data lettura del dispositivo cui fa seguito la presente motivazione. Ritiene il Giudicante die le risultanze istruttorie abbiano fornito la prova adeguata della penale responsabilità dell'odierno imputato in ordine ai reati contestati. Invero, dalla deposizione dei testi escussi,, pertanto attendibili, nonché dalla documentazione versata in atti è emerso che l'odierno imputato aveva realizzato un manufatto di circa 14 m. per 17 m. ed un'altezza di 5 m., con copertura in lamiera e struttura in profilati di ferro, poggiante su una base in conglomerato cementizio. Tale opera al momento del sopralluogo era ancora in corso di realizzazione, e non era stata rilasciata alcuna concessione edilizia. Inoltre, l'opera abusiva è state realizzata in zona sismica, ed in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità ai sensi della L. 431/85, senza essere in possesso del relativo nulla osta., Alla luce di quanto emerso, il giudice ritiene l'odierno imputato responsabile dei reati ascrittigli e lo condanna alla pena di mes 3 di arresto ed Euro 7000,00 di ammenda. Dispone, la demolizione dell'opera abusiva. Condanna, l'imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile da liquidarsi in separata sede, nonché le spese legali all'avv. Fr.De.Be. da liquidarsi in Euro 6800,00, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge. P.Q.M. IL Giudice, Letto l'art. 5333 Dichiara Pe.Lu. responsabile dei reati ascrittogli e lo condanna alla pena di mesi 3 di arresto ed Euro 7000,00 di ammenda. Dispone, altresì, la demolizione dell'opera. Condanna, altresì, l'imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile da liquidarsi in separata sede, nonché le spese legali all'avv. Fr.De.Be. da liquidarsi in Euro 6800,00, oltreI.V.A. e C.P.A.. Motivi m giorni 90.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice monocratico del Tribunale di Avellino dr. Lucia RUGGIERO alla pubblica udienza del 02/03/2007 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA Nei confronti di: 1) Pe.Ge., nato a Co. il (...) residente a Mo.Su. via Me. (...) Frazione Ba. (Libero Contumace) 2) Ca.Ni., nata a Mo.Su. il (...) ivi residente Via Me. (..) Frazione Ba. (Libero Contumace) IMPUTATI A) del reato di cui all'art. 20 lett. b) della legge 8/2/1985 n 47 per aver eseguito le opere edilizie sotto indicate in assenza della concessione del Sindaco: 1) box in lamiera su platea in c.c. delle dimensioni in pianta di ml. 12,40x3,30 ed altezza variabile da m. 2,35 a m. 2,85 2) vano delle dimensioni in pianta di ml. 4,9X3,15 ed altezza interna di m. 2,90 3) tettoia in ferro con pianta di ml. 6,30X10,4 ed altezza variabile da m. 3,7 a m. 4,00 B) del reato p e p dall'art. 2 l. reg. 9/83 e 20 l. n. 64/74 per aver omesso di depositare il progetto esecutivo delle opere ed i relativi allegati presso l'ufficio provinciale del genio civile di Avellino. In Mo.Su., accertato il 7/11/2002 Con l'intervento del Pubblico Ministero dr. I. DE ASMUNDISIl difensore dell'imputato avv. C.De.St. ex art. 97 4° c. c.p.p. in sostituzione dell'Avv. C. Bo. di ufficio assente per entrambi. Le parti hanno concluso come segue: il PM condanna a mesi tre di arresto e 3.000,00 Euro di ammenda per entrambi; il difensore degli imputati non doversi procedere per intervenuta prescrizione FATTO E DIRITTO Con decreto del 16/04/2003, il Pubblico Ministero esercitava l'azione penale nei confronti di Pe.Ge. e Ca.Ni., in relazione ai reati indicati in rubrica. Nel corso del dibattimento, celebrato nella contumacia degli imputati, era assunta la testimonianza di Tr.Gi., all'esito si disponeva su richiesta del PM la citazione del geom. la. dell'UTC di Mo.Su. In data odierna, dopo l'escussione del geom. Ia., dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e data lettura degli atti consentiti ex art 511 e ss. del c.p.p., venivano assunte le conclusioni delle parti come da verbale. Alla stregua delle acquisizioni dell'istruttoria dibattimentale, può dirsi dimostrata la penale responsabilità degli imputati in ordine all'abusiva realizzazione dei manufatti oggetto di contestazione. Dagli elementi di prova acquisiti, emerge che a seguito di sopralluogo, in Mo.Su., in data 07/11/2002, l'agente di polizia municipale Tr. unitamente al tecnico comunale e altro collega, accertarono varie opere edili eseguite dai coniugi Pe. e Ca., manufatti che in parte furono assentite, ampliamento del fabbricato e la sopraelevazione, previa demolizione di opere minori, consistenti, in un box in lamiera di m 12,40 per 3,30 con altezza variabile da 2,5 a metri 2,85 su platea in c.c., oltre un vano in muratura adibito a cucina, una tettoia in lamiera, queste ultime tutte prive di concessione edilizia e insistenti sull'area di proprietà dei coniugi Pe. e Ct. All'atto del citato sopralluogo risultò presente il Pe., il quale insieme alla propria consorte abitava l'immobile adiacente a quello ove furono realizzate le opere abusive. Si rileva, in primo luogo, che i fatti sin qui descritti integrano sicuramente la fattispecie astratta prevista dai reati contestati in imputazione, trattandosi di opere realizzate in assenza di concessione edilizia. Non possono poi esservi dubbi in merito alla sussistenza, in capo agli imputati, della qualità soggettiva necessaria per la configurabilità del reato. E' noto infatti che quello previsto dall'art 20 legge 47/'85, è un reato ed "proprio", poiché la norma individua con esattezza i soggetti responsabili dell'illecito, specificatamente indicati nel titolare della concessione edilizia (nel caso di opere realizzate in difformità), committente, costruttore e direttore dei lavori e salva la possibile responsabilità dell'extraneus se vi sia la prova di una cosciente volontaria partecipazione. In particolare, l'autore materiate della contravvenzione va individuato in colui che, con propria azione, esegue l'opera abusiva, ovvero la commissioni ad altri, anche se difetti la qualifica di proprietario del suolo. Orbene, la prova della sussistenza della qualifica soggettiva richiesta può essere fornita anche per facta concludentia e dunque indipendentemente dal dato formate della proprietà del suolo sul quale è avvenuta la edificazione abusiva. Nel caso di specie la riferibilità appare pacifica, non solo dalla presenza del Pe. - comproprietario con la Ca. dell'area sulla quale vennero eseguite le opere abusive, tra l'altro, già oggetto di precedenti abusi edilizi -al momento del sopralluogo, rendendo certo che fossero gli effettivi committenti delle opere in parola ma altresì, dal fatto che le opere eremo stilizzate in concorso dagli odierni imputati, eleggendo a propria abitazione l'immobile adiacente agli abusi in contestazione. Sul piano oggettivo deve rilevarsi come i lavori siano stati effettuati senza che fosse stata rilasciata per essi una concessione edilizia, con impiego di cemento armato, nonché in assenza del deposito di atti progettuali presso il Genio Civile di Avellino. In merito all'elemento psicologico del reato, va rilevato che la natura contravvenzionale delle condotte criminose intraprese fa si che esse possano essere punite indifferentemente a titolo di dolo o di colpa. Tra il reato di costruzione abusiva e quelli ad esso satellitari, ritenuti sussistenti a carico degli imputati, è sicuramente ravvisabile il vincolo della continuazione. In merito si rileva comunque che, il reato di cui alla contestazione sub B) risulta prescritto essendo decorso il termine prescrizionale. Difatti, per quanto attiene al reato sub b), va dichiarato il non luogo a procedere perché estinto per prescrizione. Infatti considerato che il detto illecito è punito con la pena della sola ammenda, ai sensi dell'art. 157 c.p., il termine di prescrizione è pari ad anni due, decorrenti dalla data di cessazione dei lavori, ovvero, dati "ultimo atto interruttivo della prescrizione, rappresentato dal decreto di citazione a giudizio. Poiché, quest'ultimo risale al 16.04.2003, se ne desume che dalla data testé indicata, risultano maturati i termini ordinari di prescrizione de quibus, per cui, segue la declaratoria di estinzione del reato in parola per intervenuta prescrizione. Ad entrambi gli imputati, stante la totale incensuratezza del Pe. ed un unico predente penale a carico della Ca. è quanto risulta dalla lettura del casellario in atti), possono essere concesse le attenuanti generiche. Tanto premesso, la pena per la contestazione di cui al capo sub A) della rubrica, può congruamente determinarsi, alla stregua dei criteri direttivi fissati dall'art. 133 c.p., per entrambi gli imputati in mesi due di arresto ed Euro 4.000 di ammenda, previo riconoscimento delle attenuanti generiche (p. b. mesi 3 di arresto ed Euro 6000 di ammenda, ridotta ex art. 62 bis c.p. a quella finale indicata). Segue per legge la condanna al pagamento in solido delle spese processuali. Ad entrambi gli imputati stante la presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi indicati negli arti. 163 e 164 c.p., si concede il beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto è agevole presumere che gli stessi si asterranno dalla commissione di ulteriori reati. Ai sensi dell'art. 7 ultimo comma L 47/85 alla sentenza di condanna per il reato di abuso edilizio segue l'odierna di demolizione delle opere abusive se non già eseguita. P.Q.M. IL GIUDICE Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara entrambi gli imputati entrambi colpevoli del reato a loro ascritto al capo A) della rubrica (previa sua riqualificazione nella fattispecie oggi vigente) e concesse le attenuanti generiche ad entrambi li condanna alla pena di mesi due di arresto ed Euro 4.000/00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali letto l'art 129 c.p.p.. dichiara di non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati in ordine alla contestazione di cui al capo B) della rubrica perchè il reato risulta estinto a seguito di prescrizione. Pena sospesa, e demolizione delle opere abusive. Motivi in gg. 60.

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