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REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI AVELLINO - PRIMA SEZIONE CIVILE - GIUDICE Raffaele Califano causa civile n. 615/2024 R.G.A.C. PROSIEGUO PROCESSO VERBALE dell'8/10/2024 considerate le conclusioni rassegnate a verbale e negli atti, il giudice visto l'art. 281 sexies c.p.c.; ordina la discussione orale della causa; terminata la stessa, decide la controversia come segue. REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI AVELLINO - PRIMA SEZIONE CIVILE - IL GIUDICE Raffaele Califano in nome del Popolo italiano pronunzia, ex art. 281 sexies c.p.c., - dandone pubblica ed integrale lettura -la SENTENZA che segue nella causa civile iscritta al n. 615 dell'anno 2024 del ruolo generale degli affari contenziosi civili, avente ad oggetto: IMPUGNAZIONE DELIBERA ASSEMBLEARE, e vertente TRA (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) ATTRICE E (...) in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...), CONVENUTO CONCLUSIONI DELLE PARTI E RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso del 28/4/2024, la (...) quale proprietaria di un locale garage del (...) di Mercogliano (AV), impugnava la delibera condominiale del 20/11/2023 deducendo che non era stata convocata all'assemblea straordinaria nella quale la medesima era stata assunta; di conseguenza chiedeva dichiararsene la nullità/annullabilità e/o l'inefficacia. Riferiva che con la comunicazione di convocazione dell'assemblea ordinaria del 9/10 gennaio 2024, ricevuta il 3/1/2024, aveva appreso che, con precedente delibera condominiale del 20/11/2023, era stato nominato il nuovo amministratore del condominio. Nello specifico, asseriva di non aver mai ricevuto avviso di convocazione per l'assemblea straordinaria del 20/11/2023 e che la stessa si era tenuta illegittimamente in mancanza di regolare convocazione di tutti gli aventi diritto. Aggiungeva che: - in data 19/2/2024 si era tenuto il primo incontro di mediazione tra le parti e che in tale contesto le stesse avevano chiesto un rinvio per sottoporre all'assemblea la proposta avanzata dal condominio per dirimere la controversia; - nel corso delle trattative, non potendo attendere l'esito della mediazione per non incorrere in preclusioni e decadenze processuali per effetto delle modifiche introdotte dalla riforma Cartabia, si era vista costretta al deposito del ricorso giudiziale. Deduceva, dunque, l'illegittimità e l'inefficacia della delibera assembleare straordinaria del 20/11/2023 per omessa convocazione ai sensi dell'art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile. Concludeva per l'accertamento e la declaratoria di nullità/annullabilità e/o inefficacia della predetta delibera. Si costituiva il (...) chiedendo il rigetto della domanda. Deduceva che i condomini dello stabile di (...) avevano proceduto legittimamente all'autoconvocazione dell'assemblea condominiale del 20/11/2023 per la nomina del nuovo amministratore, avvalendosi del modulo predisposto e consegnato ad uno di loro dall'amministratore dimissionario. Nello specifico, rilevava che il condomino (...), dopo aver ricevuto dall'amministratore dimissionario l'avviso per la convocazione del 19-20/11/2023, aveva provveduto ad inoltrarlo a tutti i condomini a mezzo dell'applicativo di messaggistica "WhatsApp". Asseriva, quindi, che, con tale modalità di comunicazione, il (...), il legale rappresentante della società (...), e gli altri condomini avevano concordato la data e l'ordine del giorno dell'assemblea del 20/11/2023. A riprova di ciò, riferiva pure che il (...) il giorno della riunione aveva comunicato di essere impossibilitato a parteciparvi perché affetto da covid e chiesto di rinviarla. Riteneva dunque che l'avviso era stato regolarmente comunicato a tutti i condomini e che le censure sollevate da controparte sulla regolarità della convocazione erano del tutto pretestuose e finalizzate soltanto a contrastare la nomina del nuovo amministratore. Ad ogni modo, il (...) rilevava che la delibera impugnata era stata di fatto sostituita dalla successiva delibera del 22/3/2024 avente medesimo oggetto di quella oggetto di contestazione. Chiedeva il rigetto della domanda per inesistenza di vizio o nullità e/o per avere l'atto raggiunto comunque il suo scopo. La causa veniva rimessa per la decisione all'odierna udienza. Preliminarmente, occorre rilevare che l'art. 66 delle disposizioni attuative del codice civile, al comma 3, dispone che l'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale deve essere notificato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la prima convocazione. La finalità dell'avviso, dunque, è quella di informare i condomini sul luogo, la data e l'ora dell'incontro convocato dall'amministratore per discutere gli argomenti all'ordine del giorno. Ciò per consentire agli stessi di partecipare consapevolmente e informati alla riunione, in modo da poter essere preparati adeguatamente per discutere le varie questioni. La normativa mira a garantire una partecipazione informata e consapevole all'assemblea. C'è da dire, poi, che l'avviso di convocazione deve essere comunicato a mezzo posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano. Al riguardo, la giurisprudenza è chiara nel ritenere che l'elenco formulato dall'art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile sia esaustivo e non si possa estendere ad altre forme non previste dalla legge. Dunque, la comunicazione a tutti i condomini è cruciale per la regolare costituzione dell'assemblea e l'omissione della convocazione è causa di annullabilità delle decisioni prese dall'assemblea stessa. Venendo al caso di specie, va rilevato che le comunicazioni intervenute tra le parti mediante l'applicativo di messaggistica whatsapp sono da considerarsi informali e di natura meramente preparatoria e non certo idonee a determinare una legittima convocazione dell'assemblea condominiale. I messaggi prodotti hanno tutti carattere preliminare; tutti fanno riferimento ad una successiva convocazione formale che poi non c'è stata, quanto meno con riferimento all'opponente. C'è da dire anche che tale modalità di comunicazione presenta rilevanti criticità, quali la mancanza di certezza di ricezione, non essendovi la garanzia che tutti i condomini ricevano e leggano il messaggio, e il difetto di forma, non rappresentando la chat un mezzo di comunicazione ufficiale, come la PEC o la raccomandata. Non vi è prova in atti, quindi, della rituale convocazione della prima assemblea oggetto di impugnazione, in quanto le comunicazioni intervenute tra i condomini con l'applicativo di messaggistica whatsapp sono da considerarsi non certo idonee a determinare la regolare convocazione dell'assemblea condominiale. Pertanto, è da rilevarsi l'irregolarità della convocazione dell'assemblea condominiale del 20/11/2023 effettuata in spregio alle modalità previste dal legislatore. C'è da dire, poi, che l'adozione della delibera successiva del 22/3/2024 avente ad oggetto le medesime questioni implica la cessazione di efficacia della precedente che rimane sostituita dalla nuova delibera. Ne consegue che detta sostituzione ha fatto venire meno ogni interesse della ricorrente all'impugnazione, ovviamente dal momento in cui di tale sostituzione si è avuta conoscenza. È da rilevare, dunque, la cessata materia del contendere. Al riguardo, infatti, occorre osservare che per la sua configurabilità è sufficiente che l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sui medesimi argomenti della delibera oggetto dell'impugnazione, come nel caso di specie, ponendo in essere, pur in assenza di forme particolari, un atto formalmente sostitutivo di quello invalido. Neppure rileva la circostanza che la successiva assemblea si sia limitata a deliberare sui medesimi argomenti posti all'ordine del giorno nella precedente assemblea, senza annullare la precedente delibera, affetta da vizi e/o irregolarità, né a sostituire la delibera impugnata di cui è causa. Ne consegue che, ogni qual volta l'assemblea condominiale, regolarmente riconvocata, abbia deliberato sugli stessi argomenti della delibera impugnata, viene meno la specifica situazione di contrasto fra le parti determinando la cessazione della materia del contendere (in tal senso Cass. n. 20071/2017). Tirando le fila, va dichiarata la cessazione della materia del contendere per i motivi sopra esposti. Le spese del giudizio vanno compensate per la metà attesa la peculiarità della vicenda e il comportamento riparatorio successivo tenuto dal condominio; la restante metà va posta a carico del resistente attesa a soccombenza virtuale del condominio. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino definitivamente pronunziando, ogni altra istanza, eccezione e difesa disattesa, così provvede: 1) dichiara la cessazione della materia del contendere; 2) compensa tra le parti la metà delle spese di lite e condanna il resistente a rimborsare alla ricorrente la restante metà che si liquida in euro 272,50 per esborsi ed euro 1.000,00 per compenso professionale, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge; attribuisce le medesime all'avvocato (...), dichiaratasi antistataria.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO in persona del giudice istruttore dott.ssa Michela Palladino, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente sentenza nella causa civile iscritta al n. 4948/2021 del Registro Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto: azione di accertamento e condanna TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Et.Fr., dom.to come in atti; attore E (...), in persona dell'amministratore pt, rappresentato e difeso dall'avv. Fi.Sa., dom.to come in atti; Convenuto Conclusioni: le parti hanno concluso come da atti e verbali di causa MOTIVI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Parte attrice con atto di citazione ritualmente notificato esponeva: di essere titolare del diritto di usufrutto sugli immobili ubicati al piano rialzato del fabbricato (...) convenuto, di cui al fgl. 38, p.lla 2878 sub 127 e 128, i cui locali risultano sottoposti ad un terrazzo interno nella cui sezione passa una pluviale ed un pozzetto che raccolgono le acque meteoriche dell'edificio; che sin dal 2017 i detti locali risultano interessati da infiltrazioni provenienti dal terrazzo soprastante, di proprietà esclusiva, causate in particolare, come accertato dalla CTP prodotta in giudizio, dallo scollamento avvenuto tra il pozzetto di raccolta e la pluviale (...) nonché dalla pluviale/fecale condominiale, e dalla assenza di zoccolatura protettiva; che risultano ammalorati l'intonaco del soffitto e le pareti di diversi locali dell'immobile; che sussiste la responsabilità del (...) ai sensi dell'art. 2051 c.c.; domandava accertarsi la responsabilità del (...) per le infiltrazioni prodotte con condanna al risanamento della terrazza, con comminatoria ex art. 614 bis c.c., ed al pagamento della somma di Euro 14.196,79 per il risarcimento dei danni subiti oltre quelli dovuti, a titolo di lucro cessante, per il subito recesso dal contratto di locazione inerente l'immobile in oggetto; vittoria di spese con attribuzione. Si costituiva il (...) convenuto che eccepiva il difetto di legittimazione attiva del (...) in quanto solo usufruttuario del bene, sia il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la terrazza in oggetto è di proprietà esclusiva degli eredi (...); contestava nel merito la domanda. Domandava dichiararsi il difetto di legittimazione attiva e passiva; in subordine, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda. Sulla eccezione di difetto di legittimazione attiva L'eccezione è infondata. La Suprema Corte con molteplici pronunce ha affermato la legittimazione ad agire dell'usufruttuario a tutela del bene di fronte ad atti illeciti. In particolare con l'ordinanza n. 15913/2022 ha statuito:" non v'è alcuna ragione per negare all'usufruttuario un'autonoma legittimazione ad agire, ai sensi dell'art. 2043 c.c., per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo diritto, e quindi, direttamente o indirettamente, al suo diritto di godimento", e ciò perché, se "l'usufruttuario ha il diritto di godere della cosa (art. 981 c.c.) nella sua integrità, non v'è chi non veda come, a difesa di tale suo diritto, oltre alla tutela in petitorio o in possessorio, gli si debba riconoscere il diritto di agire anche con la generale azione aquiliana, contro chiunque, attentando all'integrità del bene, provochi l'ingiustificata lesione del suo godimento" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 11 agosto 2000, n. 10733, Rv. 539537-01). Invero, "l'usufruttuario, quale titolare di un diritto reale, vanta nei confronti di tutti i terzi una pretesa di astensione da ingerenze sulla cosa che possano incidere sulla sfera di godimento e di uso a lui spettante", sicchè, correlativamente, "i terzi hanno l'obbligo di non effettuare sulla cosa, oggetto di usufrutto, ingerenze (comprese quelle che si traducano in un danneggiamento della cosa stessa) che facciano venir meno, in tutto o in parte, le facoltà costituenti il contenuto del diritto di cui trattasi o ne diminuiscano l'esercizio". E' su tali basi, dunque, che va "riconosciuto all'usufruttuario il potere di agire giudizialmente contro tutti coloro che tali ingerenze effettuano" (cfr., nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 10733 del 2000, cit.); non senza osservare che "se ciò non fosse e non fosse dato all'usufruttuario il suddetto potere, le facoltà di usare la cosa, di godere, di farla produrre frutti e di farli propri avrebbero scarso valore pratico" (Cass. Sez. 2, sent. 11 gennaio 1967, n. 106, Rv. 325787-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 2, sent. 26 ottobre 1973, n. 2777, Rv. 36632301)". Sulla eccezione di difetto di legittimazione passiva. Tale eccezione sarà trattata successivamente unitamente al merito della controversia investendo la titolarità della responsabilità da illecito. Sulla responsabilità. Va premesso che la Corte di Cassazione ha statuito, nella materia di cui si controverte, come segue: "mentre il lastrico solare, al pari del tetto, assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui forma parte integrante sia sotto il profilo meramente materiale, sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello è invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui è realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto e soprattutto a dare un affaccio e ulteriori comodità all'appartamento cui è collegata e del quale costituisce una proiezione verso l'esterno" (Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1986, n. 2924). Con la sentenza n. 9449/2016 della Corte di Cassazione pronunciata a SS.UU. è stato sancito il principio secondo cui "In tema di condominio negli edifici, qualora l'uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria; il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell'usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del (...)"; "allorquando l'uso del lastrico solare non sia comune a tutti i condòmini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell'appartamento sottostante, rispondono sia il proprietario o l'usuario esclusivo del suddetto lastrico solare, in quanto custode del bene ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il (...), in quanto la funzione di copertura dell'intero edificio, o di parte di esso, propria del lastrico solare, ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone all'amministratore l'adozione dei controlli alla conservazione delle parti comuni e all'assemblea di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria". La Corte con la pronuncia sopra richiamata ha chiarito i principi ed i limiti che governano il concorso di responsabilità nel caso di specie. Afferma la Corte"...non può essere posta in discussione la specificità del lastrico solare, quando questo sia anche solo in parte in uso esclusivo. Esso, invero, per la parte apparente, e quindi per la superficie, costituisce oggetto dell'uso esclusivo di chi abbia il relativo diritto; per altra parte, e segnatamente per la parte strutturale sottostante, costituisce cosa comune, in quanto contribuisce ad assicurare la copertura dell'edificio o di parte di esso. Risultano allora chiare le diverse posizioni del titolare dell'uso esclusivo e del (...): il primo è tenuto agli obblighi di custodia, ex art. 2051 c.c., in quanto si trova in rapporto diretto con il bene potenzialmente dannoso, ove non sia sottoposto alla necessaria manutenzione; il secondo è tenuto, ex art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, e art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, (nei rispettivi testi originari), a compiere gli atti conservativi e le opere di manutenzione straordinaria relativi alle parti comuni dell'edificio (per l'affermazione della responsabilità del (...), v., in particolare, Cass. n. 3522 del 2003). Ed è nel concorso tra tali due tipi di responsabilità che va risolta la questione di massima sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite... La naturale interconnessione esistente tra la superficie del lastrico o della terrazza a livello, sulla quale si esercita la custodia del titolare del diritto di uso in via esclusiva, e la struttura immediatamente sottostante, che costituisce cosa comune - sulla quale la custodia non può esercitarsi nelle medesime forme ipotizzabili per la copertura esterna e in relazione alla quale è invece operante il dovere di controllo in capo all'amministratore del condominio ai sensi del richiamato art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, induce tuttavia ad individuare una regola di ripartizione della responsabilità mutuata dall'art. 1126 c.c. In assenza di prova della riconducibilità del danno a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo del lastrico solare o di una parte di questo, e tenuto conto che l'esecuzione di opere di riparazione o di ricostruzione - necessarie al fine di evitare il deterioramento del lastrico o della terrazza a livello e il conseguente danno da infiltrazioni - richiede la necessaria collaborazione del primo e del (...). Il criterio di riparto previsto per le spese di riparazione o ricostruzione dalla citata disposizione costituisce un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all'uso e alla custodia della cosa nei termini in essa delineati, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune che, nella sua parte superficiale, sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà esclusiva, è comunque destinata a svolgere una funzione anche nell'interesse dell'intero edificio o della parte di questo ad essa sottostante". Nel caso che ricorre è stato convenuto in giudizio il solo condominio e non anche il proprietario esclusivo. Tuttavia trova applicazione l'art. 2055 c.c. che prescrive che "se il fatto dannoso è imputabile a più persone tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e della entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali". La Suprema Corte con la ordinanza n. 6816/2021 ha precisato, con riferimento specifico ad una fattispecie perfettamente sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio, il carattere solidale della responsabilità, ex art. 2055 c.c., in capo al condominio ed al proprietario esclusivo cosicché entrambi sono tenuti per l'intero costituendo la regola di cui all'art. 1126 c.c. una regola interna di responsabilità tra coobbligati solidali: "L'affermazione di un concorso di responsabilità aquiliane (del condominio e del proprietario esclusivo), ancorchè aventi una differente genesi, impone quindi di ritenere che laddove il danneggiato, come nella specie, agisca nei confronti di entrambi i soggetti (condominio e proprietario esclusivo), trovi applicazione la regola di solidarietà di cui all'art. 2055 c.c. non potendo essere opposta al terzo la differente regola che attiene invece al riparto interno tra corresponsabili, regola di cui all'art. 2055 c.c., alla quale fa espresso richiamo la decisione delle Sezioni Unite. La correttezza di tale conclusione trova poi conferma nella circostanza che proprio nel caso sottoposto alla decisione delle sezioni unite, i giudici di merito, sia in primo grado che in appello, erano pervenuti alla condanna in solido del (...) e del proprietario esclusivo del lastrico solare, sicchè il rigetto del ricorso ha confermato la correttezza di tale condanna solidale, ed investendo il richiamo all'art. 1126 c.c. la sola regola di riparto interno tra corresponsabili". Ne consegue che nella ipotesi in cui, come nel caso di specie, il proprietario esclusivo della terrazza non sia stato evocato in giudizio, trova applicazione il titolo solidale della responsabilità di cui all'art. 2055 c.c. che consente la pronuncia di condanna nei confronti del solo condominio il quale conserva il titolo per agire in regresso nei confronti del proprietario esclusivo della terrazza (al quale poteva nel presente giudizio essere estesa la domanda dal (...) convenuto), costituendo l'art. 1126 c.c. esclusivamente un criterio di riparto interno ai coobbligati. Va precisato al riguardo che il criterio di riparto di cui all'art. 1126 c.c., applicabile sia in caso di danni causati dal lastrico che da terrazza a livello, determina per 1/3 l'onere a carico del proprietario esclusivo e per 2/3 l'onere a carico dei condomini "a cui il lastrico solare serve" ovvero a carico delle unità sottostanti il lastrico o il terrazzo (ex plurimis Cass. 16583/2012), compresi tra essi i condomini danneggiati. Sul merito. E' risultato accertato, dalla relazione di ctu svolta nel presente giudizio, che l'appartamento sul quale insiste il diritto di usufrutto di parte attrice, posto al piano rialzato del condominio (...), è sovrastato dal terrazzo ad uso esclusivo dell'appartamento posto al piano superiore, di proprietà degli eredi (...); tecnicamente trattasi, come precisato dal ctu, di terrazzo a livello. L'appartamento in questione è risultato interessato, sin dall'aprile 2017 (data del recesso comunicato dal conduttore (...) da fenomeni infiltrativi tutti ancora in corso alla data della relazione di ctu, costituiti da rigonfiamento di intonaco, macchie di umidità e scrostatura della tinteggiatura sia sul soffitto che sulle pareti di tutti i locali dell'appartamento, presenza di stillicidio e distacchi di intonaco, infiltrazioni risultate più marcate e visibili, come illustrato dal ctu, in prossimità delle pluviali incassate nel muro perimetrale a servizio della terrazza a livello sovrastante; nel corso degli accessi del ctu è stata riscontrata anche la presenza di acqua piovana sul pavimento. Il ctu ha rilevato in ordine alla sovrastante terrazza, che funge da copertura, che la pavimentazione presenta "microlesioni e disconnessioni sia nella pavimentazione che lungo le giunzioni dei diversi materiali presenti"; che "i sistemi di allontanamento delle acque piovane (bocchettoni di scarico "messicani e pluviali") risultano insufficienti e carenti per tenuta"; che "la pendenza dell'intera pavimentazione della terrazza a livello non risulta idonea per il rapido smaltimento delle acque piovane; dato confermato dalla presenza di tracce di acqua piovana di ristagno". Ha accertato il ctu, con un percorso argomentativo e logico che si ritiene di condividere in quanto immune da contraddizioni intrinseche o estrinseche, che i fenomeni di "infiltrazione sono unicamente di acqua piovana e sono da imputarsi alla mancanza di soluzioni di continuità nello strato impermeabilizzante e di tenuta dell'acqua di tutta la terrazza a livello", concludendo che la causa dei fenomeni infiltrativi è da ravvisarsi solo in tali elementi senza che siano ravvisabili concause riferibili ad innesti di altre tubazioni nelle pluviali. Gli interventi necessari alla eliminazione dei fenomeni infiltrativi e dei conseguenti danni sono stati individuati dal ctu nel rifacimento ed impermeabilizzazione del terrazzo ad uso esclusivo sovrastante l'appartamento del (...) per una spesa complessiva di Euro 48.503,94 oltre iva. Il ctu ha invece stimato in Euro 4017,53 oltre iva, il costo della eliminazione dei danni riscontrati nell'appartamento di parte attrice. Relativamente agli interessi sulla detta somma, trattandosi di debito di valore, vanno recepiti i principi di cui alla sentenza n. 1712 del 17 febbraio 1995 delle Sezioni Unite della S.C., ribadita da successive pronunce (cfr., tra le altre, Cass. Civ., Sez. III, 4 luglio 1997/22 gennaio 1998, n. 605 e, più di recente, Cass. Civ., Sez. III, 7 luglio 2009, n. 15928), secondo cui "qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento cioè al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, e tale valore venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria fino alla data della decisione definitiva, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del mancato guadagno, che questi provi essergli derivato dal ritardato pagamento della somma suddetta. Tale prova può essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi, quale l'attribuzione degli interessi, ad un tasso stabilito, valutando tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso. In quest'ultima ipotesi, tuttavia, gli interessi non possono essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria ovvero in base ad un indice medio". Nel caso di specie appare equo ricorrere, quale risarcimento per il ritardato conseguimento della somma dovuta, tenuto conto della natura del danno, dell'inerzia dell'obbligato e del periodo temporale considerato, quello degli interessi legali: questi ultimi vanno calcolati sulla somma come devalutata all'epoca del fatto e poi progressivamente rivalutata, di anno in anno, secondo gli indici I.S.T.A.T.; sull'importo come determinato all'attualità sono dovuti gli ulteriori interessi legali, ex art. 1282 c.c., fino al saldo effettivo. Il convenuto viene, quindi, condannato al pagamento, in favore degli attori, a titolo di danno patrimoniale, dell'importo di Euro 4.017,53 oltre IVA e interessi al tasso legale, su detta somma, dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo e, sull'importo devalutato di Euro 3389,97 dall'aprile 2017, data del riscontro della sussistenza delle infiltrazioni sino alla data di pubblicazione della presente pronuncia. Parte attrice ha richiesto anche il danno da cessata/mancata locazione, avendone diritto atteso che l'usufruttuario può concedere in locazione il bene ai sensi dell'art. 999 c.c. La domanda è meritevole di accoglimento vertendosi in tema di risarcimento del danno da lucro cessante, cd. danno figurativo da mancato godimento dell'immobile, dal mese di aprile 2017 (coincidente con il recesso comunicato dal conduttore dell'immobile (...); con riferimento a tale danno la Suprema Corte ha statuito che il danno subìto dal proprietario risiede nella perdita della disponibilità del bene e nell'impossibilità del dominus di conseguire l'utilità di regola ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La quantificazione di tale danno può essere determinata dal giudice sulla base di elementi presuntivi semplici, mediante ricorso al cosiddetto danno figurativo e, quindi, con riguardo al valore locativo del cespite (Cass. civ., sez. III, 12.7.2019, n. 18740; Cass. civ. Sez. II 6.8.2018 n. 20545; Cass. civ. Sez. II 28.8.2018 n. 21239; Cass. Sez. II, Sentenza n. 10870 del 25/05/2016; Cass. civ. Sez. II, 15.10.2015, n. 20823; Cass. civ. 28.5.2014 n. 11992; Cass. civ. Sez. III 17.6.2013 n. 15111; Cass. civ. 16.4.2013 n. 9137; Cass. civ. 11.2.2008 n. 3251; Cass. civ. 8.5.2006 n. 10498); da ultimo Tribunale Napoli sent. 2192/2023. Nel caso che ricorre l'attore ha documentato l'esistenza di un contratto di locazione, registrato, con un canone convenuto per Euro 780,00 mensili, per il periodo dal 2016 al 2022, contratto risolto in via anticipata per recesso del conduttore a causa delle irrisolte infiltrazioni. Inoltre, la ctu ha confermato la congruità di tale valore locativo in relazioni ad appartamenti siti nella stessa zona. Sulla domanda ex art. 614 bis c.p.c. Va rigettata la domanda di misure di coercizione indiretta atteso che le misure coercitive di cui all'art. 614 bis c.p.c. sono state previste per le sole ipotesi di condanna all'adempimento di obbligazioni di fare infungibili o di non fare, non suscettibili di esecuzione forzata in forma specifica. Nel caso in esame, al contrario, l'esecuzione delle opere di risanamento ed impermeabilizzazione della terrazza hanno carattere fungibile ben potendo essere realizzate attraverso la procedura esecutiva di cui all'art. 612 c.p.c. a mezzo dell'ufficiale giudiziario. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. Accoglie la domanda di (...); 2. condanna il (...), in persona dell'amministratore p.t., ad eliminare le cause delle infiltrazioni all'appartamento di (...) (...) e ad eseguire - nel rispetto assoluto della normativa vigente - tutti i lavori di rifacimento ed impermeabilizzazione della terrazza sovrastante l'appartamento idonei alla cessazione delle infiltrazioni; 3. condanna il (...), in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore di (...), a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, della somma di Euro 4017,53 oltre IVA e interessi al tasso legale, su detta somma, dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo e, sull'importo devalutato di Euro 3389,97 dall'aprile 2017 alla data di pubblicazione della presente pronuncia; 4. condanna il (...), in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore di (...) della somma di Euro 780,00 mensili, dal mese di maggio 2017 sino al giorno del completamento delle opere necessarie alla eliminazione delle cause infiltrative, a titolo di risarcimento del danno da mancato godimento dell'immobile; 5. rigetta ogni altra domanda; 6. condanna il condominio soccombente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte attrice che liquida in Euro 4500,00 per compensi, oltre esborsi per Euro 545,00, con attribuzione. 7. Pone a carico del soccombente l'onere della ctu come liquidata con separato decreto del 7.7.2023. Così deciso in Avellino il 15 settembre 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO - PRIMA SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente (...) nella causa civile iscritta al n. (...)/2022 avente ad oggetto: "comodato di immobile urbano" vertente TRA (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) dom.ta come in atti; -ricorrente E (...) in proprio e nella qualità di legale rappresentante della (...) s.r.l. Unipersonale, rappresentato e difeso dall'avv. (...) dom.to come in atti; -resistente (...) parti hanno concluso come da atti e verbali di causa. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis cpc, parte attrice adiva questo Tribunale per sentir accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di comodato d'uso stipulato in data (...) con il (...) e, per l'effetto condannare il convenuto al rilascio dell'immobile adibito a centro revisione veicoli sito in (...) alla (...) n. 3, nonché condannarlo al pagamento di una indennità per l'occupazione sine titulo che si potrae a far data dal 30.06.2018, nonché, in subordine, la condanna alla restituzione anticipata ed immediata del bene avuto in comodato per sopraggiunto, urgente ed imprevisto bisogno della comodante ai sensi dell'art 1809, comma 2, cc. con condanna alla indennità di Euro 821,00 mensili a decorrere dalla morte del coniuge della ricorrente (31.3.2020). Si costituiva (...) in proprio e nella qualità di legale rappresentante della (...) s.r.l. Unipersonale, che contestava integralmente la domanda e chiedeva il rigetto e, nell'ipotesi di accoglimento della stessa, la riduzione dell'indennità in favore della ricorrente alla metà del valore di quella domandata. Con verbale di udienza del 13.10.2022 il giudice disponeva il mutamento di rito da sommario di cognizione in locatizio. La domanda è infondata e viene decisa sulla base del principio della ragione più liquida. In data (...) le parti sottoscrivevano un contratto di comodato gratuito, registrato in data (...), avente ad oggetto l'immobile sito in (...) alla (...) n. 3 identificato al foglio (...) particella (...), per la durata di anni venti dal 25.06.2010 al 24.06.2030; successivamente alla stipula, in data (...), tra le stesse parti intercorreva una nuova scrittura privata nella quale si legge che "la signora (...) nel Giugno 2010 concesse in comodato d'uso gratuito per la durata di anni otto al figlio (...) che accettò, il capannone adibito a (...) revisioni autoveicoli e l'attività ad esso connessa compreso le attrezzature; con l'impegno di pagarle un canone mensile pari agli indici (...) vigente se alla scadenza dei otto anni dovesse prolungarsi il periodo del comodato". Alla luce di tale scrittura privata, parte attrice sosteneva che a partire dal 30.06.2018, il rapporto era scaduto ed era cominciata la detenzione sine titulo dell'immobile da parte di (...) La scrittura privata in atti del 14.12.2011 non può essere considerata come modificativa del contratto di comodato stipulato tra le parti in data (...). Preliminarmente la scrittura del 14.12.2011 fa riferimento al punto 1) alla stipula di un contratto di comodato pregresso tra le parti, nel giugno 2010, della durata di anni 8 "con l'impegno a pagare un canone mensile secondo gli indici Istat" nella ipotesi di prosecuzione del contratto oltre gli otto anni. Da tale riferimento scaturisce la certezza che la scrittura della quale la ricorrente intende avvalersi non è in alcun modo riferibile al contratto di comodato in essere, regolarmente registrato, che prevede invece la durata ventennale, sino al 2030, e l'assoluta gratuità, conformemente allo schema iuris del comodato. Ancora nella scrittura del 14.12.2011 non sono riportati ulteriori elementi identificativi del precedente contratto oggetto di modifica: la data di sottoscrizione esatta del contratto di comodato, oppure i dati catastali dell'immobile concesso in comodato in data (...); ancora, la scrittura privata è stipulata tra (...) e (...) personalmente, mentre il comodato è contratto con (...) in qualità di amministratore unico della società (...) srl (...) Pertanto non possono trovare accoglimento le domande formulate sub A) e sub B) dell'atto introduttivo in quanto la durata del contratto di comodato in essere, in assenza di successive pattuizioni modificative riferibili allo stesso, ha carattere ventennale. Parte ricorrente ha domandato, in subordine, condannarsi il resistente alla restituzione dell'immobile, prima della scadenza del contratto, attesa la sopravvenienza dell'urgente ed imprevisto bisogno del comodante ai sensi dell'art.1809 c.c., con condanna al pagamento di una indennità decorrente dalla data del verificarsi del detto evento. In particolare deduce la ricorrente che in seguito alla morte del marito, avvenuta il (...), le proprie condizioni economiche sarebbero notevolmente peggiorate e che non potrebbe trarre nessun reddito dalle altre proprietà in quanto tutte oggetto di atti esecutivi immobiliari. Va premesso che alla luce della consolidata giurisprudenza la nozione di urgente e impreveduto bisogno di cui all'art. 1809 comma 2 c.c. fa riferimento alle necessità del comodante, sulla quale gravano i relativi oneri probatori, di appagare impellenti esigenze personali e non a quella di procurarsi un utile tramite un diverso utilizzo del bene"; che il detto bisogno può anche consistere nel deterioramento delle possibilità economiche del comodante, ma che, tuttavia, la valutazione va condotta con particolare rigore ove il comodatario di un bene immobile abbia assunto a suo carico considerevoli oneri per spese di manutenzione ordinaria e straordinaria in ragione della lunga durata del godimento concessogli (Cass. 20183/2013, 25893/2021). Alla luce di tali principi la domanda subordinata non merita accoglimento. Ed invero la ricorrente non ha dimostrato il peggioramento delle proprie condizioni economiche successivamente al decesso del coniuge non avendo svolto alcuna allegazione su quale fosse il proprio status economico preesistente; né risponde al vero che tutti i beni risultano oggetto di pignoramento immobiliare atteso che i due pignoramenti (del 29.5.2015 e 29.5.2018) hanno ad oggetto i beni di cui al fgl 7, part. 1224 sub 2, 6, 7 e 8 che non esauriscono i beni di proprietà della ricorrente risultanti dalle visure in atti. A tanto va aggiunto che è documentato ed incontestato che il (...) in forza dell'affidamento riposto sulla considerevole durata del contratto, ha sostenuto investimenti in beni strumentali per l'esercizio dell'officina per Euro 24.018,40 e si è accollato il costo per l'estinzione anticipata di un mutuo contratto dai propri genitori per Euro 30.560,00. Le spese seguono la soccombenza. PQM Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: - Rigetta ogni domanda; - (...) al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre rimb. forf. 15%, iva e cpa come per legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO II SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona della dott.ssa Teresa Cianciulli, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio n. 102/2022 R. G., avente ad oggetto "appello avverso sentenza del Giudice di Pace" TRA (...), rapp.to e difeso, in forza di mandato agli atti, dall'avv. (...) presso il cui studio, in Cervinara (AV) alla via (...) è elett.te domiciliato. APPELLANTE E (...), in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa, in forza di mandato agli atti, dagli avv.ti (...) ed elettivamente domiciliata presso la Filiale della Società, in Avellino, alla via (...). APPELLATA E (...), in persona dell'Amministratore Delegato, rappresentata e difesa, in forza di mandato agli atti, dagli avv.ti (...) - presso il cui studio, in Napoli, alla (...), è elett.te domiciliata. APPELLATA CONCLUSIONI: come in atti e da verbale di udienza MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio, innanzi all'Ufficio del Giudice di Pace di Cervinara, (...) per sentirla condannare al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 5.000,00 (comprensiva della somma di Euro 1.800,00 ingiustamente addebitatagli, degli interessi legali del risarcimento per i danni subiti) o di quella diversa somma che sarebbe stata accertata in corso di causa. A sostegno della domanda, l'attore deduceva: di essere titolare di una carta PostePay con (...) - che, in data 7.12.2019, con la suindicata carta, aveva effettuato un prelievo di Euro 1.800,00 dallo sportello dell'Ufficio Postale di Cervinara(AV); -che, a causa di un problema tecnico del suindicato sportello, tale somma non gli era stata erogata; -che la predetta somma gli era stata, comunque, addebitata; -che, in conseguenza di tanto, si era trovato senza disponibilità economica in concomitanza, peraltro, delle ferie natalizie; -che era stato costretto a disinvestire titoli di deposito; -che, nonostante i reiterati solleciti e l'esperimento della procedura di mediazione, non era riuscito a conseguire la restituzione di quanto dovutogli. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio (...) la quale chiedeva, in via preliminare, dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva e, nel merito, rigettarsi la domanda, in quanto infondata. All'udienza di prima comparizione, veniva autorizzata la chiamata in causa di (...). Quest'ultima, ritualmente convenuta in giudizio, si costituiva adducendo l'avvenuta restituzione all'attore della somma di Euro 1.800,00, all'incirca 50 giorni dopo il prelievo e, comunque, in data antecedente alla notifica dell'atto di citazione. Chiedeva, pertanto, dichiararsi cessata la materia del contendere. La causa veniva istruita tramite acquisizione della documentazione prodotta. Con la sentenza n. 397/2021, il Giudice di Pace rigettava la domanda e compensava le spese di lite. Con l'atto introduttivo del presente giudizio, (...) ha proposto appello avverso la richiamata sentenza. A sostegno del gravame, l'appellante ha dedotto: la violazione dell'art. 2697 c.c.; - l'errata interpretazione dell'art. 1325 c.c.; - la mancata corresponsione degli interessi; -l'errata applicazione del Decreto Legislativo n. 28/2010, sotto un duplice profilo (mancato espletamento della procedura nei confronti di (...) e mancata condanna di (...) alle spese di mediazione); -l'omessa motivazione in ordine alla compensazione delle spese di lite. Ha chiesto, dunque, la riforma della sentenza di primo grado e l'accoglimento della domanda. Instauratosi il contraddittorio, si sono costitute in giudizio entrambe le società appellate, le quali hanno chiesto la conferma della sentenza di primo grado. (...) in particolare, ha insistito nell'eccezione della propria carenza di legittimazione passiva. (...) invece, ha insistito nella declaratoria di cessazione della materia del contendere. Indi, precisate le conclusioni ed acquisito il fascicolo relativo al giudizio di primo grado, è stata trattenuta in decisione all'udienza del 26.03.2024, con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. L'appello è infondato e va rigettato per i motivi che si passano ad illustrare. In via preliminare, va rilevata l'inutilizzabilità dei documenti allegati alla comparsa di costituzione e risposta dell'appellata (...) ad eccezione delle procure generali, in quanto depositati per errore, come dichiarato da quest'ultima. Prima di passare all'esame del merito, va dichiarato il difetto di legittimazione passiva di (...). Risulta documentalmente provato che, per effetto della cessione del ramo d'azienda, avvenuta con atto del 25 giugno 2018, iscritto nel Registro delle Imprese di Roma il successivo 26 giugno 2018 (con effetti a decorrere dal 2 ottobre 2018), i rapporti contrattuali inerenti "alla monetica ed ai servizi di pagamento" sono stati trasferiti alla (...) che, successivamente, ha mutato la propria denominazione in (...). Da tale rilievo, consegue che (...) non è più titolare del rapporto contrattuale dedotto. Né può avere rilievo la circostanza, dedotta da parte attrice, odierna appellante, per cui il contratto relativo alla (...) sia stato concluso con (...) in un momento in cui (...) era ancora titolare del ramo d'azienda inerente ai servizi di pagamento, poi ceduto alla controllata (...) (...) Infatti, come è noto, l'iscrizione nel registro delle imprese assolve, in questo caso, ad una funzione dichiarativa, con la conseguenza che l'intervenuta cessione del ramo d'azienda, e con esso del contratto in oggetto ex art. 2558 c.c., è opponibile ai terzi e, quindi, anche all'odierno appellante. A seguito della costituzione di (...) i servizi di pagamento sono divenuti oggetto sociale di quest'ultima società, già (...) originaria titolare del contratto di cessione di ramo d'Azienda con (...). Nel merito, la sentenza di primo grado non merita alcuna censura e va confermata. Invero, tutti i motivi di impugnazione sono privi di pregio. Con il primo motivo, l'appellante si duole della mancata ammissione dei mezzi di prova articolati, atti a dimostrare, a suo dire, il pregiudizio economico subito. Ebbene, il rigetto delle istanze istruttorie trova giustificazione nella mancanza di adeguate allegazioni in fatto da parte dell'attore, odierno appellante, nonché nella genericità ed irrilevanza delle circostanze articolate, in gran parte documentalmente provate. Con il secondo motivo, l'appellante -essendo pacifica la restituzione della somma di Euro 1.800,00 ingiustamente addebitagli in quanto non erogata- lamenta, esclusivamente, la mancata condanna delle società appellate al risarcimento dei danni subiti, consistiti nella mancata disponibilità della predetta somma. Anche tale motivo non merita accoglimento, attesa la carenza di adeguata allegazione e prova degli elementi costitutivi dei danni subiti. È ben noto, infatti, che il diritto al risarcimento dei danni nasce con il verificarsi di un pregiudizio effettivo e reale che incida sulla sfera patrimoniale del contraente danneggiato, il quale deve provare la perdita economica subita (Cass., sez. II Civile, sentenza n. 11731/13). L'indisponibilità temporanea della liquidità insistente sullo strumento di pagamento non genera un danno ristorabile in re ipsa, ma la risarcibilità di tale danno presuppone, pur sempre, la dimostrazione di un danno-conseguenza, che nel caso di specie non vi è stata. Parimenti destituite di fondamento sono le doglianze relative alla violazione della normativa in materia di mediazione (D.Lgs. 28/2010). L'appellante ha censurato la sentenza di primo grado sotto un duplice profilo: il mancato espletamento della procedura di mediazione nei confronti di (...) e la mancata condanna di (...) alle spese di mediazione. Orbene, per quanto riguarda il primo profilo, ritiene il Tribunale che, quale giudice di appello, gli è precluso dichiarare o rilevare l'improcedibilità della domanda (Cass., ordinanza 4 gennaio 2024, n. 205) Invero, l'improcedibilità per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria ex D.Lgs. 28/2010 avrebbe dovuto essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza del giudizio di primo grado. In mancanza della tempestiva eccezione del convenuto, ove il giudice di primo grado non abbia provveduto al relativo rilievo d'ufficio, è precluso al giudice di appello rilevare l'improcedibilità della domanda" (Cass. n. 29017/2018). Inoltre, in caso di decadenza dall'eccezione di improcedibilità per il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, il giudice di appello non è tenuto a disporre la mediazione, né è sindacabile in Cassazione la scelta discrezionale del giudice di merito di non disporre la mediazione delegata (Cass. ordinanza 20 gennaio-11 agosto 2021, n. 22736). Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda e la stessa non viene esperita, il convenuto deve eccepire l'improcedibilità della domanda entro la prima udienza, a pena di decadenza. In alternativa, il giudice può rilevarne l'improcedibilità d'ufficio, sempre entro la prima udienza. Se queste condizioni non si verificano, il giudice dell'impugnazione, in sede di appello, ha la facoltà, non l'obbligo, di disporre la mediazione, neppure se la causa verte su una delle materie per le quali l'articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 prevede la procedura come obbligatoria. In sede di appello. Infatti, la mediazione è condizione di procedibilità della domanda in giudizio solo quando è il giudice a disporla, a sua discrezione. In ordine al secondo profilo, va evidenziato che, come correttamente rilevato nella sentenza appellata, alcuna condanna alle spese di mediazione avrebbe potuto essere disposta nei confronti di (...) attesa la sua carenza di legittimazione passiva. Quanto alla dedotta violazione dell'art. 92 c.p.c., per mancanza di motivazione in ordine alla compensazione delle spese, vi è evidente carenza di interesse all'impugnativa di tale capo da parte dell'odierno appellante, tenuto conto che trattasi di pronuncia a lui favorevole. Si consideri che, in conformità al disposto di cui all'art. 91 c.p.c., alla totale soccombenza dell'attore, odierno appellante, nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto far seguito la sua condanna alle spese processuali. Solo per completezza epositiva, va segnalato che, diversamente da quanto addotto dall'appellante, il Giudice di Pace ha esaustivamente motivato in ordine alla disposta compensazione (evidenziando come la circostanza della mancata erogazione della somma di Euro 1.800,00 fosse non contestata). Infine, corretta ed immune da censure è la statuizione in ordine agli interessi legali, attesa l'irrisorietà dell'importo da riconoscere a tale titolo. In definitiva, l'appello va rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e, dunque, l'appellante va condannato al pagamento delle spese di lite in favore di entrambe le società appellate, nella misura che si liquida in dispositivo, facendo applicazione dei parametri di cui al D.M. 147/2022, valori minimi dello scaglione di riferimento (da Euro 1.101,00 ad Euro 5.200,00), attesta la bassa complessità delle questioni trattate, con esclusione della fase istruttoria. Trattandosi di impugnazione notificata dopo il 30.1.2013, si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2012, introdotto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino, II sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da (...), disattesa ogni contraria istanza, così provvede: 1. dichiara il difetto di legittimazione passiva di (...) 2. rigetta l'appello; 3. condanna l'appellante al pagamento, in favore di (...) e (...) in persona dei rispettivi legali rapp.ti p.t., al pagamento, della somma di Euro 852,00, per ciascuna parte appellata, oltre IVA CPA e rimborso spese generali, come per legge; 4. rileva la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2012. Così deciso in Avellino in data 4 settembre 2024.
TRIBUNALE DI AVELLINO Il Tribunale di Avellino, Prima Sezione Civile, in persona del giudice dott.ssa (...) ha pronunciato, ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1507/2023 R.G., avente ad oggetto "Condominio", vertente TRA (...) S.A.S. di (...) & C. in liquidazione, in persona del liquidatore (...) p. iva (...), elettivamente domiciliata in (...), alla via (...), (...), presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende in virtù di mandato in atti; RICORRENTE E (...) sito in (...) al (...) , n. (...), c.f. (...), in persona dell'amministratore p.t.; CONVENUTO CONTUMACE Conclusioni: come da note depositate ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. in sostituzione dell'udienza del 23.04.2024, qui da intendersi integralmente riportate e trascritte. Motivazioni in fatto e in diritto della decisione Con ricorso ex art. 281 decies cpc, depositato in data (...), la società ricorrente adiva l'intestato Tribunale, esponendo: - di essere creditrice del (...) sito in (...) al (...) I, n. 85/97/109/119, per la somma di euro 1.760,50 per sorta capitale e di euro 450,00 oltre accessori per le competenze del procedimento monitorio, in virtù del decreto ingiuntivo n. 377/2016 emesso dal Giudice di (...) di (...) pubblicato il (...) e notificato in data (...); - che detto decreto ingiuntivo veniva dichiarato esecutivo, mediante l'apposizione della relativa formula, in data (...); - che in data (...) veniva notificato atto di precetto rimasto infruttuoso; - che, in data (...), veniva corrisposto un acconto di euro 500,00 imputato alle spese di notifica del precetto, pari ad euro 11,56, alle spese di notifica dell'atto di pignoramento, pari ad euro 32,76, alle spese di richiesta di copia del decreto ingiuntivo e di notifica del titolo, pari ad euro 23,12, alle spese liquidate in decreto ingiuntivo, pari ad euro 76,00 e, per il resto di euro 357,06 alla sorta capitale; che, pertanto, il condominio è rimasto debitore della somma di euro 1.403,44 per sorta capitale, di Euro 30,60 per interessi legali alla data odierna, di Euro 656,60 per competenze legali liquidate in decreto ingiuntivo, comprensive di accessori di legge e, quindi, della complessiva somma di euro 2.090,64; - che, nonostante ripetuti solleciti, il condominio non ha più provveduto a pagare le somme dovute; - che, da ultimo, in data (...), a mezzo pec, la ricorrente provvedeva a formulare all'amministratore p.t., del condominio, sig. (...) la richiesta delle generalità complete dei condomini morosi e la quota dagli stessi dovuta, ai sensi dell'art. 63 disp att. c.c.; - che anche tale ulteriore invito rimaneva inesitato e privo di riscontro. Deduceva, altresì, di aver assolto alla condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010 giacché, con pec del 15.3.2023, aveva vanamente invitato il condominio a sottoscrivere una convenzione di negoziazione assistita rimasta senza esito alcuno. Tanto premesso, la società ricorrente chiedeva di: "- accertare e dichiarare il diritto dell'istante alla consegna dell'elenco dei condomini completo delle generalità degli stessi, dell'indirizzo di residenza e delle somme dovute da ciascuno di questi in ragione dei titoli di cui in premessa; per l'effetto, condannare il (...) in persona dell'amministratore p.t., a consegnare alla parte istante i nominativi dei condomini morosi completi delle generalità degli stessi, dell'indirizzo di residenza e delle somme dovute da ciascuno di questi in ragione dei titoli di cui in premessa; - condannare parte resistente al risarcimento dei danni cagionati alla parte istante nella misura che sarà ritenuta di giustizia; - fissare, ai sensi e per gli effetti dell'art. 614 bis c.p.c., una somma a carico dell'obbligato per l'eventuale ritardo nella esecuzione dell'invocata condanna pari a Euro 50,00 - o quella somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia - per ogni giorno di ritardo successivo a quello decorrente dalla data di notifica dell'auspicato provvedimento di condanna. Vinte le spese". Instaurato il contraddittorio, restava contumace il (...) sebbene ritualmente evocato con atto notificato il (...). Acquisita documentazione varia, all'esito dell'udienza del 23 aprile 2024, celebrata nelle forme dell'art. 127 ter c.p.c. - preso atto delle note depositate dalla parte costituita, il Giudice ha riservato la decisione ai sensi dell'art. 281 sexies ult. co. c.p.c. 1.- In primo luogo, va dichiarata contumacia del (...) resistente, non costituitosi in giudizio sebbene ritualmente evocato. 2.- La domanda attorea è fondata e meritevole di accoglimento. Per costante orientamento della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal condominio verso i terzi ha natura parziaria; il creditore, ottenuta la condanna dell'amministratore, può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condomini, entro i limiti della quota di ciascuno (cfr. Cass Civ, S.U., 8.4.2008 n. 9148); tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità anche negli arresti più recenti in cui è stato riaffermato che in merito alle obbligazioni assunte dall'amministratore, o, comunque, nell'interesse del condominio, nei confronti di terzi, in assenza di una disposizione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un'obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro e, pertanto, divisibile, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell'interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli art. 752 e 1295 c.c., per le obbligazioni ereditarie (cfr Cass Civ, (...) VI, 17.2.2014 3636). Orbene, nella specie, la soc. ricorrente ha comprovato di aver richiesto, con pec del 23.03.2021, la consegna dell'elenco dei condomini con l'indicazione anagrafica e il riparto delle quote da loro dovute, onde consentire il recupero del credito maturato nei loro confronti in forza del decreto ingiuntivo n. 377/2016. (...). 63 disp att cod civ espressamente dispone che l'amministratore condominiale è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi. Correttamente interpretando la ratio della norma, si tratta per l'amministratore di un dovere legale di salvaguardia dell'aspettativa di soddisfazione dei terzi titolari di crediti derivanti dalla gestione condominiale. Ciò delinea pertanto un obbligo di cooperazione con il terzo creditore posto direttamente dalla legge in capo all'amministratore, che esula dal contenuto del programma interno al rapporto di mandato corrente tra lui ed i condomini. Si è precisato inoltre che formulazione della norma in questione pare chiaramente non aver posto alcuna distinzione fra debiti approvati e quelli non approvati dall'assemblea condominiale, in quanto ai fini dell'applicazione dell'art. 63 disp att cod civ risulta sufficiente la prova della sussistenza della pretesa creditoria che, nel caso di specie, risulta ampiamente dimostrata dal decreto ingiuntivo, dichiarativo esecutivo, emesso nei confronti del (...) resistente. A fronte di un siffatto quadro deve ritenersi del tutto immotivato il comportamento del condominio che, non fornendo al creditore la documentazione richiesta, preclude il soddisfacimento della pretesa creditoria. Tale condotta risulta palesemente contraria al canone della buona fede oggettiva dovendosi a tal riguardo intendersi un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica. Una volta trasfigurato il principio della buona fede sul piano costituzionale diviene una specificazione degli "inderogabili doveri di solidarietà sociale" imposti dall'art. 2 Cost., e la sua rilevanza si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (cfr Cass Civ, 15.2.2007 n. 3462). Per quanto sopra esposto, la domanda diretta ad ottenere la consegna dei dati dei condomini morosi va dunque accolta. Parimenti meritevole di accoglimento si appalesa l'ulteriore domanda di condanna, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., della parte resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma - che si stima congrua - di Euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del presente provvedimento. Va invece disattesa la domanda risarcitoria di parte ricorrente, non avendo l'istante fornito alcun elemento probatorio in ordine alla sussistenza del danno, anche ai fini di una eventuale liquidazione equitativa. Le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo al valore della controversia ed all'attività difensiva in concreto svolta. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino definitivamente pronunciando nell'ambito del giudizio 1507/2023 RG, respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa, così provvede: a) accoglie il ricorso e, per l'effetto, condanna il (...) di (...) - (...) I, (...), in persona dell'amministratore p.t., a comunicare alla parte ricorrente i nominativi dei condomini morosi completi delle generalità degli stessi, dell'indirizzo di residenza e delle somme dovute da ciascuno di questi in relazione al pagamento di quanto dovuto in forza del decreto ingiuntivo 377/2016 emesso dal Giudice di (...) di (...) il (...); b) condanna, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. il condominio resistente a versare alla controparte la somma di Euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del presente provvedimento, successivo alla sua notifica a cura della ricorrente; c) rigetta la domanda risarcitoria avanzata dalla società ricorrente; d) condanna il (...) resistente alla rifusione in favore della società ricorrente delle spese di lite, che liquida in Euro 133,42 per spese ed in Euro 1.100,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie al 15%, IVA e CPA dovuti come per legge con attribuzione.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Avellino, nelle persone dei seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio: dott. (...) dott.ssa (...) giudice dott.ssa (...) giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2023 del R.G., Affari Contenziosi, avente ad oggetto richiesta di interdizione TRA (...) nata ad (...) il (...), C.F. (...), (...) nato ad (...) il (...), C.F. (...) e (...) nata a (...) il (...), C.F. (...), in qualità di fratelli germani di (...) nata ad (...) il (...), rappresentati e difesi, come da procura in atti, dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliat (...); RICORRENTI E (...) nata a (...) il (...), C.F. (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliat (...); RESISTENTE Con il parere del PM reso in data (...) RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato il (...) (...) (...) e (...) hanno chiesto al Tribunale di (...) di dichiarare l'interdizione di (...) (...) effettuando tutte le indagini ritenute necessarie, anche di carattere medico-legale, per accertare la sussistenza dello stato di abituale infermità di mente dell'interdicenda. In punto di fatto i ricorrenti hanno esposto che l'interdicenda si trova in una abituale condizione di infermità mentale risultando incapace di provvedere ai propri interessi, anche economici, rappresentando che la stessa risulta affetta da "(...)" ed ospite della struttura "(...)" di (...) sin dal mese di aprile del 2022. Le parti, a riprova del disturbo dell'interdicenda, hanno richiamato e prodotto la sentenza penale del 17.03.2023 e l'ordinanza del magistrato di sorveglianza precisando che l'interdicenda risulta incapace di orientare le scelte comportamentali e che la misura dell'amministrazione di sostegno, attualmente operante, risulta inadeguata per la grave ed irreversibile patologia sofferta dalla stessa che non le consente di prendere decisioni sull'impiego del denaro percepito. Con memoria difensiva del 17.12.2023 si è costituita in giudizio (...) chiedendo il rigetto del ricorso o, in via subordinata, la nomina di un tutore individuato al di fuori del nucleo familiare per la presenza di contrasti con i parenti. In particolare la parte, dopo aver premesso di essere affetta da "disturbo schizofrenico di tipo paranoideo" e che si trova ristretta presso la struttura polifunzionale sanitaria per la salute di (...) in misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di un anno ove ha intrapreso un percorso terapeutico e riabilitativo, ha richiamato la consulenza del dott. (...) resa nel procedimento penale azionato nei suoi confronti nella parte in cui veniva evidenziata la sua capacità "di partecipare scientemente al processo" e uno stato di pericolosità sociale attenuabile mediante la collocazione presso una struttura di bassa assistenza. La parte ha, quindi, dedotto che le patologie sofferte non compromettono la sua capacità cognitiva e la sua autonomia osservando che, rispetto all'epoca in cui è stata disposta la misura dell'amministrazione di sostegno, non vi è stato un aggravamento delle sue condizioni di salute tali da giustificare il provvedimento di interdizione da applicare come extrema ratio e in casi diversi da quello oggetto del giudizio. Infine, la parte ha richiamato la relazione redatta dalla dott.ssa (...) nella parte in cui si segnala il suo miglioramento e la sua partecipazione adeguata alle attività riabilitative. Con note scritte del 28.12.2023 i ricorrenti si sono riportati alle conclusioni rassegnate in ricorso insistendo per la nomina di un consulente d'ufficio al fine di accertare le condizioni neurologiche dell'interdicenda. Inoltre, i ricorrenti hanno richiamato la relazione dell'Asl in ordine alla pericolosità sociale della stessa. Con note scritte del 3.01.2024 la parte resistente si è riportata ai propri atti ribandendo che il percorso riabilitativo seguito era stato proficuo. Con note del 5.04.2024 i ricorrenti hanno depositato il decreto di accoglimento reso all'esito del giudizio cautelare R.G. n. (...)/(...) azionato avverso il provvedimento di sostituzione del precedente amministratore di sostegno (...) e la nomina dell'avv. (...) rilevando che la procura alle liti conferita all'avv. (...) dal revocato amministratore e non anche dall'interessata interdicenda non aveva alcun valore. All'udienza del 8.04.2024 in merito alla questione della procura l'avv. (...) ha rappresentato di poter regolarizzare eventualmente la procura con il rilascio della stessa in suo favore da parte dell'interdicenda. Alla medesima udienza l'interdicenda, in assenza delle parti e dei difensori, ha dichiarato: "Mi chiamo (...) (...) sono nata il (...). Risiedo a (...) da più di venti anni. In passato ho sempre lavorato, prima come bidella di scuola a (...) poi come commessa da (...) un negozio di abbigliamento che si trovava al corso (...) Ho anche dovuto allevare le mucche, coltivare la terra, raccogliere le nocciole. So fare la sarta. Il mio compagno si chiama (...) lui mi ha tolto dalla strada dopo che i miei familiari mi avevano abbandonato. (...) e (...) dicono che io sono pazza, ma sono loro che non stanno bene con la testa. Dicono che io voglio ucciderli, ma dovrebbero essere denunciati per calunnia. (...) sorella (...) è deceduta per una grave malattia, un tumore. I miei familiari mi hanno rotto il braccio, ho qui una cicatrice, mi hanno sempre messo le mani addosso, mi hanno usata e mi hanno picchiata. Mi hanno minacciata di togliermi tutto e di farmi interdire. I miei genitori sono morti, mia madre nel 2004. Il dott. (...) mi ha fatto riconoscere l'accompagnamento e ha riferito che ho un disturbo bipolare e non ero collocabile al lavoro. Percepisco una pensione di invalidità e la pensione di reversibilità. Avevo due figlie, secondo me (...) è mia figlia, si dovrebbe fare la prova del (...) Ho avuto anche un'altra figlia, (...) che è stata cresciuta da una casa famiglia e poi adottata. Il giudice si chiama (...) Ora non so dove è e da chi è stata adottata, vorrei sapere come sta. So leggere e so firmare. Ho azionato un giudizio nel 2008 relativo ad alcuni buoni fruttiferi e ho vinto la causa. I miei familiari vogliono i miei soldi. Mi vogliono sfruttare. I miei familiari fanno stregoneria. Hanno messo in mezzo un sacco di cose strane dicendo che rubavo alla standa, ma si tratta di cose fatte da ragazza. Quando sono in struttura svolgo così la giornata: mi alzo, mi faccio la doccia, faccio colazione con due fette biscottate e il latte perché ho il diabete, leggo, aiuto a fare i servizi, cucino, faccio lavori di laboratorio, ho la compagnia di (...) ed anche di altri. So fare anche la sarta. Nelle ore di permesso che ho avuto sono andata a pulire la casa dove vive (...) viene a trovarmi. Io sono cattolica. La mia dott.ssa sia chiama (...) è la dott.ssa con cui faccio la riabilitazione. Oggi è lunedì 8 aprile 2024." All'esito dell'esame dell'interdicenda (...) ha confermato l'attivazione di un giudizio da parte dell'avv. (...) nel 2007/2008 volto ad ottenere il sequestro di alcuni buoni fruttiferi intestati all'interdicenda pari a circa 300 milioni. Con riferimento al ricorso in esame la parte ha, poi, rappresentato di aver agito al solo fine di fare curare la sorella e di trovare una struttura adeguata a tale fine. (...) (...) ha dichiarato, allo stesso modo, di aver agito in giudizio per far curare la sorella evidenziando la necessità della gestione del suo patrimonio per evitare che terzi possano approfittare di lei. Ciò premesso ritiene il Tribunale che il ricorso deve essere respinto per le motivazioni di seguito illustrate. Deve essere, anzitutto, osservato che dall'esame del ricorso e dei documenti allegati emerge che la parte resistente è affetta da "schizofrenia di tipo paranoideo subcronico con acerbazioni acute" (cfr. certificato medico del dott. (...) dell'1.07.2021); che l'interdicenda è stata seguita direttamente dal dipartimento di psichiatria dell'Asl di (...) che la stessa, prima del covid, si presentava allo studio del medico con elevata frequenza e dimostrava continui pensieri paranoici che sfociavano in aggressioni agli altri pazienti. Dalla relazione psichiatrica del 25.01.2021 risulta che l'interdicenda è ospite della struttura (...) dal 7.08.2008 con diagnosi "disturbo schizofrenico di tipo paranoideo con esarcebazioni periodiche della sintomatologia psicopatologica" dal mese di agosto del 2020. Deve essere, inoltre, rilevato che dall'esame della sentenza penale n. 454/2023 del 27.02.2023 emerge che l'interdicenda, imputata dei reati di cui all'art. 639 cp per aver imbrattato un muro perimetrale di un agriturismo trascrivendo più volte il proprio cognome e lasciando per terra fotografie che la ritraevano o autografate, e di cui all'art. 612 bis cp per aver perseguito (...) con minacce e ingiurie, è stata assolta per difetto di imputabilità e che il consulente, dott. (...) nominato alla prima udienza del 19.12.2022 al fine di valutare la capacità di intendere e di volere dell'imputata, ha affermato che l'imputata, affetta da disturbo schizofrenico cronico, in carico da molti anni presso il centro di salute mentale e dal 15.06.2021 sottoposta dalla misura di sicurezza di libertà vigilata con obbligo di ricovero, ha commesso il reato in assenza di consapevolezza, con abolizione del controllo della volontà e dell'impulsività e, quindi, in assenza della capacità dell'intendere e di volere, ma che, al contempo, risulta capace di partecipare scientemente al processo. Con riferimento alla pericolosità sociale, il ctu ha, poi precisato che dal quadro complessivo "si evince un sufficiente compenso psicopatologico in presenza di parziale consapevolezza della malattia, fattore che non può inficiare una corretta aderenza alle terapie proposte e di conseguenza non garantire un adeguato compenso clinico". Orbene ritiene il Tribunale di dover precisare, in punto di diritto, che la pronuncia di interdizione non è obbligatoria in presenza di una condizione di abituale infermità avendo l'ordinamento apprestato anche altre forme di tutela. Infatti, ai sensi dell'art. 404 c.c., "la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal Giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio" mentre l'art. 414 c.c. subordina la pronuncia dell'interdizione oltre che all'abituale infermità di mente e all'incapacità di provvedere ai propri interessi, anche alla necessità di assicurare adeguata protezione all'interessato, sicché essa è da escludere a fronte della conservazione parziale delle facoltà intellettive della persona interdicenda e dell'assenza di un complesso e rilevante patrimonio da gestire. Da quanto esposto deriva che le persone che, per effetto di infermità di natura psichica, anche di carattere totale e definitivo, si trovino nella impossibilità di provvedere ai propri interessi devono essere tutelate, di regola, attraverso la nomina di un amministratore di sostegno, senza ricorrere alla interdizione che importa una limitazione generale della capacità di agire. Infatti, soltanto nel caso in cui la nomina di un amministratore di sostegno si riveli, in relazione alla situazione concreta del soggetto ed alle specifiche esigenze di rappresentanza, insufficiente ad offrire protezione all'incapace, è consentito, invece, ricorrere all'istituto della interdizione. In materia la Corte Costituzionale con la pronuncia 9.12.2005 n. 440 ha chiarito l'interdizione configura una misura residuale che può essere disposta solo quando sia necessaria ad assicurare all'incapace adeguata protezione. Tale conclusione è stata ribadita dalla giurisprudenza di legittimità che, con la sentenza 12.06.2006 13584, ha chiarito che la differenza tra amministratore di sostegno e interdizione non risiede in un elemento quantitativo, e cioè nella maggiore o minore gravità della malattia o dell'handicap della persona interessata, che potrebbe anche essere totale e permanente, e non rendere necessaria l'interdizione, ma in un criterio funzionale in base al quale tener conto della natura e del tipo di attività che l'incapace non è più in grado di compiere da sé e dell'idoneità dell'uno o dell'altro istituto ad assicurare all'incapace la protezione più adeguata con il suo minore sacrificio. (...) di sostegno è, pertanto, l'istituto di elezione e di primo impiego per la tutela della persona inferma o menomata e dei suoi interessi, mentre solo ove tale misura si riveli inadeguata alla concreta situazione, per la complessità dell'attività da gestire o per impedire al soggetto di compiere atti pregiudizievoli per sé anche in considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione o in ogni altra ipotesi in cui si pone un'analoga esigenza, potrebbe farsi luogo alla misura più radicale della interdizione, che attribuisce, a differenza dell'amministrazione di sostegno, uno status di incapacità. Sotto tale ultimo profilo, inoltre, è stato chiarito che la prima forma di tutela deve essere preferita non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma anche su quello etico - sociale perché rispetta maggiormente la dignità dell'individuo. In altri termini l'interdizione costituisce una extrema ratio cui ricorrere solo quando i meno limitativi strumenti dell'amministrazione di sostegno e dell'inabilitazione non appaiono idonei ad assicurare la protezione dell'infermo impossibilitato, totalmente o parzialmente, a provvedere ai propri interessi. Sempre in punto di diritto deve essere soggiunto che la scelta della tutela più adeguata dovrà necessariamente essere compiuta caso per caso in considerazione delle esigenze personali e patrimoniali degli interessati di volta in volta emergenti e di tutte le altre circostanze concretamente accertate che possono assumere rilievo per la decisione e senza tener conto, come detto, del grado di invalidità (c.d. criterio quantitativo). In merito vale, inoltre, evidenziare che nei giudizi come quello in esame generalmente l'esame dell'interdicendo è il mezzo di prova determinante nella formazione del convincimento del giudice, tanto che è possibile trarre anche solo da esso elementi utili per la decisione (cfr. Cass. civ. 03.07.1971 n. 2078). In applicazione dei principi suesposti è stato, quindi, affermato che deve essere disposta l'interdizione quando, all'esito dell'esame dell'interdicendo, risulti che il destinatario sia affetto da un'alterazione delle facoltà intellettive e/o volitive che comportino una totale incapacità di provvedere ai propri interessi attinenti a tutti gli aspetti della vita (e non soltanto a quello economico) e, precisamente, nei soli casi di maggiore gravità in cui non è possibile, per l'incidenza della patologia, conservare neanche un'area parziale della capacità d'agire del soggetto e questo perché l'amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minore misura possibile la capacità di agire, con la valorizzazione di un sistema di gestione collaborativa e non sostitutiva. Con particolare riferimento ad un caso di schizofrenia la Cassazione (cfr. Cass. 1 marzo 2010 n. 4866) ha affermato che se il giudice non ravvisa la necessità di eliminare completamente la capacità d'agire del soggetto al punto da richiedere la presenza di un sostituto o di un assistente con i poteri del tutore o del curatore, deve preferire l'amministrazione di sostegno e questo anche nel caso di infermità di mente grave quando la persona ha necessità di compiere solo pochi atti precisando che in questo caso il giudice tutelare eliminerà la capacità di agire soltanto con riguardo ad alcuni atti che saranno compiuti dall'amministratore rappresentante. Ciò premesso ritiene il Collegio che, in base ai documenti prodotti e all'esame dell'interdicenda, emerge che la parte resistente, certamente bisognosa di assistenza e protezione, non deve essere interdetta in quanto conserva, sebbene parzialmente, le facoltà intellettive e la misura già in atto risulta adeguata alle sue esigenze di protezione e al tipo di attività che devono essere compiute per conto della stessa. Infatti, dall'esame diretto dell'interdicenda è emerso che la stessa risulta in grado di orientarsi nel tempo e nello spazio; non ha nessuna difficoltà nel movimento e nella parola; ha risposto adeguatamente alle domande del giudice descrivendo, con particolare precisione, anche fatti e circostanze confermate dai ricorrenti ed episodi di vita personale che dimostrano la grande conflittualità con i parenti. Dall'esame degli atti emerge, altresì, che la stessa sta seguendo una terapia efficace svolgendo autonomamente le comuni attività della vita quotidiana ed avendo difficoltà solo nei rapporti relazionali. La dott.ssa (...) ha, in merito, affermato che (...) (...) cura in maniera abbastanza adeguata il proprio aspetto e il proprio abbigliamento; mantiene in ordine la propria stanza e il proprio armadio; aiuta volentieri gli operatori della struttura nel rifacimento letto, riordino armadio, lavatrice e riordino vestiario; è inserita all'interno dei gruppi riabilitativi e nelle attività riabilitative esterne e negli ultimi sei mesi ha mostrato un rilevante miglioramento con un punteggio pari a 74 nelle aree dei rapporti personali e sociali e nell'area dei comportamenti disturbanti e aggressivi; ha maturato una migliore capacità di pianificare, iniziare un'attività e seguire i vari passaggi per completare il compito; partecipa in maniera adeguata alle attività riabilitative mostrando interesse e una maggiore consapevolezza delle sue problematiche; sta acquisendo maggiore autonomia nella gestione del denaro e, grazie ai supporti esistenti, non effettua più acquisti di non utilità; ha avuto notevoli miglioramenti nelle varie aree della persona manifestando un comportamento controllato grazie al supporto e alla presenza dell'amministratore di sostegno (relazione del 14.12.2023 in atti). In altri termini ritiene il Tribunale che, nel caso in esame, nonostante l'interdicenda sia affetta da una grave patologia, lo strumento per assicurare la sua protezione già disposto ed operante sia idoneo ed adeguato. In merito, in accoglimento delle richieste congiunte formulate all'udienza del 8.4.2024 dai legali di entrambe le parti, si dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare al fine della valutazione in ordine all'opportunità di procedere alla sostituzione dell'amministratore di sostegno, (...) (...) per la sussistenza di rilevanti contrasti familiari che sconsigliano, allo stato, che le funzioni di amministratore di sostegno siano svolte dalla sorella dell'interdicenda o da un suo familiare. Infine, osserva il Collegio che la questione dell'inefficacia della procura sollevata dai ricorrenti non risulta fondata. In merito vale anzitutto osservare che l'amministratore di sostegno (...) è stato nominato con decreto del 7.10.2013 e con decreto del 15.12.2023 è stato autorizzato a costituirsi in giudizio come di fatto avvenuto il (...) per il tramite dell'avv. (...) in disparte la precisazione che precede ritiene il Tribunale che le vicende successive alla predetta nomina non possono avere alcuna incidenza sul rapporto processuale in corso in quanto il beneficiario di amministrazione di sostegno è dotato di autonoma legittimazione processuale e l'autorizzazione del giudice tutelare è prevista solo per promuovere alcuni giudizi (cfr. art. 374 c.c. e Cass. 2020 n. 5380), ma non anche per resistere in giudizio. Ne deriva che la parte resistente risulta regolarmente costituita in giudizio. Le spese del giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e si liquidano d'ufficio come in dispositivo tenuto conto del valore indeterminabile della causa e dei valori minimi di cui al D.M. 147 del 2022 in ragione del grado di complessità della causa. PQM Il Tribunale di Avellino, Prima Sezione Civile, in composizione collegiale, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: - rigetta la domanda di interdizione azionata da (...) (...) e (...) - condanna le parti ricorrenti in solido al pagamento in favore della resistente delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 2.905,00 per compensi professionali forensi, oltre I.V.A. e C.P.A. se dovute nelle misure di legge, e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso. Manda alla cancelleria per la trasmissione degli atti del presente procedimento al giudice tutelare per le valutazioni in ordine all'opportunità di sostituire l'amministratore di sostegno come richiesto anche dai ricorrenti.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Il Tribunale di Avellino, in composizione (...) nelle persone dei (...): 1) dott. (...) - Presidente 2) dott.ssa (...) - Giudice 3) dott.ssa (...) - Giudice relatore 4) dott. (...) - (...) 5) dott. (...) - (...) all'udienza del 28 maggio 2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...) /24 Ruolo Generale e vertente TRA (...) giusta procura generale del 05/11/2017 sottoscritta da (...) e (...) innanzi al (...) entrambe quali eredi di (...) elettivamente domiciliato in (...) alla (...), presso lo studio dell'avv. (...) che lo rappresenta e difende giusta delega in atti RICORRENTE E (...)# e (...)# quali eredi di (...) rapp.ti e difesi dall'Avv. (...) presso il cui studio elett.te domiciliano in (...)# alla Via (...), giusta mandato in atti (...) CONCLUSIONI: come da atti e note di trattazione scritta MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato e(...) art. 47 legge 203/82 e art. 11 D.Lgs. 150/2011 il ricorrente, quale procuratore generale di (...) e (...) entrambe eredi di (...) proprietario delle particelle (...) in catasto al foglio (...) del Comune di (...) della (...) ha lamentato l'occupazione illegittima dal 10/10/2022 da parte di (...)# e (...) dalla data del decesso di (...) marito di (...) e padre di (...) e (...) per essere gli stessi terreni coltivati senza alcun versamento di somma mensile a titolo di indennità di occupazione, chiedendone il rilascio e la condanna al risarcimento del danno per l'occupazione sine titulo. Si sono costituiti in giudizio i resistenti, contestando l'avversa pretesa e chiedendo il rigetto della domanda. Ritenuta inammissibile, per quanto di interesse ai fini decisori, la prova orale articolata da parte resistente e la CTU richiesta dal ricorrente in ricorso per la quantificazione delle indennità per la occupazione illegittima, la causa è stata istruita dalla (...) con la sola acquisizione documentale e decisa all'esito dell'udienza con sentenza con contestuale motivazione. In limine litis, vanno dichiarate ammissibili e procedibili le domande dell'istante, in quanto regolarmente precedute dal tentativo di conciliazione di cui all'art. 46 l. 203/82, come da verbale negativo in atti in cui viene dato atto della rituale convocazione dei resistenti ed in cui vi è coincidenza oggettiva e soggettiva rispetto alle parti e alle questioni prospettate in via giudiziale. Va rigettata l'eccezione di nullità del ricorso essendo sufficientemente determinati gli elementi di fatto e di diritto, nonché il petitum e la causa petendi, come desumibile dalle articolate difese dei resistenti. Il ricorrente ha inteso evocare in giudizio genericamente gli "eredi" di (...) lamentando l'occupazione sine titulo da parte degli stessi dei fondi di proprietà delle eredi di (...) e chiedendo il rilascio immediato dei terreni con condanna al risarcimento dei danni per l'occupazione sine titulo per l'importo di euro 1.000,00 annuali o nella somma maggiore o minore che ad istruttoria espletata risulterà dovuta dal 10/10/2022 all'attualità. Tuttavia, due degli eredi di (...) ((...) e (...) costituitisi in giudizio hanno contestato di detenere il fondo, originariamente coltivato giusta contratto di fitto agrario dal de cuius, chiedendo pertanto dichiararsi il proprio difetto di legittimazione passiva. Diversamente la sig.ra (...) ha eccepito di aver diritto al legittimo subentro nel contratto di fitto agrario stipulato tra (...) e (...) nel 2016 e di avere i requisiti di legge consistenti nel possesso della qualifica di imprenditore agricolo a far data dal 2011, con regolare tenuta di fascicolo aziendale. Come più volte affermato dalla Cassazione, in tema di contratti agrari, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 49, comma 1, si configura la successione dell'erede dell'affittuario coltivatore diretto nel contratto di cui era già parte il de cuius soltanto nel caso in cui il preteso successore dimostri la ricorrenza di tutte le condizioni stabilite dalla legge. Pertanto, è onere di chi intenda subentrare nel rapporto non soltanto dedurre la propria qualità di erede dell'affittuario e fornire la prova di essere "imprenditore agricolo a titolo principale" (ora qualificato "imprenditore agricolo professionale" dal D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99, art. 1), coltivatore diretto (o, ancora, eventualmente, soggetto equiparato ai coltivatori diretti L. n. 203 del 1982, e(...) art. 7, comma 2), ma anche dimostrare di avere esercitato, al momento dell'apertura della successione, attività agricola sui terreni coltivati dal de cuius (tra le tante, cfr. Cass. 18/04/2016, n. 7630; Cass. 31/01/2013, n. 2254; Cass. 13/06/2006, n. 13645; Cass. 29/11/2005, n. 26045). Non è pertanto bastevole che l'erede dimostri di coltivare, in qualità di imprenditore agricolo o coltivatore diretto, dei fondi ma è tenuto a dimostrare di aver realmente esercitato e continuato ad esercitare, al momento della apertura della successione, attività agricola sugli stessi terreni coltivati e condotti in fitto dal de cuius (cfr. Cass. 2254/2013; conf. Cass. (...)/2022). Al riguardo si osserva che l'unico capitolo di prova testimoniale formulato al riguardo dalla parte resistente (cap. n. 1 in calce alla comparsa di costituzione) è del tutto generico, dunque, inidoneo a dimostrare che l'erede abbia esercitato e continuato ad esercitare, al momento della apertura della successione, una qualche attività agricola sui fondi oggetto del contendere, non avendo fornito alcuna descrizione delle attività materiali concretamente compiute sui fondi, delle coltivazioni, delle opere eseguite con specifico riferimento alle annate agrarie, rimanendo pertanto - l'assunto - sfornito della benché minima specifica allegazione, prima ancora che di prova. Quanto invece alla posizione degli altri resistenti, convenuti quali eredi del (...) parte ricorrente non ha fornito alcuna specifica indicazione né chiesto di provare che gli stessi fossero effettivamente occupanti e/o detentori dei fondi dal 2022, pur essendo a tanto onerato. Consegue pertanto l'accoglimento della domanda di rilascio dei fondi nei confronti di (...) per non aver specificatamente allegato, prima ancora che provato, di aver maturato, seppure in astratto, il diritto al subentro nel rapporto di fittanza agraria asseritamente imputabile al de cuius ((...). Va invece rigettata la domanda di rilascio nei confronti degli altri eredi in quanto non è stata fornita né specifica allegazione né prova della loro occupazione sine titulo dei fondi di cui si controverte. Escluso il subentro di (...) e(...) art. 49, ult. comma, L. 203/82, le domande proposte in via riconvenzionale a titolo di pagamento per le migliorie e la gestione dei fondi, in quanto aventi come presupposto la sussistenza tra le parti di una valida prosecuzione del rapporto di fittanza agraria, devono essere rigettate, oltre che per mancanza di specifica allegazione e prova. Parimenti va rigettata per mancanza di specifica allegazione la richiesta di risarcimento danni avanzata dal ricorrente, stante la natura del tutto esplorativa della richiesta consulenza tecnica d'ufficio formulata del tutto genericamente nel ricorso introduttivo e volta alla quantificazione delle indennità dovute per l'occupazione sine titulo. Stante la soccombenza reciproca e comunque la non facile perimetrazione dei rapporti intercorsi tra le parti, le spese di lite vanno compensate per intero. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino decidendo sul ricorso depositato da (...) quale procuratore generale di (...) e (...) assorbita e/o disattesa ogni altra eccezione così provvede: 1) accoglie per quanto di ragione la domanda e per l'effetto condanna (...) all'immediato rilascio dei fondi descritti in ricorso in quanto occupante sine titulo; 2) rigetta la domanda di risarcimento danni; 3) rigetta la domanda riconvenzionale; 4) compensa le spese di lite per intero tra le parti.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO II SEZIONE CIVILE in persona del giudice dott.ssa Teresa Cianciulli ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio civile iscritto al n. R.G. 14/2020 avente ad oggetto: "inadempimento contrattuale", vertente TRA (...)(p.i. (...)), rappresentato e difeso dall'Avv. ed elettivamente domiciliata in Avellino, al (...) giusta procura a margine dell'atto di citazione attrice E (...) (già (...) - pi. (...) rappresentata e difesa dall'Avv.(...) e con lo stesso elettivamente domiciliato in Bologna, alla (...), in virtù di procura in calce all'atto di citazione notificato convenuto MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La (...) conveniva dinnanzi al Tribunale di Avellino la società (...) chiedendone la condanna, previo accertamento dell'inadempimento contrattuale, al risarcimento dei danni subiti, oltre interessi, rivalutazione e spese dì lite. A sostegno della domanda, la società attrice esponeva: di essersi avvalsa, nello svolgimento della propria attività di corriere/spedizioniere, dell'ausilio della società convenuta; -che quest'ultima si rendeva in più occasioni inadempiente, provvedendo alla consegna della merce con notevole ritardo ovvero consegnando merce gravemente danneggiata; -che, in conseguenza di tali comportamenti, essa attrice riceveva innumerevoli reclami, sosteneva importanti spese per la riparazione dei beni danneggiati e subiva un danno all'immagine commerciale. Instauratosi il contraddittorio, si costituiva la (...) eccependo, in via preliminare: l'incompetenza per territorio del Giudice adito ai sensi dell'art. 27 del contratto; - l'improcedibilità della domanda, non avendo l'attrice esperito la procedura di negoziazione assistita; - la nullità dell'atto di citazione per indeterminatezza del petitum e della causa petendi. Nel merito, la convenuta eccepiva la carenza di legittimazione attiva della società attrice rispetto alla domanda di risarcimento danni, essendo legittimati ad agire i soli destinatari finali delle merci, nonché l'infondatezza della domanda. La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e, all'udienza del 27.10.2023, veniva assegnata a sentenza, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. In via preliminare rispetto alle questioni di merito sottese alla decisione, deve essere rilevata la improcedibilità dell'atto di citazione ai sensi dell'art. 1 comma 249 della L. n. 190 del 2014. Invero, dalla qualificazione (pacifica ed evidente sulla scorta della lettura degli atti di causa ) del contratto intercorso tra le parti come contratto di trasporto, discende l'obbligatorietà della procedura indicata dalla suddetta legge. In punto di diritto, infatti, giova rilevare che in tale materia, l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita da uno o più avvocati di cui al capo II del D.L. n. 132 del 2014, convertito, con modificazione, dalla L. n. 162 del 2014, costituisce condizione per l'attore per l'esercizio in giudizio della relativa azione. Poi, va evidenziato che l'art. 3, comma 1, D.L. n. 132 del 2014 (conv. in L. n. 162 del 2014), dispone espressamente che, allorché l'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Ebbene, nel presente giudizio, a seguito della tempestiva eccezi one sollevata dalla società convenuta, il Giudice assegnava all'attrice il termine di gg. 15 per l'avvio della procedura omessa (ordinanza del 16.02.2021). Tuttavia tale specifica procedura non è stata mai avviata. La società attrice ha affermato di aver soddisfatto la condizione di procedibilità, in quanto, in data 23.02.2021, depositava, presso l'organismo (...)"l'istanza di mediazione. L'attrice ritiene applicabile il principio di diritto per cui "la mediazione obbligatoria deve ritenersi utilmente effettuata anche nel caso in cui è previsto il diverso procedimento della negoziazione assistita" (Corte d'Appello di Roma, sent. n.7272/2023). Ad avviso del Giudicante, la tesi non ha pregio. Se è vero che la mediazione soddisfa pienamente la condizione di procedibilità rappresentata anche dalla negoziazione assistita (trattandosi di una procedura più completa); è parimenti vero che tale efficacia va riconosciuta a condizione che l'incontro tra le parti dinanzi al Mediatore abbia effettivamente luogo. Nel caso di specie, invece, emerge documentalmente che la società attrice non è stata presente -neppure a mezzo difensore munito di procura specifica- né al primo incontro di mediazione, in data 18.03.2021, né a quello successivo del 13.05.2021 (che era stato fissato dal Mediatore proprio al fine di consentire la partecipazione dell'attrice). A tali incontri era presente la sola patte invitata a mediazione (cfr. verbale della mediazione in atti). La mancata presenza del legale rappresentante della società attrice, di un suo delegato o del difensore -questi ultimi muniti dei poteri necessari come affermato da giurisprudenza consolidata (Corte d'Appello di Napoli, sez. VII, n. 3843/2022)- costituisce violazione del principio di effettività. Dunque, la domanda va improcedibile. Per completezza espositiva e al fine di consentire alle parti le valutazioni sottese alla proposizione di impugnazione avverso la sentenza, deve rilevarsi che è fondata l'eccezione - tempestivamente sollevata dalla convenuta - di incompetenza territoriale del giudice adito. Infatti, deve considerarsi operante il foro convenzionale esclusivo, previsto nel contratto stipulato tra le parti. In diritto, si osserva, infatti, che "la parte che eccepisce l'incompetenza territoriale del giudice adito, invocando l'operatività di un foro convenzionale esclusivo, non è tenuta a contestare ulteriormente tutti i fori alternativamente concorrenti in materia di obbligazioni contrattuali, in quanto la pattuizione di un foro esclusivo ha proprio l'effetto di eliminare il concorso degli altri fon previsti dalla legge, i quali restano perciò inoperanti nei confronti delle controversie scaturenti dal contratto che contenga detta pattuizione" (Cass. civ,, sez. I, n. 30681/2023; sez. VI, n. 34215/2022). Bisogna fare applicazione del richiamato principio, perché l'art. 27 delle condizioni generali del contratto stipulato dalle parti, specificamente approvato dalla società attrice, individa nei fori di Milano e Torino quelli esclusivamente competenti a conoscere qualsiasi controversia relativa ai rapporti di trasporto intercorrenti tra le parti (cfr. produzione di parte della società convenuta). Dunque, ove la domanda non fosse stata dichiarata improcedibile, avrebbe dovuto essere dichiarata l'incompetenza per territorio di questo Giudice. Le spese di lite seguono la soccombenza, e vengono liquidate come da dispositivo, secondo le tariffe dì cui al D.M. n. 147 del 2022, valori minimi in considerazione della bassa complessità delle questioni di diritto affrontate e della natura in rito della pronuncia. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino, II sezione civile, definitivamente pronunciando, cosi provvede: 1) dichiara la domanda improcedibile; 2) condanna la società attrice al pagamento, in favore della convenuta delle spese e competenze di lite che liquida in complessivi Euro 1.278,00 oltre accessori come per legge. Così deciso in Avellino il 26 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO - PRIMA SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) del 2022 R.G., avente ad oggetto: "rivendica e danni" vertente TRA (...) (C.F.: (...)), rappresentata e difesa dall'Avv. (...) dom.ta come in atti; - attrice E (...) (c.f.: (...)), rappresentata e difesa dall'avv. (...) dom.ta come in atti; - convenuta - Conclusioni: le parti hanno concluso come da note di trattazione scritta depositate per l'udienza del 12.12.2023. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1.(...) premesso di essere proprietaria, in virtù di atto per notar (...) dell'11.1.2022, della unità immobiliare (...) con annesso garage, facenti parte del fabbricato condominiale sito in (...) alla via (...) n. 6 - 10, meglio descritte in atti; che questa consistenza immobiliare era pervenuta alla dante causa (...) in virtù di atto per notar (...) del 5.8.2016, con il quale il Comune di (...) precedente proprietario, aveva ceduto a titolo gratuito alla (...) quanto descritto, ha rivendicato la proprietà di tali beni nei confronti di (...) che li deteneva senza alcun titolo. Ha chiesto, dunque, l'attrice che fosse accertato il proprio diritto di proprietà sulle porzioni immobiliari innanzi descritte; la condanna di (...) all'immediato rilascio dei beni in suo favore, liberi da persone e cose; la condanna di (...) al risarcimento dei danni, anche per omessa disponibilità dei beni, vinte le spese di lite. (...) si è costituita deducendo di aver posseduto gli immobili rivendicati, animo domini, da oltre vent'anni, in modo continuato, ininterrotto, pacifico e pubblico; in particolare, ha esposto che dal 1996 occupava l'immobile esercitando sugli stessi un potere corrispondente a quello del proprietario (effettuazione di manutenzione ordinaria e straordinaria, modifica agli ambienti, installazione di impianti, allaccio di utenze, pagamento delle bollette, delle imposte e degli oneri condominiali, eccetera); ha aggiunto che nell'appartamento descritto aveva fissato la propria residenza sin dal 1996 e che eguale condotta aveva tenuto in riferimento al locale autorimessa. Ha chiesto, dunque, la convenuta il rigetto della domanda di rivendica e, in via riconvenzionale, di accertare il proprio acquisto per intervenuta usucapione, vinte le spese. 2. Sulla qualificazione della domanda attorea. E' corretta da parte dell'attrice la qualificazione della domanda come azione di rivendicazione. La domanda con cui una parte chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa tra attore e convenuto e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, non dà luogo ad un'azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di restituzione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 cod. civ. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un'azione di spoglio ormai impraticabile (tra le tante Cass. 2013, n. 705). 3. Sull'onere probatorio E' noto che nel giudizio di rivendica l'attore deve provare di essere divenuto proprietario della cosa rivendicata risalendo, anche attraverso i propri danti causa, attraverso una serie ininterrotta di trasferimenti, fino ad un acquisto a titolo originario ovvero deve provare che tale serie di trasferimenti si è protratta per il tempo necessario ad usucapire o, infine, che il bene rivendicato è stato da lui o alcuno dei suoi danti causa posseduto per il tempo necessario ad usucapirlo. La Corte di Cassazione, nella sentenza del 2021 n. 28865, in riferimento ai casi in cui controparte proponga riconvenzionale di usucapione ha anche chiarito che "essendo l'usucapione un titolo d'acquisto a carattere originario, la sua invocazione, da parte del convenuto con l'azione di rivendicazione, non suppone, di per sé, alcun riconoscimento idoneo ad attenuare il rigore dell'onere probatorio a carico del rivendicante, il quale, anche in caso di mancato raggiungimento della prova dell'usucapione, non è esonerato dal dover provare il proprio diritto, risalendo anche attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o alcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo. Il rigore probatorio rimane tuttavia attenuato quando il convenuto, nell'opporre l'usucapione, abbia riconosciuto, seppure implicitamente, o comunque non abbia specificamente contestato, l'appartenenza del bene al rivendicante o a uno dei suoi danti causa all'epoca in cui assume di avere iniziato a possede (...)esame 1996). Per contro la mera deduzione, da parte del convenuto, di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo al titolo del rivendicante o di uno dei suoi danti causa, disgiunta dal riconoscimento o dalla mancata contestazione della precedente appartenenza, non comporta alcuna attenuazione del rigore probatorio a carico dell'attore, che a maggior ragione rimane invariato qualora il convenuto si dichiari proprietario per usucapione in forza di un possesso remoto rispetto ai titoli vantati dall'attore". Nel caso in esame vi sono titoli di provenienza ultraventennali, anche se i passaggi hanno delle peculiarità. (...) ha acquistato le descritte consistenze immobiliari con atto per notar (...) dell'11.1.2022; i beni sono pervenuti alla dante causa (...) in virtù di atto per notar (...) del 5.8.2016, con il quale il Comune di (...) ha ceduto a titolo gratuito alla (...) quanto descritto; il Comune di (...) a sua volta aveva acquisito al patrimonio comunale le relative aree di sedime a seguito di decreto di esproprio del 6.2.1998 dagli originari proprietari che, in epoca, precedente avevano esercitato i propri diritti sulla ricostruzione nominando un delegato condominiale. 3.Sulla domanda riconvenzionale di usucapione spiegata dalla convenuta. Va prioritariamente decisa la spiegata domanda riconvenzionale di usucapione spiegata da controparte. Come è noto, ai fini dell'acquisto della proprietà per usucapione, il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all'esercizio del relativo diritto, manifestando - con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura - un comportamento rivelatore anche all'esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all'inerzia del titolare. La prova del possesso pubblico, pacifico, continuo ed ininterrotto di un bene immobile per anni 20 necessari ad usucapire ben può essere sostenuta da prove testimoniali o da documenti (quali pratiche edilizie, pagamento di utenze), sintomatiche dell'esercizio del possesso uti dominus. Va evidenziato che la convenuta colloca l'inizio del possesso nell'anno 1996; ma la documentazione che ha depositato a sostegno della pretesa è del tutto insufficiente: non vi è traccia documentale di attività di manutenzione verificabile; la caldaia risulta installata nel 1995 e, dunque, prima dell'asserito inizio del possesso; il libretto di manutenzione della caldaia è del 17.07.2006; i pagamenti delle utenze partono al più dall'anno 2000; l'unico avviso di pagamento (...) è del 2022; non vi è prova di pagamento di oneri condominiali. Non è stata fornita alcuna prova dell'esercizio del possesso per il tempo necessario ad usucapire. Ma vi è di più. (...), a corredo delle memorie istruttorie, ha depositato un contratto preliminare concluso tra (...) e (...) senza data (ma che nel suo interno fa riferimento ad una prima data successiva collocabile nel mese di febbraio 1998) avente ad oggetto i beni in lite, il cui punto n. 4 recita che il possesso sarebbe stato trasmesso alla stipula del "rogito notarile" definitivo. Tale evenienza documentale ha correttamente portato precedente istruttore a non ammettere le prove orali, evidentemente superflue. Infatti, la scrittura è sottoscritta dalla convenuta che non l'ha mai disconosciuta; così come non è contestata la coincidenza degli immobili. (...) era il costruttore del fabbricato sul fondo; il (...) aveva concluso contratto di appalto con il delegato condominiale alla ricostruzione, (...) il (...); il fondo è stato poi espropriato dal Comune ed assegnato nuovamente ai legittimi proprietari ((...) tra gli altri, dante causa della odierna attrice); parte attrice ha pure documentato che il (...) nell'anno 2019, ha sottoposto i fondi a pignoramento immobiliare senza alcuna opposizione della convenuta. E' noto che la mera detenzione dell'immobile dopo la stipula del contratto preliminare non determina l'acquisto della proprietà per usucapione. Anche l'eventuale immissione in possesso, dopo la stipula di un contratto preliminare, non può costituire titolo idoneo ai fini di un eventuale usucapione del bene. La relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un'intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall'articolo 1141 c.c. (Cass. sez.un. 2017 n. 7155). La giurisprudenza ha chiarito che l'interversione nel possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d'esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione al precedente "animus detinendi" dell' "animus rem sibi habendi"; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il titolare, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua. (...) della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestano in modo inequivocabile e riconoscibile dall'avente diritto l'intenzione del detentore di esercitare il potere sulla cosa esclusivamente "nomine proprio", vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa (da ultimo Cass. 2022 n. 24795). (...) atto di opposizione della convenuta al proprietario (dante causa dell'attrice, (...) è del 2017 (in risposta ad una diffida). Pertanto, ove la relazione con la res abbia avuto inizio a titolo di detenzione, il protrarsi, anche a lungo, del godimento del bene nonostante la scadenza del termine di durata del rapporto contrattuale attributivo della detenzione stessa, l'inerzia dei proprietari nel richiedere la restituzione della cosa, la mera esternazione - fatta a persone diverse dal possessore - del considerarsi proprietario del bene, sono circostanze inidonee tanto ad escludere l'operatività della norma dell'art. 1141, 2 comma c.c. (in base alla quale chi ha cominciato ad avere la detenzione, non può acquistare il possesso finché il titolo non sia mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il possessore), quanto a configurare un'opposizione al possessore. La domanda di usucapione va, dunque, rigettata. 4.Sul contratto preliminare. Non coglie nel segno la difesa, svolta in via subordinata dalla convenuta, il base alla quale, ritenuta la sua detenzione, parte attrice avrebbe dovuto chiedere previamente la risoluzione del preliminare. In primo luogo, va considerato che l'attrice non ha legittimazione ha chiedere alcuna risoluzione non essendo parte di quel preliminare e che l'azione di rivendicazione è un mezzo legale che permette al proprietario di un bene di rivendicarne la proprietà nei confronti di chi lo detiene senza un titolo valido. Essa mira a proteggere il diritto di proprietà, consentendo al legittimo proprietario di riavere il possesso del bene. Inoltre, la convenuta, nell'impostare le sue difese non invoca mai la validità e l'efficacia di tale preliminare, deducendo sempre di possedere il bene per sua apprensione risalente al 1996 e non in virtù di questo contratto (che, infatti, ha introdotto in giudizio proprio l'attore), con la conseguenza che è essa stessa a non voler invocare alcun valido titolo. In altri termini, non rileva la mancata impugnazione espressa del preliminare, giacché l'azione di revindica integra di per sé un'impugnazione dell'avverso titolo, essendo finalizzata ad accertare e affermare la titolarità del diritto di proprietà in capo al rivendicante nei confronti di chi lo contesti, oltre che al recupero del bene. Va, dunque, accolta la domanda di rivendica proposta da parte attrice, va affermata la titolarità del diritto di proprietà dei beni in lite in capo a parte attrice e va rigettata la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dalla parte convenuta. 5.Sulla domanda di danno. La domanda attorea di danno va, invece, rigettata. Sul punto è sufficiente evidenziare che, al di là delle questioni afferenti alla configurabilità o meno di un danno in re ipsa da mancata disponibilità del bene da parte del proprietario, ciò che rileva è che il danno in citazione è comunque del tutto carente di specificazioni; nessun elemento di ausilio e di calcolo è contenuto né in citazione né nelle memorie istruttorie; solo in comparsa conclusionale sono indicati valori parametrici (rectius locativi), inidonei allo scopo perchè antecedenti alla data dell'acquisto dell'attrice e riferibili a criteri di stima per periodi inconferenti. 6. Sulle spese. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, tenendo conto dell'assenza di istruttoria orale. p.q.m. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. accoglie la domanda di rivendica proposta da (...) e, previa affermazione della proprietà in capo alla predetta della unità immobiliare, appartamento al primo piano, scala B, censito in catasto al foglio (...), nonché del locale autorimessa, censito in catasto al figlio (...), facenti parte del fabbricato sito in (...) alla via (...) n. 6-10, condanna (...) al rilascio dei beni in suo favore, liberi di persone e cose; 2. rigetta ogni altra domanda; 3. condanna la convenuta a rifondere a (...) le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 6.500,00, oltre Euro 600,00 per esborsi, nonché spese generali al 15%, cap e iva come per legge. Così deciso in Avellino il 23 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI AVELLINO Il Tribunale di Avellino, Prima Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico dott.ssa Valentina Pierri ha pronunziato la seguente SENTENZA nelle cause civili riunite iscritte ai nn. 4284/2020 e 4458/2020 R.G., aventi ad oggetto "Impugnazione di delibera di assemblea condominiale" e vertente TRA Parte_l, C.F. C.F._1 rappresentato e difeso, anche con poteri disgiunti, dall'Avv. Lu.Te. e dall'Avv. Ub.De.; Attore nel proc. 4284/2020 RG E Controparte_l C.F. C.F._2 rappresentato e difeso dall'Avv. Fe.Ra.; Attore nel proc. 4458/2020 RG E Controparte_2 di Indirizzo_1 in ATRIPALDA, Cod. Fisc.: P.IVA_1 in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Di.Al.; Convenuto in entrambi i giudizi riuniti Conclusioni: come da verbale di udienza del 13.9.2023, qui da intendersi integralmente riportato e trascritto. Motivazioni in fatto e in diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, iscritto al n. 4284/2020 RG, Parte_1, in qualità di condomino del Controparte_2 sito in Atripalda (AV) alla (...) Indirizzo_1, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Avellino il predetto Condominio al fine di ottenere la declaratoria di nullità ovvero l'annullamento delle deliberazioni assunte dall'assemblea condominiale del 25.06.2020, o quanto meno delle deliberazioni di cui ai punti 4) e 5) dell'ordine del giorno. All'uopo, l'attore deduceva: a) la violazione dell'art. 1137 comma 2 c.c. per impossibilità di accertare il quorum deliberativo di cui all'art. 1136 c.c., per mancata indicazione, nel verbale dell'adunanza, di alcuna indicazione in merito ai valori delle quote di ciascun condomino partecipante all'assemblea; b) la nullità della deliberazione di cui al punto 4) per illegittimo addebito di spese relative alla sanatoria di opere murarie realizzate in difformità dal progetto approvato nelle unità di proprietà esclusiva di singoli condomini; c) la nullità della deliberazione di cui al punto 5) all'ordine del giorno per illegittima imposizione di servitù di scarico sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva dell'attore. Instaurato il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 7.02.2021, si costituiva in giudizio il Controparte_2 il quale si opponeva all'impugnativa deducendo a propria volta la carenza di interesse ad agire dell'attore per le seguenti motivazioni: a) in relazione alla mancata indicazione del quorum deliberativo, che la verifica della correttezza formale della deliberazione è riservata dalla legge al Presidente dell'assemblea (con eventuale configurabilità di una sua responsabilità in caso contrario) e che lo stesso attore, nella specie, aveva partecipato attivamente all'assemblea prendendo parte a tutte le decisioni, pur dissentendo, senza mai rilevare la carenza del quorum deliberativo; b) quanto alla nullità del punto 5) dell'o.d.g. (illegittima imposizione di servitù di scarico sulle unità di proprietà esclusiva dell'attore), che il CP_2 aveva assunto una posizione contraddittoria, giacché, in sede di assemblea, aveva chiesto di dare attuazione all'accordo sottoscritto dalle parti in data 10.1.2009 (che prevedeva, tra l'altro, l'installazione di 12 pluviali), e che, in ogni caso, nella fase esecutiva dei lavori deliberati, il Direttore dei lavori aveva adottato soluzioni tecniche per escludere la lamentata imposizione e l'aggravio di spesa, prevedendo anche la possibilità per il condomino dissenziente di allacciarsi alle reti ora presenti, qualora lo decidesse in futuro, senza pregiudizio per gli altri condomini; c) quanto alla nullità della delibera di cui al punto 4 (illegittimo addebito di spese afferenti alle unità esclusive dei singoli condomini), che il pagamento della somma di Euro 1.000,00 (Euro 250,00 per il CP_2 come per gli altri sottoscrittori dell'accordo del 10.01.2009) era dovuta al Comune di Atripalda a titolo di sanzione per la difformità urbanistica e che l'esecuzione di tale adempimento aveva consentito il rinnovo dei titoli abilitativi per la prosecuzione dei lavori di completamento dell'intero fabbricato e non delle singole proprietà, con evidente vantaggio anche per il condomino dissenziente. Concludeva, pertanto, per la declaratoria di "carenza di interesse del sig. Parte_1 (...) che non ha determinato alcun danno alla parte che lo contesta" e, in via subordinata e nel merito, per il rigetto della domanda in quanto infondata. Nelle more del giudizio, con atto di citazione ritualmente notificato, iscritto al n. 4458/2020 RG, anche il condomino Controparte_1 conveniva in giudizio il Controparte_2 (...) chiedendo di "accertare e dichiarare nulla e/o annullare la delibera dell'assemblea del 25/6/2020 adottata dal Controparte_3 relativamente ai punti 2), 3), 4) e 5) all'ordine del giorno. All'uopo, Controparte_1 - premesso di aver espresso, unitamente al germano Parte_l in sede assembleare voto contrario a ciascuna deliberazione - contestava: "I) la violazione dell'art. 1136 comma 7° c.c. in quanto il processo verbale della delibera impugnata non era stato preceduto né da un verbale di assemblea di prima convocazione, né tantomeno conteneva un riferimento all'assemblea di prima convocazione andata deserta; II) la violazione dell'art. 67 disp.att. c.c. che vieta il conferimento di deleghe all'amministratore, laddove nel caso di specie, la "maggioranza" aveva approvato la delibera proprio grazie ai voti espressi per delega dall'amministratore; III) la violazione dell'art. 1136 c.c. per assoluta indeterminatezza del quorum; IV) la violazione dell'art. 1123 c.c. per avere l'assemblea approvato una ripartizione millesimale delle spese relative a parti comuni in contrasto con la ripartizione delle spese convenzionale stabilita all'unanimità nella scrittura privata del 10/01/2009, oltre che errata; V) la violazione dell'art. 1123 c.c. per avere l'assemblea approvato l'illegittima ripartizione tra i condomini di spese relative a proprietà individuali (computo metrico del geom. Per_l e oneri per la regolarizzazione urbanistica di difformità riguardanti proprietà individuali); VI) la nullità della delibera per avere l'assemblea approvato il progetto redatto dal geom. Per_l nel quale sono previste colonne fecali e pluviali nuove rispetto al progetto originario con la realizzazione di una servitù di scarico sulle unità di proprietà dell'attore e senza il suo consenso. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 7.02.2021, si costituiva in giudizio il Controparte_2 eccependo, in via preliminare, l'improcedibilità dell'azione per mancato esatto esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria e nel merito il difetto di legittimazione passiva e/o la carenza di interesse dell'attore. Assumeva in particolare: - che per le presunte violazioni contestate in relazione alle modalità di redazione del verbale doveva ritenersi unico responsabile lo stesso attore in qualità di Presidente dell'assemblea condominiale e redattore del verbale impugnato; - che, con riferimento alla ripartizione delle spese, l'assemblea non si era discostata da quanto previsto dalla scrittura privata del 10.01.2009 circa i lavori deliberati e riferibili alla scrittura privata predetta mentre la tabella millesimale era stata approvata per la ripartizione delle altre spese non riconducibili alla scrittura privata del 10.1.2009. Contestava inoltre la dedotta violazione dell'art. 1123 c.c. nonché la nullità della delibera per illegittima imposizione di servitù. Disposta la riunione dei procedimenti, rigettata l'istanza di sospensione della delibera con ordinanza confermata in sede di reclamo (proc. 1841/2021 RG), disposta ed espletata la CTU, all'udienza del 13.9.2023, sulle conclusioni precisate dalle parti, il Giudice assegnava le cause riunite in decisione con concessione dei termini ai sensi dell'art. 190 c.p.c. 1.- Preliminarmente, va rilevato che l'eccezione di improcedibilità dell'azione sollevata dal CP_2 convenuto con riferimento all'impugnativa introdotta da Controparte_1 non è stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni né in sede di comparsa conclusionale e pertanto deve intendersi rinunciata. Va peraltro osservato che, ai sensi dell'art. 4 comma 2 del D.Lgs. 28/2010 e ss.mm., "La domanda di mediazione deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa". Nel caso di specie, avuto riguardo al petitum ed alla causa petendi, ritiene il Tribunale che sussiste simmetria tra i fatti rappresentati in sede di mediazione e quanto esposto in sede processuale, giacché tale simmetria concerne gli elementi principali posti a fondamento della domanda e nulla esclude che, in sede processuale, l'impugnativa possa essere dettagliata attraverso una più specifica articolazione dei motivi, soprattutto con riferimento ai profili di carattere essenzialmente giuridico (cfr. Trib. Verona, 26.4.2021). 2.- Va altresì disattesa l'eccezione sollevata dal CP_2 convenuto in relazione alla presunta carenza di interesse degli attori rispetto alle formulate impugnative. Occorre rammentare quanto recentemente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha ribadito che "in tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall'art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell'atto impugnato, essendo l'interesse ad agire, richiesto dall'art. 100 c.p.c. quale condizione dell'azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall'accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni" (Cass. 17294/2020; in senso conforme, Cass. 9544/2023, in cui, con specifico riferimento al valore economico del pregiudizio dedotto, si sancisce che "in tema di condominio negli edifici, sussiste l'interesse del CP_2 a promuovere l'azione di annullamento di una delibera condominiale avente ad oggetto crediti del medesimo di valore minimo, in quanto dal principio che la giurisdizione è risorsa statuale limitata - potendo la legge limitare, espressamente o implicitamente, il ricorso ad essa onde garantire la durata ragionevole del processo ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU - non può, tuttavia, derivare il potere del giudice di stabilire limitazioni all'accesso al giudizio di legittimità, posto che nel nostro ordinamento la giurisdizione si attua mediante il giusto processo ed è sempre ammesso il diritto di ricorrere per cassazione avverso le sentenze per violazione di legge; diritto il cui esercizio non dipende dal valore economico della controversia, soprattutto ove la predetta azione miri ad una verifica giudiziale della correttezza del "modus operandi" dell'amministratore nella generale iscrizione dei pagamenti in bilancio"). Nella specie, sussiste la legittimazione degli attori, condomini dissenzienti, rispetto dell'impugnativa delle deliberazioni assunte così come appare chiaro il loro interesse alla rimozione dell'atto, non solo per i vizi di legittimità dedotti ma anche in ragione della censurata ripartizione delle spese ed alle dedotte limitazioni di godimento alle rispettive proprietà individuali. 3.- Occorre ora esaminare le singole violazioni contestate ed, in primo luogo, quelle che investono la validità dell'intera delibera. 3.1- Quanto al motivo di impugnazione riferito alla mancata verbalizzazione dell'adunanza tenutasi in prima convocazione (come formulato dall'attore Controparte_l, lo stesso non è fondato giacché il CP_2 convenuto ha prodotto in giudizio il verbale dell'assemblea tenutasi in prima convocazione in data 24.6.2020 e allegato alla convocazione per il giorno 25.6.2020. 3.2- Va, parimenti, respinta la doglianza formulata da entrambi gli attori riferita alla mancata indicazione delle quote millesimali dei singoli condomini partecipanti. Dagli atti di causa e dalla stessa disamina del verbale di delibera impugnato, risulta che, al momento dell'adozione della predetta deliberazione, le tabelle millesimali non erano state ancora adottate dal CP_2 tant'è che la loro approvazione era prevista al punto 3) dell'o.d.g. Deve dunque farsi applicazione del principio di diritto per cui "l'assenza delle tabelle millesimali non influisce sulla validità delle delibere se, ai fini della decisione, viene individuato un valore da attribuire alle unità immobiliari in rapporto al valore dell'edificio. La delibera potrà essere invece oggetto di annullamento, qualora il condòmino impugnante provi che il valore proporzionale dei condòmini presenti, rispetto all'intero edificio, era inferiore alle maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c." (Cass. 3295/2023; Cass. 2406/2024). Il criterio di identificazione delle quote di partecipazione al condominio, derivando dal rapporto tra il valore dell'intero edificio e quello relativo alla proprietà del singolo, esiste, dunque, prima ed indipendentemente dalla formazione della tabella dei millesimi - la cui esistenza non costituisce perciò requisito di validità delle delibere assembleari - e consente sempre di valutare anche "a posteriori" in giudizio se le maggioranze richieste per la validità della costituzione dell'assemblea e delle relative deliberazioni siano state raggiunte, in quanto la tabella anzidetta agevola, ma non condiziona lo svolgimento dell'assemblea e, in genere, la gestione del condominio (così Cass. Sez. 6 - 2, 09/08/2011, n. 17115; Cass. Sez. 2, 17/02/2005, n. 3264). La regola in tema di impugnazione della deliberazione dell'assemblea condominiale è che l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (Cass. n. 28262 del 2023; n. 3295 del 2023). In assenza di valide tabelle millesimali, spettava perciò agli odierni attori provare che le deliberazioni adottate dall'assemblea del 25.6.2020 fossero viziate con riguardo alla carenza dei quorum stabiliti dall'art. 1136 c.c., alla stregua del valore proporzionale delle unità immobiliari dei condomini intervenuti in rapporto al valore dell'intero complesso di unità immobiliari, edifici o condomìni aventi quella o quelle parti comuni in discussione. Tale onere non è stato assolto. Non può invero ritenersi sufficiente il riferimento alle quote di compartecipazione stabilite al 25% per ciascun germano CP_2 nella scrittura privata per notar Per_2 del 2009; dall'elenco dei condomini riportato nel verbale di assemblea del 25.6.2020 risulta che nel condominio sono subentrati, successivamente alla scrittura del 2009, ulteriori soggetti rispetto ai quattro germani originari proprietari (segnatamente, Controparte_3, CP_4 Persona_3 e Persona_4); agli atti non vi è evidenzia delle quote titolarità di tali soggetti e, ciò che più rileva, non vi è evidenza da quali dei germani CP_2 essi abbiano acquistato la rispettiva proprietà; non può dunque ritenersi comprovato che i germani Parte_1 e CP_1 (...) fossero, all'atto dell'approvazione del verbale del 25.6.2020, ancora titolari del 50%. La doglianza va pertanto respinta. 3.3- Va parimenti respinta l'impugnazione formulata dal solo Controparte_1 in merito alla dedotta violazione dell'art. 67 disp. att. c.c. che vieta il conferimento di deleghe all'amministratore, laddove nel caso di specie, la "maggioranza" avrebbe approvato la delibera proprio grazie ai voti espressi per delega dall'amministratore. Non ignora il giudicante che, per effetto della riforma adottata con la legge n.220/2012, il conferimento di deleghe di voto in assemblea all'amministratore è stato in ogni caso e senza eccezioni vietato dall'art. 67, quarto comma, disp. att. c.c. ("all'amministratore non possono essere conferite deleghe per la partecipazione a qualunque assemblea"). Se il divieto è violato, la relativa delibera è annullabile e impugnabile ai sensi dell'articolo 1137 c.c. Il condomino che agisce per l'annullamento deve, però, dimostrare che la delibera è stata illegittimamente votata dall'amministratore e tale voto è stato determinante per l'approvazione. Tale prova, nel caso in esame, non è stata offerta, in quanto, pur escludendo il voto dei condomini che hanno conferito illegittime deleghe all'amministratore Persona_5 (ovvero CP_3 (...) e Persona_6, le deliberazioni impugnate sono state approvate comunque con il voto favorevole di 4 condomini su 6. Esclusa la fondatezza delle doglianze formali relative a tutte le deliberazioni assunte in data 25.6.2020, occorre ora esaminare i motivi di impugnazione formulati da ciascun attore in relazione ai singoli punti all'o.d.g. 4.- E' fondato il motivo di impugnazione sollevato da entrambi gli attori con riferimento al punto 4 dell'o.d.g. per avere l'assemblea approvato l'illegittima ripartizione tra i condomini di spese relative a proprietà individuali (oneri per la regolarizzazione urbanistica di difformità riguardanti proprietà individuali) e per l'impossibilità dell'oggetto (presentazione di CILA in sanatoria per opere realizzate in proprietà individuali). Occorre prendere le mosse dal tenore letterale dell'argomento posto all'o.d.g. In sede assembleare, il geom. Per_l, tecnico incaricato dall'amministratore, presente in assemblea, chiariva "che la situazione urbanistica del fabbricato risale alla concessione n. 1842/2004 e pertanto tutti i frazionamenti catastali resisi necessari per il detto atto di donazione e divisione per notar Per_2 non risultano censiti urbanisticamente al Comune e pertanto necessita la presentazione di una pratica in sanatoria per la regolarizzazione dei detti subalterni' (v. p. 7 del verbale). Gli attori sostengono che, poiché alcune porzioni di proprietà esclusiva, comprese nel fabbricato, sono state realizzate in difformità dal progetto approvato (con Permesso a Costruire n. 1842/2004), l'assemblea ne avrebbe illegittimamente deliberato la sanatoria, nominando il geom. cp_5 (...) per l'istruzione della relativa pratica presso il Comune di Atripalda, pur trattandosi, tuttavia, di problematiche afferenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, con conseguente nullità della deliberazione per impossibilità dell'oggetto. Il motivo è fondato. Non vi è dubbio, ad avviso di questo giudicante, che l'assemblea condominiale non ha competenze in ordine alla "sanatoria" di opere effettuate nelle proprietà esclusive dei singoli condomini, in quanto compete a ciascuno di essi decidere se attivarsi per ottenerne la regolarizzazione urbanistica ovvero procedere alla riduzione in pristino. L'assemblea condominiale può deliberare soltanto le spese che riguardano la gestione, la manutenzione e la conservazione delle parti comuni di un condominio (ad es. la richiesta di sanatoria per opere eseguite su parti comuni), e giammai le spese individuali attribuibili ad un singolo condomino né può assumere determinazioni al posto del singolo condomino, come invece accaduto nella specie, laddove l'assemblea ha dato incarico al geom. Per_l per la presentazione della Pt_2 in sanatoria anche per i condomini odierni attori, addebitando ad essi pro quota l'esborso richiesto, sebbene gli stessi fossero contrari alla sanatoria delle opere difformi eseguite nelle rispettive proprietà giacché ritenute pregiudicanti. L'impugnativa va dunque accolta. 5.- Entrambi gli attori dei giudizi riuniti deducono la nullità della delibera assunta in relazione al punto 5) dell'ordine del giorno per le limitazioni al godimento - correlate alla previsione di pluviali e colonne fecali- imposte alle unità immobiliari di proprietà esclusiva degli attori senza il loro consenso. Orbene, all'esito dell'istruttoria espletata a mezzo di CTU, la doglianza è risultata fondata e, conseguentemente, va dichiarata la nullità della deliberazione di cui al punto 5) dell'o.d.g. Vanno richiamate le condivisibili conclusioni della CTU redatta dall'Ing. Per_7 la quale, in relazione al progetto dei lavori a farsi e, in particolare, alle tavole allegate alla convocazione per l'assemblea del 25.6.2020 -in disparte ogni valutazione in ordine allo stato dei luoghi riscontrato e alle opere effettivamente realizzate, profili che non rilevano nella presente sede - ha riscontrato, con specifico riferimento alle unità immobiliari degli attori (le sole che rilevano nella presente sede), quanto segue: "...Le pluviali previste al piano terra, risultando in numero elevato, limitano il godimento delle unità immobiliari di proprietà Controparte_3, Pt_1 _ CP_1 ed Per_6 condizionando le distribuzioni degli spazi interni. Per quanto concerne le colonne fecali... al piano terzo: - la posizione delle fecali dell'u.i. C8 (Controparte_1 non risultano funzionali per l'u.i. servita; l'u.i. C9 (Controparte_1 è carente per l'allaccio degli scarichi della cucina. Al Piano primo: ...Nelle u.i. C6 (Controparte_1 e B6 Parte_1) non sono state previste fecali. Al piano terra: Per le u.i. B4, B5 (Parte_1) e D3 (Persona_6) non sono previste fecali, tuttavia, B5 e D3 potrebbero collegarsi alle fecali dell u.i. adiacenti. L'u.i. B4 resta priva di previsione di fecale. Le criticità rilevate e brevemente esposte risultano lesive per le proprietà richiamate, traducendosi nel godimento non ottimale delle unità immobiliari. Le colonne fecali previste in posizione non ottimale sono diversamente allocabili. Le colonne assenti, inoltre, possono essere integrate". Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello per cui sono affette da nullità le deliberazioni che vanno incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, giacché eventuali modificazioni possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca. In mancanza di tale consenso, la deliberazione è nulla, non rilevando ai fini della predetta declaratoria che, in fase esecutiva, siano state apportate modificazioni al progetto deliberato nell'assemblea del 25.6.2020. Né argomento in senso contrario può trarsi dalla scrittura per notaio Per_2 del 2009 giacché essa spiega effetti nei rapporti interni tra i quattro germani originari proprietari del fabbricato e non rispetto all'attuale compagine condominiale ed, inoltre, secondo quanto riscontrato dal CTU (cfr. p. 31 della relazione peritale, ove si legge: "Alla data di sottoscrizione della scrittura privata, il titolo edilizio vigente risultava il Pdc 1842/2004 che contemplava una situazione progettuale differente da quella odierna.."), essa si riferisce al completamento dei lavori comuni secondo il progetto originario (PdC 1842/04) e non al (diverso) progetto deliberato in data 25.6.2020. 6.- E', infine, fondato il motivo di impugnazione sollevato dal solo Controparte_1 in relazione alle deliberazione assunta rispetto al punto 3) dell'o.d.g. L'assemblea ha approvato "le quote millesimali redatte dal geom. Per_1 " facendole "proprie _per la ripartizione dei lavori a ... farsi del computo metrico". L'attore deduce l'illegittimità della deliberazione sia perché in contrasto con la ripartizione convenzionale delle spese prevista nella scrittura privata per notar Per_2 del 10/01/2009 sia perché le tabelle sarebbero errate nelle modalità di calcolo dei coefficienti adottate. Entrambe le doglianze sono fondate. Quanto alle tabelle millesimali, si condividono sul punto le osservazioni del CTU, il quale, a p. 31, precisa: "... il Geom. CP_5 su incarico dell'assemblea ha redatto le tabelle millesimali sulla scorta delle previsioni di progetto allegate ai titoli abilitativi richiesti in data successiva alla scrittura privata. Si precisa che i millesimi rappresentano una "quota" proporzionale al valore del bene di cui ciascun condomino è titolare in rapporto all'intero stabile. Il criterio alla base della redazione delle tabelle millesimali, per quanto condivisibile tecnicamente, di fatto costituisce una forzatura per le seguenti motivazioni: - Tiene conto di previsioni di progetto ad oggi non realizzate (cambi di destinazione, distribuzioni interne, ecc.); - Molte unità immobiliari sono prive di tramezzature; - Quantifica, attraverso la quota millesimale, un valore che auspicabilmente, forse, in futuro l'unità immobiliare potrà avere". Sussiste altresì la violazione dell'art. 1123 c.c.. Tale norma prevede che la ripartizione delle spese comuni siano sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. Orbene, nella specie, è documentalmente comprovato che i germani Parte_l, Per_6 Per_5 e CP_1 convenzionalmente stabilirono che la partecipazione alla spesa occorrente per il completamento delle parti comuni sarebbe avvenuta nella misura del 25% ciascuno. Anche il CTU aderisce a tale valutazione affermando che "la ripartizione delle spese, se effettuata sulla base delle quote millesimali, non sia corretta". Deve dunque escludersi che l'assemblea potesse adottare come criterio di ripartizione delle spese riferite ai lavori di completamento un criterio difforme da quello previsto dalla convenzione del 2009 e, segnatamente, le tabelle millesimali predisposte dal geom. Per_l. 7.- Il condomino Controparte_1 impugna la delibera del 25.6.2020 con riferimento al punto 2) dell'ordine del giorno, deducendo che l'assemblea avrebbe approvato, con il computo metrico redatto dal geom. Per_l, la ripartizione di spese che afferiscono ad opere da realizzarsi nelle proprietà esclusive di alcuni condomini ed a loro esclusivo beneficio ed, in particolare, secondo quanto desumibile dall'atto introduttivo del giudizio n. 4458/2020 RG,: - una rampa garage che serve altro fabbricato contiguo; - il maggior costo delle colonne fecali e dell'impianto citofonico (e di tutti i relativi sottoservizi) che servono le dette diverse unità abitative realizzate dal Controparte_6 nel sottotetto; - la canna fumaria prevista al piano terra identificato con la sigla A4, sempre di proprietà di (...) Per_5 A fronte di tale prospettazione, il CP_2 convenuto ha replicato che "Non vi sono spese attribuite per lavori da effettuarsi in proprietà esclusive. Invero, la rampa di accesso al piano interrato, di cui lamenta il sig. Controparte_1 è di esclusiva proprietà del CP_2. Mentre il varco effettuato, con l'abbattimento di un muro della corsia, utile per uscire dal piano interrato attraverso una seconda rampa è di proprietà di un altro corpo di fabbrica come si può evincere dall'atto di divisione per Notaio Per_2 del 13.01.2009, non è assolutamente riportato nel computo metrico come costo". Ora, a fronte della contestazione specifica del CP_2 convenuto - il quale ha espressamente escluso che il computo metrico preveda lavori da effettuarsi in proprietà esclusiva - ritiene il Tribunale che era onere del CP_2 impugnante comprovare la fondatezza della doglianza formulata. Tale onere non è stato assolto. Invero, pur non essendo stato il profilo in esame rimesso alla verifica del CTU, esso non risulta supportato da sufficiente riscontro probatorio. Il CTP Ing. Per_8 nella sua relazione di parte, invero, contesta la circostanza che con la CILA approvata dall'assemblea sia stata richiesta la sanatoria di opere eseguite nelle proprietà esclusive ma non afferma in alcun modo che il computo metrico approvato al punto 2) dell'o.d.g. prevede la ripartizione tra i condomini di lavori da eseguirsi in proprietà esclusive (cfr. p. 8 della CTP, ove si legge: "...Inoltre, molti lavori (ndr. di cui alla CILA) non riguardano opere condominiali ma opere interne alle singole proprietà (tra l'altro la messa in opera di una canna fumaria al piano primo in proprietà esclusiva Persona_5), nonché tante altre, comunque non condominiali. Circa la citata canna fumaria ci si riserva di approfondire e contestare eventuali danni che potrebbero essere arrecati ai committenti atteso che dalla documentazione presentata non è univocamente definita la posizione della citata canna all'esterno (né la sua altezza e sezione) in quanto mancano i relativi elaborati grafici). 8.- In definitiva, in parziale accoglimento dell'impugnativa formulata da entrambi i condomini attori, va dichiarata nulla la deliberazione assunta in relazione ai punti 4) e 5) dell'o.d.g. nonché, in parziale accoglimento dell'impugnativa formulata dal CP_2 Controparte_l va altresì annullata la deliberazione assunta in relazione al punto 3) dell'o.d.g. per violazione dell'art. 1123 c.c. Vanno invece respinti tutti gli altri motivi di impugnativa formulati. 9- Tenuto conto dell'esito dei giudizi e dell'accoglimento parziale dei motivi di impugnazione avanzati, valutata altresì la soccombenza degli attori nella fase di reclamo proposta ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., sussistono i presupposti per compensare per 1/3 le spese di lite di ciascun giudizio (comprensive delle spese relative alla fase di reclamo), ponendo i residui 2/3 a carico del CP_2 convenuto. In ragione del principio di causalità e degli esiti dell'accertamento espletato, le spese di CTU vanno poste interamente a carico del CP_2 convenuto. PQM Il Tribunale di Avellino, in composizione monocratica nella persona della dr.ssa Valentina Pierri, definitivamente pronunciando nell'ambito dei giudizi riuniti n. 4284/2020 e 4458/2020 RG, ogni contraria o diversa istanza e deduzione rigettata e disattesa, così provvede: 1) accoglie parzialmente le impugnative proposte e, per l'effetto, annulla la delibera assunta dal CP_2 convenuto in data 25 giugno 2020 limitatamente ai punti 3) 4) e 5) dell'ordine del giorno; 2) compensa per 1/3 le spese di lite nell'ambito del giudizio n. 4284/2020 RG e condanna il CP_2 convenuto, in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore dell'attore Parte_l, del residuo 2/3 delle spese processuali, che liquida in Euro 186,00 per spese vive ed Euro 3.384,66, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 3) compensa per 1/3 le spese di lite nell'ambito del giudizio n. 4458/2020 RG e condanna il CP_2 convenuto, in persona dell'amministratore p.t., al pagamento, in favore dell'attore Controparte_l del residuo 2/3 delle spese processuali, che liquida in Euro 186,00 per spese vive ed Euro 3.384,66, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge; 4) pone le spese di CTU a definitivo carico di parte convenuta. Così deciso in Avellino, 8 aprile 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Avellino - I Sezione civile - in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Michela Palladino in funzione di giudice unico, ha pronunziato, all'esito dell'udienza del 11.1.2024 svoltasi a trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c., la seguente SENTENZA nel procedimento civile di I grado, iscritto al n. 1320/2023 R.G. TRA (...) in persona dell'amministratore unico (...), rappresentata e difesa dall'avv. An.di., dom.ta come in atti; RICORRENTE E (...) in persona dell'amministratore pt; RESISTENTE CONTUMACE OGGETTO: azione per esibizione ex art. 63 disp. att. c.c. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La società ricorrente, premesso di essere creditrice del (...) convenuto in forza di tre titoli - decreto ingiuntivo esecutivo n. 1235/2013, decreto ingiuntivo esecutivo n. 616/2020 e decreto ingiuntivo esecutivo n. 441/2021 - per totali Euro 204.864,09, deduceva di aver richiesto a mezzo pec all'amministratore del condominio, con note del 12.1.2023 e 25.2.2023, la comunicazione dei nominativi dei condomini morosi al fine di poter agire nei loro confronti. Nessun riscontro l'amministratore dava alla detta richiesta. Chiedeva pertanto ordinarsi all'amministratore la comunicazione di quanto richiesto con condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali e al pagamento di una somma, ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c., nella misura determinata dal giudice. Non si costituiva il condominio ritualmente evocato in giudizio. La domanda è fondata. Ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c. l'amministratore del condominio è obbligato "a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi". E' documentato in atti che con le note del 12.1.2023 e 25.2.2023, entrambe notificate all'amministratore del condominio a mezzo pec, la società ricorrente richiedeva i nominativi dei condomini morosi con l'indicazione dei millesimi di proprietà al fine di agire nei loro confronti per la tutela dei propri crediti, detratte le somme già riscosse dai condomini adempienti o a seguito di pignoramento presso terzi. Nessuna prova ha fornito il (...) resistente, che non si è costituito in giudizio, di aver adempiuto all'obbligo comunicativo nei confronti del creditore del (...) che richiedeva legittimamente tali informazioni in quanto in possesso di titoli esecutivi, neanche nelle more del giudizio. Va pertanto ordinato all'amministratore di comunicare alla società ricorrente i dati richiesti ai sensi dell'art. 63 comma 1 disp. att. c.c. E' oggetto di reiezione l'ulteriore domanda risarcitoria per totale difetto di allegazione dei danni asseritamente subiti. In ragione del tempo decorso dalla richiesta della società creditrice e della assoluta inerzia del (...), persistita anche nel corso del giudizio, va anche disposta la condanna al pagamento di una somma ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. comma 1 per ogni giorno di ritardo nella esecuzione dell'ordine successivo al termine di adempimento fissato in dispositivo. Le spese seguono la soccombenza previa compensazione per 1/3 in ragione della parziale soccombenza di parte ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino - II Sezione civile - in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Michela Palladino, in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando nella causa n. 1320/2023, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione respinta, così provvede: 1) dichiara la contumacia del (...); 2) Accoglie la domanda e per l'effetto ordina all'amministratore pt del condominio di (...), di comunicare ai sensi dell'art. 63 comma 1 disp. att. c.c. alla (...) in persona del lrpt: i nominativi dei condomini morosi con l'indicazione delle generalità e con il riparto per millesimi dei crediti di cui in parte motiva; fissa per l'adempimento il termine del 31.1.2024. 3) ai sensi dell'art. 614 bis c.p.c. comma 1 dispone che per ogni giorno di ritardo, successivo alla data del 31.1.2024, il condominio obbligato versi alla società ricorrente la somma di Euro 50,00 fino al giorno dell'effettivo adempimento. 4) Condanna il (...), alla rifusione delle spese di lite che si liquidano all'esito della compensazione per 1/3 in Euro 1400,00 oltre accessori di legge ed oltre esborsi per Euro 545,00, con attribuzione all'avvocato dichiaratosi antistatario. Così deciso in Avellino, 15 gennaio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO - SECONDA SEZIONE CIVILE - In composizione monocratica in persona del giudice dott.ssa Maria Cristina Rizzi, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al N. 2661 R.G. dell'anno (...) avente ad oggetto: risarcimento danni, vertente TRA (...) ed (...), rappresentati e difesi dall'Avv. (...), dom.ti come in atti; attori E (...) in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...) e dom.to come in atti; convenuto nonché (...) in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. (...) e dom.ta come in atti; terzo chiamato E (...) in persona del (...); convenuto contumace Conclusioni: le parti hanno concluso come da atti e verbali di causa. MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I coniugi (...) con atto di citazione ritualmente notificato ai convenuti (...) hanno esposto che: -risiedevano nella unità immobiliare in proprietà esclusiva situata nel condominio (...); -il condominio, con contratto di appalto del (...), aveva affidato alla (...) i lavori di ristrutturazione del fabbricato (rifacimento facciata esterna); -nel corso di tali lavori, in data (...), alle ore 17,15 ignoti si erano introdotti nel loro appartamento, sito al secondo piano, forzando il balcone/finestra della cucina che sporgeva sulla impalcatura installata dall'impresa per l'esecuzione dei descritti lavori, asportando i beni di cui si dirà; -l'impalcatura risultava facilmente accessibile, in quanto priva di luci e guardiania; inoltre, presentava ponteggi e scalette di accesso ai vari piani, lasciati aperti; -quanto esposto lasciava presumere che il ladro, poi identificato dai militi in (...), era stato agevolato nell'accesso al piano proprio dalla impalcatura; -avevano sporto querela in data (...) ed avvisato dell'occorso il condominio ed il responsabile dei lavori della ditta, con racc. del (...); -il (...) aveva avviato le pratica per l'apertura del sinistro con l'istituto assicurativo che, con nota del (...), aveva negato ogni indennizzo; -nelle more il (...) era stato riconosciuto colpevole del furto e condannato a pena detentiva dal Trib. di Avellino (sent. N. 836/2016); -in seguito al furto l'abitazione pativa danni quantificati in complessivi Euro 5.850,00 per il restauro dei mobili e per la installazione di un impianto d'allarme; -i beni sottratti dall'abitazione, di valore oggettivo, erano tutti quelli analiticamente indicati in citazione ed in parte acquistati nella (...) ed indicati nella certificazione in atti rilasciata dal gioielliere (acquisti per un valore complessivo di Euro 25.610,00, oltre svariati altri valori); a tale perdita andava aggiunta la somma in contanti sottratta e pari ad Euro 13.000,00, presente in casa perché necessaria al pagamento della seconda tranche dei lavori condominiali e proveniente dal cambio di un buono fruttifero intestato ad essa attrice del (...) oltre che dai proventi della (...) gestita da esso attore, per un totale di almeno Euro 100.000,00; - le evenienze erano documentate dalla prova di ritiro del buono, dai registri della (...), dal verbale di denuncia e dalle foto dei valori. Tanto premesso, invocano gli attori la responsabilità in solido del condominio e della ditta appaltatrice per omessa custodia dei ponteggi; richiamano la giurisprudenza della Corte di Cassazione sul riparto delle responsabilità (tra le tante, Cass. 2014, n. 26900: extracontrattuale a carico dell'imprenditore ex art. 2043 c.c. ed ai sensi dell'art. 2051 c.c. per il condominio), chiedendo la condanna in solido dei predetti al risarcimento di tutti i danni patiti per l'importo di Euro 100.000,00 quanto al valore di beni e somme sottratte, e di ulteriori 5.750,00 per i danni all'immobile, vinte le spese di lite. Si è tempestivamente costituito il (...) eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva in quanto la responsabilità era dell'autore del furto e dell'impresa; ha argomentato poi in termini di infondatezza della domanda nell'an e di mancata prova del quantum risarcitorio preteso; ha invocato il concorso di colpa degli attori, che non erano stati diligenti nel procedere alla chiusura della finestra, ed ha chiesto le conseguenti declaratorie; ha chiesto, comunque, di essere autorizzato a chiamare in garanzia il proprio istituto assicurativo (...) in virtù di polizza attiva a copertura del rischio, per essere tenuto indenne delle somme eventualmente condannato a pagare, vinte le spese, con attribuzione. (...) sebbene ritualmente citata, non si è costituita ed è stata dichiarata contumace. Autorizzata la chiamata in causa, si è costituita (...) eccependo la non operatività della polizza che non copriva il rischio, anzi, espressamente escludeva i danni da furto (sez. 5, art. 5.2); la inoperatività della polizza per mancata denuncia di sinistro nei termini e nei modi previsti dal contratto; aderiva a tutte le difese esposte dal (...) in ordine alla infondatezza della domanda nell'an e nel quantum ed ha chiesto le conseguenti declaratorie, vinte le spese. Prodotta documentazione e sentiti i testi, la causa è stata riservata in decisione. 2. Sulla legittimazione passiva e sui titoli di responsabilità. La giurisprudenza di legittimità ha a più riprese affermato che, nella ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio, è configurabile la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2043 cod. civ., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedire l'uso anomalo dei ponteggi, nonché la responsabilità del condominio, ex art. 2051 cod. civ., per l'omessa vigilanza e custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura (vedi Cass. 2014 n. 26900). Sulla corretta ed idonea installazione del ponteggio la Corte ha precisato che In tema di illecito aquiliano, in caso di furto in appartamento consumato avvalendosi dei ponteggi installati per lavori di ristrutturazione dello stabile, dev'essere affermata, a titolo extracontrattuale, la responsabilità dell'appaltatore che per tali lavori si sia avvalso di ponteggi custoditi, negligentemente, in modo inidoneo a impedirne l'uso anomalo anche ad opera di terzi, essendo irrilevante che dette impalcature siano state montate dalla stessa impresa o da altra da essa incaricata, bastandone, invece, la loro avvenuta installazione nell'ambito dell'appalto (Cass. 2016, n. 19399; vedi anche Cass. 2006 n. 8630: In tema di furto consumato da persona introdottasi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi installati per i lavori di manutenzione dello stabile, è configurabile la responsabilità, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., dell'imprenditore che per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, violando il principio del "neminem laedere", egli abbia collocato tali impalcature omettendo di dotarle di cautele atte ad impedirne l'uso anomalo). Sussiste, dunque, la legittimazione passiva degli odierni convenuti. 3.11 caso concreto Dalla istruttoria è emerso che il ponteggio era del tutto privo di illuminazione e guardiania ed era agevolmente accessibile per la presenza di scalette di accesso ai vari piani, verosimilmente prive di chiusura. Sul punto il teste ing. (...) ha confermato che sulla impalcatura erano assenti luci notturne e guardiania; ha riconosciuto le foto che ritraevano la struttura; ha chiarito quale fosse la corretta procedura di custodia da seguire, riferendo che, a fine giornata il capo cantiere doveva procedere a rimuovere le scalette e chiudere le botole. Inoltre, le immagini contenute nel CD del sistema di video sorveglianza interno all'appartamento degli attori, restituiscono la certezza sulle modalità di introduzione del ladro nell'appartamento al secondo piano: il ladro ha scassinato il balcone della cucina prospiciente il ponteggio, balcone che era perfettamente chiuso, così come era chiusa la serranda, parimenti divelta; l'opera di scasso è durata oltre sette minuti. Il che significa che la condotta delittuosa non è stata agevolata da condotte colpose dei proprietari, tanto che il ladro si è trattenuto nell'abitazione ben 30 m. Dalle foto in atti si evince che il balcone integro era dotato di una chiusura di sicurezza che è stata poi divelta. Nel verbale redatto dai CC intervenuti dopo il fatto si legge che la impalcatura era priva di illuminazione notturna. Al verbale è allegata una fotografia che ritrae il balcone scassinato, il vetro rotto e la rimozione finanche di alcune doghe dell'infisso. A pag. n. 3 della sentenza penale di condanna del (...) (sent. N. 2696/2016) si legge che, come desumibile dalle immagini del sistema di videosorveglianza e dal verbale dei CC intervenuti, il reo, per introdursi nell'appartamento, aveva scassinato la persiana esterna ed il vetro camera dell'appartamento. E' evidente che già una idonea illuminazione avrebbe ostacolato uno scasso durato tutto il tempo verificato. Si vuol dire, cioè, che i fatti emersi, con sostanziale certezza, integrano appieno i titoli di responsabilità sopra descritti a carico dei convenuti. Sono emersi gli elementi di responsabilità ex art. 2043 c.c. a carico della impresa, che non ha tenuto il ponteggio con modalità idonee ad impedire l'accesso di malintenzionati; di contro, il (...), responsabile ex art. 2051 c.c. e la cui colpa è presunta, non ha provato il caso fortuito, non integrando caso fortuito l'evento in sé di un furto "isolato", poiché il furto, di contro, è evento del tutto prevedibile ed evitabile. E' pacifico, infatti, che ponteggio di per sé si trovi nella sfera di custodia del condominio ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c. Non osta alla solidarietà, la configurabilità di diversi titoli di responsabilità. 4. Sulla esistenza dei danni e sulla quantificazione. Il reo, sentito nel giudizio penale, ha ammesso di aver sottratto valori dal secretere di legno in camera da letto; e tale dichiarazione collima con la presenza di questo mobile, destinato anche alla custodia dei gioelli, riferito dai testi escussi ed in atti raffigurato. Più complesso è l'accertamento su quanti e quali oggetti di valore siano stati sottratti. Pacifico essendo che tale sottrazione vi sia stata, perché, sia pur non dettagliata, è stata ammessa dal reo, vanno valutate le risultanze istruttorie in maniera congiunta e critica. I monili sottratti sono elencati in citazione: -n.13 coppie di orecchini analiticamente descritti (di cui dall'elenco (...): orecchini in oro bianco con perle giapponesi "Akoya"; orecchini in oro bianco e diamanti; orecchini in oro bianco e smeraldi); -n.14 bracciali (di cui dall'elenco Orzelleca: n. 3 bracciali in argento Pandora con vari charms); -n.4 anelli (tra cui il trilogy indicato nella lista (...), anello oro bianco con diamanti e anello oro bianco con diamanti e smeraldi); -n.5 collane (tra cui collier in oro bianco e diamanti con perle giapponesi dell'elenco Orzelleca); -n.5 spille; -n.1 rolex modello datajeust (elenco Orzelleca); -n.1 collana in oro da uomo (elenco Parte_4). Vi è una dichiarazione giurata proveniente dal titolare della gioielleria (...) sull'acquisto dei seguenti preziosi nel tempo per un valore di Euro 25.000,00: -anello in oro bianco "Trilogy" Euro 3.100,00 -orecchini in oro bianco con perle giapponesi "Akoya" Euro 850,00 -bracciale in argento Pandora con vari charms Euro 840,00 -bracciale in argento Pandora con vari charms Euro 770,00 -bracciale in argento Pandora con vari charms Euro 800,00 -collier in oro bianco e diamanti con perle giapponesi Euro 3.150,00 -orecchini in oro bianco e diamanti Euro 2.700,00 -orologio "Rolex" da uomo mod. datejeust Euro 6150,00 -orecchini oro bianco e smeraldi Euro 1.450,00 -catena oro giallo con croce Euro 1.000,00 -anello oro bianco con diamanti Euro 1.900,00 -anello oro bianco con diamanti e smeraldi Euro 2.900,00 La teste (...), amica di famiglia, ha riferito e confermato di essersi recata presso l'abitazione dei coniugi in data (...), in compagnia dell'avv. (...) per scegliere, tra i preziosi della (...) un monile da indossare per una festa, ricorda diversi oggetti di valore presenti in un settimino a più cassetti nella camera da letto dell'attrice e di aver impiegato circa mezz'ora per visionarli, ma non li dettaglia. La teste (...), amica di famiglia di lunga data, ha confermato di essersi recata presso l'abitazione degli attori per scegliere un monile da indossare per le festività natalizie, situazione abituale in occasione di feste ed eventi a cui partecipava, in quanto trattavasi di gioielli originali e di valore; ha riferito che i gioielli si trovavano in camera da letto custoditi in un "secretaire"; ha confermato la presenza di tanti gioielli, tra i quali, in particolare, un trilogy (elenco (...)), un paio di orecchini con brillanti (elenco (...)), un rolex Datejust femminile (mai indicato in citazione tra i beni sottratti) ed uno maschile (elenco (...)), un bracciale con ciondolo Pandora (in elenco Orzelleca) che ella aveva regalato alla (...) ed un anello di rubini (inserito nell'elenco in citazione); riferisce di non aver preso nulla in prestito rinviando la scelta al 24 mattina, ma l'attrice la informò del furto. Può ritenersi con ragionevole certezza il possesso da parte degli attori dei gioielli descritti da (...) nella dichiarazione in atti per un valore di Euro 25.000,00. A tali monili può aggiungersi l'anello di rubini riferito dalla teste "non contenuto nell'elenco (...), ma inserito nell'elenco in citazione. Le foto in atti ritraggono vari gioielli indossati dai coniugi e da terzi estranei: una collana azzurra, un bracciale da uomo, un orologio da donna, collane di perle ad un giro ed a tre giri, una collana con ciondolo, n. 3 paia di orecchini, n. 3 anelli. Non è agevole la individuazione di corrispondenza rispetto all'elenco in citazione tranne che per la collana di perle descritta in citazione con susta in oro bianco e brillanti, il bracciale da uomo in oro rosso indicato in citazione, una collana con ciondolo, anelli. In ogni caso, anche ai fini della operatività della presunzione, vanno pur sempre considerate le seguenti circostanze: 1. la tempestività della denuncia alla polizia contenente il valore dei beni sottratti; 2) la condizione economica di agiatezza personale e della famiglia attorea, compatibile con il possesso di molti preziosi; 3) le complessive dichiarazioni dei testi. A tali evenienze vanno aggiunte la stima (...), le foto dei monili, la prova del cambio del buono postale, i registri di incasso della (...), le fatture per le spese riparazione e installazione allarme. Tutto quanto esposto consente stimarsi in via equitativa i danni per la sottrazione di valori (monili), del denaro ragionevolmente in casa per i motivi sopra documentati, cui vanno aggiunti i costi di restauro del mobile e le spese di installazione dell'allarme, per un importo equitativo, già rivalutato all'attualità e comprensivo di interessi, di Euro 60.000,00, oltre interessi dalla sentenza al saldo. I convenuti in solido vanno condannati al pagamento di tali somme. 5.Sulla domanda di manleva del condominio. Non può essere accolta la domanda di garanzia del condominio verso l'istituto assicurativo. E' stata prodotta una polizza GARANZIA BASE a copertura del rischio incendio, terremoto, danno a terzi, acqua ed altri liquidi ed infortuni. Nella polizza, che è analitica, il furto non è mai indicato tra le macro - aree. La polizza rimanda espressamente al fascicolo informativo allegato nel quale si comprende agevolmente che la formula Base non comprende proprio il rischio furto che è escluso espressamente al 5.2. del fascicolo informativo (Garanzia Base, esclusioni). Si tratta di clausole chiare, leggibili e ben in evidenza. Inoltre, va chiarito che la polizza prodotta dalla convenuta è sottoscritta da parte attrice con richiamo anche alle condizioni generali di contratto ed al fascicolo informativo. E' poi documentata la clausola di esclusione del rischio furto al n. 5.2 del richiamato fascicolo. E pur laddove volesse considerarsi tale clausola vessatoria, in polizza c'è la doppia sottoscrizione poiché essa è espressamente richiamata e separatamente sottoscritta nella parte finale (art. 5.2 rubricato "esclusioni"). Si vuol dire, cioè, che supera ogni approfondimento sulla qualificazione di tale clausola come delimitativa di responsabilità (con necessaria doppia sottoscrizione) o di mera delimitazione del rischio assicurato (che esclude la vessatorietà), la presenza della doppia sottoscrizione ex art. 1341 c.c. comma 2. La domanda di manleva va, dunque, rigettata. 6.Sulle spese di lite Le spese di lite, liquidate come in dispositivo in base al decisum, seguono la soccombenza dei convenuti (lievemente al di sotto dei medi di scaglione data la vicinanza dell'importo riconosciuto con i minimi). Il (...) va condannato a rifondere le spese del terzo chiamato vittorioso, parimenti liquidate in dispositivo. p.q.m. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1.condanna il (...) convenuto e la (...) al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 60.000,00, oltre interessi dalla sentenza al saldo; 2.rigetta la domanda di manleva proposta dal condominio; 3.condanna il (...) e la (...) a rifondere le spese di lite agli attori, liquidate in complessivi Euro 11.000,00, oltre spese generali al 15%, cap e iva come per legge; 4.condanna il (...) a rifondere le spese dell'istituto assicurativo terzo chiamato, liquidate in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese generali al 15%, cap e iva come per legge. Così deciso in (...).
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI AVELLINO in persona del giudice istruttore dott.ssa (...), in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 78/2020 del Registro Generale Affari (...), avente ad oggetto: opposizione all'esecuzione TRA Curatela Fallimento (...) srl in persona del curatore dr. (...), rappr.ta e difesa dall'avv. (...), dom.ta come in atti; opponente in riassunzione E Agenzia delle Entrate Riscossione in persona del dr. (...), responsabile del contenzioso regionale, rappresentata e difesa dall'avv. (...), dom.ta come in atti; opposta in riassunzione E (...) Scarl, in persona del lrpt, rappr.ta e difesa dall'avv. (...), dom. ta come in atti; MOTIVI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE (...) proponeva opposizione all'esecuzione in ordine alla procedura di pignoramento c/o terzi n. 1141/2019, azionato dalla Agenzia resistente ai sensi dell'art. 472 bis e 48 bis D.P.R. n. 602 del 1973, deducendo la impignorabilità delle somme giacenti presso il terzo pignorato in quanto somme vincolate alla destinazione, trattandosi di contributi di provenienza comunitaria, resi dalla Regione Campania con risorse del (...) (...) 2007-2013, ovvero somme destinate a progetti finanziati con fondi della Comunità (...), per la somma di Euro 101.702,00. Si costituiva Agenzia Entrate Riscossione che contestava i motivi di opposizione e ne chiedeva il rigetto. Si costituiva il terzo pignorato che ribadiva la legittimità e correttezza della propria condotta di adempimento ad Agenzia Entrate Riscossione opponendosi a qualsiasi domanda nei propri confronti. In data 28.9.2020 veniva dichiarata l'interruzione del giudizio per sopravvenuto fallimento di parte opponente, e, successivamente, veniva riassunto il giudizio con ricorso depositato in data 9.1.2020. (...) è fondata. Il thema decidendum si risolve nel delibare la sussistenza o meno della impignorabilità delle somme di provenienza comunitaria, e, nel caso di specie, dovute dal terzo pignorato (...) all'opponente. Va premesso, in punto di diritto, che occorre verificare se le somme costituenti contributi finanziati con fondi comunitari siano impignorabili in quanto ricompresi nel patrimonio indisponibile dell'ente pubblico ex art. 545 comma 6 c.p.c. Al riguardo vengono in rilievo le seguenti disposizioni normative: l'art. 132 Regolamento UE 1303/2013, recante disposizioni generali sui Fondi (...), prevede che "l'autorità di gestione assicura che un beneficiario riceva l'importo totale della spesa pubblica ammissibile dovuta entro 90 gg. dalla data di presentazione della domanda di pagamento. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari", norma questa che, essendo volta ad assicurare l'incasso per intero delle somme riconosciute, viene interpretata correntemente come previsione che appone indirettamente un vincolo di destinazione alle somme impedendo l'espropriazione presso terzi. La Corte di Giustizia dell'Unione (...) si è pronunciata sulle ipotesi di pignoramento presso terzi di finanziamenti europei ed ha ritenuto che "l'autorizzazione del pignoramento significherebbe destinare ad interessi particolari estranei alla politica della cooperazione allo sviluppo, fondi espressamente destinati dalla comunità a tale politica" con l'effetto che tali provvedimenti andrebbero ad incidere sulle politiche comuni e sull'attuazione dei programmi d'azione decisi dalla Comunità (ord. 29.5.2001 causa C -1/00 SA; causa (...) SA del 27.3.2003). Da ultimo in pronunce conformi della giurisprudenza di merito - Tribunale (...) ord. 8.2.2011si è sospesa l'esecuzione nei confronti della Regione quale terzo pignorato nella qualità di organo incaricato al pagamento delle provvidenze erogate dalla comunità sui fondi (...) in particolare la detta pronuncia evidenzia che, ai sensi dell'art. 2 comma 2 D.P.R. n. 727 del 1974 come mod. dall'art. 3 comma 5 duodecies L. n. 231 del 2005, si è previsto che " le somme dovute agli aventi diritto in attuazione di disposizioni dell'ordinamento comunitario relative a provvidenze finanziarie, la cui erogazione sia affidata ad organismi pagatori riconosciuti.... Non possono essere sequestrate, pignorate o formare oggetto di provvedimenti cautelari tranne che per il recupero da parte degli organi pagatori del pagamento indebito di tali provvidenze". Ne consegue che ove trattasi di somme provenienti da fondi comunitari va riconosciuto in ogni caso il vincolo di impignorabilità il quale inerisce alle somme stesse, a prescindere dal fatto che il terzo pignorato sia la Regione o la capofila (...) alla quale la Regione abbia già erogato i fondi, perché trattasi sempre e solo di fondi comunitari rispetto ai quali l'interposizione di un ulteriore soggetto quale pagatore non può alterare la natura dei contributi quali provenienti da risorse comunitarie (...), ed elidere il vincolo di impignorabilità che deriva esclusivamente dalla provenienza della somma. Nel caso che ricorre non può revocarsi in dubbio che la detta qualità delle somme è comprovata dalla documentazione depositata dall'opponente. Sono agli atti: l'atto di pignoramento presso terzi, datato 8.8.2019, notificato da Agenzia Entrate Riscossione ad (...) srl e al terzo pignorato (...) (...) (...) scarl di non disporre della somma dovuta da (...) a (...) srl sino a concorrenza di Euro 101.712,34; il decreto Regione Campania n. 199 /2014 con il quale veniva deliberato di concedere all'ATS con capofila (...) (...) (...) scarl, costituita per la realizzazione dei "progetti innovativi per la diagnostica molecolare integrata di malattie genetiche - (...), un contributo di Euro 2.608.850,00, ove la (...) risulta aver presentato il progetto in qualità di capofila del raggruppamento di imprese costituito in (...), tra le quali risulta compresa la (...) srl, contributo che, dal decreto medesimo, risulta finanziato con fondi di cui al (...) Campania (...) 2007/2013; il decreto Regione Campania n. 137/2017 con il quale si approvava il rendiconto delle spese sostenute dall'ATS e si determinava il contributo spettante a saldo alla (...) srl in Euro 115.399,04, al netto delle somme già liquidate, nonchè si liquidava la somma complessiva spettante alla capofila (...) in Euro 1.527.232,24, a titolo di saldo ed a valere sulle risorse del (...) (...) 2007/2013; la nota con cui la (...) comunica, in data 3.4.2018, che avrebbe proceduto a liquidare la somma spettante ad (...) per Euro 115.399,04. Inoltre nella comparsa di costituzione (...) ha dichiarato di aver eseguito, in esecuzione dell'atto di pignoramento, il bonifico ad Agenzia Entrate Riscossione della somma spettante ad (...) srl, per Euro 101.901,24. Sulla base della documentazione in atti risulta pertanto che il contributo spettante ad (...), in quanto facente parte dell'ATS con capofila (...), consisteva in un contributo di certa ed integrale provenienza comunitaria, trattandosi di progetti finanziati sui fondi (...) 2007/2013. Trattasi pertanto di una somma vincolata, per quanto premesso, alla destinazione e gravata dal vincolo di impignorabilità. Ne consegue che il pagamento eseguito da (...) ad Agenzia Entrate Riscossione in esecuzione del pignoramento costituisce un indebito oggettivo in quanto eseguito sulla base di un titolo nullo in quanto avente ad oggetto somme non suscettibili di pignoramento. Va pertanto dichiarata la nullità dell'atto di pignoramento e di tutti gli atti consequenziali disponendosi la condanna di Agenzia Entrate Riscossione alla restituzione in favore dell'opponente della somma ricevuta per effetto del pignoramento nullo e pari ad Euro 101.901,24 oltre interessi legali dalla domanda sino al soddisfo. Le spese seguono la soccombenza con Agenzia delle Entrate; restano compensate con (...) scarl in ragione della natura della decisione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando, ogni altra domanda ed eccezione disattesa, così provvede: 1) Accoglie l'opposizione e dichiara la nullità dell'atto di pignoramento presso terzi notificato da Agenzia Entrate Riscossione in danno di (...) srl, annullando per l'effetto tutti gli atti esecutivi già compiuti. 2) Condanna Agenzia Entrate Riscossione a restituire a Curatela Fallimento (...) srl la somma di Euro 101.901,24, oltre interessi legali dalla domanda sino all'effettivo soddisfo; 3) Condanna Agenzia Entrate Riscossione alla rifusione delle spese di lite a favore della parte opponente, che liquida in Euro 9000,00 per compensi, oltre rimb. forf., iva e cpa come per legge, oltre esborsi per Euro 786,00, con attribuzione; 4) Compensa le spese con (...) (...) (...) scarl;. Così deciso in Avellino il 27 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di AVELLINO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Aureliana Di Matteo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 2893/2021 promossa da: La. S.R.L., P.IVA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Sa.Pe. (C.F. (...)) e Ge.Pe. (C.F. (...)), elettivamente domiciliati in Avellino alla via (...); ATTRICE CONDOMINIO VIA (...) N.6 DI A. (PIO X), C.F. (...), in persona dell'Amministratore condominiale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Paola de Vito (C.F. (...)), elettivamente domiciliata in Avellino alla Piazza Aldo Moro n. 9. CONVENUTO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione in riassunzione ex art. 392 c.p.c. ritualmente notificato, la La. s.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Avellino, il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: "accogliere le istanze e la domanda già formulata con le conclusioni definitive in primo grado, nonchè quelle in precedenza formulata davanti al Tribunale quale giudice di appello, da aversi tutte qui trascritte e, quindi: 1) per effetto dello scioglimento del rapporto conseguente al recesso, ed indipendentemente dalla legittimità/illegittimità di esso, condannare il Condominio di via S. I. n.6 di A., in persona dell'amm. p.t., ad indennizzare la istante del mancato guadagno nella misura prevista dal contratto, pari a Euro (Euro 57,00 x 77 mensilità all'1/1/2011 al 31/5/2017) 4.389,00, oltre interessi, o nella minor somma che il giudice riterrà legittima e dovuta; 2) condannare, altresì, il Condominio stesso, come sopra rappresentato, al pagamento di spese e compensi di tutti i gradi del giudizio". Con la spiegata domanda, l'odierna società attrice in riassunzione rappresentava che, con atto di citazione notificato il 13.04.2011, aveva citato, innanzi all'Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6, al fine di sentirlo condannare al pagamento del corrispettivo concordato per il caso di recesso dal contratto di manutenzione dell'ascensore condominiale stipulato nell'anno 1997 con la V.M.E. s.n.c., avente durata decennale, salvo rinnovo per egual periodo in mancanza di disdetta, di cui la stessa era la continuatrice dei rapporti e delle attività. A sostegno della domanda spiegata in primo grado, la La. s.r.l. rappresentava che, in data 02.11.2010, il Condominio aveva comunicato "con Delib. del 26 ottobre 2010, l'assemblea condominiale ha disposto la risoluzione del contratto di manutenzione ordinaria dell'ascensore...con decorrenza dalla data di ricezione della presente" e che, quindi, aveva proposto la domanda giudiziaria per far valere le concordate conseguenze patrimoniali del recesso. Si costituiva, nel giudizio di primo grado, il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 deducendo la vessatorietà delle clausole del contratto intercorso tra le parti in lite, chiedendo, in via riconvenzionale, la qualificazione della disdetta dal rapporto contrattuale comunicata il 02.11.2010 quale "risoluzione anticipata per inadempimento"; in via subordinata, chiedeva la riduzione giudiziale della penale, al fine di ricondurre ad equilibrio il rapporto contrattuale in parola. L'Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, con sentenza n. 23/2013, accoglieva la domanda proposta da La. s.r.l. e condannava il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 a corrispondere l'importo di Euro 4.389,00, a titolo di canone per la manutenzione dell'ascensore stabilito nel contratto intervenuto tra le parti in lite fino alla naturale scadenza del medesimo, ritenendo illegittimo il recesso deliberato dall'assemblea condominiale. Con atto di appello ritualmente notificato, il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 chiedeva di riformare la sentenza n. 23/2013 dell'Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, ed in particolare di accogliere le seguenti conclusioni: "a. in via principale, dichiarare la nullità di tutte le clausole riportate nelle condizioni generali di contratto dell'offerta n. 170/06, prestampata dalla La. s.r.l. e sottoscritta dall'amm.re p.t. del convenuto condominio il 17/10/1997, e segnatamente di quella di cui all'art. 3 perché vessatoria, con conseguente rigetto della domanda attorea; b. in via riconvenzionale e nel merito, accertato e dichiarato l'inadempimento della L. s.r.l. dichiarare risolto il contratto alla data del 31.12.2010, per colpa e responsabilità della ditta manutentrice, con conseguente rigetto delle domande attrici; c. sempre in via riconvenzionale, accertato e dichiarato l'inadempimento della L. s.r.l. e la risoluzione contrattuale, condannare la L. s.r.l. in persona del legale rapp.te p.t. al pagamento, in via equitativa, della somma di Euro. 2.000,00, e/o di quella diversa maggiore o minor somma che il Giudice dovesse determinare, quale risarcimento e/o parziale rimborso delle somme versate dal condominio, per prestazioni mal eseguite ed, in ogni caso, eccessivamente onerose, con conseguente rigetto delle domande attrici. D. in via del tutto subordinata qualora il G. di P. dovesse ritenere fondata la domanda di parte attrice, si chiede che lo stesso provveda d'ufficio, ex art. 1384 c.c., a ridurre la penale al fine di ricondurre ad equità il rapporto contrattuale in parola. Il tutto con vittoria di spese e competenze oltre accessori dovuti come per legge del doppio grado di giudizio". Il giudizio di appello veniva iscritto al n. 1003/2013 R.G.A.C. del Tribunale di Avellino. Si costituiva nel suindicato procedimento la La. s.r.l., la quale deduceva l'inammissibilità del proposto gravame, oltre che l'infondatezza dello stesso, chiedendone il rigetto. Con sentenza n. 2002/2015 del 18.11.2015, il Tribunale di Avellino, rilevata la vessatorietà della clausola del contratto intervenuto tra le parti in lite che prevedeva il diritto di recedere solo tre mesi prima della naturale scadenza decennale, a definizione del giudizio di appello iscritto al n. 1003/2013 R.G.A.C., così statuiva: "- accoglie l'appello e, per l'effetto, annulla la sentenza n. 23/2013 resa dal giudice di pace di avellino; - condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio che si liquidano in Euro 160,00 per esborsi ed Euro 2400,00 per compenso professionale oltre accessori se documentati e come per legge". La La. s.r.l. proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto limitatamente al secondo motivo articolato, con cui veniva denunciata la nullità della pronuncia d'appello per aver il Tribunale di Avellino introitato la causa in decisione senza la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., richiesti da entrambe le parti costituite nel procedimento, con assorbimento degli ulteriori motivi articolati con l'impugnazione proposta. In particolare, la Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con l'ordinanza n. 11200/2021, disponeva: "La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Avellino in persona di diverso magistrato". Nel presente procedimento di riassunzione, la Losi Ascensore s.r.l. riproponeva, dunque, le censure sollevate nel precedente giudizio di appello, insistendo per l'accoglimento delle conclusioni rassegnate nel primo e nel secondo grado del procedimento, con vittoria di spese e competenze di lite. Si costituiva in giudizio il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6, il quale contestava ogni avversa deduzione ed eccezione, e concludeva per l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "In via principale, dichiarare la nullità di tutte le clausole riportate nelle condizioni generali di contratto dell'offerta n. 170/06, prestampata dalla La. s.r.l. e sottoscritta dall'amm.re p.t. del convenuto condominio il 17/10/1997, e segnatamente di quella di cui all'art. 3 perché vessatoria, con conseguente rigetto della domanda attorea; - In via riconvenzionale e nel merito, accertato e dichiarato l'inadempimento della L. s.r.l., dichiarare risolto il contratto alla data del 31.12.2010 per copla e responsabilità della ditta manutentrice, con conseguente rigetto delle domande attrici; - Sempre in via riconvenzionale, accertato e dichiarato l'inadempimento della L. s.r.l. e la risoluzione contrattuale, condannare la L. s.r.l. in persona del legale rappr.p.t. al pagamento, in via equitativa, della somma di Euro 2000,00 e/o di quella diversa maggiore o minor somma che il Giudice dovesse determinare, quale risarcimento e/o parziale rimborso delle somme versate dal condominio, per prestazioni mal eseguite ed, in ogni caso, eccessivamente onerose, con conseguente rigetto delle domande attrici. - In via del tutto subordinata qualora il Giudice dovesse ritenere fondata la domanda di parte attrice, si chiede che lo stesso provveda, ex art. 1384, a ridurre la penale al fine di ricondurre in equilibrio il rapporto contrattuale in parola. - Con vittoria delle spese e competenze oltre accessori dovuti come per legge per tutti i gradi di giudizio". All'udienza del 13.04.2023, senza alcuna attività istruttoria, acquisiti agli atti i fascicoli d'ufficio dei precedenti gradi del giudizio, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. 1. Occorre premettere che, nel giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., che è un procedimento "chiuso" tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum e sono operative le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione. I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l'una e per l'altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell'art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la "potestas iudicandi" del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell'applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione "ex novo" dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (in tal senso, Cassazione Civile, ordinanza n. 17240/2023). Peraltro, è stato precisato "In caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli altri aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare "ex novo" il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, indipendentemente dalla relativa riproposizione, senza che rilevi l'eventuale contumacia della parte interessata" (Cassazione Civile, Ordinanza n. 4070/2019). Inoltre, nel giudizio di rinvio, l'efficacia preclusiva della sentenza di cassazione si estende solo alle questioni che costituiscono il necessario presupposto della decisione, anche se non espressamente esaminate, sicché il giudice di rinvio può verificare l'ammissibilità della domanda subordinata, davanti a lui riproposta, su cui il giudice del merito, accogliendo la domanda principale non aveva statuito e che, conseguentemente, non era stata oggetto del giudizio di legittimità (Cassazione Civile, sentenza n. 28889/2017). Mentre, "incorre nel vizio di omessa pronuncia la sentenza emessa dal giudice di rinvio che non decida sulla questione che, essendo stata espressamente dichiarata assorbita dalla sentenza di Cassazione, sia stata ritualmente riproposta al suo esame" (Cassazione Civile, sentenza n. 10597/2003; n. 19015/2010). Dunque, essendo stata dichiarata la nullità della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, andrà esaminato nel giudizio di rinvio quanto dedotto nell'atto di appello, ritualmente riproposto all'esame dell'intestato Tribunale, con esclusione delle eccezioni di nullità dell'atto di appello per difetto di procura alle liti e per assenza di poteri del faso rappresentato, già esaminati nella pronuncia impugnata con ricorso per cassazione, tenuto conto che il Giudice di legittimità ha ritenuto infondata la doglianza articolata dalla La. s.r.l., comunque non riproposta nel presente procedimento in riassunzione.. 2. Premessi i principi di diritto che regolano il giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 denuncia la non corretta applicazione, ad opera del Giudice di primo grado, degli artt.1655 e 1559 c.c., con conseguente errata declaratoria di inefficacia del recesso unilaterale ed inesatta condanna al pagamento dell'importo liquidato nella pronuncia impugnata, per esser, in ogni caso, vessatorie le clausole contenute nel contratto intercorso tra le parti in lite ed, in particolare, quella riportata all'articolo 3. In particolare, nella sentenza n. 23/2013 del 09.10.2012, depositata in cancelleria il 02.01.2013, l'Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, veniva statuito: "Nel caso di specie, poiché la risoluzione del contratto avveniva con raccomandata del 8/11/2010 da parte dell'amministratore del Condominio di via I. n. 6 a seguito della delibera assembleare approvata il 26/10/2010 deve rilevarsi che il convenuto non rispettava le clausole contrattuali concordate e conseguentemente sussiste l'obbligo di corrispondere all'attrice per il mancato guadagno il corrispettivo per i canoni dal 1/1/2011 al 31/5/2017. Il Gdp in presenza di un recesso unilaterale ritiene che le prestazioni previste dal contratto debbano rimanere. L'art. 1671 del codice civile prevede che il recesso unilaterale può avvenire purchè preservi l'appaltatore dalle spese sostenute e per il mancato guadagno. Il contratto che ci occupa va qualificato in quello di appalto di servizi a carattere periodico ed è disciplinato dagli artt. 1655 e 1559 del codice civile per cui è proporzionato alla sua durata trovando nel corrispettivo versato la sua utilità trattandosi di un servizio di manutenzione che si estrinseca nel corso del tempo. Conseguentemente una eventuale disdetta doveva avvenire nel rispetto dei termini concordati come contemplato nell'art. 3 del contratto ovvero tre mesi prima della scadenza. Ragion per cui il Gdp dichiara la inefficacia del recesso unilaterale operato dal Condominio di via I. n. 6 ed accoglie la domanda della La. srl...". Ciò detto, dalla documentazione agli atti del giudizio, emerge che il Condominio in A. alla via I. n. 6 comunicava, con missiva del 02.11.2010, la risoluzione anticipata del contratto e/o il recesso che esercitava prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale. Il contratto intervenuto tra le parti in lite, avente ad oggetto servizi di manutenzione, in linea generale, deve qualificarsi come contratto di appalto ed, in particolare, come contratto di appalto di servizi. In materia, l'art. 1677 c.c. rubricato "Prestazione continuativa o periodica di servizi", prevede che "Se l'appalto ha per oggetto prestazioni continuative o periodiche di servizi, si osservano, in quanto compatibili, le norme di questo capo e quelle relative al contratto di somministrazione". È, dunque, applicabile il disposto di cui all'art. 1671 c.c., il quale stabilisce che "Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno". Ed invero, "L'accertata qualificazione giuridica del contratto come appalto di servizi rende applicabile l'art. 1671 c.c. con tutte le conseguenze legate al meccanismo contrattuale previsto da detta norma e, soprattutto sulla portata della disdetta (recesso unilaterale) e della valenza di essa unicamente sul piano delle conseguenze indennitarie" (in tal senso, Cassazione Civile, sentenza n. 12368/2002). Ciò in quanto il contratto d'opera e quello di prestazioni continuative di servizi, per giurisprudenza consolidata, non possono considerarsi strutture negoziali ontologicamente e funzionalmente diverse tra loro, risultandone, viceversa, la indiscutibile omogeneità, tra l'altro, sotto il profilo dalla identità delle situazioni che possono verificarsi tanto nell'una quanto nell'altra fattispecie contrattuale con riguardo alla scelta del contraente secondo l'intuitus personae, con la conseguenza che nessun valido motivo consente di escludere, per l'appalto di prestazione continuativa di servizi, l'applicabilità del disposto di cui all'art. 1671 cod. civ. (dichiarazione di recesso del committente), non rilevando, in proposito, la esistenza di una clausola convenzionale che attribuisca la facoltà della disdetta al committente entro un tempo predeterminato rispetto ad ogni scadenza contrattuale. Ne consegue che, nel caso di recesso del committente - sia per l'ipotesi di recesso legale di cui all'art. 1671 c.c., esercitabile in qualunque momento dopo la conclusione del contratto e che può essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti d'inadempimento, sia per l'ipotesi di recesso convenzionale, ex art. 1373 c.c. - il contratto si scioglie senza necessità di indagini sull'importanza e gravità dell'inadempimento, le quali sono rilevanti soltanto quando il committente, pretenda dall'appaltatore il risarcimento del danno per inadempimento, nonostante questi abbia esercitato il suo diritto potestativo di recedere dal contratto (Cassazione Civile, sentenza n. 2130/2017). Pertanto, dopo il recesso dal contratto ex art. 1671 c.c., l'eventuale valutazione dell'importanza e della gravità dell'inadempimento dell'appaltatore può essere effettuata ai soli fini risarcitori ma non di certo per la pronuncia della risoluzione di un contratto non più in essere (Cassazione Civile, sentenza n. 14781/2012). Peraltro, si è recentemente chiarito la differenza ontologico tra la multa penitenziale e l'indennizzo ex art. 1671 c.c. (cfr. Cassazione Civile, Sentenza n. 5368/2018: La domanda dell'appaltatore volta a conseguire dal committente il corrispettivo previsto per l'esercizio della facoltà di recesso pattuita in suo favore ai sensi dell'art. 1373 c.c. presuppone l'esistenza di un patto espresso che attribuisca al committente la facoltà di recedere dal contratto prima che questo abbia avuto un principio di esecuzione, nonché l'avvenuto esercizio del recesso entro tale limite temporale, ed ha per oggetto la prestazione, in corrispettivo dello "ius poenitendi", di una somma ("multa poenitentialis") integrante un debito di valuta e non di valore; diversa, invece è, la domanda dello stesso appaltatore di essere tenuto indenne dal committente avvalsosi del diritto di recesso riconosciutogli dall'art. 1671 c.c., la quale presuppone l'esercizio, in un qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto e quindi anche ad iniziata esecuzione del medesimo, di una facoltà di recesso che al committente è attribuita direttamente dalla legge ed ha per oggetto un obbligo indennitario). Dunque, per le argomentazioni esposte, non si ritiene condivisibile l'operato del Giudice di primo grado, laddove ha ritenuto inefficace il recesso unilaterale esercitato dal Condominio in A. alla via (...) I. n. 6. Nella specie, la domanda spiegata in primo grado dalla La. s.r.l. deve ritenersi rivolta ad ottenere il pagamento della multa penitenziale o, in subordine, del corrispettivo ex art. 1671 c.c., avendo l'attore chiesto anche il pagamento della somma minore ritenuta di giustizia, argomentando circa il recesso del committente ed il corrispettivo spettante all'appaltatore. Orbene, la missiva del 02.11.2010, tenuto conto che, in ipotesi di contratto di servizi il committente può recedere dal contratto ex lege, deve ritenersi idonea a far cessare a tale data il rapporto contrattuale. 3. Il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 deduce la vessatorietà e la validità della clausola impositiva del termine per l'esercizio del diritto di recesso nonché del pagamento dei canoni previsti fino alla scadenza naturale del rapporto contrattuale, in caso di revoca anticipata dell'incarico. Onde procedere alla verifica circa la validità della disciplina contrattuale intervenuta tra le parti in lite, occorre, preliminarmente, chiarire che la disciplina consumeristica è applicabile al condominio. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito l'applicazione ai contratti stipulati dal condominio della disciplina consumeristica disciplina dettata dagli artt. 1469 bis e ss., introdotti dalla L. n. 52 del 1996 (attuativa della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con il consumatore) ed oggi trasfusi nel D.Lgs. n. 206 del 2005 (Codice del consumo); si veda sul punto ordinanza n. 10679 del 22 maggio 2015: "Al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale". Anche la Corte di Giustizia, pur negando in linea di principio l'equiparazione tra il condominio e la nozione di consumatore, ideata per le persone fisiche, ha precisato che detti principi comunitari non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un condominio (Corte giustizia UE, sez. I, 02/04/2020, n. 329). Si è ulteriormente precisato che al fine di applicare la disciplina consumeristica (volta, nella specie, all'accertamento della natura vessatoria di una clausola) al contratto concluso da un condominio con un imprenditore, deve essere verificata la destinazione delle singole unità immobiliari ricomprese nell'edificio, considerando il condominio come un consumatore qualora le stesse unità immobiliari siano prevalentemente di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi estranei all'attività professionale eventualmente svolta (Tribunale Milano, 26 novembre 2020). In presenza della chiara affermazione della natura di consumatore del condominio convenuto, quale mandatario di singoli condomini consumatori, deve ritenersi applicabile la disciplina consumeristica, non essendo specificamente contestato dall'attore tale assunto, in riferimento alla qualifica di consumatore asseritamente portata da ciascun condominio. 4. Si impone a questo punto la verifica della vessatorietà delle clausole in lite. L'art. 3 del contratto, rubricato "Durata", prevedeva "Il servizio ha inizio a tutti gli effetti dal ricevimento dell'incarico come sopra, incarico che avrà la durata di 10 anni e che si intende tacitamente rinnovato per egual periodo fino alla data della sua scadenza se non verrà disdetto da una delle parti a mezzo lettera raccomandata tre mesi prima della sua naturale scadenza. In caso di revoca anticipata dell'incarico su richiesta del committente o per impossibilità di adempierlo per colpa dello stesso il canone in vigore sarà comunque dovuto per intero ... fino alla naturale scadenza del contratto". In base all'esame delle rispettive obbligazioni, emerge all'evidenza che prevedere un termine per esercitare la disdetta di tre mesi è di per sé sicuramente oneroso per il consumatore; tuttavia, rispetto al termine decennale di durata del contratto, tale termine non appare in sé spropositato. Diversamente è a dirsi per la clausola di cui all'art. 3 che impone il pagamento degli importi dovuti per tutta la durata del contratto, nonostante il recesso sia stato esercitato in un tempo molto lontano dalla sua scadenza, che comporta un chiaro squilibrio del sinallagma contrattuale in favore dell'appaltatore, che, di fatto, senza dover compiere alcun tipo di attività si assicura in tal modo l'intera prestazione di pagamento senza sopportare alcun tipo di sacrificio. Deve dunque ritenersi che la clausola in parola, in concreto, abbia chiaramente comportato uno squilibrio contrattuale nella parte in cui ha imposto alla parte il pagamento dell'intero corrispettivo senza ricevere alcuna controprestazione per quasi tutta la durata del contratto rinnovato (nello stesso senso si veda il precedente di questo Tribunale, sentenza n. 1617/2015, che, diversamente dalla sentenza n. 2002/2015 non risulta oggetto di riforma in Cassazione; nonché Tribunale di Avellino, sentenza n. 1486/2021). Sulla base di un'interpretazione sistematica e funzionale dell'art. 1384 del codice civile, a mente del quale "anche nella fase attuativa del rapporto trovano applicazione i principi di solidarietà, correttezza e buona fede, di cui agli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 cod. civ., conformativi dell'istituto della riduzione equitativa, dovendosi intendere, quindi, che la lettera dell'art. 1384 cod. civ., impiegando il verbo "avere" all'imperfetto, si riferisca soltanto all'identificazione dell'interesse del creditore, senza impedire che la valutazione di manifesta eccessività della penale tenga conto delle circostanze manifestatesi durante lo svolgimento del rapporto" (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 21994 del 06/12/2012 e Sez. 3 - , Sentenza n. 11908 del 19/06/2020) nonché degli art. 33 ss., e in particolare del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 34, commi 4 e 5, la clausola in parola emerge all'evidenza comportare un significativo squilibrio delle prestazioni, a tal punto da comportarne la vessatorietà, non essendo sufficiente ridurla ad equità; sul punto è sufficiente rilevare che il diritto di recesso è sostanzialmente negato laddove la prestazione pur non eseguita va di fatto remunerata per tutto il periodo contrattualmente stabilito; incombe a questo punto al professionista dare la prova che il contratto è stato in parte qua oggetto di specifica trattativa, caratterizzata dagli indefettibili requisiti della individualità, serietà ed effettività, (Cass. 2010 n. 18785), prova che, nel caso di specie, non è stata adeguatamente fornita. Deve, pertanto, in accoglimento del proposto gravame, dichiararsi la nullità della clausola di cui all'art. 3 con la conseguenza che la condanna di pagamento va revocata, in riforma della sentenza appellata. 5. Tuttavia, se la condanna di pagamento della cd. multa penitenziale, come pattuita, va revocata poiché comportante uno squilibrio contrattuale, la domanda, formulata dalla La. s.r.l., non può, invece, essere accolta in riferimento all'obbligazione indennitaria ex art. 1671 c.c., poiché non riproposta nel giudizio di appello iscritto al n. 1003/2013 R.G.A.C. del Tribunale di Avellino, definito con sentenza n. 2002/2015, oggetto di ricorso per cassazione. Ed invero, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite dall'accoglimento della domanda principale, debbono essere riproposte in sede di appello, senza necessità di appello incidentale e senza uno specifico vincolo di forma (Cassazione Civile, sentenza n. 11799/2017). Ne consegue, quindi, che l'appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all'art. 346 c.p.c., è tenuto a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d'appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest'ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell'impugnazione (da ultimo Cassazione, sez. VI Civile, sentenza n. 11895/2022). Per gli effetti, non può disporsi alcuna pronuncia di condanna al pagamento dell'indennizzo ex art. 1671 c.c., all'esito della declaratoria di nullità della clausola di cui all'art. 3 del contratto intercorso tra le parti in lite. 6. Il Condominio in A. alla via (...) I. n. 6 impugna, altresì, la sentenza n. 23/2013 dell'Ufficio del Giudice di Pace di Avellino, nella parte in cui la domanda riconvenzionale di declaratoria di risoluzione contrattuale era stata rigettata, in assenza di prova "che il recesso si fondasse su inadempienza del servizio espletato". Tale motivo di appello va disatteso, atteso che tale domanda riconvenzionale, proposta dal Condominio appellante e volta a far accertare e dichiarare la risoluzione del contratto per grave inadempimento della La. s.r.l. rimane assorbita, essendosi prodotti gli stessi risultati della risoluzione, per effetto del recesso esercitato con la missiva 02.11.2010, idonea, per le argomentazioni esposte, a far cessare, a decorrere dalla detta data, il rapporto contrattuale. Peraltro, i danni di cui si richiede il ristoro, conseguenti all'asserito inadempimento contrattuale, sono rimasti primi di adeguato riscontro probatorio. 7. In definitiva l'appello deve essere accolto, e la decisione impugnata deve essere riformata, con revoca della pronunciata condanna di pagamento in danno del Condominio in A. alla via (...) I. n. 6, nel senso dell'integrale rigetto della domanda attorea proposta in primo grado, con declaratoria di nullità della clausola di cui all'art. 3 del contratto intercorso tra le parti in lite, in quanto vessatoria. 8. Le spese di lite dei tre gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri minimi dello scaglione di ciascuna domanda (Cass. n. 4960/2003). Ed invero, "In tema di spese processuali, il giudice del rinvio si deve attenere al principio della soccombenza applicato all'esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all'esito finale della lite" (Cassazione Civile, Ordinanza n. 9448/2023). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie l'appello ed, in riforma della sentenza del giudice di pace di Avellino n. 23/2013, rigetta ogni domanda proposta dalla La. in primo grado; - condanna, altresì, la La. s.r.l. a rimborsare, al Condominio in A. alla via (...) I. n. 6, le spese di lite, che si liquidano in Euro 360,00 per onorari del primo grado, Euro 154,50 per esborsi ed Euro 962,00 per onorari del secondo grado, Euro 893,00 per onorari del grado di legittimità, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali. Così deciso in Avellino il 3 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 3 agosto 2023.
TRIBUNALE DI AVELLINO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Avellino, nelle persone dei seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio: dott. Raffaele Califano - Presidente dott.ssa Maria Cristina Rizzi - giudice dott.ssa Paola Beatrice - giudice relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA PARZIALE nella controversia civile iscritta al numero 3947/2017 R.G. Affari Contenziosi TRA C.A. in proprio e nella qualità di erede di A.S. e C.F., nata in A. il (...) C.F. (...) , rappresentata e difesa, come da procura in atti, dall'avv. ...ed elettivamente domiciliata in Avellino alla ... ATTRICE CONTRO S.A. nata in A. il (...) C.F. (...) e G.M.A. nato in A. il (...) C.F. (...), in proprio e quali amministratori e rappresentanti della società F. dei dott.ri G.M. e S.A. snc con sede in A. alla via T. (C.F. e P.IVA: (...)), rappresentati e difesi, come da procura in atti, dall'avv...., ed elettivamente domiciliati presso lo studio legale in Avellino alla via ... CONVENUTI Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione depositato il 6.09.2017 C.A., in proprio e nella qualità di erede di A.S. e C.F., ha convenuto in giudizio la F.A. dei dott.ri G.M. e S.A. snc e G.M.A. e S.A., quest'ultimi nella qualità di eredi dei defunti genitori, chiedendo al Tribunale di Avellino di accertare e dichiarare la risoluzione della donazione modale del 25.7.2002 disposta dal padre S.A. nei confronti della donataria convenuta "Farmacia A. snc", di condannare la convenuta Farmacia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C. a causa dell'inadempimento, di accertare il suo diritto alla successione nei beni oggetto della donazione modale con conseguente riapertura della successione legittima del padre, ricostruzione del relativo asse ereditario con inclusione dei beni e dell'azienda oggetto della donazione e con formazione ed assegnazione delle quote spettanti agli eredi. L'attrice ha chiesto, altresì, al Tribunale di accertare e dichiarare l'apertura della successione di C.F. determinando il valore dell'intero asse ereditario, comprensivo dei beni oggetto di donazione, e delle singole quote da assegnare agli eredi. In punto di fatto, l'attrice, dopo aver premesso che il padre, dott. S.A., era titolare e proprietario della Farmacia A. che gestiva unitamente ai tre figli, ha esposto che questi, con atto del notaio N.P. del 25/07/2002, aveva donato l'intero esercizio farmaceutico, unitamente alla proprietà del locale e con cessione dei debiti, dei crediti e di alcuni beni mobili, alla società "F.A. dei dott.ri G.M. e S.A. snc" arricchendo indirettamente i figli G. e S.. L'attrice ha, poi, precisato che con la donazione in esame era stato imposto, ai sensi dell'art. 793 c.c., l'adempimento dell'onere di versare nei suoi confronti e in favore della madre F.C. una rendita vitalizia pari rispettivamente ad Euro 26.000,00 ed Euro 52.000,00 in soluzioni trimestrali posticipate di Euro 6.500,00 ed Euro 13.000,00 con scadenze al 30 marzo, al 30 giugno, al 30 settembre e al 30 dicembre di ogni anno e con decorrenza dal 30 dicembre successivo alla data di consegna della farmacia. La parte ha, poi, esposto che, dopo il decesso del padre avvenuto il 22/03/2003 era stata aperta la successione legittima limitatamente al 50% del patrimonio oggetto della comunione legale dei beni con la coniuge, con la determinazione delle quote pari a 1/6 in suo favore e dei fratelli e a 3/6 in favore di C.F. (da quest'ultima successivamente rinunciate) senza tener conto della farmacia e dell'immobile di via T.. L'attrice ha, inoltre, riferito che, in seguito al decesso della madre del 9.4.2017, erano stati pubblicati il 13/06/2017 i testamenti olografi redatti dalla stessa il 22/2/2017, il 31/12/2016 e il 20/07/2016 nei quali veniva disposto rispettivamente "Tutta la mia proprietà del 50% deve passare a T. mia figlia adorata"; "Sono certa che questa Farmacia deve essere di tutti in parti uguali con fratello G. e sorelle (S. più T.); Non so scrivere bene perché la mano mi trema ma sono certa che T. è identica a S. che lavora la metà. Voglio che T. abbia la metà di quanto ci...... omissis .... Tutti i miei gioielli vanno a T. - T. - è la migliore di tutti - Lo scriverò anche a N. e fidanzato che la rendono felicissima lo merita in pieno. T. la migliore-migliore, buona, migliore migliore - Non so dire altro - T. è la migliore"; "Lascio tutte le mie proprietà a T. mia figlia presente in questi anni della mia vita" chiedendo di procedere alla corretta formazione dell'asse ereditario materno e delle quote ereditarie anche tenendo conto delle gravi inadempienze alla donazione modale del padre. Con riferimento alla domanda di risoluzione, la parte attrice ha invocato l'applicazione della disciplina di cui all'art. 793 c.c. evidenziando che, nel corso degli anni, la donataria Società A. snc aveva smesso di versare quanto dovuto a C.F. nonostante le sollecitazioni della madre compiute nei confronti dei figli affinché venisse ristabilito quanto dovuto e quanto voluto dal de cuius al momento della stipula della donazione e i suoi inviti ad adempiere e, richiamando gli estratti del conto corrente intestati alla defunta madre da cui risultavano corrisposti, come ultimi versamenti, quelli del 10 ottobre 2012 e del 10/05/2012 per un importo pari ed Euro 10.160,00, ha quantificato la rendita non versata sino al decesso in circa 3000.000,00 Euro. La parte attrice ha, quindi, richiesto, quale conseguenza della risoluzione, la restituzione dell'azienda e del relativo bene immobile strumentale nell'asse ereditario del padre e la condanna al risarcimento del danno da determinarsi secondo equità. In ordine al risarcimento dei danni, l'attrice ha chiesto il ristoro dei danni patrimoniali subiti anche a seguito della mancata corresponsione della rendita vitalizia della defunta madre. Con comparsa di costituzione del 21.11.2017 si sono costituiti in giudizio la società F. dei dott.ri G.M. e S.A. snc e G.M. e S.A. chiedendo il rigetto della domanda di risoluzione della donazione per inadempimento e, in caso contrario, di disporre il conferimento all'asse ereditario della sola differenza tra il valore dei beni donati ed il valore dell'onere vitalizio, di riconoscere il loro diritto ad ottenere il pagamento dei miglioramenti apportati all'azienda farmacia e di condannare, in via riconvenzionale, l'attrice alla restituzione alla Farmacia delle somme incassate a titolo di vitalizio con interessi sino al soddisfo. I convenuti hanno chiesto, in via riconvenzionale, anche di dichiarare l'acquisto da parte loro della Farmacia per usucapione ex art. 714 c.c.. e di accertare la nullità delle disposizioni testamentarie della madre F.C. per incapacità di intendere e volere della testatrice o, in via subordinata, di disporre la riduzione della volontà testamentarie entro il limite della disponibile da parte della de cuius, di disporre la divisione dei beni appartenuti ai genitori defunti mediante nomina di un ctu e la predisposizione di un comodo progetto di divisione. Infine, la parti hanno chiesto al Tribunale di ordinare all'attrice di rendere il conto della gestione del conto corrente acceso presso la B. di A., di consegnare l'oro e i gioielli della loro defunta madre nonché di disporre il rimborso in loro favore delle spese del funerale materno pari ad Euro 3.827,50 e di tutte le spese ed oneri sostenuti per la gestione dei beni in comunione e per le necessità ed esigenze materne. In punto di fatto, i convenuti hanno esposto che il defunto padre, dott. S.A., preoccupato di subire un'eventuale condanna al risarcimento dei danni per l'incidente stradale del 1976, aveva provveduto a stipulare la donazione dell'esercizio farmaceutico e del relativo immobile prevedendo a carico del donatario l'onere di corrispondere in favore di C.F. e di C.A. un vitalizio rispettivamente di Euro 52.000,00 e di Euro 26.000,00 annui. In proposito, i convenuti hanno allegato di aver regolarmente adempiuto alla corresponsione del vitalizio in favore della defunta madre fino al mese di maggio 2013 deducendo la non imputabilità, successiva, dell'inadempimento in ragione del rifiuto della stessa di ricevere il vitalizio espresso alla fine del 2012, telefonicamente e di propria iniziativa, alla società S. srl delegata alla cura della contabilità dell'esercizio farmaceutico. I convenuti hanno, dunque, sottolineato la volontà della defunta madre di donare le somme ancore dovute in favore dei tre figli che, gestendo insieme la farmacia fino al 31.12.2015, ne avevano in concreto goduto per l'incremento degli utili della stessa. In ogni caso i convenuti hanno eccepito la non gravità dell'inadempimento sia in ordine al dato morale che materiale precisando che la sospensione del vitalizio era dipesa dalla volontà espressa e decisa di C.F. e di aver versato, in suo favore, fino al maggio 2013 circa 533.500,00 Euro risultando inadempienti per soli Euro 69.500.00. I convenuti, inoltre, dopo aver premesso che all'epoca della donazione i beni donati avevano un valore negativo, che il vitalizio era complessivamente pari a 78.000,00 e che, quindi, il peso dell'onere risultava assorbire totalmente il beneficio della donazione, hanno precisato che l'eventuale obbligo di conferimento sarebbe in ogni caso limitato alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere e hanno concluso eccependo il difetto dell'interesse ad agire dell'attrice sia per il vantaggio alla stessa attribuito in termini di accrescimento degli utili aziendali sia per aver la stessa percepito nel periodo 2003-2015 Euro 700.000,00. Con riferimento alla condizione di salute della madre le parti hanno evidenziato che le sue condizioni, come accertato dal geriatra dott. F.D.G. in data 18/04/2016, erano progressivamente peggiorate manifestando la stessa tra gli anni 2015 e 2016 la perdita di ogni autonomia nel movimento, decadimento psicofisico, demenza senile, declino cognitivo con episodi di delirium fino raggiungere l'esordio finale nel 2017 a causa dell'edema polmonare. A tale proposito, le parti hanno esposto, tra l'altro, di aver pagato i funerali della signora C. e di sostenere tutti i pagamenti delle utenze domestiche delle proprietà comuni rivendicando il loro diritto, in caso di declaratoria della risoluzione della donazione, ad una rideterminazione dell'asse ereditario in base al passivo ereditario, alle spese ed oneri sostenuti per la gestione dell'esercizio farmaceutico e alle spese sostenute per il pagamento dei vitalizi e dei funerali della defunta madre. Con riferimento al periodo dal 2002 fino al 2015 le parti hanno riferito che l'attrice era stata associata in partecipazione con apporto di lavoro e che, successivamente, era stata assunta come dipendente unitamente alla figlia. I convenuti hanno, inoltre, esposto che C.A. alla fine dell'aprile 2017 aveva consegnato al notaio P. delle lettere contenenti le volontà testamentarie della defunta madre e che, invitata a definire la vicenda in modo bonario, non si era mai presentata inviando loro biglietti contenenti frasi avvelenate e cattive. Infine, le parti hanno riferito che la sorella T. custodisce anche delle buste contenenti i gioielli della defunta madre ed evidenziato che, a causa di gravi motivi, erano stati costretti ad allontanare l'attrice dalla farmacia a far data dall'11/10/2017. I convenuti hanno, inoltre, eccepito l'invalidità delle disposizioni testamentarie delle defunta madre in quanto scritte in una condizione di declino cognitivo e di delirium accertate dal dott. F.D.G.. All'udienza dell'11.07.2018 l'attrice ha eccepito l'improcedibilità della domanda di usucapione formulata dai convenuti per mancato esperimento della procedura di mediazione richiamando il verbale del 9/07/2018. In proposito, i convenuti hanno rappresentato che l'usucapione costituisce una domanda autonoma e ordinaria che non necessita di alcuna mediazione. Con memoria depositata ai sensi dell'art. 183 numero 1 c.p.c. l'attrice, dopo aver reiterato l'eccezione di improcedibilità della domanda di usucapione per mancato esperimento della procedura di mediazione nonostante il termine perentorio fissato dal giudice alla prima udienza, in punto di precisazione della domanda, ha evidenziato che il bene oggetto di donazione modale, al pari di tutti gli altri beni, è assoggettato all'obbligo di collazione e che l'onere comporta comunque una diminuzione del valore della donazione con la conseguente necessità di operare la determinazione del valore, in caso di lesione della quota di legittima spettante per legge ad altri congiunti, considerando il valore dell'onere da porre in detrazione al valore del bene donato. La parte ha, ancora, precisato le modalità della collazione indicando l'alternativa tra rendere il bene in natura o imputarne il valore, al tempo dell'aperta successione, alla propria porzione, a scelta di chi conferisce ai sensi dell'art.747 c.c.. Infine la parte ha articolato, per l'ipotesi di mancato accoglimento della domanda di risoluzione della donazione modale, la richiesta di condanna della convenuta "FARMACIA A. snc" all'esatto adempimento del modus, ovvero al pagamento in suo favore, in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C., delle somme non erogate dalla donazione in poi a titolo di rendita vitalizia. Con provvedimento depositato in data 1.04.2020 il giudice, ritenendo prodromica la domanda di risoluzione per inadempimento e matura la causa per la relativa decisione, ha fissato l'udienza per la precisazione delle conclusioni e la causa è stata, poi, assegnata al Collegio per la decisione. Con note di trattazione scritte depositate per l'udienza del 24/11/2022 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni. In particolare, la parte attrice ha chiesto la risoluzione della donazione modale e la condanna della "Farmacia A. dei dottori G.M.A. e S.A. snc" al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti sia in proprio che nella qualità di erede di C.F.. Con comparsa conclusionale del 22.02.2023 l'attrice ha reiterato le proprie conclusioni, anche con riferimento alla domanda subordinata di adempimento, precisando che l'inadempimento del modus previsto nella donazione nei confronti della signora F.C. è quantificabile in oltre Euro 210.840,00, tenuto conto dell'obbligo annuale di Euro 52.000,00 e dell'ultimo versamento di Euro 10.160,00 eseguito in data 10.5.2013, presumibilmente per la I quota del 2013, e precisando, altresì, che anche i precedenti pagamenti avvenuti sin dal 2003 tanto in suo favore che in favore della madre erano stati parziali ossia inferiori all'importo previsto e che il vitalizio non risultava aggiornato agli indici ISTAT, nonostante la donazione contemplasse espressamente il relativo obbligo con decorrenza dall'1.1.2004. Con riferimento alla tesi sostenuta dai convenuti della rinuncia all'adempimento da parte della madre l'attrice ha richiamato uno scritto di pugno di quest'ultima, affoliato come documento A.3, per dimostrare la sua volontà di ricevere il vitalizio sconfessando apertamente quanto argomentato da controparte. La parte ha esposto, inoltre, che la domanda di sequestro conservativo dei beni di C.A., richiesta sul presupposto indimostrato della maggiore consistenza del vitalizio rispetto al valore della Farmacia stessa, era stata rigettata dal Tribunale con ordinanza resa in data 9.3.2021 e che, invece, con ordinanza del 6.11.2018 il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale, aveva autorizzato il sequestro giudiziario dell'azienda "F.A. snc" con obbligo di relazione e rendiconto. Con riferimento della risoluzione della donazione, la parte attrice ha precisato che in tema di contratto ad esecuzione periodica o continuata gli effetti della risoluzione non operano per le prestazione già eseguite in forza dell'art. 1458 c.c. Con comparsa conclusionale del 17.02.2023 i convenuti hanno reiterato le conclusioni già formulate nei precedenti atti eccependo le eccezioni di improcedibilità della domanda di risoluzione della donazione per mancato esperimento del tentativo di mediazione ed insistendo sulla condanna dell'attrice alla restituzione delle somme incassate a titolo di vitalizio. In particolare i convenuti hanno dedotto che dalle risultanze numeriche emergerebbe l'insussistenza del requisito della gravità o importanza dell'inadempimento tenuto conto delle somme incassate dalla madre C. pari ad Euro 577.900,20 fino alla prima rata del 2013; delle somme non pagate fino al decesso di C. il 9/4/17 pari ad Euro 65.000,00 di cui Euro 52.000 per l'anno 2016 ed Euro 13.000,00 per la rata del 2017. Ai fini della quantificazione delle somme non corrisposte i convenuti, infatti, hanno precisato di essersi accollati le spese di paga e tredicesima per le badanti della madre, per la S. del domicilio materno, per l'acqua di Terracina, per l'abbonamento TV, per il condominio del palazzo e per quello generale di P.C., apprestando un costante sostentamento e una totale cura verso la madre, anche dopo che questa aveva imposto la sospensione del vitalizio versando 60.590,19 Euro dal 2002 al 2011 ed Euro 95.156,34 per il periodo 2013/2017. Infine, i convenuti hanno eccepito la carenza dell'interesse ad agire dell'attrice per aver la stessa fino al 31/12/2015, corrispondente alla data di scadenza del contratto di associazione in partecipazione, visto accresciuti i suoi utili in virtù della rinuncia operata da C.F. quantificati in complessivi Euro 47.666,00. Sugli effetti dell'invocata risoluzione le parti hanno qualificato la prestazione imposta in favore dell'attrice come donazione sostenendo la sussistenza, in caso di risoluzione della donazione, dell'obbligo a suo carico di restituire quanto ricevuto ossia l'importo di Euro 590.482,30 calcolato al 31/12/2022. Le parti hanno, ancora, soggiunto di aver stipulato, senza esserne tenuti, un contratto di associazione in partecipazione con l'attrice con apporto di lavoro fino al 30/12/2015 che le aveva fruttato utili pari a Euro 739.475,00 e un contratto di lavoro decorrente dal 31/12/2015 fino al licenziamento del novembre 2017. In conclusione, le parti hanno evidenziato il pregiudizio derivante alla parte attrice dall'azione di risoluzione considerando che la quota di sua spettanza sulla differenza tra il valore dei beni donati, determinato per convenzione in Euro 120.810, e il valore del vitalizio corrisposto pari ad Euro 1.168.382,5, non le consentirebbe di acquisire alcun credito quantificando in circa 1 milione di Euro l'incremento del valore della Farmacia dovuto solo ed esclusivamente al loro lavoro e alle loro capacità professionali. Con memorie di repliche le parti si sono rispettivamente riportate ai precedenti atti. La domanda si presenta infondata e deve essere rigettata alla luce della seguente motivazione. In via preliminare rileva il Tribunale che l'oggetto della presente sentenza parziale è rappresentato dalla domanda di risoluzione della donazione modale per inadempimento del modus promossa da A.C. nei confronti della società F.A. di G.M. e S.A. snc, dalla domanda di risarcimento del danno, dalla domanda di adempimento formulata in via subordinata nella memoria di cui al numero 1 dell'art. 183 c.p.c. e dalle connesse eccezioni sollevate dalla parte convenuta. Ciò premesso, ritiene il collegio che non può essere accolta l'eccezione di improcedibilità della risoluzione della donazione per mancato esperimento del tentativo di mediazione. In proposito vale evidenziare che, con ordinanza del 14.3.2018, il giudice titolare del procedimento ha onerato entrambe le parti all'introduzione del procedimento di mediazione, incardinato successivamente dai convenuti con domanda di mediazione al competente organo per risolvere la controversia in esame avente ad oggetto "successione ereditaria genitori con domanda riconvenzionale di scioglimento comunione ereditaria e nullità testamento e/o azione di riduzione per legittima lesa e rendiconto in giudizio promosso da A.C. per ottenere risoluzione donazione e accertamento quote eredi" e conclusosi con esito negativo per mancato accordo (cfr. domanda di mediazione allegata in atti). Orbene, nel caso di specie, dal verbale di mediazione prodotto in atti risulta che la stessa è stata esperita con riferimento a tutte le domande oggetto del presente giudizio tra cui anche quella di risoluzione della donazione indicata nella stessa domanda e non risulta meritevole di accoglimento la tesi dei convenuti tesa all'esclusione della domanda in esame per non averla introdotta la parte attrice tenuto conto sia del principio della ragionevole durata del processo che, soprattutto, dell'insussistenza di un obbligo di procedere all'espletamento di due procedimenti, l'uno a vantaggio di una parte e l'altro a vantaggio di un'altra. Passando, quindi, all'esame della domanda di risoluzione osserva il Collegio che, come noto alle parti, ai sensi dell'art. 793 c.c. la domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere può essere domandata dal donante ovvero dai suoi eredi. In punto di diritto, poi, vale ricordare che la donazione è il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa, di un suo diritto o assumendo verso la stessa un'obbligazione. Tale contratto costa di elementi costitutivi, quali lo spirito di liberalità e l'incontro di volontà delle due parti, e di elementi accidentali. Con riferimento alla donazione modale la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l'imposizione di un peso al beneficiario purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio che non snatura l'essenza di atto di liberalità della donazione (cfr. Cass. 28 giugno 2005, n.13876). Infatti, la donazione modale (art. 793 cod. civ.) non introduce elementi di corrispettività nella causa liberale del contratto, costituendo il modus solo una modalità del beneficio attribuito e, in senso proprio, una sua limitazione. In termini più precisi, è stato osservato che, sotto il profilo strutturale, il modus integra un elemento accessorio della donazione volto al conseguimento di finalità diverse e ulteriori rispetto al fine liberale della donazione che non snatura la causa unitaria (liberale) della donazione e non dà vita ad un negozio autonomo con causa propria ovvero ad un negozio complesso nel quale coesistono rapporti a titolo gratuito e a titolo oneroso (cfr. Cass., 20 giugno 2014, n. 14120; Cass., 28 giugno 2005, n. 13876; Cass., 22 giugno 1994, n. 5983; Cass., 17 aprile 1993, n. 4560; Cass., 18 dicembre 1986, n. 7679; v., ancora di recente, Cass., 17 gennaio 2019, n. 1039 che, sia pur in tema di comodato gratuito, ribadisce l'inapplicabilità al modus dell'istituto della risoluzione contrattuale in forza di clausola risolutiva espressa, "istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un "modus"). Peraltro, in mancanza di espliciti limiti codicistici, si deve ritenere che l'onere possa avere ad oggetto sia un dare, sia un fare, sia un non fare e che possa essere posto a vantaggio non solo del donante o di terzi, ma anche dell'onerato. Pertanto, l'onere dovrà presentare i requisiti che l'art. 1174 c.c. richiede per la configurabilità di un'obbligazione, ossia l'essere suscettibile di valutazione economica e corrispondere a un interesse non patrimoniale del donante. Deve, infatti, ritenersi che l'onere si concreta nella costituzione di un rapporto obbligatorio in senso tecnico e come tale giuridicamente coercibile con la conseguenza che il donatario è tenuto alla esecuzione della prestazione dedotta in contratto. Deve essere, inoltre, soggiunto che, nell'ambito della donazione modale, il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata perché il modus non può impoverire in modo completo il vantaggio attribuito dalla donazione. Infatti, in ordine al rapporto tra il valore della donazione e il valore del modus, la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che se il valore della donazione è inferiore a quello del modus, come si desume dall'art. 793, comma 2, c.c., rimane comunque un atto liberale, avendo l'ordinamento solo stabilito i limiti dell'obbligo cui è tenuto il donatario affinché non venga snaturata la causa donativa e tramutata in causa di impoverimento. Se, invece, i due valori coincidano, si tratterà di un contratto a prestazioni corrispettive se non vi è un lasso apprezzabile di tempo tra le prestazioni e l'equivalenza è conosciuta dalle parti e di una donazione se l'adempimento dell'onere deve essere effettuato dopo qualche tempo, di modo che il donatario tragga vantaggio dal godimento della cosa donata in base al risultato finale ottenibile con lo sfruttamento del bene donato e il suo incremento patrimoniale una volta adempiuto l'onere. La donazione modale, inoltre, si distingue per diversità della causa, della natura giuridica e degli effetti dal vitalizio oneroso che è un contratto dal quale derivano obbligazioni reciproche contrapposte tra i contraenti e legate da un nesso di interdipendenza. La donazione, infatti, a cui acceda un onere comporta l'obbligo, giuridicamente coercibile, del donatario di effettuare prestazioni periodiche in favore del donante o di un terzo per tutta la vita contemplata. In tal caso la disposizione modale costituisce un elemento accessorio dell'atto di liberalità in quanto con esso il disponente mira ad attuare un fine che si aggiunge a quello principale del negozio a titolo gratuito, operando come ulteriore movente di questo, senza, peraltro, condizionarne l'attuazione e senza che, anche quando la disposizione modale preveda a carico del donatario la prestazione di una rendita vitalizia a favore del disponente, resti modificata la natura e la causa della donazione. Il modo od onere, quindi, non rende incerta la liberalità, che viene fatta puramente e semplicemente, ma accede alla medesima, senza influire sul suo contenuto giuridico, sebbene l'adempimento del modo incida sugli effetti economici dell'attribuzione patrimoniale fatta a titolo gratuito nel senso che il valore dell'onere grava su quanto ricevuto dal donatario riducendone l'entità (cfr. Cass. 18 febbraio 1977 n. 739). Quanto all'onere della prova, deve essere ricordato che la parte che agisce per la risoluzione è tenuta a dimostrare l'esistenza di un titolo e la scadenza delle obbligazioni che assume inadempiute, nonchè il fatto d'inadempimento e la sua gravità ai sensi dell'art. 1455 c.c. incombendo, invece, sul donatario la dimostrazione che lo stesso è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Con riferimento al requisito della gravità dell'inadempimento, infatti, secondo la giurisprudenza "In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell'onere non può avvenire "ipso iure", senza valutazione di gravità dell'inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un "modus" (cfr. Cassazione Civile, sez. II, 20 giugno 2014 n.14120). Con la sentenza in esame la Cassazione ha precisato che le norme in esame delineano "... l'istituto della clausola risolutiva espressa come proprio dei contratti sinallagmatici, per i quali soltanto la risoluzione è configurata come effetto automatico dell'inadempimento, quale che ne sia la gravità, mentre per il modus, che accede invece a un negozio a titolo gratuito, non è stabilita una analoga disciplina, sicché resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza: è significativo che l'art. 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di "domandare" la risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l'azione costitutiva nell'art. 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall'art. 1456 c.c. come effetto "di diritto", oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento..." con la conseguenza che l'indagine sull'importanza dell'inadempimento del modus non può essere omessa dal giudicante in base all'erroneo presupposto dell'applicabilità nella specie dell'art. 1456 c.c. le cui disposizioni non si estendono all'ipotesi prevista dall'art. 793 c.c. Sempre in ordine al requisito dell'importanza dell'inadempimento devono essere richiamati i principi generali che impongono al giudice di tener conto di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, dalle quali sia possibile desumere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale avuto riguardo all'operazione complessiva sulla base di un duplice criterio: quello oggettivo, volto alla verifica sul se l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto, in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente, sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale e quello soggettivo, complementare al primo, considerando il comportamento di entrambe le parti, quali un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra, che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata. La gravità, infatti, deve essere commisurata all'interesse che la parte adempiente aveva alla regolare esecuzione e non alla convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di adempimento (cfr. Cass. n. 8212/2020; Cass. n. 4022/2018). Infine, anche nel caso di inadempimento parziale, qual è quello dedotto nella fattispecie in esame, il giudizio sulla non scarsa importanza dell'inadempimento non può essere affidato solo alla rilevata entità della prestazione inadempiuta rispetto al valore complessivo della prestazione, costituendo questa soltanto uno degli elementi di valutazione (cfr. Cass. n. 3742/2006). Deve essere, poi, precisato, con riferimento all'elemento di carattere oggettivo appena delineato, ossia all'accertamento della entità dell'inadempimento in relazione all'economia complessiva del rapporto, che la valutazione del Tribunale deve essere effettuata rispetto alla intera prestazione promessa, quand'anche le parti ne abbiano pattuito il frazionamento in più tranches (cfr. Cass. n. 24003/2004). A titolo di completezza vale richiamare anche la pronuncia della Suprema Corte del 2022 n. 4476 nella parte in cui si afferma che "... A norma dell'art. 1455 c.c., il giudice chiamato a provvedere sulla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento deve porsi, anche di ufficio, il problema della gravità o meno dell'inadempimento ed è tenuto ad indicare, in ipotesi di accoglimento della domanda, il motivo per cui, nel caso concreto, ritiene l'inadempimento di non scarsa importanza, a meno che non si tratti di inadempimento definitivo delle obbligazioni primarie o essenziali di una delle parti (cfr. Cass. 20.7.2007, n. 16084)...". Infine, con riferimento alle conseguenze della risoluzione deve essere rilevato, come peraltro entrambe le parti evidenziano, che l'aggiunta del modus al contratto di donazione comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, viene limitata determinando, in concreto, una diminuzione di valore della cosa donata. Ciò premesso rileva il collegio che, nel caso di specie, non sussiste alcun dubbio, ed è anche pacifico tra le parti, che il contratto di donazione del 25.7.2002 integra un atto di donazione modale in cui è espressamente prevista la possibilità di risoluzione in caso di inadempimento, anche parziale (cfr. pagina 7 della donazione) e che per il periodo dal mese di maggio del 2013 fino al decesso della madre la società convenuta non ha adempiuto al pagamento della rendita disposta in suo favore nelle modalità stabilite nel contratto di donazione. Nel caso di specie, quindi, l'inadempimento è di tipo parziale ed è limitato ad una sola delle obbligazioni previste in quanto dall'esame degli atti risulta pacifico e non contestato che la donataria Farmacia ha provveduto a pagare il vitalizio di C.F. fino al mese di maggio del 2013 nonché alla parte attrice anche nel corso del giudizio. Prima di passare ad indagare sulla sussistenza nel caso di specie della non scarsa importanza dell'inadempimento deve essere ricordato che la domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere può essere esclusivamente proposta dal donante, che nel caso di specie è deceduto in un momento in cui l'adempimento era in corso, o dai suoi eredi perché considerati i continuatori della personalità del donante. Infatti, "Mentre l'azione di adempimento dell'onere imposto dalla donazione può essere proposta da chiunque vi abbia interesse (in quanto è la volontà del donante che viene protetta e si chiede che venga realizzata), la domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere anzidetto può essere esclusivamente proposta dal donante o dai suoi eredi e soltanto nel caso che essa sia stata espressamente prevista dall'atto di donazione, rimanendo esclusa la legittimazione di qualsiasi altro titolare del diritto... in quanto si è inteso attribuire la valutazione dell'opportunità di richiedere la risoluzione per l'inadempimento soltanto al donante e, dopo la sua morte, ai suoi eredi, considerati come continuatori della personalità del donante e, quindi, gli unici in grado di apprezzare le ragioni dell'inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità da cui era animato il loro dante causa"(cfr. Cass. 1036/2000). Orbene, ritiene il collegio che l'inadempimento parziale, previsto espressamente nell'atto di donazione quale possibile (cfr. pagina 7 della donazione) causa di risoluzione, da parte della donataria società per il periodo dal 2013 al 2017 solo con riferimento alla beneficiaria C. e non anche con riferimento all'attrice non possa configurarsi grave tenuto conto della corresponsione per intero della prestazione dovuta alla parte attrice, del pagamento per dieci anni della rendita in favore della beneficiaria madre dalla data prevista nella donazione del 2002 fino al mese di maggio del 2013, dell'ammontare delle rendite corrisposte pari ad una somma superiore ad Euro 1.000.000,00, nonché di una serie di altre circostanze, desumibili dall'esame degli atti di causa, quali il valore negativo della cosa donata (cfr. pagina 11 della donazione) che, al tempo della donazione, presentava a fronte di un credito di circa Euro 467.800,04 verso la competente A. un'esposizione debitoria di circa Euro 635.510,60 verso fornitori; di circa Euro 507.811,41, oltre ad Euro 123.949,66 verso associato; di Euro 54.520,82 per fondo quiescenza del personale dipendente; di Euro 29.560,72 per debito di conto corrente bancario; di Euro 45.567,05 per I.VA. conto erario, l'intento del donante di fruire unitamente alla moglie della rendita vitalizia desumibile dalla previsione solo in favore di quest'ultima della rendita stessa, e considerando, infine, che l'inadempimento deve essere importante ai sensi dell'art. 1455 c.c. in relazione alla finalità per la quale l'onere è stato disposto, che deve ritenersi imputabile quantomeno a dolo o colpa grave del donatario e che il modus costituisce, per i principi sopra esposti, solo un fine ulteriore rispetto a quello tipico dell'atto di liberalità non configurando né una forma di corrispettivo né la causa dell'attribuzione medesima. Dal punto di vista soggettivo, poi, non può esimersi dall'osservare che la mancata richiesta di adempimento della rendita nel periodo in esame da parte della beneficiaria madre è certamente un indice da considerare al fine di escludere la gravità dell'inadempimento e per presumere, viceversa, che la volontà del donante di garantire un'assistenza materiale alla coniuge non sia stata tradita. Infatti, l'allegazione della parte attrice delle sollecitazioni da parte della madre alla convenuta in ordine al pagamento della rendita non risultano documentate in atti avendo la parte solo prodotto un documento in cui si evince l'annotazione del mancato versamento di una rata. Sul punto, vale solo precisare che gli elementi che possono essere considerati al fine accertare la gravità dell'inadempimento sono unicamente quelli relativi alla beneficiaria C.F. nei confronti della quale si è realizzato l'inadempimento dei convenuti e non anche quelli relativi ai rapporti tra la parte attrice beneficiaria dell'onere e la convenuta Farmacia donataria. Da ultimo non priva di rilevanza è la circostanza che la domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere, riservata, come sopra anticipato, anche agli eredi perché considerati i continuatori della personalità del donante e ritenuti in grado di apprezzare le ragioni dell'inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità da cui era animato il loro dante causa, nella peculiare fattispecie in esame risulta azionata nei confronti della Farmacia donataria dalla sola parte attrice, anche beneficiaria dell'onere rimasto totalmente adempiuto, che, pur apprezzando le ragioni dell'inadempimento in modo differente dagli altri eredi, non ha tuttavia dimostrato, in concreto, la sua gravità sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo. Le circostanze appena indicate, allora, secondo il convincimento del Tribunale, costituiscono, secondo un criterio di normalità e secondo le regole di esperienza, elementi idonei a ritenere l'inadempimento della donataria Farmacia di scarsa importanza e tale da non ledere lo spirito di liberalità da cui era animato il dante causa e legittimare la risoluzione della donazione. Sulle suesposte ragioni la domanda di risoluzione per inadempimento deve essere rigettata. La domanda di condanna della convenuta Farmacia al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dalla parte attrice in proprio e/o nella qualità di erede di F.C. (cfr. punto due delle conclusioni dell'atto di citazione) a causa dell'inadempimento deve essere dichiarata inammissibile per le seguenti motivazioni. Vale, infatti, osservare che, pur non risultando precluso l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno nelle ipotesi di rigetto della domanda di risoluzione determinato dalla scarsa importanza dell'inadempimento, nel caso di specie l'inadempimento dell'onerato obbligherebbe quest'ultimo a risarcire il danno patrimoniale subito dal donante e, ai sensi dell'art. 793 comma 4 c.p.c., dai suoi eredi con la conseguenza che legittimato a chiederne il risarcimento è il donante, ovvero colui che, in quanto contraente, è legittimato a domandare la risoluzione del contratto e gli eredi del donante. Orbene, nel caso di specie, la parte attrice, mentre ha agito per la risoluzione del contratto nella qualità di erede del padre, per il risarcimento del danno ha agito nella diversa qualità di erede della madre e in proprio non risultando legittimata. Quanto alla domanda di adempimento formulata, in via subordinata, nella prima memoria dall'attrice in proprio e/o nella qualità di erede della signora F.C., delle somme non erogate rispetto alla quale i convenuti hanno eccepito l'inammissibilità ai sensi dell'art. 1453 c.c. deve essere, invece, osservato che sebbene, in astratto, la domanda risulti ammissibile in base ai principi giurisprudenziali (cfr. Cassazione del 2005/1077 nella parte in cui è chiarito che "... il divieto posto dal secondo comma dell'art. 1453 c.c. di chiedere l'adempimento, una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l'interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto"; e che "...il principio dell'inammissibilità della domanda di adempimento proposta successivamente a quella di risoluzione (art.1453 cod. civ.) deve ritenersi applicabile alla duplice condizione: 1) che la domanda di risoluzione sia stata proposta senza riserve, in quanto, alla luce del principio di buona fede oggettiva, il comportamento del contraente che chieda incondizionatamente la risoluzione è valutato dalla legge come manifestazione di carenza di interesse al conseguimento della prestazione tardiva - sicché l'esercizio dello "ius variandi" deve, per converso, ritenersi consentito quando la domanda di risoluzione e quella di adempimento siano proposte nello stesso giudizio in via subordinata; 2) che esista un interesse attuale dell'istante alla declaratoria di risoluzione del rapporto negoziale - di talché, quando tale interesse venga meno per essere stata la domanda di risoluzione rigettata o dichiarata inammissibile, la preclusione "de qua" non opera, essendo venuta meno la ragione del divieto di cui al ricordato art.1453 cod. civ.-.) e ai dubbi in generale sollevati circa l'applicazione della predetta norma in materia di modus, nel caso di specie risulta carente la legittimazione della parte attrice all'adempimento sia in proprio sia quale erede di F.C.. Infatti, con riferimento alla qualità di erede della madre, osserva il Tribunale, da un lato, che la norma di cui all'art. 793 c.c. secondo cui per l'adempimento dell'onere può agire oltre al donante qualsiasi interessato anche durante la vita dello stesso non risulta estensibile agli eredi del beneficiario e dall'altro che in ogni caso la parte attrice non può ritenersi interessata risultando lo scopo della rendita vitalizia quello di garantire una fonte di reddito alla madre per vivere. Con riferimento, invece, alla legittimazione in proprio dell'attrice deve distinguersi a seconda che l'attrice abbia inteso agire nella qualità di interessata ovvero quale beneficiaria dell'onere. Con riferimento alla prima ipotesi osserva il Collegio che l'estensione della legittimazione ad agire previsto dalla norma a "qualsiasi interessato" deve intendersi necessariamente riferita al soggetto che risulti portatore dell'interesse, anche non patrimoniale, che il donante ha avuto di mira nel disporre l'onere e, in caso di onere disposto a vantaggio di un beneficiario, al beneficiario stesso. Infatti, la Cassazione con la sentenza del 1999 n. 14029, pronunciandosi in materia di adempimento dell'onere, ha affermato che "Legittimato a proporre domanda di adempimento del modo è il soggetto portatore dell'interesse, anche non patrimoniale, che il testatore ha avuto di mira nel disporre l'onere; nei casi in cui esso sia stato disposto a vantaggio di una categoria generica di persone, pertanto, legittimati devono ritenersi tutti gli appartenenti a tale categoria, salvo che non sussista un ente istituzionalmente preposto a curare in modo esclusivo gli interessi della categoria medesima, mentre, nell'ipotesi di modo diretto a soddisfare un interesse morale dello stesso testatore, legittimati devono ritenersi non gli eredi, bensì i prossimi congiunti del "de cuius", ai quali si trasferisce la tutela degli interessi più intimamente connessi alla persona del defunto. Spetta al giudice di merito accertare il collegamento tra l'interesse che il testatore ha inteso soddisfare e un soggetto o una categoria più o meno definita di soggetti e tale accertamento è censurabile in sede di legittimità se non sorretto da idonea motivazione." Orbene, nel caso di specie la parte non risulta in alcun modo portatrice dell'interesse del donante che intendeva garantire alla di lui coniuge un'assistenza materiale durante la sua vita. In altri termini, nel caso di specie, l'attrice non può agire per l'adempimento dell'onere nella qualità di persona interessata, ma può agire per l'adempimento dell'onere soltanto perché beneficiaria dello stesso. Vale precisare in merito, tuttavia, che la prestazione dovuta nei suoi confronti è stata adempiuta per cui la richiesta di adempimento, anche nella qualità di beneficiaria, deve essere rigettata non sussistendo il fatto costitutivo dell'inadempimento nei suoi confronti. In altri termini, è il creditore della prestazione dovuta dall'onerato che può chiedere la condanna all'adempimento e non anche la parte attrice che non riveste, in tale fattispecie, la posizione di creditrice perché la sua prestazione è stata regolarmente adempiuta. A titolo di mera completezza vale osservare, altresì, che non risulta priva di pregio l'orientamento secondo cui quando il beneficiario del modus non è il donante, ma un terzo la fattispecie risulta sussumibile nell'ambito della figura del contratto a favore di terzi con l'applicazione della relativa disciplina e con la conseguenza che la legittimazione ad agire spetti solo a quest'ultimo e che, viceversa, l'estensione della legittimazione ad agire a qualsiasi interessato prevista dalla norma opera, per contro, solo quando il beneficiario dell'onere sia una categoria indeterminata di persone e non anche quando la persona beneficiaria sia determinata come nella fattispecie. Il rigetto della domanda comporta l'assorbimento di ogni altra doglianza sollevata dalle parti convenute. Le spese di lite sono rimesse alla sentenza definitiva. P.Q.M. Il Tribunale di Avellino, in composizione collegiale, non definitivamente pronunciando e disponendo la prosecuzione del giudizio come da separata ordinanza, così provvede: - rigetta le domande azionate dalla parte attrice; - rinvia ogni statuizione sulle spese alla sentenza definitiva; - dispone con separata ordinanza il prosieguo del giudizio. Così deciso in Avellino nella camera di consiglio del 13 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2023.
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