Sto cercando nella banca dati...
Risultati di ricerca:
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. (...) udienza del 27/05/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...)/2020 R.G. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv.(...) giusta procura in atti RICORRENTE contro: (...) rappresentato e difeso dall'avv (...) giusta procura in atti RESISTENTE Oggetto: risarcimento danni per demansionamento MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato il (...), il ricorrente di cui in epigrafe - premesso di essere dipendente delle (...) srl quale dirigente - esponeva di aver svolto le mansioni di dirigente del servizio manutenzione infrastrutture dal 2007 e, dal 2012, anche quelle di direttore di esercizio. Lamentava il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto il (...) prima e la nuova governance della società poi, lo avevano privato dell'incarico di direttore di esercizio facendogli svolgere dei ruoli (Dirigente del "(...)" e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture" e poi quale direttore dei lavori sotto la gestione commissariale; con l'avvento della attuale società: responsabile del (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) salvo poi dopo la soppressione di tale progetto essere destinato a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) con compiti non equivalenti a quanto faceva in qualità di direttore di esercizio. Sosteneva il ricorrente che tale demansionamento unitamente a una pressante condotta societaria tesa a provocarne le dimissioni, realizzavano un comportamento mobbizzante nei propri confronti. Chiedeva, pertanto, la condanna al risarcimento del danno da demansionamento e mobbing per una somma pari a Euro260.00,00 (poi contenuta in Euro100.000,00 nelle note conclusive). Si costituiva tardivamente in giudizio la (...) srl che contestava in fatto e diritto gli avversi assunti e concludeva per il rigetto del ricorso. Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni e nei limiti di seguito esposti. Sostiene il ricorrente di aver subito un demansionamento in quanto le mansioni svolte prima dell'avvento del commissario (commissariamento, disposto dal Ministero delle (...) e dei (...) nel gennaio 2016 in seguito a crisi economica della società) erano certamente inferiori al ruolo di direttore di esercizio assegnato ad altro dipendente. (...) documentazione in atti e dalla istruttoria svolta emerge che effettivamente il ricorrente ha subito il lamentato demansionamento. E difatti (...) con delibera n.39/16 il sub commissario stabiliva di affidare "1. Direzione Attività Ferroviaria a. Direzione Trasporto Ferroviario: incarico affidata all'ing. (...) b. (...) incarico affidato all'ing. (...)" La medesima delibera prosegue affermando: "la figura del (...) dell'(...) (ex art. 89-94 D.P.R. 753/80) è attribuita, su indicazione del (...) al (...) della (...) di cui al punto a. ovvero di cui al punto b., in possesso dei requisiti previsti dalla vigente normativa" (cfr. doc.n.8 fasc ric.). Giova subito evidenziare che il ricorrente era l'unico a possedere i requisiti formali per poter svolgere l'incarico ("prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993") tanto che nella delibera n. 67/16 si stabiliva di conferire l'incarico di Dirigente del "(...) e (...) degli Investimenti "all'ing. (...) con invarianza di retribuzione e con contestuale revoca della funzione di (...) di (...) e di responsabile della"(...) Infrastrutture". 5. di designare, quale nuovo (...) di (...) e (...) l'ing. (...) attuale direttore del (...) Ferroviario...." E poi di al punto 6 si prevedeva di "provvedere, acquisita l'accettazione dell'ing. (...) ad inoltrare richiesta agli (...) competenti per il rilascio del prescritto nulla osta ai fini della sicurezza e di assenso alla nomina del predetto a (...) di esercizio, secondo quanto prescritto dal D.P.R. 753/80, L.R. n. 18/2002 e Decreto Ministero dei (...) 15.3.1993" (cfr. doc. n. 9 fasc. ric). (...) documentazione comprova che il ricorrente ha poi ricevuto la nomina per incarichi (cfr. ad esempio doc. n.15 relativo alla nomina quale direttore del controllo tecnico e progettazione investimenti, ovvero la nomina quale direttore dei lavori ex doc. nn.21,22 e 23) certamente meno qualificanti rispetto al ruolo di direttore di esercizio ricoperto fino alla revoca di cui alla delibera n.67/16 sopra citata. Anche con l'avvento della nuova compagine societaria cessato il commissariamento, il ricorrente è stato destinatario di incarichi non equivalenti (prima l'assegnazione a un (...) censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di FSE e poi, dopo la soppressione di tale progetto, la destinazione per operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) a quanto svolto in precedenza. Ritiene lo scrivente che dalla documentazione risulta pacificamente il demansionamento del ricorrente atteso che la funzione di direttore di esercizio è un ruolo apicale e operativo che richiede anche determinati requisiti di legge mentre i ruoli assegnati al (...) specie in seguito alla revoca dell'incarico, sono ruoli certamente meno rilevanti, in alcuni casi (direzione dei lavori) svolti solitamente da funzionari e non dirigenti, in altri dal contenuto fumoso e che la resistente, anche a causa della tardiva costituzione in giudizio, non ha dimostrato avere lo stesso valore professionale contenuto nella figura di direttore di esercizio. Il teste (...), direttore del personale all'epoca dei fatti, ha poi confermato che il (...) prima della revoca continuava a firmare gli atti quale direttore di esercizio, ma le mansioni di fatto erano svolte dal soggetto nominato. Ne deriva, a parere dello scrivente, la conferma del demansionamento del ricorrente il quale, in un primo momento, ha continuato a essere il firmatario degli atti in quanto l'unico a possedere i requisiti di legge per rivestire il ruolo di direttore di esercizio anche se di fatto non svolgeva più tali compiti. Ne deriva che senza dubbio vi è stato uno svilimento delle mansioni svolte in quanto il ricorrente da un ruolo apicale si è trovato a svolgere ruoli svolti anche da funzionari e comunque privi di un reale contenuto come nel caso dell'assegnazione al progetto censimento per la valorizzazione/alienazione dell'asset immobiliare non strumentale di (...) che in seguito è stato soppresso, ovvero con la destinazione a operare alle dirette dipendenze dell'(...) e (...) senza che risulti in cosa si sia concretizzata tale attività. Ne deriva che il ricorrente ha senza dubbio svolto mansioni inferiori a quelle ricoperte sin dal 2007. Infondata è invece la domanda relativa al mobbing. Va preliminarmente ricordato che le condizioni ordinariamente usuranti dal punto di vista psichico (cfr.Cass. 3028/13; n.10361/97), per effetto della ricorrenza di contatti umani in un contesto organizzativo e gerarchico, per quanto possano eventualmente costituire fondamento per la tutela assicurativa pubblica (d.P.R. n. 1124/1965 e D.Lgs. n. 38/2000, nelle forme della c.d. "costrittività organizzativa"), non sono in sé ragione di responsabilità datoriale, se appunto non si ravvisino gli estremi della colpa comunque insiti nel disposto dell'art. 2087 cod. civ.. Come recentemente ricordato dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. n. 29101/23), in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex art. 2087 cod. civ. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell'ordinamento, ovvero la sua integrità psicofisica, la dignità, l'identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica. La reiterazione, l'intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza (cfr. anche Cass.n.4664/24). Ciò detto ritiene lo scrivente che nel caso di specie non si ravvisano, nemmeno dal punto di vista indiziario-presuntivo, elementi per potere ritenere le condotte della resistente colpose e/o dolose nell'accezione indicata in quanto si è trattato di atti rientranti in una riorganizzazione/rotazione dei dirigenti che se da un lato ha portato al demansionamento del (...) dall'altro non era attività sorretta da intento persecutorio. Quanto alle lamentate indebite pressioni finalizzate a far dimettere il (...) non è emersa la prova che ciò sia realmente accaduto. E difatti dalla documentazione svolta e dalle dichiarazioni dei testi è emerso che vi è stata una trattativa finalizzata a un'uscita del ricorrente dalla società; non vi sono peraltro elementi per potere ritenere che vi siano state indebite pressioni e non già una normale dinamica tesa a incentivare l'esodo di un dirigente nell'ambito di un progetto di riorganizzazione aziendale. Va poi evidenziato che anche tenuto conto della recente giurisprudenza sopra citata non vi è spazio per l'applicazione del 2087 c.c. in quanto il ricorrente non ha subito il danno biologico lamentato. La ctu effettuata ha infatti escluso che il (...) abbia subito un disturbo psichico organizzato: il ricorrente ha avuto solo una condizione di malessere psico fisica di natura transitoria (una nel periodo maggio - settembre 2016 e l'altra per quasi tutto il 2020). La ctu ha evidenziato che si è trattato di manifestazioni episodiche avvenute in concomitanza con gli eventi che lo hanno visto destinatario dei provvedimenti datoriali, ma ha escluso che vi siano elementi oggettivi per potere affermare che tali reazioni si siano successivamente organizzate in un disturbo psichico nosologicamente riconosciuto e cronicizzato, come ad esempio, un disturbo post traumatico da stress o disturbo dell'adattamento che rappresentano le tipiche patologie psichiatriche che possono essere correlate a stress lavorativi. Ritiene il (...) di dover aderire alle conclusioni cui è pervenuto il Ctu attraverso un accurato esame clinico in assenza di puntuali contestazioni mosse da parte ricorrente e peraltro confutate in modo condivisibile in sede di replica alle osservazioni mosse dai ctp. Ne deriva che alcun danno ha subito il ricorrente e dunque anche ai sensi dell'art. 2087 c.c. non può riconoscersi alcun risarcimento per danno biologico. Parte ricorrente ha anche allegato che il demansionamento ha determinato una lesione della sua dignità ed immagine professionale con un depauperamento del proprio bagaglio professionale; ha poi lamentato anche un danno biologico. Ciò posto, la Corte di cassazione ha più volte affermato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva - non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale - non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. Va ricordato che costituisce ius receptum (cfr. ex plurimis, Cass. Sez. Lav. n. 12253/15) che "In caso di demansionamento è configurabile a carico del lavoratore un danno, costituito da un impoverimento delle sue capacità per il mancato esercizio quotidiano del diritto di elevare la professionalità lavorando, sicché per la liquidazione del danno è ammissibile, nell'ambito di una valutazione necessariamente equitativa, il ricorso al parametro della retribuzione." Reputa il giudicante che le allegazioni formulate in ricorso e la loro dimostrazione in giudizio siano idonee a fondare una pronuncia di condanna per il subito danno professionale. Va dunque ribadito che, provato il danno, secondo l'insegnamento della S. Corte se ne ammette la valutazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. (come pacificamente ammesso dalla giurisprudenza: cfr. Cass. n.3299/92; n.10157/04; n.15955/04; n.9073/13). Nell'enunciazione dei criteri presi in considerazione ai fini della liquidazione del danno da demansionamento si è fatto riferimento in giurisprudenza, in particolare, alla retribuzione mensile percepita dal lavoratore ed alla durata della dequalificazione, prendendo inoltre quali ulteriori parametri, laddove sussistenti: i motivi del provvedimento di demansionamento e la notorietà e risonanza nell'ambiente specifico, l'elemento intenzionale del datore di lavoro, la gravità del demansionamento - desumibile dal divario tra le mansioni svolte prima e quelle svolte dopo il demansionamento-, il fatto che il dipendente si sia rifiutato di svolgere le mansioni del proprio livello, le numerose assenze fatte dal lavoratore durante il periodo successivo alla dequalificazione, canoni di valutazione richiamati nella decisione delle (...) 22.2.2010 n. 4063. Tanto premesso, è opinione del GdL che, in considerazione dell'anzianità lavorativa dell'istante, della durata del demansionamento, può ritenersi in via equitativa che il ristoro possa essere commisurato al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Come detto il ricorrente ha poi lamentato anche di aver subito un danno biologico. Va in via preliminare evidenziato tale voce di danno è ulteriore a quella del danno alla professionalità. E' infatti pacifico che le due voci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo una relativo al fisico del lavoratore, mentre la seconda alla sua professionalità e cioè all'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa (cfr. Cass. n.172/14). Va, poi, sottolineato che condotte del datore di lavoro inadempienti al disposto degli artt. 2013 e 2087 c.c. possono comunque essere fonte di danni non patrimoniali risarcibili anche qualora non diano luogo ad una lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore, ma ledano altri diritti tutelati da tali disposizioni o comunque aventi rilievo costituzionale, come ad es. la dignità personale, l'immagine professionale, l'onore e la reputazione. Ne deriva che ove ricorra anche una lesione all'integrità psicofisica del lavoratore, i due tipi di danni possono coesistere. La liquidazione dei differenti tipi di danno deve, poi, avvenire anche in via equitativa, secondo parametri che consentano una valutazione che sia adeguata e proporzionata e il completo ristoro del pregiudizio effettivamente subito, ma evitando duplicazione risarcitorie, attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici (cfr. Cass. n.4379/16; n.7766/16; n.7513/18). La Suprema Corte ha, invero, evidenziato che "è ammissibile la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità, risolvendosi in una ragionevole mediazione tra l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni all'integrità psico-fisica della persona con tratti unitari suscettibili di essere globalmente considerati, e quella di valutare l'incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari che attengono alla personalità del "cittadino-lavoratore", protetti non solo dalle fonti costituzionali interne, ma anche da quelle internazionali e comunitarie, incombendo tuttavia sul lavoratore la prova che un particolare e specifico aspetto della sua personalità ed integrità morale, anche dal punto di vista professionale, non sia stato già risarcito a titolo di danno morale (cfr. Cass. n.583/16). Accedendo alla tesi maggioritaria in dottrina e in giurisprudenza, la responsabilità datoriale va prospettata come di natura contrattuale perché la lesione della salute si configura come conseguenza di un comportamento già ritenuto illecito sul piano contrattuale e deriva dalla violazione dell'obbligo di cui all'art.2087 c.c.. Giacchè l'illecito deriva dalla violazione di un obbligo contrattuale, il datore di lavoro versa in una situazione di inadempimento contrattuale regolato dall'art 1218 c.c. con conseguente esonero da parte del lavoratore, dell'onere della prova sulla sua imputabilità che va regolata in connessione con l'art 1223 c.c.. Ciò che il lavoratore deve provare è il fatto materiale, il danno patito e il nesso di causalità tra il danno e fatto verificatosi nel corso del rapporto di lavoro, spettando invece al datore di lavoro di provare di aver adottato tutti gli accorgimenti possibili per evitare il danno. I danni non patrimoniali, come detto, sono a loro volta qualificabili sub specie di danni biologici (con accertamento medico legale) e c.d. esistenziali (lesione dell'identità professionale, dell'immagine, della vita di relazione). (...) lesione dell'art 2087 cc, infatti, possono derivare sia il danno patrimoniale che il danno non patrimoniale, sia come danno biologico (che non può prescindere dall'accertamento medico legale) che come, morale ed esistenziale come lesione del diritto alla libera esplicazione della personalità sul luogo di lavoro e nella vita di relazione (verificato mediante prova testimoniale, documentale o presuntiva). Nel caso di specie, come ricordato sopra, la ctu ha escluso la ricorrenza di un danno biologico e dunque anche sotto il profilo del demansionamento tale voce di danno non può essere riconosciuta. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo; le spese di ctu, liquidate con separato decreto, sono definitivamente poste a carico della resistente. P.Q.M. In composizione monocratica, in persona del dott.(...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da(...) nei confronti (...), così provvede: 1) Accoglie il ricorso e condanna la resistente al pagamento in favore del ricorrente della somma pari al 20% della retribuzione netta di base percepita dal ricorrente dal luglio 2016 alla data di cessazione del rapporto di lavoro. 2)Pone le spese di ctu definitivamente a carico della resistente 3) (...) la convenuta al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, liquidate in Euro 5.800,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Bari, terza sezione civile, in composizione monocratica nella persona del Giudice dott. Giovanna Manca ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al n.r.g. 11989/2017 avente ad oggetto "comunione e condominio, impugnazione delibera assembleare - spese condominiali" promossa DA (...) e (...), rappresentati e difesi dagli Avv.ti (...) ATTORI CONTRO (...) in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...) CONVENUTO FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato il 10.07.2017 (...) e (...) hanno convenuto in giudizio il (...), domandando di "dichiarare illegittimo, inesistente, nullo e/o annullabile, inefficace e quindi, annullare l'intero deliberato assunto in seconda convocazione in data 15.06.2017 dall'Assemblea del cd. (...) (...), con "condanna del convenuto alla soccombenza processuale, distraendo in favore dei sottoscritti avvocati-perché anticipatari-le spese e i compensi del presente giudizio...". In particolare, gli attori hanno dedotto: -di essere comproprietari pro indiviso dell'unità immobiliare sita in (...) alla (...) e di partecipare alla Comunione dei beni "impropriamente denominata Condominio di via (...) -Cassano delle Murge, composta da n. 13 abitazioni a schiera ognuna con ingresso autonomo"; - che la suddetta comunione è disciplinata da un regolamento di condominio, di natura non convenzionale ma approvato a maggioranza; - di avere la volontà di distaccarsi dal condominio; - di aver comunicato tale volontà al (...) e, a fronte dell'opposizione di quest'ultimo, di aver intrapreso procedura di media-conciliazione, conclusasi con esito negativo il 19.5.2017; - di aver ricevuto il 7.6.2017 l'avviso di convocazione di assemblea straordinaria, da tenersi nei giorni 14 e 15 giugno 2017 per deliberare sul seguente ordine del giorno " 1) richiesta da parte dei coniugi (...) a fuoriuscire dal Condominio con la partecipazione alle spese da confinanti esterni-decisioni in merito"; -di non aver preso parte all'assemblea e di aver ricevuto il 20.6.2017 fotocopia del verbale di Assemblea, tenutasi in seconda convocazione il 15.6.2017, al termine della quale l'organo assembleare rigettava la domanda di fuoriuscita dalla comunione. Gli attori hanno pertanto concluso come in epigrafe indicato. Instauratosi il contraddittorio, con comparsa di costituzione e risposta depositata il 4.1.2018 si è costituito in giudizio il (...), preliminarmente eccependo l'improcedibilità della domanda per omesso avvio della mediazione obbligatoria ai sensi del d.l. 21.6.2013 n. 69 convertito in legge n. 98/13 e, nel merito, domandando di accertare e dichiarare l'infondatezza delle pretese attoree in fatto e in diritto, con conseguente condanna degli attori al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa in favore del difensore anticipatario. Esperita la procedura di mediazione obbligatoria, conclusasi con esito negativo, la causa, assegnati i termini ex art. 183, co. VI, c.p.c. è stata istruita a mezzo della documentazione depositata dalle parti. Quindi, all'udienza del 27.3.2024, fatte precisare le conclusioni, la causa è stata introitata per la decisione senza la concessione dei termini di legge ex art. 190 c.p.c., stante la rinuncia delle parti costituite. La domanda attorea deve essere accolta per le ragioni di seguito esposte. Gli attori hanno chiesto l'annullamento della delibera condominiale, assunta in data 15.6.2017 dall'assemblea, in quanto adottata in violazione dell'art. 14 comma 2 del regolamento di condominio e dell'art. 1105 comma 3 c.c.. Orbene, l'art. 14 comma 3 del citato regolamento condominiale (cfr. doc. 7 fascicolo parte attrice) prevede testualmente che "l'assemblea, sia ordinaria che straordinaria, è convocata mediante avviso individuale ai condomini, inviato a cura dell'amministratore con raccomandata postale o recapitata a mano, almeno dieci giorni prima della data fissata per l'adunanza". Come noto, a lume dell'art. 1138 c.c., qualora in un edificio il numero dei condomini sia superiore a dieci, è necessaria la predisposizione di un regolamento, il quale oltre a contenere le norme circa l'uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese e per la tutela del decoro dell'edificio, disciplina pure l'attività amministrativa della cosa comune. Non appare superfluo evidenziare che, ai sensi del comma 3 dell'art. 1138 cit., le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, e in nessun caso derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137. Da tanto discende che il regolamento condominiale ben può derogare alle norme di legge, rientrando tale facoltà nell'alveo della libertà negoziale riconosciuta ai singoli, ad eccezione di quelle disposizioni che, per espresso dettato normativo, costituiscono norme inderogabili. Tra queste, così come enucleate dal comma 3 dell'art. 1138 c.c., sicuramente non rientra l'art. 66 disp. att. c.c., nella parte in cui prevede un termine entro cui la convocazione assembleare deve essere comunicata ai singoli condomini, a maggior ragione ove - come avvenuto nella specie - il regolamento stabilisca un termine più ampio - di giorni dieci e, dunque, in melius - rispetto a quello - di giorni cinque - previsto dall'art. 66 cit. Ora, è principio ormai consolidato quello secondo cui ogni condomino, avendo il diritto di intervenire all'assemblea, deve perciò essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l'avviso di convocazione, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato ma anche ricevuto nel termine stabilito dalla legge o, come nella specie, dal regolamento condominiale, avendo riguardo alla riunione dell'assemblea in prima convocazione. Deriva da quanto precede, pertanto, che il mancato rispetto di tale termine di ricezione dell'avviso da parte dell'avente diritto costituisce motivo di annullamento della delibera assembleare, ai sensi dell'articolo 1137 del Codice civile. Tale conclusione trova conforto, peraltro, nel testo ora vigente dell'articolo 66 comma 3 del Codice civile, il quale dispone che "in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati". Facendo applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la comunicazione della convocazione dell'assemblea è da ritenersi tardiva, e, per l'effetto, annullabile risultando pacifico che: (a) solo in data 7.6.2017 è stato recapitato a (...) l'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, che si sarebbe tenuta in prima convocazione il 14.6.2017 e in seconda convocazione il 15.6.2017, e dunque, con un preavviso di soli sei giorni, in spregio alla disposizione di cui all'art. 14 regolamento cit.; (b) gli attori non hanno preso parte all'assemblea e, dunque, in qualità di "assenti perché non ritualmente convocati", hanno diritto a chiederne l'annullamento. Donde l'accoglimento della spiegata domanda. La regolamentazione delle spese processuali segue il principio della soccombenza, sicché le spese del presente grado di giudizio vanno poste a carico del (...) (...) nella misura liquidata in dispositivo, facendo applicazione degli onorari medi, di cui al d.m. 55/2014, come modificato dal d.m. 147/2022, ridotti del 50% ai sensi dell'art. 4 stante la particolare semplicità delle questioni in fatto e diritto risolte. P.Q.M. Il Tribunale di Bari, terza sezione civile, in persona del Giudice Giovanna Manca definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da(...) e (...) nei confronti del (...), in persona dell'amministratore p.t., così provvede: 1) Accoglie la domanda e per l'effetto annulla la delibera assunta in seconda convocazione in data 15.06.2017 dall'Assemblea del cd. (...) (...) ; 2) Condanna il (...) alla rifusione delle spese di lite in favore degli attori, che si liquidano in complessivi Euro 2540,00 per compenso professionale ed Euro 518,00 a titolo di borsuali, oltre Iva, Cap e rimborso forfetario nella misura del 15% sulle voci come per legge. Così deciso in Bari il 19 aprile 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bari Sezione Lavoro Il Tribunale, nella persona del giudice designato Dott. (...) udienza del 22/04/2024 ha pronunciato la seguente SENTENZA CONTESTUALE nella causa lavoro di I grado iscritta al N. (...)/2023 R.G. promossa da: (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) giusta procura in atti RICORRENTE contro: (...) - (...) rappresentato e difeso dall'avv. (...) giusta procura in atti RESISTENTE Oggetto: Ricalcolo indennità per ferie MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto depositato il (...), il ricorrente, premesso di svolgere le mansioni di operatore di esercizio per conto della società convenuta, deduceva di aver sempre percepito in maniera continuativa retribuzione per diarie e trasferte, indennità domenicale, indennità di presenza aggiuntiva, indennità di agente unico, indennità turni di linea, indennità di rifornimento e infine indennità di supero nastro. Lamentava il ricorrente che nonostante il carattere fisso e comunque non occasionale di tali compensi, le stesse non erano state inserite nella retribuzione corrisposta a titolo di ferie. Concludeva perché fosse accertato il proprio diritto a vedere inclusi i predetti emolumenti nella base di calcolo della retribuzione corrisposta a titolo di ferie e per la condanna generica della resistente al pagamento in suo favore delle differenze tra quanto percepito e quanto avrebbe dovuto percepire ove fossero state inserite le voci sopra elencate nella base di calcolo della retribuzione corrisposta in costanza di ferie. Si costituiva la (...) s.p.a. la quale confutava in fatto e diritto quanto sostenuto dal ricorrente e concludeva per il rigetto del ricorso. In via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità della domanda del ricorrente per frazionamento del credito, dal momento che, come si evince dal ricorso nel giudizio RG (...)/21 il ricorrente aveva richiesto le differenze retributive a lui spettanti per il periodo dal 19.07.2012 al 31.12.2019, mentre con il presente ricorso il ricorrente richiede le differenze retributive maturate dal 20.7.2007 al 17.7.2012. Orbene, appare chiaro, come rilevato dalla difesa dell'istante, che la proposizione del presente giudizio è dipesa dal noto revirement giurisprudenziale, che ha avuto inizio con CASS. CIV., SEZ. LAV, 6.9.2022 n.26246, secondo cui "il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro". Ne deriva che, solo a seguito di tale mutamento giurisprudenziale (successivo all'introduzione del primo giudizio RG (...)/21), il ricorrente ha potuto rivendicare, proponendo ulteriore ricorso, anche le differenze retributive non ancora prescritte al momento dell'entrata in vigore della l. n.92 del 2012, ovvero le differenze retributive successive al 20.7.2007. Ritiene lo scrivente in adesione a quanto già deciso dal Tribunale con altri (...) che la possibilità di rivendicare le differenze retributive dal 20.7.2007 al 17.7.2012, superando il preliminare ostacolo dell'intervenuta prescrizione, ed il relativo interesse giuridicamente rilevante a rivendicarle dalla (...) sono sorti per effetto e solo dopo il suddetto mutamento di giurisprudenza. Tanto premesso, il ricorso è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati. Ritiene lo scrivente di aderire all'orientamento della giurisprudenza di merito e della Corte di Cassazione che hanno riconosciute fondate le pretese in fattispecie del tutto sovrapponibili (cfr. sentenze depositate dal ricorrente nelle note conclusive). E difatti la Corte di cassazione ha ribadito che: "Il diritto del lavoratore a ferie retribuite trova una disciplina sia nel diritto interno (art. 36 Cost., comma 3: "Il lavoratore ha diritto... a ferie annuali retribuite"; art. 2109 c.c., comma 2: il prestatore di lavoro ha diritto "ad un periodo annuale di ferie retribuite"; D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, ratione temporis applicabile: "... il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo... di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane"), sia in quello dell'(...) (art. 7 Direttiva n. 2003/88/CE). Con specifico riferimento alla disciplina (...) l'art. 7 della citata (...) intitolato "(...) annuali", stabilisce quanto segue: "1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinchè ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali...". Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite è peraltro espressamente sancito all'art. 31, n. 2, della (...) dei diritti fondamentali dell'(...) cui l'art. 6, n. 1 TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati (sentenze dell'8 novembre 2012, (...) e (...) C-229/11 e C-230/11, punto 22; del 29 novembre 2017,(...)/16, punto 33, nonchè del 4 ottobre 2018, (...) C-12/17, punto 25). (...). 31 della (...) intitolato "(...) di lavoro giuste ed eque", per quanto qui maggiormente rileva, prevede che: "... 2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e ferie annuali retribuite". Il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell'(...) (sentenza del 20 luglio 2016, (...) C-341/15, punto 25 e giurisprudenza ivi citata); ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla (...) 2003/88 (v. sentenza del 12 giugno 2014, (...) C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata). Più specificamente, secondo la (...) n. 88 del 2003, il beneficio (id est: il diritto) alle ferie annuali e quello all'ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti (id est: le due componenti) dell'unico diritto "a ferie annuali retribuite" (sentenze del 20 gennaio 2009, (...) e altri, C-350/06 e C-520/06, punto 60; del 15 settembre 2011, (...) e altri, C- 155/10, punto 26; del 13 dicembre 2018, causa (...) C-385/17, punto 24). Peraltro, dalla formulazione dell'art. 1, paragrafo 1 ("La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime...") e paragrafo 2, lettera a) ("ai periodi minimi di... ferie annuali"), dell'art. 7, paragrafo 1, nonchè dell'art. 15 della Direttiva n. 88 del 2003, si ricava, anche, come quest'ultima si limiti a fissare prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, facendo salva la facoltà degli (...) membri di applicare disposizioni nazionali più favorevoli alla tutela dei lavoratori (sentenza cit. 13 dicembre 2018, causa (...) C-385/17, punto 30 e punto 31). Per ciò che riguarda, in particolare, "l'ottenimento di un pagamento" a titolo di ferie annuali, la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, (...) e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l'espressione "ferie annuali retribuite", di cui all'art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza (...) 20 gennaio 2009 in C- 350/06 e C-520/06, (...) e altri, punto 58). (...) di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (v. sentenze citate (...) e altri, punto 58, nonchè (...) e altri, punto 60). Maggiori e più incisive precisazioni si rinvengono nella pronuncia della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, causa C-155/10, (...) e altri (punto 21), dove si afferma che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall'esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'(...) In tale pronuncia, la Corte di Giustizia ha avuto modo di osservare come "sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sè ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli (...) membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore... di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all'esercizio del suo lavoro" (v. sentenza (...) e altri cit., punto 23); pertanto "qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore ... deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell'ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali" (v. sentenza (...) e altri cit., punto 24); all'opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali "gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro" (v. ancora sentenza (...) e altri cit., punto 25). Del pari, vanno mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione "correlati allo status personale e professionale" del lavoratore (v. sentenza (...) e altri cit., punto 28). Il delineato concetto di retribuzione, dovuta durante le ferie annuali, è confermato dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 22 maggio 2014, causa (...)/12, Z.J.R. Lock, punti 29, 30, 31); in tale pronuncia, quanto agli elementi correlati allo status personale e professionale, si precisa che tali possono essere quelli che si ricollegano alla qualità di superiore gerarchico, all'anzianità, alle qualifiche professionali (sentenza Z.J.R. Lock cit., punto 30). (...) stregua di tale nozione, è stata, per esempio, ritenuta contraria al diritto dell'(...) la non inclusione, nella retribuzione versata (recte nel pagamento da versare) ai lavoratori a titolo di ferie annuali, degli importi supplementari corrisposti ai piloti (...) in ragione delle ore di volo e/o del tempo trascorso fuori della (...) (sentenza (...) e altri cit.) ovvero del compenso variabile rappresentato da provvigioni sul fatturato realizzato (sentenza Z.J.R. Lock cit.), così come la previsione, per contratto collettivo, di una riduzione della "indennità per ferie retribuite" derivante da una situazione di disoccupazione parziale, nel periodo temporale di riferimento (sentenza (...) cit.). In definitiva può, dunque, affermarsi che sussiste una nozione (...) di "retribuzione" dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali, fissata dall'art. 7 della Direttiva 2003/88, come sopra interpretato dalla Corte di Giustizia. ? Resta da osservare che - come più volte ribadito da questa Corte di legittimità (Cass. n. 22577/2012 e giurisprudenza ivi richiamata) - l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicchè alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito "il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della (...) In modo conforme al diritto dell'(...) deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a "ferie retribuite" nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione. A tale riguardo, deve allora osservarsi come sia compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalità (id est: il nesso intrinseco, v. sentenza (...) 15 settembre 2011, (...) e a., C- 155/10, cit., punto 26) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall'altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell'(...) verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall'art. 7 della Direttiva 2003/88/CE. Sulla scorta dei principi sopra riassunti, affinché una voce retributiva possa essere inclusa nella base di calcolo della retribuzione spettante durante il periodo di ferie occorre, dunque, che la stessa sia intrinsecamente connessa alla natura delle mansioni svolte dall'interessato ed abbia la funzione di compensare uno specifico disagio derivante dall'espletamento di dette mansioni, oppure sia correlata al peculiare status professionale o personale dell'interessato. Diversamente, le voci retributive che svolgono la funzione di rimborsare spese occasionali e accessorie sostenute dal lavoratore nell'espletamento delle proprie mansioni non devono essere computate nella retribuzione spettante durante le ferie." (cfr. Cass. n. 22401/20; n.13425/19). Tanto premesso, il ricorrente ha specificatamente indicato in ricorso, le indennità accessorie della retribuzione intrinsecamente connesse allo svolgimento delle mansioni di operatore di esercizio. In relazione all'indennità di trasferta e diaria ridotta, il trattamento di trasferta degli autoferrotranvieri comandati a prestare servizio fuori della residenza di assegnazione è disciplinato dagli artt. 201 (per l'indennità di trasferta) e 212 (diaria ridotta) del (...) 23.7.76 a seconda che si tratti di personale degli impianti fissi -al quale si applica l'art. 20 -, ovvero di personale viaggiante -al quale si applica l'art. 21. Il trattamento di trasferta del personale viaggiante è, dunque, specificamente disciplinato da detto art. 21 e compete al personale viaggiante solamente quando, in relazione al turno, esce dalla propria residenza (mentre la differente indennità di trasferta compete, quando il personale viaggiante venga comandato a prestare servizio in un deposito o rimessa diversi dai propri, ovvero ai sensi dell'art. 21, comma 4 "quando l'assenza dalla residenza supera le 24 ore continuative, il personale di cui trattasi fruisce, a decorrere dall'inizio del secondo periodo di 24 ore, del trattamento di trasferta di cui al precedente articolo 20"). (...)à fuori nastro compete, appunto, per le ore di lavoro fuori nastro "intendendosi per tali quelle eccedenti l'undicesima ora"; per l'indennità c.d. aggiuntiva, di agente unico, turni di linea e di rifornimento, dalla lettura delle norme contrattuali emerge chiaramente come le stesse siano intrinsecamente legate allo svolgimento della mansione di operatore di esercizio. Ritiene pertanto lo scrivente che le indennità dedotte in lite, alla luce dei principi dappresso passati in rassegna ed in considerazione delle loro specifiche caratteristiche funzionali, siano da ricomprendere nella retribuzione ordinaria da corrispondersi durante il periodo di fruizione delle ferie. Va, infatti, ribadito che le suddette voci siano tutte intrinsecamente connesse all'espletamento delle mansioni di riferimento e compensino le specifiche penosità che, con riferimento a ciascuna di esse, vengono in rilievo (le indennità trasferta e diaria ridotta sono, infatti, correlate all'espletamento e alla durata di turni di servizio fuori dalla residenza assegnata o presso depositi o rimesse diversi dai propri, l'indennità di agente unico si riconosce solo per i turni guida, l'indennità fuori nastro alla durata prolungata del tempo di guida, lo stesso per l'indennità di rifornimento legata all'utilizzo del mezzo, l'indennità aggiuntiva al raggiungimento degli obiettivi aziendali attraverso lo svolgimento di specifiche mansioni). (...) documentazione in atti e in particolare dai dati riportati nelle buste paga allegate al ricorso, si evince che tali indennità siano normalmente ed intrinsecamente collegate all'esecuzione delle mansioni proprie della qualifica di operatore di esercizio svolta dal ricorrente. E difatti le indennità risultano corrisposte in maniera continuativa, sebbene in misura variabile, nel corso dell'anno, sì da assumere le caratteristiche di una componente non occasionale e predeterminata, che integra stabilmente la retribuzione. Né ad una diversa conclusione può pervenirsi in rapporto alle allegazioni della parte resistente secondo cui l'inclusione delle indennità di trasferta e diaria ridotta nella retribuzione ordinaria, utile ai fini della determinazione della retribuzione spettante durante il periodo di ferie, risulterebbe in contrasto con la natura risarcitoria propria di tali indennità. Va, infatti, ricordato che, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Suprema Corte: "il compenso (indennità) da corrispondere per la trasferta può avere carattere risarcitorio oppure retributivo, a seconda che: a) riguardi le spese dal lavoratore sostenute per recarsi temporaneamente in un luogo diverso da quello in cui l'impresa svolge la sua attività, individuato da parte del datore di lavoro, come destinazione stabile e continuativa del lavoratore stesso per lo svolgimento della sua ordinaria prestazione lavorativa. In questo caso l'emolumento ha carattere risarcitorio, anche se non è da escludere, a priori, che possa esservi una (...) componente retributiva, onde spetta al giudice del merito stabilire, in relazione al contenuto delle specifiche pattuizioni contrattuali, quale parte di tale indennità abbia funzione risarcitoria e quale, invece, funzione retributiva; b) si tratti, invece, del corrispettivo della peculiarità della abituale collaborazione richiesta al dipendente, consistente nell'obbligo di espletare la propria attività in luoghi sempre differenti, ipotesi in cui non è identificabile la connotazione tipica della "trasferta in senso proprio", costituita dalla temporanea dislocazione del lavoratore in un luogo diverso dalla normale sede (...)questo secondo caso, l'emolumento diviene un elemento non occasionale e predeterminato della retribuzione (anche se di importo non strettamente costante), così da dovere essere ricompreso nella base di computo del TFR etc." (cfr.. Cass. civ. sez. Lav. n. 17253/18; n.18479/14; n.27826/09; n.3278/04). Nella specie, come può, peraltro, evincersi dalle buste paga allegate al ricorso, che attestano la sistematicità dell'erogazione degli emolumenti in parola, e senza che vi sia stata alcuna specifica contestazione da parte della resistente, al ricorrente è abitualmente richiesto di prestare la propria attività al di fuori della residenza di servizio o presso altri depositi o rimesse (o, comunque, secondo le condizioni che danno diritto all'indennità di diaria ridotta o di trasferta), sicché deve ritenersi che si tratti di una peculiare e abituale forma di collaborazione richiesta ai dipendenti, nei termini di cui alle pronunce della Corte di Cassazione richiamate, che viene, appunto, compensata con le suddette voci, a cui deve essere, quindi, riconosciuto il valore di elemento non occasionale della retribuzione, anche se di importo variabile. Lo stesso va detto in relazione alle altre indennità: l'indennità di fuori nastro, compensa la specifica penosità legata al superamento di un predeterminato tempo di lavoro, così come detto sopra in relazione all'indennità di turno, di rifornimento e di presenza aggiuntiva. Ciò detto, occorre ribadire che le indennità riepilogate in premessa siano tutte da includere nella retribuzione dovuta durante le ferie, in quanto legate allo svolgimento ordinario della prestazione lavorativa. Né può essere condivisa la tesi della parte convenuta, secondo cui i principi espressi dalla Corte di Giustizia dell'(...) e posti a fondamento della presente decisione non avrebbero forza cogente nel nostro ordinamento in quanto difetterebbe la specificazione delle voci rientranti del concetto di retribuzione. Sotto tale profilo, per un verso è, infatti evidente, che, qualora non si assicurasse la coincidenza della retribuzione delle ferie annuali con la retribuzione ordinaria per l'intero arco temporale in cui il singolo lavoratore sia legittimato a fruirne, si ingenererebbe di fatto una diminuzione del trattamento retributivo, potenzialmente idonea a pregiudicare economicamente il lavoratore nell'esercizio del suo diritto alle ferie, in contrasto con le prescrizioni del diritto dell'(...) laddove, come chiarito dal precedente giurisprudenziale dappresso virgolettato, "la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C- 257/04, (...) e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l'espressione "ferie annuali retribuite", di cui all'art. 7, n. 1 della Direttiva n. 88 del 2003, intende significare che, per la durata delle ferie annuali, "deve essere mantenuta" la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza (...) 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C-520/06, (...) e altri, punto 58)". Va poi per latro verso evidenziato che: "l'interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicchè alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito "il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell'ambito della (...) In modo conforme al diritto dell'(...) deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a "ferie retribuite" nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione." (cfr. Cass. n. 22401/20). Infondata è anche l'eccezione di prescrizione. Ritiene infatti lo scrivente di aderire alla giurisprudenza di merito che ha ritenuto che la prescrizione non decorre durante il corso del rapporto di lavoro anche nel caso di applicazione dell'art. 18 sta. Lav. come modificato dalla c.d.legge Fornero: "Il testo attualmente vigente dell'art. 18 Stat. lav., a differenza di quello originario, prevede la tutela reintegratoria solo per talune ipotesi di illegittimità del licenziamento (primo, quarto e settimo comma), mentre per altre fattispecie prevede unicamente una tutela indennitaria (quinto e sesto comma). Ne consegue che, nel corso del rapporto, il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell'ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell'ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. La prescrizione di tali crediti decorre, pertanto, dalla cessazione del rapporto e non in costanza di esso anche per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro a cui si applichi l'art. 18 Stat. lav., come novellato dalla l. n. 92/2012." (cfr. C.d.A. Milano n.376/19; n.719/21). La tesi è stata di recente confermata in Cassazione che con la sentenza n. 26246/22 ha statuito che: "Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del decreto legislativo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità. Sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4 e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Ne deriva che per i diritti retributivi sorti a far data dall'entrata in vigore della l. n. 92/12 (18.7.2012) e nel quinquennio anteriore (a decorrere dal 18.7.2007), la cui invocabilità avrebbe potuto trovare condizionamenti da parte del lavoratore stante la vigenza della nuova disciplina dell'art.18, il dies a quo ai fini prescrizionali va individuato nella data di cessazione del rapporto. Nel caso di specie pertanto il ricorrente ha diritto a vedersi corrisposte anche le differenze relative al periodo successive al 18.7.2007. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, secondo i parametri fissati dal D.M. 55/2014, tenuto conto dell'assenza di istruttoria. P.Q.M. In composizione monocratica, in persona del dott.(...) in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da (...) nei confronti dell'(...) - (...), così provvede: 1) accoglie il ricorso e, per l'effetto, accerta il diritto del ricorrente all'inclusione delle indennità indicate in ricorso nella base di calcolo per la retribuzione goduta nei periodi di ferie; 2) condanna la (...) s.p.a. al pagamento delle differenze tra quanto percepito e quanto avrebbe dovuto percepire computando nella base di calcolo gli emolumenti di cui al punto 1) in relazione al periodo dal 20.7.2007 al 17.7.2012 3) condanna la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 2.800,00, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario Così deciso in Bari il 22 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BARI Sezione specializzata in materia di Imprese CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Raffaella Simone Presidente dott. Assunta Napoliello Giudice dott. Paola Cesaroni Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2982/2019 promossa da: (...) con l'Avv. (...) ATTORE contro (...) IN PERSONA DEL L.R.P.T. con gli avv.ti (...) e (...) CONVENUTO CONCLUSIONI All'udienza del 12.12.2023, sulle conclusioni dei procuratori delle parti riportate nelle note di trattazione inviate in ossequio al decreto del 9.11.2023, la causa era riservata per la decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione regolarmente notificato, (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bari, sezione specializzata Imprese, su ricorso della (...) per il pagamento della somma di Euro 170514,47, oltre interessi e spese, invocandone la revoca. La ricorrente, in sede monitoria, esponeva quanto segue: - In data 17.02.1990 si costituiva la società cooperativa (...) il cui scopo era la realizzazione di complessi abitativi in edilizia convenzionata in (...) amministrata da un C.d.A. composto da (...) presidente, (...) e (...) , componenti; - a fronte delle contestazioni sorte circa la gestione degli amministratori, l'Assemblea deliberava in data 31.03.2016 la sospensione della liquidazione dei compensi; in sede di adunanza per deliberare la revoca dei componenti dell'organo amministrativo, tutti gli amministratori si dimettevano dall'incarico; - Con delibera del 31.03.2017, era deliberata la proposizione di azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori della società, con preventivo ricorso alla procedura arbitrale ai sensi dell'art. 35 dello Statuto sociale; - all'esito del procedimento, in data 31.05.2018 il Tribunale Arbitrale di Bari emanava il Lodo arbitrale, di natura irrituale, in forza del quale, accertata "... la responsabilità degli amministratori (...) (...) e (...) per i danni cagionati alla (...) (...) nella misura di seguito indicata, oltre interessi come per legge sino al soddisfo, con conseguente condanna e obbligo degli stessi al pagamento in favore della (...) delle seguenti somme: 1. Euro 55.000,00, oltre rivalutazione monetaria, quale danno derivante dalla stipula della transazione con la (...) 2. Euro 66.422,00, oltre rivalutazione monetaria, quale danno derivante dal maggior esborso per emolumenti agli amministratori, rispetto a quanto a tale titolo deliberato dall'assemblea; 3. Euro 29.614,99, oltre rivalutazione monetaria, quale danno derivante dal minor ricavo conseguito dalle assegnazioni immobiliari in favore dei soci (...) e (...); 4. Euro 7.000,00, oltre rivalutazione monetaria, quale danno pari agli importi che la stessa ha attestato essere stati incassati con bonifico dai soci (...) e (...) ma che non hanno trovato riscontro nel conto della società. Le somme relative alle voci di danno indicate ai numeri 1, 2 e 4 vanno corrisposte dai sig.ri (...) (...) e (...) in solido tra loro. La somma relativa alla voce di danno innanzi indicata sub n. 3 va corrisposta dal solo sig. (...) Il Collegio arbitrale determina con ordinanza separata il pagamento di spese e compensi per il suo funzionamento dichiarando che detti costi incombono su tutte le parti in solido tra loro, e le pone - nei rapporti tra la parte attrice e le convenute - per il 75% a carico esclusivo dei sigg.ri (...) (...) e (...) in solido tra loro e per il restante 25% a carico della (...) , in ragione della sua soccombenza parziale. Analogo criterio il Collegio ritiene di adottare per le spese difensive che per l'effetto liquida nella misura complessiva di Euro 10.133,50, oltre spese generali ed accessori di legge, ponendole a carico dei sigg.ri (...) (...) e (...) nella misura del 75% del totale, e compensandole per l'ulteriore 25%. Con la conseguenza che in ragione di tale criterio sono dovute alla (...) , dai convenuti, le spese di difesa per complessivi Euro 7.600,12, oltre rimb. Spese generali, Cap ed Iva come per legge"; - Con separata ordinanza, il Collegio arbitrale liquidava "le competenze del Collegio arbitrale in complessivi Euro 40.304,00, oltre spese generali, Cap e Iva"; - la (...) avviava quindi tre giudizi monitori in danno degli ex componenti del C.d.A., stante il mancato adempimento spontaneo da parte dei debitori. Proposta opposizione, il (...) contestava la fondatezza del ricorso, evidenziando l'incompetenza del Tribunale ordinario, l'abusiva parcellizzazione del credito, l'errore essenziale e rilevante del lodo, per i motivi riportati nell'atto introduttivo, da ritenersi qui richiamati. La società si costituiva in giudizio, invocando la conferma del decreto. Rigettata l'istanza di provvisoria esecuzione, la causa era rimessa ad udienza di precisazione delle conclusioni sulla base della documentazione in atti. L'opposizione è infondata nel merito, ma deve procedersi alla revoca del decreto alla luce del parziale pagamento del debito solidale in pendenza del giudizio, ex art. 653 c.p.c.. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto e comunque non solo la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02). L'accertamento di una diversa quantificazione del credito ingiunto comporta, infatti, la revoca del decreto ingiuntivo e la contestuale emissione ex art. 653 c.p.c. di una sentenza di condanna della parte opponente al pagamento della somma accertata come dovuta all'opposta (Cass. Civ., sez. III, sent. n. 15026/2005; Cass. Civ., sez.II, sent. n. 10229/2002). Nel caso di specie, deve premettersi che il ricorso monitorio risulta correttamente incardinato ab origine dinanzi alla Sezione specializzata Imprese del Tribunale adito, con conseguente radicale infondatezza dell'eccezione sollevata. Quanto alla invocata inammissibilità dell'azione monitoria per il carattere abusivo della parcellizzazione del credito (si veda ad esempio Cass., Sez. Un., n. 4090/2017 sulle domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito nell'ambito di un medesimo rapporto di durata tra le parti, fondate sullo stesso fatto costitutivo), l'eccezione è infondata, in quanto il lodo arbitrale ha condannato il solo (...) al pagamento di un'ulteriore somma, diversa ed ulteriore rispetto alla somma liquidata quale danno in via solidale tra i tre ex componenti del C.d.A., così legittimando la proposizione di un ricorso autonomo, stante la diversità del quantum accertato a carico del (...). Ciò premesso, "L'arbitrato irrituale si configura come uno strumento negoziale di risoluzione delle controversie, imperniato sull'affidamento a terzi del compito di ricercare una composizione amichevole della controversia", ed "il relativo lodo è impugnabile esclusivamente per vizi della volontà (dolo, violenza o errore) o per incapacità delle parti o degli arbitri e, quindi, senza poter dedurre gli errores in iudicando ovvero la (lamentata) erronea interpretazione del contratto oggetto dell'arbitrato" (Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, n. 9142). Più precisamente, l'arbitrato irrituale è qualificato come un mandato congiunto, senza necessità di rappresentanza, ex art. 1703 c.c., conferito congiuntamente da una pluralità di parti (minimo due) a uno o più arbitri (Cass. n. 11270/2012) a comporre la controversia venutasi a configurare, mediante la stipula di un accordo contrattuale, da porre in essere nel termine stabilito dalle parti (Cass. n. 30000/2021 e Cass. 13 aprile 2022, n. 12058). Nella specie, è pacifica tra le parti la natura irrituale dell'arbitrato oggetto di esame, avendo peraltro tale questione formato oggetto di specifico esame all'interno del lodo e non essendo stata sollevata alcuna contestazione sul punto. Premessa, quindi, la natura irrituale dell'arbitrato, trova applicazione l'art. 808 ter c.p.c., al cui interno il legislatore ha codificato i possibili motivi di impugnazione del lodo, stabilendo che il lodo contrattuale è annullabile dal giudice competente in cinque ipotesi, aventi carattere tassativo. Costituisce, quindi, orientamento consolidato quello secondo cui il lodo arbitrale irrituale è impugnabile solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l'errore, la violenza, il dolo e l'incapacità delle parti che hanno conferito l'incarico, o dell'arbitro stesso: in particolare, l'errore rilevante è solo quello attinente alla formazione della volontà degli arbitri, che si configura quando questi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà per non aver preso visione degli elementi della controversia o per averne supposti altri inesistenti, ovvero per aver dato come contestati fatti pacifici o viceversa, mentre è preclusa ogni impugnativa per errori di diritto, sia in ordine alla valutazione delle prove, che in riferimento alla idoneità della decisione adottata a comporre la controversia (ex multis Cass. n. 22374/2006, 18577/2004, 16049/2004, 13114/2004,932/2004, 3614/ 2004, 7654/2003, 11678/2001, 2741/1998, 2802/1995, 579/1993, 12725/1992; Cass. n. 22374/06). Tale indirizzo è stato di recente confermato e precisato nel senso che, alla stregua della previsione di cui all'art. 1429 c.c., n. 4, non può escludersi l'impugnazione del lodo irrituale anche per errore di diritto, ma solo a condizione che si tratti di errore percettivo, consistente nell'errata rappresentazione della realtà giuridica e cioè nella presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di una norma giuridica, mentre resta preclusa dalla natura negoziale del lodo irrituale ogni rilevanza di eventuali errori compiuti dagli arbitri nella valutazione o interpretazione del diritto ivi comprese le valutazioni sulla esistenza, vigenza o efficacia della norma di diritto. Inoltre, un lodo risulta viziato da mancata motivazione soltanto nei casi in cui la decisione "sia a tal punto carente da non consentire di comprendere l'iter logico del ragionamento seguito dagli arbitri, e di individuare la "ratio" della decisione adottata" (così, Cass., Sez. I, 20 marzo 2003 n. 4078). Nella specie, quindi, esaminando i motivi di opposizione sollevati dal (...) essi risultano volti in sostanza a determinare un riesame nel merito della decisione arbitrale, non ricorrendo alcuna ipotesi di errore censurabile ai sensi della norma sopra riportata. In particolare: In relazione alla vicenda con (...) sicuramente precluso è l'esame dell'eccezione di prescrizione del credito risarcitorio, proposta per la prima volta nel presente giudizio. Alcun errore di fatto è inoltre ravvisabile nella ricostruzione fattuale compiuta dal Tribunale arbitrale ai fini della decisione assunta, avendo il Collegio esaminato nel dettaglio il contenuto della transazione intervenuta tra le parti ed espresso il proprio motivato convincimento in ordine alla illiceità della condotta tenuta dal (...) tenuto conto della contestuale vigenza di due contratti di appalto in relazione alle medesime opere, dell'adozione unilaterale della decisione senza alcun coinvolgimento dell'intero C.d.A. e della ritenuta inesistenza del credito rivendicato dalla (...) posto alla base della transazione; Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in relazione alla somma accertata quale maggior compenso erogato agli amministratori rispetto a quanto deliberato, avendo il Tribunale arbitrale esaminato compiutamente tutti i documenti e motivato analiticamente le ragioni del proprio convincimento, prendendo inoltre specifica posizione sull'eccezione di ingiustificato arricchimento sollevata dalla difesa del (...) e che, conseguentemente, non può essere riproposta in questa sede. Non è inoltre esaminabile, perché questione nuova che avrebbe dovuto essere proposta nel giudizio arbitrale, la difesa volta ad ottenere il riconoscimento di un compenso aggiuntivo per l'attività svolta in regime di prorogatio; Infine, anche in relazione all'ultimo motivo di opposizione, il Tribunale arbitrale ha logicamente argomentato la valutazione compiuta in ordine al danno accertato per le irregolarità nelle assegnazioni degli alloggi prenotati ed in merito ai rimborsi ai soci, motivando altresì adeguatamente le ragioni idonee a radicare la responsabilità dell'opponente; non vale a ridurre la responsabilità degli amministratori l'eventuale sussistenza di una responsabilità dell'organo di controllo, che esula del tutto dal presente giudizio. Consegue l'inammissibilità dei motivi di impugnazione. In sede di conclusioni, la (...) ha ridotto la domanda alla luce delle somme medio tempore recuperate, dovendo pertanto revocarsi il decreto ingiuntivo e pronunciarsi sentenza di condanna per il minor importo richiesto. Le spese legali seguono la soccombenza sul valore del decisum. P.Q.M. Il Tribunale di Bari, Sezione Specializzata Imprese, definitivamente pronunciando sulla opposizione proposta, con atto di citazione regolarmente notificato, da (...) avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Bari, sezione specializzata Imprese, su ricorso della (...) così provvede: 1. accoglie l'opposizione proposta, e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; 2. condanna l'opponente al pagamento in favore della opposta della somma pari ad Euro 115.228,96 oltre rivalutazione monetaria come attribuita nel lodo; 3. condanna l'opponente al rimborso delle spese di giudizio sostenute dall'opposta, che liquida in complessive Euro 14000,00, oltre r.f. Iva e Cap come per legge. Così deciso in Bari l'8 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BARI SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Lidia del Monaco ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di II grado iscritta al n. r.g. 1527/2016 promossa da: (...) in con il patrocinio dell'avv. (...) -appellante- Contro (...), con il patrocinio dell'avv.to (...) (...), contumace -appellati - CONCLUSIONI le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 10.4.2024 da intendersi quivi integralmente richiamato e trascritto Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Si procede alla redazione della presente sentenza senza la parte sullo svolgimento del processo ai sensi dell'art. 45 c. 17 L. n. 69/2009. Nei limiti di quanto strettamente rileva ai fini della decisione (cfr. il combinato disposto degli artt. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. Con atto di citazione notificato il 27.1.2016 il (...) sito in (...) ha proposto appello avverso la sentenza n.1934/15 depositata dal Giudice di Pace di Bari il 30.06.2015 che ha accolto l'opposizione proposta da (...) avverso il decreto ingiuntivo n. 2037/2012 ottenuto dall'odierno appellante per l'importo di euro 1.006,55, oltre accessori e spese della procedura, per oneri condominiali non pagati. Parte appellante, a sostegno del gravame, ha dedotto la erroneità della motivazione adottata dal Giudice di prime cure per violazione del principio regolatore della materia di cui all'art. 1294 c.c., ritenendo, dunque, errata la qualificazione parziaria dell'obbligazione. Si è costituito in giudizio (...) con comparsa depositata il 13.9.2016 resistendo al gravame e insistendo per il rigetto dello stesso. I restanti appellanti, nonostante la rituale notifica dell'atto introduttivo, non si sono costituiti in giudizio, motivo per il quale ne è stata dichiarata la contumacia. Acquisito il fascicolo di Ufficio del primo grado di giudizio, all'udienza del 10.4.2024 la causa, matura per la decisione, è stata definita ai sensi del disposto di cui all'art. 281 sexies c.p.c. previo deposito di note conclusive autorizzate a cui ha proceduto il solo (...) in data 8.2.2024. L'appello non è meritevole di accoglimento. La vicenda in esame trae origine dalla approvazione, ad opera del (...) il 26.1.2012 dei consuntivi relativi al periodo gennaio 2004 - dicembre 2011. Il 24.4.2009 interveniva il decesso dell'originario proprietario dell'immobile sito in detto (...) gli succedevano gli odierni appellati. Il (...) consapevole del decesso del (...) ma non notiziato della identità di tutti gli eredi di quest'ultimo, agiva innanzi al Giudice di pace nei confronti del solo (...) il quale, costituendosi in giudizio eccepiva, anche, la parziarietà della obbligazione. Il Giudice di pace autorizzava la evocazione in giudizio di(...); accoglieva, dunque, la opposizione spiegata da (...) e rigettava la domanda di condanna solidale degli eredi avanzata dal (...) al momento della integrazione del contraddittorio. Ora, la tesi sostenuta dal (...) in ragione della quale la ripartizione pro quota delle spese comuni riguarderebbe i soli rapporti interni tra i comunisti, non implicando la parziarietà dell'obbligazione nei rapporti esterni con il creditore, è priva di fondamento. Ai fini della responsabilità delle obbligazioni verso il condominio, deve valorizzarsi il momento di insorgenza del debito. Per i debiti maturati prima della morte del de cuius, gli eredi sono chiamati a corrispondere una somma pari alla loro quota di proprietà. A tal proposito è stato osservato che nei rapporti interni fra coeredi trova applicazione la regola contenuta nell'art. 752 c.c.; i rapporti con i creditori sono disciplinati dall'art. 754 c.c. che afferma la divisibilità del debito secondo la consistenza della quota attribuita: il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l'onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota (App. Cagliari 4 gennaio 2018, n. 9). Per gli oneri condominiali maturati dal momento dell'accettazione di eredità gli eredi devono essere considerati alla stregua di qualunque comproprietario e quindi come coobbligati in solido verso il condominio. L'obbligazione concernente il pagamento di spese condominiali relative ad una unità immobiliare ricevuta per successione è di natura indivisibile, se e fino a quando indivisa resta la proprietà cui la stessa afferisce. Come tale, siffatta obbligazione è soggetta all'applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1317 e 1294 c.c. in forza del quale i comproprietari rispondono solidalmente del debito di cui trattasi (Cass, civ., sez. II, 21 ottobre 2011, n. 21907). Il (...) appellante al momento della costituzione nel giudizio di opposizione celebrato innanzi al Giudice di pace ha perseguito, seppur a seguito della eccezione spiegata da (...) a domandare il rigetto della opposizione con conseguente conferma del titolo monitorio. Autorizzata l'estensione del contraddittorio, il creditore opposto chiedeva la condanna di tutti gli eredi di (...) al pagamento in solido dell'importo oggetto della iniziativa avanzata in sede monitoria. Resistevano alla domanda (...) e (...). Ora, è incontestato che (...) sino al momento del decesso (aprile 2009), fosse il solo (...) a seguito dell'exitus gli succedevano gli odierni appellati. Non è dirimente, ai fini della decisione, la data di approvazione dei consuntivi afferenti ad un considerevole lasso temporale (delibera del 26 gennaio 2012 di approvazione dei bilanci relativi al periodo decorrente dal gennaio 2004 al dicembre 2011); l'obbligazione al pagamento degli oneri di gestione nasce ex lege nel momento in cui l'attività viene effettivamente compiuta dall'amministratore. Orbene, innanzi al Giudice di pace l'opposto non adempiva compiutamente all'onere di allegazione su di sé gravante. Il (...) creditore, a seguito della opposizione avanzata da (...) - il quale eccepiva di non poter essere il destinatario della richiesta di pagamento dell'intera debitoria - avrebbe dovuto verificare quale fosse quella maturata in epoca precedente ed in epoca successiva al decesso di (...) indicando i relativi importi. L'odierno appellante istava, invece, dapprima per il rigetto della opposizione e, successivamente alla integrazione del contraddittorio, per la condanna solidale degli eredi evocati al pagamento della intera somma. Solo al momento della proposizione del gravame l'appellante ha valorizzato la "ammissione del debito del sig. (...) per ottenere il pagamento di " quelle somme di cui lo stesso (...) dichiara di essere debitore"; richiesta, questa, non avanzata nel corso del primo grado di giudizio e, comunque, formulata in assenza di indicazione di quale fosse il debito di cui questi avrebbe dovuto rispondere pro quota e dell'ulteriore rispetto al quale potesse ritenersi condebitore solidale. Preme evidenziare che nel corso della udienza celebrata il 14.6.2013 - precedente, dunque, alla integrazione del contraddittorio - l'allora opponente "non sussistendo un vincolo di solidarietà passiva tra gli stessi (eredi)" chiedeva che fosse quantificata "dall'opposto la quota spettante al sig. (...). Il (...) creditore non procedeva - né allora, né in seguito - a fornire elementi utili alla individuazione delle somme istate, sulla scorta delle specificazioni previamente indicate. Sul punto, la pronuncia gravata dà atto di quanto è desumibile dagli atti di causa; il giudice di prime cure si è espresso, sul punto, nei termini di seguito riportati "Allo stato degli atti quindi per le ragioni esposte va revocato il decreto ingiuntivo opposto, ma non può darsi luogo ad alcuna pronuncia di condanna al pagamento nei confronti dell'opponente e dei chiamati in causa quali coeredi, non avendo l'istruttoria svolta consentito di accertare in che misura ogni coerede è tenuto al pagamento della somma oggetto della procedura monitoria". Si ravvisano i presupposti per la compensazione integrale delle spese del giudizio di appello dovendosi ritenere che la vicenda posta alla base della iniziativa processuale consegua ad una situazione di originaria incertezza correlata alla mancata comunicazione, ad opera degli odierni appellati, dei dati utili all'aggiornamento della anagrafe condominiale. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 quater del DPR n. 115/2002 per il versamento da parte del (...) sito in (...) un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione P.Q.M. il Tribunale, in funzione di giudice di appello, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta l'appello; - compensa integralmente le spese di lite; - dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 quater del DPR 115/2002 per il versamento da parte del (...) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del disposto di cui all'art. 13 c. 1 quater del DPR n. 115/2002. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Bari, 10 aprile 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI QUARTA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I (...) iscritta al n. r.g. (...)/2017 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. (...)# ((...)), elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, indirizzo pec. (...) ATTORE contro (...) SOC. COOP. (P.I. (...)), con il patrocinio dell'Avv. (...) ((...)), elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, indirizzo pec. CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da memorie depositate per l'udienza di precisazione delle conclusioni del 07.12.2023. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con citazione e(...). art. 616 c.p.c. del 17.07.2017, (...) premesso che: la (...) ed (...) di (...) aveva proceduto al pignoramento di alcuni immobili di sua proprietà, in forza di un contratto di mutuo stipulato dalle suddette parti in data (...), a seguito del quale la creditrice procedente aveva incardinato presso il Tribunale Civile di (...) la procedura esecutiva immobiliare n. R.G.E. (...)/2012; nell'ambito della suddetta procedura esecutiva, l'attore aveva proposto ricorso e(...). art. 615, comma 2, c.p.c., con contestuale istanza di sospensione e(...). art. 624 c.p.c., rigettata con ordinanza del 21.05.2017; le somme richieste dalla creditrice erano illegittime, in ragione dell'applicazione di interessi usurari, con conseguente gratuità del finanziamento ai sensi dell'art. 1815, comma 2, c.c.; la (...) aveva inserito nel contratto la c.d. opzione floor, impedendo all'attore di usufruire del ribasso dei tassi di interesse, in quanto vincolato al pagamento di un tasso minimo pari al 4,5%; la suddetta operazione era riconducibile alla tipologia dei contratti derivati, inquadrabili nella categoria degli strumenti finanziari ai sensi dell'art. 1, comma 2, (...) con conseguente applicazione della disciplina prevista dal (...) e dai (...) in materia di intermediazione finanziaria; il contratto derivato era nullo, in ragione dell'assenza di un valido contratto quadro ai sensi dell'art. 23 TUF, della mancata valutazione dell'adeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 21 TUB e della violazione delle regole di trasparenza e di correttezza, nonché per difetto di causa ai sensi degli artt. 1322, 1325, 1343 e 1418 c.c.; la (...) aveva violato le regole concernenti la prestazione dei servizi di investimento, con conseguente risoluzione del contratto di derivato, restituzione delle somme addebitate e risarcimento del danno; l'opzione floor era annullabile per dolo della (...) atteso che la stessa aveva indotto il cliente ad accettare un assetto di interessi pregiudizievoli; - conveniva in giudizio, innanzi a questo Tribunale, (...) ed (...) di (...) Coop., rassegnando le seguenti conclusioni: 1) in via principale, accertare e dichiarare la fondatezza dell'opposizione proposta nei confronti della (...) ed (...) di (...) Coop., nell'ambito del procedimento esecutivo n. R.G.E. (...)/2012 e, per l'effetto, accertare e dichiarare l'illegittimità dell'esecuzione intrapresa dalla banca convenuta; 2) sempre e comunque, accertare e dichiarare la nullità, ai sensi degli artt. 1418, 1419 e 1815, comma 2, c.c. di tutte quelle pattuizioni contrattuali, presenti nel contratto di mutuo del 21.04.2004, che comportano una remunerazione usuraria del capitale concesso in finanziamento dalla (...) ed (...) di (...) Coop., in favore del mutuatario e, per l'effetto, (...) accertare e dichiarare che, atteso il superamento illecito del tasso soglia, non sono dovuti interessi a remunerazione del capitale concesso in finanziamento; (...) accertare e dichiarare che legittimamente il mutuatario ha interrotto i pagamenti, in forza del principio inadimplenti non est adimplendum, poiché la (...) ha commesso un illecito contrattuale che l'ha resa inadempiente (applicazione di interessi usurari in violazione sia di norme imperative sia della correttezza e buona fede contrattuale e(...). artt. 1175 e 1375 c.c.); (...) condannare la (...) ed (...) di (...) Coop. alla restituzione in favore del (...) delle somme illecitamente ed illegittimamente percepite (quota già versata sino ad oggi a titolo esclusivo di interessi), pari ad Euro 128.124,48 (ovvero della somma maggiore e minore accertata in corso di causa), oltre interessi e rivalutazione monetaria e(...). art. 1224, comma 2, c.c., ove occorre dichiarando la compensazione fra queste somme e quelle riconosciute alla (...)# dichiarare l'azzeramento degli interessi fino alla naturale scadenza del contratto di mutuo; in via autonoma e concorrente, accertare e dichiarare la nullità ovvero, in subordine, annullare, ovvero, in ulteriore subordine, pronunciare la risoluzione del contratto di derivato denominato "(...) Floor" e, per l'effetto, condannare la (...) ed (...) di (...) Coop. a restituire al (...) le somme addebitate, in esecuzione del contratto, pari ad Euro 29.000,00, ovvero alla somma maggiore o minore accertata in corso di causa; in ogni caso, condannare la (...) ed (...) di (...) Coop. al risarcimento del danno cagionato, per una somma pari agli addebiti in conto corrente, maggiorata dell'ulteriore somma, a titolo di lucro cessante, corrispondente alla mancata redditività dovuta alla distrazione delle risorse finanziarie nell'operatività in derivati, ovvero al diverso ammontare accertato in corso di causa, con interessi e rivalutazione monetaria sino all'effettivo soddisfo; 3) sempre e comunque, dichiarare l'inammissibilità, ovvero l'illegittimità, ovvero la nullità del pignoramento immobiliare proposto dalla (...) ed (...) di (...) Coop, con conseguente risarcimento di tutti i danni da esso causati da quantificarsi in via equitativa; 4) con vittoria di spese. Costituitasi con comparsa del 12.12.2017, (...) ed (...) di (...) Coop. eccepiva preliminarmente l'inammissibilità della domanda, in ragione della violazione del contraddittorio necessario nei confronti di tutti i creditori intervenuti nella procedura esecutiva. Nel merito, deduceva la regolare pattuizione delle condizioni economiche del contratto, rassegnando le seguenti conclusioni: 1) in via preliminare, dichiarare inammissibile il giudizio per la violazione del contraddittorio necessario al quale la controparte non ha ottemperato nel termine perentorio assegnato con la ordinanza del 21.05.2017 e, per l'effetto, ordinare la cancellazione della causa dal ruolo; 2) nel merito, rigettare l'opposizione, poiché infondata in fatto ed in diritto; 3) con vittoria di spese La causa, istruita in via documentale e con l'espletamento di ctu, è stata riservata per la decisione sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti con le memorie depositate per l'udienza di precisazione delle conclusioni del 07.12.2023, celebrata con la modalità della trattazione scritta, ai sensi dell'art.83, comma 7, lett. h, del d.l. 18/2020, conv. nella L.27/2020, nel corso della quale sono stati concessi i termini previsti dall'art.190 c.p.c. Con comparsa conclusionale del 05.02.2024, l'attore ha eccepito la nullità del contratto per indeterminatezza del tasso applicato, in violazione dell'art. 117 TUB, nonché la nullità degli interessi, in ragione della fraudolenta alterazione del tasso (...) Con memoria di replica del 26.02.2024, l'attore ha eccepito la nullità del contratto di mutuo per mancata allegazione del piano di ammortamento. In via preliminare, l'eccezione di inammissibilità della domanda, sollevata dalla convenuta per violazione del contraddittorio necessario nei confronti di tutti i creditori intervenuti nella procedura esecutiva, va rigettata. Sul punto va rilevato che i creditori intervenuti nella procedura esecutiva agiscono sulla base dei rispettivi rapporti di credito distinti, non potendosi ritenere configurabile un'ipotesi di litisconsorzio necessario nel caso in esame, atteso che l'odierno giudizio di merito attiene esclusivamente al rapporto di credito intercorso tra l'attore e la (...) convenuta, avente ad oggetto anomalie relative al contratto di mutuo stipulato tra le suddette parti. Le domande di nullità e risoluzione del contratto denominato "(...) Floor", formulate dall'attore, sono infondate. A tal proposito, va osservato che la clausola floor non può essere qualificata quale derivato finanziario, con la conseguenza che la stessa non è soggetta alla disciplina del (...) atteso che la previsione della predetta clausola nel contratto di finanziamento non determina la realizzazione di un investimento finanziario per il mutuatario, rappresentando esclusivamente una tecnica di determinazione convenzionale del tasso di interesse, sicché devono ritenersi inapplicabili al caso di specie le regole concernenti i servizi di investimento. A ciò va aggiunto che la previsione di una clausola "floor" non può considerarsi di per sé illegittima, in quanto risponde alla necessità dell'istituto mutuante di assicurarsi un livello minimo di redditività del finanziamento, non sacrificando le esigenze di certezza e determinatezza del contenuto del contratto, atteso che il soggetto finanziato è a conoscenza che il tasso di interesse passivo non potrà diminuire sotto una certa soglia. Ed invero, la pattuizione del tasso di interesse attraverso la clausola floor è esclusivamente finalizzata a proteggere l'intermediario da una discesa dei tassi, garantendo alla (...) una remuneratività ritenuta "minima" al finanziamento concesso, quale prezzo del proprio servizio. Nel caso di specie, il documento di sintesi delle condizioni economiche stabilisce un tasso corrispettivo non inferiore al 4,50% e non superiore al 7,50%, sicché deve ritenersi sufficientemente chiara e determinata la relativa clausola. Parimenti, la domanda di annullamento del contratto, formulata dall'attore per dolo della (...) va disattesa. A tal proposito, va osservato che "a norma dell'art. 1439 c.c. il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel "deceptus" una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell'art. 1429 c.c." (Cass., n. (...)/2021). A ciò va aggiunto che "a produrre l'annullamento del contratto non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte". Ed invero, la parte che deduce l'effetto invalidante dell'errore, frutto di dolo, ha l'onere di provare che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza o in costanza di questa falsa rappresentazione, nella specie non assolto. Nel merito, va osservato in diritto che "l'onere probatorio nelle controversie sull'applicata debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell'art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l'usurarietà degli stessi, ha l'onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l'eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall'altro lato, è onere della controparte allegare o provare i fatti modificativi o estintivi dell'altrui diritto" (Cass. Sez. Un. sent. 18.09.2020, n. 19597). Deve altresì rilevarsi che, sulla base della lettura interpretativa offerta dalle (...) della Suprema Corte di (...) nella sentenza innanzi richiamata "la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso." La Suprema Corte, inoltre, dopo aver puntualizzato che la normativa anti - usura prevista per gli interessi corrispettivi è applicabile anche a quelli moratori, ha stabilito che anche per questi ultimi il giudice deve tener conto delle rilevazioni statistiche effettuate dalla (...) d'(...) e recepite nei decreti ministeriali. (...) d'(...) infatti, stabilisce trimestralmente, ai sensi della L. 108/1996, i tassi massimi d'interesse, superati i quali si configura un interesse usurario ed, ai sensi della L. 24/2001, recante l'interpretazione autentica della L. 108/1996, ricorrono interessi usurari solo nel caso in cui gli stessi superino il limite stabilito dalla (...) d'(...) nel momento in cui essi sono promessi o convenuti, indipendentemente dal momento in cui essi sono effettivamente corrisposti. Occorre, peraltro, precisare che, per la stessa struttura del contratto di mutuo, il tasso moratorio e quello compensativo non possono mai trovarsi ad essere applicati congiuntamente in relazione ad un medesimo periodo temporale. Di conseguenza, i due tassi non possono sommarsi tra loro, in quanto il mutuatario può essere tenuto a corrispondere, per un certo periodo, o il tasso corrispettivo (se il capitale deve ancora scadere) o il tasso di mora (se la rata è già scaduta), mentre non può (né mai potrebbe) essere chiamato a pagare un tasso di interesse periodale pari alla somma del tasso corrispettivo e della mora. Questa considerazione esclude che il TEG contrattuale ai fini della verifica dell'usura possa corrispondere alla sommatoria dei tassi e che da tale, erroneo, presupposto possa derivare l'invalidità del tasso degli interessi corrispettivi. Va inoltre precisato che, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia, non può tenersi conto della commissione prevista per l'anticipata estinzione del mutuo. Il debitore che decide di estinguere anticipatamente il mutuo esercita una facoltà contrattualmente riconosciutagli in cambio di un corrispettivo. La commissione di estinzione anticipata, corrisposta dal debitore per la ipotesi in cui si avvalga della facoltà prevista in contratto costituisce, pertanto, una componente del corrispettivo del contratto che non sembra riconducibile alla categoria del vantaggio usuraio, né qualificabile come un costo connesso alla erogazione del credito, sicché la stessa va esclusa dalla verifica del (...) Sulla base della citata pronuncia delle (...) per i contratti - come quello in questione - conclusi dal 1 aprile 2003 (data di entrata in vigore del D.M. 25 marzo 2003) al 30 giugno 2011, il tasso soglia di mora si determina sommando al T.E.G.M. il valore del 2,1% (maggiorazione media interessi di mora indicata nei (...)), il tutto maggiorato del 50% e(...) art. 2, comma 4, L. 108/1996 pro tempore vigente. Nel caso di specie, l'attore ha stipulato il contratto di mutuo fondiario in data (...), per un importo pari ad Euro 340.000,00, alle seguenti condizioni economiche: TAN non inferiore al 4,50% nominale annuo, né superiore al 7,50% nominale annuo; - (...) 4,690%; - (...) 7,50% (TAN + 3%). Sulla base del D.M. Economia e (...) del 18.09.2003, l'ausiliario ha rilevato che, nel mese di aprile 2004, il tasso effettivo globale medio per la categoria "mutui" era pari al 4,17%. Alla luce dei principi enunciati dalle (...) della Corte di (...) ed in particolare dei criteri di verifica della soglia usura dei tassi d'interesse di mora, va esclusa l'usura ab origine, tanto in relazione al tasso d'interesse corrispettivo pari, per la prima rata, al 4,50%, a fronte del tasso soglia del 6,255%, quanto in relazione al tasso di mora, pari al 7,50%, a fronte del tasso soglia usura del 9,405% (4,17% + 2.1, con successiva maggiorazione del 50%). Sulla base del piano di ammortamento sviluppato alla pagina 20 dell'elaborato peritale, l'ausiliario ha proceduto al calcolo del (...) con inclusione delle spese di istruttoria, delle spese di incasso rata e delle spese per comunicazioni periodiche annuali, giungendo alla conclusione che il TEG corrispettivo annuo del 4,6558% risulta inferiore al tasso soglia del 6,255%. (...) ha altresì accertato un TEG di mora pari al 7,6558%, a fronte di un tasso soglia di mora del 9,405%, emergendo pertanto il mancato superamento del tasso soglia anche per gli interessi di mora. Quanto alla verifica della corrispondenza del tasso effettivo applicato a quello pattuito, il ctu ha sostenuto di non aver potuto effettuare tale valutazione, in ragione dell'assenza in atti del piano originario di ammortamento e delle relative quietanze, la cui produzione documentale spettava all'attore, sul quale incombe l'onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto vantato in giudizio ai sensi dell'art. 2697 c.c. Da ultimo, l'eccezione di nullità del contratto per indeterminatezza del tasso applicato e di nullità degli interessi per fraudolenta alterazione del tasso (...) sollevata dall'attore nella comparsa conclusionale, non rileva ai fini del giudizio in quanto costituisce un ampliamento del thema decidendum, A tal proposito, va osservato che "la comparsa conclusionale assolve unicamente una funzione illustrativa delle domande e delle eccezioni ritualmente introdotte nel giudizio e sulle quali si sia instaurato il contradditorio delle parti, non potendo di regola contenere domande o eccezioni nuove" (Cass. civ. n. 315/2012). Ad ogni buon conto, va rilevato che l'art. 117, comma 4, TUB stabilisce che "I contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora". Nel caso di specie, l'art. 3 del contratto di mutuo del 21.04.2004 indica che "il capitale preso a mutuo dovrà essere restituito dalla parte mutuataria alla mutuante (...) in n. 180 rate mensili posticipate ciascuna di Euro 2.601,65 scadenti la prima il 21 maggio 2004 e l'ultima il 21 aprile 2019, tutte comprensive di capitale e di interessi" e che "la parte mutuataria si obbliga a corrispondere alla mutuante l'interesse scalare nella misura iniziale del 4,50% nominale annuo da dividere per dodici al fini del calcolo del tasso mensile", prevedendo l'applicazione di un interesse non inferiore al tasso soglia del 4,50% e non superiore al 7,50% per la prima mensilità, mentre per il periodo successivo un tasso di interesse indicizzato al parametro (...) Il suddetto documento contrattuale dispone altresì un interesse di mora nella misura nominale annua di tre punti percentuali in più del tasso contrattualmente previsto, sicché devono ritenersi sufficientemente determinate le condizioni economiche del contratto. Quanto all'asserita nullità degli interessi per fraudolenta alterazione del tasso (...) va osservato che la (...) ha multato alcuni (...) bancari per un accordo finalizzato alla manipolazione dell'indice (...) in riferimento al periodo da settembre 2005 al maggio 2008. Nel caso di specie, l'attore non ha fornito alcuna prova del suddetto accordo manipolativo, atteso che il contratto di finanziamento in esame è stato stipulato in data (...), dunque antecedentemente il periodo innanzi indicato. Parimenti, va disattesa l'eccezione di nullità del contratto di mutuo per mancata allegazione del piano di ammortamento, sollevata dall'attore nella memoria di replica, stante la tardività della deduzione relativa a circostanza di fatto. Ad ogni buon conto, atteso che l'onere di produzione del piano di ammortamento incombe sull'attore, che agisce per la ripetizione delle somme illegittimamente percepite dalla (...) (nella specie non assolto), va rilevato che il piano di ammortamento non è un elemento essenziale ai fini della validità del contratto (Cass., n. 12922/2020). Ed invero, la mancata consegna del piano di ammortamento al momento della conclusione del contratto non comporta alcuna violazione da parte della (...) né tantomeno rende indeterminato l'oggetto del contratto, nell'ipotesi in cui nello stesso siano riportate tutte le condizioni economiche relative all'ammortamento, il numero di rate e la relativa modalità di calcolo, come nel caso di specie. Consegue all'accertamento della legittimità della condotta tenuta dalla (...) il rigetto della domanda di risarcimento danni, formulata dall'attore, in difetto di prova documentale idonea a dimostrare la sussistenza del danno. Alla luce delle considerazioni svolte, le domande attoree vanno rigettate. Quanto alle spese di lite, l'intervento in corso di giudizio della pronuncia delle S.U., dirimente delle questioni controverse, giustifica la compensazione delle spese di lite per metà, poste per il residuo, come da dispositivo e secondo i parametri medi del D.M. 147/2022, a carico dell'attore soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Bari definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) con citazione del 17.07.2017, nei confronti della (...) ed (...) di (...) Coop., così provvede: 1) rigetta le domande attoree; 2) condanna l'attore al rimborso, in favore della convenuta, della metà delle spese processuali, liquidate per l'intero in Euro 14.103,00 per compensi, oltre spese di ctu, 15% per spese generali, cpa ed iva come per legge, e compensa fra le parti le spese residue, pari alla metà delle somme di cui innanzi. Così deciso in Bari il 3 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2024.
TRIBUNALE DI BARI Il Tribunale di Bari, in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa (...) ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. (...)/2013 R.G. e PROMOSSA DA (...) rappresentata e difesa giusta procura in atti dagli avv.ti (...) e (...) ATTRICE CONTRO (...) rappresentato e difeso giusta procura in atti dall'avv. (...) CONVENUTO all'udienza del 12.07.2023 la causa veniva posta in decisione, con assegnazione dei termini ordinari di cui all'art. 190 c.p.c., Svolgimento del processo - Motivi della decisione Con atto di citazione notificato in data (...) conveniva in giudizio (...) chiedendo di accogliere le conclusioni indicate in epigrafe. (...) riferiva che in data (...), con atto per notar (...) (rep. (...), racc. (...)) aveva acquistato unitamente al marito (...) un appartamento sito in (...) alla via (...) n. 14, a fronte di un corrispettivo di Euro 315.000,00. La somma veniva corrisposta con la seguente modalità: Euro 50.000,00 con assegni intestati alla parte venditrice, il saldo di Euro 265.000,00 mediante la corresponsione del provento del mutuo contratto a tal fine. In particolare, riferiva che insieme al (...) aveva contratto due mutui ipotecari in data (...), uno per la somma di Euro 140.000,00 (da restituire mediante il pagamento di 240 rate di Euro 871,03) e l'altro per la somma di Euro 154.612,50 (da restituire nell'arco di 24 mesi). Il secondo mutuo veniva successivamente estinto dal (...) mediante l'impiego del ricavato della vendita di altro immobile di cui la (...) era proprietaria e sui cui gravava un diritto di usufrutto in favore dei suoi genitori (detto immobile era stato venduto in data (...) a fronte di un corrispettivo di Euro 160.000,00, di cui Euro 100.000,00 per la nuda proprietà ed Euro 60.000,00 per il diritto di usufrutto dei genitori). Effettuata la vendita dell'immobile citato, (...) padre dell'attrice, aveva versato l'assegno di Euro 60.000,00 (rinveniente dalla vendita dei diritti di usufrutto) sul libretto nominativo n. 401201637 intestato anche al (...) In data (...) il (...) "prelevava la somma di Euro 59.986,38 dal suddetto libretto e con il provento rinveniente dalla cessione della nuda proprietà da parte della sig.ra (...) provvedeva ad estinguere il secondo mutuo contratto con la (...) S.p.A.". In virtù di tanto, l'attrice deduceva che essendo stato estinto il secondo mutuo tramite l'impiego del suo denaro, doveva ritenersi che quest'ultima avesse provveduto a pagare il 50% dell'appartamento di via (...) e di conseguenza, il restante 50% del mutuo doveva essere corrisposto interamente dal (...) nonostante questo fosse cointestato. Nonostante ciò, il (...) aveva omesso di provvedere al pagamento delle rate del menzionato mutuo a partire dal 10.12.2012, maturando un debito Euro 110.495,25. In ragione di tanto, ed essendo la stessa impossibilitata a saldare le rate del mutuo in quanto priva di occupazione, aveva chiamato in giudizio il (...) affinché venisse accertato il suo inadempimento. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data (...) si costituiva (...) confermando in parte la ricostruzione dei fatti formulata dall'attrice (con riferimento all'acquisto dell'immobile tramite il versamento di Euro 50.000,00 a mezzo assegno circolare ed Euro 265.000,00 tramite l'accensione di due mutui nonché riguardo al versamento di Euro 100.000,00 da parte della (...) ma contestava che la somma di Euro 60.000,00, versata sul libretto (...) cointestato a lui ed al suocero (...) fosse imputabile alla (...) in quanto detta somma era un regalo fatto dal padre di quest'ultima al genero, il quale avrebbe potuto destinarli a qualsiasi fine. Riferiva che l'acquisto dell'immobile in questione aveva comportato (solo per il convenuto) ulteriori esborsi: "a) Euro 11.340,00 quale provvigione per la agenzia immobiliare, b) Euro 1.036,00 per perizia tecnica e polizza assicurativa, c) Euro 10.400,00 per spese notarili e di registro, d) Euro 29.193,00 quali interessi corrisposti alla (...) sul capitale a mutuo, e) Euro 29.504,00 per quota capitale versata alla data del 31/12/2012, f) Euro 50.000,00 per acconti in favore del venditore (...) g) Euro 60.000,00 per estinzione anticipata del secondo mutuo". Inoltre, evidenziava che non rispondeva al vero che la (...) non potesse partecipare al pagamento del mutuo in quanto priva di occupazione (atteso che quest'ultima, di contro, lavorava presso la (...) di (...) e ribadiva di non riuscire a far fronte da solo al pagamento del mutuo poiché era gravato di numerose spese, tra cui Euro 400,00 a titolo di assegno di mantenimento in favore della (...) Alla prima udienza del 04.12.2013, su istanza delle parti costituite, venivano concessi i termini e(...) art. 183 comma VI c.p.c. Depositate le memorie istruttorie, il Giudice, con ordinanza del 12.01.2015, ritenuta la causa matura per la decisione senza la necessità di assumere i mezzi istruttori, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni. La causa, dunque, veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti all'udienza indicata in epigrafe, con assegnazione dei termini e(...) art. 190 c.p.c. Le domande formulate dall'attrice non sono fondate e vanno pertanto rigettate Dalla documentazione prodotta dalle parti risulta che il mutuo ipotecario contratto in data (...) (rep. (...)), rispetto al quale l'attrice lamenta l'inadempimento da parte dello (...) è stato contratto da entrambi, i quali erano obbligati in via solidale a saldarne le rate. Col dato documentale, di per sé incontrovertibile, contrasta quanto dichiarato dall'attrice, ovvero l'assunto secondo cui il solo (...) avrebbe dovuto far fronte all'obbligazione assunta, sia in ragione della mancanza di redditi da parte della (...) per provvedervi sia in ragione di quanto corrisposto inizialmente da quest'ultima per l'acquisto dell'immobile. Tale asserito patto verbale, regolante i rapporti interni tra i condebitori, non è stato provato né la sua esistenza può desumersi dal dato documentale. (...) attoreo secondo cui "risulta evidente che il sig. (...) doveva provvedere al pagamento integrale delle rate di mutuo sia perché la metà era stata onorata già dalla sig.ra (...) sia per le statuizioni rese dalla Corte di Appello di Bari" è infondato. Innanzitutto, la citata ordinanza resa dalla Corte di Appello in sede di reclamo proposto avverso l'ordinanza presidenziale separativa, al contrario di quanto affermato dalla stessa, nulla stabilì in merito all'assegnazione della casa coniugale (tanto meno sul dovere di contribuzione al pagamento del mutuo cointestato ai coniugi), riportando unicamente che l'uso da parte della (...) pur non essendo collocataria della prole (collocata, invece, ab origine presso il padre), avveniva "in base alla disponibilità manifestata dal marito che, come emerge dal verbale dell'udienza presidenziale, ha inteso cedergliene l'uso gratuitamente". Inoltre, nulla può desumersi dal fatto che la (...) avesse già versato la somma incamerata dalla vendita del suo immobile (circa Euro 100.000,00) per far fronte all'acquisto della casa coniugale, in quanto non risulta minimamente provato che i coniugi avessero concordato di ripartire a metà la spesa per l'acquisto della casa né che il conferimento della (...) valesse a saldare la sua "parte" di debito (motivo per il quale la domanda volta ad "accertare e dichiarare che la sig.ra (...) ha provveduto a versare il 50% del prezzo dell'immobile in (...) alla Via (...) n. 14, piano 1, di tre vani ed accessori e, conseguentemente" è di per sé infondata). A ciò si aggiunga che l'importo di Euro 60.000,00 (seppur di importo eguale al ricavato della vendita del diritto di usufrutto su un altro immobile, spettante ai genitori dell'attrice), che la (...) nella presente sede ha inteso autoattribuirsi, in realtà risulta per tabulas che venne versato dal padre di quest'ultima su un libretto (...) cointestato a detto padre ed all'odierno convenuto (ma non all'attrice), motivo per cui ad oggi non si comprende come detto importo potrebbe essere giammai inteso quale posta attiva facente a lei capo ai fini dell'estinzione di uno dei due mutui contratti per l'acquisto della casa coniugale. In ogni caso, salvo patto contrario (la cui esistenza deve essere adeguatamente provata) il conferimento che il coniuge fa durante la vita coniugale, proprio perché posto al fine di realizzare un progetto di vita comune, non può essere incasellato in un contesto di stretta sinallagmaticità, atteso che i coniugi devono concorrere in base alla "sostanze" di cui dispongono. Pertanto, l'aver contribuito in misura maggiore o "per la propria parte" ai bisogni della famiglia non dà diritto ad una "controprestazione", essendo il dovere di contribuzione di cui all'art. 143 c.c. da intendersi in senso solidaristico. Vero è che i coniugi possono imprimere alle prestazioni economiche una causa diversa e specifica, ma tanto deve essere sufficientemente provato dalla parte che ne afferma la diversa natura (cfr. Cass. Civ. sez. III, ord., 21 febbraio 2023 n. 5385). Inoltre, se la prestazione in questione è stata eseguita inizialmente come volta a realizzare un progetto di vita familiare (e quindi irripetibile), questa non può mutare la propria causa in un secondo momento, divenendo una prestazione avente carattere negoziale. Non essendo stato provato nulla in senso contrario, deve ritenersi che i coniugi, prima della separazione, non abbiano inteso ripartire in maniera specifica il loro impegno nel saldare l'obbligazione contratta, lasciando la loro contribuzione generica e regolata in base alle risorse all'epoca a disposizione di ciascuno Tale metodo di ripartizione, tuttavia, è mutato a seguito dell'intervenuta separazione dei coniugi. La stessa Corte di Cassazione ha precisato che: "In caso di interruzione del rapporto coniugale per effetto di separazione, entrambi i coniugi possono decidere di continuare a pagare normalmente le rate del mutuo. Ma se uno dei due coniugi non vuole più pagare le rate del mutuo, così rinunciando al diritto di proprietà sulla casa, l'altro coniuge può accollarsi interamente il mutuo, versando le rate mancanti fino all'estinzione dello stesso (e, qualora scelga di mantenere lo stesso istituto del credito in cui ha acceso il mutuo, addivenendo con la banca mutuante alla modifica dell'intestazione del mutuo). La ripetibilità potrà essere fatta valere solo dalla data della separazione e per le somme successivamente pagate (cfr. Cass., sent. n. 1072/2018), purché l'accollo del mutuo da parte di uno solo dei coniugi non sia imposto dal Giudice quale contributo al mantenimento del coniuge o dei figli, o non sia previsto negli accordi delle parti" (cfr. Cass. Civ. sez. III, ord., 21 febbraio 2023 n. 5385). Chiarito che a seguito dell'intervenuta separazione tra i coniugi sussiste l'obbligo di entrambi i coniugi di contribuire al pagamento del mutuo ipotecario cointestato contratto per l'acquisto della casa coniugale, salvo la volontà di uno dei due coniugi di accollarsi per intero la rata del mutuo e salvo che tale accollo non sia stato disposto dal Giudice, e considerato che nel caso di specie non si ravvisa alcuna di tali circostanze, devesi ritenere che il danno economico rappresentato dalla perdita dell'immobile (ormai venduto all'asta nel 2016 nell'ambito di una procedura esecutiva avviata dai creditori), al contrario di quanto sostenuto dall'attrice, sia imputabile alla negligenza di entrambe le parti. Occorre evidenziare, infatti, che con missiva, in atti, del 29.05.2013 lo (...) notiziava la (...) di non riuscire più far fronte da solo al pagamento delle rate del mutuo e, pertanto, le proponeva la vendita dell'immobile in questione per estinguere il debito, così da evitare l'eventuale danno economico che sarebbe conseguito in caso di instaurazione della procedura esecutiva (cfr. allegato all. n.15 dell'atto di citazione). Sta di fatto che entrambe le parti, seppure solidalmente obbligate nei confronti della banca, hanno omesso di saldare le rate del mutuo ipotecario, pur consapevoli che tale inadempimento avrebbe dato la stura alla procedura esecutiva, cui sarebbe conseguita la vendita all'asta dell'immobile per un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato e con aggravio delle spese relative alla procedura esecutiva (tant'è che l'immobile, acquistato per Euro 315.000,00 veniva poi aggiudicato a seguito di asta nel 2016 al corrispettivo di Euro 138.750,00). A tal proposito, l'art. 1227 comma II c.c. stabilisce che il "il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza". Considerato che l'evento lesivo citato era stato previsto e, dunque, poteva essere evitato dalla (...) essendo la stessa condebitrice verso la banca mutuante e comproprietaria dell'Immobile, deve essere esclusa qualsiasi responsabilità esclusiva dello (...) nei confronti della (...) Pertanto, anche la domanda di risarcimento formulata dalla (...) (peraltro in maniera del tutto generica, non essendo stata indicata neppure la causa petendi a fondamento di tale domanda) è infondata e deve essere rigettata. Al rigetto, per le ragioni innanzi esposte, di tutte le domande formulate dalla (...) consegue, in ragione della soccombenza, la condanna dell'attrice alla rifusione delle spese di lite sostenute dal convenuto, liquidate in dispositivo secondo i parametri del D.M. n. 147 del 2022 (dovendosi applicare i parametri vigenti all'esaurimento della prestazione difensiva, che nel giudizio de quo si è conclusa in epoca successiva all'entrata in vigore del D.M. n. 147 del 2022), considerato il valore dichiarato della causa ("indeterminabile", ritenuto "di complessità bassa") e tenuto conto della concreta attività difensiva espletata dai difensori (involgente le fasi di studio, introduttiva e decisoria liquidate secondo i parametri medi mentre quella istruttoria liquidata secondo i parametri minimi, essendosi concretizzata nel mero deposito di alcune memorie e(...) art. 183 comma VI c.p.c.). P.Q.M. il Tribunale di Bari Prima Sezione Civile, in composizione monocratica in persona del Giudice dott.ssa (...) definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. (...)/2013 R.G., disattesa ed assorbita ogni ulteriore istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: 1) rigetta le domande di parte attrice; 2) condanna l'attrice alla rifusione delle spese sostenute dal convenuto nel predetto giudizio, che liquida in Euro 6.713,00 per compensi, oltre accessori di legge se dovuti nonché al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%. Così deciso in Bari, il 12 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE Dott.ssa Antonietta GUERRA con la presenza del P.M., V.P.O. avv. GIOVANNI ARALLA e con l'assistenza del Cancelliere Esperto, dott.ssa Antonella RANIERI, ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro: Pa.Sa., nato a B. il (...) e residente a B. Ca. alla Via D. B. n.23, libero, già assente, non comparso; assistito e difeso, di fiducia, dall'Avv. Fa.Ca., del Foro di Bari - presente; Ca.Vi., nato a B. il (...) e residente a B. Ca. alla Strada S. n.3, libero, già assente, non comparso; assistito e difeso, di fiducia, dall'Avv. Fa.Ca., del Foro di Bari - presente; IMPUTATI Pa.Sa. Artt. 110 e 81 c.p., 116 co. 15 e 17 del C.d.S., 256 co. 1 e 3 del D.Lgs. n. 152 del 2006, per aver egli, unitamente al sopra generalizzato indagato Ca.Vi., alla guida dell'autocarro targato (...) con patente revocata, peraltro già condotto nel biennio precedente a questo nonostante la suddetta revoca, raccolto e trasportato rifiuti speciali senza l'autorizzazione normativa all'uopo prescritta, abbandonandoli incontrollatamente su suolo privato, sul quale, cosi, veniva di fatto realizzata una discarica abusiva; In Modugno, accertato il 21 gennaio 2020 Ca.Vi. Artt. 110 c.p. e 256 commi 1 e 3 del D.Lgs. n. 152 del 2006, per aver egli, in concorso con l'innanzi generalizzato indagato Pa.Sa., a bordo del cui autocarro targato (...) viaggiava in qualità di passeggero, effettuato la raccolta ed il trasporto di rifiuti speciali in assenza dell'autorizzazione normativa a tal fine richiesta, abbandonandoli in modo incontrollato su terreno privato, sul quale, così, veniva di fatto sostituita una discarica abusiva; In Modugno, accertato il 21 gennaio 2020 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 03.05.2021 il P.M. presso il Tribunale di Bari citava a giudizio, innanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, Pa.Sa. e Ca.Vi., per rispondere dei reati descritti in epigrafe. Le udienze del 21.09.2021 e del 26.04.2022 venivano rinviate, con sospensione dei termini prescrizione, al fine di consentire al difensore degli imputati di munirsi di procura speciale All'udienza del 11.10.2022 veniva dichiarato aperto il dibattimento, le parti formulavano le rispettive richieste istruttorie che il Tribunale ammetteva. All'udienza del 10.10.2023, con il consenso delle parti, veniva acquisita l'annotazione di servizio redatta, in data 22.01.2021, dal Corpo Polizia Locale - Nucleo Polizia Giudiziaria Ecologia e Tributi, unitamente agli allegati, ai fini della piena utilizzabilità; sicché veniva ascoltato, con domande a chiarimento, il V. Sov. L.A.. Le parti rinunciavano all'ascolto del teste Sov. T.G. e il Tribunale revocava la relativa ordinanza ammissiva. All'udienza del 05.12.2023, preso atto della mancata traduzione dell'imputato P., detenuto per altra causa, il Giudice rinviava il procedimento per l'espletamento dell'esame degli imputati e la discussione. All'udienza del 16.01.2024, stante l'assenza degli imputati, le parti venivano dichiarate decadute dal relativo esame, sicché il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale, invitando le parti alla discussione. Le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e il Giudice rinviava il procedimento per repliche. All'udienza odierna, in assenza di repliche del Pubblico Ministero, il Giudice decideva come da dispositivo letto all'esito dell'udienza e deposito di motivazione contestuale. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere affermata la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati contestati in rubrica. Gli elementi a carico degli imputati si evincono plasticamente dalla C.N.R. redatta dalla Ripartizione Polizia Municipale di Bari - Settore Polizia Giudiziaria - Ecologia - Tributi - Annona, nonché dai relativi allegati e, nella specie dall'annotazione di servizio, dal video ripreso dagli agenti, dai rilievi della discarica, dai rilievi fotografici delle foto-trappole, dal verbale di sequestro giudiziario, dall'accertamento sulla patente di guida di P., dal verbale di accertamento della Polizia Locale di Bari del 19.10.2019, dal verbale di fermo amministrativo autocarro, dal verbale di elezione di identificazione, nomina difensore di fiducia e elezione di domicilio, tutti atti confluiti nell'incartamento processuale e pienamente utilizzabili. È dato evincere dall'annotazione di servizio redatta dal Corpo Polizia Locale di Bari - Settore Polizia Giudiziaria - Ecologia - Tributi - che: " In data 14.01.2020 personale della Polizia Giudiziaria di questo Comando, posizionava una foto-trappola lungo il percorso sterrato che attraversa il vasto fondo agricolo privato aperto a pubblico passaggio con accesso dalla S.P 110 Modugno- Carbonara fronte complesso "Bari Domani" con estensione fino alla via delle M., con l'intento di sorprendere gli ignoti che in diversi e ripetuti momenti avevano dato luogo alla creazione di fatto di una discarica abusiva incontrollata scoperta dalla scrivente P.G. a seguito di alcuni sopralluoghi effettuati in date antecedenti. Durante tali sopralluoghi, erano stati individuati diversi siti ove erano stati abbandonati in modo incontrollato rifiuti speciali eterogenei chiaramente provenienti da attività economiche e diverse tracce di rifiuti a cui era già stato dato fuoco. In data 21.01.2020 verso le ore 09.00 circa, l'equipaggio composto dal Sovr. T.G. e il V. Sov. Lu.An., si recava presso la zona di installazione dell'apparecchio fotografico per le operazioni di sostituzione del pacco batterie e per il recupero della memory card contenenti le eventuali immagini catturate nei giorni precedenti. Alle ore 09.15 dello stesso giorno, durante le operazioni sopra descritte, sopraggiungeva un autocarro marca IVECO modello CASSONATO RIBALTABILE targato (...) carico di rifiuti non pericolosi derivanti da attività economica. Il conducente e il passeggero non si accorgevano della presenza degli agenti e spediti si addentravano nel fondo agricolo. Alle ore 09.30 circa, all'interno del suddetto fondo agricolo, il conducente del veicolo dopo essersi fermato dietro un grosso cespuglio con l'intento di occultarsi dalla vista dei veicoli circolanti sulla strada, scendeva dal veicolo assieme al suo passeggero. Intuite le loro intenzioni, gli agenti di P.G. provvedevano a riprendere tramite i propri smartphone quanto stesse accadendo. I due uomini, dopo essersi guardati attorno, rimuovevano la doppia sponda posteriore del cassone e avviavano il sistema idraulico di ribaltamento dello stesso svuotando parte del carico trasportato; le loro operazioni di scarico, venivano interrotte dagli agenti che, dopo essersi qualificati provvedevano alla loro identificazione. Lo sversamento, avvenuto nel fondo agricolo di cui al Fg. (...) part. (...) del catasto di Bari, consistente in un grosso cumulo di rifiuti speciali non pericolosi caratterizzati da un cospicuo quantitativo di materiale legnoso residuo di demolizione mobilio assimilabile al codice C.E.R. 19.12.07, materiale plastico consistenti in diversi secchi in plastica assimilabili al codice C.E.R. 19.12.04 e diversi pezzi di zanzariere in metallo assimilabili al codice C.E.R. 19.12.02, avveniva su un cumulo di rifiuti di eguale caratteristiche occupante un'area di circa 10mt lunghezza x 10t larghezza x 3mt. Invitati i soggetti presso gli uffici di questa P.G., venivano identificati e a seguito di accertamenti esperiti, emergeva che il conducente e proprietario del veicolo, Sig. Pa.Sa. nato a B. (1) il (...) e residente in B.-C. (B.) alla via D. B., 23-identificato tramite Carta di Identità nr. (...) ril. il 16.04.2019 da Ministero dell'interno, non era iscritto all'Albo dei Gestori Ambientali, pertanto, ravvisata la violazione in concorso come previsto dall'art. 110 c.p. in relazione agli artt. 212.256.co.1 e 256 co.3 del D.Lgs. n. 152 del 2006, il veicolo utilizzato per commettere il suddetto reato, veniva sequestrato ai sensi dell'art. 321 co. 3 bis c.p.p. ed affidato alla depositeria giudiziaria Officina Ca. con sede e deposito in B. alla S.da T. civ. 35 giusto Prot. (...); altresì non essendo possessore di patente poiché revocata il 20.12.2016 dal Ministero dell'Interno e che lo stesso era stato sanzionato ai sensi dell'art. 116 co. 15 e 17 del C.d.S. in data 19.10.2019, da personale del settore viabilità della Polizia Locale di Bari, poiché sorpreso alla guida del medesimo autocarro e che in pari data il veicolo veniva sottoposto a fermo amministrativo ex art. 214 C.d.S., essendo trascorsi oltre i 60 giorni dalla data di notifica del verbale su citato e che, non essendo stato prodotto ricorso e/o pagamento della sanzione pecuniaria nei termini consentiti, oltre ai reati su menzionati veniva ravvisata col conducente Pa.Sa. il reato previsto dall'art. 116 commi 15 subset 17 del C.d.S. per reiterata guida senza patente e pertanto veniva redatto Verbale di Identificazione, nomina difensore di fiducia e elezione di domicilio Prot. (...). 11 veicolo, circolante nonostante fosse precedentemente sottoposto a fermo amministrativo, oltre ad essere sequestrato ai sensi dell'art. 321 c.p.p. veniva dagli agenti sequestrato ai sensi degli artt. 214 co. 8 e 213 C.d.S. Il passeggero e collaboratore del Pa. veniva identificato come tale sig. Ca.Vi. nato a B. (0) (...) e residente in B. Ca. (B.) alla S.da S. civ. 3 identificato tramite Carta di Identit nr. (...) ril il 29.07.2014 da Comune di Bari e a suo carico veniva redatto Verbale di Identificazione, nomina difensore di fiducia e elezione di domicilio Prot. (...) per i reati previsti dall'art. 110 c.p. in relazione agli artt. 212, 256 co.l e 256 co.3 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Presso gli uffici di questa Pa. G.,si provvedeva a visionare le immagini recuperate dalla memory card della foto- trappola ove si denotava i ripetuti passaggi del medesimo veicolo, sempre con il cassone pieno di rifiuti, avvenuti nei giorni precedenti cosi come segue: 1. ore 09.00 del 15.01.2020; 2.ore 09.52 del 15.01.2020; 3.ore 10.29 del 15.01.2020; 4.ore 08.04 del 16.01.2020; 5.ore 11.28 del 16.01.2020; 6. ore 08.29 del 17.01.2020; 7. ore 10.59 del 17.01.2020; 8.ore 09.05 del 18.01.2020. Osservando gli ingrandimenti delle foto sopra elencate, si denotava la presenza sul cassone del veicolo di rifiuti generici vari e si distinguono senza dubbio alcuno i c.d. BIG BAG di materiale ligneo e ondulati. Tali BIG BAG e bustoni di colore nero, venivano individuati abbandonati in diversi punti lungo tutta l'estensione dell'area interessata dagli abbandoni e gli stessi contenevano rifiuti speciali non pericolosi di diversa natura (tra cui guaine in gomma di cablaggi elettrici, residui di materiale isolante spugnoso, residui plastici di officine meccaniche, ingombranti domestici ecc. ecc.). Pertanto, da quanto emerso si ravvisa a carico dei soggetti su identificati, l'attività di raccolta e trasporto di rifiuti senza la prescritta autorizzazione e il conseguente ripetuto abbandono degli stessi su suolo privato aperto a pubblico passaggio realizzando di fatto una attività di discarica abusiva. Per quanto concerne l'individuazione della proprietà del suolo, sono in corso accertamenti. All'udienza del 10.10.2023 si procedeva all'escussione del teste L.A., all'epoca dei fatti vice sovraintendente della Polizia Locale, il quale confermava il contenuto della annotazione a sua firma e dichiarava che l'ingombro dello sversamento della discarica a cielo aperto "beccata sul fatto" era di circa 3 metri di altezza e di circa 3/5 metri quadri in estensione; il teste ad ogni modo riferiva che nella zona di accertamento avevano collocato diverse fototrappole volte a ricostruire l'identità dei soggetti che, già da alcune settimane, avevano effettuato sversamenti in tutta l'area denominata "Bari Nuova". Infatti, vi era un video che ritraeva entrambi gli imputati mentre effettuavano lo scarico dei materiali di risulta, come individuati dall'annotazione di servizio in atti. Il teste precisava, inoltre, che dalle immagini estrapolate dalle fototrappole si osservava il medesimo furgone, di cui non ricordava le dimensioni ma precisava essere un camion ribaltabile, il quale, in diverse giornate e orari differenti, faceva accesso all'area con carico pieno e ne usciva vuoto; ha, inoltre, sottolineato che si evinceva perfettamente la targa del furgone, anche se le persone a bordo non venivano riprese. Il teste riferiva di aver ricondotto con certezza le attività illecite ai due imputati in quanto in seguito ad appostamenti giornalieri in sera tarda - finalizzati a tentare di cogliere in flagranza i responsabili degli sversamenti - il 21.01.2020, mentre era appostato unitamente al collega, vedeva arrivare il furgone, dunque osservava i due imputati intenti a scaricare i rifiuti; al termine dello sversamento, pertanto, si faceva avanti, si qualificava e identificava il Pa. e il C.. Orbene, gli elementi oggettivi sin qui rappresentati consentono di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale di entrambi gli imputati in ordine alla commissione dei reati loro ascritti. In merito alla posizione del P., sussiste la penale responsabilità dello stesso sia per il reato di guida senza patente di cui all'art. 116, co. 15 e 17, C.d.S., che per il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata, seppur con le precisazioni che seguiranno. In riferimento al reato di guida senza patente, contestato nell'ipotesi aggravata dalla recidiva nel biennio, deve premettersi che detta fattispecie non è stata depenalizzata dall'art. 1 del D.Lgs. n. 15 gennaio 2016, n. 8, poiché si configura come fattispecie autonoma di reato, rispetto alla quale la recidiva integra un elemento costitutivo (Cass. Sez. 4 n. 42285 del 10/5/2017). Il D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 1, comma 2, ha, infatti, escluso espressamente l'applicabilità dell'intervenuta abrogatio criminis alle ipotesi aggravate delle fattispecie, invece incluse nell'intervento di depenalizzazione, riguardando solo le violazioni "per le quali è prevista la sola pena della multa e dell'ammenda" (art. 1 comma 1); il comma 2 della disposizione, peraltro, ha delimitato espressamente l'ambito di applicazione della disciplina del primo comma, prevedendo che - se alla fattispecie base punita con la sola pena pecuniaria è associata anche una ipotesi aggravata punibile con pena detentiva, anche alternativa e congiunta - la stessa deve ritenersi figura autonoma di reato, come tale esclusa, quindi, dal novero delle fattispecie per le quali opera l'intervento abrogativo. Ai fini dell'integrazione della recidiva nel biennio idonea, ai sensi del D.Lgs. n. 5 gennaio 2016, n. 8, art. 5, ad escludere il reato dall'area della depenalizzazione, non è sufficiente che sia intervenuta la mera contestazione dell'illecito depenalizzato ma è necessario che questo sia stato definitivamente accertato (Cass. Sez. 4, n. 6163 del 24/10/2017; Cass. Sez. 4, n. 27504 del 26/04/2017; Cass. Sez. 4, n. 48779 del 21/09/2016). Tale orientamento, si richiama alla definizione del concetto di "recidiva nel biennio" che è stata formulata per l'identica locuzione rinvenibile nella disciplina del reato di guida in stato di ebbrezza, in relazione al quale non si è mai dubitato che essa implichi l'avvenuto definitivo accertamento giudiziale di un precedente reato della medesima specie, con la sola precisazione che ai fini della recidiva occorre guardare alla data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto-reato precedente rispetto a quello per il quale si procede e non la data di commissione dello stesso (Cass. Sez. 4, n. 40617 del 30/04/2014). Detta impostazione deve essere confermata anche per la recidiva di illeciti amministrativi in caso di guida senza patente, avuto riguardo alla previsione del D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 5, secondo cui "Quando i reati trasformati in illeciti amministrativi ai sensi del presente decreto prevedono ipotesi aggravate fondate sulla recidiva ed escluse dalla depenalizzazione, per recidiva è da intendersi la reiterazione dell'illecito depenalizzato". In tal senso il "nuovo" reato di guida senza patente contempla una nozione di recidiva che attribuisce rilevanza agli episodi di guida senza patente non più aventi rilievo penale, i quali tuttavia devono essere stati accertati in via definitiva dall'autorità amministrativa, essendo evidente che fino a quando la (precedente) violazione amministrativa sia suscettibile di annullamento, di essa non si potrà tenere conto ai fini della sussistenza del reato in questione. Posti tali principi, nel caso che ci occupa, come emerge chiaramente dalla documentazione allegata alla c.n.r. confluita in atti, nella specie dall'accertamento sulla patente della scheda contenente i dati anagrafici acquisiti da M., sì può ritenere pacificamente provato il carattere definitivo dell'accertamento dell'illecito amministrativo e, dunque, la commissione del reato in contestazione. Né, tantomeno, l'imputato ha fornito una versione alternativa dei fatti. Quanto al secondo reato contestato sia al Pa. che al Ca., alla luce di quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale, la relativa condotta, addebitata a titolo di concorso, deve sussumersi esclusivamente nella fattispecie di cui all'art.256, co.1, del D.Lgs. n. 152 del 2006 non ravvisandosi nel caso di specie gli indici sintomatici della sussistenza del diverso delitto di discarica abusiva, invece, previsto al co. 3. Orbene, deve precisarsi, che il reato di gestione di rifiuti non autorizzata, previsto dall'art. 256, co.1, D.Lgs. n. 152 del 2006, non ha natura di reato proprio, ovvero esso non trova applicazione solo con riguardo ai soggetti considerati dal co. 2, bensì costituisce - come suggerito dal tenore letterale della norma - un' ipotesi di reato comune realizzabile da chiunque svolga tale attività di fatto o in modo secondario, purché non del tutto occasionalmente, e che, per la sua natura istantanea, si perfeziona anche con una sola delle condotte alternativamente previste dalla norma incriminatrice (cfr. Cass. Sez. 3, n. 4770 del 26/01/2021). Pertanto, se è sufficiente anche ima sola condotta per concretizzare una delle ipotesi alternative previste dalla norma, si è affermato che ai fini della valutazione di una minimale organizzazione che escluda la natura occasionale ed estemporanea della condotta, possono essere utilizzati indici quali il dato ponderale dei rifiuti in oggetto di gestione, la loro natura, la necessità di un veicolo adeguato e funzionale all'attività concretamente svolta, il numero dei soggetti coinvolti nell'attività (cfr. Cass. Sez. 3, n. 2575 del 06/11/2018), come pure la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l'abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (Cass. Sez. 3, n. 36819 del 04/07/2017). L'elemento subiettivo della fattispecie de qua, trattandosi di reato contravvenzionale, può declinarsi indistintamente come dolo o colpa, per cui ai fini della configurabilità del reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata di una discarica è sufficiente la colpa (Cass., sez. III, n. 18364/2008). Nel caso in esame, il fatto concretizza il reato contestato di cui al comma 1, trattandosi, così come emerso chiaramente dalla espletata attività istruttoria, di una attività di sversamento di rifiuti non pericolosi, come individuati dall'annotazione di P.G. versata in atti (grosso cumulo legnoso residuo di demolizione di mobilio, materiale plastico consistente in diversi secchi di plastica e diversi pezzi di zanzariere), su un'area di circa 10 mt di lunghezza X 10 mt di larghezza per 3 mt, sì da escludere la natura estemporanea della condotta. Peraltro, nel corso degli accertamenti emergeva che la gestione dei rifiuti avveniva secondo precise modalità desunte dalla scelta di una determinata zona di conferimento dei rifiuti, dal coinvolgimento di almeno due soggetti nell'espletamento della detta attività, dalla natura dei rifiuti sversati, trattandosi di materiali di risulta della demolizione di mobilio e/o beni similari. Deve escludersi, invece, nel caso de quo, la sussistenza della diversa fattispecie di discarica abusiva, invece, sanzionata dal terzo comma della medesima norma incriminatrice. La fattispecie descritta al primo comma, infatti, differisce dalla discarica sanzionata dal terzo comma della medesima norma incriminatrice, in virtù della abitualità della condotta, tale per cui può parlarsi di discarica quando vi sono stati plurimi conferimenti, ovvero in base alla struttura organizzativa dello sversamento, il quale debba essere strutturato in modo, anche grossolano, ma in ogni caso finalizzato alla collocazione definita dei rifiuti nell'area interessata (cfr. ex plurimis Cass., sez. III, n. 18399/2017; Cass., sez. III, n. 47501/2013; Cass., sez. III, n. 41351/2008). Tra gli indici declinati dalla giurisprudenza per l'individuazione della discarica di cui alla norma incriminatrice, vi sono la quantità dei rifiuti accumulati, la dimensione dell'area interessata dallo sversamento abusivo, oltre che un'organizzazione di cose o persone, le quali confluiscano in una condotta ripetuta nel tempo in grado di provocare un'alterazione permanente dello stato dei luoghi. Nessun dubbio residua, pertanto, in ordine alla commissione, da parte degli imputati, del reato di deposito incontrollato di rifiuti speciali, di tipo non pericoloso, di cui all'art.256 co.1 del D.Lgs. n. 152 del 2006, atteso che convergono in tal senso tutti gli accertamenti svolti sull'area, confluiti in atti come sopra precisato. V'è da aggiungere, infine, che la fattispecie in esame è carente di quegli elementi di abitualità tipici della diversa fattispecie penale di discarica abusiva, non rinvenendosi prova né di un'organizzazione, neppure rudimentale, di cose o persone, né di conferimenti costanti e reiterati nel corso del tempo, essendo l'accertamento circoscritto allo sversamento del 21.01.2020. Altresì, nel caso di specie, non veniva riscontrato la presenza di sistemi di delimitazione dell'area di sversamento, idonea a recintarla e/o impedire l'accesso a terzi. Con riferimento alla posizione del correo, Ca.Vi., deve rilevarsi che, a guisa di costante giurisprudenza di legittimità, la distinzione tra l'ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 c.p., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contar (cfr. Cass., sez. IV, n. 34754/2020; v. anche Cass., sez. III, n. 41055/2015). Nel caso di specie, è stata provata la collaborazione fattiva del Ca. nell'attività di gestione illecita dei rifiuti, estrinsecatasi non solo nella presenza al momento del fatto delittuoso, da cui può in ogni caso desumersi il rafforzamento del proposito criminoso del correo, ma anche nello svolgimento di comportamenti attivi volti a coadiuvare il Pa. nell'abbandono illecito dei rifiuti non pericolo nell'area di accertamento. D'altronde il teste qualificato, delle cui dichiarazioni non v'è motivo di dubitare - vista la coerenza al dato documentale, la qualifica del teste stesso e l'assenza di intenti calunniatori -, dava atto della presenza di entrambi sulla scena criminis, nonché della partecipazione di entrambi all'attività delittuosa. Emergeva, infatti, dall'annotazione di P;G. che "i due uomini, dopo essersi guardati attorno, rimuovevano la doppia sponda posteriore del cassone e avviavano il sistema idraulico di ribaltamento dello stesso svuotando parte del carico trasportato". Deve confermarsi, dunque, la sussistenza del contributo causale del Ca. alla realizzazione della contravvenzione a questi contestata. In ragione di tutto quanto sopra premesso, pertanto, deve affermarsi la penale responsabilità del Pa. e del Ca. per la contravvenzione ad entrambi contestata in rubrica. Non può accogliersi la richiesta formulata dalla difesa di assoluzione ex art. 131 bis per particolare tenuità del fatto alla luce della gravità del fatto e della personalità degli imputati così come emerge dai casellari giudiziali in atti. La leale condotta processuale induce il giudicante a riconoscere gli imputati meritevoli della concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. In applicazione dell'art. 133 c.p., l'imputato Pa. deve essere condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena mesi 6 di arresto ed Euro 2.000 di ammenda (pena base per il reato più grave di cui all'art.116 co. 15 e 17 del C.d.S. mesi sei di arresto ed Euro 3.000 di ammenda, ridotto per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 2.000 di ammenda, aumentato ex art. 81 c.p. per il reato di cui all'art.256 comma 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006 di mesi due di arresto). In applicazione dell'art. 133 c.p., l'imputato Ca. deve essere condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di arresto per la violazione dell'art. 256 comma 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006 (pena base mesi sei di arresto ridotta di un terzo per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche). A norma dell'art. 535 c.p.p., gli imputati devono essere, inoltre, condannati al pagamento delle spese processuali e di custodia del mezzo. Si dispone, infine, la restituzione del mezzo all'avente diritto. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Pa.Sa. colpevole dei reati di cui all'art. 116 co. 15 e 17 del C.d.S. e dell'art. 256 co. 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006, unificati sotto il vincolo della continuazione e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Ca.Vi. colpevole del reato di cui all'art. 256 co. 1 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e, in concorso di circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di mesi due di arresto, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia del mezzo. Letto l'art. 240 c.p. dispone il dissequestro e la restituzione del mezzo all'avente diritto. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Pa.Sa. e Ca.Vi. dal reato di cui all'art. 256 co. 3 del D.Lgs. n. 152 del 2006 perché il fatto non sussiste. Giorni 30 per il deposito della motivazione. Così deciso in Bari il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Bari, seconda sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice Chiara Cutolo, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 8725/2020 R.G. proposta da CONDOMINIO DI CORSO Al. N. 292 - B., in persona dell'Amministratore e p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. Fr.Pi., domiciliatario, giusta mandato in atti - parte attrice - contro Fi.Fr., nella esposta qualitas - parte convenuta, contumace- MOTIVI I. - Per quanto strettamente rileva ai fini della decisione, giusta il disposto degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., le posizioni delle parti e l'iter del processo possono sinteticamente riepilogarsi come segue. I.1. - Con atto di citazione notificato in data 02/07/2020, il Condominio di Corso Al. n. 292 - B. (di seguito, Condominio), quale contraente committente del contratto di appalto del 22/09/2016 (avente per oggetto l'esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sullo stabile condominiale, meglio descritti nel capitolato e computo metrico redatto dall'Ing. T. e nell'offerta del 14/09/2016 formulata dall'appaltatore: doc. 1 e 2), per come successivamente integrato (doc. 3, 5 e 6), ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari Fi.Fr. (quale titolare dell'omonima impresa edile appaltatrice, cessata), per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni (previa acquisizione del "fascicolo relativo al procedimento ex art. 696 bis, recante R.G. n. 6999/2019, Giudice di Pace, dott. M.M., nonché della relativa relazione di consulenza tecnica del 18 gennaio 2020 depositata dal CTU, Dott. Ing. Giuseppe Rubino"): 1) "accertare e dichiarare la responsabilità ai sensi dell'art. 1669 c.c. del sig. Fi.Fr. (C.F.: (...)), all'epoca dei fatti titolare della ditta individuale impresa E. del geometra di Fi.Fr. (P.IVA.: (...)), per aver omesso di eseguire a regola d'arte le opere concordate e puntualmente saldate dal Condominio odierno attore e, in ogni caso, per i motivi di cui alla narrativa che precede"; 2) "per l'effetto, condannare il sig. Fi.Fr., al pagamento in favore del Condominio di Corso Al. n. 292 a titolo di risarcimento dei danni ex art. 1669 c.c., della somma necessaria per l'eliminazione dei vizi e difetti, quantificata dal CTU i complessivi Euro 5.136,87 (cinquemilacentotrentasei/87) oltre I.V.A. e oneri di legge, e/o di quell'altra maggiore o minore che risulterà di giustizia all'esito dell'espletanda fase istruttoria, nonché all'ulteriore pagamento delle spese della CTU espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c., già liquidate con separato provvedimento in Euro 469,79 (quattrocentosessantanove/79) - oltre I.V.A. e contributi previdenziali (doc. 15)". Il tutto, con condanna del convenuto "al pagamento di diritti, spese e compensi del presente giudizio nonché ai diritti e compensi relativi al summenzionato procedimento ex art. 696 bis c.p.c., da distrarsi in favore del?procuratore che se ne dichiara anticipatario". Nella memoria di cui all'art. 183, co. 6, n. 1), c.p.c., il Condominio, a modifica/precisazione delle conclusioni rassegnate in citazione, ha chiesto, in subordine, di "accertare e dichiarare la responsabilità ai sensi dell'art. 2043 c.c. del sig. Fi.Fr., per i motivi di cui alla narrativa che precede, e per l'effetto, condannarlo al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 5.136,87 (cinquemilacentotrentasei/87), oltre I.V.A. e oneri di legge, e/o di quell'altra maggiore o minore che risulterà di giustizia all'esito dell'espletanda fase istruttoria, nonché all'ulteriore pagamento delle spese della CTU espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. già liquidate con separato provvedimento in Euro 469,79 (quattocentossessantanove/79) - oltre I.V.A. e contributi previdenziali". I.2.- Il convenuto, ritualmente evocato secondo la normativa emergenziale epidemiologica del tempo, non si è costituito in giudizio e ne è stata perciò dichiarata la contumacia con ord. 20/11/2020. I.3.- Con la medesima ordinanza è stata disposta l'acquisizione del fascicolo di A.T.P.. Concessi i termini ex art. 183, co. 6, c.p.c. e in assenza di ulteriore attività istruttoria, la causa all'ud. 28/09/2023 è stata riservata in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. II.- La domanda, correttamente qualificata dall'attore ex art. 1669 c.c., merita accoglimento. II.1.- L'art. 1669 c.c. prevede che se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purchè sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta; il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. Premesso, in via generale, che la corretta interpretazione e qualificazione giuridica delle domande proposte spetta in via esclusiva al giudice, il quale rimane vincolato soltanto dai fatti posti a fondamento della pretesa ed alle conseguenti richieste, quale che ne sia la definizione fornita da chi agisce (tra le altre, Cass. nn. 16809/2008, 15925/2007, 27466/2007, 6712/2001), in materia di appalto avente a oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, la giurisprudenza di legittimità (Cass., 04/09/2019, n. 22093) ha chiarito che l'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell'art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella (contrattuale) posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire - con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato - se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, a riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari e accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell'immobile, mentre è applicabile la disciplina di cui all'art. 1667 c.c. - e non quella di cui all'art. 1669 c.c.- ogni qualvolta i lamentati (e accertati) vizi dell'opera non incidano negativamente sugli elementi strutturali essenziali di questa e, quindi, sulla sua solidità, efficienza e durata, ma solamente sul suo aspetto decorativo ed estetico, cosicché il manufatto, pur in presenza dei riscontrati difetti, rimanga integro quanto a funzionalità e uso cui sia destinato (cfr. Cass. 16/07/2004 n. 13268). In sintesi, mentre l'art. 1667 c.c. si riferisce a opere ultimate che non corrispondono alle caratteristiche del progetto o che sono realizzate senza l'osservanza delle regole della tecnica, l'art. 1669 c.c. disciplina le conseguenze dannose dei vizi costruttivi che incidono in maniera grave su talune caratteristiche essenziali dell'opera quali la solidità, l'efficienza e la durata della stessa. Più precisamente, secondo l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, il difetto di costruzione che legittima all'azione di responsabilità ex art. 1669 c.c. (tale norma, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, sebbene dettata in materia di appalto, configura una responsabilità extracontrattuale che, essendo sancita per ragioni e finalità di interesse generale, è estensibile al venditore che sia stato anche costruttore del bene venduto) può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente a una insoddisfacente realizzazione dell'opera (da intendersi anche come singola unità abitativa), che, pur non riguardando parti essenziali della stessa tali da determinarne la rovina o il pericolo di rovina, incide negativamente e in modo considerevole sul suo normale godimento, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura (fra le tante, Cass., nn. 19868; 20644/2013; 456/2016); pertanto, siffatta responsabilità ricorre anche quando le carenze costruttive dell'opera non investono parti strutturali (e perciò non determinano rovina o pericolo di rovina), ma incidono su elementi secondari e accessori che ne consentono l'impiego duraturo cui è destinata, incidendo in modo negativo e considerevole sul godimento del bene medesimo, menomandolo in misura apprezzabile (tra le tante, Cass. nn. 27315/2017; 20307/2011; 10857/2008; 10533/2007; 8140/2004; 117/2000). In altri termini, costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità che i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall'art. 1669 c.c. (ossia idonei a generare la responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669 c.c. nei confronti del committente e dei suoi aventi causa) non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell'edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione incidente sulla struttura e sulla funzionalità dell'edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile (Cass. n.14650/2013; n. 84/2013; n. 2238/2012; n. 3752/2007; nella giurisprudenza di merito, Trib. Cosenza, 17/11/2019, n. 2325; Tribunale Brindisi, 10/01/2020, n. 39): deve dunque trattarsi di alterazioni che, pur non influenti sulla stabilità della costruzione, riducono in modo apprezzabile il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. In estrema sintesi, è "grave", ai sensi dell'art. 1669 c.c., il vizio idoneo a intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell'opera. Ne deriva che la qualifica di vizio "grave" ai sensi di cui all'art. 1669 c.c., per lo meno quando afferisce a elementi secondari dell'opera, non può di conseguenza prescindere dal riscontro della diffusività o estensione del vizio stesso, che, in aggiunta, deve comunque essere tale da menomare la durata nel tempo dell'elemento in questione (cfr. anche Trib. Milano, 01/03/2019, n. 2076). Le stesse conclusioni valgono, in giurisprudenza, anche per i fenomeni infiltrativi (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Con riguardo all'elemento soggettivo, la Suprema Corte (Cass., SS. UU., n. 2284/2014) ha chiarito che la responsabilità ex art. 1669 c.c., ponendo in capo all'appaltatore una presunzione di responsabilità, esonera il committente dall'onere di provare la colpa del primo, in ciò sostanziandosi la specialità rispetto alla responsabilità - sempre di matrice extracontrattuale - di cui all'art. 2043 c.c.: la previsione dell'art. 1669 c.c. concreta un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell'art. 2043 c.c., fermo restando che - trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale - ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera) può farsi luogo all'applicazione dell'art. 2043 c.c., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall'art. 1669 c.c., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l'onere di provare tutti gli elementi richiesti dall'art. 2043 c.c., compresa la colpa del costruttore. In relazione al quantum, giova ricordare che l'ambito della responsabilità, posta dall'art. 1669 c.c. a carico dell'appaltatore per rovina o difetti della costruzione, in mancanza di limitazioni legali, dal momento che deve ritenersi coincidere con quello generale della responsabilità extracontrattuale, in quanto tale include tutte le spese necessarie per eliminare, definitivamente e radicalmente, i difetti medesimi, anche mediante la realizzazione di opere diverse e più onerose di quelle originariamente progettate nel capitolato d'appalto, purché utili a che l'opera possa fornire la normale utilità propria della sua destinazione (Cass., 04/03/2016, n. 4319). II.2.- Ciò premesso, avuto riguardo ai fatti oggetti di allegazione, per quanto rilevanti, alla documentazione prodotta e alle risultanze del procedimento di A.T.P., è emersa la sussistenza dei vizi lamentati (importanti fenomeni infiltrativi interessanti il lastrico solare), sussumibili nei "gravi difetti" di cui all'art. 1669 c.c.. In particolare, la ricostruzione del perito incaricato (da cui non vi è motivo di discostarsi in quanto non solo puntuale ed esente da evidenti errori logici o di calcolo, ma neppure contraddetta o superata da differenti e più attendibili ricostruzioni di parte) permette di affermare la sussistenza e la pervasività dei difetti, nonché la riconducibilità degli stessi all'attività esecutiva del convenuto. In particolare, il CTU ha riferito di "molteplici fenomeni infiltrativi ben dislocati su tutta la terrazza dell'attico al decimo piano e, in proiezione verticale verso il basso, le corrispondenti manifestazioni delle infiltrazioni", concludendo che "la mancanza di adeguata sigillatura del muretto verticale del giardino pensile e l'errata posa in opera del risvolto verticale sul cordolo in cemento, non a tenuta idrica, nonché i secondari errori tecnici commessi nella ristrutturazione del terrazzo come l'assenza del rompi-goccia dei terminali in pietra in testa ai muretti in cemento, hanno cagionato le infiltrazioni a danno dei locali sottostanti" e che "la presenza continua di acqua nel solaio, oltre a ledere l'estetica dei locali interessati, inficia negativamente la regolare fruizione degli ambienti che, da un punto di vista igienico sanitario, sono inabitabili". Infine, individuate "le lavorazioni da porre in essere per la bonifica e l'eliminazione delle cause scatenanti il vizio lamentato", ne ha stimato, quale costo di ripristino, l'importo di Euro4.293,40 oltre Iva e oneri di legge, cui aggiungere l'ulteriore somma di Euro843,47, oltre Iva e oneri di legge, a titolo di onorario tecnico necessario per la redazione, gestione, presentazione di opportune pratiche edilizie e direzione dei lavori. A tale quadro, già di per sé esaustivo, si aggiunge il rilievo che, pure anteriormente al procedimento di A.T.P, con relazione tecnica del 01/06/2018, l'Ing. T. descrisse i vizi esecutivi, indicando gli interventi necessari per ripristinare lo stato dei luoghi - con costi di poco inferiori a quelli stimati dal perito - (doc. 10), ottenendo l'impegno dell'appaltatore a eseguire le opere di cui alla detta relazione tecnica (doc. 11: nota pec del 25/01/2019, in cui la ditta, in riscontro alla precedente nota di parte attrice del 23/01/2019, confermò la propria "disponibilità ad eseguire intervento di ripristino da effettuarsi nel mese di aprile"); impegno tuttavia inassolto, determinando il Condominio all'avvio del procedimento di A.T.P.. Per completezza, l'atto di transazione del 28/07/2017 non è d'ostacolo all'accoglimento della pretesa risarcitoria, per i vizi delle opere edili eseguite dal convenuto, alla luce dell'inequivoco tenore dell'art. 7 ("restano salve le responsabilità e le garanzie previste dalla legge a carico dell'impresa appaltatrice"). II.3.- In ragione delle argomentazioni esposte, deve riconoscersi in favore dell'attore, a titolo di risarcimento per i vizi di costruzione accertati, la somma di Euro5.136,87, oltre Iva, rivalutazione e interessi; e ciò, pure in assenza di formale richiesta in ordine a tali ultime due voci (Cass., n. 8705/2015: "la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell'obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d'ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell'originario petitum della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (Cass. 30 settembre 2009, n. 20943)"). Tale somma, invero, ha natura di debito di valore, ragione per la quale deve essere rivalutata secondo gli indici ISTAT, dalla data della domanda, con aggiunta degli interessi legali sulle somme annualmente rivalutate sino a oggi. Sulla somma così liquidata corrono da oggi al saldo gli interessi legali. III.- Le spese, legali e peritali, dell'intero giudizio, comprensive della fase di A.T.P., seguono la soccombenza della parte convenuta. Circa le spese del procedimento di A.T.P., giusta da ultimo Cass., n. 21085/2023, "le spese dell'accertamento tecnico preventivo ante causam devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, in virtù dell'onere di anticipazione e del principio di causalità, e devono essere prese in considerazione, nell'eventuale successivo giudizio di merito, come spese giudiziali, da regolare in base agli ordinari criteri di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c." (Cass. n. 9735/2020; n. 14268/2017). Si ricorda, per completezza di esame, che la parte vittoriosa ha diritto di vedersi rimborsate anche le spese sostenute per la consulenza tecnica di parte, a meno che ilgiudice non si avvalga, ai sensi dell'art. 92, comma 1, c.p.c. della facoltà di escluderle dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue (Cass. n. 84/2013; n. 3380/2015)". Alla liquidazione del compenso deve provvedersi, assente la notula, come in dispositivo, secondo i parametri ratione temporis applicabili (per il procedimento di A.T.P., D.M. n. 55 del 2014; per il presente procedimento, D.M. n. 147 del 2022, arg. ex Cass., Sez. Un., n. 17405/2012 e art. 6 D.M. n. 147 del 2022), tenendo conto della natura della causa, del suo valore, nonché dell'effettiva entità dell'attività difensiva e difficoltà delle questioni trattate (per il procedimento di A.T.P.: parametri medi ridotti del 20% circa; per questo procedimento: parametri medi per le prime due fasi e minimi per le ultime due). P.Q.M. il Tribunale di Bari, seconda sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta, con atto di citazione notificato in data 02/07/2020, dal Condominio di Corso Al. n. 292 - B. nei confronti di Fi.Fr., così provvede: 1) ACCOGLIE la domanda ex art. 1669 c.c. e, per l'effetto, CONDANNA la parte convenuta al pagamento, in favore della parte attrice, della somma complessiva di Euro 5.136,87, oltre Iva, interessi e rivalutazione come in parte motiva; 2) CONDANNA la parte convenuta al pagamento, in favore della parte attrice, delle spese legali (da distrarsi in favore dell'Avv. Pi., dichiaratosi antistatario), che liquida: a) quanto alla fase ante causam, in Euro 69,37 (sulla base delle evidenze disponibili) per esborsi ed Euro 1.800,00 per compensi, oltre a rimborso spese forf., Iva e Cpa come per legge; b) quanto al presente procedimento, in Euro 237,00 (sulla base delle evidenze disponibili) per esborsi ed Euro 3.387,00 per compensi, oltre a rimborso spese forf., Iva e Cpa come per legge; 3) PONE le spese di CTU, come liquidate nel procedimento di A.T.P. con decreto del 15/01/2021 (per Euro469,79, oltre accessori), definitivamente a carico della parte convenuta soccombente, condannando quest'ultima a rifondere controparte di quanto eventualmente versato dalla stessa a tale titolo. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Bari il 21 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Bari, sezione prima civile, riunito in camera di consiglio in persona dei signori magistrati: 1. dott. Saverio U. DE SIMONE - Presidente 2. dott.ssa Cristina FASANO - Giudice rel. 3. dott.ssa Rosella NOCERA - Giudice ha pronunciato, con l'intervento del P.M., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile iscritta nel Ruolo Generale degli Affari Contenziosi per l'anno 2023 sotto il numero d'ordine 10468 avente ad oggetto: regolamentazione regime di affidamento, visite e contributo al mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio TRA Mo.Ca., rappresentata e difesa dall' avv. Ra.An. ed elettivamente domiciliata in Gravina in Puglia alla via (...) presso il suo studio in virtù di mandato a margine del ricorso - ricorrente - E Bo.Ra. - resistente contumace- FATTO E DIRITTO 1.Con ricorso in data 21.09.2023 Mo.Ca. premesso che: -dalla relazione tra le parti era nata, in data 2 7.07.2020, Bo.Ch., riconosciuta da entrambi i genitori; -durante il rapporto il resistente aveva tenuto nei suoi confronti atteggiamenti di violenza verbale aggredendola e denigrandola ; -detti comportamenti erano dipesi dall'abuso di sostanze alcool iche e stupefacenti; -ella aveva, pertanto, abbandonato la casa familiare condotta in locazione e si era trasferita insieme alla minore presso la propria famiglia di origine; -ella era disoccupata mentre il Bo. era muratore; -il resistente si era completamente disinteressato dei bisogni affettivi e materiali della figlia a cui provvedeva solo la nonna materna. 1.1.Tutto ciò premesso ha chiesto al tribunale l'affido esclusivo della minore in suo favore con collocamento presso di lei, incontri padre -figlia in luogo neutro, un contributo del Bo. di Euro 300,00 mensili. 2. Con decreto del 23.04.2023 è stata fissata l'udienza di comparizione per il 19.09.2023 poi rinviata al 17.01.2024 dinanzi al giudice delegato. 3. Il resistente è rimasto contumace nonostante la regolarità della notifica. 4.All'udienza del 7.02.2024 è stata interrogata la ricorrente e , precisate le conclusioni e discussa la causa, è stata riservata per la decisione . / 5.La domanda della ricorrente è parzialmente fondata e, pertanto, può essere accolta per quanto di ragione. 6.In ordine all'affidamento la ricorrente chiede l'affido esclusivo sul presupposto dell'assenza della figura genitoriale paterna nella vita della figlia , essendosi il Bo. sempre disinteressato delle sue esigenze sia affettive che materiali. 6.1.Ciò detto , giova ricordare in linea di principio che l'attuale contesto normativo in tema di provvedimenti relativi alla prole, per come modificato dalla L. n. 54 del 2006 e dal successivo D.Lgs. n. 154 del 2013, si fonda sul diritto alla bigenitorialità riconosciuto al minore. Da ciò deriva che l'affidamento condiviso previsto dall'art. 337-ter c.c. resta il modello di riferimento nei casi di scioglimento della famiglia pur restando sempre compito del giudice quello di garantire e preservare il preminente e superiore interesse del minore (ex multis Cass. 28244/2019). Infatti, in applicazione dell'art. 337-quater c.c., il giudice potrà disporre l'affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori "... qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore...", di modo che questa possibilità si appalesi quale extrema ratio da scegliere solo allorché l'adozione della soluzione dell'affidamento condiviso presenti controindicazioni che facciano temere un pregiudizio nei confronti del minore. In linea di massima, qualora si accerti l'inidoneità educativa ovvero una manifesta carenza di un genitore rispetto all'opposta idoneità dell'altro (Cass. civ. n. 27/2017) ovvero ancora omissioni nel contributo al mantenimento dei figli e nella frequentazione degli stessi, il giudice potrà orientarsi verso l'affidamento ad uno solo dei genitori tenendo sempre presente l'interesse supremo della prole minore. Ostativa all'affido condiviso è ritenuta anche l'elevata conflittualità tra i genitori tale da tradursi nell'impossibilità di qualsivoglia collaborazione nell'interesse dei figli tale da sfociare in forme idonee ad alterare e a porre in serio pericolo l'equilibrio e lo sviluppo psicofisco dei figli e, dunque, tali da pregiudicare il loro superiore interesse (Cass. civ. 1777/ 2012; in senso conforme Cass. civ. 5108/2012, Cass. civ. 27/2017, Cass. civ. 5604/2020). Tuttavia, anche in presenza di tutti gli elementi necessari e sufficienti per farsi luogo all'applicazione del regime di affidamento esclusivo, per l'assunzione delle decisioni di maggiore interesse per il minore, il genitore affidatario esclusivo ed esercente la responsabilità genitoriale sul minore, è tenuto a consultare l'altro genitore, avendo questi mantenuto il diritto, nonché il dovere, di vigliare sull'istruzione e sull'educazione dei propri figli. 6.2. Nel caso in oggetto la ricorrente allega un atteggiamento disinteressato del Bo. in ogni aspetto della vita della figlia e tale dato emerge , oltre che dal libero interrogatorio della donna che ha confermato di essere assistita solo dalla propria famiglia di origine nella cura della figlia, anche dall'assenza processuale del resistente. Ne deriva che il Collegio , sul presupposto che il predetto abbia lasciato ogni cura sia sul piano fisico che morale ed economico alla ricorrente la quale , non ricevendo alcun aiuto nell'assistenza del figlio, è stata costretta ad adire le vie giudiziarie, reputa, pertanto, opportuno disporre l'affido esclusivo della minore alla madre. 7.Quanto al collocamento esso viene disposto presso la genitrice essendo in tal senso la sua domanda ed essendo la condizione attuale sin dalla separazione della coppia. 8. Circa il diritto di visita del padre va detto che , dinanzi al conclamato disinteresse paterno, è opportuno che esso sia , allo stato, sospeso e in futuro si svolga attraverso i Servizi Sociali territorialmente competenti a cui il resistente potrà rivolgersi ove e se abbia interesse a frequentare la minore. 9.Relativamente al contributo paterno al mantenimento la ricorrente chiede corrispondersi l'importo di Euro 300,00. Tenuto conto dell'età della minore (3 anni e mezzo ), dell'allegazione di disoccupazione della M. e del fatto che il Collegio ignora la capacità reddituale del Bo. , di cui si sa solo che sarebbe muratore, si reputa congruo un contributo paterno di Euro 250,00 mensili. Ad esso si aggiungerà il 50% delle spese straordinarie come da protocollo vigente presso il Tribunale di Bari. Il pagamento di tali somme sarà effettuato presso il domicilio del genitore che ne ha diritto per il figlio ovvero nell'altra modalità che lo stesso indicherà all'obbligato, sarà soggetto ad adeguamento ISTAT annuale, dovrà avvenire entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione del presente provvedimento per le mensilità in corso ed entro il 10 di ogni mese per le mensilità future. 10. L'assegno unico universale spetterà per intero alla genitrice , collocataria del minore. 11.Le spese di lite possono essere poste a carico del resistente. Esse vengono liquidate secondo i parametri delle cause a cognizione ordinaria dinanzi al Tribunale , valore fino ad Euro 52.000,00, nei valori medi delle fasi di studio ed introduttiva con riduzione del 30% data la non complessità della causa e l'attività svolta (Euro 2.905,00 - 30% = Euro 2.033,50). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sul ricorso depositato da Mo.Ca. , così provvede: 1) accoglie parzialmente il ricorso e, per l'effetto, dispone l'affido esclusivo della figlia minore Ch. (nata il 27.07.2020) con collocamento prevalente presso la madre; 2) dispone che gli incontri padre-minore siano sospesi e che saranno ripresi se e quando il resistente avrà interesse a mezzo dei Servizi Sociali territorialmente competenti a cui dovrà rivolgersi; 3) pone a carico del resistente l'importo di Euro 250,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie come da protocollo vigente presso il Tribunale di Bari e siglato in data 16.11.2017. Il pagamento di tali somme sarà effettuato presso il domicilio del genitore che ne ha diritto per il figlio ovvero nell'altra modalità che lo stesso indicherà all'obbligato, sarà soggetto ad adeguamento ISTAT annuale, dovrà avvenire entro 10 giorni dalla comunicazione o notificazione del presente provvedimento per le mensilità in corso ed entro il 10 di ogni mese per le mensilità future; 4) dispone che l'assegno unico universale spetti per intero alla ricorrente; 5) condanna il resistente alla corresponsione delle spese di lite in favore del ricorrente che liquida in Euro 2.033,50 per onorario, oltre IVA,CPA e rimborso forfettario spese generali come per legge che liquida in favore dello Stato ex art. 133 TU Spese di giustizia; 6) dichiara il presente provvedimento immediatamente esecutivo come per legge; Manda alla Cancelleria per i propri adempimenti. Così deciso in Bari il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BARI SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice unico dott. Andrea Chibelli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. 4706/2022 R.G. promossa da: Le. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., con il patrocinio degli avv. CI.CL. e avv. RO.FR., giusta procura in atti; -opponente- contro: Gi. SRL, in persona del legale rappresentante p.t., con il patrocinio dell'avv. AM.FR., giusta procura in atti; -opposto- MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Le. s.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 557/2022 del 15/02/2022 con cui Tribunale di Bari, su ricorso della Gi. s.r.l., ha ingiunto il pagamento della somma di Euro 17.066, oltre interessi moratori e spese della procedura, per forniture di merci documentate dalle fatture e dall'estratto autentico delle scritture contabili prodotte in sede monitoria. L'opponente contesta la sussistenza dei requisiti per l'emissione del decreto ingiuntivo, nonché il mancato esperimento del tentativo di mediazione, l'infondatezza della pretesa creditoria vantata da controparte e il quantum dell'importo richiesto a titolo di corrispettivo. Costituendosi in giudizio, la creditrice opposta ha chiesto il rigetto dell'avversa opposizione. Concessa la parziale esecuzione del decreto monitorio opposta, la causa, in difetto di attività istruttoria, è stata rinviata all'odierna udienza, all'esito della quale viene discussa e decisa ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. L'opposizione è infondata e merita le sorti del rigetto. Prima di procedere all'esame dell'opposizione, giova ricordare che il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (cfr. art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (cfr. Cass. 17371/03; Cass. 6421/03), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è tanto la valutazione di legittimità e di validità del decreto ingiuntivo opposto, quanto la fondatezza o meno della pretesa creditoria, originariamente azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza (cfr. Cass. 15026/05; Cass. 15186/03; Cass. 6663/02); quindi il diritto del preteso creditore (formalmente convenuto, ma sostanzialmente attore) deve essere adeguatamente provato, indipendentemente dall'esistenza -ovvero, persistenza- dei presupposti di legge richiesti per l'emissione del decreto ingiuntivo. Pertanto, è priva di alcun pregio la censura per violazione dell'art. 125 c.p.c., atteso che il giudizio di opposizione, come detto, apre un giudizio ordinario a cognizione piena avente ad oggetto la fondatezza della pretesa, non essendo limitato alla valutazione della validità dell'attività processuale svolta nella fase sommaria precedente all'emissione del provvedimento monitorio. Analogamente, la questione dell'idoneità, ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, della documentazione allegata al ricorso monitorio, nella fase di opposizione rimane assorbita dal giudizio sulla fondatezza del credito, che deve essere condotto anche sulla base dell'ulteriore documentazione prodotta dall'opposto per integrare, con efficacia retroattiva, quella prodotta nella fase monitoria (Cass. Sez. L, Sentenza n. 13429 del 09/10/2000). Del pari, destituita di fondamento è l'eccezione di improcedibilità dell'azione per omesso svolgimento del tentativo di mediazione, non versandosi, nella specie, in ipotesi in cui è prevista la c.d. mediazione obbligatoria. Riguardo al merito, ritiene il giudicante che il credito contenuto nelle fatture prodotte ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo trovi conferma non solo nell'estratto autentico delle scritture contabili, prodotto in sede monitoria, alle quali deve essere riconosciuto il valore di piena prova, ai sensi dell'art. 2710 cod. civ., in considerazione della qualità di imprenditore di entrambe le parti, ma che sia stato pienamente riconosciuto con la comunicazione del 15/09/2020 con la quale la stessa opponente chiedeva uno sconto del corrispettivo da pagare e proponeva una dilazione di pagamento in relazione al debito di cui è causa (vedi doc. 5 prod. opponente). Inoltre, non si può non rilevare che l'opponente non ha mai contestato la consegna della merce, per cui si deve ritenere provata sia l'esistenza del rapporto contrattuale che l'esatto adempimento del medesimo da parte della creditrice opposta. Più in generale, difetta una contestazione specifica, da parte della opponente, dei fatti costitutivi del diritto vantato dall'opposto, essendosi la società debitrice limitata a contestare genericamente l'an della pretesa creditoria per poi produrre in atti il citato documento da cui si desume l'esistenza del rapporto obbligatorio su cui si fonda la tutela monitoria e l'esecuzione della controprestazione ad opera di parte creditrice. Analogamente anche la contestazione del quantum della pretesa azionata da controparte - fondata sul rilievo per cui la opponente vantava la facoltà di restituire un quantitativo (pari al 30%) della merce acquistata con proporzionale riduzione del prezzo in base agli accordi commerciali tra le parti (doc. 4 prod. opponente) - non è stata debitamente coltivata in giudizio, essendo anzi rimasto incontestato che, pur avendo preannunciato l'esercizio del diritto al reso, la debitrice ingiunta ha di fatto ha tenuto l'intera fornitura nei suoi magazzini senza mai rispedirla alla convenuta opposta, con le modalità previste dalla documentazione contrattuale versata in atti, come puntualmente replicato dalla creditrice in sede di costituzione in giudizio. Al riguardo, si deve invero aggiungere, su un piano generale, che la mancata contestazione di un fatto addotto dalla controparte ne rende superflua la prova, conferendogli carattere non controverso, e ciò sia per il sistema delle preclusioni, il quale comporta per le parti l'onere di collaborare al fine di circoscrivere la materia controversa, e sia per il principio di economia, che deve informare il processo, alla stregua dell'art. 111 Cost. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8213 del 04/04/2013). Infondata è altresì la contestazione relativa alla dedotta inesigibilità degli interessi moratori maturati in virtù dell'applicazione dell'art. 3, comma 6 bis, del D.L. n. 6 del 2020, atteso che, in disparte ogni ulteriore considerazione, è stata soltanto genericamente e assertivamente allegata la sussistenza dei presupposti applicativi della normativa speciale, la cui prospettazione sconta un deficit di specifica allegazione non superato in corso di causa. Va, pertanto, respinta l'opposizione con conferma del decreto opposto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto dell'attività processuale espletata, della semplicità delle questioni trattate e dell'adozione del modulo decisionale semplificato. Non sussistono gli estremi della condotta temeraria nelle difese svolte dalla parte opponente che si sono limitate ad una prospettazione delle questioni sottoposte che, seppure non condivisibili, non costituiscono abuso dello strumento processuale. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, - RIGETTA l'opposizione proposta da Le. s.r.l. e per l'effetto CONFERMA il decreto ingiuntivo n. 557/2022 emesso dal Tribunale di Bari in data 15/02/2022, che diviene esecutivo ex art. 653 c.p.c.; b) CONDANNA la parte opponente alla rifusione, in favore dell'opposta, delle spese processuali, che liquida in Euro 2.540 a titolo di compensi difensivi, oltre a rimborso forfetario spese generali (15%), IVA e CAP come per legge. Sentenza resa ex Articolo 281 sexies c.p.c., Così deciso in Bari il 21 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BARI SEZIONE SECONDA CIVILE Il Giudice Monocratico, dott.ssa Marina Cavallo, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 8625/2017 R.G. e vertente TRA Bi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti L.Ci. e A.Ag. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Gravina in Puglia, Via (...) APPELLANTE CONTRO Gi.Te., rappresentata e difesa dall'avv. S Casareale ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Gravina in Puglia, Via (...) APPELLATA Oggetto: appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Gravina in Puglia n. 93/17 FATTO E DIRITTO Con atto di appello notificato in data 16.5.2017 la società Bi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, impugnava la sentenza n. 93/17 emessa dal Giudice di Pace di Gravina in Puglia con cui era stata accolta la domanda proposta da Gi.Te. e diretta ad ottenere la sostituzione dei gioielli a marchio Bi. di cui aveva subito il furto in ragione della esistenza di una polizza di assicurazione a tal fine stipulata; censurava la decisione in quanto sorretta da motivazione illogica e fondata su erronea valutazione del materiale probatorio raccolto; sosteneva che il furto dei gioielli fosse stato determinato dalla condotta gravemente negligente della Gi. che aveva lasciato incustodita nella sua macchina una borsa contenente i gioielli trafugati; aggiungeva che nel primo giudizio non era stato dimostrato che il furto fosse avvenuto mediante scasso della serratura non essendo a tal fine sufficiente né la denuncia sporta dalla Gi. né la sola testimonianza, resa dal marito, nel corso del primo giudizio. Chiedeva, pertanto, di accogliere l'appello e, in riforma della decisione resa, rigettare la domanda di sostituzione dei gioielli proposta. Con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi del giudizio. Gi.Te. si costituiva con comparsa di risposta depositata il 25.9.2017 deducendo l'inammissibilità dell'appello per carenza di interesse all'impugnazione potendo essere opposte le eccezioni di dolo e colpa grave, ai sensi dell'art. 1900 c.c., solo dall'assicuratore, ossia dalla società F.I. s.p.a. (pure convenuta nel giudizio di primo grado in manleva ed alla cui domanda la società Bi. aveva successivamente rinunciato) stante l'accertata conclusione di un contratto tra Bi. e F.I. in favore del terzo ossia dell'attrice- appellata; contestava la dedotta colpa grave nella causazione del furto e sosteneva di aver dato prova dei fatti accaduti anche mediante la prova per testi rispetto alla quale non poteva ravvisarsi un profilo di incapacità ex art. 246 c.p.c. Concludeva chiedendo di dichiarare l'inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. o, in via subordinata, l'inammissibilità dell'appello per difetto di interesse all'impugnazione; di rigettare nel merito l'appello, con il favore delle spese di lite. Ritenuta la causa sufficientemente istruita, la stessa veniva rinviata all'udienza del 25.10.2023 per la precisazione delle conclusioni e quindi introitata in decisione. Deve essere preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità dell'appello per difetto di interesse alla impugnazione. Invero seppure il contratto concluso tra Bi. e F.I. debba essere inquadrato come contratto a favore del terzo, ciò, in ragione del carattere autonomo del diritto acquistato da beneficiario, non implica che il medesimo diritto sia svincolato dalle clausole e dalle pattuizioni contemplate nel contratto, potendo essere opposte al beneficiario le eccezioni e le altre eventuali clausole limitative previste dal contratto (Cass. 3207/94; Cass. 22809/09). Permane quindi l'interesse, non del solo assicuratore, ma anche della società appellante a che venga valutata la possibile esclusione della garanzia - di cui si assume l'erronea valutazione da parte del primo giudice - ossia la corretta applicazione delle previsioni contrattuali. Nel merito l'appello è infondato e deve essere respinto. Assume l'appellante che la prevista sostituzione dei gioielli a seguito di furto debba essere esclusa in ragione della previsione di cui all'art. 1900 c.c. e all'art. 10 della polizza di assicurazioni che prevede che la garanzia non operi, ai sensi della lett. D), in caso di danni agevolati dall'assicurato con dolo o colpa grave. Sostiene infatti l'appellante che la Gi. avrebbe tenuto una condotta gravemente negligente, avendo lasciato i gioielli, poi rubati, in una borsa rimasta all'interno dell'autovettura parcheggiata. Dagli atti emerge che la Gi. ha denunciato l'avvenuto furto dei gioielli il 9.7.2014 rappresentando che il giorno prima, tra le ore 11,20 e 12,30, ignoti avevano forzato la serratura della sua autovettura e asportato una borsa al cui interno vi era un paio di orecchini in oro bianco e diamanti Bi. con matricola (...) ed un anello in oro bianco con diamanti Bi. con matricola (...); nella denuncia è precisato che l'autovettura era stata parcheggiata e chiusa a chiave. Tale ricostruzione dei fatti è stata confermata dal teste D.F., marito dell'attriceappellata, il quale ha dichiarato di aver provveduto personalmente a parcheggiare il veicolo e che l'effrazione era avvenuta allo sportello lato passeggero; che la borsa contenente i gioielli - che la moglie aveva tolto poiché in quel periodo allattava il figlio e voleva evitare graffi al bambino - era stata riposta sotto il sedile passeggero, ben nascosta. Rispetto a tale deposizione deve considerarsi che, oltre a non essere mai stata eccepita la incapacità del teste ai sensi dell'art. 246 c.p.c., con conseguente preclusione ex art. 157 c.p.c, non si ravvisano elementi per sostenerne l'inattendibilità avendo lo stesso riferito nella qualità di coniuge, in regime di separazione dei beni, ed in ordine alle condizioni in cui l'autovettura in cui si trovavano i gioielli oggetto di furto era stata parcheggiata e poi rinvenuta a seguito della sottrazione dei preziosi. Risulta del resto inapplicabile la disposizione di cui all'art. 135 c. 3 bis e ter D.Lgs. n. 209 del 2005 richiamata dall'appellante entrata in vigore successivamente ai fatti di causa. Deve aggiungersi che la colpa grave dell'assicurato o del beneficiario che a norma dell'art. 1900 c.c. esclude la garanzia assicurativa si configura come un fatto impeditivo, che impedisce al fatto costitutivo (evento o sinistro) di operare secondo le previsioni della fattispecie legale e quindi deve essere dimostrata dall'assicuratore (Cass. 2005/81). Nelle condizioni descritte - e che sono state le uniche emerse all'esito dell'istruttoria - non può ravvisarsi l'esistenza di una condotta gravemente colposa in capo alla Gi. che ha lasciato i gioielli, per un tempo limitato, all'interno della sua autovettura, chiusa a chiave, depositati in una borsa, nascosta sotto il sedile. Risultano pertanto corrette e condivisibili le valutazioni svolte dal primo giudice in punto di valutazione della prova e di individuazione dei profili di responsabilità. L'appello deve essere conseguentemente respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo sulla base del D.M. n. 147 del 1922, in relazione al valore della domanda, all'attività svolta (con esclusione della fase istruttoria) e secondo i parametri medi. Deve darsi altresì atto, in ragione del rigetto dell'appello, della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 ter D.P.R. n. 115 del 2002 in relazione al pagamento di un importo pari a quello del contributo unificato e manda alla Cancelleria per i relativi adempimenti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando sull'appello proposto da Bi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti di Gi.Te., disattesa ogni ulteriore istanza ed eccezione, così provvede: 1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata; 2) condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 1.701,00, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, IVA e CAP come per legge da distrarsi ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore della parte appellata dichiaratosi anticipatario; 3) dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13 c. 1 ter D.P.R. n. 115 del 2002 in relazione al pagamento di un importo pari a quello del contributo unificato e manda alla Cancelleria per i relativi adempimenti. Così deciso in Bari il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI TERZA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del dott. Luca Sforza, in funzione di Giudice Unico d'appello, ha pronunciato la seguente, SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 13320/2015 R.G., avente ad oggetto appello avverso sentenza del Giudice di Pace di Bari n. 1697/2015, depositata in data 8.06.2015, e non notificata, vertente tra De.Do., elettivamente domiciliata in Bari, alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. Mi.Ma., dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell'atto di citazione in appello del 9.09.2015, - APPELLANTE - contro Avv. Pi.Ma., elettivamente domiciliata in Bari, alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. Mi.Mo., dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in primo grado del 16.01.2015, - APPELLATA - RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione in appello del 9.09.2015, ritualmente notificato in data 15-16.09.2015, De.Do. ha impugnato la sentenza del Giudice di Pace di Bari (n. R.G. 11550/201), n. 1697/2015, depositata in data 8.06.2015 e non notificata, con la quale il Giudice di prima istanza ha rigettato la domanda attorea volta a ottenere il risarcimento del danno per responsabilità professionale dell'Avv. Pi.Ma., condannando l'attrice al pagamento delle spese processuali in favore del medesimo professionista. In particolare, con atto di citazione in primo grado, De.Do. deduceva di aver conferito mandato difensivo all'Avv. Pi.Ma., per farsi rappresentare e difendere nel giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Bari (R.G. n. 13906/2010) contro l'A. S.p.a., al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, quantificato in complessivi Euro. 1.805,95, occorso in relazione alle lesioni personali sofferte nel sinistro verificatosi in Modugno, in data 20.03.2009, alle ore 19:45, allorquando la stessa De., in qualità di terza trasportata sull'autovettura Ford Focus, tg. (...), di proprietà e condotta da soggetti non meglio identificati né indicati nell'atto di citazione introduttivo del 22.09.2010, assicurata per la r.c. con A.D.L.A. S.p.a., mentre la detta autovettura giungeva all'intersezione tra la via A. e la via L. P., veniva tamponata nella parte posteriore dall'autovettura Fiat Doblò, tg. (...), di proprietà di L.D., assicurata con Società di A.F. S.p.a., con conseguenti lesioni personali sofferte dalla De., e diagnosticate presso il Pronto Soccorso di Bari in "Contusione cranica; trauma distorsivo rachide cervicale; trauma toracico chiuso", con prognosi iniziale di 10 gg., prescrizione di riposo per 30 gg. complessivi e terapia farmacologica. Tuttavia, il predetto giudizio n. R.G. 13906/2010 veniva definito con sentenza n. 3282/2011 di rigetto della domanda attorea, non essendo stato richiesto alcun mezzo istruttorio, "in assenza del difensore della parte attrice" alla prima udienza di comparizione, né essendo stata concessa la rimessione in termini del difensore della De. a fronte della esibizione del certificato medico attestante l'impedimento del difensore a comparire alla detta prima udienza per motivi di salute, in quanto il detto giudice di pace riteneva che l'Avv. P. avrebbe potuto e dovuto farsi sostituire da altro difensore alla predetta prima udienza; dunque, con l'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, la De. deduceva la responsabilità professionale del ridetto difensore, per non avere presenziato alla prima udienza del giudizio a quo presupposto, e chiedeva la condanna dell'Avv. P. al pagamento in suo favore della somma di Euro. 2.621,73 oltre interessi e svalutazione monetaria, pari all'ammontare del risarcimento del danno richiesto nel detto giudizio presupposto (Euro. 1.805,95), ed oltre spese di registrazione della sentenza e spese processuali liquidate in favore del difensore dell'A. S.p.a. nel ridetto giudizio, con vittoria delle spese di lite. Il giudice di Pace di Bari con la sentenza qui impugnata n. 1697/2015, rigettava la domanda attorea, evidenziando l'assenza di prova in ordine al danno morale asseritamente sofferto nel giudizio presupposto, nonché il rifiuto da parte della stessa attrice della proposta conciliativa avanzata dalla convenuta e la circostanza che l'omessa presenza dell'Avv. P. alla prima udienza di comparizione era stato comunque giustificato da una causa ad ella non imputabile stante l'impedimento della stessa per motivi di salute; avverso detta sentenza, la De. proponeva appello deducendo: "A) Violazione del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione; B) Omessa motivazione sull'ammissione e/o rigetto delle richieste istruttorie; C) Gli artt. 115 c.p.c. e 116 c.p.c. - Arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze probatorie; D) Erroneo rigetto della domanda ed infondata condanna dell'odierna appellante", chiedendo dichiararsi l'"Esclusivo addebito di responsabilità professionale in capo all'Avv. M.P. con conseguente accoglimento della domanda", e con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. Con comparsa di costituzione e risposta dell'11.01.2016, si costituiva nel presente giudizio di appello l'Avv. M.P. la quale chiedeva il rigetto del proposto gravame, contestando tutto quanto esposto, dedotto ed eccepito in ordine alla gravata sentenza del Giudice di primo grado, eccependo la infondatezza dei motivi di gravame con vittoria delle spese de doppio grado di giudizio. La causa è stata istruita esclusivamente mediante acquisizione documentale e, dopo una serie di rinvii disposti anche in ragione del gravoso carico del ruolo, è stata successivamente introitata in decisione da questo Giudice, nelle more designato per la trattazione del presente procedimento, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 28.09.2023, celebrata mediante trattazione scritta, ai sensi dell'art. 221 co. 4 lett. h), del D.L. n. 34 del 19 maggio 2020, conv. con modif. con la L. n. 17 del 17 luglio 2020, da ult. modif. con D.L. n. 28 del 30 aprile 2020, come da precedente provvedimento ritualmente comunicato, con la concessione dei termini ex lege di 60 giorni per il deposito di comparse conclusionali e di successivi 20 giorni per il deposito di brevi memorie di replica ex artt. 352 e 190, comma 1 c.p.c.. Il primo motivo di impugnazione è fondato e merita accoglimento nei limiti di quanto di seguito indicato. Ed invero, l'appellante, con il primo motivo di appello, si duole che "Il giudice di prime cure, in spregio alle richieste istruttorie articolate e reiterate da parte attrice ... ha (senza mai esprimersi in merito alla relativa ammissione e/o comunque senza motivare la loro non ammissione) ritenuto di emettere, a scioglimento della riserva dell'udienza ex art. 320 c.p.c., la sentenza oggi impugnata (dichiarando, nella stessa sentenza, non provata la domanda attorea). Il Giudice di prime cure, non ha rinviato la causa per la prescritta udienza di precisazione delle conclusioni ed eventuale discussione" (così a pag. 5 dell'atto di citazione in appello), con conseguente violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. La doglianza è fondata atteso che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, "Nel procedimento davanti al giudice di pace, la decisione della causa che non sia stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni definitive, istruttorie e di merito, né dal semplice invito a provvedervi rivolto dal giudice alle parti, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; tale nullità, peraltro, non rientrando tra quelle tassativamente previste dall'art. 354 cod. proc. civ. che impongono la rimessione della causa al giudice di primo grado, comporta che il giudice d'appello, ove la questione risulti ritualmente sollevata con l'atto d'impugnazione, debba decidere nel merito previa rinnovazione degli atti nulli, cioè ammettendo le parti a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, sono state loro precluse" (cfr. Cass. civ., sez. 2, 23.12.2011, n. 28681, in cui la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza impugnata che aveva rilevato la violazione dell'art.321 cod. proc. civ., avendo il giudice di pace, che pure non è tenuto alla fissazione di un'udienza ad hoc per la precisazione delle conclusioni, deciso la causa subito dopo essersi riservato di provvedere sulle richieste delle parti e senza fornire alle stesse alcuna risposta su tali richieste, tra cui l'ammissione di mezzi istruttori e la possibilità di precisare le conclusioni; in senso conforme, già Cass. civ., sez. 3, 10.03.2006, n. 5225). Orbene, nel caso in esame, è pacifico e risulta ex actis che il giudice di pace ha emesso la sentenza qui impugnata all'esito della riserva di cui all'udienza ex art. 320 c.p.c. tenutasi il 13.04.2015 cui le parti erano state rinviate per la comparizione personale, onde verificare la possibilità di una definizione bonaria della controversia che, tuttavia, non sortiva alcun effetto, stante il rifiuto alla medesima udienza da parte della stessa attrice della proposta onnicomprensiva di Euro. 1.000,00 avanzata dalla convenuta, con conseguente reiterata istanza di ammissione dei mezzi istruttori ("prove orali ed acquisizione del fascicolo d'ufficio R.G. 13906/2010 definito con sentenza 3281/11") richiesti dalla stessa attrice, senza che su dette istanze il giudice di prime cure si sia mai pronunciato, neppure in sentenza. Ne consegue, pertanto, la nullità della sentenza qui impugnata per violazione del diritto di difesa, ma, trattandosi di ipotesi di nullità non rientrante tra quelle espressamente tipizzate nell'art. 354 c.p.c., non potrà farsi luogo alla rimessione della causa al primo giudice, ma dovrà essere delibata nel merito, in questo giudizio di appello, la domanda attorea spiegata in primo grado dalla De.. Orbene, la domanda è comunque infondata e va rigettata per le ragioni di seguito indicate. Ed infatti, in questa sede non deve procedersi ad alcuna rinnovazione degli atti nulli omessi nel giudizio di primo grado, ovverosia non deve procedersi alla ammissione dei mezzi istruttori articolati e richiesti dalla De. a verbale dell'udienza ex art. 320 c.p.c. del 2.03.2015 davanti al giudice di pace, trattandosi: a) per un verso, di richieste superflue, irrilevanti e comunque rimesse alla valutazione discrezionale del giudice, come quella di acquisizione ex artt. 210-213 c.p.c. del fascicolo d'ufficio relativo al giudizio davanti al giudice di pace di Bari n. R.G. 13906/2010 definito con la sentenza n. 3281/2011, attesa la produzione nel fascicolo di parte di prime cure della stessa attrice della sentenza n. 3281/2011, nonché dei verbali e dei documenti relativi al detto giudizio, neppure oggetto di contestazione da parte della convenuta-odierna appellata; b) per altro verso, di richieste istruttorie comunque ultronee, inammissibili e irrilevanti ai fini del thema decidendum inerente la prospettata responsabilità professionale dell'Avv. P., poiché riguardanti, sia la prova per testi articolata sui capitoli 2) e 3) dell'atto di citazione del 28.10.2014, che la CTU medico-legale richiesta dall'attrice in prime cure, l'accertamento di fatti inerenti un differente fatto storico ossia il sinistro occorsole in data 20.03.2009, peraltro già coperto dal giudicato ex art. 2909 c.c. con la ridetta sentenza n. 3281/2011, e in ogni caso neppure oggetto di contestazione da parte della convenuta-odierna appellata. Ciò posto, in via preliminare, deve osservarsi che la responsabilità professionale dell'avvocato configura un'obbligazione di mezzi e non di risultato e quindi presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata. Senonché la responsabilità del legale non potrebbe, peraltro, affermarsi per il solo fatto del non corretto adempimento dell'attività professionale, essendo necessario verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla sua condotta professionale, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (cfr. Cass. civ. sez. II, 22.07.2014, n. 16690). In buona sostanza la responsabilità del prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente. Qualora si tratti poi dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita (così, fra le altre, Cass. 27 marzo 2006, n. 6967, 27 maggio 2009, n. 12354, 5 febbraio 2013, n. 2638, e 13 febbraio 2014, n. 3355). L'attore è tenuto a provare sia di aver sofferto un danno, sia che questo sia stato causato dalla insufficiente o inadeguata o negligente attività del professionista, e cioè dalla sua difettosa prestazione professionale. In particolare, trattandosi dell'attività del difensore, l'affermazione della sua responsabilità implica la valutazione positiva che alla proposizione di una diversa azione, o al diligente compimento di determinate attività sarebbero conseguiti effetti più vantaggiosi per l'assistito, non potendo viceversa presumersi dalla negligenza del professionista che tale sua condotta abbia in ogni caso arrecato un danno, come pure, in caso di omesso svolgimento di un'attività professionale va provato non solo il danno subito, ma anche il nesso eziologico tra esso e la condotta del professionista, in quanto non è ravvisabile alcuna essenziale diversità tra l'ipotesi di inesatto adempimento del professionista e l'ipotesi di adempimento mancato (cfr. Cass. civ., sez. II, 07.08.2002, n. 11901). In particolare, quanto al nesso eziologico, che rappresenta certamente il profilo più difficile e delicato oggetto di prova, soprattutto ove si deduca, come nel caso che ci occupa, una condotta omissiva del professionista, secondo il precedente e più rigoroso orientamento della Suprema Corte, la responsabilità del professionista ricorreva allorché vi fosse stata la prova del sicuro e chiaro evolversi positivo della situazione del cliente ed, in tema di responsabilità del legale, il sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e coltivata ((si vedano, Cass. civ., n. 17.11.1999, n. 722; Cass. civ., 28.04.1944, n. 4044). L'orientamento che, invece, risulta oggi dominante nella giurisprudenza di legittimità, è quello per cui al criterio della certezza circa gli effetti di una diversa condotta deve sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità di tale condotta a produrli (Cass. civ., n. 1286/1998; Cass. civ., n. 7997/2005; Cass. civ., n. 9238/2007). Pertanto, allo stato, può ritenersi pacifica l'impostazione per cui "l'affermazione della responsabilità professionale dell'avvocato non implica l'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la 'certezza morale' che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente. Ne consegue che al criterio della certezza della condotta può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli" (Cass. civ., n. 9238/2007, cit.). In sintesi, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che la responsabilità dell'esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare anche: in primo luogo, se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del legale; in secondo luogo, se un danno vi sia stato effettivamente; in terzo luogo se, qualora l'avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, sulla scorta di criteri probabilistici, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva che sia, ed il risultato derivatone (cfr. tra le tante, Cass. civ., n. 9238/2007, cit.; Cass. civ., n. 22376/2012; Cass. civ., 5.02.2013, n. 2638, per la quale "La responsabilità dell'avvocato - nella specie per omessa proposizione di impugnazione - non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone"). Parimenti, in caso di omesso svolgimento dell'attività professionale, come nel caso che ci occupa, va provato non solo il danno subito, ma anche il nesso eziologico tra esso e la condotta del professionista, in quanto non è ravvisabile alcuna essenziale diversità tra l'ipotesi di inesatto adempimento e l'ipotesi di adempimento mancato (si veda in tal senso Cass. civ., n. 11901/2002); ed infatti, in tali ipotesi, il danno derivante da eventuali omissioni del professionista è ravvisabile purché, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito secondo un'indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito cfr., in tal senso, Cass. civ., n. 10966/2004; Cass. civ., 19.11.2004, n. 21894, secondo cui "Nella causalità cd. omisssiva (o normativa, o ipotetica) il giudice, in forza della clausola generale di equivalenza prevista dall'art.40 cod.proc., è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli (nella specie, da un contratto di prestazione d'opera professionale di avvocato) secondo le regole di avvedutezza e diligenza che devono guidare l'"homo eiusdem condicionis ac professionis": il ragionamento del giudice sul rapporto causale, adeguato e logicamente coerente, deve, pertanto basarsi su regole di natura probabilistica tali da consentire una generalizzazione sul nesso di condizionamento omissione/evento nel senso che, se l'azione doverosa fosse intervenuta, l'evento danno si sarebbe evitato, sicché, essendosi per converso verificato, esso può essere oggettivamente imputato (causalità normativa) alla condotta omissiva che, così, viene a costituire l'antecedente necessario dell'evento. Ne consegue ancora che il giudice, partendo dalla condotta del (presunto) responsabile connotata da colposa inadempienza, dovrà svolgere una inferenza probabilistica (che rappresenta indubbiamente una "complicazione" nella formulazione del giudizio causale, ma) che non può essere pretermessa, onde la necessità di una formulazione di giudizio corretta e analitica che pervenga - senza affrettate approssimazioni e senza salti logici - alla conclusione, positiva o negativa, di sussistenza del legame causale tra condotta esaminata ed evento prodottosi. L'accertamento del rapporto di causalità ipotetica deve, poi, necessariamente passare attraverso l'enunciato "controfattuale" che pone al posto dell'omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe assicurato apprezzabili probabilità di evitare (o, comunque, di ridurre significativamente) il danno lamentato dal contraente adempiente"; Cass. civ., n. 15633/2006; Cass. civ., n. 9917/2010; e più recentemente, Cass. civ., 24.10.2017, n. 25112, secondo cui "In tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa". Dunque, l'affermazione della responsabilità professionale dell'avvocato, anche nell'ambito della c.d. "perdita di chance", non implica l'indagine sul sicuro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la "certezza morale" che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente; il criterio che governa l'accertamento del nesso di causalità in materia non è quello della certezza dell'effetto dannoso rispetto alla condotta, ma quello della probabilità di tale effetto e della idoneità della condotta a produrlo (cfr. Cass. civ., n. 11901/2002; Cass. civ., n. 632/2000; Cass. civ. n. 10966/2004, secondo cui "L'affermazione della responsabilità per colpa professionale di un difensore implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente eseguita"). Ed ancora la negligenza del professionista che abbia causato al cliente la perdita della chance di intraprendere o proseguire una lite in sede giudiziaria è fonte di responsabilità ove si accerti la ragionevole probabilità che la situazione lamentata avrebbe avuto, per il cliente, una diversa e più favorevole evoluzione con l'uso dell'ordinaria diligenza professionale (cfr., ex multis, Cass. civ., n. 15759/2001). La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, più volte ribadito che rientra, nell'ambito delle competenze specifiche dell'attività professionale e dei doveri di diligenza a cui tale attività deve essere improntata, a norma degli artt. 1176, commi 1 e 2, e 2236 c.c., la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza. Il cliente, infatti, normalmente non conosce, o non è in grado di valutare, regole e tempi del processo, natura dei documenti e delle prove che devono essere sottoposti al giudice per vincere la causa, possibilità o meno di raggiungere l'obiettivo con gli elementi di cui dispone: sotto tutti questi aspetti, egli deve essere guidato ed indirizzato dall'avvocato, che gli deve fornire le necessarie informazioni, anche per consentirgli di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale (cfr. Cass. civ. sentenza n. 8312/2011; Cass. civ. sentenza n. 25963/2015). È stato, pertanto, affermato che "la mancata indicazione al giudice delle prove indispensabili per l'accoglimento della domanda è di per sé manifestazione di negligenza del difensore, salvo che egli dimostri di non avere potuto adempiere per fatto a lui non imputabile (art. 1218 cod. civ.), o di avere svolto tutte le attività che nella particolare contingenza gli potevano essere ragionevolmente richieste allo scopo (art. 1176 cod. civ.)" (Cass. civ., n. 8312/2011). Orbene, nella controversia in esame, dalla documentazione in atti non emergono le condizioni per il riconoscimento della responsabilità professionale dell'Avv. P. atteso che, la doglianza sollevata da parte attrice - mancata comparizione del predetto difensore alla prima udienza di comparizione nel giudizio n. R.G. 13906/2010 con conseguente omessa indicazione, articolazione e richiesta di mezzi istruttori - è inidonea a dimostrare quale sarebbe stato l'esito del giudizio, se lo stesso professionista avesse compiuto le attività omesse. Ed invero, deve osservarsi in questa sede che, per un verso, l'omessa partecipazione dell'Avv. P. alla prima udienza del 24.01.2011 nel ridetto giudizio n. R.G. 13906/2010, era stata comprovata dall'impedimento conseguente a ragioni di salute della medesima professionista per "iperemesi in gravida" (cfr. certificato sanitario rilasciato dalla dott.ssa F.G. in data 24.01.2011, allegato al fascicolo di parte di primo grado della stessa Avv. P.), e per altro verso, la doglianza sollevata da parte attrice in merito alla conseguente omessa iniziativa processuale e alla omessa indicazione e articolazione dei mezzi istruttori è inidonea ex se a dimostrare quale sarebbe stato l'esito del relativo giudizio, se la stessa professionista avesse compiuto le attività omesse; ed invero, in questa sede deve osservarsi che non v'è non solo la certezza ma neppure l'astratta possibilità di accertare che la domanda azionata nel giudizio innanzi al giudice di pace avrebbe avuto un esito probabilmente favorevole per l'attrice, posto che non è dato conoscere quali sarebbero state esattamente le richieste istruttorie che avrebbero potuto essere articolate né quali sarebbero state esattamente le circostanze sulle quali gli eventuali testimoni avrebbero dovuto deporre, né tantomeno cosa avrebbero in concreto riferito (arg. da Cass. civ., n. 9238/2007, cit). Da tale angolo visuale, non appare neppure condivisibile l'assunto di parte appellante in merito alla natura sostanzialmente documentale del predetto giudizio presupposto, ossia di quello risarcitorio azionato dalla De. ex art. 141 cod. ass., attesa, per un verso, la contestazione da parte della compagnia assicuratrice A. S.p.a. dell'an e della stessa storicità del sinistro in esame, per altro verso, l'assenza di una consulenza tecnica di parte idonea a fornire un riscontro delle lamentate lesioni personali al rachide cervicale sofferte dalla De. nel ridetto incidente, e per altro verso ancora, tenuto conto dell'indirizzo ermeneutico comunque già riconosciuto da parte della giurisprudenza, di merito e di legittimità, così come di recente riaffermato da Cass. civ., sez. 3, 14.02.2019, n. 4147, secondo cui "In tema di risarcimento del danno da circolazione stradale, l'azione conferita dall'art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 al terzo trasportato, nei confronti dell'assicuratore del vettore, postula l'accertamento della corresponsabilità di quest'ultimo, dovendosi riferire la "salvezza del caso fortuito", di cui all'inciso iniziale della norma, non solo alle cause naturali, ma anche alla condotta umana del conducente di altro veicolo coinvolto; la relativa presunzione di legge può, tuttavia, essere superata dalla prova, a carico dell'assicuratore del vettore, della totale assenza di responsabilità del proprio assicurato, ovvero dalla dichiarazione, resa ai sensi dell'art. 141, comma 3, del D.Lgs. n. 209 del 2005 dall'assicuratore del responsabile civile intervenuto nel processo, a fronte della quale il giudice è tenuto ad estromettere l'originario convenuto, rivolgendosi "ex lege" la domanda risarcitoria dell'attore verso l'assicuratore intervenuto". Nel caso in esame, infatti, la domanda risarcitoria avanzata ex art. 141 cod. ass. da parte della De., indicava una responsabilità esclusiva del conducente del veicolo antagonista (la Fiat Doblò), escludendo qualsiasi corresponsabilità del conducente del vettore (Ford Focus) sul quale la medesima De. era trasportata. Del resto, vale la pena soggiungere che, anche sotto il profilo strettamente processuale, il predetto giudizio n. R.G. 13906/2010 era stato introdotto esclusivamente nei confronti della compagnia assicuratrice del vettore, ossia A. S.p.a., e non anche nei confronti del proprietario del vettore, pacificamente riconosciuto litisconsorte necessario, con conseguente omessa integrazione del contraddittorio che, ragionevolmente, avrebbe inficiato qualsivoglia esito del giudizio di primo grado (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. 3, 22.11.2016, n. 23706, secondo cui, "In tema di assicurazione obbligatoria della r.c.a., anche in tutte le ipotesi di azioni dirette disciplinate dal vigente D.Lgs. n. 209 del 2005, il proprietario del veicolo assicurato deve essere, quale responsabile del danno, chiamato in causa quale litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore, al fine di rendere opponibile all'assicurato l'accertamento della sua condotta colposa, in vista dell'azione di regresso dell'assicuratore"; cfr. in senso conforme, già Cass. civ., sez. 3, 2.12.2014, n. 25421, in motivazione quale obiter dictum; Cass. civ., sez., 3, 13.04.2007, n. 8825; e più recentemente, Cass. civ., sez. 3, 23.06.2021, n. 17963; nonché Cass. civ., sez. 3, ord. 14.09.2022, n. 27078, per cui "In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, nel giudizio promosso dal terzo trasportato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo a bordo del quale si trovava al momento del sinistro è litisconsorte necessario il proprietario del veicolo, con la conseguenza che, ove quest'ultimo non sia stato citato in giudizio, il contraddittorio deve essere integrato ex art. 102 c.p.c. e la relativa omissione, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, determina l'annullamento della sentenza con rimessione della causa al giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 383, comma 3, c.p.c."). In conclusione, a fronte di quanto innanzi evidenziato, deve escludersi che la sola mancata partecipazione del difensore alla suddetta prima udienza di comparizione davanti al giudice competente (peraltro giustificata da un impedimento per motivi di salute), e l'asserita mancata realizzazione delle eventuali omissioni allo stesso imputabili (peraltro, per quanto sopra evidenziato, non sufficientemente corroborata), avrebbe condotto ad un esito diverso il relativo giudizio. Ne consegue che la domanda attorea, in questa sede riproposta ed esaminata deve essere comunque rigettata, restando assorbita ogni ulteriore eccezione sollevata dalle parti. Pertanto, in accoglimento del primo motivo di gravame deve essere annullata la sentenza di primo grado, ma la domanda di merito deve essere rigettata poiché infondata. Per quanto riguarda la regolamentazione delle spese complessive di lite, noto il principio secondo cui, "Il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell'esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione" (cfr. ex multis, Cass. civ., 14.10.2013, n. 23226; v. in tale senso, anche, Cass. civ., sez. 5, 7.07.2006, n. 15557, in punto di nuova regolamentazione delle spese di lite da parte del giudice d'appello anche nei casi di compensazione disposta dal giudice di primo grado; nonché Cass. civ., sez. 6-3, ord. 24.01.2017, n. 1775), deve ritenersi che la parziale reciproca soccombenza, in uno alla complessità delle questioni giuridiche e in fatto esaminate e ai non sempre univoci orientamenti della giurisprudenza in materia, giustificano la compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi di giudizio ai sensi dell'art. 92 co. 2 c.p.c. nella versione ratione temporis vigente alla data di introduzione del giudizio, tenuto conto, peraltro, della pronuncia della Corte Costituzione n. 77/2018, secondo cui, "È costituzionalmente illegittimo il secondo comma dell'articolo 92 del c.p.c. nel testo modificato dall'articolo 13, comma 1, D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, oltre che nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni", con conseguente obbligo dell'appellata alla restituzione in favore di parte appellante di quanto da questa eventualmente già corrisposto a titolo di spese processuali in esecuzione della sentenza di primo grado. P.Q.M. Il Tribunale Ordinario di Bari, Terza sezione civile, in composizione monocratica, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, definitivamente decidendo sull'appello proposto da De.Do. avverso la sentenza del Giudice di Pace di Bari n. 1697/2015, depositata in data 8.06.2015, e non notificata, nella causa iscritta al n. R.G. 13320/2015, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede: 1) accoglie, per quanto di ragione, il primo motivo di appello e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata e rigetta nel merito la domanda attorea; 2) compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Bari il 17 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO del TRIBUNALE di BARI Prima Sezione Penale Dott.ssa Antonietta GUERRA con la presenza del P.M., V.P.O. avv. Giovanni ARALLA; e con l'assistenza del Cancelliere Esperto, dott.ssa Antonella RANIERI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro Tu.Ni., nato a G. A. (B.) il (...) ed ivi residente in via Tu. n.31- detenuto p.a.c., assente per rinuncia; assistito e difeso, di fiducia, dall'avv. Vi.Em., del Foro di Bari - presente; IMPUTATO Del delitto previsto e punito dall'art. 385 c.p., perché essendo sottoposto alla misura precautelare degli arresti domiciliari presso la propria abitazione sita in G. A., nell'ambito del Proc. Pen. 374/2024 RGNR - mod 21, evadeva allontanandosi, senza giustificato motivo, ed in particolare verso le 00:40 veniva sorpreso all'interno dello scalo ferroviario di Bari Centrale nei pressi del sottopasso contraddistinto dal colore giallo. Acc. in Bari in data 12/01/2024 Con la recidiva, reiterata, specifica, infraquinquennale. FATTO E DIRITTO Tu.Ni. veniva tratto in arresto in data 12.01.2024 dagli agenti della Polizia di Stato - Compartimento della Polizia Ferroviaria di Bari, nella flagranza del reato di cui all'art. 385 c.p. Con proprio decreto, il Pubblico Ministero in sede disponeva la tempestiva presentazione del predetto dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, per la convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo. All'udienza del 12.01.2024, in cui era presente l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, il Giudice, impartiti gli avvertimenti previsti dall'art. 64 c.p.p., procedeva all'interrogatorio dell'arrestato, la quale si avvaleva della facoltà di non rispondere. Indi, convalidato l'arresto, poiché eseguito nei casi consentiti dalla legge, il Giudice, in difetto di richiesta di misura cautelare ne ordinava la immediata liberazione (ove non detenuto per altra causa). L'imputato chiedeva personalmente di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato condizionato al deposito di due perizie psichiatriche e di ulteriore documentazione medica, il difensore chiedeva un termine a difesa e il Giudice rinviava ad udienza del 20.02.2024 per la discussione. All'udienza odierna, il difensore dell'imputato depositava , le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e il Giudice decideva come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine alla commissione del reato riflesso nel capo d'imputazione. In particolare, è dato evincere dal verbale di arresto, redatto in data 12.01.2024 dagli agenti della Polizia di Stato - Compartimento della Polizia Ferroviaria di Bari, pienamente utilizzabile, poiché confluito nell'incartamento processuale in ragione del rito prescelto, quanto segue: "L'anno 2024, addi 12 del mese di Gennaio, alle ore 02.30 negli uffici del Reparto Operativo di Bari Centrale; "I sottoscritti Ufficiali e Agenti di P.G., D.T.M. L.V. rispettivamente Vice Sov.te ed Assistente Capo C. della polizia di Stato, in forza al suindicato ufficio, danno atto che in data odierna, alle ore 00.40, hanno preceduto all'arresto del nominato in oggetto perché resosi responsabile dei reati in epigrafe indicato. I Fatti Alle ore 00.30 odierne, durante il turno di servizio di pattugliamento all'interno di questo scalo ferroviario di Bari Centrale, all'altezza del sottopasso contraddistinto dal colore giallo, si procedeva al controllo di una persona identificata per: Tu.Ni. nato a G. A. il (...) ivi residente in via Tu. 31. Da un controllo SDI il Tu., oltre a numerosi precedenti di polizia, risultava essere sottoposto agli arresti domiciliari presso la propria abitazione sita in G. A. alla via Tu. n. 31 così come disposto dall'A.G. in data 10.01.2024. Inoltre, sempre a suo carico emergevano l'obbligo di dimora a Grumo Appala, giusta ordinanza n. 78/24 R.G.T. - N. 158/24 R.G.N.R. del 08.01.2024 notificato in pari data dal Commissariato di Monopoli con la prescrizione di permanere presso il proprio domicilio dalle ore 20.00 alle ore 07.00 e un divieto di ritorno nel comune di Bari emesso dal Questore di Bari in data 27.04.2021 per la durata di anni tre". Gli elementi oggettivi sin qui rappresentati consentono di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale dell'imputato in ordine alla commissione del reato a lui ascritto nel capo d'imputazione. Come noto, la condotta del reato di cui all'art. 385 c.p., tipica ipotesi di reato formale, consiste nell'evadere, ossia nel sottrarsi all'arresto o alla detenzione. Come chiarito dal granitico orientamento della Cassazione, evadere significa, semplicemente, riacquistare la propria libertà personale, eludendo completamente e con qualunque mezzo la sorveglianza delle persone incaricate (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, n. 4982/87; Cass., sez. VI, n. 6243/76; Cass., sez. II, n. 3868/74). In particolare, il legislatore ha riservato il termine "evadere" a quanti escano dal luogo istituzionalmente destinato alla custodia delle persone e in cui, invece, avrebbero dovuto rimanere per tale esigenza (cfr. Cass., sez. VI, n. 2160/'90). Si consideri che la condotta tipica del reato de quo consiste nell'allontanamento. Ed infatti, integra il reato di evasione la violazione delle prescrizioni correlate alla detenzione domiciliare. Alla stessa non è applicabile il regime previsto per la semilibertà, che contempla un periodo di "assenza tollerata", quantificato in dodici ore, entro il quale la sanzione prevista in caso di ritardato rientro in istituto non è di natura penale ma solo disciplinare (cfr. Cass, sez. VI, n. 8156/2012; Cass., sez. VI, n. 48547/2009). Inoltre, l'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione della fattispecie è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di evadere, nella consapevolezza del proprio stato di arresto o detenzione, senza che abbia alcun rilievo lo scopo che l'agente si propone con la sua azione o il motivo che abbia determinato la condotta dell'agente (cfr. Cass., sez. VI, n. 8614/2016; Cass., sez. VI, n. 22109/2014; Cass., sez. VI, n. 19218/2012). Dunque, il reato di evasione non è strutturato a dolo specifico, essendo sufficiente, per la sussistenza dell'elemento soggettivo, la consapevolezza e la volontà del reo di usufruire di una libertà di movimento vietata dal precetto penale, e voluta anche unicamente come fine a sé stessa (cfr. Cass., sez. VI, n. 19218/2012; Cass., sez. VI, n. 311995/2003). Non rilevano, quindi, i motivi della condotta dell'agente (cfr. Cass., sez. VI, n. 19218/2012 cit.; Cass., sez. VI, n. 19639/2004). Nel caso concreto, si ravvisa, palesemente, da parte del Tu.Ni., la volontà di allontanamento dalla propria abitazione in G. A., in cui era ristretto essendo sottoposto alla misura precautelare degli arresti domiciliari. Inoltre, il Tu. era ben consapevole del fatto che non avrebbe potuto allontanarsi dalla propria abitazione presso la quale si trovava ristretto se non in forza di un provvedimento dell'Autorità competente cui non risulta essere mai stato richiesto alcunché. Quanto all'imputabilità dell'odierno imputato, dalla documentazione depositata dalla difesa, nello specifico dalla perizia a firma del dott. R.M., nominato perito nell'ambito del procedimento r.g.n.r. 4528/21 - r.g.t. 1612/2021, da perizia a firma del dott. A.S., nominato perito nell'ambito del procedimento innanzi alla Corte di Appello di Bari r.g.n.r.: 6388/2017 - r.g.n.: 3393/2019 e da certificazione della A.B. - Dipartimento di Salute Mentale del 21.06.2021 - 26.05.2021 - 21.06.2021 - 21.06.2022 e 07.07.2022 si evince la sussistenza di un vizio parziale di mente. Infatti, nelle conclusioni della perizia a firma del dott. R.M., nominato perito nell'ambito del procedimento r.g.n.r. 4528/21 - r.g.t. 1612/2021 si legge quanto segue: "Come si è appurato nel caso del Tu. la compromissione è presente, ma minimale. E pertanto. 1. Al momento di compiere l'evento delittuoso la capacità di intendere e volere del periziando era presente ma grandemente scemata. La ipodotazione intellettiva del soggetto non gli impedisce totalmente di comprendere gli obblighi cui sottostare e gli atti delittuosi commessi in relazione al procedimento presente sono caratterizzati dalla piena consapevolezza. 2. La capacità di partecipare al processo è SI' presente, in tutte le sue componenti di comprensione, espressione, conseguenzialità. 3. Attualmente si può considerare SI' presente una condizione di pericolosità sociale poiché il paziente ha scarsa coscienza della sua condizione e poca collaboratività nel seguire le prescrizioni terapeutiche.". Nelle conclusioni della perizia a firma del dott. A.S., nominato perito nell'ambito del procedimento innanzi alla Corte di Appello di Bari r.g.n.r.: 6388/2017 - r.g.n.: 3393/2019, si legge: "Alla luce dei dati clinici, anamnestici e documentali è possibile concludere che il sig. Tu.Ni. è affetto da un quadro multipatologico costituito da Disturbi del Comportamento e Ritardo Mentale di Grado Lieve con Marcata Immaturità Ideo-affettiva. Il quadro psicopatologico è insorto fin dall'età infantile con un disturbo dello sviluppo e si è stabilizzato in età adolescenziale e nella prima età adulta assumendo caratteri di cronicità, pervasività e persistenza, aggravata anche dall'uso (abuso di sostanze (hashish, cocaina, alcol). Il quadro sindromico era presente all'epoca dei fatti di causa, e nel suo insieme era di grado tale da scemare gravemente le capacità di intendere e di volere, senza peraltro abolirle totalmente. Ricorrono pertanto le condizioni previste dalla norma giuridica per il vizio parziale di mente. Successivamente, grazie alla continuità delle cure farmacologiche iniziate da quando è seguito continuativamente dal CSM territorialmente competente il Tu. ha conseguito uno stato di stabile compenso timico con remissione completa dei disturbi comportamentali e acquisizione di una migliore consapevolezza e, al momento attuale, la sua capacità di stare in giudizio non appare compromessa. Per le stesse ragioni la sua pericolosità sociale psichiatrica è da considerare al momento attuale attenuata e richiede misure idonee ad assicurare la continuità delle cure, presupposto per il mantenimento delle attuali condizioni di compenso: appare in tal senso adeguata la misura della libertà vigilata per un periodo di sei-nove mesi con affidamento al CSM territorialmente competente (CSM di Toritto) per il monitoraggio clinico periodico e l'assicurazione della continuità delle cure.". Tanto premesso e passando al trattamento sanzionatorio, va in primo luogo ritenuto che sussistono i presupposti normativi per la operatività, nel caso in esame, della diminuente di cui all'art. 89 c.p. con conseguente riduzione della pena, in ragione delle risultanze delle perizie psichiatriche che ben possono essere utilizzate nel caso di specie alla luce delle date della loro redazione e della tipologia di reati esaminati. L'imputato risulta gravato da numerose condanne per delitti contro il patrimonio e, da ultimo, da sentenza della Corte di Appello di Bari, irrevocabile il 14.01.2023 e sentenza della Corte di Appello di Bari, irrevocabile il 24.02.2023, entrambe per reato di evasione; per dette ragioni deve ritenersi corretta la contestazione operata in capo all'imputato della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. Non sussistono elementi per poter riconoscere le circostanze attenuanti generiche alla luce della personalità dell'imputato e dell'assenza di segni di resipiscenza. Tali considerazioni escludono, anche alla luce del casellario in atti, la possibilità di applicare l'istituto di cui all'art. 131 bis c.p. Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., l'imputato deve essere condannato alla pena di giustizia di mesi 10 di reclusione (p.b.: anni uno di reclusione; aumentata di mesi 8 per la riconosciuta recidiva, diminuita di mesi cinque di reclusione ex art. 89 c.p.; applicata la diminuzione di un terzo per la scelta del rito). A norma dell'art. 535 c.p.p., l'imputato deve essere, inoltre, condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Letti gli artt. 438, 533 e 535 c.p.p. dichiara Tu.Ni. colpevole del reato a lui ascritto e - applicato l'aumento per la contestata recidiva e la diminuzione della pena ex art. 89 c.p., nonché applicata la diminuente di rito - lo condanna alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Motivazione contestuale. Così deciso in Bari il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 20 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Ordinario di Bari, 4 sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice designato, dott. Giuseppe Marseglia, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 16039 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018 e vertente TRA Sa. S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al.De. e An.De., giusta procura in atti opponente E Fi. S.R.L. e, per essa, quale mandataria Do. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. An.Pu., giusta procura in atti opposta Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - Contratti bancari RAGIONI di FATTO e di DIRITTO della DECISIONE Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 3446/2018 emesso in data 11/09/2018, è stato ingiunto alla Sa. S.p.A. il pagamento in favore della Fi. S.r.l. della somma di Euro 224.481,48, quale saldo debitore di un rapporto di conto corrente con aperture di credito, oltre interessi come da domanda e spese della procedura monitoria. Avverso il predetto decreto ingiuntivo, ha proposto opposizione la società ingiunta, con atto di citazione ritualmente notificato, con cui ha contestato la titolarità del credito e la documentazione prodotta, nonché, con riguardo al conto corrente, l'illegittima applicazione di interessi e commissioni non validamente pattuiti, il carattere usurario dei tassi applicati, la violazione dell'art. 118 TUB e l'illegittima capitalizzazione degli interessi. L'opponente ha concluso chiedendo, in via cautelare, la sospensione della provvisoria esecutività del Decreto e, nel merito, la revoca dello stesso, ovvero, la rideterminazione del saldo di conto corrente, con richiesta di risarcimento danni ex artt. 185 c.p. 2056 e 2059 c.c., in caso di accertata usura. Si è costituita l'opposta, con comparsa di costituzione e risposta del 11/02/2019, chiedendo il rigetto dell'opposizione e diffusamente argomentando a sostegno dell'infondatezza della stessa. Rigettata l'istanza ex art. 649 c.p.c. con ordinanza del 20/03/2019 ed esperito infruttuosamente il tentativo di media-conciliazione, la causa è stata istruita documentalmente ed a mezzo CTU contabile, affidata al dott. Luca Veneziani che in data 2/03/2022 ha depositato il proprio elaborato peritale. All'udienza indicata in epigrafe, le parti hanno precisato le conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. La spiegata opposizione è fondata solo in parte, per le ragioni di seguito esposte. Innanzitutto, va disattesa l'eccezione, sollevata dall'opponente, di difetto di titolarità del credito in capo all'opposta. Questo Tribunale aderisce al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui "In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione" (cfr. Cass. 2017/n. 31118; Cass. n. 15884/2019; Cass. n. 5617/2020). Orbene, l'opposta ha prodotto l'estratto di GU Parte seconda n. 93 del 08/08/2017, da cui risulta la cessione in suo favore da parte di U. S.p.A., di crediti derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche nel periodo compreso tra il 1975 e il 2016 e qualificati come attività finanziarie deteriorate. Tra i predetti crediti senz'altro rientra il credito de quo, atteso che sul conto corrente dedotto in giudizio, come correttamente rilevato dal CTU, risulta un'apertura di credito sin dalla sua accensione, di seguito disciplinata con lettera di apertura di credito per elasticità di cassa del 23/12/2009 (all. 6 fascicolo monitorio). Considerato che gli affidamenti sono stati revocati con lettera del 20/05/2011 (all. 7 del fascicolo monitorio), il credito può certamente inquadrarsi tra le attività finanziarie deteriorate, caratterizzate, cioè dall'incertezza della riscossione. Giova anche precisare che la cartolarizzazione rientra nella species della cessione di credito e non della cessione del contratto. La cessione di credito, a differenza della cessione di contratto, che comporta il trasferimento dell'intera posizione contrattuale dal cedente al cessionario, è limitata al solo diritto di credito derivato al cedente da un precedente contratto. Non vi è dubbio, quindi, che il credito de quo rientri tra quelli ceduti: infatti, non è stato ceduto il contratto di conto corrente, bensì il credito derivante dalle aperture di credito concesse sullo stesso. Pertanto, l'opposta ha provato la titolarità del credito azionato. Privo di pregio è anche il disconoscimento del contratto di conto corrente e degli estratti conto, in quanto prodotti in fotocopia. Il disconoscimento delle copie fotostatiche, ai sensi dell'art. 2719 c.c., impone che la contestazione della conformità delle stesse all'originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia le differenze rispetto all'originale, non essendo sufficienti né il ricorso a clausole di stile, né generiche asserzioni. Ciò posto, con riguardo al conto corrente, attesa la scarsa qualità grafica della scansione prodotta, l'opposta, in uno alla comparsa di costituzione e risposta, ha depositato l'originale (all. 5). Detto documento, perfettamente leggibile e integro in ogni sua parte, reca la data del 17/11/2000. Quanto agli estratti conto, va chiarito che essi non sono inquadrabili, ai fini probatori, come copie fotografiche o fotostatiche di originali esistenti, ma sono riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, ossia la stampa di un'elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca. La disciplina del disconoscimento, dunque, non va rinvenuta nell'art. 2719 c.c., bensì nell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che sul cliente grava l'onere di contestare le singole operazioni registrate (cfr. Cass. civ. n. 14686/2018; Cass. civ. n. 11269/2004). Orbene, nel caso che ci occupa, l'opposta ha prodotto l'intera sequenza di estratti conto, con ciò adempiendo al proprio onere probatorio. L'opponente, dal canto suo, ha contestato genericamente la non autenticità di tali documenti contabili, ma non, nello specifico e in modo circostanziato, la non veridicità delle singole operazioni. Non è fondata anche la doglianza relativa all'indeterminatezza dei tassi di interesse. Il conto corrente contiene le seguenti clausole: 1. previsione del tasso creditore nella misura del 2,5%; 2. previsione del tasso debitore nella misura del 8%; 3. previsione della c.m.s. nella misura dello 0,125%. Il relativo foglio informativo analitico reca le seguenti disposizioni: 1. capitalizzazione interessi debitori trimestrale; 2. capitalizzazione interessi creditori annuale; 3. previsione della c.m.s. nella misura massima dello 0,925%; 4. previsione del tasso debitore nella misura massima del 13,75%. Come correttamente evidenziato dal CTU nella sua relazione, con riferimento alla previsione del tasso creditore/debitore e della c.m.s., il foglio informativo non appare in contrasto con le previsioni del contratto in quanto i valori ivi riportati sono valori "soglia" mentre quelli del contratto sono valori puntuali. I tassi di interesse risultano, quindi, determinati. Va disattesa anche l'eccezione relativa all'illegittima capitalizzazione degli interessi. Come è noto, l'art. 120 TUB, nella sua versione iniziale, in vigore dal 1994 al 1999, non disciplinava il fenomeno anatocistico. Con riferimento a quella fase, è intervenuta la giurisprudenza di legittimità che, ritenendo la natura di "usi negoziali" e non normativi delle "norme bancarie uniformi predisposte dall'ABI", in cui era prevista l'applicazione della capitalizzazione trimestrale (cfr. Cass SSUU n. 24418/2010), ha chiarito che le clausole contrattuali con cui era pattuito l'anatocismo, sono nulle ex art. 1283 c.c. L'art. 25 co. 2 del D.Lgs. 4 agosto 1999 ha modificato l'art. 120 TUB, sancendo la legittimità dell'anatocismo, sebbene a determinate condizioni: la norma de qua prevede che il CICR stabilisca modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nei rapporti di conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità dei pagamenti. All'art. 2 della Del.CICR 9 febbraio 2020, si legge che l'accredito e l'addebito degli interessi debba avvenire sulla base di tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti e che il saldo periodico produca interessi secondo le medesime modalità. Nel caso che ci occupa, sebbene nel foglio informativo del contratto di conto corrente sia prevista la capitalizzazione annuale, nel contratto è stata specificamente pattuita la capitalizzazione trimestrale a condizione di reciprocità. Tale pattuizione, conforme alla normativa innanzi richiamata, come correttamente evidenziato dal CTU, ha trovato concreta applicazione al momento dell'esecuzione del rapporto contrattuale, come documentato dagli estratti conto in atti. Perciò, la banca ha applicato la capitalizzazione degli interessi in modo legittimo, in aderenza al dettato normativo. È invece fondata e va accolta la doglianza relativa all'illegittima applicazione delle commissioni. La commissione di massimo scoperto è il corrispettivo cui è tenuto il correntista per la semplice messa a disposizione da parte della banca di una somma e, per essere valida, deve rivestire i requisiti della determinatezza o determinabilità dell'onere aggiuntivo che viene ad imporsi al cliente, e ciò accade quando sono previsti sia il tasso della commissione, sia i criteri di calcolo, sia la sua periodicità (tra le tante, Trib. Modena n. 361/2018). Nel caso di specie, la clausola che prevede la cms prevede solo il tasso, ma non i criteri di calcolo, risultando, dunque, indeterminata. Inoltre, per quanto riguarda la CIV - Commissione di istruttoria veloce, l'art. 117 bis, comma 2 del TUB la prevede per le ipotesi di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido concesso. L'applicazione di tale commissione non può essere un automatismo procedurale, ma richiede la prova di ciascuno degli sconfinamenti concessi. Tale prova, nel caso di specie, è posta a carico dell'istituto di credito, sia in quanto attrice in senso sostanziale, sia per il principio di vicinanza della prova. Tuttavia, come rilevato correttamente dal CTU, nella documentazione acquisita agli atti non è stato rinvenuto alcun elemento di prova in tal senso. Inoltre, visto il principio di onnicomprensività della commissione di cui al co. 1 dell'art. 117 bis TUB, si deve rilevare che è illegittima l'applicazione, da parte della banca di una indennità di sconfinamento in concomitanza con una commissione di disponibilità fondi, atteso l'evidente sdoppiamento di un costo che è, nella sostanza, unico. Va, invece, disattesa la contestazione relativa alla violazione dell'art. 118 TUB. La cessionaria del credito, come detto, ha prodotto tutti gli estratti conto ed anche le proposte di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali. La correntista non ha contestato la ricezione di tali comunicazioni, limitandosi a dedurre che tali proposte di modifica unilaterale, non recano l'indicazione del giustificato motivo richiesto dall'art. 118 TUB. La nota del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 febbraio 2007 prot. (...) ha chiarito che "in relazione al contenuto minimo della nozione di giustificato motivo, questa deve intendersi nel senso di ricomprendere gli eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere quelli che afferiscono alla sfera del cliente (...) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari". Nel caso che ci occupa, i motivi indicati dall'istituto di credito a giustificazione delle proposte di modifica sono per lo più ancorati a modifiche organizzative e strutturali, dovute all'ingresso di B.U.R. nel Gruppo U.. Pur nell'innegabile elasticità del concetto di "giustificato motivo", può ritenersi che le motivazioni addotte dalla banca siano tali da poter incidere sul rapporto bancario e siano, pertanto, idonee ad integrare, per l'appunto il "giustificato motivo". E', infine, priva di pregio l'eccezione relativa al carattere usurario dei tassi pattuiti. Va, innanzitutto, chiarito che il contrasto giurisprudenziale relativo alla rilevanza della c.d. "usura sopravvenuta" è stato da tempo superato dalle SSUU della Corte di Cassazione, che, con sentenza n. 24675/2017, hanno evidenziato come, ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 c.c., abbia rilevanza la sola usura originaria. L'usura sopravvenuta è, in effetti, un fenomeno riconducibile all'alea normale, ossia al rischio naturale che caratterizza l'esecuzione dei rapporti contrattuali di durata. Pertanto, l'accertamento effettuato dal CTU relativo all'eventuale carattere usurario del rapporto per tutta la durata dello stesso è superfluo, se non con riguardo ai soli momenti rilevanti, ossia quello della pattuizione iniziale e quello delle successive modifiche contrattuali (usura originaria). Ai fini del calcolo del TEG, onde verificarne la conformità alla L. n. 108 del 1990, è necessario applicare le Istruzioni della B.I. diramate in materia di calcolo del TEGM, in virtù del principio di simmetria/omogeneità. Tale principio è stato fissato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha evidenziato come il giudizio di usurarietà si basi sul raffronto tra un dato concreto (il TEG applicato nell'ambito del contratto oggetto di causa) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riguardo alla tipologia di contratto), sicché se detto raffronto non viene effettuato utilizzando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può che essere viziato (Cass. SSUU n. 16303/2018). Ciò comporta che il raffronto tra un TEG ricavato sulla base di criteri diversi da quelli elaborati dalla B.I. ed un TEGM rilevato sulla base di tali principi non avrebbe senso, trattandosi di grandezze disomogenee e non paragonabili. È chiaro, quindi, che il TEG vada calcolato sulla base delle medesime Istruzioni della B.I. tempo per tempo dettate ai fini della rilevazione del TEGM. Orbene, nel caso che ci occupa, il CTU, al fine di verificare l'usura al momento dell'accensione del conto, ha effettuato il raffronto non già tra TEG e Tasso soglia (come avrebbe dovuto), bensì tra il TAEG ed il relativo tasso soglia, evidenziando il mancato superamento del secondo da parte del primo. Il TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) viene impiegato come tasso di riferimento per le operazioni di credito al consumo, mentre il TEG (Tasso Effettivo Globale) viene impiegato per le verifiche di usurarietà delle operazioni di credito praticate da banche ed altri intermediari finanziari. Mentre il TAEG assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell'utilizzatore del credito, il TEG è segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla B.I., ai fini della determinazione delle soglie d'usura previste dalla L. n. 108 del 1996. Sia le formule di riferimento che le spese incluse/escluse dal calcolo, pur essendo molto simili, non risultano esattamente coincidenti. La diversa finalità e il diverso momento temporale di rilevazione, che caratterizzano i due indicatori, non consentono una piena sovrapponibilità delle formule di calcolo. Tuttavia, quanto al caso che ci occupa, la discrasia rilevata dal CTU tra il TAEG ed il tasso soglia è talmente significativa, che l'ipotetica differenza, certamente minima, tra le due grandezze TAEG e TEG, non può certamente incidere sulle corrette conclusioni del consulente tecnico, ossia sull'insussistenza di usura originaria. La definitiva certezza circa la correttezza della detta conclusione è data dal fatto che il TEG (correttamente calcolato dal CTU nella verifica relativa all'usura sopravvenuta) dei trimestri immediatamente successivi è inferiore al tasso soglia. Dalla tabella redatta dal CTU, con verifica dell'eventuale usurarietà nei trimestri successivi all'apertura del conto, si rileva che al momento delle successive modifiche contrattuali non vi è superamento del tasso soglia. L'usura rilevata in alcuni trimestri è mera usura sopravvenuta che, come detto, è irrilevante. Sempre in tema di usura, va precisato che, per i rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni di cui all'art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d'interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la "CMS soglia", calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l'importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il "margine" degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati (Cassazione Civile - Sez. Unite - n. 16303 del 20/06/2018). Dunque, in aderenza al detto principio, il CTU ha correttamente verificato che la cms è inferiore al tasso soglia. Ciò posto, tra le diverse ipotesi di calcolo dei rapporti di dare - avere elaborate dal CTU, si può utilizzare l'ipotesi D, nella quale il consulente ha applicato tassi e spese come praticate dall'istituto con espunzione di sole C.M.S. e altre commissioni rilevanti ai fini del TAEG (CIV, DIF, etc.). Nell'ambito di tale rielaborazione, il CTU ha tuttavia erroneamente ridotto il tasso applicato al tasso soglia dei trimestri in usura sopravvenuta. Nell'utilizzare detto saldo, dunque, non si tiene conto di tale riduzione, pari ad Euro 2.525,59, secondo la tabella a pagina 15 della relazione peritale. Il saldo corretto, di conseguenza, alla luce dei principi esposti e della predetta rettifica all'ipotesi D, è pari ad Euro 178.554,91 (ipotesi D pari ad Euro 176.029,32 + somma in detta ipotesi sottratta per usura sopravvenuta pari ad Euro 2.525,59). La domanda di risarcimento danni ex artt. 185 c.p., 2056 e 2059 c.c., accertata l'insussistenza dell'an debeatur (l'usura), va infine rigettata. Quanto alle spese di lite, atteso l'accoglimento solo parziale dell'opposizione ed il rigetto di numerose eccezioni sollevate da parte opponente, ricorrono i presupposti per la compensazione parziale delle spese nella misura di 1/3, restando i rimanenti 2/3 a carico dell'opponente, liquidate come da dispositivo sulla base del D.M. n. 55 del 2014 tab 2 e dello scaglione corrispondente al quantum riconosciuto, ai medi di tariffa. Le spese di CTU, come liquidate in corso di causa, vanno poste definitivamente a carico di entrambe le parti, nella misura di 2/3 a carico di parte opponente e 1/3 a carico di parte opposta. P.Q.M. il Tribunale di Bari, definitivamente pronunciando nel giudizio portante n. 16039/2018 R.G., ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. in parziale accoglimento della spiegata opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 3446/2018 opposto e condanna l'opponente Sa. S.p.a. al pagamento in favore dell'opposta della somma di Euro 178.554,91, oltre interessi come da domanda; 2. compensa per 1/3 le spese del giudizio di opposizione e condanna l'opponente a rimborsare all'opposta i restanti 2/3, che si liquidano in Euro 9.402,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, IVA e cap come per legge; 3. pone le spese di CTU, nella misura liquidata con separato decreto in corso di causa, definitivamente a carico dell'opponente per 2/3 e dell'opposta per 1/3. Così deciso in Bari il 19 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 19 febbraio 2024.
Offriamo agli avvocati gli strumenti più efficienti e a costi contenuti.