Sentenze recenti Tribunale Bari

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giorno quattordici del mese di giugno dell'anno duemila ventitre IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE Dott. Antonio Donato Coscia con la presenza del P.M., Dott. Or.Ro. (V.P.O.) e con l'assistenza della Funzionaria di cancelleria, An.Co., ha pronunciato, con lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro: la società (...) S.r.l., con sede legale ad (...) in (...) in persona del legale rappresentante pro tempore; assistita dal difensore di fiducia Avv. (...) del Foro di Bari, presente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con decreto emesso il 4.12.2017, il Pubblico Ministero ha citato a giudizio, oltre alle persone fisiche (...) e (...) e alla società (...) S.R.L., pure la società (...) S.r.l. IMPERSONALE, con sede legale ad (...), perché quest'ultima risponda dell'illecito amministrativo dipendente da reato di cui all'art. 25 septies del D.Lgs. n. 231/2001. 2. Non è stato possibile celebrare l'udienza del 7.9.2018, a causa delle note vicende di edilizia giudiziaria che hanno interessato la sede del Tribunale di Bari in quel periodo. 3. All'udienza del 5.6.2019 la persona offesa (...) si è costituita parte civile nei soli confronti dell'imputata (...). Il difensore dell'imputata (...) ha preannunciato la volontà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Su richiesta della parte civile, con apposito decreto, si è poi ordinata la citazione del responsabile civile per il fatto degli imputati. 4. All'udienza del 13.11.2019, si è rinviato il processo per la maturazione dei termini di legge. 5. Non è stato possibile celebrare l'udienza del 15.3.2020, a causa dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. 6. All'udienza del 14.10.2020, il processo è stato nuovamente rinviato, in ragione di irregolarità della notificazione dell'ordine di citazione del responsabile civile. 7. All'udienza del 13.1.2021 s'è dato atto di un mutamento della persona fisica del giudice. Dopodiché, il difensore dell'incolpata (...) S.R.L. IMPERSONALE ha manifestato la volontà di richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Essendo nel frattempo pervenuto il programma di trattamento riferito all'imputata (...), si è disposto lo stralcio dal procedimento della posizione di quest'ultima. 8. All'udienza del 6.10.2021, si è dato atto della cancellazione dal registro delle imprese dell'incolpata (...) S.r.l.. Il processo è stato poi rinviato a causa di un legittimo impedimento del difensore dell'incolpata (...) S.r.l. IMPERSONALE. 9. All'udienza del 26.1.2022, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, il difensore dell'incolpata (...) S.r.l. IMPERSONALE, munito di procura speciale, ha formalizzato la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova e il Giudice ha disposto lo stralcio dal procedimento della posizione dell'incolpata. 10. All'udienza del 18.5.2022, si è rinviato il processo, non essendo ancora pervenuto il programma di trattamento. 11. All'udienza del 15.6.2022, è pervenuto il programma di trattamento elaborato d'intesa con l'ufficio inter-distrettuale di esecuzione penale esterna per la Puglia e la Basilicata. La difesa dell'incolpata (...) S.r.l. UNIPERSONALE ha chiesto un breve termine "alfine di acquisire la formale attestazione di disponibilità dell'associazione" presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità; termine accordato dal Giudice. 12. All'udienza del 22.6.2022, si è acquisita la documentazione a corredo del programma di trattamento, al quale, con l'accordo di tutte le parti, sono state apportate le modifiche indicate nel verbale di udienza. Quindi, la difesa ha insistito per l'accoglimento della richiesta di sospensione de) procedimento con messa alla prova e il Pubblico Ministero si è rimesso alle determinazioni del Giudice. II Giudice ha accolto la richiesta con ordinanza di cui è stata lettura in udienza e di cui, per comodità, si riportano di seguito le motivazioni e il dispositivo: "(...) Preliminarmente all'esame dell'istanza e dell'allegato programma di trattamento, è opportuno interrogarsi sull'astratta applicabilità dell'istituto della messa alla prova nel procedimento di accertamento della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. A tale riguardo, si osserva che la disciplina dell'istituto, rinvenibile negli arti. 168 bis ss. c.p. e 464 bis ss. c.p.p., individua il soggetto legittimato a formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nell'imputato, sema menzionare in maniera espressa anche l'ente incolpato di un illecito amministrativo dipendente da reato. Inoltre, gli artt. 62 ss. del D.Lgs. n. 231/2001, nel contemplare previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti degli enti, non menzionano, tra questi, anche la messa alla prova. D'altro canto, l'art. 34 del D.Lgs. n. 231/2001 prevede l'applicabilità delle norme del codice di procedura penale, se compatibili, al procedimento d'accertamento della responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato, mentre il successivo art. 35, rubricato "estensione della disciplina relativa all'imputato", in maniera più specifica stabilisce l'applicabilità all'ente delle "disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili". Si tratta, quindi, di stabilire se sulla base di tali disposizioni la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova possa essere presentata pure dall'ente incolpato di un illecito amministrativo dipendente da reato. La questione allo stato risulta esser stata affrontata solo in seno alla giurisprudenza di merito, la quale non è giunta a conclusioni univoche. Il Tribunale di Milano con ordinanza del 27.3.2017 si è espresso in senso negativo. S'è affermato che l'applicazione all'ente dell'istituto della messa alla prova si risolverebbe in un'applicazione analogica delle disposizioni sopra richiamate di cui occorre verificare l'ammissibilità. A tale fine, il Tribunale ha richiamato Cass. peri SS. UU. n 36272 del 2016, nella parte in cui ha riconosciuto all'istituto della messa alla prova natura giuridica sia processuale, trattandosi di un procedimento speciale, nell'ambito del quale "l'imputato che rinuncia al processo ordinario trova il vantaggio di un trattamento sanzionatolo non detentivo - sia sostanziale, giacché la prestazione del lavoro di pubblica utilità - costituente uno dei contenuti della messa alla prova - è qualificabile come una sanzione penale non detentiva, "che persegue scopi specialpreventivi in una fase anticipata, in cui viene "infranta" la sequenza cognizione-esecuzione della pena, in funzione del raggiungimento della risocializzazione del soggetto" (la natura ibrida, sostanziale e processuale, dell'istituto è stata affermata pure da Corte così sent n. 240 del 2015). Muovendo da tale presupposto il Tribunale ha ritenuto che l'applicazione dell'istituto della messa alla prova all'ente determinerebbe una violazione dei principi di riserva di legge e di tassatività della legge penale, intesi quali corollari del principio di legalità in senso formale, sancito dall'art. 25. c. 2, Cosi, nonché; a livello sovranazionale, dati 'art. 7 della CEDU, costituente un parametro interposto di legittimità costituzionale ai sensi dell'art. 117 Cost.. Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il principio di legalità è riferito sia alle previsioni contenenti il precetto penale, sia a quelle recanti la pena. Ne consegue che, essendo l'istituto della messa alla prova riconducibile al novero delle sanzioni penali, in ragione della sua natura (pure) sostanziale, e preclusa l'applicazione analogica della relativa disciplina, la quale violerebbe anche la riserva di legge, che nella materia delle pene è assoluta. Ha opinato in senso diverso il Tribunale di Bologna con ordinanza del IO. 12.2020, ritenendo non condivisibile la qualificazione della prestazione di lavoro di pubblica utilità alla stregua di sanzione penale, sulla base dell'orientamento giurisprudenziale secondo il quale "il trattamento programmato non è (...) una sanzione penale, eseguibile coattivamente, ma dà luogo a un'attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell'imputato, il quale liberamente può farla cessare con l'unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso" (Corte cosi, seni n. 91 del 2018). Secondo questa tesi, insomma, la natura sostanziale dell'istituto deriverebbe solo dalla configurazione di una causa di estinzione del reato in ipotesi di esito positivo della messa alla prova. Nondimeno, secondo il Tribunale di Bologna, l'applicazione analogica è comunque impossibile, poiché la lacuna normativa conseguente al mancato coordinamento della disciplina sostanziale della messa alla prova con il D.Lgs. n. 231/2001, in realtà, è intenzionale, rispecchiando essa la precisa scelta del legislatore di escludere l'ente dall'ambito soggettivo di applicazione dell'istituto. Questa scelta, secondo il Tribunale, è la conseguenza di un'incompatibilità strutturale tra la disciplina della messa alla prova e quella della responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001, connotate da ratio diverse e tra loro inconciliabili. In particolare, esaminando i contenuti della messa alla prova previsti dalla legge, il Giudice ha concluso che l'istituto persegua una finalità "non soltanto special-preventiva, riparativa e conciliativa, ma soprattutto rieducativa", la cui attuazione, sempre secondo il Tribunale di Bologna, è inconcepibile in relazione a un ente. Neppure il Tribunale di Spoleto, con ordinanza del 21.4.2021, ha ritenuto condivisibile la motivazione dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Milano, in base ad argomentazioni in parte diverse rispetto a quelle addotte dai Tribunale di Bologna. In particolare, si è osservato che l'applicazione analogica dell'istituto della messa alla prova non contrasta col principio di tassatività della legge penale, poiché è in bonam partem, "attribuendo ulteriori chances difensive ali'ente-imputato, che, tramite la volontaria sottoposizione a un programma trattamentale, ben potrebbe sottrarsi al giudizio ordinario e quindi alla eventuale applicazione di sanzioni anche fortemente afflittive". Cionondimeno, pure il Tribunale di Spoleto ha ritenuto impossibile l'applicazione analogica all'ente della disciplina della messa alla prava, adducendo delle ragioni ulteriori e in parte diverse rispetto a quelle illustrate nell'ordinanza emessa dal Tribunale di Bologna. Si è affermato, in primis, che l'operazione analogica sarebbe ostacolata da "incertezze operative nella misura in cui "rimarrebbe imprecisato l'ambito di applicazione della messa alla prova per gli enti, non essendo chiari i requisiti oggettivi di ammissibilità, a differenza di quanto previsto per gli imputati persone fisiche, a cui l'art. 168 bis c.p. accorda il beneficio della messa alla duplice condizione che non ne abbiano già usufruito in precedenza e che si proceda per reati puniti con pena pecuniaria ovvero detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione". Infatti, "Ogni possibile alternativa - consentire la messa alla prova per tutti gli illeciti dipendenti da reato sull'assunto che le sanzioni interdittive sono comunque meno gravi di quelle detentive; oppure consentirla solo per quegli illeciti dipendenti da reali per i quali anche le persone fisiche possono accedere alla probation (...); oppure ancora consentirla solo per gli illeciti puniti con la sanzione pecuniaria e/o interdittiva non superiore ad anni quattro, muovendo dalla premessa che le sanzioni detentive per le persone fisiche sarebbero equipollenti alle sanzioni interdittive per gli enti - si tradurrebbe in uno indebita forma di creazione del diritto, potere che per ovvie ragioni esula da quelli istituzionalmente attribuiti a un organo giurisdizionale". Il Tribunale di Spoleto ha poi aderito alla tesi dell'intenzionalità della lacuna normativa affermata dal Tribunale di Bologna, precisando che la scelta legislativa di escludere l'ente dall'ambito di applicazione soggettivo della disciplina della messa alla prova è desumibile, da un lato, dal principio di autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella dell'autore del reato presupposto enunciato dall'art. 8 del D.Lgs. n. 231/2008 e, dall'altro, dalla mancata menzione della messa alla prova nelle previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti degli enti contenute negli ara. 62 ss. del D.Lgs. n 231/2001. Inoltre, sempre secondo il Tribunale di Spoleto, l'operazione analogica determinerebbe una sostanziale elusione dell'art. 17 dei D. Lgs. n. 231/2001. Infatti, tale norma già prende in considerazione le attività che costituiscono l'oggetto della messa alla prova, riconducendovi, però, un effetto giuridico diverso dall'estinzione dell'illecito, consistente nell'applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite. A quest'ultima conclusione, secondo il Tribunale di Spoleto, conduce "un argomento storico-comparatistico", dovendosi considerare che "la disciplina della responsabilità e d. amministrativa delle persone giuridiche è stata mutuata dagli ordinamenti nordamericani, nei quali però le condotte riparative e ripristinatorie post delictum sono poste alla base dei deferred prosecution agreement ovvero dei non prosecution agreement, vale a dire accordi con il rappresentante dell'accusa per rinunciare all'esercizio dell'azione penale", con la conseguenza che "la tesi secondo cui nell'impianto normativo del D. Lgs. 231/01 andrebbe innestato anche in via esegetica, in virtù di esigenze di coordinamento e di complessiva armonia del sistema - l'istituto della messa alla prova introdotto solo successivamente con legge n. 67/2014, finisce per tradire la filosofia che ha ispirato la disciplina italiana della responsabilità da reato degli enti, posto che il legislatore del2001 ha evidentemente voluto prendere le distanze dal modello diffuso nei sistemi d'oltreoceano, consapevolmente prevedendo nel caso di condotte riparative e/o ripristinatorie successive al compimento dell'illecito una attenuazione del trattamento sanzionatorio, ma non un'esclusione di responsabilità". Il Tribunale di Modena, con ordinanza dell'11.12.2019, s'è invece discostato dalle decisioni illustrate, disponendo la sospensione del procedimento con la messa alla prova di un ente e ritenendo, pertanto, applicabile l'istituto anche alle persone giuridiche. Con successiva ordinanza del 15.12.2020, tuttavia, ha precisato che "l'ammissibilità dell'ente alla sospensione del procedimento can messa alla prova (è) subordinata al possesso di un imprescindibile prerequisito da parte della società, ovvero l'essersi dotata, prima del fatto, di un modello organizzativo valutato inidoneo dal giudice", poiché "solo in tal caso sarebbe possibile formulare un giudizio positivo in ordine alla futura "rieducazione" dell'ente, che dimostrerebbe, così, di essere stato diligente e di avere adottato un modello ritagliato sulle proprie esigenze specifiche, per quanto valutato non idoneo dal giudice". Questo Giudice ritiene di aderire alla tesi dell'ammissibilità della messa alla prova dell'ente, per le ragioni e nei termini illustrati di seguito. Innanzitutto, non merita condivisione l'argomentazione, secondo la quale l'applicazione della disciplina della messa alla prova all'ente determinerebbe una violazione dei principi di tassatività e di riserva della legge penale. Infatti, il divieto d'analogia della legge penale Opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l'imputato, in virtù della ratio del principio di legalità - di cui il principio di tassatività costituisce un corollario-corollario - volto a garantire la libertà personale del cittadino a fronte di possibili arbitri dei poteri esecutivo e giudiziario. Ciò non accade nel caso di specie, giacché, come osservato dal Tribunale di Spoleto, la legittimazione dell'ente a presentare richiesta di messa alla prova determinerebbe un ampliamento del ventaglio di procedimenti speciali nella sua disponibilità, consentendogli una migliore definizione della strategia processuale. Più precisamente, l'effetto favorevole conseguente all'applicazione dell'istituto si apprezza nella possibilità, rimessa alla libera scelta dell'imputato, di ottenere l'estinzione del reato senza espiazione di una pena detentiva o pecuniaria in caso di condanna, la quale viene sostituita con lo spontaneo assolvimento di una serie di obblighi (i.e. la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e, qualora possibile, il risarcimento del danno cagionato; l'affidamento al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può comprendere, per esempio, attività di volontariato di rilievo sociale; la prestazione di lavoro di pubblica utilità). Tale effetto favorevole non viene meno neanche in conseguenza dell'omissione dell'udienza preliminare e del dibattimento e delle relative garanzie (tra cui l'esercizio del contraddittorio e per suo tramite il criterio valutativo della certezza oltre ogni ragionevole dubbio), giacché essa è frutto di una rinuncia dell'imputato, costituzionalmente ammessa. La circostanza che, nel caso di specie, sia rispettata la ratio garantista del principio di legalità esclude, analogamente, una violazione del principio di riserva di legge, costituente anch'esso corollario del primo, a prescindere dalla risoluzione della questione, dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, sulla qualificazione degli obblighi conseguenti alla messa alla prova in termini di sanzione penale. Peraltro, va chiarito che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale di Milano, in realtà il ricorso all'analogia non collide mai, in maniera diretta, col principio di riserva di legge, giacché è pur sempre in una disposizione di legge che si prendono le mosse per la regolamentazione del caso non previsto espressamente, ponendosi, al più, come visto, problemi dal punto di vista della tassatività della legge penale, nel caso di specie insussistenti. Ciò posto, questo Giudice non ritiene che il difetto di coordinamento tra la disciplina sostanziale della messa alla prova e quella di cui al D.Lgs. n. 231/2001 sia l'espressione della scelta del legislatore d'escludere gli enti dall'ambito soggettivo d'applicazione dell'istituto. È opportuno, innanzitutto, soffermarsi sulla ratio di quest'ultimo. Autorevole dottrina l'ha ricondotta alle finalità, da un lato, di deflazionare il carico giudiziario e, dall'altro, di perseguire un reinserimento sociale "anticipato" dell'imputato, nella consapevolezza che il fenomeno, molto frequente in seno al sistema giudiziario italiano, della condanna e dell'applicazione della pena a distanza di tempo dal reato solleva problemi non soltanto sotto il profilo della prevenzione generale dei reati, poiché vanifica qualsiasi effetto intimidatorio o anche solo di orientamento culturale della collettività, ma pure per quanto riguarda la funzione di prevenzione speciale sottesa all'applicazione della pena, se si considera che nel frattempo potrebbe essere venuta meno la pericolosità sociale del reo e la conseguente necessità di una sua rieducazione. A tali finalità si affianca, poi, quella di perseguire "un profondo ripensamento del sistema sanzionatorio che ancora oggi gravita telematicamente intorno alla detenzione muraria" (Cass. pen. SS. UU. seni, n 36272 del 2016), introducendovi il paradigma della ed giustizia riparativa. Proprio considerando che la messa alla prova è uno dei tasselli fondamentali di un più ampio e radicale processo di riforma delta giustizia penale, Cass. pen. SS. UU. sent. n. 33216 del 2016 ha chiarito che la relativa disciplina deve essere interpretata in maniera tale da "garantire all'interessato limassimo livello di accessibilità al nuovo istituto". Ciò significa che l'intenzione del legislatore è quella di ottenere la più ampia applicazione possibile dell'istituto; e tale considerazione è fondamentale per la risoluzione della questione in esame, sebbene essa non ricorra nelle ordinanze che si sono espresse a tale riguardo. Una volta chiarito quest'aspetto, occorre chiedersi quale sia la finalità della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, atteso che, secondo il Tribunale di Bologna, essa è incompatibile con quella rieducativa che ispira fa messa alla prova. Questo Giudice non condivide quest'ultima affermazione, dal momento che l'introduzione del sistema di responsabilità da reato degli enti previsto dal D.Lgs. n 231/2001 risponde, in ultima istanza, a una logica di prevenzione del crimine, da perseguire proprio attraverso la rieducazione dell'ente. A tale riguardo, si osserva che la disciplina complessiva contenuta nel D.Lgs. n. 231/2001 tende a imporre all'ente che svolge un'attività economica l'adozione di modelli organizzativi idonei alla prevenzione del rischio di reati commessi da persone fisiche legate all'ente da un rapporto qualficato che abbiano agito nell'interesse o a vantaggio di quest'ultimo, sul presupposto che esso è responsabile ove la sua organizzazione si riveli inidonea a tale scopo. Dunque, la ratio di politica criminale che ispira il sistema sanzionatorio del D.Lgs. n. 231/2001 non è la retribuzione fine a se stessa, né la mera prevenzione generale (sicuramente perseguita, pure in termini di orientamento culturale delle politiche imprenditoriali), ma la prevenzione speciale in chiave rieducativa: si vuole indurre l'ente ad adottare comportamenti riparatori dell'offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l'illecito, nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che Incidendo strutturalmente sulla cultura d'impresa, possano consentirgli di continuare a operare sul mercato nel rispetto della legalità o meglio di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità (ne costituiscono un chiaro esempio le disposizioni di cui agli artt. 6, 12 e 17 del D. Lgs. 231/2001). La finalità rieducativa, quindi, lungi dal difettare, semplicemente si decima in maniera peculiare, cioè in termini di compliance, intesa come funzionalizzazione delle procedure interne all'ente all'obiettivo di prevenire la commissione di reati, al fine di evitare il rischio di incorrere in sanzioni. Va rimarcalo che l'affermazione della finalità rieducativa non comporta necessariamente l'adesione alla tesi della natura penale della responsabilità degli enti. Questo Giudice non ignora che uno dei principali argomenti a sostegno della opposta tesi della natura amministrativa della responsabilità degli enti è precisamente la sua affermata incompatibilità con i principi di personalità, di colpevolezza e di rieducazione sanciti dall'art. 27 Cost. Questi profili di incostituzionalità, nondimeno, sono stati esclusi da Cass. pen. SS UU. seni. n. 38343 del 2014, la quale ha chiarito che "il sistema di cui si discute costituisce un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus, se si vuole. Colgono nel segno, del resto, le considerazioni della Relazione che accompagna la normativa in esame quando descrivono un sistema che coniuga i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficienza preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia. Parimenti non è dubbio che il complesso normativo in esame sia parte del più ampio e variegato sistema punitivo; e che abbia evidenti ragioni di contiguità con l'ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell'apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento". Di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Bologna, non si ravvisa nessuna incompatibilità tra la ratio della messa alla prova e quella della responsabilità degli enti, le quali, al contrario, appaiono perfettamente convergenti. Il carattere intenzionale della lacuna conseguente ai mancato coordinamento tra le discipline della messa alla prova e della responsabilità degli enti non può essere ravvisato neanche nel principio di autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella dell'autore del reato presupposto di cui all'art. 8 del D.Lgs. n. 231/2008, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Spoleto. Tale norma stabilisce che affini della responsabilità dell'ente è sufficiente la commissione di un reato da parte di una persona fisica a certe condizioni, essendo irrilevante che quest'ultima non venga identificata o che benefici di una causa di non imputabilità o di non punibilità in senso stretto, con la sola eccezione della causa di estinzione del reato dell'amnistia. La norma, quindi, nello stabilire l'autonomia tra le conseguenze degli illeciti della persona fisica e dell'ente, non impedisce assolutamente a quest'ultimo di accedere al procedimento speciale della messa alla prova, il cui esito positivo non estingue certo il reato presupposto, ma il derivante illecito amministrativo. Neppure, nello stesso senso, appare significativa la circostanza che le previsioni specifiche per i procedimenti speciali nei confronti degli enti stabilite dagli artt. 62 ss. del D.Lgs. n. 231/2001 non menzionino la messa alla prova. Infatti, essa può essere interpretata nel senso tanto della volontà del legislatore di disporre l'integrale applicazione della disciplina della messa alla prova, tanto più verosimilmente di una mera svista legislativa. A parere di questo Giudice, poi, l'ammissibilità per l'ente della messa alla prova non determinerebbe l'elusione dell'art. 17 del D.Lgs. n. 23 i/2001, atteso che, a differenza di quanto affermato dal Tribunale di Spoleto, l'ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prava. Infatti, l'art. 17 stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione d'apertura del dibattimento, l'ente realizzi le condotte riparatone ivi elencate. Ma la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l'affidamento al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale, nonché la prestazione di lavoro di pubblica utilità. Ed è coerente, quindi, che laddove l'ente assolva tali obblighi ulteriori, ottenga un beneficio maggiore rispetto a quello della mitigazione del trattamento sanzionatorio, qual è, appunto, l'estinzione dell'illecito. Non coglie nel segno nemmeno il riferimento comparatistico agli ordinamenti giuridici nordamericani, nell'ambito dei quali, storicamente, è stato elaborato l'istituto della responsabilità degli enti. Infatti, la circostanza che, in quegli ordinamenti, si ammetta la conclusione di accordi, in forza dei quali la pubblica accusa rinuncia ad esercitare o a proseguire l'azione penale, in cambio della realizzazione di condotte riparative e riprisiinatorìe post delictum, depone a favore della tesi dell'ammissibilità della messa alla prova dell'ente, poiché essa consentirebbe di conseguire risultati analoghi anche nel nostro ordinamento, compatibilmente con il principio di obbligatorietà dell'azione penale sancito dall'art. 112 Cost. Infine, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale di Spoleto, non si ritiene preclusivo all'estensione analogica all'ente della disciplina della messa alla prova il fatto che da essa deriverebbero delle "incertezze applicative". A tale riguardo, va chiarito che i limiti all'applicazione analogica in bonam partem della legge penale s'individuano, oltre che nella già citata intenzionalità della lacuna normativa, sia nella natura eccezionale della legge da applicare analogicamente, sia, al contrario, in una sua ampiezza, tale da impedire di cogliere la ratio su cui fondar e il giudizio di similitudine. Come visto, nessuna di tali situazioni ricorre nel caso di specie. Ciò che il Tribunale di Spoleto chiama "incertezze applicative" è in realtà la fisiologica sfera di discrezionalità, nell'ambito della quale si muove il Giudice in sede di applicazione analogica della legge; discrezionalità che, a garanzia della libertà delle scelte di azione del cittadino, la Costituzione limita quando ne possano derivare effetti negativi per quest'ultimo, il che, come visto, non accade nel caso di specie. Dunque, la scelta tra le opzioni ermeneutiche individuate dal Tribunale di Spoleto in ordine ala puntuale perimetrazione dei requisiti oggettivi di ammissibilità della messa alla prova per gli anti andrà fatta sempre e comunque avendo riguardo alla ratio di tale istituto, che, come accennato, è quella di perseguire il reinserimento sociale "anticipato" degli imputati dei reati di minore gravità. Dunque, si reputa più rispettoso della ratio della messa alla prova consentirla solo per quegli illeciti dipendenti da reati per t quali anche le persone fisiche possono accedere a tale procedimento speciale. Un'altra "incertezza applicativa" alla quale occorre dar soluzione attiene alla necessità di dotarsi di un modello organizzativo al fine di accedere alla messa alla prova. Come visto, secondo il Tribunale di Modena è fondamentale che i 'ente si sia dotato di un modello organizzativo anteriormente alla commissione del reato presupposto, valutato inidoneo dal Giudice, giacché. diversamente, sarebbe vanificata la finalità rieducativa dell'istituto. Questo Giudice, invero, ritiene che la finalità rieducativa dell'ente non sia pregiudicata laddove quest'ultimo si doti del modello prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, quand'anche ciò avvenga dopo la commissione del reato presupposto. Ciò si desume dall'impianto del D.Lgs. n. 231/2001, il quale persegue finalità di rieducazione non solo ante delictum, ma anche post delictum. Ne è la dimostrazione il succitato art. 17, il quale, come visto, stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite ove, tra le altre cose, "prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (...) l'ente (abbia) eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi". In questo modo, inoltre, si garantisce la più ampia applicazione dell'istituto della messa alla prova, nel rispetto dell'intenzione del legislatore. Peraltro, il requisito delineato dal Tribunale di Modena non avrebbe comunque un senso nel caso in cui il reato presupposto commesso, per la sua natura, appaia eccentrico rispetto alla specifica attività economica svolta dall'ente e creerebbe pure dei problemi di anticipazione del giudizio, atteso che il Giudice dovrebbe pronunciarsi sull'inidoneità del modello adottato al tempo della commissione del reato presupposto. In conclusione, può ritenersi l'ammissibilità della messa alla prova dell'ente, nei termini sopra esposti. Dunque, si ritiene che la richiesta presentata dall'incolpata sia ammissibile, in quanto: - soddisfa i requisiti formali previsti dagli artt. 168 bis e 464 bis c.p.p.; - sussistono i presupposti oggettivi di applicazione dell'istituto della messa alla prova, giacché il reato presupposto contestato rientra tra quelli indicati dall'art. 168 bis, c. 1, c.p.; - sussistono pure i presupposti soggettivi di applicazione dell'istituto, alla luce di quanto sopra esposto, considerato altresì che all'ente non è già stata concessa la sospensione del procedimento con messa alla prova. Si ritiene, poi, che non si debba pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.. Si ritiene, inoltre, che, sulla base dei parametri previsti dall'art. 133 c.p., il programma di trattamento, come integrato e modificato dal giudice con il consenso dell'imputato, risulta idoneo, pure nell'ottica della prevenzione della commissione di ulteriori illeciti in futuro e della tutela della persona offesa dal reato, in quanto contempla le seguenti prescrizioni: - mantenere contatti frequenti con l'U.E.P.E. secondo le modalità stabilite dal funzionario incaricato, fornendo tutte le informazioni sulle attività indicate in questo programma; - domiciliare all'indirizzo sopra indicato e comunicare all'U.E.P.E. ogni modifica di sede legale, che dovrà essere adatta ad assicurare le esigenze di tutela della persona offesa del reato; - svolgere il Lavoro di Pubblica Utilità presso Associazione onlus con il compito di lavori di manutenzione ordinaria su impianti elettrici e televisivi dal lunedì al venerdì a seconda delle esigenze, nonché a chiamata dell'associazione; - attività di volontariato consistente nella donazione di Euro 5.000,00 a favore della Protezione Civile. Risulta agli atti che la società ha già liquidato integralmente il risarcimento del danno a favore della persona offesa, come risulta dalla documentazione prodotta. Risulta altresì che la società si è prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di un modello organizzativo che si reputa idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Si ritiene congrua la durata di sei mesi per la messa alla prova. P.Q.M. visti gli artt. 168 bis ss. c.p. 464 bis ss. c.p. e 141 bis ss. disp. att. c.p.p.; dispone, per una durata di sei mesi, la sospensione del procedimento con la messa alla prova dell'ente, da eseguirsi secondo le modalità e con l'osservanza delle prescrizioni stabilite nel programma di trattamento, come integrato e modificato con il consenso delle parti, al quale si rinvia e che si allega, unitamente al verbale di udienza, al provvedimento, in quanto parti integranti; fissa il termine di sei mesi entro il quale devono essere adempiuti dall'ente le prescrizioni e gli obblighi attinenti alle condotte riparatone o risarcitone imposte dal programma di trattamento, precisandosi che, a norma dell'art. 464 quinquies, c. 1, c.p.p., questo termine può essere prorogato, su istanza dell'ente, per non più di una volta e solo per gravi motivi; avvisa l'ente che costituiranno elementi giustificativi della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova le segnalazioni di: - grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte, o di rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità o di volontariato; - commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo illecito della medesima indole rispetto a quello per cui si procede; dispone che la presente istanza venga trasmessa all'UEPE che ha elaborato il programma di trattamento, per la presa in carico dell'ente; dispone che l'UEPE, ai sensi dell'art. 141 ter disp. att. c.p.p., provveda a informare questa autorità giudiziaria - con relazioni periodiche da redigere e da trasmettere al massimo ogni tre mesi - sull'andamento del trattamento, nonché a inviare, alla scadenza del periodo di prova, la relazione conclusiva sul decorso e sull'esito della prova, da trasmettere alla cancelleria di questa autorità giudiziaria almeno un mese prima dell'udienza sotto indicata, per la valutazione, con facoltà per le parti di prenderne visione e di estrarne copia; fissa, per la valutazione della relazione conclusiva che sarà trasmessa dall'UEPE, l'udienza del 18.1.2023, riservandosi in questa sede l'indicazione di un'altra udienza, alla prima antecedente, ove se ne rendesse necessaria la celebrazione, anche sulla base delle informazioni trasmesse dall'UEPE nel frattempo; manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza; (...)" 13. All'udienza del 18.1.2023, l'ufficio inter-distrettuale di esecuzione penale esterna per la Puglia e la Basilicata ha fatto pervenire la relazione conclusiva di cui all'art. 464 septies c.p.p., in cui ha segnalato il buon esito dell'esperienza dell'incolpata presso l'ente individuato nel programma di trattamento. Nella stessa udienza, il difensore dell'incolpata ha rappresentato "l'oggettiva impossibilità di provvedere al versamento di Euro 5.000,00 a favore della protezione civile in ragione dell'assenza di un conto corrente stabilmente intestato alla protezione civile e a tali firn dedicato" e ha chiesto "di mutare il destinatario del versamento". Il Pubblico Ministero nulla ha osservato e il Giudice, col consenso di tutte le parti, ai sensi dell'art. 464 quinquies c.p.p., in modifica delle prescrizioni originarie, ha disposto che "il versamento di Euro 5.000,00 venga effettuato in favore della Croce Rossa Italiana". 14. All'udienza del 29.3.2023 il processo è stato rinviato in ragione di un legittimo impedimento del Giudice naturale, per concomitanti impegni istituzionali. 15. All'udienza odierna, si è acquisita evidenza dell'intervenuto pagamento a favore della Croce Rossa Italiana. Le parti hanno richiesto la dichiarazione di estinzione dell'illecito alla luce del buon esito della messa alla prova. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Alla luce di quanto poc'anzi illustrato, va in primo luogo rimarcato che la incolpata risulta avere osservato il programma assegnatole, nonché le prescrizioni impartitele con l'ordinanza di ammissione alla messa alla prova. Pertanto, l'esito della prova può ritenersi positivo, con la conseguente estinzione dell'illecito amministrativo dipendente da reato a lei contestato. 2. Si ritiene che a ciò non osti l'orientamento giurisprudenziale recentemente fatto proprio da Cass. pen. SS. UU. sent. n. 14840/2023, intervenuta dopo l'ammissione alla prova dell'incolpata, la quale ha affermato che "l'istituto dell'ammissione alla prova di cui all'art. 168 bis c.p. non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001 ". 3. In via preliminare, è utile chiarire che la statuizione sopra riportata appare priva dell'effetto vincolante di cui all'art. 618, c. 1 bis, c.p.p. proprio dei principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite della Corte di cassazione. AI riguardo, un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale ha stabilito che: - "In tema di giudizio di legittimità, il vincolo derivante dal principio di diritto affermato, ai sensi dell'art. 618, comma I-bis, c.p.p., dalle Sezioni Unite della Corte riguarda esclusivamente l'oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori o esterni "(Cass. pen. sent. n. 49744 del 2022); - "In tema di giudizio di legittimità, il principio di diritto affermato dalle sentenze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione è vincolante, ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., anche in relazione agli aspetti preliminari e consequenziali adesso, ancorché relativi a profili non specificamente devoluti ma che si rendano, tuttavia, necessari per meglio delimitare il significato e la portata applicativa del principio stesso che, in tal modo, riveste carattere unitario." (Cass. pen. sent n. 23148 del 2021). Applicando tali principi al caso di specie, si osserva che, con ordinanza n. 15493 del 23.3.2022, la Quarta sezione della Corte di cassazione "considerata l'esistenza, nella materia in esame, di un contrasto giurisprudenziale, (ha ritenuto n. &R.) necessario rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione del seguente quesito di diritto: "Se il procuratore generale sia legittimato a proporre impugnazione avverso l'ordinanza che ammette l'imputato alla messa alla prova ai sensi dell'art. 464 bis cod. proc. peri e avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 464 septies cod proc. pen. e quali siano i vizi deducibili con il ricorso avverso tale sentenza". Le Sezioni unite con la sentenza succitata hanno risolto il contrasto giurisprudenziale, affermando il seguente principio di diritto: "Il procuratore generale è legittimato ad impugnare con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all'art. 606 c.p.p., l'ordinanza di ammissione alla prova di cui all'art. 464 bis c.p.p., ritualmente comunicatagli, mentre, in caso di omessa comunicazione della stessa, e legittimato ad impugnare quest'ultima insieme alla sentenza di estinzione del reato". Appare evidente che la questione della possibilità per l'ente di esser ammesso alla prova non manifesta caratteri di pregiudizialità o di consequenzialità rispetto a quella oggetto del principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, avente natura esclusivamente processuale, attenendo alla legittimazione air impugnazione dell'ordinanza ex art. 464 bis c.p.p. in capo al procuratore generale e all'elencazione delle categorie generali dei motivi deducibili con l'impugnazione. A riprova, sulla prima questione, diversamente dalla seconda, non si era registrato alcun contrasto nella giurisprudenza di legittimità (che anzi, non si era ancora pronunciata sul tema, sino a quel momento affrontato solo dai giudici di merito), tant'è che le Sezioni unite l'hanno risolta solo in ragione dell'accertata "ammissibilità del ricorso immediato per cassazione del Procuratore generale presso la Corte di appello di Trento" (pag. 16 sent.). 4. Senza recedere dall'assorbente considerazione appena svolta, in ogni caso, va ricordato che, nell'ordinamento italiano, il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, pure a Sezioni unite, non è fonte del diritto, rappresentando, piuttosto, la generalizzazione dell'interpretazione di una disposizione in relazione a una fattispecie concreta. La sua formulazione è il risultato di un'operazione interpretativa, attraverso cui la decisione individuale viene ricondotta sotto una regola generale valida per casi uguali, simili o assimilabili. In altri termini, il principio di diritto assolve la funzione di universalizzare la decisione individuale e, consolidandosi nel tempo, esso realizza la funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione. Coerentemente, Corte cost. sent. n. 230 del 2012 ha statuito che "L'orientamento espresso dalla decisione delle Sezioni unite "aspira" indubbiamente ad acquisire stabilità e generale seguito: ma (...) si tratta di connotati solo "tendenziali", in quanto basati su una efficacia non cogente, ma di tipo essenzialmente "persuasivo ". Con la conseguenza che, a differenza della legge abrogativa e della declaratoria di illegittimità costituzionale, la nuova decisione dell'organo della nomofilachia resta potenzialmente suscettibile di essere disattesa in qualunque tempo e da qualunque giudee della Repubblica, sia pure con l'onere di adeguata motivazione; mentre le stesse Sezioni unite possono trovarsi a dover rivedere le loro posizioni, anche su impulso delle sezioni singole, come in più occasioni è in fatto accaduto. Il riferimento è all'art. 618, c. 1 bis c.p.p., il quale impone (solo) alle sezioni singole della Corte di cassazione di rimettere alle Sezioni unite la decisione del ricorso ove non condividano il principio di diritto enunciato da quest'ultime e che, nel caso di specie, come visto, non è comunque applicabile. Il giudice di merito è vincolato alle questioni di diritto decise dalla Corte di cassazione solo nell'ipotesi prevista dall'art. 627, c. 3, c.p.p., non ricorrente nel caso di specie. Tanto chiarito, si ritiene che l'affermazione sull'impossibilità per l'ente di essere ammesso alla prova, contenuta nella sentenza delle Sezioni unite succitata, non sia persuasiva, per le ragioni di seguito illustrate. 6. Per giungere a tale conclusione, le Sezioni unite hanno preso le mosse dalla questione della natura giuridica della responsabilità degli enti disciplinata dal D.Lgs. n. 231/2001, aderendo alla nota tesi del ed tertium genus, già fatta propria da Cass. pen. SS. UU. sent. n. 38343 del 2014, secondo cui il D.Lgs. n. 231/2001 delinea "un sistema che coniuga i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficienza preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia con la precisazione che "il complesso normativo in esame sia parte del più ampio e variegato sistema punitivo; e che abbia evidenti ragioni di contiguità con l'ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell'apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento". In una seconda scansione della motivazione, le Sezioni unite hanno affermato che "la messa alla prova ex art. 168 bis c.p. deve (...) inquadrarsi nell'ambito di un "trattamento sanzionatorio" penale" nella sua componente sostanziale, cui si affianca una riconosciuta componente processuale - dovendo la messa alla prova essere intesa anche alla stregua di un procedimento speciale - in conformità alla tesi della natura giuridica ibrida dell'istituto, già affermata da Corte cost. sent. n. 240 del 2015 e Cass. pen. SS. UU. sent. 36272 del 2016. In particolare, le Sezioni unite hanno ricordato che la natura di sanzione penale è stata affermata dalla succitata sentenza n. 36272/2016 sempre delle Sezioni unite, nonché dalla Corte costituzionale con le sentenze n. n. 240/2015, 91/2018, 68/2019, 146/2022 e 174/2022. Quindi, hanno elencato gli indici sintomatici della natura sanzionatoria dell'istituto in esame, riconducibili: - all'obbligo in capo all'imputato di prestare lavoro di pubblica utilità nei modi previsti dall'art. 168 bis, c. 3, c.p.; - all'obbligo in capo all'imputato di prestare "condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, di risarcire il danno cagionato; - all'obbligo in capo all'imputato di sottoporsi al programma di trattamento elaborato in conformità all'art. 168 bis, c. 2, c.p., il quale "può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali. - al rapporto di proporzionalità tra le prescrizioni imposte all'imputato, avuto riguardo alla loro entità e durata, e la gravità del reato a lui contestato; - ai criteri di valutazione della idoneità del programma di trattamento, corrispondenti a quelli di determinazione della pena, stante il rinvio dell'art. 464 quater c.p.p. all'art. 133 c.p.; - alla previsione di cui all'art. 657 bis c.p.p.., il quale stabilisce che "In caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova, il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. Raffrontando la natura della responsabilità prevista dal D.Lgs. n. 231/2001, riconducibile al tertium genus con quella di sanzione penale della messa alla prova, le Sezioni unite hanno concluso che all'ammissione degli enti alla messa alla prova "osta(...), innanzitutto, il principio della riserva di legge di cui all'art. 25, c. 2, Cost. ", nella misura in cui "l'introduzione attraverso provvedimenti giurisdizionali di un "trattamento sanzionatorio" - quello della messa alla prova - ad una categoria di soggetti - gli enti - non espressamente previsti della legge penale, si pone in contrasto con il principio di legalità della pena, del quale la riserva di legge costituisce corollario, che si traduce nel principio, secondo cui "nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso"". Proseguendo nel ragionamento, le Sezioni unite hanno escluso, nel caso di specie, l'operatività tanto dell'analogia in bonam partem, quanto dell'interpretazione estensiva della legislazione vigente. Con riferimento al primo aspetto, le Sezioni unite hanno richiamato Cass. pen. SS. UU. sent n. 5655 del 1984, la quale ha escluso la possibilità di applicare analogicamente una sanzione penale a una fattispecie incriminatrice che ne sia priva. Secondo le Sezioni unite, l'analogia in bonam partem è comunque impossibile nel caso di specie, poiché "non vengono in questione sistemi omogenei", nei termini poc'anzi illustrati. Con riferimento al secondo aspetto, invece, le Sezioni unite hanno escluso l'operatività di un'interpretazione estensiva nel caso di specie, in quanto si travalicano i possibili significati della lettera della norma. Da tali rilievi, secondo le Sezioni unite, emerge la "palese infondatezza della questione (...) circa l'incostituzionalità dell'art. 168 bis c.p. per non essere prevista la sua applicazione agli enti". Infine, aderendo alle deduzioni del procuratore generale, la sentenza in commento ha dato atto di ulteriori incertezze interpretative che deriverebbero dall'applicazione analogica dell'istituto. 7. Così riassunte le motivazioni della sentenza delle Sezioni unite, si osserva, sotto un primo profilo, che anche ove si volesse ritenere che l'ammissione dell'ente alla prova sia il frutto non già di un'interpretazione estensiva, ma di un'applicazione analogica in bonam partem della legge penale, ciò non appare contrastare col principio di riserva di legge, corollario del principio di legalità ex art. 25, c. 2, Cost. Autorevole dottrina ha affermato che il ricorso all'analogia non collide mai, in maniera diretta, col principio di riserva di legge, giacché è pur sempre da una disposizione di legge che si prendono le mosse per la regolamentazione del caso non previsto espressamente; semmai, occorre verificare che il ricorso all'analogia non violi il diverso principio di tassatività della legge penale, ulteriore corollario del principio di legalità. Come noto, l'analogia in bonam partem non contrasta col principio di tassatività, poiché è conforme alla ratio di quest'ultimo, che è quella di garantire la libertà personale del cittadino a fronte di possibili arbitri dei poteri esecutivo e giudiziario (ratio di cui, per inciso, partecipa anche il principio di riserva di legge). Essa trova dei limiti nell'eventuale carattere di eccezionalità o indeterminatezza della norma oppure nell'eventuale intenzionalità della lacuna normativa da colmare. Tali limiti non sussistono nel caso di specie, per le ragioni illustrate nell'ordinanza di ammissione dell'incolpata alla prova emessa il 22.6.2022, le cui motivazioni - sopra riportate - si richiamano integralmente. Nondimeno, le Sezioni unite, come visto, hanno affermato che, nel caso di specie, all'analogia in bonam partem osta, per un verso, la natura di sanzione penale della messa alla prova, e, per altro verso, la "disomogeneità" tra quest'ultima e la peculiare natura giuridica della responsabilità dell'ente prevista dal D.Lgs. n. 231/2001. Sennonché, anche aderendo alla tesi della natura di sanzione penale della messa alla prova affermata dall'orientamento della Corte costituzionale richiamato dalle Sezioni unite2, non può non rimarcarsi che il medesimo orientamento ha evidenziato che l'istituto in esame manifesta, allo stesso tempo, anche la natura di causa di estinzione del reato, per la quale, attesa la sua incontestabile portata generale, l'ammissibilità dell'analogia in bonam partem non è revocabile in dubbio; trattasi di questione non esaminata nella sentenza in commento. In ogni caso, anche il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite n. 5655 del 1984, posto a fondamento della tesi della inoperatività dell'applicazione analogica della messa alla prova in quanto sanzione penale, non appare conferente, poiché la sentenza del 1984 ha deciso una questione di diritto all'evidenza diversa da quella di specie. In quella sede, ci si domandava se, a fronte dell'intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale delle pene previste per i reati di cui agli artt. 186 e 189 c.p.m.p., per l'effetto rimasti privi di sanzione, fosse, allora, possibile applicare analogicamente le pene stabilite per fattispecie incriminatrici similari. Le Sezioni unite hanno escluso tale possibilità, stabilendo testualmente che "Mancando la sanctio, quel che sarebbe stato il precetto, in difetto del collegamento alla sanzione, acquista, al più contermini connotati di una mera istruzione o di rilievo di contenuto morale", alla luce del principio, per cui "tutto ciò che non è espressamente proibito è da considerarsi giuridicamente permesso, senza che, attraverso l'interpretazione analogica, si possa rinvenire nella dinamica del sistema la sanzione da applicare ad una fattispecie che ne sia priva". In altri termini, la sentenza delle Sezioni unite del 1984 ha escluso l'applicazione analogica, non tanto perché si trattava di una sanzione, quanto perché l'applicazione analogica di quella sanzione avrebbe determinato effetti sfavorevoli per il reo, traducendosi, cioè, in un'applicazione analogica in malam partem; quest'ipotesi non ricorre nel caso di specie, per le ragioni ampiamente illustrate nell'ordinanza di ammissione alla prova dell'ente emessa il 22,6.2022, cui si rinvia integralmente. Sotto un diverso ordine di considerazioni, non si trascura che, secondo le Sezioni unite, l'operatività dell'analogia nel caso di specie va esclusa anche alla luce della "disomogeneità" tra la natura giuridica di sanzione penale della messa alla prova e quella ibrida della responsabilità dell'ente di cui al D.Lgs. n. 231/2001, riconducibile al tertium genus. Sennonché, affermare, come ha fatto Cass, pen. SS. UU. sent. n. 38343 del 2014, che la responsabilità di cui al D.Lgs. n. 231/2001 coniuga elementi dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, all'evidenza, non significa affermare che è incompatibile con questi ultimi, ma semmai, l'esatto contrario; infatti, come stabilito nella sentenza del 2014, la disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 manifesta complementarità con la responsabilità penale e amministrativa nei settori la cui normazione attinge da queste ultime. Al riguardo, appare assai significativo che le Sezioni unite abbiano espressamente affermato che la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 presenta "evidenti ragioni di contiguità con l'ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell'apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento". In altri termini, secondo la sentenza citata, la responsabilità dell'ente delineata dal D.Lgs. n. 231/2001 presenta una natura affine a quella della responsabilità penale, quando vengono in rilievo la "la severità dell'apparato sanzionatorio" e le "modalità processuali di accertamento della responsabilità", laddove, secondo la recente sentenza delle Sezioni unite, la messa alla prova costituisce precisamente, da un lato, un "trattamento sanzionatorio penale" e, dall'altro lato, un procedimento speciale. Alla luce di questa circostanza, la natura giuridica della messa alla prova andrebbe ritenuta pienamente compatibile con quella della responsabilità dell'ente, tant'è che diversi orientamenti giuridici stranieri hanno (espressamente) coniugato i due istituti. Ma soprattutto, i due istituti appaiono compatibili avuto riguardo alla loro ratio, collocandosi entrambi nel solco del finalismo rieducativo, nei termini illustrati nell'ordinanza di ammissione dell'incolpata la prova, le cui motivazioni al riguardo si richiamano integralmente; trattasi di una questione non esaminata nella sentenza in commento. Tutto ciò - si badi - volendo ritenere che nel caso di specie l'ammissione dell'ente alla prova sia il frutto di un'operazione analogica, laddove, in ragione dell'espresso rinvio degli artt. 34 e 35 del D.Lgs. n. 231/2001 alle norme del codice di procedura penale e alle disposizioni processuali relative all'imputato in quanto compatibili, potrebbe ritenersi che nel caso di specie si tratti di una mera interpretazione estensiva della legislazione vigente, in luogo di una fattispecie ad analogia espressa; del resto, pure in quest'ultimo caso, l'analogia, in quanto espressa, sarebbe, allora, espressamente consentita dal legislatore, con il solo limite della compatibilità, nel caso di specie rispettato alla luce delle considerazioni sopra svolte; trattasi di una questione non esaminata nella sentenza in commento. Per quanto, infine, concerne le incertezze interpretative che deriverebbero dall'applicazione analogica dell'istituto individuate dal procuratore generale e richiamate dalla sentenza in commento, valgono le considerazioni già espresse in sede di ammissione della incolpata alla prova, che si richiamano integralmente: esse rientrano nella fisiologica sfera di discrezionalità nell'ambito della quale si muove il Giudice in sede di applicazione analogica della legge; discrezionalità che, a garanzia della libertà delle scelte di azione del cittadino, la Costituzione limita quando ne possano derivare effetti negativi per quest'ultimo, il che, come visto, non accade nel caso di specie. Del resto, l'esito positivo della messa alla prova ottenuto nel caso di specie costituisce la prova più evidente della superabilità di dette incertezze, mediante l'applicazione pratica dell'istituto. P.Q.M. Visti gli artt. 168 ter c.p. e 464 septies c.p.p., dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) S.r.l. UNIPERSONALE in ordine all'illecito ascrittole nell'imputazione, per essersi lo stesso estinto a seguito di intervenuto esito positivo della messa alla prova. Così deciso in Bari il 14 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BARI Quarta Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Pasquale Spagnoletti ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. r.g. 2020/7837 promossa da: (...) con il patrocinio dell'avv. (...) con domicilio eletto presso il difensore ATTORE contro (...) SPA (...) con il patrocinio dell'avv. (...) con domicilio eletto presso il difensore CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Si procede alla redazione del presente provvedimento senza la parte sullo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, n. 4 c.p.c.. Secondo l'indirizzo consolidato e conforme della giurisprudenza di legittimità, la CTU contabile non è un mezzo probatorio in senso proprio, avendo lo scopo di aiutare il giudice nella soluzione di problematiche, che necessitano di particolari conoscenze tecniche, al fine di valutare elementi già acquisiti agli atti. Per cui non può essere disposta, quando essa assume natura esplorativa in mancanza di specifiche contestazioni sull'esistenza di circostanze, che il richiedente ha l'onere di provare. Esonerandolo così dal fornire la prova di quanto asserito. Pertanto, i motivi di contestazione devono essere delineati in modo preciso e dettagliato. In particolare il richiedente ha l'onere non solo di chiarire quando e come sarebbe avvenuto il superamento dei tassi soglia dell'usura e le altre violazioni contestate, all'uopo depositando una perizia di parte, ma anche producendo i Decreti Ministeriali e le rilevazioni aventi ad oggetto tali tassi. Tali rilievi non possono essere compiuti d'ufficio dal giudice, ma devono essere allegati dalle parti, che non possono esimersi dal provare quanto contestato e supplire alla mancanza delle proprie allegazioni, chiedendo che siano colmate da una consulenza tecnica d'ufficio, che in tal modo si traduce in una mera indagine esplorativa alla ricerca di circostanze e fatti non provati (vedi Cass., Sez. Un., n. 9941 del 2009, Cass. n. 2543 del 2019, Cass. n. 2072 del 2014, Cass. n. 3130 del 2011, Cass. n. 15219 del 2007, Cass. n. 212 del 2006, Cass. n. 11317 del 2003). L'eccezione sulla notifica della cessione del credito, sulla base dell'affermazione che la notifica non sia avvenuta, circostanza non incontroversa sulla scorta della documentazione depositata agli atti, non può valere ad escludere o inficiare la pretesa del creditore cessionario, anche quando fosse provata la mancata notifica. Essendo il debitore ceduto soggetto estraneo rispetto al contratto di cessione, anche se parte del rapporto giuridico, il trasferimento del credito comporta la perdita del diritto da parte del cedente rispetto al debitore ceduto, senza che occorra il suo consenso. Infatti, per il ceduto non assume rilievo giuridico la persona del creditore, dovendo, comunque, effettuare l'adempimento. Il debitore resta obbligato esclusivamente nei confronti del cessionario, unico legittimato a pretendere il pagamento, essendo la notifica della cessione necessaria solo al fine di escludere l'efficacia liberatoria del pagamento fatto al cedente. Per cui la notificazione, la cessione o la conoscenza sono requisiti di efficacia della cessione ai sensi dell'art. 1264 c.c. solo nel senso che rimuovono il limite della tutela del debitore in buona fede (Cass.: n. 15964 del 2011, n. 22280 del 2010, n. 13954 del 2006, n. 2511 del 1976, n. 2243 del 1977, n. 4432 del 1977, n. 3959 del 1977). In ogni caso la notifica della cessione del credito è atto a forma libera, potendo realizzare il fine di rendere il debitore consapevole dell'avvenuta cessione, aliunde, in qualsiasi modo e anche attraverso la notifica del ricorso per decreto ingiuntivo o la comunicazione, come nel caso che ci occupa, operata nel corso del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo (Cass: n. 1770 del 2014). Le operazioni di cartolarizzazione si realizzano attraverso strumenti finanziari, per cui il contratto di cessione e collegato ad un contratto di finanziamento (teoria dualista), la società c.d. veicolo acquista i crediti in nome proprio ma per conto dei sottoscrittori dei titoli (cartula), che finanziano l'operazione di cessione e soprattutto nel caso di cessione in blocco per i crediti d'impresa, si ritiene che la società veicolo (SVP: special purpose vehicle) non sia cessionaria, ma rivestano tale qualità i finanziatori sottoscrittori. Occorre tenere presente che le operazioni di cartolarizzazione involgono interessi privati di rango costituzionale superiori e diversi, rispetto a quello della semplice autonomia negoziale, quale quello della libertà dei mercati, la tutela del risparmio, della libera circolazione dei beni, in particolare della ricchezza mobiliare e della libera concorrenza, che non possono non determinare una compressione dell'autonomia privata e pesino dell'area di incidenza dei privilegi della P.A. (Cass., sez. III, 28 gennaio 2002, n. 981). Pertanto, allo scopo di favorire e agevolare le operazioni di cartolarizzazione, la legge sulle cartolarizzazioni (Legge n 130 del 1990) per i crediti oggetto di tali operazioni contiene una deroga alle ordinarie norme sulla cessione dei crediti, in quanto per l'efficacia della cessione non occorre la notifica al debitore ceduto, bastando a tal fine la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e per la cessione in blocco dei crediti di impresa di cui alla legge n. 52 del 1991 è sufficiente che la pubblicazione contenga soltanto l'indicazione del cedente, del cessionario e della data di cessione, così come avvenuto nell'ipotesi in esame. In riferimento all'eccezione relativa alla nullità, sotto il profilo della forma, del contratto di credito posto a fondamento della domanda di parte attrice, nullità c.d. di protezione, poiché la forma dei contratti di credito, in forza dell'art. 117 del TUB, è richiesta per la tutela del contraente debole. Non si ritiene che i contratti di credito in discussione, possano meritare alcuna censura di nullità, sia sotto l'aspetto formale, che per qualsiasi altra ragione, in particolare per la sottoscrizione della clausola, con cui il debitore dava atto della ricezione della copia del contratto. Ove si consideri, peraltro, che è principio riconosciuto in modo pacifico e concorde dalla giurisprudenza di legittimità, che la forma scritta di un contratto possa risultare da documenti separati per effetto di dichiarazioni non contestuali (proposta e accettazione) (ex plurimis conformemente: Cass. n. 1726 del 1976). In secondo luogo, in riferimento alla censura sulla mancanza di sottoscrizione della Banca attrice, se si ponga mente al fatto che, mentre la giurisprudenza più antica negava che il far valere in giudizio una scrittura potesse sanare la deficienza della sottoscrizione (Cass. n.727 del 1925, Cass. n.1928 del 1927). In seguito si è consolidato l'opposto principio, divenuto costante nel tempo, né mutato anche dopo l'entrata in vigore del nuovo Testo Unico bancario, che all'art. 117 prescrive la forma scritta per i contratti bancari, secondo il quale: "nei contratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, la produzione della scrittura in giudizio da parte di chi non la sottoscrisse vale a supplire la mancanza di sottoscrizione" (vedi tra le tanti dalle più risalenti nel tempo: Cass. n. 1964 del 1955, Cass. n. 3396 del 1955, Cass. n. 2865 del 1955; Cass. n. 1156 del 1958; Cass. n. 2050 del 1959; Cass. n. 1807 del 1963; Cass. n. 719 del 1964; Cass. n. 1995 del 1964, Cass. n. 2914 del 1964; Cass. n. 1899 del 1965, Cass. n. 39 del 1966, Cass. n. 1633 del 1969, Cass. n. 3338 del 1969, Cass. n. 738 del 1970; Cass. n. 2216 del 1977, Cass. n. 2392 del 1978; Cass. del 1979, Cass. n. 2707 del 1982; Cass. n. 469 del 1983, Cass. n. 5868 del 1994, Cass. n. 2826 del 2000; Cass. n. 9543 del 2002; Cass. n. 22223 del 2006; da ultimo Cass. 22 marzo 2012 n. 4564). Il fondamento sistematico di tale massima, che equipara la domanda giudiziale alla sottoscrizione dell'atto, risiede nel fatto che la forma scritta richiesta dalla legge non si identifica esclusivamente con la sottoscrizione, la quale rappresenta solo un elemento della scrittura. Avendo solo il valore di confermare le dichiarazioni espresse nell'atto, la sottoscrizione può risultare per equipollenti. Quali possono essere, come nel caso in questione, la produzione in giudizio di copia del contratto da parte della banca, firmata dal solo cliente, insieme alla dichiarazione di volontà della medesima di avvalersi del contratto, che risulti, come nel caso che ci occupa, da una serie di atti posti in essere durante il rapporto, tra i quali la comunicazione degli estratti conto. Poiché la forma scritta è prescritta in funzione di protezione del contraente debole dal citato articolo 117 del Testo Unico bancario, tale scopo si ritiene assolto dalla scrittura anche in mancanza della sottoscrizione della Banca, se essa appare attraverso un modulo, che sia stato effettivamente eseguito, come nell'ipotesi di specie, che richiama le condizioni economiche e che equivale ad espressa adesione in forma scritta delle stesse, dalle quali possa desumersi con chiarezza il tasso d'interesse, la data e la sottoscrizione del solo cliente. La massima appare, inoltre, ispirata ad un senso di equità, quando il rapporto ha garantito comunque il godimento di somme di denaro. Il principio è ribadito anche in recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione tra le quali la sentenza n. 4564 del 22 marzo 2012, seguita da buona parte della giurisprudenza di merito, riferita anche all'ipotesi della dichiarazione scritta mancante da parte di colui che se ne valga. Per le ragioni espresse, l'eccezione sulla nullità del contratto di credito non può essere accolta. Per ottenere la soddisfazione del proprio credito il creditore opposto ha agito con ricorso per decreto ingiuntivo, provvedimento concesso inaudita altera parte a contraddittorio eventuale e differito, qualora sia opposto dal debitore ingiunto. L'opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, determina la nascita di un normale procedimento di cognizione. Nella quale fase, successiva al procedimento monitorio, il ricorrente ex art. 633 e ss. c.p.c., convenuto in senso formale assume la qualità di attore in senso sostanziale, con conseguente applicazione delle normali regole sulla ripartizione dell'onere della prova (Cass.: n. 9579 del 2000, n. 2765 del 1992). Pertanto, non si realizza affatto l'inversione nella posizione delle parti, essendo il ricorrente onerato a fornire la prova del diritto di credito per la soddisfazione del quale ha agito nella fase a cognizione sommaria. Ciò comporta che la valutazione delle prove si debba basare non più e non solo sulle condizioni dettate dalla legge per l'emanazione del decreto ingiuntivo, ma sull'esistenza della pretesa creditoria, riguardata nel suo complesso (Cass. n. 9927del 2004). Nel caso in questione il debitore non ha mosso alcun rilievo sulla consistenza del saldo debitore riportato dagli estratti conto prodotti in giudizio per entrambi i contratti di finanziamento, per cui stato azionato il decreto ingiuntivo (Cass.: S.U. n. 6707/1994; n. 2751 del 2002, n. 12233 del 2003, n. 11749 del 2006). Il ricorrente assolve al proprio onere probatorio, dimostrando il diritto di credito vantato nei confronti del debitore nel suo preciso ammontare con la produzione dell'estratto conto e del piano di ammortamento. Nello stesso appaiono registrate tutte le movimentazioni e l'ultimo saldo, così come a seguito delle stesse si è determinato. Secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità anche quando il creditore non abbia comunicato al debitore il conto prima del giudizio in via stragiudiziale, la successiva produzione dello stesso nel corso del processo, rappresentando una forma di trasmissione, determina per il debitore il necessario svolgimento di specifiche contestazioni sulla validità delle annotazioni riportate nel conto. Nel caso che ci occupa, l'opponente non ha contestato alcuna voce dell'estratto conto prodotto, su cui si fonda la pretesa del creditore opposto. Per cui la mancata contestazione, in base ai principi sull'onere della prova, esonera colui che ha allegato il fatto dall'onere di provarlo, in quanto questo assume il valore di fatto incontroverso. (Cass. S.U. n. 12065 del 2014, n. 1045 del 2015). Né possono valere, invece, contestazioni di carattere generico, come quelle operate dal debitore, né la generica affermazione di nulla dovere o quella sulla vessatorietà delle clausole dei due contratti, circostanza che appare non dimostrata. A tale proposito dall'esame della documentazione risulta che in giudizio oltre al saldaconto di cui all'art. 50 del TUB è stato prodotto l'estratto conto, il quale si riferisce a quella parte dell'obbligazione relativa al credito al consumo, per cui è stato azionato il procedimento monitorio (Cass.: S.U. n. 6707/1994; Cass: n. 2751 del 2002, n. 12233 del 2003, n. 11749 del 2006). Secondo il prevalente indirizzo ermeneutico della giurisprudenza di legittimità il piano di ammortamento non rappresenta un elemento essenziale del contratto, per cui la sua mancanza non incide sulla validità del contratto e non costituisce un elemento essenziale ai fini della prova in giudizio del contratto di credito (Cass.: n. 12922 del 2020, n. 26426 del 2017). L'indirizzo ermeneutico prevalente della giurisprudenza di legittimità. (v. Cass.: n. 5286 del 2000, n. 350 del 2013, n. 5598 del 2017), specifica e chiarisce il senso dell'art. 644 c.p., che non sancisce affatto il principio della cumulabilità degli interessi moratori e corrispettivi ai fini del tasso soglia d'usura, ma si limita, al contrario, ad affermare solo l'applicabilità anche agli interessi moratori delle disposizioni previste dalle norme antiusura. La valutazione della usurarietà deve riferirsi sia al tasso di mora che a quello corrispettivo. Nel caso che ci occupa nessuno dei due tassi di interesse ha superato il tasso soglia dell'usura. Peraltro, ove la dichiarazione di nullità avesse riguardato unicamente la clausola relativa agli interessi moratori ex art. 1419 c.c., il mutuatario avrebbe avuto diritto solo alla restituzione dei soli interessi moratori usurari effettivamente corrisposti e non dovuti (cfr. Trib. Como, sent. 11/10/2017; Trib. Monza sent.n. 1911/2017, Trib. Siracusa sent. n. 16789/2017; Trib. Roma, sent. n. 6951/2017, App. Milano, sent. n. 2044/2017). Nel caso di specie il ricorrente non ha provato, né l'ammontare, né l'applicazione di interessi di mora, che siano stati nel corso del rapporto corrisposti. Per cui nell'ipotesi di mancata dimostrazione dell'ammontare degli interessi moratori asseritamene usurari, che sarebbero stati pagati in eccesso, l'azione di restituzione deve ritenersi inammissibile, né possono reputarsi sufficienti a tale scopo contestazioni di tipo generico. (Trib. Milano 24.03.2016, Trib. Milano 17.01.2017)). Solo se si fosse accertata l'applicazione degli interessi di mora, dovuti per effetto di inadempimento o ritardato pagamento, qualora il tasso di mora avesse superato quello soglia dell'usura, ipotesi che nel caso de quo non si è verificata, il ricorrente avrebbe avuto diritto, non ad ottenere la gratuita del rapporto di mutuo, come ha richiesto, ai sensi dell'art. 1815 c.c., ma solo la restituzione degli interessi di mora effettivamente versati, restando dovuti per il periodo di mora solo gli interessi corrispettivi non usurari. Per quanto riguarda la penale di estinzione anticipata, prevista nel contratto, calcolata una tantum in percentuale sul capitale residuo. Essa nel caso in questione è stabilita per la sola ipotesi della restituzione anticipata della somma prestata, ma non essendo stata concretamente applicata, non può ritenersi onere aggiuntivo da calcolare ai fini del superamento del tasso soglia dell'usura. L'eccezione sul difetto di procura del ricorso per il decreto ingiuntivo non può essere accolta, in quanto secondo la giurisprudenza dominante in materia il mandato difensivo rilasciato per il successivo grado del giudizio viene a sanare la procura viziata o mancante della procedura monitoria. Inoltre, l'effetto sanante "ex tunc" si realizza anche quando la procura alle liti sia regolarizzata autonomamente a seguito dell'eccezione di controparte, indipendentemente e anche in assenza del termine di cui all'art. 182, comma 2, c.p.c. assegnato dal giudice. Per cui la convalida e ratifica del ricorso può essere compiuta anche nel giudizio di opposizione che segue il rito monitorio. Peraltro, quando il convenuto in senso sostanziale si sia costituito nel giudizio di opposizione si può ritenere sanata la nullità della procura anche ai sensi dell'art. 156 cpc., poiché l'atto ha raggiunto il suo scopo di instaurare il contraddittorio processuale innanzi al giudice. Se in base ai principi di ermeneutica elaborati dalla giurisprudenza di legittimità la mancata sottoscrizione del difensore non produce la nullità, quando gli altri elementi dell'atto rendano evidente la provenienza dello stesso da parte di un procuratore autorizzato e munito di mandato. Per cui sia possibile aliunde risalire alla persona che risulta esserne l'autore. A fortiori dovrà considerarsi sanato qualsiasi altro vizio, che ne importi la nullità, afferente la procura alle liti, poiché l'atto ha comunque raggiunto il suo scopo, essendosi il convenuto in senso sostanziale costituito in giudizio. Pertanto, il difetto della procura della procedura monitoria viene sanato con la successiva costituzione nel giudizio di opposizione attraverso l'atto che reca la procura al difensore sottoscrittore del ricorso. Peraltro, la rappresentanza ad litem riveste, comunque, carattere sostanziale, essendo possibile la ratifica del rappresentato, che convalida e sana ex post il difetto di autorizzazione ad agire in suo nome e per suo conto anche ai fini processuali nel momento della costituzione nel giudizio di opposizione. Poiché la procura al difensore costituisce un presupposto della costituzione, tale ratifica non si pone in contrasto con il principio di cui al secondo comma dell'art. 125 cpc, secondo cui "la procura al difensore dell'attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto, purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata". (Cass.: n. 23958 del 2020, n. 29802 del 2019, n. 23940 del 2019, n. 26948 del 2017, n. 17301 del 2013, n. 13688 del 2001. n. 1160 del 1963). Restano assorbite o non rilevanti o contraddette da quanto risultante dagli atti prodotti in giudizio le ulteriori eccezioni di merito e preliminari. La regolazione delle spese sì effettua in applicazione del principio di soccombenza, che si liquidano come in dispositivo secondo i parametri indicati dalla normativa di riferimento. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) Rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo di cui agli atti del procedimento, che conferma integralmente; 2) Condanna gli opponenti verso l'opposta al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 2.097.00 oltre rimborso spese generali ed Iva e Cap come per legge; 3) Dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva. Bari, 17 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 17 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BARI Terza Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice Onorario dott. Vincenzo Lullo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 10072/2021 promossa da: (...), elett.te domiciliato in Bari, corso (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende, come da procura in atti. Attore contro Condominio di Via (...) - Bari, in persona dell'amministratore pro tempore, elett.te domiciliato in Bari, via (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende, come da procura in atti. Convenuto CONCLUSIONI Come da verbale d'udienza del 07.02.2023. Fatto e diritto Con atto di citazione notificato il 16.07.2021, (...) - proprietario dell'appartamento sito al piano sesto (int. 14) dello stabile condominiale di via (...) pal. B1, in Bari - ha chiesto che venga accertata e dichiarata la nullità e/o annullabilità della delibera condominiale del 21.04.2021 assumendo che la stessa è illegittima in quanto approvata in assenza del quorum di legge ed in carenza dei requisiti relativi alle deleghe rilasciate da taluni condomini; nel merito, poi, ha dedotto l'illegittimità della delibera per violazione del disposto dell'art. 1135 c.c. Si è costituito il Condominio eccependo in sintesi la carenza di legittimazione attiva dell'attore a far rilevare vizi concernenti la partecipazione dei condomini all'assemblea condominiale e contestando, nel merito, le avverse deduzioni. Così instauratosi il contraddittorio tra le parti, la causa, istruita con produzione documentale, è stata rimessa in sede decisoria all'udienza del 07.02.2023, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. Le doglianze, con le quali parte attrice lamenta la violazione dei quorum sul rilievo che, diversamente da quanto risulta dal verbale, le deleghe conferite da taluno dei condomini non vi fossero o fossero viziate, non colgono nel segno. Preliminarmente occorre distinguere nell'ambito delle deliberazioni dell'assemblea condominiale tra vizi che importano l'annullabilità della delibera e vizi che ne determinano la nullità. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass. Civ. S.U. 7.3.2005 n. 4806) ha fornito un criterio discretivo, affermando che la nullità è riservata alle ipotesi più radicali, quali le deliberazioni prive di elementi essenziali, quelle con oggetto estraneo alle competenze dell'assemblea e quelle con oggetto illecito; tutti gli altri vizi, invece, comportano mera annullabilità della delibera. Circa il difetto di convocazione dell'assemblea, il risalente orientamento che ricollegava a tale vizio una fattispecie di nullità, è stato definitivamente superato in giurisprudenza dalla sopra richiamata pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite ed infine dal legislatore. Per i principi generali che regolamentano il diritto civile, l'annullabilità è vizio non rilevabile d'ufficio, giacché legittimato a richiedere l'annullabilità di un atto è unicamente il soggetto che ha interesse a farlo valere (legittimazione relativa e non assoluta). Coerentemente sia con l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (v. anche Cass. Civ. n. 17486/2006; Cass. Civ. n. 10338/2014) affermativo della mera annullabilità delle deliberazioni assembleari condominiali viziate da omessa convocazione di un condomino, sia con la disposizione normativa dell'art. 66 disp. att. c.c., la Suprema Corte ha ritenuto che, in tema di impugnazione delle deliberazioni delle assemblee condominiali, costituendo appunto l'omessa convocazione di un condomino motivo di annullamento, e non già di nullità, delle deliberazioni assunte dall'assemblea, trova applicazione l'art. 1441 c.c., secondo il quale "l'annullamento può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse esso è stabilito dalla legge, e, di conseguenza, il condomino convocato non è legittimato ad impugnare la delibera per l'omessa convocazione di altri condòmini" (Cass. Civ. n. 8520/2017). Più in generale "l'interesse all'impugnazione per vizi formali di una deliberazione dell'assemblea condominiale, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ., pur non essendo condizionato al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, postula comunque che la delibera in questione sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell'ente di gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio (...)" (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 11214 del 10/05/2013). Aggiungasi, poi, che i rapporti fra rappresentante intervenuto in assemblea e condomino rappresentato devono essere disciplinati dalle norme sul mandato da interpretare con una certa larghezza, nel rispetto dei principi generali, onde consentire il funzionamento dell'assemblea. Ne consegue che solo il condomino delegante o quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a fare valere gli eventuali vizi della delega e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto (fra le altre Cass. 2218/13 e Cass. 12466/04). L'operato del delegato in seno all'assemblea non è nullo e neppure annullabile ma solo inefficace nei confronti del mandante fino alla ratifica di questi e tale temporanea inefficacia non è rilevabile d'ufficio ma solo dal condominio pseudo rappresentato: tale conclusione è in linea con i principi affermati in giurisprudenza in tema di falsus procurator atteso che il negozio concluso da questi è inefficace nei confronti del dominus fino alla sua eventuale ratifica. Conseguentemente, l'odierno attore non è legittimato a far valere l'eventuale profilo di annullabilità dell'impugnata deliberazione assembleare. Per le medesime considerazioni di cui al punto precedente, va disattesa la contestazione sollevata in via gradata dall'attore ("B. Sulle tabelle applicabili alla specifica delibera assunta"), anche in considerazione della assoluta genericità della doglianza. Non merita positivo scrutinio neanche l'ulteriore doglianza (esposta, invero, in maniera non chiara) secondo cui i lavori commissionati alla (...) Srls non presenterebbero il carattere di urgenza, sicché la delibera condominiale violerebbe sul punto il disposto dell'art. 1135 c.c. Invero l'art. 1135 co. 2 c.c. stabilisce che "L'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea". Si tratta quindi di una ipotesi straordinaria, simile a quella specularmente prevista dall'art 1130 co.1 n.4) c.c., in cui l'Amministratore, nella sua attività, può prescindere dalla deliberazione assembleare, purché agisca per il bene della cosa comune e quindi nell'interesse dell'assemblea. La giurisprudenza ha specificato che "In tema di condominio, qualora l'amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 1135, comma 2, c.c., abbia disposto, in assenza di previa delibera assembleare, lavori di straordinaria amministrazione, la relativa obbligazione è riferibile al condominio ove l'amministratore ne abbia speso il nome e quei lavori siano caratterizzati dall'urgenza, mentre, in mancanza di quest'ultimo requisito, non è configurabile alcun diritto di rivalsa o regresso del condominio medesimo, atteso che il relativo rapporto obbligatorio non gli è riferibile, trattandosi di atto posto in essere dell'amministratore al di fuori delle sue attribuzioni" (Cass. Civ. n. 2807 del 02.02.2017). Nel caso di specie, appare evidente che il Condominio e l'amministratore abbiano agito nei limiti e secondo le indicazioni disposte dalle norme citate, dal momento che i lavori deliberati hanno riguardato la indispensabile riparazione dell'ascensore fermato in precedenza da ordinanza del Sindaco di Bari per la tutela della incolumità dei Condomini (vedasi ordinanza sindacale n. 2021/01296, allegata al fascicolo telematico di parte convenuta). Ne deriva, in ultima analisi, che la domanda dell'attore va rigettata. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, sulla base del valore (indeterminato) della causa tenendo conto dei valori medi e della superfluità della fase istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: 1) Rigetta l'impugnazione presentata da (...) nei confronti della delibera del 21.04.2021 del Condominio di via (...) pal. B1, in Bari; 2) Condanna (...) al pagamento delle spese di lite in favore del condominio convenuto che liquida in Euro 5.800,00, oltre rimborso spese generali 15% ed oneri previdenziali e fiscali di legge. Bari, l'8 maggio 2023 Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2023.

  • TRIBUNALE DI BARI QUARTA SEZIONE CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice del Tribunale di Bari, Quarta Sezione Civile, dott. Michele De Palma, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 10587/2017 R.G. vertente tra: (...) e (...) (Avv. (...)) - OPPONENTE - E (...) SPA (Avv. (...)) - OPPOSTA - - FATTO E DIRITTO - Con l'atto introduttivo del giudizio (...) e (...) hanno spiegato opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1984/2017, provvisoriamente esecutivo, con il quale gli è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 173.705,16, oltre interessi e spese legali per la fase monitoria; gli opponenti hanno anche chiesto la liquidazione dei danni per illegittima segnalazione alla Centrale Rischi. Costituendosi la (...) s.p.a. ha eccepito l'improcedibilità della domanda di opposizione proposta ex art. 5 del D.Lgs. n. 28/2010 e chiesto comunque il rigetto dell'opposizione e preliminarmente la declaratoria di esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto; con vittoria delle spese di lite. Con l'ordinanza del 3.10.2017 è stata rigettata l'istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo ed è stato concesso alle parti, ex artt. 2 e 5, co. 1 -bis e 4, lett. a) del D.Lgs. n. 28/2010, termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione obbligatoria. Nessuna delle parti ha introdotto il procedimento di mediazione obbligatoria. Con la comparsa conclusionale la difesa di parte opposta ha insistito in ordine alla violazione dell'obbligo di mediazione evidenziando che "il mancato esperimento della mediazione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, D.Lgs. 28/10, comporta immediatamente, e quindi senza possibilità di sanatoria, l'improcedibilità della domanda con conseguente estinzione del giudizio". In argomento è noto però che le Sezioni Unite sono intervenute, con la sentenza n. 19596/2020, depositata il 18.9.2020, enunciando il principio di diritto per cui nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo. Quindi, non avendo parte opposta, a carico della quale gravava l'onere di introdurre il procedimento di mediazione obbligatoria, previsto dalla legge come condizione di procedibilità della domanda monitoria, quest'ultima va dichiarata improcedibile con revoca del decreto ingiuntivo opposto. La domanda risarcitoria per l'assunta illegittima segnalazione dei nominativi degli opponenti alla Centrale Rischi va rigettata perché carente di allegazione e prova circa la sussistenza della dedotta illegittima segnalazione, oltre che generica anche con riguardo all'individuazione dell'assunto danno. Stante la parziale soccombenza degli opponenti, le spese di lite seguono vanno compensate per un terzo e liquidate così come in dispositivo. Le competenze legali vengono liquidate sulla base dei parametri minimi previsti dal D.M. n. 55/2014 per lo scaglione da Euro 52.000,01 a Euro 260.000,00 (in applicazione dei parametri aggiornati dal DM 147/2022, alla luce di quanto previsto dall'art. 6 di tale DM, poiché l'attività difensiva si è esaurita dopo il 23.10.2022, cioè dopo l'entrata in vigore di tale ultimo DM). P.Q.M. Il Tribunale di Bari, Quarta Sezione Civile, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, definitivamente decidendo, in composizione monocratica, così provvede: 1) dichiara improcedibile la domanda proposta dalla (...) s.p.a. e revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 1984/2017; 2) rigetta la domanda risarcitoria proposta dagli opponenti; 3) condanna la (...) s.p.a. al pagamento di due terzi delle spese processuali in favore di (...) e (...) che, in detta ridotta misura, liquida in euro 4.071,00 per compenso professionale, oltre IVA e CAP come per legge, nonché rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 15% sull'importo del compenso. Così deciso in Bari, il 7 maggio 2023. Depositata in Cancelleri il 9 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BARI Terza Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del Giudice Onorario dott. Vincenzo Lullo ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 17740/2018 promossa da: (...), (...), (...), (...) e (...), elett.te domiciliati in Bari, presso lo studio dell'Avv. (...), che li rappresenta e difende, come da procura in atti. Attori contro (...), in qualità di Amministratore di Sostegno di (...), elett.te domiciliato in Bari, presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende come da procura in atti. Convenuto CONCLUSIONI Come da verbale d'udienza del 23.01.2023. Fatto e diritto Devono, all'uopo, considerarsi integralmente richiamati dalla presente pronuncia, sia gli atti introduttivi e di costituzione delle parti, sia i successivi scritti difensivi ed i verbali di causa. Sulla scorta del ricorso introduttivo e degli atti di causa, gli attori hanno dedotto: di essere comproprietari dell'immobile sito in Bari alla Via (...)piano 5°, destinato a civile abitazione; che la suddetta unità immobiliare è stata interessata da copiosi fenomeni infiltrativi a partire dal gennaio 2016, fenomeni provenienti dall'appartamento sito al piano superiore di proprietà di (...), come accertato in sede di A.T.P. esperito su ricorso degli attori ai sensi dell'art. 696 bis c.p.c.; che al fine di eliminare i fenomeni di umidità e le cause delle infiltrazioni gli attori hanno sollecitato più volte la convenuta, e per essa l'amministratore di sostegno ad effettuare i lavori necessari, ma senza esito; che in seguito ad un successivo ricorso promosso dagli attori ai sensi dell'art. 1172 c.c. la convenuta è stata condannata dal Tribunale di Bari ad intervenire immediatamente con una manutenzione straordinaria, sulla scorta delle risultanze contenute nella Relazione Tecnica d'Ufficio a firma del CTU. Tutto ciò premesso, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. gli attori hanno convenuto dinanzi al al Tribunale di Bari (...), in persona del suo amministratore di sostegno, al fine di accertare la sua responsabilità per il verificarsi delle infiltrazioni con condanna della stessa al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati nella misura specificati in atti, salvo diversa determinazione, ed al pagamento delle spese processuali. Con comparsa di risposta ritualmente depositata si è costituito l'Amministratore di sostegno di (...), il quale ha eccepito preliminarmente la nullità della procura alle liti allegata al ricorso avversario e l'improcedibilità del presente giudizio in difetto "del prescritto tentativo di negoziazione assistita"; nel merito invece ha contestato la fondatezza della domanda spiegata dalla parte attrice, chiedendone il rigetto. Disposto il mutamento del rito ed acquisite le memorie difensive ex art. 183 co. 6 c.p.c., la causa, poi, istruita con l'acquisizione dell'A.T.P. e la produzione documentale offerta dalle parti, è stata rimessa in sede decisoria all'udienza del 23.01.2023, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. La domanda va dichiarata improcedibile. Come è noto, l'art. 3 del D. L. n. 132 del 2014, prevede le ipotesi in cui il preventivo esperimento della negoziazione assistita risulta essere condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'art. 3 infatti dispone espressamente quanto segue: "Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l'altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall'articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L'esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 2 comma 3. Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell'invito. Il presente comma non si applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori". La parte attrice nel caso di specie ha agito nei confronti della convenuta al fine di ottenere una somma di importo non eccedente cinquantamila euro, a titolo di risarcimento materiale e morale. Ne deriva che, la domanda scrutinata rientri nelle ipotesi disciplinate dalla citata disposizione laddove è necessario dare preventivamente corso al procedimento di negoziazione assistita pena l'improcedibilità della domanda di pagamento, spiegata a qualsiasi titolo, di una somma non eccedente gli euro cinquantamila. Va altresì precisato che non ricorre alcuna delle ipotesi previste dall'articolo 3, comma 3, di esclusione, il quale prevede infatti che le disposizioni di cui al primo comma dello stesso articolo non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione; b) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'articolo 696-bis del codice di procedura civile; c) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; d) nei procedimenti in camera di consiglio; e) nell'azione civile esercitata nel processo penale. Orbene, nel caso di specie, l'attore, onerato dell'effettivo espletamento della procedura di negoziazione assistita, non ha adempiuto a tale obbligo, né tantomeno a seguito dell'eccezione della parte convenuta, ha chiesto i termini per poter espletare tale procedura. Né può ritenersi producente, in senso contrario, l'accertamento tecnico preventivo esperito ai fini conciliativi prima dell'introduzione del presente giudizio, come invocato dalla difesa di parte attrice. Invero, la coesistenza nell'ordinamento processuale dei due istituti dell'ATP conciliativo (art.696 bis c.p.c.), da un lato, e del procedimento di mediazione (artt.3 e ss. D.L.vo 28/2010) e negoziazione assistita (ex art. 3 del D. L. n. 132 del 2014), dall'altro, non è prevista in termini di alternatività, tale per cui il ricorso all'uno esclude il ricorso all'altro, stimandosi che il ricorso al primo, rimesso alla disponibilità delle parti ove ne ricorrano i presupposti (con particolare riferimento all'utilità di una verifica tecnica che consenta alle parti di fare chiarezza sul tema controverso e su istanze restitutorie o risarcitorie poste), non esclude la necessità di ricorrere al secondo quando, non raggiunto l'obiettivo della conciliazione, si profili la via contenziosa e quindi, nelle materie previste, l'obbligatorietà di ricorrere al preventivo procedimento di mediazione o negoziazione assistita (nel quale, prevalenti le tecniche relazionali di mediazione, ci si potrà comunque avvalere dell'accertamento tecnico già svolto). Ciò posto, al mancato esperimento della negoziazione assistita segue la declaratoria di improcedibilità della domanda attrice a mente dell'art. 3 D. L. n. 132 del 2014. L'improcedibilità della domanda rende ultroneo l'esame delle rimanenti questioni, anche di merito, proposte. Ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite, in considerazione della peculiarità della questione giuridica trattata. P.Q.M. Il Tribunale di Bari-Terza Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando nella causa in epigrafe, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) Dichiara l'improcedibilità della domanda; 2) Dichiara compensate le spese di lite. Così deciso in Bari, 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Ordinario di Bari, 4 sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott. Giuseppe Marseglia, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 14522 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018 e vertente TRA (...), come in atti generalizzato, rappresentato e difeso dall'avv. (...), per procura in atti; Attore E (...) S.p.A., a seguito di fusione per incorporazione in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) per procura in atti; Convenuta NONCHÉ' (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. (...) per procura in atti; Intervenuta Oggetto: intermediazione finanziaria Conclusioni: all'udienza del 23/11/2022, svoltasi in modalità cartolare, i procuratori delle parti hanno concluso come da note di trattazione scritta. RAGIONI di FATTO e di DIRITTO della DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), deducendo di aver sottoscritto, dal 2009 al 2015, su sollecitazione di funzionari della (...), azioni ed obbligazioni emesse da (...), ha citato in giudizio (...), chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "1. Accertare la violazione dell'art. 21, co. 1, lett. a), b), c), d), D.Lgs. n. 58/98 e per l'effetto dichiarare la nullità e/o l'inesistenza e/o l'inefficacia e/o l'annullabilità e/o la risoluzione di tutte le operazioni di investimento fatte realizzare, condannando la stessa convenuta alla restituzione, in favore dell'odierno attore, del capitale investito, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge sino al soddisfo; 2. Accertare la violazione degli arti. 39 e 40, Del. Consob, nr. 16190/2007 e per l'effetto dichiarare la nullità e/o l'inesistenza e/o l'inefficacia e/o l'annullabilità e/o la risoluzione di tutte le operazioni di investimento fatte realizzare, condannando la stessa convenuta alla restituzione, in favore dell'odierno attore, del capitale investito, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge sino al soddisfo; 3. Accertare la violazione dell'art. 21, co. 1 Bis, D.Lgs. 58/89 e per l'effetto dichiarare la nullità e/o l'inesistenza e/o l'inefficacia e/o l'annullabilità e/o la risoluzione di tutte le operazioni di investimento fatte realizzare, condannando la stessa convenuta alla restituzione, in favore dell'odierno attore, del capitale investito, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge sino al soddisfo; 4. Accertare la violazione dell'art. 31, co. 1, Del. Consob, nr. 16190/07 e per l'effetto dichiarare la nullità e/o l'inesistenza e/o l'inefficacia e/o l'annullabilità e/o la risoluzione di tutte le operazioni di investimento fatte realizzare, condannando la stessa convenuta alla restituzione, in favore dell'odierno attore, del capitale investito, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge sino al soddisfo; 5. Accertare la violazione dell'art. 21, D.Lgs. 58/1998 e della Comunicazione Consob 9019104/2009 e per l'effetto dichiarare la nullità e/o l'inesistenza e/o l'inefficacia e/o l'annullabilità e/o la risoluzione di tutte le operazioni di investimento fatte realizzare, condannando la stessa convenuta alla restituzione, in favore dell'odierno attore, del capitale investito, maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria come per legge sino al soddisfo; 6. In ogni caso, condannare la Banca convenuta al risarcimento del danno patrimoniale subito, quale conseguenza immediata e diretta del comportamento della banca convenuta, sia sotto il profilo del danno emergente - pari alla somma investita di euro (...) oltre rivalutazione ed interessi dalla data di effettuazione del primo acquisto sino al soddisfo, sia del danno da lucro cessante, pari per un verso al mancato percepimento dei dividendi ed interessi legali e per altro verso al mancato lucro per il reimpiego delle predette somme, ovvero in quell'altra somma maggiore o minore ritenuta di giustizia, anche secondo valutazione equitativa; 7. in ogni caso, condannare la banca convenuta al pagamento di spese, diritti ed onorari del presente procedimento, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore per fattane anticipazione". (...) si è costituita tempestivamente, con comparsa di risposta depositata in data 07.01.2019, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, l'improcedibilità dell'azione e, in ogni caso, la prescrizione dei diritti azionati, ed ha contestato la fondatezza delle doglianze sollevate dall'attore. La convenuta ha concluso chiedendo l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "respinta ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione e previa ogni opportuna declaratoria del caso: - nel merito, riconoscere e dichiarare (...) S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa unica legittimata passivamente a conoscere delle domande di parte attrice, eventualmente estromettendo (...) S.p.a. dal giudizio e rigettando comunque ogni domanda proposta nei confronti di quest'ultima; - in ogni caso, dichiarare inammissibili e/o, comunque, rigettare tutte le domande attrici, incluse quelle risarcitone e/o restitutorie, in quanto infondate, in fatto ed in diritto; - in ogni caso, sempre nella denegata ipotesi di soccombenza della banca, condannare la parte attrice a restituire i titoli in contestazione e i rendimenti nelle more incassati, pari ad almeno euro (...) ovvero la diversa somma, anche maggiore, che risulterà provata, oltre interessi e rivalutazione dai singoli accrediti sino al saldo; - con vittoria di spese, competenze ed onorari". Ottenuta la concessione dei termini ex art. 183 VI co. c.p.c., le parti hanno depositato le relative note istruttorie. (...) S.p.A. in LCA si è costituita in giudizio con atto di intervento volontario del 4.09.2019, con cui, riprendendo le difese di (...) S.p.A., ha dedotto di essere la sola legittimata passiva con riguardo alle domande di parte attrice, in virtù di quanto disposto dal D.L. 99/17 e convenuto nel contratto di cessione di azienda del 26.06.2017 concluso tra (...) S.p.A. in l.c.a., (...) S.p.A. in l.c.a. e S.p.A., del contratto di ritrasferimento di crediti e partecipazioni del 10.07.2017, sottoscritto da (...) S.p.A. e (...) S.p.A. in l.c.a. e nell'Atto ripetitivo del Secondo Atto ricognitivo del contratto di cessione in data 26 giugno 2017 relativo a (...) s.p.a. in l.c.a. e (...) s.p.a. in l.c.a. La (...) ha, quindi, concluso nei termini che seguono: "Voglia l'ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis: A) in via preliminare accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in narrativa, la sussistenza della legittimazione passiva a conoscere delle domande di parte attrice in capo alla sola (...) S.p.a. in l.c.a. e, per l'effetto, dichiarare l'estromissione dal presente giudizio di (...) s.p.a.; B) In via pregiudiziale accertare e dichiarare, per le ragion esposte in narrativa, l'improcedibilità del presente giudizio ai sensi dell'art. 83, comma 3, del TUB; C) nel merito, in ogni caso, dichiarare inammissibili e/o, comunque, rigettare tutte le domande di parte attrice, incluse quelle risarcitone e/o restitutorie, in quanto infondate, in fatto ed in diritto; D) nella denegata ipotesi di soccombenza della banca, condannare l 'attore a restituire i titoli in contestazione e i rendimenti nelle more incassati, pari ad almeno euro (...), ovvero la diversa somma, anche maggiore, che risulterà provata, oltre interessi e rivalutazione dai singoli accrediti sino al saldo; E) con vittoria di spese e compensi di lite. La causa è stata istruita documentalmente e con CTU tesa a verificare l'adempimento da parte di (...) degli obblighi informativi e di comportamento ad essa imposti dal TUF e dalla Delibera Consob n. 16190/2007, affidata al dott. (...) che in data 2.09.2010 ha depositato il proprio elaborato peritale. Precisate le conclusioni all'udienza cartolare indicata in epigrafe, la causa è stata trattenuta per la decisione, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. In via preliminare, l'eccezione di difetto di legittimazione passiva di (...) S.p.A. sollevata dalla stessa e dall'intervenuta (...) S.p.A. in LCA non può trovare accoglimento. Sul punto si rende opportuno premettere una breve disamina delle vicende che hanno visto coinvolte (...) S.p.A. e (...) S.p.A. Il D.L. 25 giugno 2017 n. 99, convertito con modifiche nella Legge 31 luglio 2017 n. 121, al fine di far fronte alla grave crisi della (...) e di (...) S.p.A., ne ha disposto la liquidazione coatta amministrativa. L'art. 1 del predetto Decreto disciplina "l'avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di (...) S.p.A. e di (...) S.p.A. (ciascuna singolarmente, la Banca o, collettivamente, le Banche) nonché le modalità e le condizioni delle misure a sostegno di queste ultime in conformità con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Ai fini del presente decreto per "soggetti sottoposti a liquidazione" si intendono le Banche poste in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell'articolo 2". In forza dell'art. 2,1., lett. c), i commissari liquidatori devono procedere "alla cessione di cui all'articolo 3 in conformità all'offerta vincolante formulata dal cessionario individuato ai sensi dell'articolo 3, comma 3", cioè (...) S.p.a. e, secondo il successivo punto 2, "l'accertamento del passivo dei soggetti in liquidazione ai sensi dell'articolo 86 del Testo unico bancario è condotto con riferimento ai soli creditori non ceduti ai sensi dell'articolo 3, retrocessi ai sensi dell'articolo 4 o sorti dopo l'avvio della procedura". La cessione, ex art.3, include "l'azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi". Sono, tuttavia, esclusi, "i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse" (art. 3, co. 1, lett. b), D.L. n. 99/2017). Ai sensi dell'art. 4, co. 4, inoltre, entro il termine previsto nel contratto, un collegio di tre esperti indipendenti, di cui uno di nomina ministeriale, deve effettuare una due diligence sul compendio ceduto, all'esito della quale "il cessionario di cui all'articolo 3 può restituire o retrocedere al soggetto in liquidazione attività, passività o rapporti dei soggetti in liquidazione o di società appartenenti ai gruppi bancari delle Banche, entro il termine e alle condizioni definiti dal decreto di cui all'articolo 2, comma 1". E', tuttavia, possibile prevedere nel contratto di cessione la facoltà per il cessionario di retrocedere al soggetto in liquidazione "partecipazioni detenute da società che, all'avvio della liquidazione coatta amministrativa, erano controllate da una delle Banche, nonché i crediti di dette società classificati come Attività deteriorate" e "crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, e crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate, entro tre anni dalla cessione" (art. 4, co. 5, D.L. n. 99/2017). Ai sensi dell'art. 4, co. 7, infine, nel caso di restituzioni e retrocessioni di cui al citato art. 4, co. 4, e in quello di restituzioni al soggetto in liquidazione in forza di condizioni risolutive della cessione pattuite nel contratto, "il soggetto in liquidazione risponde dei debiti e delle passività restituiti o retrocessi, con piena liberazione del cessionario retrocedente anche nei confronti dei creditori e dei terzi". In attuazione di quanto previsto dal D.L. n. 99/2017, in data 26 giugno 2017, (...) S.p.a. in l.c.a., ha concluso con (...) S.p.a. contratto di cessione di azienda, comprendente, tra l'altro, le partecipazioni di (...) S.p.a. in (...) S.p.a. in forza dell'art. 3.1.2. del contratto. Inoltre, per "Attività incluse" e "Passività incluse" di (...) S.p.a., l'art. 3.1.1. prevede debbano intendersi anche quelle delle sue partecipate, tra cui (...) S.p.a., che siano espressamente incluse nell'"Insieme Aggregato". Tuttavia, ai sensi del successivo art. 3.1.4. lett. (b)-(iv) e lett. (b)-(vi), devono ritenersi esclusi dalla cessione i debiti, le responsabilità (e relativi effetti negativi) e le passività derivanti da, o comunque connessi con, le operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate e/o convertibili delle banche in liquidazione, nonché qualsiasi contenzioso (e relativi effetti negativi, anche per oneri e spese legali), anche se riferibili ad Attività Incluse e/o Passività Incluse diverso dal Contenzioso Pregresso. Infine, in forza del disposto dell'art. 8.3, considerata la cessione delle partecipazioni di (...) S.p.a. in altre banche, (...) S.p.a. si impegnava a riacquistare tutti i crediti di dette società classificati come attività deteriorate o classificabili come crediti di (...) S.p.a. esclusi dall'Insieme Aggregato. In data 10 luglio 2017, in attuazione dell'art. 4, co. 5, del D.L. n. 99/2017 e dell'art. 8.3 del contratto di cessione di azienda, (...) S.p.a. e (...) S.p.a. hanno concluso contratto di ritrasferimento di crediti e partecipazioni, col quale, in particolare, per quel che qui interessa, la prima ha ceduto alla seconda tutti i crediti pecuniari classificati o classificabili alla data del 26 giugno 2017 in base ai Principi Contabili come "sofferenze", come "inadempienze probabili" (c.d. "unlikely to pay") e/o come "esposizioni scadute" (c.d. "past due"), nonché i relativi sottostanti rapporti contrattuali. Ai sensi degli artt. 6 e 7 del citato accordo, inoltre, (...) S.p.a. ha assunto l'obbligo di intervenire in giudizio e chiedere l'estromissione di (...) S.p.a. con riferimento ai "Contenziosi Passivi", per tali dovendosi intendere quelli relativi ai crediti "ritrasferiti" e aventi ad oggetto, tra l'altro, pretese restitutorie a seguito di risoluzione di contratto e domande risarcitone, anche per responsabilità extracontrattuale (cfr. 7.1 e 7.2 dell'accordo). Infine, in data 17 gennaio 2018, (...) S.p.a. e (...) S.p.a. hanno concluso il "Secondo Atto ricognitivo del contratto di cessione in data 26 giugno 2017 relativo a (...) s.p.a. in l.c.a. e (...) s.p.a. in l.c.a.", con cui hanno inteso precisare cosa debba intendersi per Contenzioso Pregresso e Contenzioso Escluso. In particolare, ai sensi dell'art. 3.3 dell'accordo, sono da intendersi come ricompresi tra i Contenziosi Esclusi anche quelli instaurati da azionisti/obbligazionisti convertibili e/o subordinati verso Banca Nuova, (...) e le Banche Estere Partecipate per la sottoscrizione o l'acquisto o la commercializzazione di azioni o di obbligazioni convertibili e/o subordinate di entrambe le banche in liquidazione. In aggiunta, l'All. 1.1 all'atto ricognitivo, al punto 2, contempla, tra i contenziosi esclusi, il "Contenzioso giudiziale civile passivo pendente al 26 giugno in materia di azioni/obbligazioni subordinate delle ex (...)". Premesso quanto sopra, dalla lettura delle norme del D.L. n. 99/2017, non emerge che la medesima disciplina si applichi anche ai rapporti giuridici facenti capo alle banche partecipate dagli istituti di credito in l.c.a., tra cui (...) S.p.a. Infatti, tanto l'art. 1 quanto l'art. 2, co. 2, sono chiari nel restringere il campo applicativo della liquidazione e delle norme del decreto alle banche in liquidazione, cioè (...) e (...) S.p.a. Non può del resto ritenersi che il contratto di cessione di azienda sopra menzionato abbia avuto l'effetto di trasferire singole attività o passività delle banche partecipate. Queste infatti costituiscono persone giuridiche autonome, titolari di proprie situazioni giuridiche attive e passive, di cui solo loro possono disporre. Le banche in liquidazione non hanno alcun diritto sul patrimonio delle partecipate, essendo schermato dalla partecipazione, tanto più che, nel caso in esame, quest'ultima non era nemmeno totalitaria (...) S.p.a. era partecipata da (...) nella misura del 70 per cento. La descritta interpretazione sarebbe l'unica costituzionalmente possibile, in quanto sostenere che il D.L. (...) n. 99/2017 abbia determinato l'esonero di (...) da eventuali responsabilità per la commercializzazione delle azioni della allora capogruppo, postulando una cessione del debito dalla partecipata alla controllante senza il consenso del creditore (il quale, imprevedibilmente, si troverebbe dinanzi per di più un debitore in una difficile situazione economica e sottoposto a l.c.a., con conseguente improcedibilità della sua domanda), frustrerebbe il diritto di difesa della parte e si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 47 (che incoraggia e tutela il risparmio). Dal complesso di tali rilievi discende pertanto la legittimazione passiva di (...). Del resto, anche ove si volesse ritenere operante l'art. 111 c.p.c., l'estromissione di (...) S.p.a. non potrebbe avvenire in quanto l'attore non vi ha consentito. È poi priva di pregio l'eccezione di improcedibilità del giudizio, atteso che il (...) non ha convenuto in giudizio (...) in L.C.A., che è intervenuta volontariamente nel procedimento, a sostegno delle eccezioni preliminari e delle ragioni di merito della convenuta (...). E', altresì, infondata l'eccezione di prescrizione. Poiché nel caso di specie si verte in tema di responsabilità contrattuale, il termine prescrizionale è quello ordinario decennale. Il primo degli acquisti di titoli contestati risale al 30.04.2009 e il primo atto interruttivo della prescrizione, documentato in atti, è rappresentato dal reclamo inviato a mezzo pec il 26.10.2016, cui è seguita la proposizione della presente azione, con atto di citazione notificato il 09.10.2018, pertanto il termine prescrizionale non è maturato. Ciò posto, nel merito, la domanda attorea di risoluzione dei singoli ordini di acquisto è fondata e va accolta per quanto di ragione. In generale, la disciplina dettata dal TUF e dal successivo regolamento attuativo Consob n. 11522/1998, in seguito abrogato e sostituito dal reg. n. 16190 del 29 ottobre 2007, pone a carico dell'intermediario finanziario, in quanto tale tenuto ad agire con la diligenza dell'operatore particolarmente qualificato (art. 21 lett. a TUF, art. 26 lett. e, Reg. Consob n. 16190/2007 e art. 1176 c.c.), l'obbligo di tutelare l'interesse del cliente; tale obbligo si concretizza anche nel dovere di segnalare la natura del rischio dell'investimento (artt. 5 e 21 lett. a) TUF e art. 47 Cost.); gli obblighi gravanti sull'intermediario si sostanziano nel dovere di informarsi sul tipo di prodotto finanziario negoziato, sul profilo di rischio da attribuire al cliente, nonché nell'obbligo di informare quest'ultimo in merito alla tipologia ed all'affidabilità dell'investimento e, quindi, in ordine all'adeguatezza dello stesso al suo profilo di rischio. La banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha l'obbligo di fornire all'investitore un'informazione adeguata in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente, e, a fronte di un'operazione non adeguata, deve astenersi dal darvi seguito. All'operatività di detta regola non è di ostacolo il fatto che il cliente abbia in precedenza acquistato un altro titolo a rischio, perché ciò non basta a renderlo operatore qualificato ai sensi della normativa regolamentare dettata dalla Consob (si veda sul punto Cass. civ. n. 18121/2020). Quanto al riparto dell'onere probatorio, l'art. 23 co. 6 TUF stabilisce che "nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta". Alla luce della descritta normativa, nel caso in questione, la contestazione, sollevata nei confronti della banca, di plurimi inadempimenti contrattuali, richiede una valutazione complessiva della natura dell'investimento e del profilo di rischio di (...). Quanto alla natura degli investimenti in contestazione, le azioni acquistate rientrano, per pacifica ammissione delle parti, nella fattispecie delle azioni non quotate. Esse costituiscono, pertanto, titoli rischio alto o, quanto meno, medio - alto, assimilabili a titoli illiquidi, ovvero a titoli per i quali vi sono potenziali ostacoli o limitazioni allo smobilizzo entro un lasso di tempo ragionevole a condizioni di prezzo significative, tali da garantire buona pluralità di interessi in acquisto e vendita; le azioni de quibus, in quanto scambiabili non già in un mercato regolamentato bensì in un mercato interno, incontrano una ben maggiore difficoltà di trasferimento e di recupero delle somme impiegate nell'acquisto. Tale valutazione di illiquidità prescinde dal rischio in concreto verificatosi ex post o dalla maggiore solidità dell'istituto all'atto dell'acquisto, dovendo ricondursi all'astratto rischio di criticità del trasferimento, elemento informativo imprescindibile per la ponderata valutazione dell'investitore. Gli acquisti dei titoli (...) sono avvenuti in situazione di conflitto di interessi, essendo, all'epoca, la convenuta una partecipata dell'emittente (...), sebbene detta situazione sia stata segnalata al cliente negli ordini (...). E' altresì necessario evidenziare che il dossier titoli del (...) è caratterizzato da una progressiva e notevole concentrazione in titoli illiquidi emessi dallo stesso emittente. L'intermediario, nella valutazione di adeguatezza, deve tener conto non solo delle singole operazioni, ma anche dell'investimento complessivamente effettuato dall'investitore, tenendo in debita considerazione il fatto che un dossier, composto interamente da titoli illiquidi, possa di per sé essere qualificato come strutturalmente inadeguato. Infatti, l'art. 40 reg. CONSOB n. 16190/2007 stabilisce, a proposito della valutazione di adeguatezza, che "una serie di operazioni, ciascuna delle quali è adeguata se considerata isolatamente, può non essere adeguata se avvenga con una frequenza che non è nel miglior interesse del cliente". Nel caso di specie, benché il portafoglio avesse una importante consistenza patrimoniale e comprendesse anche titoli diversi, sarebbe stata doverosa, da parte dell'intermediario, a fronte di una concentrazione in azioni (...) che ha sfiorato percentuali notevoli, la valutazione di adeguatezza delle operazioni effettuate dall'investitore, nel loro complesso, tenendo conto del ripetersi di acquisti del medesimo titolo ad alto rischio. Fatta questa valutazione generale, si passerà, di seguito, alla disamina dei singoli investimenti effettuati dal (...) tutti provati, in quanto di essi si trova riscontro nel conto deposito titoli n. (...) tenendo conto dei condivisibili e puntuali rilievi tecnici operati dal nominato CTU. In data 01.04.2008, (...) ha sottoscritto con la Banca (...) un "contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione" rientrante tra i "contratti disciplinanti i servizi di deposito strumenti finanziari ed amministrazione, collocamento, negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, ricezione e trasmissione ordini e consulenza". La parte finale di detto contratto è rappresentata dalla "scheda finanziaria", dalla quale è possibile trarre delle informazioni rilevanti riguardo il profilo di rischio del cliente: il (...), lavoratore autonomo, laureato, con notevole capacità patrimoniale, aveva, a quella data, una bassa attitudine al rischio, con una prospettiva di modesta rivalutabilità del capitale. I primi due investimenti in azioni (...) risultano successivi rispetto al predetto contratto e si riferiscono ad un periodo compreso tra aprile 2009 e ottobre 2009 (acquisto di (...) in data 30.04.2009 e di (...) in data 08.10.2009). Tali operazioni, secondo quanto correttamente evidenziato dal CTU, non sono adeguate al profilo di rischio di (...). Infatti, come detto innanzi, le azioni della "(...) S.c.p.A.", essendo titoli non quotati in borsa e quindi illiquidi, per le loro caratteristiche devono essere considerate come titoli con un profilo di rischio alto o, quantomeno, medio-alto: la banca non ha fornito prova di aver dato alcuna informazione a tale riguardo al cliente e non ha segnalato l'inadeguatezza delle operazioni. Al contrario, l'istituto di credito, nel preordine di acquisto delle azioni, ha ritenuto erroneamente l'operazione adeguata e vi ha dato seguito, in violazione della normativa innanzi richiamata (in particolare, dell'art. 40 reg. Consob n. 16190/2007). Dopo circa due anni, ossia in data 23.04.2010 e in data 20.12.2010, (...) ha aggiornato la precedente scheda finanziaria: dalla nuova scheda emergono variazioni notevoli, nonostante il breve lasso di tempo intercorso e l'esperienza che, di fatto, è invariata. L'attore, in virtù di tale aggiornamento, risulta aver acquisito una maggiore conoscenza in materia finanziaria, con obiettivi di investimento che sono passati da una "modesta rivalutabilità" del capitale con rischio tendenzialmente basso ad una "più che buona rivalutabilità" del capitale con rischio tendenzialmente medio-alto, nonché con riferimento all'orizzonte temporale che viene identificato nel medio-lungo periodo (ovvero fino a 10 anni). Di seguito, in data 04.10.2011, il (...) ha acquistato azioni (...) e in data 16.10.2012 è stato effettuato un acquisto di ulteriori azioni (...). Le predette operazioni del 2011 e del 2012, singolarmente considerate, sono formalmente coerenti con il profilo di rischio improvvisamente cambiato dell'attore, ma sono certamente anomale, specialmente ove si consideri la progressiva concentrazione del portafoglio in azioni illiquide. Peraltro, la dichiarata accresciuta conoscenza di una varietà di strumenti finanziari non trova riscontro fattuale, atteso che il (...) ha acquistato più volte i medesimi titoli e non ha dimostrato alcuna conoscenza di altri tipi di investimento. La banca non ha provato di aver fornito al cliente informazioni circa il carattere illiquido dei titoli acquistati, né di aver analizzato o evidenziato all'attore il rischio derivante dalla concentrazione del portafogli in titoli ad alto rischio. Nel febbraio 2013 il (...) ha acquistato obbligazioni convertibili (...), di seguito convertite in azioni. Con riguardo a tale investimento, in sede di adesione all'offerta pubblica documentata da un preordine di acquisto di data 23.01.2013 per un controvalore di euro (...) non emerge alcuna avvertenza in ordine all'esistenza di un conflitto di interessi. Agli atti, inoltre, non risulta prodotta la sottoscrizione della scheda di adesione nella quale si dovrebbe dare atto di aver preso visione del prospetto informativo relativo all'offerta (depositato in data 14 dicembre 2012 presso la CONSOB). Dopo quest'operazione, il portafoglio titoli del cliente evidenziava un'esposizione in azioni (tra cui si annoverano solo azioni (...) in piccolissima parte e (...) per la maggior parte) pari al 24,39 per cento di un portafoglio titoli valorizzato in euro (...). Dell'elevato rischio relativo a questa eccessiva concentrazione, la banca non ha provato di aver fornito alcuna informazione al suo cliente, informazione ancora più doverosa ove si consideri il costante conflitto di interessi in cui la banca operava. La banca, inoltre, non ha provato di aver valutato l'eventuale inadeguatezza dell'operazione sotto il profilo dimensionale e non ha effettuato alcuna segnalazione a riguardo al cliente. In data 21.05.2014, il cliente ha aggiornato la precedente scheda finanziaria, da cui risulta, rispetto al precedente questionario (...), una sua straordinaria quanto anomala evoluzione. Il (...) infatti, risulta avere, a quella data, una totale conoscenza di tutti gli strumenti finanziari, con elevati obiettivi di investimento (rischio di mercato) che passano da medio-alto a molto alto, miranti ad una "elevata rivalutabilità" del capitale, con rischio tendenzialmente alto, nonché con riferimento all'orizzonte temporale che viene identificato da medio-lungo periodo (ovvero fino a 10 anni) a lungo periodo (ovvero oltre 10 anni). Detta evoluzione non trova riscontro nelle scelte di investimento documentate dal portafoglio titoli del cliente medesimo: un investitore esperto, seppure desideroso di ottenere il maggior utile, anche a costo di rischi elevati, non si spingerebbe mai al punto di acquistare ripetutamente e soltanto titoli illiquidi di un unico emittente. L'anomalia, come ha condivisibilmente evidenziato il CTU nuova scheda finanziaria sembra essere prodromica e funzionale rispetto ai successivi investimenti ad alto rischio. Infatti, nel luglio 2014, ha investito in azioni al prezzo unitario di euro (...) per un importo complessivo di euro (...). L'inverosimiglianza della predetta profilatura e la sua incoerenza rispetto ai dati fattuali trovano riscontro, ove inserite nel quadro delle vicende di crisi finanziaria che hanno interessato (...) in quegli anni, ben sintetizzate dal CTU. In particolare, in data 23.01.2013, la CONSOB ha irrogato una sanzione pecuniaria di euro 495.000,00 ai vertici di (...) per condotte irregolari relative alle valutazioni di adeguatezza delle operazioni disposte dalla clientela, in special modo su azioni ed obbligazioni emesse dalla Banca. Infatti, il bollettino del 23.01.2013 riporta che la Commissione ha accertato "frequenti riprofilature della clientela che, in un significativo numero di casi, sono risultate strettamente funzionali a rendere adeguata una operazione altrimenti non coerente con il profilo dell'investitore". Alla luce di ciò, la riprofilatura del cliente si manifesta nella sua evidente strumentalità, così da creare una parvenza meramente formale di adeguatezza delle operazioni compiute, in quanto tale violativa dei doveri di correttezza, diligenza, trasparenza gravanti sull'intermediario. Quanto all'informativa, agli atti del fascicolo di causa non risulta prodotta la sottoscrizione della scheda di adesione, nella quale si dovrebbe dare atto di aver preso visione del prospetto informativo relativo all'Offerta cui il cliente ha partecipato. Dopo il predetto investimento, il portafoglio titoli del (...) evidenziava un'esposizione in azioni (tra cui si annoverano solo azioni (...) in piccolissima parte e (...) per la maggior parte) pari al 21,70 per cento di un portafoglio titoli valorizzato in euro (...). Neanche in questa circostanza, nonostante la crisi finanziaria in cui (...) già versava, (...) (che non poteva ignorare tale situazione) ha fornito al cliente alcuna informazione, sia con riferimento alla natura illiquida delle azioni, sia in ordine ad un possibile rischio di concentrazione per emittente, o, in ogni caso, non ha dato prova di averlo adeguatamente fatto. Detta informativa sarebbe stata vieppiù necessaria stante la concomitanza con il persistere del conflitto di interessi da parte della stessa Banca. L'omissione di informazioni sufficienti è da considerare inadempimento grave, in considerazione dell'asimmetria informativa in cui agiscono le parti contrattuali nei contratti di intermediazione finanziaria e in ragione dell'affidamento che l'investitore non professionale (il (...) è un cliente retail) ripone nell'intermediario e nell'affidabilità delle informazioni da esso fornite. Dalla non scarsa importanza dell'inadempimento dell'obbligo informativo, di diligenza, correttezza e trasparenza, oltre che di corretta profilatura del cliente e di valutazione dell'adeguatezza delle operazioni singolarmente considerate e sotto il profilo dimensionale, discende il fondato diritto alla risoluzione contrattuale, come richiesto nel caso di specie, in aderenza al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui: tema di inadempimento nella vendita di strumenti finanziari, le singole operazioni di investimento in valori mobiliari, in quanto contratti autonomi, benché esecutivi del contratto quadro originariamente stipulato dall'investitore con l'intermediario, possono essere oggetto di risoluzione, in caso di inosservanza di doveri informativi nascenti dopo la conclusione del contratto quadro, indipendentemente dalla risoluzione di quest'ultimo, atteso che il momento negoziale delle singole operazioni non può rinvenirsi nel contratto quadro" (cfr. Cass. civ. n. 2662/2019). Sussiste inoltre il nesso di causalità fra inadempimento e danno. Secondo costante e condivisibile giurisprudenza di legittimità, dall'obbligo informativo gravante sull'intermediario e teso al riequilibrio dell'asimmetria del patrimonio conoscitivo delle parti, al fine di consentire all'investitore una scelta consapevole, deriva una presunzione di sussistenza del nesso eziologico fra inadempimento informativo e danno. Tale presunzione è suscettibile di prova contraria, che, però, non può esaurirsi, come erroneamente ritenuto da parte convenuta, nella dimostrazione di una generica propensione al rischio dell'investitore, poiché, anche l'investitore speculativamente orientato e propenso al rischio deve poter valutare la sua scelta speculativa e rischiosa sulla base di tutti i fattori di rischio che gli devono essere segnalati" (Cass. civ. n. 7905/2020). Con riguardo alla quantificazione del danno, giova precisare che, condivisibilmente, la Suprema Corte ha escluso che il danno patito dall'investitore possa essere quantificato in una somma pari agli importi investiti, potendosi, al limite, liquidare "in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell'acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria" (cfr. Cass. 10 agosto 2016 n. 16939) e che, dalle somme in ipotesi dovute, debba necessariamente dedursi anche ogni utilità tratta dagli investimenti eseguiti (si veda Cass. civ. n. 1511/2014). Non va poi riconosciuto all'attore il lucro cessante, non avendo il (...) dato prova del fatto che, ove avesse avuto la disponibilità del proprio denaro, avrebbe conseguito un utile. La relazione peritale ha evidenziato la totale perdita di valore delle azioni de quibus, attesa la dichiarazione dello stato di insolvenza (sentenza n. 83 del 27.06.2018 del Tribunale di Treviso) nonché dei successivi sviluppi processuali. Non si condivide, tuttavia, la quantificazione del danno effettuata dal consulente laddove questi non ha individuato una fattispecie di danno a seguito degli acquisti di titoli del 2011, nonostante l'evidenziata grave violazione dei doveri informativi da parte dell'istituto bancario, e laddove ha tenuto conto del lucro cessante, benché non provato. Perciò, al spetta il valore di acquisto dei titoli, detratte le somme incassate per cedole e dividendi - risultanti dalla documentazione in atti) e la somma di Euro (...) - riscossa per la vendita di una frazione di azioni, avvenuta il 30/06/2014, per l'importo complessivo di euro (...). Tale somma deve essere detratto l'indennizzo FIR di euro (...), percepito da (...), di cui la Banca ha dato prova, allegando copia del relativo bonifico, effettuato in data 18.03.2022 da (...), in uno alle note di lattazione scritte relative all'udienza del 23.11.2022. Tale documento, la cui allegazione non è tardiva in quanto il bonifico è stato effettuato oltre lo spirare dei termini preclusivi di cui all'art. 183 c.p.c., non è stato contestato dall'attore. Trattandosi di debito di valuta, non può essere riconosciuta la rivalutazione monetaria. Il credito restitutorio, dunque, ammonta ad euro (...) oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, previa restituzione delle azioni. L'accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale, di per sé assorbente, esime dal valutare gli ulteriori addebiti, nonché gli ulteriori vizi di nullità e/o annullabilità sollevati dall'attore con riguardo alle operazioni. Come innanzi evidenziato, al fine della corretta determinazione del credito restitutorio, consistente nella perdita economica subita dall'investitore, come sopra quantificata, viene accolta la domanda riconvenzionale con cui (...) ha opposto il suo credito per cedole e dividendi in compensazione. Non può, invece, riconoscersi alla parte inadempiente, ossia a (...), alcun risarcimento, nemmeno consistente in interessi legali e rivalutazione monetaria. Avuto riguardo all'esito complessivo del giudizio, ricorrono giusti motivi per compensare le spese processuali tra le parti per un quinto, ponendo i restanti quattro quinti a carico delle soccombenti (...) S.p.A. e (...) S.p.A. in LCA, liquidate come da dispositivo sulla base del DM 55/14 tab 2 e dello scaglione corrispondente al quantum riconosciuto, ai medi di tariffa. P.Q.M. Il Tribunale di Bari, definitivamente pronunciando nel giudizio portante n. 14522/2018 R.G., ogni ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa, in parziale accoglimento delle domande, così provvede: 1. dichiara la risoluzione degli ordini di acquisto dei titoli (...) dedotti in giudizio, per inadempimento contrattuale della Banca convenuta e, per l'effetto, condanna (...) S.p.A. - ora (...) S.P.A. a seguito di fusione per incorporazione - al pagamento, in favore di (...) della somma di euro (...) oltre interessi legali dalla domanda all'effettivo soddisfo; 2. condanna (...) alla restituzione in favore di (...) S.p.A. dei titoli azionari indicati in parte motiva; 3. compensa per 1/5 le spese processuali e condanna (...) S.p.A. e (...) S.p.A. in l.c.a., in solido tra loro, al pagamento, in favore dell'attore, dei restanti quattro quinti, che si liquidano in complessivi euro (...) di cui euro (...) per esborsi, euro (...) per compensi professionali, oltre rimborso forfettario, IVA ed accessori dovuti come per legge; 4. pone le spese di CTU, nella misura con separato decreto in corso di causa, definitivamente a carico di (...), per un quinto e per i restanti quattro quinti a carico della banca convenuta e della terza intervenuta in solido tra loro. Così deciso in Bari il 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BARI in composizione collegiale PRIMA SEZIONE PENALE con la presenza del Pubblico Ministero dott.ssa Luisiana Di Vittorio e con l'assistenza del dott. Gianvito Dattoma, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), nato a B. il (...) e residente in B. (B.) in loc. (...), alla via (...) P. n. 4, di fatto domiciliato in Via (...) G. n. 19, elettivamente domiciliato presso lo studio del proprio difensore, sottoposto alla misura del divieto di dimora nel Comune di Bari p.q.c., assente, difeso di ufficio dall'Avv. Pi.Na. con studio in Bari, Via (...). IMPUTATO in ordine ai seguenti reati: art. 609 bis c.p. perché, dopo aver suonato alla porta della sua condomina (...), appena quest'ultima apriva, all'improvviso toccava il suo corpo ed in particolare il seno, ripetutamente, cosi costringendola a subire il suddetto atto sessuale, compiuto con l'uso della violenza, in quanto l'azione criminosa veniva posta in essere in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la sua volontà contraria (condotta che proseguiva anche quando la vittima cercava di reagire e cessava solo a seguito dell'intervento di terze persone). FATTO E DIRITTO All'esito dell'udienza preliminare, con decreto del 10.5.2022 il G.I.P. disponeva il rinvio a giudizio innanzi a questo Tribunale nei confronti di (...) per rispondere del reato a lui ascritto, come descritto in rubrica. All'udienza del 22.06.2022 il Tribunale, verificata la costituzione delle parti, presente il difensore di fiducia, rilevava preliminarmente la presenza di un errore materiale nel decreto di rinvio a giudizio laddove era indicato il nome di "(...)", in luogo del nome dell'odierno imputato, "(...)", il quale tuttavia risultava correttamente generalizzato tanto nell'intestazione del decreto, quanto nella relata di notificazione del decreto. In ragione di tanto, su richiesta del Pubblico. Ministero e in assenza di osservazioni da parte della difesa, il Tribunale disponeva la correzione del citato errore materiale. All'esito della dichiarazione di apertura del dibattimento, le parti formulavano le richieste di prova. Nella specie, il PM chiedeva l'ammissione dei testi di lista e l'esame dell'imputato, con riserva di produzione documentale, mentre la difesa chiedeva disporsi perizia psichiatrica per valutare la capacità del (...) di stare in giudizio, nonché la sua capacità di intendere e di volere al momento del fatto. Adduceva, al riguardo, che il G.I.P., nel provvedimento applicativo della misura cautelare, aveva dato atto che il (...) era stato destinatario, in data 4.10.2021, di un'ordinanza sindacale di T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Il Tribunale rigettava, allo stato, la richiesta di perizia psichiatrica, riservando di riesaminarla all'esito dell'istruttoria, in mancanza - allo stato dell'arte - di elementi di valutazione concretamente idonei a suggerire un'ipotetica infermità mentale dell'imputato. La difesa chiedeva, quindi, il controesame come per legge, l'esame dell'imputato e riservava eventuale produzione documentale. Il Tribunale ammetteva le prove come richieste dalle parti. All'udienza, del 5.10.2022, previa rinnovazione del dibattimento nonché delle richieste istruttorie, in quanto ammesse dinanzi ad un collegio diversamente costituito, si procedeva all'espletamento dell'attività istruttoria richiesta. Nello specifico, veniva ascoltata (...), vicina di casa dell'imputato, nonché la parte offesa, (...), previa acquisizione delle dichiarazioni rese dalla medesima in sede di verbale di ricezione di denuncia-querela in data 17.10.2021 e del verbale di pronto soccorso n. 016191 del 17.10.2021 e relativi referti allegati. Il Tribunale, inoltre, preso atto di quanto riferito dalle testimoni in ordine alle gravi condizioni di salute della teste (...) e su consenso delle parti, acquisiva il verbale di sommarie informazioni rese dalla medesima e revocava l'ordinanza ammissiva della relativa testimonianza; revocava parimenti l'ammissione della prova testimoniale dei verbalizzanti (...) e (...), dando atto della rinuncia del Pubblico Ministero alla relativa audizione, non avversata dalla difesa. All'esito dell'espletamento della succitata attività, la difesa dell'imputato reiterava la richiesta di perizia psichiatrica, alla luce delle dichiarazioni rese delle testimoni in ordine al reiterato accesso, nel corso degli anni, presso l'abitazione del (...), di medici del C.S.M. per eseguire sull'imputato trattamenti sanitari obbligatori, nonché della produzione da parte del Pubblico Ministero della certificazione di A.S.O. in data 4.10.2021. Il Tribunale, disposta l'acquisizione della ridetta certificazione, ne dichiarava l'utilizzabilità ai fini della decisione, disponeva procedersi a perizia psichiatrica del (...), al fine di accertarne la capacità di intendere e volere al momento del fatto, la capacità di partecipare consapevolmente al giudizio e, se necessario, la pericolosità sociale, nominando all'uopo il dr. (...). Stante l'assenza dell'imputato, del quale era stato chiesto l'esame, il Pubblico Ministero produceva verbale di spontanee dichiarazioni rilasciate dal (...) ai sensi dell'art. 350 co.7 c.p.p. in data 17.10.2021 che il Tribunale acquisiva, in assenza di opposizione della difesa. Alla successiva udienza del 12.10.2022 il Tribunale procedeva a formale conferimento di incarico al dr. (...), con autorizzazione all'accesso alla documentazione del fascicolo ed a quella sanitaria inerente all'imputato e custodita presso strutture di cura, pubbliche e private, nonché all'estrazione di copia della stessa. All'udienza del 21.12.2022, veniva ascoltato il dr. (...) il quale dava atto delle attività compiute e dei risultati delle indagini espletate. In particolare, il perito riferiva di essere riuscito a procurare la presenza del (...) dopo plurimi e vani tentativi di convocazione - solo in data 12.12.2022, allorquando aveva acquisito dall'imputato notizie indicative di un percorso di cura che si era dipanato per svariati anni presso i servizi territoriali del (...) area 4 di (...); accedeva pertanto presso il Sevizio di Igiene Mentale citato, dove consultava la cartella clinica del (...) ed apprendeva dallo psichiatra referente, che il periziando era passato in carico al (...) di (...)- (...), in ragione del mutamento di domicilio dello stesso. Alla stregua delle indagini peritali già compiute, il dr. (...) relazionava in ordine alla ipotesi diagnostica formulata in capo al (...), affetto da "disturbo psicotico di tipo delirante cronico" ed affermava "con elevata probabilità tecnica, che la capacità di stare in giudizio... è conservata" e che "alla luce del disturbo diagnosticato che è... un quadro psicotico, è una condizione nella quale... anche per le caratteristiche e le circostanze dei fatti come sono documentate agli atti, ...c'era.. una esclusione del quadro di realtà e quindi la capacità di intendere e volere era totalmente esclusa". Al fine di pronunciarsi in via definitiva sulla pericolosità sociale del periziando e sull'eventuale piano terapeutico riabilitativo individuale (P.T.R.I.) da adottare per emendarla, il dr. (...) dichiarava di necessitare di ulteriori approfondimenti, da condurre in sinergia con il (...) di riferimento, in capo al quale la pratica sanitaria del (...) era stata recentemente trasferita. All'odierna udienza il Tribunale, disposta la rinnovazione del dibattimento in ragione della diversa composizione del Collegio, ha proceduto all'esame del perito, il quale ha confermato il contenuto della relazione peritale depositata il 28.1.2023 e, nello specifico, le conclusioni ivi rassegnate nei seguenti termini "il sig. (...) è affetto da: "DISTURBO DELIRANTE CRONICO, TIPO PERSECUTORIO ....infermo di mente in misura giuridicamente rilevante ha la facoltà di partecipare coscientemente al procedimento; all'epoca della commissione dei reati l'indagato era affetto da infermità di mente di misura tale escludere totalmente le sue capacità di intendere e di volere; ...è persona con un livello di pericolosità sociale attenuato, che non necessita di misura di sicurezza detentiva in REMS, bensì di un sollecito inserimento in (...), con un PTRI approntato dal (...) di B. - Area 4 - (...)-(...) per un periodo di almeno 12 mesi e corroborato dalle prescrizioni derivanti dall'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata". Esaurita l'assunzione delle prove, le parti hanno formulato e illustrato le rispettive conclusioni, come riportate in intestazione. Il Tribunale ha deciso come da infrascritto dispositivo. Come sopra riportato, l'imputato è chiamato a rispondere del delitto di cui all'art. 609 bis c.p. perché, in data 17.10.2021, dopo aver suonato alla porta della sua condomina (...), appena quest'ultima apriva, all'improvviso toccava il suo corpo ed in particolare il seno, ripetutamente, cosi costringendola a subire il suddetto atto sessuale, compiuto con l'uso della violenza, in quanto l'azione criminosa veniva posta in essere in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la sua volontà contraria (condotta che proseguiva anche quando la vittima cercava di reagire e cessava solo a seguito dell'intervento di terze persone). L'art. 609 bis c.p. punisce con la reclusione da 6 a 12 anni, chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali; l'ultimo comma della disposizione in parola prevede che, nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Il concetto di "atti sessuali" preso in considerazione dall'art.609 bis c.p., è la somma dei previgenti concetti di congiunzione carnale e di atti di libidine, riguardando quindi tutti gli atti che coinvolgono la disponibilità della sfera sessuale della vittima. Pertanto, la condotta vietata da tale norma incriminatrice ricomprende (se connotata da costrizione: violenza, minaccia o abuso di autorità; sostituzione ingannevole di persona; abuso di condizioni di inferiorità fisica o psichica), oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorché fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale. In questa prospettiva, anche i palpeggiamenti e i toccamenti possono costituire una indebita intrusione nella sfera sessuale altrui, dovendosi tenere a tal fine conto che il riferimento al sesso non deve limitarsi alle zone genitali, ma comprende pure quelle ritenute "erogene" (stimolanti dell'istinto sessuale) dalla scienza medica, psicologa e antropologica-sociologica La ratio incriminatrice della fattispecie in parola è infatti volta a tutelare l'autodeterminazione del soggetto relativamente alla propria sfera sessuale, in ragione della natura assoluta ed incondizionata della libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali; ne consegue che integra la forma consumata - e non tentata - la condotta che si estrinsechi in toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime del corpo della vittima o su zone erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo incompleto, ed anche attraverso le vesti, essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua o meno la soddisfazione erotica. Ancora, con riguardo alla materialità della condotta, deve rilevarsi che in tema di violenza sessuale, l'elemento oggettivo consiste sia nella violenza fisica in senso stretto, sia nella intimidazione psicologica che sia in grado di provocare la coazione della vittima, a subire gli atti sessuali, sia anche nel compimento di atti di libidine subdoli e repentini, compiuti senza accertarsi del consenso della persona destinataria, o comunque prevenendone la manifestazione di dissenso, non essendo all'uopo necessaria una violenza che ponga il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l'azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo. Fatta tale premessa, il Tribunale osserva che, nel caso di specie, dall'istruttoria dibattimentale esperita e dagli atti del fascicolo del pubblico ministero, acquisiti con il consenso delle parti, risulta legittimamente acquisita la prova che l'imputato abbia materialmente commesso i fatti di reato in oggetto a danno della persona offesa. Al riguardo si richiamano, innanzitutto, le dichiarazioni rese da (...) in sede di denuncia querela, nell'immediatezza dei fatti occorsi in data 17.10.2021, dichiarazioni confermate dalla parte offesa in occasione dell'esame dibattimentale esperito in data 5.10.2022. La parte offesa ha rappresentato in fatto che, nella prima mattina del medesimo giorno, dopo aver aperto la porta d'ingresso, pensando che si trattasse di sua madre, veniva repentinamente aggredita dal (...) con palpeggiamenti su tutto il corpo e, in particolare, al seno. La donna ha evidenziato che gli atti posti in essere dall'aggressore erano stati così fulminei da non darle il tempo di chiudere la porta o di poter reagire, almeno inizialmente, all'aggressione. Inoltre, ha precisato di aver provato a difendersi e a respingere l'aggressore facendosi male ad un polso, ma senza successo; ha riferito che, nel frangente, era sopraggiunta sua madre, (...), la quale lanciava dell'acqua al fine di allontanare l'aggressore, senza riuscire a far desistere l'uomo, che scappava, infine, solo alla vista del marito e del figlio della (...) medesima, che nel frattempo si stavano dirigendo in suo soccorso. La parte offesa ha infine precisato che, durante la violenza patita, l'uomo la chiamava continuamente "G.M.". Il narrato della parte offesa, già di per sé coerente ed esplicativo dell'accaduto e della condotta dell'imputato, trova puntuale conferma nelle dichiarazioni rese sul luogo e nell'immediatezza dei fatti da (...), acquisite agli atti del dibattimento. L'anziana ha riferito che alle ore 08.35 circa mentre era affacciata al balcone, della propria abitazione, notava il (...) uscire dal condominio e dirigersi verso corso Sonnino. Il (...) durante il tragitto, voltandosi si era avveduto della presenza della (...) e, rivolgendosi alla stessa con inflessione dialettale barese, proferiva testuali parole: "quanto sei brutta, mamma mia quanto sei brutta" per poi rientrare nella palazzina. La (...), pochi istanti dopo, udiva provenire dalle scale la voce, che riconosceva essere quella del (...), mentre pronunciava frasi senza senso compiuto e varie parolacce. Pochi secondi dopo udiva anche le urla, che riconosceva in quelle di sua figlia (...), ed immediatamente usciva dalla sua abitazione prendendo una bottiglia di acqua dal tavolo del soggiorno. A quel punto trovandosi davanti il (...), che con entrambe le mani stava afferrando la figlia per la felpa palpeggiandole il seno, apriva la bottiglia e versava l'intero contenuto addosso all'uomo con l'intento di allontanarlo. La vicina di casa, (...), ascoltata in sede dibattimentale, ha riferito, con ricordo vivido, quanto accaduto la domenica 17.10.2021, in quanto il (...) quella stessa giornata, alle 7 di mattina circa, si era reso responsabile dell'ennesima bizzarria ai suoi danni; ha quindi proseguito la narrazione riportando di avere sentito, alle ore 08,30 circa, urla e rumori concitati all'interno dell'edificio condominiale; di essersi, pertanto, precipitata ad aprire la porta di ingresso per sincerarsi della situazione e, affacciandosi sul pianerottolo, di avere visto il (...) tirare la maglia alla (...), la (...) versare l'acqua contenuta in una bottiglia addosso all'imputato, e quest'ultimo infine staccarsi dalla (...) e rifugiarsi all'interno del proprio appartamento. La teste ha dichiarato, altresì, che nel frangente la (...) aveva dei segni sul décolleté, era rossa in volto, piangeva e che, in stato di evidente, agitazione, le aveva riferito testualmente "Mi ha aggredita, mi ha messo le mani addosso". Da ultimo, l'imputato nell'immediatezza dei fatti aveva reso spontanee dichiarazioni alla P.G. (acquisite nell'assenso delle parti, agli atti del dibattimento) che - pur prudentemente valutate alla luce del quadro di alterazione psicotica che, come è stato poi accertato, affliggeva il (...) al momento del fatto di reato - superano il vaglio di oggettiva attendibilità, poiché restituiscono una descrizione fattuale logicamente concorde con quella offerta dalla parte offesa e dalle ulteriori persone presenti ai fatti. Nello specifico il (...) ha raccontato che, alle ore 08.30 circa del giorno 17.10.2021, raggiungeva l'appartamento di (...), ubicata al primo piano del medesimo stabile ove egli stesso risiedeva, con l'intento di incrociare il suo sguardo. Ha precisato, altresì, che la donna gli ricordava l'onorevole "G.M." e che cercava un pretesto per vederla, indi pur di soddisfare questo suo desiderio, decideva di suonare il campanello dell'abitazione della (...) medesima; ha ammesso, infine, che alla vista della donna, non resisteva all'impulso e repentinamente le afferrava il seno con entrambe le mani per palparlo, staccandosi dalla donna che urlava, per rifugiarsi nel proprio appartamento, solo allorquando sopraggiungevano i parenti della parte offesa. Orbene, da tali emergenze processuali, della cui veridicità non può dubitarsi, emerge in modo chiaro e privo di contraddizioni, che l'imputato abbia posto in essere i fatti descritti nell'imputazione riportata in epigrafe. Tuttavia, nonostante possa dirsi provata la tipicità e l'antigiuridicità dei fatti contestati, risulta accertato che, al momento del fatto, il (...) non era imputabile, in quanto incapace d'intendere e di volere a causa di un vizio totale di mente. Tale circostanza preclude, pertanto, qualsiasi indagine in ordine all'eventuale consapevolezza e volontà del (...) di commettere il fatto delittuoso contestatogli. Invero, l'imputabilità costituisce il presupposto senza il quale non è possibile muovere all'agente un rimprovero di colpevolezza (cfr. Cass. SS. UU. n. 9163 del 2005). Tale assunto si fonda su una concezione normativa della colpevolezza, intesa come un giudizio di rimproverabilità nei confronti di una volontà divergente dal comando normativo; giudizio che non è possibile formulare ove si accerti che l'agente, essendo incapace di intendere e di volere, non abbia avuto la possibilità di tenere un comportamento conforme al precetto normativo. Ciò premesso, si osserva che la causa di non imputabilità dell'infermità totale di mente può consistere non soltanto in una malattia psichiatrica in senso stretto, ma anche in un'anomalia psichica, riconducibile ad una psicopatia o a un disturbo della personalità, che, pur sfuggendo a una precisa classificazione nosografica, sia comunque in grado di influire negativamente sulla capacità di intendere e di volere, con l'esclusione di semplici anomalie caratteriali legate all'indole del soggetto. Tale pare il caso di specie, come si evince dalla perizia psichiatrica. Le risultanze di quest'ultima sono state confermate in sede di esame del perito condotto nell'udienza odierna e si sono, peraltro, conformate alla documentazione clinica già agli atti, nonché a quella acquisita e consultata nel corso delle operazioni peritali dallo specialista, quale nello specifico: - Ordinanza di Accertamento Sanitario Obbligatorio (Prot. 253940 del 04.10.2021) nei confronti di (...) emessa dal Sindaco di Bari. - Cartella Clinica n. 242/04 (già (...)) del (...) di B. Area 4 contenente certificazione del 10.12.2001 (prot. N. (...)), con diagnosi di "(...) schizofrenica cronica" e da cui emerge quanto segue: a) l'esordio dei disturbi psichici risale al periodo del servizio di leva, nel 1993, quando il (...) veniva ricoverato presso la Clinica Psichiatrica del Policlinico di Bari per una "Bouffe delirante"; b) il (...) ha fatto iniziale riferimento al (...) di B.-San Paolo per poi passare in carico al C.D.J., ricevendo terapie neurolettiche long-acting (a rilascio prolungato) e per os (per via orale); c) le manifestazioni cliniche del disturbo del (...) quali la persistenza di ideazione delirante, un tendenziale ritiro sociale e la non coscienza di malattia, con rifiuto ostinato delle cure farmacologiche e una sostanziale scarsa compliance ai trattamenti; d) il riconoscimento, in data 20.12.2001, di invalidità civile nella misura del 75% in quanto affetto da "(...) schizofrenica cronica". -Referto della VISITA DOMICILIARE eseguita in data 05.10.2021, sulla base dell'Ordinanza di A.S.O. in data 04.10.21, dal quale risultano le seguenti evidenze in ordine alle manifestazioni cliniche della patologia del (...) nonché con riguardo alle terapie somministrate: "Sospettoso, diffidente e disforico, reattivo e oppositivo... evidenzia allentamento dei nessi associativi e convinzioni deliranti (di nocumento, di grandiosità). Assente l'insight, l'esame di realtà è francamente compromesso. Viene somministrata terapia antipsicotica (CLOPIXOL 1 fl e 1/2 IM"; - documentazione attestante la registrazione di svariati accessi domiciliari degli operatori eseguiti nelle settimane successive e numerosi A.S.O. (l'ultimo dei quali con data 16.02.2022), in occasione dei quali il (...) è risultato sempre irreperibile; - Relazione del Centro Salute Mentale Area 4 (Prot. n. (...) del 20/01/2023) a firma del Responsabile U.O.S. (...)-(...) Dott. M.T. attestante quanto segue: "Si tratta di paziente in precedenza seguito presso il C.S.M. di Via Q. dal 2001, come da relazione anamnestica che si allega, il quale è stato trasferito per competenza territoriale a questo Servizio in data 14/12/2022. Pertanto, in data 16/12/2022 è stata effettuata una visita domiciliare, durante la quale la madre del paziente non riferiva disturbi del comportamento ed il paziente si mostrava tranquillo, sia pur evidenziando contenuti ideativi di grandezza e persecutori. Era concordato un programma terapeutico (Risperdal cpr. 2mg la sera, da aumentare a 3 mg la sera dopo tre giorni e successivamente passare a terapia LAI), che il paziente accettava ed assumeva in nostra presenza, risultando poi irreperibile ai successivi accessi domiciliari effettuati con cadenza inizialmente giornaliera e spesso per più volte al giorno, eccettuato il periodo festivo, fino alla data odierna". - Verbale datato 13.12.2022 del Centro Salute Mentale Area 4 - Via Q., a firma del Dott. R.V., Dirigente Medico Psichiatra. Vi si legge: "Il sig. (...) è noto al (...) di Via Q. dal 2001 in quanto affetto da (...). In questi anni è stata somministrata terapia depot (risperdal, xeplion, moditen, haldol, clopixol) con cadenze irregolari, non essendo il paziente compliante per cui si sottraeva agli incontri. Dal 2016 il paziente non ha più voluto fare terapia depot e sottoporsi ai controlli, non volendo più essere seguito dal nostro (...). Da allora quindi sono stati effettuati frequenti ASO per accedere al paziente e somministrare il depot quando si verificavano situazioni di emergenza. Durante i frequenti ASO il paziente si rendeva irreperibile per cui era impossibile incontrarlo. L'ultimo episodio risale a novembre 2021 quando a seguito di ASO al paziente fu somministrato Clopixol depot. Successivamente il (...) si è sempre reso irreperibile e non ha mai voluto incontrare gli operatori del (...), per cui si sono ripetuti ASO fino al febbraio 2022 quando non riuscendo a rintracciare il paziente che rifiutava qualsiasi incontro, si prendeva atto che sia i familiari che i vicini di casa non riferivano più situazioni di emergenza. A settembre 2022 si apprendeva che il paziente aveva cambiato la residenza, trasferendosi con la madre in via (...), nel territorio di competenza del (...) di via (...). Visto che il paziente si rifiuta da anni di essere seguito dagli operatori del (...), si passa il caso per competenza territoriale all'equipe di Via (...), per il monitoraggio delle condizioni cliniche attraverso colloqui con i familiari e gli eventuali interventi di urgenza che si dovessero rendere necessari". Alla stregua della succitata documentazione medica, nonché dei dati anamnestici raccolti nel corso della visita psichiatrica e dell'esame clinico, il consulente ha accertato che il (...) era all'epoca dei fatti (ed è ancora) affetto da un "Disturbo DELIRANTE CRONICO, TIPO PERSECUTORIO" che (secondo i criteri del Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali dell'American Psychiatric Association - Quinta Edizione - DSM V) implica "la presenza di uno o più deliri (convincimenti patologici incoercibili e non confutabili con il dato di realtà, resistenti alla critica e ad ogni evidenza) che persistono per almeno un mese ... Dalle convinzioni deliranti del disturbo delirante possono derivare problemi sociali, coniugali o lavorativi. Gli individui con disturbo delirante possono essere in grado di descrivere di fatto che altri considerano le loro convinzioni come irrazionali, ma non sono in grado di condividere la critica altrui (cioè ci può essere consapevolezza dell'evidenza condivisa circa la natura irrazionale dei deliri, ma non vera consapevolezza di malattia e della natura psicopatologica del convincimento delirante). Molti individui sviluppano un umore irritabile o disforico, che può essere solitamente interpretato come una reazione alle convinzioni deliranti. Nei tipi di persecuzione, di gelosia ed erotomanico possono verificarsi rabbia e comportamento violento, con possibili problemi legali". Inoltre, a parere del perito: "...si deve tener conto dell'Anamnesi Psicopatologica Remota e Prossima ai fatti-reato (17 Ottobre 2021), qui richiamata nei punti di maggior interesse ai fini del ragionamento criminogenetico e criminodinamico: - la presenza di una grave e inveterata forma di (...) delirante nel (...), con persistenza di floridi deliri e bizzarrie della condotta, - meritevole di svariati interventi specialistici da parte dei (...), anche con ricoveri ospedalieri ma soprattutto con svariati A.S.O. a riprova dell'assenza di consapevolezza di malattia nel periziando, - documentati anche in prossimità cronologica con i fatti-reato per i quali si procede (vedasi quanto refertato in data 05.10.2021 dal dott. (...) ... nella visita domiciliare eseguita dopo emissione di A.S.O. e la successiva riproposizione di analoghi provvedimenti coatti nelle settimane e nei mesi immediatamente successivi). Per tutto ciò è ragionevole ipotizzare che all'epoca dei fatti il periziando versasse in uno stato di franco scompenso psicotico in un soggetto affetto da disturbo delirante cronico, tipo persecutorio. Il comportamento molesto e aggressivo da lui esibito nei confronti della vicina appare strettamente correlato ad alterazioni gravi delle sue funzioni psichiche, risultandone così condizionata e compromessa la sua capacità di autocontrollo, con impossibilità ad agire in maniera congrua e razionalmente determinata in quelle specifiche circostanze ambientali e socio-relazionali, non possedendo alcuna consapevolezza della antigiuridicità delle condotte stesse. In definitiva si può sostenere che all'epoca della commissione dei reati l'imputato era affetto da un'infermità di mente di misura tale escludere totalmente le sue capacità di intendere e volere". Sotto il profilo della capacità processuale, il dr. (...) ha reputato - all'uopo invocando i dettami della Letteratura Psichiatrico Forense più accreditata - che l'assetto cognitivo globale del (...) non fosse tale da escludere la consapevolezza dei motivi per i quali è stato sottoposto a perizia psichiatrica e che egli si rendesse conto della possibilità di essere sottoposto ad una sanzione a causa dei fatti commessi, donde la conservazione di una sufficiente capacità di partecipare coscientemente al procedimento a suo carico. Per ciò che invece concerne la pericolosità sociale del prevenuto, il Dott. (...) ha concluso che "(...) con elevata probabilità in termini valutativi possa ritenersi persona socialmente pericolosa seppure in misura attenuata, che non necessita di una misura di sicurezza detentiva in REMS, bensì dell'inserimento in una (...) individuata da parte del (...) di B. Area 4 - Presidio (...)-(...), che lo ha in carico dal 13.12.2022 e che continuerebbe a sottoporlo a regolari verifiche durante tale programma terapeutico-riabilitativo, per una durata minima di trattamento non inferiore ai 12 mesi, applicandosi la misura della libertà vigilata". Riscontrata, pertanto, l'attuale pericolosità sociale del prevenuto, seppur "attenuata", va disposta a carico di (...), come richiesto dal PM in dibattimento, l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza, non detentiva, della libertà vigilata, che, tenuto conto della non particolare entità del fatto, delle modalità della condotta non particolarmente invasiva della libertà sessuale, della pericolosità attenuata e fronteggiabile con adeguato trattamento terapeutico, può limitarsi alla durata di un anno. L'imputato sarà affidato al (...) territorialmente competente Bari Area 4 Presidio (...) - (...) e dovrà seguire scrupolosamente le indicazioni e la terapia farmacologica impartitegli. Il (...) dovrà prendere in carico l'imputato, redigere un programma terapeutico, riabilitativo ed assistenziale, disponendo il collocamento in una (...) che provvederà ad individuare, con onere per i responsabili del (...) di trasmettere a questo Tribunale, con cadenza semestrale e fino all'irrevocabilità della sentenza, relazione in ordine all'osservanza delle prescrizioni imposte. Sussistono, infatti, i presupposti di cui agli artt. 206 c.p. e 312 c.p.p., per l'applicazione della misura di sicurezza predetta, tale da far fronte, alla luce della gravità dei fatti commessi ai danni della vittima, all'attuale e concreta pericolosità sociale del (...), e da prevenire la commissione di nuovi reati da parte dello stesso. Conclusivamente, l'imputato va mandato assolto in quanto non imputabile e per l'effetto va disposta l'immediata cessazione della misura cautelare del divieto di dimora, con contestuale applicazione provvisoria della misura di sicurezza della libertà vigilata, con le prescrizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Letti gli artt. 88 c.p. e 530 c.p.p., assolve (...) dal delitto ascrittogli perché persona non imputabile per incapacità di intendere e di volere al momento del fatto. Letti gli artt. 206, 228 e 229 c.p. e 312 e 313 c.p.p. applica a (...) la misura di sicurezza provvisoria della libertà vigilata per la durata di 1 anno. Prescrive all'imputato di frequentare il (...) territorialmente competente Bari Area 4 Presidio (...)-(...) cui l'imputato viene affidato e di seguire scrupolosamente le indicazioni e la terapia farmacologica che gli sarà prescritta dai sanitari, disponendo il collocamento in una struttura residenziale (...) che sarà individuata dal responsabile del (...). Dispone che il responsabile del (...) trasmetta all'A.G., con cadenza semestrale, e fino all'irrevocabilità della sentenza, relazione in ordine all'osservanza delle prescrizioni imposte. Letto l'art. 532 c.p.p. dichiara la immediata cessazione della misura del divieto di dimora imposta a (...) con ordinanza del 19.10.21 Così deciso in Bari l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DR. MARIO MASTROMATTEO PRESSO IL TRIBUNALE DI BARI II SEZIONE PENALE Con la presenza del P.M. Avv. Ca. Con l'assistenza del Cancelliere G. Ma. Ha pronunciato, mediante lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA CON MOTIVAZIONE RISERVATA Nella causa penale di primo grado contro (...) nato a P. del (...) il (...), ivi res. alla via F. n.17, domicilio dichiarato in P. del (...) alla via F. nr. 13; sottoposto p.q.c. alla misura degli arresti domiciliari, presente all'udienza, ma rinunciante a comparire alla lettura del dispositivo; Difensore: Avv. Gi.Gi., di fiducia, assente, sostituito per delega orale dall'avv. Pa.Gi.. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO All'esito della convalida dell'arresto in flagranza eseguito in data 20.12.2022 dai Carabinieri della Stazione di Palo del Colle, cui seguiva la sottoposizione del prevenuto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, all'udienza del 21.12.2022 si procedeva al giudizio, ex art. 558, co. 6, c.p.p., nei confronti di. (...) per i reati ascrittigli in epigrafe. L'imputato avanzava personalmente istanza di definizione del procedimento mediante giudizio abbreviato, cui seguiva la trasformazione del rito in conformità a quanto richiesto ed il rinvio alla successiva udienza del 26.01.2023, nel corso della quale le parti rassegnavano le rispettive conclusioni come da verbale in atti, ed il sottoscritto giudicante pubblicava la presente sentenza mediante lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero, ed in particolare i verbali di arresto, perquisizione e sequestro redatti a carico del prevenuto, e la Relazione tecnica sulle sostanze stupefacenti, pienamente utilizzabili ai fini della decisione in considerazione della scelta difensiva di definire il processo nelle forme del giudizio abbreviato, consentono di ricostruire la vicenda oggetto di giudizio nei termini che seguono. In data 20.12.2022 alle ore 14:30 circa, nel corso di apposita attività investigativa finalizzata alla repressione del fenomeno di spaccio di stupefacenti i Carabinieri di Palo del Colle notavano un sospetto andirivieni nei pressi dell'abitazione di (...) (già noto alle forze dell'ordine per i suoi precedenti di polizia), in via A. F. nr. 13 in P. del (...), e pertanto effettuavano un servizio di osservazione sotto copertura. Alle successive ore 14:40 circa i militari individuavano un'autovettura Chevrolet Spark targata (...) condotta da un soggetto maschile che giungeva su via A. F. parcheggiandosi proprio di fronte al civico 13. Poco dopo notavamo uscire dal civico 13 il (...) che si avvicinava all'autovettura in sosta ponendosi sul lato passeggero, dialogava brevemente con il conducente, per poi rientrare presso il locale del civico 13 ed uscire pochi istanti dopo ed avvicinandosi al lato guida consegnava qualcosa nelle mani del conducente che ripartiva in direzione Piazza L. dove si fermava, mentre il (...) rientrava in casa. I carabinieri seguivano l'autovettura e procedevano, alle ore 14.45 circa al controllo, identificando il conducente in (...), già noto agli operanti in quanto assuntore di sostanze stupefacenti, che era intento a sciogliere della sostanza stupefacente in un posacenere d'acciaio mentre sul sedile lato passeggero vi era una siringa. Atteso quanto emerso dal controllo del (...) gli agenti procedevano a perquisire l'abitazione del (...), rinvenendovi alla presenza dell'imputato una busta di cellophane azzurra posizionata sul divano, all'interno della quale vi erano: - A) N. 10 involucri contenenti sostanza del tipo eroina; - B) N. 04 involucri contenenti sostanza del tipo cocaina; - C) su un mobile porta TV la somma in denaro contante di vario taglio per un totale di Euro 845,00. Gli accertamenti tossicologici espletati dalla Sezione Investigazioni Scientifiche del Reparto Operativo del Comando Provinciale di Bari disvelavano che: - la sostanza sub A) conteneva differenti principi attivi, per un complessivo peso netto di 45,753 gr. di cui: eroina con principio attivo complessivo pari a 0,2027 gr. (ricavabili nr. 7 dosi); e 6-MAM con principio attivo complessivo di 2,813 gr. (ricavabili 111 dosi); - la sostanza sub B) era del tipo cocaina dal peso netto pari a 1,052 gr., con principio attivo di 0,5732 gr. da cui risultavano ricavabili nr. 3 dosi. I Carabinieri, quindi, procedevano al sequestro di quanto rinvenuto ed all'arresto del (...), il quale in sede di interrogatorio di convalida, dopo essersi dichiarato nella sostanza impossidente e tossicodipendente, confermava di aver ceduto la dose di eroina al R.. Tanto premesso, innanzitutto giova evidenziare che dagli atti acquisiti non emergono elementi o circostanze idonee a palesare l'inattendibilità della ricostruzione fornita dai verbalizzanti, né per imprecisione, vaghezza o approssimazione della stessa, né per falsità nella formazione dei verbali redatti dai Carabinieri, rispetto ai quali non risulta alcun interesse a mentire attesa la radicale assenza di ragioni di astio nei confronti del prevenuto, il quale oltretutto ammetteva la propria responsabilità in ordine alla cessione di eroina ascrittogli in rubrica in sede di convalida. Le suesposte considerazioni illuminano chiaramente la colpevolezza del (...) in ordine ad entrambi i reati ascrittigli in rubrica. Per quanto concerne la condotta di cessione di stupefacente al (...), illuminano la colpevolezza dell'imputato quanto osservato direttamente dagli operanti impegnati nel servizio di osservazione, che scorgevano nitidamente la consegna della sostanza, nonché la piena ammissione del fatto da parte del M.. Per quanto concerne l'ulteriore condotta di detenzione a fini di spaccio, vero è che la pronuncia della Consulta del febbraio 2014 ha travolto l'art. 73, co. 1-bis, del D.P.R. n. 309 del 1990, dichiarandone la illegittimità costituzionale e determinando la scomparsa di ogni riferimento alla finalità dell'uso personale come causa di non punibilità delle condotte di cui all'art. 73 cit., ma è altrettanto vero che a tale criticità ha rimediato la L. 16 maggio 2014, n. 79, di conversione del D.L. 20 marzo 2014, n. 36, il quale - all'art. 1, co. 24-quater, lett. b) - ha introdotto nell'art. 75 del D.P.R. n. 309 del 1990 il co. 1-bis, dal contenuto analogo all'ormai espunto co. 1-bis dell'art. 73 del medesimo Testo Unico. Pertanto, devono considerarsi tutt'oggi operanti i principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di "uso personale", la quale ha chiarito - a più riprese - che i parametri indiziari indicati nel comma 1-bis lett. a) dell'art. 73 (oggi art. 75 T.U.Stupefacenti), non sono da considerare elementi costitutivi del reato di detenzione illecita di droga, rappresentando piuttosto elementi sintomatici che rilevano come criteri di valutazione ai fini della prova della detenzione per uso non esclusivamente personale (Cass., Sez. IV, 21.5.2008, n. 22643). Dunque, il legislatore non ha introdotto a carico dell'imputato che detiene un quantitativo di sostanza stupefacente in quantità superiore ai limiti massimi indicati con decreto ministeriale né un'inversione dell'onere della prova (costituzionalmente inammissibile), né una presunzione, sia pure relativa, di destinazione della droga detenuta ad uso non personale. L'onere della prova ricade, secondo le regole generali di garanzia processuale, sull'accusa e il giudice deve prendere in esame, oltre alla quantità di principio attivo, tutti gli indici fissati dalla norma (modalità di presentazione, peso lordo complessivo, confezionamento frazionato). Nel caso di specie, non residua alcun dubbio in ordine alla destinazione dello stupefacente alla cessione, come dimostrato univocamente da tutte le circostanze fattuali puntualmente descritte nei verbali di arresto, perquisizione e sequestro, che possono riassumersi nei seguenti termini. In primo luogo, depongono nel senso della rilevanza penale della condotta il quantitativo, il principio attivo e la riconducibilità a diverse tipologie delle sostanze stupefacenti. Invero, l'eroina contenuta nelle bustine trasparenti presentava un principio attivo pari a 0,2027 gr. (ricavabili nr. 7 dosi), la sostanza 6-MAM aveva un principio attivo complessivo di 2,813 gr. (ricavabili 111 dosi), e la cocaina 0,5732 gr. da cui risultavano ricavabili nr. 3 dosi: pertanto, tutte le sostanze erano inequivocabilmente idonee a soddisfare una pluralità e variegata platea di assuntori, e non potevano essere destinate ad un uso meramente personale anche alla luce delle pessime condizioni economico patrimoniali del (...) e dell'assenza di documentazione attestante un suo stato di tossicodipendenza. Ancora, lumeggia univocamente la destinazione alla cessione la circostanza che le sostanze erano già porzionate e suddivise in dosi, e quindi pronte per la cessione, come avvenuto d'altra parte per l'acquirente (...). Infine, anche le circostanze del controllo di PG (in particolare l'andirivieni di diversi soggetti che si avvicinavano per breve tempo all'esterno dell'abitazione del prevenuto), ed il suo possesso di una cospicua somma di denaro di vario taglio di cui il (...) non giustificava in alcun modo la lecita provenienza, suffragano chiaramente l'ipotesi accusatoria. La valutazione complessiva della condotta delittuosa, comunque, consente la possibilità di ricondurre i reati entro le maglie del fatto di lieve entità di cui al quinto comma del contestato art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, fondando il relativo giudizio i mezzi e le modalità dell'azione, ed il dato ponderale delle sostanze (seppur non esiguo), che illuminano come la detenzione fosse prodromica ad un'attività di spaccio al minuto. I fatti, comunque, risultano palesemente avvinti dal nesso della continuazione, tenuto conto del medesimo contesto spazio-temporale di commissione e della loro evidente funzionalizzazione al medesimo disegno criminoso, rappresentato dallo scopo di lucro. Chiarito nei termini che precedono il giudizio di accertamento della penale responsabilità del (...), deve essere altresì riconosciuta la recidiva reiterata specifica ascritta al prevenuto nel libello accusatorio. Invero, come emerge dall'analisi del relativo certificato del casellario giudiziale, l'imputato risulta gravato da due precedenti, di cui il primo della stessa specie ed indole dei fatti in questa sede accertati, che lumeggiano una sua maggiore pericolosità e tendenza a delinquere, giustificando in questa sede un giudizio di maggiore riprovevolezza degli addebiti commessi. Ad ogni modo, in senso attenuativo delle sanzioni da irrogare il comportamento processuale collaborativo dell'imputato, che ammetteva quantomeno il reato di cessione, giustifica il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, che si stimano equivalenti alla dichiarata recidiva. Per quanto attiene alla determinazione del trattamento sanzionatorio, avuto riguardo ai criteri di cui all'art. 133 c.p. e nell'ottica della funzione rieducativa di cui all'art. 27, comma terzo, della Costituzione, al netto del suesposto giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno contrario si stima equo e congruo comminare la pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa così calcolata: pena base per il più grave reato di cessione di stupefacente, anni uno e mesi sei di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, determinata in misura superiore rispetto al minimo edittale in ragione della tipologia di sostanza ceduta (appartenente al genus delle droghe pesanti), e della rilevante capacità a delinquere dell'imputato, come detto già gravato da ben due precedenti penali, di cui uno per delitto della stessa specie ed indole; aumentata ex art. 81 c.p. alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa, nella misura di anni uno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per l'ulteriore condotta di detenzione a scopo di cessione di stupefacenti (aumento che tiene conto delle diverse tipologie di sostanze, tutte classificabili tra le droghe pesanti, e del loro rilevante quantitativo); ridotta alla pena finale in virtù della diminuente del rito prescelto. Per effetto della condanna graverà sull'imputato anche il pagamento delle spese processuali e quelle di mantenimento in custodia cautelare in carcere. Non sussistono i presupposti e le condizioni di legge per la concessione della sospensione condizionale della pena, avendone il prevenuto già beneficiato in ordine a pena detentiva che - se cumulata a quella in questa sede applicata - determinerebbe il superamento dei limiti ex artt. 163 e 164 c.p. Deve disporsi, infine, la confisca e distruzione del complessivo stupefacente sequestrato così come previsto dagli artt. 240 c.p., 85 e 87 del D.P.R. n. 309 del 1990. Per converso, deve procedersi al dissequestro ed alla restituzione della somma di denaro, poiché, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, "in relazione al reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti previsto dall'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ... non sono confiscabili le somme che, in ipotesi, costituiscono il ricavato di precedenti diverse cessioni di droga e sono destinate ad ulteriori acquisti della medesima sostanza, non potendo le stesse qualificarsi né come "strumento", né quale "prodotto", "profitto" o "prezzo" del reato" (cfr. Cass., Sez. VI, Sentenza n. 55852 del 17/10/2017). Il carico di lavoro impone l'indicazione di un congruo termine per il deposito della motivazione, che si determina in giorni quindici. P.Q.M. Letti gli artt. 442, 533, 535 c.p.p., dichiara (...) responsabile dei delitti di cui all'art. 73, co. 5 del D.P.R. n. 309 del 1990, così riqualificati i fatti di cessione e detenzione illecita di stupefacenti ascrittigli in rubrica, e, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche giudicate equivalenti alla contestata recidiva, riuniti i reati in continuazione tra loro e giudicato più grave il fatto di cessione, operata la diminuente prevista per il rito prescelto, lo condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere. Dispone la confisca e distruzione delle sostanze stupefacenti, ed il dissequestro e la restituzione all'imputato della somma di denaro in sequestro. Letto l'art. 544, co. 2, c.p.p., riserva la redazione della motivazione nel termine di giorni quindici. Così deciso in Bari il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BARI I SEZIONE PENALE composta dai Sigg. Magistrati: 1. Dott.ssa Rosa Calia Di Pinto - Presidente est. 2. Dott. Giovanni Abbatista - Giudice 3. Dott. Antonio Donato Coscia - Giudice con la presenza del Dott. Lanfranco Marazia, Pubblico Ministero, e con l'assistenza del Dott. G.D., ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), nato a B. il (...), residente a (...) (B.) in Via N. n.25, elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore di ufficio in Bari al Corso (...), presente, sottoposto, per questa causa, alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa e dai figli minori con prescrizione di mantenere una distanza di non meno di 500 metri da tali soggetti e del divieto di comunicare con gli stessi a mezzo della parola, dello scritto, per via telematica e telefonicamente; difeso di ufficio dall'Avv. Fr.Ri., presente. IMPUTATO per il delitto di cui all'art. 572 commi I e 2 cm. poiché, con condotte reiterate, maltrattava la moglie convivente in via di separazione, (...), sottoponendola a continue vessazioni nonché violenze fisiche e morali consistite nell'apostrofarla continuamente con frasi denigratorie del tipo "sei una puttana, sei una stronza, mongoloide, sporca, vai con altri uomini, non capisci niente, sei ignorante" e similari, nel rivolgerle frasi minacciose del tipo "Fanno bene i mariti che uccidono le mogli", nel lanciarle oggetti presenti in casa provocandole piccole escoriazioni nonché nel pretendere rapporti sessuali contro la volontà della donna e, in un'occasione, dopo che la (...) aveva respinto un approccio sessuale, strattonandola e colpendola con uno schiaffo sul viso. Con l'aggravante del fatto commesso in presenza dei figli minori (...) (n. (...)) e (...) (n. (...)) che, nell'aprile 2022 - dopo essere intervenuti in difesa della madre durante una discussione - venivano colpiti, il primo, con due testate e un tentativo di strangolamento; la seconda con un violento pugno in testa. FATTO E DIRITTO Il G.I.P., con decreto del 13.10.22, disponeva procedersi innanzi a questo Tribunale, nelle forme del giudizio immediato ex art. 453 c.p.p., nei confronti del (...), chiamato a rispondere innanzi a questo Tribunale del reato di maltrattamenti in famiglia, ai danni della moglie (...), convivente con l'imputato all'epoca dei fatti, aggravato dall'aver commesso il fatto alla presenza dei figli minori. All'udienza del 06.12.2022, il Tribunale esperiti gli adempimenti di cui all'art. 484 c.p.p., dava atto della costituzione di parte civile di (...), per sé e in qualità di esercente, la responsabilità genitoriale sui figli minori (...) e (...). La difesa dell'imputato, personalmente presente, chiedeva di accedere al giudizio abbreviato. Il tribunale rigettava la richiesta in quanto tardiva e provvedeva a dichiarare aperto il dibattimento. Le parti prestavano assenso all'acquisizione del fascicolo del Pubblico Ministero e, nello specifico dei seguenti atti e documenti: 1) denuncia querela sporta in data 10.9.22 da (...);2) verbali di sommarie informazioni rese in data 11.9.22 da (...); 3) verbali di sommarie informazioni rese in data 11.9.22 da (...); 4) n. 5 fotografie in fotocopia su tre fogli; 5) verbali di sommarie informazioni rese da (...) in data 12.9.22; 6) verbali di sommarie informazioni rese da (...) in data 12.9.22; 7) nota di segnalazione di maltrattamenti proveniente dai Servizi Sociali del Comune di Modugno in data 12.9.22. L'imputato, interpellato in ordine alla sua eventuale intenzione di rendere dichiarazioni, rispondeva "in questo momento non c'ho parole presidente". Il Tribunale, disposta l'acquisizione dei citati atti indicati dal Pubblico Ministero, rinviava pertanto all'udienza del 31.1.23 per la discussione. All'odierna udienza, l'imputato ha reso spontanee dichiarazioni, riferendo di avere vissuto in un dormitorio fino alla mattina precedente e, stante l'assenza di fissa dimora, ha dichiarato di eleggere domicilio presso lo studio del difensore di ufficio. Ha riferito di essere un operaio generico, di lavorare saltuariamente e di essere separato dal mese di settembre 2022. Ha ammesso di essere stato "nervoso" nell'ultimo periodo di convivenza con (...), a causa dell'intenzione di quest'ultima di separarsi dopo quattordici anni di matrimonio, ma ha negato di avere avuto intenzioni violente. Il Tribunale ha dichiarato chiusa l'istruttoria, con utilizzazione di tutti gli atti presenti nel fascicolo del dibattimento e invitato le parti a rassegnare le rispettive conclusioni. Il Pubblico Ministero ha chiesto affermarsi la penale responsabilità con condanna - previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata- alla pena di anni quattro di reclusione. La parte civile ha rassegnato le proprie conclusioni, riportandosi a quelle rassegnate per iscritto nella memoria depositata all'odierna udienza, chiedendo: 1) la condanna del (...) alla pena ritenuta equa e di giustizia; 2) l'applicazione allo stesso della pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 34 c.p. per un periodo doppio a quello della pena infliggenda; 3) il risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dalla costituita parte civile, per sé e per i propri figli minori, quantificati in misura pari ad Euro 40.000,00 oltre al rimborso delle spese di costituzione e difesa, come da nota spese contestualmente depositata, in cui si dà atto dell'intervenuta ammissione al patrocinio a spese dello Stato con Provv. n. 1034 del 2022. Nel corso della discussione la difesa della parte civile ha, altresì, censurato l'inesattezza di quanto affermato dall'imputato in sede di spontanee dichiarazioni, in ordine all'intervenuto stato di separazione personale a decorrere dal settembre 2022; all'uopo, ha precisato di avere revocato il proprio assenso alla separazione consensuale - in sede di udienza presidenziale - in quanto basata sul presupposto dell'affido condiviso dei figli, che la predetta genitrice non reputava adeguato a garantire l'integrità psico-fisica dei minori. La difesa dell'imputato ha chiesto l'assoluzione ex art. 530 capoverso c.p.p. e, in subordine, la condanna al minimo della pena, con il beneficio delle circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante. Il Tribunale ha deciso come da infrascritto dispositivo, letto in udienza, dando atto a verbale dell'assenza dell'imputato e del difensore di quest'ultimo, donde la nomina ex art. 97, 4 co. c.p.p. dell'Avv. (...). Fatto e diritto 1. Il risultato delle attività di indagine espletate 1.1. Il presente procedimento trae origine dalla denuncia-querela sporta in data 10.09.2022 da (...), presso gli uffici della Legione Carabinieri -Puglia - Stazione di Modugno, nei confronti del coniuge (...), padre dei suoi due figli, (...) (nato il (...)) e (...) (nata il (...)). In tale sede la donna rappresentava di aver contratto matrimonio con il (...) nell'anno 2008 e di avere convissuto sino all'anno 2012 a San Giovanni Rotondo, prima di trasferirsi con lui a Modugno per motivi lavorativi. Riferiva che, sin da subito, suo marito le rivolgeva frasi offensive del tipo "sei una puttana!", "sei una stronza", "non capisci niente, sei ignorante", ma di non poter riferire con maggior dettaglio in merito agli episodi accaduti in quel periodo a causa del notevole arco temporale trascorso. I su descritti comportamenti, definiti come "arroganti ed aggressivi", venivano reiterati dal (...) anche successivamente al trasferimento in Modugno, con intensità e periodicità crescente; in particolare la donna ricordava un episodio occorso nell'aprile 2022 allorquando il (...) colpiva il figlio (...) con due testate al naso, tentando finanche di strangolarlo, solamente poiché il minore era intervenuto in difesa della madre durante un litigio, frapponendosi fra i due genitori, e che in tale circostanza, anche la figlia (...) interveniva, venendo colpita dal (...) con due pugni in testa. L'aggravarsi della situazione e, soprattutto, il coinvolgimento dei figli minori per la cui incolumità la donna temeva, inducevano la (...) ad assumere la decisione di separarsi a maggio 2022, sottoscrivendo un ricorso consensuale unitamente al (...) nel mese di giugno 2022. Dopo la formale condivisione delle condizioni di separazione, il (...) proseguiva con cadenza quotidiana i comportamenti denunciati, rivolgendo alla (...) epiteti offensivi del tipo "sei una puttana!", "sei una stronza, non capisci niente!", "sei ignorante!", pretendendo inoltre di avere dei rapporti sessuali con lei, nonostante il suo netto rifiuto. Segnatamente, la persona offesa illustrava alcuni specifici episodi, il primo dei quali occorso quindici/venti giorni prima della denuncia, allorquando il (...) le si era avvicinato chiedendole di consumare un rapporto sessuale e, al suo rifiuto, la strattonava e la colpiva con uno schiaffo al viso. Successivamente, nel pomeriggio del giorno 08.0912022, vi era un secondo approccio sessuale da parte del (...), ma anche in questa occasione, al suo rifiuto, l'uomo l'apostrofava con i seguenti termini "tu sei una puttana!", "Vai con altri uomini!". In precedenza, la mattina del 02.09.2022, a seguito di un litigio per futili motivi connessi alla sistemazione della spesa, il (...) le aveva lanciato una confezione di carne, colpendola e lasciandole un graffio sulla guancia sinistra. Inoltre, la persona offesa, nel tratteggiare la personalità del coniuge, riferiva che nel marzo 2022, a seguito di una gravidanza indesiderata, decideva di comune accordo con il coniuge, di abortire, senza ricevere alcun supporto da parte dello stesso; rappresentava, altresì, di non ricevere assistenza né morale né materiale dal marito, il quale si disinteressava totalmente dei figli, e di provvedere alle esigenze del nucleo familiare svolgendo saltuari lavori di pulizia nonché, in via preponderante, grazie all'aiuto dei familiari; denunciava l'abuso di sostanze alcoliche da parte del (...), che reputava essere la causa scatenante dei suoi comportamenti. La (...) precisava di convivere con il coniuge, ma di dormire da sola nel soggiorno per non stargli vicino e che la frequenza quotidiana delle condotte vessatorie tenute dal (...) ed i contegni prevaricatori dello stesso la facevano sentire in pericolo e le provocavano uno stato di agitazione e di ansia poiché lo riteneva "capace di fare qualsiasi cosa"; la donna mostrava di temere per l'incolumità propria e dei due figli minori, i quali erano, quasi sempre, costretti ad assistere ai contegni offensivi tenuti dal (...). La preoccupazione della donna si era infine acuita, anche in ragione di una frase pronunciata dal (...) qualche giorno prima della denuncia, allorquando il medesimo, all'ascolto di una notizia di femminicidio divulgata dal telegiornale, avrebbe profferito la seguente frase: "fanno bene i mariti che uccidono le mogli". La cognata (...) ed il coniuge (...) erano a conoscenza della situazione, avendola appresa dalla stessa parte offesa e avendo personalmente assistito ad alcuni degli episodi denunciati, anche in occasione di videochiamate. 1.2. Nel prosieguo dell'attività investigativa veniva escusso (...), cognato dell'indagato, che in data 11.09.2022 dichiarava che il (...), proprio in ragione dell'abuso di sostanze alcoliche da diversi anni, era divenuto una persona dal carattere irascibile e avulsa delle dinamiche familiari delle quali si disinteressava; riferiva che il rapporto di coniugio fra la (...) ed il (...) era da sempre stato "burrascoso", essendo stato caratterizzato da discussioni ripetutesi con cadenza quasi quotidiana, cui aveva spesso assistito e nel corso delle quali il (...) offendeva la donna con parolacce ed ingiurie, anche alla presenza dei figli minori. In particolare, narrava di essere intervenuto in plurime situazioni nel corso degli anni, unitamente a sua moglie (...), per tranquillizzare suo cognato e fargli mutare atteggiamento, senza successo, e che quasi quotidianamente sia lui che sua moglie venivano contattati dai nipoti (...) e (...), intimoriti dalle urla del (...) nei confronti della (...). Confermava quanto riferito dalla (...) circa l'episodio occorso nel mese di aprile 2022, all'incirca verso le ore 07.30, quando sua nipote (...), in uno stato di agitazione ed in lacrime, contattava sua moglie riferendole che il (...) stava picchiando il piccolo (...) e sua madre. In quel frangente, giunto assieme a sua moglie presso l'abitazione del (...), notava sin da subito il pavimento sporco di sangue nonché il nipote (...) perdere sangue dal naso e con delle escoriazioni sul collo; apprendeva dal minore che lo stesso era stato picchiato per essere intervenuto in difesa di sua madre nel corso di un litigio fra quest'ultima e suo padre, verificava personalmente che la (...) aveva un graffio sulla guancia sinistra e che sua nipote (...) era dolorante alla testa. Riferiva che tanto la (...) quanto i di lei figli erano visibilmente agitati e preoccupati. In tale occasione il (...) era intento a fumare una sigaretta sul balcone e, totalmente incurante della gravità dei suoi gesti, li sminuiva, riferendogli che "non era successo nulla di grave", salvo poi, a seguito dell'intervento di sua moglie (...), mostrarsi nuovamente aggressivo, non accettando rimproveri ed invitando la donna a non intromettersi, al punto da dover intervenire lui stesso per evitare che anche sua moglie venisse aggredita. A quel punto il (...) provava a colpire anche lui con schiaffi e graffi, in preda ad un eccesso di ira, che il (...) riusciva a placare "con non poca difficoltà", sicché il (...) preparava un borsone e andava via di casa. Il (...) riferiva che, nell'occasione, il (...) presentava un "alito fortemente vinoso", e che il medesimo era solito abusare di sostanze alcoliche; ciò poteva riferire anche per averlo visto spesso acquistare e consumare birra, nei supermercati e nei bar di Modugno. Quanto agli ulteriori episodi, esponeva che durante le videochiamate con i nipoti aveva spesso udito suo cognato rivolgersi alla (...) con i seguenti epiteti "mongoloide, puttana, troia, sporca" e di temere che suo cognato potesse compiere qualcosa di grave. 1.3. (...), sorella dell'indagato, sentita a sommarie informazioni in data 11.09.2022, rendeva dichiarazioni pienamente convergenti e sovrapponibili a quelle di suo marito (...), confortando inoltre il narrato della vittima. La (...) aggiungeva che suo fratello non solo non contribuiva affatto al sostentamento della propria famiglia, ma anzi influiva negativamente sulla vita quotidiana dei suoi nipoti e di sua cognata, adottando un comportamento totalmente irrispettoso nei loro confronti e incurante delle più elementari regole del vivere civile. In particolare, riferiva che il (...) era una persona "con scarsa igiene", che non collaborava alla gestione domestica, di contro gravandola con i propri comportamenti egoisti e disordinati, essendo solito attingere alla dispensa alimentare della famiglia, facendo razzia dei generi ivi custoditi, incurante dei bisogni del restante nucleo familiare, tanto da avere indotto la dichiarante ad acquistare un frigorifero per i suoi nipoti, i quali lo custodivano nella loro stanza chiuso a chiave. 1.4. Venivano acquisite agli atti le fotografie prodotte dalla denunciante (...) in ordine all'episodio occorso nell'aprile 2022 che l'aveva vista, suo malgrado, protagonista assieme a suo figlio (...), dei contegni violenti del marito, ritraenti la ferita al naso del figlio minore ed il graffio sulla sua guancia sinistra. 1.5. I genitori della vittima, (...) e (...), sentiti a sommarie informazioni il 12.09.2022, confermavano che il (...) faceva uso smodato di sostanze alcoliche, dando atto che, sin dall'inizio della relazione, l'uomo era solito rivolgersi alla loro figlia con epiteti offensivi e denigranti come "cretina", "ignorante", "scema", "puttana". I genitori della persona offesa riferivano inoltre che, ogni qualvolta si recavano in visita dalla (...), il (...) usciva di casa, senza instaurare alcun dialogo con loro ed eludendo la loro presenza. Da ultimo, i dichiaranti aggiungevano che l'indagato usciva di casa a tutte le ore del giorno, anche di notte. 1.6. Il G.I.P., sulla scorta dei sopra descritti elementi probatori ed in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero, aveva ritenuto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al capo di imputazione cautelare contestato al (...), nonché il pericolo di reiterazione criminosa applicando al medesimo - con ordinanza in data 21.09.2022 - la misura cautelare dell'"allontanamento dalla casa familiare.... prescrivendogli di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, di non accedervi senza l'autorizzazione del Giudice che procede, imponendo, inoltre, all'indagato il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, (...), e dai figli minori (...) e (...) - corrispondenti all'abitazione di residenza, al luogo di lavoro della (...) ed agli istituti scolastici frequentati dai figli minori- con l'ulteriore prescrizione di mantenere una distanza di non meno di 500 metri da tali soggetti ed il divieto di comunicare con gli stessi a mezzo della parola, dello scritto, per via telematica e telefonicamente". 1.7. In occasione dell'interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. espletato in data 26.9.2022, il (...) assistito ex art. 97, 4 comma c.p.p., si avvaleva della facoltà di non rispondere. 2. L'istruttoria dibattimentale e la valutazione delle prove 2.1. Le prave legittimamente acquisite agli atti del dibattimento dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale dell'odierno imputato per il reato ascrittogli. Dagli atti di indagine enucleati al paragrafo che precede - interamente confluiti, sull'accordo delle parti, nel fascicolo del dibattimento - emerge una dinamica fattuale, oggettivamente e soggettivamente, sussumibile nelle fattispecie astratta dei maltrattamenti in famiglia, aggravati dalla commissione dei fatti di reato alla presenza ed in danno dei figli minori. 2.2. Ed infatti le dichiarazioni rese dalla persona offesa, cui va attribuito valore preminente sotto il profilo probatorio (come accade per tutti i reati connotati dall'uso di violenza fisica e/o morale in ambiente intra-familiare, spesso realizzati in assenza di terzi testimoni diretti dell'accaduto) hanno positivamente superato il vaglio di attendibilità intrinseca ed estrinseca, essendo risultate assolutamente genuine, credibili e coerenti. Il racconto offerto dalla persona offesa appare lineare e coeso, del tutto privo di contraddizioni e scevro da intenti reconditi, avendo la stessa tracciato un quadro chiaro dei rapporti intrattenuti con l'odierno imputato, caratterizzati sin dai primi anni del matrimonio da frequenti aggressioni verbali e fisiche da parte dell'uomo, il quale, una volta perso il controllo, anche a causa dell'abuso di alcol, si scagliava contro la moglie per i più futili motivi, iniziando con insulti e minacce e, poi, passando, in molte occasioni, alle vie di fatto. Dalla denuncia della parte offesa non trapela astio, né desiderio di rivalsa, bensì il comprensibile timore per l'incolumità propria e dei figli minori conviventi, la desolata presa d'atto della fine di una dolorosa vicenda familiare e la frustrazione derivante dal perseverante svilimento della propria dignità, perpetrato immotivatamente dal (...), in un arco di tempo lungo quattordici anni. 2.3. A tale riguardo non desta sospetto che la (...) abbia atteso diversi anni prima di denunciare le condotte tenute dall'odierno imputato e che si sia costituita parte civile nel presente procedimento. La donna ha, infatti, riferito di essere affranta per aver reiteratamente cercato di redimere il marito senza successo alcuno, onde riportare la relazione coniugale entro l'alveo di una tollerabile convivenza, il che fa propendere per l'assenza di qualunque intento lucrativo e rafforza la sincerità della narrazione, già di per sé connotata da un significativo equilibrio di coerenza interna e, pertanto, priva di qualsivoglia spunto che induca a considerare l'eventualità che la stessa fosse animata da intenti calunniosi. D'altro canto la costituzione di parte civile, formalizzata dalla (...) medesima anche in qualità di legale rappresentante dei due figli minori, appare scevra da intenti speculativi e, di contro, finalizzata anche a tutelare gli interessi dei predetti minori, come emerge - altresì - da quanto dichiarato in sede di conclusioni, circa la revoca dell'assenso originariamente prestato alla separazione consensuale da parte della (...), in ragione della necessità di escludere l'affido condiviso di figli, a causa dell'aggressività mostrata dal (...) anche nei riguardi di questi ultimi. 2.4. A ciò si aggiunga che le condotte, quando non commesse nel ristretto ambito familiare, hanno trovato riscontro nelle dichiarazioni rese dai soggetti alla cui presenza - talora mediata dallo strumento telefonico - sono avvenute, della cui attendibilità non v'è ragione di dubitare, attese la qualità dei dichiaranti, parenti dell'imputato, e l'assenza di un qualsiasi elemento idoneo ad ipotizzare un interesse a mentire in danno dell'imputato. A tale riguardo, infatti, ferma restando la positiva valutazione in ordine all'intrinseca linearità e genuinità del narrato della parte offesa, la costituzione di parte civile di quest'ultima impone a questo Tribunale di procedere, comunque, al riscontro delle relative dichiarazioni con altri elementi, onde vagliarne la credibilità soggettiva a fronte dello specifico interesse economico che potrebbe contaminarne l'attendibilità. Ciò non significa che il Giudice debba assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il dichiarante riferisca scientemente il falso, salvo che, ovviamente, si ravvisino chiari e specifici elementi atti a rendere fondato un tale sospetto, elementi che nel caso di specie, sono ragionevolmente escludibili in ragione delle evidenze probatorie agli atti del processo. 2.5. Deve, al proposito, anzitutto valorizzarsi la deposizione di (...), la cui attendibilità appare rafforzata dal suo essere la sorella dell'imputato. La stessa ha dichiarato di avere personalmente assistito a numerosi episodi di violenza perpetrati dal (...), offrendo una descrizione degli eventi collimante con quella della parte offesa e delineando in chiave negativa la personalità del fratello, in quanto dedito all'abuso di alcol, incline ad ingiuriare ed offendere pesantemente la moglie alla presenza dei figli minori, a svilirne abitualmente la personalità, anche accusandola ingiustamente di avere relazioni extraconiugali, utilizzando toni e modi aggressivi e, talora, ricorrendo all'uso della forza fisica ai danni dei propri familiari, in quanto incapace di controllare le proprie reazioni ed i propri impulsi. Alla stessa stregua, ha descritto le abitudini pacifiche e lo stato d'animo della cognata e dei nipoti, i quali vivevano tranquilli allorquando il (...) era fuori casa e, di contro, in presenza dell'imputato pativano uno stato di ansia e preoccupazione costante, sentendo minacciata la loro incolumità fisica e, quanto alla (...), mortificata la propria personalità morale, in ragione delle reiterate ed abituali vessazioni e condotte aggressive perpetrate dal (...) medesimo. A ulteriore conferma del costante stato di prostrazione in cui il (...) costringeva i propri familiari, la di lui sorella riferisce di continue videochiamate ricevute dai nipoti, in concomitanza con i litigi tra i due genitori, nel corso dei quali i minori erano terrorizzati dai toni esasperati ed aggressivi adoperati dall'imputato all'indirizzo della madre. 2.6. La sopra enucleata narrazione è interamente confermata dal (...), marito di (...), anch'egli testimone diretto dei comportamenti maltrattanti perpetrati dal (...). 2.7. Da ultimo, anche i genitori della parte offesa riferiscono di un atteggiamento svilente e aggressivo del (...) ai danni della (...), riscontrato sin dai primi anni di matrimonio, quando i due coniugi vivevano a San Giovanni Rotondo, nonché dal rifiuto di instaurare qualsiasi rapporto con la famiglia di provenienza della moglie. 2.7. La concludenza oggettiva dei risultati probatori sopra delineati, l'intrinseca coerenza logica del racconto della (...), supportata ab externo - in punto di credibilità soggettiva - dalle dichiarazioni dei familiari, convergenti con la rappresentazione fattuale offerta dalla persona offesa, sia nel nucleo essenziale della narrazione che nei dettagli salienti, consentono di ritenere raggiunta la prova dell'effettiva verificazione dei fatti di reato denunciati, nei termini modali e temporali descritti dalla (...) medesima. 2.8. A fronte di quanto sopra, l'imputato non ha personalmente offerto una propria ricostruzione alternativa degli eventi, limitandosi a riferire il proprio stato d'animo, espressamente definito come "nervoso", che avrebbe esasperato i suoi comportamenti nonostante le intenzioni asseritamente non violente, a causa della decisione della donna di separarsi. Orbene, in disparte la valutazione della assoluta irrilevanza dello stato di imminente separazione tra i due coniugi ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 572 c.p., le dichiarazioni del (...) paiono indirettamente confermare la versione dei fatti offerta dalla (...), nella misura in cui lo stesso, ben lungi dal negarne la verificazione, tenta di sminuirne la carica offensiva in ragione di un proprio atteggiamento interiore e della dichiarata incapacità di farvi fronte. 3. Sulla sussumibilità dei fatti di reato contestati al (...) nella fattispecie di cui all'art. 572 commi 1 e 2 c.p. 3.1. Il contegno dell'imputato integra il delitto di maltrattamenti. 3.2. La fattispecie di cui all'art. 572 c.p., contemplata al capo IV del titolo XI (Dei delitti contro la famiglia), relativo, in specie, ai "delitti contro l'assistenza familiare", è posto a tutela dell'interesse alla salvaguardia dei rapporti giuridici fra persone appartenenti alla stessa famiglia (o legate da un rapporto "parafamiliare"); sicché il delitto in questione è finalizzato ad assicurare la tutela dell'integrità psico-fisica, del patrimonio morale, della libertà e del decoro del soggetto passivo e, per costante orientamento giurisprudenziale, rappresenta un reato necessariamente abituale di evento. Ne consegue che, ai fini della sua integrazione, è necessaria la sussistenza di una pluralità di condotte di maltrattamenti, e cioè di più atti posti in essere dall'agente, che determinano nel soggetto passivo (componente della famiglia o inserito nel medesimo contesto "para - familiare") una serie di sofferenze fisiche e morali. Il delitto in esame, dunque, si caratterizza per la sussistenza di comportamenti che acquistano specifico rilievo penale in termini di "maltrattamenti" per effetto della loro reiterazione nel tempo. Il nucleo del disvalore della fattispecie in parola è costituito dall'imposizione alla vittima di un regime di vita vessatorio, per effetto di una pluralità di condotte prevaricatrici poste in essere dall'agente, che si esplicano attraverso una pluralità di atti lesivi dell'integrità fisica o morale o della libertà morale o del decoro della vittima e dunque, attraverso una pluralità di condotte di percosse, lesioni, ingiurie, minacce, prevaricazioni, umiliazioni, ma anche attraverso atti di disprezzo e offesa alla dignità della persona umana, con effetti di prostrazione e avvilimento. 3.3. Nel reato abituale, il dolo non richiede - a differenza che nel reato continuato - la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; è invece sufficiente la consapevolezza dell'autore del reato di persistere in un'attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice. 3.4. Non appare dubitabile che l'odierno imputato, nel corso dell'intera vita coniugale, abbia non solo assunto atteggiamenti di costante disinteresse rispetto ai bisogni affettivi e materiali del proprio nucleo familiare, ma abbia pervicacemente ed abitualmente perpetrato comportamenti vessatori e aggressivi nei confronti della consorte, apostrofandola con epiteti ingiuriosi ed assumendo atteggiamenti di costante prevaricazione fisica e verbale ai danni della stessa, svilendone pesantemente la dignità, anche tramite la pretesa di rapporti sessuali rifiutati dalla moglie in ragione della oramai ineluttabile cessazione di qualsivoglia comunione di vita materiale e spirituale, cui l'imputato reagiva con ancor più veemente violenza. Il tutto con l'aggravante di avere perpetrato le censurabili condotte denunciate alla presenza dei figli minori, minandone l'equilibrio e la serenità, facendoli vivere nel costante terrore della degenerazione degli episodi di violenza ai danni della madre e rendendoli, infine, destinatari diretti di un'aggressione fisica particolarmente esecrabile. 3.5. Per le anzi esposte ragioni deve affermarsi la penale, responsabilità del (...) in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia aggravati dall'aver commesso i fatti in presenza dei figli minori ex art. 572 commi 1 e 2 c.p., sussistendone tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi. 4. Determinazione della pena 4.1. Sussiste l'aggravante di cui all'art. 572, comma 2 c.p. in ragione di quanto già evidenziato, in ordine alla realizzazione delle condotte maltrattanti alla presenza dei figli minori. 4.2. L'esigenza di assicurare una proporzione tra la pena ed il fatto concreto e garantire, sin dalla fase di applicazione della pena, la sua preminente finalità rieducativa, lo stato di incensuratezza dell'imputato e la condotta processuale estremamente collaborativa mostrata dallo stesso, attraverso la disponibilità all'acquisizione di tutto il materiale probatorio contenuto nel fascicolo del pubblico ministero, così come il rispetto delle prescrizioni al medesimo imposte in sede cautelare, consentono di ritenere (...) meritevole delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., da considerarsi prevalenti rispetto alla contestata aggravante ex art. 572 comma 2 c.p. 4.3. Quanto al trattamento sanzionatorio si stima equa, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., la pena di anni tre di reclusione, corrispondente alla pena edittale minima comminata per l'ipotesi delittuosa base di cui all'art. 572, comma 1 c.p. 4.4. Alla condanna consegue automaticamente l'applicazione al (...) della pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli minori (...) e (...) ai sensi dell'art. 34 c.p. per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta. 4.5. L'imputato va, inoltre, condannato al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore di (...) - costituitasi parte civile per sé e quale legale rappresentante dei figli minori - da liquidarsi in separato giudizio civile, non essendo provati nel loro preciso ammontare, oltre al pagamento delle spese in favore della predetta parte civile come da infrascritto dispositivo, da corrispondersi allo Stato anticipatario, stante l'ammissione al beneficio del gratuito patrocinio. 4.6. Ai sensi dell'art. 64 bis disp. Att. c.p.p., alla condanna per il delitto di cui all'art. 572 c.p. consegue obbligatoriamente la trasmissione di copia della presente sentenza al Giudice Civile, ai fini delle decisioni in merito alla separazione personale, delle cause relative ai minori di età o all'esercizio della responsabilità genitoriale. 4.7. Segue per legge il pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli, e in concorso di attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condanna alla pena di anni 3 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. Letto l'art. 538 c.p.p. condanna (...) al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, in favore della costituita parte civile (...), in proprio e quale esercente la potestà genitoriale nei confronti dei figli minori (...) e (...), nonché al rimborso delle spese di costituzione e difesa sopportate dalla predetta parte privata nel presente processo, che liquida in Euro 1.790, oltre al rimborso spese forfetarie e IVA e CAP come per legge se dovuti, somma da devolvere in favore dello Stato anticipatario ai sensi dell'art. 110 TUSG. Letto l'art. 34 c.p. dispone la sospensione della potestà genitoriale per il doppio della pena inflitta. Letto l'art. 64 disp. Att. c.p.p. ordina la trasmissione degli atti alla prima sezione civile del Tribunale di Bari per le eventuali determinazioni di competenza. Così deciso in Bari il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • TRIBUNALE DI BARI SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Bari, Sezione Specializzata in materia di impresa, riunito in camera di consiglio nelle persone dei signori magistrati: 1. Dott.ssa Raffaella Simone - Presidente 2. Dott.ssa Assunta Napoliello - Giudice 3. Dott. Michele De Palma - Giudice relatore udita la relazione del Giudice delegato, ha pronunciato la seguente SENTENZA NON DEFINITIVA nella causa civile in primo grado iscritta al n. 2535/2020 R.G. vertente tra: (...) ATTORI E (...) CONVENUTI NONCHÉ' (...) TERZO INTERVENUTO FATTO E DIRITTO 1. Con l'atto di citazione introduttivo del giudizio (...) hanno convenuto in giudizio (...), per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "in via principale: - accertare e dichiarare che i Sig.ri (...) sono gli unici co-autori dell'invenzione oggetto della domanda di brevetto n. (...) per tutti i motivi dedotti in narrativa e per l'effetto ordinare la modifica di tale domanda indicando gli stessi quali unici co-autori dell'invenzione; - accertare e dichiarare che i Sig.ri (...) sono gli unici titolari del diritto al deposito della domanda di brevetto n. (...) per tutti i motivi dedotti in narrativa e per l'effetto; - disporre il trasferimento della domanda di brevetto in capo ai Sig.ri (...) ai sensi dell'art. 118, co. 2, lett. a) c.p.i. e/o, in caso di concessione del brevetto nelle more del giudizio, il trasferimento dello stesso a nome dei Sig.ri (...) ex art. 118, co. 3, lett. a) c.p.i.; - condannare i convenuti al risarcimento di ogni danno derivante dalla condotta illecita dei medesimi, nella misura che risulterà dall'istruttoria di causa o, in via subordinata, mediante liquidazione equitativa ed in ogni caso alla retroversione degli utili ex art 125 co. 3 c.p.i., nella misura in cui essi dovessero eccedere il risarcimento del lucro cessante; - ordinare ex art. 126 c.p.i. che il dispositivo della sentenza sia pubblicato, a caratteri doppi del normale e su due colonne, sulla rivista (...) e sul quotidiano (...), nonché sui relativi siti internet, autorizzando la parte attrice a effettuare essa stessa la pubblicazione con diritto di ripetere le spese dalla convenuta, nonché sul sito internet della convenuta per un periodo non inferiore a tre settimane; - in ogni caso con integrale rifusione di spese, diritti ed onorari di lite". Costituendosi, i tre convenuti hanno chiesto di: "1) Rigettare tutte le domande formulate dalle parti attrici, anche in via istruttoria; 2) accertare e dichiarare che i sig.ri (...) non sono autori dell'invenzione di cui alla domanda nazionale di brevetto per invenzione industriale n. (...) del 16.11.2017 dal titolo "metodo di fabbricazione di lastre curvilinee in materiale lapideo", che per l'effetto non hanno nessuna titolarità morale ed economica sul titolo brevettuale derivante dalla predetta privativa n. (...), e che conseguentemente non hanno nessun diritto risarcitorio e/o di indennizzo nei confronti dei convenuti; 3) con vittoria di spese, competenze e onorari, oltre CPA ed IVA". Nel corso del giudizio è intervenuta la (...) chiedendo di: "1) Rigettare tutte le domande formulate dalle parti attrici, anche in via istruttoria; 2) accertare e dichiarare che i sig.ri (...) non sono autori dell'invenzione di cui alla domanda n. (...) e che per l'effetto non hanno nessuna titolarità morale ed economica sul titolo brevettuale derivante dalla predetta privativa UIBM n. (...); 3) in via gradatamente subordinata, dichiarare che l'attività svolta dai sig. (...), sia per come disciplinata dagli obblighi contrattuali e convenzionali in essere, e sia per la sua natura di invenzione di servizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 64, 1 comma c.p.i., non riconosce loro alcun diritto patrimoniale e/o risarcitorio e per l'effetto dichiarare che tutti i diritti patrimoniali sul titolo brevettuale derivante dalla predetta privativa n. (...) sono di proprietà della (...) e che nulla è dovuto alle parti attrici a titolo di retribuzione ulteriore e/o di risarcimento del danno; 4) Con vittoria di spese, competenze e onorari, oltre CPA ed IVA". Nelle note di trattazione scritta per la prima udienza del 24.11.2020, tenutasi per iscritto, a fronte dell'intervento volontario della (...) gli attori hanno esteso tutte le domande già proposte con il proprio atto introduttivo nei confronti di questa società. In sede di precisazione delle conclusioni gli attori hanno chiesto di accertare anche che gli stessi sono gli unici autori "dell'invenzione oggetto del brevetto internazionale n. (...)" e per l'effetto ordinare la modifica anche di tale privativa, indicando gli stessi quali unici autori della stessa, disponendo "il trasferimento della domanda di brevetto internazionale n. (...) a nome dei Sig.ri (...) ex art. 118, co. 2, lett. a) c.p.i." (domanda già proposta con la prima memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.) e, in subordine, di condannare ex art. 64 co. 2 c.p.i. la (...) a corrispondere agli attori "l'equo premio per l'invenzione di cui al brevetto n. (...) nella misura che sarà accertata in corso di causa" (domanda già proposta con le note scritte di trattazione per la prima udienza). La causa è stata istruita mediante il deposito di documentazione ad opera delle parti e mediante l'escussione di tre testi. All'udienza di precisazione delle conclusioni del 13.9.2022, tenutasi con la modalità della trattazione scritta, i difensori delle parti hanno concluso depositando note scritte di comparizione e sono stati concessi i termini ex art. 190 c.p.c. 2. La domanda principale proposta dagli attori va accolta per quanto di ragione. Come visto, gli attori hanno chiesto che venga accertato che sono gli unici autori dell'invenzione oggetto del brevetto italiano n. (...) e gli unici autori dell'invenzione oggetto del brevetto internazionale n. (...) e cioè di un progetto che consente la realizzazione di una scala per interni in pietra dalla forma elicoidale. E' pacifico in atti che gli attori, (...), venuti in Italia per partecipare ad un corso di perfezionamento, denominato (...) presso il Politecnico di Bari, rispettivamente nell'ottobre 2016 e febbraio 2017, stipularono due contratti di lavoro a tempo determinato e part time con la società (...), un'impresa specializzata nella realizzazione di costruzioni e complementi d'arredo in pietra e in legno. Tra tale società e la (...) costituita presso il Politecnico di Bari sussiste un rapporto di partnership, nel senso che la prima collabora con la (...) secondo un modello di cooperazione che mette a disposizione degli allievi del corso locali, strumenti e materiale. Gli attori assumo di aver realizzato, mediante prototipi, in piena autonomia, cioè al di fuori del rapporto di lavoro con la (...), un progetto intitolato (...), volto alla realizzazione di una scala per interni in pietra dalla forma elicoidale, utilizzano locali, strumentazione e materiale necessario messo a disposizione da detta società. Diversamente, i tre convenuti e la (...) espongono che gli attori sono due tra i tanti studenti che si sono avvicendati nei laboratori della società e che hanno partecipato, come meri esecutori ed operai, ad un progetto di ricerca poi sfociato in un brevetto e i cui risultati innovativi erano già stati maturati da tempo. Infatti, si assume che la (...) e la sua compagine sociale (...), vantano un importante curriculum scientifico e professionale nel campo della lavorazione dei marmi e del legno, la cui attività spazia dalla collaborazione in numerosi progetti di ricerca (con finanziamenti pubblici e privati) e che, in particolare, la ricerca tecnologica oggetto del brevetto per cui è causa è stato il tema di studio e di ricerca da parte degli stessi a partire quanto meno dal 2013. Tanto premesso sulle reciproche posizioni assunte dalle parti, ritiene il Collegio che dall'attività istruttoria espletata è emerso che l'invenzione per cui è causa sia il frutto dell'attività dell'ingegno dei due attori. Questa consiste in un metodo le cui caratteristiche tecniche essenziali sono: 1) l'incollaggio delle lastre di pietra e delle fibre tessili; 2) la messa "sotto vuoto" di tali lastre cui segue; 3) la frantumazione, la formatura, l'iniezione della resina e la molatura finale. Dalla deposizione del teste (...) è emerso che i primi mesi del 2017 gli attori (...) iniziarono a lavorare ad un progetto di tesi che aveva ad oggetto la realizzazione di una scala di pietra elicoidale. Inoltre, ha riferito il teste che nel periodo tra maggio e dicembre del 2017, (...) realizzarono personalmente dei prototipi della loro invenzione, anche a grandezza naturale e, in quanto studenti del corso (...), aggiornavano regolarmente i propri professori sugli sviluppi del proprio progetto, tanto che nel dicembre 2017 lo stesso teste assistette alla presentazione della tesi di fine corso dei due attori, presso il Politecnico di Bari, che illustrava dettagliatamente la loro invenzione. Le dichiarazioni di tale teste sono attendibili poiché lo stesso ha dichiarato di avere seguito un progetto formativo universitario tenutosi presso la (...) e di aver avuto la possibilità di visionare direttamente l'operato dei due attori, poiché anche lui era impegnato all'epoca presso il laboratorio della società. Né la sola circostanza che lo stesso sarebbe un "amico" dei due attori, come assume la difesa dei convenuti, è sufficiente ad inficiare l'attendibilità delle sue dichiarazioni che invece trovano riscontro nella documentazione depositata dagli attori e comunque nelle risultanze complessive dell'istruttoria. Infatti, da detta documentazione si evince che effettivamente l'invenzione in contesa fu oggetto di una prima rappresentazione nel giugno del 2017 (doc. 7, 39, 40 e 41 fasc. attoreo), nonché della tesi finale di (...) denominata (...), (doc. 5 e 6 fasc. attoreo) e che i due attori aggiornavano i propri professori sugli sviluppi del loro progetto (come si desume dalle conversazioni e dalle fotografie contenute nei doc. 31, 32, 32bis, 36, 37, 37bis, 38 fasc. attoreo). In particolare, la tesi (doc. 6 fasc. attoreo) consiste in una relazione illustrativa dettagliata dell'invenzione di cui si discute e contiene anche disegni e fotografie che rappresentano le varie fasi di realizzazione della scala ed in alcune fotografie sono raffigurati gli attori durante le lavorazioni. Diversamente, la difesa dei convenuti e della società terza intervenuta non ha depositato alcun documento idoneo a dimostrare lo svolgimento di una qualche attività di ricerca inerente al metodo costruttivo ideato da (...), in epoca anteriore al deposito delle domande di brevetto per cui è causa, nonostante la stessa difesa abbia assunto che "la ricerca tecnologica oggetto del brevetto n. 352 è stato il tema di studio e di ricerca da parte della (...), e dei suoi soci, a partire quanto meno dal 2013', né in grado di dimostrare l'effettivo coinvolgimento dei convenuti nello sviluppo dell'invenzione. A tale proposito, come condivisibilmente eccepito dalla difesa degli attori, i documenti depositati dal n. 1 al n. 7 nel relativo fascicolo di parte sono estranei al precedentemente descritto metodo di lavorazione ideato dagli attori, come evincibile, in particolare, dalla rivendicazione n. 1 del brevetto italiano n. (...), (domanda 19.11.2017) che riguarda un "Metodo di fabbricazione di piastre in materiale lapideo curvilinee caratterizzato dalle fasi di: applicare su di una prima lastra in materiale lapideo un collante; - applicare una tela in fibra tessile su detta lastra in materiale lapideo; - applicare su detta tela in fibra tessile un collante; collocare su detta tela in fibra tessile una seconda lastra in materiale lapideo; - collocare gli strati di materiale lapideo in un sacco a tenuta ed aspirazione; - dell'aria da detto sacco per la creazione di uno stato di "vuoto"; - frantumare le lastre in materiale lapideo; - posizionare il sacco a tenuta contenente gli strati di materiale lapideo; - frantumati su di uno stampo riproducente la forma della superficie curvilinea che si intende ottenere; iniettare all'interno del sacco una resina; - molare le lastre in materiale lapideo fino ad ottenere una superficie; - levigata". Orbene, in nessuno dei documenti prodotti dai convenuti e dalla società intervenuta v'è un documento che contenga un riferimento a tali tecniche realizzative. Le rispettive difese si limitano ad affermare genericamente che la società (...), (e quindi i suoi soci) hanno "sviluppato una serie di studi e prove tecniche finalizzate all'ottenimento di risultati innovativi affidabili, poi brevettati" e di aver ottenuto alcuni finanziamenti dalla Regione Puglia "direttamente erogati per lo sviluppo di tecnologie di frantumazione e curvatura di grandi lastre di pietra", ma nonostante l'assunta risalenza di tali studi (fin dall'anno 2013), come già esposto, non è stato prodotto alcun documento che faccia riferimento al procedimento di cui all'invenzione contesa ovvero allo sviluppo dello stesso ad opera dei convenuti e/o della terza intervenuta. I documenti 1 e 2 prodotti dai tre convenuti fanno riferimento alla richiesta di finanziamenti da parte della (...) srl rispetto ad un'iniziativa finalizzata alla realizzazione di alcuni elementi architettonici per interni ed esterni dove si indica, quale "contenuto innovativo del progetto e grado di innovatività rispetto allo stato dell'arte del Settore", la realizzazione di archi, volte e facciate ventilate mediante l'incollaggio dei materiali in azienda e non presso il committente. Nella sezione "brevetto che si intende utilizzare" viene indicato il brevetto francese (...), (doc. 14 fasc. convenuti), denominato: "sistema per la realizzazione di un'opera composta di un insieme di elementi strutturali giuntivi estesi tra due oggetti delimitanti (angoli, bordi, ecc.)", ma trattasi di invenzione finalizzata a realizzare opere strutturali (quali archi o volte) in piano, mediante la creazione di "una sorta di armatura composta da fibre e colla", per poi trasportare direttamente tali opere in cantiere e montarle senza necessità di costruire delle centine di sostegno (v. pag. 8 del doc. n. 2 del fascicolo dei convenuti), utilizzando un metodo che è del tutto estraneo all'invenzione degli attori caratterizzata, come visto, dalle seguenti fasi "caratteristiche": 1) l'incollaggio delle lastre di pietra e delle fibre tessili; 2) la messa "sotto vuoto" di tali lastre; 3) la frantumazione, la formatura, l'iniezione della resina e la molatura finale. Anche il documento n. 3 prodotto dai convenuti è estraneo all'invenzione degli attori poiché riguarda una scala realizzata a partire da un unico blocco di pietra e non fa alcuna menzione alle modalità tecniche con cui detta scala sarebbe stata costruita, senza che si faccia peraltro alcun cenno all'assemblamento progressivo di una pluralità di componenti e alla c.d. frantumazione sottovuoto che connota l'invenzione degli attori. Il documento n. 4 prodotto dai convenuti consiste nella copia del registro delle lezioni tenute dalla (...) presso il Politecnico di Bari, ma tale registro riporta solo i titoli degli argomenti trattati nel corso delle varie lezioni, senza che dalla lettura di alcuno degli stessi si evinca che durante la lezione venne trattata la tecnica sviluppata da parte degli attori. Analogamente, i documenti relativi alla domanda di accesso a finanziamenti UE, nell'ambito del programma Horizon 2020 (doc. 5 e 7 depositati dai convenuti) fanno riferimento ad un piano di sviluppo e ad una lettera di intenti riguardanti le attività di "1) Realizzazione parti costruttive prototipi facciate ventilate A.4.3; 2) Montaggio prototipi facciate ventilate A.5.1; 3) Montaggio Prototipi archi flessibili A.5.2", le quali pure sono del tutto avulse dalla metodologia dell'invenzione degli attori e fanno uso dell'invenzione di cui al brevetto francese (...), (allegato alla prima memoria ex art. 183 co. 6 n. c.p.c. degli attori), estraneo rispetto all'invenzione attorea. Anche il documento n. 6 dei convenuti, relativo ad un accordo di riservatezza sottoscritto dal Reverte con la società in merito alle informazioni che egli avrebbe potuto apprendere nel corso del tirocinio, non contiene alcun riferimento all'invenzione degli attori, sicché trattasi di accordo irrilevante ai fini della dimostrazione della tesi difensiva dei convenuti. D'altronde, tale accordo si limita a fare un generico riferimento a tutte le informazioni rivelate dalla società al Reverte durante il periodo di lavoro in relazione ai vari ambiti di attività di (...) senza menzionare, neppure indirettamente, l'invenzione oggetto di causa. Alla luce di quanto fin qui esposto, emerge la non attendibilità delle dichiarazioni dei testi (...), (entrambi dipendenti della (...), relative alla circostanza che il progetto sul quale lavoravano i due attori era stato elaborato dal convenuto (...), poiché smentite da quanto assunto dal teste (...) le cui dichiarazioni sono suffragate dalle considerazioni che precedono, supportate dalla documentazione in atti. Del resto, che gli attori abbiano proceduto in autonomia a sviluppare il progetto confluito nel brevetto rivendicato trova conferma nel fatto che successivamente alla presentazione della domanda italiana di brevetto n. (...), (del 16.11.2017) i tre soci della (...), qui convenuti, hanno presentato, in data 15.5.2019, una domanda di brevetto internazionale recante il n. (...), (pubblicata, e dunque resa potenzialmente accessibile a (...), solo in data 19.11.2020, successivamente all'instaurazione del presente giudizio) il cui trovato oggetto di brevettazione è sostanzialmente il medesimo di quello relativo al primo brevetto italiano già depositato il 16.11.2017, cioè il n. (...). Infatti, nella domanda di brevetto sopravvenuta, pur essendo indicati quali titolari (...), vengono indicati tra gli inventori anche (...). Pertanto, contrariamente a quanto assumono le difese dei convenuti e della (...) in questo giudizio, gli attori non si sono limitati ad un'attività di assistenza esecutiva nella realizzazione dell'invenzione per la quale è stata richiesta la brevettazione con la domanda italiana n. (...), ma sono stati i fautori stessi di tale invenzione, tanto che nella domande di privativa internazionale successiva i tre odierni convenuti hanno riconosciuto il loro ruolo di co-autori della stessa invenzione, anche se si è visto che, in realtà, gli stessi ne sono gli unici artefici. La difesa dei convenuti assume che la domanda di brevetto internazionale recante il n. (...) è solo "uno sviluppo successivo e complementare della prima (e significativa) innovazione. A ben vedere, tra l'invenzione oggetto della domanda italiana di brevetto n. (...) del 16.11.2017 e quella oggetto della di brevetto internazionale recante il n. (...) vi è sostanziale coincidenza come evincibile già dalla lettura dei relativi riassunti riportati sulla stessa domanda. Quello della domanda italiana di brevetto n. (...), così recita (doc. 9 fasc. attoreo); RIASSUNTO La presente invenzione si colloca nel settore dei procedimenti di fabbricazione di lastre curvilinee in materiale lapideo. Il metodo di fabbricazione di piastre in materiale lapideo curvilinee è caratterizzato dalle fasi di: applicare su di una prima lastra in materiale lapideo un collante, 5 applicare una tela in fibra tessile su detta lastra in materiale lapideo, applicare su detta tela in fibra tessile un collante, collocare su detta tela in fibra tessile una seconda lastra in materiale lapideo, collocare degli strati in un sacco a tenuta ed aspirazione dell'aria da detto sacco per la creazione di uno stato di "vuoto", frantumare le lastre in materiale lapideo, posizionare il sacco a tenuta contenente gli strati di materiale lapideo frantumati su di uno stampo riproducete la forma di una io superficie curvilinea, iniettare all'interno del sacco sottovuoto una resina, molare le lastre in materiale lapideo fino ad ottenere delle superfici perfettamente levigate. Analogamente, il riassunto della domanda di brevetto internazionale recante il n. (...), pressocché sovrapponibile a quello precedente, così recita nel testo italiano (doc. 11 bis fasc. attoreo); La presente invenzione si colloca nel settore dei procedimenti di fabbricazione di lastre, anche strutturali, in materiale lapideo, il metodo di fabbricazione di piastre, anche strutturali, in materiale lapideo è caratterizzato dalle seguenti tasi: applicare su di una prima lastra in materiale 5 lapideo un collante; applicare una tela in fibra tessile su detta lastra in materiale lapideo; applicare su detta tela in fibra tessile un collante; collocare su detta tela in fibra tessile una seconda lastra in materiale lapideo; collocare degli strati in un sacco a tenuta ed aspirazione dell'aria da detto sacco per la creazione di uno stato di "vuoto"; frantumare le lastre in materiale lapideo; posizionare il sacco a tenuta contenente gli strati di materiale lapideo frantumati su dì uno stampo riproducente la forma che si intende ottenere; iniettare all'interno del sacco sottovuoto un collante, molare le lastre in materiale lapideo fino ad ottenere delle su p erti ci perfettamente levigate. In relazione a tale profilo, inoltre, la difesa di (...) ha esposto che gli stessi erano del tutto ignari dell'avvenuto deposito di tale domanda di brevetto internazionale posto che gli stessi attori non hanno mai sottoscritto alcun documento ed hanno pertanto disconosciuto tempestivamente (con la terza memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.) le firme a loro attribuite, risultanti dal documento 15 (prodotto dai convenuti con la seconda memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c.), che consiste nella dichiarazione sottoscritta da tutti i "co-inventori" della domanda di brevetto internazionale necessaria per estendere il titolo anche negli Stati Uniti. Tale documento è privo valenza probatoria poiché a fronte del predetto disconoscimento la difesa dei convenuti non ha richiesto la verificazione delle sottoscrizioni disconosciute. Anche nella domanda di privativa italiana, n. (...), depositata in data 25.5.2018, e concessa in data 30.4.2020, successivamente alla domanda italiana n. (...) del 16.11.2017, pur essendo indicati quali titolari (...), vengono indicati tra gli inventori anche (...). Sull'estratto dell'UIMB della domanda di privativa italiana n. (...), con riferimento alla data di "Priorità", si legge "Deriva da una domanda di brevetto d'invenzioni" indicando proprio la domanda italiana n. (...) del 16.11.2017. Ne discende che anche in questo caso i tre convenuti non hanno non potuto riconoscere (contrariamente alla posizione assunta in questo giudizio) quantomeno la co-partecipazione dei due attori nello sviluppo di una invenzione che si vuole dichiaratamente collegare a quella oggetto di giudizio. In conclusione, ritiene il Collegio raggiunta la prova che l'invenzione originariamente oggetto della domanda italiana n. (...) del 16.11.2017 è il frutto dell'attività di ingegno dei due attori che hanno potuto sviluppare il loro progetto presso i locali della (...), dalla quale erano stati assunti a tempo determinato e part time, utilizzando strumenti e materiale messi loro a disposizione. In tema di invenzione del dipendente, sia la disciplina attuale di cui all'art. 64 c.p.i., sia quella previgente di cui al r.d. n. 1127/1939 distinguono al riguardo tre ipotesi diverse tradizionalmente denominate invenzione di servizio, invenzione d'azienda e invenzione occasionale. La Suprema Core, riprendendo tale distinzione tradizionale (sia pur con riferimento alla previgente normativa di cui al r.d. n. 1127/1939, che però è pressocché sovrapponibile all'attuale), ha affermato che l'elemento distintivo tra l'invenzione di servizio (art. 64 co. 1 c.p.i.) e l'invenzione di azienda (art. 64 co. 2 c.p.i.) risiede nel fatto che, pur presupponendo entrambe la realizzazione di un'invenzione industriale nell'adempimento di un contratto di lavoro, nel primo caso l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto, essendo prevista, attraverso un'esplicita previsione contrattuale, una speciale retribuzione costituente il suo corrispettivo, mentre nel caso dell'invenzione di azienda la prestazione del lavoratore non ha ad oggetto il conseguimento di un risultato inventivo, che alla prima è piuttosto collegata come frutto non dovuto, né previsto; conseguentemente, laddove l'invenzione sia oggetto della prestazione lavorativa, il risultato inventivo potrà esservi o meno, ma nel caso in cui si verifichi, la retribuzione stabilita vale già a compensarlo, mentre nel secondo caso, in quanto non è prevedibile che le ordinarie mansioni possano condurre ad un risultato inventivo, è dovuto il riconoscimento di un compenso ulteriore, costituito dall'equo premio (Cass. n. 3614/2022). L'invenzione occasionale invece ricorre rispetto ad ogni altra invenzione del dipendente che, ai sensi del comma 3 dell'art. 64 (e del comma 1, art. 24 r.d. cit.), non presenta i caratteri delle precedenti ("Qualora non ricorrano le condizioni previste nei commi 1 e 2"), ma comunque "rientri nel campo di attività del suo datore di lavoro. Dunque, per essere tale l'invenzione realizzata dal lavoratore dipendente deve essere estranea all'attività lavorativa svolta da quest'ultimo ma al contempo riguardare l'ambito di attività del datore di lavoro. Nel caso in esame, si è visto che all'esito dell'attività istruttoria è emerso che l'invenzione in discussione è stata concepita e realizzata dai due attori nel periodo di assunzione lavorativa presso la (...), rispetto alla quale le mansioni dei predetti erano pacificamente esecutive, ma al di fuori di ogni collaborazione con il datore di lavoro, pur utilizzando strumenti e materiale da questo messo a disposizione. Ne deriva che, tra le tre tipologie di invenzione del dipendente in precedenza descritte, quella in esame è riconducibile al tipo dell'invenzione occasionale, con la conseguenza che i due attori vanno riconosciuti come inventori sia sotto il profilo morale (art. 62 c.p.i.) che sotto quello patrimoniale (art. 63 c.p.i.), mentre al datore di lavoro spetta il diritto di opzione per l'uso, esclusivo o non esclusivo dell'invenzione o per l'acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquisire, per la medesima invenzione, brevetti all'estero verso corresponsione del canone o del prezzo (art. 64 co. 3 c.p.i.). Tuttavia, nel presente giudizio il diritto di opzione non è stato esercitato dalla (...). Non osta al riconoscimento ex art. 118 c.p.i. della titolarità dell'invenzione in questione in favore dei due attori la circostanza dedotta dalle difese dei convenuti e della società terza intervenuta che detta invenzione sarebbe stata "ceduta con scrittura privata, non trascritta all'UIBM, alla s.r.l. (...) all'esito dei primi rapporti (positivi) di ricerca da parte dei convenuti". Invero, la riconosciuta paternità e quindi titolarità dell'invenzione in capo ai due attori priva ab origine di legittimazione i convenuti al trasferimento di un titolo di proprietà industriale del quale non sono mai stati titolari, peraltro in favore di una società che è pure parte di questo giudizio. Come visto, con domanda proposta con la prima memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. gli attori hanno chiesto anche "il trasferimento della domanda di brevetto internazionale n. (...) a nome dei Sig.ri (...) ex art. 118, co. 2, lett. a) c.p.i." La difesa dei convenuti e della società terza intervenuta hanno eccepito la tardività e quindi l'inammissibilità della domanda per essere stata proposta solo con detta memoria. In tesi generale, le Sezioni Unite hanno statuito che la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali (sent. n. 12310/2015). Nel caso che ci occupa, come già esposto, la domanda di brevetto internazionale n. (...) è stata pubblicata e dunque resa potenzialmente accessibile a (...), solo in data 19.11.2020, successivamente all'instaurazione del presente giudizio, risalente al 23.1.2020. Orbene, il bene giuridico che gli attori hanno inteso tutelare con la domanda di rivendicazione proposta con l'atto di citazione, relativo alla domanda di brevetto nazionale n. (...), è il medesimo di quello che intendono tutelare con la proposta domanda di rivendicazione anche avverso la domanda di brevetto internazionale n. (...), atteso che la prima domanda, quella nazionale, e la seconda domanda, quella internazionale, afferiscono entrambe, come visto, alla medesima invenzione rivendicata dagli attori. Inoltre, le due domande sono collegate alla stessa vicenda sostanziale posta dagli attori fin dall'atto di citazione. Pertanto, così come statuito dalla Suprema Corte, la domanda proposta avverso il brevetto internazionale n. (...) è connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che vi sia stata compromissione delle potenzialità difensive dei convenuti e della terza intervenuta, nonché l'allungamento dei tempi processuali. La domanda degli attori riferita anche domanda di brevetto internazionale n. (...) è pertanto ammissibile ed anche fondata per tutto quanto esposto in precedenza. Alla luce delle considerazioni che precedono, (...) vanno riconosciuti ex art. 118 c.p.i. come unici titolari del diritto al deposito della domanda di brevetto italiano n. (...), concessa il 4.2.2020, e del diritto al deposito della domanda di brevetto internazionale n. (...), sicché va disposto il trasferimento del brevetto italiano n. (...), concesso in data 4.2.2020 a nome degli attori (...) ex art. 118, co. 3, lett. a) c.p.i. ed il trasferimento della domanda di brevetto internazionale n. (...) a nome dei medesimi ex art. 118, co. 2, lett. a) c.p.i. 3. Per quanto riguarda la domanda risarcitoria e la domanda di pubblicazione della sentenza ex art. 126 c.p.i. proposte dagli attori la causa va rimessa in istruttoria come da separata ordinanza. 4. Si rimette alla decisione definitiva la regolamentazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Bari, Sezione Specializzata in materia di impresa, disattesa ogni diversa istanza, eccezione o deduzione, non definitivamente decidendo, così provvede: 1) dichiara che gli attori (...) sono unici titolari del diritto al deposito della domanda di brevetto italiano n. (...), concessa il 4.2.2020, e del diritto al deposito della domanda di brevetto internazionale n. (...), disponendo, per l'effetto, il trasferimento del brevetto italiano n. (...), concesso in data 4.2.2020, a nome di (...) ed il trasferimento della domanda di brevetto internazionale n. (...) a nome di (...); 2) rigetta le domande riconvenzionali proposte dai convenuti e dalla società terza intervenuta; 3) rimette la causa in istruttoria come da separata ordinanza; 4) spese di lite al definitivo; 5) applicato l'art. 122 co. 8 c.p.i., dispone la trasmissione, a cura della Cancelleria della presente sentenza all'Ufficio italiano brevetti e marchi. Così deciso in Bari il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DR.SSA VALENTINA TRIPALDI PRESSO IL TRIBUNALE DI BARI II SEZIONE PENALE Con la presenza del VPO dott. Gi. Con l'assistenza del Cancelliere dott.ssa Ri.Di. Ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa penale di primo grado Contro (...), nato il (...) a M. ed ivi residente in via (...) n. 137, di fatto domiciliato in M. C.da S. 207/A Libero, non comparso Avv. Gi.Sa., difensore di fiducia, assente, sostituito ex art. 97 co. 4 c.p.p. dall'Avv. Al.Sa. (V. FOGLIO ALLEGATO) IMPUTATO in relazione al delitto p. e p. dall'art. 73 comma 1 e 4 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni nella L. 21 febbraio 2006, n. 49 poiché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 D.P.R. n. 309 del 1990, illecitamente deteneva sostanze stupefacenti tipo HASHISH (per complessivi gr. 18 circa) e MARIJUANA (per complessivi gr. 20 circa) occultate nella casa di abitazione: sostanze da ritenere destinate allo spaccio in ragione del dato ponderale, nonché del rinvenimento in suo possesso di n. 2 bilancini elettronici di precisione, di n. 1 coltello con lama intrisa di Hashish e di n. 1 rotolo di nastro adesivo (materiale tipicamente utilizzato per il confezionamento di dosi singole di droga da cedere al minuto). Fatti accertati in Monopoli il 17/11/2022 Con contestazione di recidiva reiterata specifica SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il giorno 17.11.2022 l'imputato è stato colto in stato di flagranza del reato ex art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309 del 1990. In data 18.11.2022, il P.M. presso il Tribunale di Bari lo ha presentato direttamente al giudice del dibattimento per la convalida dell'arresto e per il rito direttissimo. All'udienza del 18.11.2022, presente l'imputato, difeso da difensore nominato ex art. 97, comma 4, c.p., il Giudice ha convalidato l'arresto e ha disposto la misura dell'obbligo di presentazione quotidiano alla P.G. nella fascia oraria dalle 16:00 alle 20:00; inoltre, alla medesima udienza, essendo stato richiesto dal difensore un termine a difesa, è stato disposto il rinvio del processo all'udienza del 30.01.2023, ai fini anche della formulazione della richiesta di accedere a rito alternativo. All'udienza del 30.01.2023, le parti hanno prestato consenso all'acquisizione dell'intero fascicolo delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 493, comma 3, c.p.p., rinunciando conseguentemente all'escussione dei testi; inoltre, alla medesima udienza, il V.P.O. ha riqualificato il reato previamente contestato all'imputato, sussumendolo all'interno dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990. Dunque, udite le conclusioni delle parti, il processo è stato definito mediante la seguente sentenza. MOTIVAZIONE All'imputato (...) è stato contestato il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. n. 309 del 1990, poiché, senza l'autorizzazione prevista dall'art. 17 D.P.R. n. 309 del 1990, illecitamente aveva detenuto sostanze stupefacenti di tipo "hashish", nel quantitativo complessivo di grammi di 18 grammi circa, e "marijuana", per complessivi 20 grammi circa, occultate nella casa di abitazione in M., Contrada S.. In particolare, tali sostanze erano state ritenute destinate alla cessione alla luce del dato ponderale, nonché in ragione del possesso di due bilancini elettronici di precisione, di un coltello con lama intrisa di hashish e di un rotolo di nastro adesivo, idoneo al confezionamento di dosi singole. All'imputato è stata, inoltre, contestata la recidiva reiterata specifica. Preliminarmente, occorre ricostruire i fatti dell'odiemo processo sulla base degli atti del fascicolo delle indagini preliminari, acquisiti al fascicolo del dibattimento su accordo delle parti. In particolare, dal verbale di arresto del 17.11.2022, è emerso che, a seguito di un servizio di controllo posto in essere dai Carabinieri della Stazione di Monopoli, allertati da fonti confidenziali circa la dedizione del (...) a traffici illeciti di sostanze stupefacenti e in merito alla sua presenza nelle contrade più isolate al fine di incontrare occasionali clienti, l'imputato era stato notato nella contrada S. 207/A., a bordo della propria vettura, mentre era intento ad effettuare manovre sospette sino a fermarsi davanti alla sua abitazione, sostando con la stessa su un tratto stradale non illuminato. Alla luce di tale comportamento, il personale di P.G. intervenuto sul posto lo aveva fermato, avvisandolo della natura delle operazioni in corso e delle sue facoltà di legge. Oltretutto, durante la perquisizione personale e veicolare, era stato rilevato che l'imputato si era disfatto di un involucro, gettandolo nel terreno. Immediatamente recuperato, si era proceduto all'accertamento speditivo della sostanza ivi contenuta, riconducibile ad una dose di hashish di 0,5 grammi avvolta da cellophane. Pertanto, dopo le suddette operazioni, il controllo era stato esteso all'abitazione dell'imputato sita presso la medesima contrada: egli, pur avendo inizialmente negato di vivere in quel luogo, aveva poi deciso di collaborare con i militari, consegnando loro dapprima un boccaccio di vetro contenente 20 grammi circa di marijuana e, successivamente, un grosso pezzo di hashish, in quantità pari a 18 grammi. Entrambe le sostanze erano state occultate in due ambienti diversi dell'abitazione. Dunque, come risulta anche dal verbale di perquisizione e sequestro in atti allegato, esse erano state sottoposte a sequestro, unitamente a due bilancini elettronici di precisione, un coltello con lama intrisa di hashish e un rotolo di nastro adesivo nero, ritenuto materiale idoneo al confezionamento delle dosi. Inoltre, come risulta dal verbale relativo al "Narcotest", era stato accertato che le sostanze rinvenute nell'abitazione del (...) erano identificabili come marijuana (per la quantità complessiva di 20 grammi circa) e come hashish (per la quantità di 20 grammi circa). Infine, in ragione dell'accertamento tecnico eseguito su tali sostanze, era emerso che la prima era caratterizzata da THC 2,2275 e che dalla stessa avrebbero potuto essere ricavate 89 dosi; dalla seconda, invece, con THC 3,9285, si era stimato che avrebbero potuto essere confezionate 157 dosi. Ciò premesso sul piano fattuale, le emergenze processuali comprovano, indubbiamente, la responsabilità penale dell'imputato in ordine al reato ascrittogli. Orbene, sul piano dell'elemento materiale, il delitto di illecita detenzione di sostanze stupefacenti destinate alla cessione, è integrato dalla detenzione delle predette sostanze per uso non personale. La destinazione a terzi costituisce elemento costitutivo del reato che può essere provata alla luce di un complesso di "indici sintomatici", i quali non sono confinati al solo dato quantitativo ovvero al superamento della soglia quantitativa di principio attivo indicata nel decreto ministeriale. Difatti, in materia di criteri di valutazione ai fini della prova della detenzione non esclusivamente personale, la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione penale, sezione IV, 15.10.2009, n.45916) ha precisato che "non è sufficiente che vengano superati i limiti stabiliti nel decreto ministeriale perché possa affermarsi la penale responsabilità per l'illecita detenzione, ma sarà necessario quando ovviamente il dato ponderale non sia tale da giustificare inequivocabilmente la destinazione- che il giudice prenda in considerazione, oltre a questo superamento, le modalità di presentazione, il peso lordo complessivo, il confezionamento eventualmente frazionato, le altre circostanze dell'azione che possono essere ritenute significative della destinazione a uso non esclusivamente personale". Nel caso di specie, sussistono plurimi elementi che denotano l'esclusione dell'uso personale delle sostanze di cui il (...) è stato rinvenuto in possesso: infatti, suffragano tale conclusione non solo la quantità e la qualità delle sostanze oggetto di sequestro (circa 20 grammi di "hashish " e circa 20 grammi di "marijuana"), ma anche la diversità delle stesse, indicativa della destinazione delle sostanze ad una variegata clientela di assuntori, nonché il possesso di adminicula idonei al confezionamento di tali sostanze in dosi singole quali, nel caso in esame, nastro adesivo, bilancini di precisione e un grosso coltello, oltretutto rinvenuto, in sede di perquisizione e di sequestro, intrisa di sostanza di tipo "hashish". Corrobora tale conclusione anche il numero di dosi ricavabili dalla sostanza quale emergente dal c.d. Lass in atti. Sul piano dell'elemento soggettivo, il dolo della detenzione illecita di sostanze stupefacenti al fine di cessione a terzi è integrato dal dolo generico ovvero dalla consapevole volontarietà della detenzione illecita, indipendentemente dal fine perseguito dall'agente: orbene, nel caso in esame, si appalesa sussistente, anche in ragione dei comportamenti tenuti dall'imputato in sede di perquisizione veicolare e personale, la consapevolezza e la volontà di detenere illecitamente sostanze stupefacenti: infatti, il giorno del controllo svolto dai Carabinieri, presso la contrada in cui è sita la sua abitazione, era stato notato fermo con la propria vettura in un tratto della strada non illuminato. Inoltre, come emerge dal verbale di arresto in atti allegato, il C., in occasione di tali operazioni di perquisizione, era stato notato nell'atto di disfarsi di una scatola, evidentemente consapevole dell'illiceità della detenzione. La fattispecie, ad ogni modo, anche alla luce del quantitativo di droga rinvenuto, è suscettibile di essere ricondotta nell'ambito di operatività della più tenue ipotesi di reato di cui al quinto comma dell'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990. Ai fini della riqualificazione della suddetta fattispecie, aderendo peraltro alla richiesta formulata in tal senso dal P.M., non si appalesa ostativa la diversità delle sostanze stupefacenti detenute illecitamente dall'imputato: infatti, la giurisprudenza di legittimità opina nel senso che "la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 in quanto l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione. Ne discende che nella valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta non possono che essere considerate tutte le condotte criminose contestate, aventi ad oggetto sia le droghe "pesanti" sia quelle "leggere". L'inquadramento della fattispecie nell'ipotesi lieve può giustificarsi soltanto in presenza di condotte di minor disvalore sociale, suscettibili di recare una minima lesione o messa in pericolo del bene protetto dalla norma incriminatrice" (cfr. Cassazione penale sez. IV, 24.07.2020, n.26042). Sul punto, si veda anche la Cassazione, sez. IV, 09.04. 2019, n. 17674, a parere della quale "in tema di sostanze stupefacenti, il riconoscimento del reato di cui all' art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 richiede un'attenta valutazione complessiva del fatto, in relazione mezzi e modalità dell'azione nonché qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, così da pervenire all'affermazione di lieve entità conformemente ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità della pena." Oltretutto, ai fini della sussunzione del caso di specie nell'alveo del comma 5 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, si appalesano rilevanti, oltre il modesto quantitativo delle sostanze stupefacenti oggetto di sequestro, anche la qualità delle stesse (riconducibili alla categoria delle cd. "droghe leggere"), nonché l'esiguità dei mezzi adoperati ai fini della successiva cessione (nella specie, sono stati sequestrati due bilancini di precisione, un nastro adesivo e un coltello). Inoltre, non sono stati dimostrati profili di fatto significativi dell'inserimento dell'imputato in più ampio contesto criminale organizzato. Si riconosce la contestata recidiva reiterata specifica alla luce di quanto emerso dal certificato del casellario giudiziale. Si possono concedere all'imputato le circostanze attenuanti generiche in ragione del suo complessivo comportamento processuale, ritenute equivalenti alla contestata recidiva. Pertanto, in applicazione dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si ritiene equo infliggere all'imputato la pena mesi nove di reclusione e la multa di Euro 1.200,00. Alla condanna consegue il pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Visti gli artt. 533 - 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del delitto ascritto, ricondotto nell'ambito di operatività dell'art.73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 e, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, lo condanna alla pena di mesi nove di reclusione e di Euro 1.200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. Dispone la confisca e distruzione della droga in sequestro e la confisca di quant'altro in sequestro. Motivazione riservata nel termine di 90 giorni. Così deciso in Bari il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Monocratico Dott.ssa Angelica Passarella presso il TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE con la presenza del (...) Dott. Matteo Soave con l'assistenza del Cancelliere Fabio Mele ha pronunciato, con lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), n. in B. il (...) ed ivi res. alla via M. 19, sottoposta per questa causa alla misura della custodia cautelare in carcere, presente in videoconferenza Difesa di fiducia dagli avv.ti Ma.Mi. (nomina dep. il 12.9.2022) e Me.Lu. (nomina del 18.1.2023), presente il primo anche in sostituzione della seconda giusta delega orale Imputata Si veda foglio allegato PP.OO.: (...), n. in B. il (...), assente; (...), n. in B. in data (...), assente; PARTE CIVILE: (...), n. in B. il (...), assente, difesa dall'avv. Fr.An., assente. difesa dell'imputata: assoluzione, in relazione al capo A), quantomeno ai sensi dell'art. 530 cpv c.p.p., o, in subordine, derubricazione nei reati minori, minimo pena con sospensione condizionale della pena; in relazione al capo B) non doversi procedere per tardività della querela; in relazione al capo C) assoluzione o, in subordine, derubricazione con esclusione dell'aggravante, e richiesta, in caso di condanna, di applicazione delle sanzioni sostitutive. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto di giudizio immediato del 19.9.2022 si è proceduto nei confronti dell'odierna imputata per rispondere dei reati di cui alla rubrica. All'udienza del 5.12.2022 verificata la regolare costituzione delle parti, preso atto della costituzione di parte civile per la (...), e rigettata con ordinanza motivata la richiesta avanzata dalla difesa di disposizione di perizia psichiatrica nei confronti della (...), è stato dichiarato aperto il dibattimento, sono stati ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti, con riduzione, poiché in parte superflua e sovrabbondante, della lista della difesa a numero quattro testimoni a scelta del difensore, e il processo è stato rinviato al 16.1.2023 per l'escussione dei testi del (...) In detta udienza, svoltasi per motivi di sicurezza a porte chiuse ai sensi dell'art. 472 co. 3 c.p.p. in ragione dello svolgimento di una manifestazione di protesta dinanzi al Palazzo di Giustizia, sono stati esaminati i testi (...), (...), (...), (...) e (...), le parti hanno prestato il consenso all'acquisizione, ai fini della decisione, degli atti di indagine consistenti nella relazione di servizio redatta dalla Volante Libertà il 10.5.2022, del verbale di s.i.t. rese presso la Questura di Bari da (...) il 3.8.2022, dell'annotazione redatta dalla Volante Libertà l'11.5.2022, della relazione relativa all'escussione della minore (...) datata 9.8.2022 a firma della dott.ssa (...), del verbale di s.i.t. rese dalla (...) il 4.8.2022 in audizione protetta con relativo supporto informatico, del referto di pronto soccorso del (...) del 12.5.2022 riguardante (...), con rinuncia del (...) all'escussione dei testi (...), (...), (...), (...), (...), (...), la difesa ha prodotto una nota "riscontro a segnalazione al SSP" del Comune di Bari, a firma della dott.ssa (...) e dell'avv. (...), oltre ad una copia di fotografia di una porta, e il processo è stato rinviato per il completamento dell'istruttoria e per la discussione al 30.1.2023. All'udienza del 30.1.2023, essendo stata rinuncia all'esame dell'imputata, le parti hanno concordato l'acquisizione agli atti del verbale di interrogatorio di garanzia reso dalla (...) il 12.9.2022 dinanzi al S.I.P. dott.ssa (...), sono stati escussi i testi della difesa (...), (...) e (...), con rinuncia del difensore ai residui testi, e conseguente revoca della relativa ordinanza ammissiva, è stata dichiarata chiusa l'istruttoria, le parti hanno discusso il processo, concludendo come da verbale, si è preso atto della revoca tacita di costituzione di parte civile ex art. 82 comma 2 c.p.p., e il Tribunale, all'esito della camera di consiglio, ha dato lettura del dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Le granitiche acquisizioni processuali impongono l'affermazione della penale responsabilità dell'imputata in relazione ai reati ascritti, riuniti per continuazione in quanto espressione del medesimo disegno criminoso, per le ragioni che di seguito si illustreranno. Gli elementi a carico della (...) si traggono dalle deposizioni rese da tutti i testimoni escussi, dal referto medico in atti, nonché dagli atti di indagine acquisiti al fascicolo per il dibattimento, elementi che hanno provato senza ombra di dubbio la responsabilità penale dell'odierna imputata in relazione ai reati ascritti. Dal racconto reso dalle vittime, (...) e (...), è emerso che le stesse, unitamente ai loro figli e persino ai nipoti - fra cui la persona offesa, (...), una bambina in tenera età, nata l' 1.9.2009 - da diversi anni, e, per quel che rileva nel presente procedimento, dall'anno 2018, subiscono nel condominio una vera e propria persecuzione quotidiana ("era una cosa di tutti i giorni", cfr. verbale stenotipico del 16.1.2023) ad opera di (...), la quale ogni giorno non faceva altro che ingiuriare e minacciare gravemente di morte le persone offese, non limitandosi alle parole ma agendo anche in maniera violenta con coltelli, mazze, gettando addirittura, in un'occasione, la candeggina addosso alla (...) che portava in braccio il nipotino, in compagnia anche della minore (...), che dovettero correre mentre la (...) le inseguiva terrorizzandole. Le vittime hanno riferito che sono terrorizzate dalle condotte della (...), che hanno provato più volte a richiamarla ad un contegno civile, sottolineando anche la paura in cui versano gli altri condomini, come confermato dalla deposizione resa dalla (...), di cui appresso si dirà. Del resto, la circostanza che le vittime abbiano paura della (...) trova conferma, oltre che nel racconto reso dalle stesse - da ritenersi pienamente credibile ed attendibile, coerente in ogni segmento narrativo, scevro da qualsivoglia contraddizione logica che ne mini la genuinità e confermato dagli ulteriori numerosi riscontri processuali - proprio dal fatto che la (...), costituitasi parte civile nel processo e presentatasi a testimoniare, non è poi più comparsa in dibattimento per il tramite del proprio difensore, così determinando consapevolmente la revoca tacita di costituzione di parte civile, con tutte le conseguenze processuali derivanti. Ciò conferma, da un lato, che la vittima ha estremo timore della (...), e che si è determinata in ragione di detto timore a rinunciare all'azione civile nel processo penale, pur avendo subito non soltanto danni morali a cagione delle condotte persecutorie dell'imputata, ma anche danni alla salute e materiali, scaturenti dalle lesioni subite a seguito del ferimento dell'11.5.2022, e, dall'altro, tale circostanza prova che le vittime non sono animate da qualsivoglia interesse economico, come invece prospettato in maniera infondata dalla difesa dell'imputata. E' dunque emerso che la (...), con condotte reiterate quotidiane protrattesi per ben quattro anni - per ciò che rileva nel presente procedimento - dal 2018 sino all'11.5.2022, ha molestato (...), (...) e (...), soggetto minorenne essendo nata l'1.9.2009, nipote della (...), tramite minacce di morte rivolte alla (...) del tipo: "Sei una puttana ... tua figlia e tua nipote faranno la stessa fine!!! ... Bastardi tuo marito è un ricchione ... vi ammazzerò tutti", tramite minacce rivolte alla bambina, (...): "ti devo uccidere ... il cimitero è pieno di bare bianche ... spiona ... farai la stessa fine di tua madre, la puttana", mediante condotte persecutorie come il cospargere di candeggina e nel graffiare con un coltello l'uscio della porta d'ingresso dell'abitazione della (...), nonché nel proferire all'indirizzo della (...) le espressioni minatorie del tipo: "M. dovete morire, brucerete, andrete all'inferno, bastardo ... sei una balorda puttana, tua figlia spaccia la droga ... ti devo uccidere", fino ai più gravi episodi, il primo avvenuto all'incirca nell'anno 2018 allorchè dopo aver inveito contro la (...), la (...) e la minore (...) gridando nei loro confronti che "avrebbero dovuto andarsene via", usciva dal portone di casa lanciando contro di loro della candeggina che macchiava i loro vestiti, per mero caso fortuito senza procurar loro lesioni, e l'ultimo più recente dell'11.5.2022 allorchè la (...) colpiva con un'arma da punta e taglio la suddetta (...), attingendola al braccio e procurandole una ferita lacero contusa con fuoriuscita di sangue giudicata guaribile in giorni 15, come risulta dal referto di pronto soccorso in atti, pienamente compatibile con il racconto reso dalla vittima, ferita, appunto, da un oggetto di punta e di taglio, a nulla rilevando l'eccezione difensiva secondo cui non sarebbe provata la sussistenza dell'aggravante dell'arma perché questa non è stata rinvenuta. Ben ha potuto l'imputata disfarsi del simil taglierino che ha utilizzato per tagliare il braccio alla vittima. L'istruttoria ha consentito di accertare che a mezzo di tali condotte delittuose la (...) ha cagionato alle vittime un perdurante e grave stato d'ansia e di paura, generando, altresì, nelle due donne e nella bambina un fondato timore per la propria incolumità e dei propri parenti, timore che ha raggiunto l'apice a seguito dell'episodio del ferimento della (...) con un oggetto da punta e taglio tipo un taglierino, inducendo le vittime a superare la paura di denunciare e, conseguentemente, rivolgersi alle forze dell'ordine. Non vi è alcun dubbio circa la veridicità di quanto dichiarato dalle vittime, anche alla luce del riscontro rappresentato dalla deposizione resa da altra condomina, tale (...), la quale ha candidamente dichiarato di aver acquistato l'appartamento sito al condominio di via M. 19 nell'anno 2021 poiché del tutto ignara della presenza della (...) e delle condotte persecutorie perpetrate dalla stessa nello stabile. La teste ha riferito che la (...) usava gridare e bestemmiare anche contro di lei e suo marito, contro le sue figlie ("vi devono fare a pezzi"), e persino contro i nipoti, che hanno paura a salire a casa della nonna. La (...), infatti, non si limitava ad ingiuriare la famiglia della (...) con frasi del tipo "marito drogato ... mongoloide", ma anche minacciandoli di morte con frasi del tipo: "tu devi morire ... a pezzi ti devono fare". La donna ha riferito che ha molta paura ad abitare in quel condominio a causa delle condotte minacciose ed aggressive della (...), che usava anche "buttare le piante in faccia", rompere il vetro del portone. La (...), in ragione della insostenibilità della situazione, ha riferito che più volte i condomini hanno interessato l'amministratore del condominio, che, però, non ha mai intrapreso alcuna iniziativa nei confronti della P.. Circostanza, questa, che conferma il clima di terrore in cui tutti i condomini, e persino l'amministratore del condominio, vivevano a causa delle condotte della (...) nello stabile. Quanto riferito dalla teste (...), oltre che dalla (...) ed (...) - che ne conferma ulteriormente l'attendibilità - è stato confermato dalle dichiarazioni testimoniali, acquisite agli atti, rese proprio dall'amministratore del condominio, tale (...), sentito il 3.8.2022, il quale ha ammesso che "alcuni condomini mi hanno segnalato dei problemi" con la (...) "sebbene io non l'abbia mai vista ... Mi hanno detto che spesso grida e che ha occupato il cortile che si trova all'interno del portone chiudendo il cancello di ingresso con una catena e impedendo al proprietario di accedervi. Qualche tempo fa mi ha chiamato la signora (...) dicendomi che la signora (...) aveva rotto il vetro del portone e che durante una discussione che aveva avuto per i rumori, le aveva tagliato un braccio. La signora mi ha raccontato che diverso tempo fa la (...) aveva dato degli schiaffi al figlio della signora (...), proprietaria di un appartamento sito al secondo piano del palazzo attualmente occupato da un inquilino. In merito ho sostituito il vetro del portone per evitare ulteriori conseguenze ma non ho potuto fare altro". Dal racconto reso dalla teste è emersa la ragione dell'acrimonia e dell'astio della (...) verso la sua famiglia, originata dal fatto che l'odierna imputata si era abusivamente impossessata di un cortile sito al pianterreno, di proprietà della nuora della (...), tale P.C., moglie di suo figlio, per farvi alloggiare una quindicina di gatti, cortile a cui impediva di accedere alla legittima proprietaria chiudendolo a chiave. Accadeva, dunque, che ogni qualvolta la (...) o il figlio chiedevano alla (...) di liberare il cortile, la donna dava in escandescenza ed iniziava ad ingiuriare e minacciare gli stessi. Stessa cosa accadeva quando gli altri condomini, compresa la (...) e la (...), sollecitavano la (...) a pulire quel cortile, da cui giungeva un odore nauseabondo per le defezioni dei gatti, richieste a cui seguivano le solite minacce ed aggressioni da parte dell'imputata. Da quanto riferito dalla (...) è emerso che tante volte la stessa si è interfacciata con il figlio della (...), "(...)" M., chiedendogli di intervenire per placare le condotte aggressive e persecutorie della madre, che questi la rassicurava che avrebbe parlato con sua madre, che a seguito di ciò la (...) "stava tranquilla due o tre giorni" per poi riprendere nuovamente a perseguitare le vittime. Tali evidenze processuali mostrano che la (...), al di là della circostanza che abbia potuto accrescere in alcune occasioni i propri comportamenti aggressivi a seguito dell'assunzione di alcool - avendo la teste (...) riferito di averla spesso vista bere cartoni di vino tipo "(...)" - era pienamente lucida e cosciente di agire, nonché di perseguitare ed aggredire le proprie vittime, da ella odiate perché ree, ai suoi occhi, di intralciarla nella gestione del cortile con i gatti, che occupava peraltro abusivamente, avendolo reso una discarica maleodorante perché non puliva regolarmente le defezioni dei felini. Il movente della condotta delittuosa della (...) trova conferma persino in quanto dichiarato dal teste della difesa, (...), che ha dichiarato espressamente che la (...) si lamentava di subire "pressioni dai condomini per la gestione del cortile". Stessa aggressività è stata destinata alla famiglia della (...) - che peraltro nella vicenda non compare quale parte offesa - ma che conferma ancora una volta che l'astio della (...) si indirizzava non nei confronti di persone a caso, ma verso, nel caso di specie, i proprietari del cortile che ella aveva occupato e che si rifiutava di rilasciare. Non vi sono dubbi circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), la quale, in occasione dell'interrogatorio di garanzia reso dinanzi al G.i.p., ha mostrato di rispondere con estrema lucidità ad ogni singola domanda postale nell'occasione. Lo stesso difensore di fiducia, che pure nel corso della prima udienza aveva richiesto disporsi perizia psichiatrica nei confronti dell'imputata (richiesta rigettata con ordinanza motivata), ha al contrario, nel corso della discussione, sottolineato in più passaggi la piena lucidità dell'imputata in tutto il suo percorso di vita ("questa non è la vecchia pazza alcolizzata, questa è una persona che ha superato delle prove della vita in maniera così entusiasmante da lasciarci stupiti", a cui per anni sono stati affidati dei bambini dal pastore evangelico, "è profondamente religiosa", "va a fare volontariato per quelli che stanno peggio di lei!" e così via, cfr. verbale stenotipico del 30.1,2023), Del resto, a fugare ogni dubbio - qualora per assurdo ce ne fosse bisogno - circa la piena coscienza e volontà di agire della (...), soccorrono proprio le deposizioni rese dai testimoni della difesa, a partire dal c.d. "pastore evangelico" (...), che ha riferito di conoscere da moltissimi anni l'imputata e che questa, proprio in ragione di una sua presunta "empatia" era stata scelta tante volte, sino ai tempi più recenti quando non aveva l'autovettura per recarsi in chiesa ed egli la andava a prendere da casa, per svolgere il ruolo di "responsabile" di gruppi di bambini fino all'età di circa 11 anni. Anche i testi (...) e (...) hanno riferito che la (...), durante la pandemia, negli anni 2020 e 2021, ha collaborato più volte con loro e con il figlio a consegnare alimenti alle famiglie bisognose, riferendo anche che la (...) preparava per loro delle marmellate e pietanze. E' evidente che una donna che per lunghi anni è stata persino designata, dal gruppo evangelico a cui apparteneva, per gestire, quale responsabile, gruppi domenicali di bambini della c.d. "parrocchia", era pienamente in grado di svolgere tale compito, così come quello di dedicarsi al volontariato, per poi, dall'altro lato, rivolgere tutto il proprio odio e crudeltà nei confronti, fra le altre, di una povera bambina, (...), rea soltanto di essere nipote di una condomina sgradita alla (...), per le ragioni sopra descritte. Una bambina che a causa delle condotte persecutorie dell'odierna imputata e delle reiterate minacce di morte rivolte ad ella e alla propria famiglia, ha subito dei gravi danni psicologici, come provato all'evidenza dall'audizione protetta della minore e dalla relazione della psicologa, dott.ssa (...), psicoioga dell'Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari - centro G.I.A.D.A., in atti, ove si dà atto che la bambina inizia ad agitarsi appena vede "(...)" (ossia (...)), che la (...) la minaccia di morte quando si affaccia alla finestra, che lei ha paura e che le vengono le palpitazioni, che queste condotte avvengono tutti i giorni "sebbene da qualche giorno, da quando è stata denunciata, sembra che si sia calmata" (cfr. verbale di s.i.t. del 4.8.2022). Tale circostanza conferma ancora una volta la premeditazione di ogni condotta perpetrata dall'imputata, che ha desistito da ulteriori minacce ed aggressioni a seguito delle querele sporte dalle vittime. La bambina ha confermato integralmente gli episodi descritti dalla (...) e dalla (...), ha riferito di essere rimasta impressionata da quando la (...) ha gettato l'acido addosso ad un bambino ed ella era presente all'episodio, così come quando ha visto il sangue al braccio della vicina di casa. Ha riferito "di aver paura che la (...) possa uscire con qualche oggetto e colpirla", ha riferito di aver paura "quando entra nel portone. Quando è fuori no. Infatti aspetta sempre che qualcuno entri in casa prima di lei e solo dopo sale al piano, per assicurarsi che non ci sia la (...)". La minore, a domanda se avesse mai visto la (...) con armi od oggetti atti ad offendere, ha risposto negativamente, "sebbene nel vicinato qualcuno dica che lei vada in giro con questi oggetti". Ciò prova che la minore non è per niente influenzabile da altri - come invece infondatamente prospettato dal difensore - e che, al contrario, ha la capacità di discemere quanto da ella personalmente visto e percepito rispetto a quanto riferito da altri e da ella non conosciuto. Quanto riferito dalla minore è da ritenersi assolutamente credibile, avendo anche la dott.ssa (...) accertato "congruenza tra il riferito verbale e le emozioni esperite" e "i livelli di attenzione e concentrazione sono apparsi sufficientemente adeguati" (cfr. relazione in atti del 9.8.2022). L'istruttoria ha provato, pertanto, senza dubbio che la (...) ha premeditato ogni singola condotta persecutoria e aggressiva perpetrata ai danni delle vittime, mostrando un disegno criminoso ben preciso, sopra descritto. In tema di vaglio dell'attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese dal reato, le stesse possono essere assunte, anche da sole, come fonte di prova, ove siano sottoposte a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente riscontri esterni ove non sussistano situazioni che inducano a dubitare della loro attendibilità. La costante giurisprudenza ha affermato il principio che, pur non applicandosi alle dichiarazioni della persona offesa le regole di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p. (che postulano la presenza di riscontri esterni), occorre pur sempre, in considerazione dell'interesse di cui la parte lesa è portatrice, una rigorosa valutazione ai fini del controllo di attendibilità rispetto al generico vaglio cui vanno sottoposte le dichiarazioni di ogni testimone Cassazione penale, sez. V, 11102/2016, (ud. 11102/2016, dep.28/06/2016), n. 26878. Come sopra argomentato, le deposizioni rese dai testi devono ritenersi pienamente credibili ed attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente, collimanti fra loro, coerenti in ogni segmento narrativo e corroborate dai riscontri rappresentati dal referto di pronto soccorso in atti, la cui diagnosi è perfettamente compatibile con il racconto reso dalla vittima e dalla teste oculare (...), oltre che dalle altre evidenze processuali sopra descritte, quali l'annotazione redatta dalla Volante Libertà turno 19/24 dell'11.5.2022, che rappresenta un ulteriore riscontro rispetto alla dinamica dei fatti narrati dalle vittime. Al riguardo, del tutto priva di pregio giuridico si palesa l'argomentazione difensiva volta a minare l'attendibilità delle persone offese perché le stesse hanno riferito, su domanda del difensore, di aver contattato i servizi sociali in relazione alla situazione venutasi a creare con (...), ed invece ciò sarebbe stato smentito da una nota del Comune di Bari depositata in giudizio dal difensore all'udienza del 16.1.2023. Orbene, in disparte la circostanza che le vittime, non avendo peraltro alcun rapporto di parentela con la (...), non avevano alcun obbligo o onere di allertare i servizi sociali, e che tale circostanza si pone come assolutamente irrilevante nel caso di specie rispetto alle condotte in contestazione, occorre sottolineare che quanto dichiarato nella detta nota non esclude che in via informale la (...) o la (...) o pure altri condomini (avendo persino la teste (...) confermato di essere a conoscenza che fossero stati contattati i servizi sociali) abbiano negli anni contattato i detti servizi, limitandosi la nota a spiegare che l'apertura formale di una pratica di "presa in carico" non può prescindere dalla richiesta che provenga in prima persona dal soggetto interessato "che specifichi i motivi per cui richiede un intervento/progetto da parte dei Servizi Sociali". La condotta dell'imputata integra pertanto i delitti ascritti di cui ai capi A) (art. 612 bis co. 3 c.p. con l'aggravante di aver agito in danno di una minore); B) (artt. 61 n. 2 e 635 co. 1 c.p. per aver, al fine di eseguire il delitto di cui al capo A), danneggiato l'uscio della porta dell'abitazione della (...) cospargendola con della candeggina e graffiandola con un coltello), e capo C) (artt. 61 n. 2, 582 e 585 c.p. per aver procurato lesioni personali alla (...) al fine di eseguire il delitto di cui al capo A). I detti reati, come sopra argomentato, sono avvinti dal vincolo della continuazione, poiché espressione del medesimo disegno criminoso. Quanto all'eccezione difensiva secondo cui la querela sporta dalle vittime sarebbe "tardiva" con riguardo al reato di danneggiamento di cui al capo B), la stessa è infondata, stante la procedibilità d'ufficio rispetto al detto reato, commesso prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022, e del resto contestato in continuazione rispetto ad altro delitto perseguibile d'ufficio (capo A) poiché commesso anche in danno di minore. I reati risultano perfezionati in tutti gli elementi essenziali, dalla condotta tipica sino all'elemento psicologico, rappresentato dalla piena coscienza e volontà di agire, per le ragioni sopra argomentate. In particolare, riguardo al delitto di atti persecutori, lo stesso, come noto, configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (Cass. Pen., Sez. V, 12.2.2020, n. 16977). La condotta tipica del delitto di cui all'art. 612 bis c.p.c. consiste nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612) o molesti (art. 660) tali da determinare nella vittima "un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita". Il delitto è dunque costruito secondo lo schema del reato di evento (Cass. n. 9222/2015) che si caratterizza per la produzione di un evento di "danno" consistente nell'alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di "pericolo", consistente nel fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva. Si tratta di reato a fattispecie alternative, ciascuna delle quali è idonea ad integrarlo (Cass. V, n. 34015/2010; Cass. V, n. 2987/2011; Cass. III, n. 23485/2014; Cass. III,n. 9222/2015). La prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Cass. Pen., Sez. VI, n. 50746/2014). Sul perdurante e grave stato di ansia e di paura la Suprema Corte ritiene integrato detto evento anche in assenza di prova della causazione di una patologia nella vittima. Ha infatti affermato che la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante (Cass. V, n. 8832/2011; Cass. V, n. 24135/2012; Cass. VI, n. 50746/2014; Cass. VI, n. 20038/2014). Ciò che, come ampiamente descritto, è avvenuto nel caso di specie, ove le minacce e le aggressioni perpetrate quotidianamente dalla (...) ai danni delle vittime, non potevano non cagionare alle vittime un perdurante stato di ansia, di angoscia e di paura, realizzandosi proprio all'interno dello stesso condominio ove vivevano le persone offese, che potevano sentirsi al sicuro soltanto una volta varcata la porta di casa, come candidamente riferito dalla minore, (...), la quale ha espresso il proprio terrore pensando alla (...), che aveva tagliato il braccio alla vicina di casa e gettato l'acido persino contro un bambino che era con la (...), costretta ad affidare il piccolo alla (...) che si mise a correre nell'occasione mentre la (...) la rincorreva. La stessa Corte costituzionale (Corte Cost. n. 172 del 2014), nel rigettare una questione di legittimità costituzionale per presunta indeterminatezza della fattispecie ha affermato che quanto al "perdurante e grave stato di ansia e di paura" e al "fondato timore per l'incolumità", trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima. Ha altresì affermato, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che la prova dello stato di ansia e di paura può e deve essere ancorata ad elementi sintomatici che rivelino un reale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente, nonché dalle condizioni soggettive della vittima, purché note all'agente, e come tali necessariamente rientranti nell'oggetto del dolo. L'aggettivazione, inoltre, in termini di "grave e perdurante" stato di ansia o di paura e di "fondato" timore per l'incolumità, vale a circoscrivere ulteriormente l'area dell'incriminazione, in modo che siano doverosamente ritenute irrilevanti ansie di scarso momento, sia in ordine alla loro durata sia in ordine alla loro incidenza sul soggetto passivo, nonché timori immaginari o del tutto fantasiosi della vittima. Quanto al fondato timore per la propria incolumità e dei propri congiunti, si è sottolineato che non è richiesto l'accertamento di uno stato patologico ingenerato nella vittima dalla condotta dell'agente, ben potendo il Giudice fare ricorso alle massime di esperienza. La giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, n. 24021/2014) ha affermato che quanto al cambiamento delle abitudini di vita, ciò che rileva non è la valutazione quantitativa, ad esempio in termini orari, di tale variazione, ma il significato e le conseguenze emotive di una condotta alla quale la vittima sente di essere stata costretta, sottolineando che "il fatto poi che lo stalking sia reato di evento e non di pura condotta nulla ha a che vedere con il fatto che, nella maggior parte dei casi, la prova debba essere dedotta dalle parole della stessa vittima. Invero, è principio elementare quello in base al quale un fatto non va confuso con la sua prova. D'altra parte, non pochi sono i delitti con riferimento ai quali, in genere, l'unica prova consiste nelle dichiarazioni della persona offesa (si pensi, ad esempio, a tutti i reati a sfondo sessuale). Ciò che dunque rileva è la attendibilità della persona offesa e la credibilità del suo racconto". Il delitto è punibile a titolo di dolo generico ed è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza della idoneità delle medesime alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice. Trattandosi di reato abituale di evento, il dolo è da ritenersi senz'altro unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica; ma ciò non significa affatto che l'agente debba rappresentarsi e volere fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi, ben potendo il dolo realizzarsi in modo graduale e avere ad oggetto la continuità nel complesso delle singole parti della condotta. (Cass. Pen., Sez. V, n. 18999/2014; Cass. Pen., Sez. V, n. 20993/2013). Nel caso di specie, le emergenze processuali, come sopra ampiamente descritte, hanno evidenziato che la (...) ha posto in essere gravi atti persecutori ai danni delle vittime, durante un arco temporale durato - per ciò che rileva ai fini del presente procedimento - quattro anni, con condotte reiterate ed abituali, connotate da inaudita violenza e crudeltà, rivolta persino contro una bambina in tenera età. Come detto, per la sussistenza del delitto di atti persecutori la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (così Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.1923). Nel caso che qui impegna, la prova dell'evento del delitto, rappresentato dalla causazione di uno stato di vero e proprio terrore nelle vittime, si desume agevolmente sia dalle parole stesse delle vittime, che dai riscontri degli altri testi circa l'esistenza di una situazione condominiale insostenibile a causa delle condotte persecutorie e violente della (...), che anche dalla circostanza che la (...), costituitasi parte civile nel processo, abbia poi deciso di rinunciarvi non presentandosi nel prosieguo del giudizio, per il tramite del difensore, facendo così decadere l'azione civile nel processo. Valutati gli indici di cui all'art. 133 c.p., si stima equo quantificare la pena-base, in relazione al delitto più grave di cui al capo A), in anni due e mesi sei di reclusione. Si è partiti dalla pena-base prevista dal primo comma dell'art. 612 bis c.p., per aver riconosciuto - soltanto in ragione dell'atteggiamento processuale collaborativo assunto dall'imputata tramite l'acquisizione di alcuni atti di indagine - le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante di cui al comma terzo dell'art. 612 bis cit. A detta determinazione si perviene valutando la gravità del fatto e l'intensità del dolo che ha guidato la condotta della (...), alla luce delle concrete modalità dell'azione e considerando che le condotte persecutorie dell'imputata, protrattesi per ben quattro anni con cadenza quotidiana e modalità gravi, sono state perpetrate ai danni di ben tre vittime, fra cui una bambina in tenera età che ha subìto certamente dei gravi danni psicologici e traumi a causa delle dette condotte. Le dette condotte hanno evidenziato una pericolosa spinta criminogena della (...), a dispetto dello stato di incensuratezza della donna, che pure è stato valutato nella dosimetria della pena e ai fini del contenimento della stessa entro il limite sopra indicato. A titolo di continuazione con i reati-satellite di cui ai capi B) e C) si stima un aumento di pena pari a mesi due per il reato di danneggiamento e di mesi quattro per il reato di lesioni, in ragione della gravità dei fatti ascritti. Conseguentemente, la pena finale da irrogare alla (...) si attesta in anni tre di reclusione. Quanto alla richiesta, avanzata dal (...), di applicazione, a pena espiata, della misura di sicurezza facoltativa della libertà vigilata ex art. 229 co. 1 n. 1 c.p., la stessa va rigettata in quanto, pur essendo stata accertata in concreto la pericolosità sociale della (...), la misura non si ritiene utile considerata l'avanzata età dell'imputata. Infine, quanto alla richiesta, avanzata dal difensore durante la discussione e prima della lettura del dispositivo, di applicazione delle sanzioni sostitutive, la stessa richiesta è tamquam non esset, atteso che secondo il chiaro disposto di cui all'art. 545 bis c.p.p., quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, "subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti". Nel caso di specie, dopo la lettura del dispositivo di condanna, a cui era presente, come risulta dal verbale di udienza, sia il difensore di fiducia che l'imputata, nessuna richiesta in tal senso è stata avanzata, né del resto ricorrevano le condizioni per sostituire la pena detentiva, valutati i parametri di cui all'art. 133 c.p. All'affermazione della responsabilità penale dell'imputata consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 544, comma 2, c.p.p., si indica il termine di giorni quindici per il deposito dei motivi. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole dei reati ascritti, riuniti per continuazione e, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, la condanna alla pena di anni tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Termine di giorni quindici per il deposito della motivazione. Così deciso in Bari il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Monocratico Dott. Michele Parisi presso il TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE con la presenza del P.M. Maria Teresa Mondin (VPO) con l'assistenza del Funzionario Maria Colonna ha pronunciato, con lettura del solo dispositivo, la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), nato l'(...) a B., residente in via F. n. 66/C, (...) (B.), elettivamente domiciliato presso lo studio del suo difensore, detenuto per altra causa, presente. Difeso di fiducia dall'avv. Ca.Di. del foro di Bari, con studio in via (...), Bari, presente. IMPUTATO Dei seguenti reati: art. 385 c.p. perché essendo sottoposto alla misura degli arresti domiciliari presso la C. Coop Soc. C. di T. in virtù dell'ordinanza 2526/22 della Corte d'Appello di Bari, se ne allontanava ed infatti veniva sorpreso in via (...) in Triggiano. Recidiva infraquinquennale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il 26 novembre 2022 il pubblico ministero ha disposto la presentazione di (...) al dibattimento per la convalida dell'arresto e per il giudizio direttissimo. È stato convalidato l'arresto in quanto legittimamente eseguito dai Carabinieri e, non avendo il pubblico ministero chiesto l'applicazione di alcuna misura cautelare, è stata ordinata l'immediata rimessione in libertà dell'imputato. li pubblico ministero ha proceduto alla correzione dei capo d'imputazione con riferimento al locus commissi delicti; dal momento che il reato è stato commesso a Triggiano e non a Bari. L'imputato, personalmente e oralmente, ha chiesto procedersi con rito abbreviato. È stato ammesso il rito abbreviato e, su richiesta della difesa, il processo è stato rinviato per la discussione, con sospensione dei termini di prescrizione. II 13 dicembre 2022, preso atto della mancata traduzione dell'Imputato, detenuto per altra causa, il processo è stato rinviato per la discussione dell'abbreviato. Il 17 gennaio 2023, su istanza del difensore dell'imputato, il quale ha rappresentato un concomitante impegno professionale, il processo è stato rinviato con sospensione dei termini di prescrizione. Il 31 gennaio 2023 le parti hanno discusso l'abbreviato, concludendo come da verbale, e il processo è stato definito con la presente sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE 1 - Le acquisizioni processuali impongono l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato in relazione al reato a lui ascritto. 2 - Dalla c.n.r. in atti, e in particolare dal verbale d'arresto, redatti dai Carabinieri della Compagnia di Triggiano, risulta che alle ore 18.00 del 25 novembre 2022 la centrale operativa aveva comunicato ai verbalizzanti che un operatore della comunità C. Coop. Soc. di Triggiano aveva segnalato l'allontanamento di (...), sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari presso la suddetta struttura in virtù dell'ordinanza n. 2526/22 della Corte d'Appello di Bari. I carabinieri, pertanto, si erano attivati per cercare l'imputato perlustrando le vie limitrofe alla comunità e l'avevano notato e riconosciuto in via A. V., in T., alle ore 18.30, bloccandolo in prossimità del portone di accesso della struttura e arrestandolo. L'assistente sociale della comunità, (...), sentita a sommarie informazioni in data 25 novembre 2022, ha riferito che quel pomeriggio l'imputato, alle ore 17.55 circa, le aveva comunicato che si stava allontanando dalla struttura, proferendo la frase "Io esco"; che aveva provato a farlo desistere ma egli era uscito dalla porta di emergenza; che quindi aveva subito allertato i carabinieri, informandoli dell'accaduto e fornendo una descrizione degli abiti indossati dal (...) e della strada imboccata dallo stesso. Inoltre la stessa ha riferito che l'imputato, fin dal suo arrivo in struttura, aveva comunicato il suo malessere e la sua volontà di non restare in comunità, dichiarazioni che il (...) ha reso anche ai Carabinieri al momento dell'arresto. 3 - La ricostruzione effettuata dai Carabinieri della Compagnia di Triggiano è precisa e coerente, ed è supportata dalle dichiarazioni della (...) - utilizzabili ai fini della decisione in quanto acquisite al fascicolo del dibattimento con la richiesta e ammissione del rito abbreviato. L'imputato, infatti, è stato trovato in via A. V., a T., zona limitrofa alla comunità presso la quale era ristretto in regime di arresti domiciliari e dalla quale si era allontanato poco prima, nello stesso pomeriggio. Il (...) è stato immediatamente riconosciuto dai militari, "senza ombra di dubbio", anche in virtù delle informazioni fornite dall'operatrice della struttura e del fatto che si trovava in prossimità del portone d'accesso della struttura. Non sono stati addotti dall'imputato elementi che militino in senso a lui favorevole né spiegazioni che giustifichino la sua condotta. 4 - La condotta del (...), pertanto, integra il reato di evasione, previsto all'art. 385 c.p., che punisce "chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade". Il reato in questione, inserito nel capo dei delitti contro l'autorità delle decisioni giudiziarie, tutela l'interesse al rispetto delle restrizioni della libertà personale legittimamente disposte. Ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del reato di evasione è necessario e sufficiente qualsiasi allontanamento non autorizzato dal luogo in cui l'imputato è ristretto per un reato, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la sua durata o la distanza dello spostamento, come pacificamente affermato dalla Suprema Corte (Sez. 6, n. 28118 del 09/06/2015, dep. 02/07/2015, Rv. 263977 - 0). Nel caso di specie il (...), ristretto in regime di arresti domiciliari presso la C. Coop Soc. C. di T., si è allontanato dalla stessa, venendo sorpreso dai carabinieri nelle vicinanze della struttura, a distanza di circa trenta minuti. Per quanto attiene all'elemento psicologico, nel reato di evasione il dolo è generico e consiste nella consapevole e volontaria violazione del divieto di lasciare il luogo di esecuzione della misura senza la prescritta autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la condotta dell'agente (Cass., Sez. 6, n. 10425 del 06/03/2012, dep. 16/03/2012, Rv. 252288 - 0). Pertanto nel caso in esame a nulla rileva il motivo che ha spinto il (...) ad allontanarsi dalla struttura, quale potrebbe essere il suo malessere rispetto alla permanenza presso la comunità, dal momento che era pienamente consapevole del divieto cui era sottoposto nonché del tentativo posto in essere dall'assistente sociale, la quale ha provato a farlo desistere dal proposito criminoso. Né la circostanza di essere stato sorpreso nei pressi della struttura, cui presumibilmente stava facendo rientro, può essere valutata ai sensi dell'attenuante prevista dal quarto comma dell'art. 385 c.p., per la cui configurabilità non è richiesto soltanto che la persona evasa dalla detenzione domiciliare rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura da cui si era temporaneamente allontanata - dato che, peraltro, nel caso di specie sarebbe meramente presunto -, essendo indispensabile che la stessa si presenti presso un istituto carcerario o si consegni ad un'autorità che abbia l'obbligo di tradurla in carcere (Cass., Sez. 6, n. 1560 del 27/10/2020, dep. 14/01/2021, Rv. 280479 - 0). 5 - Non può essere esclusa la punibilità dell'imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis c.p., in considerazione delle concrete modalità della condotta, e, in particolare, dell'apprezzabile lasso di tempo nel quale lo stesso risulta essersi allontanato dalla struttura (circa trenta minuti), nonché del comportamento susseguente tenuto da (...), che è nuovamente evaso in data 28 novembre 2022, venendo rintracciato e arrestato dai Carabinieri solo a distanza di un mese, il 28 dicembre 2022. La condotta posta in essere dall'imputato ha infatti frustrato le esigenze cautelari in ragione delle quali era stato ristretto in regime di arresti domiciliari e conseguentemente impedito il controllo da parte delle autorità, interesse giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Di tal che il comportamento di evasione risulta abituale e l'offesa non di particolare tenuità. Invero, la Corte di Cassazione in un suo recente arresto ha affermato che "la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. bis cod. pen., è applicabile al reato di evasione, a condizione che la fattispecie concreta, all'esito di una valutazione congiunta degli indicatori afferenti alla condotta, al danno e alla colpevolezza, risulti caratterizzata da un'offensività minima (Sez. 6, n. 35195 del 03/05/2022. Il principio è stato affermato con riguardo alla fattispecie relativa ad episodica violazione del permesso di uscita, per essersi l'imputato allontanato dalla abitazione ove era sottoposto a detenzione domiciliare in orario diverso da quello autorizzato). 6 - In ragione della durata dell'evasione e del contegno successivo al reato, ma valutando anche in senso favorevole il dichiarato disagio, si stima la pena nella misura di anni uno di reclusione. La pena così fissata deve essere aumentata nella misura ritenuta congrua di mesi quattro di reclusione per la contestata recidiva infraquinquennale. Il contegno assunto, per le specifiche connotazioni che lo contraddistinguono, si appalesa espressione di una radicata inclinazione a delinquere (tenuto conto anche della dichiarazione della volontà di evadere fatta a uno degli operatori prima dell'allontanamento) alla luce del precedente penale annoverato. Invero, risulta aver riportato una condanna per detenzione illecita di sostanze stupefacenti alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre alla multa (sentenza divenuta irrevocabile il 16.10.2020). Ebbene, la misura della condanna riportata e la brevità del lasso temporale fra l'irrevocabilità di questa e il fatto per cui si procede sono indici sintomatici della insensibilità al rispetto penale nonostante la sicura e intensa controspinta a delinquere spiegata dalla richiamata sentenza, di tal che si fonda il riconoscimento della contestata recidiva infraquinquennale. Ai sensi dell'art. 442, comma 2, c.p.p. la pena deve essere ridotta di un terzo per effetto della scelta del rito abbreviato, venendo così rideterminata nella misura finale di mesi dieci e giorni venti di reclusione. Per le ragioni precedentemente esposte, e in particolare per il lasso di tempo dell'evasione e per il comportamento dell'imputato successivo al reato, e cioè l'essersi reso irreperibile dal 28 novembre 2022 al 28 dicembre 2022, non possono essere riconosciute le attenuanti generiche né può essere concessa la sospensione condizionale della pena, dal momento che la richiamata insensibilità al precetto penale osta platealmente a una prognosi positiva sulla futura astensione dal commettere altri reati. Ai sensi dell'art. 535 c.p.p., all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato segue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Visti gli artt. 442, 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascritto e, con la contestata recidiva e applicata la riduzione per il rito, lo condanna alla pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Termine di giorni trenta per il deposito della motivazione. Così deciso in Bari il 31 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE DI BARI PRIMA SEZIONE PENALE Dott. Giovanni Abbattista con la presenza del P.M., V.P.O. avv. Or.Ro. e con l'assistenza del Cancelliere, dr.ssa Ad.Bi. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro (...), nato in E., il (...) con DOMICILIO ELETTO in Bari alla via Calefati n. 266 presso lo studio legale dell'Avv. Ca.Al. -assente; assistito e difeso, d'ufficio, dall'Avv. Ca.Al. del Foro di Bari - presente IMPUTATO per il reato di cui all'art. 337 c.p. - perché usava violenza, consistita nell'aver strattonato e spinto il Caporale Caporale Maggiore Scelto (...) dell'esercito Italiano, addetto al servigio di vigilanza, del perimetro del (...) di (...), per opporsi al suddetto pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio mentre cercava di condurre il (...) all'interno degli uffici del (...) all'interno del quale si era introdotto illegalmente. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con proprio decreto dell'8.3.2022, il Pubblico Ministero in sede disponeva la citazione in giudizio di (...) innanzi al Tribunale di Bari in composizione monocratica, per rispondere del reato ascrittogli, come meglio descritto in epigrafe Nell'udienza odierna, il Giudice, in via preliminare, invitata il P.M. a emendare ilo refuso contenuto nel capo di imputazione con riferimento al tempus commissi delicti. Il P.M. così disponeva la rettifica "In Bari, il 13.6.2020". Il difensore, subito dopo, chiedeva di definirsi il processo allo stato degli atti; il P.M. prestava il consenso e versava il proprio fascicolo, sicché, sentite le parti, il Giudice decideva come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato. Gli elementi a carico dell'odierno prevenuto si evincono plasticamente dalla C.N.R. redatta in data 13.6.2020 dal personale della Polizia Giudiziaria-Stazione Carabinieri di Bari Santo Spirito, dalla quale emerge quanto segue: "Alle ore 20,00 circa odierne, nel corso di un servizio di vigilanza nel Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo sito in Bari Palese via (...) all'interno dell'aeroporto militare, i militari dell'Esercito Italiano Caporale Caporale Maggiore Scelto (...) e Caporale Maggiore (...) in forza all'82 Reggimento Fanteria Torino con sede in Barletta, durante un servizio di perlustrazione lungo il muro di cinta dell'area in cui è dislocato il centro di accoglienza, sorprendevano un extracomunitario il quale incurante dell'invito rivoltogli a non scavalcare, saltava la rete di recinzione guadagnando l'ingresso della struttura. I militari prontamente lo raggiungevano (chiedendo) spiegazioni sulle sue azioni e di risposta lo straniero riferiva che era entrato per prendere una cosa. A quel punto i militari tentavano di portarlo presso gli uffici dei Coordinatori ma il soggetto opponeva resistenza e dopo essersi avvicinato con aria di sfida veniva allontanato da uno dei militari che gli intimava di mantenere la distanza. A quel punto il soggetto strattonava e spingeva il Caporale Caporale Maggiore Scelto (...) guadagnando la fuga. Allertati altri militari del medesimo Reggimento, costoro allertavano gli scriventi APS CAPOCCHIANO A. e Car. S.A. impiegati in servizio di Ordine Pubblico all'interno della struttura, ed unitamente ai medesimi militari ci portavamo presso il modulo 26 all'interno del quale il fuggitivo era stato visto entrare dagli stessi militari che lo avevano sorpreso mentre guadagnava l'ingresso nella struttura e che nel frattempo lo avevano seguito. Una volta bloccato, il soggetto dichiarava di comprendere e di parlare abbastanza bene la lingua italiana quindi riferiva di essere senza ID CARD o altri documenti che potessero attestare la sua identità ed escusso in relazione alla identificazione asseriva chiamarsi (...) di (...) nato in E. il (...) come da verbale di ricezione di dichiarazioni utili alla identificazione che si allega al presente verbale per costituire parte integrante. Terminate tali formalità, l'individuo veniva accompagnato presso gli uffici della Compagnia CC. di Bari S. Paolo dove a seguito di fotosegnalamento, ottenuti i riscontri AFIS si accertava che lo stesso era stato già fotosegnalato sotto altro nome (alias) come di seguito indicato: A.S.I..(...). Ultimate le formalità relative al fotosegnalamento, il rubricato in oggetto veniva accompagnato presso questi uffici dove veniva dichiarato in stato di arresto poiché responsabile dei reati in rubrica ascrittigli (resistenza a P.U).- ". Gli elementi oggettivi sin qui rappresentati consentono ragionevolmente di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale dell'imputato in ordine alla commissione del reato ascrittogli in imputazione. Ed infatti, ai fini della configurabilità del delitto di cui all'art. 337 c.p., l'elemento oggettivo del reato risulta tipizzato sia sul piano modale, che sul piano teleologico, essendo sanzionata ogni condotta diretta a conseguire lo scopo oppositivo indicato dalla disposizione attraverso l'uso di violenza o minaccia nei confronti di pubblico servizio agente nell'esercizio delle proprie finizioni. I suddetti elementi fattuali rilevano nella loro idoneità a impedire o a turbare la libertà di azione del soggetto passivo. In particolare, la giurisprudenza ha specificato che la condotta realizzata deve costituire un impedimento concreto per l'esercizio del pubblico ufficio, con sviamento delle finalità previste normativamente ovvero di turbamento del buon andamento, frustando in particolare la continuità dell'attività della pubblica amministrazione (cfr. Cass., sez. VI, n. 9396/'94). Quindi, è tale qualsivoglia attività omissiva o commissiva che si traduca in atteggiamento, anche talora implicito, purché percepibile ex adverso, che impedisca, intralci, valga a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell'atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio e ciò indipendentemente dal fatto che l'atto d'ufficio possa comunque essere eseguito (cfr. Cass., sez. VI, n. 8667/99). E', peraltro, noto l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, già in epoca anteriore all'entrata in vigore della L. n. 205 del 1999, che, all'epoca, pur senza attuare una generalizzata abolitio criminis, abrogò l'art. 341 c.p., relativo al reato di oltraggio a pubblico ufficiale - poi ripristinato ad opera dell'art. 1, co. VIII, della L. n. 94 del 2009, che ha introdotto nel tessuto codicistico l'art. 341 bis c.p. -, nel caso di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, se la violenza o minaccia precede il compimento dell'atto del pubblico ufficiale si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 c.p. (violenza o minaccia a pubblico ufficiale; cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, n. 5545/2016; Cass., sez. VI, n. 10878/2010), se è usata durante il compimento dell'atto di ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'art. 337 c.p. (cfr. Cass., Sez. Un., n. 40981/2018; cfr., altresì, Cass., sez. VI, n. 9396/94), se è usata a causa di un atto già compiuto si ha oltraggio aggravato ai sensi dell'(allora vigente) art. 341 ult. parte, c.p., quando il fatto è lesivo dell'onore e del prestigio del pubblico ufficiale (cfr., ex plurimis, Cass., c.c. 19.4.83, in Riv. pen., 1984,128). Risultano, pertanto, integrati gli estremi del delitto ex art. 337 c.p., essendo stata posta in essere la condotta di resistenza, mediante violenza, da parte dell'agente mentre i pubblici ufficiali operanti procedevano ad un atto di ufficio, vale a dire la sua identificazione. La leale condotta processuale del reo, lo stato di pregressa incensuratezza, nonché l'esigenza di adeguare l'intervento sanzionatorio al concreto disvalore del fatto, inducono il giudicante a riconoscere il predetto meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p.. In applicazione dell'art. 133 c.p. - l'intensità del dolo e il disvalore della condotta non consentono al giudicante di attestarsi sui minimi edittali - (...) deve essere, pertanto, condannato alla pena di giustizia di mesi sei di reclusione. Detta pena deve intendersi così calcolata: pena base, mesi nove di reclusione; diminuita ex art. 62-bis c.p.: mesi sei di reclusione. Ai sensi dell'art. 535 c.p.p., l'imputato deve essere, infine, condannato al pagamento delle spese processuali. La leale condotta processuale del prevenuto induce a ritenere che il predetto si asterrà da future condotte criminogene recidivanti. Deve essere, pertanto, concesso in favore dell'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. Il carico di udienza non consente la redazione di motivazione contestuale. Deve, pertanto, fissarsi, a norma dell'art. 544, co. III, c.p.p., il termine di giorni sessanta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533 ss. c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli in imputazione e, riconosciuta l'operatività delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., condanna, per l'effetto, il medesimo alla pena di giustizia di mesi sei di reclusione. Visto l'art. 535 c.p.p., condanna, altresì, il prevenuto al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 163 c.p., dispone la sospensione condizionale della pena. Visto l'art. 544, co. III, c.p.p., fissa il termine di giorni sessanta per il deposito della sentenza. Così deciso in Bari il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Bari, prima Sezione civile, in composizione collegiale, nelle persone dei Giudici: 1. Dott. Saverio Umberto DE SIMONE - Presidente 2. Dott.ssa Cristina FASANO - Giudice rel. 3. Dott.ssa Rosella NOCERA - Giudice ha pronunciato, con l'intervento del P.M., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile iscritta nel Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi per l'anno 2017 sotto il numero d'ordine 7588, avente per oggetto: separazione giudiziale dei coniugi tra (...) ((...)) rappresentata e difesa dall'Avv. (...), in virtù di mandato a margine del ricorso introduttivo, presso il cui studio in Santeramo in Colle (BA) alla via (...) è elettivamente domiciliata, - Ricorrente - e (...) ((...)) rappresentato e difeso dall'Avv. (...), in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta, presso il cui studio in Santeramo in Colle (BA) alla via (...), è elettivamente domiciliato, - Resistente - All'udienza dell'01.06.2022, tenutasi "a trattazione scritta", ai sensi dell'art. 83 d.l. n. 18/2020 conv. in l. n. 27/2020 e ss. mm., su precisazione delle conclusioni come da note depositate telematicamente dalle parti, la causa era rimessa al Collegio per la decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. ed invio degli atti al P.M. che rassegnava le sue conclusioni in data 20.06.2022. IN FATTO E IN DIRITTO 1. Con ricorso depositato in cancelleria il 02.05.2017 (...), premesso che: - in data 17.07.1993 aveva contratto matrimonio concordatario con (...) in Santeramo in Colle (BA), trascritto nei registri dello Stato civile del Comune di Santeramo in Colle con atto n. 50, parte II, serie A; - dall'unione erano nati tre figli: (...) (Gioia del Colle, 30.03.1996, economicamente indipendente), (...) (Santeramo in Colle, 11.10.1998) e (...) (Acquaviva delle Fonti, 18.07.2005); - i coniugi avevano adottato il regime della comunione dei beni ed avevano adibito a casa coniugale un immobile di proprietà del marito che, inizialmente a rustico, ella, principalmente aveva provveduto a completare; - il matrimonio era stato fin dall'inizio turbato dalla incompatibilità caratteriale dei coniugi, acuitasi nel corso degli anni sino a rendere insostenibile ed intollerabile la convivenza; - la ricorrente era l'unica a svolgere attività lavorativa stabile (benché poi ridotta per adesione al contratto di solidarietà nazionale) quale operaia presso la Società (...) s.p.a., dove spesso svolgeva turni doppi per compensare l'inattività del coniuge, oltre ad occuparsi, in analoga solitudine, di tutte le faccende domestiche nonché dei bisogni dei figli; - (...) aveva tenuto comportamenti ingiuriosi, offensivi e violenti nei confronti della moglie costringendola a sostenere da sola i bisogni economici e morali della famiglia poiché questi, rassegnate le dimissioni dalla Società (...) s.p.a., ove svolgeva la funzione di manutentore specializzato, svolgeva saltuaria attività lavorativa, irregolare, senza mettere a disposizione della famiglia i compensi percepiti; - la ricorrente, per fronteggiare tale situazione, aveva chiesto un'anticipazione del proprio T.F.R. e contratto personalmente un finanziamento pari alla somma di Euro 45.000,00 -la cui rata di rimborso mensile era pari ad Euro 410,00 ca.- per il completamento della casa coniugale; - ella continuava unicamente e personalmente a provvedere al mantenimento dei figli e del marito, a cui versava un congruo assegno, e al pagamento delle rate del mutuo pari ad Euro 410,00 mensili (il cui importo residuo ammontava a complessivi Euro 10.164,00); - nel mese di ottobre dell'anno 2016, ella aveva ottenuto una sospensione per dodici mesi del suindicato mutuo, in ragione della contrazione del proprio reddito dovuta all'applicazione del contratto di solidarietà; - nel corso della vita matrimoniale, ella aveva dovuto sempre far fronte, con il proprio reddito, ai debiti contratti dal marito tanto da aver richiesto un'ulteriore anticipata corresponsione del T.F.R., per l'ammontare di Euro 4.000,00 e contratto ulteriori finanziamenti - da rimborsare con rate mensili pari ad Euro 250,00 circa- per onorare debiti tributari contratti dal marito relativi a tasse di proprietà di autovetture acquistate dal marito ed a lei intestate a sua insaputa; - il resistente si disinteressava del tutto delle problematiche familiari, trascorrendo le giornate intere fuori casa e facendovi ritorno a notte fonda, utilizzando, per sue esigenze personali, anche le risorse economiche messe a disposizione della famiglia dalla ricorrente, intrattenendo relazioni extraconiugali; - la condotta del (...) aveva determinato il venir meno della comunione spirituale e materiale dei coniugi; - (...) si era trasferito, dall'anno 2014 circa, sua sponte, nella soffitta abitabile della casa coniugale, disinteressandosi della vita e delle necessità familiari; - la ricorrente, temendo per la propria incolumità, previo accordo con il marito, dall'anno 2016 circa, si era trasferita unitamente ai figli presso l'abitazione materna, senza, tuttavia, portare con sé gli effetti personali, tra cui certificati di deposito della di lei madre e monili in oro; - il resistente, pur ripetutamente richiesto, non aveva acconsentito al ritiro di detti beni né a dividere con la coniuge quanto presente presso la casa coniugale, né corrispondeva alcunché per il mantenimento dei figli conviventi con la madre, costringendola a sporgere querela. 1.1. Tutto ciò premesso, chiedeva pronunciarsi la separazione dei coniugi (...) e (...) con addebito a carico del marito in ragione dei comportamenti contrari agli obblighi matrimoniali, disporsi l'affidamento condiviso del figlio minore (...) con collocamento prevalente presso la madre, regolamentazione del diritto di visita del padre, disporre a carico di (...) il pagamento di un assegno mensile di complessivi Euro 600,00 a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore (...) e della figlia (...) maggiorenne ma non economicamente autosufficiente con lei convivente, oltre al pagamento del 50% delle spese straordinarie, disporsi che (...) le restituisse tutti i beni personali presenti presso la casa coniugale, oltre la quota spettantele ex lege dei beni mobili e degli arredi, utili anche ai bisogni dei figli, ivi collocati, vinte le spese. 2. Con decreto del 05.05.2017, era fissata la comparizione personale delle parti innanzi al Presidente della 1a Sezione civile per l'udienza del 25.10.2017. 3. Si costituiva il (...) che, contestando totalmente le allegazioni della ricorrente e non opponendosi alla separazione, anzi adducendo di aver egli stesso introdotto ricorso per separazione giudiziale in data 26.07.2017 (con n. 12711/2017 R.G. presso il Tribunale di Bari), ne instava l'addebito alla moglie per abbandono arbitrario del tetto coniugale e ripetuta violazione dei doveri coniugali e, altresì, chiedeva disporsi l'affidamento condiviso della prole, con collocamento presso di sé del figlio (...), già con lui convivente, e presso il genitore da loro preferito dei figli (...) e (...), nessun assegno a disporsi in favore della moglie nonché quale contributo al mantenimento dei figli, in ragione delle proprie condizioni reddituali e della ripartizione del collocamento della prole, vittoria di spese. 4. All'udienza del 25.10.2017, in cui comparivano entrambe le parti, il Presidente, preso atto della pendenza del giudizio di separazione giudiziale tra le medesime parti introdotto da (...), con udienza fissata al 20.12.2017, rinviava la causa a tale data per disporne la riunione a quello odierno. 4.1. All'udienza del 20.12.2017, il Presidente, fallito il tentativo di conciliazione ed ascoltate le parti, disposta la riunione del presente procedimento con quello recante n. 12711/2017 R.G., con ordinanza adottava i provvedimenti provvisori ed urgenti, e al proposito: - autorizzava i coniugi a vivere separati, con l'obbligo del reciproco rispetto; - affidava il figlio minorenne ad entrambi i genitori con collocamento privilegiato presso la madre; - nulla disponeva per l'uso della casa coniugale avendola ormai da tempo la ricorrente abbandonata e non essendovi, infatti, alcuna richiesta di assegnazione in suo favore da parte della stessa; - disciplinava il diritto di visita padre/figlio in maniera tendenzialmente libera; - poneva a carico di (...) l'obbligo di versare all'altro coniuge l'assegno mensile di Euro 500,00 a titolo di contribuzione al mantenimento dei figli, di cui Euro 100,00 in favore del figlio (...) ed Euro 200,00 ciascuno per i figli (...) e (...), oltre al 50% delle spese straordinarie relative ai figli. 5. All'udienza del 21.03.2018 dinanzi al G.I., parte ricorrente chiedeva disporsi il sequestro ex art. 156, co. 6 c.c. dell'immobile sito in Santeramo in Colle (BA) alla via Adriatico n. 38, adibito a casa familiare, di proprietà esclusiva di (...), stante il parziale e ritardato versamento dell'assegno di mantenimento imposto al resistente con l'ordinanza presidenziale, nonché congiuntamente con parte resistente, che si opponeva alla predetta istanza cautelare, la concessione dei termini ex art. 183, co. 6 c.p.c. 6. Con ordinanza del 20.04.2018, a scioglimento della riserva, il G.I. rigettava la richiesta di sequestro ex art. 156, co. 6 c.c. proposta da parte ricorrente e concedeva i termini ex art. 183, co. 6 c.p.c. 7. All'udienza del 17.10.2018, il G.I. ammetteva gli interrogatori formali richiesti dalle parti e rinviava la causa all'udienza del 20.03.2019 riservata ogni ulteriore valutazione all'esito sulle ulteriori istanze probatorie. 8. A tale udienza, esperiti gli interrogatori formali di entrambe le parti, il G.I. ammetteva l'ulteriore prova per testi da esse richiesta e rinviava la causa per l'escussione. 9. L'udienza del 09.10.2019 era rinviata all'udienza del 12.02.2020. 10. All'udienza del 12.02.2020, il G.I., venivano escussi due testi e disposto il rinvio per il prosieguo della prova orale al 13.05.2020 e poi, d'ufficio, al 07.02.2021. 11. A tale udienza, erano escussi ulteriori testi e disposto nuovo rinvio per l'ulteriore espletamento della prova orale al 17.02.2021. 12. A detta udienza, escussi i testi, il G.I., preso atto della richiesta di parte resistente di emettersi sentenza parziale sullo status, invitava le parti a precisare le conclusioni quindi rimetteva immediatamente la causa al Collegio per la decisione sullo status, senza concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. e con trasmissione degli atti al P.M. il quale concludeva nella medesima data. 13. Con sentenza parziale n. 1653/2021 emessa il 20.04.2021 e pubblicata il 29.04.2021, il Tribunale di Bari dichiarava la separazione personale tra i coniugi (...) e (...) e, contestualmente, emetteva ordinanza di prosecuzione del giudizio rinviando la causa all'udienza del 10.11.2021 per il prosieguo della prova testimoniale. 14. A tale udienza, il G.I., escusso il teste di parte resistente, rinviava la causa per il prosieguo della prova testimoniale. 15. All'udienza del 19.01.2022, il G.I., escusso il teste di parte resistente, rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni. 16. All'udienza del 01.06.2022, tenutasi a "trattazione scritta", il G.I., lette le note scritte con cui le parti precisavano le conclusioni, previa trasmissione degli atti al P.M. (che concludeva in data 20.06.22), riservava la causa in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. 17. Preso atto della sentenza non definitiva n. 1653/2021, pubblicata il 29.04.2021, con cui questo Tribunale ha dichiarato la separazione personale tra le parti, il presente giudizio pende, allo stato, per le sole questioni accessorie che devono essere decise come segue. 18. Innanzitutto, vanno esaminate le domande di addebito della separazione che le parti hanno reciprocamente spiegato. 18.1. In primo luogo viene in rilievo quella proposta dalla ricorrente. La ricorrente assume che il coniuge avrebbe violato i doveri nascenti del matrimonio, prima di tutto il dovere di assistenza morale e materiale. In particolare, il resistente non si sarebbe mai prodigato per mantenere ed accudire la moglie ed i figli, estraniandosi completamente dalla vita familiare e restando in una condizione di inattività ed ozio, costringendo la ricorrente a farsi carico in via esclusiva delle esigenze e necessità dell'intero nucleo familiare. Inoltre, lo stesso avrebbe perpetrato in danno della moglie costanti aggressioni verbali e comportamenti offensivi, anche alla presenza dei figli. La ricorrente assume, altresì, che il marito avrebbe costantemente sperperato tutte le sue risorse nel gioco d'azzardo e nell'acquisto di sostanze stupefacenti, di cui faceva uso, ed avrebbe, altresì, intrattenuto relazioni extraconiugali. Assume, di contro, il (...) che i comportamenti di inerzia, disinteresse per la famiglia e di violenza verbale narrati dalla ricorrente sarebbero privi di fondamento avendo egli sempre provveduto, nei limiti delle sue possibilità, a sostenere il nucleo familiare. Sostiene il resistente che la mancanza di un lavoro fisso e stabile fosse la diretta conseguenza delle proprie problematiche di salute e che, per tale situazione, sarebbe stato ripetutamente deriso dalla coniuge. Egli assume, contestualmente, che la ricorrente abbia violato gli obblighi di fedeltà e coabitazione derivanti al matrimonio intrattenendo una relazione extraconiugale ed abbandonando di propria iniziativa la casa coniugale dall'anno 2016. 18.2. Ebbene, va ricordato che la rottura della comunione coniugale può derivare dalla violazione, da parte di uno dei coniugi, dei doveri normalmente discendenti dal matrimonio e cioè fedeltà, assistenza morale e materiale, coabitazione. In tal caso, su richiesta della parte che vi ha interesse, il Giudice può addebitare la separazione all'altro coniuge. Perché, però, la separazione possa essere addebitata ad uno dei coniugi, occorre che la violazione sia anteriore alla proposizione della domanda di separazione e sia in rapporto causale con la fine del rapporto. 18.3. Ciò posto è, quindi, necessario esaminare il materiale istruttorio in atti. 18.4. Innanzitutto, nessuna dichiarazione confessoria deriva dall'interrogatorio del resistente. Egli riferisce di aver contributo alle esigenze familiari con le proprie risorse ed, in particolare, alla ristrutturazione dell'immobile adibito a casa familiare, di sua esclusiva proprietà, mediante lavori eseguiti personalmente, in quanto esperto impiantista. Inoltre, egli dichiara che il suddetto immobile non era stato ristrutturato mediante l'impiego del mutuo bancario contratto dalla (...) e l'impiego di parte del T.F.R. da lei maturato ma che egli vi aveva provveduto direttamente, anche grazie alle proprie competenze di impiantista. Sul punto i testi di parte ricorrente, (...) (...) e (...) (...) (quest'ultimo citato contestualmente anche da parte resistente), figli della coppia, nonché la teste (...), sorella della ricorrente, ed, infine, (...), citata da entrambe le parti e cugina della ricorrente, hanno confermato che la casa familiare era stata ristrutturata grazie al mutuo acceso dalla (...) e alla quota di T.F.R. maturata da quest'ultima (di cui aveva chiesto un'erogazione anticipata) mentre i testi di parte resistente (...), (...), (...) e (...) hanno affermato che il (...) aveva realizzato personalmente i lavori di impiantistica e ristrutturazione presso l'abitazione familiare. Orbene, dalle prove documentali del giudizio rileva il contratto di mutuo fondiario del 05.03.2004 rep. n. 42262 racc. n. 11367 in cui la (...) ha richiesto un mutuo di Euro 45.000,00 alla (...) S.r.l. Da tale contratto emerge che unica parte mutuataria risulta essere la ricorrente, mentre il resistente interviene unicamente in qualità di parte datrice di ipoteca e parte fideiubente, in quanto titolare del diritto di proprietà dell'immobile offerto in garanzia (cfr. contratto di mutuo fondiario allegato al ricorso introduttivo). Rileva, altresì, la richiesta, accolta in data 28.08.2003, della ricorrente di anticipazione nella misura del 70% (pari a circa Euro 13.600,00) del Trattamento di Fine Rapporto di lavoro maturato dalla (...) presso il proprio datore di lavoro, in cui si evidenzia espressamente che essa viene proposta per la ristrutturazione della casa di abitazione (cfr. richiesta di anticipazione T.F.R. e prospetto individuale T.F.R. allegati al ricorso introduttivo). In particolare, il resistente assume di aver contribuito all'estinzione del mutuo contratto dalla moglie per la ristrutturazione della casa familiare saldando il debito residuo pari a circa Euro 10.000,00 (cfr. piano ammortamento mutuo allegato al ricorso introduttivo). Dall'esame della missiva inviata dalla (...) mutuante, datata 01.06.2017 (cfr. all. n. 2 alla memoria ex art. 183, co. 6 n. 3 c.p.c. di parte resistente), emerge che la Banca ha provveduto ad addebitare la somma di circa Euro 10.000,00 al conto corrente intestato al (...), in qualità di fideiubente del mutuo ipotecario n. 10000136 stipulato dalla (...) in data 05.03.2004 per la ristrutturazione della casa tuttavia la titolarità di tale somma compensata dalla Banca mutuante dal conto al (...) appare controversa in quanto pende giudizio dinanzi il Tribunale di Bari n. 4511/2018 R.G. per il suo accertamento, atteso che si assume derivi dalla liquidazione di un certificato di deposito n. 8803 di un importo complessivo pari a Euro 23.000,00 cointestato al (...) e a (...) Francesca, madre della (...), e pagato interamente con capitale della (...) (cfr. all.ti nn. 6, 7, 8, 9 e 10 della comparsa di costituzione e risposta della (...) nel giudizio n. 12711/2017 R.G. introdotto dal (...) e riunito al presente giudizio). Ancora, in sede di interrogatorio formale, (...) dichiara di non far uso di sostanze stupefacenti e di non giocare d'azzardo. Il resistente afferma, al proposito, di non aver mai utilizzato la carta di credito intestata alla moglie per il pagamento di tali attività, in quanto non era a conoscenza del relativo codice PIN di sblocco. Invero, a confutazione di tali dichiarazioni, durante l'espletamento delle prove testimoniali i testi (...) (...), figlia della coppia, nonché (...), a conoscenza dei fatti in quanto cugina della ricorrente, confermano che il (...) fosse abituale giocatore d'azzardo presso i centri scommesse, il Bar (...) e la (...) siti in Santeramo in Colle, ivi sperperando le proprie risorse e quella della ricorrente, utilizzando, ad insaputa di quest'ultima, la sua carta di credito. Ancora la teste (...) (...)h ha confermato che il padre si chiudeva in soffitta a giocare al poker on line e a fare scommesse e che scendeva solo per pranzare. Orbene, dai tabulati delle movimentazioni relative al conto corrente C01/00/001498116 presso la (...) intestato alla (...), e relativi agli anni 2013, 2014 e 2015, possono rilevarsi numerosi e costanti pagamenti tramite Pos effettuati, nei più svariati orari della giornata, spesso antimeridiani, presso (...) Riv, il Bar (...), la (...) e (...) per importi tra Euro 50,00 e Euro 435,00 circa (cfr. estratto conto allegato alla memoria di costituzione e risposta della (...) nel giudizio n. 12711/2017 R.G. introdotto dal (...) e riunito al presente giudizio). Al proposito, appare alquanto verosimile che i suindicati pagamenti addebitati al conto del conto corrente esistente presso la (...), intestato alla (...), non siano stati effettuati da quest'ultima, ma dal marito, in quanto, come emerge dalle prove testimoniali, ella non era una frequentatrice di centri scommesse, tabaccherie e bar. Ancor più, tali frequenti, costanti ed ingenti importi in uscita registrati, non confacenti ad un usuale acquisto all'interno delle indicate attività commerciali (pagamenti per importi mai al di sotto di Euro 50,00, quasi sempre tra Euro 100,00 ed Euro 435,00), fanno credibilmente pensare ad un utilizzo della carta per il pagamento di attività di gioco svolte all'interno dei ridetti bar, tabaccherie e centri scommesse. Inoltre, le frequenti ore antimeridiane in cui tali pagamenti sono stati registrati fanno escludere che possano essere stati effettuati dalla (...), in quanto, come inconfutabilmente accertato nel corso del presente giudizio, impegnata durante il giorno in ben due attività lavorative, presso la Società (...) S.p.a. di Santeramo in Colle presso cui è assunta dall'01.02.1989 e come collaboratrice per le pulizie domestiche presso abitazioni di privati (cfr. attestazione di servizio (...) s.p.a. del 28.04.2017 allegata al ricorso introduttivo). Il teste (...) (...), citato da entrambe le parti, ha dichiarato che il (...) aveva contribuito ai bisogni familiari soltanto durante il periodo in cui egli aveva lavorato e lo stesso, nonché (...) Lucia e la teste (...) ,hanno dichiarato che il (...) faceva uso di sostanze stupefacenti (in particolare il figlio (...) dichiara di averlo visto personalmente assumere sostanze stupefacenti e ancor più la teste (...) afferma che il resistente assumesse tali sostanze anche in sua compagnia e di amici comuni e, per di più, il figlio della coppia, (...) (...), riconosce nella foto che gli viene mostrata durante l'escussione all'udienza del 12.02.2020 un quantitativo di droga ad uso personale presente nel vano bagno dell'abitazione familiare). Ancora il (...) ha negato di aver inveito ed aggredito verbalmente il coniuge durante il matrimonio e di essersi disinteressato dei bisogni della famiglia. Ebbene, i testi (...) (...) e (...), figli della coppia e (...), sorella della ricorrente, confermano concordemente che, in costanza di matrimonio, il resistente aggrediva verbalmente e denigrava immotivatamente la (...), assumendo un atteggiamento di completa estraneazione e disinteresse dalla famiglia, trascorrendo la maggior parte del tempo in cui era a casa in mansarda giocando a poker online o guardando programmi sportivi televisivi e scendendo soltanto per consumare i pasti o dormire ed uscendo di casa, senza nulla comunicare alla famiglia, per farvi rientro a notte tarda. In particolare la figlia (...) riferisce che, se la moglie gli chiedeva cosa facesse dei soldi, lui le rispondeva di "farsi i fatti suoi". Da ultimo il (...) ha negato di aver intrattenuto relazioni extraconiugali. In merito alla presunta infedeltà le dichiarazioni dei testi (...) (...), (...) (...), (...) assertive di una relazione extraconiugale del resistente si fondano su testimonianze de relato, mentre solo la teste (...) dichiara che lo stesso (...) le aveva confidato di avere contatti con altre donne ed in un'occasione particolare egli le avrebbe riferito che stava per recarsi ad un appuntamento con un'altra donna. 18.5. Ebbene, da una valutazione complessiva della prova testimoniale e documentale si ritiene provata la violazione dei doveri coniugali da parte del resistente. Infatti, la mancata assistenza morale e materiale del (...) nei confronti della famiglia trova conforto nelle testimonianze dei figli (...) e (...) e della (...), cognata del resistente, che rendono dichiarazioni convergenti ed univoche sul comportamento del resistente, per conoscenza diretta e non de relato, confermando un costante atteggiamento di alienazione del (...) dalle vicende e dalle necessità familiari, ivi compreso la mancanza di interesse nei confronti della vita dei figli (come ad es. il loro andamento scolastico e vita sociale) per cui la cura dell'intero nucleo familiare è gravata interamente sulla ricorrente. Il (...), infatti, seppur abbia lavorato in maniera non costante fino al 2008, non può dirsi abbia contribuito al menage familiare in quanto, come emerso, in sede di prove testimoniali sperperava tutte le proprie risorse, attingendo, altresì, a quelle del coniuge, per far fronte ai propri debiti di gioco e, comunque, per finanziare i propri divertimenti. Inoltre, dalla prova testimoniale si evince, altresì, l'atteggiamento di alienazione dal contesto familiare del (...), che trascorreva la maggior parte delle ore in casa solo in mansarda per poi uscire e farvi rientro in tarda notte, senza nulla comunicare alla consorte. In aggiunta, può dirsi provato l'uso di sostanze stupefacenti da parte del (...) nella casa familiare e alla presenza dei figli. L'asserzione del resistente di non poter svolgere alcuna attività lavorativa a causa delle proprie condizioni di salute invalidanti trova parziale riscontro nel verbale della Commissione Medica per l'accertamento dell'invalidità civile del 02.05.2018 che attesta una riduzione della capacità lavorativa pari al 50%, con decorrenza dal 26.03.2018 (v. all. n. 6 della memoria ex art. 183, co. 6 n. 2 c.p.c. di parte resistente) tuttavia lo stato invalidante del (...), al più, rileva soltanto a partire da tale data con conseguente declaratoria di una volontaria inerzia a provvedere alle esigenze familiari per tutto il tempo pregresso, atteso che egli avrebbe lavorato, in maniera ufficiale, dalla celebrazione del matrimonio e sino al mese di giugno del 2008 e poi verosimilmente in modo precario e no ufficiale, impiegando, in ogni caso, i propri introiti per soddisfare le proprie personali esigenze. Ancora le condotte aggressive poste in essere da un coniuge in danno dell'altro costituiscono violazione di norme imperative ed inderogabili che tutelano diritti fondamentali della persona, oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto necessaria e doverosa per la personalità del partner. Per tali ragioni, l'atteggiamento alienato dalla vita familiare e, quindi, di mancata assistenza morale e materiale nei confronti della moglie e dei figli protratta negli anni, il pericoloso utilizzo di sostanze stupefacenti, anche alla presenza della prole, e le violenze verbali in danno del coniuge giustificano la pronuncia di separazione con addebito a carico del resistente. Infatti, il (...) è venuto meno ai doveri di lealtà e condivisione del progetto di vita in comune con la moglie, a mezzo di condotte causalmente rilevanti rispetto alla intollerabilità della convivenza, in quanto lesive della fiducia reciproca, della contribuzione morale e materiale alla vita familiare che devono caratterizzare il vincolo matrimoniale. Né tali risultanze possono essere scalfite dalle generiche affermazioni dei testi di parte resistente circa la contribuzione del (...) ai bisogni della famiglia quando poteva essendo emersa, piuttosto, un'inerzia cristallizzata a provvedervi ed un'abitudine, altrettanto radicata, a spendere il poco denaro proprio o quello del coniuge per i propri vizi. Viceversa nulla può addebitarsi sotto il profilo della violazione del dovere di fedeltà non essendo emerso alcunché al riguardo. Ne deriva l'accoglimento della domanda di addebito solo limitatamente ai suddetti aspetti. 19. Quanto all'addebito alla ricorrente, (...), sin dal proprio atto introduttivo, assume che la separazione sarebbe da imputare alla moglie la quale avrebbe violato i propri doveri coniugali abbandonando la casa coniugale e venendo meno all'obbligo di fedeltà, oltre che denigrandolo poiché privo di stipendio costante. In particolare, il resistente assume che la (...) si sarebbe allontanata volontariamente dalla casa familiare già dall'anno 2016, avviando, altresì, in costanza di matrimonio relazioni extraconiugali. 19.1. Ciò posto, è necessario esaminare il materiale istruttorio in atti per verificare se la pronuncia di addebito a carico della ricorrente sia fondata o meno. In primo luogo, viene in rilievo l'allontanamento dalla casa coniugale da parte della (...). La ricorrente stessa sin dal ricorso introduttivo assume di essersi allontanata nel 2016, unitamente ai figli, dall'abitazione familiare in conseguenza all'intollerabilità della convivenza col marito, il quale, disinteressato alla vita familiare e alla cura dei figli e della moglie, conduceva da oltre tre anni la maggior parte della giornata oziando in mansarda dedito soltanto ai propri personali interessi. La pronuncia dell'addebito della separazione postula che la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza sia imputabile a comportamenti di uno dei coniugi. Pertanto, l'addebito presuppone la prova non soltanto del comportamento oggettivamente riprovevole del coniuge colpevole, ma anche del rapporto eziologico tra la condotta contraria ai doveri ex art. 143 c.c. e la cessazione dell'affectio maritalis e non, invece, il suo effetto (cfr. Cass. n. 4367/2003; Cass. n. 9472/1999). Infatti, come precisato da consolidato orientamento giurisprudenziale "In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi essendo, invece, necessario, accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. L'accertamento dell'efficacia causale delle violazioni dei doveri coniugali sul fallimento della convivenza coniugale postula una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, ben potendo la prova di determinati comportamenti di un coniuge influire sulla valutazione causale dei comportamenti dell'altro" (cfr. ex multiis Cass. n. 4367/2003). La Suprema Corte di legittimità precisa, inoltre, che, ai fini dell'addebitabilità della separazione, è necessario "accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nel determinarsi della crisi del rapporto coniugale o sia invece intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza e in conseguenza di essa" (cfr. Cass. n. 15223/2002; Cass. n. 12130/2001). Ciò significa che il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 c.c., dovendo, invece, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni sulla genesi della situazione di intollerabilità della convivenza. Grava, dunque, sulla parte che richiede l'addebito della separazione a carico dell'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda (v. Cass. n. 2059/2012). Inoltre, va ricordato che il coniuge che si allontana da casa è tenuto a dimostrare di avere una giusta causa per violare l'obbligo di convivenza che deriva dal vincolo matrimoniale (v. Cass. n. 1785/2021) per cui tale condotta, in mancanza di giustificati motivi determina l'addebito della separazione (v. Cass. n. 509/2020). Nel caso di specie, la resistente si è allontanata dalla casa coniugale, unitamente ai figli (...) e (...), per recarsi presso l'abitazione materna, esasperata dal comportamento completamente disinteressato alla vita familiare da parte del resistente il quale conduceva vita a sé nella mansarda della medesima abitazione in via (...) in Santeramo in Colle, facendo uso di sostanze stupefacenti e dedicandosi al gioco d'azzardo. Infatti, come emerso durante le prove testimoniali, (...) e (...) (...), figli della coppia, escussi all'udienza del 12.02.2020, e (...), sorella della ricorrente, confermano concordemente e per conoscenza diretta che il (...) privava la famiglia di ogni assistenza morale e materiale, impiegando ogni propria risorsa, e quelle della ricorrente, per soddisfare le proprie esigenze personali, tra cui il gioco d'azzardo e l'acquisto di sostanze stupefacenti. Egli, inoltre, come confermato in sede testimoniale, da ben oltre tre anni prima dell'allontanamento dalla casa coniugale della (...), conduceva vita a sé stante nella mansarda della medesima abitazione, scendendo in compagnia della famiglia solo per consumare i pasti o dormire. Al proposito, è bene considerare che, seppur l'allontanamento spontaneo dalla casa coniugale da parte di uno dei coniugi costituisca la violazione di un dovere fondamentale discendente dal matrimonio in quanto comporta l'impossibilità della convivenza, tuttavia la giurisprudenza di legittimità afferma che tale comportamento "non concreta tale violazione se si provi -e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono- che esso è stato determinato da una giusta causa" (cfr. Cass. n. 1202/2006; Cass. n. 10648/1997). Ebbene, nel caso che ci occupa, la ricorrente (...), alla luce di quanto emerso nelle prove testimoniali e documentali prodotte nel presente giudizio e suesposte, ha ben dimostrato che tale allontanamento fu giustificato sicché l'abbandono del tetto coniugale da parte sua non costituisce motivo di addebito della separazione in quanto l'interruzione dell'affectio coniugalis si era già determinata a causa della condotta del marito. In merito alla violazione dell'obbligo di fedeltà da parte della ricorrente, rileva il Collegio che tale tesi non è suffragata da alcun elemento probatorio, ma si limita a mere affermazioni della parte resistente prive di rilevanza probatoria. Ad esempio il teste (...) afferma di non sapere se effettivamente la (...) avesse delle relazioni adulterine e se ciò era stato il motivo della separazione trattandosi di "voci di paese". Anche il teste (...) ha confermato di aver saputo da amici che la donna aveva una relazione presso il luogo di lavoro ma non è stato in grado di riferire il periodo. Analogamente generica è la deposizione di (...) circa la relazione extraconiugale della (...). Quanto, invece, alle umiliazioni subite dal (...) per via del suo stato di disoccupazione, anche sul punto la prova dell'esatta correlazione di tale condotta con la fine del matrimonio è rimasta insufficiente. 19.2. Alla luce di quanto sopra, la domanda di addebito della separazione a carico della ricorrente proposta dal resistente non può dirsi fondata. 20. Passando ad esaminare le ulteriori questioni pendenti si svolgono le seguenti considerazioni. 21. Innanzitutto va confermato l'affido condiviso con collocamento presso la madre del figlio (...), ancora minorenne ma prossimo alla maggiore età. Di conseguenza gli incontri padre-minore non possono che essere liberi. 22. Quanto al contributo paterno al mantenimento dei figli va osservato quanto segue. 22.1. Già in sede introduttiva la ricorrente non ha chiesto alcunché per il figlio (...), economicamente indipendente. Sebbene in sede di ordinanza presidenziale sia stato previsto un contributo a carico del (...) di Euro 100,00 per il figlio (...), che aveva lavorato come parrucchiere per un periodo ma poi era tornato a vivere con la madre, va detto che detto contributo, allo stato, può essere revocato anche perché dalla prova testimoniale è emerso che lavori stabilmente come parrucchiere e, comunque, ha quasi 27 anni. Ad ogni buon conto lo stesso figlio, escusso come teste, ha precisato di aver lavorato in provincia di Firenze regolarmente assunto presso un parrucchiere e poi in Santeramo. Del resto la ricorrente , in sede di conclusionale, ha chiesto che l'assegno fosse revocato da maggio 2018, essendo da tale momento divenuto autonomo (vi è in atti idonea documentazione). 22.2. Quanto alla figlia (...) la ricorrente ha chiesto la conferma dell'ordinanza presidenziale che stabiliva in Euro 200,00 il contributo per la figlia. Il resistente, invece, assumendone l'indipendenza economica, ne ha chiesto l'eliminazione. Al proposito, il (...) assume che la figlia sia stata assunta stabilmente presso una attività di ristorazione sita in Santeramo in Colle. Sul punto, tuttavia, egli non fornisce alcun elemento probatorio non essendo sufficienti poiché generiche tanto la deposizione del figlio (...) (...) (che riferisce che la sorella lavori da anni ma non è stato in grado di dire se fosse economicamente autonoma) né quella di (...). Di contro la ricorrente, produce in sede di comparsa conclusionale (deposito ammissibile poiché documento formatosi dopo la scadenza dei termini istruttori) le buste paga della figlia (...) attestanti, per i recenti mesi da gennaio a giugno del 2022, un reddito mensile pari ad Euro 100,00 circa nonché la relativa dichiarazione dei redditi da cui risultano Euro 1305,00 per il 2021. Ebbene, occorre precisare che l'obbligo al mantenimento della prole non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae sino a che i figli, senza colpa, non raggiungano una autosufficienza economica (cfr. Cass. n. 38366/2021). Al proposito, è onere del genitore che richiede l'eliminazione della somministrazione del mantenimento in favore del figlio maggiorenne provare la sua autosufficienza economica. Inoltre, la Suprema Corte di legittimità ha elaborato il principio secondo cui, in caso di figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto di mantenimento, che debbono costituire oggetto di accertamento da parte del giudice di merito e della cui prova è gravato il genitore che si oppone, constano nell'età del figlio e l'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica e del suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (cfr. Cass. n. 29264/2022; Cass. n. 17183/2020). Nel caso di specie, non v'è dubbio dell'impegno profuso dalla figlia (...) nella ricerca di un'occupazione lavorativa, come attestante dalle sue prime buste paga prodotte nel presente giudizio risalenti sino all'anno 2018 (cfr. buste paga depositate da parte ricorrente nel fascicolo di parte) quando ella era appena ventenne. In ogni caso, sebbene la ragazza sia attualmente impegnata in una attività lavorativa, come attestato dalle buste paga relative all'anno 2022 depositate dalla ricorrente, non può ritenersi che ella abbia raggiunto un'autosufficienza economica tale da potersi affrancare dal mantenimento dei genitori, tenuto conto, altresì dell'età, 24 anni. Per tutto quanto ritenuto e considerato, ai sensi dell'art. 337-septies c.c., può essere confermato un contributo paterno nella misura stabilita dall'ordinanza presidenziale. 22.3. Quanto al figlio minore della coppia la ricorrente ha chiesto, anche per lui, la conferma dell'ordinanza presidenziale e, quindi, dell'importo di Euro 200,00. Il resistente, in sede di precisazione delle conclusioni, ha chiesto l'eliminazione del contributo anche per il figlio (...) o, al più, la conferma del contributo di Euro 200,00 per il solo minore. All'uopo egli ha addotto lo stato di invalidità con riduzione della capacità lavorativa che gli impedirebbe di poter contribuire alle esigenze del figlio. Orbene, sul punto deve considerarsi che, la giurisprudenza è costante nel ritenere che anche il genitore disoccupato sia obbligato a mantenere i figli per cui la mancanza di una attività di lavoro non costituisce oggettiva impossibilità di fare fronte alle obbligazioni economiche. Sul punto, la Suprema Corte ha precisato il principio secondo cui "il genitore separato o divorziato deve versare l'assegno di mantenimento per i figli anche se è disoccupato. O meglio, è tenuto a versarlo a meno che non provi di essersi attivato per carcare lavoro, e di non essere riuscito in alcun modo a recuperare i soldi necessari, e al contempo di non avere altri redditi" (cfr. Cass. n. 39411/2017). Nel caso di specie, il (...) assume la propria incapacità economica a far fronte al pagamento di un assegno mensile di Euro 200,00 in favore del figlio minore (...) a causa del proprio stato di disoccupazione e di invalidità accertata nella misura del 50%. Tuttavia, il contrasto tra le entrate dichiarate dal resistente ed il tenore di vita da egli goduto (acquisto di autovettura Mercedes, cfr. all. n. 11 alla comparsa conclusionale di parte ricorrente, acquisto di apparecchi tecnologici donati ai figli, completamento della ristrutturazione ed arredamento della abitazione familiare in via (...) in Santeramo in Colle, come confermato in sede testimoniale) fanno verosimilmente ritenere che possa svolgere attività lavorative in nero. In aggiunta a ciò va evidenziato come la percentuale di invalidità non sia tale da determinare l'impossibilità di qualsivoglia attività lavorativa, tanto è vero che non percepisce nessuna pensione. E, comunque, il Collegio non è stato messo in condizione di conoscere e valutare la reale condizione economica del resistente dal momento che egli, diversamente dalla ricorrente, non ha depositato le ultime dichiarazioni dei redditi. Alla luce di quanto suesposto e considerato, si ritiene fondata la domanda di conferma dell'assegno a titolo di contributo al mantenimento del figlio minore (...) così come stabilito in sede presidenziale. 23. La ricorrente ha chiesto di essere autorizzata al ritiro, presso la casa familiare sita in Santeramo in Colle alla via (...), dei propri beni personali, monili in oro, arredi e beni mobili acquistati in comunione col marito in costanza di matrimonio nonché disporsi la divisione di tutto quanto ivi contenuto. Deve ritenersi, tuttavia, che tale domanda della ricorrente non può essere proposta nel presente giudizio di separazione personale, ma deve essere proposta in altra sede. 24. Le spese e competenze del presente giudizio possono essere poste per intero a carico del resistente (...), in ragione del principio di soccombenza. Esse vengono liquidate nei valori medi dello scaglione delle cause di valore indeterminabile ex DM 55/14 applicabile alla causa in oggetto con riduzione del 30% sull'importo totale per la non complessità della causa. P.Q.M. definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...), con ricorso depositato in data 02.05.2017, nei confronti di (...), preso atto della pronuncia di sentenza non definitiva n. 1653/2021, pubblicata il 29.04.2021, così provvede: 1. Accoglie la domanda di addebito della separazione a carico del resistente (...) proposta da parte ricorrente; 2. rigetta la domanda di addebito della separazione a carico della ricorrente (...) proposta da parte resistente; 3. conferma l'ordinanza presidenziale ad eccezione della statuizione relativa al diritto di visita padre-minore e al contributo per il figlio (...) che viene revocato a decorrere dal mese di maggio 2018; 4. dispone che l'assegno unico universale spetti alla madre ricorrente per l'intero importo, salvo diverso accordo delle parti; 5. dichiara inammissibile la domanda proposta dalla ricorrente di divisione dei beni in comunione e di ritiro dei propri effetti personali; 6. liquida le spese processuali in Euro 98,00 per borsuali ed Euro 5077,00 per onorario, oltre RFS del 15% ed accessori come per legge che pone per intero a carico della parte resistente. Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio della Sezione 1a civile del Tribunale, il giorno 17 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

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