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  • REPUBBLICA ITALIANO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, Sezione Specializzata Agraria, in persona del Collegio Agrario, così composto: Dott.ssa Marilisa Rinaldi -Presidente Dott. Valeria Protano Giudice Giudice Dott. Gerardo Giuliano -Giudice Relatore Geom. Angela Restieri -Esperto Per. Agr. Daniele Melillo -Esperto all'udienza del 22.02.2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4686/2022 del R.G.A.C., avente ad oggetto Azione di condanna al rilascio del fondo per altri motivi, pendente TRA (...), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...); Ricorrente E (...), Resistente contumace MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Sul merito Preliminarmente, si osserva che a seguito dell'interruzione del giudizio per l'intervenuto decesso di (...) e la riassunzione del giudizio, da parte della ricorrente, nei confronti dei suoi eredi, tali ultime parti non si sono costituite, per cui ne è stata dichiarata la contumacia con ordinanza emessa all'esito dell'udienza del 23.11.2022, in applicazione del principio per cui la mancata costituzione in giudizio determina la dichiarazione di contumacia della parte che, benché costituita nella precedente fase del giudizio, non sia comparsa all'udienza fissata per la riassunzione. (Cfr. Cassazione civile, sezione III - 30 Settembre 2008 - n. 24331): tale mancata comparizione, tuttavia, non comporta in alcun modo l'automatica rinunzia di tutte le domande già promosse, le quali in alcun modo potranno ritenersi rinunciate o abbandonate, in quanto, tali domande sono relative ad un giudizio che prosegue nella nuova fase, dotata di tutti gli effetti processuali e sostanziali dell'originario rapporto (cfr., inter alia, Cassazione civ. n.6867 del 30/07/1996; Cassazione civ. n.3963 del 18/04/1998). Ancora in via preliminare, si osserva, con riferimento alla sporta domanda riconvenzionale, che la stessa è improcedibile in quanto non è stato previamente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, né poteva essere assegnato un termine a tal fine a seguito della costituzione di (...) (prima del suo decesso e della conseguente interruzione del giudizio), in applicazione dei principi per cui, da un lato, in materia di contratti agrari, la "domanda", in relazione alla quale va esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, deve essere intesa nel significato onnicomprensivo di istanza volta al riconoscimento di un diritto o comunque alla tutela di un bene della vita avente scaturigine in un contratto agrario, non assumendo alcuna rilevanza, a tali fini, la sequenza procedimentale attivata (ordinaria o semplificata) o la modalità di proposizione seguita -in via principale o riconvenzionale- (Cassazione civile sez. VI, 11/11/2022, n.33379); e, dall'altro lato, "il tentativo di conciliazione di cui all'art. 46 l. n. 203 del 1982 -a differenza dell'esperimento del tentativo di conciliazione nel processo del lavoro, che può essere promosso in corso di causa, previa sospensione del giudizio- deve essere sempre preventivo, cioè attivato prima dell'inizio di qualsiasi controversia agraria, atteso che la norma, inderogabile e imperativa, non consente che il filtro (del tentativo di conciliazione) possa essere posto in essere successivamente alla domanda giudiziale. Deriva da quanto precede, pertanto, che l'esperimento preventivo del tentativo di conciliazione di cui al citato articolo costituisce condizione di proponibilità della domanda la cui mancanza, rilevabile anche d'ufficio nel corso del giudizio di merito, comporta la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità (Cassazione civile sez. III, 15/07/2008, n.19436). Tanto premesso, venendo all'esame del merito della questione dedotta in giudizio, si osserva che parte ricorrente, per un verso, ha allegato in atti (cfr. allegato n. 1 al ricorso) il contratto di affitto -non disconosciuto in alcun modo dal resistente- rispetto al quale ha dedotto l'inadempimento di controparte in relazione al pagamento del canone concordato dall'annata agraria 2011-2012 ad oggi, per un ammontare complessivo di Euro 37.000,00; e, dall'altra parte, lo stesso (...), nell'ambito della propria comparsa di costituzione e risposta, non ha contestato tale ultima circostanza, che, dunque, è da ritenersi pacifica e non contestata. Priva di pregio risulta l'eccezione, pure sollevata dal (...), in ordine al mancato adempimento, da parte della ricorrente, dell'obbligazione di riparazione del fabbricato rurale di cui all'art. 10 del contratto di fitto, in quanto non solo la ricorrente - nella prima difesa utile averso tale contestazione-ha dedotto di aver eseguito i lavori di consolidamento dei solai e la controparte nulla ha eccepito al riguardo -per cui anche tale circostanza è da ritenersi pacifica-, ma lo stesso resistente non ha dimostrato di aver messo a disposizione della ricorrente "i materiali" necessari per detti interventi edilizi -secondo quanto pattuito sempre nell'ambito dell'art. 10 del contratto-: ne consegue che l'eccezione in esame non è idonea per paralizzare l'altrui pretesa avente ad oggetto la pretesa dell'adempimento dell'obbligazione principale del conduttore, qual è, appunto, quella di pagare regolarmente il canone di locazione, ed in mancanza della quale va dichiarata la risoluzione del contratto e contestualmente ordinato il rilascio del fondo da parte dei resistente che vanno, altresì, condannati al versamento dei canoni insoluti richiesti nell'ambito del ricorso introduttivo del giudizio (nei limiti della domanda avanzata). D'altronde, a tale ultimo riguardo si osserva che l'art. 5, comma 4, L. 203/1982 espressamente dispone che la morosità del conduttore rappresenta un grave inadempimento ai fini della risoluzione del contratto: la giurisprudenza è, infatti, concorde nel ritenere che "in tema di contratti di affitto agrario, l'art. 5, comma 4, della l. n. 203 del 1982, secondo il quale la morosità del conduttore costituisce grave inadempimento ai fini della pronunzia di risoluzione del contratto ove si concreti nel mancato pagamento del canone per "almeno una annualità", si interpreta nel senso che la condizione posta per la risoluzione consiste nella sussistenza di un credito in favore della parte concedente per una somma pari ad almeno una annualità di canone e non anche che la risoluzione del contratto di affitto possa essere pronunziata nella sola ipotesi in cui il conduttore abbia omesso di corrispondere il canone per almeno una annualità, soluzione quest'ultima che porterebbe a ritenere irrilevante, per la risoluzione del contratto, la corresponsione annuale di una somma irrisoria, e ciò in contrasto, oltre che con la lettera, anche con lo spirito della legge, per il quale rileva, ai fini della determinazione di una gravità della morosità tale da giustificare la risoluzione, l'ammontare dei canoni complessivamente non pagati dal conduttore piuttosto che l'arco temporale in cui questi non abbia versato alcun corrispettivo al concedente" (Cassazione civile sez. III, 20/08/2015, n.17008). Ne consegue che la domanda è fondata, per cui, in accoglimento della stessa 1) il contratto di affitto va dichiarato risolto per inadempimento del resistente; 2) conseguentemente, deve essere ordinato il rilascio immediato (e comunque entro il 10.11.2023) del fondo agricolo e del fabbricato rurale -liberi da persone e cose-; 3) i resistenti vanno condannati a pagare Euro 37.000.00, oltre interessi legali dalla data della domanda e sino al soddisfo. Né, in senso contrario a quanto appena osservato, depone l'eccezione in merito alla nullità della clausola relativa al canone pattuito in ragione della mancata effettiva assistenza delle associazioni sindacali di categoria: ed invero, a tale ultimo riguardo basti osservare che in calce al contratto dedotto in giudizio -si ribadisce, non disconosciuto in alcun modo da parte resistente- è apposto il timbro dell'associazione nazionale produttori agricoli, il che è dirimente ai fini del rigetto dell'eccezione in esame: ed invero, sul punto la condivisile giurisprudenza di legittimità ha chiarito che 1) "In tema di stipulazione di accordi in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, ai sensi dell'art. 45 della l. n. 203 del 1982, perché si abbia assistenza dell'associazione professionale di categoria è necessario che essa si estrinsechi in un'attività effettiva di consulenza e d'indirizzo che chiarisca alle parti il contenuto e lo scopo delle singole clausole contrattuali che si discostino dalle disposizioni di legge affinché la stipulazione avvenga con la massima consapevolezza possibile, e, quindi, purché l'assistenza sia stata così prestata, sussiste la validità del contratto ed è, a tal fine, probante la sottoscrizione, da parte dei contraenti e dei loro rispettivi rappresentanti sindacali, del documento negoziale" (Cassazione civile sez. VI, 27/07/2018, n.19906); 2) "In tema di stipulazione di accordi in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari ai sensi dell'art. 45 della l. n. 203 del 1982, la dichiarazione dell'esistenza dell'assistenza sindacale contenuta nel documento negoziale non attiene a diritti indisponibili, non riguarda la ricezione di una specifica e dettagliata informazione tecnica sul negozio e, in considerazione della sua natura confessoria, ha il valore di prova legale, di talché per inficiarla non può essere ammessa la prova per testimoni. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l'ammissibilità della prova testimoniale volta a dimostrare che la dichiarata assistenza dell'organizzazione di categoria, richiesta a pena di nullità della pattuizione in deroga alla durata legale dell'affitto agrario, non si era concretamente svolta come una effettiva attività di consulenza e di indirizzo)" (Cassazione civile sez. III, 21/06/2017, n.15370). 2. Sulle spese di lite Quanto alle spese di lite, le stesse -liquidate come in dispositivo secondo i parametri minimi del d.m. 147/2022 relativi allo scaglione di riferimento, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria (data l'assenza di attività in relazione a tale fase), seguono la soccombenza di parte resistente ai sensi dell'art. 91 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, Sezione Specializzata Agraria, in persona dei Sigg.ri Magistrati componenti il Collegio Agrario, definitivamente pronunziando sulla causa iscritta al n. 4687/2020 del R.G.A.C., ogni contraria istanza, difesa eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) accoglie la domanda del ricorrente e, per l'effetto: - dichiara la risoluzione del contratto di affitto dedotto in giudizio; - ordina a parte resistente il rilascio del fondo agricolo e del fabbricato rurale oggetto di causa, libero da persone e da cose, immediatamente e comunque non oltre il 10.11.2023; - condanna i resistenti, in solido tra loro, al pagamento in favore di parte ricorrente della somma di Euro 37.000,00, oltre interessi legali dalla data della domanda e sino al soddisfo; 2) dichiara improcedibile la sporta domanda riconvenzionale; 3) condanna i resistenti, in solido tra loro, al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese di lite, che si liquidano in Euro 2.905,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA, se dovute, come per legge. Riserva il deposito delle motivazioni in giorni 15. Manda la cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Benevento, lì 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO I sezione civile, in composizione collegiale, nelle persone dei Magistrati: dr. Ennio RICCI - Presidente dr.ssa Floriana CONSOLANTE - Giudice relatore dr.ssa Serena BERRUTI - Giudice riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2795 R.G. dell'anno 2017 riservata in decisione all'udienza del 18 maggio 2022 con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. vertente TRA (...) e (...), entrambe rappresentate e difese, in virtù di procura in atti, dall'avv. Ma.Ve. e la prima anche disgiuntamente dall'avv. El.Mo., quest'ultima procuratrice anche di se stessa ex art. 86 c.p.c.; attrici E (...), rappresentata e difesa in virtù di procura in atti dall'avv. Ma.Ca.; convenuta NONCHE' (...) e (...), entrambi rappresentati e difesi dall'avv. Ma.Ca. in virtù di procura in atti; intervenuti volontari (...), rappresentato e difeso in virtù di procura in atti dall'avv. Ma.Ma.; terzo chiamato in causa ex art. 102 c.p.c. E (...) nata a (...) il (...); terza chiamata in causa ex art. 102 c.p.c. contumace MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 12/06/2017, (...) e (...), premesso di essere eredi legittime, unitamente alla madre (...), del defunto padre (...), nato a (...) (A.) il (...) e deceduto in data 20/08/2016, deducevano di avere accettato l'eredità del padre con beneficio d'inventario, con atto redatto dal Notaio (...) in data 03/10/2016,. Le attrici deducevano di essere venute a conoscenza, durante la redazione dell'inventario, che (...) ( nata in (...) in data 9 luglio 1942) aveva pubblicato in data 21.9.2016, a mezzo del Notaio (...), un testamento autografo di (...) con il quale quest'ultimo, con un legato, aveva disposto in favore della (...) dell'unico compendio immobiliare di sua proprietà sito in (...) a (...) (B.) alla Via (...) 2 bis (fabbricato fg. (...) part. (...) sub (...) e appezzamento di terreno fg. (...) part. (...), costituente corte pertinenziale al fabbricato ). Si precisava che nel testamento il (...) così disponeva: "Io sottoscritto (...), in piena facoltà mentale, dichiaro che tutta la proprietà della sig.ra (...) in (...) a (...) in Via (...) 2 bis, che mi fu data in donazione dalla stessa nel gennaio 2011, con atto notarile del dott. (...), deve ritornare per mia esclusiva volontà alla sig.ra (...). Pastene lì 15.11.2013 in fede (...)". Le attrici asserivano che, come precisato dal Notaio nel verbale di pubblicazione del testamento, il (...) aveva acquistato dalla (...) il compendio immobiliare sito in (...) a (...) non con una "donazione" ( espressione utilizzata dal de cuius nel testamento) bensì con atto di compravendita per Notaio (...) del 24.1.2011. Era dedotto che il (...) aveva acquistato tali immobili dalla (...), in regime di comunione legale dei beni con la propria coniuge e che, pertanto, l'acquisto del legato in favore della (...) era stato trascritto per la quota di ½ della proprietà del compendio immobiliare. Era evidenziato che nella nota di trascrizione dell'acquisto del legato era stato espressamente precisato che "l'immobile oggetto del legato fu acquistato dal defunto vigente il regime di comunione legale dei beni". Le attrici lamentavano che il legato disposto da (...) in favore della (...) aveva leso la quota di legittima ad esse spettanti sull'eredità paterna in quanto con la disposizione testamentaria il de cuius le aveva pretermesse lasciando loro debiti ed un'autovettura che non era stata rinvenuta. Tanto premesso (...) e (...) convenivano in giudizio (...) per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "1)-accertar e dichiarare che la disposizione testamentaria - pubblicata il 21 settembre 2016 a mezzo del Notar Montanari sedente in Cervia - del defunto (...) ,istitutiva di legato in favore della convenuta (...) con attribuzione dell'intero ed unico complesso immobiliare abitativo in S.A. a (...) fraz. P., Via (...) n.2/A (comprendente la porzione del fabbricato e l'area pertinenziale) innanzi indicato , è attributiva di un legato superiore alla quota disponibile dal de cuius ed ha leso la quota di legittima spettante alle attrici, figlie del detto (...);, 2) per l'effetto, ridurre il legato alla quota disponibile, e pertanto procedere alla separazione dal complesso immobiliare abitativo attribuito della parte occorrente per integrare quota riservata alle attrici (fino alla metà del relitto ex art.556 c.c.), condannando la (...) a rilasciare la parte separata oltre la disponibile alle attrici e all'eredità libera e vuota da cose e persone; nel caso in cui la separazione non possa farsi comodamente, accertare che la legataria (...) ha nel complesso immobiliare un'eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile e condannare la (...) a lasciare per intero nella eredità di (...) l'intero complesso immobiliare e per l'effetto a rilasciare libero e vuoto da cose e persone il complesso immobiliare dalla stessa detenuto; 3) condannare la (...) alla restituzione in favore delle attrici e della eredità dei frutti derivati dalla illecita detenzione o possesso del complesso immobiliare dalla data del decesso fino alla data di rilascio, nella misura che sarà determinata nel corso del giudizio in subordine secondo equità; 4) ordinare al Conservatore dei Registri Immobiliari di Benevento la trascrizione conseguente della emananda sentenza; 5) spese regolamentate secondo legge". In data 13/11/2017 si costituiva (...) la quale contestava l'avversa domanda ed eccepiva, in via preliminare, l'improcedibilità della proposta domanda per mancato esperimento della mediazione obbligatoria. La convenuta evidenziava che i suddetti beni immobili (oggetto del legato) erano stati trasferiti da lei al (...) con atto di compravendita del 24.1.2011 il quale, in sostanza, era un atto di vitalizio oneroso con il quale il (...) si era obbligato a provvedere al mantenimento della (...) a fronte del trasferimento della proprietà degli immobili oggetto del contratto. La convenuta con la comparsa di costituzione e risposta proponeva in riconvenzionale domanda di risoluzione per inadempimento dell'atto di compravendita del 24/01/2011, stipulato con il (...), con richiesta di applicazione degli effetti della clausola risolutiva espressa ivi contenuta, deducendo che il (...), a seguito del trasferimento immobiliare, non aveva adempiuto all'obbligo di mantenimento assunto, per cui il contratto doveva essere ritenuto risolto di diritto. La convenuta evidenziava, inoltre, che l'attivo dell'asse ereditario non era costituito solo dai beni immobili indicati dalle attrici poiché dovevano essere considerate anche le donazioni e le elargizioni che il padre aveva effettuato in favore delle figlie: Euro 35.000 liquidati al (...) a titolo di TRF elargito alle eredi, la somma di Euro 500,00 mensili versata dal (...) in favore della figlia (...), l'autovettura Hyundai tg. (...), la somma di Euro 9000,00 liquidata al (...) dalla società di assicurazioni in seguito ad un sinistro stradale. La (...), inoltre, precisava di avere acquistato in passato da diversi proprietari le porzioni del compendio immobiliare successivamente trasferito al (...), di avere provveduto ad acquistare gli arredi e le suppellettili, a fare interventi di ristrutturazione delle varie unità abitative, evidenziando di avere convissuto che il (...), sin dal 1996, nella propria abitazione in cui non vi era alcun bene mobile del (...). In via riconvenzionale la convenuta chiedeva altresì accertarsi l'assistenza prestata da lei in favore del (...) durante i vari ricoveri a cui lo stesso era stato sottoposto, nell'indifferenza della famiglia, e da ultimo per l'intero mese di agosto 2016 al termine del quale il (...) era deceduto e che le venissero riconosciute tutte le spese sostenute per l'assistenza prestata le quali dovevano far parte dell'asse ereditario e, pertanto, concludeva chiedendo: "1)- in via preliminare e pregiudiziale, accogliere l'eccezione di improcedibilità della domanda per violazione l'art. 5 comma 1 bis del D.Lgs. n. 28 del 2001,; 2)-nel merito, rigettare la domanda così come proposta, in quanto infondata sia in fatto che in diritto;3)- accertare e dichiarare la risoluzione di diritto dell'atto di compravendita per Notar (...) Rep. (...) RAC. (...) del (...), in virtù della clausola risolutiva espressa ivi indicata all'art. 9 e, per l'effetto, dichiarare la piena proprietà dei beni oggetto del predetto atto in capo alla (...), con ogni conseguenza di legge; 4)-in via subordinata , rideterminare l'asse ereditario nell'attivo alla luce delle donazioni e collazioni come evidenziati nel presente atto e conseguentemente, alla luce delle disposizione testamentaria, calcolare la quota disponibile spettante alla (...); 5)- in via riconvenzionale, accertare e dichiarare il diritto della (...) alla corresponsione della somma di Euro. 50.000,00 ovvero della maggiore o minore somma che verrà accertata in giudizio, anche in via equitativa, per l'assistenza prestata in favore del (...) durante i ricoveri ospedalieri e le cure e spese prestate durante i cicli di terapie prescritte, oltre interessi come per legge e, per l'effetto, condannare le eredi al versamento della somma di Euro. 50.000,00 ovvero della maggiore o minore somma che verrà accertata in giudizio, anche in via equitativa, oltre interessi ;6)- sempre in via riconvenzionale, ed in ogni caso, accertare e dichiarare che nel passivo dell'asse ereditario vengano calcolate le somme anticipate dalla (...) (Euro. 3.000.00 a titolo di spese funerarie; Euro. 158,00 per versamento di IMU ed altri Tributi locali anno 2013 ; Euro. 8.681,59 per imposta di successione; Euro. 256,20 per redazione denuncia di successione; Euro. 937,60 per imposte e tributi; Euro. 1.950,00 per pubblicazione testamento; Euro. 142,00 domanda di voltura ) oltre a quelle indicate per la prestata assistenza (Euro. 50.000,00) e, per l'effetto, condannare le eredi alla ripetizione in favore della (...) con ogni conseguenza di legge; 6)- ordinare al Conservatore dei RR.II. Di Benevento la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale proposta da parte attrice". Il G.I., all'esito della I udienza di comparizione del 17.12.2017, onerava parte attrice ad esperire il tentativo di mediazione obbligatoria. Alla successiva udienza del 18 aprile 2018 si costituivano volontariamente (...) e (...), figli della convenuta (...) e (...) (nato a B. il (...)) i quali si erano uniti in matrimonio il 20.3.1960 in regime di comunione dei beni. I terzi intervenuti affermavano di vantare dei diritti di proprietà, quali eredi del loro padre (...) ( deceduto il 13.3.2006) sui beni immobili oggetto di causa, intestati alla loro madre (...). (...) e (...), a sostegno della loro pretesa, evidenziavano che gli immobili oggetto di causa erano stati acquistati dalla loro madre (...) quando era ancora coniugata con il marito (...), in regime di comunione dei beni, non essendo mai intervenuta tra loro la separazione legale; che alla morte del loro padre (...), avvenuta nel 2006, la madre (...) aveva rinunciato all'eredità del marito, per cui l'eredità paterna era devoluta in favore dei tre figli (...), (...) e (...), in parti uguali fra loro. Deducevano, pertanto, di essere subentrati nella quota del 50% della proprietà, di cui il loro padre era titolare, degli immobili acquistati dalla madre ( ognuno per la quota di 167/1000). Deducevano che, alla morte del loro padre, essi avevano sempre consentito alla madre di rimanere nel possesso dei predetti immobili e di essere stati all'oscuro che la stessa, nel 2011, avesse trasferito la proprietà di tali immobili al (...) ( circostanza appresa solo in sede di procedimento di mediazione) Alla luce di argomentazioni, i germani (...) sostenevano che la madre (...), con l'atto per Notaio (...) del 24.1.2011 aveva trasferito a favore di (...) solo la sua quota del 50% della proprietà dei predetti immobili e non l'altra quota del 50%, originariamente in titolarità del marito (...) nella quale erano succeduti i tre figli. Tanto premesso (...) e (...) chiedevano al Tribunale di accertare e dichiarare che i beni immobili acquistati da (...) negli anni dal 1996 al 2004 ( atti di compravendita per Notaio (...) del (...) e del 30.9.1996, per Notaio (...) del 29.6.2004 e per Notaio (...) del (...)) erano ricaduti nella comunione legale tra (...) ed il marito (...) e che, pertanto, gli stessi ne erano comproprietari quali eredi del padre; accertare e dichiarare che a (...), (...) e (...), quali eredi legittimi di (...) ( essendo intervenuta rinuncia all'eredità della coniuge (...)) va riconosciuta la proprietà della quota della metà di detti immobili; accertare e dichiarare la nullità, anche parziale, dell'atto di compravendita per Notaio (...) del 24.1.2011, avendo la (...) alienato al (...) beni parzialmente altrui o comunque accertare che con tale atto (...) aveva alienato al (...) solo la quota del 50% della proprietà dei predetti immobili. I terzi intervenuti, chiedevano, che nella determinazione dell'asse ereditario da compiere ai fini dell'accertamento della lesione di legittima invocato dalle attrici, venisse detratta la quota di proprietà degli immobili in titolarità degli eredi di (...), con ordine di trascrizione nei registri immobiliari dei diritti loro spettanti. Il G.I. con ordinanza del 1 aprile 2019 ordinava l'integrazione del contraddittorio nei confronti di (...), litisconsorte necessaria quale coniuge e, quindi, chiamata all'eredità ex lege di (...), rispetto alla domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta (...) di risoluzione dell'atto di "compravendita" del 24.1.2011 concluso dal (...); nonché nei confronti di (...) ( altro figlio di (...) e (...)), litisconsorte necessario rispetto alla domanda di accertamento avanzata dagli interventori volontari (...) e (...). Si costituiva (...) il quale aderiva integralmente alle deduzioni e alle conclusioni rassegnate nella comparsa di intervento di (...) e (...). Rimaneva contumace la litisconsorte necessaria (...). Le attrici, nelle note autorizzate dal G.I. a seguito della costituzione in giudizio dei terzi, eccepivano l'inammissibilità dell'intervento e delle domande avanzate dai terzi (...) e (...) perché tardive. La (...) eccepiva che i terzi si erano costituiti solo all'udienza del 18 aprile 2018, fissata in prosieguo di I udienza dopo l'esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria. Nel merito le attrici eccepivano; che il diritto di (...) e (...) di accettare l'eredità del loro padre (...) si era prescritto atteso che, dalla data del 13 marzo 2006 del decesso di quest'ultimo, non vi era stata alcuna accettazione dell'eredità sino al 13.3.2016; che l'acquisto dei beni immobili da parte della (...) non era avvenuto in regime di comunione dei beni con il suo coniuge, anche in assenza di una separazione legale tra coniugi, atteso che la (...) e (...) erano separati di fatto stabilmente e continuativamente sin dalla metà degli anni 70; che comunque (...) non aveva mai esercitato alcun possesso sugli immobili acquistati dalla (...) che, invece, li aveva posseduti in via esclusiva nel totale disinteresse del (...) con il quale era di fatto separata; che quindi la (...) e poi il (...) avevano posseduto pienamente e per l'intero, in modo pubblico, pacifico e in buona fede, l'immobile per oltre dieci anni ed addirittura per oltre venti anni, riguardo ai beni acquistati nel 1996, così acquistandone la proprietà a titolo originario per usucapione; che comunque la (...) aveva di fatto accettato tacitamente l'eredità del coniuge (...) posto che, dopo la morte di quest'ultimo, avvenuta il 13 marzo 2006, aveva trasferito nel gennaio 2011 al (...) gli immobili che, secondo l'assunto della controparte erano stati acquistati dalla (...) in regime di comunione legale con il marito, così ponendo in essere un atto di accettazione tacita dell'eredità; che, pertanto, la successiva rinuncia all'eredità del 2.11.2011 era priva di effetti in quanto l'accettazione dell'eredità non può essere revocata. Depositate le memorie di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., erano respinte le richieste di prova orale articolate dalle parti e veniva disposta una CTU al fine di procedere alla stima degli immobili oggetto del legato alla data dell'apertura della successione e per la valutazione della loro divisibilità in natura. Occorre evidenziare che nella I memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. la convenuta (...) si associava alle difese svolte dagli intervenuti chiedendo l'accoglimento di tutte le loro richieste e conclusioni. In particolare (...) deduceva di non essersi mai separata legalmente dal coniuge (...) e, pertanto, tutti gli acquisti immobiliari in suo favore erano avvenuti in regime di comunione legale dei beni, nonostante nell'atto pubblico del 24.1.2011 aveva dichiarato, in buona fede, di essere in regime di separazione legale. All'esito del deposito dell'elaborato del CTU arch. Francesca Bozzi, la causa era riservata in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. -Sull'intervento dei terzi intervenuti e sulle domande da loro esperite Preliminarmente va respinta l'eccezione, sollevata dalle attrici, di inammissibilità dell'intervento e delle domande avanzate dai terzi perché costituiti successivamente alla I udienza di comparizione delle parti. In proposito si osserva che i terzi (...) ed (...) hanno spiegato un intervento principale chiedendo di accertare che essi sono proprietari, quali eredi del padre (...), di una quota della proprietà dei beni oggetto di causa. Orbene al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha affermato che "La formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c. non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non opera il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie' (così la massima di Cass. N. 25798/2015; conforme Cassazione Civile n. 31939/2019). E' stato affermato ( ancor più chiaramente, Cassazione civile n. 3116/2015) che l'art. 268 c.p.c. preclude al terzo intervenuto quelle attività che la fase in cui si trova il procedimento non consente alle altre parti. Una tale preclusione, tuttavia, non può estendersi alla attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti non è operante il divieto di proporre domande nuove che vincola le parti originarie ( artt. 167 e 183 c.p.c.) e ciò, per la ragione che la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile. Sicché, ammesso ogni tipo di intervento lungo l'intero sviluppo della trattazione istruttoria ("... sino a che non vengano precisate le conclusioni"), con ciò stesso è riconosciuta - entro quel limite - la estensibilità della materia del processo alla pretesa del terzo interveniente: se, infatti, si negasse la proponibilità della domanda oltre la prima udienza, ne risulterebbe precluso l'intervento stesso oltre quel termine in contrasto con il chiaro disposto dell'art. 268 c.p.c. comma 1. In conclusione si deve confermare il principio secondo cui "la formulazione della domanda costituisce l'essenza stessa dell'intervento principale e litisconsortile, sicché la preclusione sancita dall'art. 268 c.p.c., non si estende all'attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento "fino all'udienza di precisazione delle conclusioni", configurandosi solo l'obbligo, per l'interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie' (Cass. 28 luglio 2005, n. 15787; Cass. 11 luglio 2011, n.15208; Cass. 16 ottobre 2008, n. 15208; Cass. 14 febbraio 2006, n. 3186). Riguardo poi all'eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio degli intervenienti volontari ex art. 105 c.p.c. perché avvenuta all'udienza del 18 aprile 2018 con modalità cartacea, se ne rileva la infondatezza atteso che le disposizioni processuali all'epoca vigenti imponevano il deposito telematico solo degli atti endoprocessuali, cioè degli atti successivi alla costituzione in giudizio delle parti, essendo quindi ammissibile la costituzione in giudizio con il deposito dell'atto introduttivo ( citazione, ricorso, comparsa di costituzione) in forma cartacea. Tuttavia si rileva che le attrici hanno eccepito la prescrizione del diritto dei germani (...) di accettare l'eredità paterna per decorso del termine decennale di cui all'art. 480 c.c. Tale eccezione è fondata. Ed invero, i terzi intervenuti (...), (...) e (...) non hanno dimostrato la loro qualità di eredi di (...) non avendo né dedotto nel provato di essere nel possesso dei beni del defunto padre, né di avere posto in essere una formale dichiarazione di accettazione dell'eredità o il compimento di atti produttivi degli effetti dell'accettazione tacita dell'eredità. La prova testimoniale articolata sul punto dai terzi intervenuti non è ammissibile atteso che la prova del pagamento delle spese funerarie, dei debiti del de cuius (...) e delle spese cimiteriali andava fornita con documenti. Deve tra l'altro osservarsi che l'accettazione dell'eredità può essere espressa o tacita (art. 474 c.c.) ed è tacita (o cd. implicita) quando il chiamato all'eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede (art. 476 c.c.). Il legislatore tipizza, nell'art. 476 c.c., un cd. comportamento concludente in cui coesistono due requisiti imprescindibili: uno oggettivo (l'avere posto in essere un atto riservato all'erede); uno soggettivo, la volontà di accettare. In particolare, il pagamento delle spese funerarie da parte di un membro della famiglia costituisce l'espressione di un dovere morale e familiare, da non potere, dunque, essere ricondotto "tout court" all'adempimento di un peso ereditario. Si tratta, pertanto, di un atto che non può costituire accettazione tacita dell'eredità per gli effetti degli art. 474, 476 c.c.. Né l'accettazione tacita dell'eredità può essere ricondotta al pagamento dei debiti ereditari del de cuius, che nel caso di specie è stato dedotto in modo del tutto generico e non provato con documenti. In proposito si osserva che non possono costituire accettazione tacita dell'eredità gli atti di natura meramente conservativa del patrimonio del de cuius che il chiamato può compiere anche prima dell'accettazione, ex art. 460 c.c.. La Corte di Cassazione ha affermato in modo costante che per aversi accettazione tacita dell'eredità non basta che un atto sia compiuto dal chiamato all'eredità con l'implicita volontà di accettarla, ma è necessario, altresì, che si tratti di un atto che egli non avrebbe diritto di porre in essere se non nella qualità di erede. Il pagamento di un debito del de cuius, che il chiamato all'eredità effettui con denaro proprio, non è un atto dispositivo e comunque suscettibile di menomare la consistenza dell'asse ereditario, cioè tale che solo l'erede abbia diritto di compiere. In esso, pertanto, difetta il secondo dei suddetti requisiti, richiesti in via cumulativa e non disgiuntiva per l'accettazione tacita ( cfr. Cassazione civile n. 20878/2020). Nel presente giudizio i terzi intervenuti hanno dedotto in modo generico di avere pagato debiti del loro padre (...) ma, tuttavia, non hanno specificato quali fossero tali debiti (causale, entità) e con quali mezzi di pagamento e con quale danaro sarebbero stati estinti, e senza fornirne alcuna prova documentale. Ritenuta fondata l'eccezione di prescrizione del diritto di accettare l'eredità paterna vantato dai terzi intervenuti, ne consegue che la domanda con la quale essi hanno chiesto al Tribunale di essere riconosciuti proprietari, per la quota della metà, degli immobili oggetto di causa va respinta. -le domande riconvenzionali e le eccezioni della convenuta (...) Il Tribunale ritiene che, prima di procedere all'esame della domanda di riduzione esperita dalle attrici, occorre valutare le domande riconvenzionali proposte e le eccezioni sollevate dalla convenuta. Non merita accoglimento la domanda di risoluzione del contratto di mantenimento per Notaio (...) del 24.1.2011 avanzata dalla convenuta (...) la quale ha sostenuto che il (...) sarebbe stato inadempiente rispetto all'obbligo assunto con quel contratto di provvedere al suo mantenimento vita natural durante, a fronte del trasferimento della proprietà di beni immobili. Si osserva che è pacifica la circostanza che (...) e (...) hanno convissuto more uxorio, dalla metà degli anni '70 sino al decesso del (...) avvenuto nel 2016. (...) nel proporre la domanda riconvenzionale non ha dedotto specifiche condotte inadempienti del (...) di non scarsa importanza ( art. 1455 c.c.) tali da determinare uno squilibrio del sinallagma contrattuale e giustificare la risoluzione del contratto. L'inadempimento dell'obbligato (...) avrebbe potuto essere ritenuto sussistente solo allorché fosse stato dedotto e provato dalla (...) che, a fronte di proprie specifiche e oggettive esigenze di assistenza materiale e morale, l'obbligato non vi aveva provveduto. Nessuna specifica condotta inadempiente del (...) è stata, invece, allegata dalla (...) la quale si è limitata ad affermare che, al contrario, era stata lei ad assistere il (...) negli anni della sua malattia sino al decesso avvenuto nel 2016. In proposito va considerato che il contratto atipico di cosiddetto "vitalizio alimentare" o "vitalizio assistenziale" con il quale una parte, dietro corrispettivo della cessione di un immobile, si obblighi a prestare all'altra per tutta la durata della vita una completa assistenza materiale e morale (per i profili di validità cfr. Cass., sez. II, 19 luglio 2011 n.15848) si caratterizza per l'alea che è correlata ad un duplice fattore di incertezza, costituito dalla durata della vita del beneficiario del vitalizio e dalla variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto al suo stato di bisogno e di salute, non predeterminabili al momento della stipula del contratto (Cass. n. 1502/1998). In tale contratto le prestazioni non sono predeterminate nel loro ammontare, ma variano, giorno per giorno, secondo i bisogni, anche in ragione dell'età e della salute del beneficiario" (Cass. n. 22009/2016; Cass. n. 8825/1996; Cass. n. 15848/ 2011; Cassazione civile,sez. II, 31.01.2017, n. 2522). Non è meritevole di accoglimento anche la domanda avanzata dalla (...) nei confronti delle attrici, nella qualità di figlie ed eredi di (...), di rimborso degli esborsi sostenuti per le cure prestate al (...) durante la sua malattia. Il Tribunale osserva che si è trattato di prestazioni rese spontaneamente dalla (...) in virtù di un obbligo morale e sociale in ragione del rapporto sentimentale e di convivenza more uxorio intercorso, per diversi decenni, con il (...). Si rammenta che le prestazioni rese in adempimento di obbligazioni naturali non legittimano alcuna pretesa di rimborso o restitutoria come previsto dall'art. 2034 c.c.. Inoltre le donazioni in denaro che la convenuta assume che siano state fatte dal (...) in favore delle figlie non sono state provate documentalmente. Riguardo alla corresponsione di Euro 500,00 mensili che si assume che il (...) abbia fatto, quando era in vita, in favore di una delle sue figlie, il Tribunale ritiene che tale prestazione periodica non è stata una "liberalità" bensì, stante le modalità e l'entità di tale pagamento mensile, è stata posta in essere in adempimento dell'obbligo del genitore di provvedere al mantenimento dei figli, anche se maggiorenni non economicamente autosufficienti, ragione per cui tali elargizioni non sono soggette a collazione stante il disposto di cui all'art. 742 c.c. secondo il quale non sono soggette a collazione le spese di mantenimento. Ne consegue che le somme ricevute a titolo di mantenimento da (...) non vanno computate al fine della determinazione della quota di riserva a questa spettante quale erede legittimaria del padre. -sull'azione di riduzione delle attrici. Tanto premesso, è indubbio che il legato posto in essere da (...) con le sue disposizioni testamentarie ha leso interamente il diritto alla quota di legittima spettante alle attrici ai sensi dell'art. 536 c.c., quali figlie legittimarie del de cuius. Risulta dagli atti che il (...) con tale legato in favore della (...) ha disposto di tutti i beni immobili di cui era proprietario alla data del suo decesso. Dal verbale notarile di inventario dell'eredità di (...) ( depositato dalle attrice le quali hanno accettato l'eredità del padre con beneficio d'inventario) emerge che gli unici immobili di cui il de cuius risultava proprietario erano quelli oggetto del legato. Nelle attività della massa ereditaria vi era inoltre l'autovettura H. X3 tg (...), immatricolata in data 4.12.1997, e il credito alla riscossione del saldo di un conto corrente bancario dell'importo di Euro 3.643,25. Orbene alla data della morte di (...) erano chiamati all'eredità quali legittimari la coniuge (...) e le figlie (...) e (...). L'art. 542 c.c. dispone che, in caso di concorso del coniuge e più figli, ad essi è riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli è effettuata in parti uguali. Il restante quarto del patrimonio costituisce la quota disponibile. Il Tribunale, prima di procedere alla determinazione della massa ereditaria, rileva che occorre ricostruire, alla luce di quanto dedotto ed eccepito dalle parti, i passaggi di proprietà che hanno interessato i predetti immobili. (...), coniugata in regime di comunione legale dei beni con (...) ( da cui era separata solo di fatto) con più atti pubblici ( dal 1996 al 2004) acquistò i beni immobili oggetto di causa , oggi sono censiti in catasto al foglio (...) particelle (...) sub (...) ( fabbricato) e (...) ( terreno). Il Tribunale rileva che i terzi intervenuti ( figli di (...) e di (...)) hanno eccepito che, poiché i loro genitori erano regime di comunione legale dei beni, l'acquisto di tali immobili da parte della loro madre, in costanza di matrimonio, era ricaduto in comunione legale dei beni ex art. 177 c.c. e conseguentemente la (...), allorchè con atto del 24.1.2011 trasferì la proprietà degli stessi al (...), di fatto dispose solo della quota del 50% di cui era titolare in quanto l'altra quota, in titolarità del padre ormai deceduto, era caduta in successione. Il Tribunale ritiene che tale eccezione è inammissibile atteso che, come in precedenza evidenziato, i terzi intervenuti (...), (...) e (...) non sono eredi del loro padre (...) ( essendosi prescritto il loro diritto di accettare l'eredità paterna) per cui non sono legittimati a sollevare detta eccezione né ad esperire la domanda tesa ad accertare che la quota del 50% della proprietà degli immobili, originariamente in titolarità del (...), era stata devoluta in loro favore per successione ereditaria del loro padre. Tanto premesso si osserva che con atto di "compravendita" per Notaio (...) del 24.1.2011 (...) trasferì la proprietà dei suddetti beni a (...) ( suo convivente more uxorio). Va evidenziato che (...) era coniugato con (...) in regime di comunione dei beni da cui era separato solo di fatto (come tempestivamente eccepito dalle attrici) ragione per cui, quando il (...) acquistò con atto per Notaio (...) del 24.1.2011 la proprietà dei beni immobili siti in (...) a (...) della (...), tale acquisto cadde in comunione tra i coniugi (...) e (...). Con testamento olografo del 15.11.2013, pubblicato con atto per atto notarile del 21.9.2016, (...) dispose con un legato di questi beni immobili in favore di (...). E' evidente che, per effetto di tale legato, (...) non ha acquistato la proprietà per l'intero dei beni immobili, bensì solo della quota di 1/2 di cui il (...) poteva disporre atteso che l'altra quota era in titolarità di (...) (coniuge del (...)). Si osserva che ai sensi dell'art. 652 c.c.( legato di cosa solo in parte del testatore) se al testatore appartiene una parte della cosa legata, il legato è valido solo relativamente a questa parte. Va, infatti, rilevato che nella nota di trascrizione del testamento di (...) (n. 23 del 29.9.2016 reg. gen. n. (...) e reg part. n.7862- cfr. allegato n.10 della produzione di parte attrice) il Notaio precisava che l'immobile oggetto del legato era stato acquistato dal defunto (...) vigente il regime della comunione legale dei beni per cui nella nota di trascrizione viene riportato il trasferimento a favore della (...) solo della quota di 1/2 della proprietà. Tanto premesso il CTU ha stimato in Euro 310.792,63 il valore dei beni immobili oggetto di causa: fabbricato fg. (...) part. (...) sub (...) e appezzamento di terreno fg. (...) part. (...), costituente corte pertinenziale al fabbricato sito in (...) a (...) (...). I beni immobili oggetto del legato sono stati correttamente stimati dal CTU secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (20 agosto 2016) come previsto dagli artt. 747 e 750 c.c.. richiamato dall'art. 556 c.c. che detta i criteri di determinazione della porzione disponibile del de cuius. La stima del CTU è corretta atteso che è stata effettuata con riferimento ai dati forniti dalle pubblicazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare dell'Agenzia del territorio di Benevento dove per le abitazioni civili a destinazioni residenziali ( di tipo economico) nel Comune di (...) Aneglo a Cupolo (frazione Pastene) i valori di mercato dell'anno 2016 sono indicati tra un minimo di Euro 1250,00 x mq ad un massimo di Euro 1500,00x mq. Il CTU ha considerato il valore di mercato medio di Euro 1375,00xmq, decurtato del 35% in considerazione del cattivo stato di conservazione in cui versa il fabbricato. La quota di proprietà di (...) pari al 50% (essendo l'altra in titolarità della coniuge (...)) aveva quindi un valore di Euro 155.396,31 Nella determinazione della massa attiva ereditaria del (...) va considerato il valore di tale quota di proprietà immobiliare e il credito di saldo di conto corrente pari ad Euro 3.643,25 per un valore complessivo di Euro 159.039,56. Nessun valore di mercato può essere attribuito all'autovettura di proprietà del (...) immatricolazione nell'anno 1997 e, quindi, circa venti anni addietro rispetto alla data dell'apertura della successione ( 20.8.2016). Dal verbale di inventario emerge che nella massa ereditaria di (...) vi erano passività per complessivi Euro 1.146,17. Come prescritto dall'art. 556 c.c, per determinare l'ammontare della quota di cui il defunto poteva disporre e, quindi, ai fini della valutazione della quota di eredità spettante ai legittimari pretermessi, deve essere considerata la massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al tempo della morte, detratti i debiti: Euro 159.039,56-Euro 1146,17: Euro 157.893,39. Nel caso di specie va considerato il disposto di cui all'art. 542 c.c. posto che eredi legittimari di (...) erano la coniuge (...) e le due figlie (...) e (...). L'art. 542 c.c. dispone che, in caso di concorso del coniuge e più figli, ad essi è riservata la metà del patrimonio e al coniuge spetta un quarto del patrimonio del defunto. La divisione tra tutti i figli è effettuata in parti uguali. Il restante quarto del patrimonio costituisce la quota disponibile. Ne consegue che, nel caso di specie, ai sensi dell'art. 542 comma 2 c.c., la quota di legittima spettante ai figli è pari al valore della metà della massa ereditaria e quindi ad Euro 78.946,69 da dividere in parti uguali tra le due figlie, ragione per cui a ciascuna delle attrici, a titolo di legittima, spetta una quota pari ad Euro 39.473,35 La quota disponibile ha un valore di Euro 39.473,35. E' evidente che il legato testamentario disposto dal (...) in favore di (...) ha leso interamente il diritto alla quota di legittima spettante alle attrici ai sensi dell'art. 536 c.c., quali figlie legittimarie del de cuius. Risulta dagli atti che il (...) ha trasferito alla (...) la proprietà del 50% degli immobili di cui era proprietario alla data del decesso per un valore di Euro 155.396,31, ben superiore alla quota disponibile di Euro 39.473,35 ledendo la quota di legittima delle sue figlie. Deve presumersi che le attrici, nella qualità di eredi del padre (...), abbiano riscosso il saldo del conto corrente bancario del de cuius pari Euro 3.643,25, sul quale ognuna ex lege ( art. 581 c.c.) ha diritto ad un terzo, per l'importo di Euro 1214,40. Ne consegue che, ai fini della reintegra della quota di legittima spettante a ciascuna delle attrici, il legato disposto in favore della (...) va ridotto per la parte occorrente ad integrare la quota riservata al legittimario leso, detratto quanto già spettante a ciascuna di esse sulla massa relitta per successione paterna ex lege, e quindi per un valore di Euro 38.231,95: Euro 39.473,35 (valore della quota di legittima)-Euro 1214,40 (importo spettante a ciascuna attrice sul saldo del c/c intestato al de cuius). Si osserva che se oggetto del legato o di una donazione da ridurre interessa un bene immobile, l'art. 560 c.c. dispone che la riduzione si fa separando dall'immobile medesimo la parte occorrente per integrare la quota riservata, se ciò può avvenire comodamente. Il CTU ha ritenuto che il fabbricato non è comodamente divisibile stante la sua conformazione. Il terreno costituisce una pertinenza del fabbricato. Ne consegue che in tal caso, considerato anche che le attrici nelle conclusioni non hanno espressamente chiesto l'attribuzione di una porzione dell'immobile ai fini della reintegra della loro quota di legittima, si ritiene che la convenuta (...) debba corrispondere in favore di ciascuna delle attrici, quali eredi legittimarie del de cuius (...), il valore in denaro della porzione del legato da ridurre, per l'importo innanzi indicato di Euro 38.231,95. La giurisprudenza di legittimità afferma che qualora la reintegrazione dell'erede nella quota di legittima venga effettuata mediante conguaglio in denaro sorge in capo all'erede un credito di valore e non già di valuta, che deve essere adeguato al mutato valore -al momento della decisione giudiziale - del bene cui il legittimario avrebbe diritto, affinchè ne costituisca l'esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione monetaria (vedi. Cass., sent. n. 10564/2005 e n. 6709/2010). Sull'importo di Euro 38.231,95 dovuto dalla convenuta (...) in favore di ciascuna delle attrici è, quindi, dovuta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT dalla data dell'apertura della successione sino alla data della presente pronuncia. Gli interessi legali sono dovuti, con decorrenza dalla data della domanda giudiziale sino alla data della presente pronuncia, e vanno calcolati sull'importo spettante a ciascuna delle attrici, rivalutato alla data di notifica della citazione, e successivamente rivalutato di anno in anno. Con la pronuncia della presente sentenza l'originario debito di valore si trasforma in debito di valuta. Pertanto, sull'importo liquidato di Euro 38.231,95, maggiorato della rivalutazione maturata sino alla data della presente decisione, decorrono ai sensi dell'art. 1282 c.c, senza ulteriore rivalutazione, ulteriori interessi legali con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino all'effettivo soddisfo. Le attrici hanno avanzato anche domanda di condanna di (...) alla restituzione in loro favore dei dei frutti derivati dalla illecita detenzione o possesso del complesso immobiliare oggetto del legato. La domanda è infondata. (...) ha goduto legittimamente in via esclusiva dei beni immobili di sua proprietà a lei trasferiti in forza del legato testamentario di (...) e non di beni in comunione ereditaria, per cui manca il titolo in virtù del quale ella sarebbe tenuta a restituire alla "massa ereditaria" i frutti derivanti da tale uso. Per completezza si osserva che il soggetto obbligato alla restituzione dell'immobile per effetto dell'accoglimento dell'azione di riduzione è tenuto a corrispondere anche i frutti a far data della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 561 c.c. Nel caso di specie, tuttavia, (...) in virtù dell'accoglimento della domanda di riduzione esperita dalle attrici non è stato condannato a restituire all'eredità gli immobili oggetto del legato disposto dal de cuius in suo favore, bensì al pagamento in favore delle attrici di una somma di denaro per l'importo necessario a reintegrare la quota di riserva loro spettante sull'eredità paterna, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, per cui nel caso di specie non opera la disposizione dell'ultimo comma dell'art. 561 c.c. Nel rapporto tra parte attrice e parte convenuta le spese processuali seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, vigente alla data in cui si è conclusa l'attività difensiva (scaglione da Euro 52.000,01 a Euro 260.000,00), con riduzione della metà dell'importo per la fase istruttoria considerato che è stata espletata solo una CTU. Per il principio della soccombenza anche le spese di CTU vanno poste a carico di parte convenuta. Riguardo ai terzi intervenuti sussistono giustificate ragioni, in considerazione della complessità delle questioni, per la compensazione delle spese processuali P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da (...) e da (...), con atto di citazione notificato il 12 giugno 2017, e sulle domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta (...) e dai terzi intervenuti, ogni altra domanda, eccezione ed istanza disattesa, così provvede: -accoglie la domanda delle attrici di riduzione per lesione di legittima del legato disposto da (...) in favore di (...) con testamento olografo pubblicato in data 21.9.2016 a mezzo del Notaio (...), e per l'effetto: condanna la convenuta (...) al pagamento in favore di ciascuna delle attrici dell'importo di Euro 38.231,95, oltre rivalutazione monetaria ed interessi come in motivazione; -respinge le domande riconvenzionali avanzate dalla convenuta; -respinge le domande riconvenzionali avanzate dai terzi intervenuti, -condanna la convenuta (...) al pagamento delle spese processuali in favore della parte attrice liquidate in Euro 620,00 per esborsi ed Euro 10.705,00 per compenso di avvocato di cui Euro 2430,00 per la fase di studio, Euro 1550,00 per la fase introduttiva, Euro 2700,00 per la fase istruttoria ed Euro 4025,00 per la fase decisoria, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge; compensa le spese processuali nei confronti dei terzi intervenuti; pone definitivamente le spese di CTU a carico di parte convenuta. Così deciso in Benevento il 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO Il Giudice dott. Rocco Abbondandolo, ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4595 del 2016 reg, gen. affari civili contenziosi Vertente tra (...) C.F.:(...) nato a G. (A.) il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. (...) C.F. congiuntamente e disgiuntamente all'Avv. (...) (...), ed elettivamente domiciliati presso il loro studio sito in Ariano Irpino (AV), alla giusta procura ad litem in atti. - attore E (...) rappresentato e difeso (...) dall'Avv. (...) unitamente e disgiuntamente all'Avv. (...) elettivamente domiciliato presso il loro studio in Grottaminarda (AV) al C.so (...) giusta procura ad litem in atti. - convenuto Avente ad Oggetto: actio negatoria servitutis MOTIVI DELLA DECISIONE L'azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell'"actio negatoria servitutis", essendo rivolta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto. Al convenuto incombe, invece, l'onere di provare l'esistenza di un diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore (Cass. nn. 2838/1999, 13212/2013). In materia di luci e vedute infatti, la titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell'azione al fine di esigere l'osservanza, ad opera del vicino, delle distanze di cui all'art. 907 c.c., sicché la parte convenuta per l'eliminazione di vedute poste a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 905 c.c., ha l'onere, ove affermi il proprio diritto a mantenerle, di provare l'avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitù, non rilevando la mera preesistenza, di fatto, di tali aperture, il cui possesso, di risalenza anche ultraventennale, non ne implica necessariamente l'appartenenza originaria a detto convenuto. (Cass. civ. Sez. Il Sent., 12/12/2016, n. 25342). Tanto premesso e partendo dalle opere insistenti sul fabbricato(...) che l'attore assume essere lesive del proprio diritto di proprietà, perché idonee a realizzare servitù di veduta dirette sul proprio fondo limitative del diritto dominicale pro quota acquisito per successione testamentaria di (...) (testamento pubblicato presso Notaio (...) il 1.02.2003 registrato il 7.02.2003), la domanda appare fondata e come tale va accolta. Anzitutto deve dichiararsi la corretta introduzione della domanda da parte (...) nudo proprietario pro quota del fondo e dell'immobile di cui è causa. Il comproprietario infatti può agire a tutela della proprietà comune al fine di far valere l'osservanza delle distanze legali, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari (Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 23/06/2020, n. 12325). Tanto premesso, è risultato accertato che sia il balcone al primo piano che quello al secondo piano dell'edificio (...) sono stati realizzati in violazione delle distanze legali prescritte dalla legge. Il CTU geom. (...) ha infatti rilevato che il balcone al primo piano è posizionato a cm 8o dal confine con la proprietà (...)e quindi in violazione delle distanze legali. Per quanto concerne l'altra veduta, il CTU ha rilevato che "sul terrazzino al piano secondo posto al confine con la proprietà (...) è stata realizzata una intelaiatura in alluminio preverniciato con vetro opaco che prosegue ad angolo retto sullo sbalzo per 75 cm eliminando di fatto la servitù di veduta verso il fondo dominante"; per cui l'indagine dovrà concentrarsi solo sulla prima delle due opere indicate dovendosi per questa seconda veduta, come richiesto dalle parti, dichiararsi cessata la materia del contendere. Il (...) non ha fornito la prova dell'acquisto della relativa servitù di veduta, né a titolo originario né a titolo negoziale, essendo emerso piuttosto che già nel 1975 veniva contestata dal dante causa dell'odierno attore l'apertura di tale veduta perché realizzata in violazione delle distanze legali prescritte dalla legge. La scrittura privata innanzi richiamata lungi dall'imporre degli obblighi giuridicamente vincolanti in capo all'odierno convenuto, dimostra però che quando venne realizzata l'apertura, per ammissione di parte convenuta nel 1974 e quindi solo in un momento successivo alla costruzione del fabbricato, realizzato in data anteriore al 01.09.1967, fu contestata perché realizzata in violazione delle distanze di legge. A nulla rileva la circostanza che il fabbricato (...) sia stato costruito in epoca successiva a quella di proprietà del convenuto in virtù del principio di diritto sopra richiamato, dovendo piuttosto questi dimostrare il titolo di acquisto di tale servitù di veduta. E nel caso di specie (...) non ha fornito la prova di un valido rapporto di natura obbligatoria o reale in virtù del quale avrebbe potuto esercitare l'attività di veduta lamentata come lesiva dall'attore. Ne deriva pertanto che l'actio negatoria servitutis vada accolta e con essa anche la domanda di riduzione in pristino con condanna del (...) al ripristino dello stato dei luoghi ed alla cessazione di ogni turbativa, con i rimedi indicati dal CTL). Va invece rigettata la domanda risarcitoria, non essendo stata fornita la prova e, prima ancora, l'allegazione del presumibile danno derivato dalla condotta altrui. Passando all'esame della domanda riconvenzionale spiegata dal(...)ed avente in parte contenuto analogo e speculare alla domanda principale promossa dall'attore essa è diretta, oltre al l'accertamento della violazione delle distanze legali de? balconi e di altri manufatti anche ad ottenerne la demolizione e la riduzione in pristino, deve osservarsi quanto segue. In via preliminare va rigettata l'eccezione di prescrizione sollevata poteri inerenti al diritto di proprietà, tra i quali rientra quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell'usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. Ne deriva che l'azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'actio negatoria servitutis, rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (Cass. n. 871/2012; Cass. n. 19289/2009). Quanto al merito della domanda, il CTU ha accertato che entrambi i balconi dell'immobile(...)sono ubicati a distanza illegale a cm. 40 dal confine con la ex proprietà(...) (attuale ha eccepito la "prescrizione acquisitiva", id est usucapione, ma la domanda non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono. É preciso onere di chi intende far valere la fattispecie acquisitiva originaria dimostrarla, non potendo detto onere ritenersi assolto attraverso il ricorso a semplici deduzioni, supposizioni o presunzioni. E nel caso di specie, l'attore - convenuto in riconvenzionale non ha fornito la prova rigorosa dell'esistenza dei balconi per il periodo necessario all'usucapione della servitù di veduta, non ha dimostrato e neppure dedotto l'inizio del possesso della servitù di veduta, anche mediante accessione del possesso proprio a quello del proprio dante causa, dell'esercizio dello stesso e del decorso del tempo idoneo ad usucapirlo. Va pertanto accolta la domanda di (...) e va condannato l'attore al ripristino della situazione legale, con i rimedi indicati dal geom. (...) nella CTU. Quanto ai due manufatti insistenti nella proprietà che il(...) con venuto-attore in riconvenzionale lamenta essere stati realizzati in violazione dell'art. 873 c.c., il CTU ha rilevato che: "Uno è adibito a deposito legna ed è stato realizzato con struttura in legno e copertura in lamiera di ferro zincato avente dimensioni 3.60 x 2.10 ed altezza media pari a mt. 1,70, detto manufatto è ubicato a ridosso del muro di proprietà (...). Per detto immobile presso l'UTC del Comune di Grottaminarda non risulta nessuna autorizzazione edilizia e non è stato possibile risalire alla data di realizzazione. Sempre nel giardino (...) esiste un altro manufatto costituito dalla sola struttura con modesti profilati in ferro e privo di copertura, lo stesso ha dimensioni mt. 3,12 x 3,14 ed altezza media mt. 2,70 ed è ubicato a ridosso del muretto di recinzione tra le due proprietà ed il muro di sostegno a valle. Anche per quest' opera presso I' UTC del Comune di Grottaminarda non è stato rinvenuto alcun titolo edilizio e non è stato possibile risalire all' epoca della sua realizzazione". Alla luce di quanto innanzi rilevato e delle foto allegate alla consulenza riproducenti lo stato dei luoghi, deve ritenersi integrata la nozione di "costruzione" di cui al l'art. 873 c.c. che, nell'interpretazione che ne fornisce la Corte di Cassazione, comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal materiale impiegato per la sua realizzazione (ex multis, Cass. civ. Sez. II Sent., 19/10/2009, n. 22127, nella specie, ha ritenuto che integrasse la nozione di costruzione ai predetti fini, una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura). E tenuto conto che il CTU ha rilevato ed accertato che tali corpi di fabbrica sono posizionati in violazione delle distanze di legge se ne deve ordinare la demolizione. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento definitivamente pronunciando sulla domanda promossa da (...) nei di (...) ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattese così provvede: accoglie la domanda principale, dichiara inesistente la servitù di veduta dal balcone posto al primo piano del fabbricato di (...) a carico del fondo (...) ed ordina a di cessare ogni turbativa e di ripristinare la situazione legale con i rimedi indicati dal CTU geom. (...) accoglie la domanda riconvenzionale, dichiara che i balconi del fabbricato (...) e i due manufatti insistenti sul fondo violano le distanze legali e per l'effetto ordina ad (...) di cessare ogni turbativa e di ripristinare la situazione legale con i rimedi indicati dal CTU geom. (...) compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Benevento, il 24 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 1 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, sezione prima civile, composto da: dr. Ennio RICCI - Presidente rel. dr.ssa Floriana CONSOLANTE - Giudice dr.ssa Serena BERRUTI - Giudice riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 266 R.G. per l'anno 2020, riservata in decisione all'udienza a trattazione scritta del 6.7.22, e vertente TRA (...), ((...)), rappresentata e difesa dall'avv. Al.Mi., giusta procura allegata al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo difensore in Benevento al Viale (...). RICORRENTE E (...), ((...)), rappresentato e difeso dagli avv.ti Ma.Me. e Mi.Mo., giusta procura allegata alla comparsa depositata il 22.6.22, elettivamente domiciliato presso lo studio dei medesimi difensori in Riccia alla Via (...). RESISTENTE Con l'intervento del P.M. presso questo Tribunale. OGGETTO: Separazione giudiziale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 22.1.20, (...), premesso di aver contratto il 12.8.1995 in Castelvetere in Val Fortore matrimonio con (...), e che dall'unione erano nati due figli, (...) il (...), e (...) il (...), entrambi maggiorenni ed economicamente autosufficienti, esponeva che il rapporto coniugale era entrato in crisi a causa della condotta del marito contraria ai doveri nascenti dal matrimonio, e segnatamente quello di fedeltà. La (...) chiedeva pertanto che: a) fosse dichiarata la separazione personale dei coniugi per fatto addebitabile al marito; b) la casa familiare in Castelvetere in Val Fortore venisse assegnata alla ricorrente; c) fosse posto a carico del (...) un congruo assegno per il mantenimento della moglie. Il (...), costituitosi, contestava quanto affermato da controparte in ordine alle cause della crisi coniugale, sostenendo di essersi sempre comportato in modo consono al suo ruolo di marito; chiedeva dunque che fosse pronunziata la separazione tra i coniugi e che alcun assegno di mantenimento fosse riconosciuto alla moglie, o in subordine, che detto assegno fosse contenuto nell'importo di Euro 100,00 mensili. Fallito il tentativo di conciliazione, all'esito dell'udienza del 22.9.20 il Presidente, in via temporanea ed urgente, autorizzava i coniugi a vivere separati, con obbligo di mutuo rispetto e facoltà di stabilire la propria dimora dove meglio credessero, e poneva a carico del (...) l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 250,00 per il mantenimento della moglie, priva di adeguati redditi propri, da versare alla ricorrente entro il giorno 5 di ciascun mese, automaticamente adeguati, di anno in anno, all'indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai, con decorrenza dal mese di febbraio 2020. La causa proseguiva con la costituzione di entrambe le parti. Con Provv. in data 27 novembre 1920, letto l'art. 221 comma 4 D.L. n. 34 del 2020, come modificato dalla L. n. 77 del 2020, e l'art. 23 D.L. n. 137 del 2020, visto il ruolo dell'udienza del 20.1.21, fissata per la trattazione innanzi al G.I., ritenuto che l'udienza poteva celebrarsi nelle forme previste dalle citate disposizioni, le parti venivano invitate a procedere alla trattazione scritta della causa mediante scambio e deposito telematico, almeno cinque giorni prima dell'udienza, di note contenenti le sole istanze e conclusioni. Parte ricorrente depositava in data 15.1.21 note, con richiesta di sentenza non definitiva sullo status e concessione dei termini ex art.183 comma 6 c.p.c.. Parte resistente depositava in data 15.1.21 note, con richiesta di sentenza non definitiva sullo status e concessione dei termini ex art.183 comma 6 c.p.c.. Con ordinanza del 20.1.21 la causa era riservata alla decisione del Collegio sullo status, ex art. 709 bis c.p.c., senza assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., essendo le parti concordi su tale domanda. Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 208/21, pubblicata il 4.2.21, dichiarava la separazione personale dei coniugi. Con separata ordinanza disponeva per il prosieguo del giudizio in ordine alle altre questioni oggetto di controversia, ed in particolare assegnava i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. e rimetteva la causa innanzi al G.I. all'udienza del 12.5.21 per l'assunzione delle determinazioni conseguenti. Con Provv. in data 3 aprile 1921, letto l'art. 221 comma 4 D.L. n. 34 del 2020, come modificato dalla L. n. 77 del 2020, e l'art. 23 D.L. n. 137 del 2020, convertito in L. n. 176 del 2020, e l'art. 6 D.L. n. 44 del 2021, visto il ruolo dell'udienza del 12.5.21, ritenuto che l'udienza poteva celebrarsi nelle forme previste dalle citate disposizioni, le parti erano invitate a procedere alla trattazione scritta della causa mediante scambio e deposito telematico, almeno cinque giorni prima dell'udienza, di note contenenti le sole istanze e conclusioni. La ricorrente ed il resistente depositavano note in data 7.5.21 e 6.5.21. All'esito dell'assunzione delle prove ammesse con ordinanza del 12.5.21, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 6.7.22, e, letto l'art. 221 comma 4 D.L. n. 34 del 2020, come modificato dalla L. n. 77 del 2020, l'art. 23 D.L. n. 137 del 2020 convertito in L. n. 176 del 2020, e l'art. 16 D.L. n. 228 del 2021, visto il ruolo dell'udienza del 6.7.22, le parti erano invitate a procedere alla trattazione scritta della causa mediante scambio e deposito telematico, almeno cinque giorni prima dell'udienza citata, di note contenenti le sole istanze e conclusioni. La ricorrente ed il resistente depositavano in data 30.6.22 ed in data 29.6.22 note, precisando le conclusioni. Con ordinanza del 6.7.22 la causa era riservata alla decisione del Collegio sulle conclusioni precisate in epigrafe, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., decorrenti dalla contestuale comunicazione della medesima ordinanza, per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Dopo la sentenza non definitiva n. 208/21, pubblicata il 4.2.21, con cui è stata dichiarata la separazione personale dei coniugi, vanno affrontante le questioni concernenti: 1) l'addebito della separazione; 2) l'assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. invocato dalla ricorrente. Dall'unione sono nati infatti due figli, (...) il (...), e (...) il (...), entrambi maggiorenni e, per quanto dedotto concordemente dai genitori, economicamente autosufficienti, per cui nulla deve essere disposto in ordine al loro affidamento e mantenimento. Già nell'ordinanza presidenziale è stato inoltre rimarcato come, in assenza di figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, non possono essere emesse statuizioni sull'assegnazione del godimento della casa familiare ex art. 337 sexies c.c.; il regime di tale immobile resta perciò governato dalle norme di diritto comune. E' opportuno inoltre segnalare che non è dato vagliare in questa sede problematiche attinenti alla regolamentazione di altri rapporti patrimoniali tra i coniugi, per i quali dovrà essere trovata sistemazione in altra sede; analogamente, del contributo fornito dalla moglie alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune potrà tenersi conto ai fini di un eventuale assegno divorzile, nella sua componente compensativa. 1. L'addebito della separazione. La domanda è stata avanzata da entrambe le parti. Giova ricordare che, ai sensi dell'art. 151 c.c., il Giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale coniuge essa sia addebitabile, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Tuttavia, è ormai consolidato il principio secondo cui non è sufficiente la prova della violazione dei doveri coniugali, ma è altresì necessario che detta violazione sia causa diretta del fallimento della convivenza. Occorre, quindi, affinché possa essere accolta la domanda di cui si discute, la prova rigorosa del nesso causale tra la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ed il suo naufragio (cfr. tra le altre Cass. 18074/14; Cass. 8862/2012; Cass. 8873/2012; Cass. 21245/2010). Nel caso di specie la (...) ha ascritto all'infedeltà del marito la causa del fallimento dell'unione coniugale. Secondo il (...), invece, sarebbe stata la moglie, nell'anno 2019, ad aver abbandonato moralmente e materialmente il marito andando a dormire in una camera separata, lasciando poi la casa familiare per trasferirsi a vivere dai genitori. Orbene, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta, come puntualizzato dalla Suprema Corte, una violazione particolarmente grave, che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che non risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (cfr. Cass. n. 25618/07; Cass., n. 16859/15; Cass n. 917/17). Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà (cfr. n.2059/12). Ciò posto, la circostanza secondo cui il marito nella primavera-estate dell'anno 2019 avrebbe confessato una relazione con altra donna (cfr. capitolo 17 della prova articolata da parte ricorrente) - negata dal resistente in sede di interrogatorio formale - è stata confermata dai due figli della coppia, (...) e S.; in entrambi i casi si tratta però di circostanza appresa de relato dalla madre (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 29.9.21 e dell'11.5.22); entrambi i figli, del resto, già all'epoca non vivevano nella casa familiare. La testimonianza de relato ex parte ha invero una valenza probatoria fortemente attenuata, necessitando di ulteriori elementi di riscontro (cfr. tra le altre Cass. 21568/20; Cass. 27016/22). Nel caso di specie tali elementi mancano. Le condotte "anomale" del resistente, di cui hanno riferito i testi di parte ricorrente (cfr. capitoli 18 e seguenti della prova articolata dalla (...)) non costituiscono riscontri sufficientemente inequivoci della relazione extraconiugale ascritta al (...). Analogamente, non sono state acquisite dall'istruttoria prove a sostegno dell'assunto del (...) di una condotta della moglie contraria ai doveri nascenti dal matrimonio quale causa scatenante della cerisi coniugale. Le domande avanzate dalle parti vanno dunque entrambe rigettate. 2. L'assegno di mantenimento invocato dalla (...) ex art. 156 c.c.. Nell'ordinanza presidenziale del 12.9.20 sul punto è stato osservato quanto segue. (...) va considerato che con la separazione personale il vincolo matrimoniale non viene sciolto, bensì sospeso in maniera transitoria in attesa di una eventuale sentenza di divorzio; lo status giuridico di coniuge rimane inalterato e, di conseguenza, rimane attivo il dovere di assistenza materiale dei coniugi ed in particolare del coniuge che non ha adeguati redditi propri in grado di consentirgli di mantenere, quantomeno, lo stesso tenore di vita adottato in costanza di matrimonio. La determinazione dell'assegno è, quindi, strettamente connessa all'individuazione del coniuge che risulta economicamente svantaggiato, in modo tale da riequilibrare le reali capacità economiche della coppia separata. Orbene, nel caso di specie la (...) ha affermato di essere ora disoccupata, e di avere in precedenza lavorato per l'azienda del marito senza percepire alcuna retribuzione; ha precisato di abitare attualmente dal padre. Il (...) è titolare di una ditta di impiantistica, ed ha sostenuto di guadagnare ora, al netto, Euro 1200,00/1.300,00 mensili; ha altresì dichiarato di pagare le rate di mutuo contratto per l'acquisto della casa coniugale e per l'attività aziendale, dell'importo di Euro 900,00 mensili (cfr. dichiarazioni rese all'udienza del 22.9.20). Indipendentemente dalle finalità per cui è stato contratto, il mutuo di cui si discute - stipulato dai coniugi nell'anno 2013 con garanzia ipotecaria sull'immobile di proprietà comune, acquistato nell'anno 2000 - viene rimborsato mediante prelievo da un conto corrente cointestato: l'assenza di redditi della ricorrente depone nel senso che la provvista all'uopo indispensabile venga fornita esclusivamente dal resistente. Nell'ultima dichiarazione fiscale, relativa all'anno d'imposta, 2018, il (...) ha indicato un reddito d'impresa di Euro 11.789,00, in calo rispetto a quello del 2017 (Euro 19.073,00); il conto economico della ditta (...) al 31.12.19 segnala una perdita d'esercizio di Euro 8.361,64. Ai fini delle decisioni da assumere va osservato che: 1) sulla base dei dati finora acquisiti, e salvo migliore verifica della effettiva situazione patrimoniale e reddituale delle parti, è ravvisabile una asimmetria tra le condizioni economiche del marito - titolare di una ditta tuttora attiva, nonostante la difficile congiuntura economica, e con prospettive di ripresa, anche alla luce dei provvedimenti a sostegno del settore dell'edilizia adottatiper fronteggiare gli effetti recessivi causati dalla pandemia da covid-19 - e quelle della moglie, ora disoccupata; 2) la ricorrente può inserirsi nel mercato del lavoro, attesa l'età non particolarmente avanzata e l'assenza di impedimenti di tipo sanitario, sia pur non nell'immediato, in difetto di specifiche qualificazioni professionali; 3) entrambi i coniugi, per quanto consta, non sostengono ora oneri locatizi per l'abitazione ove vivono. Alla luce degli elementi sopra riassunti - ed in difetto di elementi concreti a sostegno dell'assunto dell'addebitabilità della separazione alla moglie - appaiono sussistenti le condizioni per prevedere a carico del (...) l'obbligo di corrispondere in favore della (...), priva di adeguati redditi propri, un assegno di mantenimento, quantificabile Euro 250,00 mensili, da versare alla beneficiaria entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dal mese di febbraio 2020, successivo al deposito del ricorso, oltre rivalutazione secondo gli indici Istat. " Dall'estratto del conto corrente intestato alla sola ricorrente prodotto in data 21.9.21 si ricava che la (...) a partire dal mese di dicembre dell'anno 2020 ha ricevuto versamenti dalla (...) s.n.c., a titolo di stipendio, di importo mensile pari a circa Euro 1.500,00, e ciò fino al mese di febbraio dell'anno 2021; nell'anno 2021 la ricorrente ha percepito una retribuzione mensile dalla (...) s.r.l., a partire dal mese di marzo (Euro 1.433,00) fino al mese di agosto (Euro 2.238,00); il conto corrente alla data dell'11.9.21 (ultima disponibile), presenta un saldo positivo di Euro 1.179,00. Il (...) ha dichiarato per l'anno 2019 un reddito d'impresa di Euro 13.294,00; l'estratto del conto corrente intestato alla ditta (...)I. presenta alla data dell'8.9.21 un saldo negativo di Euro 14.318,68. Da tali acquisizioni è lecito desumere che la (...), almeno dal mese di dicembre 2020, ha trovato occupazione ben retribuita, e che dunque non sussiste più l'asimmetria tra le condizioni economiche delle parti tale da giustificare l'attribuzione in favore della ricorrente di un assegno di mantenimento. La domanda avanzata dalla (...) va dunque ora rigettata, con conseguente revoca di quanto disposto con l'ordinanza presidenziale a decorrere dal mese di novembre 2022, in difetto di precedenti istanze dell'obbligato ex art. 709 comma 4 c.p.c. (cfr. Cass. 23024/19). Tenuto conto della natura del giudizio e dell'esito complessivo della vertenza, le spese di lite possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) nei confronti di (...), e sulle domande riconvenzionali avanzate dal resistente, con l'intervento del P.M. presso questo Tribunale, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1. rigetta le domande di addebito della separazione avanzate dalle parti; 2. rigetta la domanda di assegno di mantenimento avanzata dalla ricorrente ex art. 156 c.c., con conseguente revoca di quanto disposto sul punto dall'ordinanza presidenziale a decorrere dal mese di novembre 2022; 3. compensa tra le parti le spese di lite. Così deciso in Benevento il 2 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO SECONDA SEZIONE CIVILE in persona del giudice monocratico Dr. FLAVIO CUSANI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 95/2022 del R.G.A.C., avente ad oggetto: opposizione a precetto TRA (...) rappresentata e difesa dall'avv. (...) come da procura in atti; Opponente E (...) S.r.l. e per essa la procuratrice speciale (...) SPA, rappresentata e difesa dall'avv. (...) come da procura in atti; Opposta CONCLUSIONI Quelle di cui al verbale di udienza a trattazione scritta telematica del 30/6/2022. ove le parti costituite hanno concluso riportandosi a tutti i propri atti e scritti difensivi ed alle conclusioni ivi rassegnate, insistendo per il loro accoglimento ed il rigetto di quelle avverse. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato il 30.12.2021 la società (...) proponeva opposizione al precetto notificato 18.10.2021 alla (...) S.r.l. per Euro 593.468.90 deducendo a motivi l'indeterminatezza e nullità del regime finanziario e del piano di ammortamento applicato nonché del tasso di interesse pattuito; il superamento del tasso soglia per effetto dell'inserimento tra gli oneri rilevanti ai fini del calcolo del TEG di un onere implicito ed occulto; la mancata indicazione del TAEG/ISC; la carenza di legittimazione attiva dell'opposta per mancata produzione dell'atto scritto di cessione del credito ad essa cessionaria. Per tali motivi chiedeva dichiararsi la nullità ed inefficacia dell'opposto precetto. Costituitasi in giudizio l'opposta (...) S.r.l. e per essa la procuratrice speciale (...) S.p.A. deduceva che (...) SpA con atto rogato dalla dott.ssa (...) in Lioni (AV), il 23.12.2003, rep. n. (...), racc. n. (...) registrato il n. (...), formula esecutiva del 5.01.2004, aveva stipulato contratto di mutuo agrario n. (...) con la società (...) con sede in (...) elettivamente domiciliata in (...). Detto contratto ha per oggetto un mutuo agrario di Euro 900.000.00 della durata di anni 20, oltre il periodo di preammortamento, da utilizzare per l'acquisto di un complesso aziendale, destinato alla produzione ed all'imbottigliamento del vino, denominato "Enopolio di Taurasi" e sito nel Comune di Taurasi. Con atto del 27.01.2010, la società (...) aveva poi sottoscritto atto di rinegoziazione di mutuo convenendo che: 1. Il pagamento della quota di capitale dovuta sulle singole rate è sospeso per un totale di n. 2 rate semestrali consecutive con decorrenza dalla rata scadente il 30.06.2010. La prima rata comprensiva anche della quota capitale scadrà pertanto il 30.06.2011. 2. Il rimborso del mutuo riprenderà dopo il periodo di sospensione, con la periodicità stabilita in contratto, con conseguente traslazione del piano di ammortamento e col pagamento delle rate composte sia dalla quota di capitale che di interessi. Fino a quel momento la parte mutuataria sarà tenuta a corrispondere gli interessi calcolati, sul debito residuo, al tasso e con le modalità contrattualmente previsti. In conseguenza di quanto sopra la durata dell'ammortamento sarà prorogata di n. 2 semestri. Con contratto di cessione di crediti ai sensi e per gli effetti degli articoli 4 e 7.1 della legge 130/1999 concluso in data 20 aprile 2018 con efficacia economica 1 gennaio 2018 ed efficacia giuridica 23 aprile 2018, nell'ambito di una operazione unitaria di cartolarizzazione ai sensi della legge 130/1999 relativa a crediti ceduti dalle banche appartenenti al Gruppo (...) (i "Cedenti), (...) S.r.l. aveva acquistato pro-soluto dai Cedenti un portafoglio di crediti. Tra i crediti ceduti rientrava quello vantato da (...) SpA ora (...) S.p.A. nei confronti della società (...) di tale cessione veniva data notizia mediante pubblicazione del relativo avviso sulla G.U. parte seconda n. 52 del 5.05.2018. Alla data del 10.10.2021 (...) s.r.l., stante un'esposizione debitoria della società (...) di Euro 593.468.90, con atto di precetto notificato il 16.11.2021 ha intimato alla predetta società il pagamento della somma di Euro 594.256.82 di cui Euro 522.353.96 per esposizione riveniente da rate impagate, Euro 5.181.49 per interessi di mora esercizi precedenti al 31.12.2017, Euro 65.933,45 interessi di mora post 31.12.2017, Euro 787.92 per compenso ed accessori del precetto (euro 540.00 compenso, Euro 81,00 spese forfettarie 15%, Euro 24.84 CAP, Euro 142.08 IVA), nonché spese successive e interessi di mora maturandi su Euro 522.353,96, come da contratto dall'11.10.2021 al soddisfo. L'opposta aggiungeva che tale intimazione, pena esecuzione, era rimasta senza effetto, per cui essa creditrice (...) S.R.L., rappresentata da (...) S.p.A., a mezzo dell'Ufficiale Giudiziario addetto all'Ufficio Unico Notifiche presso il Tribunale di Benevento, con atto di pignoramento eseguito il 27.01.2022, trascritto il 7.02.2022 presso l'Agenzia delle Entrate, Ufficio Provinciale di Avellino - Territorio - Servizio di Pubblicità Immobiliare, ai nn.ri 1867 R.G. e 1618 R.P., aveva sottoposto ad esecuzione in danno del debitore esecutato, società (...) in (...) i beni immobili di sua proprietà, siti nel Comune di (AV), come sopra specificati, dati in ipoteca a (...) SpA, giusta nota di iscrizione del 29.12.2003 ai n. 22909 R.G. e 2898 R.P. L'esecuzione immobiliare intrapresa pende dinanzi al Tribunale di Benevento n. 20/2022 R.G.E., G.E. Dott. Lanna Michele. Deduceva che i motivi dedotti dalla opponente erano infondati e che sia i contratti che il precetto erano validi e conformi alle norme di legge. Per tali motivi chiedeva il rigetto dell'opposizione al precetto. Con ordinanza del 12/4/2022, il giudice, rilevato che non risultava prodotto il contratto di cessione del credito in data 20/4/2018 citato dall'opposta, ritenuto sussistenti i gravi motivi per sospendere l'efficacia esecutiva del titolo precettato e che alcuna delle parti aveva richiesto la concessione dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione, sospendeva l'efficacia esecutiva del titolo precettato e fissava l'udienza di precisazione delle conclusioni. Precisate le conclusioni, la causa veniva riservata in decisione. L'opposizione è fondata e va pertanto accolta, tra gli altri motivi, sotto il profilo assorbente della carenza di prova della legittimazione attiva dell'opposta quale cessionaria del credito. L'opponente, tra gli altri motivi, ha specificamente contestato la legittimazione attiva dell'opposta, in particolare la mancanza di prova della titolarità del credito, evidenziando l'insufficienza della documentazione prodotta dall'opposta e segnatamente la mancata produzione del contratto di cessione dei crediti intercorso tra la banca cedente e la predetta cessionaria. Il credito azionato in sede monitoria dall'opposta società rientra - come dalla stessa dedotto - nei "contratti di cessione di crediti pecuniari ai sensi e per gli effetti della legge 30 aprile 1999 n. 130 "Legge sulla cartolarizzazione" e dell'art. 58 del T.U.B. Orbene, com'è noto, per le operazioni di cessione di crediti in blocco, così come disciplinate dalla sopra cit. I. n. 130/1999 e dall'art. 58 del T.U.B., è previsto che, in luogo della notifica della cessione ai singoli debitori ceduti, il cessionario debba provvedere alla pubblicazione di un apposito avviso nella Gazzetta Ufficiale ed alla iscrizione della stessa cessione nel Registro delle imprese territorialmente competente. Come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza, la pubblicazione di tale avviso nella Gazzetta Ufficiale, quale essenziale adempimento del soggetto cessionario, esonera tuttavia quest'ultimo unicamente dalla notificazione della singole cessioni ai debitori ceduti, ma non - nel caso in cui esso proceda ad azionare giudizialmente il credito e venga dalla controparte contestata la sua legittimazione attiva - dall'onere di provare l'esistenza della cessione stessa attraverso idonea documentazione, da cui poter ricavare, inequivocabilmente, che lo specifico credito per cui agisce sia stato effettivamente oggetto di cartolarizzazione, giacché una cosa è l'avviso della cessione, altra cosa la prova della sua esistenza e del suo specifico contenuto (cfr., sul punto. Cass. Civ.. Sez. III, 13.09.2018. n 22268; Cass. civ., sez. III, 31/01/2019, n. 2780; Trib. Padova, 03.06.2016; Trib. Napoli, 24.05.2019. n. 5337). Ciò premesso, nel caso in esame, l'opposta società si è limitata ad allegare copia della Gazzetta Ufficiale, nella quale risulta pubblicato l'avviso della cessione, in suo favore, del blocco dei crediti derivanti da contratti di mutuo, di apertura di credito o da finanziamenti erogati in altre forme tecniche concessi a persone fisiche e persone giuridiche - crediti nei quali rientrerebbe quello azionato nei confronti dell'attuale opponente - ma non ha dato prova dell'avvenuta cessione in suo favore di detto ultimo specifico credito, a tanto non essendo sufficiente la indicazione di un link su cui trovare l'elenco dei debitori ceduti. Nonostante la contestazione della carenza di legittimazione attiva, l'opposta non ha prodotto il contratto di cessione del credito e si è limitata a depositare un estratto dell'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale con la quale vi è notizia di un acquisito in blocco, da parte della cessionaria di un portafoglio di crediti (non identificati) facenti capo alla cedente (...) S.p.A.. Tale avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 t.u.b., non appare, idoneo a documentare l'effettiva titolarità del diritto di credito. Al fine di provare l'effettiva titolarità del diritto di credito, non è sufficiente indicare l' atto mediante il quale è stato trasferita la titolarità del credito (c per il quale, come per tutti i contratti bancari, il Tub richiede la forma scritta ad substantiam), ma occorre che l'atto di cessione del credito sia prodotto in giudizio. Invero la difesa dell'opposta, verosimilmente per non avere a disposizione il contratto di cessione dei crediti, ha sin dalla comparsa di costituzione dedotto nel senso della non necessità della produzione del documento contrattuale, in considerazione del contenuto della pubblicità notizia lattane sulla Gazzetta Ufficiale. Orbene, questo giudicante, rileva: 1) a fronte della contestazione specifica di titolarità sostanziale del credito l'onere della prova incombente sull'opposta (attrice in senso sostanziale) impone a questa di provare i fatti posti a fondamento dell'acquisto del diritto fatto valere in giudizio, vale a dire di produrre il contratto di cessione di crediti "in blocco", stipulato in data 20/4/2018 ai sensi e per l'effetto della legge n. 130 del 30.04.1999. citato in Gazzetta Ufficiale; 2) il contenuto della pubblicità notizia della Gazzetta Ufficiale non rende individuabile il credito oggetto di decreto ingiuntivo, atteso che fa riferimento alla cessione dei crediti passati a sofferenza in un certo periodo, indicando la sola tipologia degli stessi, ma non individuandoli specificamente; 3) se pure il contenuto della Gazzetta Ufficiale fosse tale da individuare il credito ceduto, trattasi pur sempre di una forma di pubblicità notizia, che si limita a rendere opponibile la cessione, in quanto per legge tale adempimento produce solo gli effetti indicati nell'art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti: ma non costituisce la fonte della titolarità del credito, che rimane l'atto di cessione, che, in caso di contestazione specifica, deve essere prodotto in giudizio a prova della effettiva titolarità del credito; 4) peraltro la pubblicità notizia sulla Gazzetta Ufficiale non è soggetta ad un controllo di contenuto, il quale viene predisposto, come nel caso in esame, dalla società cessionaria. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in relazione al valore della causa tra Euro 520.001.00 ad Euro 1.000.000.00, tariffe medie ridotte del 50% per la semplicità del processo e delle questioni trattate (euro 2.194.00 studio - Euro 1.448.00 introduzione - Euro 6.445.00 trattazione - 3.816,00 decisionale). P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) Accoglie l'opposizione e per l'effetto dichiara nullo ed inefficace l'opposto precetto 2) Condanna l'opposta al pagamento in favore dell'opponente delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.713.00 per esborsi ed Euro 13.903.00 per compensi di difesa, oltre rimborso spese generali. IVA e CPA come per legge, con distrazione al difensore antistatario. Così deciso in Benevento il 20 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO II SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Benevento, dott.ssa Ida Moretti, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero 2491 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2018 avente ad oggetto responsabilità professionale, riservata in decisione all'udienza del 24.03.2022 e vertente TRA CONDOMINIO "(...)", in persona dell'Amministratore e legale rapp. Te. P.t., sito in Ariano Irpino (AV) alla Via (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ra.Co. in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo; Attore E (...), nata (...) rappresentata e difesa dall'avv. Fu.Pi., in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso il suo studio; Convenuta E S.p.A. (...), in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Fa.Er., in virtù di procure generali alle liti del 18 dicembre 2014 autenticate in atti ed elettivamente domiciliata presso il suo studio; Terza chiamata in causa FATTO Con atto di citazione regolarmente notificato il CONDOMINIO "(...)", conveniva in giudizio la dott.ssa (...), quale amministratrice del condominio de quo fino al 18.03.2016, allorquando l'assemblea deliberava la sua revoca con contestuale sostituzione, sostenendo che l'amministratrice nella gestione relativa agli anni 2013, 2014, 2015 e parte del 2016, avesse avuto una condotta negligente nell'esercizio del suo mandato. In particolare, l'attore evidenziava che la convenuta nel summenzionato periodo non aveva reso conto della sua gestione al condominio, omettendo di convocare l'assemblea annuale per almeno tre anni, senza procedere all'approvazione del rendiconto condominiale nei centottanta giorni successivi alla redazione del rendiconto annuale. Il Condominio imputava, altresì, alla convenuta di non aver curato il registro di nomina dell'amministratore e di non aver provveduto a conservare e consegnare tutta la documentazione relativa alla propria gestione, oltre a non aver convocato l'assemblea per la propria revoca e per la nomina del nuovo amministratore. Quali ulteriori doglianze il condominio rilevava che l'amministratrice non aveva recuperato giudizialmente gli oneri dovuti al condominio da parte dei condomini morosi, oltre a non aver provveduto a pagare le spettanze professionali di numerose ditte e professionisti. All'uopo il condominio evidenziava che in virtù di sentenza del Tribunale di Benevento n. 271/16 era stato condannato alla refusione delle spese di lite in favore di un condomino per Euro 3.611,89, a causa della negligenza della convenuta. Pertanto, stante la conclamata esposizione debitoria del condominio per Euro 84.000,00, imputabile alla gestione negligente della dott.ssa (...), l'attore avviava prima dell'inizio della lite la procedura di mediazione e depositava in atti il verbale negativo. Con l'atto di citazione in esame, quindi, chiedeva accertarsi e dichiararsi la negligenza e le irregolarità poste in essere dalla convenuta e per l'effetto condannarla al risarcimento del danno per Euro 65.000,00 o nella diversa misura da accertarsi in corso di causa anche a mezzo CTU, con vittoria di spese, diritti ed onorari del presente giudizio. Si costituiva in giudizio (...), la quale preliminarmente chiedeva di chiamare in causa in manleva (in denegata ipotesi di condanna) la compagnia assicuratrice (...) S.p.A., con la quale era assicurata per la responsabilità professionale; nel merito contestava fermamente l'avversa domanda ed, in particolare, evidenziava di aver amministrato il condominio con diligenza e professionalità, contestando analiticamente ogni singolo addebito a lei imputato. In particolare, deduceva di aver redatto i rendiconti relativi agli esercizi finanziari per gestione ordinaria e straordinaria relativi agli anni 2013, 2014, 2015 e parte del 2016, sottoponendoli all'esame dell'assemblea del 18.03.2016, previo inserimento nell'ordine del giorno dell'avviso di convocazione, ma la compagine condominiale aveva ritenuto di soprassedere, per poi procedere all'approvazione degli stessi nella successiva assemblea del 22.03.2017, convocata dal successivo amministratore nominato in data 18.03.2016. Evidenziava - altresì - la convenuta che nel corso dell'assemblea nella quale era stata revocata, nessun addebito le era stato mosso circa lo svolgimento del suo incarico con negligenza ed in ogni caso evidenziava che con l'approvazione dei bilanci, in assenza di impugnazione della delibera di approvazione, eventuali irregolarità degli stessi dovevano considerarsi sanate. La convenuta evidenziava, inoltre, di non aver potuto convocare l'assemblea nel 2013 per problemi di salute, mentre per il bilancio relativo alla gestione del 2015, l'assemblea era stata regolarmente convocata a marzo del 2016, nei termini di legge e deduceva che l'amministratore successivamente nominato avrebbe dovuto procedere a recuperare le morosità contabilizzate nel consuntivo del 2015. In merito alla mancata consegna al Condominio della documentazione relativa al periodo di gestione a lei riferibile, la convenuta evidenziava di aver già provveduto alla consegna della maggior parte dei documenti da lei detenuti e dichiarava di essersi resa disponibile alla consegna di quelli ancora in suo possesso, ma il nuovo amministratore si era rifiutato di passare a ritirarli presso il suo studio. La convenuta evidenziava, altresì, di aver intrapreso nel corso del suo mandato numerose procedure giudiziarie per recuperare i crediti del condominio, con la conseguenza che nessuna negligenza poteva essere a lei imputabile in tal senso e deduceva che, in ogni caso, alcun danno si era effettivamente verificato a carico del Condominio. In merito ai compensi da lei percepiti nel corso della gestione la convenuta deduceva di averli debitamente percepiti come concordati nell'assemblea del 24.11.2010, ragion per cui spiegava domanda riconvenzionale nei confronti del Condominio, chiedendo il risarcimento del danno (quantificato in Euro 5.110,96, oltre accessori, quale lucro cessante) per essere stata revocata senza giusta causa, stante l'assenza di motivazione nella delibera del 18.03.2016 con la quale le veniva revocato l'incarico, chiedendo il rigetto della domanda attorea, previa autorizzazione alla chiamata in causa della (...) S.p.A., per l'eventuale manleva. Autorizzata la chiamata in causa del terzo si costituiva in giudizio anche la S.p.A. (...), la quale non contestava la sussistenza del contratto di polizza per la responsabilità professionale con la dott.ssa (...), ma evidenziava che la copertura assicurativa non avrebbe potuto operare in caso di comportamenti volontari posti in essere dalla convenuta nello svolgimento delle sue funzioni; dal punto di vista economico si riportava all'applicazione del massimale previsto dal contratto, nonché allo scoperto del 10% indicato nella scheda di polizza, evidenziando, altresì, che in caso di responsabilità di terzi, nessuna somma di condanna in solido poteva essere posta a carico della Compagnia, né la stessa sarebbe stata tenuta al pagamento delle spese di lite sostenute dalla convenuta e relative al presente giudizio. Nel merito contestava la domanda attorea, evidenziando che i danni potenzialmente subiti dal Condominio sarebbero principalmente riconducibili al danneggiato stesso e non certo addebitabili alla convenuta. Pertanto, chiedeva il rigetto della domanda principale ed in subordine chiedeva di contenere l'onere indennitario nei limiti delle disposizioni contrattuali applicabili. Chiedeva, altresì, di escludere dall'onere a carico della compagnia le somme eventualmente dovute dall'assicurata in via solidale, con esclusione del risarcimento dei danni riconducibili allo stesso danneggiato, con condanna di chi di ragione al pagamento delle spese di lite del presente giudizio. Concessi i termini ex art. 183, VI comma c.p.c. ed esaminate le istanze istruttorie formulate da parte attrice, il precedente G.I. - ritenuta la causa matura per la decisione - fissava direttamente per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 24.03.2022. A tale udienza le parti precisavano le proprie conclusioni e, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione. DIRITTO La domanda principale è infondata e, per l'effetto, va rigettata. Preliminarmente appare opportuno analizzare analiticamente le singole doglianze formulate dal Condominio nei confronti della convenuta, al fine di valutare, previo accertamento del danno eventualmente subito dall'attore, la sussistenza del nesso di causalità tra il danno e la gestione negligente posta in essere dall'amministratrice nell'esercizio del proprio incarico. All'uopo è opportuno evidenziare che la responsabilità per "mala gestio" dell'amministratore deve essere rigorosamente provata. Orbene, il rapporto intercorrente tra condominio ed amministratore è qualificato come un rapporto contrattuale di mandato da espletare secondo i canoni di cui all'art. 1170 c.c., ossia con la diligenza del buon padre di famiglia (cfr. Cass. n. 3233/1982; Cass. Ord. n. 24920 del 20.10.2017). Ne consegue che incombe sull'amministratore - mandatario l'onere di provare il corretto adempimento delle proprie obbligazioni, mentre grava sul Condominio l'onere di dimostrare in concreto il danno subito in seguito alla gestione negligente imputabile all'amministratore. Nel caso di specie, il Condominio sin dall'atto di citazione imputava gravi irregolarità poste in essere dalla dott.ssa (...) nel corso della gestione del suo incarico. Orbene, la gestione negligente del mandato, a prescindere dalle fattispecie indicate nell'art. 1129 c.c., si verifica ogni qualvolta l'amministratore ponga in essere delle condotte non rispondenti all'interesse comune dei condomini, con conseguente violazione del dovere di diligenza ex art. 1710 c.c. All'uopo è opportuno evidenziare, però, che gli addebiti di "mala gestio" mossi all'ex amministratore non fanno sorgere obbligazioni risarcitone di danni patrimoniali a favore dei condomini, quale automatismo della condotta negligente, dovendo essere provati in concreto in corso di causa gli effettivi pregiudizi subiti dal condominio. Nel caso di specie parte attrice dichiarava di aver subito un danno in seguito alla condotta negligente dell'amministratrice, ma tale danno veniva dedotto e quantificato in Euro 65.000,00 soltanto in via generica e potenziale. Appare necessario, dunque, valutare preliminarmente se l'amministratrice abbia svolto il suo mandato con diligenza ed, in ordine al primo motivo di doglianza posto in essere dal Condominio, va rilevato che dalla documentazione presente in atti, si evince con chiarezza la tardività con la quale la convenuta aveva proceduto alla richiesta di approvazione dei bilanci per gestione ordinaria relativi agli anni 2013, 2014, convocando per l'approvazione congiunta degli stessi, l'unica assemblea del 18.03.2016. Tale assemblea, peraltro, veniva convocata dalla convenuta in seguito alla richiesta formulata dai condomini per la fissazione della stessa pervenuta all'amministratrice in data 7.12.2015, alla quale lei rispondeva in data 18.12.2015 comunicando che avrebbe provveduto a fissare tale assemblea dopo il periodo natalizio. Con successiva comunicazione del 24.02.2016, l'amministratrice fissò, quindi, l'assemblea del 18.03.2016 avente ai punti 1-2-3 - dell'ordine del giorno l'approvazione dei summenzionati bilanci. In tale assemblea i condomini si limitavano a discutere ed approvare soltanto il punto 4) all'ordine del giorno relativo alla revoca dell'amministratrice con contestuale nomina del nuovo amministratore. La convenuta in merito alla mancata convocazione dell'assemblea nel termine annuale previsto dall'art. 1130, comma 10, c.c., ovvero entro 180 giorni dalla chiusura dell'esercizio, relativamente all'anno 2013 e 2014 dichiarava di non aver potuto procedere alla convocazione delle assemblee nei termini di legge per problemi di salute, ma dai certificati medici depositati in atti non è possibile desumere dei problemi di salute così invalidanti da non consentire all'amministratrice, per ben due esercizi di gestione, di convocare l'assemblea annuale per l'approvazione del rendiconto condominiale. I certificati medici allegati alla produzione di parte convenuta attengono, infatti, ad operazioni subite ad entrambi gli alluci valghi dalla dott.ssa (...) a distanza di un anno. Dal primo certificato del 21.11.2013 a firma del dott. (...) si evince che l'intervento all'alluce valgo destro era avvenuto in data 20.11.2013, con ricovero di un giorno e dal secondo certificato del 18.04.2014, a firma dello stesso dott. (...), si evince che in data 17.04.2014 la convenuta era stata sottoposta all'intervento anche all'alluce valgo sinistro, con ricovero di un giorno. In ogni caso l'amministratrice nel corso di tale periodo non informava i condomini di eventuali ed ulteriori problemi di salute che non le avrebbero consentito la convocazione dell'assemblea, ma i condomini, dinanzi alle mancate convocazioni assembleari, rimanevano inerti, non provvedendo a richiedere la convocazione di un'assemblea, così come previsto dall'art. 66 disp. Att. c. c., né richiedevano la revoca dell'amministratrice, se non alla fine del 2015. Peraltro, così come correttamente dedotto da parte convenuta, la tardiva convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale annuale, può essere un motivo di revoca, anche giudiziale, dell'amministratore ex art. 1129 c.c., ma non comporta un automatico diritto al risarcimento del danno in favore del condominio. Va evidenziato, altresì, che non si rinviene una tardività nella convocazione assembleare per la gestione del 2015 in quanto l'assemblea veniva convocata formalmente dall'amministratrice in data 18.03.2016, seppur su richiesta dei condomini. All'uopo appare opportuno precisare che ai sensi dell'art. 1227 c.c. "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionar il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza". Non è possibile, dunque, far gravare sul debitore le conseguenze dell'inadempimento che non siano a lui imputabili, non dovendo egli rispondere quando la condotta del creditore generi danni o aggravi quelli già prodotti. Il creditore, infatti, ha il dovere di non aggravare le conseguenze negative dell'inadempimento, principio che costituisce corollario del dovere di buona fede e correttezza ex art. 1175 c.c. Nel caso di specie il Condominio avrebbe potuto porre in esser una serie di attività per evitare la tardiva approvazione dei rendiconti annuali, quali richiedere la convocazione assembleare e la revoca dell'amministratrice al fine di evitare i danni conseguenti alla negligenza posta in essere dall'amministratrice nell'esercizio del suo incarico. In ogni caso i rendiconti relativi agli anni 2013-2015 venivano approvati dall'assemblea indetta dal nuovo amministratore del 22.03.2017, con l'effetto di rendere esecutivi tali bilanci, in essenza di impugnazione della delibera stessa, cristallizzando anche il compenso percepito dall'amministratrice nello svolgimento del suo mandato, per la gestione ordinaria e straordinaria dal 2013 al mese di marzo del 2016, compenso regolarmente quantificato e comunicato al condominio in data 24.11.2010 e successivamente riportato nei bilanci di previsione 2013 gestione ordinaria e straordinaria approvati rispettivamente nelle sedute assembleari del 6/3/2013 e del 3/4/2013, come da documentazione allegata alla produzione di parte convenuta e non aggetto di esplicita contestazione da parte dell'attore. Appare opportuno evidenziare, altresì, che il rinnovo automatico dell'amministratore è previsto ex lege, ragion per cui la dott.ssa (...), in assenza di revoca, ha percepito il compenso anche per la gestione degli anni 2013 - 2016 (fino al 18.03.2016), anche in assenza di approvazione annuale dei singoli bilanci nei quali venivano indicati i suoi compensi, successivamente e definitivamente approvati congiuntamente nell'assemblea del 22.03.2017, con delibera non oggetto di impugnazione, divenuta esecutiva, in assenza di ipotesti specifiche di nullità che consentirebbero l'impugnazione senza prescrizione della stessa. Ad abundantiam si aggiunga che il Condominio non spiegava neppure apposita domanda giudiziale per l'eventuale restituzione di somme indebitamente percepite a titolo di compenso dall'amministratrice, ma formulava generica domanda di risarcimento del danno, ragion per cui anche tale domanda va rigettata. Neppure le richieste istruttorie formulate dal Condominio e reiterate anche in comparsa conclusionale possono essere considerate rilevanti al fine di accertare la responsabilità della convenuta e quantificare eventuali danni risarcibili, si ribadisce in assenza di impugnativa delle delibere assembleari in cui venivano approvati i bilanci oggetto di contestazione nel presente giudizio, divenuti allo stato esecutivi. Si aggiunga, altresì, che appare eccessivamente esplorativa, nonché generica ed irrilevante la richiesta di CTU formulata da parte attrice, peraltro senza indicare i periodi di riferimento né specifiche voce in contestazione, volta ad accertare se eventuali somme venissero prelevate dal conto condominiale per pagare i fornitori o fossero accreditate a titolo di compensi. Tale circostanza poteva essere oggetto di verifica mediante l'esame dei bilanci e della documentazione contabile, ivi compreso l'estratto conto condominiale che poteva essere richiesto da ciascun condomino prima dell'inizio della lite e/o prima dell'approvazione dei bilanci avvenuta in data 22.03.2017, ragion per cui va rigettato anche l'ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., così come formulato da parte attrice, stante la possibilità per l'attore di poter acquisire detta documentazione prima dell'inizio della lite o comunque nel termine di impugnazione della delibera condominiale che approvava i rendiconti gestionali (2013-2015). Tali estratti conto, peraltro, venivano depositati in atti dallo stesso attore, ragion per cui tale richiesta istruttoria appare irrilevante ed ultronea. Ad abundantiam si aggiunga che parte convenuta produceva in giudizio copia analogica a mezzo CD dell'estratto registro cassa 2013-2016, contenente prelievi, documenti contabili quietanzati ecc. In ogni caso, occorre chiarire che ogni contestazione relativa alla regolarità dei summenzionati bilanci, andava fatta valere con l'impugnazione della deliberazione assembleare e, comunque, indicando e documentando le singole irregolarità contabili eventualmente riscontrate, anche per ipotesi di nullità della delibera, che potevano essere fatte valere da chiunque ne avesse interesse e senza limiti temporali (ex multis Cass. n. 6714/2010). Nel caso di deliberazione annullabile, invece, la stessa poteva essere impugnata entro 30 giorni dalla sua adozione (per dissenzienti ed astenuti) o comunicazione (per gli assenti), così come disposto dall'art. 1137 c.c. Quanto ai motivi d'impugnazione è bene evidenziare quanto segue. Secondo il costante pronunciamento della Cassazione, "la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137 c.c., comma 3 non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimità, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma dell'impugnazione della delibera, da considerarsi, perciò, annullabile e dal cui diritto di impugnazione il ricorrente doveva, come accertato dalla Corte territoriale, considerarsi decaduto" (cfr, Cass. 4 marzo 2011 n. 5254). Va, altresì, esaminata l'ulteriore richiesta risarcitoria formulata dal condominio nei confronti della convenuta in virtù della sentenza n. 271/2016 emessa dal Tribunale di Benevento per essere stato condannato, in virtù di soccombenza virtuale, al parziale pagamento delle spese di lite, in favore di un condomino che aveva impugnato la delibera assembleare del 30.06.2009 per non aver ricevuto l'avviso di convocazione e per ulteriori vizi formali della stessa. Orbene, nel corso del suddetto giudizio il condominio depositava copia della delibera assembleare del 28-29.06. 2012 che andava a sostituire e sanare la precedente delibera oggetto di impugnazione e, pertanto, sul punto, il Giudice dichiarava cessata la materia del contendere. La conseguente condanna del condominio al pagamento parziale delle spese di lite veniva formulata in virtù del principio della soccombenza virtuale in quanto il Giudice evidenziava che l'attore (il condomino che aveva impugnato la delibera) aveva disconosciuto come propria la firma che appariva accanto al suo nome nel verbale di convocazione ed in seguito al disconoscimento il Condominio non aveva proposto istanza di verificazione. Orbene, da tale assunto non può dedursi che la firma apposta sul verbale di convocazione fosse stata falsificata dall'odierna convenuta, né la circostanza che il Condominio non formulò istanza di verificazione nel corso del summenzionato giudizio può essere imputabile alla responsabilità esclusiva dell'amministratrice, la quale, invece, aveva provveduto a sanare i vizi della delibera oggetto di impugnazione convocando una nuova assemblea che adottò una successiva delibera in revoca e sostituzione della precedente. Ne consegue che va rigettata anche tale richiesta risarcitoria, così come formulata dal Condominio, in assenza di prova concreta circa l'imputabilità della condanna parziale al pagamento delle spese di lite del Condominio (come disposto nella summenzionata sentenza) alla mala gestio dell'odierna convenuta. In merito alle ulteriori contestazioni formulate dal Condominio nei confronti della convenuta per il mancato recupero delle morosità, per Euro 79.000,00 nei confronti dei condomini morosi, si evidenzia che nel corso del suo mandato la dott.ssa (...) poneva in essere diverse azioni giudiziarie al fine di recuperare crediti vantati dal Condominio nei confronti dei condomini morosi, così come si evince dalla documentazione allegata al fascicolo di parte convenuta ed in particolare: - dall'istanza di ammissione al passivo proposta dal condominio nei confronti del fallimento della "(...) S.R.L." nel 2012; - dal decreto ingiuntivo emesso in favore del condominio nei confronti del condomino moroso sig. (...), con pedissequo atto di precetto e successivo pignoramento presso terzi, concluso con decreto di liquidazione emesso in data 12.04.2014 con il quale il G.E. liquidava quanto di spettanza al condominio; - dalle lettere di messa in mora inviate a mezzo Racc/Ar nell'interesse del Condominio nei confronti dei condomini morosi inoltrate nel 2013; - dai numerosi atti di intervento posti in essere tra il 2007 ed il 2015 dal Condominio, per il tramite del proprio legale, in procedure esecutive volte al recupero dei crediti rimasti insoluti. Ne consegue che l'amministratrice non rimaneva totalmente inerte rispetto alla riscossione dei crediti vantati dal Condominio, né poteva essere a lei addebitabile in via esclusiva il mancato pagamento da parte dei Condomini degli oneri condominiali. In ogni caso non è stato debitamente indicato, né quantificato, il danno imputabile per la mancata riscossione coattiva dei tributi nei confronti di alcuni condomini morosi, la cui condizione di morosità, almeno per la gestione relativa al 2013-2015 si cristallizzava con l'approvazione dei bilanci avvenuta in data 22.03.2017, ragion per cui tali somme potevano essere coattivamente recuperate dall'amministratore successivamente nominato, con la maggiorazione degli interessi dovuti. In merito all'ulteriore richiesta di risarcimento del danno in relazione al mancato pagamento di somme di spettanza dovute in favore di alcuni creditori del Condominio rimasti insoluti, così come evidenziato dalla compagnia assicurativa (...) S.p.A. in comparsa conclusionale, l'unico pregiudizio che avrebbe potuto subire il Condominio sarebbe astrattamente rappresentato dall'incremento dei debiti non tempestivamente pagati, per effetto del maturarsi di interessi. Orbene, non vi è prova in atti di eventuali procedure giudiziarie volte al recupero dei crediti vantati nei confronti del Condominio, essendo stata prodotta in giudizio soltanto una lettera di messa in mora datata 04.01.2016 nella quale la "(...) srl" chiedeva il pagamento della somma di Euro 10.068,56 a titolo di canoni di manutenzione e di ulteriori fatture di riparazione rimasti impagati, oltre alla somma di Euro 1.956,94 per ulteriori canoni di manutenzione rimasti insoluti. La convenuta, però, depositava in atti missiva di riscontro dell'1.02. 2016 alla messa in mora inoltrata al Condominio dalla (...) nella quale evidenziava di aver già provveduto in data 27.01.2016 al saldo di alcune fatture rimaste insolute, per la manutenzione e la riparazione del primo trimestre del 2014, impegnandosi a saldare le ulteriori somme dovute anche in virtù degli accordi intercorsi con l'ing. (...). Per quanto concerne le ulteriori richieste di pagamento poste in essere in via stragiudiziale nei confronti del condominio dall'Avv. (...) in data 18.07.2017 e della sig.ra (...) del 12.05.2016, allegate alla produzione di parte attrice, si evidenzia che le stesse venivano formalmente inoltrate all'amministratore del Condominio de quo subentrato alla convenuta. All'uopo si evidenzia che non vi è prova in atti di azioni esecutive volte al recupero delle somme comprensive di interessi, né dell'avvenuto adempimento da parte del Condominio del pagamento dei propri debiti. Pertanto, ribadendo che la situazione debitoria sia imputabile al Condominio per non aver corrisposto le somme dovute ai creditori in seguito all'approvazione dei bilanci, nessun risarcimento del danno può essere riconosciuto al Condominio, non essendo stata fornita prova di eventuali pagamenti effettuati a saldo delle richieste creditorie, nonché di eventuali interessi maturati e corrisposti su tali somme, interessi che eventualmente sarebbero stati imputabili all'amministratrice per il lasso di tempo intercorso tra la richiesta di pagamento e l'effettivo soddisfo, soltanto per il periodo in cui l'amministratrice era ancora in carica. In merito alla consegna della documentazione ancora detenuta dalla convenuta e non consegnata al condominio, si evidenzia che la dott.ssa (...) provvedeva a consegnare parte della documentazione in suo possesso, affermando di dover consegnare ancora degli atti contabili, di non rilevante utilità per il prosieguo della gestione condominiale, nonché il registro di revoca e nomina dell'amministratore. La convenuta, all'uopo evidenziava, che la mancata consegna della summenzionata documentazione non era a lei imputabile, così come si evince dalla pec del 16.05.2016 inoltrata dall'amministratore in carica, sig. (...), nella quale egli affermava che si sarebbe recato presso il suo studio in data 18.05.2016 per la consegna della suddetta documentazione, preannunciando che in seguito non avrebbe più inteso procedere al ritiro di ulteriore documentazione. Pertanto, nessuna responsabilità è imputabile in tal senso alla convenuta, né è ravvisabile in capo al Condominio alcun danno concreto ed attuale in seguito alla mancata consultazione della documentazione mancante, la cui consegna non è mai stata negata dalla convenuta. Per le ragioni su esposte va rigettata anche la richiesta risarcitoria formulata dal Condominio in tal senso. Va rigettata, altresì, la domanda riconvenzionale formulata dalla convenuta per ottenere il risarcimento del danno da parte del Condominio, quantificato in Euro 5.110,96 quale danno per lucro cessante, ovvero identificato nel compenso non percepito per il periodo in cui l'amministratrice avrebbe conservato il suo incarico, sostenendo di essere stata ingiustamente revocata, prima della scadenza del mandato. La mancata convocazione annuale dell'assemblea per gli esercizi 2013-2014, necessaria all'approvazione del rendiconto condominiale annuale ai sensi dell'art. 1130 c. c., infatti, è una grave irregolarità che, come già evidenziato in premessa, può giustificare la revoca dell'amministratore non solo da parte dell'assemblea, ma anche in via giudiziale. Se è vero, infatti, che nella delibera di revoca del 18.03.2016 nessuna motivazione esplicita veniva addotta all'operato dell'amministratrice uscente, alla luce della documentazione esaminata nel corso del presente giudizio ed alla luce dell'istruttoria svolta, appare evidente che la convenuta nel corso del suo mandato operò in maniera negligente, nei termini indicati in premessa, ragion per cui nessuna somma a titolo di risarcimento del danno le può essere riconosciuta. Stante il rigetto sia della domanda attorea che della domanda riconvenzionale formulata da parte convenuta, le spese di lite sono compensate tra l'attore e la convenuta. Le spese di lite sostenute dalla S.p.A. (...), quale terza chiamata in causa dalla convenuta, sono - invece - a carico di parte attrice e saranno liquidate in dispositivo alla luce del D.M. 55/14. Con ordinanza n. 23123/2019, la Suprema Corte di Cassazione ribadiva, infatti, due principi di diritto da considerare in materia di pagamento delle spese di giudizio in seguito alla chiamata del terzo in garanzia: "Il primo è quello per cui la domanda di garanzia nei confronti del terzo chiamato, essendo funzionale a deviare verso quest'ultimo le conseguenze economiche della soccombenza del chiamante, presuppone necessariamente che sia stata accolta la domanda proposta contro di lui. In difetto, l'esame della domanda di garanzia resta assorbito. Il secondo afferma che le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite (cfr., fra le tante, Cass. nn. 23552/11), anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo (Cass. nn. 2492/16 e 19181/03), e salvo che l'iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria (Cass. nn. 7431/12, 8363/10 e 6514/04)". Pertanto, stante l'assenza di arbitrarietà nella chiamata in causa della Compagnia Assicuratrice, stante la vigenza del contratto di polizza per responsabilità professionale tra la convenuta e la (...) S.p.A., le spese di lite vanno poste a carico di parte attrice, la cui domanda principale è stata rigettata. P.Q.M. il Tribunale di Benevento, ogni altra eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) Rigetta la domanda attorea; 2) Rigetta la domanda riconvenzionale; 3) Compensa le spese di lite tra il CONDOMINIO (...) e (...); 4) Condanna il CONDOMINIO (...), in persona dell'amministratore e legale rapp.te p.t., a rimborsare in favore della terza chiamata in causa S.p.A. (...) le spese relative al presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 1.620,00 (di cui Euro 405,00 per la fase di studio, Euro 405,00 per la fase introduttiva ed Euro 810,00 per la fase decisoria), oltre a IVA, CPA come per legge e rimborso spese forfettarie come per legge. Così deciso in Benevento il 9 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, seconda sezione civile, in persona del G.M., Dr. Gerardo Giuliano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5207/2019 R.G.A.C., avente ad oggetto SOMMINISTRAZIONE pendente: TRA (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Do.Ro.; OPPONENTE E (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. Vi.Ca.; OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE 1. SULLE QUESTIONI PRELIMINARI In via preliminare, deve essere vagliata l'eccezione d'improcedibilità dell'opposizione, formulata da parte opposta, per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 3, co. 3.1, del Testo integrato conciliazione (c.d. TICO), approvato con delibera 209/2016/E/COM dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (c.d. ARERA). Invero, il TICO, per un verso, "... disciplina le modalità di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione per le controversie tra Clienti finali di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, Clienti finali di gas alimentati in bassa pressione, Prosumer o Utenti finali e Operatori o Gestori" (cfr. art. 2. co. 2.1, del testo cit.); e, per altro verso, prevede che sia solo ed esclusivamente il cliente o l'utente finale a dover attivare la procedura di conciliazione (cfr. art. 6, co. 6.1, del testo cit.) e, dunque, non anche l'operatore o il gestore, nelle ipotesi in cui siano quest'ultimi interessati ad agire in giudizio. Sul punto, la giurisprudenza di merito ha condivisibilmente osservato: che "nell'ambito delle controversie inmateria di energia e gas, solo il cliente o l'utente finale possono, in caso di mancata o insoddisfacente risposta al reclamo di primo livello, attivare la procedura di conciliazione nei confronti dell'operatore o del gestore, non viceversa" (cfr. Trib. Roma sent. del 25.05.2017 e, in senso conforme, inter alia, Trib. Pavia sent. n. 1562/2021 e Trib. Milano sent. n. 1254/2022). Nel caso di specie, la predetta disciplina deve essere coordinata con i tratti peculiari del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale, poiché si verifica un'inversione della posizione processuale delle parti -tale per cui, sotto il profilo sostanziale, parte opponente è convenuta e parte opposta è attrice-, l'onere di attivazione del procedimento di mediazione grava sull'opposta e non sull'opponente (cfr. Cass. SS.UU. n. 19596/2020). Tale ultimo principio deve trovare applicazione anche in relazione alla procedura di conciliazione di cui al citato TICO, considerato che anch'essa costituisce una condizione di procedibilità della domanda prevista ex lege e condivide la medesima ratio deflattiva sottesa alla mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, co. 1 bis, del D.Lgs. n. 28 del 2010. Pertanto, poiché nel presente giudizio parte opposta è il (...) s.p.a., sulla quale, in virtù del suddetto TICO, non grava l'onere di attivazione della procedura di conciliazione ante causam, l'esaminata eccezione preliminare non può trovare accoglimento. In ordine, altresì, all'eccepita carenza di legittimazione passiva dell'opponente, deve immediatamente osservarsi che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità -e, in senso conforme, da quella di merito- "la "legitimatio ad causam", attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l'effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite. Ne consegue che il difetto di "legitimatio ad causam", riguardando la regolarità del contraddittorio, costituisce un "error in procedendo" ed è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo" (cfr. Cass. n. 7776/2017), sicché "per la sussistenza della legittimazione processuale, che costituisce condizione per la trattazione della causa fra i giusti soggetti del rapporto, è sufficiente l'attribuzione che l'attore faccia al convenuto della titolarità dell'obbligo controverso, indipendentemente dalla fondatezza della domanda" (cfr. Cass. n. 16744/2021). Ne deriva che, nel caso di specie, secondo la consequenziale prospettazione dell'opposta -che è formalmente parte convenuta, ma sostanzialmente parte attrice-, la legittimazione passiva del sig. (...) si fonda sul rapporto giuridico dedotto in giudizio, derivante da fatto illecito dell'opponente, così come constatato mediante verifica del 15.11.2017 (cfr. allegato n. 4 alla comparsa di costituzione e risposta). Sicché, per le esposte ragioni, anche tale ultima eccezione preliminare deve essere rigettata. 2. SUL MERITO Quanto al merito, occorre esaminare, innanzitutto, l'eccezione di prescrizione sollevata dall'opponente. Al riguardo, deve farsi immediato richiamo a quanto previsto dalla L. n. 205 del 2017, secondo la quale, per il settore elettrico, il diritto al corrispettivo, per le fatture la cui scadenza è successiva al 1 marzo 2018, si prescrive in due anni, salvo che la mancata o erronea rilevazione dei dati di consumo derivi da responsabilità accertata dell'utente (cfr. art. 1, commi 4, 5 e 10 della L. cit.). Successivamente, la L. n. 160 del 2019 (cfr. art. 1, co. 295) ha abrogato l'art. 1, co. 5, della L. n. 205 del 2017 e, conseguentemente, è stata superata la distinzione relativa al termine di prescrizione del diritto al corrispettivo in ipotesi di mancata o erronea rilevazione dei consumi imputabile o meno all'utente finale. Dunque, attualmente, anche quando sia l'utente finale a determinare la mancata o erronea rilevazione dei consumi, il termine di prescrizione del diritto al corrispettivo è di due anni, ma pur sempre per le fatture, nel settore elettrico, la cui scadenza è successiva al 1 marzo 2018. Diversamente, per le fatturazioni antecedenti a tale ultima data, il termine prescrizionale è di cinque anni -come da normativa precedente a quella del 2017-, che, in ipotesi di allaccio abusivo alla rete elettrica di distribuzione, decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., "... dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", ossia dal momento nel quale tale condotta illecita viene accertata e verificata dal creditore. Ebbene, nel caso di specie: 1) la (...) S.p.A., a mezzo dei suoi operatori, ha accertato l'allaccio abusivo alla rete di distribuzione di energia elettrica in data 15.11.2017; 2) il (...) S.p.A. ha emesso fattura n. (...) del 11.01.2018, relativa al periodo "novembre 2012-novembre 2017", con scadenza il 31.01.2018 -dunque, prima del 1 marzo 2018- e, successivamente, ha diffidato l'opponente ad adempiere mediante raccomandata a/r ricevuta dal destinatario in data 12.10.2018; 3) in mancanza di tale ultimo adempimento, il (...) S.p.A., previo ricorso, ha notificato all'odierno opponente il decreto ingiuntivo n. 1039/19 del 06.08.2019, emesso nell'ambito del procedimento n. R.G. 2377/19, in data 11.10.2019. Sicché, l'opposta, sia in via stragiudiziale sia giudiziale, ha agito legittimamente e ben prima della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione a far data dal 15.11.2017. Pertanto, l'esaminata eccezione di parte opponente deve essere rigettata. In ordine, poi, alla pretesa dell'opposta, giova qui premettere che, come chiaramente e condivisibilmente precisato dalla giurisprudenza di merio (cfr. Trib. Nola n. 1089/2022), nel solco del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, "l'opposizione a decreto ingiuntivo, quale fase ulteriore del procedimento già iniziato con il deposito del ricorso per ingiunzione, dà luogo ad un giudizio di cognizione avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione e nel quale le parti, pur apparentemente invertite, conservano la loro posizione sostanziale, rimanendo così soggette ai rispettivi oneri probatori. A seguito dell'opposizione, difatti, si verifica una trasformazione del giudizio da sommario a cognizione piena, nel quale il Giudice non deve limitarsi ad esaminare se l'ingiunzione sia stata emessa legittimamente, ma procedere altresì all'esame del merito della controversia con poteri di cognizione piena, sulla base sia dei documenti prodotti nella fase monitoria che dei mezzi istruttori eventualmente ammessi ed assunti nel corso del giudizio. In questo senso,allora, si verifica un'inversione logica, ma non processuale, in quanto il creditore assume in tale giudizio la veste di convenuto, pur conservando la posizione sostanziale di attore/istante, con la conseguenza che egli ha l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto azionato. Dall'altra parte, invece, il debitore, pur essendo convenuto sostanziale, figura quale attore in senso formale, con la conseguenza che l'onere su di esso incombente concerne gli eventuali fatti estintivi del diritto (costituiti, ad esempio, dall'adempimento della prestazione), ovvero la prova del fatto modificativo o impeditivo del proprio adempimento". Dunque, nel presente giudizio, il rapporto obbligatorio sotteso alla pretesa di parte creditrice - id est, parte opposta- ha fonte non in un contratto, ma in un fatto illecito, ossia nell'avere il sig. (...) sottratto fraudolentemente, mediante allaccio abusivo, energia elettrica direttamente dalla rete di (...) (cfr. allegato n. 4 alla comparsa di costituzione e risposta). Conseguentemente, la domanda formulata in giudizio dal (...) s.p.a. deve essere qualificata come una domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 e ss. c.c.. Pertanto, sotto il profilo dell'an, si ritiene che il creditore abbia fornito prova certa della sua pretesa, depositando in giudizio, a conferma di quanto allegato, il verbale della verifica svolta dai dipendenti di (...) -a seguito di richiesta della Polizia di Stato- in data 15.11.2017 (cfr. allegato n. 4 alla comparsa di costituzione e risposta), nel quale si legge che: 1) utilizzatore di fatto -ed abusivo- della fornitura era il sig. (...), che, pur se presente, ha rifiutato di sottoscrivere il predetto verbale; 2) "... presso appartamento sito in via T., 25, B. ... è stato constatato e fatto constatare ai presenti, che tale locale risulta privo di contratto di energia elettrica e che pertanto lo stesso viene alimentato direttamente dalla rete di (...) mediante un cavo abusivo di sezione ... Tale stato dei luoghi consente di fatto di prelevare potenza ed energia elettrica in maniera fraudolenta, non controllata e non registrata". Tali fatti, così come accertati e verificati, risultano incontrovertibili, in quanto il suddetto verbale di verifica non è stato oggetto di adeguata contestazione, mediante querela di falso, da parte del debitore: invero, in adesione alla costante giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr., inter alia, Cass. civ. n. 7075/2020; Trib. Bologna n. 713/2022), "il verbale di verifica redatto dai dipendenti dell'E. è un atto di incaricato di pubblico servizio e fa prova delle dichiarazioni riportate e dei fatti che dichiarano avvenuti in loro presenza o da essi compiuti, stante che gli accertamenti sull'allaccio abusivo sono stati posti in essere nell'esercizio delle loro funzioni; in particolare, ai fini della determinazione dei requisiti necessari per la assunzione della qualità di pubblico ufficiale o di pubblico servizio, sin dalla entrata in vigore della L. 26 aprile 1990, n. 86, non ha rilievo la forma giuridica dell'ente e la sua costituzione secondo le norme del diritto pubblico o del diritto privato, ma ha rilievo esclusivo la natura delle funzioni esercitate, che devono essere inquadrabili tra quelle della pubblica amministrazione. La funzione è pubblica quando è disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi (art. 357, comma 2). E' noto poi che, nell'ambito dei soggetti che svolgono funzioni pubbliche, la qualifica di pubblico ufficiale è riservata a coloro che formano (o concorrono a formare) la volontà della pubblica amministrazione o a coloro che svolgono tale attività per mezzo di poteri autoritativi o certificativi, mentre quella di incaricato di pubblico servizio è assegnata dalla legge, in via residuale (art. 358 c.p.), a coloro che non svolgano pubbliche funzioni nei sensi ora precisati, ma che non curino neppure mansioni di ordine e non prestino opera semplicemente materiale. Pertanto, non v'è dubbio che l'attività del dipendente dell'(...) rientrante tra gli organismi erogatori di un pubblico servizio disciplinato da norme di natura pubblica, incaricati della esazione dei pagamenti dei compensi dovuti all'ente rientrano tra quelle del pubblico ufficiale o dell'incaricato del pubblico servizio, e attribuiscono pubblica fede a quanto da essi accertato" (Cass. civ. n. 7075/2020). In ordine, altresì, al quantum della pretesa risarcitoria, deve osservarsi, innanzitutto, che il prelievo fraudolento non può equipararsi al prelievo irregolare e non sia pertanto regolamentato dalle delibere delle Autorità regolatrici della materia. Ne consegue che non possono trovare applicazione i criteri temporali e modali di ricostruzione dei consumi previsti dalle delibere di tali enti. Pertanto, ai fini della quantificazione, deve preliminarmente considerarsi che la cifra di Euro 50.971,21 è stata individuata dal (...) s.p.a. in virtù della tabella di ricostruzione dei consumi comunicatale dalla (...) (cfr. allegato n. 5 alla comparsa di costituzione e risposta) ed elaborata da quest'ultima sulla base della "potenza tecnicamente prelevabile determinata dalla sezione del cavo" abusivamente collegato alla rete di distribuzione principale. Tale ricostruzione, seppure non arbitraria, in quanto fondata sull'imposto criterio di quantificazione, non può, tuttavia, condividersi, in quanto, pur in assenza di ogni possibile rilevazione alternativa e certa, non si ritiene comunque ragionevole stimare, in via presuntiva, la misura dell'energia elettrica utilizzata dall'odierno opponente come equivalente a quella massima erogabile dal cavo di collegamento abusivo utilizzato. In altri termini, appare irragionevole ritenere che l'impianto collegato abusivamente all'immobile in uso all'opponente sia stato effettivamente usato a pieno regime per prelevare il massimo possibile dell'energia durante l'intero periodo dell'allaccio abusivo: il danno patito dall'opposta va rideterminato in misura equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c.. A tale ultimo fine, deve evidenziarsi che se, per un verso, non appare ragionevole ritenere che l'allaccio abusivo sia stato posto in essere senza che esso venisse sfruttato; è pur vero, per altro verso, che nemmeno appare ragionevole ritenere che vi sia stato un impiego costante e sempre al massimo regime per ogni giorno. In conclusione, considerando che secondo quanto emerge dagli atti, si tratta di un unico utilizzatore dell'energia presso un appartamento (e dunque non un immobile ad uso commerciale), si ritiene equo prendere come parametro la cifra ingiunta e ridurla di due terzi (id est, Euro 50.971,21 - Euro 33.980,80 = Euro 16.990,41). A tale somma, valutata all'attualità e, dunque, anche in considerazione della rivalutazione monetaria (cfr., ex pluribus, Cass. n. 11594/2004; Tribunale Milano, sez. VII, 04/12/2014, n. 14494; Tribunale Milano n. 14398/2014; Trib. Milano n. 2078/2014), devono essere aggiunti gli interessi legali previsti dal codice civile a decorrere dalla data della presente pronuncia e sino al soddisfo. In conclusione, l'opposizione è fondata per le ragioni e nei limiti di cui alla presente sentenza per cui il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato; mentre, in parziale accoglimento della domanda di condanna avanzata dall'opposta -comunque sottesa alla domanda monitoria e valutabile anche in caso di revoca del decreto ingiuntivo- (...) deve essere condannato al pagamento, in favore del (...) S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., di Euro 16.990,41, oltre interessi legali previsti dal codice civile a decorrere dalla data della presente pronuncia e sino al soddisfo. 3. SULLE SPESE DI LITE In ordine al governo delle spese di lite del presente grado di giudizio, le stesse -liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dei valori medi ivi previsti, relativi a controversie con valore ricompreso nello scaglione da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00- vanno poste a carico dell'opponente, in applicazione del principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, seconda sezione civile, in persona del (...), Dr. Gerardo Giuliano, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 5207/2019 del R.G.A.C., avente ad oggetto SOMMINISTRAZIONE, così provvede: - ACCOGLIE, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione, l'opposizione, e, per l'effetto, REVOCA il decreto ingiuntivo n. 1039/2019 del 06.08.2019, emesso dal Tribunale di Benevento; - ACCOGLIE, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione, la domanda di condanna avanzata dall'opposta, e, per l'effetto, condanna (...) al pagamento, in favore del (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., di Euro 16.990,41, oltre interessi legali previsti dal codice civile a decorrere dalla data della presente pronuncia e sino al soddisfo; - CONDANNA l'opponente al pagamento, in favore del (...) s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., delle spese del presente giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 4.835,00 per compenso professionale, oltre rimborso, spese generali, I.V.A. e C.P.A., se dovute, come per legge. Manda la cancelleria per gli adempimenti di sua competenza. Così deciso in Benevento il 2 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 9 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BENEVENTO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in persona del Giudice monocratico dott.ssa Enrica Nasti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1586/2019 R.G.A.C., avente ad oggetto: altre ipotesi di responsabilità extracontrattuale non ricomprese nelle atre materia (art. 2043 c.c. e norme speciali) e vertente TRA (...), elett.te dom.to in Avellino alla via C. Colombo n. 11, presso lo studio dell'avv. An.Gu. da cui è rapp.ta e difesa, in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione. ATTRICE E (...) S.p.A. in persona del legale rapp.te p.t., elett.te dom.ta in Rotondi alla via (...), presso lo studio dell'avv. Fr.Pe., da cui quale è rapp.ta e difesa, in virtù di procura in atti CONVENUTA CONCLUSIONI: come da atti e verbali di causa. MOTIVI DELLA DECISIONE L'attrice in epigrafe indicata agiva in giudizio, onde ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'apposizione, in assenza di costituzione di servitù e senza alcuna autorizzazione, da parte della (...) S.p.A. di n. 13 pali di sostegno della linea telefonica, per utenze estranee. La (...) S.p.A. costituitasi in giudizio, eccepiva in via preliminare l'improcedibilità dell'azione per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 28 del 2010, nonché il difetto di giurisdizione del Giudice adito, sussistendo la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi degli artt. 333 e 35 del Dlgs n. 80 del 31.03.1998, come modificati ed integrati dall'art.7 della legge 205/2000; sempre in via preliminare eccepiva il difetto di legittimazione attiva dell'attrice, stante la manca prova della proprietà; nel merito deduceva l'infondatezza della pretesa azionata. In via preliminare va rigettata l'eccezione di improcedibilità della domanda, trattandosi nella specie di risarcimento dei danni e non di materia attinente ai diritti reali. Né per altro verso può ritenersi necessario il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 1, comma undicesimo, della legge 31 luglio 1997, n. 249 e succ. mod., quale condizione di proponibilità della domanda nelle controversie tra utenti e soggetti autorizzati o destinatari di licenze nel settore delle telecomunicazioni, non trovando tale disposizione applicazione nei casi in cui non si controverta dei rapporti contrattuali di utenza, bensì trattasi di controversie relative ad un illecito extracontrattuale, quale è quello relativo alla illecita apposizione di pali ed al risarcimento del danno derivante dal comportamento stesso. Parimenti priva di pregio è l'eccezione di difetto di giurisdizione. Ed invero, la domanda nella specie ha ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dall'apposizione di pali da parte della convenuta, in difetto di qualsivoglia pregressa intesa negoziale o di un provvedimento amministrativo autoritativo. E' noto che già in passato la giurisprudenza aveva precisato che "quando la società concessionaria del servizio telefonico istalla i propri impianti sul fondo altrui, senza che siano avvenuti provvedimenti ablatori, deve riconoscersi la facoltà del proprietario di detto fondo di adire il Giudice Ordinario, anche con domanda di rimozione di dette opere, atteso che si verte in tema di tutela di posizioni di diritto soggettivo, lese da comportamenti materiali non ricollegabili all'esercizio di poteri autoritari della P.A." (Cassazione Civile, Sezioni Unite, sentenza n. 6962/1994). E' stato successivamente precisato che "non tutti i comportamenti implicanti un uso del territorio sono riconducibili alla materia urbanistica, ma solo quelli che, esprimendo l'esercizio di un potere amministrativo, siano collegati ad un fine pubblico o di pubblico interesse legalmente dichiarativo; in difetto di ciò, si è al di fuori dell'ambito della riserva di giurisdizione in favore del Giudice Amministrativo, prevista dall'art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998, nel testo sostituito dall'art. 7 della L. n. 205 del 2000" (Cassazione Civile a Sezioni Unite con sentenza n. 9139 del 2003). In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa, precisando che "rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza del diritto di (...) S.p.A. ad occupare il terreno di un privato con pali di sostegno dei cavi telefonici, atteso che trattasi dell'accertamento della lesione ad una posizione giuridica di diritto soggettivo (diritto di proprietà)" (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, del 27 febbraio 2004 n. 2452). Da ultimo, soprattutto a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 204/04 e n. 191/06 - con cui è stata dichiarata l'illegittimità, rispettivamente, dell'art. 34, co. 1, D.Lgs. n. 80 del 1998, e dell'art. 53, co. 1, D.P.R. n. 327 del 2001, nella parte in cui tali norme devolvevano alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie relative a comportamenti di mero fatto delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati, non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere - si è ritenuto che, in materia di urbanistica ed edilizia, la giurisdizione del giudice ordinario è invocabile quando i comportamenti materiali dell'Amministrazione, comportanti l'immissione in possesso del fondo privato, la sua mera detenzione o la sua irreversibile trasformazione, si siano prodotti in mancanza di una dichiarazione di pubblica utilità, e dunque in maniera del tutto scissa dall'esercizio di un potere pubblico autoritativo, la cui sola sussistenza giustifica la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. S.U. ord. n. 2688/07). Ne deriva che, in difetto di alcun provvedimento autorizzativo, come nella specie, deve riconoscersi la facoltà del proprietario del fondo servente di adire il giudice ordinario con domanda di rimozione di dette opere o, come nel caso in esame, di risarcimento dei danni subiti, atteso che si verte in tema di tutela di posizioni di diritto soggettivo, lese da comportamenti materiali non connessi all'esercizio di poteri autoritativi della P.A. Sempre in via preliminare va rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva dell'attrice, avendo la stessa provato di essere proprietaria attraverso la produzione dei titoli di proprietà. E' appena il caso di rilevare che l'azione di risarcimento danni, non essendo rivolta all'accertamento del diritto di proprietà, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (Cass. civ. Sez. II, 12-12-2016, n. 25342). Ciò posto, nel merito la domanda è fondata e merita accoglimento. E' noto che la normativa in materia di installazione di impianti di telecomunicazione esercitati dallo Stato o dai concessionari prevede una netta distinzione tra gli attraversamenti aerei e quelli con appoggio su proprietà altrui, prescrivendo solo per questi ultimi il rispetto di particolari formalità per la costituzione delle relative servitù. Ed invero, ai sensi dell'art. 92 del D.lgs. 01/08/2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) in vigore dal 16 settembre 2010 stabilisce che: "Fuori dei casi previsti dall'articolo 91, le servitù occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, cavi ed impianti connessi alle opere considerate dall'articolo 90, sul suolo, nel sottosuolo o sull'area soprastante, sono imposte, in mancanza del consenso del proprietario ed anche se costituite su beni demaniali, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, e della legge 1° agosto 2002, n. 166." Come evidenziato sul punto dalla giurisprudenza, il richiamato articolo precisa le modalità costitutive delle servitù per l'attraversamento di cavi con l'utilizzo di appoggi nel caso in cui il proprietario del fondo servente non presti il dovuto consenso, prevedendo che la posa dei cavi telefonici debba essere preceduta dalla stipula di apposito contratto o comunque del preventivo assenso del proprietario dell'immobile che viene ad essere interessato dal passaggio di un cavo telefonico con appoggio, salva in ogni caso l'attivazione di una procedura ablatoria nelle forme previste dalla legge con necessaria corresponsione di un'indennità a favore della parte privata nei cui confronti viene azionata coattivamente una procedura, che si risolve in una diminuzione di valore del bene (cfr. in tal senso T.A.R. CALABRIA, Reggio Calabria, 26 giugno 2006, n. 1209). Ciò premesso in punto di diritto, nella specie, per l'installazione della palificazione messa in opera per il passaggio della linea telefonica, insistente sulle particelle di parte attrice, non risulta che sia stato acquisito il preventivo assenso della stessa né risulta essere stata attivata una specifica procedura ablatoria (cfr. sul punto anche ctu in atti). Non appare determinante sul punto la deduzione di parte convenuta dell'esistenza di una servitù di appoggio ed installazione dei pali, per averla acquistata per usucapione, da qualificarsi come "eccezione riconvenzionale", in quanto proposta al solo scopo di impedire l'accoglimento della domanda, atteso che nulla è emerso con riferimento al periodo preciso di installazione della palificazione. Quanto alla quantificazione dei danni, va rilevato che la ctu espletata, che si ritiene di poter condividere, attesa la coerenza delle argomentazioni, esenti da vizi logici, ha accertato che la linea telefonica non è a servizio dell'abitazione della parte attrice e che essa è stata realizzata in assenza di procedura espropriativa e senza il consenso dell'avente diritto, per cui l'istante ha diritto al risarcimento dei danni, quantificati dal consulente nella somma complessiva di Euro 34.598,00. Non meritano rilievo sul punto le contestazioni concernenti le risultanze della ctu introdotte con le comparse conclusionali, atteso che ogni rilievo alla stessa andava formulato nei termini concessi per le osservazioni. Giova solo precisare che è da escludersi il diritto all'indennizzo, che si collega necessariamente alla procedura espropriativa e quindi può essere riconosciuto il solo diritto al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., anche nell'ipotesi in cui non sia stata richiesta la rimozione. In quest'ultima ipotesi, di mancata richiesta di rimozione, è da ritenersi che il proprietario abbia rinunciato a chiederla e quindi il danno va determinato in relazione al permanente deprezzamento del fondo ed agli ulteriori danni alla coltivazione del fondo, salvi ulteriori e maggiori danni, nei limiti della prescrizione quinquennale. Non sussistono i presupposti per il risarcimento ex art. 96 c.p.c.. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue. Le spese di ctu sono poste definitivamente a carico della convenuta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta, ogni altra istanza disattesa, così provvede: - accoglie la domanda e per l'effetto condanna la convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, della somma di Euro 34.598,00 a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; - condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario; - pone le spese di ctu, liquidate come da separato decreto, definitivamente a carico di parte convenuta. Così deciso in Benevento il 10 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 6 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, Seconda Sezione civile in persona del giudice monocratico Dr. FLAVIO CUSANI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 946/2020 del R.G.A.C., avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - contratto di finanziamento TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Pasquale Matera, come da procura in atti; OPPONENTE E (...) S.R.L. UNIPERSONALE e per essa (...) S.R.L., rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ma., come da procura in atti; OPPOSTA NONCHE' (...) S.p.A. e per essa (...) S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Marco Pesenti come da procura in atti INTERVENTRICE VOLONTARIA ADESIVA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) faceva opposizione al decreto ingiuntivo n. 1708/2019 per Euro 35.331,56 oltre accessori, notificato il 10.1.2020 dalla cessionaria del credito (...) s.r.l. Unipersonale e per essa, quale mandataria per la gestione del credito, la procuratrice speciale (...) s.r.l., in forza di un contratto di finanziamento n. (...) per l'ammontare di Euro 32.268,00 da estinguersi mediante corresponsione di n. 84 ratei mensili di Euro 556,76 cadauno, a suo tempo intercorso tra l'opponente e la (...) S.p.a. L'opponente deduceva a motivi: la carenza di legittimazione attiva della creditrice procedente, non avendo la stessa dato prova dell'avvenuta cessione in suo favore; la mancanza di prova circa l'an ed il quantum debeatur della pretesa creditoria fatta valere in sede monitoria, non avendo la creditrice procedente allegato gli estratti conto analitici completi del rapporto di finanziamento dedotto in giudizio; l'indeterminatezza delle condizioni applicate al contratto; la mancata corrispondenza tra il taeg indicato in contratto e quello effettivo, con conseguente applicazione del tasso sostitutivo bot; l'usurarietà e non debenza degli interessi ultralegali e di altre clausole inserite in contratto relative al pagamento di interessi moratori, di spese, penali, valute e commissioni non dovute. Per tali motivi l'opponente chiedeva dichiararsi nullo o inesistente il decreto ingiuntivo o comunque di revocarlo; in subordine, chiedeva che, previa acquisizione agli atti di causa, ex art. 210 c.p.c., degli estratti analitici completi relativi a tutto lo svolgimento del rapporto bancario dedotto in giudizio dall'opposta ed espletamento di c.t.u. contabile volta ad operare un'esatta ricostruzione del saldo finale dello stesso rapporto, fosse accertata la reale somma dovuta. Costituitasi in giudizio, l'opposta società contestava gli assunti delle opponenti e concludeva per la conferma dell'opposto provvedimento monitorio. In particolare, riguardo alla legittimazione attiva, rilevava che la (...) s.p.a., nel contesto di un'operazione di cartolarizzazione, aveva trasferito con atto del 28/2/2014, come da avviso in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, un portafoglio di crediti pecuniari classificati a "sofferenza" alla (...) s.r.l., la quale ne era divenuta titolare a tutti gli effetti. Allegava che di detta cessione del credito, anche ai fini del disposto di cui all'art. 4, co.2, L. n. 130 del 1999 e 1264 c.c. era stato dato avviso nel Foglio delle Inserzioni n. 32 della Gazzetta Ufficiale del 15/03/2014, prodotto già in sede monitoria. Aggiungeva che tutta la documentazione comprovante la cessione era stata depositata nella procedura monitoria quale prova della titolarità del credito da parte della (...) s.r.l. quale mandataria per la gestione del credito e per mera completezza difensiva rilevava che in materia di cessione del credito, a cui è seguita anche la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il contratto relativo alla cessione del credito non necessita di una forma specifica e si perfeziona con il semplice consenso prestato dal cedente e dal cessionario. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'opposizione. Rigettata la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, esperita la mediazione, nel corso del giudizio, dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., interveniva volontariamente nel giudizio la (...) S.p.A. e per essa (...) S.p.A., quale cessionaria del credito giusta atto di cessione dell'1/11/2021 intercorso con la (...) s.r.l., cessione "in blocco" ai sensi dell'art. 58 TUB, di cui veniva dato avviso mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 16/11/2021. Produceva in atti sia il contratto di cessione dei crediti, sia l'estratto della Gazzetta Ufficiale. Espletata c.t.u. contabile con il dott. comm. Manlio Marotti, precisate le conclusioni, la causa veniva riservata in decisione. L'opposizione è fondata e va pertanto accolta, tra gli altri motivi, sotto il profilo assorbente della carenza di prova della legittimazione attiva dell'opposta quale cessionaria del credito. L'opponente, tra gli altri motivi, ha innanzi tutto specificamente contestato la legittimazione attiva dell'opposta e, in particolare la mancanza di prova della titolarità del credito in capo alla (...) s.r.l., evidenziando l'insufficienza della documentazione prodotta dall'opposta e segnatamente la mancata produzione del contratto di cessione dei crediti intercorso tra la banca cedente e la predetta cessionaria. Orbene, il credito azionato in sede monitoria dall'opposta società rientra - come dalla stessa dedotto - nei contratti di cessione di crediti pecuniari ai sensi e per gli effetti della L. 30 aprile 1999, n. 130 "Legge sulla cartolarizzazione" e dell'art. 58 del T.U.B., stipulati tra (...) SpA e la (...) Con atto di cessione in data 28/2/2014. Orbene, com'è noto, per le operazioni di cessione di crediti in blocco, così come disciplinate dalla sopra cit. L. n. 130 del 1999 e dall'art. 58 del T.U.B., è previsto che, in luogo della notifica della cessione ai singoli debitori ceduti, il cessionario possa provvedere alla pubblicazione di un apposito avviso nella Gazzetta Ufficiale ed alla iscrizione della stessa cessione nel Registro delle imprese territorialmente competente. Come concordemente ritenuto dalla giurisprudenza, la pubblicazione di tale avviso nella Gazzetta Ufficiale, quale essenziale adempimento del soggetto cessionario, esonera tuttavia quest'ultimo unicamente dalla notificazione della cessione ai debitori ceduti, ma non - nel caso in cui esso proceda ad azionare giudizialmente il credito e venga dalla controparte contestata la sua legittimazione attiva - dall'onere di provare l'esistenza della cessione stessa attraverso idonea documentazione, da cui poter ricavare, inequivocabilmente, che lo specifico credito per cui agisce sia stato effettivamente oggetto di cartolarizzazione, giacché una cosa è l'avviso della cessione, altra cosa la prova della sua esistenza e del suo specifico contenuto (cfr., sul punto, Cass. Civ., Sez. III, 13.09.2018, n 22268; Cass. civ., sez. III, 31/01/2019, n. 2780; Trib. Padova, 03.06.2016; Trib. Napoli, 24.05.2019, n. 5337). Ciò premesso, nel caso in esame, l'opposta società si è limitata ad allegare copia della Gazzetta Ufficiale nella quale risulta pubblicato l'avviso della cessione, in suo favore, del blocco dei crediti di (...) SpA ad essa ceduti; ma non ha dato prova dell'avvenuta cessione in suo favore di detto ultimo specifico credito, a tanto non essendo sufficiente l'elencazione delle tipologie di crediti oggetto di cessione. Nonostante la contestazione, specifica e ripetuta, l'opposta non ha prodotto il contratto di cessione del credito (non lo ha fatto nemmeno l'interveniente volontaria all'esito della nuova cessione del credito, che si è limitata a produrre solo il secondo atto di cessione del credito, senza colmare la lacuna della prova della precedente cessione). Invero, l'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 t.u.b., non appare, idoneo a documentare l'effettiva titolarità del diritto di credito. Al fine di provare l'effettiva titolarità del diritto di credito, non è sufficiente indicare l' atto mediante il quale è stata trasferita la titolarità del credito (e per il quale, come per tutti i contratti bancari, il Tub richiede la forma scritta ad substantiam), ma occorre che l'atto di cessione del credito sia prodotto in giudizio. La difesa dell'opposta, verosimilmente per non avere a disposizione il contratto di cessione dei crediti, ha, sin dalla comparsa di costituzione, dedotto nel senso della non necessità della produzione del documento contrattuale, in considerazione del contenuto della pubblicità notizia fattane sulla Gazzetta Ufficiale. Orbene, questo giudicante, rileva: 1) a fronte della contestazione specifica di titolarità sostanziale del credito, l'onere della prova incombente sull'opposta (attrice in senso sostanziale) impone a questa di provare i fatti posti a fondamento dell'acquisto del diritto fatto valere in giudizio, vale a dire di produrre il contratto di cessione di crediti "in blocco", stipulato in data 28/2/2014 ai sensi e per l'effetto della L. n. 130 del 30 aprile 1999, citato in Gazzetta Ufficiale; 2) il contenuto della pubblicità notizia della Gazzetta Ufficiale non rende individuabile il credito oggetto di decreto ingiuntivo, atteso che fa riferimento alla cessione dei crediti passati a sofferenza in un certo periodo, indicando la sola tipologia degli stessi, ma non individuandoli specificamente; 3) se pure il contenuto della Gazzetta Ufficiale fosse tale da individuare il credito ceduto, trattasi pur sempre di una forma di pubblicità notizia, che si limita a rendere opponibile la cessione, in quanto per legge tale adempimento produce solo gli effetti indicati nell'art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti; ma non costituisce la fonte della titolarità del credito, che rimane l'atto di cessione, che, in caso di contestazione specifica, deve essere prodotto in giudizio a prova della effettiva titolarità del credito; 4) peraltro la pubblicità notizia sulla Gazzetta Ufficiale non è soggetta ad un controllo di contenuto, il quale viene predisposto, come nel caso in esame, dalla società cessionaria. Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra l'opponente e l'opposta e vanno liquidate come in dispositivo, in relazione al valore della causa tra Euro 26.001,00 ed Euro 52.000,00 tariffe medie. Sussistono giusti motivi per compensarli tra l'opponente e l'interventrice volontaria adesiva, in considerazione della tardività e inutilità dell'intervento. P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) Accoglie l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto 2) Condanna l'opposta al pagamento all'opponente delle spese di giudizio, che liquida in Euro 286,00 per contributo unificato ed Euro 7.254,00 per compensi di difesa, oltre rimborso spese di ctu, rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del difensore antistatario 3) Spese compensate tra opponente e interventrice Così deciso in Benevento il 28 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile in persona del giudice monocratico Dr. FLAVIO CUSANI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1317/2021 del R.G.A.C., avente ad oggetto: pagamento spettanze professionali - prestazione d'opera intellettuale TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ro.Pr., come da procura in atti; ATTORE E (...) SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Sa., come da procura in atti; CONVENUTA NONCHE' COMUNE DI PESCO SANNITA, rappresentato e difeso dall'avv. Lu.Pe., come da procura in atti CHIAMATO IN CAUSA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 8/3/2021 l'ing. (...), in proprio e quale capogruppo del (...) con l'ing. (...), l'ing. (...), la geologa (...), l'archeologa (...) e l'arch. (...), esponeva che nell'anno 2015 il Comune di Pesco Sannita ebbe a bandire una gara d'appalto per l'affidamento della progettazione esecutiva e realizzazione dei lavori di completamento delle infrastrutture del PIP per un importo a base d'asta di Euro 4.388.957,87, da aggiudicare con il metodo dell'offerta economicamente più vantaggiosa e che la (...) s.r.l., volendo partecipare alla gara, ebbe ad affidare l'incarico di redigere le attività di progettazione al menzionato raggruppamento temporaneo di professionisti, di cui l'esponente ing. (...) era stato designato quale capogruppo-mandatario. Allegava che con disciplinare di conferimento dell'incarico del 16 febbraio 2015 le parti convennero che il (...) avrebbe dovuto redigere gli elaborati da presentare in sede di offerta, quale proposta migliorativa del progetto a base di gara e che, in caso di aggiudicazione della gara in via definitiva il (...), avrebbe dovuto svolgere le attività di progettazione esecutiva (adeguamento del progetto definitivo, redazione e consegna del progetto esecutivo). Per la redazione degli elaborati da presentare in sede di offerta non era dovuto alcun compenso, mentre per le attività di progettazione esecutiva era dovuto un compenso complessivo di Euro 81.000,00, oltre cnpaia ed iva. Riguardo al pagamento, le parti convenivano che il corrispettivo era dovuto solo in caso di firma del contratto di appalto con il Comune e che l'importo andava corrisposto interamente all'Ing. (...) e che in caso di aggiudicazione della gara il pagamento del corrispettivo doveva essere effettuato entro 10 gg. dalla data di incasso dal Comune di Pesco Sannita della somma relativa alla progettazione. L'attore deduceva che il (...) aveva redatto gli elaborati da presentare in sede di offerta e che la (...) si era aggiudicata la gara, per cui, consegnata la progettazione esecutiva, con delibera di Giunta n. 67 del 30 settembre 2015 il Comune di Pesco Sannita ebbe ad approvare il progetto esecutivo ed in pari data detto ente appaltante e la (...) s.r.l. stipularono anche il contratto. Nel contratto di appalto le parti davano atto che l'affidatario aveva già consegnato al Comune l'originale del progetto esecutivo redatto dal (...) (art. 2), che il corrispettivo comprendeva Euro 81.133,45 per la progettazione esecutiva (art. 3), e che il Comune si impegnava a corrispondere all'appaltatore il corrispettivo per la progettazione esecutiva entro trenta giorni dalla firma del contratto (art. 8). In data 28 febbraio 2017 la (...) rilasciava al (...) attestato di regolare esecuzione delle prestazioni ma, a distanza di oltre quattro anni, non provvedeva al pagamento del corrispettivo. L'attore, argomentava, che pur sapendo che il Comune non aveva corrisposto alla (...) le somme dovute in acconto, l'inadempimento del Comune non faceva venir meno il diritto del (...), non avendo le parti subordinato la validità o l'efficacia del contratto ad un elemento accidentale, ma solo concordato il tempo dell'adempimento, per cui, avendo parte attrice atteso un congruo lasso di tempo, chiedeva al giudice di condannare la (...) s.r.l. al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 81.000,00, più cassa di previdenza ed iva, nonché gli interessi dalla domanda al tasso di cui all'art. 1284 c.4 c.c.. Costituitasi in giudizio, la (...) s.r.l. contestava l'esigibilità del credito in virtù della clausola prevista all'art. 3 del contratto del 16.02.2015, secondo la quale "In caso di aggiudicazione della gara, il pagamento del corrispettivo di cui al precedente art. 2 verrà effettuato entro 10 gg. dalla data di incasso dal Comune di Pesco Sannita della somma relativa alla progettazione". Evidenziava che trattasi della clausola "if and when" che prevede l'obbligo del subcommittente di pagare il subcontraente dopo aver incassato il corrispettivo del contratto principale da parte del committente. Rilevava che nel caso in esame costituisce un dato pacifico che il Comune di Pesco Sannita non ha proceduto al pagamento non solo della progettazione ma neanche dei lavori affidatati dalla (...) s.r.l. per motivazioni inerenti al mancato finanziamento regionale dell'opera; e la predetta clausola era stata inserita nel contratto proprio per condizionare il pagamento al RTP al corrispondente pagamento da parte dell'ente appaltante alla (...) s.r.l. Per tale motivo chiedeva il rigetto della domanda e, considerato che il Comune di Pesco Sannita si era reso gravemente inadempiente alle proprie obbligazioni contrattuali nei confronti di essa appaltatrice, non avendo proceduto nel termine di trenta giorni (art. 8) dalla sottoscrizione del contratto di appalto del 30.09.2015 al pagamento del corrispettivo per la progettazione esecutiva, né al pagamento della fattura n. (...) del 26/11/15 di Euro 506.890,94 quale acconto, sospendendo i lavori di esecuzione dell'appalto, chiamava in causa detto ente per sentirlo condannare al pagamento della progettazione esecutiva per l'importo pattuito di Euro 81.133,35, oltre Cassa ed IVA, cosi come previsto dall'art. 8 del contratto di appalto, oltre agli interessi di mora dal 01.11.2015 (30 giorno dalla sottoscrizione del contratto) al soddisfo e in ogni caso a tenere manlevata la (...) s.r.l. da ogni somma a qualsiasi titolo dovuta all'attore, incluse le spese di giudizio. Costituitosi in giudizio, il Comune di Pesco Sannita ricostruiva la vicenda oggetto di giudizio, esponendo che con Decreto Dirigenziale della Regione Campania, Dipartimento della Programmazione e dello Sviluppo economico, n. 656 del 4 agosto 2014, il Comune di Pesco Sannita era stato ammesso al finanziamento dell'intervento - a valere sulle risorse POR Campania FESR 2007-2013/Obiettivo Operativo 2.5 - per i "Lavori di completamento infrastrutture PIP in località Stazione Ferroviaria e località Monteleone", per un importo totale pari ad Euro 6.097.368,08. Conseguentemente, in data 5 agosto 2014, era stata sottoscritta, tra il Responsabile dell'Obiettivo Operativo Regionale ed il Sindaco di Pesco Sannita, la Convenzione per l'attuazione dell'intervento, con cui l'Ente Regionale garantiva la regolare e tempestiva erogazione del finanziamento e in data 8 gennaio 2015, l'Ente Comunale aveva indetto una pubblica gara per l'affidamento dei lavori di che trattasi. La procedura si concludeva con l'aggiudicazione definitiva dell'appalto in favore della (...) s.r.l., la quale - per poter partecipare alla gara de qua - decideva di affidare l'incarico di svolgere le attività di progettazione all'ing. (...) quale capogruppo del (...) In data 30 settembre 2015 avveniva la stipula di regolare "Contratto di appalto integrato per la progettazione ed esecuzione dei lavori di completamento infrastrutture PIP nelle località Stazione Ferroviaria e Monteleone" tra il Comune di Pesco Sannita e l'impresa aggiudicataria (...) s.r.l. e a sua volta la Regione, con nota prot. n. (...) del 9 ottobre 2015, "al fine di consentire la predisposizione del Decreto Dirigenziale di liquidabilità del I acconto", richiedeva all'Ente Comunale l'invio di documentazione integrativa, prontamente trasmessa con comunicazione prot. n. (...) del 21 ottobre 2015. Sennonché, tra il 15 e il 20 ottobre 2015, la Provincia di Benevento veniva colpita da una violenta alluvione, tanto da rendere necessaria la dichiarazione dello stato di calamità naturale. Fra i Comuni maggiormente danneggiati vi era anche quello di Pesco Sannita, per cui, in data 21 ottobre 2015, i lavori di che trattasi venivano sospesi, sia a causa della impraticabilità delle aree di cantiere, sia a causa dei danni riportati dagli impianti e dai magazzini della stessa impresa appaltatrice "(...) s.r.l.". Nelle more, con Delib. n. 548 del 10 novembre 2015, pubblicata sul BURC n. 67 del 16 novembre 2015, la Giunta Regionale della Campania, rilevato che "occorre ulteriormente accelerare il livello dei pagamenti al fine di garantire il completo assorbimento delle risorse", demandava al Responsabile dell'Obiettivo Operativo di emanare "il decreto di impegno e la disposizione di liquidazione della spesa sulla base delle fatture non pagate acquisite dal beneficiario che si impegna, con atto formale, a quietanzarle inderogabilmente entro e non oltre il 31/12/2015. I decreti riporteranno, quindi, esplicitamente la dicitura "Tale spesa verrà quietanzata entro e non oltre il 31.12.2015", come da attestazione dei beneficiari". Conseguentemente, nel pedissequo rispetto della citata Delib. n. 548 del 2015, il Sindaco del Comune di Pesco Sannita ed il Responsabile del Procedimento, con nota prot. n. (...) del 1 dicembre 2015, nel dichiarare formalmente di "impegnarsi a quietanzare entro il 31.12.2015 gli importi delle fatture non pagate a condizione che l'accredito delle somme da parte della Regione Campania pervenga sul conto corrente di questo Comune intempi compatibili (...) per l'importo richiesto di Euro 506.890,94", trasmettevano alla Regione Campania la fattura elettronica n. (...) del 26 novembre 2015, emessa dalla impresa appaltatrice (...) s.r.l. per l'importo di Euro 506.890,94, a titolo di anticipazione del 10% sul corrispettivo totale dei lavori a farsi. Ciò nonostante la Regione Campania non provvedeva ad accreditare le somme dovute, né dava riscontro alcuno all'istanza avanzata dall'Amministrazione di Pesco Sannita, la quale veniva così a trovarsi nella impossibilità di realizzare l'intervento di infrastrutturazione dell'area industriale di che trattasi per difetto della relativa provvista finanziaria. Rilevava che alcun rapporto professionale si era mai stabilito, per qualsivoglia titolo o ragione, tra l'Ente Comunale chiamato in causa e l'ing. (...), e che il comma 3 dell'art. 8 del contratto di appalto stipulato tra l'Ente Comunale e la (...) s.r.l. in data 30 settembre 2015, prevedeva testualmente che: "Le parti convengono che il mancato o ritardato accredito dei fondi da parte dell'Ente finanziatore presso la Tesoreria comunale costituisce per il committente causa oggettiva di impossibilità al pagamento, non imputabile all'Ente debitore (...)", per cui era di palmare evidenza che le parti avevano inteso condizionare il pagamento del corrispettivo all'effettivo ottenimento del finanziamento regionale, venendo meno il quale nulla poteva esigere la chiamante in causa a titolo di pagamenti di tutti i compensi previsti nel contratto di appalto; e di tanto era consapevole la (...), che non aveva mai avanzato nei confronti del Comune alcuna richiesta di pagamento nemmeno di eventuali spese tecniche sostenute per partecipare alla gara di che trattasi, tanto è vero che l'unica fattura emessa dalla ditta appaltatrice aveva ad oggetto la liquidazione dell'anticipazione in misura del 10% sull'importo totale dei lavori a farsi, non era stata mai azionata. Evidenziava che esso ente appaltante si era certamente comportato secondo principi di diligenza, buona fede e leale collaborazione per l'ottenimento dell'accredito delle somme da parte della Regione Campania. Per tali motivi chiedeva il rigetto della domanda della chiamante in causa. Assegnati i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione alla luce dei fatti non contestati e della documentazione prodotta, la causa veniva riservata in decisione. La domanda attorea è fondata e va pertanto accolta. Non fondata è, invece, la domanda proposta dalla convenuta nei confronti dell'ente chiamato in causa. Invero tra l'attore e la convenuta, con la stipula del contratto di conferimento di incarico e, quindi prima ancora che la (...) si aggiudicasse l'appalto, fu convenuto, nella libera esplicazione delle rispettive autonomie negoziali, che l'incarico di predisporre l'offerta migliorativa da presentare in sede di gara non avesse un compenso in denaro come corrispettivo; compenso invece previsto nel caso di aggiudicazione della gara, per la redazione della progettazione esecutiva (art. 2: "Per la fase A, l'impresa non riconoscerà alcun compenso al RTP per la proposta migliorativa presentata in sede di gara. Per la fase B, e quindi solo in caso di firma del contratto di appalto, per la progettazione esecutiva ed il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, l'importo da corrispondersi cumulativamente ai tecnici componenti della RTP è stabilito in Euro 81.000,00 al netto di CMPAIA ed IVA"). In sostanza i professionisti accettarono di redigere gratuitamente l'offerta migliorativa, accollandosi il rischio della non aggiudicazione della gara da parte della (...), ma con l'accordo che, in caso di aggiudicazione della gara, avrebbero redatto il progetto esecutivo verso un corrispettivo di Euro 81.000,00 oltre oneri secondo legge. Dalla lettura del testo contrattuale (art. 3: "In caso di aggiudicazione della gara, il pagamento del corrispettivo di cui al precedente art. 2 verrà effettuato entro 10gg. dalla data di incasso dal Comune di Pesco Sannita della somma relativa alla progettazione"), la volontà negoziale espressa dalle parti stipulanti emerge dunque chiara: il corrispettivo previsto, per il progetto esecutivo, fu sottoposto alla condizione sospensiva della aggiudicazione della gara e della firma del contratto di appalto tra l'ente appaltante e la committente (...), mentre, per il caso che si realizzassero le predette condizione, venne previsto, come termine massimo (finale) di adempimento il decimo giorno dalla data in cui la (...) avrebbe incassato dal Comune la somma relativa alla progettazione. Che tale fosse la volontà contrattuale emerge evidente anche in base alla considerazione che alla data della stipula del disciplinare di incarico (16/2/2015) era già stato emanato il Decreto Dirigenziale della Regione Campania, Dipartimento della Programmazione e dello Sviluppo economico, n. 656 del 4 agosto 2014, che aveva ammesso il Comune di Pesco Sannita al finanziamento dell'intervento - a valere sulle risorse POR Campania FESR 2007-2013/Obiettivo Operativo 2.5 per un importo totale pari ad Euro 6.097.368,08 e che il 5/8/2014 era stata sottoscritta, tra il Responsabile dell'Obiettivo Operativo Regionale ed il Sindaco di Pesco Sannita, la convenzione per l'attuazione all'intervento con cui l'Ente Regionale garantiva la regolare e tempestiva erogazione del finanziamento. Le parti, quindi, non potendo esser sicuri dell'aggiudicazione dell'appalto, ma sussistendo già il finanziamento e l'impegno di spesa da parte della Regione Campania, al momento della stipula del contratto bilanciarono l'alea, nel senso che il RTP lavorasse gratuitamente per la fase propedeutica alla gara di appalto, ma una volta realizzatesi le condizioni sospensive (aggiudicazione della gara e stipula del contratto di appalto), prevedendo come certo l'obbligo di pagamento per la progettazione esecutiva, sottoponendolo solo ad un termine finale di esecuzione del pagamento (non oltre dieci giorni dal pagamento della somma da parte dell'ente appaltante). A tale interpretazione del programma contrattuale induce non solo il contenuto testuale della scrittura di conferimento di incarico, ma anche la logica, in quanto mai e poi mai i tecnici avrebbero assunto l'obbligo dell'intera prestazione (offerte migliorative e progettazione esecutiva) con l'assunzione dell'alea di non ricevere nulla nel caso in cui, per qualsiasi ragione, la committente (...) non ricevesse a sua volta dall'ente appaltante il pagamento della progettazione esecutiva. Trova, nel caso, quindi applicazione la disciplina del termine di adempimento ("Qualora i contraenti, contemplando un evento futuro, abbiano ad esso correlato non l'efficacia del vincolo negoziale, ma soltanto il tempo dell'adempimento, resta esclusa l'invocabilità dei principi inerenti alla condizione o al termine, quali elementi accidentali del negozio, e rimane applicabile la disciplina del tempo dell'adempimento" - Cassazione civile sez. VI, 29/11/2018, n.30955). La previsione di un termine per l'adempimento non può avere come conseguenza la trasformazione del contratto di affidamento dell'incarico in un contratto totalmente aleatorio. Nel caso in cui le parti abbiano fissato il termine per l'adempimento con riferimento ad un evento futuro, solo incertus quando, il termine può essere fissato dal giudice; ovvero il Giudice può ritenerlo già maturato, ove sia decorso un lasso di tempo ritenuto congruo (Cass. 10 novembre 2010 n. 22811; conformi Cass. n. 1149/2003, Cassazione civile sez. II, 08/10/2013, n.22888). Tale principio è stato affermato anche specificamente in relazione ad un contratto di appalto, in cui il termine per l'adempimento era ricollegato alla erogazione di un finanziamento (Cassazione civile sez. II, 21/05/2001, n.6909). E' sufficiente, in relazione agli usi, alla natura del rapporto negoziale ed all'interesse delle parti, che sia decorso un congruo spazio di tempo, per il quale possa ritenersi in concreto superato ogni limite di normale tolleranza (Cassazione civile sez. III, 08/07/2020, n.14243). In tal caso non è configurabile un'obbligazione senza termine o con termine rimesso alla volontà del debitore, né può escludersi l'inadempimento di quest'ultimo, allorché non esegua la propria prestazione entro un lasso di tempo che, in relazione all'oggetto ed alla natura del contratto, il giudice ritenga congruo (Cassazione civile sez. II, 20/12/2021, n.40829). Il creditore, dopo aver atteso un congruo lasso di tempo, può agire direttamente in giudizio (Cass. 8/9/83 n. 5530; 7/9/70 n. 1274, ecc.). La prestazione può esigersi indipendentemente dalla fissazione di un termine da parte del giudice quando l'obbligato, sebbene non costituito in mora, ritardi l'adempimento oltre il limite della normale tollerabilità ovvero dimostri, con atti inequivoci, l'intenzione di non adempiere o, comunque, lasci trascorrere un lasso di tempo che - secondo la valutazione insindacabile del giudice del merito - sia ritenuto congruo rispetto ad una determinata obbliga-zione inadempiuta (Cassazione civile sez. III, 05/11/1985, n.5360). Il credito dell'attore deve considerarsi certo ed esigibile, anche sotto altro profilo, ovvero in applicazione dei principi di correttezza e buona fede, dell'obbligo di diligenza (art. 1176), nonché di quanto disposto dagli artt. 1358 e 1359 c.c., le cui disposizioni devono ritenersi applicabili anche in riferimento al "termine" per l'adempimento. La (...) avrebbe dovuto fare tutto quanto richiesto dalla ordinaria diligenza per ottenere il pagamento dal Comune di Pesco Sannita, ma ne era impedito dal contenuto del contratto di appalto da essa sottoscritto. Dalla comparsa di costituzione del Comune, fatti rimasti privi di specifica contestazione, emerge che la (...) s.r.l. è rimasta inerte nei confronti del Comune e il Comune è rimasto a sua volta inerte nei confronti della Regione. Invero, la situazione di emergenza creatasi a seguito dell'alluvione dell'ottobre 2015 impedì all'impresa appaltatrice e alla stazione appaltante di avviare tempestivamente i lavori, attesi i danni procurati dall'alluvione sia al territorio del Comune di Peso Sannita, sia alla sede aziendale della (...) s.r.l. In pratica per i lavori, non fu erogato l'acconto di finanziamento e, sebbene solo formalmente iniziati, rimasero sospesi a tempo illimitato senza che nessuna delle parti se ne dolesse e agisse di conseguenza. Ebbene, tale inerzia non può risolversi a danno del lavoro svolto dal RTP rappresentato dall'Ing. (...), che ha dunque il buon diritto a ricevere il corrispettivo pattuito. Così delineato il rapporto tra attore e convenuta, occorre esaminare il rapporto tra l'impresa chiamante in causa e l'ente appaltante. Sul punto va osservato che al momento della stipula del contratto di appalto in data 30/9/2015 la (...) s.r.l. era bene a conoscenza degli obblighi assunti nei confronti del RTP, atteso che il progetto esecutivo era strato già redatto e ed era ormai maturata l'obbligazione di pagamento del compenso, sottoposto alle sole condizioni sospensive dall'aggiudicazione dell'appalto e della stipula del contratto, ormai realizzatesi entrambe. Pur consapevole di aver assunto tale obbligazione di pagamento nei confronti del RTP, la (...) s.r.l. acconsentì, nel libero esercizio della propria autonomia negoziale, che nel contratto di appalto venisse inserita la clausola di cui all'art. 8 secondo capoverso, per la quale: "Le parti convengono che il mancato o ritardato accredito dei fondi da parte dell'Ente finanziatore presso la Tesoreria comunale costituisce per il committente causa oggettiva di impossibilità al pagamento, non imputabile all'Ente debitore; pertanto stabiliscono, anche in deroga a quanto eventualmente previsto al riguardo dal Capitolato Speciale d'appalto, che l'effettivo accredito delle somme opera come condizione sospensiva per la decorrenza del termine di pagamento di cui al paragrafo 1, e che di conseguenza soltanto da tale data decorre anche il termine per il calcolo degli interessi moratori". Il "paragrafo" 1 (o meglio il comma 1) dell'art. 8 del contratto disciplina il pagamento dei corrispettivi previsti tanto per la progettazione esecutiva, quanto per la esecuzione dei lavori. Pertanto, venuto meno il finanziamento regionale, applicando detta clausola negoziale, che fa dipendere il pagamento delle somme contrattualmente pattuite dall'avveramento della condizione sospensiva dell'effettivo accredito delle stesse da parte della Regione Campania, va esclusa una responsabilità da inadempimento della stazione appaltante. D'altra parte una siffatta clausola negoziale non appare contraria ad alcuna norma imperativa, né tanto meno all'ordine pubblico o al buon costume. In ossequio al principio dell'autonomia negoziale nulla vieta alle parti di allontanarsi dallo schema contrattuale tipico del contratto di appalto, generalmente connotato da una causa onerosa e sinallagmatica, ponendo in essere una fattispecie contrattuale atipica caratterizzata anche da una componente parzialmente aleatoria meritevole di tutela ai sensi dell' art. 1322 c.c. Di fatto, peraltro, l'impresa appaltatrice non ha eseguito i lavori e l'ente appaltante non ha dovuto pagare alcunché, rimando a carico di ciascuno dei soggetti stipulanti le spese sopportate in precedenza e il mancato reciproco vantaggio derivante dall'esecuzione dei lavori. Né la (...) s.r.l. può invocare a fondamento della sua domanda di manleva nei confronti del Comune di Pesco Sannita il disposto di cui agli artt. 1358 e 1359 c.c.. Invero, una volta esperita la gara d'appalto, ed intervenuta l'aggiudicazione in favore della (...), il Comune di Pesco Sannita, con la massima tempestività, ed addirittura prima ancora della stipula del contratto di appalto, precisamente in data 3 agosto 2015, ebbe ad indirizzare alla Regione Campania la richiesta di liquidazione del I acconto: la Regione riscontrava tale richiesta con la nota prot. n. (...) del 9 ottobre 2015, e, "al fine di consentire la predisposizione del Decreto Dirigenziale di liquidabilità del I acconto", richiedeva al Comune l'invio di documentazione integrativa. A distanza di pochissimi giorni dalla succitata comunicazione della Regione, e più precisamente in data 21 ottobre 2015 con nota prot. n. (...), il Comune inoltrava alla Regione medesima la documentazione integrativa. Sennonché, tra il 15 e il 20 ottobre 2015, la Provincia di Benevento veniva colpita da una violenta alluvione, tanto da rendere necessaria la dichiarazione dello stato di calamità naturale, per cui - in data 21 ottobre 2015 - i lavori oggetto dell'appalto venivano sospesi, sia a causa della impraticabilità delle aree di cantiere, sia a causa dei danni riportati dagli impianti e dai magazzini della stessa impresa appaltatrice "(...) s.r.l.". Nelle more, con Delib. n. 548 del 10 novembre 2015, la Giunta Regionale della Campania adottava specifiche direttive per la gestione delle opere in corso di esecuzione, finanziate con i fondi POR-FESR 2007/2013, demandando al Responsabile dell'Obiettivo Operativo di emanare "il decreto di impegno e la disposizione di liquidazione della spesa sulla base delle fatture non pagate acquisite dal beneficiario che si impegna, con atto formale, a quietanzarle inderogabilmente entro e non oltre il 31/12/2015. I decreti riporteranno, quindi, esplicitamente la dicitura "Tale spesa verrà quietanzata entro e non oltre il 31.12.2015", come da attestazione dei beneficiari". Ancora una volta il Comune diligentemente si attivava per conformarsi alle direttive dell'Ente Regione, sicché, nel pedissequo rispetto della citata Delib. n. 548 del 2015, il Sindaco di Pesco Sannita ed il Responsabile del Procedimento, con nota prot. n. (...) del 1 dicembre 2015, nel dichiarare formalmente di "impegnarsi a quietanzare entro il 31.12.2015 gli importi delle fatture non pagate, a condizione che l'accredito delle somme da parte della Regione Campania pervenga sul conto corrente di questo Comune in tempi compatibili (...) per l'importo richiesto di Euro 506.890,94", trasmettevano alla Regione Campania la fattura elettronica n. (...) del 26 novembre 2015, emessa dalla impresa appaltatrice (...) s.r.l. per l'importo di Euro 506.890,94, a titolo di anticipazione del 10% sul corrispettivo totale dei lavori a farsi. Il Comune chiamato in causa, quindi, non rimase inerte, né trascurò le più elementari norme di diligenza e perizia, adoperandosi fattivamente perché si realizzasse la condizione sospensiva dell'erogazione del finanziamento da parte della Regione Campania. Fu detto ente, che, venendo meno alle garanzie dedotte in Convenzione, non provvide ad accreditare le somme dovute, né diede riscontro alcuno alle istanze avanzate dall'Amministrazione di Pesco Sannita, la quale venne così a trovarsi nella impossibilità di realizzare l'intervento di infrastrutturazione dell'area industriale per difetto della relativa provvista finanziaria. Né i doveri di correttezza e buona fede contrattuale imponevano al Comune di Pesco Sannita di agire giudizialmente nei confronti della Regione Campania. Infatti, tale scelta appariva del tutto inopportuna, in considerazione dei prevedibili lunghi tempi di definizione di un giudizio, dell'esito incerto dello stesso e del mutamento, nelle more, del quadro economico dei lavori appaltati. D'altra parte l'ente si era tutelato appropriatamente con la clausola di non imputabilità di cui all'art. 8 secondo capoverso del contratto di appalto; né l'impresa appaltatrice ebbe a dimostrare un interesse a dare corso all'esecuzione dell'appalto, rimasto di fatto sospeso consensualmente ad libidum. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in relazione ad un valore della causa tra Euro 52.001,00 ed Euro 260.000,00 tariffe medie (euro 2.430,00 studio - Euro 1.550,00 fase introduttiva - Euro 5.400,00 trattazione - Euro 4.050,00 decisionale). P.Q.M. definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) Accoglie la domanda attorea e per l'effetto condanna la convenuta al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 81.000,00, oltre cassa di previdenza ed iva come per legge, nonché gli interessi legali moratori di cui all'art. 1284 comma 4 c.c. dalla data della domanda giudiziale fino al soddisfo 2) Rigetta ogni altra domanda 3) Condanna la convenuta al pagamento delle spese di giudizio all'attore e al chiamato in causa, liquidandoli per l'attore in Euro 786,00 per esborsi ed Euro 13.430,00 per compensi di difesa, e per il chiamato in causa in Euro 13.430,00 per compensi di difesa, oltre, per entrambe le parti, rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge, con distrazione, per la parte chiamata in causa, in favore del suo difensore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Benevento il 12 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 17 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO I sezione civile, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Floriana Consolante, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1977 R.G. dell'anno 2006 riservata in decisione all'udienza del 7 febbraio 2022 con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. vertente TRA (...), rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Er. presso il quale elettivamente domicilia come da procura a margine dell'atto di citazione; attore E (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Se.Di. e Fr.Re. in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta; convenuto con domande riconvenzionali MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), premesso di essere proprietario, tra l'altro, di un immobile sito in (...) al Viale (...), costituito da una civile abitazione nonché di un contiguo vano adibito ad attività commerciale con relativo spazio di pertinenza, in virtù di testamento olografo del 22.3.1997 di suo padre (...), dichiarato valido dal Tribunale di Benevento con sentenza n. 2123/2005, conveniva in giudizio il germano (...) proponendo nei suoi confronti domanda di condanna al rilascio dei beni deducendo che il convenuto li deteneva sine titulo, nonché domanda di condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della detenzione illegittima degli immobili; con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio il convenuto (...) il quale, in via preliminare, chiedeva sospendersi il presente giudizio sino all'esito della definizione, con sentenza passata in giudicato, del giudizio sulla falsità del testamento del 22.3.1997 di (...), ancora pendente in grado di appello dinanzi alla Corte di Appello di Napoli. Nel merito il convenuto chiedeva il rigetto della domanda dell'attore e, nell'ipotesi di esito vittorioso del giudizio di falso del testamento del padre (...), accertarsi i diritti a sé spettanti quale coerede ab intestato sui beni relitti dai genitori (...) e (...); in ipotesi di passaggio in giudicato della sentenza di rigetto della domanda di accertamento della falsità del testamento da lui avanzata, chiedeva accertarsi i diritti a lui spettanti e alla madre (...) a titolo di legittima sull'eredità del de cuius (...), con conseguente riduzione delle disposizioni testamentarie e reintegra delle quote di legittima, nonché accertarsi il diritto spettante ad esso (...) ex art. 566 c.c. alla quota di 1/2 sulla massa ereditaria relitta della madre (...), procedendo alla divisione dei beni delle due masse ereditarie; il tutto con consegna dei beni in possesso dell'attore e con obbligo di rendiconto; con vittoria di spese. Ai fini dell'esatta ricostruzione dell'asse ereditario paterno, il convenuto (...) faceva altresì presente che, dinanzi al Tribunale di Benevento, pendesse altro giudizio tra (...) (fratello del de cuius (...)) e l'odierno attore (...), dove il primo rivendicava il suo diritto di comproprietà, in ragione di 1/3 dell'intero, sul terreno in Apice (individuato al foglio (...), particelle (...), (...), (...) e (...)) e chiedeva di condannare il convenuto alla restituzione in suo favore dei beni medesimi (o della somma pari al loro valore, oltre interessi legali e rivalutazioni); giudizio nel quale interveniva anche esso (...), facendo proprie le domande avanzate dal germano, iure hereditatis (ma da solo), nei confronti dello zio (...). Il Tribunale con ordinanza del 23.9.2008 sospendeva il presente giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c. in quanto aveva ritenuto che l'accertamento dal compiere sulla falsità del testamento di (...) (ancora sub iudice essendo pendente il relativo giudizio di appello), da cui traeva origine il diritto vantato dall'attore al rilascio degli immobili oggetto delle disposizioni testamentarie, costituiva un necessario antecedente logico-giuridico rispetto alla decisione sulla domanda di rilascio avanzata da (...) nel presente giudizio la quale era fondata, per l'appunto, sulla validità e legittimità del testamento stesso con il quale il padre lo aveva nominato suo unico erede. Con ricorso in riassunzione depositato il 9.9.2020, (...) deduceva che la Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 5806/2019 aveva accolto l'impugnazione da lui avanzata avverso la sentenza del Tribunale di Benevento n. 2123/2005 e dichiarato falso il testamento di (...) dichiarando l'apertura della successione ab intestato e che detta sentenza era passata in giudicato. Tanto premesso (...) chiedeva al Tribunale fissarsi udienza per la prosecuzione del giudizio. Con decreto del 20.10.2020 era fissata l'udienza del 20.11.2020. Instaurato il contraddittorio, (...) chiedeva il riconoscimento e l'attribuzione in suo favore della quota ereditaria a lui spettante per legge sulla massa ereditaria di (...) e (...) e per l'effetto la consegna materiale della quota dei beni ereditari a lui spettanti in seguito alla divisione ereditaria; con vittoria di spese. All'esito dell'udienza del 30.1.2020 il G.I. si riservava concedendo alle parti termine per note autorizzate. Con ordinanza del 29 gennaio 2021 questo G.I. così statuiva: "rilevato che alla luce del passato in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 5806/2019 entrambe le parti in causa nei loro rispettivi atti non contestano che sui beni del de cuius (...) è venuta a crearsi la comunione ereditaria e deve, quindi, procedersi alla divisione della massa ereditaria ( domanda avanzata in riconvenzionale da (...)); ne consegue che non è necessaria la pronuncia di una sentenza non definitiva 785 c.p.c.; ritenuta non meritevole di accoglimento l'istanza avanzata da (...) di estendere il contraddittorio nei confronti di soggetti terzi che risultano comproprietari di alcuni dei beni di cui il de cuius (...) era proprietario pro quota, per averli ereditati da suo padre (...) ( nonno delle odierne parti in causa); trattasi dei beni della cui proprietà si è discusso nel giudizio n. 466/2003 definito con sentenza di questo Tribunale n. 2148/2008 prodotta in atti ( quote dei terreni siti in Apice censiti in catasto al foglio (...) particelle (...), (...), (...) e (...)); in proposito si osserva che l'estensione del contradditorio va respinta in quanto finalizzata a procedere alla divisione di altra comunione ( mai chiesta negli atti di causa) nei confronti di soggetti terzi comproprietari di immobili che entrano nella massa ereditaria oggetto del presente giudizio pro quota. In merito si osserva che la circostanza che il compendio ereditario è costituito, come nel caso di specie, (anche) da quote indivise di beni, di cui il de cuius era comproprietario con terzi, non preclude di procedere alla divisione ereditaria della presente massa, posto che le quote indivise di singoli beni, al pari di qualsia altro cespite, verranno ricomprese nella varie porzioni del progetto di divisione; rilevato che prima dell'ordinanza di sospensione del giudizio erano stati concessi i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. che, quindi, non possono essere di nuovo concessi; né le parti possono porre fatti nuovi e domande nuove; preso atto che (...) nella sua comparsa chiedeva in riconvenzionale che nell'asse ereditario sia ricompreso anche il credito vantato da (...) nei confronti di (...) nel giudizio n. 466/2003; rilevato che il giudizio n. 466/2003 è stato definito con sentenza n. 2148/2008 la quale ha condannato (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 11.362,05; rilevato che tale domanda restitutoria era stata avanzata da (...) nella qualità di unico erede testamentario del padre; considerato che è intervenuto il giudicato sulla falsità del testamento di (...), per cui il credito vantato nel giudizio n. 466/2003 è un credito spettante ad entrambi gli eredi; rilevato che all'udienza del 30.11.2020 la difesa di (...) ha dedotto che la somma di Euro 11.362,05 è stata incassata solo da (...) il quale non ha negato tale circostanza; ritenuto, pertanto, che in ragione dei rapporti di comunione ereditaria che intercorrono tra le odierne parti in causa, (...) è debitore della metà di tale somma nei confronti di (...); ne consegue che nel procedere alla divisione, ai sensi dell'art. 724 comma 2 c.c., la metà di tale somma ( Euro 5681,025) va imputata in detrazione nella quota spettante ad (...) sull'eredità del padre; ritenuti superflui i mezzi di prova orale articolati dalle parti posto che è pacifica la circostanza che (...) ha il possesso dei fondi siti in Apice e (...) il possesso dell'immobile sito in (...); ritenuto, pertanto, indispensabile procedere ad una CTU per la stima della massa ereditaria del de cuius (...) nato (...) e deceduto il 22 marzo 1997 e per la predisposizione di un progetto di divisione in due quote uguali spettanti ai due eredi; in merito ai criteri della stima dei beni, si rileva che per consolidata giurisprudenza (vedi Cassazione civile n. 5527/2020 e n. 5135/2019) nel giudizio di divisione ereditaria le migliorie apportate da uno dei condividenti al bene ereditario, per il principio dell'accessione, vengono a fare parte del bene stesso, con la conseguenza che di esse deve tenersi conto ai fini della stima del bene ( il bene va quindi stimato all'attualità), nonché della determinazione delle quote e della liquidazione dei conguagli. L'azione per il pagamento delle migliorie è una domanda autonoma e distinta da quella di scioglimento della divisione ereditaria che nel caso di specie non è stata tempestivamente avanzata dal convenuto; ne consegue che il CTU deve stimare il valore del fabbricato in (...) all'attualità e ai fini della sua divisione deve valutare anche la sua regolarità edilizia ( tenuto conto dei principi di cui alla sentenza della Corte di Cassazione sez. unite n. 25021/2019), ragion per cui il consulente deve essere autorizzato sin da ora ad acquisire presso i pubblici uffici la documentazione necessaria per l'espletamento dell'incarico; ritenuto necessario che il convenuto (...) produca relazione notarile aggiornata attestante le visure catastali e le trascrizioni immobiliari dei beni intestati al de cuius" P.Q.M. (...) di produrre il 14 marzo 2021 la relazione notarile di cui in motivazione; Nomina CTU l'ing. (...) e fissa per l'affidamento dell'incarico l'udienza del 24 marzo 2021;". La CTU veniva disposta al fine della predisposizione del progetto di divisione. Espletata la consulenza tecnica d'ufficio ed acquisita la certificazione notarile del Notaio dott. G.I. attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari degli immobili oggetto della domanda giudiziale di divisione, la causa è stata riservata in decisone all'udienza del 7 febbraio 2022, con concessione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Si premette che, come già affermato nella ordinanza del 29.1.2021, essendo intervenuto il giudicato sulla falsità del testamento olografo del 22.3.1997 del de cuius (...), si è aperta la successione ex lege e quindi sui beni immobili del de cuius (...) è venuta a crearsi la comunione ereditaria tra i suoi eredi (...) e (...), figli del de cuius, ognuno per la quota di 1/2. Dalla relazione notarile in atti emerge che l'immobile in B., di cui l'attore ha chiesto la restituzione sul presupposto che fosse detenuto sine titulo dal fratello A., rientra nella massa ereditaria del de cuius. Ne consegue che la domanda di restituzione dell'immobile avanzata dall'attore non è meritevole di accoglimento in quanto il convenuto ne è comproprietario per cui la sua detenzione non è sine titulo. La domanda dell'attore va quindi respinta. Il Tribunale, pertanto, deve pronunciarsi sulla domanda di divisione ereditaria avanzata in riconvenzionale dal convenuto il quale ha chiesto, nell'ipotesi di esito vittorioso del giudizio da lui proposto avente ad oggetto la domanda di accertamento della falsità del testamento del padre (...), accertarsi i diritti a sé spettanti quale coerede ab intestato sui beni relitti da (...) e (...). Il CTU nella sua relazione, alla luce della certificazione notarile depositata in atti, ha specificamente indicato i beni immobili della massa ereditaria. Alcuni di essi ( terreni siti in Apice) erano in titolarità del de cuius solo pro quota. Nella massa ereditaria rientra anche il credito vantato dall'odierno attore (...), in qualità di erede del padre, nei confronti dello zio (...) nel giudizio n. 466/2003. E' stato documentato che il giudizio n. 466/2003 è stato definito con sentenza n. 2148/2008 la quale ha condannato (...) al pagamento in favore di (...), nella suddetta qualità, della somma di Euro 11.362,05. La domanda restitutoria era stata avanzata da (...) nella qualità di unico erede testamentario del padre, ma essendosi aperta invece la successione ex lege, ne consegue che il credito accertato nel giudizio n. 466/2003 spetta ad entrambi gli eredi di (...). All'udienza del 30.11.2020 la difesa di (...) ha dedotto che la somma di Euro 11.362,05 è stata incassata solo da (...) il quale non ha negato tale circostanza. Tale circostanza, pertanto, deve ritenersi pacifica. In ragione dei rapporti di comunione ereditaria che intercorrono tra le odierne parti in causa, (...) è, pertanto, debitore della metà di tale somma nei confronti dell'altro coerede (...); ne consegue che nel procedere alla divisione, ai sensi dell'art. 724 comma 2 c.c., la metà di tale somma ( Euro 5681,025) va imputata in detrazione nella quota spettante ad (...) sull'eredità del padre. Orbene, dalla lettura della richiamata certificazione del Notaio I. del 18/02/21, avente ad oggetto gli immobili oggetto della presente domanda giudiziale trascritta a Benevento in data 07/12/2006 al n. 10303 R.P ed attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari, si evince che i beni oggetto di divisione sono i seguenti come specificato dal CTU nella sua relazione: - Apice - C.T. foglio (...), p.lle (...) e (...) per il diritto di proprietà per la quota di 1/4; - Apice - C.T. foglio (...), p.lla (...) per il diritto dell'enfiteuta per la quota di 1/1; - Apice - C.T. foglio (...), p.lle (...), (...) e (...) per il diritto di proprietà per la quota di 3/84; - Apice - C.T. foglio (...), p.lle (...) e (...) per il diritto dell'enfiteuta per la quota di 1/8; - Apice - C.T. foglio (...), p.lla (...) per il diritto dell'enfiteuta per la quota di 1/1; - (...) - C.F. foglio (...), p.lle (...) e (...) per il diritto di proprietà per la quota di 1/1 "...con precisazione che il detto fabbricato di cui alla p.lla (...) del foglio (...) (B.) è stato accatastato su terreno di are 3.00 (generato con tipo mappale n. B.) censito con la p.lla (...) (ente urbano) derivante dalla particella (...), f.u. d'accert, già part.lla (...), s.l., are 3.00).... - Apice - C.F. foglio (...), p.lle 386/2 e 386/3 per il diritto di proprietà per la quota di 250/1000 "..... con precisazione che il fabbricato di cui alle detta part.lla (...) (Apice) è stato accatastato su terreno di are 19.50 (generato con tipo mappale n. B.) censito con la part.lla (...) (ente urbano) derivante dalla particella (...) di are 49.30; Relativamente al terreno di cui alla part.lla (...) si evidenzia che: 1) nelle note di trascrizione delle dette dichiarazioni di successioni risulta inserita la quota di ¼ di piena proprietà della particella (...) del foglio (...) della superficie di are49.30, mentre la part.lla (...) del foglio (...) ha una superficie di are 22.40, pertanto ci potrebbe essere stato un errore formale nell'indicare il numero di particella nelle dette trascrizioni delle dichiarazioni di successione....". Viene, altresì, precisato in calce alla certificazione notarile che, catastalmente, sono riportati in testa a (...) - odierno attore - , quale comproprietario, anche gli immobili in Apice censiti in C.T. al foglio (...) con le p.lle (...) (di mq 1.280) e (...) (di mq 1.700) derivanti dalla p.lla (...) di mq 4.930 che è stata soppressa con T.M. n. (...) ed ha dato origine alle p.lle (...) (di mq 1280), (...) (di mq 1.700) e (...) (di mq 1.950). - Apice - C.F. foglio (...), p.lle (...) per il diritto di proprietà per la quota di 250/1000 "..... con precisazione che il detto fabbricato di cui alla part.lla (...) (Apice) è stato accatastato su terreno di are 2.80 (generato con tipo mappale n. (...)) censito con la part.lla (...) (ente urbano) derivante dalla particella (...) di are 2.80. fabb. rurale....". Il CTU ing. (...) nella sua relazione ha compiuto una precisa descrizione degli immobili della massa ereditaria e ha proceduto alla stima secondo il "procedimento sintetico o sintetico diretto o comparativo", fondato sulla comparazione tra il complesso delle caratteristiche del bene in esame e quelle di altri immobili sostanzialmente analoghi di cui si siano accertati i prezzi verificatisi in occasione di trasferimenti di proprietà avvenuti al tempo di riferimento della stima stessa. Le parti non hanno sollevato contestazioni in merito alla stima degli immobili. In merito ai criteri della stima dei beni, si osserva che al CTU è stato affidato l'incarico di stimare gli immobili all'attualità e, quindi, tenendo conto anche di eventuali migliorie apportate dagli eredi successivamente alla morte del de cuius. In proposito si rileva che per consolidata giurisprudenza ( vedi Cassazione civile n. 5527/2020 e n. 5135/2019) nel giudizio di divisione ereditaria le migliorie apportate da uno dei condividenti al bene ereditario, per il principio dell'accessione, vengono a fare parte del bene stesso, con la conseguenza che di esse deve tenersi conto ai fini della stima del bene, ma non aumentano il valore della singola quota del comproprietario che ha effettuato il miglioramento, salvo il diritto di questi ad ottenere, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, le quali vanno ripartite al momento dell'attribuzione delle quote secondo il principio nominalistico. Il coerede che ha effettuato le migliorie durante la comunione ereditaria può avanzare nello stesso giudizio di divisione o separatamente la domanda per ottenere da ciascuno degli altri coeredi, ciascuno per la propria quota, il rimborso delle spese sostenute per le migliorie. Tale domanda, autonoma e distinta da quella di scioglimento della divisione ereditaria, non è stata tempestivamente avanzata dal convenuto per cui è inammissibile. Si precisa che la domanda di rimborso delle migliorie, in quanto consequenziale alla domanda riconvenzionale di scioglimento e divisione della comunione ereditaria avanzata dal convenuto, avrebbe dovuto essere proposta dall'attore nella I udienza di comparizione ex art. 183 comma 6 c.p.c. in cui, invece, l'attore si è limitato a contestare l'avversa comparsa di costituzione e a chiedere i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c. Riguardo invece alla regolarità edilizia dei fabbricati si evidenzia quanto segue. Riguardo ai fabbricati siti in Apice ( foglio (...) P.LLE (...), (...), (...)) il CTU ha condotto accertamenti presso il Comune di Apice (Bn) al fine di rinvenire i titoli autorizzativi. In riscontro alla richiesta trasmessa a mezzo pec in data 03/05/21, l'Ente ha rinvenuto la Licenza Edilizia n. 753 del 28/10/1971 relativa alla ricostruzione di un fabbricato rurale rimasto danneggiato dal sisma del 1962. Trattasi del fabbricato attualmente distinto in catasto al foglio (...) con la p.lla (...). Come relazionato dal CTU, dagli elaborati del progetto assentito (All.to D), si trae che veniva prevista la costruzione di un fabbricato in muratura di tufo da realizzarsi sulla particella (...) del foglio (...) e costituito da tre vani più accessori distribuiti su due livelli. Rispetto a quanto autorizzato, si rileva la presenza di un prolungamento dei due balconi a piano primo (peraltro, in cattive condizioni di conservazione) nonché la realizzazione di due strutture esterne in muratura, una addossata al prospetto nord-est dell'edificio ed adibita a deposito e l'altra realizzata in aderenza al prospetto nord-ovest e destinata wc, anch'esse, in cattive condizioni. Per gli altri fabbricati presenti in sito (p.lla (...) e (...)), in pessime condizioni e/o semicrollati, non sono stati rinvenuti i relativi concessori trattandosi di immobili di antica costruzione. Analogamente, non è stato rinvenuto nessun titolo autorizzato per il capannone (p.lla (...)) completamente crollato. Al fine di chiarire le eventuali condizioni di sanabilità delle suddette difformità del fabbricato p.lla (...), occorre riferirsi, anche in questo caso, all'art. (...) comma 1 del D.P.R. n. 380 del 2001 (ex art. 13 ex L. n. 47 del 1985). Il CTU ritiene che le difformità rilevate (realizzazione deposito e wc esterni e prolungamento balconi al piano primo) possano essere oggetto di domanda di sanatoria, tenuto conto dei volumi in gioco, della destinazione d'uso dei manufatti e di quella dell'area (zona agricola) in cui ricadono, con presentazione di apposite pratiche sia edilizie che sismiche presso gli enti competenti. Ai fini della stima degli immobili il CTU ha tenuto conto di tutti gli oneri tecnici/amministrativi da sostenere per le suddette attività. Riguardo al fabbricato sito in (...) ( foglio (...) particella (...)), il CTU ha evidenziato che con autorizzazione (in sanatoria) n. 9652 del 24/04/1968 dell'Ufficio del Genio Civile di Benevento, acquisita al protocollo del Comune di (...) in data 15/05/1968 al n. 961, il de cuius (...) veniva autorizzato ad eseguire i lavori per la costruzione di un fabbricato urbano per complessivi due piani fuori terra alla via (...) secondo gli elaborati di progetto approvati. Per il fabbricato in oggetto "...non è stato possibile reperire la Licenza Edilizia n. 187...", così come dichiarato dal Comune e, pertanto, il CTU, al fine della verifica della conformità edilizia, ha fatto riferimento unicamente al progetto autorizzato dal Genio Civile. L'autorizzazione in oggetto si riferisce esclusivamente al fabbricato principale mentre non vi è traccia negli elaborati grafici allegati a progetto del corpo di fabbrica "aggiuntivo", su un solo livello, addossato al prospetto sudovest del principale ed in sua prosecuzione, adibito a laboratorio artigianale di fabbro. Sulla scorta della documentazione fornita dal Comune di B., è da ritenere, pertanto, come riferito dal CTU che la costruzione di tale manufatto aggiuntivo sia avvenuta in epoca successiva all'anno 1968, epoca di realizzazione del fabbricato, e che essa non sia assistita da nessun titolo concessorio. Il CTU nella sua relazione ha riferito che "la sagoma del corpo di fabbrica in questione compare nello stralcio aerofotogrammetrico del Comune di (...) dell'anno 1984. Così pure, il manufatto in argomento è riportato nei grafici del progetto "... per la realizzazione di una recinzione e pavimentazione dell'area circostante il fabbricato urbano..." sull'area distinta in catasto al foglio (...) con la particella n. (...) in ditta (...), assentito con Concessione Edilizia n. 976 del 13/11/1986. Il corpo di fabbrica "aggiuntivo" non compare invece nella planimetria allegata al Programma di Fabbricazione (non più vigente) approvato nel 1977 (vedi certificato di destinazione storico -All.to D). Si deve ritenere, dunque, che il manufatto in questione sia stato realizzato tra l'anno 1977 e l'anno 1984 senza alcun titolo autorizzativo". Il CTU ha precisato che nella zona in questione, non essendo prevista, quale destinazione d'uso, quella artigianale e tenuto conto, altresì, che il lotto minimo di intervento è fissato in mq 600 a fronte dei mq 300 della particella (...), appare che il corpo di fabbrica in parola non possa essere oggetto di domanda di sanatoria urbanistica, e ciò a prescindere da tutti gli ulteriori approfondimenti tecnici che sarebbe necessario eseguire in termini di volumetrie assentibili, indici di copertura, distanze dai confini, etc. Infatti, sebbene il PUC adottato consenta per la "Zona B - residenziale satura" come destinazione d'uso anche il "piccolo artigianato", l'eventuale domanda di sanatoria non risulterebbe comunque ammissibile nei confronti del PRG vigente. Tanto premesso, si osserva che l'art. 40 comma 2 L. n. 47 del 1985 prescrive che "Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanziao di servitù, relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell'art. 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell'avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell'avvenuto versamento delle prime due rate dell'oblazione cui al sesto comma dell'art. 35. Per le opere iniziate anteriormente al 2 settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 della L. 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1 settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all'atto medesimo (2). Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità ( Cassazione sezioni unite sentenza n. 25021/2019) il giudice non può disporre lo scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria) avente ad oggetto fabbricati, senza osservare le prescrizioni dettate dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. (...) e dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, rispettivamente applicabili a seconda che l'edificio sia stato costruito successivamente o anteriormente alla entrata in vigore della L. n. 47 del 1985. Nel caso di specie i beni oggetto della domanda di scioglimento della comunione ereditaria e di divisione sono stati costruiti anteriormente all'entrata in vigore della Le n. 47/1985 e quindi vanno osservate le prescrizioni di cui al citato art. 40 comma 2. La scioglimento e divisione della comunione ereditaria può, quindi, avere luogo ma con esclusione del suddetto corpo di fabbrica "aggiuntivo", su un solo livello, addossato al prospetto sud-ovest del fabbricato principale ed in sua prosecuzione, adibito a laboratorio artigianale di fabbro, in quanto abusivo e non sanabile. Correttamente il CTU nella stima dell'immobile di (...) ha considerato l'unità immobiliare censita in catasto al foglio (...) particella (...) sub (...) e il vano adibito a deposito ricadente nel fabbricato principale censito in catasto al foglio (...) part. (...) sub (...), nonché ha stimato l'area di sedime dell'unità immobiliare censita al foglio (...) con la p.lla (...) di B., con esclusione del predetto vano abusivo, addossato al prospetto sud-ovest del fabbricato principale ed in sua prosecuzione, adibito a laboratorio artigianale di fabbro, da demolire in quanto non sanabile, e per la corte del fabbricato. Il CTU ha stimato anche il costo della demolizione. Tanto premesso sulla base della stima del CTU i beni immobili della massa ereditaria hanno un valore complessivo di Euro 64.984,43. Ciascuno dei due eredi è titolare di una quota ideale del valore di Euro 32.492,21. E' condivisibile la formazione di due quote come nel progetto di divisione predisposto dal CTU: la I composta da tutti i beni ubicati in Apice del valore complessivo di Euro 22.992,43 ( lotti dal n. 1 al n. 6 della relazione del CTU) e la II composta solo dal fabbricato sito in (...) del valore di Euro 41.992,00 ( lotto n. 7 della relazione del CTU). Si precisa che il corpo di fabbrica aggiuntivo abusivo e non sanabile è escluso dalla divisione giudiziale. L'area di sedime di tale corpo di fabbrica da demolire rientra invece nella II quota Il conguaglio che l'assegnatario della quota in natura di valore maggiore (II quota) dovrà corrispondere all'assegnatario della quota di valore inferiore ( I quota) è pari ad Euro 9.499,79. Entrambe le parti hanno chiesto l'assegnazione dell'immobile sito in (...). Orbene ai sensi dell'art. 729 c.c. l'assegnazione delle porzioni uguali è fatta mediante estrazione a sorte. Tuttavia nel caso di specie il Tribunale ritiene di non procedere all'estrazione delle quote bensì alla loro assegnazione. Sulla questione si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza n. 4426 del 2017 nella quale si è affermato: "In tema di scioglimento della comunione ereditaria, il criterio dell'estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall'art. 729 c.c. a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, e, pertanto, è derogabile in base a valutazioni discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del difetto di motivazione, non solo ove il giudice di merito abbia ritenuto di derogare al criterio suddetto, ma anche se abbia scelto di respingere la richiesta di deroga avanzata dalla parte". Nel caso in esame, assume rilievo prevalente l'interesse di (...) all'attribuzione in proprio favore dell'immobile sito in B., di cui alla II quota, in modo da poter proseguire l'attività di artigiano, da lui esercitata da anni nel vano al piano terra dell'edificio, e rimanere nel possesso della propria abitazione. L'assegnazione dei beni immobili di cui alla I quota a (...) trova invece la sua ragione giustificatrice nel fatto che l'attore, da anni, è nel possesso di detti beni. Tanto premesso, all'attore (...) vanno assegnati gli immobili siti in Apice del valore complessivo di Euro 22.992,43 per cui a lui è dovuta dal convenuto (...), assegnatario della quota di maggior valore, un conguaglio di Euro 9.499,79. Va tenuto conto che (...) è debitore dell'importo di Euro 5681,025 nei confronti di (...), per cui ai sensi dell'art. 724 comma 2 c.c. alla quota ereditaria spettante all'attore va imputata la suddetta somma dovuta al coerede in dipendenza dei rapporti di comunione ereditaria. L'imputazione del debito di (...) alla quota a lui spettante ha luogo detraendo l'importo del suddetto debito pari ad Euro 5681,025 dalla somma di denaro a lui spettante a titolo di conguaglio di Euro 9.499,79 Ne consegue che a titolo di conguaglio è dovuto a (...) solo l'importo di Euro 3818,76. In conclusione la massa ereditaria va divisa in due quote di uguale valore che vanno così determinate: quota n. 1 attribuita a (...): diritti sui beni di cui ai lotti dal n. 1 al n. 6 del progetto divisionale del CTU e specificamente LOTTO 1: Quota 1/4 p.p. - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); LOTTO 2: Quota 1/4 p.p - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...) ; Quota 1/1 enfiteuta - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 3/84 p.p. - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 3: Quota 3/84 p.p - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 3/84 p.p. - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 4: Quota 1/8 enfiteuta - Terreno in Apice (Bn) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 1/8 enfiteuta - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 5: Quota 1/1 enfiteuta - Terreno in Apice (Bn) - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 6: Quota ¼ della piena proprietà - F. in (...) (B.) - C.F. Foglio (...), p.lle (...), (...) e (...), del T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...) del T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); con attribuzione del conguaglio di Euro 3818,76; quota n. 2 attribuita a (...): intera piena proprietà del fabbricato in (...) (B.) - C.F. Foglio (...), p.lle (...) e (...). Sull'importo dovuto a titolo di conguaglio sono dovuti gli interessi legali dalla data della presente sentenza sino al soddisfo. Non merita accoglimento perché tradiva la domanda avanzata da (...) di pagamento dell'indennità di occupazione per il mancato godimento dell'immobile caduto in comunione sito in (...) nel possesso esclusivo del convenuto. Tale domanda, in quanto conseguente alla domanda riconvenzionale di divisione avanzata dal convenuto, andava proposta nel rispetto del termine di cui all'art. 183 comma 5 c.p.c., mentre è stata proposta dall'attore dopo l'espletamento della CTU con l'istanza di assegnazione dell'immobile di (...). Le spese processuali, liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 ( scaglione da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000,00) con riduzione del valore medio tabellare della fase istruttoria, seguono la soccombenza e vanno poste a carico dell'attore. Le spese di CTU poiché finalizzate alla predisposizione del progetto di divisione e quindi sostenute nell'interesse di entrambe le parti vanno poste definitivamente a carico di entrambe le parti ciascuno per la metà. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento - I sezione civile - in persona del Giudice dott.ssa Floriana Consolante definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), e sulle domande riconvenzionali del convenuto, ogni altra istanza, difesa, eccezione e deduzione respinta, così provvede: -rigetta la domanda dell'attore; -dichiara aperta la successione di (...) nato ad Apice il 31 gennaio 1924 e deceduto il 22 marzo 1997; -accoglie la domanda del convenuto di scioglimento e divisione della comunione ereditaria e determina e assegna come segue le due quote relative al compendio immobiliare oggetto della domanda di divisione: quota n. 1 attribuita a (...): diritti sui beni di cui ai lotti dal n. 1 al n. 6 del progetto divisionale del CTU e specificamente LOTTO 1: Quota 1/4 p.p. - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); LOTTO 2: Quota 1/4 p.p - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...) ; Quota 1/1 enfiteuta - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 3/84 p.p. - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 3: Quota 3/84 p.p - T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 3/84 p.p. - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 4: Quota 1/8 enfiteuta - Terreno in Apice (Bn) - C.T. Foglio (...), p.lla (...); Quota 1/8 enfiteuta - Terreno in Apice - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 5: Quota 1/1 enfiteuta - Terreno in Apice (Bn) - C.T. Foglio (...), p.lla (...);LOTTO 6: Quota ¼ della piena proprietà - F. in (...) (B.) - C.F. Foglio (...), p.lle (...), (...) e (...), del T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...) del T. in (...) (B.) - C.T. Foglio (...), p.lla (...), con attribuzione del conguaglio di Euro 3818,76 posto a carico di (...), oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo; quota n. 2 attribuita a (...): intera piena proprietà del fabbricato in (...) (B.) - C.F. Foglio (...), p.lle (...) e (...); -rigetta ogni altra domanda; -condanna (...) al pagamento delle spese processuali liquidate in favore del convenuto in Euro 10.730,00 per compenso di avvocato di cui Euro 2430,00 per la fase di studio, Euro 1550,00 per la fase introduttiva, Euro 2700,00 per la fase istruttoria ed Euro 4050,00 per la fase decisoria, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge; pone definitivamente le spese di CTU a carico di entrambe le parti ciascuno per la metà. Ordina al Conservatore dei RR.II. competente di procedere alla trascrizione della presente sentenza con esonero di ogni responsabilità al riguardo. Così deciso in Benevento, il 21 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BENEVENTO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Benevento, in persona del G.U., Dott.ssa Antonietta Genovese, ha pronunciato la seguente Sentenza nella causa iscritta al n. 1896/2021 R.G.A.C., avente ad oggetto: somministrazione, vertente: TRA (...) S.P.A. (già (...) s.p.a.), in persona del legale rappresentante p.t., el.te dom.ta presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende gusta mandato a margine dell'appello APPELLANTE E (...) el.te dom.ta presso lo studio dell'avv. (...) che la rappresenta e difende giusta mandato a margine della comparsa di costituzione APPELLATA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La (...) interponeva appello avverso la sentenza n 391/2020, con la quale era stata rigettata l'opposizione proposta dalla (...) avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dall'appellata per ricevere la documentazione inerente il rapporto di telefonia mobile. A sostegno del gravame lamentava la erroneità della decisione impugnata nella parte in cui erano state rigettate le eccezioni di incompetenza, nonché per il merito della vicenda. Si costituiva la parte vittoriosa, contestando i motivi di appello. All'udienza del 6 aprile 2022 la causa veniva riservata in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è fondato e va accolto. Preliminarmente deve rilevarsi che l'eccezione dell'appellato relativa all'inammissibilità dell'appello ex art. 342 c.p.c. è priva di pregio, essendo oramai pacifico( come da decisione della Suprema Corte) che l'art. 342 c.p.c. deve essere interpretata nel senso che l'atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità, "una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice" (Cass. Sez. Un. n. 27199/17). Nella specie, l'atto di appello depositato dalla (...) presente i requisiti sopra evidenziati idonei a consentire di individuare il thema decidendum del giudizio del gravame. Quanto all'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c. deve rilevarsi che l'appello non risulta privo di una ragionevole probabilità di essere accolto, essendo i motivi di appello suscettibili di studio e interpretazione. Va poi evidenziato che come primo motivo di appello l'appellante ha lamentato la erroneità della sentenza in ordine alla eccepita incompetenza del giudice di pace, anche per territorio sotto tutti i possibili profili del foro del consumatore, del foro generale delle persone giuridiche e del foro facoltativo per le obbligazioni. Ha poi sostenuto la violazione, da parte del primo giudice, dell'art. 9 n. 2 del D.Lgs. n. 196 del 2003, per avere ritenuto legittima la richiesta stragiudiziale del legale che difendeva la parte, di consegna di copia del contratto relativo all'utenza telefonica, senza sottoscrizione della persona intestataria e senza allegare la procura o la delega della stessa persona intestataria dell'utenza, con la copia del documento di riconoscimento della medesima; Infine ha ritenuto la carenza di legittimazione attiva (e della relativa prova) dell'ingiungente riguardo alle intestazioni delle utenze telefoniche e la carenza di prova dell'interesse a ricorrere giudizialmente dell'ingiungente, atteso che il ricorso per decreto ingiuntivo era genericamente motivato con la necessità di adire il competente (...) in relazione a sopportati disservizi telefonici; in proposito, secondo l'appellante, il procedimento conciliativo davanti al (...) ha natura informale e non richiede la prova documentale della legittimazione attiva; inoltre non risultano indicati e proposti, segnalazioni, reclami, ricorsi o azioni giudiziarie per disservizi sull'utenza telefonica. La competenza per materia del Giudice di pace va affermata, ai sensi dell'art. 7, co. 1, c.p.c., trattandosi di consegna di cosa mobile. La competenza per valore del Giudice di pace va affermata, ai sensi dell'art. 7, co. 1, c.p.c., avendo l'allora ricorrente dichiarato trattarsi di controversia di valore inferiore agli Euro 1.000,00: l'art. 14 c.p.c., infatti, dispone che "Nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili, il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore". Quanto alla erronea individuazione della competenza per territorio, deve ritenersi che la competenza per territorio del Giudice di pace non può essere contestata in forza del criterio del Foro del consumatore. Pur risultando adito, infatti, il Giudice di un luogo diverso da quello di residenza del ricorrente, si tratta di disciplina posta ad esclusiva tutela del consumatore medesimo: sicché la violazione non può essere eccepita dal professionista, né rilevata d'ufficio dal Giudice (Cass. civ., Sez. VI - 3, 19.6.2014, ord. n. 13944). Quanto agli altri criteri di competenza, la sede legale della parte opposta (art. 19, co. 1, c.p.c.), attuale appellante, andava individuata a Trezzano sul Naviglio (circondario del Tribunale di Milano e mandamento del Giudice di pace di Milano): né essa aveva, come essa stessa dichiarava (senza alcuna contestazione), nel mandamento del Giudice di pace adito, "uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda" (così il codice). Il luogo ove era sorta l'obbligazione, come l'allora opponente dichiarava (senza alcuna contestazione), coincideva con quello della sede sociale: la proposta veniva avanzata dal consumatore, e veniva accettata dalla controparte "mediante l'attivazione del servizio che avviene con la comunicazione resa in via informatica". Quanto al luogo di destinatae solutionis, l'art. 20 c.p.c. ("Foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione."), dispone che "Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui ... deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio.". Si parla, dunque, di "obbligazione dedotta in giudizio". Nella specie, l'obbligazione dedotta e quella di consegnare un documento, non quella della prestazione del servizio telefonico. Non si deve, quindi, accertare dove venga eseguita l'attività necessaria a rendere possibile il servizio telefonico. L'eccezione della (...) S.P.A. attiene unicamente all'ubicazione del luogo in cui veniva eseguita l'attività necessaria a rendere possibile il servizio telefonico, ma, nel giudizio, non era dedotta questa obbligazione, bensì, si ripete, quella di consegna di un documento: sulla quale l'allora opponente non si è puntualmente e specificamente espressa. Tra l'altro, l'art. 24 delle condizioni generali negoziali prevede dove eseguire le comunicazioni (e la trasmissione del documento, contenente il testo del contratto è una comunicazione, o è assimilabile ad una comunicazione) al cliente: al "terminale", al domicilio o all'indirizzo di posta elettronica del cliente. Insomma, deve concludersi che la (...) S.P.A. non abbia sollevato correttamente e compiutamente l'eccezione di incompetenza territoriale: "In tema di competenza territoriale nelle cause relative a diritti di obbligazione, la disciplina di cui all'art. 38, comma 1, c.p.c., come sostituito dall'art. 45 della L. n. 69 del 2009 - la quale, con riguardo a detta specie di competenza, ha riproposto i contenuti del terzo comma del testo previgente dell'art. 38, sia in punto di necessaria formulazione dell'eccezione "a pena di decadenza" nella comparsa di risposta, sia quanto alla completezza dell'eccezione - comporta che il convenuto sia tenuto ad eccepire l'incompetenza per territorio del giudice adito con riferimento a tutti i concorrenti criteri previsti dagli artt. 18, 19 e 20 c.p.c. (e, nel caso di cumulo soggettivo, ai sensi dell'art. 33 c.p.c., in relazione a tutti i convenuti), indicando specificamente, in relazione ai criteri medesimi, quale sia il giudice che ritenga competente, senza che, verificatasi la suddetta decadenza o risultata comunque inefficace l'eccezione, il giudice possa rilevare d'ufficio profili di incompetenza non proposti, restando la competenza del medesimo radicata in base al profilo non (o non efficacemente) contestato. Vertendosi in tema di eccezione di rito ed in senso stretto, l'attività di formulazione dell'eccezione richiede un'attività argomentativa esplicita sotto entrambi gli indicati profili" (Cass. civ., Sez. VI - 3, 20.8.2020, ord. n. 17374). Nel merito, deve rilevarsi che la (...) già in primo grado, sosteneva che la mancata positiva risposta alla richiesta stragiudiziale di consegna del contratto fosse giustificabile in base alla normativa stabilita dal D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), la quale all'art. 9 n. 2 prevede che "Nell'esercizio dei diritti di cui all'art. 7 (Diritti di accesso ai dati personali ed altri diritti) l'interessato può conferire, per iscritto, delega o procura a persone fisiche, enti associazioni od organismi". Al successivo n. 4 prevede che "L'identità dell'interessato è verificata sulla base di idonei elementi di valutazione, anche mediante atti o documenti disponibili o esibizione o allegazione di copia di un documento di riconoscimento. La persona che agisce per conto dell'interessato esibisce o allega copia della procura, ovvero della delega sottoscritta in presenza di un incaricato o sottoscritta e presentata unitariamente a copia fotostatica non autenticata di un documento di riconoscimento dell'interessato". Nella specie, la richiesta stragiudiziale di consegna del contratto a sola firma dell'avvocato difensore non risulta sottoscritta personalmente dalla parte intestataria dell'utenza telefonica, né risultano allagate una procura o una delega sottoscritta della medesima. Dunque correttamente la compagnia telefonica, sia in base alla normativa di settore richiamata, ma anche ai principi generali fondamentali che regolano il doveroso controllo della legittimazione della persona richiedente a ricevere informazioni e atti riservati, non riscontava la richiesta, e non consegnava copia del contratto, tutelando i dati personali riservati attinenti all'utenza indicata (in conformità della normativa in materia di accesso e protezione dei dati personali di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003). Va poi evidenziato che nè il Codice della Privacy, che il Codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206), prevedono un diritto sostanziale dell'utente di un contratto telefonico a richiedere ed ottenere dal gestore telefonico una copia del contratto, come per esempio prevede l'art. 119 comma 4 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario). A tal fine la parte deve dimostrare di essere intestataria dell'utenza telefonica indicata, atteso che sul punto la menzione del numero di utenza o del numero della Sim, o il possesso stesso della relativa card, non provano nulla. Inoltre deve indicare l'esistenza di un concreto ed attuale interesse ad agire, come richiesto dall'art. 100 c.p.c.. Nella specie, l'indicazione degli specifici disservizi sopportati non è mai stata effettuata, non risultando dedotta l'esistenza di segnalazioni, reclami e ricorsi stragiudiziali, nè alcuna circostanza o modalità concreta di tali disservizi. Va poi rilevato che nel settore della telefonia, è previsto a pena di improcedibilità - si sottraggono solo per i procedimenti cautelari, tra i quali non rientra di certo il ricorso per ingiunzione - il tentativo di conciliazione davanti al C., che deve precedere il ricorso al giudice, anche quando questo avviene con il procedimento per ingiunzione di cui agli artt. 633 e seguenti c.p.c. Invece, nel caso in esame, l'appellata presento ricorso per ingiunzione, senza aver prima esperito il tentativo di conciliazione davanti al C.. L'appello va dunque accolto. Quanto alla condanna alla restituzione delle somme pagate dalla (...) s.p.a. in forza del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, va rilevato che, pur non essendo l'avv. (...) parte del giudizio di appello, la domanda di condanna alla restituzione è ammissibile nel presente processo. Secondo la S.C. "In tema di distrazione delle spese ai sensi dell'articolo 93 c.p.c., allorché sia riformata in appello la sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna alle spese in favore del difensore della parte vittoriosa, il soggetto tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è il difensore distrattario, quale parte del rapporto intercorrente tra chi ha ricevuto il pagamento non dovuto e chi lo ha effettuato, il quale ha diritto ad essere indennizzato dell'intera diminuzione patrimoniale subita e cioè alla restituzione della somma corrisposta, con gli interessi dal giorno del pagamento" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8215 del04/04/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1526 del 27/01/2016). Ed invero, l'istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l'esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perché non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale. Deve pertanto assumersi, da un lato, che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti e che l'impugnazione della sentenza non deve necessariamente essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benché il capo della sentenza reso sull'istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell'ambito dell'unico rapporto processuale; dall'altro che in ogni caso il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benché non evocato personalmente in giudizio (cfr. Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 25247 del 25/10/2017; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 27166 del 28/12/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 9062 del 15/04/2010). Le somme eventualmente corrisposte vanno dunque automaticamente restituite. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, in relazione ad un valore della causa non superiore ad Euro 1.100,00 tariffe medie. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, sull'appello di cui in narrativa, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) Accoglie l'appello e, in totale riforma dell'impugnata sentenza, accoglie l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto, disponendo la restituzione delle somme eventualmente corrisposte in esecuzione della sentenza caducata. 2) Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida per il giudizio di primo grado in Euro 330,00 per compensi di avvocato e per il giudizio di appello in Euro 64,50 per esborsi ed Euro 630,00 per compensi di avvocato, oltre, per entrambe le fasi, rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge. Così deciso in Benevento il 2 luglio 2022. Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile in persona del giudice monocratico Dr. FLAVIO CUSANI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...) del R.G.A.C., avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo - contratti bancari TRA (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...) come da procura in atti; Opponente E (...), rappresentata e difesa dall'avv. (...); Opposta CONCLUSIONI All'udienza del 23/3/2022 le parti costituite hanno concluso riportandosi a tutti i propri atti e scritti difensivi ed alle conclusioni ivi rassegnate, insistendo per il loro accoglimento ed il rigetto di quelle avverse. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato (...) faceva opposizione al decreto ingiuntivo n. (...) notificatole in data 19/12/2019 per euro 11.295,47 dalla cessionaria del credito (...) per essa, quale mandataria per la gestione del credito, la procuratrice speciale (...), in forza di saldaconto relativo al rapporto di c/c n. (...) deducendo a motivi di non aver intrattenuto rapporti bancari con alcuna di dette società, alle quali contestava la carenza di legittimazione attiva; in subordine, eccepiva la nullità di eventuali contratti di c/c (...) e/o finanziari che dovessero essere prodotti nonché la illegittimità della pretesa in quanto la somma richiesta - se malauguratamente dovesse ritenersi dovuta e salvo gravame - derivava da calcoli usurari. Per tali motivi chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto, notificando l'opposizione sia alla (...) che alla (...). Costituitasi in giudizio, la (...) e per essa, quale mandataria per la gestione del credito, la procuratrice speciale già (...), giusta iscrizione del verbale di assemblea straordinaria presso la C.C.I.A.A. di Verona in data 25/06/2019 notaio (...) società di diritto italiano a socio unico, con sede in (...), banca iscritta all'Albo delle Banche, iscrizione al Registro delle Imprese di Verona, deduceva che, con atto a rogito del Notaio (...), registrato a (...) in data (...) al n. (...) serie (...), le banche: (...) si erano fuse per incorporazione in (...), la quale ultima, nel contesto di un'operazione di cartolarizzazione aveva trasferito, come da avviso in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, un portafoglio di crediti pecuniari classificati a "sofferenza", alla società (...), la quale ne era divenuta titolare con efficacia a decorrere dal 14/07/2017. Allegava che di detta cessione del credito, anche ai fini del disposto di cui all'art. 4. co. 2, L. 130/99 e 1264 c.c. era stato dato avviso nella G.U.R. Italia la, parte II, n. 93 del 08/08/2017 e che - con atto a rogito del (...), rep (...) racc. (...), la aveva conferito a (...) procura per la gestione, anche stragiudiziale, dei propri crediti anomali, tra i quali quello oggetto di giudizio. Aggiungeva che tutta la documentazione comprovante la cessione era stata depositata nella procedura monitoria quale prova della titolarità del credito da parte di nonché della titolarità di (...), quale mandataria per la gestione del credito e per mera completezza difensiva rilevava che in materia di cessione del credito, a cui è seguita anche la Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è insegnamento della giurisprudenza che "il contratto relativo alla cessione del credito non necessita di una forma specifica e si perfeziona con il semplice consenso prestato dal cedente e dal cessionario" (Trib. Avellino, Sez. II. 3 febbraio 2020, n. 244). Pertanto alla luce della documentazione prodotta vale a dire: 1) Estratto 50 TUB; 2) Contratto di conto corrente n. (...); 3) Condizioni su rapporto di c/c (...); 4) Norme che regolano i servizi all'incasso; 5) Atto fusione); 6) Procura; 7) Gazzetta Ufficiale (...) aveva dato prova della propria legittimazione attiva. Riguardo al quantum del credito e alla denunciata possibile usurarietà del rapporto bancario, evidenziava che l'opponente nulla aveva specificato, né aveva prodotto i decreti ministeriali da cui evincere il tasso soglia usurano applicabile al caso in esame e sottolineava che, conformemente all'art. 117 T.U. bancario, (che ha dato concreta applicazione alla Direttiva 87/1082/CEE), i rapporti e i contratti per cui è causa erano stati redatti per iscritto e un esemplare è stato regolarmente consegnato alla cliente. Chiedeva, pertanto, il rigetto dell'opposizione. Accolta la richiesta di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, disposta ed espletata ritualmente la mediazione, assegnati i termini di cui all'art. 183 comma 6 c.p.c., con le quali l'opposta produceva gli estratti conto del rapporto di (...) dedotto in giudizio, rigettata la richiesta di ctu contabile, la causa veniva riservata in decisione. L'opposizione e fondata e va pertanto accolta sotto il profilo della carenza di prova della legittimazione attiva dell'opposta quale cessionaria del credito. L'opponente ha specificamente contestato la legittimazione attiva dell'opposta, non avendo intrattenuto con essa alcun rapporto bancario. Ha. dunque, contestato la titolarità del credito in capo alla (...) evidenziando l'insufficienza della documentazione prodotta dall'opposta e segnatamente la mancata produzione del contratto di cessione dei erediti intercorso tra la banca cedente e la predetta cessionaria. Nonostante la contestazione, specifica e ripetuta, l'opposta non ha prodotto il contratto di cessione del credito e si è limitata a depositare un estratto dell'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale con la quale vi è notizia di un acquisito in blocco, da parte della cessionaria di un portafoglio di crediti (non identificati) facenti capo alla cedente (...) s.p.a. Tale avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 t.u.b., non appare, idoneo a documentare l'effettiva titolarità del diritto di credito. Al fine di provare l'effettiva titolarità del diritto di credito, non è sufficiente indicare l'atto mediante il quale è stata trasferita la titolarità del credito (e per il quale, come per tutti i contratti bancari, il Tub richiede la forma scritta ad substantiam), ma occorre che l'atto di cessione del credito sia prodotto in giudizio. Invero la difesa dell'opposta, verosimilmente per non avere a disposizione il contratto di cessione dei crediti, ha sin dalla comparsa di costituzione dedotto nel senso della non necessità della produzione del documento contrattuale, in considerazione del contenuto della pubblicità notizia fattane sulla Gazzetta Ufficiale. Orbene, questo giudicante, rileva: 1) a fronte della contestazione specifica di titolarità sostanziale del credito l'onere della prova incombente sull'opposta (attrice in senso sostanziale) impone a questa di provare i fatti posti a fondamento dell'acquisto del diritto fatto valere in giudizio, vale a dire di produrre il contratto di cessione di crediti "in blocco", stipulato in data 14/7/2017 ai sensi e per l'effetto della legge n. 130 del 30.04.1999, citato in Gazzetta Ufficiale; 2) il contenuto della pubblicità notizia della Gazzetta Ufficiale non rende individuabile il credito oggetto di precetto, atteso che fa riferimento alla cessione dei crediti passati a sofferenza in un certo periodo, indicando la sola tipologia degli stessi, ma non individuandoli specificamente; 3) se pure il contenuto della Gazzetta Ufficiale fosse tale da individuare il credito ceduto, trattasi pur sempre di una forma di pubblicità notizia, che si limita a rendere opponibile la cessione, in quanto per legge tale adempimento produce solo gli effetti indicati nell'art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti; ma non costituisce la fonte della titolarità del credito, che rimane l'atto di cessione, che, in caso di contestazione specifica, deve essere prodotto in giudizio a prova della effettiva titolarità del credito; 4) peraltro la pubblicità notizia sulla Gazzetta Ufficiale non è soggetta ad un controllo di contenuto, il quale viene predisposto, come nel caso in esame, dalla società cessionaria. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in relazione al valore della causa "tra euro (...) ad euro (...) tariffe medie studio euro (...) - introduzione euro (...) - trattazione euro (...) - decisionale euro (...)" con distrazione in favore dell'Erario, atteso che l'opponente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento n. 60/2020 del 30/1/2020. P.Q.M. Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) Accoglie l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo opposto. 2) Condanna l'opposta al pagamento all'opponente delle spese di giudizio, che liquida in euro (...) per contributo unificato ed euro (...) per compensi di difesa, oltre rimborso spese generali IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore dell'Erario, atteso clic l'opponente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato con provvedimento n. 60/2020 del 30/1/2020. Così deciso in Benevento il 22 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BENEVENTO Seconda Sezione CIVILE Il Tribunale di Benevento, in persona del G.U., Dott. Antonietta Genovese, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 3456 R.G.A.C., anno 2019, avente ad oggetto: responsabilità professionale, passata in decisione nell'udienza del 28.02.2022, vertente TRA (...) s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t. (...), el.te dom.ta presso lo studio dell'avv. (...), che la rappresenta e difende, procura speciale su foglio allegato alla memoria di costituzione di nuovo difensore Attrice E (...), in proprio e nella qualità di trustee del "(...) Trust (...)", el.te dom.to presso lo studio dell'avv. (...), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta Convenuto Conclusioni: le parti hanno concluso come da verbale di udienza del 28.02.2022, da intendersi qui interamente trascritto Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 23.7.2019 la (...) s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, conveniva in giudizio (...), in proprio e nella qualità di trustee del (...) perché questo Tribunale revocasse ai sensi dell'art. 2901 c.c. gli atti di conferimento immobiliari contenuti nell'atto Pubblico per Notaio (...) dell'8.9.2014, rep. 3599, racc. 2775. In subordine, chiedeva, previa integrazione del contraddittorio nei confronti di Renzullo Carmela, la revocatoria ex art. 2901 c.c. dell'atto di dotazione in trust di cui all'atto pubblico per Notaio (...) del 27.10.2017, rep. 6998, racc. 545. Si costituiva in giudizio (...) in proprio eccependo in via preliminare l'improponibilità dell'azione per mancato espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria, chiedendo di estromettere dal giudizio il (...) Trust (...). Nel merito impugnava quanto ex adverso dedotto chiedendo il rigetto della domanda perché infondata in fatto e in diritto. Venivano concessi i termini di cui all'art. 183 c.6 c.p.c. Svolta l'istruttoria, all'udienza del 28.02.2022 la causa era trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Motivi della decisione Preliminarmente, per quanto relativo all'eccezione di improcedibilità dell'azione per mancato espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria, è infondata e va rigettata. In tema di azione revocatoria, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, come ribadito di recente (Cass. civ. ordinanza n. 25855/2021), esclude il necessario esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione di cui all'art. 5 D.Lgs. n. 28/2010, quale condizione di procedibilità dell'azione processuale, anche qualora la revocatoria abbia ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene immobile (ad esempio, a seguito di donazione, di vendita, di costituzione di un fondo patrimoniale, di un trust, ecc.). Priva di pregio appare l'eccezione sollevata dal convenuto relativamente al rito applicato; correttamente la causa è stata introdotta secondo le norme del rito ordinario, avendo la stessa ad oggetto un'azione revocatoria ex art.2091 c.c.; è evidente che esula dal thema decidendumm del presente giudizio qualsiasi questione relativa alla validità o l'esatto adempimento del contratto di locazione. Secondo la S.C. "... poiché l'azione ha carattere autonomo, il rito applicabile è quello proprio della specifica disciplina per essa prevista, essendo irrilevante quello previsto per il rapporto sottostante .... (Cass. Civ. del 23.5.2018, n. 12852. Va poi rilevato che l'attrice conveniva in giudizio (...) in proprio e in qualità di titolare del (...) Trust (...), che rimaneva contumace. Deve osservarsi che, alla luce di principi espressi a più riprese dalla Suprema Corte (Cass. ord. N. 2894/2020; Cass. sez. V sen. n. 25478/2015; Cass. sez. III sen. n. 19376/2017; Cass. sez. III sen. n. 2043/2017), il trust non è un ente dotato di personalità giuridica ma esclusivamente un insieme di bene destinati ad un determinato scopo. Ne consegue che debba dichiararsi l'inefficacia dell'azione così spiegata nei confronti della (...) Trust (...), in persona del suo titolare. Venendo al merito della vicenda, la (...) s.r.l. esponeva di vantare un credito di Euro 50.648,76 nei confronti di (...), in virtù di cessione di credito autenticata per atto del Notaio (...) n. rep. 50416 dell'11.1.2018, con cui la (...) s.r.l. in liquidazione cedeva alla (...) s.r.l. il credito accertato dalla sentenza n. 1335/2017 del Tribunale di Benevento. Deduceva dunque come il debitore, con atto unilaterale in data 8.9.2014 per Notaio (...), avesse istituito un Trust autodichiarato denominato "(...) Trust (...)" al quale trasferiva la piena proprietà di una serie di beni immobili. Con ulteriore atto di dotazione in trust del 27.10.2017 n. rep. 6998/5452 destinava la piena proprietà dell'unità immobiliare e la quota indivisa di 500/1000 sita in San Giorgio del Sannio alla Via (...) al trust (...). Chiarito ciò, è necessario premettere che l'art. 2901 c.c. stabilisce che, perché siano dichiarati inefficaci nei confronti del creditore gli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, debbano concorrere due condizioni: in primo luogo, che il debitore conosca il pregiudizio che l'atto cagioni alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, che l'atto sia dolosamente preordinato a tal fine; secondariamente, che, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo sia consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, sia partecipe della dolosa preordinazione. Dal punto di vista probatorio, è onere dell'attore provare l'esistenza del credito, l'eventus damni, quindi il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, nonché il consilium fraudis, cioè la consapevolezza da parte del debitore di arrecare un pregiudizio e, qualora oneroso, anche del terzo. Nel caso di specie, la società attrice ha assolto il suo onere probatorio. Invero, il credito vantato dalla (...), in seguito ad atto di cessione da parte di (...), è anteriore agli atti di disposizione ed accertato giudizialmente con sentenza n. 1335/2017 (all. 2 e 3 fascicolo parte attrice). Premesso che il cessionario subentra a titolo particolare nel rapporto obbligatorio tra cedente e ceduto, divenendo titolare del relativo diritto di credito, la pretesa creditoria del cedente emerge essere avanzata già nel febbraio 2014, seppur accertata successivamente. Quindi all'atto di costituzione del trust da parte di (...) in data 8.9.2014 il soddisfacimento del credito maturato era già richiesto, anche in via giudiziale. Per quanto attiene all'eventus damni, inteso quale diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, esso ricorre non solo quando l'atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando abbia comportato una maggiore difficoltà o incertezza nell'esazione del credito. Nella specie, con gli atti di disposizione del 8.9.2014 e del 27.10.2017 il debitore destinava tutti i beni immobili di cui era proprietario ad un trust fund di cui egli stesso risulta titolare. Dalla documentazione allegata (all.5 fascicolo parte attrice) emerge chiaramente la titolarità e dunque la piena proprietà da parte del (...) dei beni immobili confluiti nell'istituzione del trust autodichiarato. Con ulteriore atto di dotazione del 27.10.2017, l'unità immobiliare sita in San Giorgio veniva conferita anch'essa nel trust. A riguardo si osserva tuttavia che, dalla produzione agli atti, l'immobile in esame risulta intestato ad altro soggetto (all.9 fascicolo parte attrice). Pertanto, è di tutta evidenza l'istituzione di un trust fund di natura gratuita che di fatto ha diminuito la garanzia patrimoniale del debitore creando un patrimonio separato, limitando in concreto la pretesa creditoria. In proposito, è opportuno ricordare che l'azione revocatoria è esperibile anche nei confronti dell'atto istitutivo del trust, atteso che il Trust (come ribadito dalla Suprema Corte) determina una variazione quantitativa del patrimonio del debitore può essere revocato ex art. 2901, comma 1, n. 1, c.c. (cosi Cass. Civ. ordinanza n. 24986/2020). Trattasi di atto a titolo gratuito, per cui rimane superfluo l'esame della consapevolezza del terzo circa il pregiudizio recato al creditore, tanto più che, nella specie, il terzo è lo stesso debitore disponente. Infine, per quanto attiene il requisito soggettivo (la consapevolezza di arrecare un pregiudizio all'interesse creditorio-scientia damnni), è sufficiente il dolo generico, bastando cioè che il debitore abbia previsto il pregiudizio del creditore. Nella specie, come si è detto, entrambi gli atti di disposizione sono a titolo gratuito, inoltre titolare del trust fund risulta essere lo stesso (...), sicché deve riconoscersi una piena conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che avrebbe cagionato alle ragioni creditorie. Va dunque dichiarata l'inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 c.c., dell'atto indicato in citazione ed oggetto della domanda principale. L'accoglimento della domanda principale rende superfluo l'esame di quella subordinata, avanzata solo in caso di mancato accoglimento della prima e previa integrazione del contraddittorio. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) s.r.l. nei confronti di (...), così provvede: 1) Accoglie la domanda e per l'effetto dichiara l'inefficacia ai sensi dell'art. 2901 c.c. dell'atto di costituzione del (...) Trust (...) per Notaio (...) dell'8.9.2014 n. rep. 3599 n. racc. 2775 ordinando alla Conservatoria dei P.P.R.R.I.I. di Benevento l'annotazione della presente sentenza; 2) Condanna il convenuto al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.600,00 per la fase di studio; Euro 2.000,00 per la fase introduttiva; Euro 3.400,00 per la fase istruttoria; Euro 4.000,00 per la fase decisoria, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge. Benevento, il 2 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO II sezione civile - in persona del Giudice Onorario di Pace Avv. Rosario Molino - in funzione di giudice monocratico ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. 2919 R.G.A.C.C. dell'anno 2014, proposta con atto di citazione e riservata in decisione in data 09.06.2014, e vertente TRA CONDOMINIO (...), in persona dell'amm.re p.t., elett.te dom.to presso lo studio dell'Avv. Ma.Mi., che lo rapp.ta e difende giusta mandato a margine dell'atto di citazione Attore E (...) Convenuto contumace Oggetto: Mandato CONCLUSIONI All'udienza del 02.02.2022 i difensori hanno precisato le conclusioni come da atti introduttivi e da comparse conclusionali in atti SVOLGIMENTO DEL PROCESSO La presente motivazione viene redatta ai sensi degli artt. 118 disp. att. e 132 CPC, come novellati ex lege n. 69/09, in virtù di quanto disposto ex art. 58, comma 2, L. cit.. Preliminarmente si precisa che lo scrivente G.U. è subentrato nella trattazione del presente procedimento all'udienza del 18.01.2022. Il Condominio (...) citava in giudizio il convenuto (...), con atto di citazione del 17.06.14 regolarmente notificato, deducendo che egli fosse l'ex amministratore del Condominio attore e che non avesse consegnato la documentazione della sua gestione con grave comportamento omissivo, soprattutto in relazione alla rendicontazione del servizio idrico condominiale presso l'(...) S.p.A. con debenza dell'importo di Euro 600,00; chiedeva, dunque, di far accertare e dichiarare il diritto del Condominio di accertare e dichiarare l'omessa consegna da parte del convenuto ex amministratore al nuovo amministratore della documentazione condominiale indicata in citazione; per l'effetto, condannare (...) all'immediata consegna di tutta la documentazione di pertinenza; in ogni caso, tenere indenne il condominio attore dal pagamento delle somme vantate dalla società (...) S.p.A. per crediti maturati durante la gestione del (...); dunque condannare al risarcimento, nei confronti del condominio attoreo, dei danni tutti da questi subiti in conseguenza e per l'effetto della omessa consegna dei documenti richiamati; con vittoria di spese, diritti ed onorari con attribuzione. Verificata la regolarità della notificazione introduttiva, veniva dichiarata la contumacia del convenuto con ordinanza del 29.10.14. In prima udienza venivano concessi i termini per il deposito delle memorie nei termini ex art. 183, VI co, c.p.c.; all'esito, la causa veniva rinviata sino al 10.12.20 per la precisazione delle conclusioni con assegnazione di termini ex art. 190 c.p.c. Rimessa sul ruolo per superamento dei limiti di età del Dott. D'Orsi, la causa veniva rinviata sino al 18.01.22 per la precisazione delle conclusioni con rinunzia ai termini ex art. 190 c.p.c. Dopo la rimessione in termini di parte attrice a seguito di dichiarazione di estinzione del procedimento, la causa veniva rinviata nuovamente al 09.02.2022 per la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE Preliminarmente, è pacifico che nel contratto che intercorre tra l'amministratore e i condomini trovano applicazione le norme sugli obblighi e sulle attribuzioni di cui agli artt. 1129 e 1130 cod. civ. e, per quanto non disciplinato, le disposizioni in tema di mandato (art. 1129, penultimo comma cod. civ.), per cui alla scadenza l'amministratore è comunque tenuto a consegnare la documentazione in suo possesso ed a rendere il conto anche su richiesta del singolo condomino, stante la già avvenuta estinzione del mandato collettivo e potendosi presumere che tale richiesta interessi egualmente tutti i vari condomini, in quanto affare ad essi comune. L'art. 1129, co. 8 cod. civ., infatti, obbliga l'amministratore uscente, alla cessazione dell'incarico, a "consegnare tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini'. Inoltre, la norma contenuta nell'art. 1130, co. 8 cod. civ., impone all'amministratore cessato dall'incarico, la conservazione di tutta la documentazione inerente alla propria gestione riferibile sia al rapporto con i condòmini, sia allo stato tecnico-amministrativo dell'edificio e del condominio; per altro, l'art. 1130, n. 10) cod. civ. aggiunge che l'amministratore deve redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e specifica che deve convocare l'assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni (stabilita anche dall'art. 1130, n. 1) cod. civ. Ciò, pure se basato su una normativa successiva rispetto al rapporto de quo, è incontrastabilmente e pacificamente affermato da giurisprudenza granitica da tempo immemore, seppure da ultimo ribadito con l'ordinanza della Corte di Cassazione n. 18185 del 24 giugno 2021. Essendo pacifici i presupposti e la legittimazione attiva del condominio in persona dell'amm.re p.t., oltre alla legittimazione passiva del convenuto, si evince dal verbale di consegna di 20.12.2013 che effettivamente non è stata consegnata la documentazione richiesta col presente giudizio ed, invero: 1) copia delle ritenute d'acconto versate all'Erario a mezzo F24 dell'Impresa di Pulizia Carlo Bocchino Partita IVA 00729890624 relative alla pulizia scale e parti comuni del Condominio dal 01/01/2008 al 30/11/2013; 2) Copia delle ritenute d'acconto versate all'Erario a mezzo F24 relative al suo compenso professionale dal 06 novembre 2008, data della Delibera d'incarico, al 30 novembre 2013; 3) Copia delle Dichiarazioni annuali Mod 770 relative agli anni 2008, 2009, 2010, 2011, 2012; 4) Copia della Voltura del Codice Fiscale del Condominio (...) che indica la Voltura del Rappresentante Legale da (...) a (...). Tale documentazione, avendo riguardo al n. 1) appare necessaria al condominio giacché nel verbale di consegna appaiono indicate solo le relative fatture per la pulizia; circa i documenti ai nn. 2), 3) e 4), essi sono connaturati all'attività gestoria e, di conseguenza, dovuti alla cessazione dell'incarico. La loro esistenza, non esclusa da contestazioni del convenuto, deve presumersi per la natura degli stessi atti. Data la chiara fondatezza della pretesa di consegna documentale da parte del Condominio, non così appare la richiesta di risarcimento la quale deve essere necessariamente supportata da una dimostrazione del danno emergente; nel caso specifico, pur essendo evidente che si possa ipotizzare un danno da ritardata od omessa restituzione, questo Giudicante non può valutare quale esso possa essere, né quantificarlo in base alle deduzioni attoree. Esso, probabilmente, potrebbe essere equivalente all'importo richiesto dall'(...) S.p.A. ma, agli atti del giudizio, non solo non appare alcuna pretesa di tale ente per gli anni di gestione del Grasso, ma neppure che vi sia all'epoca dei fatti alcuna pendenza che avrebbe ben potuto essere facilmente dimostrata a mezzo di una rendicontazione da parte di questa società. Non sussistendo, allo stato, il danno, non è possibile alcun risarcimento. Per gli stessi motivi non appare accoglibile la richiesta del condominio attoreo in relazione alla manleva delle somme vantate dalla società (...) S.p.A. per il periodo gestorio; peraltro, seppure fossero esistenti tali crediti, nessun elemento induce a ritenere che la responsabilità del mancato pagamento sia addebitabile all'amministratore uscente. Naturalmente, qualora la società fornitrice del servizio idrico dovesse agire contro il condominio attoreo e dovesse dimostrare il mancato pagamento, lo stesso ben potrebbe verificare le entrate dell'amministrazione Grasso per verificare se vi fossero i fondi per corrispondere tali importi e se gli stessi sono stati indebitamente sottratti. Inoltre, in punto di diritto, la domanda risulta del tutto inammissibile senza una previa richiesta di rendiconto da parte dell'amministratore uscente, non contenuta nell'atto di citazione che è unicamente imperniato sull'omessa consegna della documentazione richiesta. Data la fondatezza della pretesa principale dell'attore per quanto di ragione, le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal Condominio "(...)", nei confronti di (...), ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) Accerta e dichiara il diritto del condominio attoreo ad ottenere la consegna della documentazione omessa alla cessazione dell'incarico di amministratore di condominio di (...); 2) Per l'effetto, condanna il convenuto (...) alla consegna della seguente documentazione: a) copia delle ritenute d'acconto versate all'Erario a mezzo F24 dell'Impresa di Pulizia Carlo Bocchino Partita IVA (...) relative alla pulizia scale e parti comuni del Condominio dal 01/01/2008 al 30/11/2013; b) Copia delle ritenute d'acconto versate all'Erario a mezzo F24 relative al suo compenso professionale dal 06 novembre 2008, data della Delibera d'incarico, al 30 novembre 2013; c) Copia delle Dichiarazioni annuali Mod 770 relative agli anni 2008, 2009, 2010, 2011, 2012; d) Copia della Voltura del Codice Fiscale del Condominio (...) che indica la Voltura del Rappresentante Legale da (...) a (...); 3) Rigetta le altre domande spiegate nel procedimento per quanto in parte motiva; 4) Condanna al pagamento delle spese di lite il convenuto (...) che liquida in Euro 400,00 per la fase di studio, Euro 400,00 per la fase introduttiva, Euro 800,00 per la fase di trattazione e/o istruttoria, Euro 400,00 per la fase decisoria, per un totale di Euro 2.000,00, oltre I.v.a., spese generali e C.p.a. come per legge con attribuzione all'Avv. (...). Così deciso in Benevento il 23 maggio 2022. Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2022.

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