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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO I SEZIONE CIVILE in persona del giudice unico, dott. (...), ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 3533/2022 r.g.a.c., avente ad oggetto: impugnazione di delibera condominiale TRA (...), elettivamente domiciliate in Benevento, al viale (...), presso lo studio dell'avv. (...), dalla quale sono rapp.te e difese, giusta procura in atti ATTRICI E CONDOMINIO (...), con sede in Benevento al viale (...), in persona dell'amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in Benevento, al viale (...), presso lo studio dell'avv. (...), dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti CONVENUTO CONCLUSIONI: come da note scritte depositate in vista dell'udienza figurata del 25.1.2024. MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, le attrici predette, in qualità di proprietarie di unità immobiliari nel Condominio (...), sito in Benevento al viale (...), hanno convenuto in giudizio il Condominio medesimo, impugnando il deliberato assembleare del 27.6.2022 per 1) inesistenza della convocazione e del relativo verbale, violazione del regolamento condominiale per mancato rispetto del termine di 15 giorni tra la convocazione e il giorno fissato per l'assemblea e, altresì, per omessa sottoscrizione del verbale da parte di almeno un condomino; 2) carenza del quorum di 500 millesimi per deliberare i lavori straordinari; 3) inesattezza del bilancio per mancato passaggio di consegne dei documenti condominiali e confusione delle spese attribuite agli immobili; 4) lesione del diritto ad una partecipazione informata, essendosi deliberato in merito al generico punto "varie ed eventuali. Per questi motivi hanno chiesto, previa sospensiva, di accertare e dichiarare l'invalidità della delibera impugnata. Si è costituito il Condominio, il quale ha eccepito l'inammissibilità dell'azione per carenza di interesse ad agire e l'infondatezza delle doglianze avverse. Senonché, assegnati i termini istruttori, la causa è stata rinviata per conclusioni e assegnata a sentenza con i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Il Tribunale osserva. Ai fini che qui interessano, deve rammentarsi che, secondo l'indirizzo facente capo alla nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4806/2005, "in tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto; debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto". Tali coordinate ermeneutiche sono state, tuttavia, in parte precisate dalle medesime Sezioni Unite, che, con sentenza n. 9839 del 14 aprile 2021, hanno relegato, con riguardo alle deliberazioni dell'assemblea dei condomini, la categoria giuridica della nullità ad un ambito applicativo del tutto residuale rispetto alla generale categoria della annullabilità. In particolare, secondo tale pronuncia, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo, le deliberazioni dell'assemblea in caso di: 1) mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali (volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma), tale da determinare la deficienza strutturale della deliberazione: è il caso, ad es., della deliberazione adottata senza la votazione dell'assemblea; o della deliberazione priva di oggetto, ossia mancante di un reale decisum ovvero con un oggetto non determinato nè determinabile; o della deliberazione priva di causa, carente cioè di una ragione pratica giustificativa della stessa che sia meritevole di tutela giuridica; o della deliberazione non risultante dal verbale dell'assemblea, sprovvista perciò della necessaria forma scritta; 2) impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (c.d. decisum) della deliberazione, l'impossibilità materiale da valutarsi con riferimento alla concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato, mentre l'impossibilità giuridica da valutarsi in relazione alle "attribuzioni" proprie dell'assemblea (c.d. difetto assoluto di attribuzione); 3) illiceità del contenuto (art. 1343 c.c.), nel senso che il decisum risulta contrario a norme imperative (individuate, quanto al condominio negli edifici, dagli artt. 1138, co. 4, c.c. e 72 disp. att. c.c.), all'ordine pubblico o al buon costume. Al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale, sia che presentino vizi di forma, afferenti, cioè, alle regole procedimentali dettate per la loro formazione, sia che presentino vizi di sostanza, afferenti, cioè, al contenuto del deliberato (es. in punto di ripartizione delle spese), sono semplicemente annullabili e l'azione di annullamento deve essere esercitata da ogni condomino assente, dissenziente o astenuto nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre per i dissenzienti o astenuti dalla data della deliberazione e per gli assenti dalla data di comunicazione della delibera (art. 1137, co. 2, c.c.). Orbene, nel caso che occupa è fondato il motivo, con assorbimento degli altri, inerente alla mancanza di convocazione delle condomine attrici per l'adunanza del 26.6.2022 (27.6.2022 in seconda convocazione). A norma dell'art. 66 disp. att. c.c., l'avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell'ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l'indicazione del luogo e dell'ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell'ora della stessa. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell'articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati. Tale norma è qualificata come inderogabile (quantomeno in peius) dall'art. 72 disp. att. c.c.. Orbene, nel caso di specie, come si evince dagli stessi allegati prodotti dal Condominio convenuto, la convocazione per l'adunanza, mentre per la Saviano non ha proprio avuto luogo, per la (...) è avvenuta su mail ordinaria, come tale inidonea secondo la tassativa indicazione contenuta nell'art. 66 disp. att. c.c., a convocare le condomine, rimaste, peraltro, assenti (Trib. Sulmona, 3 dicembre 2020, n. 243; Trib. Bari, 30 giugno 2023, n. 2666; Trib. Roma, 9 ottobre 2023, n. 14299). A nulla vale la considerazione per cui nell'anagrafe condominiale risultino forniti dalle attrici, oltre agli indirizzi di residenza, anche quelli di mail ordinaria, dal momento che non vi è alcuna richiesta espressa - la sola che, secondo un certo indirizzo giurisprudenziale (App. Brescia, sez. II, 3 gennaio 2019, n. 4; Trib. Roma, sez. V, 10 gennaio 2023, n. 356), validerebbe tale forma di conoscenza - a ricevere le convocazioni su tale posta. Diverso sarebbe stato, invece, il caso in cui le attrici avessero presenziato le adunanze senza nulla eccepire a verbale, nel qual caso il vizio sarebbe rimasto pacificamente sanato (Trib. Roma, sez. V, 12 maggio 2023, n. 7545; Trib. Napoli, 30 gennaio 2024, n. 1222). In conclusioni, la domanda va accolta, con annullamento della deliberazione dell'assemblea del Condominio (...) del 27.6.2022. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano, in base ai parametri di cui al d.m. 147/2022 (scaglione indeterminabile basso), ai valori minimi, stante l'assoluta facilità, nonché serialità, delle questioni trattate, e con esclusione della fase istruttoria non espletata. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria o diversa istanza e deduzione rigettata e disattesa, così provvede: 1. accoglie la domanda e, per l'effetto, annulla la deliberazione dell'assemblea del 27.6.2022; 2. condanna il Condominio convenuto al pagamento, in favore delle attrici, delle spese di lite, che liquida in Euro 545,00 per esborsi ed Euro 2.906,00 per compensi, oltre iva, cpa e rimb. forf. nella misura di legge. Benevento, 16 aprile 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile, in persona del G.M., Dr. (...) (...) ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2579/2021 del R.G.A.C. avente ad oggetto contratto di APPALTO, pendente TRA CONDOMINIO DI VIA (...), in persona dell'amministratore p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. (...); OPPONENTE E (...) ATTRICE IN RICONVENZIONALE CONTRO UM.IA.CO. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti (...); OPPOSTA CONCLUSIONI Come da note di trattazione scritta depositate dalle parti in relazione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 22.11.2023 e scritti difensivi conclusionali rispettivamente depositati. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente motivazione viene redatta ai sensi degli artt. 118 disp. att. cod. proc. civ. e 132 cod. proc. civ., come novellati dalla l. 69/2009, in virtù di quanto disposto dall'art. 58, comma 2, l. cit.. 1. Sul merito Preliminarmente, va chiarito che costituisce ormai jus receptum il principio per cui la pronuncia del decreto ingiuntivo inverte solo l'onere di instaurazione dell'effettivo contraddittorio senza ulteriormente influire sulla posizione delle parti davanti al giudice e, in particolare, senza invertire l'onere della prova, gravante sull'opposto, ovvero colui che nel giudizio ordinario sarebbe stato l'attore. In altri termini, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa: l'opposto, pertanto, è onerato della prova dell' an ed il quantum della sua pretesa creditoria, mentre parte opponente è onerata della prova di fatti modificativi o estintivi dell'altrui pretesa. Tanto premesso, è opportuno esaminare in modo analitico come si atteggi il citato riparto dell'onere probatorio tra le parti. (...) di partenza è il principio dispositivo della prova, desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui coloro i quali intendono far valere un proprio diritto in giudizio, devono provare i fatti che ne costituiscono il fondamento: onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat. Tale principio, dunque, costituendo l'architrave dell'intero sistema processuale, non può soffrire deroghe se non nei casi espressamente previsti dalla legge, con la conseguenza che il Giudice non può porre a fondamento della propria decisione circostanze che non siano state provate da chi intenda avvalersene. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità, nella nota sentenza Cass. Sez. Un. n. 13533/2001 ha puntualizzato che il creditore il quale agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto ed allegare l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) del debitore, sul quale, invece, incombe l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento dell'obbligazione (ovvero un fatto estintivo o modificativo della stessa). Tale pronuncia si fonda su due principi fondamentali, e cioè la vicinanza della prova -per cui il relativo onere incombe su colui che può osservarlo in modo più "agevole", tenendo conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione-; nonché la persistenza presuntiva del diritto -per cui, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo costituito dal suo (esatto) adempimento-. In applicazione dei citati principi di diritto, si osserva, innanzitutto, che nel caso in esame non è contestato -oltre che documentato- che tra le parti è intervenuto, in data 28.03.2019, un contratto di appalto in virtù del quale l'opposta avrebbe dovuto realizzare una serie di lavori -ivi analiticamente indicati- nel condominio opponente (cfr. allegato sub 3 all'opposizione, contratto da tenere in considerazione in quanto recante la sottoscrizione di entrambe le parti): contratto in esecuzione del quale sono state emesse le fatture poste a fondamento del provvedimento monitorio opposto. Ebbene, a fronte di tale deduzione, l'opponente ha eccepito, in sintesi, 1) la mancata esecuzione di tutti i lavori contrattualmente previsti; 2) l'errata esecuzione dei lavori eseguiti -più volte contestati nel corso dell'esecuzione dell'appalto-; 3) il mancato rispetto del termine del 26.10.2019 contrattualmente previsto per il termine dei lavori, non potendosi detto ritardo giustificare neppure adducendo la realizzazione di opere non previste nel contratto in difetto dell'espressa previa autorizzazione scritta da parte della committenza (prevista a tal fine dagli artt. 4 e 5 del contratto); 4) la mancata contabilizzazione, da parte dell'opposta, di tutti (...) effettuati. Alla luce di tali eccezioni, l'opponente ha contestato l'avversa domanda, e, a sua volta, ha sporto domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell'opponente, nonché di (...) sia della penale contrattualmente prevista per il mancato rispetto del termine di chiusura di lavori, sia dei danni patiti per l'errata esecuzione degli stessi. Si è costituita l'opposta la quale, nel contestare le avverse deduzioni e chiedere la conferma del decreto ingiuntivo opposto ha, in sintesi, dedotto 1) la corretta esecuzione dei lavori, anche in ragione della tempestiva risoluzione dei problemi e dei vizi riscontrati durante la sua esecuzione; 2) l'assenza di vizi ulteriori, peraltro contestati tardivamente; 3) la corretta contabilizzazione dei (...) effettuati; 4) la tempestiva esecuzione dei lavori in ragione dell'acquiescenza della committenza dopo lo sforamento del termine del 26.10.2019 (contrattualmente previsto per la consegna dei lavori), nonché della circostanza che, per un verso, tali lavori sono stati sospesi nel corso della loro esecuzione; e, per altro verso, sono state eseguite ulteriori opere inizialmente non previste dal contratto stesso. Sulla scorta della svolta istruttoria deve osservarsi, innanzitutto, che il Condominio opponente ha dedotto e documentato (...) per un totale di pari ad Euro 29.937,07, di cui Euro 28.439,07 da parte del Condominio (cfr. bonifici allegati sub 9 alla citazione in opposizione), ed Euro 1.500,00 da parte della condomina Fi.Si. (cfr. assegno allegato sub 10 alla citazione in opposizione) -il cui (...) diretto in favore dell'impresa è avvenuto in virtù della previsione di cui all'art. 15 del contratto-: tali circostanze, peraltro, non sono state neppure specificamente contestate dall'opposta, la quale non ha depositato documentazione in senso contrario. Quanto, invece, alle ulteriori contestazioni sollevate dalle parti, si è resa necessaria una C.T.U. onde verificare natura, quantità e qualità dei lavori effettuati, i relativi tempi di esecuzione e la effettiva sussistenza o di un credito residuo di parte opposta al netto dei costi per la riparazione dei vizi eventualmente riscontrati; ovvero di un credito di parte opponente proprio in ragione dei costi per la riparazione di detti vizi. E' stato dunque conferito un incarico al C.T.U. (Ing. (...)) il quale ha redatto una consulenza analitica ed esaustiva, logica nelle premesse e coerente nelle conclusioni ed alla quale, pertanto, nel complesso si rimanda. Ebbene, all'esito della svolta consulenza (cfr. pag. 27 della C.T.U.) è emerso che 1) l'importo complessivo dei lavori contrattualizzati ed eseguiti (al lordo dello sconto) ammonta ad Euro 21.382 49; 2) le opere eseguite e non contrattualizzate, invece, ammontano a complessivi euro 11.107,08; 3) le opere per il "ripristino dei danni da infiltrazione" ammontano ad Euro 2.288,27; 4) il valore complessivo delle opere realizzate dalla ditta opponente ammonta, perciò, ad Euro 34.777,84 (Euro 21.382,49 + Euro 2.288,27 + Euro 11.107,08), per cui, considerando lo sconto (5,7154%) e l'iva di legge (10%), l'importo totale per i lavori effettivamente realizzati dall'opposta ammonta ad Euro 36.069,16; 5) alcune opere non sono state eseguite a regola d'arte, ed i costi per la rimozione ed il rifacimento di tutte le opere viziate è pari ad Euro 7.726,55, importo che, considerando lo sconto (5,7154%) e l'iva di legge (10%), ascende ad Euro 8013,44; 6) decurtando dall'importo delle lavorazioni eseguite (id est, 36.069,16) gli importi già versati (Euro 29.937,07), nonché gli importi per il rifacimento delle opere viziate (Euro 8.013,44), residua un credito della ditta opponente pari ad Euro 1.881,35 (somma, (...), risultante dall'operazione Euro 36.069,16 - 29.937,07 - 8.013,44). Dalla svolta consulenza, inoltre, è emerso che i vizi, per quanto riscontrati, non siano tali da poter considerare le opere realizzate del tutte inservibili ovvero addirittura causa di una diminuzione apprezzabile del valore dell'immobile, per cui, anche in applicazione delle previsioni di cui all'art. 1668 c.c., deve ritenersi che, per un verso, non possa essere pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dell'appaltatore; e, per altro verso, debba essere ridotto il compenso dovuto a tale ultima parte nella misura pari ai costi necessari per l'eliminazione dei vizi secondo gli importi e le stime effettuate dal C.T.U. e sopra riportate: ed invero, l'esposto indirizzo interpretativo è condiviso dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, secondo la quale "Ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell'opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l'art. 1668, secondo comma, cod. civ. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell'opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l'art. 1490 cod. civ. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all'art. 1455 cod. civ., secondo cui l'inadempimento non deve essere di scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse del creditore. Pertanto la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto di appalto è ammessa nella sola ipotesi in cui l'opera, considerata nella sua unicità e complessità , sia assolutamente inadatta alla destinazione sua propria in quanto affetta da vizi che incidono in misura notevole - sulla struttura e funzionalità della medesima si da impedire che essa fornisca la sua normale utilità, mentre se i vizi e le difformità sono facilmente e sicuramente eliminabili, il committente può solo richiedere, a sua scelta, uno dei provvedimenti previsti dal primo comma dell'art. 1668 cod. civ., salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore (cfr. Tribunale Genova sez. VI, 22/11/2021, n.2515, che riprende principi già consolidati nella giurisprudenza di legittimità -cfr., ex multiis, Cassazione civile sez. II, 19/09/2014, n. 19825; Cassazione civile sez. II, 15/03/2004, n. 5250-, e di merito -cfr., inter alia,; Tribunale Ferrara sez. I, 15/01/2021, n. 14-). Inoltre, si osserva che 1) con riferimento alla contestazione in ordine all' intervenuta decadenza del committente dalla possibilità di contestare i vizi delle opere appaltate, per un verso, l'opposta si è costituita tardivamente con la conseguenza che, trattandosi di eccezione in senso stretto, è decaduta dalla possibilità di sollevare tale eccezione; e, per altro verso, comunque è infondata in ragione delle plurime contestazioni avanzate sul (...) dall'opponente durante l'esecuzione dei lavori (cfr. raccomandate e diffide allegate alla citazione in opposizione); 2) infondata è, altresì, la contestazione relativa alla non debenza delle lavorazioni extra contratto effettuate dalla ditta opponente per la mancata preventiva autorizzazione per iscritto, in quanto si tratta di opere che non costituiscono "variazioni" rispetto a quelle contrattualmente previste, ma piuttosto, si riferiscono ad opere del tutto diverse -per natura e funzione- (realizzazione /predisposizione di impianti tecnologici condominiali quali quello del Gas Metano, della TV e del Videocitofono) da quelle oggetto di appalto "iniziale" e, dunque, non rientrano nell'ambito di applicabilità degli artt. 4 e 5 di detto contratto: ne consegue che rispetto alle lavorazioni in esame le parti hanno dato esecuzione ad un nuovo accordo, peraltro oggetto della missiva del 04.10.2020 (allegata sub 1 alla memoria ex art. 183, co. 6, n 2, c.p.c., di parte opposta), in cui sono indicati analiticamente i costi per la relativa realizzazione ed in relazione alla quale non risultano documentate contestazioni e/o opposizione da parte dell'opponente; 2) parimenti, è infondata la contestazione circa il mancato rispetto del termine per la consegna dei lavori contrattualmente previsto, in ragione delle opere extra contratto eseguite che hanno determinato il protrarsi dei lavori oltre i termini inizialmente previsti in contratto, senza che l'opponente abbia dedotto e documentato la fissazione di un nuovo e diverso termine per la consegna di tutte le opere: ed invero, a tale ultimo riguardo si osserva che "quando, nel corso dell'esecuzione del contratto d'appalto, sia stato mutato l'originario piano dei lavori, il termine di consegna e la penale per il ritardo, pattuiti nel detto contratto, vengono meno. Pertanto, perché la penale conservi efficacia, occorre che le parti di comune accordo fissino un nuovo termine, incombendo, in mancanza, al committente, che persegua il risarcimento del danno da ritardata consegna dell'opera, l'onere di fornire la prova delle concrete ricadute pregiudizievoli subite" (Cassazione civile sez. II, 26/03/2019, n.8405; e, in senso conforme nella giurisprudenza di merito, cfr. Tribunale Firenze sez. III, 17/05/2023, n.1482): ne consegue che anche la domanda, avanzata dall'opponente, di condanna della controparte al (...) della penale da ritardo prevista in contratto è infondata e deve essere rigettata. Né, in senso opposto a quanto appena osservato, depongono le osservazioni alla C.T.U. formulate dalle parti, in quanto il nominato consulente ha puntualmente svolto le proprie controdeduzioni in modo esaustivo ed alle quali, pertanto, si rimanda. In conclusione, alla luce delle esposte ragioni in fatto ed in diritto 1) l'opposizione (e la sporta domanda riconvenzionale) è parzialmente fondata per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione, e, dunque, il decreto ingiuntivo opposto deve essere revocato; 2) considerato che l'opposizione a decreto ingiuntivo non sostanzia una mera impugnazione, bensì introduce una causa di merito ed a cognizione piena, in cui l'opposto è l'attore sostanziale, la cui richiesta di decreto ingiuntivo esprime una domanda di condanna, valutabile anche in caso di revoca del provvedimento monitorio (Cass., sez. 3, 10 marzo, 2009, n. 5754; Cass., sez. lav., 1 dicembre 2000, n. 15339), in parziale accoglimento della residua domanda di condanna formulata dall'opposta, l'opponente va condannato a (...), in favore dell'opposta, l'importo di Euro 1.881,35, oltre interessi legali dalla data della domanda e sino al soddisfo. 2. Sulle spese di lite Quanto alle spese di lite, si ritiene che le stesse vadano interamente compensate tra le parti in quanto se, da un lato, la domanda monitoria è stata ritenuta parzialmente fondata nei limiti di cui in motivazione; è pur vero, dall'altro lato, che a seguito del presente giudizio di opposizione la somma dovuta è stata sensibilmente ridotta rispetto a quella inizialmente ingiunta alla luce della fondatezza di alcuni motivi di opposizione illustrati in precedenza. D'altronde, l'esposto indirizzo interpretativo è condiviso dalla stessa giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che "nel procedimento per decreto ingiuntivo, la fase che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto non costituisce un processo autonomo rispetto a quello che si apre con l'opposizione, ma dà luogo ad un unico giudizio, nel quale il regolamento delle spese processuali, che deve accompagnare la sentenza con cui è definito, va effettuato in base all'esito della lite: ne consegue che, ove la somma chiesta con il ricorso sia riconosciuta solo parzialmente dovuta, non contrasta con gli art. 91 e 92 c.p.c. la pronuncia di compensazione delle spese processuali, in quanto l'iniziativa processuale dell'opponente, pur rivelandosi necessaria alla sua difesa, non ha avuto un esito totalmente vittorioso, così come quella dell'opposto, che ha dovuto ricorrere al giudice per ottenere il (...) della parte che gli è riconosciuta" (Cassazione civile sez. I, 03/09/2009, n.19120). Parimenti, le spese di C.T.U. -come già definitivamente liquidate in corso di causa- vanno poste a carico delle parti, nella misura del 50% ciascuna. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, seconda sezione civile, in persona del G.M., Dr. (...), definitivamente pronunziando nella causa iscritta al n. 2579/2021 R.G.A.C. ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) ACCOGLIE, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione, l'opposizione e la sporta domanda riconvenzionale, e, per l'effetto, REVOCA il decreto ingiuntivo opposto; 2) ACCOGLIE, per le ragioni e nei limiti di cui in motivazione, la residua domanda di condanna formulata dall'opposta, e, per l'effetto, CONDANNA l'opponente a (...) in favore dell'opposta la somma di Euro 1.881,35, oltre interessi legali dalla data della domanda e sino al soddisfo; 3) COMPENSA integramente tra le parti le spese di lite. 4) PONE definitivamente le spese di C.T.U. -come già liquidate in corso di causa- definitivamente a carico delle parti, nella misura del 50% ciascuna. Manda la cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Benevento, in data 25 marzo 2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO I sezione civile- in persona della dott.ssa Floriana Consolante-, con funzioni di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 509 R.G.A.C.C. dell'anno 2021, riservata in decisione all'udienza del 23 ottobre 2023 con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. vertente TRA Mi.An., rappresentato e difeso dall'avv.to Mi.Gi., come da procura in atti; -attore- E Te. s.p.a. - ora Te. s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv.to Je.Ke., come da procura in atti; -convenuta - MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Mi.An. conveniva in giudizio la Te. s.p.a.- ora Te. s.p.a.- proponendo nei confronti di quest'ultima domanda di condanna al risarcimento dei danni subiti a causa della installazione del traliccio e dell'arbitrario passaggio dei cavi aerei installati dalla convenuta sul fondo rustico di sua proprietà, sito in B. alla contrada M. T., identificato catastalmente al foglio (...), particella (...). L'attore deduceva che la Te. s.p.a. avesse ivi sistemato un palo a sostegno di una linea telefonica e che ciò era avvenuto in modo arbitrario e in assenza di alcuna autorizzazione in tal senso. Mi.An. sosteneva che detto passaggio con appoggio della linea telefonica e diramazioni non fosse a servizio di una propria utenza, bensì fungesse esclusivamente da collegamento a utenze telefoniche di terzi proprietari o inquilini di immobili vicini, e che la sistemazione dei tralicci costituisse una violazione del diritto di proprietà in quanto pregiudicava il godimento e lo sfruttamento del fondo, in virtù della minore superficie fondiaria utile. L'attore richiamava la disposizione dell'art. 233 D.P.R. n. 156 del 1973 che prevedeva che la servitù di telefonia potesse essere costituita solo per contratto o per atto amministrativo autoritativo, per cui era precluso alla Te. invocare la disciplina della servitù coattiva. La parte convenuta si costituiva in giudizio e, sollevate alcune eccezioni preliminari, contestava l'avversa domanda di cui chiedeva il rigetto, eccependo in particolare l'intervenuta prescrizione del diritto. Dopo avere espletato apposita C.T.U., volta a verificare l'effettiva sussistenza dell'occupazione lamentata dall'attore e l'eventuale danno subito, all'udienza del 23 ottobre 2023 la causa è stata riservata in decisione. In via preliminare si osserva che la convenuta ha eccepito l'improponibilità della domanda proposta dalla parte avversa per non avere quest'ultima provveduto ad espletare il necessario tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art.1 L. n. 249 del 31 luglio 1997 attuata con Del 182/02/Cons. che prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al C. (Comitato Regionale per le Comunicazioni) o ad altri organi non Giurisdizionali che rispettino i principi sanciti dalla Raccomandazione della Commissione 2001/310/CE come Camere di Commercio o Difensore Civico. Trattasi però di eccezione prima di pregio atteso che, per giurisprudenza costante, (cfr. tra le altre, Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 30 maggio 2019, n. 14779) "L'art. 1 comma 11 della L. n. 249 del 1997 norma che impone di esperire il tentativo di conciliazione prima di iniziare una controversia ha un ambito soggettivo delimitato, in quanto impone l'onere del tentativo di conciliazione solo in controversie che oppongano: a) utenti a soggetti autorizzati o titolari di licenze, dove per utenti si intendono coloro che, persone fisiche o giuridiche, "utilizzano o chiedono di realizzare servizi di telecomunicazioni accessibili al pubblico" (Delib. n. 182 del 2002), sempre che l'utente abbia stipulato un contratto di utenza telefonica, e quindi le controversie tra chi eroga il servizio e chi lo riceve; b) tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro, ossia tra soggetti che erogano il servizio di telecomunicazione, nelle controversie che, per via di tale erogazione, insorgano tra loro (Delib. n. 182 del 2002). Questo secondo ambito presuppone che i protagonisti della controversia siano, ciascuno, titolari di autorizzazione ad erogare il servizio (quindi, ad esempio, una controversia tra gestori)..." (Sentenza 30 maggio 2019, n. 14779). Nel caso di specie, l'attore ha esperito un'azione risarcitoria lamentando l'illegittima apposizione, da parte della T., di un palo e dei tralicci per il passaggio della corrente. Non muove pertanto nessuna delle contestazioni come innanzi delimitate, che impongono il ricorso alla procedura di conciliazione disciplinata dalla normativa richiamata. Si rileva inoltre che la domanda è procedibile, atteso che la controversia in esame attiene, come anzidetto, ad una domanda risarcitoria derivante dall'asserita occupazione illegittima della proprietà dell'attore e pertanto, non essendo relativa all'accertamento della sussistenza in capo al M. di diritti reali controversi, non è soggetta al previo esperimento del tentativo di mediazione. L'atto di citazione presenta inoltre i requisiti prescritti dagli articoli 163 e 164 c.p.c. Tale ultimo articolo, infatti, commina la sanzione della nullità della citazione nell'ipotesi in cui sia omessa l'esposizione dei fatti posti a fondamento della domanda oppure ne sia assolutamente incerto l'oggetto, ma dall'esame del contenuto complessivo dell'atto introduttivo (di cui occorre tenere conto, secondo quanto disposto, tra le altre, dalla sentenza della Cass. Civ. sez. II n.1681 del 29 gennaio 2015) non vi è dubbio che parte attrice abbia rappresentato, in maniera sufficientemente precisa, l'azione spiegata nonché la vicenda storica su cui la stessa si basa, in modo da consentire alla controparte di apprestare adeguatamente le proprie difese. Ciò premesso, deve a questo punto affermarsi, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, che nella fattispecie in esame la giurisdizione spetta al giudice ordinario adito. Ed invero, secondo Cass. S.U. n. 6962/1994, qualora una società concessionaria del servizio telefonico istalli propri impianti sul fondo altrui, senza che siano avvenuti provvedimenti ablatori, deve riconoscersi la facoltà del proprietario di detto fondo di adire il Giudice Ordinario, anche con domanda di rimozione di dette opere, atteso che si verte in tema di tutela di posizioni di diritto soggettivo, lese da comportamenti materiali non ricollegabili all'esercizio di poteri autoritari della P.A. Inoltre, il Consiglio di Stato ha stabilito che, ai sensi dell'art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998, la giurisdizione del Giudice Amministrativo sussiste tutte le volte in cui alla base dell'operato della P.A. vi sia un provvedimento e non si verta in un'ipotesi di comportamento di mero fatto. (C.d.S. Sentenza n. 7262 del 2003). Nel caso in esame, poiché si è in presenza di un comportamento materiale posto in essere da una società concessionaria di pubblico servizio in assenza di titoli autorizzativi e/o abilitativi, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non essendo in discussione la legittimità di provvedimenti della P.A. ma unicamente la liceità dell'attività materiale posta in essere dall'ente. Si rileva, inoltre, che risultano in atti le visure catastali che attestano la titolarità del diritto di proprietà delle particelle di cui è causa in capo all'attore, e dunque la sua piena legittimazione alla proposizione del presente giudizio. Venendo ora al merito della vicenda, si osserva quanto segue. La disciplina operante in materia è costituita dal D.Lgs. n. 259 del 2003 (codice delle comunicazioni elettroniche) ed in particolare ed in particolare gli art. 51 ( ex art. 90) e segg. L'art. 52 ( ex art. 91) prevede che negli impianti di reti di comunicazione elettronica di cui all'articolo 51, commi 1 e 2, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non vi siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto. 2. Il proprietario od il condominio non può opporsi all'appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto, nell'immobile di sua proprietà occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini. 3. I fili, cavi ed ogni altra installazione debbono essere collocati in guisa da non impedire il libero uso della cosa secondo la sua destinazione. Il successivo art. 53 ( ex art. 92) del medesimo decreto stabilisce, invece, che: Fuori dei casi previsti dall'articolo 52 (ex 91), le servitù occorrenti al passaggio con appoggio dei fili, cavi ed impianti connessi alle opere considerate dall'articolo 51, sul suolo, nel sottosuolo o sull'area soprastante, sono imposte, in mancanza del consenso del proprietario ed anche se costituite su beni demaniali, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, e della L. 1 agosto 2002, n. 166. Orbene, nella fattispecie in esame, dalle risultanze della CTU è emerso che la proprietà dell'attore è costituita da un fondo rustico, censito al foglio (...) della particella (...) del comune di B., ha una conformazione planimetrica regolare, ed un andamento planoaltimetrico leggermente scosceso, e forma uno spazio libero da edificazione, con scarsa vegetazione spontanea e del tutto inutilizzato, a differenza di quanto riportato nella descrizione della visura alla voce qualità colturale, che lo descrive quale seminativo arboreo di classe 2, e con un'estensione paria mq. 1.010, zona agricola (pag.3 della perizia). Come riferito dal CTU, "in una posizione quasi centrale rispetto al lato più lungo della particella ed a circa un paio di metri dal confine con la particella (...), insiste in pianta stabile una palificazione in legno singola ed autonoma della rete telefonica T., che serve le abitazioni limitrofe su due lati, precisamente verso la particella (...)...e verso la particella (...)" (cfr. pag. 5 dell'elaborato peritale in atti). Il CTU ha, inoltre, rilevato che la palificazione, insistente in quel punto da diversi anni, è stata oggetto di sostituzione da parte della ditta incaricata dalla Te. (cfr. pag.10). Orbene, in via generale si osserva che, come di recente ribadito dalla Corte di legittimità ( Cassazione n. 788/2022), il passaggio di fili, cavi e impianti telefonici, posto a servizio di più utenti, ma con appoggio alla proprietà di uno solo di essi necessita della costituzione di un diritto reale di uso, rientrante tra i pesi di diritto pubblico, che avviene tramite il consenso dell'utente che subisce il peso o, in mancanza, tramite l'attivazione della procedura ablatoria di cui agli artt. 90 e ss D.Lgs. n. 259 del 2003. In tema di installazione di cavi, fili ed impianti di telecomunicazione con appoggio alla proprietà altrui, si rileva che l'art. 51 (ex art. 90 primo comma) D.Lgs. n. 259 del 2003, stabilisce che gli impianti di telecomunicazione hanno natura di pubblica utilità agli effetti della normativa in materia di pubblica espropriazione. Come già detto, l'art. 52 del D.Lgs. n. 259 del 2003 dispone che, negli impianti di reti di comunicazione elettronica di cui all'articolo 51, commi 1 e 2, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi ai lati degli edifici ove non siano presenti finestre od altre aperture praticabili a prospetto. Il proprietario o il condominio non può opporsi all'appoggio di antenne, di sostegni, nonché al passaggio di condutture, fili o qualsiasi altro impianto nell'immobile di sua proprietà, occorrente per soddisfare le richieste di utenza degli inquilini o dei condomini (comma terzo) e deve sopportare il passaggio del personale dell'esercente il servizio, che dimostri la necessità di accedervi per l'installazione, riparazione e manutenzione degli impianti stessi (comma quarto). La disciplina positiva distingue, dunque, le ipotesi in cui l'imposizione di pesi alla proprietà altrui riflette una mera limitazione della proprietà altrui (art. 52), dai casi in cui è necessario - in mancanza del consenso del proprietario - il ricorso alla procedura espropriativa per costituire una vera e propria servitù (art. 53). Tra le prime ipotesi, rientrano il passaggio di fili e cavi senza appoggio al di sotto o al di sopra della proprietà, purché non avvenga dinanzi ai lati di edifici muniti di finestre o altre aperture (Cass. 15683/2006), e il passaggio nell'immobile da parte del personale del concessionario che dimostri la necessità di accedervi per l'installazione, riparazione e manutenzione degli impianti "di cui sopra". E', invece, necessaria l'adozione di un provvedimento ablatorio, impositivo di una vera e propria servitù ove il passaggio sia previsto con appoggio di fili, cavi ed impianti connessi alle opere di cui all'art. 51 o quando i cavi senza appoggio sia posti in corrispondenza di un lato dell'edificio ove sono collocate aperture (Cass. s.u. 571/1991; Cass. 15683/2006), ovvero se quelli in appoggio non servano solo alle utenze del proprietario del fondo su cui essi insistono ( Cassazione n. 4517/2021). Di conseguenza, il proprietario ha l'obbligo di concedere gratuitamente il passaggio e l'appoggio, sul proprio fondo, delle condutture telefoniche necessarie a collegare il suo apparecchio telefonico (ed oggi anche per l'adeguamento tecnologico della rete volti al miglioramento della connessione e dell'efficienza energetica), mentre detto obbligo non sussiste (e compete al titolare una giusta indennità) quando il passaggio e l'appoggio siano destinati a collegare anche apparecchi telefonici di terzi proprietari o inquilini di immobili vicini e risulti che l'essere le condutture telefoniche anche al servizio di altri, oltreché del proprietario del fondo attraverso cui passano, comporti per lui un sacrificio economicamente apprezzabile (Cass. 241/1988). E' con riferimento a tale ultima ipotesi che si è ritenuto che la cd. servitù telefonica di "passaggio con appoggio", sull'altrui fondo, di fili e simili non costituisca una servitù in senso tecnico (per mancanza del requisito della predialità e quindi dell'esistenza di un fondo dominante), ma "un diritto reale di uso" rientrante "tra i pesi di diritto pubblico di natura reale gravanti su beni ( cfr. Cassazione n. 788/2022 richiamata dalla Corte di Appello di Napoli n. 607/2023). Tanto premesso, considerato che l'impianto, come accertato dal CTU, è posto nella proprietà dell'attore ed è a servizio delle abitazioni limitrofe di terzi ubicate nella zona, era indispensabile il consenso del M. all'appoggio della linea telefonica nella sua proprietà, dovendosi costituire un diritto di natura reale. In definitiva, l'installazione, eseguita senza l'accordo con l'attore ( da stipulare in forza scritta vertendosi in materia della costituzione di un diritto reale ex art. 1350 c.c.) e senza il ricorso alle procedure ablatorie previste per legge, deve essere ritenuta- nella situazione considerata - abusiva ed illecita. E neppure sussiste un diritto di servitù della Te. sui fondi dell'attore che legittimi il passaggio della linea telefonica solo per il fatto che essa sia installata pubblicamente e pacificamente da oltre un ventennio. Si osserva infatti che il procedimento di imposizione delle c.d. servitù di passaggio di cavi telefonici è previsto espressamente dal legislatore e segue un iter procedimentale differente rispetto a quello relativo all'imposizione delle servitù coattive. Infatti, ai sensi dell'art. 53 ( ex art. 92) del D.Lgs. n. 259 del 2003, le servitù occorrenti al passaggio con appoggio di cavi occorrenti per la funzionalità di impianti telefonici, sono imposte, in mancanza del consenso del proprietario, ai sensi del D.P.R. n. 327 del 2001 e della L. n. 166 del 2002. La parte convenuta non ha fornito la prova che detto iter sia stato seguito e completato nel caso di specie. In atti non risulta prodotta alcuna determinazione amministrativa o comunque ricollegabile all'esercizio di poteri autoritativi della P.A. né alcun accordo tra le parti. Tuttavia, il Tribunale evidenzia che l'attore nel presente giudizio con l'atto introduttivo non ha avanzato domanda di condanna della convenuta al ripristino dello stato dei luoghi, mediante la rimozione del palo e della linea telefonica insistente nel fondo di sua proprietà (che, come anzidetto, è illegittima), bensì esclusivamente la condanna della controparte il risarcimento del danno patito. Il M. ha avanzato domanda di condanna della convenuta alla rimozione del palo in questione nella prima memoria istruttoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. Trattasi però di una domanda inammissibile in quanto formulata per la prima volta, come anzidetto, nella memoria di cui all'art. 183 sesto comma c.p.c. primo termine. E' infatti noto che detta memoria consente all'attore di precisare e modificare le domande già proposte, ma non di proporre domande nuove, come avvenuto nel caso di specie. Ciò premesso, il Tribunale ritiene che la domanda di risarcimento del danno avanzata dall'attore non è meritevole di accoglimento. L'attore deduce che la sistemazione del palo Te. abbia recato una lesione del diritto di proprietà in quanto ha pregiudicato il godimento e lo sfruttamento del proprio fondo. In merito il Tribunale, pur tenendo conto dell'orientamento affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 33645 del 15 novembre 2022 secondo cui la locuzione "danno in re ipsa" va sostituita con quella di "danno presunto" o "danno normale", privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui desumere il pregiudizio allegato, osserva che l'attore nel presente giudizio non ha allegato, in modo specifico e puntuale, quale sia stata la specifica possibilità di godimento perduta, a causa della parziale e limitata occupazione dei fondi di sua proprietà. In tale pronuncia la Suprema Corte ha, infatti, ribadito che quando l'azione dannosa attinge sulla base del nesso di causalità materiale il bene, l'evento di danno è rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà, ma affinché un danno risarcibile vi sia, perfezionandosi così la fattispecie del danno ingiusto, è necessario che al profilo dell'ingiustizia, garantito dalla violazione del diritto, si associ quello del danno conseguenza, e perciò la perdita subita e/o il mancato guadagno che, sulla base del nesso di causalità giuridica, siano conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso. L'evento di danno riguarda allora non la cosa oggetto di proprietà, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa; pertanto "il danno risarcibile è rappresentato dalla specifica possibilità di esercizio del diritto di godere che è andata persa quale conseguenza immediata e diretta della violazione, cagionata dall'occupazione abusiva, del "diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo". Il nesso di causalità giuridica si stabilisce così fra la violazione del diritto di godere della cosa, integrante l'evento di danno condizionante il requisito dell'ingiustizia, e la concreta possibilità di godimento che è stata persa a causa della violazione del diritto medesimo, quale danno conseguenza da risarcire. La Corte di Cassazione con tale pronuncia ha affermato il principio di diritto secondo cui "in tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza". Tanto premesso, il risarcimento del danno va computato tenendo conto della temporaneità della lesione del bene protetto dalle norme violate, non già avendo riguardo alla diminuzione di valore dell'immobile, essendo tale pregiudizio suscettibile di eliminazione. Orbene, alla luce di tali principi, si osserva che nel presente giudizio l'attore non ha allegato alcuna circostanza da cui desumere, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta. In proposito occorre evidenziare che, nel caso di specie, vi è stata un'occupazione minima del fondo dell'attore, in quanto il palo è posto nella proprietà del M. ad una distanza di circa un paio di metri dal confine con la particella (...), lungo la strada di acceso al fondo che si è creata in maniera alquanto naturale. Il CTU, inoltre, ha evidenziato che il fondo è di fatto inutilizzato per cui, ritiene il Tribunale, che non si ravvisa un'apprezzabile e concreta compromissione delle facoltà di godimento della proprietà. L'attore nulla ha dedotto, quanto al lucro cessante, in merito allo specifico pregiudizio subito. Non può ravvisarsi neppure un danno per la diminuzione di valore della proprietà, o di un danno collegato a "servitù e mancate indennità". A riprova di quanto appena affermato, si rileva che l'attore ha genericamente richiesto "il risarcimento di tutti i danni subiti" (cfr. conclusioni a pag. 5 dell'atto di citazione). Ne consegue che la relativa domanda di risarcimento danni deve essere rigettata. Le spese processuali e di CTU seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto del valore dichiarato dall'attore in citazione e contenuto entro 1.000,00 Euro. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, I sezione civile, definitivamente pronunciando sulla domanda avanzata da Mi.An. nei confronti della Te. s.p.a., ora Te. s.p.a., ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta la domanda; - condanna l'attore al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 662,00 per compenso di avvocato di cui Euro 131,00 per la fase di studio, Euro 131,00 per la fase introduttiva, Euro 200,00 per la fase istruttoria ed Euro 200,00 per la fase decisoria, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore dell'avv.to Je.Ke. ex art. 93 c.p.c.. - pone definitivamente le spese di CTU a carico dell'attore. Così deciso in Benevento l'1 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BENEVENTO I sezione civile -in persona della dott.ssa Floriana Consolante, con funzioni di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4821 R.G.A.C.C. dell'anno 2020, riservata per la decisione all'udienza del 27 settembre 2023, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., vertente TRA Pi.Fi., rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Ru., come da procura in atti; -attore- E Regione Campania (C.F.: (...)), in persona del Presidente p.t., elettivamente domiciliata in Benevento c/o Genio Civile via (...), rappresentata e difesa dagli avvocati Gr.Ma. e An.Ca. dell'Avvocatura Regionale, come da procura in atti; -convenuta- MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, Pi.Fi. conveniva in giudizio la Regione Campania per sentirla condannare al risarcimento dei danni alla propria autovettura verificatisi in conseguenza del sinistro stradale occorsogli in data 26/10/2020 alle ore 21.50 circa, allorquando si trovava alla guida della vettura di sua proprietà marca JEEP, modello Compass, tg. (...) che, percorrendo la S.R. "Fondo V.I." con direzione B.-S. de' G. (B.), veniva urtata violentemente, nel territorio del Comune di Dugenta (Bn), da un cinghiale che attraversava improvvisamente la carreggiata. L'attore asseriva che, in conseguenza del violento impatto, l'animale era deceduto e che il veicolo aveva subito un danno per la somma di Euro 8.425,25, oltre agli ulteriori danni dovuti alla sosta tecnica, ed ai costi sostenuti per bollo auto, premio assicurativo etc., nonostante il mancato utilizzo dell'autovettura, da liquidarsi in via equitativa. L'attore imputava la responsabilità dell'evento dannoso alla Regione Campania ai sensi dell'art. 2043 c.c. quale titolare della competenza normativa in materia di gestione, tutela e controllo di tutte le specie di fauna selvatica. Si costituiva in giudizio la Regione Campania la quale contestava l'avversa domanda, di cui chiedeva il rigetto, eccependo in particolare di non essere tenuta alla manutenzione ed apposizione di cartellonistica stradale di segnalazione di pericolo sulla S.P. 115 ove si era verificato il sinistro che era appartenente all'A.. Deduceva inoltre che la normativa di riferimento (L. n. 157 del 1992 e L.R. Campania n. 26 del 2012) attribuiva alle province la quasi totalità dei poteri di amministrazione e gestione della fauna selvatica. Chiedeva infine una riduzione nella quantificazione del danno nell'ipotesi in cui fosse accertato un concorso causale di responsabilità dell'attore nella verificazione del sinistro, secondo quanto disposto dall'art. 1227 c.c., comma 1. Dopo l'assegnazione dei termini di cui all'art. 183 6 c.p.c., all'udienza del 3 ottobre 2022 veniva escusso un solo testimone. La causa era riservata in decisione all'udienza di precisazione delle conclusioni del 27 settembre 2023 con la concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. La domanda è infondata, e pertanto non meritevole di accoglimento. In via preliminare, occorre inquadrare la fattispecie sottesa all'azione risarcitoria promossa da Pi.Fi.. Questi invero agisce in giudizio imputando la responsabilità del sinistro occorsogli alla Regione Campania poiché l'incidente si è verificato a causa dell'attraversamento improvviso della carreggiata da parte di un cinghiale. Invoca, in particolare, la disciplina risarcitoria di cui agli articoli 2043 e 2052 c.c. Orbene, il più recente orientamento della Suprema Corte, che si ritiene di condividere (cfr. Cass. n. 7969 del 20 aprile 2020), segna un completo revirement giurisprudenziale in materia, la quale era precedentemente regolamentata dall'art. 2043 c.c. Secondo la Cassazione, infatti, per i danni causati dalla fauna selvatica è applicabile l'art. 2052 c.c. rubricato "danno cagionato da animali", poiché tale norma non contiene alcuna espressa limitazione agli animali domestici, né presuppone la sussistenza di un'effettiva custodia dell'animale da parte dell'uomo (diversamente da quanto richiesto dall'art. 2051 c.c.), bensì unicamente la proprietà dello stesso. Ne consegue che il diritto di proprietà sancito dalla L. n. 157 del 1992, formalmente riconosciuto in capo allo Stato, ma la cui gestione è rimessa alle singole regioni, in relazione alla fauna selvatica -tra cui rientrano i cinghiali- è idoneo a determinare l'applicabilità del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. La fauna selvatica, di proprietà indisponibile pubblica, è dunque nell'utilizzo delle Regioni, quali enti a cui sono attribuite ex lege le competenze per la tutela, la gestione e il controllo del patrimonio faunistico (sul punto, v. Cass. n. 7969/2020: appare corretta l'impostazione di chi afferma che, avendo l'ordinamento stabilito, con legge dello Stato, che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici, precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato, quale suo patrimonio indisponibile e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, con l'attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l'applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c.). Tali soggetti, in base alla normativa richiamata, vanno individuati certamente, ed esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono le Regioni gli enti territoriali cui spetta, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni. Sono dunque in sostanza le Regioni gli enti che "utilizzano" il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema la quale, pertanto, è gravata della presunzione ex lege. Pertanto, la responsabilità per i danni derivati a terzi dalla fauna selvatica fa capo alla Regione, anche se quest'ultima abbia delegato i relativi poteri alla Provincia. Deriva da quanto sopra che la Regione, al fine di escludere la propria responsabilità per i danni patiti dal terzo, deve dimostrare che all'ente delegato - cioè alla Provincia - è stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere l'attività in modo da potere efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi inerenti all'esercizio dell'attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass. n. 4202/2011; Cass. 3384/2015). In relazione a questa fattispecie, la legittimazione passiva ex art. 2052 c.c. spetta, pertanto, in via esclusiva all'ente regionale che, ove assuma che il danno sia stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, potrà rivalersi nei suoi confronti, laddove lo ritenga opportuno chiamandolo in causa nello stesso giudizio azionato dal danneggiato nei suoi confronti, onde esercitare la rivalsa (in tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell'ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari). Sicché, spetta alla Regione di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si è posta al di tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi (Cass. n. 37595/2022; Cass. n. 9677/2022; Cass. n. 3292/2022). Se le Regioni sono tenute a predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrechino danno a persone e cose è evidente che sulle stesse si fa gravare un tipo di responsabilità che prescinde dalla previa individuazione di una condotta colposa, rilevando, invece, la mera posizione di controllore rispetto alla fonte del rischio. D'altro canto, l'affermazione di una tale responsabilità è già racchiusa nell'art. 26 della L. n. 157 del 1992, laddove si prevede la costituzione di un fondo per il risarcimento dei danni "arrecati alla produzione agricola e alle opere approntate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in particolare da quella protetta, e dall'attività venatoria", ovvero a livello regionale si è prevista l'estensione del meccanismo indennitario no fault anche per i sinistri stradali. Appare evidente che a livello di regolazione pubblica è stato previsto un meccanismo di tipo indennitario gravante sul soggetto al quale sono state assegnate le funzioni di controllo e gestione del rischio anche mediante la pianificazione faunistico-venatoria. Tuttavia, ai fini della responsabilità scaturente dalla richiamata norma, occorre comunque, ed in via preliminare, fornire prova dell'evento e del nesso di causalità tra la condotta improvvida dell'animale ed il danno causato. Ebbene, tale prova non è stata fornita. La documentazione versata in atti e le risultanze dell'attività istruttoria orale espletata non hanno fornito la prova dei fatti dedotti dall'attore. Si evidenzia che le riproduzioni fotografiche depositate dal F. unitamente all'atto di citazione non recano data per cui non possono essere ricondotte, con certezza, all'arco temporale nel quale l'incidente si sarebbe verificato. In particolare, la foto di cui all'allegato B -non recante alcuna data- raffigura un animale deceduto, riverso sull'asfalto, che peraltro non appare di grosse dimensioni, come invece dichiarato da C.M.G., madre dell'attore ed unica teste escussa in corso di causa, la quale ha affermato di trovarsi in macchina al momento dell'impatto. Allo stesso modo, le 14 riproduzioni fotografiche di cui all'allegato D, relative ai danni al veicolo di proprietà del F. non recano data, per cui non può affermarsi con certezza che raffigurino il veicolo in seguito all'impatto con un animale selvatico. Le foto non ritraggono l'automobile dell'attore nell'immediatezza dell'evento che sarebbe avvenuto di sera verso le 21:50. Nelle foto prodotte dall'attore il veicolo appare già in fase di smontaggio. Il paraurti anteriore del veicolo ( vedi ultima foto Allegato D) presenta dei danni che non sembrano compatibile con il descritto violento impatto con un cinghiale, né sullo stesso si vedono tracce di sangue dell'animale raffigurato nell'allegato B. A ciò si aggiunga che nell'immediatezza dell'evento non sono intervenute forze dell'ordine, che avrebbero potuto rilevare la presenza del cinghiale e constatare la verificazione dell'evento. Anche la testimonianza resa dall'unico teste indicato dall'attore, C.M.G., all'udienza del 3 ottobre 2022 non ha fornito elementi utili ai fini della ricostruzione della dinamica dell'evento, atteso che la teste ha riferito che "la macchina era tutta sfasciata sulla parte anteriore e non poteva marciare" (cfr. verbale in atti), così dando una descrizione dello stato del veicolo non rispondente alle riproduzioni fotografiche. A ciò si aggiunga che la teste, in merito a diversi capi di domanda, ha affermato di non ricordare. La teste ha dichiarato: "Non ricordo nulla di ciò che è avvenuto subito dopo perchè ho avuto uno shock. Non ricordo se vennero chiamati i Carabinieri o i soccorsi. Non ricordo come siano tornati a casa dopo l'incidente". In proposito va rilevato che la testimonianza è stata resa a distanza di circa due anni dall'evento per cui è inverosimile che la testimone non ricordasse le circostanze dell'evento lamentato. Né l'attore ha indicato quale teste il carrozziere che ha riscontrato i danni al veicolo il quale avrebbe potuto riferire in merito alle modalità di recupero dell'autovettura e allo stato in cui la stessa si trovasse nell'immediatezza dell'evento, considerato che, come prima detto, le foto raffigurano la macchina in una fase successiva al sinistro, e cioè già in fase di smontaggio all'interno dell'autofficina. Ed inoltre, si osserva che, se effettivamente il veicolo non era marciante dopo il sinistro, allora sarebbe stato necessario l'intervento nell'immediatezza di un carroattrezzi per il suo recupero. Diversamente dalle risultanze processuali non è emerso che sia intervenuto un mezzo di soccorso. In conclusione, l'attore non ha fornito la prova rigorosa della verificazione dell'evento, come descritto in citazione, per cui la domanda risarcitoria deve essere rigettata sotto il profilo dell'an, non sussistendo alcuna prova della responsabilità ai sensi dell'art. 2052 c.c. in capo alla Regione Campania. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022. Vanno ridotti della metà i compensi tabellari medi, in considerazione della non complessità delle questioni di fatto e di diritto oggetto del giudizio e dell'attività istruttoria effettivamente espletata; va altresì escluso il compenso per la fase decisoria, in quanto la convenuta non è comparsa all'udienza di precisazione delle conclusioni e non ha depositato gli scritti difensivi di cui all'art. 190 c.p.c. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, I sezione civile, definitivamente pronunciato sulla domanda avanzata da Pi.Fi. nei confronti della Regione Campania (C.F.: (...)), in persona del Presidente p.t., ogni altra eccezione ed istanza disattesa, così provvede: rigetta la domanda avanzata dall'attore; condanna l'attore al pagamento in favore della Regione Campania delle spese processuali liquidate in Euro 1690,00 per competenze di avvocato, di cui Euro 460,00 per la fase di studio, Euro 390,00 per la fase introduttiva ed Euro 840,00 per la fase istruttoria, oltre rimborso forfettario spese generali, IVA e CPA come per legge. Così deciso in Benevento l'1 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BENEVENTO Prima Sezione CIVILE in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Enrica Nasti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause civili iscritte ai nn. 4940 e 5119 Registro Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 avente ad oggetto: "altri istituti del diritto delle locazioni e risoluzione del contratto di locazione per inadempimento uso abitativo", decisa all'udienza del 4 marzo 2024 TRA Co.Gi., rappresentata e difesa dall'avv. Ma.Ri., giusta mandato in atti - ricorrente nel proc. n. 4940/20 - -resistente nel proc. 5119/20- E De.De., rappresentata e difesa dall'avv. Al.Ce., come da procura in atti -resistente nel proc. n. 4940/20- -ricorrente nel proc. n. 5119/20- MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto citazione notificato come in atti, Co.Gi., premesso di essere proprietaria di un'unità immobiliare sita in B. alla via M. P. n. 142, concessa in locazione alla resistente con contratto sottoscritto il 5.6.2019, conveniva in giudizio la conduttrice per sentire pronunciare la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, essendo nelle more l'immobile divenuto inagibile e pericoloso a causa di una intercapedine tra la sede stradale ed il palazzo e un avvallamento del solaio causato da infiltrazioni delle acque piovane, con condanna al pagamento dei canoni maturati sino al rilascio e al risarcimento per occupazione sine titulo. Costituitasi in giudizio, la conduttrice, chiedeva in via preliminare la riunione del procedimento ad altro pendente tra le stesse parti ed avente ad oggetto la risoluzione del medesimo contratto di locazione per inadempimento del locatore; nel merito, deduceva l'infondatezza della domanda della ricorrente e chiedeva la risoluzione del contratto per grave inadempimento del locatore ai sensi degli artt. 1575, 1578 e 1581, con condanna alla restituzione del deposito cauzionale e al risarcimento dei danni patrimoniali subiti per il trasloco, nonché alla restituzione dei canoni percepiti da settembre 2020 a febbraio 2021, in funzione e conseguenza del limitato/ridotto godimento dell'immobile. Con ordinanza del 10 marzo 2021, il precedente giudice istruttore disponeva la riunione del presente procedimento a quello rg n. 5119 del 2020 avente il medesimo oggetto e le stesse parti. Disposto il mutamento del rito, integrati gli atti introduttivi e svolta l'istruttoria, all'udienza del 4 marzo 2024, preso atto delle note depositate, la causa veniva decisa. Ciò premesso, deve essere rigettata la domanda di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1463 c.c.. E' noto che "la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 c.c., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione" (Cass. n. 18047 del 2018; Cassazione nr. 26958 del 20.12.2007). E' stato in particolare precisato che "In tema di risoluzione del contratto, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l'adempimento della prestazione da parte del debitore o l'utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell'obbligazione" (Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 20811 del 02/10/2014). Le norme che disciplinano l'impossibilità sopravvenuta della prestazione presuppongono che l'impossibilità sia addebitabile a fatto imputabile all'altro contraente o a ragioni obiettive e non quando la inutilizzabilità del bene sia eziologicamente ricollegabile ad un inadempimento dell'obbligo assunto con contratto. La disciplina generale in tema di estinzione del rapporto contrattuale per sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile alle parti ex art. 1463 ss. c.c. (cfr. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 9/6/2003, n. 9199) viene in considerazione quale rimedio all'alterazione del sinallagma funzionale che rende irrealizzabile la causa concreta (v. Cass., 25/5/2007, n. 12235) e comporta l'automatica risoluzione ex lege del contratto, con liberazione del debitore dall'obbligazione divenuta impossibile che nello stesso trovava fonte. Nella specie, non può trovare accoglimento la domanda di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, essendo piuttosto emerso dall'istruttoria che, pur presentando l'immobile locato infiltrazioni e lesioni, le stesse non erano tali da rendere l'immobile inagibile o insalubre. In particolare, il Ctu nominato in sede di atp ha evidenziato che i danni riportati all'appartamento sono determinati dall'infiltrazione di acque provenienti da monte e dalla strada Comunale di cui alla Particella (...) Foglio (...). In particolare ha rilevato che i danni riscontrati già a settembre 2020 derivano dalla cattiva regimazione delle acque provenienti dalla strada antistante il fabbricato, priva di marciapiede, cunetta di raccolta acque e di una corretta disposizione delle pendenze; pertanto tutte le acque di pioggia provenienti dai terreni di monte e quelle che si riversavano sulla strada stessa finivano per infiltrarsi nel terreno adiacente alla parete del fabbricato determinando fenomeni di umidità di risalita e piccoli cedimenti del terreno di fondazione su cui è costruita la porzione di fabbricato interessata dalle lesioni. Con integrazione depositata in data 29.3.2022 il consulente ha precisato che, pur trattandosi di cedimenti fondali dovuti alla cattiva regimazione delle acque di ruscellamento provenienti dalla strada e pur essendo la dimensione delle lesioni tale da interessare lo strato pellicolare della muratura, non si nota evoluzione del fenomeno con incremento del quadro fessurativo. Ha pertanto ritenuto che le lesioni presenti non comportino pericolo per l'incolumità dei conduttori. Ha infine precisato che le lesioni riscontrate (che interessano due sole stanze dell'appartamento) possono essere riparate con interventi poco invasivi (circoscritti alla singola stanza) e cadenzati in modo da tenere occupata una stanza per volta, escludendo l'inagibilità del fabbricato. Pertanto nella specie, non potendosi ritenere sussistente il presupposto di cui all'art. 1463 c.c. come innanzi precisato va rigettata la domanda della ricorrente di risoluzione per impossibilità sopravvenuta. Né può trovare accoglimento la domanda di pagamento canoni e risarcimento danni per occupazione abusiva avendo parte resistente provato di aver rilasciato l'immobile in data 22.2.2021 e di aver fino a quel momento pagato il canone. Parimenti non può essere accolta la domanda di risoluzione per inadempimento del locatore. Com'è noto, ai sensi dell'art. 1575 c.c. il locatore deve consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione, mantenerla in stato da servire all'uso convenuto e garantirne il pacifico godimento; ai sensi del successivo art. 1578 c.c. se al momento della consegna la casa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, allorché si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. In caso di vizi sopravvenuti nel corso della locazione si osservano, in quanto applicabili, le stesse disposizioni ai sensi dell'art. 1581 c.c.. Come precisato dalla giurisprudenza, salvo diversa pattuizione, l'inidoneità della cosa locata rispetto all'uso pattuito non legittima il conduttore a chiedere al locatore un adeguamento della cosa stessa attraverso una sua ristrutturazione, ma consente di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento o una riduzione del corrispettivo (Cass. n. 3341 del 2001). Poiché il proprietario locatore ha l'obbligo di consegnare al conduttore la res locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto (ex art. 1575 c.c. nn. 1 e 2 c.c.), grava su di lui una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito ovvero al fatto illecito del terzo (cfr. Cass. n. 10389/05: nella specie, il Supremo Collegio ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del locatore, in quanto le infiltrazioni d'acqua, causa di danno al conduttore, provenivano da proprietà di terzi, e in particolare da un terrazzino condominiale e da strada pubblica). Costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 c.c., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione (sent. n. 2605-95) Grava sul conduttore (anche per ovvie ragioni di vicinanza della prova) l'onere di individuare e dimostrare l'esistenza del vizio che diminuisce in modo apprezzabile l'idoneità del bene all'uso pattuito, spettando invece al locatore convenuto di provare, rispettivamente, che i vizi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, laddove intenda paralizzare la domanda di risoluzione o di riduzione del corrispettivo, ovvero di averli senza colpa ignorati al momento della consegna, se intenda andare esente dal risarcimento dei danni derivanti dai vizi della cosa (Cass. n. 3548 del 2017). Ancora, con specifico riferimento all'abitabilità, è stato precisato che non costituisce inadempimento né causa d'invalidità del contratto la consegna di bene privo di concessione edilizia e licenza di abitabilità, salvo che tale fatto, ignoto al momento della conclusione, pregiudichi la possibilità di godimento del bene (Cass. n. 13651 del 2014; Cass. n. 6121 del 2000; T. Roma 20.10.1994). Ciò premesso, nel caso di specie, non può accogliersi la domanda di risoluzione per inadempimento del locatore, non potendosi ritenere sussistente nella specie una effettiva compromissione nel godimento del bene imputabile al locatore, essendo anzi emerso dalla ctu espletata non solo che l'immobile per cui è causa è agibile, ma anche che lesioni riscontrate (che interessano due sole stanze dell'appartamento) possono essere riparate con interventi poco invasivi (circoscritti alla singola stanza) e cadenzati in modo da tenere occupata una stanza per volta. Ne deriva che, in assenza di elementi da cui evincere una effettiva compromissione totale del godimento del bene locato, anche la domanda di parte resistente deve essere rigettata, assorbita ogni domanda di risarcimento danni. Quanto alla domanda di restituzione del deposito cauzionale è noto che lo stesso assolve la funzione tipica di garanzia per il locatore del corretto adempimento di tutte le obbligazioni poste a carico del conduttore dal contratto o dalla legge e che la somma costituita a titolo di deposito non può essere imputata dal conduttore in conto canoni. Nella specie, deve accogliersi la domanda di restituzione del deposito cauzionale, avendo la conduttrice restituito l'immobile in data 22 febbraio 2021, come si evince dal verbale in atti, nelle mani del marito della ricorrente che ha accertato lo stato dell'immobile e ha rinunciato ai lavori di tinteggiatura (cfr. dichiarazione in atti). Priva di riscontro è rimasta la deduzione di parte ricorrente di aver già scomputato la cauzione dal pagamento delle mensilità, avendo la resistente provato di aver pagato le mensilità. Le spese del giudizio vanno integralmente compensate. Le spese di ctu sono poste definitivamente a carico di tutte le parti in quota uguale ed in solido. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: -rigetta la domanda di risoluzione della ricorrente; -rigetta la domanda di risoluzione per inadempimento del locatore; -condanna Co.Gi. al pagamento in favore di De.De. della somma di 800,00, a titolo di cauzione; -compensa integralmente le spese di lite; -pone definitivamente le spese di ctu, liquidate come da separato decreto, a carico di tutte le parti in quota uguale ed in solido. Così deciso in Benevento il 4 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO I SEZIONE CIVILE ha pronunziato, in persona del giudice unico dr. Leonardo Papaleo, la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2753 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2021 avente ad OGGETTO: risarcimento danni da diffamazione TRA Mi.An., c.f. (...), elett.te dom.to in Avellino, alla via (...), presso lo studio dell'avv. Lu.Tr., dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti ATTORE E Vi.De., c.f. (...), elett.te dom.to in Salerno, alla via (...), presso lo studio dell'avv. Am.Mo., dal quale è rapp.to e difeso, giusta procura in atti, unitamente all'avv. An.Ca. CONVENUTO RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato Mi.An. conveniva in giudizio Vi.De., deducendo: che, ad inizio 2020, era dipendente e gestore unico del bar "Ti.", sito in Ariano Irpino (Av) alla via (...); che verso la fine di febbraio 2020 contraeva l'infezione da Covid 19 e veniva ricoverato presso l'Os.Mo., ove vi restava dal 6.3.2020 al 14.4.2020, data in cui veniva dimesso con diagnosi di "polmonite interstiziale ed etiologica da Sars-Cov-2; che, in data 22.5.2020, il Presidente della Giunta regionale, Vi.De., in una conferenza stampa tenutasi per aggiornare sulla situazione epidemiologica della Campania, affermava che ad Ariano Irpino, prima zona rossa d'Italia dal 15 marzo al 22 aprile 2020, la situazione era stata determinata dai comportamenti di "una decina di irresponsabili", i quali avevano causato "un danno immenso ad Ariano e a tutta la provincia di Avellino"; che, in particolare, il De. faceva riferimento, tra l'altro, anche al comportamento di un barista che era tornato da Milano e aveva continuato a lavorare, contagiando gli avventori del bar; che, nonostante non fosse stato fatto il nome del Mi., chiaro e agevole era il riferimento a questi, essendo nota la sua vicenda nella comunità di Ariano Irpino per avere gli organi di stampa locale diffuso, dapprima, la notizia del suo ricovero e, poi, quella del miglioramento delle sue condizioni; che, in conseguenza di ciò, molti cittadini arianesi iniziavano a muovere accuse all'istante; che, in particolare, il sig. Ni.Se., fratello di Fi.Se., abituale frequentatore del bar, deceduto il 23.3.2020 per coronavirus, indirizzava al Mi. una missiva, ritenendolo responsabile della morte del germano e preannunciando azioni legali; che, pertanto, a causa delle dichiarazioni del De., il Mi. si vedeva additato di responsabilità che non aveva, dal momento che non aveva effettuato alcun viaggio a Milano e ai primi sintomi della malattia aveva chiuso il bar; che, inoltre, il Mi. non aveva violato alcuna norma di legge o regolamentare, essendo egli stato ricoverato il 28.2.2020 allorquando non erano state varate norme per il contenimento dell'emergenza epidemiologica; che, in seguito al discredito ricevuto, il bar si vedeva costretto a chiudere l'attività e il Mi. veniva licenziato in data 25.5.2020; che, quindi, la condotta del De. era diffamatoria, avendo causato, oltre al danno economico, la lesione dell'onore e della reputazione dell'istante; che il procedimento di mediazione aveva avuto esito negativo per la mancata partecipazione del De.. Chiedeva, pertanto, l'accertamento della condotta diffamatoria del convenuto e la condanna di questi al risarcimento del danno pari a Euro 100.000,00 o alla diversa somma ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione; oltre la pubblicazione della emananda sentenza sui principali quotidiani. Si costituiva il De., il quale eccepiva: il difetto di legittimazione passiva, per essere stato evocato in persona e non nella qualità di Presidente della Giunta regionale; che la mediazione non era stata instaurata correttamente, non essendo pervenuta alcuna notifica dell'attivazione del procedimento; che gli addebiti mossi erano infondati; che dalle deduzioni attoree non poteva dirsi che il soggetto passivo della diffamazione andava identificato nel M.; che la situazione venutasi a creare ad Ariano Irpino era stata eccezionale (211 casi contro i 33 di Avellino; 26 volte in più il numero di decessi); che l'avere stigmatizzato comportamenti, per come comunicati dalla locale Asl, contrari a regole poste a tutela della salute pubblica rientrava nella strategia di contrasto all'emergenza epidemiologica; che, peraltro, l'attendibilità della fonte (A. di A.) rendeva immune da censure la dichiarazioni del resistente; che, ad ogni modo, indimostrato era il danno patito e abnorme era la somma richiesta. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda. Assegnato con ordinanza del 21.10.2021 termine per introdurre la mediazione, all'udienza cartolare del 25.3.2022 venivano concessi i termini istruttori ex art. 183, co. 6, c.p.c. e con ordinanza del 15.9.2022 venivano ammesse le prove orali, poi espletate nelle udienze del 3.11.2022, 3.2023 e 13.4.2023. Senonché, ritenuta matura per la decisione, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni al 30.11.2023, allorquando veniva assegnata a sentenza con i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Il Tribunale osserva. Preliminarmente, va rigetta l'eccezione di difetto di legittimazione passiva avanzata dal resistente, per essere stato citato in persona e non nella qualità di Presidente della Giunta regionale per la Campania, essendo al riguardo sufficiente osservare che il giudizio è stato intrapreso sulla base di una ritenuta responsabilità penale, come tale personale, per il reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p., aggravato dall'attribuzione di un fatto determinato (co. 2) e a mezzo di pubblicità (co. 3). Sempre in via prioritaria, va disattesa l'eccezione secondo cui le dichiarazioni del De. non sarebbero riferibili al Mi. perché mai nominato. A tal riguardo, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. nn. 17207/2015, 25420/2017, 8476/2020), anche a Sezioni Unite (sent. nn. 6965/2017, 15897/2019), è consolidata nell'affermare che, in tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato, purché la sua individuazione avvenga, in assenza di una esplicita indicazione nominativa, attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva diverse da quella della cui illiceità si tratta, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita. In egual senso milita anche la giurisprudenza penale della S.C. (Cass. nn. 10307/1993, 23579/2014, 51096/2014, 24065/2016, 3809/2018, 2598/2021, 10762/2022). Nel caso che occupa è agevole ricondurre le dichiarazioni del De. ("Ho ringraziato i cittadini di Ariano. Ovviamente siccome credo che dobbiamo parlare chiaro non ringrazio quella decina di irresponsabili che ad Ariano ha determinato questo problema grave, gravissimo... poi il gestore di un bar, uno dei primi quattro casi positivi, che è andato a Milano a trovare un familiare, poi è tornato, ha continuato a lavorare nel suo bar, contagiando clienti e vi dicendo e i tanti frequentatori abituali del bar") al Mi., se sol si considera, data anche la dimensione ristretta della comunità arianese, la risonanza che i giornali locali, versati in atti dall'attore, avevano dato al ricovero del Mi., identificandolo come il "barista di Ariano Irpino". Invero, dall'estratto del quotidiano "Irpinia Oggi" del 8.3.2020, è dato leggere, dopo il titolo "Coronavirus, adesso sono 4 gli irpini contagiati, uno è in rianimazione", che "altre due persone sono risultate positive al coronavirus... dopo il barista di 61 anni (trasferito in Rianimazione al Moscati di Avellino)"; ancora, l'estratto del quotidiano "Ariano News" del 29.3.2020 recita, dopo il titolo "Ariano, primo paziente estubato" che "c'è il primo paziente affetto da Covid-19 estubato dal reparto di terapia intensiva guidato dal primario A.S.. Si tratta del barista sessantunenne di Ariano Irpino che è stato tra i primi ricoverati della città del Tricolle finiti intubati a causa dell'infezione da COVID-19. Si tratta del primo paziente affetto da COVID-19 ed è stato estubato nell'unità operativa di anestesia e rianimazione dell'azienda ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino"; infine, il medesimo giornale, il 30.3.2020 titola "Il barista di Ariano Irpino migliora sempre di più: A. esce dal reparto di Rianimazione" e prosegue, affermando che "migliora ora dopo ora il 61enne di Ariano Irpino estubato due giorni fa. A., il barista molto noto nella città del Tricolle, non è più ricoverato in rianimazione. La sua progressiva ripresa fisica ha indotto i medici del reparto dell'Os.Mo., guidato da A.S., a trasferirlo in un altro reparto della struttura di contrada Amoretta. Il 61enne, dunque, migliora e, pian piano, sta vincendo la sua lotta contro il COVID-19. A., sposato e padre di un figlio, è il paziente 1 del Coronavirus che è interessato Ariano Irpino". Orbene, se si confrontano i dati emersi dalla stampa locale con quelli a disposizione del giudizio (nome, sesso, età, residenza e famiglia dell'attore; cartella clinica dell'ospedale), si deduce agevolmente che il soggetto a cui ebbe a rifarsi il De. è il M.. Ciò posto ed entrando nel merito, va rammentato come, in tema di diritti della personalità umana, esista un vero e proprio diritto soggettivo perfetto alla reputazione personale, anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria, che va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, traendo nella Costituzione il suo fondamento normativo (Corte Cost. nn. 184/1986, 479/1987), in particolare nell'art. 2 (oltre che nell'art. 3, che fa riferimento alla dignità sociale), il quale, nell'affermare la rilevanza costituzionale della persona umana in tutti i suoi aspetti, comporta che l'interprete, nella ricerca degli spazi di tutela della persona, sia legittimato a costruire tutte le posizioni soggettive idonee a dare garanzia, sul terreno dell'ordinamento positivo, ad ogni proiezione della persona nella realtà sociale, entro i limiti in cui si ponga come conseguenza della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali nelle quali si esplica la sua personalità. L'espresso riferimento alla persona come singolo rappresenta, quindi, valido fondamento normativo per dare consistenza di diritto alla reputazione del soggetto, in correlazione anche all'obiettivo primario di tutela "del pieno sviluppo della persona umana", di cui al successivo art. 3 cpv. Cost. (implicitamente su questo punto Corte Cost. 3 febbraio 1994, n. 13). Difatti, nell'ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento costituzionale, il diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione, trattandosi, pertanto, di diritti omogenei poiché unico è il bene protetto (Cass. n. 6507/2001). Con particolare riguardo, poi, al risarcimento del danno da diffamazione, è stato chiarito che esso va inquadrato nella forma della sofferenza soggettiva causata dall'ingiusta lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità, all'immagine, all'onore e alla reputazione della persona ex artt. 2 e 3 Cost. (S.U. n. 26972/2008), ma che tale danno, di cui si invoca il risarcimento, non è "in re ipsa", ma costituisce un danno conseguenza, che si identifica non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di accertamento sulla base non di valutazioni astratte bensì del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e dimostrato, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, che siano fondate, però, su elementi indiziari diversi dal fatto in sé, assumendo quali parametri di riferimento la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale (Cass. nn. 13153/2017, 25420/2017, 30956/2017, 7594/2018, 31537/2018, 4005/2020, 8861/2021) Applicando i superiori princìpi al caso di specie, la domanda va respinta. La principale, sebbene non esclusiva, funzione del risarcimento del danno è quella compensativo-riparatoria (S.U. n. 16601/2017), tale per cui il soggetto danneggiato deve essere messo nella stessa "curva di indifferenza" in cui si trovava prima dell'illecito. In altri termini, il risarcimento ha il compito di allocare i danni, di modo che tra la situazione anteriore al fatto dannoso e quella successiva al ristoro (in formo specifica o per equivalente) non vi sia differenza. Tali coordinate ermeneutiche, applicate alla responsabilità per diffamazione, implicano che il soggetto danneggiato, a seguito della condotta diffamatoria, debba trovarsi in una situazione in cui la considerazione che di questi hanno le persone con cui interagisce sia diminuita, al punto da potersi dire lesi la sua reputazione e il suo onore (Cass. n. 8397/2016): quest'ultimi da valutare "in abstracto", cioè per come formatisi nella comune coscienza sociale di un determinato momento, e non "quam suis", cioè in base alla considerazione che ciascuno ha del danneggiato (cfr., all'uopo, Cass. 10 maggio 2001, n. 6507). Nel caso che occupa non è revocabile in dubbio che le informazioni date nella conferenza stampa tenuta dal De. non fossero attendibili. Invero, il testimone del convenuto, G.M., direttore del Servizio di epidemiologia dell'A. di A., ha riferito che all'A.S.L. non risultava che il Mi. fosse stato a Milano, né che avesse continuato ad esercitare l'attività fino all'insorgere dei sintomi; l'altro testimone del convenuto, O.M., allora direttore del Dipartimento di Prevenzione dell'A. di A., parimenti ha dichiarato di non essere in possesso di tali dati. Anche la convivente, nonché teste, dell'attore, V.M., ha detto che il compagno non era stato a Milano. Peraltro, si tratta di informazioni che, anche ove veritiere, non avrebbe avuto rilevanza, in termini di responsabilità, nei confronti del Mi., nel senso che alla data di ricovero dell'attore presso il Moscati di Avellino (6.3.2020: cfr. certificato versato in atti), non erano ancora in atto misure di contenimento dell'emergenza epidemiologica, indi per cui qualsiasi condotta da questi tenuta (muoversi sul territorio nazionale; lavorare nonostante i sintomi del covid) non avrebbe potuto essere tacciata come contra legem. Ciò posto, non è, però, dimostrata, in termini di danno-conseguenza, una concreta lesione dell'onore o della reputazione dell'attore. Invero, l'istruttoria svolta non ha permesso di appurare una concreta diminuzione della considerazione del Mi. da parte dei suoi consociati. Il teste S.N. ha genericamente affermato di avere appreso indirettamente dalla gente di Ariano Irpino che all'attore sarebbero arrivate telefonate in cui gli si sarebbe dato dell'irresponsabile, del delinquente e dell'untore. Trattasi, tuttavia, di testimonianza de relato, generica e non supportata, da altri elementi oggettivi e concordanti atti a suffragarne la credibilità (cfr. Cass. 05.01.1998 n. 43; Cass. 23.12.2003 n. 19774; Cass. 03.04.2007 n. 8358). Il S., poi, neanche ha saputo riferire se dopo la conferenza del convenuto il Mi. sarebbe stato insultato o meno da alcuni passanti, come dedotto in citazione. Inoltre, il testimone, pur riconoscendo la lettera agli atti a sua firma - in cui, a seguito della morte per covid del fratello, frequentatore del bar, avrebbe chiesto conto all'attore del suo comportamento per come additato dal De. - ha, allo stesso tempo, affermato che egli avrebbe, invece, inviato una missiva per sincerarsi delle sue condizioni di salute (cosa che, peraltro, ha espressamente dichiarato di avere fatto, una volta incontrato il Mi. in villa comunale dopo la conferenza del De., secondo un modus procedendi non certo tipico di chi, invece, ha intenzione di denigrare o, come scritto nella corrispondenza, agire in giudizio contro qualcuno), facendo, pertanto, seriamente dubitare della veridicità e della provenienza del contenuto della lettera. Del resto, a riprova di ciò, il S. ha, poi, affermato che il testo della missiva sarebbe stato scritto dal figlio, avendo egli solamente la seconda elementare. A tutto voler concedere, comunque, nella lettera l'attore non viene apostrofato in malo modo o insultato ma solamente avvertito che, in caso di disinteresse e mancata risposta alla stessa, sarebbero stati tutelati i diritti dei familiari del defunto. Passando alla testimonianza di A.S., questi non ha affermato nulla di rilevante, riferendo solamente, peraltro senza riuscire a collocare la circostanza prima o dopo la conferenza del De., che in paese si diceva che nel bar del Mi. c'era stato un contagio. Non ha, poi, saputo riferire né di lettere né di insulti per strada ricevuti dall'attore. Quanto, invece, alla testimonianza di V.M., essa risulta poco attendibile (cfr. Cass. n. 1239/2019) alla stregua di elementi sia di natura oggettiva - le dichiarazioni sono imprecise e confusionarie - che soggettiva - il teste è convivente del Mi. ed è indubbio un interesse alla cospicua condanna risarcitoria richiesta. In particolare, la Mi. ha riferito di avere ascoltato, solo indirettamente perché posta nelle immediate vicinanze, telefonate di persone, che ha detto di non conoscere e delle quali non sapeva il nome, che avrebbero insultato il compagno; non è, poi, riuscita a collocare temporalmente quando queste chiamate sarebbero arrivate. Ancora, sul contenuto della lettera del S., la teste è stata del tutto confusionaria, facendo una serie di rimandi e riferimenti inconcludenti e non utili ai fini del decisum ("la moglie di tale S.F., il quale morì di covid, riferì al fratello del S., tale S.N., che era stata colpa del Mi. se il marito aveva preso il covid e poi era morto; inoltrè, arrivo anche una lettera a casa da parte di una persona, di cui non so riferire le generalità, che diceva che il marito era morto a causa del M.; quando è finita la quarantena incontrai sempre S.N. nella villa comunale di Ariano e mi disse che la cognata gli aveva riferito queste circostanze e mi chiese se era vero che il Mi. era andato a Milano; adr non ho mai letto la lettera") Quanto, infine, ai presunti insulti in villa, la Mi. non ne ha riportati, riferendo piuttosto di "alcuni passanti che avrebbero chiesto all'attore perché dopo il ritorno da Milano non si fosse sottoposto a controlli medici e avesse continuato a lavorare presso il suo bar". Passando, poi, alla diffusività della notizia, essa è stata molto ristretta, per non dire circoscritta alla sola comunità locale. Del resto, il De. non ha fatto il nome del Mi., indi per cui della conferenza non avrebbero che potuto apprezzarne la reale portata i soli abitanti arianesi, gli unici in grado di identificare nel Mi. la figura del barista. Non a caso, la notizia è stata, in seguito, riportata unicamente da tre articoli di giornali locali in maniera del tutto stringata. In particolare, l'edizione on-line di Ottopagine del 22.5.2020 ha solamente titolato "De.: Ad Ariano irresponsabili: chi ha sbagliato pagherà. Feste illegali, medici positivi in ospedale, baristi che hanno contagiato clienti". Il quotidiano Irpinianews della medesima giornata, dopo aver titolato "Quella festa di carnevale con 200 persone e altri comportamenti irresponsabili. L'origine del virus ad Ariano Irpino secondo De.: la magistratura sta indagando", ha trascritto fedelmente il contenuto della conferenza, riportando le parole del convenuto riguardo al M.. Infine, il quotidiano Arianonews del 20.6.2020, nel ripercorrere le tappe dell'evoluzione del coronavirus, ha pubblicato che "un barista, rientrato da Milano e ignaro della positività al virus, infettava vari clienti, per poi aggravarsi a sua volta". Intrinsecamente, poi, le dichiarazioni del convenuto non sono ingiuriose, denigratorie o dequalificanti. Piuttosto, esse vanno inquadrate nell'eccezionale contesto spazio-temporale di riferimento (cfr. Cass. pen. n. 20206/2022), caratterizzato dall'espandersi del fenomeno epidemiologico in atto ("Finisco rapidamente sulla situazione sanitaria. Abbiamo avuto ieri dieci contagi, di questi quattro erano ancora di Ariano Irpino. Abbiamo avuto ieri dieci contagi con circa seimila tamponi, ormai viaggiamo su cinque-seimila tamponi al giorno, abbiamo messo in piedi una macchina davvero molto importante. Siamo arrivati ormai a 161.000 tamponi. Per quanto riguarda Ariano Irpino come sapete abbiamo deciso di spegnere definitivamente questo focolaio. Questi quattro contagi positivi che abbiamo trovato ieri sono l'ultima coda dei controlli che stiamo facendo. Io voglio rivolgere un saluto e un ringraziamento a tutti i cittadini di Ariano che hanno collaborato a fare un'operazione unica in Italia, questa operazione di test sierologici a 15.000 cittadini non si è fatta in nessuna parte d'Italia. I risultati li pubblicheremo credo domani mattina sabato li metteremo a disposizione dell'intero Paese perché è un test di grandissimo valore scientifico, per capire chi, dove, come ha avuto contatto con il virus anche nei mesi passati, quali fasce di popolazione sono state maggiormente aggredite quindi metteremo a disposizione i risultati scientifici di tutto il nostro paese"). Del resto, il De. non si è riferito al solo Mi. ma anche a comportamenti di altri soggetti ("Già a inizio febbraio, abbiano cominciato con una festa di carnevale organizzata da una scuola paritaria diretta da un ordine religioso con la partecipazione di circa 200 persone. Quella festa di Carnevale, illegittima, non era consentita, ha portato ad un contagio che ha coinvolto le suore del Convento, l'Istituto Scolastico e l'intera Curia Vescovile. Poi vi è stata una cerimonia familiare che si è tenuta a Villanova del Battista a fine febbraio, con la partecipazione di un'altra settantina di persone di cinque nuclei familiari, di Ariano Irpino ma anche di Comuni vicini, che poi sono andati in giro allegramente. Poi il gestore di un bar, uno dei primi quattro casi positivi che è andato a Milano a trovare un familiare, poi è tornato, ha continuato a lavorare nel suo bar contagiando clienti e via dicendo e i tanti frequentatori abituali del bar. Poi all'O. "F." di A. è andato in giro un medico, la moglie che erano positivi, allegramente nell'ambito dell'Ospedale determinando problemi anche nell'Ospedale. Poi abbiano avuto una struttura sanitaria privata e un Centro di riabilitazione all'interno dei quali si sono verificati 31 casi tra gli ospiti e 7 tra gli operatori"). Il giudizio di valore espresso, sicuramente negativo, è, quindi, da valutare alla luce del contesto di riferimento ed è funzionalizzato all'argomentazione svolta. In altri termini, vengono in rilievo commenti di disapprovazione, con linguaggio sì tagliente ma non per questo diffamante: considerazioni e valutazioni critiche, come tali tipicamente di parte, che, per quanto non obiettive né esatte, ma anzi soggettive e opinabili (Cass. n. 7274/2013), non trascendono in attacchi diretti a colpire, su un piano individuale e senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato. Non c'è, quindi, offesa concreta in termini di lesione della reputazione. Del resto, la risarcibilità del danno non patrimoniale da diffamazione esige la verifica del superamento del filtro rappresentato dalla serietà del danno, che, insieme a quello della gravità della lesione, presidia l'esigenza di non risarcire ogni danno (Cass. n. 21424/2014), essendo consustanziale al principio di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione quello di tolleranza della lesione minima, tale per cui non basta la mera violazione delle disposizioni che riconoscono il diritto ma è necessaria una violazione che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva (S.U. n. 3727/2016). Alla luce di quanto visto, pertanto, non emergendo offese rilevanti, né di portata diffusa, tali da potersi dire lesa e, come tale, meritevole di tutela risarcitoria la reputazione del Mi., la domanda va rigettata. Deve, infine, fortemente stigmatizzarsi la deduzione attorea secondo cui questi sarebbe stato licenziato, a far data dall'1.6.2020, a causa delle dichiarazioni del De.. Difatti, da un lato, nella medesima lettera di licenziamento allegata dal Mi. - peraltro definitosi gestore unico del bar - è scritto che il licenziamento è avvenuto per cessata attività; dall'altro, va evidenziato che dalla visura camerale versata in atti dal convenuto si evince che dal 29.6.2020 il Mi. risulta inquadrato come preposto nella D. srls, ovvero la stessa società da cui egli assume essere stato licenziato. Quanto alle spese di lite, le più che particolari ragioni della decisione ne giustificano la compensazione totale. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, prima sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla domanda come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: 1. rigetta la domanda; 2. compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Benevento l'1 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Benevento Seconda Sezione Il Giudice Monocratico, GOP dr. Carlo BUONO, nella causa iscritta al n. 2517/2019 di Ruolo Generale, avente ad oggetto "Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario)": tra Br. S.r.l. (P.I. (...)), in C. alla via T. S. snc, T. V., in persona del legale rappresentante p.t., assistito e difeso dall'Avv. Fe.Ia., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Casoria, attore e Un. S.p.A. (P.I. (...)), corrente in M. alla Piazza G. A., 3 - Tower A, in persona del legale rappresentante p.t., assistito e difeso dall'Avv. St.D'E., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, convenuto SENTENZA FATTO E DIRITTO Con atto di citazione depositato il 04.06.2019, ritualmente notificato alla controparte, l'attore chiedeva in via preliminare ed in ogni caso, accertare e dichiarare che la Un., in relazione al contratto di mutuo ipotecario n.(...) stipulato in data 11 luglio 2006, ha proceduto all'applicazione di anatocismo e tassi usurari e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1815, comma secondo, c.c. in combinato disposto con l'art. 644 c.p. e della L. n. 108 del 1996, congiuntamente o disgiuntamente tra loro valutati, accertare e dichiarare la gratuità del contratto per anatocismo e pattuizione di tasso usurario. Dunque accertare e dichiarare la compensazione ai sensi dell'art. 1241 del c.c. tra quanto corrisposto in eccesso da parte attrice, al 30 novembre 2017, per Euro 108.132,15, od in subordine nella minor somma di Euro 99.594,32, ovvero di quella somma maggiore o minore che eventualmente dovesse risultare in corso di causa o che sarà ritenuta dal Giudice anche in via equitativa, eventualmente (salvo gravame) anche a solo titolo di anatocismo per la somma indicata in atti o che dovesse risultare in giudizio, con quanto asseritamente parte convenuta ritiene dovuto, per tutti i motivi e titoli come esposti in atti, congiuntamente o disgiuntamente tra loro valutati, e secondo quanto risulta dalla documentazione offerta in comunicazione. Tuttavia, nell'ipotesi in cui le somme in eccesso corrisposte da parte attrice siano maggiori dell'importo erogato a titolo di mutuo, accertare e dichiarare l'esatto adempimento del contratto di mutuo e di ogni altra obbligazione ad esso connessa a cura di parte attrice, condannando la parte convenuta a restituire la somma che eventualmente dovesse residuare all'esito dell'operata compensazione. Nel merito e in via principale accertare e dichiarare, per tutti i motivi e titoli come esposti in atti, che parte convenuta ha proceduto all'applicazione di anatocismo e tassi usurari e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1815, comma secondo, c.c. in combinato disposto con l'art. 644 c.p. e della L. n. 108 del 1996, congiuntamente o disgiuntamente tra loro valutati; previa la declaratoria di nullità, l'invalidità e/o la inefficacia, totale o parziale, delle clausole relative contenute nel contratto indicato in narrativa e del quale si controverte, accertare e dichiarare la gratuità del contratto citato in narrativa e del quale si controverte per anatocismo e pattuizione di tasso usurario e, per l'effetto, accertare e dichiarare che le rate a scadere del contratto del quale si controverte dalla data di redazione della perizia offerta in comunicazione quale documento di parte attrice ovvero dalla data di notifica del presente atto di citazione debbono recare solo il capitale, con riserva di quantificare l'importo esatto dell'ulteriore somma interessi, conseguentemente pure da restituirsi, corrisposta nelle more del presente giudizio in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero nell'ipotesi in cui le somme in eccesso corrisposte da parte attrice siano maggiori dell'importo erogato a titolo di mutuo, accertare e dichiarare l'esatto adempimento del contratto di mutuo e di ogni altra obbligazione ad esso connessa a cura di parte attrice. Come conseguenza, condannare parte convenute alla restituzione in favore di parte attrice di tutte le somme già percepite indebitamente per i motivi illustrati in atti, secondo quanto risulta dalla perizia econometrica in atti e salvo miglior conteggio in corso di causa, per complessivi Euro 108.132,15, od in subordine nella minor somma di Euro 99.594,32, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla domanda al saldo, oltre all'ulteriore somma interessi corrisposta nelle more del presente giudizio che ci si riserva di esattamente quantificare in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero la maggior o minor somma che eventualmente dovesse risultare in corso di causa, eventualmente (salvo gravame) anche a solo titolo di anatocismo per la somma indicata in atti o che dovesse risultare in giudizio. In via subordinata (con salvezza di compensazione), accertare e dichiarare la nullità, l'invalidità e/o la inefficacia, totale o parziale, delle clausole contenute nel contratto indicato in narrativa e del quale si controverte, relative alla determinazione del costo del finanziamento in quanto indeterminate e/o indeterminabili e dunque contrarie agli artt. 1346 e 1284 c.c. e contrarie altresì alla L. n. 154 del 1992 e al Testo Unico Bancario. Previo accertamento della natura e della qualifica del piano di ammortamento applicato al contratto indicato in narrativa e del quale si controverte, conseguentemente accertare e dichiarare quale sia il piano di ammortamento legittimo (anche sulla scorta dell'elaborato peritale prodotto come documento dalla scrivente difesa), che dovrà disciplinare le rate successive alla data della presente domanda e conseguentemente condannare la convenuta al rispetto di tale piano di ammortamento. In ipotesi di risoluzione del contratto indicato in narrativa e del quale si controverte, condannare parte convenuta alla restituzione di tutte le somme sino ad oggi indebitamente riscosse secondo ciò che risulta dalla perizia in atti, ovvero di quella somma maggiore o minore che eventualmente dovesse risultare in corso di causa, eventualmente (salvo gravame), a titolo di usura o anche a solo titolo di anatocismo per la somma indicata in atti o che dovesse risultare in giudizio. Accertare e dichiarare l'invalidità della determinazione ed applicazione degli interessi debitori ultra-legali, di quelli anatocistici con capitalizzazione trimestrale, dei costi, competenze e remunerazioni a qualsiasi titolo pretese e conseguentemente condannare parte convenuta alla restituzione di tutte le somme indebitamente percepite a tale titolo, che si quantificano in Euro 108.132,15, od in subordine nella minor somma di Euro 99.594,32, oltre all'ulteriore somma interessi corrisposta nelle more del presente giudizio che ci si riserva di esattamente quantificare in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero nella maggior o minor somma che risulterà in corso di causa, eventualmente (salvo gravame) anche a solo titolo di anatocismo per la somma indicata in atti o che dovesse risultare in giudizio. In ogni ipotesi, compensare tra le parti eventuali partite debiti - crediti ai sensi dell'art. 1241 e seguenti c.c. In via di estremo subordine, con salvezza di compensazione, accertare e dichiarare il diritto di parte attrice alla ripetizione ai sensi dell'art. 2033 c.c. delle somme corrisposte in eccesso alla odierna parte convenuta, siccome pagate in esecuzione del contratto nullo per tutti i motivi esposti in atti e, conseguentemente, condannare la parte convenuta, a restituire a parte attrice la complessiva somma di Euro 108.132,15, od in subordine nella minor somma di Euro 99.594,32, oltre all'ulteriore somma interessi corrisposta nelle more del presente giudizio che ci si riserva di esattamente quantificare in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero nella maggior o minor somma che risulterà in corso di causa, eventualmente (salvo gravame) anche a solo titolo di anatocismo per la somma indicata in atti o che dovesse risultare in giudizio. Con vittoria di compensi e spese comprese il rimborso del costo sostenuto da parte attrice per la perizia econometrica in atti per Euro 2.800,00 inclusa IVA e per il procedimento di mediazione per Euro 48,80. Resisteva la convenuta Un. S.p.A. per il rigetto ogni avversa domanda, in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque sfornita di idonea prova. Con vittoria di spese e compensi di lite. Venivano assegnati alle parti i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, all'esito il giudice procedeva alla nomina di un CTU nella figura del dr. Luigi Pilla, Dottore Commercialista. Depositato l'elaborato peritale e terminata l'istruttoria, il giudice invitava le parti a precisare le conclusioni. Nell'udienza del 17.11.2023, sulle rassegnate conclusioni, il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Parte attrice depositava memoria conclusionale. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La domanda va parzialmente accolta nel senso che si dirà. La domanda avanzata dalla Br. S.r.l. ha per oggetto un contratto di mutuo ipotecario, avente n. (...) e stipulato l'11.07.2006, concesso dalla Un. S.p.A. per l'importo di Euro 263.500,00. Tale finanziamento doveva essere restituito in 15 anni (180 mesi), prevedendo 12 mesi di preammortamento, con una rata mensile posticipata. Dunque prevedeva una prima rata preammortamento per il 31.08.2006 e l'ultima rata di preammortamento il 31.07.2007, quindi la scadenza prima rata al 31.08.2007 ed ultima rata al 31.07.2022. Come condizioni era previsto un tasso debitore variabile trimestrale pari alla quotazione dell'Euribor a 3 mesi moltiplicato per il coefficiente 365/360, arrotondato allo 0,05 superiore, in essere per valuta data di decorrenza di ciascun trimestre, maggiorato di 1,50 punti in ragione dell'anno, un tasso mora corrispettivo maggiorato di 2%, il TAEG/ISC del 4,82120%, un importo rata costante di 2.036,02 e delle spese di incasso rata pari ad Euro 1,50. Gli interessi di preammortamento al tasso debitore variabile trimestrale pari alla quotazione dell'Euribor a 3 mesi moltiplicato per il coefficiente 365/360, arrotondato allo 0,05 superiore, in essere per valuta data di decorrenza di ciascun trimestre, una commissioni istruttoria del 0,50% (minimo Euro 500) (263500*0,50%= Euro 1317,50), alcuna spesa di assicurazione. È accertato che il contratto fu stipulato in forma scritta (cfr. allegati CTP parte attrice) e che conteneva l'indicazione di costi, ovvero la tipologia della prestazione erogata, l'importo totale del credito richiesto, le rate di imputazione e l'importo delle stesse, la somma complessiva dovuta dal consumatore, nonché i dettagliati costi del finanziamento, il TAEG con i costi connessi. Pertanto, tutte le condizioni previste furono e sono state rispettate. Deve richiamarsi, in premessa, la nota regola distributiva dell'onere probatorio nel giudizio il creditore, nel caso la Banca, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, mentre il debitore è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa (tra le molte, Cass. n.3373/2010) su cui, ovviamente, il creditore può controdedurre. L'azione proposta si qualifica come azione di ripetizione di indebito, atteso che l'attore richiede, accertarsi e dichiararsi che le somme derivate dal contratto non sono dovute richiedendone, eventualmente, la restituzione, siccome espressione di applicazione di interessi non pattuiti. Costituisce principio pacifico quello secondo il quale chi agisce per la ripetizione delle somme che assume indebitamente corrisposte o da corrispondere ha l'onere di provare l'inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta, essendo tale inesistenza un elemento costitutivo unitamente all'avvenuto pagamento ed al collegamento causale della domanda di indebito oggettivo ex articolo 2033 c.c. (Cass. Civ. 7501/2012). Tale principio trova applicazione anche in tema di azione di ripetizione di somme indebitamente corrisposte in applicazione di clausole contrattuali contenute in contratti, in specis di mutuo. Più specificamente, quando l'attore intenda, previa contestazione delle risultanze del saldo a lui sfavorevole, esercitare l'actio indebiti ai sensi dell'articolo 2033 c.c. è tenuto a dimostrare i fatti costitutivi del diritto alla ripetizione, ovverossia la nullità del titolo e l'avvenuta annotazione delle poste contestate. Infatti, il principio dispositivo dei mezzi di prova, cristallizzato dall'articolo 2697 c.c., impone al giudice di esaminare i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni delle parti sulla base degli elementi probatori che l'attore e il convenuto hanno rispettivamente prodotto a corredo dei propri atti. Il generale principio dell'onere probatorio ex articolo 2697 c.c. presuppone, come antecedente logico necessario, la adeguata e tempestiva allegazione delle circostanze fattuali che la parte è onerata di provare quali fatti costitutivi della domanda (cfr. Cass. Civ. 16182/2011). L'onere di specifica e tempestiva allegazione dei fatti costitutivi della domanda assume, del resto, valenza imprescindibile all'interno del sistema processuale vigente, caratterizzato da rigide preclusioni assertive e probatorie e dal generale principio di non contestazione introdotto dall'articolo 115 comma 1 c.p.c., così come modificato dall'articolo 45 L. n. 69 del 2009; in proposito, la Corte di Cassazione ha, in vero, affermato quanto segue: "in ordine al principio di non contestazione, il sistema di preclusioni del processo civile tuttora vigente e di avanzamento nell'accertamento giudiziale dei fatti mediante il contraddittorio delle parti, se comporta per queste ultime l'onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa, evidenziando con chiarezza gli elementi in contestazione, suppone che la parte che ha l'onere di allegare e provare i fatti anzitutto specifichi le relative circostanze in modo dettagliato ed analitico, così che l'altro abbia il dovere di prendere posizione verso tali allegazioni puntuali, e di contestarle ovvero di ammetterle, in mancanza di una risposta in ordine a ciascuna di esse" (cfr. Cass. Civ. 21847/2014; 6606/2016). Il rapporto in esame, come detto, è quello relativo ad un contratto di mutuo ipotecario, accesso dall'attore presso la B.U. S.p.A. A margine va ricordato che ogni attività istruttoria del giudice può essere solo sul petitum proposto e sui documenti versati in atti, essendo il giudicare in questa materia l'esercizio di un'attività che vede nella proposizione delle parti il limite estremo. La nomina di un CTU non esula da tale affermazione, esso infatti diviene strumento e suggerimento volto al giudice, per una comprensione degli intricati strumenti contabili che sono propri dei contratti finanziari. In tal senso la consulenza non diviene "sostituzione probatoria", che rimane onere di parte, ma strumento di comprensione delle prove sottoposte al giudice. Come evidenziato, l'attore propone una discrasia contrattuale che evidenzia nell'atto introduttivo e, soprattutto nella consulenza di parte depositata a firma del dr. L.F.. Il metodo di risposta alle domande diviene quindi analisi del contratto e del suo equilibrio. Ebbene, va subito rilevato che la documentazione versata in atti attesta quali siano gli interessi da applicarsi rispetto al prestito concesso. La CTU è esente da vizi e risponde pienamente ai quesiti posti dal giudice e pertanto si condivide pienamente l'operato come parte e motivazione della presente sentenza. Dunque, è ben chiaro il calcolo operato dal consulente e, in particolare, l'algoritmo utilizzato per comprendere l'eventuale illegittimità del tasso debitorio applicato dalla banca. Attesa la validità, dal punto di vista formale del contratto, si può allora passare alla verifica della fondatezza o meno delle doglianze sollevate dall'attore. Ebbene né il tasso corrispettivo né quello di mora vanno considerati usurari. Difatti, dopo aver quantificato le spese, tutte rientranti nella determinazione del TEG, che sono pari ad Euro 1.317,50 per le spese di istruttoria, Euro 5.427,16, quale totale degli interessi di preammortamento, ed Euro 270,00 quale totale delle spese di incasso delle rate (dunque un totale di Euro 7.014,66), può determinarsi un TEG pari al 5,1718%. Orbene, essendo nel terzo trimestre 2006 il Tasso Annuo Effettivo Globale Medio rilevato dal Ministero del Tesoro, per la categoria dei "mutui ipotecari a tasso variabile" era pari al 4,42%, aumentando detto tasso della metà, si ottiene, ai sensi della L. n. 108 del 1996, il tasso soglia usurario pari al 6,63%. Dunque il TEG convenuto risulta conforme alla normativa in materia di usura atteso che è inferiore rispetto al tasso soglia ministeriale del periodo, tuttavia, e delle conseguenze si dirà più avanti, esso differisce dal TAEG indicato in contratto che era pari al 4,8212%. Anche la verifica della conformità del tasso mora pattuito in contratto con il Tasso Globale Medio rilevato dal Ministero del Tesoro in conformità ai principi espressi dalla Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite Civili con Sentenza 18 settembre 2020, n. 19597, appare conforme. Difatti il Tasso Globale Medio per il terzo trimestre 2007 categoria dei "mutui ipotecari a tasso variabile" è pari al 4,42% e, aggiungendo la maggiorazione media degli interessi moratori che per il periodo di riferimento risulta essere 2,1 e, aumentando detto tasso della metà, si ottiene, ai sensi della L. n. 108 del 1996, il tasso soglia usura che è pari al 9,78%. Il tasso mora convenuto con la sottoscrizione del contratto di mutuo era pari al 6,65 % (4,65% + 2,00 %) ed dunque è conforme alla normativa in materia di usura atteso che risulta inferiore al tasso soglia usura prima calcolato. Come detto, procedendo alla rielaborazione del TAEG effettivo secondo i riferimenti normativi e i chiarimenti della B.I. richiamati in perizia il CTU ha riscontrato una difformità del TAEG effettivo, pari al 5,1718% rispetto al TAEG contrattuale pari al 4,8212%. Si condivide tale risultato. Per tale situazione, in applicazione dell'art. 125 bis comma 7 TUB (comma 6: "...sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono stati inclusi o sono stati inclusi in modo non corretto nel TAEG pubblicizzato nella documentazione predisposta secondo quanto previsto dall'articolo 124. La nullità della clausola non comporta la nullità del contratto". Comma 7: "Nei casi di assenza o di nullità delle relative clausole contrattuali: a) il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Nessuna altra somma è dovuta dal consumatore a titolo di tassi di interesse, commissioni o altre spese; b) la durata del credito è di trentasei mesi". Al comma 8: "Il contratto è nullo se non contiene le informazioni essenziali ai sensi del comma 1 su: a) il tipo di contratto; b) le parti del contratto; c) l'importo totale del finanziamento e le condizioni di prelievo e di rimborso") gli opponenti sono tenuti al pagamento del capitale concesso e degli interessi da ricalcolarsi secondo i tassi minimi BOT a 12 mesi rilevato nell'anno che precede il mutuo, che nel caso in specie, per l'anno 2005, risultano essere pari al 2,00%. Su tali premesse il CTU ha correttamente applicato al contratto i tassi di sostituzione previsti pervenendo in tal modo all'accertamento di una differenza a credito a favore della Un. S.p.A, pari a complessivi Euro 111.093,38 di cui: Euro 101.075,55 pari al capitale residuo alla data del 01.12.2017 ed Euro 10.017,83 per interessi moratori calcolati al tasso pattuito in contratto pari al 6,65% sul capitale residuo a far data dal 01.12.2017 al 29.05.2019. Difatti la società Br. S.r.l. a seguito della sottoscrizione del contratto di finanziamento del 11.07.2006 n. (...) con la Un. S.p.A., ha pagato le prime 136 rate per un totale di Euro 200.861,89 di cui Euro 200.657,89 ed Euro 204,00 per spese incasso rata. Residua pertanto un capitale al 01.12.2017 di Euro 101.075,55 a cui vanno aggiunti gli interessi moratori, come prima evidenziati e calcolati, del 6,65% dal 01.12.2017 al 29.05.2019, data di notifica da parte dell'attore dell'atto introduttivo, di Euro 10.017,83, addivenendo dunque alla somma di Euro 111.093,38. Va evidenziato come le risultanze istruttorie hanno determinato conseguenze ben diverse da quelle riportate dall'attore nell'atto introduttivo. Seppur rilevata una discrasia in relazione al TAEG, essa non ha determinato alcun maggiore esborso da parte di Br. S.p.A. che rimane comunque debitrice nei confronti di Un. della somma accertata. Stante tale situazione, in relazione ai danni patrimoniali e non richiesti dall'attore a seguito del diverso andamento contrattuale, appare quanto meno opportuno che di tali danni subiti vi sia allegata una prova rigorosa. Ebbene, a parte un richiamo alla giurisprudenza di legittimità e una elencazione generale del danno, alcuna prova viene prodotta. Da qui non può accogliersi tale parte della domanda. Tutte le altre questioni prospettate dalle parti si intendono assorbite, per cui, in virtù del principio della ragione più liquida, si ritiene superfluo il loro esame. Le spese di lite, vista l'accoglimento decisamente parziale della domanda a cui comunque deriva un accertamento negativo a sfavore dell'attore, devono compensarsi tra tutte le parti. Per ciò che concerne le spese di perizia, vista l'importanza che la consulenza ha avuto nel presente giudizio con cadute positive (...e negative) su ambedue le parti, esse vanno addebitate in parti uguali ad ambedue le parti e in solido. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, sulla domanda proposta da Br. S.r.l. nei confronti della Un. S.p.A., così provvede: a) determina che Br. S.r.l. è debitore nei confronti della Un. S.p.A., per il mutuo ipotecario n. (...), del 11.07.2006, di complessivi Euro 111.093,38 di cui: Euro 101.075,55 pari al capitale residuo alla data del 01.12.2017 ed Euro 10.017,83 per interessi moratori calcolati al tasso pattuito in contratto pari al 6,65% sul capitale residuo a far data dal 01.12.2017 al 29.05.2019; b) compensa le spese di lite tra le parti; c) pone definitivamente le spese di consulenza già liquidate provvisoriamente in corso di causa in egual misura, in solido, ad ambedue le parti. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003. Così deciso in Benevento il 25 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 4 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO II SEZIONE CIVILE Il Giudice del Tribunale di Benevento, Dott.ssa Ida Moretti, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado iscritta al numero 5469 del ruolo generale degli affari contenziosi dell'anno 2019 avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo, riservata a sentenza all'udienza del 19/09/2023 e vertente TRA Pi.Gr., nato a B. il (...), rappresentato e difeso dall'Avv. Gu.Pr., giusta mandato in calce all'atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliato presso il suo studio; Opponente E If. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Ma.Ro., che la rappresenta e difende, giusta procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta; Opposta FATTO Con atto di citazione regolarmente notificato, Pi.Gr. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 660/2019 emesso dal Tribunale di Benevento il 14/05/2019, con il quale gli veniva ingiunto di pagare in favore della If. S.P.A. la somma di Euro 27.087,89, a titolo di debito residuo per il prestito personale concluso in data 23/07/2008 con la Fi. s.p.a., la quale successivamente cedeva il proprio credito - ai sensi dell'art. 58 T.U.B. - in favore della società odierna opposta. Preliminarmente, l'opponente eccepiva la mancata prova della legittimazione attiva da parte della I., oltre che l'invalidità e comunque l'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, in quanto tardivamente notificato. Nel merito, contestava la violazione del divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c., per avere le parti pattuito un tipo di ammortamento "alla francese", nonché - ma solo in sede di memorie istruttorie - la natura usuraria dei tassi di interesse stabiliti in contratto. Si costituiva in giudizio If. S.P.A., contestando in toto l'opposizione spiegata e, in particolare, precisando di aver chiesto ed ottenuto dal Giudice della fase monitoria la rimessione in termini per notificare nuovamente il decreto ingiuntivo, atteso che la prima notifica non era andata a buon fine per mancato recapito della ricevuta di ritorno, mentre la spedizione era stata perfezionata tempestivamente, e precisamente il giorno successivo alla pubblicazione del decreto ingiuntivo. Nel merito, parte opposta - dopo aver evidenziato la mancata contestazione e, in alcuni punti dell'atto di citazione, l'esplicita ammissione della debitoria - rilevava l'eccessiva genericità dell'eccezione relativa alla violazione del divieto di anatocismo, che non veniva in alcun modo argomentata, e in ogni caso replicava che l'adozione di un piano di ammortamento alla francese risulterebbe logicamente incompatibile con un eventuale meccanismo di capitalizzazione degli interessi. Con ordinanza del 22/04/2021, il precedente Giudice rigettava l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto. Assegnati i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., questo Giudice (nelle more subentrato nel ruolo), ritenuta la causa matura per la decisione, fissava direttamente l'udienza per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del 19/09/2023, quindi, le parti concludevano riportandosi ai propri atti e la causa veniva riservata in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. DIRITTO L'opposizione è infondata e, per l'effetto, va rigettata. Preliminarmente, si osserva che le doglianze di parte opponente relative alla tardiva notifica del decreto ingiuntivo appaiono ampiamente superate in considerazione del fatto che con l'opposizione si apre un procedimento a cognizione piena, avente ad oggetto la fondatezza della pretesa fatta valere con il ricorso monitorio. La giurisprudenza di legittimità - che si condivide - è costante nell'affermare che "In caso di notificazione del decreto ingiuntivo oltre i termini di legge, l'opposizione proposta al fine di eccepirne l'inefficacia non esime il giudice dal decidere non solo sulla proposta eccezione, ma anche sulla fondatezza della pretesa creditoria già azionata in via monitoria" (così Cass. civ., Sez. III, sent. n. 3908 del 29/02/2016; conforme Cass. civ., Sez. I, sent. n. 14910 del 13/06/2013). Al più, l'eventuale fondatezza dell'eccezione di inefficacia del titolo a causa della tardività della notifica può rilevare ai fini delle spese della fase monitoria, come ben chiarito dalla Corte di Cassazione, secondo cui "La notificazione del decreto ingiuntivo oltre il termine di quaranta giorni dalla pronuncia comporta, ai sensi dell'art. 644 cod. proc. civ., l'inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l'intimazione di pagamento con esso espressa e osta al verificarsi delle conseguenze che l'ordinamento vi correla, ma non tocca, in difetto di previsione in tal senso, la qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale; ne deriva che, ove su detta domanda si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta (in senso sostanziale), la quale eccepisca quell'inefficacia, il giudice adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non soltanto di vagliare la consistenza dell'eccezione (con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria), ma anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente" (Cass. civ., Sez. II, sent. n. 951 del 16/01/2013). Nel caso di specie, l'intimante provvedeva a notificare il decreto ingiuntivo già il giorno successivo alla relativa emissione, ma la notifica non si perfezionava a causa del mancato recapito dell'avviso di ricevimento, dunque per causa certamente non imputabile al soggetto notificante. A fronte del mancato perfezionamento della notifica per tale ragione, e nonostante l'accoglimento dell'istanza di rimessione in termini da parte del Giudice della fase monitoria, con ordinanza del 22/04/2021 il precedente Giudice, nel rigettare l'istanza di provvisoria esecuzione, riteneva imputabile al ricorrente la tardiva notifica del decreto ingiuntivo, che - quindi - sarebbe divenuto inefficace ai sensi dell'art. 644 c.p.c. (in ogni caso, senza preclusioni con riguardo al merito della causa). Sul punto, tuttavia, è opportuno richiamare l'ormai noto principio della scissione degli effetti delle notifiche degli atti giudiziari (consacrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 447/2002), in base al quale la notifica si perfeziona nei confronti del notificante alla data di spedizione, mentre per il destinatario al momento della ricezione. Nella specie, essendo mancata la prova della ricezione dell'atto da parte del destinatario, nei confronti di quest'ultimo la notifica risulta non essersi mai perfezionata. Al contrario, gli effetti della notifica per il notificante - consistenti nel mancato verificarsi di decadenze a suo danno - sono destinati a prodursi nella sfera giuridica di quest'ultimo al momento della spedizione, certamente tempestiva, del decreto ingiuntivo. Ne consegue che deve ritenersi tempestiva la seconda notifica del decreto ingiuntivo opposto, eseguita previa rimessione in termini da parte del Giudice della fase monitoria e regolarmente perfezionatasi anche nei confronti del destinatario, odierno opponente. Pertanto, dovendosi vagliare l'eccezione di tardività ai fini delle spese della procedura monitoria, si ritiene doversi disattendere detta eccezione, alla luce delle motivazioni suesposte. Per ciò che attiene alla contestazione della legittimazione attiva in capo alla If., la documentazione da quest'ultima depositata sia in sede di ricorso per decreto ingiuntivo, che in questa sede, appare certamente idonea a provare la titolarità del credito vantato. Infatti, già nel fascicolo monitorio, si rinviene: il contratto di cessione dalla F. (originaria creditrice) alla B.I.; la notifica al debitore ceduto ai sensi dell'art. 1264 c.c., effettuata a mezzo raccomandata A/R; l'atto notarile di cessione di ramo d'azienda da B.I. a If.; oltre alla documentazione contrattuale composta dal contratto di finanziamento azionato, nonché dagli estratti conto relativi al rapporto obbligatorio per cui è causa. In seguito alle contestazioni sollevate con l'opposizione, inoltre, parte opposta depositava, in allegato alle seconde memorie istruttorie, gli estratti degli elenchi dei crediti ceduti prima da F. a B.I. e poi da quest'ultima a If., mai specificamente contestati ex adverso. Non merita, quindi, soffermarsi oltre su tale profilo, dovendosi ritenere pienamente provata la legittimazione attiva in capo alla parte opposta, anche in considerazione delle contestazioni oltremodo generiche operate sul punto dall'opponente. Quest'ultimo, sino in comparsa conclusionale, continuava a dolersi della mancata produzione del contratto di cessione (come visto, depositato già nella fase monitoria), argomentando in ordine all'inefficacia probatoria del semplice avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che - però - nel caso di specie nemmeno si rinviene in atti. In ordine alla mancata iscrizione dell'operazione di cartolarizzazione nel Registro delle Imprese, eccezione sollevata nella seconda memoria istruttoria di parte opponente, ma non reiterata nei successivi atti difensivi, ad ogni buon conto ci si limita a rappresentare che - in disparte la questione dell'effettiva operatività di detto requisito relativamente alle cessioni in blocco disciplinate dalla L. n. 130 del 1999 (il cui art. 4 richiama l'art. 58 T.U.B.) - ove anche si volesse riconoscere rilievo all'iscrizione de qua ai fini che qui interessano, la conseguenza sarebbe la semplice inidoneità di tali adempimenti pubblicitari a produrre gli effetti indicati dall'art. 1264 c.c. (così il comma 4 dell'art. 58 T.U.B.), ma nel caso di specie - come sopra rimarcato - la cessione veniva notificata personalmente al debitore ceduto a mezzo raccomandata (secondo l'ordinaria disciplina codicistica) e - a monte - il credito veniva provato mediante il deposito del contratto di cessione e dei relativi allegati. Anche nel merito, le difese di parte opponente risultano infondate. In primis, va evidenziato che - come rilevato dall'opposta sin dalla comparsa di costituzione e risposta - l'atto di citazione in opposizione non contiene alcuna contestazione specifica (come richiesto dall'art. 115 c.p.c.) dell'an e del quantum debeatur. Non è sufficiente, cioè, limitarsi a contestare genericamente il credito, senza addurre alcuna specifica argomentazione in relazione al caso concreto, e senza aggiungere alcun elemento utile a ricostruire la vicenda controversa. In particolare, l'opponente riteneva di aver ottemperato all'onere di contestazione su di lui gravante, per aver utilizzato nell'atto di citazione la seguente formula: "Ad ogni buon conto, si contesta ed impugna la debenza di ogni qualsivoglia somma richiesta non dovuta per quanto innanzi eccepito e dedotto". Tanto espressamente deduceva nelle note di trattazione per l'udienza del 16/12/2020 depositate il 04/12/2020. È evidente, tuttavia, che il ricorso ad una formula tanto ampia rende la contestazione del tutto aspecifica, consentendo al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti solo astrattamente e genericamente contestati dalla parte costituita, nella specie l'esistenza del credito ed il suo ammontare, così come quantificato dal creditore. Ad abundantiam, si consideri - inoltre - non solo che il rapporto obbligatorio risulta documentalmente provato (avendo entrambe le parti depositato il contratto e il documento di sintesi), ma anche che l'opponente (alla pag. 2 dell'atto di citazione) ammetteva esplicitamente il proprio inadempimento, affermando testualmente che "a fronte di un prestito per Euro 30.000,00 e ad un complessivo importo di Euro 40.332,00 comprensivo di interessi, il Dott. Pi.Gr. ha versato la somma di Euro 23.406,13", senza altrimenti prendere posizione in ordine alla quantificazione del debito residuo a titolo di capitale, interessi corrispettivi scaduti e non pagati, e interessi moratori successivamente maturati. Analogamente dicasi per quanto riguarda l'eccezione relativa alla violazione del divieto di anatocismo, apodittica e priva di riferimenti allo specifico rapporto per cui è causa, così come pretestuosa appare l'eccezione di usurarietà degli interessi corrispettivi e moratori. In particolare, quest'ultima eccezione - mirata a far valere una nullità che, pur in difetto di un'eccezione di parte, sarebbe stata rilevabile d'ufficio, e quindi non soggetta alle preclusioni tipiche del processo civile - appare destituita di fondamento. Da un semplice raffronto tra i tassi pattuiti ed il tasso soglia valevole per l'epoca della stipulazione (come risultante dal D.M. del 23 giugno 2008, non depositato e nemmeno indicato dall'opponente nei propri atti, ma sul punto cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. n. 35102 del 29/11/2022), si evince il mancato superamento della soglia di usura, sia con riguardo agli interessi corrispettivi, che con riguardo agli interessi moratori. In particolare, il T.E.G.M. relativo alla categoria "CREDITI PERSONALI E ALTRI FINANZIAMENTI ALLE FAMIGLIE EFFETTUATI DALLE BANCHE" è pari al 10,38%, che - aumentato della metà - restituisce un tasso soglia del 15,57%, a fronte di un T.A.E.G. contrattualmente indicato nella misura del 6,38%. Stessa conclusione per gli interessi moratori, rispetto ai quali in contratto è fissato un saggio del 14,60%, addirittura inferiore al tasso soglia degli interessi corrispettivi (per l'individuazione del c.d. tasso soglia di mora la formula da utilizzare - con riferimento all'epoca della stipulazione - è la seguente: T.E.G.M.+2,1%, valore che esprime la maggiorazione media degli interessi di mora indicata nei DD.MM. a fini statistici, il tutto aumentato della metà). Così superate tutte le eccezioni, preliminari e di merito, sollevate da parte opponente, ne deriva l'infondatezza dell'opposizione spiegata, la quale andrà rigettata in toto, con integrale conferma del decreto ingiuntivo opposto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo ai sensi del D.M. n. 147 del 2022, tenendo conto dell'attività difensiva effettivamente espletata. P.Q.M. il Tribunale di Benevento, definitivamente pronunciando, così provvede: 1) RIGETTA l'opposizione e, per l'effetto, CONFERMA il decreto ingiuntivo n. 660/2019 emesso dal Tribunale di Benevento il 14/05/2019, disponendone l'esecutorietà ex art. 653 c.p.c.. 2) CONDANNA Pi.Gr. a rimborsare in favore di If. S.P.A. le spese relative al presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 4.753,00 (di cui Euro 1.200,00 per la fase di studio, Euro 900,00 per la fase introduttiva, Euro 1.200,00 per la trattazione ed Euro 1.453,00 per la fase decisoria), oltre a IVA, CPA e rimborso spese forfettario come per legge. Così deciso in Benevento il 23 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'1 marzo 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BENEVENTO Prima Sezione CIVILE Il Tribunale di Benevento - Prima Sezione Civile, in composizione monocratica ed in persona della dott.ssa Enrica Nasti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4595/2019 R.G., avente ad oggetto: appello, vertente tra Pr.Fi., elettivamente domiciliato in Lecce alla via (...), presso lo studio dell'avv. Ma.Ur. che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di appello appellante e Di.Gi., elettivamente domiciliata in Flumeri alla via (...) presso lo studio dell'avv. An.Ia. che lo rapp.ta e difenda giusta procura in atti appellata nonché It. spa, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa dall'avv. Fr.Ja. Appellata - contumace e Un. spa, in persona del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa giusta procura in atti dall'avv. El.So. appellata MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza n. 350 del 2019 il Giudice di Pace di San Giorgio del Sannio- decidendo sulla domanda proposta da Di.Gi. volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro stradale verificatosi in data 7.2.2002- accoglieva la domanda e, per l'effetto, condannava l'odierno appellante, in solido con la It. spa, al pagamento a titolo di risarcimento dei danni della somma di Euro 1.701,60, oltre alle spese processuali e rigettava la domanda riconvenzionale formulata da Pr.. Con atto di appello ritualmente notificato, avverso la predetta sentenza proponeva appello Pr.Fi., deducendo in sostanza l'erronea interpretazione in ordine alla qualificazione del fatto, avendo il giudice di prime cure erroneamente qualificato il sinistro come mero tamponamento, nonché l'erronea valutazione del materiale probatorio. Chiedeva, in riforma dell'impugnata sentenza, il rigetto della domanda con conseguente accertamento della responsabilità esclusiva del Di. nella causazione del sinistro o in subordine delle responsabilità concorrente, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. Si costituiva in giudizio Di.Gi., deducendo nel merito l'infondatezza dell'appello di cui chiedeva il rigetto, con vittoria di spese. La It. spa, sebbene ritualmente citato, non si costituiva in giudizio e pertanto con Provv. del 20 settembre 2021 ne veniva dichiarata la contumacia. La Un. spa costituitasi in giudizio con comparsa del 21.11.2022, chiedeva il rigetto dell'appello, deducendo la correttezza della sentenza impugnata. In via preliminare va parzialmente revocata l'ordinanza del 20.9.2021 con cui era stata dichiarata anche la contumacia della Un. spa, attesa la successiva costituzione in giudizio di quest'ultima. Nel merito, l'appello proposto è infondato e va rigettato. Non meritano invero accoglimento i motivi di appello concernenti l'errata qualificazione del sinistro e la conseguente causazione dello stesso dal comportamento anomalo dell'autocarro, avendo il giudice di prime cure fatto corretta applicazione dei principi in materia. In particolare, quanto alla ricostruzione dei fatti e alle modalità di verificazione del sinistro, come emerse dalle dichiarazioni dei testi escussi e dai documenti prodotti, deve ritenersi nella specie sussistente una ipotesi riconducibile ad un tamponamento. Depone in tal senso in via preliminare proprio la ricostruzione operata dal Pr. in sede di costituzione in primo grado, atteso che lo stesso, nel descrivere le circostanze di luogo e di tempo, ha dedotto che l'autocarro del Di., giunto sul tratto in salita, ha prima arrestato la marcia in maniera del tutto improvvisa ed imprevedibile a causa della fuoriuscita di una coltre di fumo causata probabilmente dal motore e ha poi tentato la ripartenza provocando una nuova repentina dispersione di fumo proprio nel mentre la Seat Cordoba si trovava a transitare nel medesimo tratto. Tale dettagliata ricostruzione operata dalla parte rende, già prima facie, del tutto inverosimile la versione dei fatti dedotta dell'appellante circa la sussistenza di un urto quasi laterale e non di un tamponamento, posto che la descrizione del fatto compiuta (dal primo arresto dell'autocarro alla tentata ripartenza) è del tutto incompatibile con la asserita posizione parallela dei veicoli. Confermano tale dinamica le dichiarazioni rese dai testi escussi in primo grado. In particolare, la moglie dell'appellante, a bordo dell'autovettura coinvolta nel sinistro, ha riferito che un autocarro che procedeva nella stessa direzione di marcia si fermava e dallo stesso fuoriusciva del fumo; ha precisato che il marito rallentava la marcia e subito dopo l'autocarro è ripartito ed è fuoriuscito nuovamente del fumo che ha invaso la carreggiata riducendo la visibilità; ha evidenziato che erano già predisposti per cercare di superare l'autocarro. Parimenti l'altro teste, P.G., ha riferito che improvvisamente dinanzi a loro si è sprigionata una nuvola di fumo bianco che ha impedito ogni possibilità di visuale. Tali dichiarazioni, confermando in sostanza la dinamica dedotta nella comparsa di costituzione, corroborano la versione della sussistenza del tamponamento in quanto descrivono circostanze (prima fuoriuscita di fumo e rallentamento autocarro, successiva fuoriuscita di fumo e tentativo di ripartita) visibili da un auto che sopraggiunge nella stessa direzione, rendendo del tutto inverosimile, oltre che sconfessata dalle dichiarazioni dei testi, la versione difensiva dell'urto in posizione parallela. A ciò si aggiunga che anche la ctu modale svolta in sede di appello, nel descrivere le sequenze dinamiche, ha evidenziato che l'autoveicolo Seat seguiva da tergo nella stessa corsia di marcia e con la stessa direzione e che il punto di urto si è concretizzato tra lo spigolo posteriore sinistro dell'autocarro e la parte anteriore destra della Seat in modalità tangente, a riprova quindi delle posizioni assunte dai veicoli, che non potevano certamente ritenersi parallele. Non appare dirimente ai fini che in questa sede rilevano le conclusioni del ctu circa la sussistenza o meno di un tamponamento, atteso che, come si evince agevolmente dalla ctu, il consulente, in considerazione delle conseguenze prodotte (ribaltamento auto) si limita ad escludere un tamponamento centrato da tergo, che avrebbe provocato l'arresto e non il ribaltamento. Né può seriamente dubitarsi circa l'insussistenza in punto di conseguenze giuridiche di differenze tra un tamponamento centrato o meno. Dalla ricostruzione del sinistro nei termini sopra esposti deriva l'applicabilità della presunzione di esclusiva responsabilità del tamponante. Com'è noto, in caso di tamponamento, a seguito del quale un veicolo urta quello che lo precede, si applica la presunzione di esclusiva responsabilità del tamponante per l'inosservanza della distanza di sicurezza tra autoveicoli, distanza che deve essere mantenuta allo scopo di garantire l'arresto tempestivo del veicolo evitando così eventuali rischi di collisione con i veicoli che precedono (art. 149, comma 1, C.d.S., T.U. del D.L. 30 aprile 1992, n. 285), sostanzialmente riproduttivo dell'art. 107 C.d.S. previgente). Detta norma prevale sulla presunzione di colpa nello scontro tra veicoli in base alla quale, sino a prova contraria, si presume che ciascuno dei conducenti abbia concorso in eguale misura a provocare il sinistro (cfr. Trib. Nola 13 agosto 2010). Ne consegue che è il conducente del veicolo sopraggiunto a dover dimostrare che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili al fine di liberarsi da responsabilità (Cassazione civile 13 luglio 2010 n. 16376: "In caso di tamponamento del veicolo che precede, sussiste una presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza, tale da rendere inapplicabile la presunzione di pari responsabilità prevista dall'art. 2054, comma 2, c.c., sì che il conducente del veicolo sopraggiunto si libera da responsabilità soltanto se dimostra che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili" ((Cass. 18/03/2014 n. 6193; precedenti conf. Cass., 21/09/2007 n.19493, Cass. 21/09/2007 n. 19493). Ancora è stato precisato che "in caso di tamponamento tra veicoli, la presunzione di pari colpa di entrambi i conducenti, di cui all'art. 2054, comma 2, c.c., è superata, ex art. 149, comma 1, cod. strada, dalla presunzione "de facto" di inosservanza della distanza di sicurezza da parte del tamponante, sul quale grava l'onere di fornire la prova liberatoria, dimostrando che il tamponamento è derivato da causa in tutto o in parte a lui non imputabile, che può consistere anche nel fatto che il veicolo tamponato abbia costituito un ostacolo imprevedibile ed anomalo rispetto al normale andamento della circolazione stradale" (Cass., 06/10/2020, n. 21513; conf. 21/04/2016, n. 8051). Ciò posto, nella specie, tale prova liberatoria non può ritenersi fornita dal tamponante, non avendo l'appellante dimostrato che il mancato tempestivo arresto del mezzo e la conseguente collisione siano stati determinati da cause ad essa non imputabili e, in particolare, che la condotta di guida dell'appellato sia stata così negligente e imprudente da costituire un ostacolo imprevedibile e anomalo. Non può infatti ritenersi nella specie che l'auto condotta dal Di., che a causa del fumo derivante presumibilmente dalla rottura del motore ha prima rallentato e poi è ripartita, abbia determinato un ostacolo imprevedibile, atteso che, come emerso dall'istruttoria svolta in primo grado, il conducente dell'auto che nelle more è sopraggiunta ha avuto modo di accorgersi di una prima fuoriuscita di fumo dall'autocarro - che ha rallentato la propria marcia - e di una successiva fuoriuscita di fumo che ha invaso la corsia, imponendo tali circostanze (in particolare già la prima fuoriuscita di fumo) una condotta di guida consona allo stato dei luoghi. E' appena il caso di rilevare che in materia di circolazione stradale, l'imprevedibilità di un ostacolo, incontrato da un veicolo sulla sua linea di marcia, può escludere la colpa se la percezione dell'ostacolo sia tanto improvvisa da porre il conducente nella assoluta ed incolpevole impossibilità di evitare l'investimento (Cass. Sez. 4, n. 20330 del 13/01/2017). Nella specie non può dubitarsi della visibilità già della prima fuoriuscita di fumo, avendo il Pr. in sede di dichiarazioni spontanee in atti, dichiarato di essersi accorto che a distanza di 30-40 metri insisteva un muro bianco come nebbia che ostruiva le corsie (cfr. verbale in atti). A ciò si aggiunga che i verbalizzanti hanno ravvisato gli estremi contravvenzionali di cui all'rt. 149, commi 1 e 5 CDS a carico dell'appellante. E' appena il caso di rilevare che l'art. 149 comma 1 del D.Lgs. n. 285 del 1992 prevede che il conducente debba sempre garantire l'arresto tempestivo del suo veicolo, per evitare di collidere con i mezzi che lo precedono. E' stato sul punto precisato che "le prescrizioni attinenti ai limiti di velocità sono preordinate, oltre che al fine di non creare pericolo nel normale andamento della circolazione, anche al fine di consentire al conducente di prevenire e porre rimedio alle imprudenze altrui che si dovessero presentare" (Cassazione penale sez. IV 05 aprile 2013 n. 19384). Tutti questi elementi, unitamente considerati, non consentono di ritenere superata la prova liberatoria posta a carico dell'appellante, essendo anzi emerso che non solo il Pr. era nelle condizioni di vedere l'ostacolo e di adeguare la propria condotta di guida, essendosi accorto già in un primo momento della presenza del fumo, ma che lo stesso nell'occasione aveva una condotta di guida poco consona allo stato dei luoghi, come emerso anche in sede di ctu che ha evidenziato che una maggiore distanza di sicurezza e una minore velocità forse gli avrebbero permesso di evitare l'impatto con l'autocarro e/o quantomeno di limitare i danni ricevuti. Né possono condividersi le conclusioni del ctu circa la sussistenza di una pari responsabilità dei conducenti. E' appena il caso di rilevare che la ctu non può che essere finalizzata alla sola verifica della dinamica del sinistro, esulando dalla competenza del consulente ogni valutazione puramente giuridica. In definitiva, alla luce di quanto innanzi detto, l'appello va rigettato, assorbita ogni altra questione. Le spese seguono la soccombenza, non sussistendo motivi di compensazione, e si liquidano tra le parti costituite come da dispositivo che segue. Le spese di ctu sono poste definitivamente a carico di parte appellante. Stante il rigetto dell'impugnazione, sussistono infine i presupposti per l'applicazione dell'art. 13, co. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 nel testo introdotto dalla legge cd. di stabilità, trattandosi di impugnazione successiva alla data del 31/01/2013. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente decidendo, sull'appello proposto avverso la sentenza impugnata ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede: - rigetta l'appello; - condanna Pr.Fi. al pagamento, in favore di Di.Gi., delle spese di lite del presente grado che liquida nella somma di Euro 1.400,00, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cpa, come per legge, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario; - condanna Pr.Fi. al pagamento, in favore della Un. spa, delle spese di lite del presente grado che liquida nella somma di Euro 900,00, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cpa come per legge; -pone le spese di ctu liquidate come da separato decreto definitivamente a carico di parte appellante; -dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte dell'appellante, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, in osservanza dell'art. 13, co. 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 nel testo inserito dall'art. 1, co. 17 L. n. 228 del 2012, mandando alla Cancelleria per gli adempimenti relativi all'esazione. Così deciso in Benevento il 27 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile, in persona del G.M., Dr. Gerardo Giuliano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 271/2022 del R.G.A.C., avente ad oggetto CONTRATTI BANCARI, pendente TRA Fr.Ge., rappresentato e difeso dagli Avv.ti An.Lo. e Da.Pa.; OPPONENTE CONTRO Qu. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., (e, per essa, Co. S.p.A.) rappresentata e difesa dagli Avv.ti Al.Ba. e Lu.Ti.; OPPOSTA MOTIVI DELLA DECISIONE La presente motivazione viene redatta ai sensi degli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 132 cod. proc. civ., come novellati dalla L. n. 69 del 2009, in virtù di quanto disposto dall'art. 58, comma 2, l. cit.. 1. Questioni preliminari Preliminarmente, va chiarito che ai fini della decisione si terranno in considerazione domande, deduzioni, conclusioni articolate e documenti allegati dalle parti entro i termini perentori di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c.. Quanto alla legittimazione attiva dell'opposta ed alla relativa titolarità del credito di cui al decreto ingiuntivo opposto, si osserva, in diritto, che la legittimazione ad agire è una condizione dell'azione diretta all'ottenimento, da parte del Giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza deve essere riscontrata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall'azione, prescindendo, quindi, dall'effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa - che si riferisce, invece, al merito della causa perché investe i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, alla sua fondatezza -: ne deriva che, a differenza della "legitimatio ad causam" -intesa come il diritto potestativo di ottenere dal Giudice, in base alla sola allegazione di parte -, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, ed il cui eventuale difetto è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio -, l'eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio comporta un accertamento -e, dunque, una pronuncia - nel merito, per quanto anch'essa (id est l'accertamento della titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio) possa essere operata d'ufficio dal giudice alla stregua degli atti di causa (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 2951 del 16/02/2016; e, in senso conforme nella giurisprudenza di merito, cfr. Corte Appello Potenza, 09/08/2023, ud. 24/07/2023, dep. 09/08/2023, n. 434). Tanto premesso, nel caso in esame non viene in rilievo un difetto di legittimazione attiva dell'opposta, in quanto tale ultima parte ha prospettato - nell'ambito del ricorso per decreto ingiuntivo e nei successivi scritti difensivi - una situazione giuridica per la quale Qu. s.r.l., in via astratta, è legittimata attiva, avendo dedotto di essere cessionaria del credito di cui al precetto stesso: pertanto, se, per un verso, l'opposta secondo l'esposta prospettazione, è legittimata attiva, è pur vero - per altro verso ed in applicazione dei principi sopra enunciati - che va esaminata, nel merito, la effettiva titolarità, in capo a tale ultima parte, del rapporto dedotto in giudizio. Ebbene, a tale ultimo riguardo l'opposta ha depositato 1) non solo l'estratto delle G.U. in cui si è dato atto di tale cessione (cfr. allegato sub (...) alla comparsa di costituzione e risposta) che reca indicazioni sufficientemente specifiche e tali da far ritenere che anche il credito oggetto di ricorso monitorio rientri tra quelli ceduti -estratto che, quando reca detti requisiti di specificità, è, secondo parte della giurisprudenza, di per sé sufficiente ai fini della dimostrazione della titolarità attiva del credito dedotto in giudizio senza la specifica enumerazione di ciascuno di essi ma solo con indicazioni di criteri univoci volti ad individuarli (Cassazione civile sez. III, 22/06/2023, n.17944; Tribunale Cassino sez. I, 26/09/2023, n.1150; Tribunale Agrigento sez. I, 22/08/2023, n. 1175) -; 2) ma anche la dichiarazione della cedente - contenuta nella comparsa di costituzione e risposta del presente giudizio e ribadita in tutti gli scritti difensivi successivi- con la quale Co. S.p.A. ha dato atto dell'intervenuta cessione del credito in favore di Qu. s.r.l. e della circostanza che la titolarità del credito oggetto della presente controversia è di tale ultima parte: ebbene tale dichiarazione, unitamente al deposito dell'estratto della G.U. da cui risulta la cessione, è un elemento comprovante la titolarità del credito controverso in capo alla cessionaria, in quanto, ripercorrendo il condivisibile percorso logico-argomentativo di Corte appello Milano sez. I, 24/01/2023, n .220, "... la dichiarazione del cedente rappresenta la prova più liquida che conferma la titolarità della posizione soggettiva azionata in capo alla cessionaria non avendo alcun interesse la cedente a rendere una dichiarazione a sé contraria ..." (cfr. sentenza appena richiamata in parte motiva, nonché, in senso conforme nella giurisprudenza di legittimità, cfr., inter alia, Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, n. 10200, Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, n. 10200; e, in senso conforme nella giurisprudenza di merito, cfr., inter alia Tribunale Napoli sez. II, 26/07/2022, n.7492; Tribunale Monza sez. III, 08/08/2023, n. 1823). Va, poi, chiarita l'efficacia della cessione in quanto, per un verso, la pubblicazione della notizia della cessione, richiamata anche dall'art. 58 Testo Unico Bancario (L. n. 385 del 1993), ha la funzione di esonerare dalla notificazione stabilita in generale dell'art. 1264 c.c. (Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, n.10200); e, per altro verso, in ogni caso, per costante e consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità -condivisa da questo Giudice- ai fini della notificazione della cessione è sufficiente anche l'atto di citazione in giudizio o il ricorso per decreto ingiuntivo, con il cessionario che deve provare l'avvenuta cessione del credito di cui chiede il pagamento e purchè tali atti siano idonei a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio (cfr., inter alia, Cassazione civile, 29/09/2020, n. 20495; Cassazione civile sez. III, 28/01/2014, n.1770; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20143 del 18/10/2005; Tribunale Prato, 12/10/2011, n. 1055): ne consegue che la cessione in esame è comunque efficace nei confronti dell'opponente in quanto comunicata con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (unitamente al deposito della relativa documentazione allegata). 2. Sul merito Venendo all'esame degli altri motivi di opposizione, si osserva, innanzitutto, secondo i principi di cui alla nota sentenza Cass. Sez. Un. n. 13533/2001, il creditore che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto ed allegare l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) del debitore, sul quale, invece, incombe l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento dell'obbligazione (ovvero un fatto estintivo o modificativo della stessa). La pronuncia in esame si fonda su due principi fondamentali, e cioè la vicinanza della prova -per cui il relativo onere incombe su colui che può osservarlo in modo più "agevole", tenendo conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione-; nonché la persistenza presuntiva del diritto -per cui, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo costituito dal suo (esatto) adempimento-. In applicazione dei citati principi in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti, si osserva che nel caso in esame l'opposta ha compiutamente adempiuto all'onere probatorio su di essa gravante, avendo depositato in atti 1) copia del contratto di finanziamento stipulato dall'opponente con Co. S.p.A. (cfr. allegato n. 4 al ricorso monitorio); 2) copia del piano di ammortamento (cfr. allegato n. 9 al ricorso monitorio); 3) copia dell'estratto conto certificato ex art. 50 T.U.B. attestante il credito maturato e le relative poste (cfr. allegato sub (...) al ricorso monitorio); 4) copia delle lettere con le quali è stato comunicato all'opponente la decadenza dal beneficio del termine e la relativa messa in mora con relativa indicazione, in entrambe le comunicazioni, del debito maturato da quest'ultimo (cfr., rispettivamente, allegati sub (...) e (...) al ricorso monitorio). Ne consegue che l'opposta ha fornito una prova esaustiva in ordine alla certezza, liquidità ed esigibilità del credito, depositando in atti tutti i documenti a sostegno del credito vantato e sopra analiticamente individuati. A fronte di tale documentazione, parte opponente si è limitata ad una generica contestazione del credito maturato, senza, però, indicare ragioni e criteri per i quali i conteggi operati da controparte non sarebbero condivisibili, e, tantomeno, allegare qualsivoglia documento -e, più in generale, prova- volta a dimostrare, anche solo in via indiziaria, tale deduzione: ne consegue che l'eccezione in esame è infondata e deve essere rigettata. D'altronde, con riferimento alla contestazione in esame, si aggiunga che 1) nel contratto sono specificamente indicate tutte le condizioni economiche applicate al rapporto (TAN, TAEG, tasso di mora, costi del credito, spese e commissioni); 2) parte opposta, sin dalla comparsa di costituzione e risposta, ha specificamente documentato (mediante l'allegazione del sopra citato estratto conto) che da detto estratto conto sono desumibili le singole poste maturate ed il relativo titolo, deducendo che l'importo di cui al decreto ingiuntivo opposto è frutto della somma delle poste in esame: ebbene, a fronte di tale specifica argomentazione e documentazione, l'opponente non ha specificamente ed esaustivamente controdedotto, per cui, anche sotto questo aspetto, l'eccezione in esame è infondata. Parimenti infondate sono le eccezioni inerenti 1) l'asserita assenza di adeguata informativa da parte dell'opposta, in quanto, per un verso, eccezione sollevata in modo generico e poco circostanziato (non si comprende, cioè, quali sarebbero i comportamenti dell'opposta generatori di tali violazioni, né gli obblighi informativi violati); e, per altro verso, a pag. 4 del contratto l'opponente ha dato comunque atto di aver ricevuto il documento "informazioni europee di base sul credito ai consumatori" e dell'ulteriore documentazione informativa indicante le condizioni economiche applicate al contratto; 2) la vessatorietà delle clausole contrattuali, in quanto non solo detta eccezione è generica (non sono indicate le clausole vessatorie pattuite in violazione della normativa consumieristica, né le ragioni per le quali sarebbero nulle), ma, comunque, le clausole vessatorie sono state specificamente approvate per iscritto. Infine, non è ammissibile l'eccezione avente ad oggetto la pattuizione -e, in generale l'applicazione- di interessi usurari nel rapporto dedotto in giudizio, in quanto assorbente è la considerazione per cui detta eccezione è stata formulata in modo del tutto generico ed apodittico (senza, cioè, indicare in che modo ed in che misura sarebbe avvenuto il superamento del tasso soglia nel rapporto dedotto in giudizio), mentre, secondo l'unanime giurisprudenza di merito e di legittimità, quando si contesta il superamento del tasso soglia, la circostanza non può essere dedotta genericamente, ma è necessario un riferimento specifico al periodo in cui si sarebbero verificate le operazioni a tasso usurario (cfr., inter alia, Cass. n. 8742/2001; Cass. n. 11706/2002; Trib. Roma n. 12523/2013). A ciò si aggiunga che l'opposta, a fronte di detta eccezione, ha comunque dedotto e documentato, in modo specifico e circostanziato, le ragioni per le quali il tasso di interesse convenuto ed applicato nell'ambito del contratto dedotto in giudizio è al di sotto del tasso - soglia pro tempore applicabile: deduzioni rispetto alle quali l'opponente nulla ha specificamente controdedotto o documentato, ragione per la quale l'eccezione in esame è infondata anche sotto tale aspetto. In conclusione, alla luce delle esposte ragioni in fatto ed in diritto, l'opposizione è infondata, per cui deve essere rigettata con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, che deve essere dichiarato definitivamente esecutivo. 2. Sulle spese di lite Le spese di lite vanno compensate per metà in ragione del dibattito giurisprudenziale registratosi (e che si registra) in merito alla prova necessaria ai fini della dimostrazione della titolarità del credito in capo alla cessionaria nell'ambito di un'operazione di cessione dei crediti in blocco; mentre per la restante metà seguono la soccombenza dell'opponente e sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri medi del D.M. n. 147 del 2022 relativi a controversie con valore compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, seconda sezione civile in persona del G.M., Dr. Gerardo Giuliano, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 271/2022 R.G.A.C., ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) RIGETTA, per le ragioni di cui in motivazione l'opposizione, e, per l'effetto: 2) CONFERMA il decreto ingiuntivo opposto, dichiarandolo definitivamente esecutivo; 3) COMPENSA per metà le spese di lite e CONDANNA l'opponente a pagare, in favore dell'opposta, la restante metà di tali spese, che si liquidano in complessivi Euro 2.540,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A., se dovute, come per legge. Manda la cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Benevento il 28 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, sezione prima civile, composto da: dr. Ennio RICCI - Presidente rel. dr.ssa Floriana CONSOLANTE - Giudice dr.ssa Serena BERRUTI - Giudice ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1481 R.G. per l'anno 2022, riservata in decisione all'udienza a trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. del 29.11.23, e vertente TRA Li.An., ((...)), rappresentata e difesa dall'avv. Gu.Ga., come da procura allegata al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo difensore in Ariano Irpino alla Via (...). RICORRENTE E Ce.Lu., ((...)), rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Na., come da procura allegata alla memoria di costituzione, elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo difensore in Montesarchio, alla Via (...). RESISTENTE Con l'intervento del P.M. presso questo Tribunale. OGGETTO: Separazione giudiziale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato il 14.4.22 An.Li., premesso di aver contratto il 14.9.2017 in Ariano Irpino matrimonio civile con Ce.Lu., e che dall'unione non erano nati figli, esponeva che il rapporto si era incrinato a causa delle condotte del resistente, ed i coniugi da tempo non avevano più un'unione affettiva e sentimentale, tanto da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. La Li. chiedeva pertanto che: a) fosse dichiarata la separazione giudiziale dei coniugi per fatto addebitabile al marito; b) fosse autorizzato l'accesso alla casa coniugale per consentire di prelevare beni ed effetti personali di essa ricorrente; c) fosse posto a carico del C. l'obbligo di corrispondere a titolo di mantenimento della moglie l'importo di Euro 350,00 mensili. Instaurato il contraddittorio, si costituiva il resistente e non si opponeva alla domanda di separazione; chiedeva peraltro che: a) la separazione fosse addebitata alla moglie; b) la ricorrente fosse condannata alla restituzione della somma di Euro 7.500,00 e di una collana d' oro; c) la richiesta di assegno di mantenimento avanzata dalla ricorrente fosse rigettata; d) fosse posto a carico della Li. l' obbligo di corrispondere a titolo di mantenimento del marito un importo da determinarsi in corso di causa. All'esito dell'udienza di comparizione del 21.6.22, il Presidente, sentiti i coniugi, fallito il tentativo di conciliazione, adottava i seguenti provvedimenti temporanei ed urgenti: "1. autorizza i coniugi a vivere separati, con obbligo di mutuo rispetto e facoltà di stabilire la propria dimora dove meglio credano; 2. nulla dispone in ordine all'assegno di mantenimento invocato dalla ricorrente, prendendo atto della rinuncia del resistente all' assegno di mantenimento per sé". La causa era rimessa innanzi al G.I. per l'udienza di comparizione e di trattazione del 19.10.22, assegnando a parte ricorrente termine sino al 19.9.22 per il deposito in Cancelleria di memoria integrativa, che avrebbe dovuto avere il contenuto di cui all'art. 163, co. 3, nn.2, 3, 4, 5 e 6 c.p.c., nonché termine alla controparte sino al 3.10.22 per la costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167 commi 1 e 2 c.p.c., e per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, avvertendo parte convenuta che la costituzione oltre il suddetto termine avrebbe implicato le decadenze di cui all'art. 167 c.p.c., e che oltre il termine stesso non avrebbero potuto più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio. Letto l'art. 221 comma 4 D.L. n. 34 del 2020, come modificato dalla L. n. 77 del 2020, l'art. 23 D.L. n. 137 del 2020 convertito in L. n. 176 del 2020, e l'art. 16 D.L. cd. Milleproroghe 2022, le parti erano invitate a procedere alla trattazione scritta della causa mediante scambio e deposito telematico, almeno cinque giorni prima dell'udienza, di note contenenti le sole istanze e conclusioni. Con ordinanza del 19.10.22 - rilevato che parte ricorrente aveva depositato in data 13.9.22 memoria integrativa, ed in data 12.10.22 note, con cui chiedeva l' assegnazione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., e parte resistente aveva depositato in data 30.9.22 memoria integrativa, ed in data 13.10.22 note, con cui chiedeva, tra l'altro, l'assegnazione dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c. - venivano assegnati i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., e la causa veniva rinviata all'udienza del 18.1.23 per l'adozione delle determinazioni conseguenti. Espletata l'istruttoria ammessa con ordinanza del 18.1.23, la causa era rinviata per la precisazione delle conclusioni all'udienza del 29.11.23, e le parti erano invitate a procedere alla trattazione scritta della causa ex art. 127 ter c.p.c. con termine fino alla data indicata per il deposito di note conclusionali. Con ordinanza del 29.11.23 la causa era riservata alla decisione del Collegio sulle conclusioni precisate in epigrafe, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c., decorrenti dalla contestuale comunicazione della medesima ordinanza, per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Dalla lettura degli atti processuali emergono nitidamente tutte le condizioni per pronunciare la separazione personale dei coniugi, essendo evidente la intollerabile prosecuzione della convivenza. La mancanza di ogni comunione spirituale tra le parti si è manifestata nelle dichiarazioni rese in sede di comparizione innanzi al Presidente del Tribunale, non smentite da acquisizioni di segno contrario; l'impossibilità di una riconciliazione si ricava, oltre che dall'esito negativo del tentativo già esperito, dalla circostanza che i coniugi, dopo l'udienza presidenziale del 21.6.22, hanno continuato a vivere separati, e non risulta si siano riconciliati. Dall'unione non sono nati figli, e dunque alcuna statuizione va adottata al riguardo. Il resistente in corso di causa ha rinunciato alla richiesta di attribuzione in suo favore di un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. (cfr. verbale dell'udienza del 21.6.22). Va poi rimarcato che, in difetto di vincolo di connessione forte tale da giustificare il simultaneus processus, non è dato provvedere nel presente giudizio su questioni attinenti alla regolamentazione di altri rapporti patrimoniali tra i coniugi - ivi comprese quelle restitutorie - per le quali dovrà essere trovata sistemazione in altra sede (cfr. tra le altre Cass. n. 18870/2014; Cass. n. 27386/2014; Cass. n. 2155/2010). Restano quindi da esaminare le questioni concernenti: 1) l'addebito della separazione; 4) l'assegno di mantenimento chiesto per sé dalla ricorrente ex art. 156 c.c.. 1. L'addebito della separazione. La domanda di addebito è stata avanzata da entrambe le parti. Giova ricordare che, ai sensi dell'art. 151 c.c., il Giudice, pronunciando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale coniuge sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Tuttavia, è ormai consolidato il principio secondo cui non è sufficiente la prova della violazione dei doveri coniugali, ma è altresì necessario che detta violazione sia causa diretta del fallimento della convivenza. Occorre, quindi, affinché possa essere accolta la domanda di cui si discute, la prova rigorosa del nesso causale tra la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ed il suo naufragio (cfr. tra le altre Cass. 18074/14; Cass. 8862/2012; Cass. 8873/2012; Cass. 21245/2010). Nel caso di specie la ricorrente ha dedotto che il rapporto coniugale si sarebbe incrinato a causa di comportamenti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio posti in essere dal C., culminati in data 18.3.22 nell'impedire alla moglie l'accesso alla casa coniugale sita in M. alla Via C. n. 15. Il resistente ha contestato la ricostruzione dei fatti esposta da controparte, ed ha dedotto che il matrimonio sarebbe fallito a causa della violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie, la quale il 18.3.22, al rientro da un viaggio in Francia, aveva abbandonato, inaspettatamente, la casa familiare, e ciò a seguito della relazione extraconiugale intrattenuta con un altro uomo conosciuto proprio durante quel viaggio. Orbene, come puntualizzato dalla Suprema Corte, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, che deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a determinare l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che non risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (cfr. Cass. n. 25618/07; Cass., n. 16859/15; Cass n. 917/17). Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà (cfr. n.2059/12). Nel caso di specie non ha trovato adeguato riscontro l'assunto della violazione del dovere di fedeltà ascritto alla ricorrente: si tratta di circostanza riferita solo de relato : " ..il Lunedì dopo che erano tornati dalla Francia nell'anno 2022 e L. mi ha riferito che durante il viaggio in Francia la moglie si era appartata con un parente e che, una volta tornati, la moglie era andata a casa della mamma perché la mamma aveva il Covid" (cfr. tra le altre le dichiarazioni del teste A.C. all'udienza del 10.5.23). E' incontroverso comunque che la Li. ha lasciato la casa coniugale il 18.3.22 (cfr. ricorso introduttivo e comparsa di costituzione). Secondo l'insegnamento della Suprema Corte, il volontario abbandono del domicilio coniugale, indipendentemente dalla prova dell'esistenza di una relazione extraconiugale, è causa sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (cfr. Cass. 12241/20; Cass, 25966/16; Cass. 648/20). La ricorrente ha dedotto di essere stata costretta dal marito a lasciare l'abitazione, mentre per il resistente sarebbe stata una scelta volontaria. L'istruttoria testimoniale espletata non ha fornito elementi univoci sulla dinamica dell'episodio. I testi indotti dal resistente hanno invero affermato che, a detta del C., la moglie si sarebbe allontanata per andare ad assistere la madre, malata di COVID (cfr. dichiarazioni dei testi C.M.I., A.C., M.R., A.D.). E' peraltro verosimile che l'abbandono si inserisca in un quadro di rapporti familiari ormai deteriorato. Non si spiegherebbe altrimenti l'intervento dei Carabinieri per assistere alle operazioni di prelievo dei beni ed effetti personali della ricorrente, intervento richiesto dall'avvocato "perché c'era il rischio di un potenziale conflitto tra i coniugi" (cfr. dichiarazioni del teste G.M., Comandante della stazione dei Carabinieri di Montesarchio). L'irreversibilità della crisi del matrimonio si desume inoltre dal fallimento dei tentativi di alcuni amici della coppia di riportare la pace tra i coniugi (cfr. dichiarazioni dei testi C.M.I. ed A.D.). Non possono ritenersi decisivi ai fini che qui interessano i messaggi WhatsApp prodotti dalla ricorrente, che, prescindendo da ogni altra considerazione, sono successivi all'episodio di cui si è detto. In conclusione, alla luce di tali emergenze, entrambe le domande di addebito della separazione vanno disattese. L' assegno di mantenimento invocato dalla ricorrente ex art. 156 c.c.. La Li. ha chiesto l'attribuzione di un assegno di mantenimento in suo favore ex art. 156 c.c.. L'ordinanza presidenziale del 21.6.22 nulla ha disposto sul punto. Giova ricordare che con la separazione personale il vincolo matrimoniale non viene sciolto, bensì sospeso in maniera transitoria in attesa di una eventuale sentenza di divorzio; lo status giuridico di coniuge rimane inalterato e, di conseguenza, rimane attivo il dovere di assistenza materiale dei coniugi ed in particolare del coniuge che non ha adeguati redditi propri in grado di consentirgli di mantenere, quantomeno, lo stesso tenore di vita adottato in costanza di matrimonio. La determinazione dell'assegno è, quindi, strettamente connessa all'individuazione del coniuge che risulta economicamente svantaggiato, in modo tale da riequilibrare le reali capacità economiche della coppia separata. All'udienza presidenziale del 21.6.22 la Li. ha affermato di aver lavorato fino a prima di Natale in un frantoio di Montesarchio e di percepite solo l'indennità di disoccupazione pari ad Euro 800,00 - 900,00 al mese; ha inoltre precisato di aver svolto in passato sempre lavori saltuari, e di abitare con la mamma ad Ariano Irpino. Il C. ha affermato di svolgere un lavoro part-time con una retribuzione mensile ci circa Euro 1.100,00, e di abitare nella casa familiare, di sua proprietà. Le affermazioni del resistente sono sostanzialmente in linea con la documentazione fiscale prodotta; l'estratto del conto corrente presenta alla data del 31.12.22 un saldo positivo di Euro 5.125,77. La ricorrente non ha prodotto documentazione fiscale; l'estratto del conto corrente - le cui movimentazioni sono peraltro quasi tutte oscurate - indica alla data del 3.4.23 un saldo disponibile di Euro 1.896,37. Dalla visura versata in atti dal resistente emerge inoltre che la Li. è comproprietaria di alcuni immobili in A.I. All'udienza del 19.4.23 S.Li., sorella della parte, ha affermato che "Mia sorella attualmente non abita più con mamma, è all'estero in Francia per cercare lavoro ed è ospitata da mia zia (...)" Alla successiva udienza del 4.10.23 la teste S.D.D., amica della ricorrente, ha riferito che quest'ultima "attualmente svolge lavori precari e saltuari come cameriera nella zona di Ariano Irpino e in Francia (...)". Ai fini delle decisioni da assumere va considerato che: 1) sulla base dei dati acquisiti, non è ravvisabile una significativa asimmetria tra le condizioni economiche del marito, e quelle della moglie; 2) la Li. per l'età, le pregresse esperienze e l'assenza di impedimenti di tipo sanitario, può utilmente inserirsi nel mercato del lavoro, sia pure con prospettive di guadagno non elevate (in effetti, come precisato nella memoria integrativa depositata il 13.9.22, la ricorrente dal 1999 ha sempre lavorato, e verosimilmente ora svolge attività lavorativa in Francia); 3) la ricorrente non risulta sostenere oneri di locazione per l'alloggio ove ora vive; 4) il matrimonio ha avuto breve durata, e dall'unione non sono nati figli. Alla luce degli elementi sopra riassunti, la domanda avanzata dalla resistente va rigettata. Tenuto conto della natura e dell'esito del giudizio le spese di lite possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Li.An. nei confronti di Ce.Lu., e sulle domande riconvenzionali avanzate dal resistente, con l'intervento del P.M. presso questo Tribunale, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: 1. dichiara la separazione personale dei coniugi Ce.Lu., nato a M. il (...), e Li.An., nata ad A. il (...), uniti in matrimonio il 14.9.2017 in Ariano Irpino, (atto n. 49, Parte II, serie A, dell'anno 2017 del Comune di Ariano Irpino); 2. rigetta le domande di addebito della separazione avanzata da entrambe le parti; 3. rigetta la domanda di attribuzione di un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c. avanzata da Li.An.; 4. dichiara inammissibili le altre domande proposte dalle parti; 5. compensa le spese di lite. Così deciso in Benevento il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Benevento Seconda Sezione Il Giudice Monocratico, GOP dr. Carlo BUONO, nella causa iscritta al n. 3831/2018 di Ruolo Generale, avente ad oggetto "Responsabilità professionale": tra Ve.Be. (C.F. (...)), nato il (...), a S.C.D. e residente in C. di P. alla via M.M., 9 assistito e difeso dall'Avv. Ca.Ma., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Caserta, attore e AZIENDA Os. (C.F. (...)), con sede in B. alla Via D. snc, in persona del legale rappresentante p.t., assistito e difeso dall'Avv. Fr.Ce., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Lecce, convenuto SENTENZA FATTO E DIRITTO Con atto di citazione depositato il 04.09.2018, ritualmente notificato alla controparte, l'attore chiedeva accertare e dichiarare, ex art. 1176 II comma ed art. 1128 c.c. ed in base al combinato disposto dagli artt. 2043 - 1175 e 1375 c.c., l'intervenuto adempimento dell'obbligazione nascente dal contratto "sociale" intercorso tra l'Azienda Os. e il sig. V.. Inoltre accertare e dichiarare responsabili del peggioramento delle condizioni fisiche dell'attore e le complicanze psichiche subite dallo stesso, gli operatori sanitari dell'Azienda Os. colpevoli di aver agito con imprudenza, imperizia e negligenza nell'esercizio dell'attività medica e, per l'effetto, condannare la predetta Azienda O. al pagamento in favore del sig. V. della somma che sarà accertata e quantificata in corso di causa oltre interessi compensativi e legali e svalutazione monetaria, trattandosi di debito di valore, dal giorno del verificarsi del fatto al soddisfo e ciò a titolo di risarcimento di danni patrimoniali, non patrimoniali comprensivi del danno biologico e morale, psichico ed esistenziale, nonché di danno da perdita di chance. Con vittoria di spese in favore del difensore, dichiaratosi antistatrio. Resisteva la convenuta Azienda Os. preliminarmente, per la nullità dell'atto di citazione chiedendo disporne l'integrazione, ai sensi dell'art. 164, comma 5 c.p.c. Nel merito, accertare e dichiarare la intervenuta prescrizione di ogni diritto al risarcimento del danno con riferimento alle vicende oggetto del presente giudizio. In subordine, accertare e dichiarare l'assenza di prova del danno e del nesso di causa tra condotta contestata ed evento e, in ogni caso, l'assenza di responsabilità in capo alla deducente azienda. In estremo subordine e salvo gravame, ridurre il quantum del risarcimento, anche ai sensi dell'art. 1227 c.c. e in ragione di eventuale compensatio lucri cum damno. Con vittoria di spese e competenze del giudizio. Venivano assegnati alle parti i termini di cui all'art. 183 VI comma c.p.c. e, all'esito il giudice procedeva alla nomina di un C.T.U. nella figura della dott.ssa No.Ra.. Dunque, depositato l'elaborato e terminata l'istruttoria, il giudice invitava le parti a precisare le conclusioni. Nell'udienza del 03.11.2023, sulle rassegnate conclusioni, il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c. Ambedue le parti depositavano memorie conclusionali e di replica. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE La domanda va accolta. Il fatto, dalle risultanze probatorie versate in atti, è brevemente riassumibile. Il sig. Ve.Be., a seguito di un incidente automobilistico occorso il 16.04.2004, subì una frattura scomposta pluriframmentaria al terzo medio di omero sinistro, così come diagnosticato dal presidio O.F.. Fu pertanto portato all'azienda Os. per le cure del caso, ove il 17.04.2004 fu riscontrata una frattura post traumatica dell'omero sinistro con edema del braccio sinistro in corrispondenza della frattura. Pertanto, in quest'ultimo ospedale, il 21.04.2004 subì un intervento di riduzione e sintesi della frattura omerale con fissatori esterni. All'esito, vista la presenza di frammenti diastasati e disassati, venne di nuovo operato il 30.04.2004 per il riposizionamento dei mezzi di sintesi e riduzione micrometrica della frattura. Lo stesso giorno veniva dimesso con indicazione di effettuare medicazione del fissatore, tenere l'arto in posizione di riposo e una terapia medica. Da quel momento in poi la vicenda sanitaria e clinica del sig. V. vede innumerevoli ricoveri nella stessa azienda O.B., ciò per un iniziale difficoltà nel consolidamento della frattura così, successivamente, la presenza di un'infezione, sino a decidere, il 18.05.2005, di sottoporsi alle cure mediche presso l'O.S. dove, esaminata la pregressa frattura omero sinistro e pseudoartrosi infetta, in anamnesi frattura pluriframmentaria omero sinistro trattata con fissatori esterni e dopo 9 mesi con placca e impianto, veniva riscontrata la presenza di una cicatrice chirurgica con alcuni punti di secrezione, gomito atteggiato a circa 160 gradi e parestesie nella sede dorsale dell'avambraccio. Quindi veniva eseguita la rimozione della placca, curettage e in data 25.05.2005 nuova sintesi con fissatori di Hoffmann 2. Successivamente, in data 30.05.2005, veniva dimesso con terapia medica e prescrizione di terapia riabilitativa. Eseguiva varie terapie riabilitative oltre che sottoporsi ad innumerevoli cure mediche presso l'Ospedale di Aversa sino al 30.05.2008 allorché veniva rimossa la placca e le viti e, il 19.06.2008, dopo il controllo clinico e la rimozione dei punti di sutura, si certificava la guarigione clinica con postumi. Va anche aggiunto, che nel corso degli innumerevoli interventi sanitari, in data 20.09.2005 e in data 03.11.2005 seguiva presso l'A.S. visita neurologica con diagnosi di sindrome ansiosa. La ricostruzione fin qui operata è stata fatta sulla scorta delle produzioni documentali e il fondamentale apporto dato al giudicante della consulenza della dott.ssa Noemi Maria Razzano, specialista in Medicina legale. La CTU depositata è esente da ogni vizio e con dovizia di particolari risponde ai quesiti posti dal giudice. Preliminarmente il consulente ha provveduto, con lo stile di una cartella clinica dettagliata, ad evidenziare tutto l'excursus sanitario, illustrando ogni esame fatto e ogni dato ricavabile da esso. Dopodiché, in relazione allo specifico quesito, oggetto della causa, ha analizzato la letteratura medica addivenendo dunque a conclusioni che sono di pieno supporto alla presente sentenza. Senza voler semplificare il costrutto medico scientifico, quello che appare evidente e che è l'oggetto di questa causa sta nel fatto che la patologia che interessò il sig. V. va individuata nell'infezione da stafilococco aureus meticillino resistente che aggravò la sua situazione così come discendente dall'incidente automobilistico di cui si è detto. Più precisamente vanno individuate quali conseguenze di questa patologia le innumerevoli infezioni ossee sopraggiunte che hanno determinato un aggravamento del risultato finale ben peggiore di quello che si sarebbe ottenuto se non fosse incorso in tale disfunzione. Ebbene, l'analisi condotta dal C.T.U. ha determinato che è altamente probabile che la causa della infezione sia da ricercarsi nell'intervento chirurgico di rimozione del fissatore esterno a livello omerale per pseudoartrosi, e contemporaneamente di osteosintesi con placca e viti ed innesto osseo autologo implementato con fattori di crescita, che fu condotto il 18.11.2004 nell'azienda Os.. Difatti, successivamente, sempre nel medesimo nosocomio, nel ricovero del 06.02.2005, fu riscontrata un'infezione cutanea con fistola secernente al braccio sinistro e veniva eseguita l'escissione della fistola. In quel frangente veniva accertata l'infezione da Staphylococcus aureus MSSA. Tale problema, come è possibile rilevare nei successivi interventi, è sempre presente sino al successivo ricovero presso la struttura ospedaliera d'Aversa dove venne operato un deciso intervento con l'obiettivo di eliminare l'infezione. Il germe, Staphylococcus aureus MSS, individuato dall'Ospedale Rummo stesso, è certamente di origine nosocomiale. Tali infezioni vengono denominate Infezioni Correlate all'Assistenza - ICA, ovvero un'infezione presente in pazienti ospedalizzati, non rilevata, neppure in incubazione, all'ingresso in ospedale. Così è infatti la situazione del sig. V. all'atto dell'ingresso all'Os. e il germe compare solo nei controlli effettuati dopo l'intervento chirurgico del 18.11.2004 eseguito presso il Reparto di Ortopedia. Il germe viene rilevato il 06.02.2005, e ciò, come evidenzia il C.T.U., è conforme alla letteratura medica che stabilisce che il periodo di insorgenza di una infezione nosocomiale, come da linee giuda, prevede che essa si manifesti entro 30 giorni dalla data dell'intervento in assenza di impianto protesico o entro 90 giorni in presenza di impianto protesico, come accaduto nel caso di specie. Dunque, in definitiva, sussiste un nesso causale tra l'infezione da Staphylococcus aureus MSS resistente e le procedure chirurgiche e medicazioni che il V. ha effettuato durante i numerosi ricoveri presso l'O.R.. Venendo alle conseguenze, appare evidente che i microrganismi patogeni in caso di infezioni ospedaliere quale conseguenza di un intervento chirurgico, compiono un opera ben più devastante in quanto, stante l'intervento stesso, hanno un potere di penetrazione nell'organismo ben più elevato. Ciò sta a significare che l'infezione di cui si discute rientra in una complicanza prevedibile ed impone agli operatori del settore specialistico una corretta ed attenta assistenza post chirurgica, al fine di prevenire il fenomeno o comunque, per quanto possibile di contenerlo. In tal senso si deve parlare di una loro negligenza per non aver osservato e posto in essere tutte le regole e le precauzioni e le cautele proprie del caso. L'esame della responsabilità professionale oggetto del presente giudizio è frutto di un procedimento logico-giuridico che evidenza come vi sia uno scollamento tra il corretto operato del professionista-medico inteso come "buona pratica clinica" e quello che effettivamente è stato posto in essere dai sanitari del presidio ospedaliero. La consulenza, di cui si condividono analisi e risultati, evidenzia come la trascurata attività operatoria e post-operatoria viene ad essere una condizione da cui scaturisce l'evento patologico successivo. Difatti la probabilità dell'infezione poteva essere contenuta in termini meno invasivi fornendo al paziente una migliore qualità della vita. In tal senso vi è una evidente violazione nel rapporto che sussiste tra il paziente e la struttura ospedaliera che nella sua attività deve garantire un'assistenza senza carenze ed errori come quelli prima illustrati. Per meglio dire, l'Azienda O., vista la natura complessa dell'attività professionale (art. 2236 c.c.), poteva sfuggire alla responsabilità dimostrando di aver rispettato, in punto di perizia, tutte le regole essenziali e basilari della sua professione e fornendo così la prova del fatto impeditivo della responsabilità (assenza di colpa grave o dolo). In definitiva, la particolare difficoltà della prestazione non determina una peculiare distribuzione dell'onere della prova ma vale soltanto ad apprezzare il grado di perizia e di diligenza esigibili dal sanitario (cfr. Cass. sent. nn. 10297/2004 e 11488/2004) in quanto denotanti il modello di condotta dovuta. Allegato l'inadempimento, spetta al professionista oppure alla struttura ospedaliera, provare che il risultato anormale rispetto all'esito auspicabile dell'intervento o del trattamento sanitario, sia dipeso da un fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta nel caso concreto e secondo la natura complessa o meno dell'intervento. Ebbene, quel che si è rilevato è che, nel caso in esame, l'attore ha allegato con la documentazione prodotta, in modo specifico e non generico, il profilo di inadempimento dei sanitari come causa della successiva problematica. La consulenza richiesta dal giudice ha poi contribuito, per le analitiche motivazioni in essa contenute, a formare il convincimento del giudicante circa il nesso di causalità tra il comportamento negligente tenuto dai sanitari dell'Os. e le patologie del sig. V.. Il CTU all'esito di un esame accurato dei dati clinico/documentali in atti, e seguendo un ragionamento scientifico lineare, ha concluso che quanto si è verificato e le conseguenze di ciò è riconducibile all'inadempimento dei sanitari dell'O.B., ragione per cui quella struttura sanitaria deve rispondere del danno giuridicamente rilevante e meritevole di reintegra. Quello che ne consegue è che certamente l'infezione ha determinato nel ricorrente un allungamento del periodo di malattia e la necessità di ulteriori ricoveri ospedalieri per giungere alla guarigione clinica. Circa l'eccezione sollevata dal convenuto in relazione alla prescrizione deve osservarsi nel caso in specie che si applica quella decennale essendo il rapporto alla base tra il paziente e l'Ospedale di natura contrattuale. Difatti, è la L. n. 24 del 2017 (c.d. legge "Gelli-Bianco") che all'art. 7 recita: "la struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del c.c., delle loro condotte dolose o colpose". In relazione alla decorrenza deve osservarsi che la patologia infettiva determina sicuramente malattie lungolatenti, ovvero quelle che si manifestano diverso tempo dopo l'evento patogeno che l'ha causata. Sul punto appare opportuno ricordare Cass. n. 2146 del 29.1.2021: "Il termine di prescrizione non può decorrere da quando il danno insorge, ma da quando il danneggiato è posto in una possibilità consapevole di esercitarlo" Venendo pertanto alla valutazione del danno, il consulente del giudice ha chiarito che il danno biologico permanente può essere quantificato in misura del 7% (sette per cento), tenuto conto della lesione iniziale (frattura pluriframmentaria scomposta omero sinistro in soggetto destrimane) e dell'attuale esame clinico comprensivo del maggior danno derivante dalla infezione sofferta consistente nella cicatrice chirurgica di nocumento estetico peggiorativa, in relazione a tutti gli interventi chirurgici eseguiti, e della instaurarsi di una pseudoartrosi residua con algia algo-disfunzionale dell'arto superiore sinistro in soggetto destrimane. Per la quantificazione di tale danno, applicando le tabelle in vigore al momento della decisione (cfr. Cass. Ordinanza n. 33770 del 19.12.2019), considerando l'età del danneggiato al momento dei fatti pari a 51 anni, si addiviene ad un danno non patrimoniale risarcibile di Euro 19.225,00. Non va applicata la personalizzazione perché in base a quanto prodotto dalle parti non sono state individuate specifiche circostanze peculiari al caso concreto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già compensate dalla liquidazione forfettizzata tabellare. Si rilevano conseguenze dannose "comuni" che non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento. In realtà è riconosciuto anche un oggettivo danno morale. Difatti appare del tutto evidente come nel caso de quo persiste "...l'ingiusto turbamento dello stato d'animo del danneggiato o anche nel patema d'animo o stato d'angoscia transeunte generato dall'illecito..." (cfr. Cass. n. 10393/2002). Non si può infatti sottacere che le conseguenze nefaste hanno, con assoluta evidenza, comportato una sofferenza interiore e psicologica stante la compromissione permanente della validità psicofisica. Tale condizione non può farsi risalire a semplici disagi o inconvenienti della vita quotidiana, il fatto lesivo ha alterato il complessivo assetto dei rapporti personali, provocando, come nel caso di specie, una rimarchevole dilatazione dei bisogni e dei doveri. In altre parole, la sofferenza morale, quale "danno interno" è stata di particolare intensità. In tale quadro va chiarito che in relazione a tale parte del danno ci si riferisce a quelle che sono le conseguenze comuni a tutte le persone in situazioni del genere, in quanto solo esse sono state dimostrate, e non anche alle conseguenze peculiari del caso concreto, in cui il pregiudizio sofferto dalla vittima sia superiore alla media, perché nulla è stato prodotto in tal senso neppure è possibile evincere dalla consulenza disposta. Dunque, in relazione al danno non patrimoniale si è fatto riferimento, in punto liquidazione a quelle che sono le "conseguenze ordinarie", senza dunque disporre per una liquidazione ulteriore, a seguito della personalizzazione, relativamente a conseguenze peculiari. In tale contesto deve leggersi pertanto, le certificazioni neurologiche prodotte del 20.09.2005 e del 03.11.2005 rilasciate dall'A.S.. Il giudice, nella propria valutazione, ha utilizzato come parametro le tabelle "milanesi", per conseguire quella che è la riparazione delle conseguenze ordinarie, ossia al risarcimento del pregiudizio che qualunque vittima avrebbe patito in circostanze analoghe. Ciò perché, per superare tale quadro sarebbe stato necessario che nel dibattito processuale fossero emerse specifiche circostanze di fatto, peculiari della fattispecie, caratterizzate dalla irripetibile singolarità dell'esperienza di vita individuale nella specie considerata (cfr. Cass. 15084/2019). Pertanto, non è possibile operare una variazione in aumento in relazione a danni che, nella stessa situazione, qualunque vittima avrebbe patito perché tali pregiudizi sono già considerati nella liquidazione tabellare (cfr. Cass. 7513/2018, Cass. 10912/2018, Cass. 23469/2018, Cass. 27482/2018, Cass. 28988/2019). La cifra del danno risarcibile, se da un lato costituisce l'adeguato equivalente pecuniario della compromissione di beni giuridicamente protetti, tuttavia non comprende l'ulteriore e diverso danno rappresentato dalla mancata disponibilità della somma dovuta, provocata dal ritardo con cui viene liquidato al creditore danneggiato l'equivalente in denaro del bene leso. Nei debiti di valore, come quelli di risarcimento da fatto illecito, vanno pertanto corrisposti gli interessi che devono decorrere da quando è stata proposta la domanda giudiziaria. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella prevista misura media facendo riferimento alla tariffa di cui al D.M. n. 55 del 2014 come modificata dal D.M. n. 147 del 2022, sul valore della causa. Le spese relative alla C.T.U., invece, già liquidate in corso di causa, devono gravare definitivamente sulla parte convenuta soccombente. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa, sulla domanda proposta da Ve.Be. nei confronti dell'AZIENDA Os., così provvede: a) accoglie la domanda risarcitoria proposta contro l'Azienda Os., che va condannata, in persona del legale rappresentante pro tempore, a pagare in favore dell'attore, Ve.Be., la somma di Euro 19.225,00 oltre interessi legali dalla data della proposizione della domanda giudiziaria e sino al soddisfo, a titolo di danno ingiusto; b) condanna l'Azienda Os., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio sostenute dai ricorrenti che liquida in Euro 5.077,00 oltre IVA e CPA e spese generali al 15% da attribuire al difensore che si è dichiarato antistatario; c) pone le spese di CTU, già liquidate in corso di causa, definitivamente a carico dell'Azienda Os.. Così deciso in Benevento il 20 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BENEVENTO Prima Sezione CIVILE in composizione monocratica nella persona del giudice dott.ssa Enrica Nasti, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 3798 Registro Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021 avente ad oggetto: "risoluzione del contratto di locazione per inadempimento uso diverso", decisa all'udienza del 12 febbraio 2024 TRA Vo.Fr., domiciliato in Benevento al viale (...), presso lo studio dell'avv. Um.Vo. dal quale è rappresentato e difeso giusta procura in calce alla comparsa di costituzione del nuovo difensore - ricorrente - E Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Benevento - I.A.C.P., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Vi.Co. giusta procura in atti -resistente- MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di intimazione di sfratto per morosità notificato come in atti, il ricorrente, premesso di aver concesso in locazione alla IACP con contratto ad uso non abitativo del 2 aprile 2007 l'unità immobiliare sita in B. alla via M. 8, conveniva in giudizio il resistente per sentire pronunciare condanna al rilascio della cosa locata, con contestuale emissione di decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni non corrisposti da gennaio 2019 e oneri anticipati dal locatore. Il resistente, costituitosi in giudizio, non negava la morosità, ma eccepiva la nullità del contratto stante l'inapplicabilità alla pa del rinnovo tacito e la mancata registrazione; formulava domanda riconvenzionale volta ad ottenere la restituzione o la compensazione di quella maggiore somma del canone di locazione versato nonostante la riduzione del 15% introdotta dal D.Lgs. n. 95 del 2012, estesa alle altre amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 dal D.L. n. 66 del 2014; deduceva altresì di aver apportato notevoli miglioramenti all'immobile e chiedeva la compensazione/restituzione della cauzione versata. Con ordinanza del 30.8.2021, il precedente giudice istruttore ordinava il rilascio del bene locato, fissando il termine per l'esecuzione e disponeva il mutamento del rito. Depositate le memorie integrative, all'udienza del 12 febbraio 2024, la causa era decisa. Va in primo luogo dichiarata la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di rilascio dell'immobile, stante l'intervenuto rilascio del bene locato in data 2.11.2021 (cfr verbale in atti). In ordine alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento del resistente, la stessa risulta fondata. Com'è noto, in tema di prova dell'adempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dall'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ovvero dalla non imputabilità dell'inadempimento (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. Un. 30.10.2002, n. 13.533). Ciò posto, nel caso specifico il ricorrente ha adempiuto l'onus probandi posto ex lege a proprio carico, avendo fornito la prova dell'esistenza del contratto di locazione da cui deriva l'obbligo per il resistente di corrispondere il canone secondo i tempi e le modalità indicate nel documento contrattuale. D'altra parte il resistente nella specie non ha contestato la sussistenza della morosità, deducendo piuttosto la nullità del contratto per mancata registrazione, per intervenuta modifica del locatore a causa dell'alienazione dell'alloggio e per impossibilità di rinnovo tacito, trattandosi di una pa. Tuttavia tali contestazioni con colgono nel segno. Quanto al primo aspetto, come già evidenziato con ordinanza del 30.8.2021, è in atti copia del contratto di locazione regolarmente registrato. Quanto all'intervenuta modifica del locatore, è appena il caso di rilevare che, in forza dell'art. 1602 c.c., in mancanza di una contraria volontà dei contraenti, la alienazione - a titolo oneroso o gratuito - dell'immobile locato determina ex lege la surrogazione, nel rapporto di locazione, del terzo acquirente, che subentra nei diritti e nelle obbligazioni dell'alienante locatore (dovendo quindi rispettare la durata del rapporto), senza necessità alcuna del consenso del conduttore, con la conseguenza che quest'ultimo è tenuto, di regola, a pagare i canoni all'acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell'immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell'art. 1264 c.c. in tema di cessione dei crediti. Quanto infine al rinnovo tacito, come pure evidenziato nell'ordinanza già emessa, tale facoltà è stata precipuamente prevista nel contratto di locazione (cfr. art. 1 del contratto in atti). Sul punto va precisato che, com'è noto, ai contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualità di conduttori, ai sensi dell'art. 42 L. n. 392 del 1978, trova applicazione il tacito rinnovo alle scadenze successive alla seconda, previsto dall'art. 28 L. n. 392 del 1978, atteso che l'operatività di tale meccanismo non è incompatibile con il principio secondo il quale la volontà della P.A. deve essere necessariamente manifestata in forma scritta, dovendosi ritenere che l'obbligo di tale forma, assolto "ab origine" con la stipulazione del contratto, validamente permanga e continui a costituire il fattore genetico anche per i sessenni successivi, in difetto di diniego di rinnovazione da parte del locatore, ovvero di disdetta da parte del conduttore alla prima scadenza, o ancora di disdetta, ad opera di uno dei contraenti, alle scadenze successive (Cassazione civile sez. III, 12/04/2023, n.9759). Vi sono quindi le condizioni per pronunciare la risoluzione del contratto di locazione intercorso fra le parti per inadempimento del conduttore. In particolare, trattandosi di locazioni non abitativa ed essendo quindi rimesso al Giudice il potere di valutare caso per caso se l'inadempimento del conduttore integri gli estremi della non scarsa importanza, presupposto indispensabile per l'accoglimento della domanda di risoluzione, nella specie l'inadempimento del conduttore va valutato alla stregua di un inadempimento di rilevante entità, che certamente giustifica un giudizio di gravità tale da attribuire fondamento alla domanda di risoluzione. Quanto ai canoni per cui emettere condanna va precisato quanto segue. Il resistente, pur non contestando il mancato pagamento delle mensilità, ha dedotto una riduzione del 15% sulla base della normativa intervenuta, con scomputo dalle somme dovute della cauzione versata e delle migliorie apportate, e ha chiesto in riconvenzionale la restituzione di quanto pagato in eccesso dal 1.7.2018 a dicembre 2018. Orbene, la disposizione richiamata (D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 3, comma 4, nella versione conseguente alla modifica apportata dalla Legge di Conversione 7 agosto 2012, n. 135, e, successivamente, dal D.L. 24 aprile 2014, n. 66, art. 24, comma 4, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89) prevede che "Ai fini del contenimento della spesa pubblica, con riferimento ai contratti di locazione passiva aventi ad oggetto immobili a uso istituzionale stipulati dalle Amministrazioni centrali, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica ai sensi della L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 3, nonché dalle Autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) i canoni di locazione sono ridotti a decorrere dal 1 luglio 2014 della misura del 15 per cento di quanto attualmente corrisposto. A decorrere dalla data dell'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto la riduzione di cui al periodo precedente si applica comunque ai contratti di locazione scaduti o rinnovati dopo tale data. La riduzione del canone di locazione si inserisce automaticamente nei contratti in corso ai sensi dell'art. 1339 c.c., anche in deroga alle eventuali clausole difformi apposte dalle parti, salvo il diritto di recesso del locatore. Analoga riduzione si applica anche agli utilizzi in essere in assenza di titolo alla data di entrata in vigore del presente decreto". E' stato sul punto precisato che l'art. 3, comma 4, del D.L. n. 95 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 135 del 2012, nel prevedere la riduzione del 15 per cento del canone dovuto dalle Amministrazioni centrali, introduce una riduzione "ope legis" della controprestazione a carico della P.A. per ragioni di contenimento della spesa, e che, a fronte della potestà attribuita alla PA conduttrice di modificare unilateralmente, per un proprio vantaggio economico, l'assetto negoziale (di diritto privato) con la riduzione del 15% del canone di locazione deve pur essere riconosciuta alla controparte che subisce questa modifica la possibilità di recesso in "autotutela" diretto a far fronte al disallineamento delle originarie prestazioni. Il diritto di recesso del locatore previsto dall'art. 3, comma 4, D.L. n. 95 del 2012, si configura come ipotesi di recesso "ad nutum" privo, cioè, di qualsiasi giustificazione causale, e non vincolato ad alcun obbligo di preavviso, sicché esso produce i suoi effetti sin dal momento del ricevimento della comunicazione da parte dell'amministrazione conduttrice (Tribunale di Torino n. 528/2016). Ciò posto in punto di diritto, nella specie, in applicazione di tali principi, deve ritenersi operativa la riduzione automatica, e pertanto il resistente va condannato al pagamento dei canoni di locazione per cui insiste la morosità (gennaio 2019- ottobre 2021) che ammontano, come rilevato dallo stesso ricorrente, alla somma di Euro 14.000.00, oltre interessi al tasso di legge a decorrere dalle singole scadenze sino al soddisfo, oltre la somma di Euro 2.297,00 a titolo di oneri. Dall'importo dovuto a titolo di canoni va detratto l'importo di Euro 1.000,00 versato a titolo di deposito cauzionale, come previsto in contratto. E' appena il caso di rilevare che 'Nel contratto di locazione, l'obbligo di restituzione del deposito cauzionale sorge in capo al locatore al termine del rapporto, non appena avvenuto il rilascio dell'immobile locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma dopo tale evento, senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti o di importi rimasti impagati, il conduttore può esigerne la restituzione (Cass. sez. 3, Sentenza n. 18069 del 05/07/2019). E' stato anche affermato che al termine del contratto di locazione, il locatore può sottrarsi all'obbligo di restituzione del deposito cauzionale, a condizione che proponga domanda giudiziale per l'attribuzione dello stesso, in tutto o in parte, a copertura di importi rimasti impagati, ovvero di specifici danni subiti, di qualsiasi natura (e non solo di quelli strettamente afferenti alla "res locata"). (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 194 del 05/01/2023). In definitiva il conduttore va condannato al pagamento della somma di Euro di Euro 13.000,00 a titolo di canoni di locazione, comprensiva di quelli maturati fino alla data di effettivo rilascio dell'immobile, oltre interessi dalle singole scadenze al soddisfo, nonché della somma di Euro 2.297,00,00 a titolo di oneri condominiali; Non può invece essere accolta la domanda riconvenzionale spiegata dal resistente volta ad ottenere la restituzione di quanto pagato in eccesso a far data dal 1.7.2014 al 31.12.2018. In particolare, la mancata tempestiva attuazione della riduzione del canone per gli anni passati non appare suscettibile di legittimare per il futuro il conduttore, già in una posizione di favore, a chiedere solo in un secondo momento il recupero delle somme pagate in adempimento del contratto, atteso che tale successiva facoltà determina uno sproporzionato ed eccessivo sacrificio della controparte, al quale viene così impedito di fatto di azionare il proprio diritto di recesso al fine di riequilibrare le posizioni contrattuali. In altre parole, la possibilità per il conduttore di agire in un secondo momento per vedere riconosciuta la riduzione del canone (attraverso la possibilità di chiedere la restituzione) altera l'equilibrio contrattuale e vanifica di fatto la finalità del recesso, previsto proprio per consentire il riequilibrio degli interessi nella dinamica contrattuale, perché impone al locatore - che di fatto non è più in tempo per azionare il recesso - di subire una scelta contrattuale, in spregio dei principi di correttezza e buona fede contrattuale. Giova sul punto rilevare che "i principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell'individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l'equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l'abuso del diritto" (Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106, nella quale si è chiarito che "si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti"). Parimenti va rigettata la domanda volta ad ottenere i miglioramenti apportati all'immobile locato, atteso che, nella specie, pur avendo il contratto previsto l'autorizzazione del conduttore ad eseguire i lavori necessari per l'uso convenuto, da considerare migliorie, manca in atti la prova dei dedotti miglioramenti apportati all'immobile, nulla avendo prodotto sul punto il resistente, anche al fine di verificare l'effettiva sussistenza e l'idoneità delle presunte modifiche ad essere considerate tali, anche in ragione degli impegni contrattuali che prevedono una specifica clausola in tale senso, precisando che devono considerarsi migliorie solo quelle che a fine locazione saranno in un ordinato e diligente deperimento d'uso (cfr. art. 6 del contratto). Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo che segue. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: -dichiara cessata la materia del contendere in ordine al rilascio dell'immobile locato; -dichiara la risoluzione per inadempimento del conduttore del contratto di locazione intercorso fra le due parti in causa; -condanna il resistente al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 13.000,00 a titolo di canoni di locazione, comprensiva di quelli maturati fino alla data di effettivo rilascio dell'immobile, oltre interessi dalle singole scadenze al soddisfo, nonché della somma di Euro 2.297,00,00 a titolo di oneri; -rigetta le domande riconvenzionali spiegate dal resistente; -condanna il resistente al pagamento, in favore di parte ricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di Euro 3.400,00, comprensivi di spese, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge. Così deciso in Benevento il 12 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BENEVENTO I SEZIONE CIVILE in persona del giudice unico dr. Leonardo Papaleo ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 672 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell'anno 2023 avente ad OGGETTO: risoluzione per inadempimento del contratto di locazione ad uso abitativo TRA Po.Ro., c.f. (...), elettivamente domiciliata in Cervinara (Av), alla via (...), presso lo studio dell'avv. Mi.Fl., dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in atti RICORRENTE E Sa.Cl., c.f. (...), elettivamente domiciliata in Benevento, alla via Salvator Rosa n. 4, presso lo studio dell'avv. Se.Ma., dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in atti RESISTENTE MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità a quanto disposto dal nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (omettendo lo svolgimento del processo). Preliminarmente, la domanda attorea è procedibile perché regolarmente preceduta da tentativo di mediazione (non andato a buon fine: cfr. in atti verbale negativo di mediazione del 4.4.2023). Nel merito, la domanda di risoluzione contrattuale per grave inadempimento del conduttore è fondata e merita accoglimento. Orbene, è noto come per le locazioni ad uso abitativo, a seguito dell'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, la valutazione della gravità e dell'importanza dell'inadempimento del conduttore in mora nel pagamento del canone, in relazione all'interesse del locatore insoddisfatto, non è più rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente mediante previsione di un parametro ancorato - ai sensi degli artt. 5 e 55 della stessa legge (non abrogati dalla successiva L. 9 dicembre 1998, n. 431) - a due elementi: l'uno di ordine quantitativo, afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o all'omesso pagamento degli oneri accessori per un importo superiore a due mensilità del canone; l'altro di ordine temporale relativo al ritardo consentito o tollerato, fermo restando, ai fini della declaratoria di risoluzione del contratto, il concorso dell'elemento soggettivo dell'inadempimento, costituito dall'imputabilità della mora debendi a dolo o colpa del debitore (cfr. Cass. nn. 5191/1998, 8418/2006, 8628/2006, 23257/2010). Nel caso che occupa la ricorrente ha provato di aver concesso in locazione al resistente, ad uso abitativo, per la durata di quattro anni (dall'1.2.2022 al 31.1.2026) e ad un canone mensile di Euro 210,00, l'immobile sito in S.L. del Sa. (B.), alla via A. n. 25, località B. (Cat., f. (...), p.lla (...)), giusta contratto registrato in data 26.1.2022, nonché ha allegato che il conduttore si è reso moroso nel pagamento dei canoni da luglio a dicembre 2022, oltre quelli successivamente maturati dall'ordinanza di provvisorio rilascio del 14.4.2023 fino alla liberazione effettiva, avvenuta il 14.4.2023. Ha, quindi, chiesto la risoluzione per inadempimento imputabile al resistente, con conseguente condanna al pagamento della somma di Euro 2.100,00, oltre interessi. Dal suo canto, il conduttore ha dedotto, già nella comparsa depositata in fase sommaria, che dopo essersi trasferito nell'abitazione ha riscontrato la circostanza - non denunciata in sede di contratto - che l'immobile non era allacciato alla rete idrica comunale, bensì era servito da un pozzo posto nel terreno adiacente il fabbricato che dopo qualche mese si era prosciugato, con conseguente impossibilità, quindi, di abitarvi, aggravata, altresì, dal fatto che l'unico bagno dato in fitto al pian terreno non era agibile. Ha, quindi, eccepito che la sospensione del canone era legittima e che il contratto andava risolto per fatto della locatrice, oltre alla restituzione della cauzione di Euro 420,00 e al risarcimento dei danni morali e materiali patiti. Orbene, analizzando il contratto - che, contrariamente a quanto eccepito dal resistente, è valido anche se privo della data (cfr. Cass. n. 19508/2020) e delle sottoscrizioni, che sono, comunque, presenti in calce per l'approvazione delle clausole vessatorie (sarebbe un controsenso logico non firmare il contratto, approvando, tuttavia, le clausole vessatorie; al più, quindi, può ritenersi che siano le clausole vessatorie a non esser state validamente approvate) - è dato leggere che il conduttore dichiara di avere visitato la casa locatagli e di averla trovata in buono stato locativo e adatta all'uso convenuto (art. 6), esonerando il locatore da garanzia e responsabilità per eventuali vizi o manutenzione ai sensi degli artt. 1578 e 1581 c.c. (art. 7). A tal riguardo, va evidenziato che l'art. 1578 c.c. recita che se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità all'uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o facilmente riconoscibili. L'art. 1581, poi, estende tale disciplina anche ai vizi della cosa sopravvenuti in corso di locazione. Orbene, secondo la giurisprudenza di legittimità, costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti (risoluzione o riduzione del corrispettivo) di cui all'art. 1578 c.c., quelli che, anche se eliminabili o manifestatisi successivamente alla conclusione del contratto, incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, dovendo, invece, escludersi da tale novero i guasti e i deterioramenti dovuti alla naturale usura, per effetto del tempo trascorso, ovvero ad accadimenti accidentali, che obbligano il locatore a provvedere, ai sensi dell'art. 1576 c.c., alla riparazione (Cass. nn. 8942/2006, 11198/2007, 24459/2011). L'art. 1578 c.c. offre, quindi, al conduttore una tutela contro i vizi della cosa locata esistenti al momento della consegna che presuppone l'accertamento giudiziale dell'inadempimento del locatore ai propri obblighi ed incide direttamente sulla fonte dell'obbligazione, diversamente dall'art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento) che prevede una forma di autotutela che attiene alla fase esecutiva e non genetica del rapporto e consente al conduttore, in presenza di un inadempimento del locatore, di sospendere liberamente la sua prestazione, nel rispetto del canone della buona fede oggettiva, senza la necessità di adire il giudice ai sensi dell'art. 1578 c.c. (Cass. n. 16917/2019). In riferimento, pertanto, al canone dovuto a norma dell'art. 1578, co. 1, c.c., l'autoriduzione o la sospensione del canone costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione o sospensione sia stata effettuata dal conduttore per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata. Tale norma, infatti, non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti (cfr. Cass. nn. 10271/2002, 10639/2012, 26540/2014). In relazione, proprio, alla domanda di risoluzione ex art. 1578 c.c., va ricordato che grava sul conduttore (anche per ovvie ragioni di vicinanza della prova) l'onere di individuare e dimostrare l'esistenza del vizio che diminuisce in modo apprezzabile l'idoneità del bene all'uso pattuito, spettando, invece, al locatore convenuto di provare, rispettivamente, che i vizi erano conosciuti o facilmente riconoscibili dal conduttore, laddove intenda paralizzare la domanda di risoluzione o di riduzione del corrispettivo, ovvero di averli senza colpa ignorati al momento della consegna, se intenda andare esente dal risarcimento dei danni derivanti dai vizi della cosa (Cass. n. 3548/2017; S.U. n. 11748/2019). Applicando i superiori princìpi al caso di specie, deve convenirsi che la mancanza di acqua (recte: il prosciugamento del pozzo) è fatto non imputabile alla Po. perché conosciuto dal S., il quale si è illegittimamente astenuto dal versare il canone, con conseguente imputabilità a suo carico della risoluzione. Invero, in sede di interpello, la Po. ha dichiarato che prima di locare il bene al S., questi era venuto a visionare l'immobile insieme ad un tecnico di sua fiducia, facendogli presente che la zona non era servita dall'acquedotto e facendogli vedere il pozzo da dove l'abitazione attingeva acqua. Tale circostanza è stata confermata dal teste D., presente al sopralluogo, il quale ha individuato nell'ing. A.R. il tecnico del Sa. e ha riferito che il resistente, sebbene informato di tale precondizione, non obiettò nulla e disse che, comunque, la soluzione abitativa gli andava bene e che l'immobile e gli spazi gli piacevano, accettando di stipulare il contratto. La circostanza non è smentita dal teste R., convivente del S., la quale non era presente all'incontro, né tantomeno dal teste S., madre del S., che ha dichiarato che il figlio le aveva detto che non era stato informato che la casa non era allacciata alla rete idrica. Tale testimonianza, infatti, essendo de relato actoris, ha rilevanza sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell'accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa (cfr. Cass. 5.1.1998 n. 43; Cass. 23.12.2003 n. 19774; Cass. 3.4.2007 n. 8358). Peraltro, nonostante l'assunto contenuto in comparsa e nonostante il riportato dei testi del resistente, non è dimostrato che il Sa. abbia dato avviso del vizio alla P., pur essendo suo onere (Cass. n. 2605/1995), mediante raccomandata o altra forma di comunicazione se non il 7.9.2022, ovvero quando la denunciata mancanza si era verificata ormai da quattro mesi e il conduttore già non pagava la pigione da due mesi. Al contrario, il resistente, nonostante abbia omesso di pagare il canone a far data da luglio 2022 e nonostante la denunciata mancanza di acqua, è, comunque, rimasto dentro l'immobile fino alla riconsegna avvenuta il 14.4.2023 (cfr. verbale in atti), in tal senso facendo seriamente dubitare della credibilità della propria pretesa. Deve, quindi, convenirsi che il Sa. abbia scientemente deciso di prendere in locazione un bene la cui dotazione di acqua poteva, secondo la conoscenza avutane, venire a mancare, trattandosi di abitazione servita da un pozzo. Peraltro, come dichiarato dallo stesso teste del resistente, R.R., è inverosimile che il Sa. non sapesse "della presenza dei tre pozzi, di cui uno è proprio nell'ingresso principale" (cfr. verbale del 15.12.2023). Quanto, poi, alla pretesa inagibilità e inabitabilità della casa (anche per mancanza dell'a.p.e.), va rammentato che la mancanza della relativa certificazione non importa nullità del contratto locatizio, non incidendo i detti vizi sulla liceità dell'oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. (che riguarda la prestazione) o della causa del contratto ex art. 1343 c.c. (che attiene al contrasto con l'ordine pubblico), né potendo operare la nullità ex art. 40 della L. n. 47 del 1985 (che riguarda solo vicende negoziali con effetti reali), con conseguente obbligo del conduttore di pagare il canone anche con riferimento alla locazione di un immobile avente il carattere suddetto (Cass. n. 27485/2019). In ordine, infine, alla pretesa e, comunque, contestata mancanza di dotazioni nel bagno sito al piano terra, in disparte la considerazione per cui nel contratto è chiaramente specificato che il bagno concesso in affitto era questo e non quello al primo piano, deve ricordarsi che, ove il conduttore all'atto della stipula non abbia denunziato i difetti a lui conosciuti, egli implicitamente rinuncia a farli valere, accettando la cosa nello stato in cui risulta (art. 6 del contratto), e, pertanto, non può chiedere la risoluzione o la riduzione del canone, né il risarcimento o l'esatto adempimento, né avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c. (Trib. Salerno, 11.4.2016; Trib. Roma 25.3.2013; App. Potenza, 21.2.2008; Cass. 7.3.2001, n. 3341; Cass. 7.5.1979, n. 2597). Conseguentemente, avendo il Sa. visionato il bene, egli non può, poi, venire contra factum proprium dicendo che il bagno non era dotato dei servizi essenziali. In conclusione, il contratto va dichiarato risolto per fatto e colpa del conduttore, che, pertanto, non poteva astenersi dal versare il canone, il cui importo va condannato a versare. Oltre alla morosità imputata nella citazione per sfratto (Euro 1.260,00 per i mesi da luglio a dicembre 2022), va aggiunta quella imputata nella memoria integrativa (cfr Cass. n. 7430/2017 per la facoltà in capo al locatore di domandare con la memoria integrativa il pagamento dei canoni pregressi non dedotti nell'intimazione di sfratto per morosità), ovvero i mesi di gennaio, febbraio, marzo e metà di aprile e, altresì, la metà dei costi registrazione del contratto (art. 11). Il conduttore va, quindi, condannato a pagare l'importo richiesto di Euro 2.100,00, oltre interessi dalle singole scadenze fino al soddisfo. Nessuna pronuncia va, poi, adottata in tema di rilascio dell'immobile, risultando lo stesso già restituito alla locatrice. Va assorbita la domanda di risarcimento richiesta dal conduttore. In ordine, infine, alla richiesta del conduttore di restituzione della cauzione di Euro 420,00, oltre interessi, essa va accolta. Invero, è da respingere l'eccezione della proprietaria, secondo cui il Sa. avrebbe versato solamente Euro 210,00, poiché con la sottoscrizione del contratto la Po. ha rilasciato quietanza (art. 10), la quale, avendo natura assimilabile alla confessione (S.U. n. 19888/2014), non può essere impugnata se non per violenza o errore di fatto. In altri termini, al creditore che attesti il fatto del ricevuto pagamento non è consentito di eccepire che questo non sia avvenuto (o sia avvenuto parzialmente), salvo appunto allegare che la quietanza sia stata rilasciata per violenza o errore (cfr. Cass. nn. 26325/2008, 4196/2014). Né tantomeno la cauzione può essere imputata, come richiesto dalla proprietaria, ai danni subiti, poiché questi non sono stati neanche allegati. Conseguentemente, non avendo la ricorrente neanche domandato l'attribuzione della cauzione a copertura degli importi rimasti impagati (Cass. n. 18069/2019), ne va ordinata la restituzione con gli interessi legali (art. 11 L. n. 392 del 1978), stante l'espressa domanda (Cass. n. 23052/2009), dalla consegna fino al soddisfo (Cass. n. 979/1995). Le spese di lite seguono la soccombenza - a fortiori in considerazione del comportamento processuale di parte convenuta che ha rifiutato una proposta conciliativa, accettata invece dalla controparte, nettamente più favorevole rispetto all'odierna sentenza - e si liquidano, come da dispositivo, ai sensi del D.M. n. 147 del 2022 (scaglione Euro 1.101-Euro 5.200). P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1. dichiara, in accoglimento della domanda, definitivamente risolto per fatto e colpa del conduttore il contratto di locazione per il quale è causa, avente ad oggetto l'immobile sito in S.L. del Sa. (B.), alla via A. n. 25, località B. (Cat., f. (...), p.lla (...)); 2. per l'effetto sub 1), condanna Sa.Cl. al pagamento, in favore di Po.Ro., dei canoni e degli accessori insoluti per complessivi Euro 2.100,00, oltre interessi legali dalle singole scadenze al soddisfo; 3. dichiara assorbita sub 1) la domanda di risarcimento avanzata dal resistente; 4. dispone che Po.Ro. restituisca a Sa.Cl. la cauzione di Euro 420,00, oltre interessi legali dalla consegna al soddisfo; 5. condanna Sa.Cl. al pagamento, in favore di Po.Ro., delle spese di lite, che liquida in Euro 76,00 per esborsi ed Euro 2.552,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimb. forf. nella misura del 15%, con attribuzione in favore del difensore antistatario. Così deciso in Benevento il 9 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Benevento, II Sezione civile, in persona del G.M., Dr. Gerardo Giuliano, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4706/2020 del R.G.A.C., avente ad oggetto CONTRATTI BANCARI, pendente TRA Ro.Pa., rappresentato e difeso dall'Avv. AU.GU.; OPPONENTE CONTRO Mb. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. GI.BA.; OPPOSTA CONTRO Re. S.P.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. GI.BA.; INTERVENTRICE EX ART. 111 C.P.C. MOTIVI DELLA DECISIONE La presente motivazione viene redatta ai sensi degli artt. 118 disp. att. c.p.c. e 132 cod. proc. civ., come novellati dalla L. n. 69 del 2009, in virtù di quanto disposto dall'art. 58, comma 2, l. cit.. 1. Questioni preliminari Preliminarmente, va chiarito che ai fini della decisione si terranno in considerazione domande, deduzioni, conclusioni articolate e documenti allegati dalle parti entro i termini perentori di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c.. Ancora in via preliminare, si osserva che in corso di causa parte opposta si è scissa in Re. S.p.A., trasferendo a quest'ultima un compendio di attività e passività con attribuzione del ramo NPL che include, inter alia, anche il credito di cui al presente giudizio, per cui si è verificata una successione a titolo particolare nel diritto controverso ai sensi dell'art. 111 c.p.c., che non comporta la necessaria estromisssione dal giudizio del cedente a seguito dell'intervento in giudizio (o della chiamata in causa) del cessionario, in quanto ai fini di tale estromissione è necessaria la relativa richiesta da parte dell'attore ed il consenso delle altre parti, requisiti che non ricorrono nel caso di specie. Ne consegue che, nonostante il processo prosegua tra le parti originarie (cfr. art. 111, co. 1, ultima parte, c.p.c.) -per cui l'eventuale sentenza di condanna dovrà essere pronunciata in favore dell'attore originario- tale sentenza spiegherà comunque i suoi effetti "... anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui ...", secondo quanto previsto dal successivo comma 4 dello stesso art. 111 c.p.c.. Venendo, perciò, alla vicenda dedotta in giudizio, si osserva, in diritto, che la cessione del credito è un contratto che ha natura consensuale, per cui il relativo perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra cedente e cessionario, mentre la notificazione prevista dall'art. 1264 c.c. ha rilievo solo per l'efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto (cfr., in tal senso, Cass. n. 23463/2009; Trib. Parma n. 619/2016): la natura consensuale di tale contratto, infatti, comporta che il credito si trasferisca dal patrimonio del cedente a quello del cessionario per effetto dell'accordo, mentre l'efficacia e la legittimazione del cessionario a pretendere la prestazione dal debitore conseguono alla notifica o all'accettazione del contraente ceduto, in quanto alla semplice conoscenza della cessione da parte di costui si ricollega l'unica conseguenza della non liberatorietà del pagamento effettuato al cedente (cfr. Cassazione civile, sez. III, 16/11/2010, n. 23093; Cassazione civile, sez. III, 02/11/2010, n. 22280). Tanto premesso -e posta la procedibilità della domanda monitoria in quanto l'opposta ha ritualmente esperito il tentativo di mediazione in conformità di quanto disposto nell'ambito dell'ordinanza del 19.06.2021-, si ritiene che nel caso in esame debba essere rigettata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva dell'opposta sollevata dall'opponente: ed invero, si osserva che in atti è stato allegato 1) non solo l'estratto delle G.U. in cui si è dato atto di tale cessione (cfr. allegato sub (...) la fascicolo monitorio), che reca indicazioni sufficientemente specifiche e tali da far ritenere che anche il credito oggetto di ricorso monitorio rientri tra quelli ceduti -estratto che, quando reca detti requisiti di specificità, è, secondo parte della giurisprudenza, di per sé sufficiente ai fini della dimostrazione della titolarità attiva del credito dedotto in giudizio senza la specifica enumerazione di ciascuno di essi ma solo con indicazioni di criteri univoci volti ad individuarli (Cassazione civile sez. III, 22/06/2023, n.17944; Tribunale Cassino sez. I, 26/09/2023, n.1150; Tribunale Agrigento sez. I, 22/08/2023, n.1175)-; 2) ma anche la comunicazione di detta cessione al debitore ceduto effettuata dall'opposta (cfr. allegato sub 5 al fascicolo monitorio). A ciò si aggiunga che, per un verso, la pubblicazione della notizia della cessione, richiamata anche dall'art. 58 Testo Unico Bancario (L. n. 385 del 1993), ha la funzione di esonerare dalla notificazione stabilita in generale dell'art. 1264 c.c. (Cassazione civile sez. III, 16/04/2021, n.10200); e, per altro verso, in ogni caso, per costante e consolidata giurisprudenza di merito e di legittimità - condivisa da questo Giudice- ai fini della notificazione della cessione è sufficiente anche l'atto di citazione in giudizio o il ricorso per decreto ingiuntivo, con il cessionario che deve provare l'avvenuta cessione del credito di cui chiede il pagamento e purchè tali atti siano idonei a porre il debitore nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio (cfr., inter alia, Cassazione civile, 29/09/2020, n. 20495; Cassazione civile sez. III, 28/01/2014, n.1770; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20143 del 18/10/2005; Tribunale Prato, 12/10/2011, n. 1055): ne consegue che la cessione in esame è comunque efficace nei confronti dell'opponente in quanto comunque comunicata con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (unitamente al deposito della relativa documentazione allegata). 2. Sul merito Quanto, invece, alla prova dell'esistenza e dell'ammontare del credito, punto di partenza è il principio dispositivo della prova, desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui coloro i quali intendono far valere un proprio diritto in giudizio, devono provare i fatti che ne costituiscono il fondamento: onus probandi incumbit ei qui dicit, non ei qui negat. Tale principio, dunque, costituendo l'architrave dell'intero sistema processuale, non può soffrire deroghe se non nei casi espressamente previsti dalla legge, con la conseguenza che il Giudice non può porre a fondamento della propria decisione circostanze che non siano state provate da chi intenda avvalersene. La giurisprudenza di legittimità, nella nota sentenza Cass. Sez. Un. n. 13533/2001 ha chiarito in che modo debba essere ripartito tale onere probatorio, stabilendo che il creditore che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto ed allegare l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) del debitore, sul quale, invece, incombe l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento dell'obbligazione (ovvero un fatto estintivo o modificativo della stessa). La pronuncia in esame si fonda su due principi fondamentali, e cioè la vicinanza della prova - per cui il relativo onere incombe su colui che può osservarlo in modo più "agevole", tenendo conto, in concreto, della possibilità per l'uno o per l'altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione -; nonché la persistenza presuntiva del diritto - per cui, una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine, grava sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo costituito dal suo (esatto) adempimento -. In applicazione dei citati principi in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti, si osserva che nel caso in esame l'opposta ha compiutamente adempiuto all'onere probatorio su di essa gravante, avendo depositato in atti 1) copia dei contratti posti a fondamento della pretesa monitoria (id est, le fonti negoziali del diritto, cfr. allegati sub (...) e (...) al fascicolo monitorio); 2) le certificazioni ex art. 50 T.U.B. riferite ad entrambi i rapporti dedotti in giudizio e da cui è scaturito il credito posto a fondamento del decreto ingiuntivo opposto (cfr. allegati sub (...) e (...) al fascicolo monitorio); 3) copia degli estratti conto relativi a detto credito e riferiti ai singoli rapporti posti a suo fondamento (cfr. allegati sub (...) e (...) al fascicolo monitorio). A fronte di tali evidenze probatorie -gravi, precise e concordanti-, comprovanti an e quantum debeatur, le eccezioni sollevate dall'opponente sono risultate prive di fondamento. Ed invero: 1) l'eccezione di intervenuta prescrizione decennale è infondata, in quanto dalla scadenza delle obbligazioni principali -04.11.2014- al deposito del ricorso monitorio è trascorso un arco temporale inferiore ai dieci anni; 2) l'eccezione di intervenuta prescrizione degli interessi è parimenti infondata, in quanto assorbente è la circostanza che in sede di ricorso monitorio è stata richiesta unicamente la sorta capitale e non anche gli interessi maturati; 3) le eccezioni inerenti l'illegittimità dei tassi convenuti e la loro asserita usurarietà - oltre ad essere inammissibili in quanto generiche (non risultano deduzioni specifiche ed argomentate in ordine alla illegittimità o usurarietà dei tassi contrattualmente convenuti, mentre, secondo l'unanime giurisprudenza di merito e di legittimità, quando si contesta il superamento del tasso soglia, la circostanza non può essere dedotta genericamente, ma è necessario un riferimento specifico al periodo in cui si sarebbero verificate le operazioni a tasso usurario, cfr., inter alia, Cass. n. 8742/2001; Cass. n. 11706/2002; Trib. Roma n. 12523/2013, il che comporta anche l'inammissibilità di una C.T.U. contabile, in quanto tale consulenza, in mancanza di altri elementi posti a fondamento della domanda formulata dall'opponente in sede di opposizione, avrebbe avuto una finalità del tutto esplorativa, cfr., ex multiis, Cass. 14 febbraio 2006 n. 319; Cass. 5 luglio 2007 n. 15219; Cass. 8 febbraio 2011 n. 3130)-, comunque dette eccezioni non vengono in rilievo per l'assorbente considerazione, già sopra richiamata, che l'opposta ha chiesto unicamente la restituzione della sorta capitale - circostanza peraltro non contestata-, senza, dunque, chiedere ulteriori interessi, spese e/o commissioni. In conclusione, alla luce delle esposte ragioni in fatto ed in diritto, l'opposizione è infondata, per cui deve essere rigettata con la conferma del decreto ingiuntivo opposto, che deve essere dichiarato definitivamente esecutivo. 3. Sulle spese di lite Le spese processuali relative al rapporto processuale tra l'opponente e l'opposta seguono la soccombenza dell'opponente e sono liquidate come in dispositivo secondo i parametri minimi (attesa la modesta complessità delle questioni trattate) del D.M. n. 147 del 2022 relativi a controversie con valore compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00 e con esclusione dei compensi dovuti per la fase decisionale (attesa l'assenza di attività processuale dell'opposta in relazione a tale fase). Parimenti, le spese relative al rapporto processuale tra l'opponente e Re. S.P.A., seguono la soccombenza dell'opponente e sono liquidate come in dispositivo con riferimento alla sola fase decisionale (in quanto è l'unica fase in cui Re. S.P.A. ha svolto attività processuale), secondo i parametri minimi (attesa la modesta complessità delle questioni trattate) del D.M. n. 147 del 2022 relativi a controversie con valore compreso tra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,01. P.Q.M. Il Tribunale di Benevento, seconda sezione civile in persona del G.M., Dr. Gerardo Giuliano, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 4706/2020 R.G.A.C, ogni contraria istanza, difesa, eccezione e conclusione disattesa, così provvede: 1) RIGETTA, per le ragioni di cui in motivazione l'opposizione, e, per l'effetto: 2) CONFERMA il decreto ingiuntivo opposto, dichiarandolo definitivamente esecutivo; 3) CONDANNA l'opponente a pagare, in favore dell'opposta, le spese di lite relative a tale rapporto processuale, che si liquidano in complessivi Euro 1.689,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A., se dovute, come per legge; 4) CONDANNA l'opponente a pagare, in favore di Re. S.P.A., le spese di lite relative a tale rapporto processuale, che si liquidano in complessivi Euro 851,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A., se dovute, come per legge. Manda la cancelleria per gli adempimenti di competenza. Così deciso in Benevento il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2024.
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