Sentenze recenti Tribunale Biella

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 570 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2018, avente ad oggetto: Contratti bancari promossa DA (...) S.p.A. (P.IVA (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in Bologna, via (...), rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) del Foro di Milano giusta delega allegata all'atto di citazione, ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nello loro studio in Milano, via (...); ATTORE CONTRO (...) S.p.A.. - (...) S.p.A. (C.F. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in Biella (...), rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) del Foro di Asti e dall'avv. (...) del Foro di Biella in forza di procura speciale allegata alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nello studio dell'avv. (...) in Biella, via (...) CONVENUTO CONCLUSIONI DELLE PARTI Con lo scambio delle note di trattazione scritta, disposto in sostituzione dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 13.9.2022, le parti hanno rassegnato le seguenti conclusioni: - l'attore: "Piaccia al Tribunale, contrariis rejectis, così GIUDICARE Nel merito: ritenuta la responsabilità di (...) - (...) S.p.a. nella negoziazione degli assegni di cui in narrativa, condannarla al pagamento a favore di (...) S.p.a. dell'importo di Euro 7.100,00, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale rivalutato dalla data di pagamento al saldo. Con vittoria delle spese e del compenso del processo"; - il convenuto: "Respinta ogni contraria istanza, eccezione, deduzione, Piaccia al Tribunale di Biella Illmo. Previa declaratoria di inammissibilità dell'atto di intervento e delle relative domande di cui all'atto depositato da (...) Spa in data 25/06/2019per le ragioni esposte in atti, e precipuamente in memoria autorizzata datata 30/07/2019; In via istruttoria: ove ritenuta opportuna e previa revoca dell'ordinanza datata 07/05/2021, ammettere le istanze istruttorie dedotte in memoria ex art. 183, sesto comma, n. 2 cpc del 15/02/2021 e precisamente: A) ammettere la prova per testi sui seguenti capitoli: 1) "Vero che gli assegni n. 9103033464-05 dell'importo di Euro. 2.600,00 e n. 9103033461-02 dell'importo di Euro. 2.500,00, entrambi tratti su (...) e prodotti sub. doc. F)-G) che vengono rammostrati al teste, in data 05.03.2012 sono stati portati all'incasso dal sig. (...) presso la Filiale di Biella della (...)-(...) Spa"; 2) "Vero che nelle circostanze di tempo e luogo indicate nel capitolo 1), quando il sig. (...) ha portato all'incasso i predetti titoli era già cliente della (...)-(...) Spa, ed è stato identificato a mezzo di carta d'identità e codice fiscale/tessera sanitaria, documenti prodotti in copia sub. doc. B) e doc. C), che vengono rammostrati al teste"; 3) "Vero che alla consegna da parte del sig. (...) degli assegni di cui al capo 1) a mani del Sig. (...), dipendente della (...)-(...) Spa - Filiale di Biella, quest'ultimo provvide alla disamina dei titoli, alla verifica della loro integrità fisica e regolarità formale, rilevando che gli stessi erano completi di matrice e privi di anomalia alcuna"; 4) "Vero che nella circostanza di cui al capo che precede gli assegni sono stati verificati anche a mezzo di lettore/scanner bancario, e sono risultati esenti da alterazioni/contraffazioni rilevabili". 5) "Vero che l'assegno n. 9103087660-04 dell'importo di Euro. 2.000,00 tratto su (...) e prodotto sub. doc H) che viene rammostrato al teste, in data 10.07.2012 è stato portato all'incasso dal sig. (...) presso la Filiale di Valenza della (...) - (...) Spa"; 6) "Vero che nelle circostanze di tempo e luogo indicate nel capitolo 5), quando il sig. (...) ha portato all'incasso gli assegni era già cliente della (...)-(...) Spa, ed è stato identificato a mezzo carta d'identità e codice fiscale/tessera sanitaria, documenti prodotti in copia sub. doc. D) e doc. E), che vengono rammostrati al teste"; 7) "Vero che alla consegna da parte del sig. (...) degli assegni di cui al capo 5) a mani del Dott. (...), dipendente della (...)-(...) Spa - Filiale di Valenza, quest'ultimo provvide alla disamina dei titoli, alla verifica della loro integrità fisica e regolarità formale, rilevando che gli stessi erano completi di matrice e privi di anomalia alcuna"; 8) "Vero che nella circostanza di cui al capo che precede gli assegni sono stati verificati anche a mezzo di lettore/scanner bancario, e sono risultati esenti da alterazioni/contraffazioni rilevabili". Con richiesta di autorizzazione all'escussione dei seguenti testimoni: sui capi da n. 1) a n. 4) il Dott. (...), c/o (...) - (...) Spa - Agenzia n. 4, Via (...)- 13900 Biella (BI); sui capi da n. 5) a n. 8) il Dott. (...), residente in Via (...)- 15100 Alessandria(Al), con richiesta di autorizzazione all'escussione di entrambi i testimoni in prova diretta e contraria; B) ammettere Ctu alfine di accertare se la contraffazione dei titoli oggetto di causa, ove esistente, potesse essere rilevata attraverso un esame diretto, visivo o tattile, da parte di soggetto dotato di competenza teorica-tecnica ordinaria, ovvero solo in forza di mezzi e strumenti tecnici particolari e da parte di soggetto dotato di specifiche cognizioni e competenze in materia. Nel merito, in via principale: rigettare le domande proposte dalla (...) Spa nei confronti della (...) Spa - (...) Spa, siccome inammissibili ed infondate per le motivazioni esposte in parte motiva oltre che i relativi pretesi diritti, estinti per prescrizione estintiva, con conseguente assoluzione della stessa da ogni avversaria pretesa; In via subordinata: per la denegata ipotesi in cui venisse accertata una qualche responsabilità della (...) Spa - (...) Spa, accertare e rilevare la responsabilità concorrente, e comunque prevalente, di (...) Spa ex art. 1227 c.c. e, per il caso di mancato accoglimento dell'eccezione di prescrizione estintiva delle avversarie ragioni creditorie, limitare la condanna della convenuta a quanto ritenuto di Giustizia; In ogni caso: con il favore delle spese ed onorari di patrocinio, di eventuali Ctu e Cip". MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato la (...) S.p.A. ha rappresentato quanto segue: - che la (...) S.p.A. (che con atto a rogito del Notaio dott. (...) di Bologna del 15.12.2015 (Rep. n. 57179, Racc. n. 36399) ha ceduto la propria azienda all'odierna attrice) intratteneva rapporti di conto corrente presso la (...) in forza dei quali poteva pagare i beneficiari di risarcimenti in conseguenza di sinistri mediante assegni cd. di traenza non trasferibili intestati ai medesimi; - che nell'ambito di tale rapporto, la (...) emetteva i seguenti assegni di traenza non trasferibili: 1. n. 9103033464-05 per l'importo di Euro 2.600,00 (cfr. doc. 1 citazione), disposto per l'invio in data 20.2.2012 a mezzo del servizio postale ad (...) in Bagnolo Mella (BS); 2. n. 9103033461-02 per l'importo di Euro 2.500,00 (cfr. doc. 5 citazione) disposto per l'invio in data 15.02.2012 a mezzo del servizio postale a (...) presso lo studio dell'Avv. (...) in Brescia; 3. n. 9103087660-04 per l'importo di Euro 2.000,00 (cfr. doc. 7 citazione) disposto per l'invio in data 15.06.2012 a mezzo del servizio postale a (...) di Cremona; - che tutti i suddetti assegni, spediti ai beneficiari a mezzo posta ordinaria, non giungevano a destinazione (come da dichiarazioni dei medesimi beneficiari - cfr. doc. 2 e 8 citazione) per cui la società di assicurazione ne reiterava il pagamento, emettendo un secondo assegno di pari importo (cfr. doc. 3 e 6 citazione); - che la medesima società constatava che i primi assegni emessi erano stati tutti illegittimamente incassati presso filiali della (...) - (...) S.p.A. da soggetti diversi dai beneficiari, previa contraffazione consistente nella sostituzione del nominativo del beneficiario stesso (in particolare, quelli di cui ai numeri 1. e 2. da tale (...) e quello di cui al numero 3 da tale (...)). Per tutto quanto sopra, la società attrice ha adito l'intestato Tribunale per sentir accertare e dichiarare la responsabilità della banca negoziatrice ai sensi dell'art. 43, co. 2 cd. legge assegni (r.d. 1736/1933), conformemente a quanto statuito dal Supremo Consesso a Sezioni Unite nella sentenza n. 14714 del 2007, e conseguentemente per la condanna della stessa al risarcimento dei danni subiti e quantificati negli importi indebitamente corrisposti, pari ad Euro. 7.100,00. Costituitasi tempestivamente in giudizio, (...) - (...) S.p.A. ha specificamente contestato quanto ex adverso dedotto e domandato mediante le seguenti difese ed eccezioni: a) alla responsabilità disciplinata dall'art. 43, co. 2 cit., conformemente ai principi di diritto sanciti dal più recente arresto delle Sezioni Unite (sentenza n. 12477 del 2018), non avrebbe più natura di responsabilità oggettiva, quanto piuttosto di responsabilità di natura contrattuale da contatto sociale, con conseguente ammissibilità della prova liberatoria ex art. 1176, co. 2 c.c.. A tale ultimo riguardo, la banca avrebbe agito nelle fattispecie per cui è causa con la diligenza esigibile dal bonus argentarius giacché "prima di procedere alla negoziamone degli assegni (...) 1) - ha verificato scrupolosamente i titoli de quibus, presentandosi gli stessi integri, regolari, senza alcun segno di contraffazione, nonché dotati di matrice (come si evince, peraltro, dai documenti ex adverso prodotti) e quindi ictu oculi privi di anomalie rilevabili con la diligenza dell'accorto banchiere; 2) - ha accertato l'identità dei presentatori dei titoli, precisamente sigg.ri: (...) (quanto all'assegno indicato sub. a e b) e (...) (quanto all'assegno indicato sub. c), entrambi correntisti della Banca e identificati a mezzo carta d'identità nonché a mezzo di tessera sanitaria e/o codice fiscale. Sempre a riprova della correttezza tenuta dalla Banca convenuta si produce altresì, sub. doc. B)-C) copia dei contratti di conto corrente dei beneficiari (apparenti) dei titoli, sig. (...) (doc. B) e sig. (...) (doc. C), nonché specimen di firma di entrambi (doc. D)-E). Oltre a ciò è bene ricordare che tutti gli assegni in oggetto sono stati regolarmente incassati dai predetti beneficiari mediante versamento sui rispettivi conti correnti, regolarmente movimentati." (cfr. pag. 9 comparsa). Infine, in ogni caso, difetterebbe la prova del danno subito, non avendo la società attrice dimostrato di aver reiterato i pagamenti ai legittimi beneficiari degli assegni per cui è causa; b) la norma di cui all'art. 43, co. 2 L. assegni non potrebbe comunque trovare applicazione nella fattispecie per cui è causa, riferendosi esclusivamente al rapporto tra la banca negoziatrice e l'intestatario effettivo del titolo; pertanto, poiché la società attrice non è la beneficiaria-intestataria degli assegni per cui è causa, la stessa è priva della legittimazione a far valere detta species di responsabilità; c) la società attrice avendo dovuto invocare piuttosto un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale (rispetto alla quale sarebbe, in ogni caso, maturata la prescrizione estintiva); d) in via subordinata, sarebbe comunque configurabile il concorso di colpa - ai sensi dell'art. 1227 c.c. - della società attrice, non avendo la stessa tenuto "un comportamento diligente tale da evitare la verificazione dell'evento lesivo, giacché (...) ha proceduto alla trasmissione dei titoli di credito, che poi riferisce essere stati alterati, servendosi del "servizio postale ordinario". Tutto ciò premesso, le domande proposte da parte attrice sono meritevoli di parziale accoglimento per le ragioni meglio di seguito espresse. In apertura di motivazione occorre preliminarmente operare una veloce disamina delle caratteristiche e della funzione proprie del particolare tipo di assegno, quale è quello munito della clausola di non trasferibilità, la cui disciplina si applica - oltre che all'assegno circolare (per effetto del richiamo contenuto nell'art. 86 del citato R.D. n. 1736/1933) - anche all'assegno di traenza, riconducibile - secondo la stessa giurisprudenza citata da parte attrice (Cass., SS.UU., 26 giugno 2007, n. 14712) - al genus dell'assegno bancario. Il riferimento normativo direttamente attinente alla previsione dell'assegno non trasferibile si identifica con l'art. 43 R.D. n. 1136/1933 e gli effetti fondamentali ricollegabili all'apposizione di detta clausola possono essere sintetizzati nei seguenti termini: a) l'assegno acquista la caratteristica di "titolo a legittimazione invariabile", con conseguente irrilevanza, nella determinazione del legittimato cartolare, delle girate non ammesse; b) il pagamento effettuato a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso non è liberatorio; c) la configurazione della responsabilità erga omnes non soltanto del trattario, bensì anche della banca girataria per l'incasso, con riferimento al danno provocato con il pagamento del titolo al non legittimato o con il riceverlo da lui; d) la conseguenza dell'esclusione legale, con effetto reale, dell'acquisto del titolo da parte di un qualsiasi portatore successivo a quello assistito dalla clausola; e) l'inapplicabilità della procedura di ammortamento, per l'ipotesi di apposizione della clausola da parte del traente. Ciò posto, è importante rilevare che questo stesso articolo al secondo comma stabilisce il principio generale secondo cui colui che paga un assegno munito di siffatta clausola limitativa della sua circolazione a persona diversa dal banchiere o dal banchiere giratario per l'incasso "risponde del pagamento". Da questa disposizione derivano due corollari: il primo per cui sono ricompresi nell'espressione "colui che paga" sia l'istituto trattario che il banchiere eventualmente incaricato dell'incasso da un proprio cliente e che abbia a favore di costui monetizzato (o accreditato sul suo conto corrente) l'assegno per poi essere trasmesso alla stanza di compensazione; il secondo per cui non è espressamente previsto alcun riferimento alla condizione soggettiva dell'istituto che provvede al pagamento, non risultando adottate frasi del tipo "senza sua colpa" o similari (come, ad es., "in buona fede"). Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che si è venuto ad innestare il contrasto sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite, ovverosia se la disciplina di cui al citato art. 43 sia da considerarsi del tutto autonoma nel prevedere (implicitamente) una forma di responsabilità oggettiva del solvens per il caso di pagamento dell'assegno non trasferibile a soggetto non legittimato oppure se la previsione del suddetto articolo, ancorché contenuta in un testo normativo speciale, debba essere comunque raccordata con la disciplina generale che regola il sistema dei titoli credito (con particolare riguardo all'art. 1992 c.c. sull'adempimento della prestazione e sulla relativa identificazione dei requisiti soggettivi necessari per la liberazione del debitore da tale adempimento, anche nel caso in cui abbia provveduto in favore di colui che non sia titolare, sul piano cartolare, del diritto a ricevere il pagamento). Tutto ciò premesso, le vicende oggetto del presente giudizio hanno riguardato per l'appunto assegni di traenza non trasferibili, emessi da un'altra banca con la quale la compagnia assicurativa era convenzionata ed aventi ad oggetto un indennizzo assicurativo, presentati all'incasso presso la banca odierna convenuta (che ha assunto, quindi, il ruolo di banca cd. negoziatrice) e dalla stessa pagati agli apparenti intestatari (che avevano contraffatto l'assegno nell'indicazione del suo beneficiario) mediante versamento sul conto corrente intestato a costoro ed aperti presso la medesima. Il thema decidendum attiene, quindi, alla configurabilità, in quali termini e a quali condizioni, della responsabilità della banca convenuta, quale banca negoziatrice, per aver pagato assegni di traenza non trasferibili a soggetti diversi dagli effettivi beneficiari (e che pur apparentemente risultavano tali). Come anticipato a tale quesito hanno dato fornito risposta, componendo il contrasto giurisprudenziale fino ad allora esistente, le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 12477 del 21.5.2018. In tale arresto, in prima battuta viene data continuità a quell'orientamento, sancito dalle stesse Sezioni Unite nell'anno 2007 (con la già richiamata sentenza n. 14712 del 26.6.2007), che ravvisa la natura contrattuale - e non extracontrattuale - della responsabilità dell'istituto di credito per il pagamento di un assegno non trasferibile a persona diversa dal legittimo prenditore. Senza pretesa di esaustività, occorre peraltro evidenziare che con la pronuncia del 2007 il Supremo Consesso aveva affermato che: 1) di responsabilità contrattuale deve parlarsi non soltanto nel caso in cui l'obbligo di prestazione violato derivi propriamente da un contratto, nell'accezione di cui all'art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dal mancato o inesatto adempimento di un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte; 2) la responsabilità della banca di cui alla norma citata è di natura contrattuale, trovando la sua fonte nella violazione delle specifiche regole contenute nell'art. 43 L. assegni: ciò in ragione dell'obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon esito della sottostante operazione di fare in modo che il titolo stesso venga introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità della regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso; 3) al fine della qualificazione di tale responsabilità come contrattuale non è necessario postulare che la banca negoziatrice operi in veste di mandataria della banca sulla quale grava l'obbligazione cartolare di pagamento, dovendo al contrario considerarsi come "contrattuale" la responsabilità che sorge in qualsiasi ipotesi di mancato o inesatto adempimento di una obbligazione precedente, quale che sia la fonte da cui la stessa deriva; 4) posto che la responsabilità è contrattuale, l'azione per il risarcimento del danni proposta dal soggetto leso soggiace ad una prescrizione decennale e non quinquennale. Pertanto, la responsabilità di cui si controverte è riconducibile al genus della responsabilità contrattuale cd. da contatto sociale ed opera a tutela di tutti i soggetti nel cui interesse sono dettate le regole di circolazione e di pagamento dell'assegno munito di clausola di non trasferibilità e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno. Deve, conseguentemente, ritenersi sussistente la legittimazione ad agire della società odierna attrice. Nel ribadire tale principio, la pronuncia de qua ne ha, quindi, evidenziato l'incompatibilità con la natura oggettiva della responsabilità, predicabile soltanto in riferimento a fattispecie d'illecito extracontrattuale, precisando che, al fine di sottrarsi alla responsabilità, la banca è tenuta a provare di aver assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell'art. 1176 co. 2 c.c., dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere anche in ipotesi di colpa lieve. Il problema si sposta, dunque, sulla definizione del contenuto della diligenza dovuta; sorge cioè la questione di chiarire quale sia esattamente la "misura" della diligenza che l'istituto di credito debba impiegare nell'adempimento del proprio obbligo di corretta identificazione del prenditore. Al riguardo lo scrivente giudicante ritiene di aderire a quell'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità (ex multiis Cass. 18 agosto 1997, n. 7658; Cass. 14 marzo 1997, n. 2303; Cass. 5 agosto 1994, n. 7307) per cui la diligenza bancaria, in relazione al pagamento di titoli di credito a soggetto diverso dal legittimo prenditore, non possa essere accertata sulla base di parametri rigidi e predeterminati, ma vada al contrario verificata in relazione a tutte le cautele suggerite dalle circostanze del caso concreto, con particolare riferimento al tempo ed al luogo del pagamento, alla persona del presentatore, all'importo del titolo, alla natura del documento esibito, e così via. Altro punto fermo in materia (ex multiis Cass. 2 aprile 2010, n. 8127) è che la diligenza del banchiere deve assumere un livello professionale medio, che si identifica con la diligenza particolarmente qualificata di colui che esercita un'attività professionale, ossia appunto quella bancaria, il quale deve agire come un "buon banchiere", c.d. bonus argentarius, con un livello cioè medio di preparazione, prudenza ed attenzione. Volendo, quindi, concretizzare tali direttive generali, individuando le cautele nelle quali deve sostanziarsi la diligente condotta dell'operatore bancario in occasione del pagamento del titolo di credito, è corretto ritenere che il controllo preventivo debba in generale articolarsi in due momenti, logicamente ben distinti e succedanei tra di loro. In primo luogo, sull'impiegato di banca grava l'onere di una corretta identificazione del portatore del titolo, mediante esibizione e controllo di un documento di identità in corso di validità, quale la carta di identità (Cfr., Cass. 9 maggio 1985, n. 2885). Tale controllo, in particolare, va esteso ed al contempo circoscritto alla presenza o mancanza di alterazioni o di segni esteriori tali da far dubitare l'autenticità del documento di riconoscimento. Una volta verificata la regolarità del documento di riconoscimento, e dunque la formale legittimazione del portatore dell'assegno bancario, successivo onere in capo alla banca negoziatrice è quello di controllo della formale regolarità del titolo presentato, ossia che lo stesso sia in primo luogo completo, ossia contenga tutte le indicazioni obbligatoriamente prescritte dalla legge, e che non presenti alterazioni, lacerazioni o abrasioni. È poi necessario che vi sia corrispondenza tra la firma di traenza presente sul titolo e la sottoscrizione apposta nel c.d. specimen di firma, ossia del "biglietto" nel quale la banca raccoglie, al momento dell'apertura del conto corrente, la firma del cliente e, in generale, della persona autorizzata ad emettere assegni o a effettuare altre operazioni di prelevamento. In secondo luogo, viene in rilievo il controllo della regolarità del titolo. A tale riguardo va richiamata - dandovi seguito - la pressoché unanime e condivisibile opinione secondo cui l'istituto di credito non è tenuto a predisporre ed utilizzare un'attrezzatura qualificata con strumenti meccanici o chimici al fine di un controllo dell'autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per l'incasso; né gli impiegati di banca preposti al pagamento degli assegni sono tenuti ad avere una solida competenza in materia grafologica o specialistica, potendo essere loro contestato soltanto il fatto di non aver rilevato, nel titolo pagato o nel documento di identità presentato, la presenza di difformità morfologiche o strutturali delle scritture oppure cancellature visibilmente apparenti o accertabili con media capacità o con normale buon senso (in tal senso, ex multiis, Cass. 19 giugno 2018, n. 16178; Cass. 3 maggio 2016, n. 8731; Cass. 2 luglio 2014, n. 15145). Fatte queste premesse di ordine generale, e prima di considerare le vicende oggetto del presente giudizio nel loro concreto svolgersi, occorre evidenziare che la contraffazione denunciata dalla società attrice riguarda esclusivamente i diversi assegni di traenza per cui è causa, essendo consistita, in particolare, nella sostituzione del nominativo dell'effettivo beneficiario con quello di coloro i quali hanno poi portato effettivamente detti titoli all'incasso. Alcuna contestazione è stata mossa, quindi, relativamente ai documenti di identità utilizzati da quest'ultimi. In altri termini, la responsabilità addebitata alla banca negoziatrice, odierna convenuta, si fonda non sull'erronea identificazione dei soggetti portatori dei titoli, ma sul pagamento a favore di soggetti apparentemente legittimati, ma in realtà diversi dai beneficiari effettivi. Conseguentemente rispetto ai capitoli di prova orale aventi tale oggetto deve ribadirsi la valutazione di inammissibilità già espressa dallo scrivente Giudice nell'ordinanza istruttoria dell'8.5.2021. Ciò posto, molteplici sono le evidenze del caso concreto che portano lo scrivente Giudice a ritenere non fornita dalla banca convenuta la prova di aver agito con la diligenza esigibile dal cd. bonus argentarius. Più precisamente, dalla documentarne prodotta dalla banca convenuta - ovverosia copia del contratto di conto corrente acceso dal sig. (...) in data 23.2.2012 (cfr. doc. B comparsa) e di quello acceso dal sig. (...) in data 8.6.2012 (cfr. doc. C comparsa) - emerge con ogni evidenza come coloro che hanno incassato i titoli per cui è causa fossero, sì, correntisti dell'istituto di credito, ma anche e soprattutto clienti del tutto occasionali: costoro, infatti, avevano aperto i rispettivi conti corrente solo pochi giorni prima della negoziazione degli assegni giacché gli assegni n. 9103033464-05 e n. 9103033461-02 risultano negoziati da (...) in data 6.3.2012 e l'assegno n. 9103087660-04 risulta negoziato da (...) in data 11.7.2012 A tale indice di anomalia si aggiunge, poi, quello costituito dall'impossibilità di valutare l'andamento di detti conti attraverso la disamina delle operazioni effettuate sui medesimi: benché la banca convenuta affermi che tali conti fossero "regolarmente movimentati", l'omessa produzione dei relativi estratti conto non consente di compiere detto accertamento. Conseguentemente, l'occasionalità del rapporto e - stando alle evidenze in atti - i conti correnti non movimentati sono senz'altro indicatori che avrebbero dovuto allertare un "banchiere diligente" rispetto alle operazioni che gli venivano richieste ed avrebbero dovuto consigliare di ricorrere ad una particolare attenzione, e ciò pur non volendo ritenere regola cogente la cautela suggerita dalla circolare ABI del 7 maggio 2001 per cui, nell'identificazione dei presentatori che già non siano clienti dell'istituto di credito, si debba ricorrere a fidefacienti conosciuti dalla banca. Quanto, poi, al controllo della regolarità formale del titolo, la banca convenuta ha prodotto - con le memorie ex art. 183, co. 6 n. 2 c.p.c. - in originale i diversi assegni di traenza per cui è causa; reiterato, da parte dello scrivente Giudice, l'esame visivo e tattile dei medesimi, trovano conferma le allegazioni della società attrice in ordine alla relativa alterazione e/o contraffazione. Più precisamente, vi sono evidenti tracce del fatto che il nominativo di colui che ha presentato il titolo all'incasso è stato sovrascritto a quello dell'originale beneficiario: i. per quanto attiene agli assegni che portano quale beneficiario "(...)", risultano chiari segni di abrasione (in conseguenza della cancellazione del precedente nominativo) e il cognome "(...)" è separato dal nome "(...)" da un asterisco (e non da uno spazio, evidentemente per meglio coprire le tracce della cancellatura); ii. quanto all'assegno che porta quale beneficiario "(...)", i caratteri utilizzati sono diversi da quelli impiegati per data e importo in cifre, anche in tal caso il cognome "(...)" è separato dal nome "(...)" da un asterisco (e non da uno spazio, evidentemente per meglio coprire le tracce della cancellatura) ed è seguito (evidentemente per coprire un nome sottostante più lungo) dalla dicitura "riscatto polizza", tra parentesi e senza spazi tra la "o" finale di (...) e la parentesi aperta; tale dicitura non ha ragione di essere riportata sul titolo, essendo del tutto estranea alla disciplina dell'assegno (non è previsto, infatti, che il titolo contenga qualsiasi altra indicazioni al di fuori del nome e del cognome del beneficiario, ed a maggior ragione la causale del pagamento). Non occorre pertanto, in ragione di quanto osservato, disporre approfondimenti peritali al riguardo, come da richiesta reiterata in sede di precisazione delle conclusioni dalla banca convenuta. Pertanto, tutte le considerazioni sopra svolte inducono a ritenere non adeguato al canone di diligenza richiesto dal secondo comma dell'art. 1176 c.c. il comportamento tenuto dalla banca convenuta all'atto della negoziazione degli assegni per cui è causa; conseguentemente deve essere riconosciuta la responsabilità di detto istituto bancario e dichiarata fondata la domanda di risarcimento del danno conseguente, pari al complessivo importo degli assegni pagati a soggetti solo apparentemente legittimati a riceverlo. Deve, quindi, essere vagliata l'eccezione - proposta in via subordinata dalla banca convenuta - relativa al concorso di responsabilità della società attrice ai sensi e per gli effetti dell'art. 1227 c.c. per aver spedito gli assegni per cui è causa per posta ordinaria e "non per il tramite del servigio postale deputato alla trasmissione dei valori e cioè, il "servigio di posta assicurata" o, perlomeno, il "servigio di posta raccomandata" che, come è noto, garantiscono maggiori attenzioni e cautele nella trasmissione dei plichi che sono "nati" proprio per garantire maggiori certezze per il caso di trasporto di valori" (cfr. pag. 12 comparsa). A tale riguardo viene senz'altro in rilievo il recente arresto delle S.U. della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 9769 del 26.05.2020 hanno enunciato il seguente principio di diritto: "La spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d'intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l'affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l'esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gli interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell'evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell'identificazione del presentatore". In adesione a tale principio deve, quindi, riconoscersi un concorso di colpa della (...) S.p.A., in relazione all'avvenuta spedizione degli assegni per posta ordinaria. In particolare, deve addebitarsi al mittente - ex art. 1227, co. 1 c.c. - una quota di responsabilità pari ad 1/3, in ragione della minore gravità della condotta imprudente posta in essere inviando l'assegno con posta ordinaria, anche con riferimento alla ridotta efficacia causale della stessa rispetto al danno verificatosi. In conclusione, quindi, (...) - (...) S.p.A. deve essere condannata al pagamento in favore di (...) S.p.A. della somma pari ai 2/3 del danno accertato, e dunque di Euro. (7.100/3*2=) 4.733,33, oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalla domanda giudiziale al saldo e agli interessi legali sulle somme via via rivalutate. Quanto die spese di lite, in conseguenza dell'accoglimento solo parziale delle domande proposte dalla società attrice, le stesse devono essere compensate nella misura di 1/3, con la residua quota a carico della banca convenuta; dette spese si liquidano, come in dispositivo, facendo applicazione dei criteri di cui al D.M. 147/2022, tenuto conto del valore della domanda secondo il criterio del decisum e secondo i valori medi quanto alla fase di studio, introduttivo e decisionale e minimi quanto alla fase istruttoria e/o di trattazione (non essendo stata svolta alcuna istruttoria). P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione e definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t., così provvede: - in parziale accoglimento delle domande proposte, accerta e dichiara la responsabilità di (...) S.p.A. - (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t. e, per l'effetto, la condanna a risarcire a favore di (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t. la somma di Euro. 4.733,33 oltre alla rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dalla domanda giudiziale al saldo e agli interessi legali sulle somme via via rivalutate; - compensa tra le parti le spese di lite nella misura di 1/3; - condanna (...) S.p.A. - (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t. al pagamento in favore di (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t. dei residui 2/3 delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro. 1.418,00 a titolo di compensi professionali (di cui Euro. 425,00 per la fase di studio; Euro. 425 per la fase introduttiva; Euro. 426,00 per la fase istruttoria/trattazione ed Euro. 851,00 per la fase decisionale, il totale diviso tre e moltiplicato per due), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge, nonché Euro. 264,00 per esposti. Biella, 21 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 915 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: Leasing promossa DA (...) S.r.l. (p.i. (...)) in persona del l. r.p.t., con sede legale in Nuoro, località Prato (...), rappresentata e difesa dall'avv. Em.Ar. del Foro di Pescara giusta procura alle liti allegata all'atto di citazione ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nello studio dell'avv. Ma.Se. in Chivasso (TO), via (...); ATTORE CONTRO (...) S.p.A. (ora (...) S.P.A.) (C.F. (...)), in persona del l.r.p.t., con sede legale in Biella, via (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ba.Bo. del Foro di Biella, giusto mandato in calce alla comparsa di costituzione, ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); CONVENUTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato, la società (...) S.r.l. in persona del l. r.p.t. ha rappresentato di aver stipulato con (...) S.p.A. in data 13.6.2008 il contratto di locazione finanziaria di beni immobili n. 92279 per un corrispettivo complessivo di Euro 5.057.722,84 (cfr. doc. 2 citazione). Quindi, richiamando le risultanze della consulenza tecnica di parte prodotta (cfr. doc. 3 citazione), ha denunciato i seguenti profili d'illegittimità: 1) nullità parziale del contratto di leasing "per mancata indicazione del corretto di interesse nonché del tasso annuo effettivo globale, per violazione dell'art. 1284 c.c. e dell'art. 117 IV comma D. Lgs. 385/93 (Testo Unico Bancario). Indeterminatezza dell'oggetto/interesse del contratto in violazione dell'art. 1346 c.c."; 2) nullità della clausola sugli interessi di mora in quanto affetta da usura originaria; 3) nullità parziale del contratto in quanto usurario, dovendosi computare nel TAEG tutti gli oneri pattuiti e correlati all'erogazione del credito e, quindi, oltre agli interessi di mora, anche la commissione d'estinzione anticipata. Sulla base dei motivi appena esposti, la società attrice ha rassegnato le seguenti conclusioni (così come precisate con la prima memoria ex art. 183, co. 6 n. 1 c.p.c.): "- in via principale: 1. accertare e dichiarare nel contratto di locazione finanziaria in oggetto, che la remunerazione accordata alla concedente con l'attualizzazione dei canoni a scadere e del prezzo di riscatto finale, incide sul tasso d'interesse effettivo globale; 2. accertare il taeg (anche in ipotesi di estinzione anticipata) al momento della pattuizione del contratto di locazione finanziaria n. 92279 stipulato in data 13/06/2008 tra l'attrice e la (...) spa; 3. accertare e dichiarare la nullità parziale del contratto di locazione finanziaria n. 92279 stipulato in data 13/06/2008 tra l'attrice e la (...) S.p.A. ex art. 1418 I comma c.c. per pattuizione di un tasso di mora e di una remunerazione in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore in violazione della legge 108/1996 (rilevato nel periodo di stipula del contratto, per la categoria dei leasing superiore ad Euro 51.645,70) e per l'effetto accertare e dichiarare ex art. 1815 c.c. II comma, che non sono dovuti interessi di alcun genere, di conseguenza sulla base della documentazione in atti, previa compensazione delle somme pagate in eccesso con la quota capitale ancora a scadere, determinare l'entità delle rate ancora a scadere e del capitale residuo; - in via subordinata: 4. per le ragioni narrate nel presente atto ed in accoglimento delle conclusioni precedenti di cui ai punti 1) e 2) accertare e dichiarare la nullità parziale del contratto di locazione finanziaria n. 92279 stipulato in data 13/06/2008 tra l'attrice e la (...) S.p.A. ex art. 1418 II comma, 1346 c.c. per mancata indicazione del corretto tasso annuo nominale nonché effettivo globale, per violazione dell'art. 1284 c.c., dell'art. 117IV comma D. Lgs. 385/93 (Testo Unico Bancario); conseguentemente accertare e dichiarare il diritto della comparente al pagamento degli interessi in misura legale ossia ex art. 117 comma VII del D. lgs. 385/1993 o in quell'altra misura ritenuta di Giustizia e per l'effetto sulla base della documentazione in atti previa compensazione delle somme pagate in eccesso con la quota capitale ancora a scadere, determinare l'entità delle rate ancora a scadere e del capitale residuo; - in ogni caso: 5. in accoglimento delle domande di cui ai punti precedenti, in caso di estinzione/riscatto del leasing durante la causa, condannare la convenuta alla restituzione in favore dell'attrice delle somme incassate illegittimamente in eccesso; 6. condannare la convenuta al pagamento delle spese e compenso all'avvocato di lite oltre gli accessori". Tempestivamente costituitasi in giudizio, (...) S.p.A. ha contestato tutto quanto dedotto ed eccepito dall'opponente, controdeducendo: a) la natura non usuraria del contratto per cui è causa (richiamando le risultanze della consulenza tecnica prodotta - cfr. doc. 8 comparsa), tanto con riguardo al tasso degli interessi di mora, quanto alla commissione d'estinzione anticipata; b) la non obbligatorietà dell'indicazione del TAEG per la tipologia di contratto di cui si tratta. La convenuta ha, quindi, domandato la condanna della società attrice ai sensi e per gli effetti dell'art. 96, co. 3 c.p.c.. Tutto ciò premesso, tutte le domande proposte dalla società attrice non risultano meritevoli di accoglimento. Più precisamente: 1. quanto alla nullità del contratto di leasing per cui è causa per mancata ovvero errata indicazione del TAEG. Secondo la difesa della società attrice, "il contratto pur esprimendo il tasso del leasing pari al 6,316% non esprime in realtà il corretto tasso effettivo, atteso che dalla perizia di parte è emerso che il tasso effettivo globale del contratto de quo è pari al 6,566%, quindi maggiore rispetto a quello dichiarato" (cfr. pag. 4-5 citazione). Conseguentemente, richiamato il disposto dell'art. 1284 c.c., "l'indicazione di un tasso d'interesse in misura non corretta e/o in misura inferiore a quello effettivo, equivale a mancata indicazione, con la conseguenza dell'applicazione del tasso legale ossia del tasso sostitutivo di cui all'art. 117 VII comma TUB". In conclusione, quindi, "la mancata indicazione nel contratto de quo del T.A.E.G., oltre a violare l'art. 1346 c.c. per aver inserito un tasso d'interesse indeterminato, nonché l'art. 1284 c.c., viola anche l'art. 117 comma 4 D.Lgs. n. 385/1993 (TUB), l'art. 6 Delibera CICR 9/2/2000, e la Delibera CICR 4.03.2003, i quali richiedono che nel contratto venga inserito/indicato il "tasso di interesse" applicato all'operazione, non un tasso qualsiasi, ma il tasso effettivo che disciplina il rapporto" (cfr. pag. 5 citazione). Le doglianze svolte non sono giuridicamente corrette e, conseguentemente, l'eccezione di nullità deve essere rigettata perché infondata. Prima di procedere all'esame nel merito delle doglianze appena richiamate occorre chiarire che il T.A.E.G. ed il tasso d'interesse sono grandezze matematicamente, prima ancora che giuridicamente, distinte e non sovrapponibili. Più precisamente, il Tasso Annuo Effettivo Globale (T.A.E.G.) esprime la cd. "onerosità complessiva annua" del credito, che risente di tutte le componenti "non finanziarie" del "costo del credito" (es. spese di incasso). Dal punto di vista matematico, nel caso delle operazioni finanziarie complesse, tale tasso garantisce l'equivalenza finanziaria fra flussi con scadenza in epoche diverse (Tasso Interno di Rendimento) ed è una "media funzionale" (sul piano cronologico) degli interessi e delle altre componenti di costo. In definitiva, quindi, esso non ha natura - né giuridica né matematica - di tasso d'interesse. Ciò premesso, come già chiarito dalla giurisprudenza di merito alla quale si ritiene di aderire, condividendone le ragioni giuridiche sottese (cfr. Trib. Bologna, 17.12.2018 n. 21058; Trib. Milano, 26.2.2019, n. 1897 e 10.1.2020, n. 130), innanzitutto, l'indicazione del T.A.E.G. nei contratti di leasing non è obbligatoriamente prevista da alcuna disposizione normativa, se non ai sensi dell'art. 125 bis T.U.B. qualora si tratti di un contratto stipulato con un consumatore. Negli altri casi, è sufficiente che il testo del contratto riporti (come nel caso di specie) il c.d. tasso leasing, così come prescritto dalle Istruzioni della Banca d'Italia del 25 luglio 2003. In particolare, le predette Istruzioni al Titolo X - Capitolo I - Sez. III Contratti - par. 3, stabiliscono che: "i contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali oneri di mora. Il testo del contratto riporta le condizioni economiche e le clausole indicate nel foglio informativo", precisando però, con riferimento ai contratti di leasing che "per le operazioni di leasing finanziario e indicato il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l'uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell'opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti". Non risultano invece applicabili ai contratti di leasing le previsioni di cui alla sezione II par. 9 delle Istruzioni laddove prescrivono: "Il contratto e il "documento di sintesi" di cui al par. 8 della presente sezione riportano un "indicatore sintetico di costo" (ISC), calcolato conformemente alla disciplina sul tasso annuo effettivo globale (TAEG), ai sensi dell'art. 122 del T.U. e delle relative disposizioni di attuazione, quando hanno a oggetto le seguenti categorie di operazioni indicate nell'allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: mutui, anticipazioni bancarie, altri finanziamenti". E' pacifico, infatti, che il leasing non sia riconducibile alle fattispecie dei mutui, delle anticipazioni bancarie e delle aperture in conto corrente così come deve escludersi che rientri anche all'interno della categoria residuale degli "altri finanziamenti", considerato che proprio la richiamata delibera CICR, nell'allegato, distingue chiaramente il leasing dagli altri finanziamenti. Da quanto sopra consegue, quindi, che la società di leasing non era tenuta ad indicare il TAEG nel contratto per cui è causa, neppure in forza di quanto prescritto dall'art. 125bis T.U.B. sopra richiamato, avendo l'attore natura giuridica di società per azioni, la quale ha stipulato il contratto per cui è causa per finalità - evidentemente - correlate all'attività d'impresa svolta. Come visto, nel caso di contratto di leasing stipulato da un soggetto non consumatore ciò che deve essere indicato è il cd. tasso leasing; questo nel contratto per cui è causa è certamente presente ed è pari al 6,316%. Pertanto, al riguardo non viene certamente in rilievo un'ipotesi di mancata indicazione. Non può parlarsi neppure di indeterminatezza dello stesso per la riscontrata discrasia tra tasso indicato nel contratto e tasso effettivamente applicato (pari al 6,566% secondo le risultanze della consulenza tecnica di parte prodotta). A tale proposito occorre, in particolare, fare riferimento ai principi di matematica finanziaria, secondo cui, nel caso specifico del leasing, al pari delle altre operazioni finanziarie complesse, deve essere verificato il rispetto della condizione di cd. "equivalenza finanziaria' e, cioè, d'indifferenza (finanziaria) fra le somme scadenti in epoca diversa. L'indifferenza è valutata sulla base di un procedimento finanziario indicato con l'espressione "capitalizzazione" - attraverso il quale si trasferisce una somma in avanti nel tempo - ovvero "attualizzatone" - mediante il quale si trasferisce una somma in indietro nel tempo -; a tale fine si utilizza un tasso di interesse definito rispettivamente "tasso di capitalizzazione" o "tasso di attualizzazione". Il rispetto della condizione di equivalenza finanziaria presuppone l'esistenza di un tasso di interesse sottostante, di capitalizzazione o di attualizzazione - i.e. tasso interno di rendimento - che rende indifferente le due somme scadenti in epoche diverse. Alla luce di quanto sopra, nel caso dell'operazione di leasing finanziario, è possibile trarre le seguenti considerazioni di sintesi: 1) il tasso annuo nominale è il tasso di interesse rapportato all'anno, indicato contrattualmente, e rappresenta il rapporto (opportunamente ponderato con il tempo) fra la quota interessi ed il debito in linea capitale residuo. Tale tasso non fornisce un'indicazione significativa del costo del credito, giacché è una posta statica e costante, calcolata sulla base del rapporto fra gli interessi dovuti e il debito residuo. Per stimare l'effettivo costo del credito è necessario calcolare il tasso effettivo globale che esprime l'onerosità finanziaria complessiva; 2) il tasso leasing è il tasso interno di attualizzazione per il quale si verifica l'uguaglianza fra costo di acquisto del bene locato (al netto di imposte) e valore attuale dei canoni e del prezzo dell'opzione di acquisto finale (al netto di imposte) contrattualmente previsti. Per i canoni comprensivi dei corrispettivi per servizi accessori di natura non finanziaria o assicurativa andrà considerata solo la parte di canone riferita alla restituzione del capitale investito per l'acquisto del bene e dei relativi interessi. Da quanto appena sinteticamente richiamato, è agevole desumere che la corrispondenza fra tasso annuo nominale e tasso leasing si verifica soltanto in assenza di capitalizzazione nel corso dell'anno o nel caso di capitalizzazione alla fine dell'anno; diversamente, optando per una periodicità infra-annuale dei canoni, viene meno la perfetta sovrapposizione ed emerge una discrasia fra i due tassi che cresce all'aumentare della frequenza di periodicizzazione infra-annuale prescelta dei canoni. Ciononostante, e come statuito dalla preferibile giurisprudenza di merito (cfr. da ultimo Appello Torino 28.1.2020 e Trib. Torino n. 3226 del 22.9.2020) cui si intende dare continuità, la difformità fra tasso indicato in contratto e tasso effettivo concretamente applicato non incide sulla validità del contratto o della clausola relativa agli interessi, giacché il tasso effettivo è un mero indicatore sintetico previsto dalla normativa ai soli fini di pubblicità e trasparenza. In particolare, il tasso effettivo - come sopra evidenziato - non costituisce un tasso di interesse, un prezzo o una condizione economica direttamente applicabile al contratto e, quindi, non rientra nelle nozioni di "tassi, prezzi e condizioni' cui esclusivamente fa riferimento l'art. 117 co. 6 T.U.B.. Conseguentemente, l'eventuale differente indicazione non incide sulla validità delle clausole contrattuali ex art. 117 T.U.B., ma può rilevare eventualmente sotto il profilo della responsabilità del concedente, e del conseguente risarcimento dei danni, qualora ne vengano dedotti gli elementi costitutivi. 2. quanto alla natura usuraria del contratto considerati gli interessi di mora e la commissione d'estinzione anticipata. La società attrice - per un verso - ha eccepito la nullità della clausola negoziale di determinazione degli interessi di mora in quanto il relativo tasso sarebbe superiore al tasso soglia usura vigente al momento della stipula del contratto di leasing per cui è causa; e - per altro verso - ritenuto di dover computare nel calcolo del TEG negoziale (coincidente con il TAEG) "tutti gli oneri pattuiti (PROMESSI) e collegati al redito quali gli interessi, le commissioni, la mora, le penalità per anticipata estinzione anche in caso di decadenza dal beneficio del termine", ha eccepito la nullità parziale del contratto di leasing in questione in quanto usurario. Più precisamente, quanto al primo profilo, ad avviso della società, considerato che "alla data di stipula del contratto de quo il tasso Euribor 3 mesi (divisore 360) rilevato dal sito www.euribor.it è pari al 4,96%, risulta pertanto che il tasso di mora è pattuito in misura pari al 10,96% (4,96% + 6,00%), a fronte di un tasso soglia riferito alle operazioni di leasing oltre Euro 50.000,00 vigente al 13/06/2008, pari all'10,65%" (cfr. pag. 10 citazione). Quanto, invece, al secondo profilo, il ridetto tasso sarebbe complessivamente pari al "52,947%, a fronte di un tasso soglia vigente alla data di stipula pari all'10,65%" (cfr. pag. 11 citazione). Entrambe le eccezioni non sono meritevoli di accoglimento. Quanto alla prima, come è noto, l'annosa questione del controllo di usurarietà degli interessi moratori è stata di recente risolta dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 19597 del 18.9.2020, che ha enunciato - tra gli altri - i seguenti principi di diritto: "La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. La mancata indicazione dell'interesse di mora nell'ambito del T.e.g.m. non preclude l'applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perche "fuori mercato", donde la formula: "T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto. Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l'indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista". Pertanto, posta l'assoggettabilità anche degli interessi moratori contrattualmente previsti al rispetto del limite usurario, occorre, quindi, determinare il tasso soglia usura con riferimento al contratto per cui è causa in applicazione delle indicazioni fornite dal Supremo Consesso. Il contratto è stato stipulato nel maggio 2008, quindi, il D.M. al quale avere riguardo è quello adottato in data 18.3.2008 e relativo al II Trimestre del 2008. In detto decreto, per un verso, il T.E.G.M. relativo ai contratti di leasing oltre i 50.000 Euro è pari a 7,10% e il tasso soglia usura è a 10,65% (ossia al T.E.G.M. aumentato della metà); per altro verso, l'art. 3, co. 4 prevede che: "i tassi effettivi globali medi di cui all'articolo 1, comma 1, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L'indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali". Quindi, il tasso soglia usura relativo agli interessi moratori è sintetizzabile nella seguente formula matematica: (T.E.G.M. + 2,1) x 1,5, risultando quindi pari a 19,125%. Posto che il tasso degli interessi di mora è contrattualmente previsto nella misura pari all'Euribor 3 mesi "in vigore al momento del ritardato pagamento" maggiorato di sei punti percentuali e che la società attrice ha eccepito l'usura originaria degli interessi di mora, assumendo, quindi, che il mancato pagamento si realizzi al momento stesso della sottoscrizione del contratto, il tasso degli interessi di mora risulta pari al 10,96%: lo stesso si colloca evidentemente al di sotto del tasso soglia usura così come sopra determinato. Quanto alla seconda eccezione svolta, ritiene lo scrivente Giudice assolutamente non condivisibile la metodologia di calcolo impiegata dalla società attrice (e, per essa, dai consulenti tecnici nelle perizie versate in atti) per la determinazione del TEG negoziale (che, come è noto, per le operazioni di leasing coincide esattamente con il TAEG, dovendosi impiegare pertanto la medesima formula). A tale proposito si intende, infatti, prestare piena adesione al prevalente orientamento della giurisprudenza di merito ben espresso - da ultimo - nella pronuncia riportata dalla difesa del convenuto nella memoria di replica; più precisamente, secondo quanto statuito dal Tribunale di Ancora con la sentenza n. 1586 del 7.12.2021 ai fini della verifica dell'eventuale nullità della clausola determinativa degli interessi per superamento del tasso soglia usura non solo è irrilevante l'allegazione di ipotesi "scenario", arbitrariamente individuate dalla parte e non verificatesi nel caso concreto (ovverosia "nell'ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento sin dal primo canone" - cfr. pag. 12 citazione), ma soprattutto: "non debbono essere calcolate le remunerazioni, le commissioni e le spese meramente potenziali, perché, non dovute per effetto della mera conclusione del contratto, ma subordinate al verificarsi di eventi futuri concretamente non verificatisi e che non potranno in seguito verificarsi. Ciò accade proprio nel caso in cui il contratto preveda una penale di estinzione anticipata che potrebbe risultare usuraria se applicata a breve distanza dalla concessione del credito, ma il cliente non sia receduto. Oltretutto, il principio sotteso all'intera disciplina antiusura, che impone la raccolta ed il confronto dei soli dati omogenei (giuridicamente ed economicamente, come si preciserà nel prosieguo della trattazione) per cui il relativo importo di una penale non può essere incluso tra le voci rilevanti ex L. n. 108 del 1996, attesa la disomogeneità tra la penale de qua e le spese che concorrono alla individuazione del tasso soglia. La clausola penale è infatti una pattuizione accessoria del contratto convenuta dalle parti, da un lato, per rafforzare il vincolo contrattuale e, dall'altro, per stabilire, in via preventiva, una determinata sanzione per il caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, con l'effetto di limitare alla prestazione prevista il risarcimento del danno indipendentemente dalla prova dell'effettivo pregiudizio economico. Costituendo, pertanto, una determinatone preventiva del "danno" (che, per inciso, può essere ridotta qualora eccessiva), essa e certamente svincolata dal tasso soglia di cui al reato dell'usura, spettando al creditore esclusivamente dopo l'inadempimento del debitore e nella misura fissa predeterminata, diversamente dagli interessi che costituiscono il normale e automatico corrispettivo del contratto e maturano col passare del tempo. In merito alla irrilevanza della clausola penale ai fini della rilevazione dell'usura si e espressa la Cassazione, sez. pen. n. 29010 del 2018 che, partendo dal tenore letterale dell'art. 644 c.p. - secondo il quale e punito chiunque si fa dare o promettere "interessi" o "vantaggi" usurari "quale corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità" - ha rilevato come il legislatore "pone in stretta correlazione diretta: gli interessi o i vantaggi (usurari) conseguibili dall'accipiens con la prestazione da quest'ultimo effettuata (dazione di denaro o di altra utilità)". Tale stretta correlazione emerge dall'uso del termine corrispettivo il quale "rende evidente come il "pagamento" (usurario) debba trovare causa e relazione diretta con quanto dato dal soggetto attivo". Fatte queste premesse, è escluso che la clausola penale possa avere rilievo ai fini della rilevazione dell'usura: "per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 - 1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel "corrispettivo" che previsto dall'art. 644 c.p., può assumere carattere di illiceità, perché sul piano giuridico l'obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo diretto dell'obbligazione principale, ma e l'effetto susseguente ad una diversa causa che è l'inadempimento". Dello stesso tenore una più recente pronuncia resa dalla Corte d'Appello di Milano (sent. n. 668 dell'1.3.2022) secondo cui: "Nel vagliare l'usurarietà del leasing, non si deve tener conto anche degli altri oneri previsti in contratto (quali, ad esempio, commissioni e accessori, spese di apertura e perfezionamento pratica, spese di incasso, spese per comunicazione, corrispettivo opzione oltre iva, spese di chiusura pratica, oneri di pre-locazione, spese di perizia, interventi assicurativi, spese per servizi accessori di copertura e gestione assicurativa, spese per variazioni amministrative ecc.) perché trattasi di voci di costo riferite a componenti meramente eventuali del saldo dovuto e, come tali, non computabili al momento della stipula del contratto". In considerazione di tutte le ragioni su esposte, e quindi dell'infondatezza in diritto di tutte le allegazioni e contestazioni inerenti il contratto di locazione finanziaria oggetto di causa, l'istanza di ammissione della CTU tecnico-contabile deve essere nuovamente rigettata, con integrale rinvio alle motivazioni esposte tanto nell'ordinanza istruttoria del 4.4.2018 e nell'ordinanza ex art. 177 c.p.c. del 26.7.2018, entrambe rese dal Giudice in precedenza assegnatario del fascicolo, quanto nell'ordinanza ex art. 177 c.p.c. resa dallo scrivente Giudice in data 17.6.2019: la CTU tecnico-contabile si conferma pertanto superflua, irrilevante ai fini del decidere nonché esplorativa alla luce della lettura del contratto e della documentazione versata in atti ed infine del criterio metodologico contabile seguito dalla difesa attorea, al fine di ritenere il superamento dei tassi soglia usura con riferimento al contratto di locazione finanziaria. Infine, non risulta essere meritevole di accoglimento la domanda di condanna della società attrice ex art. 96 c.p.c., formulata dalla convenuta, in quanto non risulta che la stessa abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave e neppure con negligenza lieve, dovendosi escludere il carattere temerario e puramente pretestuoso della lite, in considerazione del tenore delle contestazioni giuridiche sollevate in punto usura e la pluralità di vedute interpretative sul punto. Con riferimento alle spese del giudizio, innanzitutto, in continuità all'orientamento già espresso al riguardo da questo Tribunale, deve essere rigettata la richiesta di condanna alle spese di mediazione affrontate dalla parte convenuta in ragione sia del mancato esito fruttuoso della stessa ai fini della conciliazione della controversia (non essendo proseguita dopo il primo incontro) che soprattutto della non obbligatorietà della stessa in materia di contratto di leasing. Infatti, nell'interpretazione della elencazione di cui all'art. 5 co. 1 D.Lgs. n. 28/2010, in ossequio alla regola ermeneutica che vieta interpretazioni estensive o analogiche di norme che fanno eccezione a regole generali, la norma che impone la mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale deve essere interpretata restrittivamente. Il contratto di leasing non rientra nell'ambito della locazione, presentando connotati peculiari che da questa lo distinguono e che lo rendono "atipico" e neppure nella nozione di "contratti finanziari", che il cit. art. 5 richiama insieme ai contratti bancari e assicurativi; pertanto, in mancanza di una definizione normativa di contratto finanziario, la connotazione dello stesso può essere desunta dai riferimenti contenuti nel d. lgs. 58/98 (TUF): la locuzione "contratti finanziari" è utilizzata nell'art. 1 co. 2 D.Lgs. cit. per indicare cosa si intenda per "strumenti finanziari" e la locuzione "strumenti finanziari" è utilizzata nell'art. 1 co. 1 lett. u) D.Lgs. cit. per definire i "prodotti finanziari" ed è accomunata ad "ogni altra forma di investimento di natura finanziaria". Si ritiene, pertanto, che i contratti finanziari di cui al più volte citato art. 5 siano i contratti mediante i quali si realizza un investimento di natura finanziaria e quindi i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi e attività di investimento regolati dal d. lgs. 58/98. Di conseguenza, la mediazione non si applica ratione materiae ai contratti aventi causa in concreto di natura lato sensu finanziaria, quale il leasing, contratto atipico la cui disciplina non è dettata nè dal Testo Unico Bancario (d.lgs. n. 385/1993) né dal testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. n. 58 del 1998). Coerentemente, non si applica la neppure la sanzione di cui all'art. 8 del D.Lgs. n. 28/2010, così modificato con decorrenza dall'8.9.2013, per cui non si sarebbe potuto in ogni caso pronunciare condanna al versamento all'entrata del bilancio dello Stato, pari all'importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio, in quanto tale sanzione riguarda la mancata partecipazione alla mediazione per giustificati motivi solo ove obbligatoria (e non è il caso del leasing); quindi, la partecipazione alla mediazione è volontaria e non imposta dalla legge ai fini di evitare tali conseguenze pregiudizievoli. Essendo la partecipazione alla mediazione stessa una scelta delle parti non versandosi in ipotesi di obbligatorietà per legge, non vi è collegamento causale tra la stessa e la presente controversia che ne giustifichi la liquidazione quale spesa viva o danno ricollegabile alla soccombenza attorea in base al principio di causalità. Invece, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società attrice e si liquidano come in dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 10/03/2014 n. 55, tenuto conto del valore della domanda dichiarato dalla società attrice come indeterminato e, pertanto, in considerazione delle questioni giuridiche oggetto di causa, secondo lo scaglione "Indeterminabile - complessità media" e secondo i valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale e secondo i valori minimi per la fase istruttoria e/o di trattazione (non essendo stata svolta alcuna attività istruttoria). Sempre in punto spese. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da (...) S.r.l. in persona del l. r.p.t., così provvede: - rigetta tutte le domande proposte da (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t.; - condanna (...) S.r.l. in persona del l. r.p.t. al pagamento nei confronti di (...) S.p.A. (ora (...) S.p.A.) in persona del l. r.p.t. delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 9.275,00 (di cui Euro 2.025,00 per la fase di studio; Euro 1.349,00 per la fase introduttiva; Euro 2.492,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro 3.409,00 per la fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge; Così deciso in Biella il 9 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella, in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 944 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2017, avente ad oggetto: Fideiussione - Polizza fideiussoria promossa DA (...) (C.F. (...)), residente in (...) (T.), C.so (...) n. 274, rappresentato e difeso dall'avv. Ma.Ma. del Foro di Milano giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliato per il presente giudizio presso e nel suo studio in Milano, Corso (...); OPPONENTE CONTRO (...) (...)A. (C.F. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in B., Piazza (...), rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Re. del Foro di Biella come da delega in calce al decreto ingiuntivo ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); OPPOSTO e nei confronti di (...) S.r.l. (C.F. e P.I. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in R., via M. B. n. 60, in qualità di mandataria con rappresentanza di (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.) (C.F. e P.I. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede in M., via V. B. n. 2 in forza di procura speciale a rogito Notaio dott. (...) di R. in data (...) (Rep. n. (...), Racc. n. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Lu.Re. del Foro di Biella giusta delega in calce alla comparsa d'intervento ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); INTERVENUTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Previo ricorso all'intestato Tribunale, in data 22.3.2017 (...) S.p.A. otteneva il decreto ingiuntivo n. 211/2017 con cui veniva ingiunto a (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t., (...) e (...) di pagare, in solido tra loro ed in favore dell'istituto di credito, la somma di Euro. 93.790,57 oltre interessi e spese come liquidate in decreto, a titolo di scoperto del conto corrente n. (...) (già n. (...)) aperto in data 3.8.2012 (cfr. doc. 1, 2 e 7 fasc. monitorio) e del conto anticipi n. (...) aperto in data 8.2.2013 (cfr. doc. 4, 5 e 8 fasc. monitorio), nonché dei correlativi conti interessi infruttiferi (cfr. doc. 3 e 6 fasc. monitorio). A garanzia dell'esposizione debitoria della società, i Sig.ri (...) e (...) in data 16.9.2013 e in data 23.12.2014 avevano rilasciato, in solido, fideiussioni omnibus per l'importo massimo garantito, rispettivamente, di Euro 108.000,00 e di Euro 36.000,00 ciascuno (cfr. doc. 9-12 fasc. monitorio). Con atto di citazione ritualmente notificato, il Sig. (...) ha proposto opposizione avverso il suddetto decreto, eccependo in via pregiudiziale l'incompetenza per territorio del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo in favore del Tribunale di Torino quale foro inderogabile del consumatore; e, nel merito, la nullità della fideiussione per avere la banca concesso finanziamenti alla società debitrice principale nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie di quest'ultima e senza previa autorizzazione del garante. L'opponente, dato atto dell'esistenza della garanzia prestata in favore della banca ingiungente da (...) Soc. Cons a rl (e della controgaranzia rilasciata da (...)), ha richiesto di essere autorizzato alla chiamata in causa dei ridetti garanti. Tempestivamente costituitasi in giudizio, (...) S.p.A. ha specificamente contestato tutto quanto ex adverso eccepito, dedotto e domandato, in particolare rilevando: 1) l'inammissibilità dell'eccezione d'incompetenza per territorio, in quanto invalidamente proposta mancando la contestazione di tutti i criteri di determinazione della competenza; 2) la previsione contrattuale del foro convenzionale esclusivo; 3) il difetto di legittimazione attiva dell'opponente, trattandosi di contratto autonomo di garanzia; 4) l'insussistenza dell'obbligo di preventiva escussione della garanzia prestata da (...) Soc. Cons a rl ; 5) l'ammissibilità della deroga convenzionale alla disciplina di cui all'art. 1956 c.c. e, in ogni caso, il difetto di prova della precarietà delle condizioni economiche della società debitrice principale e della relativa conoscenza da parte della banca; 6) l'esistenza e la prova del credito ingiunto. Nelle more del giudizio, con comparsa di intervento depositata in data 24.9.2018, si è costituita in giudizio (...) S.r.l., rappresentando che la (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.), nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione, in data 26.6.2018, concludeva un contratto di cessione di crediti pecuniari con (...) S.p.A., ai sensi e per gli effetti degli artt. 1 e 4 della L. n. 130 del 1999 e 58 T.U.B., tra i quali è ricompreso anche quello vantato dal ridetto istituto di credito nei confronti dell'odierno opponente. Di tale cessione e delle caratteristiche dei crediti ceduti è stata data notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana - Parte Seconda - n. 84 del 21.07.2018, rettificata in data 28.07.2018 (cfr. doc. 2 e 3 comparsa d'intervento). In data 7 agosto 2017, la (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.) conferiva procura speciale a (...) S.r.l., con atto a rogito del Notaio dott. (...) in R. (Rep. n. (...) - Racc. n. (...); cfr. all. 4 comparsa d'intervento) affinché quest'ultima provvedesse a compiere, in suo nome e per suo conto, ogni attività, adempimento e formalità ritenuti necessari e/o utili e/o opportuni allo svolgimento dell'attività di amministrazione, gestione, incasso e recupero dei crediti ceduti. Nel costituirsi in giudizio ai sensi e per gli effetti dell'art. 111 c.p.c., (...) S.r.l. ha richiamato, confermato e fatto proprie le istanze, le richieste, le difese, le eccezioni e le deduzioni tutte già avanzate dalla Banca cedente e ha richiesto l'estromissione di quest'ultima dal presente giudizio. Sempre nelle more del giudizio, (precisamente con la prima memoria ex art. 183 c.p.c.), tanto la banca opposta quanto la cessionaria intervenuta, "alla luce degli estratti conto certificati ex art. 50 TUB aggiornati all'esito del versamento del 13.12.17 effettuato dal garante (...) -successivo all'emissione del DI e alla prima udienza tenutasi il 24.10.17- e comprovanti il credito attuale vantato dall'istituto di credito, che risulta appunto ridotto a seguito dello stesso (docc. 17, 18, 19, 20)" (cfr. pag. 3 mem. 183, n. 1 c.p.c. opposta ed intervenuta), hanno modificato le proprie conclusioni nei termini sopra richiamati quanto alla condanna di pagamento da pronunciarsi nei confronti dell'opponente in caso di accoglimento dell'opposizione. Tutto ciò premesso, l'opposizione merita parziale accoglimento per le ragioni di seguito esposte. 1. La richiesta di estromissione di (...) S.p.A.. In apertura di motivazione, occorre innanzitutto affrontare la questione di carattere processuale attinente alla richiesta di estromissione dal presente giudizio di (...) S.p.A., avanzata sia da quest'ultima che dalla società cessionaria del credito intervenuta. Al riguardo deve in primo luogo precisarsi che l'intervento spiegato da (...) S.r.l. nel presente giudizio è ammissibile non solo perché è stata fornita la prova dell'intervenuta cessione del credito ex art. 58 T.U.B. (integrante pacificamente ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso), ma anche perché si è realizzato con comparsa depositata in data 24.9.2018, prima che fosse celebrata l'udienza figurata di precisazione delle conclusioni (12.10.2021) e, quindi, quando ancora non era spirato il termine per la cristallizzazione delle conclusioni, con ciò garantendosi il contraddittorio tra tutte le parti del presente giudizio. Ciononostante, poiché l'opponente non ha prestato il necessario consenso prescritto dall'art. 111, co. 3 c.p.c., non può essere dichiarata l'estromissione di (...) S.p.A. dal presente giudizio, che pertanto proseguirà anche nei confronti di quest'ultima, e conseguentemente, sul piano processuale, sia (...) S.p.A., sia (...) S.r.l. sono da considerarsi parte opposta. 2. Eccezione pregiudiziale d'incompetenza per territorio Ancora in apertura di motivazione deve essere vagliata l'eccezione pregiudiziale, proposta dall'opponente, di incompetenza per territorio del Tribunale adito in sede monitoria e che, quindi, ha emesso il decreto ingiuntivo opposto in favore del Tribunale di Torino, quale foro esclusivo, assunto che "l'odierno attore, persona fisica priva di alcun collegamento con l'impresa debitrice ed estranea all'attività imprenditoriale della stessa, rivesta la qualifica di consumatore" (cfr. pag. 3 citazione). Inoltre, in sede di comparsa conclusionale, sempre richiamando i più recenti arresti della Suprema Corte sul punto, la difesa dell'opponente ha altresì evidenziato - specificamente contestando i rilievi sollevati dalla banca opposta - come la ritenuta qualifica di consumatore non venga meno in considerazione del fatto che il Sig. (...) "fosse socio ed amministratore di altra società, tale Compagnia della (...) Srl, la quale, a detta di controparte, deteneva delle quote della debitrice principale, ovvero era cliente di quest'ultima" (cfr. pag. 7 conclusionale opponente). L'eccezione non è meritevole di accoglimento, con ciò ritenendosi assorbita la questione della relativa inammissibilità, oggetto a sua volta di eccezione della banca opposta. Come evidenziato dalla difesa dell'opponente, lo scrivente Giudice ha già da tempo prestato adesione all'attuale orientamento della Suprema Corte secondo cui è irrilevante l'attività svolta dal debitore principale per l'attribuzione o meno al fideiussore della qualità di consumatore, poiché "è in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito". Inoltre, come si è già avuto modo di evidenziare, anche rispetto alla nozione stessa di consumatore la Suprema Corte richiama gli insegnamenti della Corte di Giustizia e, precisamente, "la nozione di "consumatore", ai sensi della direttiva 93/13, art. 2, lett. b), ha un carattere oggettivo (v. sentenza Costea, C0110/14, EU:C:2015:538, punto 21). Essa deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell'ambito delle attività estranee all'esercizio di una professione. Spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell'ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come "consumatore" ai sensi della suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenza Costea, C110/14, EU:C:2015:538, punti 22 e 23). Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata". Nella fattispecie per cui è causa, in applicazione dei principi di diritto appena richiamati, deve escludersi l'attribuibilità all'odierno opponente della qualità di consumatore, in ragione del collegamento funzionale che nel 2013 e nel 2014 lo legava alla società debitrice principale ed in forza del quale il medesimo ha prestato le garanzie per cui è causa. Più precisamente - e come correttamente evidenziato dalla difesa della banca opposta - detto collegamento consegue proprio all'essere il ridetto opponente socio e amministratore della (...) S.r.l., a sua volta, proprietaria (fino al 2016) della maggioranza delle quote della società debitrice principale, (...) S.r.l., nonché cliente di quest'ultima (cfr. doc. 21-25 mem. 183, n. 2 c.p.c. opposto). Di conseguenza, proprio in considerazione di tali rapporti societari e commerciali, risulta corretto presumere (non rilevandosi, peraltro, alcun elemento di segno contrario) che l'odierno opponente abbia inteso prestare le garanzie oggetto del presente giudizio per uno scopo coerente e coessenziale all'attività imprenditoriale dal medesimo svolta (ovviamente in forma societaria); tale conclusione risulta oltremodo comprovata dal fatto che le ridette garanzie riguardavano (anche) il corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di "affidamento a revoca ... utilizzabile come portafoglio/smobilizzo crediti" mediante il quale si svolgevano altresì i rapporti commerciali tra la (...) S.r.l., da un lato, e la (...) S.r.l., dall'altro. Conseguentemente, stante l'inoperatività del cd. foro del consumatore, che è foro inderogabile, la competenza per territorio è stata correttamente individuata in applicazione delle clausole contrattuali contenute nelle fideiussioni per cui è causa; più precisamente dette clausole prevedono - per l'appunto - quale foro convenzionale esclusivo quello di Biella e risultano tutte debitamente e specificamente sottoscritte dal garante, conformemente alla disciplina di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c.. 3. Eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva Infine, sempre in apertura di motivazione, corre obbligo altresì di esaminare l'eccezione preliminare sollevata dalla banca opposta e relativa alla carenza di legittimazione attiva dell'odierno opponente. Ad avviso della banca opposta, infatti, "la clausola "Adempimento da parte del Fideiussore e recesso della Banca", inserita nei negozi di garanzia stipulati dall'odierno opponente in data 16.09.2013 e 23.12.2014 (doc. 1 sub 9 e 11), debitamente munita di doppia sottoscrizione a sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., prevede l'obbligo per il garante di pagare "dietro semplice invito per lettera raccomandata o telegramma", "con espressa rinuncia al beneficio della preescussione" e "senza eccezione"", con ciò qualificando "il negozio come contratto autonomo di garanzia, perché tale pattuizione è incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione" (cfr. pag. 8 comparsa opposto) Pertanto, per vagliare l'eccezione suddetta, sorge la necessità di soffermarsi sulla preventiva qualificazione della natura giuridica della garanzia prestata dall'opponente. Come noto, il dibattito sulla distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia è ancora molto aperto sia in dottrina che in giurisprudenza; senza voler inutilmente ripercorrere le tappe dell'evoluzione interpretativa in materia, è sufficiente in questa sede richiamare l'insegnamento più recente della Cassazione secondo cui la qualificazione del negozio deve essere effettuata in base alle caratteristiche concrete del contratto (cfr. da ultimo Cass. n. 12152 del 14.6.2016). Ebbene, la giurisprudenza predominante ritiene, condivisibilmente, che l'inserimento nel contratto della clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" sia un chiaro indice sintomatico della volontà delle parti di rendere del tutto autonomo il contratto di garanzia dal rapporto principale. Nel caso in esame, tuttavia, nelle fideiussioni rilasciate in data 16.09.2013 e 23.12.2014 nella clausola richiamata dalla stessa banca opposta e rubricata "Adempimento da parte del fideiussore e recesso della banca" è ravvisabile solo la clausola di pagamento a prima richiesta, mentre non vi è alcuna esplicita rinuncia del fideiussore alla proposizione delle eccezioni. Questa circostanza è certamente rilevante al fine di escludere la configurabilità di un contratto autonomo di garanzia. La banca, infatti, quale operatore qualificato che ha predisposto il modulo contrattuale, se avesse voluto concludere un contratto autonomo avrebbe dovuto includere nel contratto la clausola di rinuncia alle eccezioni. Tale omissione rende chiara la volontà della banca di non rendere del tutto autonome le garanzie dal rapporto principale. Infatti, l'inserimento della clausola di "pagamento a prima richiesta", pur costituendo un elemento rilevante, non è sufficiente da solo per qualificare il rapporto negoziale in quanto, in un caso simile, la Cassazione ha precisato che l'inserimento nel contratto solo di detta clausola (priva dell'esplicita rinuncia alla proposizione delle eccezioni) non ha rilievo decisivo per la qualificazione del negozio, potendo tale espressione riferirsi sia a garanzie svincolate dal rapporto garantito che a fideiussioni (Cass. 9.8.2016 n. 16825). Oltre all'elemento sopra indicato vi sono, però, almeno altri due elementi decisivi che fanno propendere per la natura fideiussoria dei negozi in esame. In primo luogo va sottolineato il dato letterale dei documenti, nei quali si fa a più riprese espresso riferimento al "fideiussore", in tal modo richiamando in maniera esplicita la garanzia tipica del codice civile. Ciò risulta ancor più significativo se si tiene conto del fatto che il modulo è stato predisposto dalla banca la quale, si ripete, come operatore professionale qualificato, non poteva ignorare il significato giuridico dei termini adoperati. Dunque, appare evidente che se la banca avesse voluto far sottoscrivere all'opponente un contratto autonomo di garanzia non lo avrebbe definito "fideiussore" bensì "garante". Per tutte queste ragioni le garanzie prestate dall'opponente vanno qualificate come fideiussione, con conseguente legittimazione del garante ad opporre al creditore tutte le eccezioni relative al rapporto principale. 4. Merito dell'opposizione. Venendo, quindi, al merito dell'opposizione, deve innanzitutto rilevarsi - come anticipato - che la banca opposta ha dato atto dell' "intervenuto versamento del 13.12.17 effettuato dal garante (...)", a parziale soddisfacimento del proprio credito; in particolare, dalla documentazione versata in atti (cfr. doc. 19, mem. 183 n. 1 c.p.c. opposto), in data 13.12.2017 risultano due accrediti sul conto anticipi n. (...), uno pari ad Euro. 409,50 e l'altro pari ad Euro. 43.247,94. Conseguentemente, quanto al rapporto de quo il credito vantato dalla banca opposta alla data del 28.6.2018 ammontava al minor importo di Euro. 43.787,01. In ragione di ciò, il decreto ingiuntivo opposto deve necessariamente essere revocato in toto. Infatti, secondo il pacifico e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, "il giudizio di opposizione non si esaurisce nella verifica del controllo della legittimità originaria dell'ingiunzione e nell'accertare se in quel momento sussistevano le condizioni richieste dalla legge, ma procede, sulla base degli elementi di giudizio acquisiti agli atti, all'esame della pretesa creditoria". Se, dunque, tale giudizio deve essere inteso come giudizio ordinario di cognizione, avente ad oggetto l'accertamento di merito della pretesa sostanziale vantata dal creditore, allora senza alcun dubbio fatto giuridicamente rilevante - quale fatto estintivo e/o modificativo - è il pagamento, parziale o più raramente totale, della somma ingiunta (cfr., nei termini, Cass. 15 luglio 2002 n. 10229 e, ex plurimis, Cass. S.U. 7 luglio 1993 n. 7448, Cass. 25 maggio 1999 n. 5074, Cass. 10 aprile 2000 n. 4531, Cass. 18 marzo 2003 n. 3984, Cass. 10 ottobre 2003 n. 15186, Cass. 12 agosto 2005 n. 16911). Di conseguenza, laddove risulti provato in giudizio che il diritto di credito, così come azionato in via monitoria, è stato soddisfatto e che l'obbligazione è stata in tutto o in parte adempiuta, il decreto ingiuntivo precedentemente emanato non potrà che essere revocato in toto, giacché il credito non potrà più dirsi sussistente nella misura ivi indicata. Ciò posto, come detto, il giudice investito dell'opposizione deve affrontare e decidere il merito, e cioè accertare sia l'an che il quantum della pretesa creditoria, eventualmente rendendo una pronuncia di condanna per la parte residua del debito non estinta ove il diritto vantato dal creditore risulti provato. A tale riguardo deve ulteriormente precisarsi che nel giudizio d'opposizione trovano senz'altro applicazione i criteri di riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., avuto però riguardo alla posizione sostanziale (e non già meramente processuale) rivestita dalle parti. E, quindi, spetta alla parte opposta, nella sua qualità di attore sostanziale, provare i fatti posti a fondamento della domanda di pagamento (e, pertanto, l'esistenza dei contratti indicati nel ricorso monitorio e l'ammontare dei rispettivi saldi debitori) e alla parte opponente, nella sua qualità di convenuta sostanziale, dimostrare l'inesistenza del rapporto (ad es. disconoscendo la sottoscrizione), l'invalidità o l'inefficacia del rapporto (nullità, annullabilità, risoluzione) o l'esistenza di circostanze impeditive, modificative o estintive della pretesa creditoria (ad es. transazioni o pagamenti anteriori al giudizio). Quanto alla banca opposta, la stessa ha senz'altro fornito la prova del fatto costitutivo del suo diritto, ottemperando all'onere posto a suo carico mediante l'intera produzione documentale versata in atti (sia in sede monitoria - comunque prodotta anche nel presente giudizio - sia in sede di costituzione nel giudizio d'opposizione). Pertanto, per un verso, i documenti contrattuali - peraltro non specificamente contestati dall'opponente e debitamente sottoscritti dalla società debitrice principale - dimostrano l'esistenza dei rapporti contrattuali per cui è causa e il contenuto delle relative clausole negoziali; per altro verso, la copia degli estratti conto analitici del conto corrente e del conto anticipi con le movimentazioni integrali dei rapporti dalla loro apertura, nonché gli estratti ex art. 50 TUB aggiornati al parziale pagamento effettuato dal garante (...), forniscono senza dubbio la prova sufficiente dell'effettivo ammontare dei rispettivi saldi debitori. A tale riguardo, corre comunque obbligo evidenziare che l'opponente non ha mai specificamente contestato il quantum ingiunto, neppure all'esito del ridetto pagamento parziale. Le doglianze mosse dall'opponente, infatti, riguardano esclusivamente l'an della pretesa creditoria azionata dalla banca con riferimento al solo rapporto di garanzia. In altri termini, l'opponente non muove alcun rilievo quanto alla formazione del credito della banca, unicamente si duole del fatto che la stessa abbia concesso un nuovo finanziamento alla società debitrice principale (in particolare, l'affidamento a revoca per l'importo complessivo di Euro. 90.000 dell'8.2.2013 - cfr. doc. 4 fasc. monitorio) nonostante il peggiorare delle sue condizioni economico-finanziarie ed in mancanza della sua autorizzazione quale garante. Per tali ragioni, secondo quanto previsto dall'art. 1956 c.c., le fideiussioni prestate sarebbe divenute inefficaci, con conseguente liberazione del garante. La doglianza non coglie nel segno e, pertanto, non può essere accolta. Tale motivo di opposizione richiama il principio per cui, se nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell'apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, la quale è in grado di impedire ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l'esposizione debitoria, è tenuta ad avvalersi di tale possibilità, anche a tutela dell'interesse del fideiussore inconsapevole, alla stregua del principio cui si ispira l'art. 1956 c. c., se non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell'altro contraente (Cass., sent. n. 21730 del 22/10/2010). L'applicazione del principio deve peraltro essere rapportata alle circostanze del caso concreto, tenendo presente che è onere della parte la quale deduca la violazione di questo canone dimostrare non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, rispetto a quelle esistenti all'atto della costituzione del rapporto, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di un'irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all'interesse del fideiussore (Cass. sent. n. 394 del 11/01/2006; Cass. sent. n. 2524 del 07/02/2006; Cass. sent. n. 10870 del 23/05/2005). Ciò posto, benché la giurisprudenza di legittimità abbia affermato la validità della clausola con cui il garante dispensi l'istituto medesimo dall'onere di conseguire specifica autorizzazione per nuove concessioni di credito in caso di mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore principale, in considerazione della disponibilità dei diritti del fideiussore e della libertà della sua valutazione dell'opportunità dei finanziamenti in presenza di mutate situazioni economiche del debitore principale (Cass. sent. n. 9848 del 15/06/2012); resta fermo, però, anche in questa ipotesi che la Banca non è sottratta ai principi generali di correttezza e buona fede, che devono inderogabilmente presiedere al comportamento delle parti anche nella fase di esecuzione del rapporto (art. 1375 c. c.), sicché l'operatività di quella garanzia fideiussoria, o di quella clausola di dispensa, va esclusa non solo quando la banca abbia agito con il proposito di recare pregiudizio, ma anche quando non abbia osservato canoni di diligenza e solidarietà, violando l'obbligo tassativo di ciascun contraente di salvaguardare gli interessi degli altri, nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico (Cass. sent. n. 3362 del 18/07/1989). Fermo tutto quanto sopra, è principio di diritto altrettanto consolidato e non superato quello per cui: "nella fideiussione per obbligazione futura ndr. quale è per l'appunto la fideiussione omnibus l'onere del creditore, previsto dall'art. 1956 c.c., di richiedere l'autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l'autorizzazione, all'adempimento di un'obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa. I presupposti di applicabilità dell'art. 1956 c.c. non ricorrono allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale, giacché in tale ipotesi la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito" (tra le altre, Cass. n. 7587/2001, Cass. n. 3761/2006, Cass. n. 7444/2017 e, da ultimo, Cass. sent. n. 31227 del 29.11.2019). Ad analoga conclusione la Suprema Corte giunge con riguardo al fideiussore che sia anche socio della società debitrice principale; infatti, se tra i diritti del socio di una società di capitali vi è quello di informarsi dell'attività sociale, mediante l'ispezione dei libri sociali (art. 2422 c.c.) e l'esame dello stato patrimoniale (art. 2424 c.c.), nel caso in cui il fideiussore per obbligazione futura sia, al contempo, socio e garante della società debitrice, e domandi la propria liberazione, ai sensi dell'art. 1956 c.c., è legittima la presunzione che il fideiussore era in realtà al corrente della situazione economica della società potendo comunque intervenire al fine di impedire eventi pregiudizievoli a sé ed alla società (Cass. 8486/1995). Venendo all'analisi del caso concreto, molteplici sono le considerazioni che depongono a sostegno del rigetto del motivo di opposizione così come argomentato: innanzitutto, manca qualsivoglia allegazione - prima ancora che prova - da parte dell'odierno opponente in ordine alla sussistenza dei due requisiti (oggettivo e soggettivo) richiesti ai fini della configurabilità della fattispecie di cui all'art. 1956 c.c.; in secondo luogo, nelle fideiussioni per cui è causa è contrattualmente previsto l'obbligo del garante di tenersi informato in ordine alle condizioni economico-patrimoniali del debitore (cfr. clausola rubricata "Informazioni sul debitore"); infine, risulta documentalmente provato (cfr. doc. 21-25 opposto) che l'odierno opponente fosse socio ed amministratore della (...) S.r.l., a sua volta, proprietaria (fino al 2016) della maggioranza delle quote della società debitrice principale, (...) S.r.l. e che, quindi, fosse nella condizione di potersi - e doversi- tenere informato sull'andamento di quest'ultima società, disponendo degli strumenti giuridici a ciò volti. Pertanto, le fideiussioni per cui è causa sono pienamente valide ed efficaci. Alla luce di tutto quanto sopra, deve essere accolta la domanda di condanna dell'opponente, proposta sia dalla banca opposta che dalla cessionaria intervenuta, al pagamento del minor importo complessivo di Euro. 61.417.69, oltre interessi semplici al tasso convenzionale dal dì della domanda all'effettivo soddisfo. Tale condanna, ovviamente, dovrà essere pronunciata in favore della cessionaria intervenuta, attuale titolare del credito. 5. Rigetto delle istanze istruttorie reiterate dagli opponenti. Spese di lite Quanto all'istanza istruttoria reiterata dall'opponente in sede di precisazione conclusioni, si richiama integralmente il contenuto e le motivazioni dell'ordinanza istruttoria già resa dallo scrivente Giudice, e depositata in data 27.6.2019, con la quale la stessa istanza è stata rigettata. Con riferimento alle spese del presente giudizio, in considerazione del parziale soddisfacimento del credito vantato dalla banca opposta successivamente alla pronuncia del decreto ingiuntivo, si ritiene sussistente una situazione di soccombenza reciproca che giustifica la compensazione delle spese di lite nella misura del 50%. Per il residuo 50% le spese di lite seguono la soccombenza dell'opponente e si liquidano facendo applicazione dei criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, tenuto conto del valore della domanda desunto dall'ammontare del credito accertato e secondo i valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale e secondo i valori minimi per la fase istruttoria e/o di trattazione (non essendo stata svolta alcuna attività istruttoria). Sempre con riguardo alla liquidazione deve osservarsi che, benché in conseguenza, per un verso, dell'intervento di (...) S.r.l., in qualità di mandataria (...) S.r.l., società cessionaria dei crediti per cui è causa e, per altro verso, della mancata estromissione di (...) S.p.A., vi sono formalmente due parti vittoriose, la pronuncia di condanna alle spese sarà unica perché la difesa è stata espletata dal medesimo difensore. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (...), così provvede: - accoglie parzialmente l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 211/2017 emesso dal Tribunale di Biella in data 22.3.2017; - condanna il (...) al pagamento in favore di (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t. ed in qualità di mandataria (...) S.r.l., della somma di Euro.61.417.69 oltre interessi semplici al tasso convenzionale dalla data della domanda fino all'effettivo soddisfo; - compensa tra le parti le spese del presente giudizio nella misura del 50%; - condanna (...) al pagamento in favore di (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t. ed in qualità di mandataria con rappresentanza della (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.), del restante 50% delle spese di lite che liquida in complessivi Euro. 5.905,00 a titolo di compensi professionali (di cui Euro. 2.430,00 per la fase di studio; Euro. 1.550,00 per la fase introduttiva; Euro. 3.780,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro. 4.050,00 per la fase decisionale, il totale diviso due), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge. Così deciso in Biella il 28 aprile 2022. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella nella persona del giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 731 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020, promossa DA (...) rappresentati e difesi dall'avv. Da.Im. del Foro di Lecce in virtù di procura alle liti allegata all'atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliati per il presente giudizio presso e nel suo studio in Lecce, viale (...); OPPONENTI CONTRO (...) in persona del l.r.p.t., con sede legale (...), in qualità di mandataria con rappresentanza (...) in forza di procura speciale a rogito Notaio (...) in data 7 agosto 2017 (Rep. n. 44.024, Racc. n. 30.398), (...) giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in (...) OPPOSTO MOTIVI DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato, i Sigg.ri (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 221/2020 emesso dal Tribunale di Biella in data 23.4.2020 con cui erano stati ingiunti di pagare, in solido tra loro e a competenze del procedimento monitorio, a titolo di esposizione debitoria maturata dalla (...) in relazione al c/c n. (...) e al conto anticipi smobilizzo crediti n. (...) (e ai correlativi conti interessi infruttiferi) (cfr. doc. 6, 7, 9-13 fase, monitorio), rispetto alla quale ciascuno di essi, in data 25.6.2014, previa conferma delle fideiussioni omnibus già rilasciate in data 4.6.2009 e in data 27.10.2009, si erano costituiti fideiussori fino alla concorrenza dell'importo complessivo massimo garantito di Euro 270.000,00 (cfr. doc. 8 fasc. monitorio). A sostegno della propria opposizione, gli opponenti hanno eccepito: a) in via pregiudiziale di rito, l'incompetenza per territorio del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto, operando il Foro del consumatore con riguardo a ciascuno di essi; b) in via preliminare di merito, per un verso, il difetto di legittimazione della società odierna opposta ad agire in via monitoria e, per altro verso, la nullità delle fideiussioni prestate per contrasto con la normativa antitrust. Più precisamente, gli opponenti hanno eccepito sia la nullità assoluta delle fideiussioni che la nullità parziale delle relative clausole in quanto conformi al modello ABI; sotto quest'ultimo profilo e con specifico riguardo alla clausola derogatoria della disciplina di cui all'art. 1957 c.c., hanno altresì specificamente eccepito l'intervenuta decadenza del creditore dal diritto ad agire nei confronti dei fideiussori medesimi. Quanto, poi, al merito e, quindi, ai rapporti fonte dell'obbligazione principale, gli opponenti hanno dedotto ed eccepito: 1) l'abusiva concessione, da parte di (...) di credito alla società debitrice principale in un momento in cui la stessa già versava in una situazione d'insolvenza (essendo stata dichiarata fallita nel 2018), con conseguente liberazione dei fideiussori ai sensi e per gli effetti dell'art. 1956 c.c.; 2) l'illegittimità delle clausole contrattuali del conto corrente e del conto anticipi in punto di usura degli interessi, non corrispondenza tra il tasso nominale ed il tasso effettivo, addebito di spese non pattuite, c.d. gioco delle valute, anatocismo, commissione di massimo scoperto e commissione di messa a disposizione di fondi; 3) il difetto di prova scritta del credito ed erroneità del quantum ingiunto; 4) la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte dell'istituto bancario per la chiusura brutale delle linee di credito. Ritualmente costituitasi in giudizio, (...) ha, innanzitutto, controdedotto di aver fornito la prova della propria legittimazione ad agire; quindi, ha contestato le eccezioni svolte in via pregiudiziale e preliminare dagli opponenti in quanto: per un verso, ai fideiussori odierni opponenti non può essere riconosciuta la qualità di consumatori, con conseguente legittima operatività del foro convenzionale esclusivo, contrattualmente pattuito; per altro verso, non può essere dichiarata la nullità assoluta delle fideiussioni, quali contratti "a valle", non avendo gli opponenti ottemperato al relativo onere della prova e, qualora fosse dichiarata la nullità parziale delle singole clausole, non troverebbe comunque applicazione la disciplina dell'art. 1957 c.c., trattandosi di contratti autonomi di garanzia. Tutto ciò pt'emesso, l'opposizione deve essere accolta per le ragioni meglio espresse di seguito. 1. Sull'eccezione pregiudiziale d'incompetenza per territorio. In apertura di motivazione deve essere vagliata l'eccezione pregiudiziale di rito, proposta dagli opponenti, di incompetenza per territorio del Tribunale adito in sede monitoria e che, quindi, ha emesso il decreto ingiuntivo opposto in favore, rispettivamente, del Tribunale di Lecce quanto ai Sig.ri (...), e del Tribunale di Brindisi quanto ai Sigg.ri (...), dovendosi riconoscere agli stessi la qualità di consumatori. La spiegata eccezione non è meritevole di accoglimento proprio in applicazione del più recente arresto della Suprema Corte citato dalla stessa difesa degli opponenti. Più precisamente, mentre come noto i precedenti arresti della Cassazione sono stati a lungo nel senso di ritenere che nell'ipotesi in cui una persona fisica presti, al di fuori di sue (eventuali) attività professionali, fideiussione a garanzia di un debito di un soggetto che non è consumatore, per determinare se questa rimanga tale oppure debba per contro essere considerata come soggetto diverso dal consumatore (c.d. professionista di "riflesso" o di "rimbalzo"), occorreva rapportarsi unicamente alla natura della obbligazione garantita, stante il carattere accessorio della garanzia personale prestata, nelle ultime pronunce (cfr. Cass. civ., sent. 15.10.2019, n. 25914; Cass. civ. ord. 31.10.2019, n. 28162; Cass. civ. ord. 16.1.2020, n. 742; Cass. civ., ord. 24.1.2020, n. 1666; Cass. civ., ord. 8.5.2020, n. 8662) il Supremo Consesso si è espresso dando continuità all'evoluzione conosciuta in materia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (in particolare, le pronunce 19.11.2015 (causa c - 74/15) e 14.9.2016 (causa c -534/15)). In particolare, la Corte di Giustizia, con le citate pronunce, ha ritenuto (con diretto riferimento a fattispecie relative a garanzie sia fideiussorie che immobiliari costituite da terzi) che le "regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a "qualsiasi contratto" stipulato tra un professionista e un consumatore che "l'oggetto del contratto è quindi irrilevante"; che "è dunque con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell'ambito della loro attività professionale, che la Dir. n. 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica"; che "tale criterio corrisponde all'idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito da tale direttiva, ossia che il consumatore si trovi in mia situazione di inferiorità"; che "questa tutela è particolarmente importante nel caso di contratto di garanzia o di fideiussione stipulato tra un istituto bancario e un consumatore"; che il "contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto... come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce", "dal punto di vista delle parti contraenti esso si pmenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle patti del contratto principale". Conseguentemente la Suprema Corte ha abbandonato l'orientamento tradizionalmente seguito, ritenendo così irrilevante l'attività svolta dal debitore principale per l'attribuzione o meno al fideiussore della qualità di consumatore e statuendo che "è in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito". La questione appena svolta, quindi, è tutta incentrata sulla nozione stessa di consumatore; ed anche rispetto ad essa la Suprema Corte richiama gli insegnamenti della Corte di Giustizia e, precisamente, "la nozione di "consumatore", ai sensi della direttiva 93/13, art. 2, lett. b), ha un carattere oggettivo (v, sentenza Costea, C0110/14, EU:C:2015:538, punto 21). Essa deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell'ambito delle attività estranee all'esercizio di una professione. Spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell'ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come "'consumatore" ai sensi della suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenza Costea, C110/14, EU:C:2015:538, punti 22 e 23). Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipatone non trascurabile al suo capitale sodale, o se abbici agito per scopi di natura privata". Nella fattispecie per cui è causa, tenuto conto delle allegazioni degli opponenti e delle controdeduzioni della società opposta e, in particolar modo, delle risultanze della visura della (...) versata in atti (cfr. doc. 8 comparsa), non può dirsi che gli stessi opponenti abbiano rilasciato la rispettiva garanzia personale "per scopi di natura privata": gli stessi, infatti, nel momento in cui si sono resi garanti detenevano nella società debitrice principale una partecipazione non trascurabile al capitale sociale di quest'ultima (più precisamente, nella misura del 30% quanto ai Sig.ri (...) e del 20% quanto ai Sig.ri (...) e (...). A fronte di ciò e, pertanto, dell'essere i medesimi soci della medesima società garantita, appare più che ragionevole ritenere che le garanzie per cui è causa siano state prestate in ragione ed in conseguenza esclusivamente di tale precipuo collegamento funzionale. Esclusa, quindi, l'operatività del foro inderogabile del consumatore, nessun dubbio sussiste in ordine alla sussistenza della competenza per territorio del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto, quale foro convenzionale esclusivo (circostanza, quest'ultima, peraltro, non oggetto di specifica contestazione da parte degli opponenti). 2. Sull'eccezione preliminare di nullità della fideiussione omnibus per contrasto con la normativa antitrust. Meritevole, viceversa, di accoglimento è l'eccezione preliminare di merito di nullità parziale delle fideiussioni per cui e causa, con conseguente declaratoria di decadenza ai sensi e per gli effetti dell'art. 1957 c.c.. Ma si proceda con ordine. Come è noto, la questione oggetto d'esame trae origine dal provvedi mento n. 55 del 2.5.2005 emesso dalla Banca d'Italia in funzione di Autorità Garante della Concorrenza tra istituti creditizi ai sensi degli artt. 14 e 20 L. n. 287 del 1990 (vigenti fino al trasferimento di tali poteri all'AGCM con la L. n. 262 del 2005 con decorrenza dal 12.1.2016) e relativo al contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI (luglio 2003) e l'art. 2, co. 1 lett. a) della L. cit.; in particolare con tale provvedimento, la Banca d'Italia ha espresso parere negativo relativamente alle clausole di reviviscenza della fideiussione (art. 2: "il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi"), di permanenza del vincolo fideiussorio in ipotesi di vicende estintive e di nullità dell'obbligazione principale (art. 8: "qualora le obbligazioni garantire siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate") e di deroga all'art. 1957 c.c. (art. 6: "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimo o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1975 cod. civ., che si intende derogato"). Il tema è stato successivamente affrontato dalla Suprema Corte che, con l'ordinanza n. 29810 del 12.12.2017, ha enunciato il seguente principio di diritto: "in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle nonne bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d'Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza". Dalla lettura delle motivazioni dell'ordinanza de qua emerge come la questione sostanziale dell'illegittimità di singole clausole contrattuali contenute nel modello tipizzato di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI, ed oggetto del summenzionato provvedimento n. 55 della Banca d'Italia, è stata affrontata dalla Suprema Corte con esclusivo riferimento all'efficacia temporale di tale provvedimento, evidenziando in particolare che: "alla luce dei principi sulla prova privilegiata elaborati da questa Corte, non può (né potrà, ancora) escludere la nullità di quel contratto per il solo fatto della sua anteriorità all'indagine dell'Autorità indipendente ed alle sue risultante, poiché se la violatone "a monte" e stata consumata anteriormente alla negoziazione "a valle", l'illecito anticoncorrenziale consumatosi prima della stipula della fideiussione oggetto della presente controversia non può che travolgere il negozio concluso "a valle", per la violazione dei principi e delle disposizioni regolative della materia (a cominciare dall'art. 2, della Legge antitrust)". Pertanto, ad avviso di chi scrive, la questione della "nullità" della fideiussione omnibus che presenti un contenuto contrattuale analogo a quello oggetto del provvedimento della Banca d'Italia non è stata specificamente trattata; la Suprema Corte sembra quasi darla per assodata, evidentemente richiamando - senza innovare né mettere in discussione - il preesistente complesso di pronunce giurisprudenziali formatesi in materia. Ecco perché non può in alcun modo essere condivisa quella impostazione che ritiene - sic et simpliciter - che dalla motivazione di detta ordinanza discenda la nullità in foto del contratto di fideiussione omnibus. A conferma della conclusione appena tratta basti evidenziare che nella motivazione dell'ordinanza de qua la Suprema Corte richiama testualmente uno stralcio dell'arresto delle Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2207 del 4.2.2005, ovverosia: "la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un'intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal menato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall'altro, che il cosiddetto contratto "a valle" costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall'ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattatone che non ammette alternative per l'effetto di una collusione "a monte", ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l'azione di accertamento della nullità dell'intesa e di risarcimento del danno di cui all'art. 33 della legge n. 287 del 1990". Come noto, in tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno affermato che "deve essere allegata un'intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l'interesse ad agite dell'attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento". E' stato in virtù di tali principi che le Sezioni Unite hanno, per la prima volta, riconosciuto la legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 33, comma 2, L. n. 287 del 1990, anche del consumatore rimasto estraneo all'intesa anticoncorrenziale, che abbia stipulato il contratto che di quella costituisce lo sbocco. Se, quindi, secondo la Corte, una intesa vietata può essere dannosa anche per un soggetto, consumatore o imprenditore, che non vi abbia preso parte, perché gli si possa riconoscere un interesse ad invocare la tutela di cui all'art. 33, comma 2, L. n. 287 del 1990 non è sufficiente che egli alleghi la nullità della intesa medesima ma occorre anche che precisi la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti. Da tale pronuncia si ricava, pertanto, l'ulteriore rilievo per cui è necessario tenere distinti gli accordi a monte (cioè le intese illecite per violazione della normativa antitrust e sanzionate dalla nullità) dai contratti stipulati a valle, in relazione ai quali può essere esercitata l'azione risarcitoria. E la giurisprudenza della Suprema Corte - successiva al su richiamato arresto - si è espressa concordemente nel senso della mancanza di un automatismo diretto tra la declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990, e la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa; questi, infatti, mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti (cfr. Cass. Civ., sent n. 13486 del 20.6.2011; Cass. Civ., sent. n. 3640 del 13.2.2009). Tutti i suddetti principi sono, quindi, richiamati nell'ordinanza n. 29810/2017 quali presupposti logico-giuridici da cui trarre la conclusione in ordine alla spettanza del risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all'accertamento della loro illiceità da parte dell'autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato. Sulla tematica appena accennata la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi con la sentenza n. 13846 del 22.5.2019; in tale arresto è, innanzitutto, richiamato un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità (e anche questo menzionato nella sentenza n. 29810/2017), ovverosia che: "le conclusioni assunte dall'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, nonché le decisioni del giudice amministrativo che eventualmente abbiano confermato o riforniate quelle decisioni costituiscano una prova privilegiata, in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso, anche se ciò non esclude la possibilità che le parti offrano prove a sostegno di tale accertamento o ad esso contrarie" (cfr. Cass. civ. 13 febbraio 2009, n. 3640); principio reiterato nei seguenti termini: "il provvedimento sanzionatorio adottato dall'Autorità Garante per la Concorrenza ha una elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori e consente di presumere, senza violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur, che dalla condotta anticoncorrenziale sia scaturito un danno per la generalità degli assicurati, nel quale è ricompreso, come essenziale componente, il pregiudizio subito dal singolo assicurato" (Cass. civ. 28 maggio 2014, n. 11904; Cass. civ. 23 aprile 2014, n. 9116). Detto principio vale anche per il provvedimento n. 55 della Banca d'Italia, benché in esso non fossero contenute diffide o sanzioni. Inoltre, non rilevando se l'ABI avesse egualmente diffuso il testo delle condizioni generali del contatto ù di fideiussione contenente le clausole che costituivano oggetto dell'intesa restrittiva, ciò che "assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all'evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata, e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U, 4 febbraio 2005, n. 2207"; e, quindi, ciò che deve costituire oggetto di accertamento è "se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell'intesa restrittiva". A tale ultimo riguardo, infine, occorre richiamare la sentenza della Suprema Corte n. 24044 del 24.9.2019, secondo cui "avendo l'Autorità amministrativa circoscritto l'accertamento della illiceità ad alcune specifiche delusole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese (fol. 3 della sent. imp.), ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 c.c., come avvenuto nel presente caso, laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite". Alla luce dei principi di diritto richiamati nel complesso excursus appena svolto - ad avviso di chi scrive (e in continuità con un certo orientamento della giurisprudenza di merito cui si aderisce) - lo scrutinio di cui è investito il giudice di merito e che attiene alla conformità della garanzia personale prestata allo schema ABI del 2003 postula l'esistenza in atti della prova: 1) dell'esistenza di un illecito anticoncorrenziale; 2) che lo schema contrattuale cui ha avuto accesso il garante corrisponde a quello derivante dal predetto illecito; 3) che, in conseguenza ed in ragione di ciò, la libertà di scelta del fideiubente è stata effettivamente limitata. Quanto al profilo sub 1) è sufficiente richiamare l'insegnamento delle Sezioni Unite nella più volte citata sentenza del 2005: "deve essene allegata un'intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quelle rappresenta l'interesse ad agire dell'attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento". Orbene, nel caso di specie gli opponenti non hanno né dedotto né provato alcunché. Quanto al punto sub 3) si osserva che anche allorquando lo schema contrattuale della singola fideiussione sottoposta all'attenzione del giudice appaia speculare rispetto a quello stigmatizzato dalla Banca d'Italia ciò non esclude, da un lato, che vi fossero nello stesso periodo degli operatori del settore che offrivano delle condizioni fideiussorie più favorevoli e migliori di quelle sottoscritte dal garante e, dall'altro lato, che il garante non sia stato comunque coartato da tali disposizioni poiché - esemplificativamente - la fideiussione era stata indicata dalla banca come condizione necessaria per la stipula dei diversi contratti bancari. Anche sotto tale profilo, alcuna allegazione o prova è stata fornita dagli opponenti. Deve, pertanto, rigettarsi l'eccezione volta a far dichiarare la nullità assoluta delle fideiussioni per cui è causa. Invece, tenuto conto della situazione concreta e degli interessi dedotti nel contratto, risulta corretta l'applicazione del rimedio della nullità parziale (anche in considerazione del fatto che la nullità delle fideiussioni omnibus è stata sanzionata dalla stessa Banca d'Italia solo in relazione all'adozione generalizzata di determinate clausole). Prima, però, di verificare quanto dedotto dagli opponenti conformemente al punto sub 2), ovverosia la presenza nelle fideiussioni rilasciate in data 25.6.2014 di clausole corrispondenti a quelle di cui agli artt. 2, 6 e 8 del modello di fideiussione ABI, occorre precisare che - ad avviso di chi scrive - l'eventuale nullità delle ridette clausole, lungi dal travolgere automaticamente l'intero contratto, deve essere necessariamente coniugata con quanto sancito dall'art. 1419 c.c., a norma del quale la nullità di alcune clausole contrattuali travolge il contratto nella sua interezza solo se risulta che il contraente non l'avrebbe stipulato in loro assenza. La difesa dei fideiussori opponenti non ha allegato né offerto di dimostrare che i singoli garanti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione se privo delle clausole indicate come nulle. Inoltre, esaminando le posizioni dei due contraenti, da un lato, non risulta provato (ed appare inverosimile) che la banca non avrebbe accettato una fideiussione priva delle clausole in questione, posto che - anche senza quelle clausole - la stessa consentiva di rendere maggiormente garantito il debito della s.r.l. e, dall'altro, deve escludersi che le clausole ritenute frutto di intesa anticoncorrenziale siano state determinanti della monitoria della società ricorrente. Pertanto, anche sotto questo profilo, deve intendersi rigettata l'eccezione di nullità assoluta delle fideiussioni per cui è causa. Risulta, per converso, in parte accoglibile l'eccezione di nullità parziale delle fideiussioni de quibus, comunque proposta dagli opponenti, e l'eliminazione delle sole clausole nulle e sufficiente a porre rimedio al tentativo di minare la competitività del mercato creditizio, ristabilendo l'equilibrio competitivo e, al tempo stesso, preservando la garanzia fideiussoria nella sua causa, che persegue l'interesse di entrambe le parti contraenti, cioè l'ottenimento della disponibilità finanziaria voluta dal garante ed il rafforzamento dell'obbligazione restitutoria per il concedente in caso di insolvenza del debitore principale. Più precisamente, vagliando il contenuto delle fideiussioni per cui è causa se, per un verso, non è dato riscontrare una clausola che riproduca il contenuto dell'art. 2 del modello ABI (la clausola rubricata "rimborso" prevede, infatti, la reviviscenza dell'obbligazione del garante nella sola ipotesi di revocatoria fallimentare), né dell'art. 8; per altro verso, la clausola rubricata "dispensa del fideiussore alla banca" riproduce il contenuto dell'art. 6 del modello ABI, con espressa deroga all'art. 1957 c.c. e, pertanto, ne deve essere dichiarata la nullità parziale. A tale declaratoria consegue l'applicazione della disciplina generale contenuta nella sopra richiamata norma codicistica: pertanto, occorre verificare se già la banca (originaria titolare del credito poi ceduto alla società odierna opposta) fosse decaduta dall'esercizio del proprio diritto di credito nei confronti dei garanti opponenti per decorso del termine ivi previsto. Prima di procedere oltre, e necessario tuttavia vagliare la difesa svolta dalla società opposta e relativa alla natura giuridica dei rapporti di garanzia per cui è causa in termini di contratti autonomi di garanzia e non di fideiussioni, con conseguente inapplicabilità del disposto di cui al citato art. 1957 c.c.. Ad avviso di chi scrive tale ricostruzione non può essere condivisa. Come noto, il dibattito sulla distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia è ancora molto aperto sia in dottrina che in giurisprudenza; senza voler inutilmente ripercorrere le tappe dell'evoluzione interpretativa in materia, è sufficiente in questa sede richiamare l'insegnamento più recente della Cassazione secondo cui la qualificazione del negozio deve essere effettuata in base alle caratteristiche concrete del contratto (cfr. tra tutte Cass. n. 12152 del 14.6.2016). Ebbene, la giurisprudenza predominante ritiene, condivisibilmente, che l'inserimento nel contratto della clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" sia un chiaro indice sintomatico della volontà delle parti di rendere del tutto autonomo il contratto di garanzia dal rapporto principale. Nel caso in esame, tuttavia, nelle fideiussioni del 25.6.2014, e, più precisamente, nella clausola rubricata "Adempimento da parte del fideiussore e recesso della banca" è ravvisabile solo la clausola di pagamento a prima richiesta, mentre non vi è alcuna esplicita rinuncia del fideiussore alla proposizione delle eccezioni. Allo scrivente Giudice certo non è sfuggito il tenore dell'ultimo comma della ridetta clausola ove si legge: "Si intende che, qualunque sia stato all'inizio o nel seguito delle operazioni l'ammontare dell'esposizione della Banca e qualunque pagamento essa Banca avesse ricevuto in rapporto alle dette operazioni, l'ammontare dei debiti che risulterà effettivamente scoperto verso la Banca alla data dell'invito di cui sopra, dovrà, fino alla concorrenza dell'importo garantito essere in ogni caso e senza eccezione estinto del/i sottoscritto/i"; ciononostante, il ricorso al singolare "eccezione" in luogo del plurale "eccezioni" si reputa significativo ai fini della corretta interpretazione della clausola de qua. Qualora, infatti, mediante detta clausola la banca avesse inteso davvero richiedere al garante l'espressa rinuncia ad ogni possibile eccezione sollevabile con riguardo al debito garantito, non si comprende la ragione dell'utilizzo del sostantivo in questione al singolare in luogo - del certamente più corretto - plurale: plurime sono, infatti, le eccezioni che il garante sarebbe di norma legittimato a sollevare. Pertanto, ed anche in considerazione della natura deteriore della posizione del garante nei confronti del creditore sotto tale profilo ove si concludesse nel senso della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia, si reputa interpretazione prudenzialmente più corretta quella per cui detta locuzione "e senza eccezione" sia un mero rafforzativo della precedente "in ogni caso", come tale volta unicamente a rimarcare l'inevitabilità dell'adempimento da parte del garante stesso. Ciò posto, l'assenza nelle fideiussioni de quibus della clausola "a prima richiesta e senza eccezioni" è certamente rilevante al fine di escludere la configurabilità delle stesse in termini di contratto autonomo di garanzia. La banca, infatti, quale operatore qualificato che ha predisposto il modulo contrattuale, se avesse voluto concludere un contratto autonomo avrebbe dovuto includere nel contratto la clausola di rinuncia alle eccezioni. Tale omissione rende chiara la volontà della banca di non rendere del tutto autonome le garanzie dal rapporto principale. Infatti, l'inserimento della clausola di "pagamento a prima richiesta", pur costituendo un elemento rilevante, non è sufficiente da solo per qualificare il rapporto negoziale in quanto, in un caso simile, la Cassazione ha precisato che l'inserimento nel contratto solo di detta clausola (priva dell'esplicita rinuncia alla proposizione delle eccezioni) non ha rilievo decisivo per la qualificazione del negozio, potendo tale espressione riferirsi sia a garanzie svincolate dal rapporto garantito che a fideiussioni (Cass. 9.8.2016 n. 16825). Oltre all'elemento sopra indicato vi sono, però, almeno altri due elementi decisivi che fanno propendere per la natura fideiussoria dei negozi in esame. In primo luogo va sottolineato il dato letterale dei documenti, nei quali si fa a più riprese espresso riferimento al "fideiussore", in tal modo richiamando in maniera esplicita la garanzia tipica del codice civile. Ciò risulta ancor più significativo se si tiene conto del fatto che il modulo è stato predisposto dalla banca la quale, si ripete, come operatore professionale qualificato, non poteva ignorare il significato giuridico dei termini adoperati. Dunque, appare evidente che se la banca avesse voluto far sottoscrivere agli opponenti un contratto autonomo di garanzia non li avrebbe definiti "fideiussori" bensì "garanti". Per tutte queste ragioni le garanzie prestate dagli opponenti vanno qualificati come fideiussioni e, più precisamente, come fideiussioni omnibus, con conseguente applicabilità - per quanto d'interesse in tale sede - dell'art. 1957 c.c.. Come è noto, secondo tale disposizione: "Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il auditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate" (co. 1). Infine, non coglie nel segno l'ulteriore argomento svolto dalla difesa della società opposta secondo cui sarebbe in ogni caso legittima la deroga convenzionale alla norma codicistica in questione; detta derogabilità - sia pure affermata dalla giurisprudenza di legittimità - non può che essere travolta dalla declaratoria di nullità della relativa clausola per tutte le ragioni sopra esposte. Venendo alla fattispecie per cui è causa, nella quale il credito azionato in via monitoria dalla società odierna opposta rinviene dai rapporti bancari intercorsi con la società garantita, il dies a quo contemplato dalla norma decorre dalla data in cui detto debito è divenuto esigibile per effetto del recesso della banca dai rapporti de quibus, esercitato con raccomandata di disdetta e messa in mora, trasmessa a mezzo pec alla società debitrice principale (...) del 20.2.207 (cfr. doc. 14 fasc. monitorio). Il ricorso monitorio risulta essere stato depositato presso la cancelleria dell'intestato Tribunale solo in data 22.4.2020, direttamente dalla società odierna opposta, cessionaria del credito de quo, e, quindi, ben oltre i sei mesi richiesti dalla norma anzidetta. D'altra parte, non vi è alcuna prova in atti che la banca - resasi poi cedente del ridetto credito - sia attivata nei confronti della società debitrice principale entro il ridetto termine semestrale. Irrilevanti a tal fine sono, infatti, le circostanze evidenziate dalla difesa della società opposta, ovverosia l'aver la banca cedente richiesto l'escussione della garanzia consortile prestata in suo favore da Medio Credito Centrale (incassata, poi, in data 16.11.2017), nonché il deposito, da parte della società odierna opposta, di domanda di insinuazione nel Fallimento (...) S.r.l. (dichiarato in data 4.7.2018). In conclusione, quindi, deve dichiararsi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1419, co. 2 c.c., la nullità della clausola rubricata "Adempimento da parte del fideiussore e recesso della banca" contenuta nelle fideiussioni per cui è causa; conseguentemente, ritenuto operante il disposto dell'articolo 1957 c.c., deve essere dichiarata la decadenza del creditore dal diritto di agire nei confronti dei garanti, con consequenziale estinzione delle obbligazioni fideiussorie. In ragione di quanto sopra, quindi, l'opposizione deve essere accolta ed il decreto ingiuntivo integralmente revocato, rimanendo assorbite tutte le ulteriori doglianze di parte opponente. Quanto alle spese di lite, poiché la decisione della presente causa si fonda su una questione giuridica di assoluta novità, si reputa ricorrente il presupposto per disporre l'integrale compensazione delle stesse tra le parti a norma dell'art. 92, co. 2 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'opposizione proposta da (...) così provvede: - rigetta l'eccezione pregiudiziale d'incompetenza per territorio; - dichiara la nullità parziale della clausola rubricata "Adempimento da parte del fideiussore e recesso della banca" contenuta nelle fideiussioni prestate dagli opponenti in data 25.6.2014; - dichiara l'intervenuta decadenza del creditore, (...) (in qualità di mandataria con rappresentanza di (...)) già (...), dall'agire nei confronti dei garanti, odierni opponenti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1957 c.c.; per l'effetto, accoglie l'opposizione e, conseguentemente, revoca il decreto ingiuntivo n. 221/2020 emesso dal Tribunale di Biella in data 23.4.2020; compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Così deciso in Biella il 22 marzo 2022. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella, in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 1666 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2016, avente ad oggetto: Altri contratti tipici - Opposizione a decreto ingiuntivo. promossa DA M. S.r.l. (P.I. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in (...) (T.), Via (...) n. 9, (...) (C.F. (...)), residente in V. del (...) (T.), via della V. n. 24 e ((...)), residente in (...) (T.), Via B. C., n. 9, rappresentati e difesi dall'avv. Al.Bo. del Foro di Venezia giusto mandato alle liti allegato all'atto di citazione in opposizione ed elettivamente domiciliati per il presente giudizio presso e nello studio dell'avv. Va.Bo. in Chivasso (TO), Corso (...); OPPONENTI CONTRO (...) S.P.A. (C.F. (...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in B., Piazza G. S. n. 1, rappresentata e difesa, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli avv.ti Ca.Se. e Gi.Da. del Foro di Biella per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel loro studio in Biella, via (...); OPPOSTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) S.r.l. ed i Sig.ri (...) e (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 562/2016 emesso dal Tribunale di Biella in data 14.6.2016 con il quale era stato loro ingiunto di pagare, in solido tra loro ed in favore di (...) S.p.A., la somma di Euro 26.640,31, oltre interessi e spese come liquidate in decreto a titolo di scoperto del conto mutuo n. (...) e del correlativo conto interessi infruttiferi (cfr. doc. 2-4 fasc. monitorio), quanto alla società debitrice principale e, quanto ai Sig.ri (...) e (...), in forza delle fideiussioni dai medesimi prestate in data 13.10.2010 per l'importo massimo garantito di Euro. 100.000,00 ciascuno (cfr. doc. 5 fasc. monitorio). A fondamento della propria opposizione, gli opponenti hanno posto le seguenti doglianze: 1) la mancata preventiva escussione, da parte di (...) S.p.A., della garanzia specifica prestata da (...) Soc. Coop.; 2) la nullità del contratto di mutuo chirografario del 29.1.2015 per difetto di causa, in quanto "non ... stipulato per erogare liquidità alla (...) S.r.l. ma esclusivamente per azzerare lo scoperto relativo al rapporto di c/c (...) di cui (...) S.r.l. era già intestataria", con ciò "creando ... una nuova posizione debitoria in capo a (...) S.r.l. allargando la base dei coobbligati con il coinvolgimento dei Sig.ri (...) e (...)". In sede, prima, di note scritte depositate per l'udienza figurata di precisazione delle conclusioni e, poi, in sede di comparsa conclusionale, gli opponenti hanno altresì eccepito la nullità totale delle fideiussioni rilasciate dai Sig.ri (...) e (...) per violazione dell'art. 2 della L. n. 287 del 1990. Tempestivamente costituitasi in giudizio, (...) S.p.A. ha contestato tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, in quanto infondato in fatto ed in diritto. Tutto ciò premesso, l'opposizione deve essere rigettata per le ragioni meglio esposte di seguito. In termini generali occorre innanzitutto premettere che - come noto - il giudice investito dell'opposizione deve affrontare e decidere il merito, e cioè accertare sia l'an che il quantum della pretesa creditoria, eventualmente rendendo una pronuncia di condanna per la parte residua del debito non estinta ove il diritto vantato dal creditore risulti provato. L'opposizione a decreto ingiuntivo introduce, infatti, un ordinario giudizio di cognizione nel quale trovano applicazione i criteri di riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., avuto riguardo alla posizione sostanziale rivestita dalle parti processuali. Più precisamente, spetta alla parte opposta, nella sua qualità di attore sostanziale, provare i fatti posti a fondamento della domanda di pagamento (e, pertanto, l'esistenza dei contratti indicati nel ricorso monitorio e l'ammontare dei rispettivi saldi debitori) e alla parte opponente, nella sua qualità di convenuta sostanziale, dimostrare l'inesistenza del rapporto (ad es. disconoscendo la sottoscrizione), l'invalidità o l'inefficacia del rapporto (nullità, annullabilità, risoluzione) o l'esistenza di circostanze impeditive, modificative o estintive della pretesa creditoria (ad es. transazioni o pagamenti anteriori al giudizio). Nella fattispecie per cui è causa, (...) S.p.A. ha fornito la prova del fatto costitutivo del suo diritto di credito, ottemperando all'onere posto a suo carico dalla norma del Codice civile sopra richiamata attraverso la produzione documentale versata in atti, con ciò completando ed integrando quella già prodotta nel giudizio monitorio Pertanto, per un verso, i documenti contrattuali, debitamente sottoscritti, dimostrano l'esistenza dei rapporti contrattuali per cui è causa e il contenuto delle relative clausole negoziali; per altro verso, la copia degli estratti conto analitici e scalari del conto corrente, il piano di ammortamento del mutuo e gli estratti del conto mutuo creato dopo la disdetta, riportando le movimentazioni integrali dei rapporti dalla loro apertura, forniscono la prova sufficiente dell'effettivo ammontare dei rispettivi saldi debitori. Nessun dubbio sussiste in ordine al quantum della pretesa creditoria vantata dalla banca opposta, peraltro non specificamente contestato dagli odierni opponenti. La difesa di quest'ultimi, infatti, risulta integralmente incentrata sulla recisa contestazione dell'an debeatur, fondata - in via principale - sull'eccepita nullità del contratto di mutuo per cui è causa per difetto di causa e - in via subordinata - sulla mancata preventiva escussione, da parte di (...) S.p.A., della garanzia specifica prestata in suo favore dalla Società Cooperativa (...). Nessuna delle due doglianze è fondata. Quanto alla prima, risultano documentalmente provate (cfr. doc. 2 fasc. monitorio e doc. 2 comparsa) le seguenti circostanze: 1) la società correntista ((...) S.r.l.) si è espressamente riconosciuta debitrice dell'odierna opposta dell'importo di Euro. 29.729,08 quale saldo debitorio del conto corrente n. (...); 2) la medesima società ha richiesto alla stessa banca di poter estinguere detto debito in maniera dilazionata mediante la concessione del mutuo per cui è causa; 3) rispetto a tale finanziamento la medesima società ha confermato le garanzie personali già rilasciate in data 13.10.2010 dai Sig.ri (...) e (...); 4) l'importo oggetto del contratto di mutuo (Euro. 30.000) è stato erogato in data 29.1.2015, con accredito sul conto mutuo n. (...) e, quindi, è stato girocontato sul conto corrente suddetto in data 5.2.2015. Le ridette circostanze non sono state contestate dalla banca opposta, ma piuttosto dalla stessa valorizzate allo scopo di evidenziare la piena legittimità dell'operazione negoziale conclusa. Ciò posto, non può che muoversi dall'assunto per cui risulta acclarata (in quanto, per l'appunto, pacifica e non contestata) la sussistenza nella vicenda per cui è causa di un collegamento negoziale tra mutuo e conto corrente. Peraltro, il collegamento negoziale, in sé e per sé considerato, costituisce un fenomeno del tutto neutro per l'ordinamento. Come è noto, infatti, in tal caso le parti stipulano negozi tra loro distinti, ma che funzionalmente sono preordinati alla realizzazione di un disegno unitario, condiviso dai contraenti. Peraltro, proprio perché detti contratti sono preordinati ad uno scopo pratico unitario, essendo unico l'interesse perseguito dai paciscenti, le sorti dell'uno influenzano le sorti dell'altro in termini di validità ed efficacia, in applicazione del generale principio simul stabunt simul cadent. Simili argomenti di carattere generale ben possono trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui il collegamento negoziale sia volontariamente costituito dalle parti tra un contratto di mutuo (nel caso di specie chirografario) ed un contratto di conto corrente. Al riguardo, la giurisprudenza di merito è pacificamente orientata nel senso di ritenere - proprio facendo ricorso al principio generale sopra richiamato - la nullità del contratto di mutuo qualora stipulato al solo fine di azzerare un debito precedente totalmente inesistente. Più precisamente, in alcune di queste pronunce si legge: "ove risulti che un contratto di mutuo sia stato stipulato al fine di destinare pressoché integralmente le somme erogate all'estinzione di rapporti di conto corrente bancario, i cui saldi negativi erano frutto della capitalizzazione trimestrale degli interessi addebitati al cliente e dell'applicazione della commissione di massimo scoperto, si configura un collegamento negoziale, in virtù del quale va dichiarata la nullità parziale del primo contratto, operante nella misura in cui le somme concesse a mutuo siano state concretamente destinate all'estinzione dei debiti illegittimi" (cfr. in tal senso: Trib. Pescara 27.6.2018 n. 969; Trib. di S. Maria Capua Venere, 14.10.2011); o, ancora, la sentenza della Corte di Appello di Torino del 15.6.2015 secondo cui: "tra il contratto di mutuo stipulato per ripianare il saldo debitore di un conto corrente e il contratto di conto corrente medesimo vi è un "collegamento negoziale" che li rende interdipendenti. Laddove il saldo del debitore del conto corrente derivi dall'applicazione di clausole nulle o da addebiti illegittimi, pertanto, tali vizi vengono a ripercuotersi anche sul contratto di mutuo. Ne deriva che, essendo il mutuo finalizzato a ripianare un passivo in realtà inesistente ed apparente (omissis) lo stesso è nullo per mancanza di causa concreta". Tuttavia, proprio in applicazione dei principi di diritto appena richiamati, deve escludersi la nullità del contratto di mutuo per cui è causa, poiché gli opponenti non hanno formalizzato alcuna censura d'illegittimità rispetto al rapporto di conto corrente; conseguentemente, il passivo esistente sul detto conto corrente al momento dell'erogazione del finanziamento non può certamente considerarsi "inesistente" od "apparente" e, comunque, illegittimo: difetta, pertanto, il presupposto logico-giuridico per la dichiarazione di nullità - anche solo parziale - del contratto di mutuo de quo, che, pertanto, è pienamente valido ed efficace. Analogamente non può essere accolta la seconda eccezione svolta dagli opponenti. Al riguardo corre l'obbligo di osservare, innanzitutto, che l'esistenza della garanzia prestata da (...) Soc. Coop., giusta Delib. del 6 ottobre 2014, in favore della banca opposta e in relazione al mutuo per cui è causa (cfr. doc. 9 mem. 183 n. 2 opposto), non fa venir meno il diritto della creditrice di chiedere il pagamento anche agli altri fideiussori. La natura di garanzia "a prima richiesta", infatti, se conferisce al creditore la facoltà di chiedere al fideiussore il pagamento del debito senza la necessità della preventiva escussione del debitore principale, certamente ma non determina una graduazione delle obbligazioni dei vari fideiussori. In sostanza, tale ulteriore garanzia ha lo scopo di rafforzare la posizione del creditore, ma non determina alcun beneficio agli altri fideiussori i quali ben possono essere escussi contemporaneamente alla (...). Tale conclusione è ulteriormente corroborata dall'analisi della documentazione in atti e, in particolar modo, dalla Convenzione sottoscritta tra la (...) e la (...) Soc. Coop. (cfr. doc. 10 mem. 183 n. 2 opposto) dalla lettura della quale non emerge alcun eventuale impegno della banca ad escutere preventivamente tale ultimo garante in caso d'inadempimento del debitore principale. Non vi è dubbio, quindi, che la banca avesse la facoltà di agire contemporaneamente nei confronti di tutti i fideiussori e garanti, ciò anche in applicazione delle generali regole codicistiche dettate in materia di obbligazioni plurisoggettive dal lato passivo. Pertanto, alla luce di tutto quanto appena argomentato, deve concludersi per la sussistenza della pretesa creditoria vantata dalla banca opposta anche in punto di an debeatur. Quanto alle fideiussioni prestate dai Sig.ri (...) e (...), prima nelle note di trattazione scritta depositate in data 16.4.2021 e, quindi, negli scritti conclusivi gli odierni opponenti ne hanno eccepito la nullità totale in quanto contenenti "clausole riproduttive dello schema contrattuale predisposto dall'ABI ... censurato da B.I. con il noto Provv. n. 55 del 2005", perché "in contrasto con il summenzionato art. 2 comma 2 lett. a) L. n. 287 del 1990" (cfr. pag. 6 e 7 comparsa conclusionale opponenti). Al riguardo, lo scrivente Giudice ritiene di poter superare la questione relativa all'inammissibilità di detta eccezione in quanto "domanda/eccezione del tutto nuova e tradiva, mai sollevata prima dagli stessi garanti nel corso del giudizio" (cfr. pag. 14 comparsa conclusionale opposto), facendo applicazione del principio processuale della ragione più liquida per addivenire subito alla definizione della stessa nel merito. Come noto, infatti, in virtù di tale principio, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale in senso lato; ciò in una prospettiva rispondente ad esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio che consente, per l'appunto, di fondare la decisione di una causa su di una ragione di pronta e più agevole soluzione, anche se subordinata alle altre, senza che sia necessario esaminare previamente queste ultime (in tal senso, ex multis Cass. civ., sent. 11458 del 2018; Cass. SS.UU., n. 9936 del 2014; Cass. civ. n. 12002 del 2014). Nel merito la proposta eccezione risulta infondata e, per tale ragione, non può essere accolta. Come è noto, infatti, con la recentissima sentenza n. 41994 del 30.12.2021, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto l'annoso e decisamente attuale contrasto giurisprudenziale relativo alla species di nullità da cui sarebbe affetta la fideiussione omnibus riproduttiva di clausole frutto di intesa anticoncorrenziale, e sanzionate dalla (...) con il noto Provv. n. 55 del 2005, affermando il seguente principio di diritto: "i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti"; si tratta di principio di diritto del quale lo scrivente Giudice aveva già in precedenza fatto applicazione e che, pertanto, non può che continuare a condividere in toto anche alla luce del complesso impianto motivazionale della sentenza in questione. In conclusione, quindi, deve essere affermata la validità ed efficacia anche delle fideiussioni per cui è causa, avendo gli opponenti circoscritto la domanda all'accertamento della nullità totale (e non anche parziale) delle stesse. La proposta opposizione deve essere, pertanto, rigettata ed il decreto ingiuntivo opposto integralmente confermato. Quanto alle spese di lite, le stesse seguono la soccombenza degli opponenti e si liquidano come in dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, tenuto conto del valore della domanda desunto dall'ammontare del credito ingiunto e secondo i valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale e secondo i valori minimi per la fase istruttoria e/o di trattazione. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t., (...) e (...), così provvede: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 562/2016 emesso dal Tribunale di Biella in data 14.6.2016; - condanna (...) S.r.l. in persona del l.r.p.t., (...) e (...) al pagamento, in solido tra loro ed in favore (...) S.p.A. in persona del l.r.p.t. delle spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 6.738,00 a titolo di compensi professionali (di cui Euro 1.620,00 per la fase di studio; Euro 1.147,00 per la fase introduttiva; Euro 1.204,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro 2.767,00 per la fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge. Così deciso in Biella l'11 febbraio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 2860 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, avente ad oggetto: Altri istituti e leggi speciali promossa DA CA.RI. S.P.A. - BI. S.p.A. (C.F. (...)), in persona del l. r.p.t., con sede legale in Biella, via (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Bo., giusta delega in calce al ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, alla via (...); RICORRENTE CONTRO FO.AN. (C.F. (...)) residente in Adorno Micca (BI), via (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ta.Di. giusta delega allegata alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); RESISTENTE NONCHÉ CONTRO NE.SI. (C.F. (...)), residente in Adorno Micca (BI), via (...) rappresentata e difesa dall'avv. Ni.Bo. in forza di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliato per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...) RESISTENTE MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., Ca.Ri. S.p.A. - Bi. S.p.A. ha adito l'intestato Tribunale rappresentando di aver provveduto "in data 10.07.2015 a liquidare alla Sig.ra Ne.Si. la somma di Euro 25.378,00 che residuava quale 50% del saldo del conto di deposito a risparmio" (cfr. pag. 2 ricorso), del quale quest'ultima era cointestataria con il Sig. Fo.An., in ottemperanza a quanto previsto dall'ordinanza di assegnazione somme, assunta dal G.E. in data 1.10.2012 nell'ambito della procedura esecutiva mobiliare presso terzi (n. 569/2012 R.G.E.) promossa nei confronti dello stesso Fo.An. (cfr. doc. 1 ricorso), ove era appunto previsto che il terzo pignorato avrebbe dovuto corrispondere le somme assegnate ai creditori, "con effetto liberatorio nei confronti del debitore e con esonero da ogni responsabilità propria', procedendo, "per quanto concerne le somme di cui al conto deposito a risparmio n. 20/623,01 cointestato al debitore Fo.An., con le modalità che le parti riterranno più opportune" e con "immediata liberazione da eventuali vincoli derivanti da pignoramento delle somme intestate al cointestatario dei rapporti bancari ... in quanto somme non oggetto di esecuzione". Costituitosi nel presente giudizio, il sig. Fo.An. ha contestato la legittimità dell'operato della banca ricorrente, avendo la stessa liquidato la ridetta somma in favore della cointestataria Sig.ra Ne.Si. "in spregio alle disposizioni contrattuali e, in particolare, alla previsione della firma congiunta' operante con riferimento al rapporto de quo. Inoltre, benché fosse intervenuta tra il Sig. Fo. e la Sig.ra Ne. sentenza di separazione "nulla (era) stato ancora disposto in merito alla divisione dei beni in comunione"; più precisamente, ad avviso del resistente: "terminata la procedura esecutiva, la somma residua da svincolare e da versare sul conto di deposito cointestato, era di totali Euro 25.375,00. Quindi, tutt'al più, il 50% di presunta spettanza della Ne. era di Euro 12.689,00" (cfr. pagg. 4 e 5 comparsa Fo.). Il resistente Fo. ha inoltre proposto in via riconvenzionale domanda di accertamento dell'illegittimità dei prelievi - meglio specificati in comparsa - effettuati dalla Sig.ra Ne.Si. sul conto di deposito a risparmio n. 20/623,01 senza la firma congiunta del cointestatario, per un totale di complessivi Euro 3.028,00, con conseguente responsabilità contrattuale dell'istituto bancario odierno ricorrente. Con comparsa ritualmente depositata, si è costituita nel presente giudizio anche la resistente Ne.Si., aderendo alle conclusioni formulate da Bi. nell'atto introduttivo del presente giudizio, stante "la presunzione di comproprietà delle somme dpositate sul conto cointestato n. 20/623 01" al momento del pignoramento tale per cui la metà nella titolarità del Sig. Fo. sono state assegnate ai suoi creditori, la restante metà non può che essere di titolarità esclusiva del cointestatario non assoggettato ad esecuzione (conformemente a quanto previsto dallo stesso G.E. nell'ordinanza di assegnazione dell'1.10.2012). Ha rappresentato, infine, la resistente Ne. che "in data 18.6.2013 è stata depositata la sentenza n. 373 che ha definitivamente pronunciato la (...) separazione giudiziale" dei coniugi Fo. - Ne., con conseguente scioglimento della comunione legale dei beni ed "operatività dell'art. 177 c.c. con riguardo anche alla c.d. "comunione de residuo". Con ordinanza depositata in data 29.4.2016, il Giudice precedentemente assegnatario del fascicolo ha disposto il mutamento del rito ed assegnato termine per l'introduzione della procedura obbligatoria di mediazione; stante l'esito negativo della stessa, il medesimo Giudice ha quindi assegnato alle parti i termini di cui all'art. 183, co. 6 c.p.c. ed ha provveduto sulle istanze istruttorie con ordinanza depositata in data 31.5.2017, rigettando le richieste di prove orali e disponendo, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'esibizione da parte della banca ricorrente "del contratto di apertura del conto di deposito e risparmio oggetto di causa, del documento di sintesi e di tutte le pattuizioni contrattuali". Alla successiva udienza del 24.10.2017, fissata per la verifica della produzione documentale oggetto dell'ordine di esibizione, la difesa della banca ricorrente ha rappresentato, quanto all'originario contratto di apertura del conto deposito (n. 20/210/208724 emesso il 23.6.1986 e divenuto poi n. 20/623,01), che: "nel 1986 il cartellino firme di cui al doc. 1 esibito era l'unico documento sottoscritto dalla clientela poiché la relativa normativa era riportata a tergo del libretto di deposito che veniva rilasciato al cliente". Il medesimo Giudice ha, quindi, disposto "in via integrativa di produrre ove esistente eventuale altra documentazione dalla quale si evinca il requisito delle firme congiunte tra i correntisti, come richiesto dalla difesa Fo.", cui ha fatto seguito la dichiarazione negativa resa dal Responsabile Ufficio Legale e Contenzioso della banca ricorrente, datata 2.5.2018 e versata in atti in originale. La causa è stata, quindi, ritenuta matura per la decisione e riservata in decisione - all'esito dei rinvii intervenuti medio tempore - in data 1.12.2020, all'esito dello scambio delle note di trattazione scritta disposto in sostituzione della relativa udienza, assegnando alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Tutto ciò premesso, le domande proposte dalla ricorrente sono meritevoli di accoglimento per le ragioni meglio esposte di seguito. Al fine del decidere risulta bastevole ed esaustivo far riferimento al contenuto dell'ordinanza di assegnazione somme, pronunciata dal G.E. in data 1.10.2012 nell'ambito della procedura di esecuzione mobiliare presso terzi (n. 569/2012 R.G.E.) promossa nei confronti dell'odierno resistente, Sig. Fo.An.. Dall'esame della ridetta ordinanza emerge, infatti, che il G.E. ha provveduto in piena aderenza al consolidato e pacifico orientamento della giurisprudenza - sia di legittimità che di merito - in base al quale, in caso di esecuzione mobiliare presso terzi, "il pignoramento di conto cointestato deve ritenersi eseguito sulla metà del saldo esistente all'atto della notifica del pignoramento e della successiva dichiarazione del terzo. Infatti, in base al combinato disposto di cui agli artt. 1854 e 1298 comma 2 c.c., in assenza di prova contraria, gli intestatari del conto corrente sono considerati creditori solidali della banca e le rispettive quote si presumono uguali" (Trib. Milano 29.9.2015, n. 10502); o, detto altrimenti, "in un deposito in conto corrente cointestato a più persone, il creditore di una di esse non può pignorare presso la banca l'intera somma portata in deposito, ma soltanto la quota di spettanza del suo debito determinata secondo il principio posto dall'art. 1101 c.c., secondo il quale le quote di partecipazione alla comunione si presumono uguali" (cfr. Trib. Benevento 11.9.2020, n. 1184). Quindi, anche nella fattispecie per cui è causa, il G.E. ha provveduto ad assegnare ai creditori del debitore esecutato, Sig. Fo.An., integralmente ed esclusivamente le somme corrispondenti al 50% della complessiva disponibilità presente sul conto deposito a risparmio n. 20/623,01 alla data di notifica dell'atto di pignoramento nella misura così come quantificata nella dichiarazione resa dal terzo, Bi. S.p.A.. Ad ulteriore riprova di ciò e, quindi, a corroborare la presunzione di totale utilizzo della quota parte delle somme disponibili nella titolarità del debitore esecutato, concorre altresì il rilievo per cui il G.E., rilevata l'incapienza del "residuo delle somme di cui Bi. è debitrice nei confronti dell'esecutato" rispetto all'ammontare dei crediti non muniti di privilegio, ha disposto "la graduazione proporzionale dei crediti" stessi rispetto alle somme residue ancora disponibili e di titolarità del debitore esecutato. Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra è senz'altro corretto - oltre che ragionevole - presumere che l'importo che è risultato ancora disponibile sul ridetto conto deposito a risparmio all'esito dei pagamenti effettuati dall'istituto bancario nei confronti dei creditori assegnatari, e pari ad Euro 25.375,00 (importo non oggetto di contestazione tra le parti nel suo ammontare), costituisse la quota parte (id est 50% del totale) nella titolarità esclusiva dell'altro cointestatario del conto, la Sig.ra Ne.Si.. Detta presunzione non è stata in alcun modo superata da quanto dedotto ed eccepito nel merito dalla difesa del resistente, Sig. Fo.An.; né può attribuirsi alcuna rilevanza tanto alla circostanza del regime patrimoniale vigente tra i due coniugi (che era, in ogni caso, di comunione legale) quanto al successivo scioglimento di questo all'esito della pubblicazione della sentenza di separazione giudiziale (18.6.2013), stante l'anteriorità del titolo (l'ordinanza di assegnazione de qua) da cui consegue l'accertamento oggetto della presente decisione. In definitiva, quindi, deve essere dichiarata la legittimità dell'accredito della somma di Euro 25.378,00 effettuato da Bi. S.p.A. in data 10.07.2015 a favore della Sig.ra Ne.Si. (cfr. doc. 6 comparsa). Infine, con maggior impegno motivazionale - stante la difesa del resistente Fo. - si precisa altresì che risulta del tutto ininfluente ai fini del decidere l'accertamento del regime di firma congiunta o disgiunta contrattualmente previsto per il rapporto di deposito a risparmio per cui è causa. Infatti, il trasferimento della somma di Euro 25.378,00 dal ridetto conto in favore della resistente Ne. non corrisponde affatto ad un "prelievo" dalla stessa liberamente effettuato in costanza di rapporto, quanto piuttosto all'adempimento da parte dell'istituto bancario a quanto disposto nell'ordinanza di assegnazione e, quindi, in ottemperanza ad un ordine del Giudice competente. Quanto, poi, alla domanda riconvenzionale proposta dal resistente Fo., la stessa deve essere rigettata in quanto del tutto sfornita di prova, non risultando in particolare acquisita al presente giudizio la prova dell'effettiva previsione nel contratto di deposito a risparmio dell'obbligatorietà della forma congiunta dei due contraenti contitolari. Quanto alle richieste istruttorie reiterate dalle parti negli scritti conclusivi, si richiama integralmente - intendendosi, pertanto, ivi trascritta con le relative motivazioni - l'ordinanza resa dal Giudice in precedenza assegnatario del fascicolo e depositata in data 29.4.2016. Con riferimento alle spese del giudizio, queste seguono la soccombenza del resistente, Sig. Fo.An., e si liquidano come in dispositivo, in applicazione dei criteri di cui al D.M. 10/03/2014 n. 55, tenuto conto del valore del decisum e secondo i valori medi per le singole fasi. Quanto più specificatamente alla liquidazione, risultano due parti vittoriose (la ricorrente e l'altra resistente, Ne.Si.), tuttavia, la pronuncia di un'unica condanna alle spese di causa, con liquidazione cumulativa delle medesime, è consentita solo a carico di più parti soccombenti, secondo la previsione dell'art. 97 c.p.c., non anche in favore di più parti vittoriose, che siano state assistite da difensori diversi. Infatti, la solidarietà attiva, non essendo espressamente prevista, non può essere presunta, per cui la responsabilità delle parti soccombenti comporta che ciascuna delle controparti, ove abbia presentato distinte comparse e memorie, abbia diritto al proprio rimborso, tanto più se la difesa sia stata espletata da difensori diversi (Cass. 18256/2017). P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sulle domande proposte da Ca.Ri. S.p.A. - Bi. S.p.A. così provvede: - accoglie tutte le domande proposte e, quindi, accerta e dichiara la titolarità della somma di Euro 25.378,00, quale 50% del saldo del conto di deposito a risparmio n. 20/623,01 cointestato ai Sig.ri Fo.An. e Ne.Si. e, con essa, la legittimità dell'accredito della somma di Euro 25.378,00 effettuato da Ca.Ri. S.p.A. in data 10.07.2015 a favore della Sig.ra Ne.Si.; - rigetta la domanda riconvenzionale proposta da Fo.An.; - condanna Fo.An. al pagamento nei confronti di Ca.Ri. S.p.A. - Bi. S.p.A. in persona del l.r.p.t. delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.835,00 (di cui Euro 875,00 per la fase di studio; Euro 740,00 per la fase introduttiva; Euro 1.600,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro 1.620,00 per la fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge; - condanna Fo.An. al pagamento nei confronti di Ne.Si. delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 4.835,00 (di cui Euro 875,00 per la fase di studio; Euro 740,00 per la fase introduttiva; Euro 1.600,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro 1.620,00 per la fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge. Così deciso in Biella il 19 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella, in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 2746 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, avente ad oggetto: Altri contratti tipici - opposizione a decreto ingiuntivo promossa DA (...) S.R.L. ((...) (...)), in persona del l.r.p.t., con sede legale in M. U. (F.), via del L. n. 6 e (...) (C.F. (...)), residente in M. U. (F.), via U. n. 37 rappresentati e difesi dall'avv. Ro.Ca. del Foro di Ancona giusta procura in calce all'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo ed elettivamente domiciliati per il presente giudizio presso e nello studio dell'avv. Al.Di. in Biella, via (...); OPPONENTI CONTRO (...) S.P.A., (C.F. (...)) in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale in B., Piazza (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Bo. del Foro di Biella per mandato in calce alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); OPPOSTO E (...) S.r.l. (C.F. e (...) (...)) in persona del l.r.p.t., in qualità mandataria con rappresentanza della (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.) (C.F. e (...) (...)), in forza di procura speciale a rogito Notaio dott. (...) di R. in data (...), Rep. n. (...), Racc. n. (...), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Bo. giusta procura in calce all'atto di intervento ex art. 111 c.p.c. ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); INTERVENUTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La presente sentenza viene redatta in conformità al nuovo testo dell'art. 132 c.p.c., così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione omettendo lo svolgimento del processo. Con atto di citazione ritualmente notificato, la (...) S.r.l. ed il Sig. (...) hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1005/2015 emesso da Tribunale di Biella in data 17.10.2015, con il quale era stato ingiunto loro di pagare, in solido, in favore di (...) S.p.A. la somma di Euro. 67.184,33, oltre interessi e spese come liquidate in decreto, a titolo di scoperto del conto corrente n. (...) aperto in data 11.8.2011 (cfr. doc. 2 fasc. monitorio) - e del relativo conto interessi infruttifero - nonché a titolo di insoluto del contratto di mutuo chirografario n. (...) stipulato in data 26.3.2012 (cfr. doc. 3 fasc. monitorio) - e del relativo conto interessi infruttifero. A garanzia dell'esposizione debitoria maturata dalla (...) S.r.l., il Sig. (...), in data 8.2.2012, ha prestato fideiussione omnibus per l'importo massimo garantito di Euro. 130.000 (cfr. doc. 8 fasc. monitorio). A sostegno della propria opposizione, gli opponenti hanno eccepito, in via pregiudiziale, l'incompetenza per territorio del Tribunale che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto, stante la nullità per vessatorietà delle clausole relative al foro esclusivo convenzionale ed essendo, pertanto, competente il Tribunale di Fermo, sia in forza degli artt. 18 e 19 c.p.c., che quale foro in cui è posta la residenza o il domicilio del garante (...), avente qualità di consumatore. Quanto, poi, al merito, gli opponenti hanno dedotto ed eccepito: 1) la nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o inoperatività della garanzia prestata, cui attribuiscono natura giuridica di contratto autonomo di garanzia e non di fideiussione, per un verso, per essere stata sottoscritta in conseguenza di dolo od errore essenziale, per altro verso, per violazione dell'art. 1956 c.c.; 2) il difetto di prova scritta del credito derivante dal contratto di mutuo chirografario, non risultando "le condizioni di rinegoziazione del nuovo contratto n. (...), né il preciso ed effettivo importo finanziato" (cfr. pag. 18 citazione); 3) l'illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi; 4) l'illegittimità del cd "gioco delle valute"; 5) la potenziale natura usuraria del TAEG negoziale (computando nel medesimo le commissioni, le spese tenuta conto, la capitalizzazione e l'antergazione o postergazione delle valute). La banca si è costituita chiedendo il rigetto della domanda e la conferma del decreto ingiuntivo opposto, ritenendo di aver provato l'ammontare del credito mediante la documentazione versata in atti e in considerazione della piena validità ed efficacia della garanzia prestata. Tutto ciò premesso, l'opposizione deve essere rigettata per le ragioni di seguito esposte. 1. La richiesta di estromissione di (...) S.p.A. In apertura di motivazione, occorre innanzitutto affrontare la questione di carattere processuale attinente alla richiesta di estromissione dal presente giudizio di (...) S.p.A., avanzata dalla società cessionaria del credito intervenuta in sede di costituzione. Al riguardo occorre, innanzitutto, precisare che, nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione, (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.) in data 26.6.2018 concludeva un contratto di cessione di crediti pecuniari con (...) S.p.A., ai sensi e per gli effetti degli artt. 1 e 4 della L. n. 130 del 1999 e dell'art. 58 T.U.B., tra i quali è ricompreso anche quello vantato dal ridetto istituto di credito nei confronti degli odierni opponenti. Di tale cessione e delle caratteristiche dei crediti ceduti è stata data notizia mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana - Parte Seconda - n. 84 del 21.07.2018, rettificata in data 28.07.2018 (cfr. all. 2 e 3 comparsa d'intervento). Ciò posto, l'intervento di (...) S.r.l. in qualità di mandataria di (...) S.r.l. (già (...) S.r.l.) nel presente giudizio deve essere dichiarato ammissibile non solo perché è stata fornita la prova dell'intervenuta cessione del credito ex art. 58 T.U.B. (integrante pacificamente ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso), ma anche perché si è realizzato con comparsa depositata in data 13.2.2019, prima che fosse celebrata l'udienza figurata di precisazione delle conclusioni (15.12.2020) e, quindi, quando ancora non era spirato il termine per la cristallizzazione delle conclusioni, con ciò garantendosi il contraddittorio tra tutte le parti del presente giudizio. Ciononostante, poiché gli opponenti non hanno prestato il necessario consenso prescritto dall'art. 111, co. 3 c.p.c., non può essere dichiarata l'estromissione di (...) S.p.A. dal presente giudizio, che pertanto proseguirà anche nei confronti di quest'ultima, e conseguentemente, sul piano processuale, sia (...) S.p.A., sia (...) S.r.l. sono da considerarsi parte opposta. 2. Eccezione pregiudiziale d'incompetenza per territorio In apertura di motivazione deve essere vagliata l'eccezione pregiudiziale, proposta dagli opponenti, di incompetenza per territorio del Tribunale adito in sede monitoria e che, quindi, ha emesso il decreto ingiuntivo opposto in favore del Tribunale di Fermo per le ragioni sopra richiamate. Più precisamente, la spiegata eccezione non è meritevole di accoglimento sia con riguardo ai fori alternativi di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c., sia relativamente al cd foro del consumatore. Sotto il primo aspetto si osserva che in tutti i contratti istitutivi dei rapporti per cui è causa (compresa, quindi, la garanzia personale rilasciata dall'odierno opponente (...)) è contenuta specifica clausola - rubricata "Foro competente" - che individua quale foro competente in via esclusiva per ogni controversia che dovesse insorgere tra il cliente e l'istituto di credito quello di Biella. In ciascuno dei contratti, inoltre, tale clausola è espressamente richiamata, con indicazione della relativa rubrica, tra quelle oggetto di specifica approvazione per iscritto da parte del contraente, conformemente alla disciplina dettata dagli artt. 1341 e 1342 c.c., e dal medesimo è stata per l'appunto espressamente sottoscritta. Con detta clausola, quindi, le parti hanno individuato il c.d. foro convenzionale e lo hanno espressamente qualificato quale foro esclusivo. Come è noto, i cc.dd. fori generali delle persone fisiche e delle persone giuridiche di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. (ossia quelli previsti in modo indifferenziato per ogni tipo di causa ed ai quali è possibile fare riferimento in mancanza di un foro speciale o nei casi in cui non sia possibile adirlo) richiamati dagli opponenti, possono essere derogati in forza di apposito accordo delle parti, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 28 e 29 c.p.c.. Più precisamente, al di fuori delle ipotesi nelle quali sia la legge a prevedere la competenza territoriale inderogabile, opera il principio della disponibilità della determinazione del foro territorialmente competente. Di regola il foro convenzionale, essendo di origine pattizia e non legale, dà luogo ad un'ipotesi di foro che non si sostituisce, ma si aggiunge ai fori alternativi legali; infatti, la designazione convenzionale di un foro attribuisce a quest'ultimo competenza esclusiva solo se risulta, ai sensi dell'art. 29, co. 2 c.p.c., un'enunciazione espressa che non lasci adito ad alcun dubbio sulla comune intenzione delle parti di escludere la competenza dei fori ordinari (in tal senso, ex multiis Cass. ord. 26.2.2002, n. 2874; Cass. ord. 4.3.2005, n. 4757). Più precisamente, come chiarito dal Supremo Collegio, tale intenzione "deve discendere da inequivoca manifestazione della concorde volontà di sottrarre la competenza agli altri fori previsti dalla legge" (Cass. 15.2.2001, n. 2214); e, nel caso in cui la relativa pattuizione sia inserita in condizioni generali di contratto (art. 1341 c.c.) o moduli prestampati (art. 1342 c.c.), sarà richiesta non solo la forma scritta dell'accordo in deroga, ma anche la specifica sottoscrizione della clausola. Con riferimento alle clausole contenute nei contratti per cui è causa si ravvisano tutti i presupposti di validità ed efficacia appena richiamati, dovendosi, pertanto, ritenere sussistente la competenza per territorio del Tribunale di Biella, adito con il ricorso monitorio e che ha emesso il decreto ingiuntivo opposto. La competenza così individuata non può dirsi neppure superata dall'operatività del cd. foro del consumatore. A tale proposito occorre innanzitutto precisare che mentre i precedenti arresti della Cassazione sono stati a lungo nel senso di ritenere che nell'ipotesi in cui una persona fisica presti, al di fuori di sue (eventuali) attività professionali, fideiussione a garanzia di un debito di un soggetto che non è consumatore, per determinare se questa rimanga tale oppure debba per contro essere considerata come soggetto diverso dal consumatore (c.d. professionista di "riflesso" o di "rimbalzo"), occorreva rapportarsi unicamente alla natura della obbligazione garantita, stante il carattere accessorio della garanzia personale prestata, nelle ultime pronunce (cfr. Cass. civ., sent. 15.10.2019, n. 25914; Cass. civ. ord. 31.10.2019, n. 28162; Cass. civ. ord. 16.1.2020, n. 742; Cass. civ., ord. 24.1.2020, n. 1666; Cass. civ., ord. 8.5.2020, n. 8662) il Supremo Consesso si è espresso dando continuità all'evoluzione conosciuta in materia dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (in particolare, le pronunce 19.11.2015 (causa c - 74/15) e 14.9.2016 (causa c - 534/15)). In particolare, la Corte di Giustizia, con le citate pronunce, ha ritenuto (con diretto riferimento a fattispecie relative a garanzie sia fideiussorie che immobiliari costituite da terzi) che le "regole uniformi concernenti le clausole abusive devono applicarsi a "qualsiasi contratto" stipulato tra un professionista e un consumatore"; che l'"oggetto del contratto è quindi irrilevante"; che "è dunque con riferimento alla qualità dei contraenti, a seconda che essi agiscano o meno nell'ambito della loro attività professionale, che la Dir. n. 93/13 definisce i contratti ai quali essa si applica"; che "tale criterio corrisponde all'idea sulla quale si basa il sistema di tutela istituito da tale direttiva, ossia che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità"; che "questa tutela è particolarmente importante nel caso di contratto di garanzia o di fideiussione stipulato tra un istituto bancario e un consumatore"; che il "contratto di garanzia o di fideiussione, sebbene possa essere descritto... come un contratto accessorio rispetto al contratto principale da cui deriva il debito che garantisce", "dal punto di vista delle parti contraenti esso si presenta come un contratto distinto quando è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale". Conseguentemente la Suprema Corte ha abbandonato l'orientamento tradizionalmente seguito, ritenendo così irrilevante l'attività svolta dal debitore principale per l'attribuzione o meno al fideiussore della qualità di consumatore e statuendo che "è in capo alle parti del contratto di garanzia o di fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito". La questione appena svolta, quindi, è tutta incentrata sulla nozione stessa di consumatore; ed anche rispetto ad essa la Suprema Corte richiama gli insegnamenti della Corte di Giustizia e, precisamente, "la nozione di "consumatore", ai sensi della direttiva 93/13, art. 2, lett. b), ha un carattere oggettivo (v. sentenza Costea, C0110/14, EU:C:2015:538, punto 21). Essa deve essere valutata alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrattuale in esame rientri nell'ambito delle attività estranee all'esercizio di una professione. Spetta al giudice nazionale, investito di una controversia relativa a un contratto idoneo a rientrare nell'ambito di applicazione di tale direttiva, verificare, tenendo conto di tutte le circostanze della fattispecie e di tutti gli elementi di prova, se il contraente in questione possa essere qualificato come "consumatore" ai sensi della suddetta direttiva (v., in tal senso, sentenza Costea, C110/14, EU:C:2015:538, punti 22 e 23). Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l'adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell'ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l'amministrazione di quest'ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata". Nella fattispecie per cui è causa, in applicazione dei principi di diritto appena richiamati, deve escludersi l'attribuibilità all'odierno opponente (...) della qualità di consumatore, giacché costui, al momento della sottoscrizione della garanzia personale, rivestiva la carica di legale rappresentante ed amministratore unico della società, la (...) S.r.l., debitore principale. Pertanto, anche sotto tale profilo deve confermarsi la sussistenza della competenza per territorio del Tribunale di Biella. 3. Merito dell'opposizione. Venendo, quindi, al merito dell'opposizione, occorre innanzitutto ricordare che l'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un ordinario giudizio di cognizione nel quale trovano applicazione i criteri di riparto dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., avuto riguardo alla posizione sostanziale rivestita dalle parti processuali e che, quindi, spetta alla parte opposta, nella sua qualità di attore sostanziale, provare i fatti posti a fondamento della domanda di pagamento (e, pertanto, l'esistenza dei contratti indicati nel ricorso monitorio e l'ammontare dei rispettivi saldi debitori) e alla parte opponente, nella sua qualità di convenuta sostanziale, dimostrare l'inesistenza del rapporto (ad es. disconoscendo la sottoscrizione), l'invalidità o l'inefficacia del rapporto (nullità, annullabilità, risoluzione) o l'esistenza di circostanze impeditive, modificative o estintive della pretesa creditoria (ad es. transazioni o pagamenti anteriori al giudizio). Nella fattispecie per cui è causa, la banca opposta ha fornito la prova del fatto costitutivo del suo diritto, ottemperando all'onere posto a suo carico dal Codice civile attraverso la produzione documentale versata in atti. Pertanto, per un verso, i documenti contrattuali - peraltro non specificamente contestati dagli opponenti e debitamente sottoscritti dalla società debitrice principale - dimostrano l'esistenza dei rapporti contrattuali per cui è causa e il contenuto delle relative clausole negoziali; per altro verso, la copia degli estratti conto analitici e scalari del conto corrente, riportando le movimentazioni integrali dei rapporti dalla loro apertura, forniscono la prova sufficiente dell'effettivo ammontare del relativo saldo debitorio. Ad analoga conclusione non può giungersi con riguardo alla posizione degli opponenti, le cui doglianze, infatti, non sono meritevoli d'accoglimento. Gli opponenti, infatti, a seguito del deposito degli estratti integrali dei conti, avrebbero dovuto contestarli specificamente indicando quali sarebbero state le voci illegittimamente addebitate dalla banca, poiché in violazione di norme imperative o delle condizioni contrattuali. Gli stessi opponenti, tuttavia, si sono limitati ad una difesa estremamente generica, omettendo di indicare le singole voci di credito non dovute con le relative motivazioni. Più precisamente: a) quanto al difetto di prova del credito relativo al contratto di mutuo chirografario per essere intervenuto un successivo contratto di cui non sono note le condizioni, la relativa doglianza è del tutto smentita dalle evidenze documentali; da queste, infatti, emerge chiaramente che il conto mutuo contraddistinto dal n. (...) non si riferisce ad un nuovo rapporto (presupponente la sottoscrizione di successivo ulteriore contratto rispetto a quello del 26.3.2012), ma rappresenta la nuova numerazione attribuita dall'istituto di credito al contratto in essere a seguito dell'intervenuta disdetta; b) quanto al c.d. "gioco" delle valute, consistente, cioè, nella costante antergazione ovvero postergazione delle valute delle singole operazioni rispetto alla data della loro contabilizzazione, con applicazione di interessi ultra legali sulla differenza in giorni banca tra la data di effettuazione di tali operazioni e la data della loro valutazione, la scrivente aderisce a quell'orientamento della giurisprudenza di merito ad avviso del quale, a fronte di un'espressa pattuizione dei giorni di valuta delle singole operazioni da compiersi sul conto corrente, la contestazione del correntista deve essere altrettanto specifica e circostanziata, indicando per quali particolari operazioni le ridette previsioni contrattuali non abbiano trovato concreta applicazione (ex multis Tribunale di Mantova, 2.2.2009). Inoltre, la richiesta applicazione della c.d. valuta effettiva (che fa riferimento alla data del giorno in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate o prelevate) e non di quella bancaria (che risulta dall'aggiunta e dalla sottrazione di un certo numero di giorni alla valuta effettiva) presuppone la mancata previsione contrattuale della valuta; circostanza, questa, che non ricorre con riferimento al rapporto di conto corrente per cui è causa, rispetto al quale la produzione documentale in atti contiene la precisa e puntuale regolamentazione del fenomeno in parola; c) con riguardo alla nullità della clausola inerente la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, gli opponenti avrebbero dovuto fornire la prova del relativo addebito, indicando con precisione i relativi trimestri e l'ammontare richiesto in restituzione. Ad abundantiam si precisa che il conto corrente per cui è causa è stato stipulato (11.8.2011) nella vigenza dell'art. 120 T.U.B. nel testo novellato dall'art. 25, co. 2, del D.Lgs. n. 342 del 1999 e della susseguente Delibera del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio del 9 febbraio 2000; pertanto, è all'art. 2 di tale delibera che occorre fare riferimento per verificare la legittimità della previsione contrattuale in concreto adottata dalla banca convenuta. Come è noto, infatti, tale norma prevede che: "nel conto corrente l'accredito e l'addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica". Quanto poi al contratto di conto corrente n. (...), in esso - rectius nell'ambito delle "condizioni generali che regolano il conto corrente" - è contenuta la clausola, rubricata "Chiusura periodica del conto e regolamento degli interessi, commissioni e spese - interessi di mora", ove si prevede che: "... i rapporti di dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, sono regolati identica periodicità. ... Il saldo risultante dalla chiusura periodica del conto, così come calcolato, produce interessi secondo le medesime modalità". Il contratto de quo, quindi, prevedendo una clausola che stabilisce la pari periodicità della capitalizzazione degli interessi creditori e debitori, risulta conforme a quanto richiesto dall'art. 120 secondo comma TUB e dalla richiamata Del.CICR del 9 febbraio 2000. Con maggiore sforzo motivazionale si osserva, inoltre, che in calce al contratto in questione, la società correntista ha espressamente dichiarato di aver fermato la propria attenzione su una serie di clausole vessatorie, richiamate in modo sintetico e per relationem con indicazione della lettera e della rubrica che ne riassume il contenuto prescrittivo, tra le quali è ricompresa anche la clausola in oggetto. La pattuizione in oggetto, dunque, risulta validamente accettata e sottoscritta: è stata, infatti, rispettata l'esigenza di specificità e separatezza imposta dall'art. 1341 c.c. mediante il richiamo non solo numerico ma anche riassuntivo del contenuto normativo delle clausole vessatorie. Sembra con riferimento a tale doglianza e con specifico riguardo al contratto di mutuo chirografario, ferma l'assoluta genericità della stessa, si reputa sufficiente rimarcare che trattasi di mutuo con piano di ammortamento alla francese, rispetto al quale, quindi, è pacificamente esclusa la configurabilità di un effetto anotocistico; d) quanto alla dedotta usurarietà degli interessi, anche su tale punto l'opposizione è estremamente generica, non solo perché non è indicato con precisione il tasso pretesamente applicato, la relativa soglia e le somme richieste in restituzione, ma soprattutto perché la relativa doglianza è formulata in termini dubitativi, giacché il TAEG negoziale (non si comprende se del conto corrente affidato, del mutuo o di entrambi) "potrebbe" determinare il superamento del tasso soglia ove venisse determinato computando "commissioni", "altre spese di tenuta conto", la "capitalizzazione trimestrale" e "l'antergazione o postergazione delle valute", senza che, peraltro, sia indicata l'effettiva metodologia impiegata per il calcolo del tasso in questione. Venendo, infine, alla disamina della garanzia sottoscritta dall'opponente (...), in via preliminare, essa va correttamente qualificata in termini di contratto autonomo di garanzia; infatti, dall'esame del tenore letterale della garanzia (cfr. doc. 8 fasc. monitorio) emerge come la stessa preveda una garanzia "a prima richiesta" ("dietro semplice invito per lettera raccomandata o telegramma..."), con "espressa rinuncia al beneficio della preescussione" e "senza eccezioni" ("...l'ammontare dei debiti che risulterà effettivamente scoperto verso la Banca alla data dell'invito di cui sopra, dovrà, fino alla concorrenza dell'importo garantito essere in ogni caso e senza eccezione estinto dal sottoscritto"). Quanto alla validità della stessa, deve aversi riguardo nello specifico alla clausola contrattuale denominata "adempimento da parte del fideiussore", la quale - come rilevabile ictu oculi - risulta caratterizzata da specifica accettazione e doppia sottoscrizione ex artt. 1341-1342 c.c.; più precisamente, il sottoscrittore ha espressamente dichiarato di aver fermato la propria attenzione su una serie di clausole vessatorie, richiamate in modo sintetico e per relationem con indicazione della rubrica che ne riassume il contenuto prescrittivo, tra le quali è ricompresa anche quella sopra richiamata. Con un maggiore impegno motivazionale si osserva che, ad avviso di chi scrive, con riferimento alla garanzia per cui è causa, l'esigenza di specificità e separatezza prescritta dall'art. 1341 c.c. è stata adeguatamente soddisfatta mediante il richiamo cumulativo non solo numerico ma anche riassuntivo del contenuto normativo delle clausole, senza che vi sia stata la sottoscrizione indiscriminata di tutte o di gran parte delle condizioni generali di contratto, solo alcune delle quali siano vessatorie: sono state infatti richiamate solo le clausole vessatorie, separatamente, nel contesto del contratto fideiussorio, scegliendo una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del contraente debole sul significato delle sole clausole a lui sfavorevoli. La pattuizione in oggetto, dunque, risulta validamente accettata e sottoscritta, in applicazione ed in conformità anche al più recente e qui condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 12708 del 05/06/2014, conf. Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 15278 del 21/07/2015; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22984 del 11/11/2015); conseguentemente deve escludersi che la conclusione del ridetto contratto sia stata il risultato di una volontà del garante viziata dal dolo perpetrato dalla controparte oppure dall'errore essenziale sulla natura o sull'oggetto del contratto stesso. Trattandosi, dunque, di contratto autonomo di garanzia, come precisato dalla ben nota pronuncia delle sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 3947/2010), tale contratto ha come uno dei suoi elementi tipizzanti l'eliminazione del nesso di accessorietà, tipico della fideiussione tradizionale, rispetto al rapporto sottostante garantito, il tutto per effetto della rinuncia da parte del garante ad avvalersi di eccezione alcuna ricollegata al rapporto intercorso fra il debitore garantito e il creditore che dichiara di escutere la garanzia. Tale contratto, infatti, ha come causa concreta proprio quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia nei casi in cui essa sia dipesa da inadempimento colpevole, sia quando tale inadempimento non sia colpevole o addirittura manchi del tutto. Da tale peculiare natura discende, dunque, l'inapplicabilità della disciplina codicistica della fideiussione e, quindi, nello specifico della regola dettata dall'art. 1956 c.c., la cui operatività nel caso concreto è stata invocata dagli stessi opponenti. Unico limite all'operatività del contratto autonomo di garanzia, infatti, è l'abuso del diritto derivante da un'escussione della garanzia che sia prima facie abusiva e fraudolenta (es. pagamento già effettuato ed oggetto di una duplice richiesta), ovvero l'exceptio doli, ipotesi non ricorrente nel caso di specie, ovvero ancora - a tutto voler concedere - il rilievo d'ufficio di un'eventuale nullità per violazione di norme imperative, per usura ed anatocismo (censure nel caso di specie solo genericamente ed infondatamente dedotte). Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra nessun dubbio sussiste in ordine all'an e al quantum della pretesa creditoria vantata dalla banca opposta; conseguentemente, la proposta opposizione deve essere rigettata, ed il decreto ingiuntivo opposto confermato. 4. Rigetto delle istanze istruttorie reiterate dalle parti e spese di lite. In sede di comparsa conclusionale, gli opponenti hanno reiterato le richieste istruttorie già formulate in atti; ciononostante, proprio in considerazione delle ragioni sopra illustrate e che hanno determinato l'integrale rigetto della proposta opposizione, tali richieste devono essere rigettate in quanto del tutto superflue ai fini del decidere e, in ogni caso, con richiamo alle motivazioni dell'ordinanza del 7.7.2017, che si intendono qui integralmente richiamate e trascritte. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza degli opponenti e si liquidano, facendo applicazione dei criteri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, tenuto conto del valore della domanda desunto dall'ammontare del credito ingiunto e secondo i valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale e secondo i valori minimi per la fase istruttoria e/o di trattazione. Peraltro, con specifico riferimento alla loro liquidazione, si precisa che, benché vi sono formalmente due parti vittoriose (in conseguenza, per un verso, dell'intervento di (...) S.r.l. in qualità di mandataria della società cessionaria del credito per cui è causa e, per altro verso, della mancata estromissione di (...) S.p.A.), essendo queste assistite dal medesimo difensore, la liquidazione sarà unica e non duplice. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (...) S.R.L. in persona del l.r.p.t. e da (...) così provvede: - rigetta l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 1005/2015 emesso da Tribunale di Biella in data 17.10.2015; - condanna (...) S.R.L. in persona del l.r.p.t. e (...) al pagamento, in solido tra loro, in favore di (...) S.p.A. delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro.11.810,00 a titolo di compensi professionali (di cui Euro 2.430,00 per la fase di studio; Euro 1.550,00 per la fase introduttiva; Euro 3.780,00 per la fase istruttoria e/o trattazione ed Euro 4.050,00 per la fase decisionale), oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, IVA e C.P.A. come per legge. Così deciso in Biella il 12 aprile 2021. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2021.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BIELLA - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale di Biella, in composizione monocratica e nella persona del Giudice, dott.ssa Maria Donata Garambone, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al numero 2367 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2015, avente ad oggetto: Altri contratti tipici - Opposizione a decreto ingiuntivo. promossa DA (...) (C.F. (...)), residente in M. (B.), via M. della L. n. 85, (...) (C.F. (...)), residente in M. (B.), via (...) e IMMOBILIARE (...) s.n.c., in persona dei l.r.p.t. (C.F. e P.I. (...)), con sede legale in V.. Piazza (...), rappresentati e difesi dall'avv. Ba.Ve. del Foro di Torino in forza di procura allegata all'atto di citazione in opposizione, ed elettivamente domiciliati per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, Galleria (...); OPPONENTI CONTRO (...) SOCIETA' COOPERATIVA (C.F. e P.I.(...)) in persona del l.r.p.t., con sede legale in V., Piazza (...), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Bo. in virtù di delega allegata al ricorso per decreto ingiuntivo ed elettivamente domiciliata per il presente giudizio presso e nel suo studio in Biella, via (...); OPPOSTO MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), (...) e la Immobiliare (...) s.n.c. in persona dei l.r.p.t. hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 822/2015 emesso dal Tribunale di Biella in data 7.8.2015 con il quale era stato loro ingiunto di pagare, in solido, in favore di (...) Società Cooperativa, la somma di Euro 148.689,97, oltre interessi e spese come liquidate in decreto, in forza delle fideiussioni rilasciate, rispettivamente, da (...) e (...) in data 11.3.2011 (cfr. doc. 2.11-2.13 fasc. monitorio) e dalla Immobiliare (...) s.n.c. in data 18.2.2014 (cfr. doc. 2.15 fasc. monitorio) a garanzia dell'esposizione debitoria maturata dalla (...) S.r.l.. A fondamento della propria opposizione, gli opponenti hanno eccepito, in via pregiudiziale di rito, la nullità della notificazione del decreto ingiuntivo opposto nei confronti della Immobiliare (...) s.n.c. e, nel merito, hanno dedotto ed eccepito il difetto di prova scritta del credito azionato in via monitoria, nonché i seguenti profili di illegittimità dei rapporti bancari azionati in via monitoria: 1) mancato riscontro contrattuale dei tassi debitori applicati; 2) mancata comunicazione delle modifiche unilaterali delle condizioni economiche; 3) indeterminatezza della clausola relativa alla commissione di massimo scoperto; 4) applicazione del c.d. Corrispettivo Disponibilità Creditizia in assenza di specifica pattuizione; 5) illegittimità della c.d. Indennità di sconfinamento; 6) addebito della c.d. Commissione di istruttoria veloce in assenza di qualsivoglia comunicazione relativa alle istruttorie eseguite; 7) anatocismo post 1.1.2014; 8) natura usuraria degli interessi applicati. Sempre nel merito, gli opponenti hanno denunciato la violazione, da parte della banca, dei doveri di buona fede, trasparenza e correttezza nelle trattative e nel rapporto contrattuale. Sulla base di tutte tali ragioni, gli opponenti hanno fatto richiesta di sospensione ex art. 649 c.p.c. della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto. Tempestivamente costituitasi in giudizio, il (...) Società Cooperativa, previa richiesta di conferma della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, ha eccepito, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva degli opponenti (integrando le garanzie prestate contratti autonomi di garanzia e non fideiussioni) e, nel merito, contestando tutto quanto ex adverso dedotto ed eccepito, ha domandato il rigetto della proposta opposizione in quanto infondata in fatto ed in diritto, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto e, in via subordinata, la condanna al pagamento del dovuto. Con ordinanza del 26.2.2016, il Giudice in precedenza assegnatario del fascicolo ha rigetta l'eccezione preliminare di nullità ed ha accolto la richiesta di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto; ha, quindi, assegnato alle parti termine per introdurre la procedura obbligatoria di mediazione. Rilevato l'esito negativo della stessa ed assegnati i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, co.6 c.p.c., con ordinanza depositata il 16.3.2017, il medesimo Giudice ha rigettato la richiesta di prova per testi avanzata dagli opponenti e ha ritenuto di non disporre d'ufficio la ctu contabile; quindi, ritenuta la causa matura per la decisione, ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni e discussione orale della causa al 26.9.2017. In tale udienza, svoltasi, all'esito di successivi rinvii d'ufficio, dinanzi allo scrivente Giudice in data 25.6.2019, la difesa degli opponenti ha eccepito: "la nullità delle fideiussioni omnibus prodotte da controparte (cfr. doc. 2.11. 2.12 2.13 e 2.15) in quanto stipulate in conformità allo schema ABI secondo il modello (...) decisione n. 55 del 2.5.2005". Conseguentemente lo scrivente Giudice, revocata l'ordinanza del 16.3.2017, ha concesso alle parti termine di giorni quaranta per il deposito di note autorizzato, fissando all'esito nuova udienza di precisazione delle conclusioni, che all'esito dell'ulteriori successivi rinvii, si è svolta con l'udienza figurata del 5.11.2020 e lo scambio di note di trattazione scritta. La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Tutto ciò premesso, l'opposizione è meritevole di accoglimento per le ragioni meglio esposte in appresso. 1. Sull'eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva sollevata dalla banca opposta In apertura di motivazione occorre vagliare l'eccezione, proposta dalla banca opposta, di carenza di legittimazione attiva degli opponenti. In particolare, ad avviso della banca opposta, le garanzie prestate dagli odierni opponenti (cfr. doc. 2.11-2.13 e 2.15 comparsa) hanno natura giuridica di contratti autonomi di garanzia e non di fideiussione in conseguenza dalla previsione nel regolamento negoziale sia della clausola che prevede il pagamento a prima richiesta (cfr. art. 7), sia della clausola che, in deroga all'art. 1945 c.c., mantiene ferma la garanzia anche qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide. Tale eccezione non può essere accolta. Premesso che il dibattito sulla distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia è ancora molto aperto sia in dottrina che in giurisprudenza, senza voler inutilmente ripercorrere le tappe dell'evoluzione interpretativa in materia, è sufficiente in questa sede richiamare l'insegnamento più recente della Cassazione secondo cui la qualificazione del negozio deve essere effettuata in base alle caratteristiche concrete del contratto (cfr. ex multiis Cass. n. 12152 del 14.6.2016). Ebbene, la giurisprudenza predominante ritiene, condivisibilmente, che l'inserimento nel contratto della clausola di pagamento "a prima richiesta e senza eccezioni" sia un chiaro indice sintomatico della volontà delle parti di rendere del tutto autonomo il contratto di garanzia dal rapporto principale. Nel caso in esame, tuttavia, nelle fideiussioni rilasciate dagli odierni opponenti è espressamente prevista solo la clausola di pagamento a prima richiesta (contenuta, per l'appunto, nel citato art. 7), mentre non vi è alcuna esplicita rinuncia del garante alla proposizione delle eccezioni. Né tale rinuncia non può trarsi sic et simpliciter dalla clausola contrattuale - citata dalla banca opposta - ai sensi della quale "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarare invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo di restituzione delle somme erogate al debitore principale" (cfr. art. 9). Infatti, decisiva ai fini della configurabilità di un contratto autonomo di garanzia è piuttosto la previsione di una deroga espressa all'art. 1945 c.c.. La banca, infatti, quale operatore qualificato che ha predisposto la dichiarazione contrattuale di cui alle garanzie per cui è causa, se avesse voluto concludere un contratto autonomo avrebbe dovuto includere nello stesso la clausola di rinuncia alle eccezioni. Tale omissione, pertanto, rende chiara la volontà della banca di non rendere del tutto autonoma la garanzia dal rapporto principale. In conclusione, quindi, benché l'inserimento nel contratto della clausola di pagamento a prima richiesta sia un elemento rilevante, non è di per sé sufficiente per qualificare il rapporto negoziale in termini di contratto autonomo di garanzia, giacché - come precisato dalla Cassazione (Cass. n. 16825 del 9.8.2016) - tale espressione, ove priva dell'esplicita rinuncia alla proposizione delle eccezioni, può riferirsi sia a garanzie svincolate dal rapporto garantito che a fideiussioni. 2. Sull'eccezione preliminare di nullità delle fideiussioni omnibus per contrasto con la normativa antitrust. Assume rilevanza centrale ai fini del decidere l'esame dell'eccezione preliminare di merito relativa alla nullità delle fideiussioni per cui è causa in quanto in contrasto con il divieto di intese anticoncorrenziali. Prima di procedere alla disamina nel merito di tale eccezione, merita precisare che la proposta questione della validità delle fideiussioni per cui è causa e, più precisamente la relativa domanda di accertamento ("invalidità e nullità assoluta"), senza alcun dubbio rientra nella competenza funzionale del Tribunale di Torino Sezione Specializzata Imprese, secondo quanto previsto dall'art. 4, co. 1ter della L. n. 168 del 2003. Ciononostante, tale doglianza può comunque essere esaminata dal Giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca nei confronti del fideiussore quale eccezione riconvenzionale diretta a paralizzare la pretesa. Come anche di recente ribadito dalla Suprema Corte, il giudice di merito, anche quando ritenga che una domanda formulata in via riconvenzionale sia per qualsiasi motivo inammissibile (ma si ritiene anche quando, come in questo caso, non sussista la competenza del giudice adito), non può esimersi dall'esaminare il relativo tema "sub specie" di eccezione, essendo a tale riguardo sufficiente che quest'ultima sia stata sollevata nei termini previsti dal codice di procedura. (Cass. Civ., ord. n. 6009 del 04/03/2020). Sempre in via preliminare deve altresì concludersi per l'ammissibilità della dedotta questione di nullità ancorché formulata per la prima volta all'udienza fissata per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale della causa. Come è noto, infatti, ai sensi dell'art. 1421 c.c. la nullità del contratto può essere rilevata d'ufficio dal Giudice in ogni stato e grado del processo. Di recente, poi, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le pronunce gemelle n. 26242 e 26243 del 2014 hanno stabilito che il Giudice ha il potere-dovere di rilevare "ex officio", laddove emerga dagli atti di causa, l'eventuale nullità del contratto, sottoponendo la relativa questione alle parti, e ciò al fine di evitare pronunce giurisdizionali che si basino sulla validità del contratto in realtà invalido o che, addirittura, finiscano per sancirne la "non invalidità", così di fatto sanandolo. Orbene, considerato il dettato del citato art. 1421 c.c. e l'interpretazione giurisprudenziale più recente, deve ritenersi che se la quaestio nullitatis è rileva anche d'ufficio dal Giudice, in ogni stato e grado del processo, allora non può essere preclusa alla parte la possibilità di sollevare la relativa questione anche in sede di precisazione delle conclusioni. In ogni caso, nel presente giudizio, il rispetto del contraddittorio sulla questione è stato assicurato mediante l'assegnazione del termine all'uopo previsto dall'art. 101, co. 2 c.p.c.. Tutto ciò precisato, la censura relativa alla nullità per la natura anticoncorrenziale delle fideiussioni sottoscritte dagli opponenti per contrasto con il disposto dell'articolo 2 della L. n. 287 del 1990 deve essere accolta nei limiti e per le ragioni che seguono. Come è noto, la questione oggetto d'esame trae origine dal Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 emesso dalla (...) in funzione di Autorità Garante della Concorrenza tra istituti creditizi ai sensi degli artt. 14 e 20 L. n. 287 del 1990 (vigenti fino al trasferimento di tali poteri all'AGCM con la L. n. 262 del 2005 con decorrenza dal 12.1.2016) e relativo al contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI (luglio 2003) e l'art. 2, co. 1 lett. a) della L. n. 287 del 1990 cit.; in particolare con tale provvedimento, la (...) ha espresso parere negativo relativamente alle clausole di reviviscenza della fideiussione (art. 2: "il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi"), di permanenza del vincolo fideiussorio in ipotesi di vicende estintive e di nullità dell'obbligazione principale (art. 8: "qualora le obbligazioni garantire siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate") e di deroga all'art. 1957 c.c. (art. 6: "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimo o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1975 cod. civ., che si intende derogato"). Il tema è stato successivamente affrontato dalla Suprema Corte che, con l'ordinanza n. 29810 del 12.12.2017, ha enunciato il seguente principio di diritto: "in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la (...), con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza". Dalla lettura delle motivazioni dell'ordinanza de qua emerge come la questione sostanziale dell'illegittimità di singole clausole contrattuali contenute nel modello tipizzato di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI, ed oggetto del summenzionato provvedimento n. 55 della (...), è stata affrontata dalla Suprema Corte con esclusivo riferimento all'efficacia temporale di tale provvedimento, evidenziando in particolare che: "alla luce dei principi sulla prova privilegiata elaborati da questa Corte, non può (né potrà, ancora) escludere la nullità di quel contratto per il solo fatto della sua anteriorità all'indagine dell'Autorità indipendente ed alle sue risultanze, poiché se la violazione "a monte" è stata consumata anteriormente alla negoziazione "a valle", l'illecito anticoncorrenziale consumatosi prima della stipula della fideiussione oggetto della presente controversia non può che travolgere il negozio concluso "a valle", per la violazione dei principi e delle disposizioni regolative della materia (a cominciare dall'art. 2, della Legge antitrust)". Pertanto, a ben vedere, la questione della "nullità" della fideiussione omnibus che presenti un contenuto contrattuale analogo a quello oggetto del provvedimento della (...) non è stata specificamente trattata; la Suprema Corte sembra quasi darla per assodata, evidentemente richiamando - senza innovare né mettere in discussione - il preesistente complesso di pronunce giurisprudenziali formatesi in materia. Ecco perché non può in alcun modo essere condivisa quella impostazione che ritiene - sic et simpliciter - che dalla motivazione di detta ordinanza discenda la nullità assoluta del contratto di fideiussione omnibus. A conferma della conclusione appena tratta basti evidenziare che nella motivazione dell'ordinanza de qua la Suprema Corte richiama testualmente uno stralcio dell'arresto delle Sezioni Unite Civili, sentenza n. 2207 del 4.2.2005, ovverosia: "la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un'intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall'altro, che il cosiddetto contratto "a valle" costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall'ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 cod. civ., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l'effetto di una collusione "a monte", ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l'azione di accertamento della nullità dell'intesa e di risarcimento del danno di cui all'art. 33 della L. n. 287 del 1990". Come noto, in tale pronuncia, i giudici di legittimità hanno affermato che "deve essere allegata un'intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l'interesse ad agire dell'attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento". E' stato in virtù di tali principi che le Sezioni Unite hanno, per la prima volta, riconosciuto la legittimazione ad agire ai sensi dell'art. 33, comma 2, L. n. 287 del 1990, anche del consumatore rimasto estraneo all'intesa anticoncorrenziale, che abbia stipulato il contratto che di quella costituisce lo sbocco. Se, quindi, secondo la Corte, una intesa vietata può essere dannosa anche per un soggetto, consumatore o imprenditore, che non vi abbia preso parte, perché gli si possa riconoscere un interesse ad invocare la tutela di cui all'art. 33, comma 2, L. n. 287 del 1990 non è sufficiente che egli alleghi la nullità della intesa medesima ma occorre anche che precisi la conseguenza che tale vizio ha prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti. Da tale pronuncia si ricava, pertanto, l'ulteriore rilievo per cui è necessario tenere distinti gli accordi a monte (cioè le intese illecite per violazione della normativa antitrust e sanzionate dalla nullità) dai contratti stipulati a valle, in relazione ai quali può essere esercitata l'azione risarcitoria. E la giurisprudenza della Suprema Corte - successiva al su richiamato arresto - si è espressa concordemente nel senso della mancanza di un automatismo diretto tra la declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell'art. 2 della L. n. 287 del 1990, e la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all'intesa; questi, infatti, mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti (cfr. Cass. Civ., sent. n. 13486 del 20.6.2011; Cass. Civ., sent. n. 3640 del 13.2.2009). Tutti i suddetti principi sono, quindi, richiamati nell'ordinanza n. 29810/2017 quali presupposti logico-giuridici da cui trarre la conclusione in ordine alla spettanza del risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all'accertamento della loro illiceità da parte dell'autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato. Sulla tematica appena accennata la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi con la sentenza n. 13846 del 22.5.2019 evidenziando che "assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8, è, all'evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell'intesa vietata, e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207)"; e, quindi, ciò che deve costituire oggetto di accertamento è "se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell'intesa restrittiva". In continuità con tale assunto si pone anche la successiva la sentenza della Suprema Corte, la n. 24044 del 24.9.2019, secondo cui "avendo l'Autorità amministrativa circoscritto l'accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese (fol. 3 della sent. imp.), ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 c.c. e ss. e che possa trovare applicazione l'art. 1419 c.c., come avvenuto nel presente caso, laddove l'assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite". Ebbene, alla luce dei principi di diritto richiamati nel complesso excursus appena svolto l'eccezione di nullità non è idonea a determinare la liberazione dei fideiussori, dal momento che il rimedio della nullità totale dei contratti di fideiussione omnibus non appare applicabile quale effetto derivato dalla nullità dell'intesa anticoncorrenziale; più precisamente, come visto, lo scrutinio di cui è investito il giudice di merito e che attiene alla conformità della garanzia personale prestata allo schema ABI del 2003 postula l'esistenza in atti della prova: 1) dell'esistenza di un illecito anticoncorrenziale; 2) che lo schema contrattuale cui ha avuto accesso il garante corrisponde a quello derivante dal predetto illecito; 3) che, in conseguenza ed in ragione di ciò, la libertà di scelta del fideiubente è stata effettivamente limitata. Quanto al profilo sub (...)) è sufficiente richiamare l'insegnamento delle Sezioni Unite nella più volte citata sentenza del 2005: "deve essere allegata un'intesa di cui si chiede la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, il quale rappresenta l'interesse ad agire dell'attore secondo i principi del processo, da togliere attraverso il risarcimento". Orbene, nel caso di specie gli opponenti, che hanno rilasciato le fideiussioni per cui è causa, le une, in qualità di Presidente e Vice Presidente, nonché di soci della società debitrice principale (quanto alle fideiussioni rilasciate personalmente da (...) e (...)), le altre, in qualità di soci illimitatamente responsabili e legali rappresenti della Immobiliare (...) s.n.c., e quindi non di consumatori, ovvero di utenti del sistema concorrenziale falsato dalla intesa vietata, non hanno né dedotto né provato nulla sul punto. Quanto al punto sub 3) si osserva che anche allorquando lo schema contrattuale della singola fideiussione sottoposta all'attenzione del giudice appaia speculare rispetto a quello stigmatizzato dalla (...) ciò non esclude, da un lato, che vi fossero nello stesso periodo delle banche che offrivano delle condizioni fideiussorie più favorevoli e migliori di quelle sottoscritte dal garante e, dall'altro lato, che il garante non sia stato comunque coartato da tali disposizioni poiché - esemplificativamente - la fideiussione era stata indicata dalla banca come condizione necessaria per l'apertura del credito o per l'erogazione del finanziamento. Anche sotto tale profilo, alcuna allegazione o prova è stata fornita dagli odierni opponenti. Deve, pertanto, rigettarsi l'eccezione volta a far dichiarare la nullità assoluta delle fideiussioni per cui è causa. Invece, tenuto conto della situazione concreta e degli interessi dedotti nel contratto, risulta corretta l'applicazione del rimedio della nullità parziale (anche in considerazione del fatto che la nullità delle fideiussioni omnibus è stata sanzionata dalla stessa (...) solo in relazione all'adozione generalizzata di determinate clausole). Prima, però, di verificare quanto dedotto dagli opponenti conformemente al punto sub (...)), occorre ribadire che - ad avviso di chi scrive e sulla base di quanto sopra esposto - l'eventuale nullità delle ridette clausole, lungi dal travolgere automaticamente l'intero contratto, deve essere necessariamente coniugata con quanto sancito dall'art. 1419 c.c., a norma del quale la nullità di alcune clausole travolge il contratto nella sua interezza solo se risulta che il contraente non l'avrebbe stipulato in loro assenza. La difesa degli opponenti fideiussori non ha allegato né offerto di dimostrare che le parti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione se privo delle clausole indicate come nulle. Esaminando le posizioni dei due contraenti, da un lato, non risulta provato (ed appare inverosimile) che la banca creditrice non avrebbe accettato una fideiussione priva delle clausole in questione, posto che - anche senza quelle clausole - la stessa consentiva di rendere maggiormente garantito il debito della s.r.l. e, dall'altro, deve escludersi che le clausole ritenute frutto di intesa anticoncorrenziale siano state determinanti della monitoria della Banca ricorrente. Pertanto, anche sotto questo profilo, deve intendersi rigettata l'eccezione di nullità assoluta delle fideiussioni per cui è causa. Risulta, per converso, accoglibile l'eccezione di nullità parziale delle fideiussioni de quibus, proposta dagli opponenti in via subordinata e l'eliminazione delle sole clausole nulle è sufficiente a porre rimedio al tentativo di minare la competitività del mercato creditizio, ristabilendo l'equilibrio competitivo e, al tempo stesso, preserva la garanzia fideiussoria nella sua causa, che persegue l'interesse di entrambe le parti contraenti, cioè l'ottenimento della disponibilità finanziaria voluta dal garante ed il rafforzamento dell'obbligazione restitutoria per il concedente in caso di insolvenza del debitore principale. Vagliando, infatti, il contenuto delle fideiussioni per cui è causa si rileva - come rappresentato anche dagli opponenti - che ciascuna di esse riproduce gli artt. 2, 6 e 8 del modello ABI, rispettivamente, agli artt. 2, 9 e 6.1.; conseguentemente, ne deve essere dichiarata la nullità parziale, con conseguente eliminazione. Quanto, in particolare, all'art. 6.1. che prevede l'espressa deroga alla disciplina di cui all'art. 1957 c.c., dalla declaratoria di nullità parziale discende l'applicazione, in sostituzione della stessa, della disciplina generale di cui alla suddetta norma codicistica e, quindi, occorrerà verificare se la banca è o meno decaduta dall'esercizio del proprio diritto di credito nei confronti dei garanti opponenti per l'intervenuto decorso del termine ivi previsto. Come è noto, infatti, secondo la disposizione su citata: "Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell'obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate" (co. 1). Venendo alla fattispecie per cui è causa, nella quale il credito azionato in via monitoria dalla banca odierna opposta rinviene dai rapporti bancari intercorsi con la società garantita, il dies a quo contemplato dalla norma decorre dalla data in cui detto debito è divenuto esigibile per effetto del recesso della banca dai rapporti de quibus e, quindi, dalla data di ricezione della raccomandata di disdetta e messa in mora (cfr. doc. 17 fasc. monitorio) ovverosia il 14.1.2015 per la Immobiliare (...) s.n.c. e il 15.1.2015 per (...) e (...), nonché per la debitrice principale (...) S.r.l. in liquidazione. Come rappresentato anche nel ricorso monitorio e come risultante dalla visura versata in atti (cfr. doc. 19a fasc. monitorio) detta ultima società è stata posta in liquidazione in data 12.11.2014 e cancellata dal Registro delle Imprese in data 19.2.2015. Il creditore non ha provato né ha offerto di provare o, quantomeno, non ha dedotto in modo puntuale e preciso, di aver con diligenza proposto e continuato le sue azioni nei confronti della società debitrice principale. Ed una simile conclusione non è superata neppure in considerazione dell'intervenuta cancellazione - e conseguente estinzione - della società debitrice principale. Infatti, secondo quanto previsto dall'art. 2495, co. 2 c.c.: "Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi". Sul tema e, in particolare, con riferimento al problema degli effetti della cancellazione sui rapporti attivi e passivi facenti capo alla società estinta - come è noto - sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte che, con le sentenze gemelle n. 6070, 6071 e 6072 del 12.3.2013 hanno affermato il seguente principio di diritto: "Qualora all'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato". Conseguentemente, la banca opposta ben avrebbe potuto agire nei confronti dei soci della società debitrice principale per ottenere la soddisfazione del proprio credito. Diversamente, nella fattispecie per cui è causa la banca odierna ha indirizzato la propria richiesta monitoria nei confronti di (...) e (...) esclusivamente e specificatamente in qualità di garanti (cfr. pag. 8 ricorso per decreto ingiuntivo). A nulla rilevando la circostanza che costoro, oltre ad essere per l'appunto garanti in proprio e in qualità di soci illimitatamente responsabili della Immobiliare (...) s.n.c., fossero altresì soci della (...) S.r.l.. In conclusione, quindi, deve ritenersi, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1419, co. 2 c.c., la nullità della clausola di cui all'art. 6.1 delle fideiussioni per cui è causa; conseguentemente deve ritenersi operante il disposto dell'articolo 1957 c.c. e, quindi, deve ritenersi che il creditore abbia agito senza rispettare i termini di tale norma, con consequenziale estinzione dell'obbligazione fideiussoria. In ragione di quanto sopra, l'opposizione va accolta e conseguentemente va revocato il decreto ingiuntivo opposto, rimanendo assorbite tutte le ulteriori doglianze di parte opponente. Quanto alle spese di lite, poiché la decisione della presente causa si fonda su una questione giuridica di assoluta novità, si reputa ricorra il presupposto per disporre l'integrale compensazione delle stesse tra le parti a norma dell'art. 92, co. 2 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Biella, nella persona del Giudice monocratico, dott.ssa Maria Donata Garambone, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sull'opposizione a decreto ingiuntivo proposta da (...), (...) e la Immobiliare (...) s.n.c. in persona dei l.r.p.t., così provvede: - accoglie l'opposizione e, per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 822/2015 emesso dal Tribunale di Biella in data 7.8.2015; - compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Così deciso in Biella il 19 marzo 2021. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2021.

  • Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 18 giugno 1998 Sette Evis, premesso: che sul quotidiano "Eco di Biella" del 27 aprile 1998 pag. 5, sotto la scritta "Brilli al volante, strage dell'etilometro" è stata pubblicata la fotografia dello stesso Sette mentre si sottopone all'esame etilometrico sotto il controllo della polizia; che in tale fotografia la propria immagine risulta facilmente riconoscibile ed è stata infatti riconosciuta dai lettori del giornale; che tale diffusione dell'immagine della propria persona è illecita in quanto lede il relativo diritto all'onore, al decoro e alla riservatezza; ha convenuto in giudizio avanti al Pretore (ora Tribunale) di Biella l'Istituto Editoriale Biellese S.r.l. (impresa editrice del quotidiano) richiedendone la condanna al pagamento dei conseguenziali danni subiti da liquidarsi nella misura di L. 10.000.000 o nella diversa somma da ritenersi equa. Con comparsa ritualmente depositata si è costituita la convenuta eccependo la nullità della citazione per indeterminatezza dei requisiti di cui all'art. 163 c.p.c., contestando quanto dedotto dall'attore e richiedendo il rigetto della relativa domanda in quanto infondata poiché nella fattispecie in questione sarebbero stati rispettati tutti i limiti del diritto di cronaca costituzionalmente garantito. Instauratosi così il giudizio, sono stati espletati gli incombenti di cui all'art. 183 e 184 c.p.c., al cui esito, una volta rigettate le istanze istruttorie di parte attrice, sono state precisate le conclusioni di cui in epigrafe e la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all'art. 190, primo comma, c.p.c. per il deposito degli atti conclusionali. Motivi della decisione Sulla eccezione di nullità della citazione Tale eccezione è infondata e non può, pertanto, essere accolta. Si rileva, infatti, che l'atto introduttivo in questione reca le allegazioni che individuano il petitum (consistente chiaramente nella pretesa risarcitoria oggetto delle conclusioni), la causa petendi (consistente nella lesione del diritto all'onore, al decoro e alla riservatezza) e i relativi fatti posti a fondamento della domanda (la pubblicazione sul quotidiano di una fotografia che ritrae l'attore durante un controllo della Polizia Stradale). A tal proposito è infondato il rilievo di parte convenuta secondo cui la citazione non contiene "le norme che si pretendono violate" e non fornisce la "giustificazione giuridica" dei fatti (così leggesi alla prima facciata della comparsa di risposta). Come è noto, infatti, dal principio enunciato dall'art. 112 c.p.c. scaturisce la piena vincolatività per il giudice dei fatti allegati dalle parti (nel senso che spetta a ciascuna di esse determinare l'oggetto del processo relativamente ai fatti costitutivi o lesivi posti a fondamento della proprie pretese) mentre è esclusa ogni vincolatività alle norme giuridiche (o alle mere argomentazioni) indicate da costoro, ben potendo il giudice applicare norme o ragionamenti logicogiuridici diversi da quelli indicati negli atti difensivi (cfr. ex multis Cass. 22 giugno 1994, n. 6006). Si tratta, in altre parole, del notissimo principio iura novit curi a, uno dei cui corollari consiste nel fatto che l'esplicita indicazione delle norme giuridiche rappresenta per le parti una mera facoltà difensiva. Si può pertanto concludere che, sussistendo tutti i requisiti di cui all'art. 163, terzo comma, nn. 3 e 4 c.p.c. e non essendo prevista a pena di nullità l'indicazione delle norme (o delle mere argomentazioni) giuridiche, l'atto di citazione introduttivo del presente giudizio è valido ed efficace sotto tali profili e la relativa eccezione di parte convenuta deve essere rigettata. Sulla pretesa attorea come risultante dalla precisazione delle conclusioni Ancorché nell'atto di citazione l'attore abbia dichiarato (e concluso) di richiedere i danni inerenti alla lesione del diritto all'onore, al decoro e alla riservatezza, in sede di precisazione delle conclusioni la stessa parte ha formulato la propria definitiva domanda con esclusivo riferimento al diritto alla riservatezza (cfr. verb. d'udienza del 10 dicembre 2002). Stante l'esplicita limitazione della domanda, la pretesa risarcitoria sottoposta alla cognizione di questo giudice riguarda tale unica causa petend i; di conseguenza, in ossequio al dettato dell'art. 112 c.p.c., il presente giudizio non potrà che fare esclusivo riferimento ad essa. Sono parimenti prive di rilievo le considerazioni svolte dalle parti in ordine al diritto all'immagine e alla relativa disciplina normativa, trattandosi di una ulteriore situazione soggettiva non rientrante nell'oggetto processuale. Sulla qualificazione giuridica della fattispecie e sulle relative norme applicabili Da quanto sopra esposto e sulla base alle allegazioni attoree si evince che la relativa domanda riguarda il risarcimento dei danni conseguenziali al fatto illecito posto in essere dalla convenuta e lesivo del diritto alla riservatezza dell'attore. Quest'ultimo consiste in un diritto soggettivo della persona, concettualmente diverso dal diritto all'onore (in tal senso v. Cass. 9 giugno 1998, n. 5658), rientrante nell'ampia nozione della norma di cui all'art. 2 Cost. e preso specificamente in considerazione dalle previsioni di cui alla legge 675/1996 che ne disciplina espressamente le forme di tutela, comprese quelle risarcitorie. Proprio in virtù di tale specifica disciplina normativa, è necessario in via preliminare verificare se essa sia applicabile anche al caso di specie. Posto, cioè, che la legge n. 675 del 1996 si riferisce alla tutela della persona rispetto al trattamento dei dati personali, e che la domanda dell'attore si fonda su una pubblicazione di una fotografia che lo ritrae in un quotidiano edito dalla convenuta (circostanze non contestate da tale parte e, quindi, da considerarsi pacificamente sussistenti), è necessario innanzitutto stabilire se anche la pubblicazione di una fotografia integri gli estremi del trattamento di dati personali rilevante ai fini della normativa considerata. A tal proposito l'art. 1, comma 2, lett. c) L. 675/1996 definisce dato personale "qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione (...) ". Si tratta di una nozione molto ampia, che non contiene alcun riferimento al tipo di "materiale" riportante i dati in questione e in base alla quale qualsiasi documento rechi un'informazione relativa a un soggetto identificato o identificabile (anche indirettamente) può definirsi "dato personale". Ne consegue, pertanto, che anche la riproduzione fotografica pubblicata dal quotidiano "Eco di Biella" in data 27 aprile 1998, in quanto contenente informazioni relative ad un soggetto identificabile (ovvero la sottoposizione del Sette il cui volto è stato riprodotto in modo facilmente riconoscibile all'esame alcolimetrico), deve considerarsi "dato personale". In merito a ciò è del tutto irrilevante che il quotidiano non abbia riportato altre informazioni relative all'attore (nome, indirizzo etc.) in quanto la foto, in base alla definizione sopra riportata, rappresenta un "dato personale" a sé stante mentre le altre informazioni, se sussistenti, avrebbero semmai potuto integrare ulteriori "dati personali" rispetto alla fotografia. Tale interpretazione, basata sui parametri di cui all'art. 12 disp. l. gen., trova una precisa conferma, tra l'altro, nelle decisioni dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali del 15 maggio 2002 e del 19 febbraio 2002 con le quali tale organo ha espressamente ritenuto che le fotografie e, in generale, le riproduzioni di immagini, possano rientrare, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, nella nozione di "dato personale". Nessun dubbio, inoltre, circa la qualificazione come "trattamento" dell'attività posta in essere dalla convenuta, atteso che ai sensi dell'art. 1, comma 2, lett. b) L. 675/1996 tale attività si identifica con "qualunque operazione (...) svolti con o senza l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernenti (...) l'utilizzo (...), la comunicazione, la diffusione (...) dei dati" e comprende chiaramente anche la pubblicazione a mezzo stampa di un dato personale. Si può, quindi, concludere che l'attività posta in essere dalla convenuta costituisce "trattamento di dati personali" dell'attore e deve essere conseguentemente valutata alla stregua delle previsioni della L. n. 675 del 1996. A tal fine è del tutto infondato quanto sostenuto dalla convenuta secondo la quale, essendosi l'attore riferito solo alla responsabilità ex art. 2043 c.c., deve essere esclusa ogni applicazione della legge n. 675/96 "che prevede una fonte specifica di responsabilità e i cui fatti comunque dovevano essere allegati in atto di citazione" (cfr. memoria di replica del 20 febbraio 2003, pag. 1). Come già premesso, infatti, in primo luogo l'atto di citazione reca tutti gli elementi in base ai quali identificare l'attività della convenuta quale "trattamento di dati personali"; in secondo luogo, quanto all'insussistenza di riflessi processuali derivanti dalle norme giuridiche indicate dalle parti, è qui sufficiente un mero richiamo al principio iura novit curia sopra già ricordato. Sulla sussistenza della responsabilità in capo alla convenuta È opportuno premettere che la legge n. 675 del 1996 ha positivizzato una serie di doveri (che prima dell'entrata in vigore della legge erano già stati individuati da una consolidata giurisprudenza in relazione ai limiti all'esercizio del diritto di cronaca) gravanti sui soggetti che utilizzano e diffondono dati personali (v. in particolare gli artt. 9, 10, 11, 21, 22, 23, 24, e 25). Più in generale, si può affermare che tutti i limiti e gli obblighi imposti dalla legge sulla privacy a chi pone in essere il trattamento di dati, costituiscono la linea di confine che regola il conflitto tra il diritto alla riservatezza e i vari diritti fisiologicamente con esso contrastanti e riconducibili all'art. 21 Cost. ovvero, in linea generale, la libera manifestazione del pensiero e, in particolare, il diritto di cronaca. In base a ciò, ogni volta che taluno esercita il proprio diritto di manifestazione del pensiero utilizzando dati personali in violazione degli obblighi o dei limiti previsti dalla legge, pone in essere una compromissione del diritto antagonista (la riservatezza) che non è tollerata dall'ordinamento giuridico e che, se generatrice di danno al soggetto leso, obbliga l'autore della violazione al conseguente risarcimento, come espressamente previsto dall'art. 18 L. n. 675/96. Tale ultima norma, coerentemente con la suddetta impostazione, prevede infatti che "chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'art. 2050 del codice civile". L'attività di chi effettua il trattamento di dati è quindi considerata direttamente dalla legge attività pericolosa ai sensi dell'art. 2050 c.c. Nella materia in oggetto non si pone, dunque, il problema relativo all'alterità di domande che normalmente (nei casi, cioè, di attività pericolose non tipizzate dal legislatore) caratterizza e distingue l'azione intentata ai sensi dell'art. 2043 c.c. da quella intentata ai sensi dell'art. 2050 c.c. poiché fondate su presupposti di fatto (quantomeno) parzialmente diversi. Ciò in quanto la parte interessata non ha l'onere di allegare (e provare) i fatti relativi alla sussistenza dell'attività pericolosa poiché tale qualificazione è già stata espressamente attribuita dal legislatore al trattamento di dati personali. In virtù di tale tipizzazione, pertanto, ogni qual volta la parte interessata alleghi, a sostegno della propria domanda risarcitoria, gli elementi di fatto inerenti all'attività di trattamento di dati personali, la relativa responsabili tà dell'utilizzatore dei dati deve essere valutata alla stregua del regime introdotto dalla legge n. 675 del 1996 compreso quindi il criterio previsto dall'art. 18. L'assunto trova una puntuale conferma nel tenore del summenzionato articolo, dalla cui lettura non trapela alcun margine di discrezionalità in ordine alle norme applicabili, considerata la perentoria previsione di applicazione del parametro di cui all'art. 2050 c.c. (chi cagiona un danno per effetto del trattamento di dati personali "è tenuto" al risarcimento ex art. 2050 c.c.). In altre parole, l'applicazione diretta dell'art. 2050 c.c. alla responsabilità dell'utilizzatore di dati personali discende automaticamente dalla legge. Ne discende che anche nel caso in esame ancorché la parte attrice abbia fatto riferimento all'art. 2043 c. c atteso che la relativa pretesa risarcitoria si fonda sul trattamento di dati personali, in base al già ricordato principio iura novit curia trova applicazione il criterio presuntivo di cui all'art. 2050 c.c. Naturalmente, le "misure idonee" oggetto della prova liberatoria da parte della convenuta consistono essenzialmente nel rispetto degli obblighi e dei limiti espressamente previsti dalla stessa legge n. 675 del 1996. Tanto premesso in linea di diritto, è ora necessario verificare se in concreto nella presente fattispecie la convenuta abbia raggiunto tale prova, ovvero se abbia rispettato i limiti e gli obblighi posti dalla legge sulla privacy al diritto di cronaca. L' articolo 9, comma 1, della legge n. 675 del 1996 prescrive le modalità con cui devono essere trattati i dati personali. In particolare essi devono essere, tra l'altro, "a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi (...) legittimi ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini non incompatibili con tali scopi; (...) d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati". Tali disposizioni prevedono, dunque, una serie di specifici obblighi sussistenti in capo ai soggetti che trattano (cioè utilizzano in qualsiasi modo) i dati personali altrui. Gli obblighi in questione, inoltre, sono ulteriormente specificati dal successivo art. 25 in relazione al trattamento operato dai giornalisti. Tale norma (applicabile, in virtù di quanto disposto dal comma 4 bi s, anche ai soggetti che, ancorché non esercenti la professione di giornalista, trattino dati personali finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione di articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero e, quindi, anche all'impresa editrice convenuta) precisa che "il giornalista (ovvero chi pubblica o diffonde i dati) rispetta i limiti del diritto di cronaca, in particolare quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, ferma restando la possibilità di trattare i dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall'interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico". Nel caso in questione l'impresa editrice, come già rilevato, ha pubblicato la fotografia che ritrae il Sette facilmente riconoscibile mentre costui si sottopone ad un esame alcolimetrico effettuato dagli agenti della Polstrada. Orbene, la pubblicazione di tale dato, considerata la qualità dell'interessato e tutte le altre circostanze del caso, non può certamente essere considerata essenziale con riferimento all'interesse pubblico della relativa informazione. In corso di causa, cioè, non è emerso alcun elemento in base al quale il fatto diffuso dalla convenuta (ovvero la sottoposizione all'esame alcolimetrico da parte di un singolo soggetto) possa considerarsi di "interesse pubblico", ovvero l'informazione fotografica possa considerarsi "essenziale". Al contrario, mentre appare indubitabile la sussistenza di tali requisiti nell'articolo al quale la foto si riferisce (trattandosi di una cronaca avente ad oggetto i controlli effettuati dalle forze dell'ordine e le relative statistiche), l'informazione fotografica a margine ha rivelato ingiustificatamente l'identità dell'attore, atteso che non sussiste alcun valido motivo "giornalistico" (in ragione di essenzialità della notizia rispetto al pubblico interesse) per portare a conoscenza della collettività il ritratto di un qualunque cittadino che effettua un test relativo al suo possibile stato di ebbrezza. In merito a ciò lo stesso attore ha, peraltro, indicato che un semplice accorgimento, adottato da altre testate giornalistiche (l'offuscamento dei connotati del volto del soggetto interessato; cfr. doc. 3 fasc. att.) avrebbe senz'altro contemperato in modo proporzionato le esigenze sottese dagli interessi in gioco, consentendo la legittima diffusione della notizia senza ledere illecitamente il diritto alla riservatezza protetto dall'ordinamento. La convenuta, pertanto, ha posto in essere un fatto illecito in quanto ha trattato dati personali violando la prescrizione di cui all'art. 25 L. n. 675/96, espressione dei più generali obblighi di cui all'art. 9 della stessa legge, ovvero il divieto di utilizzare i dati in termini non incompatibili e in modo non eccedente rispetto agli scopi per cui sono stati raccolti. A tal proposito si sottolinea che, contrariamente a quanto sostenuto da parte convenuta, non può avere alcun rilevo la circostanza che i fatti riportati sul quotidiano tramite l'informazione fotografica siano avvenuti in pubblico. L'ultima parte del comma 1 dell'art. 25 L. 675/96, infatti, fa salva la possibilità per il giornalista di "trattare i dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall'interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico" attribuendo, come si evince facilmente, rilevanza non al luogo in cui i fatti si sono verificati, ma alla volontà esplicita o implicita (per fatti conclu denti) dell'interessato di renderli noti, circostanza non verificatasi nel caso di specie. Del resto, l'eventuale diversa interpretazione secondo cui potrebbe essere diffuso sempre e comunque ogni fatto purché avvenuto in pubblico sarebbe non solo contrastante con il tenore letterale della disposizione citata, ma anche priva di senso logico poiché avrebbe l'effetto di "cancellare", per la quasi totalità dei fatti oggetto di cronaca, l'efficacia di tutti i limiti e i divieti previsti specificamente dalla stessa legge, ponendosi quindi in modo del tutto contraddittorio rispetto ad essi. Deve altresì sottolinearsi che sono del tutto irrilevanti le considerazioni delle parti circa la possibile applicazione del codice deontologico richiamato dall'art. 25 L. 675/96 in quanto all'epoca del fatto in oggetto (27 aprile 1998) esso non era ancora stato emanato. Del pari irrilevanti sono le considerazioni svolte da parte attrice (per la prima volta) in comparsa conclusionale in ordine all'eventuale insussistenza dell'informativa al Garante e del consenso dell'attore relativamente ai dati trattati (adempimenti previsti dagli artt. 10 e 22 L. n. 675/96) : gli elementi di fatto oggetto di tali asserite violazioni, infatti, non sono stati allegati dalle parti entro i termini preclusivi di cui all'art. 183 c.p.c. e non possono, di conseguenza, rientrare nell'oggetto del presente giudizio. Si può pertanto concludere sul punto nel senso che il trattamento dei dati personali posto in essere dalla convenuta, stante la violazione dei sopra citati limiti normativi all'esercizio del diritto di cronaca (ovvero, il che è un concetto equivalente, stante la corrispondente mancata attuazione delle misure idonee a evitare il danno) costituisce fonte di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2050 c.c. e obbliga la stessa parte al risarcimento dei danni conseguenziali riportati dall'attore. Sul danno oggetto della domanda Parte attrice ha chiesto il risarcimento dei danni cagionati dal comportamento della convenuta senza alcuna limitazione. Tale domanda, stante la struttura unitaria del danno, deve quindi intendersi comprensiva di tutto il credito risarcibile e, quindi, di tutte le voci di danno, compreso sia quello patrimoniale che quello non patrimoniale (cfr. ex multis Cass. 2 giugno 2000, n. 7358). Quanto al primo, si rileva che lo stesso attore non ha dedotto alcun elemento inerente a qualsivoglia danno di natura patrimoniale; la relativa domanda, pertanto, non può essere accolta in quanto carente di allegazione nei suoi presupposti di fatto. Quanto al danno non patrimoniale, gli elementi di fatto relativi al pregiudizio subito sono stati dedotti dall'attore in ordine alla circostanza che la "fotografia è riconoscibile ed è stata riconosciuta da parecchi conoscenti dell'esponente ed anche da persone incontrate casualmente" (cfr. citaz., pag. 1), evento che non rappre senta altro se non il più naturale e immediato disagio connesso alla violazione della privacy (diritto la cui funzione primaria è proprio quella di non rendere pubblici fatti che possono e devono rimanere confinati nella sfera privata). Tale situazione (non contestata dalla convenuta e quindi da intendersi pacificamente sussistente), pertanto, si riferisce chiaramente al danno morale, inteso quale turbamento o sofferenza di carattere non patologico nei casi determinati dalla legge (art. 2059 c.c.) fra i quali deve collocarsi anche la condotta posta in essere dalla convenuta (ovvero il trattamento di dati personali in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 9 L. n. 675/96), come previsto dall'art. 29, comma 9, della stessa legge. Ne deriva che tale parte deve essere condannata al risarcimento del danno non patrimoniale provocato all'attore conseguentemente alla illecita diffusione ai terzi di notizie attinenti alla sfera privata di costui. Quanto alla liquidazione del danno, deve ritenersi infondata sia in fatto che in diritto l'argomentazione della convenuta secondo cui, in assenza di una specifica domanda attorea in tal senso, non sarebbe possibile il ricorso allo strumento equitativo. A tal proposito si rile va, infatti, non solo che le conclusioni attoree fanno esplicito riferimento (in alternativa alla somma ivi indicata) alla liquidazione secondo equità, ma anche che in tema di danno morale la liquidazione del danno, essendone impossibile la prova dell'ammontare specifico, è necessariamente equitativa (cfr. ex multis Cass. 11 marzo 1998, n. 2677), sussistendo conseguentemente i presupposti per l'applicazione dell'art. 1226 c.c. Tale danno, dunque, in considerazione dell'entità della lesione subita (non rilevantissima in sé ma certamente non trascurabile, avuto riguardo alla potenzialità diffusiva di un mezzo di mediazione informativa quale un quotidiano locale) è determinato in via equitativa tenuto conto dell'attuale potere di acquisto della moneta in 4.000 Euro. Sussistono, infine, giusti motivi per compensare per l'intero fra le parti le spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa di cui in epigrafe, così provvede: condanna l'Istituto Editoriale Biellese S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore di Sette Evis della somma pari a 4.000 Euro; compensa per l'intero fra le parti le spese di lite.

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