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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 13 del 2024, proposto da Consorzio Stabile Re. S.C. a r.l.., La To. Co. S.r.l., in proprio e rispettivamente quale mandataria e mandante del RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 7654584A89, rappresentate e difese dagli avvocati Al. Bo., Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna, ivi domiciliataria ex lege, via (...); nei confronti Impresa De. Im. S.r.l., in proprio e anche mandataria del RTI con Ri. Co. S.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pa. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ri. Co. S.p.a., in proprio e quale mandante del RTI con De. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensiva - del Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023, relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forli` - 1° stralcio. CUP D69D07000090001 CIG 7654584A89", con cui "è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 06.09.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto indicato in oggetto al Raggruppamento Temporaneo tra Imprese "De. Im. s.r.l. di (omissis) (VA) CF 02692000124 - Ri. Co. s.p.a. di (omissis) (CE) CF 02217930615", risultato 1^ in graduatoria con il punteggio totale di 92,780/100 ed il ribasso del 23,290%, come da verbale di procedura aperta n. 5068 di rep. delle sedute in data 18.06.2019 e 09.07.2019 che, all'esito della disposta istruttoria, tenuto conto delle premesse sopra riferite e dell'esito della pronuncia del CDS, viene nella sostanza confermata", e con cui è stato disposto che "L'appalto è aggiudicato al suddetto RTI per l'importo complessivo netto di Euro 26.745.351,82"; - della nota prot. 20789 del 5.12.2023 con cui l'Ente appaltante ha comunicato al RTI Re. - La To. Co. l'adozione del suddetto provvedimento; - ove occorra, del provvedimento prot. 18407 del 27.10.2023 con cui la stazione appaltante ha comunicato ai sensi dell'art. 7 L. 241/1990 l'avvio del procedimento culminato con l'adozione del gravato Decreto Provveditoriale prot. n. 20430 del 28.11.2023; - ove occorra, del decreto prot. n. U.0017276 del 6.9.2019 con cui è stata disposta l'aggiudicazione nei confronti del RTI Impresa De. Im. S.r.l., nonché della nota prot. n. U0017432 del 9.9.2019 con cui siffatta aggiudicazione è stata comunicata alle odierne ricorrenti a mezzo PEC; - di tutti gli atti presupposti, connessi e successivi al soprarriferito Decreto Provveditoriale, ancorché non conosciuti. NONCHÉ per la dichiarazione di invalidità e comunque di inefficacia del contratto di appalto eventualmente stipulato con gli operatori economici illegittimi aggiudicatari (dichiarandosi, ad ogni effetto, ed ove occorra, anche la disponibilità del ricorrente a subentrare nell'esecuzione dell'appalto ai sensi di quanto previsto dall'art. 122 c.p.a.), E PER LA CONSEGUENTE CONDANNA dell'Ente intimato a risarcire il danno cagionato alla ricorrente in forma specifica ovvero, in subordine, per equivalente monetario nella misura che sarà determinata in corso di causa. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna, dell'impresa De. Im. S.r.l. e di Ri. Co. S.p.a.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2024 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.-Con il ricorso in esame il Consorzio stabile Re. s.c. a r.l. ha impugnato il Decreto del Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna del 28.11.2023 relativo all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" con il quale è stata confermata l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI formato da Ri. Co. s.p.a.(mandante) e De. Im. s.r.l. (mandataria) risultato primo in graduatoria. Come evidenziato in ricorso la prima aggiudicazione era a suo tempo stata impugnata dall'odierno istante, Consorzio Stabile Re. e da La To. Co., in proprio e quali imprese componenti il relativo R.T.I, nelle posizioni rispettive di mandante e mandataria deducendo la illegittimità della aggiudicazione in quanto disposta a favore di impresa in procedura concordataria ex art. 161 c. 6 Legge Fallimentare, non ammessa alla continuità aziendale, non avendo presentato, nemmeno al momento della aggiudicazione, il relativo piano e lamentando che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe omesso di comunicare alla Stazione appaltante tale circostanza, rilevante ai fini della procedura. L'adito Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 76/2020 accoglieva il motivo di ricorso relativo alla dedotta violazione dell'art. 80 c. 5 lett. b) del Decreto Legislativo n. 50/2016 in ragione del fatto che la mandante del raggruppamento aggiudicatario aveva presentato, solo in corso di gara, in data 4.2.2019, domanda di concordato con riserva ai sensi dell'art. 161, comma 6 L. Fall e sul presupposto che in tale evenienza sia preclusa la partecipazione a gare pubbliche. Ha altresì rilevato la violazione dell'art. 80 co.5 bis del Codice degli appalti, in ragione del ritardo con cui la mandataria avrebbe comunicato, solo in data 19.7.2019 a distanza di cinque mesi, il fatto che la mandante avesse presentato la domanda di concordato con riserva. L'adito Tribunale Amministrativo respingeva altresì il ricorso incidentale condizionato proposto dalla mandataria del raggruppamento aggiudicatario volto alla designazione di una nuova impresa mandante, ritenendola non consentita ai sensi dell'art. 48 co. 19 ter d.lgs. 50/2016 poiché volta ad eludere in pendenza di gara il riscontrato mancato possesso dei requisiti di partecipazione. Tale sentenza costituiva oggetto di appello al Consiglio di Stato con due distinti ricorsi poi riuniti proposti dalla Ri. Co. e dalla De. Im. s.r.l., ai quali il Ministero aderiva. La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, registrando un conflitto di orientamenti giurisprudenziali, riteneva di rimettere alla Adunanza Plenaria una serie di questioni concernenti il tema ed i profili della presentazione della domanda di concordato in bianco ai fini della valida partecipazione alla gara. L'Adunanza Plenaria si pronunciava in merito a ciò con la sentenza n. 9 del 2021 affermando in sintesi, per quel che qui rileva, che benchè l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante. Successivamente la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4728/2023, si pronunziava sugli appelli e li accoglieva, rigettando il ricorso di primo grado. I provvedimenti impugnati costituiscono, quindi attuazione della suindicata sentenza sul cui vincolo conformativo è sceso il giudicato. Il Consiglio di Stato, in particolare, ha affermato che la domanda di presentazione di un concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione, né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. Nel caso di specie si era verificato un mancato rilascio della autorizzazione da parte del Tribunale competente prima della aggiudicazione della gara non essendo stata presentata un'istanza in tale senso dalla impresa concordataria; tale autorizzazione era comunque intervenuta prima della stipula del contratto. Il Consiglio di Stato ha stabilito che questa specifica circostanza comporta la necessità che la stazione appaltante provveda ad una apposita valutazione, alla luce della particolarità del caso concreto, sulla rilevanza e sulla idoneità ad assumere efficacia integrativa o sanante, di tale autorizzazione, sottratta al g.a., ai sensi dell'art. 34 co. 2 c.p.a. e rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante. In tale contesto motivazionale il Consiglio di Stato ha anche espressamente respinto la censura dell'odierna ricorrente secondo la quale non sarebbero stati rispettati, nel caso di specie, gli obblighi informativi a carico dell'impresa, precisando che, se l'informazione alla stazione appaltante deve essere tempestiva ed adeguata in applicazione dei principi di buona fede, leale cooperazione e correttezza, in caso di dichiarazione omessa, parziale o reticente spetterà alla stazione appaltante stessa valutarne l'incidenza sul rapporto fiduciario con l'operatore economico, ma senza nessun automatismo espulsivo. Il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia ed Emilia Romagna provvedeva, quindi, ad ottemperare a quanto stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4728/2023, comunicando agli interessati l'avvio del procedimento con nota 27.10.2023 n. 18407. L'Amministrazione, in seguito ad istruttoria, adottava il provvedimento di conferma della aggiudicazione qui gravato, ritenendo non inficiato il rapporto fiduciario con il raggruppamento capeggiato da De. Im. s.r.l. tenuto conto anche dell'avvenuta informazione degli sviluppi della procedura concorsuale. A sostegno del gravame le odierne ricorrenti hanno dedotto tre articolati motivi di gravame così riassumibili: I)VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 10 L. N. 241/90. ECCESSO DI POTERE, DIFETTO DI ISTRUTTORIA, CARENZA DI MOTIVAZIONE, PERPLESSITÀ : la stazione appaltante non avrebbe tenuto in considerazione nella motivazione dell'atto gravato l'articolata memoria presentata dalle ricorrenti. II. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84, D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT.D), D.LGS. N. 36/2023. VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbe mancato l'esame delle criticità riguardanti l'impresa controinteressata, dal momento che a) Ri. ha presentato domanda di concordato "in bianco" il 5.02.2019, nel corso della procedura di gara, senza curarsi di domandare al Giudice fallimentare la prescritta autorizzazione; b) al momento della aggiudicazione disposta il favore del RTI De. - Ri. (9.09.2019), la mandante Ri., che versava in situazione di concordato "in bianco" già dal precedente mese di febbraio, non era autorizzata alla prosecuzione della gara; c) l'autorizzazione al Giudice Fallimentare è stata richiesta da Ri. solo dopo l'aggiudicazione e persino dopo l'impugnazione della stessa aggiudicazione da parte del RTI Re. innanzi al TAR; d) nel caso di specie l'autorizzazione sarebbe stata chiesta ed intervenuta con notevole ritardo e dopo la scadenza del termine legale (60 gg) per la stipula del contratto. III. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 32, 33, 48, 80, 83 E 84,D.LGS. N. 50/16. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.161 E 186-BIS, L. N. 267/42. VIOLAZIONE DELL'ART. 94, COMMA 5, LETT. D), D.LGS. N.36/2023.VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO, TRASPARENZA E IMPARZIALITÀ . VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO. CARENZA DI MOTIVAZIONE. ECCESSO DI POTERE. IRRAGIONEVOLEZZA. ILLOGICITÀ .TRAVISAMENTO DEI FATTI E DEI PRESUPPOSTI DI DIRITTO. CONTRADDITTORIETÀ . SVIAMENTO: sarebbero venuti meno in capo a Ri. Co. s.p.a. i requisiti generali e speciali risultando prospettata la cessione del ramo di azienda, come risultante dal provvedimento assunto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e non preso in considerazione dalla stazione appaltante al momento della conferma dell'aggiudicazione; sarebbe evidente che Ri. in conseguenza della cessione finirà per privarsi dell'azienda necessaria alla realizzazione dell'appalto. Si sono costituiti il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Lombardia Emilia Romagna eccependo l'infondatezza di tutti i motivi "ex adverso" dedotti costituendo il provvedimento impugnato esecuzione del giudicato reso "inter partes" e non essendo venuto meno il rapporto fiduciario con la stazione appaltante. Si è costituita De. Im. s.r.l. evidenziando tra l'altro come con la sentenza n. 4728 del 2023 il Consiglio di Stato nell'accogliere gli appelli ha respinto il ricorso di primo grado avverso l'originaria aggiudicazione che dunque non è mai stata annullata; l'attività dell'Amministrazione sarebbe orientata al conseguimento del "risultato" inteso come puntuale esecuzione dei lavori oggetto della gara in ossequio appunto all'omo principio compendiato dall'art. 1 del d.lgs. 36 del 2023 non applicabile "ratione temporis" ma comunque utilizzabile in via interpretativa, come recentemente ritenuto dal Consiglio di Stato. Si è costituita anche Ri. Co. s.p.a. eccependo l'inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente avrebbe dovuto esperire azione di ottemperanza innanzi al Consiglio di Stato trattandosi di dare esecuzione ai criteri conformativi di cui alla sentenza n. 4728/2023 rappresentando altresì la pendenza nell'ambito della procedura concorsuale della cessione del ramo d'azienda e l'individuazione dell'operatore economico che effettuerà i lavori. Alla camera di consiglio del 24 gennaio 2024 parte ricorrente ha rinunciato alla tutela cautelare in vista della celere fissazione dell'udienza di merito. In prossimità della trattazione nel merito le parti hanno depositato ampie memorie e documentazione insistendo per le conclusioni già rassegnate per la fase cautelare. Segnatamente le ricorrenti hanno insistito per la fondatezza della pretesa azionata evidenziando il mancato apprezzamento da parte dell'Amministrazione della attuale situazione di Ri. Co. allo stato priva dei requisiti richiesti per la realizzazione dei lavori per cui è causa, essendo ancora pendente la cessione del ramo di azienda. La difesa della capogruppo De. Im. s.r.l. ha insistito per il rigetto del gravame eccependo altresì l'inammissibilità delle doglianze dirette a rimettere in discussione profili già coperti dal giudicato così come del terzo motivo per la mancata indicazione del requisito generale di cui Ri. Co. sarebbe priva; non sarebbe "ratione temporis" applicabile l'art 94 co.5 del Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 36/2023 secondo cui l'autorizzazione deve intervenire prima dell'aggiudicazione. Con memoria la difesa di parte ricorrente ha replicato alle suindicate eccezioni evidenziando come l'oggetto dell'impugnativa sia nuovo atto non meramente confermativo affetto da vizi del tutto autonomi rispetto a quelli prospettati con il ricorso avverso l'originaria aggiudicazione. Anche la difesa di De. Im. ha depositato memoria di replica tra l'altro evidenziando come le doglianze di cui al secondo motivo, per quanto appunto già argomentato nella memoria conclusiva o violano il principio del "ne bis in idem" (pretendendo che l'aggiudicazione sarebbe illegittima per contestazioni già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728/2023) o contrastano con l'art. 80 del d.lgs 50/2016 e con il principio di tassatività delle cause di esclusione nella parte in cui pretendono di imporre un effetto escludente per i tempi in cui svolge la procedura di approvazione del concordato in corso presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere o per le modalità supposte nel concordato medesimo, quali l'ipotizzata cessione di azienda, modalità e tempi che non rientrano in alcuna delle cause di esclusione previste dall'art. 80 del Codice dei contratti, di cui al D.lgs. 50/2016. Alla pubblica udienza del 8 maggio 2024, uditi i difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.-E' materia del contendere la legittimità del provvedimento del 28 novembre 2023 con cui il Provveditorato Interregionale OOPP per la Lombardia e la Emilia Romagna ha confermato relativamente all'appalto pubblico per i "Lavori di realizzazione del nuovo istituto penitenziario di Forlì - 1° Stralcio" l'approvazione, già disposta con DP prot. n. 17276 del 6.9.2019, della proposta di aggiudicazione dell'appalto al RTI tra Ri. Co. spa e De. Im. s.r.l. risultato primo in graduatoria. Lamentano le ricorrenti quali imprese del raggruppamento temporaneo capeggiato dal Consorzio Stabile Re. oltre l'insufficiente motivazione del provvedimento impugnato in relazione alle circostanze sopravvenute, il mancato esame da parte della stazione appaltante della situazione attuale della mandante Ri. Co. s.p.a. asseritamente priva dei requisiti generali e speciali per risultare nuovamente aggiudicataria dei lavori di che trattasi. 2.- Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità del gravame sollevata da Ri. Co.. Diversamente da quanto argomentato dalla controinteressata, con il ricorso in esame le ricorrenti hanno dedotto vizi almeno in parte del tutto nuovi ed autonomi nei confronti dell'aggiudicazione confermativa intervenuta il 28 novembre 2023, sostenendo la carenza in capo a Ri. dei requisiti ex art. 80 d.lgs. 50/2016 in relazione alla perdurante pendenza della procedura di approvazione del concordato con continuità aziendale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dell'ipotizzata cessione del ramo di azienda. Tanto basta, ad avviso del Collegio, per superare l'eccezione e ritener per ciò ammissibile il ricorso vertente quanto meno parzialmente su profili di legittimità sopravvenuti al giudicato riguardanti provvedimento di conferma propria in quanto preceduto da una rinnovata valutazione istruttoria da parte dell'Amministrazione, secondo il consolidato criterio distintivo tra conferma propria ed impropria tracciato dalla giurisprudenza (ex plurimis T.A.R. Lombardia Milano sez. II, 29 settembre 2022, n. 2126). 3.- Sono invece inammissibili per violazione del principio del "ne bis in idem" come eccepito da De. Im. s.r.l. le doglianze di cui al secondo motivo di gravame con cui parte ricorrente di fatto pretende di riproporre censure in realtà già sollevate nel giudizio concluso con la sentenza n. 4728 del 2023. Il giudicato ha infatti come visto già ampiamente rilevato come benchè di norma l'autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica debba intervenire entro il momento dell'aggiudicazione, è comunque rimesso alle stazioni appaltanti nel singolo caso concreto valutare se un'autorizzazione tardiva, ma pur sempre sopraggiunta in tempo utile per la stipula del contratto di appalto o di concessione, possa avere efficacia integrativa o sanante, senza possibilità per il g.a. di compiere tale valutazione per il divieto di cui all'art. 34 co. 2 c.p.a. inerente i poteri autoritativi non esercitati. Con la sentenza n. 4728/2023 il Consiglio di Stato ha anche escluso la violazione dell'obbligo di buona fede da parte dell'aggiudicataria la quale ha correttamente informato la stazione appaltante degli sviluppi della procedura concorsuale. Costituisce "ius receptum" in relazione al processo amministrativo che, ai sensi degli artt. 2929 c.c. e 324 c.p.c., la regola del "ne bis in idem" presuppone l'identità nei due giudizi delle parti in causa e degli elementi identificativi dell'azione proposta e quindi che in quei giudizi sia chiesto l'annullamento degli stessi provvedimenti, o di provvedimenti diversi ma legati da uno stretto vincolo di consequenzialità in quanto inerenti ad un medesimo rapporto, sulla base di identici motivi di impugnazione (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 10 maggio 2021 n. 3618; Id. sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3158; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 3 gennaio 2022, n. 4) 4.- Venendo al merito il terzo motivo di gravame, per quanto argomentato, non merita condivisione. 4.1.- Ai sensi dell'art. 80 co. 5 lett b) del d.lgs. n. 50/ 2016 "pro tempore" applicabile "Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni"...omissis..... " l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110". La suindicata norma va dunque coordinata con il richiamato art. 110 del Codice del 2016 ai sensi del quale l'impresa ammessa al concordato con continuità aziendale su autorizzazione del giudice delegato anche senza la necessità di avvalersi di requisiti di altro soggetto può partecipare a procedure di affidamento di concessioni e appalti di lavori forniture e servizi. Va poi evidenziato che il concordato con continuità aziendale introdotto dall'art. 186 bis R.D. 16 marzo 1942 n. 267 diversamente da quello "ordinario" prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore e la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento in una o più società (Anac Determinazione 23 aprile 2014, n. 3; Cassazione civile sez. I, 16 giugno 2023, n. 17273) Ai fini della partecipazione alle procedure di affidamento di pubbliche commesse, l'impresa che si trovi in concordato preventivo con continuità aziendale, necessita di autorizzazione del giudice per tutto il periodo compreso tra la presentazione della domanda di accesso al concordato e fino all'omologazione del concordato medesimo, ma non successivamente all'intervenuta omologa: dopo di essa infatti, salvo che non intervengano la risoluzione o l'annullamento del concordato, viene meno l'esigenza dell'autorizzazione al compimento di atti di straordinaria amministrazione, così come non occorre che la partecipazione sia accompagnata dal deposito della relazione di un professionista indipendente attestante la capacità dell'impresa di adempiere al contratto (T.A.R. Toscana sez. III, 20 marzo 2023, n. 286). Una volta ottenuta l'autorizzazione giudiziale - che come chiarito dall'Adunanza Plenaria può intervenire per quanto riguarda le procedure di affidamento soggette all'applicazione del d.lgs. 50/2016 anche successivamente all'aggiudicazione e prima della stipulazione del contratto ove la stazione appaltante dia conto in motivazione delle ragioni di pubblico interesse - la perdurante pendenza della procedura di concordato non è motivo di esclusione contemplato dall'art. 80 co. 5 lett. b) del citato decreto. 4.2.- Come noto per giurisprudenza pacifica le cause di esclusione devono ritenersi di stretta interpretazione e l'eventuale incertezza interpretativa va risolta nel senso di assicurare la più ampia partecipazione dei concorrenti, in omaggio al principio eurounitario del "favor partecipationis"(ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 14 marzo 2016, n. 1015; id., sez. V, 17 marzo 2015, n. 1375.) Nel caso di specie le ricorrenti come visto individuano quale causa di esclusione l'art. 80 co. 5 lett. b) d.lgs. 50/2016 requisito di cui la mandante Ri. Co. del RTI aggiudicatario sarebbe privo. Ma diversamente da quanto prospettato dalla difesa di parte ricorrente non risulta provata l'apertura di un procedimento di liquidazione a carico della mandante Ri. Co. non essendo sufficiente in tal senso la nota depositata e firmata dalla stessa (doc. n. 2) tenuto sempre conto la mera pendenza di una istanza di fallimento o di liquidazione giudiziale non è causa di esclusione dalla gara (C.G.A.S. 24 aprile 2015, n. 363). Giova invece rilevare come ai sensi dell'art. 94 co. 5 lett. d) del d.lgs. n. 36/2023 - non applicabile "ratione temporis" alla procedura di che trattasi - costituisce causa di esclusione automatica la sottoposizione dell'operatore economico a procedura di liquidazione giudiziale e di concordato preventivo in difetto di autorizzazione preventiva "entro la data dell'aggiudicazione" e sempre che "non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali". 4.3.- Non ignora il Collegio come in tale ambito le perplessità avanzate dalle ricorrenti in merito alla concreta possibilità per il raggruppamento aggiudicatario di procedere all'esecuzione dei lavori contrattuali possano avere consistenza, venendo però in rilievo una ragione valevole sul piano dell'opportunità, non sindacabile dall'adito Tribunale al di fuori delle tassative fattispecie di giurisdizione estesa al merito, e non su quello della legittimità in assenza di una corrispondente causa di esclusione tra quelle delineate dalla fonte normativa primaria ratione temporis applicabile alla fattispecie. Nel concordato con continuità aziendale di cui all'art. 186 bis L.F. d'altronde diversamente dal concordato "ordinario" l'obiettivo legislativo del recupero della stabilità aziendale può essere perseguito proprio con la cessione dell'azienda in esercizio (ex multis Cassazione civile sez. I, 5 aprile 2022, n. 10988). Infine non da ultimo trascura parte ricorrente che l'esecuzione del contratto potrebbe essere pur sempre assicurata, se del caso, anche con modifiche meramente interne al raggruppamento ovvero tramite l'apporto della mandataria De. Im. (ex multis Consiglio di Stato Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 9). 5.- Il primo motivo di gravame, infine, non merita ugualmente adesione. Trascura parte ricorrente che per giurisprudenza del tutto pacifica la valutazione circa la ricorrenza delle cause facoltative di esclusione dalle gare pubbliche rientra nell'ambito della ampia discrezionalità della P.A. ed è sindacabile solo in caso di manifesta pretestuosità e ai soli fini di un eventuale riesame da parte della stessa P.A. (ex plurimis, Consiglio di Stato, A.P. n. 16/2020; Id. sez. V, 18 ottobre 2022, n. 8864; Id. sez. III, 10 febbraio 2021, n. 1248; id. n. 505/2021; Id, sez. IV, 8 ottobre 2020, n. 5967) e che al contempo l'atto di ammissione (a differenza dell'esclusione) è motivabile "per relationem" ove correlato alle deduzioni del concorrente stesso (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 novembre 2023, n. 2762; Consiglio di Stato sez. IV, 10 novembre 2021, n. 7501). Nella fattispecie la stazione appaltante previo parere dell'Avvocatura dello Stato e richiamata la più volte citata sentenza n. 4728/2023 del Consiglio di Stato ha non irragionevolmente escluso la sussistenza di ragioni ostative alla conferma dell'aggiudicazione, nell'ambito di una valutazione discrezionale di sua spettanza. 6.- Alla luce delle suesposte argomentazioni il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite attesa l'obiettiva complessità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia - Romagna Bologna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Paolo Carpentieri - Presidente Mara Bertagnolli - Consigliere Paolo Amovilli - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del giudice Antonio Costanzo, ha pronunciato, dopo discussione orale ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., la seguente SENTENZA definitiva nella causa civile n. 7918/2023 R.G. promossa da F_M. ((...)) ((...)); - ATTORE contro GS (..) (..); - CONVENUTA Oggetto: obbligazioni. CONCLUSIONI Per l'attore opponente: "NEL MERITO: - REVOCARE il decreto opposto perché infondato in fatto e diritto per le ragioni esposte in narrativa; - DICHIARARE la non esigibilità del credito ex adverso azionato con il monitorio opposto, in quanto, per i motivi esposti in narrativa, inesistente e pertanto non dovuto; - CONDANNARE la convenuta - opposta al risarcimento del danno ex Art. 96 C.P.C. per il tenuto contegno profondamente lesivo dei principi di buona fede contrattuale che devono animare le parti nonché per l'evidente abuso in mala fede e con colpa grave dello strumento processuale; - Con vittoria di spese e compensi di lite dei quali i difensori si dichiarano distrattari. IN VIA ISTRUTTORIA: Previa remissione della causa in istruttoria, chiede ammettersi prova per testi sui capitoli tutti, nessuno escluso, di cui alla narrativa dell'atto di citazione in opposizione da ritenersi qui integralmente riportati in forma positiva - espunti giudizi e valutazioni -preceduti dalla locuzione "vero che". Chiede, inoltre, chiedersi prova testimoniale sui seguenti capitoli di prova: 1) "vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"; 2) "vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."; 3) "vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n.5 di parte opponente"; 4) "vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro". Si indicano come testi i signori: - B. F., Bologna; - D. Gherardi, Bologna; - F. M., Bologna" Per la convenuta opposta: "Il patrocinio dell'opposta G., facendo seguito alle deduzioni già all'udienza del l'08.5.24 precisa le conclusioni come in memoria di replica istruttoria ex art. 183 c. 6 n. 3 c.p.c. ed in comparsa di costituzione, segnalando che è emersa in sede istruttoria la percezione da parte G. di Euro 3.925,70 - a seguito della vendita forzata dell'abitazione familiare di proprietà di controparte F. nella procedura r.g.e. Trib. Bo. 754/17- che va decurtata dalla sorte indicata nelle conclusioni della comparsa di costituzione di parte G., sorte pretesa che, pertanto, da Euro 40.000 originari è ora pari ad Euro 36.074,30. Peraltro, si segnala che alcuna attività di esecuzione si è compiuta in ragione del decreto ingiuntivo opposto che è immediatamente esecutivo. Inoltre, si evidenzia che proceduralmente ed ai fini dell'accoglimento delle domande di parte opposta Sig.ra G., si ritiene - e si conclude - che il decreto opposto da controparte vada revocato da sentenza che accolga le richieste di parte opposta Sig.ra G. recante solo l'importo di Euro 36.074,30 - invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Si richiamano la conclusioni di cui alla comparsa di risposta: "Per l'ingiungente G. (oggi convenuta) si rassegnano, pertanto, le seguenti conclusioni: - rigettare ogni avversa difesa ed istanza, anche con conferma dell'ingiunzione opposta da controparte, subordinatamente con condanna dell'opponente F. (attore nella presente fase di causa) di corrispondere a parte opposta G. (ingiungente nella monizione per cui è il presente giudizio) Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria); - in ogni caso: con ogni più ampia riserva, vinte le spese di lite e con richiesta di liquidazione dell'attività per gratuito patrocinio nella misura ritenuta di legge dal Giudice in favore dell'Avv. P. M. patrocinatore di parte G., nonché con condanna di controparte per responsabilità aggravata, anche per le affermazioni palesemente contraddittorie e la rilettura degli atti non conforme al contenuto degli stessi con rimessione a giustizia circa la relativa misura". MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Richiamati atti e documenti di causa, noti alle parti; rilevato che l'attore non ha fornito prova scritta a sostegno dell'opposizione; esaminate le conclusioni finali in epigrafe trascritte; si osserva quanto segue. 2. L'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 esecutivo ex art. 642 c.p.c. (emesso, su ricorso depositato il 1 dicembre 2022 che non risulta preceduto la richiesta stragiudiziale, per la somma capitale di euro 40.000,00 oltre accessori) proposta da M. F. con citazione notificata via PEC il 30 maggio 2023 all'ex coniuge S. G. (costituitasi il 27 luglio 2023), va respinta per infondatezza dei motivi dedotti dall'opponente, benché il decreto opposto vada revocato come richiesto, da ultimo, dalla stessa convenuta, avendo essa dato atto, esaurita l'istruttoria, che il debito era inferiore a quello oggetto di ricorso (si richiamano in proposito le conclusioni finali della convenuta). 2.1. La domanda monitoria proposta dall'odierna convenuta si fonda sulla scrittura privata 8 giugno 2020, recante riconoscimento di debito da parte dell'odierno attore e nella quale si legge: "(...) PREMESSO IN FATTO - che nell'ambito della separazione consensuale omologata il 7 luglio 2017 tra i coniugi F. e G. gli stessi pattuivano che: - la figlia della coppia, B., sarebbe stata collocata presso la madre nella casa familiare di X, Via ...4; - il sig. F. avrebbe versato un mantenimento per la figlia di Euro 300 mensili; - Nell'ipotesi di trasferimento a Bologna di moglie e figlia il F., alla data del trasferimento dalla casa coniugale si obbliga a trasferire l'usufrutto a S. G. per una durata non inferiore a 5 anni (clausola 11a verb. Sep), con diritto della Signora G. di locare l'appartamento a terzi (clausola 11c verb. Sep) e, a decorrere dal percepimento dei canoni di locazione il F. avrebbe cessato di corrisponderle l'importo di Euro 300,00 mensili, o a versare la differenza tra il canone percepito e l'importo di Euro 300,00 qualora l'importo del canone percepito fosse stato inferiore (clausola 11c verb. Sep); - in esecuzione dei predetti accordi raggiunti in sede di separazione, F. cedeva gratuitamente e trasferiva a S. G. l'usufrutto vitalizio sulla casa familiare per la durata di anni 8 in data 8 agosto 2017; - successivamente il sig. F. subiva il pignoramento immobiliare n. 754/2017 promosso da Intesa San Paolo Group per mancato pagamento delle rate del mutuo contratto per l'acquisto della casa familiare. Nell'ambito della procedura l'immobile è stato venduto mediante asta giudiziaria ed attualmente è fissata udienza, al 26.6.20, per la precisazione del credito e distribuzione delle somme; - a partire dal 2018 il sig. F., assieme alla figlia B. , si trasferiva nella casa locata dalla nonna paterna, in Via ... , provvedendo dunque lo stesso al mantenimento diretto della figlia, presso di lui collocata; - la signora G., nel mese di novembre/dicembre 2019 sporgeva denuncia ai danni del sig. F. per mancato pagamento dell'assegno di mantenimento della figlia B. e notificava al sig. F. atto di precetto per il pagamento, a titolo di mantenimento, della somma di Euro 10.709,38 che non veniva opposto; - successivamente la signora G. interveniva nel pignoramento immobiliare per la predetta somma privilegiata, oltre che alla somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto. Tutto ciò premesso - il signor F. si impegna a non opporsi alla precisazione del credito della moglie; - il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200; - il sig. F. si impegna a versare alla moglie, entro il giorno 5 di ogni mese sul di lei conto corrente, a partire dal corrente mese di giugno - qualora egli non l'abbia già fatto - la somma di Euro 300 mensili a titolo di mantenimento in favore della stessa sino a che la moglie non avrà reperito una attività lavorativa che le consenta l'autosufficienza; - la signora G. si impegna a ritirare immediatamente la querela presentata ai danni del sig. F., rinunciando sin da ora a costituirsi parte civile in un eventuale procedimento penale nei confronti del marito per le circostanze denunciate". 2.2. Come pacifico in atti e riscontrato dai documenti acquisiti: a) in attuazione dei patti raggiunti in sede di separazione consensuale (verbale 7 giugno 2017) omologata con decreto 7 luglio 2017, con atto redatto dal notaio P. M. data 3 agosto 2017 denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" l'attore aveva costituito in favore della convenuta "a titolo gratuito" l'usufrutto per la durata di (almeno) otto anni sull'immobile in X già adibito a casa familiare ("(...) F. M., in esecuzione dei predetti accordi in sede di separazione, cede e trasferisce a titolo gratuito a G. S. che accetta ed acquista l'usufrutto per la durata di anni 8 (otto) da oggi o se successivo a detto termine fino al raggiungimento dell'autosufficienza economica della figlia minore F. B., della porzione di villetta trifamiliare (...)"): l'immobile era gravato da ipoteca iscritta il 17 novembre 2003 a garanzia di mutuo concesso all'attore da un istituto bancario di originari euro 120.000 (come si legge nell'atto notarile 3 agosto 2017, "F. M. dichiara che sull'immobile in oggetto grava l'ipoteca (...) che la parte acquirente dichiara di tollerare, ben sapendo che, ai sensi e alle condizioni di cui agli artt. 2858 c.c. e seguenti, in caso di mancato pagamento del debito garantito la Banca può promuovere esecuzione forzata sul bene acquistato col presente atto"); b) nel novembre 2017 su iniziativa del creditore ipotecario l'immobile in X già adibito a casa familiare, e sul quale era stato costituito l'usufrutto in favore di S. G., è stato colpito da pignoramento (doc. 9 di parte convenuta): come riportato anche nella scrittura privata 8 giugno 2020, nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. contro M. F. è intervenuta anche l'odierna convenuta sia quale creditrice di somme a titolo di concorso nel mantenimento della figlia (per tale credito al debitore era stato notificato precetto non opposto) sia quale titolare di diritto di usufrutto sull'immobile pignorato (art. 2812 c.c.; v. anche la proposta di piano di riparto 15 giugno 2020 elaborata dall'esperto contabile ausiliario del giudice dell'esecuzione, doc. 6 di parte attrice); c) la prima udienza per l'autorizzazione alla vendita nell'esecuzione immobiliare n. 754/2017 R.G. si è tenuta l'11 marzo 2019; la scrittura privata 8 giugno 2020 è stata sottoscritta dalle parti dopo la vendita forzata dell'immobile pignorato (il decreto di trasferimento era stato il 12 marzo 2020) e prima dell'udienza 26 giugno 2020 fissata per la precisazione dei crediti e la distribuzione del ricavato; con ordinanza 2 luglio 2020 il giudice dell'esecuzione ha dichiarato esaurita l'esecuzione immobiliare e ha ordina il pagamento delle somme come da progetto di distribuzione 15 giugno 2020, progetto che, per quanto qui rileva, prevedeva, una volta soddisfatti i crediti in prededuzione ed il credito assistito da ipoteca, l'attribuzione a S. G. della residua somma di euro 3.925,70 a parziale compensazione della perdita dell'usufrutto il cui valore era stato quantificato nel progetto di distribuzione in euro 72.000,00. Dalla lettura degli atti qui richiamati appare evidente che l'obbligazione assunta dall'attore verso la convenuta con la scrittura privata 8 giugno 2020 era volta a compensare la perdita economica subita da S. F. a seguito dell'estinzione dell'usufrutto costituito in suo favore solo pochi mesi prima del pignoramento (art. 2812, comma 2, c.c.). L'accordo documentato dalla scrittura privata ha natura transattiva in quanto, come si legge nelle premesse del testo, la convenuta era già intervenuta nell'esecuzione immobiliare affermandosi creditrice della "somma di Euro 80.000 pari al valore forfettario del diritto di usufrutto non goduto". Più che eloquente il passaggio in cui si afferma che "il sig. F., con la sottoscrizione della presente, si riconosce debitore nei confronti della moglie della somma di Euro 40.000 a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa patito, da versarsi in rate mensili di Euro 200", mentre l'inadempimento dell'attore ha determinato la decadenza dal beneficio del termine (in tal senso v. il ricorso per decreto ingiuntivo). 3. A sostegno dell'opposizione l'attore deduce la simulazione assoluta dell'accordo di cui alla scrittura privata 8 giugno 2020 perché "attesta un debito totalmente inesistente"; solleva eccezione di inadempimento adombrando una risoluzione per inadempimento della conventa: deduce la nullità dell'accordo sotto vari profili (illiceità della causa; frode alla legge; illiceità del motivo). 4. Così come proposta dall'attore, la prova per testi non può essere accolta, considerati le questioni controverse ed il fondamento della domanda monitoria: il capitolo 1 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. S. nel periodo 2019-2024 ha trovato e/o ricercato una occupazione lavorativa"); il capitolo 2 è generico e inammissibile nella parte in cui contrasta col tenore dell'accordo 8 giugno 2020 ("vero che la sig.ra G. ha richiesto al sig. F. di dichiararsi debitore nei suoi confronti dicendogli che le poteva essere utile far valere dei diritti di credito nei confronti del F. medesimo che era assoggettato all'esecuzione immobiliare Tribunale di Bologna n. 754/2017 Es. Imm."); il cap. 3 è irrilevante e inammissibile nella parte in cui si pone in collegamento col capitolo precedente ("vero che a seguito della richiesta di cui al capitolo che precede, la sig.ra G. predispose la scrittura privata datata 8/6/2020 che le viene rammostrata e che riconosce nel documento n. 5 di parte opponente"); il cap. 4 è generico e irrilevante ("vero che la sig.ra G. dal 2019 a tutt'oggi ha continuamente fatto pressioni nei confronti del sig. F. per ottenere da quest'ultimo somme di denaro"). 5. Non vi è alcuna prova (l'attore non l'ha fornita, art. 1417 c.c.) dell'accordo simulatorio sottostante alla scrittura privata 8 giugno 2020 posta a base del ricorso per decreto ingiuntivo e che, invero, richiama, ponendosi con essi in relazione, i patti conclusi in sede di separazione consensuale, l'atto attuativo 3 agosto 2017, le vicende relative all'esecuzione forzata sull'immobile già adibito a casa familiare. L'eccezione di simulazione assoluta è infondata. Da un lato, manca la prova dell'accordo simulatorio; dall'altro, sono pacifici i fatti posti a fondamento del credito della convenuta (in sintesi, l'estinzione del diritto di usufrutto per effetto dell'espropriazione immobiliare subita dall'attore, art. 2812 c.c.) il cui ammontare è stato definito dalla parti in via transattiva nella misura di euro 40.000,00. 6. L'opponente non ha provato fatti idonei a giustificare la risoluzione dell'accordo consacrato nella scrittura privata 8 giugno 2020: da un lato, non vi è alcun immediato nesso di corrispettività tra l'obbligazione assunta da M. F., previo riconoscimento del proprio debito nella misura di euro 40.000,00 "a titolo di mancato godimento dell'usufrutto e di risarcimento del danno dalla stessa (G., n.d.r.) patito", e l'impegno di S. G. a ritirare la querela presentata (pare a fine 2019) nei confronti dell'allora marito, essendo oltretutto pacifico che l'inadempimento di M. F. rispetto alle obbligazioni verso l'istituto bancario e la espropriazione immobiliare n. 754/17 R.G.E. hanno determinato l'estinzione del diritto di usufrutto, inopponibile al creditore ipotecario (Cass., sez. I, 27 marzo 1993, n. n. 3722), che era stato costituito in favore di S. G. per la durata di otto anni con l'atto pubblico 3 agosto 2017 a ministero notaio P. M. denominato "trasferimento in esecuzione di accordi contenuti nel verbale di separazione consensuale" (in altri termini, in sede di separazione consensuale, come da verbale 7 giugno 2017 omologato il 7 luglio 2017, M. F. aveva assunto una obbligazione attuata con l'atto pubblico 3 agosto 2017 ma di fatto il suo inadempimento verso l'istituto di credito, poi pignorante in forza di credito garantito da ipoteca iscritta nel 2003, ha precluso all'avente diritto S. G. la possibilità di godere dell'immobile in X già casa familiare); dall'altro, è pacifico che S. G., in conformità all'impegno assunto con la scrittura 8 giugno 2020, non si è costituita parte civile nel processo penale contro M. F., processo (n. 5530/20 R.G.N.R. - n. 1662/22 R.G. dibattimento) definito con sentenza di assoluzione sul presupposto che l'inadempimento di obbligazioni civili non integra di per sé gli estremi del reato di cui all'art. 570-bis c.p. (già art. 12-sex/'es, l. n. 898/1970) in relazione all'art. 570 c.p. (la sentenza Trib. Bologna, 27 febbraio - 28 marzo 2023 n. 965 è irrilevante in questa sede, tanto più che l'oggetto della presente causa non riguarda l'omesso versamento dell'assegno dovuto dal padre a titolo di contributo per il mantenimento della figlia come da accordi di separazione), mentre non vi è ragione di contestare all'odierna convenuta l'omessa rimessione di querela (le premesse della scrittura privata 8 giugno 2020 fanno riferimento ad una denuncia, la sentenza penale n. 965/2023 parla sia di querela presentata l'8 gennaio 2020 che di denuncia querela) perché condotta del tutto ininfluente rispetto all'esercizio dell'azione penale quando, come nel caso di specie, si verta in ipotesi di reato procedibile d'ufficio (cfr. Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio - 24 febbraio 2020, n. 7277). 7. La questione relativa al contributo al mantenimento della figlia (nata il 7 maggio 2000, dunque ormai maggiorenne al tempo della scrittura 8 giugno 2020) non ha alcuna attinenza con l'obbligazione dedotta in giudizio, sorretta da una causa del tutto autonoma e meritevole di tutela, inerente al mancato godimento da parte della convenuta del diritto che l'attore le aveva riconosciuto in sede di separazione consensuale e volta appunto alla compensazione di quel mancato godimento mediante il pagamento di una somma di denaro (concordato nella misura di euro 40.000,00) di cui M. F. si è dichiarato debitore (v. supra; v. anche il verbale dell'udienza 2 marzo 2023 nel giudizio divorzile 14033/2022 R.G.). 8. Non vi è alcuna nullità dell'accordo sottostante l'impegno assunto da M. F. con la predetta scrittura 8 giugno 2020, accordo che trae origine dall'avventa estinzione del diritto di usufrutto alla costituzione del quale l'attore si era impegnato già in sede di separazione consensuale. 9. In conclusione, l'opposizione, così come proposta dall'attore, è infondata. 10. In comparsa di costituzione la convenuta ha chiesto la conferma del decreto ingiuntivo opposto o in subordine la condanna dell'attore al pagamento della somma di "Euro 40.000 oltre interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione oggi gravata sino al saldo (anche al tasso conseguente alla pendenza di lite giudiziaria)". Nelle conclusioni finali la convenuta ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la condanna dell'attore al pagamento di una somma inferiore a quella oggetto di ingiunzione. Nell'esecuzione immobiliare n. 754/17 R.G.E., a seguito della vendita forzata (il decreto di trasferimento è stato emesso il 12 marzo 2020) e dell'approvazione del piano di riparto con ordinanza 7 luglio 2020 del giudice dell'esecuzione, la convenuta aveva ricevuto una somma di denaro (euro 3.925,70) a parziale soddisfacimento del credito da essa vantato in relazione all'estinzione del diritto di usufrutto. Come si legge nelle conclusioni finali, la convenuta chiede la revoca del decreto ingiuntivo con sentenza che condanni l'attore a pagare "solo l'importo di Euro 36.074,30 -invece che Euro 40.000 -, quale elemento di sorte capitale di condanna a carico dell'opponente controparte F. a cui aggiungere tutte le altre voci richieste in sede di comparsa di costituzione dell'opposta G.". Ne conseguono, da un lato, la revoca del decreto ingiuntivo limitatamente ai capi relativi all'ingiunzione di pagare "la somma di Euro 40.000,00" (capo 1) e "gli interessi come da domanda" (capo 2) (nel ricorso era chiesto il pagamento della "somma complessiva di Euro 40.000 oltre agli interessi maturati e maturandi ex lege dall'emissione dell'ingiunzione sino al saldo effettivo"), e non anche la condanna alle spese pronunciata in favore dell'erario (la ricorrente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato), capo rispetto al quale l'odierna convenuta non ha potere dispositivo; dall'altro, attese le conclusioni finali (che quanto agli accessori richiamano le conclusioni di cui alla comparsa di risposta), la condanna dell'attore al pagamento della somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo. 11. Non vi sono i presupposti per la condanna dell'attore ex art. 96 c.p.c., come invece richiesto dalla convenuta in comparsa di risposta. 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore dell'erario (artt. 133, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115: "Il provvedimento che pone a carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato"), in quanto la convenuta è ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello Stato (v., fra le altre, Cass., sez. II, 19 gennaio 2021, n. 777). P.Q.M. Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione respinta: - rigetta l'opposizione avverso il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858 proposta da F. M. contro G. S.; - revoca il decreto ingiuntivo 7 aprile 2023 n. 1858; - condanna F. M. a pagare a G. S. la somma di euro 36.074,30 oltre interessi legali da calcolarsi ai sensi dell'art. 1284, comma 4, c.c. dal 7 aprile 2023 sino al saldo; - rigetta la domanda di condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c. proposta da G. S. contro F. M.; - liquida le spese processuali a carico di F. M. in euro 3.809,00 per compenso, oltre rimborso forfettario 15%, oltra CPA e IVA come per legge. Bologna, 15 maggio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA IV SEZIONE CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Michele Guernelli Presidente dott. Giovanni Salina Giudice Relatore dott. Marco D'Orazi Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 15886/2019 promossa da: (...) S.R.L. (P.IVA), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliata in Bologna, Via (...), presso il difensore. ATTRICE contro (...) (C.F.) con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in Modena, Via (...), presso lo studio dell'avv. (...). CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno precisato le conclusioni come da separato foglio a far parte integrante del verbale d'udienza del 20 ottobre 2022. FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, la società (...) S.R.L., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, (...), quale ex amministratore unico, liquidatore e socio unico della società (...) S.R.L., per sentirlo dichiarare responsabile, ex art. 2476 c. VI cod. civ., degli atti di mala gestio meglio descritti in citazione e, per l'effetto, condannarlo al risarcimento dei danni sofferti dall'attrice in conseguenza del mancato pagamento dei corrispettivi ad essa dovuti, per complessivi Euro 225.532,00, in forza di sentenza definitiva resa dal Tribunale di Modena, e relativi alle forniture di gas effettuate in favore della debitrice (...) s.r.l. nel periodo settembre 2010 - febbraio 2011. A sostegno della domanda come sopra formulata, la società attrice deduceva che il (...), dapprima come amministratore unico e poi come liquidatore della società (...) s.r.l., in violazione dei doveri impostigli dalla legge e dallo Statuto, aveva : i) omesso di predisporre un adeguato fondo rischi per far fronte alle probabili passività derivanti dal giudizio pendente davanti al Tribunale di Modena, iscritto al N. 222/2012 R.G., ed avente ad oggetto l'accertamento del credito in precedenza indicato; ii) omesso, in modo sistematico, di appostare nei bilanci di esercizio e nel bilancio finale di liquidazione della menzionata società il debito da questa maturato verso (...) s.r.l.; iii) conseguentemente, predisposto e approvato bilanci non veritieri ed incompleti; iv) nella veste di liquidatore, provveduto a soddisfare i creditori sociali in violazione dei principi regolatori della procedura di liquidazione; v) abusato dello schermo giuridico societario. Concludeva, pertanto, la società attrice, chiedendo l'accoglimento delle seguenti testuali conclusioni: "voglia il Tribunale di Bologna (...) dichiarare che il Signor (...) (...) ha violato gli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale, con conseguente responsabilità del medesimo ai sensi degli artt. 2476 (nuovo testo), 2486, 2394 e 2395 e 2043 c.c., e ha deliberatamente impedito ad (...) S.p.A. di soddisfare il credito dalla stessa vantato nei confronti della medesima (...) s.r.l. a titolo di corrispettivo della fornitura di gas naturale relativa al periodo da settembre 2010 a febbraio 2011, credito accertato dal Tribunale di Modena con sentenza in data 9/30.10.17, con conseguente responsabilità del medesimo Signor (...) ai sensi degli artt. 2495, comma 2, 2489, 2491, 2492 e 2043 c.c.; condannare conseguentemente il Signor (...) a risarcire a (...) S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, tutti i danni alla stessa cagionati; danni che si quantificano nella misura di Euro 250.000,00 somma meglio dettagliata in atti, ovvero in quella, maggiore o minore accertata in corso di giudizio, anche in via di liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., oltre rivalutazione ed interessi moratori ex D.Lgs. n. 231/02" Con comparsa di risposta depositata in data 24 gennaio 2020, si costituiva in giudizio (...), il quale, contestando la fondatezza, in fatto ed in diritto, delle deduzioni avversarie, concludeva chiedendo l'integrale reiezione delle domande ex adverso proposte. In particolare, il convenuto, ricusando ogni addebito di mala gestio, esponeva che gli eventi sismici che, nell'anno 2012, avevano colpito l'Emilia-Romagna e, soprattutto, la zona del modenese comprendente la sede della società (...) s.r.l., avevano, di fatto, reso impossibile a quest'ultima l'esercizio dell'attività di impresa e, quindi, impedito la produzione degli utili necessari a soddisfare il credito vantato dalla società (...) s.r.l. Nel corso del giudizio, espletati gli incombenti di cui all'art. 183 c.p.c., il Giudice, con ordinanza resa fuori udienza, del 23 ottobre 2020, ordinava al convenuto e alla terza (...) S.R.L. l'esibizione in giudizio, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., delle scritture contabili di detta società, disponendo contestualmente c.t.u. contabile "diretta a ricostruire e descrivere la situazione economico-patrimoniale della società (...) s.r.l. a partire dall'anno 2011; ad accertare e descrivere i debiti gravanti su di essa nel medesimo periodo e la loro sorte finale, accertando se il soddisfacimento dei creditori sociali, tenuto conto del credito maturato dall'attrice, sia stato effettuato nel rispetto dei principi regolatori della fase liquidatoria". Successivamente, acquisita la relazione peritale, il Giudice fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Infine, all'udienza del 20 ottobre 2022, il Giudice, sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, rimetteva la causa al Collegio per la decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Collegio che, alla luce delle acquisite risultanze processuali, le domande formulate dall'attrice siano meritevoli di accoglimento. Giova, in primo luogo, osservare che la società attrice ha agito in giudizio nei confronti del convenuto (...), amministratore unico e liquidatore della società (...) s.r.l., a norma degli artt. 2476 c. VI c.c., 2394, 2395, 2486, 2489, 2491, 2492 e 2495 cod. civ., nella veste di terzo creditore di quest'ultima per la complessiva somma di Euro 225.532,00, dovuta ad (...) s.r.l., in forza di sentenza definitiva resa dal Tribunale di Modena, a titolo di corrispettivo relativo alle forniture di gas effettuate nel periodo settembre 2010 - febbraio 2011, asserendo che il mancato soddisfacimento di detto credito, conseguente allo stato di incapienza patrimoniale della debitrice asseritamente, fosse stato illegittimamente provocato dal (...) mediante il compimento degli atti di mala gestio meglio descritti in premessa. Come noto, ai sensi del citato art. 2476 c. VI c.c., gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e la relativa azione di responsabilità può essere esperita dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Tale disposizione normativa, alla pari ed in analogia di quanto previsto dall'art. 2394 c.c. in materia di società per azioni (v., ad es. Trib. Milano 18/02/2013 n. 2300), attribuisce ai creditori sociali di s.r.l., quali soggetti terzi, la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori che, violando i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, hanno pregiudicato l'integrità ed il valore del patrimonio sociale, impendendo, in tal modo, il soddisfacimento della loro legittima pretesa creditoria (v. ad es. Cass. civ., Sez. I, 05/08/2008, n. 21131. La norma, in particolare, configura un'ipotesi speciale di responsabilità aquiliana che, secondo l'ordinario criterio di riparto dell'onere probatorio, addossa in capo ai creditori sociali che promuovono il giudizio di responsabilità l'onere di provare l'inosservanza da parte dell'amministratore degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale, che tali inadempimenti sono dovuti a dolo o colpa e, infine, che hanno provocato l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali. Una siffatta responsabilità, quindi, presuppone anzitutto il riscontro di un'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori che sia causalmente connessa all'inosservanza, da parte dell'amministratore, degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Ad analoga disciplina, inoltre, è soggetta la responsabilità del liquidatore a norma degli artt. 2489 e segg. c.c., che può essere fatta valere anche dai creditori rimasti insoddisfatti a seguito della cancellazione della società (v. art. 2495 c.c.). Ciò premesso, secondo la prospettazione difensiva di parte attrice, il mancato adempimento da parte di (...) s.r.l. del proprio debito verso l'odierna attrice (...) s.r.l. sarebbe dipeso, innanzitutto, dal fatto che il (...), nella veste di A.U. della società debitrice, avrebbe colposamente omesso di prevedere a bilancio un fondo adeguato al rischio derivante dal giudizio, all'epoca, pendente avanti al Tribunale di Modena, omettendo, sistematicamente, anche all'esito del suddetto giudizio, l'appostazione a bilancio dell'ormai conclamato debito. Sulla scorta delle acquisite emergenze istruttorie, gli addebiti mossi dall'attrice devono ritenersi, in parte, provati per tabulas e, comunque, non specificatamente contestati, e, in parte, riscontrati dagli esiti delle indagini e verifiche espletate dal CTU contabile. Ed invero, dalla documentazione versata in atti (v. bilanci di esercizio sub docc. 6-12 di parte attrice) emerge che il debito di (...) nei confronti di (...) per le forniture di gas effettuate nel periodo settembre 2010 - febbraio 2011, non era stato contabilizzato e che, inoltre, l'amministratore unico della società debitrice mai aveva predisposto un adeguato fondo rischi volto ad assicurare alla società le risorse necessarie a far fronte all'ipotesi, tutt'altro che remota, di positivo accertamento giudiziale del corrispondente debito verso (...) s.r.l., e ciò in spregio agli ordinari canoni di diligenza qualificata e di prudente amministrazione cui, per legge, deve conformarsi la condotta dell'organo gestorio. Il superiore assunto trova conferma anche nelle conclusioni cui è giunto il nominato CTU nella relazione peritale depositata in data 01/07/2021, all'esito di indagini condotte in modo assolutamente scrupoloso e nel pieno contraddittorio tecnico tra le parti, ed il cui contenuto, ampiamente argomentato, esaustivo ed immune da vizi logici, deve essere senz'altro condiviso. Infatti, il CTU (v. pag. 14 della relazione in atti) ha testualmente affermato che "dalla documentazione contabile esaminata versata in atti di causa, tale debito non risulta essere stato contabilizzato nelle scritture contabili della (...) Srl, né risulta stanziato un adeguato fondo rischi a fronte del menzionato debito inizialmente contestato". Inoltre, ulteriori argomenti di prova a sostegno della esperita azione di responsabilità possono anche desumersi, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 118 e 210 c.p.c., dalla ingiustificata inottemperanza da parte del convenuto all'ordine emesso dal Giudice, di esibizione della documentazione contabile di (...) s.r.l. dal 2011 al 2016. A tal proposito, come peraltro evidenziato dal CTU, deve ritenersi del tutto inverosimile che, in mancanza di significativi elementi di valutazione di segno contrario, la mancata disponibilità e, quindi, produzione in giudizio, della predetta documentazione sia stata provocata dalla allegata impossibilità di accedere alla sede della società debitrice a causa degli eventi sismici che, nell'anno 2012, avevano colpito la zona del modenese. Infatti, la società (...), nella persona del convenuto (...), ha approvato, nell'aprile 2016, il bilancio finale di liquidazione tenendo necessariamente conto della situazione economico-patrimoniale della società quale risultante dagli esercizi precedenti di cui, quindi, il convenuto non poteva non avere contezza se non attraverso la documentazione contabile oggetto di ordine di esibizione. A riprova di ciò, infatti, nella relazione di c.t.u. è stato rilevato come "i bilanci dal 2012 al 2016 (data di chiusura della liquidazione) della (...) Srl sono stati approvati nel giugno del 2016 e depositati al registro imprese. Per poter predisporre i bilanci necessariamente sono state aggiornate le scritture contabili in epoca successiva all'evento calamitoso dell'anno 2012 e pertanto tali scritture non dovrebbero essere presenti all'interno dell'immobile dichiarato inagibile e pertanto potevano/dovevano essere messe a disposizione del Tribunale e dei Consulenti". Inoltre, come anticipato, le predette omissioni gestorie, integranti gli estremi della dedotta mala gestio, non sono state nemmeno specificamente contestate dal convenuto, le cui argomentazioni difensive, sul punto, si sono esaurite nella mera negazione della riferibilità, sotto il profilo eziologico - causale, del mancato soddisfacimento del credito di (...) alla sua attività di amministratore e liquidatore della società debitrice. Secondo il convenuto, infatti, il mancato soddisfacimento di tale debito troverebbe giustificazione, ancora una volta, unicamente negli eventi sismici che, nell'anno 2012, hanno interessato la regione Emilia-Romagna e, in particolare, la zona del modenese in cui ha sede la società (...) s.r.l., determinando irrimediabilmente la totale inattività imprenditoriale a causa dell'inutilizzabilità dei locali aziendali e la conseguente irreperibilità delle risorse economiche per far fronte al credito maturato dall'attrice. Orbene, il superiore assunto, oltre che privo di adeguato riscontro sul piano causale, appare smentito dagli elementi di giudizio acquisiti in corso di causa, in base ai quali deve, invece, affermarsi che il mancato soddisfacimento del credito vantato dalla società (...) vada imputato allo stato di insufficienza patrimoniale della società debitrice provocata dagli atti di mala gestio posti in essere dal (...), quale amministratore, socio unico e liquidatore di quest'ultima. Infatti, come confermato dal CTU al termine delle indagini peritali demandategli dal Giudice, il convenuto, nella qualità sopra indicata, ha intenzionalmente occultato la predetta voce passiva omettendone l'appostazione nei bilanci di esercizio di competenza (v. ut supra) e, nella medesima veste, ha, invece, provveduto al pagamento di altri debiti sociali insorti in ragione dell'espletata attività d'impresa, anche successivamente al 2011, pretermettendo, così, in maniera costante e sistematica, quello assunto nei confronti dell'odierna attrice. Come si evince dalle scritture contabili della debitrice (...), infatti, a far data dal 2011 l'esposizione debitoria della società è progressivamente diminuita: nel 2012 la situazione debitoria della società è passata da Euro 905.083,00 a poco più di Euro 126.024,00 e, a distanza di soli due anni, con l'esercizio 2014, tutti i debiti sono stati pagati, eccezion fatta di quello verso (...). Anche nell'anno 2016, in cui il (...) ha assunto il ruolo di liquidatore della società, la situazione contabile ed il suo progressivo andamento, sono rimasti, in parte qua, sostanzialmente invariati. Tutto ciò premesso ed accertato, va ribadito che, secondo consolidato orientamento di legittimità, "sussiste la responsabilità personale illimitata (extracontrattuale) dell'ex liquidatore nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti qualora, dopo la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, il terzo leso nei propri diritti creditori verso la società estinta dimostri in giudizio la sussistenza del proprio credito, certo, liquido ed esigibile al tempo della liquidazione, il danno subìto per effetto del comportamento doloso/colposo dell'ex liquidatore che abbia omesso di effettuare una completa ricognizione dei crediti/debiti sociali esistenti al tempo della liquidazione, con conseguente omessa considerazione del credito che è stato pretermesso e/o nell'aver violato il principio della par condicio creditorum senza tenere in dovuto conto le legittime cause di prelazione oppure effettuando pagamenti preferenziali, nonché il nesso causale tra il danno lamentato e il comportamento doloso/colposo dell'ex liquidatore nei termini appena indicati; l'ex liquidatore chiamato in causa potrà fornire la prova liberatoria dimostrando che l'insussistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di massa attiva utile a soddisfare il creditore che lamenta la lesione del proprio diritto, non è dipesa da propri comportamenti omissivi/commissivi che abbiano cagionato la lesione della par condicio creditorum e/o pagamenti preferenziali e/o una incompleta ricognizione dei debiti/crediti sociali, di talché non potrà essere ritenuto personalmente responsabile verso il creditore sociale insoddisfatto" (cfr. Cassazione civile sez. III, 15/01/2020, n. 521). Nel caso di specie, dunque, la dedotta responsabilità del convenuto (...), nella duplice qualità in precedenza indicata (A.U., dapprima, e, successivamente, Liquidatore di (...)), trova chiaramente fondamento nel mancato riscontro di apposita iscrizione nel bilancio finale di liquidazione, dell'aprile 2016, del debito sociale maturato nei confronti di (...) e nella violazione, in sede di riduzione del passivo di bilancio, dapprima, e, successivamente, di ripartizione dell'attivo, dei principi generali, rispettivamente, di corretta e diligente amministrazione e di quelli che regolano la fase liquidatoria. In particolare, come rilevato dal CTU, nel periodo dicembre 2011 - aprile 2016, risultano progressivamente estinti crediti chirografari per complessivi Euro 826.650, mentre al 30 aprile 2016, residuava unicamente un'esposizione debitoria di Euro 58.927. Nel corso della fase liquidatoria, così come in precedenza, alcun importo è, invece, stato corrisposto dal (...) a favore di (...) a tacitazione, quantomeno parziale, della pretesa creditoria di quest'ultima. Ne consegue che, in assenza di elementi di giudizio comprovanti la sussistenza di atti di rinuncia o di transazione o, comunque, di cause estintive delle obbligazioni sociali diverse da pagamenti preferenziali, il cui onere probatorio gravava sull'amministratore, la progressiva e pressoché totale eliminazione del passivo contabilizzato da (...), fatta eccezione dell'esposizione debitoria verso (...), non può che essere ricondotta ad una scelta gestoria, libera e consapevole, del (...) che, in sede di ripartizione dell'attivo societario, ha deliberatamente destinato le risorse sociali alla soddisfazione di creditori diversi dall'odierna attrice, compromettendo, in tal modo, la realizzazione della legittima pretesa creditoria di quest'ultima. Quella tenuta dal convenuto, prima come amministratore e poi come liquidatore di (...), costituisce, quindi, una condotta caratterizzata dalla sistematica, ingiustificata ed intenzionale violazione dei doveri impostigli dalla legge e dallo statuto, nonché dei principi che governano la fase finale di liquidazione, e, in ragione di ciò, il (...) deve essere dichiarato responsabile e, per l'effetto, condannato al risarcimento del danno cagionato all'attrice da quantificarsi nell'importo corrispondente al credito rimasto insoluto di Euro 225.532,00. Trattandosi di obbligazione risarcitoria e, quindi, di debito di valore, l'importo sopra indicato deve essere rivalutato secondo gli indici ISTAT dalla domanda a quella della presente decisione (ud. di PC 20/10/2022). Inoltre, alla creditrice spetta l'ulteriore risarcimento del danno da ritardato pagamento del dovuto, da liquidarsi, in via equitativa, nella misura degli interessi di legge maturati, nel medesimo periodo, sulla somma come sopra progressivamente maturata. Sull'importo così complessivamente determinato, sono altresì dovuti gli ulteriori interessi di legge dalla decisione al saldo. Infine, le spese di lite seguono la soccombenza e, quindi, come da dispositivo, vanno liquidate a carico del convenuto ai sensi del DM n. 55/2014 e ss., secondo parametri tra i minimi e i medi dello scaglione di riferimento, individuato secondo il criterio del disputatum. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: DICHIARA la responsabilità del convenuto (...), ai sensi degli artt. 2476 c. VI e 2495 c.c., per gli atti di mala gestio descritti in motivazione in danno della società attrice, e, per l'effetto, CONDANNA il convenuto (...) al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, in favore di (...) S.R.L., della complessiva somma di Euro225.532,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge come riconosciuti in motivazione. CONDANNA il convenuto al rimborso, in favore della società attrice, delle spese di lite che liquida in Euro 11.000,00 per spese, comprensive di quelle relative all'espletata c.t.u., e Euro 18.250,00 per compenso di avvocato, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. se e come per legge. Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile - Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, il 10 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 29 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BOLOGNA SEZIONE II CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice Marco G.G.M. D'Orazi ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 10991/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) BOLOGNA presso il difensore avv. (...) ATTORE contro PATRONATO INCA - C.G.I.L. (C.F. 80131910582), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...) 80129 NAPOLI presso il difensore avv. (...) CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come alla udienza del giorno 19 gennaio 2023. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza. Pertanto, anche se non ritrascritte, tali conclusioni sono comunque parte di questa sentenza. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il giorno 16 settembre 2021, dopo rituale citazione, si costituiva in giudizio parte attrice, il signor (...). Con tale atto introduttivo, narrava che in data 20 gennaio 2020 il sig. (...) si rivolgeva al patronato INCA CGIL, sede di Casalecchio di Reno, per chiedere informazioni sulla propria posizione pensionistica. Al momento del conferimento dell'incarico, sottoscriveva un mandato di assistenza e rappresentanza e versava anche un contributo di 20,00 euro a titolo di iscrizione annuale. In data 26 febbraio 2020 il patronato (nel seguito anche: INCA CGIL o "il convenuto" o "la convenuta") comunicava al signor (...) l'ammontare della pensione che avrebbe ricevuto, distinguendo il regime pensionistico che il pensionando avrebbe potuto scegliere tra: "Quota 100" con decorrenza dal dicembre 2020 ed un valore lordo di euro 1.522,00 ed un netto di 1.215,00, detratta la tassazione diretta; "Anticipata Fornero" con decorrenza da aprile 2021 ed un valore loro di euro 1.567,00 ed un netto di 1.245,00, detratta la tassazione diretta. L'attore, viste le comunicazioni ricevute, nel medesimo giorno sceglieva il regime pensionistico denominato "Quota 100". Confermava la propria scelta con una mail, inviata appunto al patronato. Poiché il regime di "Quota 100" ha come onere quello di interrompere ogni attività lavorativa, il signor (...) chiudeva la propria attività, appunto con l'anno 2020. In data 22 gennaio 2021, il sig. (...) riceveva una lettera dall'INPS in cui veniva comunicato che la pensione netta erogata sarebbe stata di euro 925,50; quindi, ben 289,50 euro in meno rispetto al prospetto. A seguito di questa comunicazione, parte attrice contattava telefonicamente il patronato in cui denunciava l'errore commesso. Per tali motivi, il sig. (...) chiedeva il risarcimento del danno, quantificato nella misura di euro 106.820,68. Tale somma era stata ottenuta sommando quanto si aspettava sulla base dal calcolo del patronato, la durata media della vita così come calcolata nelle tabelle ISTAT ed il danno per il coniuge relativo alla quota della pensione di reversibilità; ipotizzando una sopravvivenza del coniuge, secondo le speranze di vita delle persone di sesso femminile. Il giorno 12 gennaio 2021 si costituiva in giudizio INCA CGIL per contestare in fatto ed in diritto le domande di parte attrice. Parte convenuta narrava che la rappresentazione dei fatti, così come presentati da parte attrice, non corrispondeva alla realtà; in quanto l'operatore rilasciava le informazioni sulla scorta dei dati forniti dal sig. (...). Inoltre, l'attore era stato edotto sul fatto che i calcoli operati dal patronato fossero meramente indicativi e che la pensione liquidata in via provvisoria poteva differire da quella definitiva in quanto il reddito autonomo del 2020 non era stato ancora comunicato al fisco. Parte convenuta sosteneva che il sig. (...) sceglieva di andare in pensione prima, non volendo attendere gli ulteriori tre mesi per l'accesso al trattamento pensionistico "Fornero" il quale gli avrebbe consentito anche di lavorare. Secondo INCA CGIL, il danno non sussisteva in quanto in ogni caso la differenza tra il trattamento "Quota 100" e quello "Fornero" era di circa 50 euro netti. Parte convenuta contestava l'aspettativa di vita così come calcolata da parte attrice con le tabelle Istat 2019 in quanto non aggiornate a quelle del 2020 a seguito del Covid19. Infine, si negava la voce del danno al coniuge a titolo di pensione di reversibilità in quanto il diritto sorge in forza della previsione di legge e della morte del lavoratore contribuente. Per tali motivi parte convenuta chiedeva: 1) In via principale, il rigetto di ogni domanda avversa; 2) Accertare e dichiarare il concorso creditore ex art. 1227 c.c. nella causazione del danno; 3) Vittoria sulle spese di lite. Tali, in sintesi, gli atti introduttivi delle due parti principali. Il giorno 13 gennaio 2022 il giudice dichiarava la contumacia del convenuto - erroneamente, per quanto subito in appresso - e concedeva i termini per le memorie 183 c.p.c.; rinviava ad altra udienza. Il medesimo giorno il giudice rilevava come parte convenuta si fosse costituita tardivamente rispetto al termine di legge e precisamente alla data del 12 gennaio 2022; per motivi tecnici, non era stata visionata la comparsa di costituzione alla udienza, comparsa di costituzione che sostanzialmente si era accavallata con l'udienza, pur se anteriore ad essa, come da datario ed orario di CONSOLLE. Per questo motivo, il giudice revocava l'ordinanza con cui aveva dichiarato la contumacia del convenuto (il convenuto era costituito in prima udienza). Il giorno 2 febbraio 2022, vista l'istanza di parte convenuta, il giudice fissava nuova prima udienza. Il giorno 24 febbraio 2022 rilevava come non ci fosse un interesse processuale di parte convenuta alla rinnovazione della prima udienza; concedeva nuovamente i termini per le memorie e dichiarava che alla precedente udienza parte convenuta non era assente. Il giorno 21 maggio 2022, il giudice proponeva un accordo conciliativo ed ammetteva le prove orali. Il giorno 23 giugno 2022 si assumevano le prove orali. Il giorno 14 novembre 2022 il giudice rinviava per la precisazione delle conclusioni. Il giorno 19 gennaio 2023 il giudice assegnava i termini di cui all'art. 190 e tratteneva la causa in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Sulla errata declaratoria di contumacia della convenuta La convenuta fu dichiarata contumace in prima udienza, essendosi costituita, pur fuori termine ex 166 c.p.c., prima della udienza. Il sistema CONSOLLE non ha però consentito di constatare tale costituzione. Sono dunque stati concessi i termini 183 c.p.c. ed immessa la parte convenuta in tutte le facoltà che le erano consentite in prima udienza. La dichiarazione di contumacia è stata revocata. In tal modo, la parte convenuta non ha visto alcuna menomazione dei propri diritti. Sul rapporto tra i soggetti in causa. Il contratto nella sua materialità Preliminarmente, va chiarito che il rapporto intercorrente tra il sig. (...) ed INCA CGIL è di tipo contrattuale. Si tratta del documento 2 di parte attrice, che viene qui prodotto con soltanto una sottoscrizione del (...) e non con due sottoscrizioni dello stesso (si riguardi il documento 2). Va peraltro rilevato come tale unica sottoscrizione (il modulo ne prevedeva due) non nuoccia alla validità ed efficacia del contratto: sia perché la sottoscrizione del (...) comunque è presente alla fine del documento; sia perché, come è noto, la produzione in giudizio vale come sottoscrizione (da parte del signor (...)). La sottoscrizione della parte convenuta è presente, accompagnata da timbro. Dunque, il contratto, con riferimento alla sua fisica materialità, è presente in atti, formalmente valido. SEGUE sul rapporto fra i soggetti in causa: Qualificazione Il contratto in questione è qualificato come mandato con assistenza e rappresentanza, nella testa del documento. E' espressamente richiamato il terzo comma dell'articolo 10 della legge 152 del 30 marzo 2001, norma in base alla quale: "gli istituti di patronato possono svolgere attività di consulenza e trasmissione telematica di dati in materia di assistenza e previdenza sociale". Tale facoltà - di solito riservata alle categorie dei professionisti delle categorie protette (avvocati; consulenti del lavoro) - ha una doppia veste. Da un canto, rientra nel mandato (che, nel caso degli avvocati del processo civile, li rende anche procuratori, dunque rappresentanti, della persona che difendono); d'altro canto, la prestazione ha anche un valore di prestazione d'opera, di tipo intellettuale. In relazione alla prima funzione, si tratta un rapporto di mandato con assistenza e rappresentanza quello che lega i due soggetti, così come appunto risultante dal documento sottoscritto allegato in atto di citazione (doc. n. 2 di parte attrice). Ne consegue che INCA CGIL si è assunta l'onere di svolgere, tramite il potere di rappresentanza, atti giuridici i cui effetti si sarebbero riversati direttamente nella sfera del mandante (il sig. (...)) e sono ad esso immediatamente riferibili. Tale specifico potere è oggi riconosciuto ai patronati, per la circostanza che le "porte di accesso" telematiche al sistema INPS sono riservate a categorie di professionisti o appunto ai patronati. Alla funzione di mandato con rappresentanza, che, come tale, già onera il mandatario di obblighi di diligenza (art. 1710 c.c.), si aggiunge una diligenza specifica; che rende questo contratto anche un contratto di assistenza, dunque una prestazione d'opera. Così, nella prestazione difensiva, si distingue fra il mandato a difendere dalla prestazione di assistenza legale, che il difensore svolge in favore del cliente. Tali due funzioni, in passato, erano infatti divise fra il procuratore (che appunto rappresenta) e l'avvocato (che soprattutto assiste, consiglia, dunque opera senza mandato ma pur sempre in contratto d'opera); così come ancora in alcuni ordinamenti, barrister e solicitor svolgono funzioni diverse. Nel caso del patronato, il contratto (oltre che la norma che specificamente autorizza tale attività) vede dunque un contenuto sì di rappresentanza ma, anche, di assistenza (come, sempre proseguendo nell'esempio, nella oggi unitaria figura dell'avvocato difensore). In un normale mandato, la diligenza richiesta è quella ordinaria; che si identifica con ciò che è lecito attendersi da qualunque soggetto con media avvedutezza e accortezza, sulla scorta di quanto stabilito dall'art. 1176 c.c. Nel caso di specie, il contratto di mandato è stipulato per far fronte a delle obbligazioni inerenti l'esercizio di un attività professionale, quella della "verifica e rettifica della posizione assicurativa"; così come dal documento contrattuale. INCA CGIL avrebbe dunque dovuto adempiere diligentemente alla propria obbligazione nei confronti della parte creditrice. Vero è che la seconda parte dell'art. 1710 c.c. prevede che, nel caso in cui il mandatario non riceva un compenso per la propria opera, la responsabilità per colpa viene valutata con minor rigore; tuttavia, una volta accertata la responsabilità del mandatario egli è comunque tenuto a risarcire il danno. Infine, proprio la normativa che ha autorizzato i patronati ad operare anche ad assistenza, evidentemente li ha onerati anche di questo specifico dovere di diligenza, di tipo informativo e consulenziale; questo può dirsi in generale (e, dunque, ai sensi dell'articolo 1374 c.c.), appunto perché tale obbligazione è prevista dalla legge come contenuto del contratto disciplinato appunto dalla legge 152 del 30 marzo 2001; ma, a maggior ragione, in questo caso, nel quale la norma è specificamente menzionata. Infatti, dal testo dell'art. 1 della legge n. 152 del 2001 si evince che è riconosciuta agli istituti di patronato e di assistenza sociale (come INCA CGIL) la qualifica di persone giuridiche di diritto privato che svolgono un ruolo di pubblica utilità, in quanto i suoi servizi sono tutti volti a fornire assistenza, consulenza. Tale dunque il contenuto del contratto e la obbligazione della parte convenuta, come sagomata dal contratto stesso. Delineata la quale, occorre ora verificare se tale obbligazione di facere diligenter sia stata rispettata. La risposta, come nella successiva sezione di motivazione, è negativa. Come da successive sezioni di motivazione, occorre allora verificare: a) Se le informazioni siano state corrette; o, alla corta, se vi sia stato inadempimento. Su ciò la prossima sezione di motivazione; come anticipato, la obbligazione è rimasta inadempiuta. b) Se l'inadempimento sia stato causa del danno, di cui si lamenta il (...). c) Se vi sia un concorso di colpa dello stesso, ai sensi del primo o del secondo comma dell'articolo 1227 c.c., nel qual caso verrebbe integralmente meno il risarcimento, ovvero ridotto (nel caso del primo comma dell'articolo 1227 c.c.). d) Infine, la quantificazione del danno subito. L'inadempimento Sussiste. Va premesso come parte convenuta abbia sostenuto una tesi - di non agevole comprensione - per cui nel caso di specie si sarebbe in presenza di una obbligazione negativa; da ciò una inversione dell'onere della prova. Non si comprende come la obbligazione di INCA CGIL possa esser qualificata come negativa; tali sono le obbligazioni che hanno ad oggetto un non facere oppure la tolleranza di un comportamento altrui (e quindi comunque un non facere). Nella propria comparsa conclusionale, parte convenuta adduce che, essendo la propria obbligazione negativa, la prova dell'inadempimento sarebbe dovuta ricadere su parte attrice. Così, all'evidenza, non è. La obbligazione della convenuta era quella, positiva, di fornire informazioni affidabili, nell'ambito della propria competenza (appunto come nella precedente sezione di motivazione), procedendo poi ai compiti nascenti dal mandato (invio telematico della domanda di pensione). Il corretto onere della prova è dunque il seguente: il (...) deve provare il contratto, fonte della obbligazione; la parte convenuta deve provare l'adempimento. Il (...) si duole in particolare della imprecisa informazione ricevuta. Rispetto a tale obbligazione, la parte convenuta è inadempiente. La domanda di parte attrice per il risarcimento del danno ingenerato dall'affidamento sulle false informazioni fornite circa la maturazione di un determinato quantum pensionistico, dunque, è fondata. La responsabilità risarcitoria per i danni causati all'assicurato è dovuta alla condotta contraria al dovere di fornire informazioni esatte circa la propria posizione contributiva, affinché l'iscritto possa assumere decisioni ponderate circa il proprio futuro. Si configura quindi una responsabilità contrattuale che deriva dalla violazione dell'obbligo di una corretta informazione. Sul punto, la parte convenuta si è difesa genericamente; nel senso di affermare che comunque la scelta di andare in pensione fu del (...). Tale difesa, ai limiti della temerarietà, può essere interpretata in due modi, in ragione appunto della sua genericità: o nel senso di affermare che si trattava di una obbligazione non giuridica; ovvero, nel senso di affermare che vi fu un concorso di colpa del (...) (che non ascoltò i consigli della convenuta). Nel primo senso, evidentemente, la difesa non è sostenibile. Non si è trattato del consiglio di un amico; di un fatto di cortesia. Si è in presenza di una obbligazione nascente dal contratto; assunta da un soggetto qualificato, cui l'ordinamento assegna una funzione riservata, per legge. Dire dunque che solo l'INPS determina la corretta pensione è esatto; non era infatti compito della convenuta liquidare e pagare la pensione; obbligazione della convenuta era quello di indicare quale fosse la corretta pensione percipienda. Evidente l'inadempimento a tale obbligazione. Anche in un contesto in cui la diligenza può esser valutata con minor rigore, per la sua gratuità, si è in presenza di un fatto non contestato, con un errore di calcolo della pensione futura non indifferente; in un contesto di una scelta esistenziale definitiva, con ricadute economiche per tutta la vita. Anche ad attenuare il rigore della diligenza dovuta, vi è dunque inadempimento. Se invece si intende che vi fu un concorso di colpa, anche in tal senso la difesa è in fondata; come da una successiva sezione di motivazione. Sul nesso di causalità Sussiste. A differenza che in relazione all'inadempimento - sul cui onere della prova si è già detto sopra, non essendo fondata la ricostruzione in termini di obbligazione negativa; l'onere della prova dell'avere svolto la prestazione in modo diligente è in capo alla convenuta - il nesso causale, rispetto al danno, deve essere provato dal signor (...). Occorre cioè provare che, dall'inadempimento di parte convenuta (su cui alla precedente sezione di motivazione), è disceso un danno, che del primo sia conseguenza (1223 c.c.). La prova è raggiunta. Naturalmente, in relazione a tale profilo, occorre operare con dei contro-fattuali, che vengono valutati con la regola del "più probabile che non". Occorre dunque chiedersi se, nel caso di consulenza svolta diligenter (cioè con una informazione che avesse indicato una minor pensione con il "Quota 100"), allora il signor (...) avrebbe continuato a lavorare, fino al raggiungimento della c.d. "Fornero". La risposta è affermativa. Dunque, il minor reddito, il reddito perduto dal (...) (e consistente nella differenza fra il reddito netto di "Fornero anticipata" e quello "Quota 100") è causato dalla negligente attività consulenziale e di assistenza della parte convenuta, che ha indotto il (...) alla scelta, pregiudizievole dal punto di vista economico. Come detto, in questo caso il contro-fattuale non è basato su leggi scientifiche; in pratica, si tratta di chiedersi "cosa avrebbe fatto il (...), se ben informato"; valutazione che, legata appunto a decisioni dell'attore, non è basata su leggi scientifiche. Con questa precisazione, è ragionevole pensare che il (...), secondo un criterio di "più probabile che non", avrebbe atteso i pochi mesi che lo separavano dalla più pingue "Fornero anticipata". Infatti, si rileva come la differenza fra la pensione "Fornero" che fu prospettata e quella con la uscita anticipata "Quota 100" era minima; dunque, tale minima differenza è stata all'evidenza un fattore determinante - ripetesi, con le difficoltà di individuare tale contro-fattuali rispetto a profili psicologici - nella decisione del signor (...). Il quale, se avesse saputo della importante decurtazione di reddito - che INCA CGIL non fu in grado di indicare con precisione, errando grossolanamente nella determinazione del reddito atteso nelle due ipotesi - avrebbe atteso il breve periodo che lo separava dalla "Fornero". Non è contestabile che una differenza di circa 290,00 euro netti tra quanto prospettato e quanto effettivamente percepito su una somma che si aggira intorno ai 1.300,00 euro faccia la sua differenza. Ciò soprattutto perché, per ottenere la pensione anticipata "Fornero", l'attore avrebbe dovuto attendere pochi mesi. Parte attrice ha fatto incolpevolmente affidamento su quanto preventivato da parte convenuta INCA CGIL. Fu dunque la opinione - colpevolmente ingenerata dalla parte convenuta - che fra i due regimi non vi era differenza di reddito che lo indusse ad anticipare di pochissime settimane la pensione. Se avesse saputo che la decurtazione era sì grande - con l'ulteriore vincolo di non poter lavorare con il regime "Quota 100" - non sarebbe andato in pensione. Il che, come si vede, integra il nesso causale, attraverso tale contro-fattuale, sia pure ipotetico e, tuttavia, saldamente fondato su considerazioni basate su massime di esperienza. Del possibile concorso di colpa. La difesa di parte attrice circa le errate informazioni date dal sig. (...) per il calcolo della propria pensione - profilo che parte convenuta intende ricondurre all'articolo 1227 c.c. - è infondata. Infatti, parte convenuta non ha dimostrato in alcun modo che le informazioni fornite dal sig. (...) fossero errate o approssimative. Non vi è dunque prova di tale fatto estintivo o modificativo (nel senso della riduzione del risarcimento). In ogni caso, anche se tale fosse stata la vicenda, la cosa non sarebbe in grado di escludere la responsabilità della parte convenuta. Non è ragionevole ammettere che il solo fatto che i documenti relativi all'anno fiscale 2020 non fossero disponibili al momento della domanda di pensionamento abbia comportato una così ingente differenza tra quanto preventivato a titolo di pensione e quanto poi effettivamente percepito dal sig. (...). In ogni caso, la tesi difensiva sostenuta da INCA CGIL non può dirsi idonea ad esonerare da responsabilità la convenuta; la quale avrebbe dovuto compiere in ogni caso una verifica in ordine alla conformità tra quanto dichiarato e le risultanze della documentazione in possesso del cliente. Si tenga presente che il c.d. cassetto previdenziale consente oggi una analisi della posizione previdenziale del soggetto. Se, infine, i versamenti contributivi dell'anno 2020 fossero stati in effetti decisivi, sarebbe stato dovere della parte convenuta attendere eventualmente l'esito di tale accertamento. La parte convenuta sembra sostenere un concorso di colpa del (...), anche in relazione alla possibile riduzione del danno; cioè ai sensi del primo comma dell'articolo 1227 c.c. Non sussiste nemmeno sotto questo aspetto. Si è infatti in presenza proprio di una asimmetria informativa, che è il proprium del contratto. Infatti, una parte, la convenuta, doveva dare assistenza; l'altra parte, l'attore, doveva riceverla. Una parte, anche per disposizioni di legge, è autorizzata a dare assistenza e deve attrezzarsi in tal senso; l'altra parte riceve tale assistenza. E' come se, in una prestazione medica, il medico affermasse che il paziente non ha studiato a sufficienza il caso; oppure non siano presenti tutti gli esami clinici. Non è compito del paziente, così come non era compito del (...), individuare le norme ed il possibile esito della propria domanda di pensione; ovvero valutare la necessità di un supplemento di documentazione. Fu male informato, male assistito; tale profilo non comporta alcuna sua colpa, nemmeno a riduzione del danno. Di una possibile diversa prova liberatoria. Non sussiste INCA CGIL avrebbe potuto evitare il risarcimento provando che l'errore fosse dovuto ad una causa esterna alla sua sfera di controllo, secondo la rigorosa regola dell'articolo 1218 c.c.. Non vi è prova che vi sia stata una forza maggiore - peraltro nemmeno allegata, poiché non vi è altro, se non appunto questa generica affermazione sull'anno 2020 e che il (...) "ha deciso lui di andare in pensione" - forza maggiore in grado di precludere l'esatto adempimento di parte conventa. L'"an". Conclusioni Si è individuato il contratto nella sua materialità (sezione: Sul rapporto tra i soggetti in causa. Il contratto nella sua materialità). Individuato il contratto nella sua materialità, si è allora affrontato l'oggetto del contratto ed il contenuto della prestazione che poteva essere richiesta alla INCA CGIL (sezione: SEGUE sul rapporto fra i soggetti in causa. Qualificazione). Tale il contratto nella sua analisi, per così dire, statica; o, se si vuole, anteriore alla esecuzione del contratto stesso. Si è poi verificato se, in sede di esecuzione, vi fosse stato adempimento alla prestazione tipica del contratto, con risposta negativa (sezione di motivazione: L'inadempimento). In tale sezione, si è escluso che vi sia una inversione dell'onere della prova, che resta sempre in capo al debitore (nel caso, debitore della prestazione di facere diligenter, cioè la convenuta). E' però onere dell'attore provare che, da tale inadempimento, sia derivato il danno di cui lamenta. La prova è raggiunta, come nella sezione: Sul nesso di causalità. Poiché le difese della convenuta sembrano invocare l'articolo 1227 c.c., si è anche affrontata tale possibilità, per escluderla, sia nel prisma del primo sia nel prisma del secondo comma (sezione: Del possibile concorso di colpa). Sarebbe spettato a parte convenuta - oltre al concorso di colpa, non sussistente - indicare una prova liberatoria, ai sensi dell'articolo 1218 c.c. e con il rigore di tale regula iuris. Non sembra che vi sia allegazione in tal senso. In ogni caso, tale aspetto è stato esplorato nella sezione: Di una possibile diversa prova liberatoria. Non sussiste. Dunque - in presenza di una assoluta evidenza dell'an debeatur - può transitarsi alla analisi del quantum debeatur. "Quantum debeatur". Si da atto che nel corso del giudizio il sig. (...) ha rinunciato alla parte del risarcimento richiesto a titolo di pensione di reversibilità per la moglie per il caso della di lui morte. Pertanto, la cifra richiesta per il risarcimento è solo personale ed ammonta ad euro 73.091,98, come infine precisata foglio di PC. Tale somma è una ragionevole base di calcolo per la liquidazione. Va premesso che, trattandosi di danno, è inevitabile il ricorso al criterio equitativo. Criterio equitativo che non può essere scelta arbitraria e capricciosa del giudice ma basato su criteri ragionevoli. I criteri di calcolo del risarcimento, proposti da parte attrice, sono ragionevoli. Tali criteri tengono conto della differenza tra quanto il sig. (...) avrebbe percepito secondo il calcolo errato e quanto effettivamente liquidato dall'INPS. Infine, il risultato ottenuto è stato moltiplicato secondo l'aspettativa di vita calcolata nelle tabelle ISTAT. Non vi è contestazione sulla differenza pensionistica. La parte convenuta ha contestato la speranza di vita media, poiché non si è tenuto conto del calo di speranza di vita dell'anno 2020. Tale difesa della convenuta è infondata; infatti, l'anno 2020 è un caso particolare e, si spera, il calo di aspettativa di vita media di quell'anno non sarà replicato e resterà isolato. E' poi ragionevole pensare che, se il sig. (...) avesse avuto il corretto calcolo avrebbe optato per il regime pensionistico "Fornero", il quale gli avrebbe permesso di continuare a lavorare. Infatti, con il suo lavoro di artigiano egli afferma che avrebbe potuto guadagnare la somma di circa 400,00 euro mensili per integrare la pensione così come liquidata dall'INPS, somma a sua volta plausibile per notorio; si rammenta come il sistema "Fornero" gli avrebbe consentito di continuare a lavorare. Ad avviso di questo giudice, la somma in questione - per la quota di reddito supplementare - può essere tuttavia ridotta; infatti, il (...) fu ben informato che con "Quota 100" non avrebbe potuto lavorare e, dunque, su questo anche la informazione non è stata così determinante. Alla corta: il (...) già aveva messo in conto di smettere di lavorare. E' neutro il fatto che la somma venga liquidata anticipatamente. Infatti, da un canto ciò è un vantaggio per il (...), che prende ora quello che avrebbe preso negli anni futuri (plus dat qui cito dat). Peraltro, occorre tenere conto del fatto che i ratei di pensione futuri ben potrebbero essere maggiori di quelli attuali. La scelta di ancorare il calcolo alla durata media è ragionevole, come detto. Ciò, nonostante si tratti di un dato aleatorio; se il (...) vivrà a lungo, la somma qui liquidata è inferiore alla capitalizzazione; se vivrà meno della media, riceve oggi più di quanto avrebbe ricevuto con la somma dei ratei di pensione. Va poi calcolato il tasso di interesse di cui all'articolo 1284, penultimo comma, c.c. fino alla liquidazione della somma, per una corretta liquidazione al momento della pubblicazione della sentenza. Tale tasso di interesse è, per così dire, inglobato nella somma liquidata. Di alcune irregolarità processuali di cui vi è doglianza La parte attrice si è lamentata di un contenuto non conforme a quello tipico di una delle memorie finali avversarie. La parte convenuta ha replicato. L'esito pratico è che, invece di due memorie (conclusionali e repliche) si leggono tre atti finali. La irrilevanza delle doglianze hinc inde è evidente. La parità delle armi è stata comunque assicurata. Spese processuali Le spese processuali sostenute dall'attore, liquidate come da dispositivo vanno poste a carico di parte convenuta. Le spese infatti secondo il criterio dell'art. 91 c.p.c. seguono la soccombenza. Essendo quinti totalmente soccombente il patronato INCA CGIL verranno poste a suo carico le spese. Non può sanzionarsi la mancata adesione alla conciliazione. Si è infatti in presenza di una scelta negoziale libera. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa che reca numero 10991/2021; ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1. ACCOGLIE LA DOMANDA ATTOREA 2. CONDANNA LA PARTE CONVENUTA PATRONATO INCA - C.G.I.L. al risarcimento del danno subito dal sig. (...) che si quantifica in euro 71.000,00, somma come liquidata al momento della pubblicazione di questa sentenza. 3. DISPONE che su tale somma corrano gli interessi di cui all'articolo 1284, penultimo comma, c.c., correnti dalla pubblicazione della sentenza al saldo. 4. CONDANNA PATRONATO INCA - C.G.I.L.al pagamento delle spese legali che si quantificano in euro 14.500,00 per compensi, oltre il 15% della somma che immediatamente precede per spese generali (cioè euro 2.175,00); euro 823,23 per anticipazioni (come da richiesta/nota spese). Infine, IVA e c.p.a. come per legge, se ed in quanto dovute. 5. SI PUBBLICHI. Sì deciso in Bologna nella residenza del Tribunale alla via Farini numero 1, il giorno 22 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: Dott.ssa Paola Matteucci Presidente Dott.ssa Carolina Gentili Giudice Dott.ssa Daniela Nunno Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6610/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bologna, Via (...) nei confronti di: (...) S.N.C. (...) in persona del legale rapp.te pro tempore (C.F. (...)) (...) in persona del legale rapp.te pro tempore (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) (...) (C.F. (...)) tutti con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Bologna, Via (...) e con la chiamata in causa di: (...) S.A. in persona del legale rapp.te pro tempore (C.F. e partita IVA (...)) con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ravenna, Via (...) CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come segue: (...): "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, per tutti i motivi di cui in atti, e per ogni ulteriore ragione negoziale o di legge, e/o come meglio, e disattesa ogni contraria istanza, eccezione e domanda avversaria, nel merito, in via principale: - accertare e dichiarare il diritto dell'avvocato (...) a ricevere il pagamento dell'attività professionale prestata; e, per l'effetto, - condannare al pagamento dell'importo di 35.193,50 euro a titolo di compensi professionali, oltre che di 6.585,61 euro a titolo di relativa ritenuta d'acconto, i seguenti soggetti - tutti in solido tra loro - 1. Società "(...) s.n.c. (...)", in persona del suo legale rappresentante pro tempore; 2. (...), in proprio e quale socio illimitatamente responsabile della predetta (...) s.n.c.; 3. (...), in proprio e quale socio illimitatamente responsabile della predetta (...) s.n.c.; 4. (...), in proprio e quale socio illimitatamente responsabile della predetta (...) s.n.c.; 5. per lo stesso titolo - ma in questo caso limitatamente al minore importo di 27.177,50 euro per compensi professionali, oltre che di 5.085,61 euro a titolo di ritenuta d'acconto - Società "(...)", in persona del suo legale rappresentante pro tempore (unitamente alla già citata (...), non soltanto per le ragioni di cui sopra, ma anche quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della (...) s.a.s., oltre che personalmente e quale socio della cessata (...) S.r.l.); ovvero comunque al pagamento di quella diversa minore o maggior somma che Codesto Ill.mo Giudice riterrà di giustizia, nella misura che risulterà provata in corso di procedimento e/o che verrà equitativamente valutata dal Giudice; - il tutto oltre interessi dalla data della condanna e sino all'effettivo soddisfo; - con integrale rigetto di ogni domanda, anche in via riconvenzionale, delle Controparti, in quanto totalmente infondata, in fatto ed in diritto; e inoltre - anche in via di reconventio reconventionis - - con condanna di dette Controparti - sempre in solido tra loro - al pagamento della differenza di premio che dovesse essere richiesta dalla Compagnia Assicuratrice per effetto della chiamata in causa di essa Compagnia Assicuratrice da parte dell'Avv. (...) nel presente Giudizio; - nella sola denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande formulate dalle Controparti, e - in tal caso - nella sola denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento, anche solo parziale, della domanda di copertura, garanzia e manleva dello Scrivente (di cui appresso e che lo Scrivente ribadisce nei confronti della Compagnia Assicuratrice): con dichiarazione di compensazione tra i rispettivi eventuali crediti; nonché in considerazione della già autorizzata chiamata in causa della terza Compagnia Assicuratrice della responsabilità professionale, Società "(...) s.a." - nella sola denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande formulate dalle Controparti (le Società (...) s.n.c. e (...) s.a.s. ed i Signori (...)) nei confronti dell'avvocato (...), e comunque ferma la richiesta di integrale rigetto di dette domande delle Controparti -: - accertare e dichiarare detta Compagnia Assicuratrice tenuta a garantire, sollevare, manlevare e tenere comunque indenne l'avvocato (...), e, per l'effetto, - condannare essa Compagnia Assicuratrice a pagare, anche direttamente alle Controparti, tutto quanto l'assicurato avvocato (...) dovesse essere chiamato a risarcire e corrispondere alle Controparti a titolo di responsabilità professionale e/o ad altro titolo comunque sotto copertura di polizza di assicurazione. Con vittoria di spese di lite, in danno di tutte le altre Parti del presente Giudizio, solidalmente tra di loro". (...) S.N.C. (...), (...), (...), (...), (...): "affinché il Tribunale adito voglia 1)- rigettare le domande proposte dall'Avv. (...), per tutte le ragioni ed eccezioni esposte nella presente comparsa e perché in ogni caso nulla è dovuto dalla (...) S.n.c. di (...) e i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...) al predetto professionista, stante l'inadempimento di quest'ultimo nell'incarico professionale affidatogli per cui reclama il pagamento del compenso: 3)- in via riconvenzionale, e previo accertamento della responsabilità professionale del predetto avvocato nello svolgimento dell'incarico a lui affidato da (...) (...), condannare l'Avv. (...) e la terza chiamata (...) S.A. ove riconosciuta responsabile in forza del legame contrattuale con il ricorrente Avv. (...), a rimborsare alla predetta società e ai soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...) la somma alla quale questi sono stati condannati con le sentenze n. 3368/2011 del Tribunale di Bologna e n. 2582/2020 della Corte di Appello di Bologna, e in ogni caso condannare il ricorrente e la terza chiamata nei limiti predetti a tenere indenne e a manlevare i comparenti dalle pretese di (...) Spa fondate sulle indicate sentenze di condanna, e/o condannare il predetto Avv. (...) e la terza chiamata nei imiti predetti a rimborsare ai comparenti (...) S.n.c. e i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...) di tutte le somme che questi dovessero versare in esecuzione delle predette sentenza n. 3368/2011 del Tribunale di Bologna e n. 2582/2020 della Corte di Appello di Bologna; 4)- in via gradata e nell'ipotesi in cui risultasse dovuto un compenso per le prestazioni svolte dall'Avv. (...), previo accertamento della loro esatta quantificazione in base ai giusti parametri, compensare tale asserito credito con il credito risarcitorio vantato dai comparenti nei confronti del professionista, per le ragioni indicate nella presente memoria nell'importo indicato oltre spese di registrazione, salvo diversa quantificazione da parte del Tribunale e condannando l'Avv. (...) al pagamento della differenza in favore dei comparenti, quale risultante dalla compensazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, 5)- con vittoria di spese diritti ed onorari del procedimento". (...) S.A: "Piaccia a codesto Ill.mo Tribunale, contrariis rejectis, previe le opportune pronunce e declaratorie: - in via principale, nel merito: rigettare le domande svolte da (...) S.n.c. di (...), i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...), la (...) s.a.s. di (...) e la (...) in proprio e quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della (...) nei confronti dell'Avv. (...), poiché del tutto infondate in fatto e in diritto, nonché sfornite di prova e, per l'effetto, accertare e dichiarare l'inammissibilità della domanda di manlevaproposta dall'Avv. (...) nei confronti di (...) S.A. con riferimento al rischio assunto con il certificato n. GT0C066902P-LB, con conseguente estromissione dello stesso Assicuratore dal giudizio de quo e, in ogni caso, accertare e dichiarare l'infondatezza di qualsivoglia domanda avanzata nei suoi confronti, così assolvendo la stessa (...) S.A. con riferimento al rischio assunto con il certificato n. GT0C066902P-LB da ogni domanda e pretesa da chiunque formulata; - sempre in via principale, nel merito: nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande svolte da (...) S.n.c. di (...), i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...), la (...) s.a.s. di (...) e la (...) in proprio e quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della (...) nei confronti dell'Avv. (...), accertare e dichiarare l'inoperatività della Polizza n. GT0C066902P-LB per fatti dolosi e, comunque, per tutti i motivi meglio esposti in narrativa e/o per le cause di esclusione di copertura espressamente richiamate nel corpo del presente atto e, per l'effetto, assolvere (...) S.A. con riferimento al rischio assunto con il certificato n. GT0C066902P-LB dalla domanda avverso la stessa proposte dall'Avv. (...); - in via subordinata, sempre nel merito: nella denegata e non creduta ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande svolte da (...) S.n.c. di (...), i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...), la (...) s.a.s. di (...) e la (...) in proprio e quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della (...) nei confronti dell'Avv. (...) e di ritenuta operatività della Polizza, contenere l'obbligazione di manleva di (...) S.A. con riferimento al rischio assunto con il certificato n. GT0C066902P-LB (i) nei limiti della quota di responsabilità direttamente imputabile all'Avv. (...) (ii) in ragione del massimale, dedotta la franchigia e delle limitazioni di Polizza, (iii) previa decurtazione di qualsivoglia somma a carico di eventuali altre assicurazioni stipulate dall'Avv. (...) per lo stesso rischio ovvero, in subordine, con ripartizione proporzionale, anche ai fini del regresso, delle indennità dovute secondo i rispettivi contratti ex art. 1910, comma 4, c.c.; - in ogni caso: con vittoria di spese e compensi di avvocato, oltre accessori di legge, ivi inclusi IVA, CPA e rimborso spese generali nella misura del 15%". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione A) Con ricorso ai sensi degli artt. 702 bis c.p.c. e 14 D.Lgs. 150/2011, depositato il 21.5.2021 e ritualmente notificato, l'Avv. (...) chiedeva la condanna, in solido tra loro, della società (...) S.n.c. di (...), dei soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...), di (...) s.a.s. di (...), nonché della citata (...) anche quale socio accomandatario illimitatamente responsabile della (...) s.a.s. di (...), al pagamento del compenso per le prestazioni d'opera professionale svolte per assistenza giudiziale nei due gradi di giudizio (il giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Bologna rubricato al n. 10951/03 R.G. e il giudizio di appello dinanzi alla Corte di Appello di Bologna rubricato al n. 1280/12 R.G.), aventi ad oggetto le pretese creditorie, avanzate nei confronti degli odierni convenuti, derivanti da contratti di vendita stipulati con (...); vicenda conclusasi con sentenze di condanna dei convenuti in entrambi i gradi di giudizio. A sostegno delle spiegate domande, il professionista premetteva di avere eseguito la prestazione d'opera professionale de qua, consistita, in estrema sintesi, nello studio della controversia, consultazioni con i clienti, gestione, predisposizione e deposito degli atti relativi alla fase introduttiva, alla fase istruttoria (anche per l'appello) e alla fase decisionale sia di primo grado di giudizio che di secondo grado di giudizio, partecipando personalmente o tramite delegati alle relative udienze. Produceva documentazione comprovante l'attività svolta nei due gradi di giudizio. Lo stesso lamentava di aver sollecitato invano in più occasioni i resistenti al pagamento del compenso per l'assistenza professionale prestata. Privo di riscontro era altresì rimasto l'inoltro della nota pro forma del 6 giugno 2019, per un importo netto di Euro 8.016,00 intestata alla (...) s.n.c. e della nota pro forma del 4 novembre 2020, intestata sia alla (...) sia alla (...) s.a.s., per un importo netto di Euro 27.177,50; somme che non venivano mai corrisposte al ricorrente. Concludeva insistendo per l'accertamento della pretesa creditoria e la condanna al pagamento dell'importo totale di Euro 35.193,50 a titolo di compensi professionali, oltre che di Euro 6.585,61 a titolo di ritenuta d'acconto, nei confronti di (...) S.n.c. di (...), (...), (...) e (...), ciascuno in proprio e quale socio illimitatamente responsabile della predetta (...) S.n.c. di (...); nonché per lo stesso titolo, ma limitatamente al minore importo di Euro 27.177,50 per compensi professionali, oltre che di Euro 5.085,61 a titolo di ritenuta d'acconto nei confronti di (...) s.a.s. di (...) e la già citata (...), in qualità di socio accomandatario illimitatamente responsabile di quest'ultima società; parti, queste ultime, costituitesi per la riassunzione in appello del giudizio interrotto a seguito dell'estinzione della società (...) s.r.l.. Nel giudizio così radicato, si costituivano i resistenti sollevando, in via preliminare, eccezione di inammissibilità della domanda per mancato invito alla negoziazione assistita; nel merito contestavano il quantum richiesto dal professionista a titolo di compenso, deducendo l'assenza dell'elaborazione di una parcella che consentisse di individuare i criteri di liquidazione del compenso e inoltre contestavano l'ammontare richiesto, ritenendo necessario procedere ad una decurtazione del compenso alla luce degli esiti dei due gradi di giudizio. In ogni caso, i resistenti si opponevano alla domanda, sollevando eccezione di inadempimento e proponevano altresì domanda riconvenzionale, con la quale reclamavano il risarcimento dei danni subiti a causa dell'inadempimento diligente del professionista in occasione dell'assistenza prestata. In particolare, secondo la prospettazione dei convenuti, il professionista, nel suindicato giudizio di primo grado per il quale era stato nominato difensore, non aveva sollevato l'eccezione di difetto di legittimazione passiva della (...) S.n.c. di (...), erroneamente citata in giudizio dalla (...), così cagionando l'ingiusta condanna della stessa, con conseguente responsabilità anche dei soci illimitatamente responsabili. Da tale negligente adempimento del mandato professionale da parte dell'Avv. (...), era derivata - in tesi - un'ingiusta condanna anche a carico della suddetta società, al risarcimento di Euro 399.235,90; la stessa somma ora richiesta a titolo di risarcimento del danno nei confronti dell'attore. Ciò posto, i convenuti insistevano nell'accoglimento delle conclusioni nei termini riportati in premessa. A seguito delle difese articolate dai resistenti, il ricorrente chiedeva l'autorizzazione a chiamare in causa la propria Compagnia assicurativa perché fosse manlevato dalla stessa nel caso di accoglimento delle pretese avversarie. Chiedeva inoltre, in via di reconventio reconventionis, che la controparte fosse condannata altresì a pagare la differenza di premio eventualmente richiesta dalla Compagnia per effetto della chiamata in causa nel presente Giudizio. Con ordinanza in data 5 novembre 2021 il Tribunale, in composizione collegiale, disponeva il mutamento del rito in ragione delle difese svolte dalle parti e autorizzava la chiamata in causa della Compagnia assicuratrice della responsabilità professionale avanzata dal ricorrente. Si costituiva in giudizio la terza chiamata (...) S.A., contestando la sussistenza di idonea copertura assicurativa di parte attrice; nel merito chiedeva il rigetto di ogni domanda di controparte, in quanto non provata nei fatti e infondata in diritto. L'istruttoria si svolgeva con la produzione di corposa documentazione e all'esito della stessa, all'udienza del 10.11.2022 la causa veniva posta in decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. nell'estensione massima. B) La domanda del ricorrente va accolta per quanto di ragione, mentre devono ritenersi infondate le doglianze/eccezioni/domande dei convenuti con conseguente rigetto delle eccezioni sollevate e della domanda riconvenzionale. 1. Eccezione di improcedibilità dell'azione per mancato invito alla negoziazione assistita. L'eccezione sollevata dai convenuti non merita accoglimento. Sul punto vale ribadire quanto già espresso dal Tribunale nel provvedimento del 5.11.2021 in ordine alla esclusione, ad opera dell'art. 3, comma 7, D.L. 132/2014 conv. l. 162/2014, dal novero delle controversie in cui la negoziazione è condizione di procedibilità, di quelle in cui la parte può stare in giudizio personalmente (come appunto nelle controversie in materia di liquidazione dei compensi degli avvocati ex art. 14 D.Lgs. 150/2011, comma 3). 2. Eccezione di inadempimento e domanda riconvenzionale di parte convenuta. Le difese articolate dai convenuti impongono di sovvertire l'ordine di trattazione delle questioni proposte e di cominciare ad analizzare le argomentazioni poste a fondamento della sollevata eccezione di inadempimento, potendo essere le stesse in astratto idonee ad incidere, paralizzandola, sulla domanda di parte attrice. I convenuti sostengono che nulla spetta all'attore a titolo di compenso, potendosi ravvisare la violazione della diligenza richiesta nell'espletamento dell'incarico professionale. In particolare, in tesi dei convenuti, il difensore nel giudizio di primo grado svoltosi dinanzi al Tribunale di Bologna e conclusosi con la condanna delle società (...) S.n.c. e (...) S.r.l., in favore di (...) S.p.a. (d'ora in avanti (...)) avrebbe mancato di sollevare la carenza di legittimazione passiva in capo alla convenuta (...) S.n.c., pur essendo a conoscenza che quest'ultima era soggetto del tutto estraneo alla vicenda contrattuale che aveva visto coinvolte solo la (...) S.n.c. e la (...) S.r.l.. In conseguenza di tale omissione negligente del difensore, la (...) S.n.c. era stata condannata al risarcimento del danno e, unitamente ad essa, rispondevano anche i soci illimitatamente responsabili (...), (...) e (...). Sulla base delle medesime argomentazioni, i convenuti hanno proposto domanda riconvenzionale chiedendo che il ricorrente venga condannato a risarcire il danno derivante dall'ingiusta condanna (inflitta in primo grado e confermata in secondo grado) al pagamento della somma di euro 399.235,90 o che comunque lo stesso venga condannato a tenerli indenni da tale esborso. Le deduzioni, così come articolate nella comparsa di costituzione e risposta dei convenuti, muovono dall'assunto secondo cui la (...) S.n.c. e la (...) S.n.c. sarebbero soggetti tra loro diversi e distinti altresì dalla (...) S.r.l.; società, quest'ultima, a cui la (...) S.n.c. aveva conferito un ramo di azienda con atto del 4.12.2000. Unica società a rispondere delle obbligazioni sorte dal contratto in oggetto sarebbe dunque la (...) S.r.l., in virtù del fatto che il rapporto derivante dalle commissioni del 30.5.2000 con (...) a firma della (...) S.n.c. si era perfezionato solo in data 20.12.2000 (termine entro il quale l'acquirente avrebbe dovuto manifestare il suo gradimento alla vendita), data alla quale tuttavia il rapporto contrattuale era transitato dalla (...) S.n.c. alla (...) S.r.l. per effetto del conferimento del ramo aziendale; con la conseguenza che solo in capo alla seconda società si sarebbe perfezionato il contratto e consolidati gli obblighi da esso derivanti. Il presupposto da cui muovono i convenuti (diversità di (...) S.n.c. rispetto a (...) S.n.c., e dunque estraneità di quest'ultima alla vicenda contrattuale) risulta smentito dalla documentazione versata in atti, in particolare dall'atto di conferimento del ramo aziendale dalla (...) S.n.c. alla neocostituita società (...) S.r.l. del 4.12.2000 (doc. 24 parte attrice), dalla visura storica della società (...) S.n.c. (doc. 25 parte attrice), nonché dalla visura ordinaria di quest'ultima società (doc. 20 parte attrice). Analizzando detti documenti si desume che: - con atto del 4.12.2000 a ministero Notaio Prof. (...), veniva costituita la società (...) S.r.l. tra la società (...) S.n.c. e (...); a liberazione delle quote, pari al 95% del capitale sociale (per il restante 5% della socia (...)), la (...) S.n.c. conferiva nella neocostituita società un ramo di azienda, comprensivo anche dei rapporti contrattuali in essere; - la (...) S.n.c. in seguito mutava denominazione in (...) S.n.c. (...). Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto da parte convenuta, le suddette società non sono persone giuridiche distinte, ma costituiscono il medesimo soggetto giuridico, come dimostrato anche dal fatto che hanno lo stesso codice fiscale ((...)), desumibile dalla visura della società (...) S.n.c. e dall'allegato all'atto costitutivo della (...) s.r.l. Tale evidenza è idonea a destituire di fondamento le argomentazioni opposte dai convenuti per sostenere l'estraneità della (...) S.n.c. alla vicenda contrattuale e la conseguente carenza di legittimazione passiva in capo alla stessa che i convenuti assumono non sollevata dall'odierno attore nel giudizio di primo grado in cui la suddetta società veniva condannata. Parimenti destituite di fondamento sono le allegazioni articolate dai convenuti solo nella seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. depositata nel presente giudizio, in cui gli stessi affermano l'estraneità della (...) S.n.c. sotto altro e diverso profilo: in particolare, i convenuti sostengono l'applicabilità al caso di specie della disciplina prevista dall'art. 2558 c.c. per la successione nei contratti nel trasferimento di azienda, per affermare che, essendosi il contratto di vendita tra (...) S.n.c. e (...) perfezionato solo in data 20.12.2000, dunque successivamente alla cessione del ramo aziendale del 4.12.2000 dalla (...) S.n.c. alla (...) S.r.l., quest'ultima, in qualità di cessionaria subentrata nel contratto, dovrebbe ritenersi l'unica responsabile delle obbligazioni da esso derivanti. Va rilevato preliminarmente come tali difese debbano essere ritenute tardive, essendo state avanzate solo in sede di seconda memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. In ogni caso, esse non valgono a fondare l'asserita responsabilità dell'attore. Prima di analizzare nel merito le doglianze dei convenuti è d'obbligo una breve premessa. Per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, le obbligazioni inerenti l'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato sperato, ma non a conseguirlo. Pertanto, ai fini del giudizio di responsabilità, rileva non già il conseguimento o meno del risultato utile per il cliente, ma le modalità concrete con le quali il professionista ha svolto la propria attività, avuto riguardo, da un lato, al dovere primario di tutelare le ragioni del cliente, e dall'altro, al rispetto del parametro di diligenza a cui è tenuto (Cass. Civ. 2.04.2015 n. 6782/2015; Cass. 5.08.2013 n. 18612; Cass. 18.04.2011 n. 8863; Cass. 27.03.2006 n. 6967). In generale, l'avvocato è tenuto ad espletare il proprio mandato in conformità al parametro di diligenza fissato dall'art. 1176, comma 2, c.p.c., che è quello del professionista di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta, salva l'applicazione dell'art. 2236 c.c. nel caso di prestazioni implicanti la risoluzione di problematiche tecniche di particolare difficoltà. Quanto al riparto dell'onere della prova, è altrettanto pacifico in giurisprudenza che il cliente, il quale alleghi di avere subito un danno per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, è tenuto a dimostrare: a) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; b) l'esistenza del danno, e cioè della lesione patrimoniale che deve essere specificatamente allegata e dimostrata nell'ai e nel quantum, salvo il potere integrativo ex art. 1226 c.c. ove ne ricorrano i presupposti; c) il nesso di causalità fra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno (Cass. Civ. Sez. III 18.04.2007). In particolare, per quanto concerne il profilo dell'accertamento della causalità ai fini dell'affermazione della responsabilità professionale del difensore, la Suprema Corte ha chiarito a più riprese che in materia vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", destinata a trovare applicazione in luogo del più stringente principio "dell'oltre ogni ragionevole dubbio" che regola, invece, la responsabilità penale. Tale criterio va ritenuto applicabile anche nei casi (come quello di specie) di asserita responsabilità professionale per condotta omissiva; con la conseguenza che il giudice ben può ritenere che l'omissione abbia avuto un'efficacia causale diretta nella determinazione del danno quando risulti accertato che non è stata posta in essere una attività che, in base alle regole della professione praticata, avrebbe dovuto essere compiuta e che esiste un danno che probabilmente ne è la conseguenza, in assenza di fattori alternativi (v. Cass. Civ. Sez. III 24 ottobre 2017 n. 25112; v. pure Cass. Civ. 20.10.2014 n. 22225; Cass. Civ. 22.10.2013 n. 23933; Cass. Civ. 17.09.2013 n. 21255). Pertanto, in tema di responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale, quando si tratta di attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa implica una valutazione prognostica positiva - non necessariamente la certezza - circa il probabile esito favorevole del risultato della sua attività se la stessa fosse stata correttamente e diligentemente svolta (cd. giudizio controfattuale). In altri termini, l'obbligo risarcitorio di colui che esercita la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento della prestazione. Un conto è l'inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, un altro è il danno derivante da eventuali sue omissioni, il quale si può ritenere sussistere solo allorché, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass. civ. sentenza n. 10320 del 2018). Ne consegue che, in difetto di una simile prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone, non matura alcun danno risarcibile. Ciò posto, e passando all'esame della fattispecie concreta, difetta la prova che ipotizzando come adempiuta l'attività omessa (eccezione di carenza di legittimazione passiva della (...) S.n.c.), il giudizio avrebbe avuto esito favorevole ai convenuti. In altre parole, non può dirsi probabile l'accoglimento dell'eccezione di carenza di legittimazione passiva in capo alla (...) S.n.c., prima di tutto perché, come visto, tale società è la medesima che aveva stipulato il contratto di vendita con l'(...) (sebbene avesse mutato denominazione); in secondo luogo, perché nel caso di specie non vi è la prova che la (...) S.n.c. (poi (...) S.n.c.), in qualità di cedente l'azienda alla (...) S.r.l., potesse dirsi sollevata dagli obblighi contrattuali discendenti dal contratto di vendita. Come emerge dagli atti, in particolare dalla sentenza di primo grado del Tribunale di Bologna, era stata la (...) S.n.c. a ordinare i macchinari alla (...) il 30.5.2000, a prenderli in consegna il successivo 6.11.2000 e a muovere alcune contestazioni sulla efficienza degli stessi macchinari; contestazioni che il Giudice di primo grado ha ritenuto incompatibili con una manifestazione di non gradimento del bene da parte dell'acquirente ed anzi, al contrario, sintomatiche della volontà di acquistare il bene laddove l'acquirente aveva sollecitato l'intervento del venditore per la risoluzione degli inconvenienti insorti. Si evidenzia inoltre come tali sollecitazioni erano contenute in missive inoltrate alla venditrice sia prima che dopo la cessione del ramo di azienda del 4.12.2000 (v. memoria di replica del 5.3.2004, pag. 5 - doc. 2 parte attrice). Alla scadenza del termine (20.12.2000) previsto per il pagamento del corrispettivo, l'alienante poteva fare affidamento sulla responsabilità contrattuale dell'originario contraente (...) S.n.c., non essendo stata a quella data ancora pubblicata l'avvenuta cessione del ramo di azienda, che veniva invece iscritta nel Registro delle Imprese solo il successivo 22.12.2000. Pertanto, alla data del perfezionamento del contratto (già comunque sin da subito efficace, tanto che i beni erano stati consegnati all'acquirente), il venditore poteva presumere la conclusione del contratto con l'iniziale contraente, in capo alla quale erano dunque maturati gli obblighi contrattualmente assunti. Tanto discende dall'applicazione del principio di buona fede che deve presidiare anche la fase di attuazione dei rapporti contrattuali. Ne deriva l'applicabilità al caso di specie della disciplina dettata dall'art. 2560 c.c. che prevede (comma 1) che l'alienante continui a rispondere dei debiti pregressi al trasferimento se i creditori non lo liberano e che risponde anche l'acquirente se i debiti risultano dai libri contabili obbligatori (comma 2). A tale ultimo proposito, priva di pregio è l'argomentazione dei convenuti secondo cui il cedente l'azienda è responsabile in solido con il cessionario dei debiti anteriori al trasferimento, se essi risultano dai libri contabili obbligatori. Tale limitazione è infatti dettata dal secondo comma dell'art. 2560 c.c. a tutela del solo cessionario (che ha interesse a conoscere, al momento del trasferimento dell'azienda, di quali debiti debba rispondere). Diversamente, il comma 1 della disposizione citata tutela i creditori nel prevedere la responsabilità in solido sia dell'alienante che dell'acquirente, a prescindere dall'iscrizione dei debiti nei libri obbligatori. Tale disciplina del trasferimento di azienda è stata estesa dalla Cassazione all'ipotesi di cessione di ramo di azienda (Cass. SU. 13319/2015). Pertanto, nel caso di specie, non si era verificato alcun trasferimento della posizione debitoria sostanziale perché debitore effettivo rimaneva comunque colui cui era imputabile il fatto costitutivo del debito, cioè il cedente. In base alle evidenze sopra rappresentate, si deve ribadire come non possa affermarsi con più probabilità che, se fosse stata sollevata, l'eccezione di carenza di legittimazione passiva in capo alla (...) S.n.c. avrebbe evitato la condanna della stessa. D'altronde gli stessi convenuti affermano che la (...) S.n.c. non avrebbe conferito i macchinari alla (...) S.r.l. non essendone divenuta proprietaria: tale affermazione (da cui i convenuti evincono la consapevolezza dell'Avv. (...) circa l'estraneità della (...) S.n.c. alla (...) S.n.c.) pare ancor più contraddittoria alla luce delle argomentazioni esaminate. Non si comprende, infatti, a quale titolo la (...) S.n.c., prima, e la (...) S.r.l., dopo, avevano richiesto a più riprese l'intervento dell'(...) per la risoluzione delle problematiche riscontrate nei macchinari. L'eccezione di inadempimento sollevata dai convenuti non può dunque essere accolta in quanto infondata. Parimenti e conseguentemente va rigettata la domanda riconvenzionale spiegata da parte convenuta, essendo stata esclusa la responsabilità del difensore. Consegue l'accoglimento della domanda del difensore del pagamento del compenso per le prestazioni professionali svolte, che di seguito si passa a quantificare. 3. Domanda dell'Avv. (...) ex art. 14 D.Lgs. 150/2011. Risulta dalla corposa documentazione versata in atti come l'Avv. (...) abbia prestato attività professionale nei due gradi di giudizio che hanno visto coinvolti gli odierni convenuti con la controparte (...). In particolare, nel giudizio di primo grado (n. 10951/03 R.G.) definito con la sentenza n. 3368/2011 depositata il 30.11.2011, il difensore ha prestato la propria attività difensiva in favore di entrambe le Società (...) (...) s.n.c. e (...) S.r.l., predisponendo e depositando nel loro interesse i seguenti atti: - comparsa di costituzione e risposta datata 20 novembre 2003 (doc. 1 ricorso), recante a margine la relativa procura; - memoria autorizzata di replica datata 5 marzo 2004 (doc. 2 ricorso); - ulteriore memoria di replica datata 10 giugno 2004 (doc. 3 ricorso); - memoria istruttoria datata 27 gennaio 2005 (doc. 4 ricorso); - memoria di replica istruttoria datata 27 aprile 2005 (doc. 5 ricorso); - comparsa conclusionale datata 22 settembre 2011 (doc. 6 ricorso); - memoria di replica conclusionale datata 12 ottobre 2011 (doc. 7 ricorso). Dalle copie prodotte dei verbali del giudizio (doc. 8 ricorso) si desume che l'Avv. (...) ha partecipato, di persona o a mezzo delegato, a n. 7 udienze (nei giorni 20.11.2003, 15.4.2004; 12.5.2005; 22.2.2006; 23.4.2009; 15.7.2010; 9.6.2011). Il giudizio, per come detto più volte, si è concluso con sentenza mediante la quale: è stata pronunciata la risoluzione dei contratti di compravendita conclusi tra le parti; i convenuti sono stati condannati in solido al risarcimento del danno in favore di parte attrice (...) di euro 352.052,58 oltre interessi; operata la compensazione tra il credito di parte attrice e quello restitutorio di parte convenuta, le parti convenute sono state condannate a pagare la somma di euro 4.326,96 oltre interessi ex art. 1284 c.c. dal 17.7.2003 al saldo; le spese processuali sono state compensate, salvo quelle di CTU poste definitivamente a carico delle parti convenute. Quanto al secondo grado di giudizio (R.G. n. 1280/2012), conclusosi con sentenza della Corte di Appello n. 2582/2020 dell'1.10.2020, l'opera prestata dal difensore è consistita nella predisposizione e deposito dei seguenti atti: - atto di citazione in appello -con contestuale istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata- datato 31 maggio 2012 (doc. 10 ricorso); - comparsa conclusionale datata 21 dicembre 2018 (doc. 11 ricorso); - atto di nomina C.T.P. (doc. 12 ricorso), e poi atto di nomina nuovo C.T.P. (doc. 13 ricorso); - comparsa di nuova costituzione per prosecuzione del giudizio nell'interesse dei soci della medio tempore cessata società (...) S.r.l., vale a dire nell'interesse della Società "(...)" e di (...), datata 1 ottobre 2019 (doc. 14), recante in calce le relative procure speciali; - foglio di precisazione delle conclusioni a far parte integrante del verbale di udienza del 12 novembre 2019 (doc. 15 ricorso); - comparsa conclusionale datata 10 gennaio 2020 (doc. 16 ricorso); - memoria di replica datata 31 gennaio 2020 (doc. 17 ricorso). Nel corso del giudizio di secondo grado il ricorrente ha partecipato, personalmente o a mezzo delegato, a n. 4 udienze (nei giorni 22.5.2018, 23.10.2018, 28.5.2019, 1.10.2019: doc. 18 ricorso). Il ricorrente ha chiesto che gli vengano riconosciuti come dovuti complessivi euro 35.193,50 oltre ritenuta d'acconto di euro 6.585,61 (come da note pro forma: doc. 23 ricorso), a titolo di saldo dei compensi spettanti in relazione al primo grado di giudizio (euro 8.016 al netto della ritenuta d'acconto di euro 1.500) e dei compensi spettanti per il secondo grado (euro 27.177,50 al netto della ritenuta d'acconto di euro 5.085,61), con la precisazione che alla società (...) e a (...), quest'ultima quale socia illimitatamente responsabile, viene chiesto il pagamento soltanto di quanto spettante per le prestazioni svolte in secondo grado, essendosi tali parti costituite dopo l'interruzione del processo di secondo grado dichiarata a seguito della estinzione della (...) s.r.l.. Orbene, va premesso che la liquidazione dei compensi deve avvenire per entrambi i gradi di giudizio in base al D.M. 55/2014, vigente al momento della conclusione dell'intera fase di merito (Cass. Civ. Sez. VI, ord. n. 18680/2017). Quanto al compenso per la fase di primo grado, la domanda è limitata, come visto, ad una somma richiesta a saldo del maggior compenso preteso. Dagli atti non è dato evincere, tuttavia, a quanto ammontasse l'importo corrisposto in acconto. In ogni caso, alla luce dell'attività prestata, sussistendo i presupposti per applicare i parametri medi del D.M. 55/2014 dello scaglione 52.000/260.000 (in considerazione della domanda attorea, che ha considerato applicabile lo scaglione fino a euro 258.000 del D.M. 127/2004), il compenso liquidabile ammonterebbe ad euro 13.430. Avendo l'attore chiesto un importo inferiore, e non avendo parte convenuta provato quanto (in tesi) corrisposto a estinzione parziale del debito, si deve presumere che la somma richiesta a saldo corrisponda alla differenza non pagata. Pertanto la somma richiesta spetta all'attore per l'attività prestata, unitamente agli accessori di legge. In relazione al secondo grado di giudizio, sussistono i presupposti per liquidare il compenso secondo i parametri medi del D.M. 55/2014, anche in tal caso relativamente allo scaglione fino ad euro 260.000. Va altresì riconosciuto l'aumento ex art. 4 c. 2 del citato D.M. e così il compenso può essere liquidato in complessivi euro 14.500,00 oltre accessori di legge. Su dette somme spettano all'attore, come da richiesta, gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza. 4. Domanda di manleva nei confronti della terza chiamata e reconventio reconventionis. La domanda di manleva svolta dall'attore nei confronti della compagnia assicuratrice terza chiamata risulta assorbita, atteso il rigetto della domanda riconvenzionale relativa alla responsabilità del professionista che aveva provocato la chiamata in causa dell'assicurazione. La domanda spiegata da parte attrice di condanna della controparte alla rifusione della differenza di premio richiesta dall'assicurazione a seguito della chiamata in giudizio, deve ritenersi assorbita, stante il rigetto della domanda riconvenzionale. In ogni caso, tale domanda, per come formulata, va ritenuta inammissibile in quanto agganciata ad elementi futuri ed incerti. C) Le spese di lite del presente giudizio. Le spese processuali del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate quanto al compenso in relazione ai parametri medi di cui al D.M. 147/2022, per tutte le fasi previste, in relazione allo scaglione da 26.001,00 a 52.000 euro (in considerazione della somma accertata come dovuta), per un totale di euro 7.616,00 imponibili oltre accessori di legge. Le anticipazioni vanno liquidate in complessivi euro 286,00 per contributo unificato e marca. Sempre in forza del principio della soccombenza, i convenuti vanno condannati a rifondere le spese di lite alla compagnia assicurativa, liquidate come in dispositivo secondo i parametri medi di cui al D.M. 147/2022, avendo essi dato causa alla chiamata del terzo con la proposizione della domanda riconvenzionale e in ragione dunque del principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite (Cass. Sez. II 10.11.2011 n. 23552; id. Sez. 6-3, Sentenza n. 2492 del 8/2/2016; id. Sez. 2, Ordinanza n. 23123 del 17/9/2019). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - accoglie la domanda avanzata da (...) e, per l'effetto, condanna in solido: - (...) S.n.c. (...), (...), (...) e (...) a versare in favore di (...) la somma di euro 7.500,00 oltre rimborso forfettario 15%, IVA e C.P.A. se dovuti e nelle aliquote di legge, a titolo di compenso per l'opera professionale dallo stesso prestata nella causa civile instaurata dinanzi al Tribunale di Bologna n. 10951/03 R.G., oltre interessi come in parte motiva; - (...) S.n.c. (...), (...), (...), (...), (...) s.a.s. di (...), a versare in favore di (...) la somma di euro 14.500,00 oltre rimborso forfettario 15%, IVA e C.P.A. se dovuti e nelle aliquote di legge, a titolo di compenso per l'opera professionale dallo stesso prestata nel giudizio dinanzi la Corte d'Appello di Bologna n. 1280/2012 R.G., oltre interessi come in parte motiva; - rigetta le eccezioni e la domanda riconvenzionale proposte dalla parte convenuta; - condanna i convenuti (...) S.n.c. (...), (...), (...), (...), (...) s.a.s. di (...), in solido fra loro, al pagamento in favore di (...) delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 7.616,00 per compenso di avvocato ed euro 286,00 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, I.V.A. e C.P.A. se dovuti e nelle aliquote legali; - condanna i convenuti (...) S.n.c. (...), (...), (...), (...), (...) s.a.s. di (...), in solido fra loro, al pagamento in favore della terza chiamata (...) S.A. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 7.616,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso forfettario 15%, I.V.A. e C.P.A. se dovuti e nelle aliquote legali. Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA IV SEZIONE CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Michele Guernelli - Presidente dott. Giovanni Salina - Giudice Relatore dott.ssa Silvia Romagnoli - Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 13003/2020 promossa da: (...) SPA (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. CR.PA., dell'avv. BA.AL. e dell'avv. LA.AN., elettivamente domiciliato in P.ZZA (...) BOLOGNA presso il difensore avv. CR.PA.. (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. CR.PA., dell'avv. BA.AL. e dell'avv. LA.AN., elettivamente domiciliato in P.ZZA (...) BOLOGNA presso il difensore avv. CR.PA.. ATTORI contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. PE.EN. e dell'avv. ME.LU., elettivamente domiciliato in VIALE (...) 03039 SORA presso il difensore avv. PE.EN.. CONVENUTO FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, (...), in proprio e quale legale rappresentante pro-tempore della società (...) s.p.a., conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, (...), chiedendo, testualmente, che l'adìto Tribunale, previo accertamento che "le condotte poste in essere da (...) di cui alla narrativa delle difese delle attrici, anche commesse attraverso i propri profili (...) "(...)" (www.instagra.com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...) ) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), la pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) ed il gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), costituiscono violazione, tra l'altro, del marchio "(...)", del nome, dell'onore, della reputazione e/o dell'immagine di (...) e/o di (...) S.p.A., nonché atto di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. e/o illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.; - ordinare in via definitiva, anche ai sensi del Reg. (UE) 2017/1001, la rimozione e/o l'oscuramento e/o comunque l'inaccessibilità in Italia e all'estero, da eseguirsi anche tramite i rispettivi social network, dei profili "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...)) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), della pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) e del gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), nonché dei relativi contenuti, anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction"; - ordinare in via definitiva, anche ai sensi del Reg. (UE) 2017/1001, la rimozione e/o l'oscuramento e/o comunque l'inaccessibilità in Italia e all'estero, da eseguirsi anche tramite i rispettivi social network, di qualsiasi altro profilo, anche associato ad un diverso URL, comunque utilizzato, direttamente e/o indirettamente, da (...) per diffondere contenuti identici e/o analoghi a quelli illeciti oggetto del presente giudizio (anche associati a diversi URL), anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction"; - ordinare in via definitiva, anche ai sensi del Reg. (UE) 2017/1001, la rimozione e/o l'oscuramento e/o comunque l'inaccessibilità in Italia e all'estero, da eseguirsi anche tramite i rispettivi social network, di qualsivoglia contenuto lesivo identico e/o analogo a quelli illeciti oggetto del presente giudizio, anche con riferimento alla lesione del marchio "(...)", nonché del nome, dell'onore, della reputazione e dell'immagine di (...) e di (...) S.p.A. , anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction"; - inibire in via definitiva, anche ai sensi del Reg. (UE) 2017/1001, il compimento e la reiterazione, attraverso i profili "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...) ) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), la pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) e il gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), nonché attraverso qualsiasi altro profilo utilizzato da (...), anche associato ad un diverso URL, o comunque, direttamente e/o indirettamente, riconducibile a (...), su qualsiasi piattaforma e/o social network (anche associato a diverso URL), nonché per il tramite di qualsiasi altro media (ivi comprese emittenti televisive, giornali anche on line e siti web), delle condotte contestate, nonché di condotte analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, nonché, più in generale, di condotte comunque lesive riguardanti i fatti denunciati, anche con riferimento al marchio "(...)", nonché al nome, all'onore, alla reputazione ed all'immagine di (...) e di (...) S.p.A., anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction"; - più in generale, adottare qualsiasi misura ritenuta idonea ad impedire il compimento e la reiterazione, attraverso i profili "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...) ) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), la pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) ed il gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), nonché attraverso qualsiasi altro profilo utilizzato da (...), anche associato ad un diverso URL, o comunque, direttamente e/o indirettamente, riconducibile a (...), su qualsiasi piattaforma e/o social network (anche associato a diverso URL), nonché per il tramite di qualsiasi altro media (ivi comprese emittenti televisive, giornali anche on line e siti web), delle condotte contestate, nonché di condotte analoghe a quelle oggetto del presente giudizio, nonché, più in generale, di condotte comunque lesive riguardanti i fatti denunciati, anche con riferimento al marchio "(...)", nonché al nome, all'onore, alla reputazione ed all'immagine di (...) e di (...) S.p.A., anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction"; - fissare la somma dovuta per ogni violazione e/o inosservanza successivamente constatata e per ogni ritardo nell'esecuzione degli emanandi provvedimenti (anche ex art. 614 bis c.p.c. e art. 124, comma 2, c.p.i.) nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00) per ciascun episodio di violazione successivo alla emanazione del provvedimento e nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00) per ogni giorno di ritardo nella esecuzione del provvedimento, ovvero nelle diverse misure ritenute di giustizia; - condannare (...) al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi da (...) e/o da (...) S.p.A. per effetto di tutti gli illeciti denunciati, nella misura emersa in corso di causa, ovvero comunque determinata con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano, in ogni caso oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo; - ordinare la pubblicazione dell'emananda sentenza sui quotidiani "(...)", "(...)" e "(...)", per due giorni consecutivi in caratteri doppi del normale, a cura delle attrici ed a spese del convenuto, nonché per una volta sulla rivista di settore "(...)", oltre che sulla home page del quotidiano online (...) mantenendo la pubblicazione per almeno 90 (novanta) giorni". In particolare, le attrici asserivano che il convenuto, fratello di (...), anche tramite inserzioni e pubblicazioni sui propri profili "social media" meglio indicati in premessa, aveva ripetutamente e persecutoriamente diffuso numerosi messaggi e comunicazioni ("post") dal contenuto gratuitamente offensivo, denigratorio e, per ciò, lesivo del marchio "(...)" nella titolarità della società attrice, nonché del loro nome, onore e reputazione. Si costituiva in giudizio (...), eccependo, in via pregiudiziale, l'incompetenza territoriale della Sezione Imprese ex adverso adìta a favore di quella istituita presso il Tribunale di Roma quale foro del convenuto, nonché, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva in capo all'attrice (...) in proprio. Nel merito, il convenuto contestava l'ammissibilità e la fondatezza delle deduzioni avversarie, assumendo, in particolare, l'insussistenza in capo a se stesso della qualifica di imprenditore e, quindi, la non configurabilità del necessario rapporto di reciproca concorrenza con le controparti, la vessatorietà e temerarietà delle iniziative giudiziali intraprese da controparte nei suoi confronti e, in ogni caso, la piena legittimità della propria condotta ai sensi dell'art. 21 Cost. Concludeva, quindi, il convenuto chiedendo l'integrale reiezione delle domande formulate dalle attrici e la condanna di quest'ultime a norma dell'art. 96 c.p.c.. Nel corso del giudizio, espletati gli incombenti di cui all'art. 183 c.p.c., il Giudice, previa acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e del fascicolo relativo al procedimento cautelare ante causam promosso innanzi al Tribunale di Roma - Sezione Specializzata in Materia di Impresa - R.G. n. 25265/2020, su concorde richiesta delle parti, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Infine, all'udienza dell'8 settembre 2022, il Giudice, sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, rimetteva la causa al Collegio per la decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Occorre, in primo luogo, valutare l'ammissibilità e la fondatezza dell'eccezione pregiudiziale sollevata dal convenuto in comparsa di risposta tempestivamente depositata, di incompetenza territoriale dell'adìta Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Bologna in favore dell'omologa Sezione Specializzata del Tribunale di Roma. Ed invero, l'eccezione in esame risulta sollevata unicamente in relazione al luogo nel quale il convenuto, all'epoca in cui le condotte illecite oggetto di causa sarebbero state commesse o, meglio, avrebbe avuto inizio il loro compimento (marzo 2020), aveva residenza anagrafica (Sora, prov. di Roma). Così posta, la suddetta questione pregiudiziale appare, in primo luogo, inammissibile in quanto dedotta in modo incompleto, facendo cioè riferimento ad uno solo dei possibili criteri di collegamento territoriale suscettibili, in astratto, di applicazione al caso di specie (i.e. forum commissi delicti) e, quindi, omettendo qualsiasi argomentazione in ordine ai restanti fori, alternativi e concorrenti, generali e speciali, di cui agli artt. 18 c.p.c. e 120 CPI. Inoltre, la suddetta eccezione è, comunque, infondata, atteso che la presente controversia, giusto il principio generale dettato dall'art. 5 c.p.c., è stata esplicitamente radicata innanzi alla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Bologna in base al criterio di collegamento territoriale (c.d. forum rei), di cui all'art. 18 c.p.c., costituito dal luogo (Valsamoggia-Crespellano, prov. di Bologna) in cui il convenuto, all'epoca della notifica della citazione, aveva la residenza, ricompreso, a sua volta, nel distretto dell'adìta Sezione Specializzata. Parimenti infondata risulta anche l'eccezione sollevata dal convenuto, in via preliminare di rito, di difetto di legittimazione attiva in capo all'attrice (...) in proprio. Infatti, nel presente giudizio, la menzionata attrice agisce, non soltanto in veste di legale rappresentante pro-tempore della società (...) e a tutela della privativa di diritto industriale nella titolarità di quest'ultima (oltre che dell'immagine e della reputazione commerciale della predetta società), ma anche, in proprio, a tutela, cioè, dei propri diritti della personalità, quali il nome, l'onore e la reputazione, asseritamente violati e lesi dalle dichiarazioni, interviste e comunicati rilasciati dal convenuto con le modalità descritte in citazione e di cui quest'ultimo è chiamato dall'attrice a rispondere anche a fini risarcitori. Detto questo, prima di esaminare il merito della presente controversia, è necessario dare atto che, come da documentazione allegata alla memoria conclusionale di replica sub. doc. nn. 57 e 58, le odierne attrici, in pendenza dei termini per il deposito degli scritti difensivi conclusionali, si sono costituite parti civili nel procedimento penale iscritto al n. R.G. 1904/2019 - n. R. G. GIP 9580/2020, promosso a carico del convenuto, espressamente chiedendo, in quella sede, la condanna dell'imputato (...) al risarcimento dei soli danni non patrimoniali sofferti, rispettivamente, da (...), in proprio, in conseguenza del reato di atti persecutori (c.d. "stalking") previsto e punito dall'art. 612 bis c.p., e dalla società (...) in conseguenza del reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p. Per loro esplicita allegazione (v. memoria conclusionale di replica), le attrici intendono, quindi, mantenere e reiterare nella presente sede civile le restanti domande inizialmente formulate in citazione e poi precisate all'udienza dell'8 settembre 2022, e, in particolare, quelle di accertamento della responsabilità del convenuto sotto tutti i (restanti) profili, quelle di rimozione e/o oscuramento e/o comunque inaccessibilità delle pagine intestate/gestite da (...) sui social network e dei contenuti lesivi ivi pubblicati, di inibitoria, con relativa penale pecuniaria, al compimento e/o reiterazione delle allegate condotte illecite attraverso le medesime pagine sui social network, nonché attraverso qualsiasi altra pagina utilizzata o che dovesse essere utilizzata da (...), di risarcimento dei danni di natura patrimoniale e non patrimoniale sofferti da (...), in proprio, per effetto delle condotte diffamatorie poste in essere dal convenuto, di risarcimento dei danni di natura patrimoniale patiti da (...) in conseguenza delle violazioni di marchio e/o di atti di sleale concorrenza e/o di illeciti aquiliani commessi da quest'ultimo e, infine, di pubblicazione della sentenza. Al riguardo, deve pure rilevarsi che il convenuto, in memoria conclusionale di replica, aveva, a sua volta, allegato la sopra riferita circostanza, invocando, ai sensi dell'art. 75 c.p.p., l'estinzione del presente giudizio. Quanto sopra esposto impone anzitutto una valutazione circa gli effetti prodotti nel presente giudizio dalla costituzione di parte civile nei termini, oggettivi, in cui è stata in concreto operata dalle attrici. In particolare, dovrà stabilirsi se sia o meno possibile effettuare una costituzione di parte civile oggettivamente parziale o frazionata, cioè soltanto per alcuni dei fatti illeciti allegati con l'atto introduttivo del giudizio civile e solo per un certo tipo di danni, nella specie non patrimoniali, e non anche per quelli patrimoniali, di cui, però, in citazione, era stato omnicomprensivamente chiesto il ristoro senza riserva e distinzione alcuna. Dalla soluzione della predetta questione dipende necessariamente anche quella dell'ammissibilità dell'estinzione del giudizio civile parziale o frazionata quando, come nel caso di specie, il giudizio civile ed il processo penale nel quale è stata successivamente trasferita l'azione civile siano soggettivamente ed oggettivamente, identici. Come noto, in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, l'unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale sull'ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si deve riferire a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Ne consegue che, laddove nell'atto introduttivo siano state indicate specifiche voci di pregiudizio, a tale indicazione deve riconoscersi valore meramente esemplificativo dei vari profili di pregiudizio dei quali si intenda ottenere il ristoro, a meno che non si possa ragionevolmente ricavarne la volontà attorea di escludere dal "petitum" le voci non menzionate (v. Cass. Civ. Sez. VI ord. 7/6/2019 n. 15523; Cass. 23 ottobre 2014, n. 22514; 31 agosto 2011, n. 17879). Con riferimento all'ipotesi di trasferimento dell'azione civile in sede penale a mezzo di costituzione di parte civile, la Suprema Corte (v. Cass. n. 7633 del 2012; n. 6293 del 2003; n. 5180 del 1983; n. 3439 del 1981) ha, in particolare, affermato che la regola secondo cui il trasferimento dell'azione civile in sede penale comporta di diritto la rinuncia dell'attore al giudizio civile, che, di conseguenza, va dichiarato estinto anche di ufficio, postula che tra le due azioni vi sia identità di oggetto (eadem res) oltre che di soggetti, il cui relativo accertamento deve essere condotto indipendentemente dall'esame della fondatezza dell'azione esperita con la costituzione di parte civile (v. anche Cass. Civ. Sez. III 16/01/2023 n. 1087; Cass. n. 7633 del 2012; n. 6293 del 2003; n. 5180 del 1983; n. 3439 del 1981). Come enunciato dai Giudici di legittimità (v. Cass. Sez. Lav. 29/01/2008 n. 1985), è principio consolidato che, per la disciplina introdotta dal codice di procedura penale del 1988, l'ordinamento è ispirato non più al principio dell'unità della giurisdizione, ma a quello dell'autonomia di ciascun processo e della piena cognizione da parte di ciascun giudice, dell'uno e dell'altro ramo, delle questioni giuridiche o di accertamento dei fatti rilevanti ai fini della propria decisione, atteso che nel nuovo codice di procedura penale non è riprodotta la disposizione dell'art. 3, comma 2, codice abrogato, che, per il caso fosse esercitata l'azione penale per reato la cui cognizione era destinata ad influire sulla decisione della controversia civile, disponeva la sospensione del processo civile (v. tra le tante Cass. 25.3.05 n. 6478 e 10.8.04 n. 15477). Con la medesima pronuncia sopra richiamata, la Suprema Corte ha precisato che "nell'ambito del nuovo sistema, che vede la pressochè completa autonomia e separazione fra i due giudizi, i momenti di contatto tra i giudizi stessi sono regolati dall'art. 75 c.p.p., il quale, come già l'art. 24 c.p.p. 1930, disciplina il rapporto tra competenza del giudice civile e competenza del giudice penale quanto all'esercizio della giurisdizione sull'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno da reato, quando l'azione sia stata proposta davanti ad ambedue i giudici (v. anche Cass. 8.1.01 n. 189). L'art. 75 c.p.p. disciplina tre situazioni di interferenza tra i due giudizi: a) la proposizione dell'azione in sede civile seguita dalla sua riproposizione in sede penale con la costituzione di parte civile (cd. trasferimento dell'azione civile nel processo penale); in questo caso il comma 1 della norma in esame ritiene che la parte attrice abbia inteso rinunziare agli atti del giudizio civile, il quale si estingue, al punto che sarà il giudice penale a pronunziarsi anche sulle spese del procedimento civile ("L'azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale ... L'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile", comma 1); b) l'azione civile è proposta in sede civile e non anche in quella penale, oppure è iniziata quando non è più possibile la costituzione di parte civile; in questo caso l'azione civile prosegue il suo corso nel processo civile (comma 2); c) l'azione civile è proposta nel processo penale e poi è nuovamente proposta in sede civile; in tal caso il processo civile è sospeso fino alla pronunzia penale definitiva (comma 3). Alla stessa stregua di quella sottoposta al giudizio della Corte di legittimità, anche la controversia in esame ha ad oggetto una fattispecie suscettibile di essere regolata secondo i principi dettati dal citato art. 75 c. I c.p.p. (sub a), in cui le attrici, dopo aver proposto davanti al giudice civile domanda di risarcimento del danno, si sono costituite parti civili nel processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti descritti in citazione, determinando, in tal modo, la pendenza della stessa causa davanti a due giudici diversi. Come esplicitamente affermato dalla Corte, "in questa situazione scatta l'interesse dell'ordinamento a che due giudici non si pronunzino sulla stessa causa con la possibilità di pronuncie contradditorie. Sulla base del codice di procedura civile la soluzione andrebbe ricercata nella disciplina sulla litispendenza: il giudice successivamente adito (ovvero dinanzi al quale la causa è riproposta) dichiara la litispendenza anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, disponendo la cancellazione dal ruolo della causa dinanzi a lui pendente (art. 39 c.p.p., comma 1). Tuttavia, la disciplina della litispendenza è derogata nel caso di trasferimento dell'azione civile nel processo penale, atteso che, volendo l'ordinamento consentire e privilegiare il congiunto esame del fatto e dei suoi effetti penali e civili, da un lato permette al danneggiato di proporre di nuovo la propria domanda nel processo penale, dall'altro è il processo civile in precedenza iniziato a doversi chiudere, lasciando che sull'azione civile provveda il giudice penale (v. Cass. 189/01, in motivazione). Detto più esplicitamente, l'esercizio, mediante la costituzione di parte civile, della facoltà di trasferire nel processo penale l'azione civile proposta davanti al giudice civile, comporta l'estinzione del processo civile ipso facto per rinuncia agli atti, effetto che si produce con la rituale proposizione dell'atto di costituzione nei modi e nelle forme di cui all'art. 79, mentre l'azione civile prosegue, a seguito della translatio iudicii, dinanzi al giudice penale, senza che sia quindi configurabile alcuna ipotesi di litispendenza, posto che l'estinzione del giudizio civile esclude la contemporanea pendenza di due giudizi (Cass. 30.6.05 n. 13946). Ai fini che qui rilevano, la Suprema Corte ha, quindi, enunciato il principio secondo cui la disciplina sopra esposta "comporta che non può esserci una traslatio parziale del contenuto della domanda giudiziale (che, ai sensi dell'art. 99 c.p.c., è l'atto formale di esercizio dell'azione civile) dal processo civile a quello penale. Ove, infatti, venisse consentito alla parte del processo civile di trasferire solo una parte dell'originario petitum nel processo penale, si cadrebbe nella situazione che l'art. 75, comma 1, intende evitare, e cioè che l'accertamento giudiziale circa una sola situazione giuridica controversa sia frammentato in due diverse sedi giurisdizionali, nella sostanza facendosi venir meno il principio dell'accentramento nel processo penale voluto dalla norma. Di conseguenza, il concetto di azione civile cui fa riferimento l'art. 75 c.p.p., comma 1, è necessariamente unitario, in quanto sta ad indicare l'azione che è stata concretamente esercitata nel processo civile e che, come tale, nel caso di concomitante esistenza di processo penale, può rimanere confinata nel processo civile o essere trasferita nel processo penale, sempre, però, nella sua interezza, al di là delle intenzioni della parte che ha proposto la domanda. In altre parole, l'ordinamento non crea alcuna pregiudizialità tra giudizio penale e giudizio civile, ma una volta che la parte eserciti l'azione civile prima nel processo civile e poi in quello penale, è in quest'ultimo che deve accentrarsi l'esame della domanda". A conforto dei principi così enunciati, la Corte di legittimità ha osservato come l'intenzione del legislatore di privilegiare l'accertamento compiuto nel processo penale sia resa "evidente da altre norme di coordinamento dei due processi ai fini della individuazione della sorte dell'azione civile. Infatti, il codice di procedura penale, pur consentendo la proposizione dell'azione civile in sede civile dopo la costituzione di parte civile (nel qual caso la costituzione stessa è tacitamente revocata ai sensi dell'art. 82, comma 2, onde escludere la duplicazione dei giudizi, v. Cass., sez. 4 penale, 23.3.07 n. 21588), impone, tuttavia, che il processo civile rimanga sospeso in attesa della sentenza penale definitiva (art. 75, comma 3), la quale spiegherà poi i suoi effetti nel giudizio civile secondo i criteri indicati dagli artt. 651 e 652 c.p.p.". Nella fattispecie in esame, i comportamenti oggetto della domanda in sede civile e quelli oggetto dell'imputazione penale sono assolutamente identici : stessi fatti "persecutori" compiuti dal convenuto/imputato con le medesime modalità in danno di (...) e stesse condotte denigratorie/diffamatorie poste in essere da (...) in pregiudizio sia della sorella che della società da quest'ultima amministrata; domanda civile di risarcimento dei danni aventi indistintamente natura sia patrimoniale che non patrimoniale, globalmente ed omnicomprensivamente allegati. Un siffatto modus agendi porta ad escludere la facoltà per le attrici di diversificare la domanda per richiedere voci di danno diverso e, segnatamente, che possa formularsi domanda di risarcimento danni patrimoniali nel processo civile e quelli non patrimoniali in sede penale, e ciò tanto nel caso in cui i dedotti titoli di responsabilità abbiano natura contrattuale ed extracontrattuale, quanto (e, a fortiori) nel caso in cui, come in quello che qui ci occupa, abbiano identica natura (extracontrattuale). Infatti, la Corte di legittimità ha puntualmente evidenziato l'infondatezza del contrario assunto, rilevando che "l'art. 74 c.p.p., sotto la rubrica "Legittimazione all'azione civile" prevede esplicitamente che "L'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'art. 185 c.p. (danno patrimoniale e non patrimoniale cagionato da reato) può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ...". La scelta della sede di esercizio dell'azione di risarcimento è, dunque, rimessa al danneggiato, il quale può eventualmente articolare la sua strategia risarcitoria sia in sede civile che in sede penale, atteso che l'azione risarcitoria, fondata su un fatto che rilevi ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. e, allo stesso tempo, costituisca fattispecie penalmente considerata, può essere esperita sia attraverso un'opzione penale, mediante costituzione di p.c. nel processo penale, sia attraverso un'opzione civile, che si verifica nelle ipotesi in cui il danneggiato agisce in sede civile prima dell'inizio dell'azione, penale o quando la costituzione di p.c. non gli è più consentita ma prima che sia stata emessa sentenza penale di primo grado (Cass. 27.1.05 n. 1654). Tale valutazione, naturalmente, non esclude che, nel caso, peraltro qui non ricorrente, del concorso di responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale e della duplicità del titolo risarcitorio (per violazione, rispettivamente, del preesistente vincolo obbligatorio e del generale precetto del neminem laedere), trovi applicazione un distinto regime per ciascuna delle due relative azioni quanto alla distribuzione dell'onere della prova, al danno risarcibile ed alla prescrizione, pur in presenza di unica causa petendi, per l'unicità degli elementi di fatto soggettivi (dolo o colpa) ed oggettivi (condotta antigiuridica e conseguente danno) determinativi delle due azioni (Cass. 5.10.94 n. 8090). (Neppure) da questo distinto regime sostanziale, tuttavia, può farsi derivare la conseguenza di un necessario frazionamento dell'azione a causa civile già iniziata. A prescindere dalla possibilità di esercitare le due azioni in unico contesto, nulla impedirebbe alla parte attrice di proporre due domande in sedi diverse senza ripensamenti. Il coordinamento dell'art. 74 c.p.p., con l'art. 75 c.p.p., comma 1, comporta, però, che questa scelta debba essere effettuata mediante formulazione di apposita riserva preventiva, precedente all'atto di percorrere la via civile o quella penale, in modo da far confluire nella domanda solamente alcune voci di danno invece che altre e da conferire unitarietà all'azione concretamente esercitata. In altre parole, la scelta di chiedere il risarcimento di alcune voci di danno nella sedecivile e di riservare altre voci alla sede penale, va effettuata prima di proporre la domanda, effettuando un'apposita riserva, e non dopo averla proposta nel processo civile senza distinzione alcuna, ma anzi ricomprendendovi sia il danno patrimoniale che quello non patrimoniale". Con l'atto introduttivo del presente giudizio e, successivamente, in sede di precisazione delle conclusioni, le attrici, ai fini del ristoro dei danni sofferti in conseguenza degli stessi fatti oggetto dei capi di imputazione riportati nei successivi atti di costituzione di parte civile, hanno, testualmente, chiesto "condannare (...) al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti e patiendi da (...) e/o da (...) S.p.A. per effetto di tutti gli illeciti denunciati, nella misura emersa in corso di causa, ovvero comunque determinata con valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano, in ogni caso oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo". Ne consegue che, in ragione del carattere strutturalmente unitario del diritto al risarcimento del danno e del suo riflesso processuale della ordinaria infrazionabilità del procedimento di liquidazione ("effetto, a sua volta, dei canoni della concentrazione e della correttezza in giudizio"), la domanda risarcitoria, fondata sul presunto illecito del convenuto, deve, di regola, contenere tutte le possibili voci di danno da esso originate (e non solo alcune di esse, a meno che, a priori, parte attrice, attraverso una manifestazione adeguatamente esplicita, intervenuta ab origine, non abbia fatto riserva di agire in altra sede per il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di credito temporaneamente accantonate. In assenza di una siffatta esplicita riserva, dovrà, quindi, ritenersi preclusa la possibilità di una nuova azione, funzionale al risarcimento di altri danni derivanti dal medesimo illecito, dovendosi, in tal senso, valorizzare la regola della correttezza e buona fede e del canone del giusto processo di cui al novellato art. 111 Cost., al fine di scongiurare il fenomeno dell'abuso del processo. Come in precedenza esposto, nel presente giudizio, le attrici hanno proposto una domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sofferti in conseguenza di atti persecutori, diffamatori e denigratori, lesivi del loro onore, nome, immagine e reputazione, personale e commerciale, nonché dell'attività imprenditoriale della società (...) e del marchio ("(...)"), nella titolarità di quest'ultima, senza, però, alcuna distinzione non soltanto tra le singole voci componenti il lamentato pregiudizio, ma anche in base alla natura del danno, ricomprendendovi indistintamente quello patrimoniale e quello non patrimoniale. Nel processo penale instaurato a carico dell'odierno convenuto a seguito di querele proposte dalle attrici che poi si sono ivi costituite parti civili, i fatti imputati al (...) sono, quanto alla posizione dell'attrice (...), in proprio, perfettamente identici (atti persecutori o stalking e diffamazione), mentre, con riferimento alla posizione della società (...), sono invece parzialmente diversi in quanto il giudizio penale abbraccia soltanto le condotte diffamatorie lesive dell'immagine e della reputazione commerciale della società e non anche quelle lesive del suddetto marchio e di concorrenza sleale, in relazione alle quali è stata formulata, oltre a quella di risarcimento danni, anche la domanda di oscuramento dei profili "social media" utilizzati, gestiti o, comunque, riferibili al convenuto, di inibitoria, penale pecuniaria e pubblicazione della sentenza. Pertanto, in relazione alla posizione dell'attrice, in proprio, in ossequio ai sopra enunciati princìpi di unitarietà e di non frazionabilità della domanda risarcitoria, nel caso di specie, deve trovare piena applicazione la disciplina dettata dall'art. 75 c. I c.p.p. e, per l'effetto, va dichiarata l'integrale estinzione del giudizio tra (...), in proprio, ed il convenuto (...), riservando al Giudice penale anche la decisione sulle spese di lite. Quanto alla posizione della società attrice, invece, stante la solo parziale sovrapponibilità oggettiva degli illeciti civili e dei fatti suscettibili di accertamento in sede penale, la richiamata disciplina di cui al citato art. 75 c. I c.p.p. va applicata unicamente alla domanda di risarcimento dei danni indistintamente allegati in sede civile in conseguenza dei fatti di diffamazione anch'essi oggetto del processo penale, mentre il presente giudizio sopravvive all'evento estintivo previsto dalla predetta disposizione normativa con riferimento agli altri illeciti civili, non costituenti oggetto di accertamento penale (violazione marchio; concorrenza sleale), e per i quali non vi è stato il trasferimento delle relative richieste giudiziali in sede penale mediante costituzione di parte civile. Precisato nei termini sopra esposti il (residuo) perimetro oggettivo della presente controversia (responsabilità del convenuto per violazione del marchio "(...)" nella titolarità della società attrice e per attività di concorrenza sleale; risarcimento dei conseguenti danni, patrimoniali e non patrimoniali; oscuramento dei profili "social media"; inibitoria; penale pecuniaria; pubblicazione della sentenza), per quel che concerne la denunciata lesione della suddetta privativa di diritto industriale, giova precisare che, secondo la giurisprudenza di merito (v. ad es. Trib. Bologna, Sez. Spec. Prop. Industr. e I.. 6/02/2009 n. 701), il "marchio rinomato" è quello conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti, tanto da acquisire un valore economico in sé, che prescinde dalla funzione distintiva del segno, tale valore economico riceve tutela in forza dell'espresso disposto dell'art. 20, lett. c, C. - D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30. Ed invero, un marchio, oltre a ad indicare l'origine di un prodotto, può altresì svolgere altre funzioni che sono meritevoli di tutela; esso può, in particolare, offrire una garanzia che tutti i prodotti provenienti da una determinata impresa abbiano la stessa qualità (funzione di garanzia) e può servire da strumento di pubblicità riflettendo il valore di avviamento ed il prestigio acquisiti sul mercato (funzione pubblicitaria). Pertanto, il marchio serve, oltre che ad indicare l'origine di un prodotto, anche a trasmettere al consumatore un messaggio o una determinata immagine che sono incorporati nel segno, soprattutto in seguito all'uso, e che, una volta acquisiti, entrano a far parte del suo carattere distintivo e della sua notorietà; questi caratteri avranno pertanto un particolare valore per il proprietario del marchio, costituendo un valore aggiunto dello stesso, sicchè la tutela di un siffatto marchio avrà opportunamente ad oggetto l'ingiusto pregiudizio o l'indebito vantaggio relativamente a tale valore aggiunto. La norma sopra citata, dunque, riconosce tutela allargata al segno e consente di prescindere, quando la contraffazione riguarda un marchio dotato di rinomanza, dalla necessità che si verta nel medesimo settore merceologico (prodotti o servizi identici o affini): a condizione però che ricorra un vantaggio illecito per il concorrente o un pregiudizio per il titolare del marchio notorio". Inoltre, sul tema, la giurisprudenza di merito (v. ad es., Trib. Milano, Sez. Spec. Impresa 9/7/2018 n. 7691), ha affermato che "lo svilimento del marchio è dovuto al suo offuscamento ("dilution by tarnishing") e si verifica nei casi in cui l'uso del segno possa svalutare l'immagine o il prestigio acquisito presso il pubblico del marchio notorio, sia perché il segno viene riprodotto in un contesto osceno, degradante o inappropriato sia perché, pur non ricorrendo tali ipotesi, il contesto nel quale viene inserito sia semplicemente incompatibile con una particolare immagine che il marchio anteriore ha acquisito agli occhi del pubblico, in conseguenza degli sforzi impiegati dal suo titolare per promuoverla. Tutto ciò premesso, sul punto, va, inoltre, evidenziato come, secondo esplicite allegazioni svolte dalla società attrice, l'illecito de quo sarebbe stato consumato dal convenuto attraverso la reiterata diffusione, sui profili, pagine e hastag dei social media meglio descritti in citazione e dal (...) gestiti o, comunque, a lui riconducibili, di "post", dichiarazioni, interviste e report, dal contenuto offensivo, denigratorio e screditante, almeno in parte già sottoposti alla valutazione, di tipo cautelare, della Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma cui, medio tempore, parte attrice si è rivolta ottenendo l'invocata cautela (sequestro profili social media e inibitoria - v. all. 2 in supporto informatico dep. 10/12/2020). Le condotte ascritte al convenuto ed ampiamente descritte in citazione e nella successiva memoria assertiva ex art. 183 c. VI n. 1 c.p.c. risultano eloquentemente cristallizzate in numerosi documenti ritualmente prodotti dalla società attrice su apposito supporto informatico, al cui contenuto, ampiamente ritrascritto negli scritti difensivi, si intende in questa sede fare integrale rinvio per mere esigenze di sintesi, e nei quali vengono fedelmente riportati ampi stralci delle dichiarazioni e dei "post" attribuiti al (...) e nei quali, sono, inter alia, espressi dubbi sulla paternità ed originalità delle creazioni stilistiche, nonchè giudizi tutt'altro che lusinghieri sulla qualità, creatività e provenienza dei prodotti realizzati e commercializzati da (...) s.p.a. e da questa contrassegnati con il marchio "(...)" nella sua titolarità, la cui allegata notorietà, e addirittura rinomanza, non hanno formato peraltro oggetto di contestazione alcuna da parte del convenuto, nonché, in generale, sull'attività ed organizzazione aziendale dell'impresa attrice asseritamente connotata anche da iniziative ostruzionistiche e di boicottaggio commerciale in danno del (...). Nelle dichiarazioni, nei "post" e nelle comunicazioni "social" riprodotte nei documenti in questione, oltre ai giudizi e alle allusioni screditanti e denigratorie sopra richiamate, è agevole leggere anche un chiaro intento del convenuto di promuovere contemporaneamente la propria attività di stilista impegnato, nonostante gli ostacoli frapposti dalla società attrice, nella creazione di capi di abbigliamento e di accessori moda, di cui, infatti, si esalta e si enfatizza la qualità, la creatività e l'originalità in contrapposizione, ovviamente sfavorevole alla società (...) s.p.a., con quelli realizzati da quest'ultima e, come detto, fortemente screditati da controparte. Una così diffusa, diffusiva e persistente, ai limiti del parossismo, attività di denigrazione dell'attività ideativa e produttiva della società (...) s.r.l. ha provocato, tra gli utenti del web e, in particolare, tra i clienti di quest'ultima, reazioni non solo di sorpresa ma anche di autentico sdegno verso chi aveva dato vita al progetto imprenditoriale poi concretamente attuato dalla società attrice e, quindi, verso le sue produzioni contrassegnate sul mercato con un segno distintivo che ricalca perfettamente il patronimico della fondatrice, il cui "appeal", a causa di ciò, non può non aver subìto una sensibile diluizione o svilimento, avendo inevitabilmente perso o, quantomeno, ridimensionato, sia pure momentaneamente, la sua intrinseca capacità di attrarre e di sedurre il consumatore certamente disorientato dalle informazioni propalate online dal convenuto. Lo svilimento del marchio nei termini sopra esposti può, di per sé, integrare l'illecito di cui all'art. 20 lett. c) CPI, per violazione del segno distintivo registrato, sicuramente forte ed incontestatamente rinomato, "(...)", in conseguenza non soltanto dell'utilizzo, da parte del convenuto, per prodotti affini, di un segno distintivo patronimico riproduttivo, in alcuni casi integralmente e, in altri, solo parzialmente, quello, come detto oltretutto rinomato e, quindi, dotato di tutela ultramerceologica, nella titolarità della società attrice, ma anche, e soprattutto, di una continuativa, persistente, immotivata e non scriminata opera, quasi ossessiva, di svilimento del carattere distintivo ed attrattivo del marchio con cui la società attrice contraddistingue i propri prodotti, e che il convenuto ha attuato mediante un'autentica campagna mediatica di discredito e denigrazione della stilista, della sua attività e della qualità dei capi di abbigliamento ed accessori moda creati e commercializzati da (...) anche al fine, come detto, di trarne per sé e per la propria attività un indebito vantaggio. Per quel che concerne l'ulteriore (residuo) titolo di responsabilità ancora suscettibile di delibazione in questa sede (i.e. concorrenza sleale ex art. 2598 c.c.), al riguardo, deve evidenziarsi che, a fronte dei relativi addebiti mossi da parte attrice, il convenuto ha, a sua volta eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, rectius di inammissibilità delle domande per difetto della qualità di imprenditore. Si tratta di questione che, in astratto, potrebbe semmai rilevare con riferimento al solo illecito anticoncorrenziale e non anche per il restante e precedentemente esaminato titolo di responsabilità, la cui sussistenza, per sua natura e contenuto, prescinde dalla qualifica di imprenditore in capo al presunto responsabile. Come noto, presupposto indefettibile della concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale e merceologico anche solo potenzialmente comune e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall'insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l'attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l'offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. Orbene, come sopra esposto, la società attrice ha contestato al convenuto anche lo svolgimento di attività anticoncorrenziale, in particolare, di carattere denigratorio e in violazione dei doveri di correttezza professionale, volta pure alla (auto)promozione dei propri segni distintivi e della propria linea di abbigliamento ed accessori moda, in contrapposizione, ovviamente a se stesso favorevole, con l'attività imprenditoriale svolta dalla società (...) s.p.a. e con i prodotti dalla medesima realizzati e commercializzati. In particolare, dalla copiosa documentazione prodotta da parte attrice e, segnatamente, da quella allegata all'atto di citazione e successivamente implementata da quella prodotta nel corso della fase di trattazione della causa, emerge, anzitutto, che i fatti ed i comportamenti qui ascritti al convenuto sono stati positivamente accertati, sia pure in via di sommaria cognitio, nel procedimento cautelare promosso innanzi alla Sez. Spec. in Materia di Impresa del Tribunale di Roma che ne ha provvisoriamente inibito la prosecuzione/reiterazione. Infatti, risulta, per tabulas, che il convenuto abbia ripetutamente pubblicato, diffondendone indiscriminatamente ed illimitatamente il contenuto sul web, dichiarazioni, comunicati, commenti nonché rilasciato interviste ad emittenti televisive private, in cui, anche con il palese intento di autopromuoversi in veste di stilista e produttore di capi di abbigliamento ed accessori moda, si è accreditato come elemento cardine della società e principale artefice dei successi imprenditoriali di quest'ultima, evidenziando, in estrema sintesi, l'incapacità gestoria ed imprenditoriale del suo formale amministratore manifestatasi, a suo dire, soprattutto in occasione della mancata fusione tra (...) s.p.a., la propensione dell'amministratrice alla divisione, conflittualità e vessazione anche tra i dipendenti e collaboratori, una pervicace volontà persecutoria ed intimidatoria di quest'ultima nei suoi confronti al solo fine di estrometterlo dalla società e ad impedirgli lo svolgimento di qualsiasi attività professionale nel comune settore merceologico di riferimento, anche mediante un vero e proprio accanimento giudiziario e boicottaggio finanziario e mediatico asseritamente agevolati dal compiacente contributo di giudici, banche e giornalisti. Il convenuto, quindi, al netto di quelle rivolte alla sorella a titolo personale, ha fatto della società e della sua amministratrice il bersaglio di accuse sicuramente offensive, diffamatorie e screditanti, rimaste, peraltro, del tutto sfornite di qualsivoglia riscontro probatorio e, anzi, smentite dalle documentate allegazioni attoree con particolare riferimento alla vicenda S. s.p.a. (v. doc. nn. 7, 8 e 56), alla presunta "cacciata" del convenuto dalla società e al preteso boicottaggio delle nuove esperienze imprenditoriali del medesimo, essendo stato, di contro, documentato che il (...) ha volontariamente posto fine, mediante lettera di dimissioni (del cui irrituale disconoscimento si dirà nel prosieguo), al rapporto di lavoro dipendente che lo legava alla società gestita dalla sorella e che, inoltre, l'attrice si è limitata a richiedere, nelle competenti sedi giudiziarie, tutela per i diritti e le privative nella sua indiscussa titolarità in quanto minacciate dalle iniziative (registrazione conflittuale di marchi MAFRA; interventi in trasmissioni televisive; pubblicazioni sul web) continuamente assunte dal convenuto all'indomani della sua uscita da (...) s.p.a. A titolo esemplificativo, risulta che, come documentato da parte attrice, i denigratori attacchi messi in opera dal convenuto venissero da questi corredati anche da diciture, riferimenti o immagini relative alla propria attività di stilista e disegnatore di capi di abbigliamento e di accessori moda, in rapporto, quindi, concretamente o anche solo potenzialmente, concorrenziale con la società attrice, in relazione al medesimo settore di mercato, anche alla ricerca di partnership con cui sviluppare la creazione e commercializzazione dei propri modelli (v. doc. n. 34, 43, 44), ma pur sempre con modalità non solo screditanti ma anche in contrasto con i generali principi, canoni e doveri di correttezza professionale, attraverso l'attivazione di alcuni profili e pagine social media pure in sostituzione di quelli oscurati in sede cautelare (v., in particolare, doc n. 3 in cui viene utilizzata la definizione stilista nelle informazioni "bio" dei profili (...) "(...)"; doc. n. 11 recante i termini abbigliamento "brand" profilo "(...) ", doc. n. 34 profilo "(...)a"; docc. 43-bis caut., 22 e 40; doc. nn. 3, 11 e 34 recanti l'immagine utilizzata per i profili (...) "(...)", "(...) " e "(...)a"; doc. n. 41 contenente il post del 3 febbraio 2021 profilo (...) "(...)a"; doc. n. 4 all. 113; doc. 36 all. n. 6; doc. n. 3 bis proc. caut.). Sotto il profilo anticoncorrenziale in commento oltre che di quello "industrialistico" già esaminato, appare chiaramente indicativo dell'illegittimità della condotta tenuta dal convenuto la creazione dell'hashtag quello che non sai su (...) per contraddistinguere i suoi post, suscitare morbosa curiosità tra gli utenti del web e conferire maggiore attrattiva alle proprie comunicazioni e pubblicazioni, e con il quale si fa un uso, non autorizzato, della locuzione "(...)" letteralmente riproduttivo del segno distintivo nella titolarità esclusiva della società attrice. Le condotte sopra esemplificativamente illustrate ma, come si dirà, pienamente documentate, si sono per ciò estese al campo più specificamente imprenditoriale, attraverso la formulazione di giudizi tutt'altro che lusinghieri in ordine alla provenienza, originalità e qualità dei prodotti commercializzati a marchio "(...)", mettendo in dubbio l'affidabilità dei fornitori esteri e la paternità dei modelli realizzati, disprezzando il risultato dell'attività di stilista della legale rappresentante e di quella produttiva della società (v. ad es. all. nn. 4, 11 e 36) e, infine, sollevando più di un sospetto circa la destinazione di fondi raccolti dalla Fondazione (...) per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Circa la portata di siffatte condotte, deve rilevarsi come esse si siano materializzate in continue dichiarazioni che, per contenuto, appaiono gratuitamente offensive e denigratorie, non giustificate da alcun interesse pubblico o ultrasoggettivo alla conoscenza dei fatti così disvelati, per nulla parodistiche o ironiche, ed invece manifestamente alimentate soltanto da una sorta di parossistico livore e di ossessivo rancore verso chi riteneva responsabile di azioni di boicottaggio e di ostruzionismo imprenditoriale nei propri riguardi, e, come detto, volte a fornire, da un lato, una contrapposta e per il convenuto più positiva rappresentazione dei valori a cui le parti si ispirerebbero nello svolgimento delle rispettive attività imprenditoriali, e, dall'altro, a dare a se stesso una propria maggiore visibilità mediatica e, quindi, anche una significativa promozione delle proprie qualità di stilista. Inoltre, è evidente come tali dichiarazioni siano state indirizzate ad una platea di utenti e consumatori perfettamente sovrapponibile a quella a cui si rivolge la società (...) s.p.a., fornendo di quest'ultima e del suo amministratore una rappresentazione negativa, distorta e manipolata. Dichiarazioni, quelle in esame, per nulla rispettose del limite della continenza o correttezza in ragione della portata scandalistica e dell'esorbitante discredito che ineluttabilmente si è riverberato sulla produzione aziendale e, come in precedenza affermato, sul titolo di proprietà industriale che la contraddistingue sul mercato, che, in quanto tali, indipendentemente dalla loro anche solo parziale veridicità, non possono minimamente costituire una legittima espressione della libertà di manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21 Cost. Precisati nei termini sopra esposti i rapporti concorrenziali intercorrenti tra le parti ed i contenuti delle condotte ascritte al convenuto, occorre, a questo punto, valutare la rilevanza, a fini decisori, della documentazione prodotta da parte attrice a supporto delle proprie argomentazioni e richieste. Il convenuto, infatti, ha, in parte, disconosciuto e, in parte, contestato la genuinità, ritualità ed attendibilità dei documenti versati in atti da controparte. Ed invero, per quel che concerne il disconoscimento della lettera di dimissioni del (...) dalla società attrice e recante la sua firma, al riguardo è sufficiente osservare come esso sia stato operato dal convenuto, per la prima volta, soltanto all'udienza ex art. 183 c.p.c. del presente giudizio, sicchè, a prescindere dalla rilevanza del documento così disconosciuto ai fini della presente decisione, è, in ogni caso tardivo in quanto non effettuato, non soltanto nel procedimento cautelare promosso innanzi alla Sez. Spec. Trib. Roma, ma neppure con la comparsa di costituzione nel presente giudizio, quale primo atto difensivo successivo alla sua (ulteriore) produzione avvenuta, ab initio, con l'atto di citazione (v. all. n. 2 doc. n. 13). Quanto alla contestazione dell'ulteriore documentazione prodotta da parte attrice, essa, oltre che tardiva, è, comunque, ininfluente. Infatti, sotto il profilo temporale, tale contestazione è stata, anzitutto, effettuata, per la prima volta, soltanto con la memoria n. 3 di cui all'art. 183 c. VI c.p.c., quindi, in modo intempestivo. Essa, inoltre, è del tutto generica, indistinta ed indeterminata. Il convenuto, infatti, si è limitato a dedurre l'indiscriminata inosservanza delle norme poste a presidio dell'estrazione e acquisizione di dati telematici che, nel caso di specie, sarebbero state violate per omessa formazione di copia forense, senza però individuare il documento e senza peraltro specificare le ragioni ed i profili di illegittimità che ne vizierebbero la produzione e precluderebbero la valutazione. In ogni caso, oltre alla già rilevata decisiva genericità dell'assunto svolto dal convenuto, va sul punto altresì osservato che il (...), al cospetto della produzione documentale già operata dalle attrice in allegato all'atto di citazione e alla memoria n. 1 ex art. 183 c. VI c.p.c., si è astenuto dal muovere qualsiasi contestazione o rilievo circa la paternità e la riconducibilità a se stesso dei contenuti riportati nella suddetta documentazione, limitandosi ad invocare, in relazione ad essi, il diritto/libertà di manifestazione del pensiero. Oltretutto, per costante giurisprudenza, di legittimità e di merito, (v. ad es. Cass. Pen. 24212/2021; Cass. Pen. 45339/2018; Cass. Pen. 8328/2015; Cass. Pen. 40309/2022; Trib. Bologna 7 giugno 2022, n. 1379/2022), in difetto di prova contraria la registrazione del profilo (...) e i dati in essa contenuti (...) e la assenza di denuncia per furto d'identità da parte del resistente, consentono di ricollegare il messaggio ad una persona individuata o individuabile in modo univoco. Pertanto le dichiarazioni lesive devono ritenersi provenienti dal soggetto a cui nome era stata effettuata la registrazione che coincide con l'odierno resistente. Più nel dettaglio, si rammenta che, secondo condivisibile giurisprudenza di merito, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (v. ad es. Tribunale Milano 21 aprile 2022 n. 3470). Nel caso di specie, l'assenza di denuncia da parte del convenuto del furto di identità, e la mancanza di elementi di valutazione di segno contrario, unitamente al suo comportamento, processuale ed extraprocessuale, e, segnatamente, la contraddittorietà delle difese sul punto, l'aspecificità delle relative contestazioni, suscettibili, in quanto tali, di apprezzamento anche ai sensi dell'art. 115 c.p.c., la incontrovertibile conflittualità dei rapporti tra le parti e le videodichiarazioni prodotte dalle attrici, la cui genuinità e soggettiva riferibilità al (...) non sono ragionevolmente revocabili in dubbio anche in ragione del contenuto e tenore perfettamente in linea ed oggettivamente sovrapponibili a quello dei post e dichiarazioni oggetto di causa, inducono, per la loro univocità e concordanza, a ritenere che il (...), a nome del quale i profili social media de quibus erano stati registrati, sia stato l'effettivo autore delle dichiarazioni e dei messaggi ivi riprodotti. Accertata la responsabilità del convenuto per i titoli sopra illustrati (art. 20 lett. c) CPI e art. 2598 c.c.), vanno ora esaminate le domande formulate dalla società attrice in relazione ai suddetti titoli di responsabilità e, segnatamente, quelle di definitiva rimozione, oscuramento e/o inaccessibilità delle pagine/profili utilizzati/utilizzabili da (...) per compiere le condotte contestate, di inibitoria della reiterazione dei predetti illeciti sia tramite social network, sia attraverso qualsiasi altro social media e, infine, di risarcimento del conseguente danno patrimoniale e non patrimoniale. In ragione delle modalità e dei mezzi impiegati per la consumazione degli illeciti de quibus, deve senz'altro disporsi la rimozione e/o l'oscuramento e/o comunque l'inaccessibilità in Italia e all'estero, da eseguirsi anche tramite i rispettivi social network, di qualsivoglia contenuto lesivo identico e/o analogo a quelli illeciti oggetto del presente giudizio, anche con riferimento alla lesione del marchio "(...)", anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction", inibendo altresì al convenuto la reiterazione, attraverso i profili "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...) ) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), la pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) e il gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), nonché attraverso qualsiasi altro profilo utilizzato da (...), anche associato ad un diverso URL, o comunque, direttamente e/o indirettamente, riconducibile a (...), su qualsiasi piattaforma e/o social network (anche associato a diverso URL), nonché per il tramite di qualsiasi altro media (ivi comprese emittenti televisive, giornali anche on line e siti web), delle condotte contestate, nonché di condotte analoghe a queste. Inoltre, a fini special-preventivi ma anche di ristoro in forma specifica del lamentato pregiudizio, le misure come sopra definitivamente disposte vanno corredate anche dall'imposizione a carico del convenuto di una penale pecuniaria di Euro 500,00 per ogni loro violazione successivamente accertata e/o per ogni giorno di ritardo nell'attuazione della presente decisione, assegnando, per la relativa ottemperanza, termine di giorni trenta. In considerazione della rilevanza e diffusione degli illeciti sopra positivamente accertati, ricorrono, nella fattispecie in esame, anche i presupposti per la pubblicazione, a cura della società attrice e a spese del convenuto, del dispositivo della presente sentenza sui quotidiani "(...)" e "Corriere della Sera", nonché sulla rivista di settore (...) e sulla home page del quotidiano online (...), una sola volta, in caratteri doppi del normale. Per quel che concerne la domanda risarcitoria, va senz'altro rigettata quella relativa al danno patrimoniale, sia per l'assoluta genericità delle relative allegazioni, sia per l'assenza di qualsivoglia elemento di valutazione comprovante i costi e le spese eventualmente sostenuti dall'attrice, nonché eventuali contrazioni di fatturato, riduzioni dei guadagni e/o perdita di clientela in diretta conseguenza degli illeciti sopra accertati. Quanto al pregiudizio non patrimoniale, ritiene il Collegio che gli illeciti in questione, per la loro gravità, reiterazione ed ampia diffusione, nonché per le peculiari modalità di attuazione (social media), inevitabilmente abbiano cagionato alla società attrice un danno di tale natura, soprattutto quale diretta conseguenza dell'affermato svilimento del predetto marchio registrato e rinomato. Orbene, ai fini della quantificazione del danno in parola, dovrà tenersi conto anzitutto della concreta diffusione e, comunque, illimitata diffusività degli effetti pregiudizievoli delle sopra illustrate condotte illecite, avuto riguardo allo strumento utilizzato per la loro consumazione che ne ha reso possibile la percezione da parte di un numero indeterminato di persone; in secondo luogo, della oggettiva rilevanza e gravità delle espressioni usate e dei fatti ingiustamente attribuiti. Allo stesso fine, rilevano anche la natura e la intensità delle reazioni di sdegno, stupore e disapprovazione che i suddetti illeciti hanno provocato tra gli utenti del web, nonché la notorietà dell'azienda attrice e del suo marchio e, infine, la pregressa relazione lavorativa intercorsa tra questa ed il convenuto, la cui natura ha certamente contribuito a rendere credibili o, quantomeno verosimili le "informazioni" veicolate sul web. In mancanza di specifiche allegazioni circa i criteri con cui la società attrice ha quantificato il danno de quo, si ritiene equa e congrua la sua liquidazione, in via equitativa, ex art. 1226 c.c., all'attualità e, quindi, comprensiva di rivalutazione, nella complessiva somma di Euro 10.000,00, oltre agli interessi di legge dalla pronuncia (8/9/2022) al saldo. Le statuizioni che precedono impongono, ovviamente, il rigetto della domanda formulata dal convenuto a norma dell'art. 96 c.p.c. Infine, le spese di lite seguono la soccombenza e, quindi, come da dispositivo, vanno liquidate a carico del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: RIGETTA l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dal convenuto. visto l'art. 75 c.p.p. DICHIARA l'estinzione del presente giudizio limitatamente al rapporto processuale intercorso tra l'attrice (...) in proprio ed il convenuto, nonché tra (...) e la società attrice per le condotte lesive dell'onore, dell'immagine e della reputazione commercia di quest'ultima. DICHIARA il convenuto responsabile di violazione del marchio "(...)" nella titolarità della società attrice, nonché di concorrenza sleale, ex art. 2598 nn. 2 e 3 c.c., in danno di quest'ultima, e, per l'effetto, DISPONE la rimozione e/o l'oscuramento e/o comunque l'inaccessibilità in Italia e all'estero, da eseguirsi anche tramite i rispettivi social network, di qualsivoglia contenuto lesivo identico e/o analogo a quelli illeciti oggetto del presente giudizio, anche con riferimento alla lesione del marchio "(...)", anche nella forma e/o con lo strumento della c.d. "dynamic injunction". INIBISCE al convenuto la reiterazione, attraverso i profili "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...)" (www.(...).com/(...)), "(...) " (www.(...).com/(...) ) e "(...)a" (www.(...).com/(...)a), la pagina (...) personale di (...) (www.(...).com/(...)) e il gruppo (...) denominato "(...): la Sua Verità" (www.(...).com/groups/(...)), nonché attraverso qualsiasi altro profilo utilizzato da (...), anche associato ad un diverso URL, o comunque, direttamente e/o indirettamente, riconducibile a (...), su qualsiasi piattaforma e/o social network (anche associato a diverso URL), nonché per il tramite di qualsiasi altro media (ivi comprese emittenti televisive, giornali anche on line e siti web), delle condotte contestate, nonché di condotte analoghe a queste. DISPONE a carico del convenuto, una penale pecuniaria di Euro 500,00 per ogni violazione successivamente accertata e/o per ogni giorno di ritardo nell'attuazione della presente decisione, assegnando, per la relativa ottemperanza, termine di giorni trenta. DISPONE la pubblicazione, a cura della società attrice e a spese del convenuto, della presente sentenza sui quotidiani "(...)" e "Corriere della Sera", nonché sulla rivista di settore (...) e sulla home page del quotidiano online (...), una sola volta, in caratteri doppi del normale. CONDANNA il convenuto al pagamento, in favore della società attrice, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ai suddetti illeciti, della complessiva somma, liquidata in via equitativa e all'attualità, di Euro 10.000,00, oltre interessi di legge dalla pronuncia al saldo, rigettando la domanda attrice di risarcimento del danno patrimoniale e quella proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 96 c.p.c. CONDANNA il convenuto al rimborso, in favore della società attrice, delle spese di lite liquidate in Euro 1.081,08 per spese e Euro 11.550,00 per compenso di avvocato, oltre accessori se e come dovuti per legge. Così deciso in Bologna il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA SEZIONE IMPRESA Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: Dr. GUERNELLI Michele - Presidente Dr. SALINA Giovanni - Giudice Dr.ssa ROMAGNOLI Silvia - Giudice rel. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 4056/2018 promossa da: FALLIMENTO SOCIETA' (...) S.R.L. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. AL.GI. e dell'Avv. LI.FE., elettivamente domiciliato in BOLOGNA, VIA (...) 4 presso il difensore Avv. LI.FE. PARTE ATTRICE contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. PE.AR. elettivamente domiciliato in BOLOGNA, PIAZZA (...) 40136 presso il difensore Avv. PE.AR. CONVENUTO OGGETTO: RESPONSABILITA' AMMINISTRATORE S.R.L. EX ART. 146 L.G. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato a mezzo posta per compiuta giacenza in data 26.3.2018 il FALLIMENTO SOCIETA' (...) S.R.L. - dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Ravenna in data 18.4.2016 - (nel prosieguo anche solo IL FALLIMENTO) conveniva in giudizio innanzi l'intestata Sezione specializzata in materia di Impresa (...) nella sua qualità di amministratore della società in bonis chiedendone l'accertamento della responsabilità ex artt. 146 L.F. e 2476 c.c. e la conseguente condanna al risarcimento del danno patrimoniale arrecato alla società. In tale atto esponeva i) che il convenuto aveva composto quale Presidente il CdA dall'1.2.2012 alla messa in liquidazione della società in data 3.2.2016 unitamente a (...) quale consigliere e vice presidente, che aveva sottoscritto con la curatela un accordo transattivo ante causam ii) che benchè il dissesto fosse emerso improvvisamente nel 2014 (il cui bilancio di esercizio contabilizzava una perdita di Euro 3.072.000,00 per effetto della appostazione di sopravvenienze passive determinate dall'integrale svalutazione dell'avviamento dei costi di ricerca e sviluppo nonché dei crediti deteriorati) la crisi di impresa e la perdita della continuità aziendale risalivano agli anni precedenti ed erano stati celati con errate contabilizzazioni di bilancio e con la ritardata approvazione del bilancio al 31.12.2014 iii) che nel 2015 erano stati eseguiti pagamenti in violazione della par condicio creditorum e dismesso il compendio aziendale oltrechè finanziata l'attività della partecipata (...) s.r.l. già in dissestoiv) che la gestione era proseguita con accumulo di debito erariale e di costi del personale nonché assunzione di obbligazioni per immobilizzazioni vi) che sin dal 2011 i soci avevano eseguito ingenti finanziamenti per posticipare l'emersione contabile della crisi vii) che il danno risarcibile andava individuato nello sbilancio fallimentare pari ad Euro 1.745.282,00 o in subordine in via equitativa in misura pari al decremento del PN dopo il verificarsi della causa di scioglimento viii) che dal quantum debeatur si sarebbe dovuto detrarre l'importo di Euro 35.000,00 pagato da (...) in sede di transazione, oltre al valore attribuito a due immobili conferiti quali datio in solutum in sede di transazione, pari ad Euro 110.000,00, dopo il trasferimento con successo al FALLIMENTO. Si costituiva il convenuto contestando ogni pretesa del FALLIMENTO e chiedendo il rigetto di ogni domanda; in particolare, esponendo che la società aveva perso quasi un milione di fatturato nel 2014 e pertanto gli amministratori avevano deciso di non impostare il bilancio nella prospettiva della continuità aziendale con conseguente svalutazione delle immobilizzazioni immateriali che sommate alla perdita di periodo determinarono un risultato negativo di oltre 3 mio al 31.12.2014, che le allegazioni del FALLIMENTO erano generiche e non provate (pagamenti preferenziali e dismissione compendio aziendale, omessa svalutazione crediti inesigibili, utilizzo della società P.) e che, ove in ipotesi accertato un danno, la pretesa del FALLIMENTO di sottrarre le somme transattivamente concordate con (...) doveva necessariamente rapportarsi alla quota di responsabilità del transigente secondo gli insegnamenti della S.C. in tema di incidenza della transazione del condebitore solidale per la sua esclusiva quota ideale di debito. Previa assegnazione dei termini ex art. 183/6 co. c.p.c., il G.I. formulava alle parti proposta transattivo-conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. (di pagamento da parte del convenuto dell'importo di Euro 150.000,00 omnicomprensivo a spese compensate) e in seguito al mancato accoglimento da parte del convenuto (dichiaratosi impossibilitato a reperire l'importo proposto) disponeva CTU contabile sulle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla prosecuzione dell'attività di impresa dopo lo scioglimento della società per la perdita del capitale sociale e/o della continuità aziendale antecedentemente al fallimento (rectius alla messa in liquidazione) con particolare riferimento alle operazioni gestorie non conservative successive. Nelle more riassegnata la trattazione della causa al diverso G.I. qui estensore, conferito l'incarico ed espletato l'incombente istruttorio, a udienza del 27.10.2022 le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe riportate, previo rigetto di istanza di produzione di nuovi documenti. Preliminarmente al merito va esaminata la questione dell'ammissibilità e rilevanza delle produzioni offerte dal FALLIMENTO in sede di precisazione delle conclusioni. Premesso che, in linea generale, la produzione di documenti oltre il termine perentorio di cui al n. 2 della norma cit. richiede la ricorrenza dei presupposti per la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c.. e che nella fattispecie i termini istruttori ex art. 183/6 co. nn.1, 2 e 3 c.p.c. scadevano, rispettivamente, in data 28.1.2019, 27.2.2019, 19.3.2019 (cfr. ordinanza in esito ad udienza del 27.9.2018), va osservato che i docc. da 44 a 46 offerti dal FALLIMENTO solo a udienza di p.c. del 27.10.2022 consistono in atti del procedimento penale a carico del convenuto e del coimputato B. (n. 44 sentenza di patteggiamento nei confronti del convenuto; n. 45 decreto che dispone il giudizio per il coimputato B.C.; n. 46 atto di citazione a comparire del curatore quale testimone) i quali, benchè venuti ad esistenza in epoca successiva allo scadere dei termini assegnati ex art. 183 c.p.c., sono irrilevanti ai fini del decidere: i docc. 45 e 46 perché non concernenti il convenuto, la sentenza di patteggiamento perché non idonea a dimostrare la responsabilità del convenuto nel separato procedimento civile che qui occupa. Invero, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, la sentenza penale di patteggiamento non ha efficacia di giudicato né inverte l'onere della prova, costituendo, invece, quale mero fatto del mondo reale, un indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l'inefficacia agli effetti civili (cfr. Cassazione civile, sez. III, 5.5.2022, n. 14278 e 11.3.2020 n. 7014). Quanto al doc. 47 (scambio di PEC in data 22.12.2020 circa l'inoltro da parte del curatore al CTU di nuova documentazione senza il consenso della controparte) osserva il collegio che i documenti allegati - di cui nuovamente è richiesta l'acquisizione in sede di p.c. dopo che il CTU non ne ha tenuto conto stante il mancato consenso della controparte - sono alcuni di natura endo-fallimentare (stato passivo 2020, programma di liquidazione 2017 e supplemento 2019, rapporto riepilogativo curatore 2020), altri di natura contabile e di provenienza della fallita (oltre ai bilanci, comunque acquisiti dal CTU, il libro giornale 2012-2016, le schede contabili clienti 2012-2016, il partitario Plus 2012-2016). Premesso che si valuta superflua l'acquisizione di ulteriore documentazione endo-processuale, il tema è oltremodo rilevante quanto alla documentazione contabile della società, poiché il CTU ha in più battute precisato di non aver potuto verificare compiutamente le allegazioni del FALLIMENTO per la insufficiente disponibilità di documenti contabili e ha sostanzialmente disatteso (o non accolto interamente) determinate prospettazioni attoree (ad es. quanto a inesigibilità del crediti) in ragione della mancanza della necessaria documentazione contabile (proseguendo nell'esempio le schede contabili dei clienti). Orbene, nella presente sede decisoria non può che concludersi per la inammissibilità della ulteriore produzione documentale richiesta in sede di p.c., non ricorrendo i presupposti per la rimessione in termini, stante la sicura datazione dei documenti contabili a epoca antecedente allo spirare dei termini istruttori, siccome trattasi, appunto, di documentazione contabile della società in bonis. Altra visuale di analisi della questione deriva dal fatto che di detta documentazione era stata tentata la produzione in corso di operazioni peritali - rifiutata dal CTU stante il dissenso della controparte - poiché in sede di p.c. parte attrice chiede il rinnovo/integrazione della CTU deducendo l'errore del consulente che ne ha omesso l'allegazione e l'esame. Va disatteso l'argomento difensivo del FALLIMENTO secondo cui si tratterebbe di documentazione liberamente acquisibile dal CTU perché inerente a dati di natura pubblica recuperabili presso il Registro Imprese anche in assenza di autorizzazione delle parti: il punto non è se il CTU potesse acquisire la documentazione perché reperibile presso uffici pubblici ma se la parte onerata della prova potesse acquisire al processo documenti non prodotti nei termini istruttori; ad ogni modo la presunta natura "pubblica" della documentazione offerta al CTU con la PEC del 22.12.2020 può essere vera solo in parte e limitatamente ai bilanci - peraltro già prodotti con l'atto di citazione - ma non vale per la restante documentazione e, soprattutto, per la contabilità della società; né è corretto l'argomento per cui si tratterebbe di documentazione contenente dati accessori rispetto a quanto prodotto in causa (probabilmente con riferimento alla relazione ex art. 33 L.F. del curatore, già prodotta con la seconda memoria istruttoria) perché, al contrario, non si tratta di documenti concernenti aspetti accessori rispetto ad elementi già provati, bensì di documentazione contabile necessaria ai fini della compiuta dimostrazione dei fatti fondanti la prospettazione attorea (ad es. l'inesigibilità dei crediti, l'insolvenza della partecipata Plus, l'insolvenza della fallita già al 2011). Ebbene, in linea generale è costante il principio giurisprudenziale per cui in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti - non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico - tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio (cfr. ex multis Cassazione civile, sez. un., 28/02/2022, n. 6500, Cassazione civile, sez. un., 01/02/2022, n. 3086, Cassazione civile, sez. VI, 31/08/2022, n. 25604) con la conseguenza che l'acquisizione, ad opera del consulente, di documenti diretti a provare i fatti principali, dedotti dalle parti a fondamento delle domande e delle eccezioni, che è onere solo delle parti provare, è sanzionata da nullità relativa ex art. 157 c.p.c., rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso (cfr. Cassazione civile, sez. III, 01/06/2022, n. 17916). Rispetto a tali principi, si discosta la ctu contabile, secondo la disciplina specifica di cui all'art. 198 c.p.c. Da ultimo, infatti, anche la più recente Cass. Sez. I, 21 febbraio 2023, ord. n. 5370, ha rimarcato la distinzione già operata da Cass. Sez. Un. 3086 cit. tra c.t.u. "generica" ex art. 194 c.p.c. e c.t.u. contabile ex art. 198 c.p.c., nel senso che se sul piano generale (quindi in ogni consulenza tecnica) il consulente nominato dal giudice può acquisire, nel contraddittorio delle parti, ulteriore documentazione necessaria al fine di rispondere ai quesiti purché non inerenti alla prova dei fatti principali che è onere delle parti dimostrare, diversamente in materia di esame cantabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c. il consulente nominato dal giudice può acquisire tutti i documenti che si renda necessario acquisire allo scopo demandato, anche se diretti a provare i fatti principali fondanti la domanda e le eccezioni delle parti, nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, cioè a dire con il consenso delle parti medesime come previsto dal secondo comma dell'art. 198 c.p.c.. Questa distinzione dei poteri del CTU deriva dal fatto che, diversamente opinando cioè ritenendo che anche il ctu contabile sia vincolato all'onere probatorio delle parti e possa pertanto liberamente acquisire, nel contraddittorio, solo i documenti inerenti i fatti accessori (e non i fatti principali), la previsione del secondo comma dell'art. 198 c.p.c. diventerebbe inutile doppione dell'attività cui il consulente è già abilitato in ragione del mandato ricevuto senza necessità del consenso delle parti, con un risultato sostanzialmente abrogante della specificità della norma. Dunque l'espressa previsione del consenso delle parti di cui all'art. 198 c.p.c. abilita il CTU a qualcosa in più rispetto alla normale possibilità di acquisire documenti non prodotti alle condizioni date (cioè purchè non inerenti a fatti principali) ovvero abilita il CTU contabile ad acquisire con il consenso delle parti anche documentazione non prodotta e non inerente alle allegazioni e all'onere probatorio delle parti medesime. In estrema sintesi, se nella CTU "generalista" il consulente neppure con il consenso delle parti può acquisire nuovi documenti concernenti fatti e situazioni poste direttamente a fondamento delle domande ed eccezioni, il CTU contabile non incontra tale limite se le parti consentono alle nuove acquisizioni/produzioni documentali; nel primo caso la CTU è nulla anche se la parte aveva prestato consenso (salva la tempestività del rilievo), nel secondo caso è perfettamente valida anche se acquisisce al processo elementi fondanti le prospettazioni/allegazioni/dimostrazioni delle parti. Nella fattispecie, avendo parte convenuta recisamente negato il proprio consenso alla ulteriore acquisizione documentale, bene ha fatto il CTU a non accogliere l'istanza del FALLIMENTO e a non tenere conto delle nuove produzioni e il suo elaborato va esente da ogni censura sotto il profilo prospettato. Sono inconferenti i precedenti giurisprudenziali citati dalla procedura (Cass. Sez. Un. n. 8202 del 20.4.2005, Cass. civ. n. 25346 del 9.10.2019) a sostegno della producibilità tardiva dei documenti, perché concernenti il rito del lavoro e comunque perché enuncianti principi generali (producibilità di documenti di formazione successiva o giustificati dall'evolversi della vicenda processuale) non in contrasto con quelli specificamente concernenti la ctu contabile, sopra enunciati. Ne consegue che le risultanze della ctu contabile sono appieno condivisibili e fatte proprie perché immuni da vizi logico-giuridici, anche laddove il consulente è giunto a disattendere le prospettazioni attoree fondate su documentazione contabile nella disponibilità del curatore ma non riversata tempestivamente in causa: così quando il CTU, disattendendo riclassificazioni di bilancio prospettate dalla procedura (ad esempio riconoscendo la svalutazione dei crediti solo a partire dal bilancio di esercizio 2014 contro la prospettazione attorea che ne sosteneva l'inesigibilità sin dal 2012, in mancanza delle schede di partitario dei clienti e/o di altre informazioni circa la solvibilità di ogni cliente) è giunto a individuare la perdita del capitale sociale solo al 31.12.2014 o, ancora in ragione della carente documentazione contabile (mancanza dei partitari, libro cespiti, libro giornale) non ha avallato la prospettazione della procedura concernente la finalità non meramente liquidatoria dell'attività successiva al verificarsi della causa di scioglimento (essenzialmente, la vendita del compendio aziendale alla (...) e il pagamento dei creditori) che la procedura assumeva come depauperativa del patrimonio sociale e comunque causativa di danno per la società e i creditori. In conclusione, va rigettata ogni domanda del FALLIMENTO con consequenziale statuizione sulle spese secondo soccombenza, come da liquidazione in dispositivo (comprensiva delle spese di CTU separatamente liquidate in Euro 13.000,00 oltre accessori di legge) secondo i criteri e parametri di cui a D.M. 10 marzo 2014, n. 55 come modificato con D.L. 8 marzo 2018, n. 37, tenuto conto dei valori medi dei compensi previsti per lo scaglione di valore della causa (valore indeterminato con rimando ex art. 5/6 co. D.M. cit. allo scaglione fino ad Euro 52.000,00 tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia) oltre 15% per spese generali ex art. 2 D.M. cit. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, sulla domanda proposta da FALLIMENTO SOCIETA' (...) S.R.L. nei confronti di (...) con atto di citazione notificato in data 26.3.2018 ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede: RIGETTA ogni domanda attorea; CONDANNA il FALLIMENTO SOCIETA' (...) S.R.L. in persona del suo curatore al rimborso in favore di (...) delle spese di lite, che liquida in Euro 13.000,00 per spese di CTU ed in Euro 7.254,00 per compenso di avvocato, oltre 15% per spese generali ed oltre accessori di legge. La sentenza è provvisoriamente esecutiva per legge. Così deciso in Bologna il 26 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 4 maggio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Silvia Migliori Presidente dott. Francesca Neri Giudice Relatore dott. Arianna D'Addabbo Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. .../2021 avente ad oggetto: revocazione di sentenza a norma degli artt. 395 e segg. c.p.c. promossa da: X (C.F. ...), con il patrocinio dell'avv.., elettivamente domiciliato in ....presso il difensore avv. ... ATTORE/I contro FEDERICA T. (C.F. ...), con il patrocinio dell'avv. ...e dell'avv. ...(...) VIA..., elettivamente domiciliato in ...presso il difensore avv. ... TERENZIO T. (C.F. ...), con il patrocinio dell'avv. ....e dell'avv. ..(...) VIA ..., elettivamente domiciliato in ....presso il difensore avv. ... CONVENUTO/I con l'intervento del PM (atti trasmessi al PM il 16-4-2021) CONCLUSIONI Le parti hanno concluso: ATTRICE: CONCLUSIONI Piaccia all'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così giudicare: Proceduralmente: previa scongiura delle limitazioni Covid, la fissazione dell'udienza di trattazione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c. essendo le difese basate su prove documentali. Preliminarmente: - rimettere nei termini ex art. 153 c.p.c. la presente difesa nella memoria ex 183, c. 6, n. 1 c.p.c. ed ammettere quanto già depositato in atti, così come indicato a pag. 1 nella memoria ex art. 183, 6c., terzo termine, c.p.c.; - accertare e dichiarare non ammesse le difese di parte avversa, di cui alle memorie n. 1, n. 2 e n. 3 ex art. 183, 6c., c.p.c., per decadenza dei termini perentori precludendone l'attività processuale ed istruttoria, avendo depositato gli atti tutti tardivamente, come dal seguente prospetto: scadenza memorie ex art. 183 c.p.c. a far data dal 11/10/2021 data deposito tardivo di controparte 10/11/2021 11/11/2021 10/12/2021 13/12/2021 30/12/2021 31/12/2021 Nel merito: - accertare e dichiarare, per le ragioni in narrativa, la nullità delle notifiche effettuate a parte attrice degli atti di cui al procedimento R.G. N. .../2011 e della sentenza, di cui si chiede qui la revocazione, n. 1557/2013 emessa dal Tribunale di Bologna, Sez. I Civile, nel procedimento di separazione giudiziale degli ex coniugi P.G. e X ; - accertare e revocare, per le ragioni in narrativa, la Sentenza n. 1557/2013 emessa dal Tribunale di Bologna o parzialmente nell'assunto al punto n. 3 della stessa ove viene rilevata a carico della Sig.ra X la violazione del dovere di coabitazione e quello di assistenza morale e materiale del coniuge, affetto da problemi di salute, nonché la dichiarazione che la separazione è da addebitare a quest'ultima. In via istruttoria: - ammettersi le prove documentali in atti di parte attrice e tutte le istanze formulate nelle memorie ex art. 183, 6 c, c.p.c.; - autorizzare ad estrarre ed acquisire il fascicolo cartaceo e/o informatico relativo alla procedura di amministratore di sostegno avanti il Tribunale di Bologna, svoltasi a beneficio del de cuius Sig. P. G., nato il 23.12.1961 in Bologna ed ivi deceduto in data 28/02/2015, fascicolo dal quale potrebbero emergere prove determinanti a favore della Sig.ra X . Nella denegata ipotesi in cui le conclusioni preliminari non venissero accolte: - non ammettersi e quindi respingere l'istanza di controparte relativamente alla prova testimoniale per aver indicato zii e prozii dei medesimi e pertanto testimonianza preclusa ai sensi dell'art. 246 c.p.c., così come meglio rappresentato nella propria memoria ex art. 183 c.p.c., 6 c., 3 termine, a pagina 4; - in subordine, non ammettersi prova testimoniale per inammissibilità delle domande per le seguenti motivazioni: o Irrilevante e valutativa; o Valutativa; o Irrilevante, per relato e suggestiva; o Irrilevante, per relato. Con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio con sentenza esecutiva come per Legge, dichiarandosi antistatario. CONVENUTI: Voglia l'Ill.mo Tribunale di Bologna, contrariis reiectis, in via preliminare - accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in atti, l'inammissibilità dell'azione esperita ex adverso per decorrenza dei termini previsti dagli articoli 326 e 327 c.p.c.; nel merito - accertare e dichiarare, per le ragioni esposte in atti, l'insussistenza dei presupposti previsti dall'art. 395 comma 2 numeri 3 e 4 per la revocazione della sentenza n. .../2013 emessa dal Tribunale di Bologna nel giudizio di separazione n. .../11, e per l'effetto - rigettare l'istanza di revocazione promossa dalla signora X ; - accertare e dichiarare per le causali di cui in narrativa che l'attrice ha agito con mala fede e colpa grave e, conseguentemente, condannarla ex art. 96 c.p.c., al risarcimento dei danni in favore dei convenuti, da liquidarsi nella misura che risulterà in corso di causa ovvero in via equitativa. In ogni caso, con vittoria di spese, anche generali, e compenso professionale del giudizio, oltre CNA ed IVA come per legge. ... ... ... In via istruttoria, si insiste per l'ammissione dei mezzi istruttori così come richiesti nella seconda ex art. 183 sesto comma c.p.c. depositate nell'interesse dei convenuti T. T. e F. T. e non ammessi; ci si oppone alle richieste istruttorie dedotte ex adverso per le ragioni esposte in atti ed in particolare nella seconda e terza memoria ex art. 183 sesto comma c.p.c. ... ... ... Ci si oppone ad eventuali domande e/o istanze nuove dichiarando espressamente di non accettare sulle stesse il contraddittorio. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato agli eredi del marito P. G., nato il 23.12.1961 in Bologna ed ivi deceduto in data 28/02/2015, X esponeva, in sintesi, di essere venuta a conoscenza solo in data 16-4-2021, cioè quando, a seguito di apposita richiesta del proprio difensore, ne ha ricevuta copia dal Cancelliere (doc. 1), della sentenza di separazione n. .../2013 pronunciata dal Tribunale di Bologna all'esito del procedimento r.g.n. ...2011, con la quale era stata pronunciata la separazione con addebito nei suoi confronti. Ella così testualmente allega i motivi di revocazione: Sulle motivazioni di revocazione della Sentenza n. .../2013 ai sensi dell'art. 595, 3 e 4 co, c.p.c.. L'attrice, venuta a conoscenza della Sentenza n. .../2013, ritiene che sia stata emessa per l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti del giudizio in quanto il Giudice ha supposto quanto segue: " Art. 595, 3 e 4 co, c.p.c.: Che la notifica degli atti, perfezionatasi per compiuta giacenza all'indirizzo precedente il trasferimento della Sig.ra X, fosse stata effettuata all'indirizzo di residenza, rappresentato erroneamente dal ricorrente7, inducendo così il Giudicante a dichiararne la contumacia impendo, peraltro, l'esercizio del diritto di difesa. Essendo dichiarata contumace non aveva potuto produrre in giudizio alcuna difesa sia per causa di forza maggiore e soprattutto per fatto dell'avversario causa il suo errore di notifica, esonerandola dalla imputabilità del fatto da cui è dipesa l'impossibilità di produrre documenti e difesa, nel corso del giudizio; Vedi premesse punto s " Art. 595, 4 co, c.p.c.: Che il Sig. P. G. non avesse alcuna responsabilità nell'allontanamento, per meglio dire nella fuga, della Sig.ra X dalla casa coniugale, infatti la stessa zia, A. L., che in data 09/05/2013 aveva reso testimonianza avanti al Giudice (Doc. n. 18) del procedimento di separazione, si è ben guardata dal riferire di aver intrapreso, essa stessa, il procedimento per interdizione, di cui sopra, per tutelare la propria sorella e nipote, rispettivamente madre e sorella del Sig. G. P., dalle aggressività dovute ai disturbi psichici di questo ultimo ed anzi rappresentava un'immagine della Sig.ra X ben poco lodevole e screditandola come moglie. E' pertanto inconfutabile che l'allontanamento della Sig.ra X dalla casa coniugale e la sua sparizione fossero dovute alla tutela della propria incolumità dalle violente angherie del marito. Considerato peraltro che l'abbandono del domicilio coniugale non è sanzionabile con l'addebito della separazione laddove venga provata una "preesistente situazione di intollerabilità della convivenza" (Corte Cassazione n. 2059/2012 - n. 25966/2016) come nella fattispecie. Il Giudicante ha supposto una verità che veniva incontrastabilmente esclusa dagli atti e documenti del procedimento per separazione e dal giudizio per interdizione sopra richiamato; art. 594 c. 4 c.p.c.: Che l'amministratore di sostegno fosse super partes rispetto agli interessi della Sig.ra X, perché alcuno gli rappresentava che era invece portatore degli interessi dei suoi due figli, qui convenuti, che avrebbero potuto accedere, com'è stato, per rappresentazione all'eredità del Sig. P. G. a scapito dei diritti successori lesi dell'attrice. Di talché, se il ricorso per separazione fosse stato un atto effettivamente dettato dalla volontà del Sig. P. G., non v'era ragione per chiedere l'addebito alla Sig.ra X, quand'ella invece cercasse di rendersi invisibile per le ragioni in narrativa e che, nell'arco del trascorrere di tanti anni non aveva mai avanzato alcuna pretesa né economica né risolutoria del rapporto matrimoniale. Il Giudice è stato, in questo caso, indotto a supporre l'inesistenza di un interesse da parte dell'A.d.s. quando la verità era positivamente stabilita dal rapporto di parentela sottaciuto. Quanto precede rende incontrastabile la legittimazione attiva della Sig.ra X laddove la sentenza impugnata è idonea ad attribuirle i diritti successori se fosse stata emessa "priva di addebito". SI costituiscono tempestivamente i convenuti ed eccepiscono l'inammissibilità dell'azione di revocazione per decorrenza dei termini di cui all'art. 326 c.p.c. e per intervenuta decadenza dall'impugnazione ex art. 327 c.p.c. Venivano chiesti e assegnati i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c.; anche parte convenuta, contrariamente a quanto eccepito dalla attrice, depositava tutte e tre le memorie, nel rispetto dei termini, in quanto l'ordinanza di concessione dei termini era comunicata il 12-10-2021, il primo termine di trenta giorni scadeva il giorno 11-11-2021, il secondo termine di trenta giorni scadeva il giorno 13-12-2021, essendo il giorno 11 un sabato (art. 155 c.p.c.), il terzo termine, di venti giorni, scadeva il 3 gennaio 2022, essendo il ventesimo giorno, cioè il 2 gennaio, una domenica (sempre ex art. 155 c.p.c.). Non era accolta alcuna istanza istruttoria e la causa era trattenuta in decisione all'udienza del 28-9-2022 con assegnazione dei termini massimi ex art. 190 c.p.c. Le prove testimoniali richieste dai convenuti nella memoria n. 2 sono con tutta evidenza superflue ai fini della decisione. Parte attrice anche in sede di precisazione delle conclusioni insiste nella richiesta di autorizzare ad estrarre ed acquisire il fascicolo cartaceo e/o informatico relativo alla procedura di amministratore di sostegno avanti il Tribunale di Bologna, svoltasi a beneficio del de cuius Sig. P.G., nato il 23.12.1961 in Bologna ed ivi deceduto in data 28/02/2015, fascicolo dal quale potrebbero emergere prove determinanti a favore della Sig.ra X. E' evidente dalla formulazione stessa della richiesta (dal quale potrebbero emergere prove determinanti) che essa è del tutto esplorativa, in quanto l'attrice non allega quali potrebbero essere queste prove né le ragioni del loro carattere asseritamente determinante. In estrema sintesi, la tesi di parte attrice è che, se ella avesse avuto conoscenza della pendenza del procedimento di separazione giudiziale promosso dal marito con ricorso depositato il 7-9-2011, si sarebbe costituita e avrebbe così potuto allegare e dimostrare che si era allontanata dalla casa familiare rendendosi irreperibile per sfuggire alle condotte maltrattanti del marito; avrebbe quindi evitato che la separazione le venisse addebitata per violazione dell'obbligo di coabitazione e assistenza e avrebbe evitato di essere esclusa dall'eredità del marito. Tuttavia, l'attrice non fornisce alcuna prova degli assunti che precedono né della tempestività e ammissibilità dell'azione proposta, invero allegata in maniera del tutto generica. Giova ricordare l'art. 325. (Termini per le impugnazioni): Il termine per proporre l'appello, la revocazione e l'opposizione di terzo di cui all'art. 404, secondo comma, è di trenta giorni. E' anche di trenta giorni il termine per proporre la revocazione e l'opposizione di terzo sopra menzionata contro le sentenze delle corti di appello. Il termine per proporre il ricorso per cassazione è di giorni sessanta. Nonché l' Art. 326 (Decorrenza dei termini): I termini stabiliti nell'articolo precedente sono perentori e decorrono dalla notificazione della sentenza, tranne per i casi previsti nei numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 e negli artt. 397 e 404 secondo comma, riguardo ai quali il termine decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza di cui al numero 6 dell'art. 395, o il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza. Nel caso previsto nell'articolo 332, l'impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altri parti. E infine l'art. 327 (Decadenza dall'impugnazione): Indipendentemente dalla notificazione l'appello, il ricorso per Cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza. Questa disposizione non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292. Ora, la sentenza di separazione è stata depositata il 20-5-2013. Non ricorre l'eccezione di cui all'ultimo comma, in quanto il ricorso per separazione era stato correttamente notificato alla moglie, per compiuta giacenza, all'indirizzo di residenza della stessa (di Via ....risultante dal certificato storico di residenza), così come verbalizzato all'udienza del 31 gennaio 2012 e ritenuto dal Giudice nell'ordinanza presidenziale (doc. 1, 7 e 8). La giurisprudenza è concorde nell'affermare che il contumace non può valersi della previsione di cui al secondo comma dell'art. 327 c.p.c. se vi sia stata una valida notificazione dell'atto introduttivo, e anche se venga omessa la notifica di un atto successivo (Cass. civ. sentenza n. 12761/2011, Cass. civ. sentenza n. 12441/2011). La revocazione per il motivo di cui al punto 4 dell'art. 395 c.p.c. (4) se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando e' supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare;) è pertanto inammissibile. La revocazione per il motivo di cui all'art. 3 dell'art. 395 c.p.c. (3) se dopo la sentenza sono stati trovati uno o piu' documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;) è parimenti inammissibile in quanto la attrice era a conoscenza della sentenza di separazione almeno dal febbraio 2015. Sostiene la attrice di aver estratto la copia della sentenza di cui invoca la revocazione solo il 16 aprile 2021. Ma, come attesta la corrispondenza intercorsa tra i precedenti legali dell'odierna ricorrente e quelli della famiglia T., di cui ai doc.ti 2-4 di parte convenuta, almeno dal 2015 la signora X era a conoscenza di quanto stabilito dalla sentenza n. .../2013 del Tribunale di Bologna, trasmessa in copia all'allora difensore della signora X , Avv...., con comunicazione del 15 febbraio 2016. SI soggiunge che il "documento decisivo" rilevante ai sensi del n. 3 art. 395 c.p.c. non può essere la medesima decisione impugnata, in quanto è necessario che esso preesista alla stessa (Cass. 40895 del 2021). Le domande di parte attrice sono, quindi, inammissibili e, in ogni caso, andrebbero respinte in quanto sfornite di prova. La convenuta, infatti, nulla ha offerto per dimostrare che effettivamente il marito tenesse nei suoi confronti condotte tali da rendere giustificato il suo allontanamento dalla casa coniugale, a ottobre 2002. Nel ricorso per interdizione promosso dalla zia materna de marito nel 2001, di cui peraltro la odierna attrice era perfettamente a conoscenza, avendo presenziato all'udienza con l'assistenza di un difensore, si allegano, infatti, condotte inappropriate tenute dal P. G. nei confronti della propria madre e della propria zia, ma non nei confronti della moglie; all'udienza del 26-6-2001, comunque, tutte le parti hanno rinunciato agli atti e così si è concluso tale giudizio (doc. 14 di parte attrice). La domanda attorea di cui qui si tratta va dunque dichiarata inammissibile e comunque respinta Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo nei valori medi per tutte le fasi. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1 - dichiara inammissibili e comunque rigetta le domande di parte attrice; 2 - condanna parte attrice a rifondere ai convenuti le spese legali che si liquidano in euro 7.392 per compensi, oltre 15 % per spese generali e accessori come per legge, da versare direttamente ai difensori, che si dichiarano antistatari. Così è deciso in Bologna nella camera di consiglio del 18 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bologna ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 12131/2018 tra le parti: ATTORE (...) (C.F.: (...)) ? Difesa: Avv. CI.IR.; ? Domicilio: VIA (...) PESARO presso lo studio dell'Avv. Ir.Ci. CONVENUTO (...) (C.F.: (...)) ? Difesa: Avv. LA.DO. ? Domicilio: VIA (...) BOLOGNA presso lo studio dell'Avv. Do.La. CHIAMATI (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del legale rappresentante pro-tempore ? Difesa: Avv. MO.CL. ? Domicilio: Via (...), Bologna presso lo studio dell'Avv. Cl.Mo. (...) (C.F.: (...)) ? Difesa: Avv. ZA.MA. ? Domicilio: Mura di Porta D'Azeglio N. 4, Bologna presso lo studio dell'Avv. Fr.Fi. (...) (C.F.: (...)), ? Difesa: Avv. FA.GI. ? Domicilio: Galleria (...), Bologna presso lo studio dell'Avv. Gi.Fa. (...) S.P.A. (C.F.: (...)) in persona del legale rappresentante pro-tempore ? Difesa: Avv. TO.DA. ? Domicilio: Via (...), Bologna presso lo studio dell'Avv. Da.To. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) allega: 1) contratto di compravendita del 25 settembre 2017 con cui ha acquistato da (...) l'immobile meglio descritto nel ricorso introduttivo, per il corrispettivo di Euro 135.000,00; 2) l'inadempimento dell'obbligo assunto dal venditore con il medesimo atto di concludere a sue spese entro il 30 novembre 2017 i lavori di ristrutturazione/manutenzione che interessavano l'edificio, a presidio del quale era stato stabilito che Euro 15.000,00 del saldo prezzo fossero trattenuti in deposito presso il notaio rogante, oltre a una clausola penale di Euro 100,00 per ogni giorno di ritardo a partire dal 1 dicembre 2017; 3) la mancata ultimazione a regola d'arte dei lavori pattuiti all'art. 7 del rogito; 4) di aver denunciato vizi dell'immobile il cui costo per il ripristino quantifica in Euro 51.933,00, oltre IVA 10% sulla somma di Euro 42.000,00. Pertanto, (...) chiede che (...) sia condannato al pagamento di Euro 15.100,00 in forza della clausola penale, oltre che al risarcimento del maggior danno quantificato in Euro 51.933,00, oltre IVA 10% sulla somma di Euro 42.000,00. (...) si difende negando di aver acconsentito allo svincolo della somma in deposito fiduciario presso il notaio in favore della parte acquirente, ed eccependo: 1) che la clausola penale, di per sé manifestamente eccessiva, riguardava solo il ritardo nell'ultimazione dei lavori elencati nella clausola VII del rogito, commissionati a (...) Srl e conclusi il 22 dicembre 2017; 2) l'inapplicabilità della disciplina in materia di vizi nel contratto di appalto; 3) l'inapplicabilità della disciplina in materia di vizi nel contratto di compravendita, poiché gli asseriti vizi sarebbero sorti dopo il consenso traslativo; 4) in subordine la decadenza dalla garanzia; 5) il difetto di prova dell'esistenza di vizi tali da incidere sulla funzionalità del bene. Pertanto, (...) chiede il rigetto delle domande di parte ricorrente, in via riconvenzionale che (...) sia condannata a pagare Euro 15.000,00 oltre interessi e, in subordine, la compensazione, ovvero che (...) Srl sia condannata a tenerla indenne in caso di soccombenza. (...) Srl, chiamata in causa da (...), si difende eccependo: 1) di aver correttamente eseguito i lavori commissionati e di averli ultimati entro il 29 dicembre 2017, per il resto riproponendo le stesse argomentazioni difensive di (...); 1) che i rilievi di parte ricorrente in merito a pretesi vizi strutturali tali da "pregiudicare la stabilità stessa dell'edificio" sarebbero ascrivibili a (...), direttore dei lavori e (...), progettista e strutturista. Pertanto, (...) Srl chiede il rigetto delle domande nei suoi confronti e in subordine che (...) e (...) siano condannati a tenerla indenne in caso di soccombenza. (...), chiamato in causa da (...) Srl, si difende eccependo: 1) di aver concluso il proprio incarico di direttore dei lavori in data 02.08.2017; 2) il proprio difetto di titolarità passiva della pretesa fondata sulla clausola penale, da chiunque venga rivolta; 3) che i lavori di cui era stata richiesta l'ultimazione in sede di rogito alla data del 30.11.2017 erano pressoché ultimati e difettavano solo di una serie di rifiniture; 4) che nel verbale 30 novembre 2017 sono state individuate opere ulteriori rispetto a quelle previste per il rogito; 5) di non essere responsabile della progettazione strutturale, per il resto aderendo alle difese e alle eccezioni della parte convenuta e di (...) contro (...). Pertanto, (...) chiede il rigetto della domanda e in subordine l'accertamento delle responsabilità di ciascun soggetto coinvolto nel presente giudizio, nonché di essere tenuto indenne da G. Spa in caso di soccombenza. (...), chiamato in causa da (...) Srl, si difende eccependo: 1) il proprio difetto di titolarità passiva della pretesa fondata sulla clausola penale, da chiunque venga rivolta; 2) che la clausola penale riguardava solo il ritardo nell'ultimazione dei lavori ivi elencati, ultimati il 22 dicembre 2017; 3) la manifesta eccessività della predetta clausola penale; 4) che i lavori per cui è causa non erano attinenti ai profili strutturali, di cui era responsabile, aderendo per il resto alle difese di parte convenuta e degli altri chiamati contro (...). Pertanto, (...) chiede il rigetto della domanda e in subordine l'accertamento delle rispettive quote di responsabilità. (...) Spa, chiamata in causa da (...), si difende aderendo alle difese del proprio assicurato ed evidenziando i limiti di polizza, in particolare sotto il profilo dell'esclusione del vincolo di solidarietà. P.(...) Spa chiede il rigetto della domanda nei suoi confronti e del proprio assicurato. Devono in via preliminare respingersi le istanze istruttorie reiterate in sede di precisazione delle conclusioni perché la causa può essere decisa sulla base del materiale istruttorio già acquisito. L'assetto degli interessi tra le parti deve essere ricostruito nei termini che seguono. Con riferimento alla richiesta di pagamento della somma a titolo di penale, a detta di (...), sulla questione relativa all'adempimento dell'obbligo assunto ai sensi dell'art. VII del rogito, vale la disciplina ordinaria in materia di adempimento delle obbligazioni contrattuali per cui, in via di principio, sarebbe proprio il predetto a dover dimostrare che i lavori ivi indicati si sarebbero conclusi prima del 31 maggio 2018 (data indicata da (...)). (...) non formula istanza di prova orale sul punto, ma fonda la sua difesa su due aspetti: - l'aver invitato la ricorrente ad effettuare una verifica in contraddittorio sugli interventi asseritamente eseguiti; - la dichiarazione dell'arch. (...) del 26 marzo 2018, che attesterebbe l'integrale ultimazione dei suddetti lavori. Per altro verso, per analogia con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di appalto, può ravvisarsi un obbligo di cooperazione da parte dell'acquirente che commissiona l'esecuzione di lavori al venditore (non rilevando sotto questo profilo che i lavori siano eseguiti da un terzo appaltatore) in relazione alla verifica di quanto eseguito. Seppure è vero che all'esito del carteggio intercorso tra le parti tra dicembre 2017 e gennaio 2018, dopo aver ricevuto mail del 25 gennaio (doc. n. 8 bis di parte convenuta), in cui (...) su rendeva disponibile a un incontro il 3 febbraio, (...) ha proceduto al sopralluogo il 12 febbraio 2018 (v. verbale sub doc. (...) fascicolo parte ricorrente, contenente l'elenco dei lavori non ancora terminati a tale data), in assenza di (...) e alla presenza del solo Direttore dei Lavori (...), è altresì vero che (...) ha inteso dimostrare che al 26 marzo 2018 i lavori erano ultimati proprio mediante una relazione del medesimo (...) del 26 marzo 2018. Di conseguenza, entrambe le parti, ciascuna sostegno dei propri assunti, mostrano di considerare attendibile (...) e, dunque, il Tribunale ritiene di poter fondare la propria decisione in relazione a questo aspetto sulle osservazioni del direttore dei lavori che, peraltro, non era legato ad alcuno dei contraenti del rapporto di vendita da un rapporto contrattuale, essendo stato incaricato, come si vedrà, da (...). Del resto, è senz'altro verosimile che i lavori di cui al rogito non fossero ultimati al 12 febbraio 2018 (allegazione Fanti) e invece lo fossero al 26 marzo 2018 (allegazione F.), così che la penale di Euro 100 per ciascun giorno di ritardo a partire dal 1 dicembre 2017 ammonta ad Euro 11.500,00 (115 giorni 100 Euro). Con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno avente ad oggetto i vizi allegati da parte attrice (premesso che il Ctu non ha riscontrato quelli afferenti ai profili strutturali di cui alla perizia allegata alla seconda memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. di (...)), il Tribunale osserva che il venditore risponde nei confronti degli acquirenti dei difetti dell'opera a norma artt. 1667 e 1669 c.c. laddove lo stesso abbia curato la costruzione, direttamente o tramite direttore dei lavori, ancorché i lavori siano stati appaltati a un terzo (Cass. n. 20877/2020; n. 2238/2012; n. 4622/2002). Tali caratteristiche non si ravvisano in capo alla parte venditrice nel caso di specie, sia in quanto (...) è un soggetto privato e privo di competenze tecniche (o quanto meno, non è stato allegato e dimostrato che le abbia), sia perché il direttore dei lavori è stato nominato dall'appaltatrice, come si evince dal contratto di appalto e dal preventivo inviato al rappresentante legale di (...) (doc. 7 (...)). In questo quadro, sarebbe stato onere di parte attrice dimostrare la sussistenza in fatto di un potere di controllo, ma non sono stati formulati capitoli di prova orale sul punto. Per le stesse ragioni non può operare un meccanismo di estensione della domanda svolta da parte attrice nei confronti dei soggetti coinvolti nell'appalto e chiamati in causa nel presente procedimento, richiamandosi sul punto quanto sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'azione può essere esperita dagli acquirenti anche nei confronti degli altri soggetti coinvolti nell'appalto quando le rispettive azioni o omissioni abbiano concorso al verificarsi dell'evento, "purché l'opera sia comunque riferibile al venditore stesso, riferibilità da accertarsi in concreto dal giudice di merito attraverso la verifica del sussistere di un potere direttivo e di controllo sull'appaltatore" (Cass., ord. n. 27250/2017). Ne consegue l'inapplicabilità della disciplina prevista dagli artt. 1667 e 1669 c.c. in materia di appalto e, semmai, l'astratta operatività del meccanismo di garanzia per i vizi ex artt. 1490 c.c. e seguenti in materia di compravendita. Circa l'operatività di tale garanzia, a fronte dell'eccezione di decadenza formulata da (...), il Tribunale rileva che, sia pure aderendo alla giurisprudenza di legittimità che fissa il dies a quo del termine di decadenza di cui all'art. 1495 c.c. nel momento in cui l'acquirente perviene a un sufficiente grado di consapevolezza in ordine alle origini e alla natura dei vizi (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11046 del 27/05/2016), nel caso di specie, al 31 maggio 2018, data di redazione della perizia di parte, non è seguita negli otto giorni successivi una denuncia dei vizi ivi rilevati, o meglio non sono stati allegati documenti né formulate istanze di prova orale sul punto. Per la verità, (...) ha prodotto una relazione tecnica dei direttori dei lavori datata 26 marzo 2018 che presuppone la conoscenza di una (diversa e anteriore) perizia (deve ritenersi) di parte attrice (poiché si legge che è del geom. (...)), ma non essendo in atti non è possibile individuare il dies a quo del termine di decadenza, per comprendere se la denuncia al venditore sia stata fatta negli otto giorni successivi. Pertanto, dovendosi avere riguardo alla data di deposito del presente ricorso, quale prima denuncia al venditore dei difetti scoperti in virtù dell'accertamento tecnico, la ricorrente è decaduta dalla suddetta garanzia, se non per il profilo evidenziato al venditore fin dalla missiva 28 novembre 2017, poi ripetuto nella missiva 11 gennaio 2018, cioè il "mancato allacciamento del tubo di aspirazione della cappa che ha causato un allagamento, per cui il Ctu ha stimato un costo di ripristino per Euro 2.600,00". A tale costo devono aggiungersi anche le spese per la realizzazione non a regola d'arte della veletta ad occultamento del tubo di aspirazione della cappa e per il mancato corretto allacciamento del tubo di scarico della condensa, per complessivi Euro 1.733,00, in quanto profili oggetto di riconoscimento da parte dei Ctp dei convenuti, contegno riferibile alle parti e incompatibile con la volontà di avvalersi della decadenza dalla garanzia (v. Cassazione, sent. n. 2733/2013 in materia di appalto). In relazione alla domanda riconvenzionale di (...), avente per oggetto il pagamento del residuo importo dovuto quale prezzo della compravendita, pari a Euro 15.000,00, il Tribunale rileva che la riconsegna a parte acquirente degli assegni di Euro 10.000,00 e 5.000,00, in deposito fiduciario presso il notaio rogante, doveva essere preceduta dal "previo unanime accordo di tutte le parti" (art. II del rogito) e che tale condizione non risulta né dedotta né tantomeno provata dalla parte onerata, che era nel caso di specie (...), non potendo (...) offrire la prova (negativa) della sua insussistenza. Ad abundantiam, si osserva che la tempestiva conclusione dei lavori indicati all'articolo VII del rogito era presidiata, da un lato, dalla penale di Euro 100,00 per ciascun giorno di ritardo e, dall'altro, dal deposito fiduciario di due assegni per complessivi Euro 15.000,00. In virtù di tale duplice rimedio contrattuale, ove fosse riconosciuto a (...) il diritto a trattenere gli assegni lasciati in deposito presso il notaio (per Euro 15.000,00), cioè una riduzione del prezzo dell'acquisto, la penale gravante in capo a (...) risulterebbe manifestamente eccessiva. Pertanto, (...) è tenuta a pagare Euro 15.000,00 in favore del resistente, quale residuo importo dovuto in forza del contratto di compravendita, in ragione dell'ultimazione dei lavori di cui alla VII clausola del rogito, attestata dal direttore dei lavori e confermata dal CTU. A esito di compensazione delle reciproche voci di credito, (...) dovrà corrispondere a (...) Euro 833,00. Non essendo state indicate le date degli esborsi legati ai vizi, rivalutazione e interessi decorrono dalla data di deposito della CTU. (...) ha chiesto di essere tenuto indenne da (...) del costo economico rappresentato dagli Euro 15.833,00 dovuti a (...) alla luce delle considerazioni sopra esposte. La sua domanda è fondata. (...) non ha contestato natura e termini dell'incarico conferitole da (...) in merito ai lavori indicati all'art. VII del rogito e pertanto, rientrava nel suo onere probatorio dimostrare la tempestiva esecuzione (o comunque il completamento dei lavori in data anteriore, se del caso, al 26 marzo 2018), ma tale onere non è stato assolto. Neppure ha eccepito, nei confronti del suo committente, la decadenza dalla garanzia per i vizi. L'impostazione difensiva di (...) si fonda piuttosto sulla chiamata dei terzi, a lei legati da diversi rapporti contrattuali, ovvero (...) e (...), incaricati di dirigere i lavori sull'immobile in questione, il primo per gli aspetti architettonici, il secondo con riferimento ai profili strutturali, per addossare sui medesimi il costo economico di cui si tratta. Sennonchè, premesso che gli interventi residuati alla data del rogito e assistiti dalla penale non attenevano ai profili strutturali dell'immobile (ciò che consentirebbe già in radice di escludere la responsabilità di (...) per il ritardo nella ultimazione delle opere), (...) non allega specificamente alcun inadempimento (degli obblighi rientranti nel regolamento contrattuale con ciascuno) dei terzi chiamati a sostegno della chiamata in manleva, non individuando, nella condotta dei professionisti, profili omissivi o commissivi astrattamente idonei a generare il ritardo nell'esecuzione delle opere di cui all'art. VII del rogito ovvero i vizi per cui la garanzia è stata ritenuta operante. A tale riguardo, si segnala che, in ipotesi di inesatta o tardiva consegna dei lavori, il direttore dei lavori non risponde automaticamente, in solido con l'appaltatore, dei danni cagionati al committente, occorrendo piuttosto che "le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3651 del 24/02/2016), e ciò implica un onere di specifica allegazione dei profili di responsabilità del medesimo "per l'omessa costante vigilanza in relazione a profili marginali dell'esecuzione dell'opera" (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 39448 del 13/12/2021). La domanda di (...) verso gli altri terzi chiamati deve dunque essere rigettata. Le spese di lite sono integralmente compensate tra (...) e (...) per la soccombenza reciproca. Seguono la misura della soccombenza negli altri rapporti processuali (in relazione ai vizi, occorre tenere conto che la domanda di (...) è stata accolta solo in parte) e sono liquidate secondo i parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022. Spese di Ctu, liquidate come in atti, a definitivo carico solidale di (...) e (...) tenuto conto che ha avuto per oggetto i vizi in relazione ai quali la domanda di (...) è stata accolta solo in parte. P.Q.M. Il Tribunale di Bologna definitivamente pronunciando, così provvede: 1) condanna (...) a pagare a (...) Euro 833,00 oltre rivalutazione e interessi dal 10 giugno 2022; 2) condanna (...) Srl a pagare a (...) Euro 15.000,00; 3) condanna (...) Srl a tenere indenne (...) da quanto avrà pagato in relazione al punto 1); 4) rigetta le domande di (...) Srl nei confronti dei terzi chiamati; 5) rigetta le altre domande di (...); 6) spese di lite compensate nel rapporto processuale tra (...) e (...); 7) condanna (...) Srl a rifondere a (...) le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 5.077,00 oltre spese generali, imposta e contributi; 8) condanna (...) Srl e (...) a rifondere a (...) le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 (nella misura di 1/2 ciascuno) oltre spese generali, imposta e contributi; 9) condanna (...) Srl e (...) a rifondere a (...) le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 (nella misura di 1/2 ciascuno) oltre spese generali, imposta e contributi; 10) condanna (...) Srl e (...) a rifondere a (...) Spa le spese di lite, liquidate in complessivi Euro 7.200,00 (nella misura di 1/2 ciascuno) oltre spese generali, imposta e contributi; 11) spese di Ctu a definitivo carico solidale di (...) e (...) Srl. Così deciso in Bologna il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Bologna ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa n. 10521/2020 tra le parti: ATTORE (...) S.P.A. (C.F.: (...) ) in persona del legale rappresentante pro-tempore - Difesa: Avv. CO.LU.; - Domicilio: VIA (...) 40124 BOLOGNA presso lo studio dell'Avv. Lu.Co. CONVENUTO (...) S.R.L. (C.F.: (...)) in persona del legale rappresentante pro-tempore ? Difesa: Avv. CA.FR. ? Domicilio: VIA (...) 40125 BOLOGNA presso lo studio dell'Avv. Gi.Pa. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE (...) Spa si oppone al decreto n. 2104/2020 con cui il Tribunale di Bologna le ha ingiunto di pagare a (...) Srl Euro 406.986,45 oltre interessi e spese a titolo di corrispettivo per servizi di contact center. L'opponente eccepisce l'inadempimento di (...), che non avrebbe trasmesso la documentazione attestante l'adempimento, da parte dell'appaltatore, degli obblighi retributive, previdenziali, assicurativi, assistenziali e fiscali nei confronti dei dipendenti coinvolti nell'appalto, richiesta con raccomandata del 15 aprile 2019. (...) Spa chiede la revoca del decreto ingiuntivo e l'accertamento che nulla è dovuto da (...) spa nei confronti di INPS e INAIL a titolo di responsabilità solidale ex art. 29 comma 2 D.Lgs. n. 276 del 2003; (...) Srl, a sostegno della propria pretesa, allega: 1) contratto di appalto del 23 aprile 2017 stipulato tra (...) ed (...) Spa, in cui è subentrata in forza di contratto di affitto di ramo d'azienda dell'1.1.2019 per l'esecuzione di servizi di contact center; 2) di aver correttamente adempiuto le prestazioni di cui al contratto d'appalto, indicate nelle fatture azionate in monitorio; 3) il regolare pagamento delle retribuzioni nonché degli oneri contributivi e previdenziali nei confronti dei lavoratori coinvolti nell'appalto e degli enti previdenziali. P.(...) Srl chiede il rigetto dell'opposizione. L'opposizione è infondata. Il credito fatto valere con il ricorso per ingiunzione non è in contestazione né sotto il profilo dell'an né sotto il profilo del quantum (nessuna doglianza (...) ha mosso con riferimento all'esecuzione delle prestazioni per cui (...) chiede di essere remunerata. L'opponente introduce piuttosto quale eccezione (di inadempimento) il tema della mancata consegna da parte dell'odierna opposta di tutta la documentazione idonea ad attestare la regolarità nei pagamenti dei lavoratori coinvolti nell'appalto e dei contributi previdenziali nei confronti degli enti preposti, ovvero ad escludere un'eventuale richiesta di pagamento rivolta al committente in ragione della responsabilità solidale disciplinata dell'art. 29 del D.Lgs. n. 276 del 2003. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c. è un rimedio necessariamente temporaneo, produttivo di effetti meramente sospensivi e non anche liberatori, realizzabili esclusivamente attraverso la risoluzione del contratto (Cassazione, ord. n. 8760/2019). Nel caso di specie, parte opponente non formula domanda di risoluzione del contratto, né nelle sue allegazioni si scorge un controcredito (deve ipotizzarsi) di regresso, anche solo astrattamente idoneo ad alterare l'equilibrio sinallagmatico, ovvero idoneo a estinguere la pretesa creditoria di (...) mediante compensazione. Al riguardo, si evidenzia che, in base alle sue stesse allegazioni, (...) non ha, ad oggi, ricevuto alcuna domanda di pagamento, né dai lavoratori né dagli enti previdenziali. In particolare, con riferimento ai crediti retributivi, la circostanza per cui le buste paga non rechino la sottoscrizione per quietanza, non è di per sé in grado di far prefigurare la sussistenza di un controcredito di regresso di (...), anche in considerazione del fatto che la responsabilità solidale del committente nei confronti dei dipendenti dell'appaltatore, ai sensi dell'art. 29 comma II cit., soggiace al limite temporale di due anni dalla cessazione dell'appalto, con la conseguenza che, nel caso di specie, trattandosi di un appalto cessato nel 2019, eventuali pretese dei dipendenti (...) verso (...) non sarebbero più azionabili. Con riferimento al pagamento dei contributi previdenziali, in via preliminare, parte opponente ha formulato richiesta di chiamata in giudizio dell'INPS e dell'INAIL al fine di ottenere una pronuncia di accertamento negativo di eventuali crediti nei suoi confronti degli enti predetti. Sul punto, il Tribunale osserva: 1) come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sent. n. 7406/2014), al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario, la chiamata in causa del terzo è subordinata al sindacato del giudice in merito alle ragioni di economia processuale e alla necessità di un simultaneus processus, nonché alla sussistenza delle condizioni dell'azione rivolta alla parte chiamata; 2) nel caso di specie, l'assenza di qualsiasi richiesta da parte degli enti previdenziali nei confronti di (...) esclude l'occorrenza di una trattazione simultanea (di un'azione di accertamento negativo di un eventuale credito degli enti previdenziali verso (...)) con il processo avente per oggetto l'accertamento della spettanza o meno della pretesa di O.. In ogni caso, la circostanza per cui al concordato (...) sono stati ammessi crediti degli enti previdenziali avrebbe richiesto un preciso riscontro istruttorio in ordine al fatto che si tratterebbe di pretese connesse all'appalto per cui è causa (deve inoltre rilevarsi che il rapporto tra le parti è durato circa otto mesi, dunque il pur elevato importo dei debiti previdenziali indicati nel ricorso per l'ammissione a concordato di (...) nulla suggerisce in ordine all'ipotetica parte di questo debito relativa ai lavoratori coinvolti nell'appalto con (...)). Sotto questo profilo, il Tribunale ritiene che non possa neppure invocarsi l'efficacia sospensiva dell'eccezione di inadempimento, poiché essa è subordinata, almeno, all'allegazione di specifiche ragioni suscettibili, con un ragionevole grado di prevedibilità, di alterare l'equilibrio economico delle prestazioni, univocamente connesse al rapporto per cui è causa; in mancanza di tale allegazione specifica, si tradurrebbe in un uso deviante del rimedio, pure apprestato dell'ordinamento, gravare il creditore, che chieda il pagamento di prestazioni senz'altro eseguite, di un onere probatorio a così ampio spettro (v. le argomentazioni spese da (...) a pag. 23 atto introduttivo). Più in generale, la tesi di (...), secondo cui, in termini generali, cioè anche al di fuori da specifiche pattuizioni, "in considerazione della "posizione di garanzia" che la normativa sopra richiamata attribuisce ai committenti quali responsabili solidali, questi ultimi sono legittimati a subordinare il pagamento del corrispettivo dovuto all'appaltatore al fatto che esso dimostri l'avvenuto adempimento degli obblighi retributivi e contributivi riferiti al personale impiegato nell'appalto, con ciò quantomeno riducendo (ancorché non escludendo del tutto) il proprio rischio", suggerisce un equilibrio dell'assetto degli interessi volto in realtà a neutralizzare quello prefigurato dalla norma, che espone appunto il patrimonio del committente a un rischio proprio se e in quanto possa essere attinto, entro certi limiti temporali, da richieste di pagamento (di terzi rispetto al contratto di appalto) anche dopo che l'appaltatore sia stato remunerato per i lavori eseguiti, ravvisandosi piuttosto nello strumento del regresso (o della surroga) il rimedio per recuperare il costo economico (eventualmente) sostenuto dal soggetto nella cui sfera giuridico-patrimoniale deve essere allocato in via definitiva. Se è vero che, da contratto, (...) era tenuta a fornire "copia delle dichiarazioni rese agli organi competenti, che diano conto dell'adempimento degli obblighi previdenziali assicurativi, assistenziali e fiscali con riguardo ai dipendenti", è altresì vero che (...) non chiarisce cosa (...) dovrebbe fornire in luogo dei DURC in ipotesi non satisfattivi, tenuto conto che la stessa opponente riferisce di aver "provveduto ad inoltrare reiteratamente la richiesta di informazioni in merito agli eventuali debiti nei confronti degli enti previdenziali anche a questi ultimi; ad oggi, però, nessuna risposta esaustiva è pervenuta dai destinatari della richiesta". Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 147 del 2022, istruttoria nei minimi. P.Q.M. Il Tribunale di Bologna definitivamente pronunciando, così provvede: 1) rigetta l'opposizione; 2) conferisce esecutorietà al decreto ingiuntivo n. 2104/2020 del Tribunale di Bologna; 3) condanna (...) Spa a rifondere a (...) srl le spese di lite liquidate in complessivi Euro 17.252,00 oltre spese generali, imposta e contributi. Così deciso in Bologna il 27 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Roberta Cinosuro ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 285/2021 promossa da: - (...) (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale ad Anzola dell'Emilia (BO) e con il patrocinio dell'Avv. (...) presso il cui studio è elettivamente domiciliata; attore contro - (...) (C.F. (...)), residente a Bologna, con il patrocinio dell'Avv. (...) presso il cui studio è elettivamente domiciliata; convenuto CONCLUSIONI Parte attrice chiede e conclude: "Nel merito Piaccia al Tribunale Ill.mo, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, e previ i necessari accertamenti e declaratorie: - Accertare e dichiarare, per le causali di cui in narrativa, 1e responsabilità tutte, contrattuale ed aquiliana, ex artt. 1337, 1338, 1175, 1440, 1218, 1223 e 2043 ss. cod. civ., anche da dolo incidente, della sig.ra (...) per avere omesso, in fase di trattative precontrattuali per l'acquisto del terreno sito in Valsamoggia, via Cassola n. 31, di informare la (...) Snc della esistenza e validità del vincolo boschivo e, in sede di stipula del contratto preliminare di compravendita, di aver rassicurato il promissario acquirente del fatto che il vincolo in questione fosse scaduto per i motivi tutti meglio indicati in narrativa; - Accertare e dichiarare, altresì, l'inadempimento della convenuta alla obbligazione assunta in sede di contratto di compravendita del terreno de quo tra la (...) Snc la sig.ra (...) con cui le parti "si impegnano alla reciproca collaborazione per verificare la derogabilità dei vincoli medesimi, nonché per individuare soluzione che consenta l'esecuzione del programma immobiliare aziendale dell'acquirente, iniziato con l'acquisto del fabbricato di cui al mio rogito di compravendita in data 24 settembre 2008 rep. 45105" per i motivi tutti meglio esposti in narrativa; e, conseguentemente, - Condannare la convenuta al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti e patiendi, dalla (...) Snc per i titoli e le causali dettagliatamente indicati in narrativa, che si quantificano nella misura di euro 245.489,20 (=duecentoquarantacinquemilaquattrocentottantanovemila/venticentesimi) o nella diversa misura, maggiore o minore, che sarà accertata in corso di causa, anche all'esito della espletanda ctu, e, in subordine, anche in via equitativa. Il tutto maggiorato di interessi legali e maggior danno ex art. 1224 c.c., dal dì del dovuto al saldo. In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio e con salvezza di ogni altro diritto, ragione ed azione. In via istruttoria insiste per l'accoglimento dell'interrogatorio formale della sig.ra (...); della prova per testi del geometra (...), del notaio (...), dell'agronomo (...), del sig. (...) e del Sig. (...); ed infine insiste per l'ammissione di C.T.U.". Parte convenuta chiede e conclude: " Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis rejectis, rigettare tutte le domande e istanze di parte attrice in quanto decaduta dalla facoltà di proporle e comunque infondate; in ogni caso, con vittoria di spese e compensi e con condanna ex art. 96, commi 1 e 3, c.p.c.. In via istruttoria insiste per l'accoglimento della prova testimoniale di (...) sui capitoli e per l'ammissione di C.T. U. per quantificare gli oneri dovuti ai sensi della DGR 549 del 2/5/2012 per l'esistenza del vincolo per cui è causa". Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione notificato in data 30.12.2020 (...) di (...) S.n.c. (d'ora in poi, solo (...)) conveniva in giudizio dinnanzi all'intestato Tribunale (...), esponendo in fatto che: - essendo il proprio oggetto sociale quello di gestione e produzione di imballaggi industriali in legno, nonché di commercializzazione di cartoni e del materiale necessario per la preservazione dell'imballaggio, aveva conferito incarico ad agenzia immobiliare di individuare uno stabilimento adeguato alle proprie esigenze: - le veniva così sottoposto il compendio industriale di proprietà dell'odierna convenuta, sito in Valsamoggia - località Monteveglio - via (...), costituito da un capannone con pertinenziale area cortiliva e da un grande terreno circostante; - nel corso di tutti gli incontri con controparte, esplicitava chiaramente come il proprio interesse riguardasse essenzialmente il terreno circostante il fabbricato (su cui vi era all'epoca un bosco), area che doveva essere destinata allo spazio esterno dello stabilimento; - la convenuta, in tali contesti, l'aveva rassicurata dicendole che avrebbe potuto utilizzare tutto il terreno, poiché il bosco poteva essere abbattuto; - in data 27.06.2018 aveva sottoscritto il contratto preliminare di compravendita del complesso immobiliare; - solo in tale occasione, la promissaria venditrice aveva consegnato all'impiegata dello studio notarile un documento intestato "Piano di Coltura e Conservazione" (doc. n. 1) implicante il vincolo di mantenere il bosco sul terreno oggetto di compravendita; - richieste delucidazioni circa la natura del vincolo, (...) aveva dichiarato che si trattava di un vincolo vecchio e scaduto da anni, pertanto si era determinata a sottoscrivere il preliminare, al cui interno il notaio (...) aveva inseriva sotto la voce "garanzia" che l'immobile sarebbe stato trasferito "con tutti i diritti, azioni e ragioni ad esso inerenti, con ogni aderenza, pertinenza, sovrastanza, infissi, usi e comunioni, servitù attive e passive" oltre ai "vincoli di coltura e conservazione sottoscritti con gli Enti Territoriali in data 13 marzo 1995, con garanzia della Parte Promittente venditrice, ora per allora, di sua proprietà e libertà da pesi, vincoli ed oneri anche ipotecari" (doc. n. 2). - il contratto definitivo era stipulato in data 12.10.2018, inserendovi la clausola: "con riferimento ai vincoli di coltura e conservazione sottoscritti dalla venditrice con gli Enti Territoriali in data 13 marzo 1995, essendo reciproco interesse delle parti compiere l'esecuzione di quanto convenuto con il richiamato contratto preliminare, le medesime si impegnano alla reciproca collaborazione per verificare la derogabilità dei vincoli medesimi, nonché per individuare soluzione che consenta l'esecuzione del programma immobiliare aziendale dell'acquirente, iniziato con l'acquisto del fabbricato di cui al mio rogito di compravendita in data 24 settembre 2008 rep. 45105"; - nell'inerzia della convenuta che si era immediatamente disinteressata dal prestare la dovuta collaborazione (email 14.10.2018 rivolta al Dott. (...) quale tecnico incaricato della verifica delle caratteristiche del vincolo), aveva appreso, mediante incarico a proprio tecnico di fiducia Geom. (...) che il vincolo era attivo sino al 2061 e che, in ossequio alla delibera regionale nr. 549 del 02.05.2012, era possibile l'estirpazione del bosco, a condizione che venisse ripiantumato in altra posizione e su una superficie maggiore rispetto a quella precedentemente occupata; - aveva quindi autorizzato di procedere con l'attività tecnica necessaria, tanto che il Geom. (...) aveva predisposto il "Progetto di compensazione", presentato agli Enti competenti ai fini dell'ottenimento delle autorizzazioni preliminari e dell'approvazione. Nel dare altresì atto che tale attività aveva comportato un notevole incremento della superficie vincolata, e di conseguenza una sensibile riduzione di quella utilizzabile, nonché ingenti oneri economici a proprio carico (spese per realizzare una viabilità temporanea per accedere al bosco e tagliarlo sul lato sud, nonché per realizzare una recinzione temporanea per impedire ai mezzi di cadere dal piazzale al piano di campagna), cui sarebbero conseguiti oneri per le attività agronomiche necessarie per l'allevamento del bosco, parte attrice argomentava in diritto circa la responsabilità della convenuta ai sensi degli artt. 1337, 1338, 1440, 1218, 1175 ss. e 2043 cod. civ. e domandava condanna di (...) al risarcimento dei danni conseguenti all'occultamento in mala fede dell'esistenza, prima, e della validità, poi, del vincolo boschivo, oltre alla mancata collaborazione cui si era obbligata in sede di definitivo. Instava, poi, con richiamo ai principi di buona fede e correttezza nelle trattative precontrattuali, con particolare riferimento al dolo incidente ex art. 1440 cod. civ., lamentando come parte convenuta l'avesse indotta a concludere un contratto a condizioni diverse mediante condotta in mala fede manifestata già in fase di trattative. In merito al quantum risarcitorio, parte attrice individuava il danno nel maggior aggravio economico sostenuto per realizzare il piazzale, nonché nel minor vantaggio derivante dalla parziale inutilizzabilità del terreno; indicava il ristoro nella complessiva somma di Euro 245.489,20= oltre ad interessi legali e maggior danno ex art. 1224 cod. civ.; vinte le spese di giudizio. Parte convenuta (...) si costituiva in causa con comparsa depositata il 08.04.2021, contestando in toto gli avversi argomenti e, diversamente, deducendo di aver reso edotta la controparte circa l'esistenza del vincolo già prima della stipula del preliminare, indicando altresì che sussistevano oneri di estirpazione comunali. In particolare, la convenuta precisava di aver rinvenuto il documento contenente il "Piano di coltura e conservazione" solo il giorno prima della sottoscrizione del preliminare e di averlo trasmesso all'agenzia immobiliare la quale, a sua volta, lo aveva tempestivamente inviato al notaio; evidenziava, inoltre, che nelle more tra la stipulazione del preliminare e quella del definitivo, ossia nel lasso di tempo intercorrente tra il 27.06.2018 e il 12.10.2018, la società attrice ed il Geom. (...) non si erano adoperati per appurare le caratteristiche del vincolo di cui al Piano di Coltura e Conservazione. Irrilevanti, poi, le avverse deduzioni posta l'esistenza di un regolamento del Comune di Valsamoggia del 2016 che non sarebbe stato comunque derogabile, rendendo inevitabile il ricorso alla sostituzione degli alberi estirpati e, pertanto identico il risultato in termini di spese da sostenere. Infine, deduceva parte convenuta che la fattispecie dovesse essere correttamente sussunta nella disciplina dei vizi della vendita di cui agli artt. 1490 e ss. cod. civ., poiché, nella prospettazione avversaria, l'immobile compravenduto sarebbe risultato viziato permanentemente dal vincolo boschivo; invocava l'inammissibilità della domanda così qualificata ai sensi dell'art. 1491 cod. civ., essendo altresì intervenuta decadenza per tardività della denuncia. Quanto alla responsabilità invocata da controparte, contrastava come l'asserita propria mala fede fosse sconfessata dai documenti contrattuali e come l'art. 1338 cod. civ. fosse stato erroneamente richiamato posto che non era stata invocata alcuna causa di invalidità del contratto; ancora, quanto alla responsabilità da inadempimento ex artt. 1218 e 1223 cod. civ., rappresentava come tali norme potessero semmai riferirsi alla sola obbligazione di collaborazione di cui al contratto definitivo, ma che con riferimento a tale aspetto sarebbe stata la società (...) a non contattarla ed a non metterla in condizione di collaborare. Infine, in relazione alla responsabilità aquiliana, ne difettavano i presupposti, così come difettava il nesso causale con qualsiasi tipo di danno. Invocava, eventualmente ed al riguardo, l'art. 1227 cod. civ., essendo da imputarsi alla promissaria acquirente la mancata lettura del Piano di coltura e conservazione, le mancate ricerche nel quadrimestre tra preliminare e rogito, il mancato inserimento di clausole risolutive espresse ad hoc, unitamente al mancato coinvolgimento nella successiva fase esecutiva. Parte convenuta (...) concludeva, pertanto, domandando il rigetto delle domande avversarie; vinte le spese di giudizio con condanna di controparte al risarcimento per lite temeraria. Stante il protrarsi del periodo emergenziale correlato alla diffusione del contagio da Covid-19, le udienze venivano celebrate con la modalità a trattazione scritta di cui all'art. 221 della Legge n. 77/2020 e in particolare del comma 4 secondo cui "il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni"; era quindi assegnato alle parti termine sino a 5 giorni prima della data fissata per il deposito delle note scritte sostitutive degli adempimenti che avrebbero svolto in udienza. All'esito della celebrazione della prima udienza 29.04.2021 erano concessi i termini per il deposito delle memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., con fissazione dell'udienza ex comma 7 del 14.10.2021; formulata proposta di definizione conciliativa della controversia (ordinanza 25.01.2022) non accettata da parte attrice e rigettate altresì le istanze di prova dedotte dalle parti (verbale udienza 17.02.2022), era disposto per la decisione della causa fissando l'udienza del 15.09.2022. A tale data, la causa, previa concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., era trattenuta in decisione sulle conclusioni epigrafate. 1. Ritiene il giudicante che le domande proposte da parte attrice - fondate su tutti i profili di "responsabilità" (precontrattuale, contrattuale ed aquiliana) - non siano fondate; ne segue il rigetto. Deve dapprima darsi atto - stante il rilievo ai fini della decisione - del granitico orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo cui ove alla stipula di un contratto preliminare segua, ad opera delle stesse parti, la conclusione del contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio, poiché il preliminare resta superato dal definitivo, la cui disciplina configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti, e si presume che sia l'unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. Invero e nello specifico, così Cass. 14-3-2018 n. 6223: "Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale non vi è motivo di dissentire, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l'obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. 11-7-2007 n. 15585; Cass. 18-72003 n. 11262; Cass.25-2-2003 n. 2824; Cass. 18-4-2002 n. 5635; Cass. 29-4-1998 n. 4354). E' stato ulteriormente puntualizzato che la presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova - che deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili - di un accordo posto in essere dalle stesse parti, contemporaneamente, alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo; e che tale prova, secondo le regole generali del processo, va data dall'attore, trattandosi di fatto costitutivo della domanda con la quale egli chiede l'adempimento di un obbligo che, pur riportato nel contratto preliminare, egli può far valere in forza del distinto accordo intervenuto fra le parti all'atto della stipula del contratto definitivo (Cass. 10-1-2007 n. 233)". L'applicazione di detto principio, in prima battuta, alla fattispecie consente di affermare che ogni addebito posto a carico della parte venditrice in sede di trattative ed (eventualmente) consacrate in sede di contratto preliminare risulta superato laddove contrastato dal contenuto del definitivo, ovvero diversamente regolato in tale sede. Il contratto definitivo rappresenta quindi fonte delle obbligazioni inter partes, rappresentando la precedente scansione contrattuale elemento di riferimento ai fini della valutazione della condotta delle parti, ma non ai fini precipui di configurabilità delle dedotte responsabilità; invero, parte attrice non ha assolto al proprio onere probatorio di diverso accordo nei termini di cui alla citata giurisprudenza. 2. Poste le superiori premesse, deve darsi inoltre immediato riscontro di come il centrale thema decidendum sia da individuarsi nell'accertamento dell'addebito di inadempimento della clausola di reciproca collaborazione inserita nel contratto definitivo: "con riferimento ai vincoli di coltura e conservazione sottoscritti dalla venditrice con gli Enti Territoriali in data 13 marzo 1995, essendo reciproco interesse delle parti compiere l'esecuzione di quanto convenuto con il richiamato contratto preliminare, le medesime si impegnano alla reciproca collaborazione per verificare la derogabilità dei vincoli medesimi, nonché per individuare soluzione che consenta l'esecuzione del programma immobiliare aziendale dell'acquirente, iniziato con l'acquisto del fabbricato di cui al mio rogito di compravendita in data 24 settembre 2008 rep. 45105". Senonché, stante il rilievo di condotta in mala fede della venditrice posta a fondamento dell'addebito di dolo incidente ed inserendosi tale condotta tra le trattative e la sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita, la valutazione dell'inadempimento viene rimessa al prosieguo (sub n. 4). 3. L'art. 1440 cod. civ. in materia di dolo incidente prevede che ove i raggiri siano stati tali da determinare il consenso, resta ferma la validità del contratto, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse, ma il contraente in mala fede risponde dei danni. Parte attrice sostiene che la convenuta, avendo omesso di informarla circa l'inutilizzabilità parziale del terreno e dei notevoli costi necessari per poterlo utilizzare parzialmente, abbia posto in essere un comportamento dolosamente malizioso in ordine ad un aspetto del contratto assolutamente decisivo, atteso che la stessa ha occultato, in mala fede, l'esistenza e la permanente validità del vincolo boschivo gravante sul terreno oggetto di compravendita. Sostiene inoltre che tale comportamento abbia comportato costi ulteriori rispetto a quelli prevedibili al momento dell'acquisto del terreno, nonché la parziale inutilizzabilità del terreno stesso. Ritiene diversamente il giudicante che non sia ravvisabile alcuna condotta di occultamento in mala fede circa l'esistenza e la validità del vincolo boschivo da parte della convenuta. Invero tale assunto trova riscontro nelle evidenze documentali, da cui emerge che l'esistenza del vincolo è stata palesata da parte venditrice in momento che non ha potuto coartare la volontà del compratore; ed infatti il riferimento al vincolo boschivo - rectius al Piano di coltura e conservazione - risulta dettagliato (anche con la data di sottoscrizione) sia nel contratto preliminare che nel contratto definitivo. Trattasi di elemento che indica con chiarezza che almeno a partire dal preliminare - ma prima di sottoscriverlo - la società acquirente è stata messa al corrente di tale problematica e che in quel contesto era già a disposizione il documento a suo tempo sottoscritto dalla proprietà con gli Enti Territoriali (in quanto trasmesso al Notaio rogante il giorno precedente la stipula dall'agenzia incaricata della mediazione). In quella sede, poi, non è stata prestata alcuna garanzia circa natura e caratteri del vincolo, sì che appare alquanto complesso ricostruire una condotta di coattamente della volontà di controparte, posto che, diversamente, il contenuto della clausola sarebbe stato di ben altro tenore. Nè può avvalorarsi l'argomento di parte attrice che il malizioso silenzio, prima, e l'assicurazione della sostanziale irrilevanza del vincolo, poi, siano, senza soluzione di continuità, elementi che hanno inciso sulla propria determinazione a contrarre a quelle concrete condizioni, posto che la clausola contenuta nel contratto definitivo - di cui infra - palesa la chiara conoscenza da parte della società (...) della tipologia del vincolo in essere. Come chiarito dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 5273 del 2007) l'art. 1440 cod. civ. in materia di dolo incidente attiene alle ipotesi in cui vi sia un inganno/raggiro nella formazione del consenso, elementi che non si ravvisano nel caso di specie, in cui non è riscontrabile alcuna omissione di parte venditrice, tantomeno un comportamento in mala fede, atteso che la convenuta ha esplicitato chiaramente l'esistenza del vincolo ed ha altresì fornito tutta la documentazione idonea a comprenderne dettagliatamente natura e portata, ossia il Piano di coltura e conservazione. 4. In merito, poi, all'inadempimento della già riportata clausola di collaborazione, si osserva che tale pattuizione contiene la reciproca obbligazione di collaborare al fine di verificare la derogabilità del vincolo e di individuare una soluzione che consentisse l'esecuzione del programma immobiliare aziendale dell'acquirente, programma pacificamente conosciuto da controparte. La clausola, richiamando un generico impegno alla "collaborazione reciproca" presuppone un'interazione tra le parti, ossia una partecipazione attiva di entrambi i soggetti. Di conseguenza, con la sottoscrizione di tale clausola, diversamente da quanto sostenuto dall'attore, parte convenuta non si è vincolata all'esecuzione di prestazioni accessorie aventi il fine di garantire l'esito economico del contratto, atteso che, lungi dal configurare un'obbligazione di garanzia, può tutt'al più individuarsi l'obbligo di condotta favorente - per quanto di competenza della venditrice -il perseguimento del risultato. E' da escludersi che con tale pattuizione le parti abbiano voluto riferirsi alla comune partecipazione ad eventuali oneri economici, ad una ripartizione dei costi; le espressioni utilizzate non consentono di estendere l'interpretazione a tale obbligo, sia perché la stessa parte attrice non ha chiarito in cosa effettivamente sia mancata la collaborazione della venditrice, sia perché una diversa volontà sarebbe stata facilmente e sicuramente espressa nel rogito. Inoltre, parte convenuta non ha mai affermato di non voler collaborare, così come non si è mai rifiutata di collaborare, essendosi limitata a comunicare al Dott. (...) (tecnico incaricato dalle parti) l'avvenuta compravendita del terreno alla ditta (...). Una simile comunicazione, nella quale la venditrice rappresentava che a far data dalla conclusione del contratto definitivo ogni rapporto doveva essere tenuto direttamente con la nuova proprietà, non è di certo sintomatica di alcun rifiuto o diniego di collaborazione. Di contro, come osservato dalla convenuta, la società (...) non ha avanzato richiesta di collaborazione post conclusione del contratto definitivo e, quanto meno, non ha provato di averla domandata e per quale specifica attività. Comunque, anche volendo considerare il contenuto della mail quale rifiuto di collaborazione e dunque inadempimento, difetterebbe il necessario nesso causale tra tale condotta ed i danni lamentati. Invero, alla luce del Regolamento del Comune di Valsamoggia del 2016, parte attrice non avrebbe comunque potuto disporre liberamente del terreno oggetto di compravendita, poiché quest'ultimo risultava già sottoposto ad un vincolo inderogabile che impone la sostituzione degli alberi estirpati con altrettanti nuovi alberi di specie ammesse dal Regolamento entro un anno dal loro abbattimento; le spese relative all'acquisto e all'impianto degli alberi, trattandosi di attività necessarie e conseguenti al disboscamento dell'area, erano comunque dovute dalla società in difetto di diverso accordo scritto. 5. Così pronunciato il rigetto della domanda, le spese di causa seguono la soccombenza e vengono poste a carico di parte attrice nella liquidazione di cui al dispositivo che segue; la liquidazione è operata in applicazione dei parametri medi di cui al D.M. n. 147/2022 previsti per lo scaglione sino a Euro 260.000.000=. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: - rigetta le domande proposte da (...); - condanna parte attrice alla rifusione in favore di parte convenuta delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 14.103,00= a titolo di compenso, oltre rimborso forfettario 15%, Cpa ed Iva come per legge. Bologna, 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA Sezione Prima Civile Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Silvia Migliori Presidente dott. Francesca Neri Giudice dott. Arianna D'Addabbo Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. .../2021 promossa da: X, nata a ... (TO), il .../.../1978, elettivamente domiciliata in CORSO ....presso lo studio dell'Avv. ....che la rappresenta e difende, giusta delega in atti RICORRENTE contro Y, nato a ... (TO), il .../.../1976, RESISTENTE CONTUMACE CON L'INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO Oggetto: cessazione degli effetti civili del matrimonio CONCLUSIONI PER PARTE RICORRENTE come da fogli depositati telematicamente in data 14.12.2022 Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con ricorso depositato in data 24/06/2021 X chiedeva a questo Tribunale che venisse pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con Y il .../.../1996 in ..., unione dalla quale nascevano i figli G. (il ........1996), M. (il ........1999) e T. (il ........2007). Parte ricorrente invocava l'applicazione dell'art. 3 n.2 L. 1-12-1970 n.898, come successivamente modificato dalla Legge n. 55/2015, vivendo i coniugi separati sin dal 13.01.2016, data in cui comparivano dinanzi al Presidente del Tribunale di Ivrea nel giudizio di separazione giudiziale conclusosi con sentenza n. .../2019 pubblicata il 24.7.2019, confermata dalla Corte d'Appello di Torino con sentenza n. .../2021 pubblicata il 7.01.2021. Chiedeva altresì che fosse dichiarata la decadenza del resistente dalla responsabilità genitoriale nei confronti del figlio minore T.; che questi fosse affidato in via esclusiva alla madre, con potere di assumere in via autonoma tutte le decisioni di maggiore importanza per lo stesso; che fosse confermato il collocamento presso di sé e il contributo - quantificato complessivamente in Euro 360 - da porre in capo al convenuto per il mantenimento dei figli T. e M., maggiorenne ma non economicamente autosufficiente. All'udienza presidenziale tenutasi in data 23.11.2021 parte convenuta, destinataria di regolare notifica del ricorso, non si costituiva né compariva ed il Presidente, nell'impossibilità di esperire il rituale tentativo di conciliazione, confermava in via provvisoria le condizioni di cui alla separazione e nominava il G.I. All'udienza di comparizione e trattazione del 17.02.2022 nessuno compariva per parte convenuta, cosicché va dichiarata contumace. Dichiarata inammissibile la prova per testi, in data 15.12.2022 parte ricorrente precisava le conclusioni e, concessi i termini per il deposito degli atti conclusivi, la causa quindi veniva rimessa in decisione al Collegio. La domanda principale volta ad ottenere la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio è fondata e va accolta. Invero i coniugi, che hanno celebrato matrimonio concordatario in data 14/09/1996 in TORINO, vivono separati sin dal 13.01.2016, data in cui comparivano dinanzi al Presidente del Tribunale di Ivrea nel giudizio di separazione giudiziale conclusosi con sentenza n. 684/2019 pubblicata il 24.7.2019, confermata dalla Corte d'Appello di Torino con sentenza n. 5/2021 pubblicata il 7.01.2021. In assenza di contestazione della circostanza che lo stato di separazione legale tra gli stessi si protrae da oltre un anno, ricorrono pertanto gli estremi previsti dall'art.3 n.2 lett.B L.898/70 e successive modifiche per la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, dovendo ritenersi accertato dai documenti di causa, oltre che dalla mancata costituzione del convenuto e dal disinteresse del medesimo per il giudizio, che la comunione materiale e spirituale tra i coniugi non può essere ricostituita. Sulla decadenza dalla responsabilità genitoriale e sull'affido del minore Come è noto, la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale, prevista all'art. 330 c.c., è subordinata alla ricorrenza di due presupposti: una condotta del genitore in contrasto con i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o caratterizzata da abuso dei relativi poteri e un grave pregiudizio per il figlio, quale conseguenza di quella condotta. La casistica giurisprudenziale è alquanto variegata con riguardo al primo presupposto. A titolo esemplificativo, la giurisprudenza ha ritenuto sussistere gli estremi della condotta del genitore contraria ai doveri relativi alla responsabilità genitoriale in presenza di comportamenti violenti e minacciosi nei confronti del coniuge e dei figli o nei confronti del solo coniuge, tali da alterare la serenità familiare; della condotta di un genitore che si allontana dalla casa familiare, rendendosi di fatto irreperibile e omettendo di fornire al figlio la propria assistenza morale e materiale; della incapacità del genitore di comprendere i bisogni e le esigenze del minore ovvero nei casi di coartazione psicologica del minore, in spregio dell'opera di sensibilizzazione dei servizi sociali o, ancora, in presenza di un rifiuto del genitore di far sottoporre il figlio ad interventi medici necessari per la salute del minore. Per contro, è stato escluso che possano determinare la decadenza dalla responsabilità genitoriale l'affidamento del figlio a terzi, nella convinzione di assicurargli un benessere economico, la malattia mentale del genitore e l'esercizio della prostituzione da parte della madre, quando non comporti di per sé grave pregiudizio al figlio. Ebbene, nella fattispecie in esame, come provato anche per tabulas dalle relazioni dei Servizi Sociali depositate nel giudizio di separazione, il sig. Y è sempre stato un genitore assente ed ha sempre trascurato i suoi doveri di padre nei confronti di entrambi i figli, M. (ora diventata maggiorenne) e T. (oggi ancora minorenne). Infatti lo stesso non ha mai voluto intraprendere un percorso con il Servizio Sociale, non ha mai voluto collaborare con gli operatori per riallacciare i rapporti con T. e l'unica volta in cui il Servizio Sociale incaricato era riuscito a contattarlo per avere l'autorizzazione a portare il minore ad una gita, organizzata dal Servizio stesso, il sig. Y non ha dato il consenso, senza motivazione alcuna e creando un pregiudizio al minore. Nella relazione depositata il 18/2/2017 si legge, infatti, che "....gli incontri protetti non hanno avuto luogo.....il signor Y ha interrotto i rapporti con il Servizio Socio Assistenziale, quando dopo aver concordato un colloquio ....lo ha disdettato.....Ad oggi (n.d.r. 18/2/2017) a distanza di quasi un anno il signore non ha ricontattato il Servizio e non si è presentato alla convocazione scritta trasmessa..... Rispetto alla collaborazione fra il Servizio ed il papà, oltre alla sua assenza, si registra una sola telefonata in corrispondenza dell'estate 2016, in cui lo stesso ha comunicato il disaccordo a mandare il figlio T. in una gita proposta dal servizio educativo" (cfr. doc. 16). Peraltro il Y si è reso colpevole di gravissimi comportamenti nei confronti della ricorrente, essendo stato condannato - con sentenza confermata anche dalla Corte d'Appello di Torino in data 18.04.2021 - per maltrattamenti, violenze e lesioni in danno della moglie, sicché non può certo rappresentare per il figlio né un modello genitoriale, né un soggetto in grado di impartire allo stesso educazione e regole comportamentali. La gravità delle condotte assunte - addirittura alla presenza del figlio - nel corso della vita matrimoniale, unita all'assenza di rapporti con lo stesso sono indici sintomatici di una totale carenza genitoriale che fonda la declaratoria di decadenza dall'esercizio della responsabilità sul minore. Deve essere confermato l'affidamento esclusivo di T. alla madre la quale ha dimostrato di accudire e sostenere adeguatamente il figlio, provvedendo al suo mantenimento, alla sua educazione e assicurandone la crescita. La madre eserciterà in via esclusiva la responsabilità genitoriale per tutte le questioni attinenti il minore, con esclusione da tali scelte del padre decaduto dalla responsabilità genitoriale. In considerazione della dichiarazione di decadenza della responsabilità genitoriale e dell'assenza di rapporti tra padre e figlio da oltre 7 anni, nessuna disposizione deve essere assunta allo stato in merito alle frequentazioni paterne. Sul contributo economico per T. e M. La determinazione dell'assegno in Euro 360,00 stabilita in sede presidenziale appare congrua, in relazione all'età dei figli (23 e 15 anni), alla situazione reddituale delle parti (la ricorrente ha dichiarato di aver percepito negli anni di imposta 2021 e 2022 un reddito pari ad Euro 8.897,97 ed Euro 6.641,00; non si conoscono i redditi del resistente ma, essendo uomo giovane, è dotato di integra capacità lavorativa e quindi di reddito); agli oneri gravanti sulla ricorrente (che vive in un immobile condotto in locazione sostenendo un esborso mensile pari a Euro 45) e alla totale assenza di rapporti padre/figli, sicché tutti gli oneri di cura gravano esclusivamente sulla madre. Il padre, inoltre, dovrà contribuire, nella misura del 50%, alle spese straordinarie, previamente concordate e debitamente documentate, come stabilite nel Protocollo del Tribunale di Bologna, firmato il 9 agosto 2017. Data la delicatezza e complessità della situazione, occorre dare mandato ai Servizi Sociali competenti di vigilare sulle condizioni di vita del minore, affinché forniscano supporto al nucleo familiare e qualora il padre faccia richiesta, organizzino le visite in forma protetta, con facoltà di sospenderle o non avviarle se disturbanti per il minore, segnalando eventuali situazioni pregiudizievoli alle autorità competenti (Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni). Sulle spese di lite Considerato l'esito della lite, le spese processuali devono essere poste a carico della parte soccombente, ovvero di Y , in ragione del generale principio di cui all'art. 91 c.p.c.: tenuto conto del fatto che l'attrice risulta ammessa al Patrocinio a spese dello Stato, si dispone che il pagamento del dovuto venga eseguito in favore dello Stato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 133 DPR n. 115/2002. Quanto specificamente all'importo delle spese in questione, si tiene conto nella liquidazione operata in dispositivo del principio affermato da tempo dalla giurisprudenza di legittimità e che può ritenersi ancora consolidato, principio secondo cui "In tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo d.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità" (così, da ultimo, Cass, ord. n. 22017 del 11/09/2018 e n. 11590 del 03/05/2019 e sentenza n. 19 del 03701/2020): in particolare, considerato il valore indeterminato della presente controversia, la liquidazione effettuata in dispositivo si sostanzia in importi pari ai valori medi tabellari per le fasi di studio, introduttiva ed istruttoria, con una riduzione del 50% per la fase decisoria (al riguardo va evidenziato che è stata depositata solo la comparsa conclusionale), importo complessivo a cui è applicata la riduzione del 50% di cui all'art. 130 D.P.R. 115/2002 cit. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in contumacia del convenuto: 1. DICHIARA la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato in data .../.../1996 in ... tra X (nata a ... (TO) .../.../1978) e Y (nato a ... il .../.../1976), iscritto nei registri dello Stato Civile del predetto Comune, al n. ..., parte ..., S. ..., anno 1996; 2. DICHIARA che la moglie perde il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio; 3. DICHIARA ex art. 330 c.c. Y decaduto dalla responsabilità genitoriale sul figlio minore T., 4. CONFERMA l'affido di T. alla madre attribuendo l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale alla stessa per tutte le questioni riguardanti il minore - istruzione, educazione, salute, residenza abituale etc. - da assumere tenendo conto della capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni del figlio, disponendo che il minore risieda stabilmente presso l'abitazione materna, 5. PONE a carico di Y l'obbligo di contribuire al mantenimento dei figli M. e T. mediante il versamento, entro il giorno 5 di ciascun mese, alla signora X della somma complessiva pari ad Euro 360,00 (ovvero Euro 180 ciascuno), rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT, precisando che tali spese sono quelle necessarie alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita dei figli: quindi vitto, alloggio, abbigliamento ordinario, mensa scolastica e spese per l'ordinaria cura della persona. Il padre inoltre dovrà versare il 50% delle spese straordinarie previamente concordate e debitamente documentate, come stabilite nel Protocollo del Tribunale di Bologna, firmato il 9 agosto 2017, e in particolare: spese straordinarie da non concordare preventivamente in quanto ritenute in via generale nell'interesse dei figli: a) spese corrispondenti a scelte già condivise dei genitori e dotate della caratteristica della continuità, a meno che non intervengano tra i genitori - a causa o dopo lo scioglimento dell'unione - documentati mutamenti connessi a primarie esigenze di vita tali da rendere la spesa eccessivamente gravosa. A titolo esemplificativo: spese mediche precedute dalla scelta concordata dello specialista, comprese le spese per i trattamenti e i farmaci prescritti; spese scolastiche costituenti conseguenza delle scelte concordate dai genitori in ordine alla frequenza dell'istituto scolastico; spese sportive, precedute dalla scelta concordata dello sport (incluse le spese per l'acquisto delle relative attrezzature e del corredo sportivo); spese ludico-ricreativo-culturali, precedute dalla scelta concordata dell'attività (incluse le spese per l'acquisto delle relative attrezzature); b) campi scuola estivi, baby sitter, pre-scuola e post-scuola se necessitate dalle esigenze lavorative del genitore collocatario e se il genitore non collocatario, anche per tramite della rete famigliare di riferimento (nonni, ecc.) non offre tempestive alternative; c) spese necessarie per il conseguimento della patente di guida; d) abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici; e) spese scolastiche di iscrizione e dotazione scolastica iniziale, come da indicazione dell'istituto scolastico frequentato; uscite scolastiche senza pernottamento; f) visite specialistiche prescritte dal medico di base; ticket sanitari e apparecchi dentistici o oculistici, comprese le lenti a contatto, se prescritti; spese mediche aventi carattere d'urgenza. Spese straordinarie da concordare preventivamente: tutte le altre spese straordinarie vanno concordate tra i genitori, con le seguenti modalità: il genitore che propone la spesa dovrà informarne l'altro per iscritto (con raccomandata, fax o e-mail), anche in relazione all'entità della spesa. li tacito consenso dell'altro genitore sarà presunto decorsi trenta giorni dalla richiesta formale, se quest'ultimo non abbia manifestato il proprio dissenso per iscritto (con raccomandata, fax o e-mail) motivandolo adeguatamente, salvi diversi accordi. Rimborso delle spese straordinarie: il rimborso delle spese straordinarie a favore del genitore anticipatario avverrà dietro esibizione di adeguata documentazione comprovante la spesa. La richiesta di rimborso dovrà avvenire in prossimità dell'esborso. Il rimborso dovrà avvenire tempestivamente dalla esibizione del documento di spesa e non oltre venti giorni dalla richiesta, salvi diversi accordi. La documentazione fiscale deve essere intestata al figlio ai fini della corretta deducibilità della stessa. Gli eventuali rimborsi e/o sussidi disposti dalla Stato e/o da altro ente pubblico o privato per spese scolastiche e/o sanitarie relative alla prole vanno a beneficio di entrambi i genitori nella stessa quota proporzionale di riparto delle spese straordinarie, 6. DA' MANDATO ai Servizi Sociali competenti di vigilare sulle condizioni di vita del minore, affinché forniscano supporto al nucleo familiare e qualora il padre faccia richiesta, organizzino le visite in forma protetta, con facoltà di sospenderle o non avviarle se disturbanti per il minore, segnalando eventuali situazioni pregiudizievoli alle autorità competenti (Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni), 7. PONE a carico di Y le spese di lite del presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 6.163,50 per compensi, oltre spese forfetarie (15%), tributi e contributi come per legge; 8. DISPONE che il pagamento delle somme di cui al capo 7) del presente dispositivo venga effettuato in favore dello Stato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 133 DPR n. 115/2002, 9. ORDINA al Cancelliere di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune di ..., per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui all'art. 69 lett. d) del D.P.R. 396/2000 Così deciso in Bologna, nella camera di consiglio, il 28 marzo 2023 SI COMUNICHI AI SERVIZI SOCIALI Pubblicazione il 6 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA SEZIONE LAVORO Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Leonardo Pucci ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa iscritta al R.G. n. 691/2021 promossa da: (...) (cf: (...)) Rappresentata e difesa dall'Avv. (...), dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) PARTE RICORRENTE contro " (...) - SOCIETA' PER AZIONI" (cf/PI: (...)) Rappresentata e difesa dall'Avv. (...) e dall'Avv. (...) PARTE RESISTENTE Avente ad oggetto: risarcimento danni da esposizione all'amianto Svolgimento del processo - Motivi della decisione Parte ricorrente ha agito in questa sede per ottenere il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali subiti in conseguenza della illecita condotta del datore di lavoro (sub specie di danno differenziale), con accessori e vittoria di spese. In particolare, deduceva il sig. F di aver svolto lavoro dipendente presso le X (confluite nell'odierna resistente) dal giugno 1975 al dicembre 2009, in un ambiente che, soprattutto con riferimento ai primi dieci anni di rapporto, presentava un alto tasso di dispersione di polveri di amianto, in assenza di idonee misure da parte del datore, pur nella consapevolezza già all'epoca della pericolosità delle fibre di amianto per l'essere umano. Riferiva che dal 2018 si è manifestata l'insorgenza della patologia correlata, circostanza che lo avrebbe portato ad essere riconosciuto dagli istituti previdenziali e assicurativi soggetto portatore di una malattia professionale e titolare di relativa rendita. X S.p.A., costituitasi, resisteva alla domanda, eccependo in via preliminare l'inammissibilità o improcedibilità del ricorso per intervenuta conciliazione tra le parti in data 2010, verbale che coprirebbe anche la domanda svolta nel presente giudizio e che non risulta impugnabile ai sensi dell'art. 2113 c.c. e, in ogni modo, non è stato impugnato nel termine di decadenza previsto dalla norma. Nel merito eccepisce l'insussistenza di responsabilità a carico del datore, la mancata prova del nesso causale e la carenza di allegazioni per la quantificazione del danno. Il ricorso può essere accolto in parte sulla base delle seguenti considerazioni: 1. Parte ricorrente, come detto, chiede il risarcimento di una serie di voci di danno sulla base di una responsabilità ex art. 2087 c.c. Con riferimento all'eccezione di inammissibilità per intervenuta conciliazione in sede protetta nel gennaio 2010 (cfr., do. 10, fasc., resistente), la stessa non può essere condivisa. Infatti, con detto accordo la parte resistente riconosceva una integrazione al TFR di 17.000,00 come corrispettivo per l'esodo e poi un'ulteriore somma pari ad Euro 1.000,00 per tacitare "ogni eventuale ragione di credito verso la Società o altra Società del Gruppo, che lo stesso possa vantare in dipendenza del pregresso rapporto di lavoro e in ordine ai modi ed ai tempi della sua risoluzione e, in via meramente esemplificativa, per diverso inquadramento, maggiori retribuzioni, aumenti periodici di anzianità, per trattamento di missione, di trasferimento o distacco, per ferie e festività non godute, lavoro straordinario e relative aliquote, festivo e notturno, per trattamento di malattia e termalità, eventuale incidenza dei predetti titoli sul TFR, risarcimento danni a qualunque titolo, nonché per qualsiasi altro motivo, anche se non espressamente menzionato, ma comunque connesso con l'intercorso rapporto di lavoro o con qualsiasi altro rapporto, intrattenuto nell'ambito del Gruppo X". Se è vero che in astratto l'elenco di cui sopra è idoneo a comprendere l'ipotesi per cui è causa, il notevole tempo trascorso tra la sottoscrizione del verbale e l'insorgenza della patologia (e la sua riconducibilità ad origine professionale), ne determinano necessariamente la sua inefficacia in termini di rinuncia perché del tutto imprevedibile all'epoca (cfr., Tribunale Civitavecchia, sez. lav., 06/05/2020, n. 178: "La clausola di rinuncia al risarcimento del danno alla salute, compresa all'interno di transazione in sede sindacale, firmata anni prima dell'insorgenza della malattia dal lavoratore, nell'ambito della conciliazione di una controversia relativa al licenziamento collettivo ed eccepita da parte datoriale, deve considerarsi nulla, e comunque priva di effetti, allorquando il danno si ponga nettamente al di fuori dell'ambito della ragionevole prevedibilità (nella fattispecie neoplasia) percepito per la prima volta dal lavoratore a distanza di anni da detta rinuncia, senza che mai si siano manifestati sintomi ad essa riconducibili (diversa potrebbe essere l'ipotesi di normali postumi o aggravamento fisiologico di una patologia già presente e conosciuta al lavoratore)"), con la conseguenza che, se anche il lavoratore ne avesse avuto solo cognizione astratta, difficilmente avrebbe sottoscritto l'accordo in quei termini e per quell'importo (Euro 1.000,00), congruo solo per le causali prevedibili al momento della conclusione del rapporto (cfr., Cassazione civile, sez. lav., 21/03/2022, n. 9160: "L'accordo transattivo sottoscritto dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia, nella specie all'eventuale risarcimento danni per qualsiasi titolo, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l'onere di impugnare nel termine di cui all' art. 2113 c.c. , alla condizione che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi. Il relativo accertamento costituisce giudizio di merito, censurabile, in sede di legittimità, soltanto in caso di violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o in presenza di vizi della motivazione"). 2. Nel merito, trattandosi di malattia professionale verificatasi e denunciata successivamente alla normativa del D.Lgs. n. 38 del 2000, gli emolumenti indennitari versati da INAIL devono ritenersi comprensivi del danno non patrimoniale complessivamente inteso alla luce delle recenti ricostruzioni unitarie (cfr., Cassazione civile, sez. lav., 05/05/2010, n. 10834: "In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato e la limitazione dell'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità di rilievo penale (a norma dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 e delle inerenti pronunce della Corte cost.), riguarda solo le componenti del danno coperte dall'assicurazione obbligatoria, la cui individuazione è mutata nel corso degli anni. Ne consegue che per le fattispecie sottratte, "ratione temporis", all'applicazione dell'art. 13 D.Lgs. n. 38 del 2000 la suddetta limitazione riguarda solo il danno patrimoniale collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica, e non si applica al danno non patrimoniale (ivi compreso quello alla salute o biologico) e morale per i quali continua a trovare applicazione la disciplina antecedente al D.Lgs. n. 38 del 2000 che escludeva la copertura assicurativa obbligatoria"). Di conseguenza, perché vi sia la possibilità di riconoscere al lavoratore un ulteriore risarcimento rispetto a quanto liquidato da INAIL, ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 1124 del 1965 (co. 3 "Permane, altresì, la responsabilità civile del datore di lavoro quando la sentenza penale stabilisca che l'infortunio sia avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione o sorveglianza del lavoro, se del fatto di essi debba rispondere secondo il Codice civile" e co. 7 "Quando si faccia luogo a risarcimento, questo è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate a norma degli artt. 66 e seguenti"), occorre sempre che sussista il requisito della rilevanza colposa (anche, ma non necessariamente sub specie di responsabilità penale dei preposti del datore alla sicurezza) delle condotte che hanno portato alla malattia, dando ingresso solo al c.d. danno differenziale. 3. Per quanto concerne la domanda principale, si deve precisare quanto segue. Trattandosi di responsabilità contrattuale, l'onere della prova risente della rigida disciplina prevista per la suddetta fattispecie giuridica, che impone, una volta che il danneggiato abbia provato il danno (malattia professionale), il titolo (contratto di lavoro e posizione di garanzia del datore) e il nesso causale tra la condotta e l'evento, che spetti poi al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele idonee affinché l'evento non si verificasse (almeno in astratto, non vertendosi in un'ipotesi responsabilità oggettiva), unica prova che esclude la responsabilità ai sensi dell'art. 2087 c.c. (cfr., Cassazione civile sez. lav. 28 ottobre 2016 n. 21882: "La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno"; in tema di concorso di colpa, Cassazione civile, sez. lav., 10 settembre 2009, n. 19494: "In tema di obblighi di sicurezza del datore di lavoro, l'eventuale colpa del lavoratore, dovuta a imprudenza, negligenza o imperizia, non elimina quella del datore di lavoro, sul quale incombe l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, non essendo sufficiente un semplice concorso di colpa del lavoratore per interrompere il nesso di causalità. (Nella specie, la sciarpa di un operaio si era impigliata in un giunto cardanico di un carro agricolo, rimasto scoperto a causa della sua posizione non orizzontale, e il movimento del giunto aveva provocata il decesso del lavoratore)"; per il merito, Tribunale Monza, sez. lav., 12 maggio 2009, n. 241: "Si può affermare che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c. sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio sul lavoro, o l'Istituto assicuratore che agisca in via di regresso deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, e del nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno"). Nel caso di specie, risultano provati tanto il rapporto di lavoro tra X S.p.A. e il sig. F, quanto la malattia professionale a carico di quest'ultimo. Risulta, altresì, dimostrata la natura della prestazione svolta, per quanto interessa, nei primi dieci anni di lavoro (all'interno delle OG cfr., teste T - ud. 27.4.2022: " F ha sempre lavorato preso O (O) di Bologna. Presso la O si eseguiva la manutenzione su vagoni e carri utilizzando materiali contenenti amianto") e le condizioni di lavoro e la presenza di amianto nel sito industriale (cfr., teste T cit.: "la coibentazione in amianto era presente sul pavimento, sulle pareti e sotto il treno dove si trovavano le carenature che proteggevano, le apparecchiature elettriche. L'amianto era l'unico prodotto isolante per il calore che all'epoca veniva utilizzato. Sui vagoni veniva spruzzato come intonaco, mentre nelle carenature veniva posizionato mediante pannelli; ..., i pannelli in amianto si tagliavano a misura e si posizionavano sotto le carenature; ..., l'amianto fioccato era quello che veniva spruzzato con delle pompe sulle pareti e non vi erano ambienti separati, gli ambienti erano unici e tutti aperti. .... Prima del 90 vi era una ditta esterna che applicava l'amianto sulle carrozze. Per preparare il prodotto produceva una polvere. Quando andavamo in officina la mattina era tutto pieno di questa polvere di amianto che si depositava dappertutto e non veniva rimossa. Gli operai che lavoravano per questa ditta sono morti per l'amianto"). Trattasi di testimonianza decisamente attendibile, in quanto non solo proveniente da collega di lavoro del F, senza alcun interesse per la causa oggetto di giudizio, ma anche specifica e pregnante attesa la continuità della loro prestazione insieme per l'intero arco delle giornate lavorative interessate. 4. Al tempo stesso è risultato che, nel corso del rapporto di lavoro, soltanto dalla metà degli anni Ottanta in poi la parte datoriale ha posto in essere misure massicce per limitare i rischi correlati all'esposizione alle polveri di amianto (cfr., teste T cit.: "Poi i sindacati hanno cominciato a fare informazione sul pericolo dell'amianto e la situazione è cambiata negli anni 90, quando l'azienda , su pressione degli operai ha iniziato a fare capannoni ermetici per la lavorazione dell'amianto. Siamo stati dotati di scafandri e tute per fare queste lavorazioni. A turno, due al mese facevamo una settimana nei capannoni dove si lavorava l'amianto"), mentre in precedenza, pur nella consapevolezza della pericolosità (anche se probabilmente non con il livello di conoscenza degli anni successivi, cfr., teste B - ud. 27.4.2022: "Posso confermare che dal 75 al 89 vi era presenza di amianto nelle officine, sui rotabili e sulle pareti dei rotabili. Siamo stati i primi come Y già negli anni 70 ad installare impianti di aspirazione con filtri assoluti centralizzati e portatili"), manca la prova da parte della resistente di aver vigilato sull'utilizzo di dispositivi che la stessa allega aver reso disponibili ai dipendenti (cfr., Tribunale Taranto sez. lav., 27/10/2016, n.3488: "Le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, provate dalla consulenza tecnica d'ufficio e in via testimoniale, dimostrano l'esposizione continuativa del lavoratore all'amianto, senza che i responsabili datoriali abbiano posto a sua disposizione i necessari presidi strumentali o, quanto meno, senza che essi abbiano congruamente verificato che tali presidi, laddove esistenti e disponibili, venissero effettivamente utilizzati. L'inosservanza degli obblighi di protezione espressamente previsti per la tutela del lavoratore dalla normativa antinfortunistica all'epoca vigente comporta responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dell'art. 2043 c.c. Le acquisizioni istruttorie sono sufficienti a provare il nesso di causalità tra esposizione del lavoratore all'amianto e malattia contratta. Deve essere riconosciuto in via equitativa agli eredi il c.d. danno differenziale, detraendo dal credito risarcitorio il valore capitale degli emolumenti erogati alla vittima dall'INAIL, ancorché il de cuius non abbia inoltrato istanza di indennizzo all'Istituto. La prova del danno morale subiettivo può essere fornita per presunzione. In considerazione della morte intervenuta in un apprezzabile lasso temporale a causa delle lesioni subite per esposizione ad amianto, la liquidazione del danno non patrimoniale deve essere disposta in via equitativa mediante aggiustamenti rispetto all'applicazione delle tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano"). Considerando i provvedimenti dell'INAIL in atti e le testimonianze circa le condizioni lavorative, allora, non vi possono essere dubbi che, almeno per i primi dieci anni di lavoro del F quest'ultimo sia stato esposto a concentrazioni di amianto superiori alla soglia consentita, mentre una simile conclusione non può essere raggiunta per i periodi successivi. 5. La CTU di carattere medico legale ha poi accertato l'influenza causale delle mansioni svolte dal ricorrente (rilevando che "Il Signor FF, di anni 68, è affetto da placche pleuriche calcifiche conseguenti alla esposizione professionale all'amianto di una certa rilevanza, esposizione attribuibile ai primi 10 anni del lavoro prestato presso le ferrovie dello Stato-officina grandi riparazioni di Bologna", così, relazione peritale) nel provocare la patologia a carico dell'apparato respiratorio, individuando una permanenza del 6%, in assenza di invalidità temporanea (cfr., relazione peritale: " viene a configurarsi nella fattispecie un danno biologico permanente su base anatomica e non funzionale valutabile nella misura del 6% (seipercento) della totale. Non si ritiene quantificabile nella fattispecie un danno biologico temporaneo"). La relazione peritale sul punto, sia per la congrua e lineare motivazione, sia per la condivisibile metodologia applicata, può essere posta alla base del presente accertamento, con conseguente dimostrazione della responsabilità della parte datoriale (cfr., Cassazione civile, sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3786: "Ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c. - la quale non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva - al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l'effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente non potendo il datore medesimo essere totalmente esonerato da responsabilità in forza dell'eventuale concorso di colpa del lavoratore, se non quando la condotta di quest'ultimo, in quanto del tutto imprevedibile rispetto al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, rappresenti essa stessa la causa esclusiva dell'evento"). In ordine alla quantificazione dei danni biologici, non possono essere condivise le eccezioni di parte ricorrente, in quanto il consulente tecnico d'ufficio ha motivato la circostanza in base alla quale alcune patologie non potessero essere ricondotte all'esposizione all'amianto, quanto ad altre causa (cfr., relazione peritale: " il CTU scrivente indica che siamo di fronte ad un soggetto fumatore dall'età di 18 anni (media 15/20 sigarette/die), che presenta una Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva Enfisematosa, con allegato esame spirometrico che evidenzia sindrome ostruttiva delle vie aeree superiori ad essa collegabile"). 6. In questo contesto, applicando le tabelle di Milano ultimo aggiornamento, considerate congrue e specifiche, emerge come, per il solo danno biologico, al ricorrente sia riconoscibile, considerata l'età al momento della diagnosi (65 anni nel 2018), un importo di Euro 6.725,00. Potendo aumentare tale importo alla luce della natura della patologia di cui il F è portatore, patologia che reca in sé un'evidente componente di sofferenza anche per il futuro, con un aumento in via equitativa per la percentuale richiesta in ricorso (40%), si raggiunge un totale di Euro 9.415,00. L'ammontare della capitalizzazione della rendita INAIL per il solo danno biologico (cfr., doc. depositato da parte ricorrente in data 2 luglio 2021 e doc. 8, fasc., ricorrente) deve essere preso in considerazione solo riguardo alla componente riferibile alle placche pleuriche, considerando, sul punto, che la giurisprudenza della Suprema Corte, anche di recente (cfr., Cassazione civile sez. lav., 07/02/2023, n.3694), ha stabilito che "dall'ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dall'INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell'assicurato, volta all'indennizzo del danno patrimoniale (Cass. n. 20807-2016; cfr. anche, Cass. n. 13819-2017 nonché, in comparazione con il sistema previgente all'ambito temporale di applicazione del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, Cass. n. 777 del 2015, n. 4025 del 2016, e, in riferimento alle modifiche introdotte dalla L. n. 145 del 2018, Cass. n. 8580 del 2019); ed in coerenza con il principio per cui, in tema di responsabilità civile del datore di lavoro, la liquidazione del danno alla salute conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale va effettuata secondo i criteri civilistici e non sulla base delle tabelle di cui al D.M. del 12 luglio 2000, deputate alla liquidazione dell'indennizzo INAIL ex D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13, in ragione della differenza strutturale e funzionale tra tale indennizzo e il risarcimento del danno civilistico, salvo, poi, detrarre d'ufficio quanto indennizzabile dall'INAIL, anche indipendentemente dalla effettiva erogazione (Cass. n. 22021-2022)". 7. In definitiva, sottraendo dall'importo come quantificato, la somma di Euro 2.974,00 (pari alla capitalizzazione della rendita in ordine alla quota parte delle placche pleuriche), la domanda può essere accolta, in quanto l'indennità riconosciuta da INAIL non si presenta satisfattiva per il ricorrente, per un importo di Euro 6.441,00 a cui devono essere aggiunti interessi e rivalutazione. Le spese di lite, seguono la soccombenza, ma devono essere compensate in ragione del 50%, considerato il solo parziale accoglimento, che incide in maniera significativa sulla soccombenza effettiva. CTU liquidate a parte P.Q.M. Ogni contraria istanza disattesa e respinta, definitivamente decidendo, visto l'art. 429 c.p.c., A) accoglie in parte il ricorso e, per l'effetto, condanna parte resistente al pagamento, in favore del ricorrente, dell'importo di Euro 6.441,00 oltre interessi sulle somme rivalutate annualmente dal 2018 al saldo effettivo, a titolo di risarcimento danni non patrimoniali; B) condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 7.500,00 oltre spese generali, IVA e CAP, che dichiara da compensarsi in ragione del 50%. CTU liquidata a parte. Così deciso in Bologna, il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 22 marzo 2023.

  • Tribunale Sez. spec. Impresa - Bologna, 01/02/2023, n. 167 Intestazione REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA IV SEZIONE CIVILE SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Fabio Florini Presidente dott. Giovanni Salina Giudice Relatore dott. Vittorio Serra Giudice ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8678/2020 promossa da: N. M. (C.F. --omissis-), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in (...), MODENA, presso lo studio del predetto difensore. ATTORE contro (...) SRL (C.F. --omissis-), con il patrocinio dell'avv. (...), elettivamente domiciliato in VIA (...), SASSUOLO (MO), presso lo studio del predetto difensore. CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno così precisato le conclusioni come da note difensive a far parte integrante del verbale di udienza 'cartolare' del 5 maggio 2022: parte attrice: 'ogni contraria istanza ed eccezione reietta, disporsi la revoca e modifica dell'ordinanza emessa in data 08/04/2021 a conclusione dell'udienza cartolare, e, conseguentemente, disporsi la remissione della causa in istruttoria, per i motivi indicati nel precedenti scritti difensivi e nel presente atto; ammettersi le prove per interrogatorio, per testi, per espletamento di CTU e per acquisizione di documenti così come dedotte nella memoria ex art. 183, comma 6 n. 2 del 09/02/2021, in quanto pertinenti, rilevanti, pienamente ammissibili ed utili ai fini del decidere; nel merito, accertarsi e dichiararsi la totale illiceità ed illegittimità della condotta tenuta dalla società oggi convenuta in occasione dell'assemblea del 13/09/2018, per violazione degli artt. 1723,1725,2383,2386 c.c., in forza delle motivazioni esposte in narrativa dell'atto introduttivo e dei precedenti scritti; accertarsi e dichiararsi la totale illiceità ed illegittimità della condotta tenuta dalla società oggi convenuta in occasione dell'assemblea del 13/11/2018, per violazione dei principi generali di correttezza e buona fede, in forza delle motivazioni esposte in narrativa dell'atto introduttivo e nei precedenti scritti; accertarsi e dichiararsi, pertanto, che il signor N. è stato escluso dal ruolo di amministratore in virtù di una 'revoca' illegittima ed inesistente, in seguito a dimissioni strumentali ed illegittime poste in essere dai consiglieri P. D. e S. M., ed in assenza di giusta causa, per i motivi dedotti in narrativa dell'atto introduttivo e nei precedenti scritti; accertarsi e dichiararsi la piena regolarità, correttezza e legittimità dei comportamenti posti in essere dal signor N. rispetto alla società (...), in ossequio agli artt. 2473,2468 c.c. nonché per tutti i motivi enunciati in narrativa dell'atto introduttivo e negli altri precedenti atti; condannarsi, conseguentemente, la società oggi convenuta al pagamento a favore del signor N. della complessiva somma di E 71.551,98//, di cui E 43.400,00// quale stima del valore della quota di partecipazione del 20% al termine dell'anno 2018, E 2.721,98// per emolumenti dovuti per il residuo dell'esercizio 2018, E 9.000,00// per compensi di esercizio 2019, E 9.500,00// per risarcimento del danno patito in conseguenza della 'revoca' effettuata senza giusta (n.d.r.: causa), ed E 6.930,00// quale rifusione degli esborsi sostenuti e sostenendi a pagamento della cartella esattoriale Agenzia delle Entrate, per tutti i motivi enunciati, ovvero in quella diversa, maggiore, o minor somma che parrà di giustizia all'esito dell'istruttoria da espletarsi, oltre interessi e rivalutazione monetaria da settembre 2018 al saldo effettivo; rigettarsi la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. ex adverso svolta, poiché infondata in fatto ed in diritto; condannarsi la convenuta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., in ragione della condotta pre e dendo processuale tenuta, per i motivi enunciati in libello introduttivo e in narrativa degli altri precedenti scritti difensivi, secondo l'ammontare ritenuto di giustizia nel prudente apprezzamento dell'Ill.mo Giudicante, eventualmente anche in via equitativa. In ogni caso, con vittoria di spese e compensi legali del presente giudizio e del cautelare, oltre accessori come per legge. In via subordinata, determinarsi l'esatto ammontare delle somme dovute a favore del signor N. a titolo di liquidazione della quota di partecipazione e quantificarsi l'ammontare del risarcimento dei danni subiti, per poi, conseguentemente, condannarsi la società oggi convenuta al pagamento a favore del signor N. della somma che parrà di giustizia all'esito dell'istruttoria da espletarsi, oltre interessi e rivalutazione monetaria da settembre 218 al saldo effettivo. Parte convenuta: 'Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, in via preliminare di rito: rigettare tutte le impugnazioni dei verbali delle assemblee del 13.10.2018 e 30.11.2018 in quanto tardive; nel merito: previo ogni più opportuno accertamento e declaratoria al riguardo, in base ai motivi esposti nei propri atti, rigettare le domande attoree giacché infondate in fatto e diritto e comunque non provate. Nel merito, via subordinata: previo ogni più opportuno accertamento e declaratoria al riguardo, in base ai motivi esposti nei propri atti, rigettare le domande attoree giacché infondate in fatto e diritto e comunque non provate. E qualora, nella denegata e non creduta ipotesi, all'esito dell'istruttoria dovesse emergere valido ed efficace il recesso manifestato per la prima volta in atto di citazione (la cui motivazione è da ricondursi all'eventualità che la società fosse contratta a tempo indeterminato) la valutazione del valore della quota partecipativa del sig. N. dovrà essere quantificato avuto riferimento a quella data (14.07.2020), quando il capitale era completamente eroso per le perdite. E qualora, nella denegata e non creduta ipotesi, all'esito dell'istruttoria dovesse emergere che l'amministratore N. fosse stato 'revocato' senza giusta causa o senza congruo preavviso che la sua indennità venga quantificata nella misura di E 4.500,00 E lordi pari al compenso di sei mensilità percepito sino alla cessazione della sua carica. Responsabilità aggravata: per i motivi dedotti in narrativa si insiste per la condanna di controparte ai sensi dell'art. 96 c.p.c., nella misura ritenuta di giustizia; In ogni caso: con vittoria di onorari e spese di lite, oltre rimborso spese generali, c.p.a. ed iva se dovuta per legge." FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, M. N., in qualità di socio e di amministratore 'revocato' della società '(...)' s.r.l., conveniva in giudizio, innanzi all'intestato Tribunale, la predetta società, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, chiedendo, in sintesi, previo accertamento dell'illegittimità delle delibere con cui l'assemblea dei soci, nei mesi di settembre e novembre del 2018, aveva disposto, rispettivamente, la sua revoca dalla carica di amministratore e nominato un nuovo C.d.A., condannasse la convenuta al ristoro dei danni sofferti in conseguenza della ingiustificata revoca e dichiarasse altresì la legittimità del proprio recesso, con conseguente condanna della convenuta al pagamento della complessiva somma di E 71.551,98 per i titoli meglio specificati in premessa. In particolare, l'attore asseriva di avere, in data 09 gennaio 2015, acquistato dai signori D. P. e M. S., una quota di partecipazione complessivamente pari al 20% del capitale sociale de '(...)' s.r.l., al valore nominale complessivo di E 2.169,12 e per un corrispettivo di E 50.000,00, pattuendo, a garanzia del valore delle quote così acquistate, una clausola di salvaguardia per i successivi due anni (doc. n. 1 att.). Affermava, inoltre, l'attore che, con delibera assembleare datata 18 maggio 2015, era stato nominato un Consiglio di Amministrazione, composto dai sopra menzionati soci, a ciascuno dei quali, con successiva determinazione, era stato attribuito un compenso annuo di E 9.000,00 (docc. n. 4-5 att.). Esponeva altresì l'attore che l'assemblea dei soci, in data 13 settembre 2018, dopo aver preso atto delle dimissioni dalla carica rassegnate dai consiglieri P. e Silvestri, aveva dichiarato, senza il suo consenso, la decadenza dell'intero CdA, nominando, contestualmente, un Amministratore Unico nella persona del menzionato D. P.. Deduceva, quindi, l'attore di aver conseguentemente formalizzato, ex art. 2473 c.c., il proprio recesso dalla società, formulando richiesta di liquidazione della propria quota di partecipazione (doc. n. 7 att.). Lamentava, infine, l'attore che, con delibera del 13 novembre 2018, i soci di maggioranza P. e S., modificando nuovamente l'organo amministrativo, avevano nominato un CdA ed attribuito a ciascuno dei suoi componenti un compenso annuo di E 19.000,00, escludendolo definitivamente dalla gestione della società. Asseriva, pertanto, l'attore la strumentalità delle dimissioni rassegnate dagli amministratori P. e Silvestri, l'illegittimità della disposta decadenza dell'intero CdA dell'epoca in difetto di clausola statutaria 'simul stabunt simul cadent', e, quindi, l'illegittimità della propria revoca dalla carica di amministratore in quanto deliberata senza giusta causa. In relazione alla propria dichiarazione di recesso dalla società, l'attore assumeva la piena legittimità di tale iniziativa e, segnatamente, la sua conformità alla disciplina dettata dagli artt. 2473 e 2468 c. IV c.c., assumendo, da un lato, che attraverso la delibera assembleare del 13 settembre 2018 erano stati sostanzialmente modificati i suoi diritti, e, dall'altro, che la società, ancorché avente durata statutariamente prevista all'anno 2050 (art. 6, doc. 19 att.), doveva ritenersi costituita, di fatto, a tempo indeterminato, trattandosi di durata trascendente la normale aspettativa di vita e di lavoro dei soci. L'attore, pertanto, concludeva rassegando le conclusioni riportate in epigrafe. Si costituiva in giudizio la società convenuta '(...) s.r.l.', la quale, contestando la fondatezza delle deduzioni avversarie, concludeva chiedendo il rigetto delle domande formulate dall'attore. In particolare, riguardo alla asserita invalidità delle delibere assembleari adottate nei mesi di settembre e di novembre del 2018, la società convenuta eccepiva la tardività delle relative contestazioni svolte da controparte in citazione e, in ogni caso, l'insussistenza dei vizi dedotti dall'attore. Inoltre, in relazione alla presunta revoca del N. dalla carica di amministratore e alla sua denunciata illegittimità per mancanza di giusta causa, la società convenuta negava che nei confronti dell'attore fosse stata assunta una determinazione di formale revoca, trattandosi, invece, di un effetto automaticamente derivato dalla decadenza dell'organo amministrativo collegiale a seguito del venir meno della pluralità degli amministratori in conseguenza delle dimissioni rassegnate da due dei suoi originari componenti. Da ultimo, la convenuta contestava la legittimità del recesso operato dal N., deducendo, sul punto, la mancanza di una causa, legale o convenzionale, che lo consentisse, l'inesistenza delle lamentate modificazioni dei diritti spettanti al socio N. e, infine, la determinatezza della durata della società prevista in statuto e la sua compatibilità con le aspettative di vita dei soci. Successivamente, in pendenza del presente giudizio di merito, l'attore proponeva, a norma degli artt. 669 quater e 671 c.p.c., ricorso volto ad ottenere l'autorizzazione a sottoporre a sequestro conservativo i beni di proprietà della convenuta resistente, fino a concorrenza della complessiva somma di E 85.000,00, a garanzia dei crediti vantati in citazione. Con memoria difensiva ritualmente depositata, la società resistente si costituiva nel subprocedimento cautelare, contestando l'ammissibilità e la fondatezza del ricorso avversario. Con ordinanza resa in data 15 febbraio 2021, il Giudice designato rigettava il ricorso cautelare proposto dal N., rilevando, in punto di fumus boni iuris, la non verosimile fondatezza, allo stato degli atti, delle pretese creditorie fatte valere dal N. a titolo di ristoro del danno da ingiustificata revoca dalla carica di amministratore e di liquidazione della quota a seguito di recesso, e, in punto di periculum in mora, come l'insolvenza allegata dal ricorrente e, in particolare, le perdite della società, verosimilmente conseguenza della pandemia da Covid-19, fossero state, comunque, ripianate mediante aumento di capitale sociale, sottoscritto dai soli soci P. e S. in data 04 dicembre 2020. Nel corso del giudizio di merito, il Giudice, espletati gli incombenti di cui all'art. 183 c.p.c., ritenuta la causa matura per la decisione, rigettava tutte le istanze istruttorie avanzate dalle parti e, conseguentemente, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Infine, all'udienza del 12 maggio 2022, il Giudice, sulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, rimetteva la causa al Collegio per la decisione, assegnando i termini di cui all'art. 190 c.p.c., per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE Ritiene il Collegio che, alla luce delle acquisite risultanze processuali, le domande formulate dall'attore siano, almeno in parte, meritevoli di accoglimento. Ed invero, ai fini di una più agevole esposizione dei fatti di causa, giova anzitutto distinguere i temi di indagine e di decisione prospettati dall'attore in citazione, per poi procedere al loro analitico e separato esame: 1) illegittimità delle delibere assembleari del 13 settembre e del 30 novembre 2018; 2) illegittimità, per difetto di giusta causa, della revoca del N. dalla carica di amministratore della società convenuta; 3) legittimità del recesso del socio attore per giusta causa o, in alternativa, ad nutum. Per quel che concerne le contestazioni svolte dall'attore in ordine alla legittimità delle delibere sopra indicate, ove giuridicamente qualificate, ex art. 2479 ter c.c., come formali impugnazioni della volontà assembleare, va dichiarata la loro tardività e, quindi, inammissibilità, e ciò, in ogni caso, a prescindere da qualsivoglia preliminare considerazione, in punto di legittimazione attiva, circa una possibile equiparazione del contegno all'epoca tenuto dal N. ad una sorta di sua preventiva acquiescenza a quanto deliberato dall'assemblea, atteso che l'attore, a seguito della dichiarata decadenza del C.d.A. da lui stesso composto, ha formalmente manifestato la propria intenzione di recedere (anche) da socio prima ancora dell'adozione delle qui contestate delibere. Ad ogni modo, come esposto in premessa, l'attore, con argomentazioni invero alquanto generiche, ha dedotto in citazione l'illegittimità delle delibere in esame, in quanto adottate dall'Assemblea dei soci della società convenuta in violazione di norme di legge (in particolare, artt. 2379 e 2386 c.c.), assumendo altresì che l'ordine del giorno dell'assemblea tenutasi in data 13 settembre 2018 fosse, testualmente, 'da ritenersi totalmente destituito di fondamento, errato ed illegittimo in quanto portatore di un oggetto illecito ed inesistente' (pag. 4 atto di cit.). Sia pur nella genericità delle relative allegazioni, il primo dei vizi sopra indicati sembra, almeno in astratto, riconducibile nell'alveo delle cause di annullabilità delle delibere assembleari di cui all'art. 2479-ter, co. 1, c.c.; il secondo, sempre in thesi, a quelle, invece, di nullità ex art. 2479-ter, co. 3, c.c. Le norme sopra citate recitano, rispettivamente, che 'Le decisioni dei soci che non sono prese in conformità della legge o dell'atto costitutivo possono essere impugnate dai soci che non vi hanno consentito (...) entro novanta giorni dalla loro trascrizione nel libro delle decisioni dei soci' (art. 2479-ter, co. 1, c.c.); 'Le decisioni aventi oggetto illecito o impossibile (...) possono essere impugnate da chiunque abbia interesse entro tre anni dalla trascrizione' (art. 2479-ter, co. 3, c.c.). Ne consegue che, con riferimento alla prima tipologia di cause di invalidità, 'l'impugnazione' delle delibere risalenti all'anno 2018 è, in ogni caso, palesemente tardiva ex art. 2479 ter c. I c.c., e, quindi, inammissibile, in quanto proposta soltanto con l'atto di citazione notificato in data 10 luglio 2020. Quanto al vizio asseritamente produttivo di nullità delle delibere per illiceità e/o impossibilità del relativo oggetto, si ritiene che l'impugnazione, ancorché formalmente proposta nel termine triennale come sopra stabilito, è, tuttavia, anch'essa inammissibile. Infatti, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, l'oggetto della delibera, coincidente con il contenuto concreto della manifestazione di volontà espressa dall'assemblea, è illecito o impossibile quando il contenuto risulti contrario a norme di legge poste a tutela di interessi trascendenti quelli del singolo socio, o la cui violazione determini una deviazione dallo scopo economico pratico del contratto di società (v. ad es. Cass. Civ. n. 26842/2008; Cass. Civ. n. 19235/2008). Nel caso di specie, diversamente da quanto sostenuto dall'attore, da un lato, le norme asseritamente violate afferiscono ad un interesse proprio del socio amministratore e, dall'altro, le allegazioni sul punto svolte dall'attore non configurano alcuna reale deviazione dallo scopo economico pratico del contratto di società, sicché l'eventuale violazione delle evocate disposizioni di legge potrebbe, semmai, configurare, ancora una volta, un'ipotesi di mera annullabilità delle delibere, che l'attore, però, avrebbe dovuto far valere nei più ristretti termini decadenziali di cui al citato primo comma dell'art. 2479 ter c.c. Affermata l'inammissibilità delle contestazioni mosse dall'attore nei riguardi delle sopra richiamate delibere assembleari e passando, quindi, all'esame del secondo tema allegato dall'attore (illegittimità della revoca dalla carica di amministratore), al riguardo, occorre anzitutto osservare che dal verbale dell'assemblea svoltasi in data 13 settembre 2018 emerge, per tabulas, che il relativo ordine del giorno contemplava, tra gli argomenti oggetto di discussione e di decisione, anche la 'revoca' degli amministratori allora in carica (punto n. 1) e la nomina di nuovo organo amministrativo (punto n. 2). Sempre dal documento sopra richiamato risulta che, l'Assemblea dei soci della società convenuta, dopo avere accettato, all'unanimità, le dimissioni rassegnate da due degli amministratori in carica, P. e Silvestri, ha, in quella stessa sede, deliberato, testualmente, la revoca del C.d.A., all'epoca, composto anche dall'odierno attore, e, contestualmente nominato il (dimissionario) consigliere P. alla carica di Amministratore Unico, questa volta con il voto favorevole dei soci P. e S., detentori di partecipazioni societarie rappresentative, nel complesso, dell'80% del capitale sociale (v. doc. n. 6 attore). Sul punto, l'attore ha asserito che, benché previsto espressamente all'ordine del giorno, l'argomento della revoca degli amministratori non era stato, in realtà, minimamente trattato e discusso, e la sua destituzione dalla carica di amministratore era stata illegittimamente deliberata in assenza di una clausola statutaria c.d. 'simul stabunt simul cadent'. Sotto quest'ultimo profilo, deve rilevarsi che, come correttamente dedotto dall'attore, lo Statuto della società '(...)' effettivamente non prevede la simultanea caducazione di tutti gli amministratori per il venir meno della sua originaria composizione a seguito, ad esempio, di dimissioni rassegnate da qualcuno dei suoi componenti. Il superiore rilievo, tuttavia, non inficia, di per sé, la validità/legittimità della relativa deliberazione, atteso che, a norma dell'art. 2383, co. 3, c.c., dettato in tema di s.p.a. ma applicabile in via analogica anche agli amministratori di s.r.l., 'Gli amministratori (...) sono revocabili dall'assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto dell'amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa'. La giusta causa cui la predetta norma fa riferimento non costituisce, quindi, una condizione di validità e di efficacia della deliberata revoca, ma solo una causa di esclusione del risarcimento del danno eventualmente sofferto dall'amministratore così ingiustamente ed arbitrariamente revocato. A riguardo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che, 'in tema di revoca dell'amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l'onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie (v. ad es. Cass. n. 2037/2018). Nella fattispecie in commento, la censurata delibera assembleare non fa alcuna menzione della causa che avrebbe giustificato la 'destituzione' del N. dalla carica di amministratore; essa, infatti, per allegazione della stessa convenuta, conterrebbe una 'implicita' causa di revoca, quale conseguenza 'automatica' del venir meno della maggioranza dei componenti dell'allora CdA. Tale allegazione consente, per ciò, di ritenere la revoca dell'amministratore N. priva di giusta causa, sia perché, contrariamente a quanto sostenuto dalla convenuta, lo Statuto della società, come detto, non prevedeva la caducazione dell'intero C.d.A. a seguito e per effetto delle dimissioni rassegnate da alcuni suoi componenti, sia perché, sul punto, la delibera è del tutto silente, omettendo la necessaria esplicitazione delle ragioni ad essa sottese. Affermata l'arbitrarietà della revoca de qua, in quanto disposta senza giusta causa, deve, a questo punto, esaminarsi la domanda formulata dall'attore volta ad ottenere il risarcimento del danno, rectius, del c.d. congruo indennizzo, trattandosi, più propriamente, di revoca di amministratore, per concorde allegazione delle parti, nominato a tempo indeterminato. Come noto, in tali casi, il danno risarcibile/indennizzabile viene normalmente parametrato, in via equitativa, all'emolumento che l'amministratore avrebbe conseguito dalla prestazione gestoria nell'arco di sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente idoneo a consentire all'amministratore revocato di trovare nuovi incarichi od analoghe prestazioni e compensi (v. Cass. Civ. n. 23557/2008; Sent. Trib. Milano, 9.6.2021, n. 4898). Sono, pertanto, prive di pregio le argomentazioni svolte, in parte qua, dall'attore secondo cui sarebbe a lui dovuto, per il titolo in questione, il compenso riconosciuto agli amministratori della convenuta per i residui mesi dell'esercizio 2018 e l'intero anno 2019. Nel caso di specie, quindi, l'importo, a tale titolo, dovuto all'attore ammonta a complessivi E 4.500,00 (E 9.000,00 x 6), così quantificato in base ai parametri previsti dalle delibere del 4 e 6 luglio 2017 (sub docc. n. 4-5 att.). Inoltre, costituendo debito di valore, il predetto importo deve essere rivalutato, secondo gli indici ISTAT, dalla data della revoca fino a quella della presente decisione (v. anche Trib. Roma 24.7.2013, n. 16432). All'attore spetta altresì il risarcimento dell'ulteriore danno da ritardato pagamento del dovuto, da liquidarsi, in via equitativa, in misura corrispondente agli interessi legali maturati, nel medesimo periodo, sull'importo progressivamente rivalutato. Sulla somma complessivamente così determinata sono, infine, dovuti anche gli ulteriori interessi di legge dalla decisione al saldo. Per quel che concerne il recesso del N. dalla società convenuta, ritiene il Collegio che, nella fattispecie in esame, non sia ravvisabile alcuna causa, convenzionale/statutaria e/o legale, idonea a legittimare l'exit perseguito dall'attore ai sensi del citato art. 2473 c.c. Infatti, la norma in commento dispone che, '1) L'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità. In ogni caso il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito al cambiamento dell'oggetto o del tipo di società, alla sua fusione o scissione, alla revoca dello stato di liquidazione, al trasferimento della sede all'estero, alla eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo e al compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto della società determinato nell'atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, quarto comma. (...) 2) Nel caso di società contratta a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni (...)'. Orbene, l'atto costitutivo della società convenuta prevede espressamente, all' art. 6, che: 'Il recesso è ammesso nei soli casi previsti dal codice civile. Poiché la società è contratta a tempo determinato è espressamente esclusa l'applicazione del secondo comma dell'art. 2473 del codice civile. Il socio che intende recedere dalla società deve darne comunicazione all'organo amministrativo mediante raccomandata con ricevuta di ritorno, inviata entro trenta giorni dall'iscrizione del registro imprese o, se non prevista, dalla trascrizione nel libro della decisione che lo legittima, ovvero, negli altri casi, dalla sua conoscenza da parte del socio.' Nel caso de quo, deve anzitutto evidenziarsi come l'attore, nelle lettere raccomandate versate in atti e contenenti la manifestazione della propria volontà di recedere dalla società, avesse giustificato siffatta determinazione, affermando, testualmente, di non condividere 'le recenti decisioni assunte dalla società, idonee a modificare sensibilmente la struttura societaria, il suo assetto societario e le attribuzioni dei soci' (doc. n. 7 att.). Nell'atto introduttivo del presente giudizio, l'attore aveva altresì asserito che il proprio recesso era conforme alla disciplina dettata dall'art. 6 dello Statuto e dall'art. 2473 c.c., in quanto la delibera del 13 settembre 2018, estromettendolo dal CdA e privandolo del suo unico emolumento, aveva provocato una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, c. IV c.c. Prendendo in considerazione entrambe le allegazioni sopra riportate, occorre, sul punto, osservare che la norma da ultimo citata fa riferimento a diritti particolari in materia di amministrazione della società o di distribuzione degli utili che, però, devono essere attribuiti ad un socio nell'atto costitutivo o anche successivamente con specifica modifica statutaria. Conseguentemente, in difetto di una specifica, originaria o sopravvenuta disposizione statutaria attributiva al socio N. di diritti particolari nei termini sopra precisati, nonché in mancanza di sufficienti allegazioni e prove di una sostanziale modifica della struttura e/o dell'assetto societario in conseguenza delle precedenti decisioni degli organi, amministrativo e/o assembleare, la domanda attorea è, in parte qua, infondata. Parimenti infondata risulta la pretesa avanzata dall'attore sulla base della invocata clausola di salvaguardia contenuta nell'atto di compravendita delle quote sociali, datato 9 gennaio 2015 (doc. n. 1 att.). Infatti, tale clausola, della durata espressa di due anni e, quindi, già scaduta al momento del recesso, non è, in ogni caso, opponibile alla società '(...)' s.r.l., quale soggetto terzo, rimasto estraneo al sopra richiamato contratto (doc. n. 1 att.). Infine, l'attore, a sostegno dell'asserita legittimità del proprio recesso ha anche dedotto che, in ogni caso, la società era stata, sostanzialmente, costituita a tempo indeterminato, essendo stata stabilita in statuto una durata fino al 2050, termine ritenuto dal socio estremamente lungo e trascendente l'aspettativa di vita dei soci, e, per ciò, tale da legittimare il suo recesso ad nutum ex art. 2473, co. 2, c.c. Sulla questione in esame, si è pronunciata anche la Suprema Corte (v. ad es., Cass. civ., 22 aprile 2013, n. 9662), enunciando il principio secondo cui 'In tema di società a responsabilità limitata, la previsione statutaria di una durata della società per un termine particolarmente lungo, tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale anche per un soggetto collettivo, ne determina l'assimilabilità ad una società a tempo indeterminato; ne consegue che, in base all'art. 2473, comma secondo, cod. civ., compete al socio in ogni momento il diritto di recesso, sussistendo la medesima esigenza di tutelare l'affidamento del socio circa la possibilità di disinvestimento della quota da una società sostanzialmente a tempo indeterminato'. Secondo un più recente e restrittivo indirizzo (v. ad es. Cass. civ., sez. I, ord., 5 settembre 2022, n. 26060), i Giudici di legittimità hanno riconosciuto la possibilità per il socio di recedere ad nutum solo nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo, in quanto deve essere valorizzato il dato testuale della disciplina del recesso ex art. 2473 c.c. e poiché prevale, sull'interesse del socio al disinvestimento, l'interesse della società a proseguire la gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi alla stabilità dell'organizzazione e all'integrità della garanzia patrimoniale, offerta esclusivamente dal patrimonio sociale. Tutto ciò premesso, nel caso de quo, deve rilevarsi non solo l'esistenza di una specifica previsione statutaria di un termine di durata della società, ma anche la sua oggettiva non eccedenza l'operatività ordinariamente prevedibile di una società di capitali (35 anni dalla data della sua costituzione), e, soprattutto, la sua non esorbitanza rispetto alle aspettative di vita dei soci, atteso che, nell'anno 2050, l'attore N. avrà compiuto 77 anni. Inoltre, va evidenziato come la norma contenuta nello statuto (art. 6), accettato anche dal socio N. all'atto del suo originario ingresso nella società, preveda espressamente anche la non applicabilità del secondo comma dell'art. 2473 c.c. Pertanto, alla luce delle argomentazioni che precedono, la domanda formulata dall'attore deve essere, in parte qua, rigettata. A questo punto, non resta che valutare la fondatezza della domanda attrice, di condanna della società convenuta al pagamento dell'importo della cartella esattoriale meglio descritta in citazione, che, a dire dell'attore, sarebbe ad essa addebitabile per presunte 'mancanze tributarie/fiscali'. Al riguardo, deve anzitutto rilevarsi come la documentazione offerta dall'attore a supporto della richiesta in esame (docc. n. 20-21 att.) sia del tutto inidonea a provare il credito in questa sede azionato. Infatti, l'attore si è limitato a produrre il documento di accoglimento dell'istanza di rateizzazione n. 132435 da parte dell'Agenzia delle Entrate (doc. n. 20) e un assegno emesso dal P. a favore del N. dal valore di E 278,02, importo, peraltro, diverso ed incongruente rispetto alle rate prestabilite (doc. n. 21). Tali allegazioni e produzioni appaiono, tuttavia, deficitarie in quanto non dimostrano la causale, la pertinenza, oggettiva e soggettiva, della cartella in contestazione di cui, peraltro, va evidenziata la mancata produzione in giudizio pur essendo, verosimilmente, nella disponibilità dell'attore, e, quindi, l'imputabilità giuridica del relativo onere economico-patrimoniale direttamente in capo alla società anziché, personalmente, al N., il quale, oltretutto, risulta essere il formale destinatario dell'intimazione di pagamento. Le statuizioni che precedono impongono, di per sé, il rigetto delle istanze istruttorie reiterate dall'attore in sede di definitiva precisazione delle conclusioni, rilevando altresì la mancata allegazione di circostanze di fatto o ragioni di diritto nuove, diverse e/o sopravvenute rispetto a quelle già negativamente delibate con l'ordinanza resa in data 8 aprile 2021. Vanno, altresì, rigettate le domande reciprocamente formulate dalle parti a norma dell'art. 96 c.p.c., in ragione dell'esito delle rispettive domande e difese, con conseguente esclusione della temerarietà delle loro iniziative giudiziali. Infine, si ritiene che, in considerazione delle diverse pronunce rese, dapprima nel subprocedimento cautelare (R.G. n. 8678-1/2020) e, successivamente, nel presente giudizio di merito, le spese di lite vadano liquidate, come da dispositivo, per il primo, in ossequio al principio di soccombenza, a favore della società resistente, mentre per il secondo, in ragione del parziale accoglimento delle domande attoree, vada disposta una loro compensazione in misura di 1/2, liquidando il residuo 1/2 a favore dell'attore. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: CONDANNA la società convenuta (...) s.r.l. al pagamento, in favore dell'attore, a titolo di congruo indennizzo, della somma di E 4.500,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi di legge come riconosciuti in motivazione. RIGETTA le restanti domande formulate dalle parti. CONDANNA l'attore ricorrente M. N. al rimborso, in favore della società convenuta resistente (...) s.r.l., delle spese di lite relative al sub-procedimento cautelare iscritto al R.G. n. 86781/2020, liquidate in E 2.150,00 per compenso di avvocato, oltre accessori se e come dovuti per legge. DISPONE la parziale compensazione delle spese di lite relative al presente giudizio di merito nella misura di %, e, per l'effetto, CONDANNA la società convenuta (...) s.r.l. al rimborso, in favore dell'attore M. N., del restante 1/2 liquidato in E 760,00 per spese e E 3.850,00 per compenso di avvocato, oltre accessori se e come dovuti per legge. Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della IV Sezione Civile, Sezione Specializzata in Materia di Impresa, del Tribunale, l'11 gennaio 2023. Depositata in cancelleria l'1 febbraio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA TERZA SEZIONE CIVILE Verbale dell'udienza del 24 gennaio 2023 della causa iscritta al numero 1907 del ruolo generale degli affari contenziosi del 2021, pendente tra: X nata a (...) (TP) il (...) agosto 1980, C.F. (...) rappresentata e difesa, in forza di mandato in calce all'atto di citazione, dall'avvocato ...ed elettivamente domiciliata presso lo studio Legali ... e: Y nata a (...) (BI) il (...) maggio 1958, residente in (...) (BI), Via (...) n. (...), C.F. (...) -contumace- in punto a: lesione del diritto alla reputazione e all'immagine; risarcimento del danno. Oggi 24 gennaio 2023 ore 10.10 dinanzi al Giudice dott. Matteucci compare l'avvocato ...in sostituzione dell'avv. ...per la ricorrente. E' altresì presente l'avv. ...dello... L'avvocato ....conclude come da atto di citazione insistendo per l'accoglimento della domanda risarcitoria e discute la causa riportandosi agli atti. IL GIUDICE dato atto della discussione orale ai sensi dell'art. 281 sexies c.p.c., al termine di essa, previa camera di consiglio, pronuncia, mediante lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, la seguente SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE CIVILE DI BOLOGNA in composizione monocratica nella persona della dott. Matteucci; Visti gli atti e le conclusioni formulate dalla parte attrice; Preso atto della discussione della causa; osserva e statuisce quanto segue A) Con atto di citazione notificato in data 8 febbraio 2021 X conveniva Y avanti al Tribunale di Bologna, esponendo in fatto: -di essere avvocato attivista per i diritti civili e per i diritti antidiscriminatori, oltre che personaggio politico; -di avere numerosissimi seguaci su Facebook e Instagram; -di avere sfilato per le strade di Bologna in data 1° luglio 2017 in occasione del gay pride, indossando una maglietta con la scritta in stampatello "ANCHE GESU' AVEVA DUE PADRI"; -di avere deciso di indossare tale maglietta "dall'evidente carattere ilare" al fine di portare l'attenzione sul tema del diritto di genitorialità da parte delle coppie omosessuali; -che in data 6 agosto 2019 tale R. pubblicava sulla propria bacheca di Facebook un post con la foto dell'attrice con la su descritta maglietta, del seguente tenore: "In questa maglia ... appare una frase ... che oltre ad insultare la nostra religione ... fa capire al mondo il grosso problema MENTALE DELLA SINISTRA ITALIANA!! E fa capire l'infimo livello della loro politica. LA FAMIGLIA E' SOLO UNA ... QUELLA DELLA CREAZIONE 1) PADRE 2) MADRE 3) UOMO 4) DONNA. E' così dalla notte dei tempi ... E così sarà fino alla fine dell'umanità!!"; -che a tale post facevano seguito varie reazioni fra cui un commento offensivo e volgare pubblicato da tale Y e cioè "Curati il cervello DEMENTE"; -di avere operato l'acquisizione forense della pagina Facebook con tale commento, e anche del profilo Facebook della Y; -che il commento era da considerarsi del tutto privo di connessione rispetto al merito della questione, ossia l'opportunità per le coppie gay di costruire una famiglia al pari di quelle eterosessuali, in totale spregio di ogni requisito proprio del diritto di critica; -di avere intimato alla Y la rifusione dei danni non patrimoniali patiti per la diffamazione ex art. 595 c.p., e la cessazione della condotta illecita posta in essere, senza esito; -di avere dato corso alla procedura di mediazione, ad esito negativo attesa la mancata comparizione della Y. In diritto assumeva di avere patito la lesione dell'onore, della reputazione e dell'identità personale e in generale dei diritti della personalità. La condotta de qua integrava il delitto di diffamazione aggravata (art. 595 co. 3 c.p.) e, ai fini civilistici, costituiva fatto illecito ex artt. 2043 e 2059 c.c. Per giunta la diffusione su un social aveva aumentato la valenza diffamatoria del post. Era quindi pressoché impossibile riconoscere la sussistenza della scriminante del diritto di critica o di satira, necessitanti dei requisiti della utilità sociale, della verità e della continenza espressiva, così come difettava l'interesse pubblico alla conoscenza della interpretazione critica del fatto. Nel caso in esame la Y aveva inteso deridere e umiliare pubblicamente parte attrice. Si era quindi determinato un danno non patrimoniale all'immagine dell'attrice, ravvisabile anche sulla base di presunzioni e da liquidare in via equitativa. Sulla base della tabella dell'Osservatorio milanese della Giustizia Civile, e tenuto conto del ruolo sociale e professionale dell'attrice oltre che della sua notorietà e reputazione anche sotto il profilo della carriera politica, così come alla luce dell'intensità dell'elemento psicologico della condotta, sussistevano i presupposti per riconoscere il diritto al risarcimento del danno per euro 20.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria. Concludeva quindi chiedendo che, accertata la condotta diffamatoria de qua, la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni "patrimoniali e non, nessuno escluso" quantificabili in euro 20.000,00 o della diversa somma ritenuta di giustizia, anche in via equitativa, oltre rivalutazione e interessi; chiedeva anche che fosse disposta la pubblicazione della sentenza anche ex artt. 2058 c.c. e 120 c.p.c. a cura di parte attrice e a spese della convenuta, per una volta sul quotidiano La Repubblica. Il tutto con vittoria delle spese di lite, anche di mediazione. Per la trattazione della causa veniva designato il Giudice dott. Maria Laura Benini. In data 25 febbraio 2021 parte attrice chiedeva di essere autorizzata a depositare in Cancelleria i documenti 2A, 3A e 4A. Il giudice in data 26 febbraio 2021 autorizzava quanto richiesto. In data 25 febbraio 2021 parte attrice depositava telematicamente avviso di ricevimento recto-verso, al fine di provare il perfezionamento della notifica per compiuta giacenza. In data 12 marzo 2021 parte attrice, come da autorizzazione, depositava in Cancelleria una chiavetta usb contenente i documenti 2A, 3A e 4A. Con decreto, emesso dal giudice onorario dott. Benenati ex art. 168 bis co. 5 c.p.c. in data 24 aprile 2021, la prima udienza veniva differita al 1° luglio 2021 con trattazione cartolare. In data 24 giugno 2021 parte attrice depositava note scritte con documenti 1 e 2. In occasione dell'udienza cartolare del 1° luglio 2021, tenuta dal giudice onorario dott. Benenati: -la parte convenuta veniva dichiarata contumace; -veniva fissata udienza cartolare per la precisazione delle conclusioni in data 16 dicembre 2021. Il giudice onorario dott. Benenati con provvedimento emesso in data 25 ottobre 2021 fissava udienza per medesimi incombenti in data 20 settembre 2022. La scrivente Giudicante subentrava nel ruolo ex Benini in data 3 novembre 2021. Con ordinanza emessa in data 11 novembre 2021 la scrivente Giudicante: Par. rilevava: -che la parte attrice in data 25 febbraio 2021 aveva depositato telematicamente l'esito della notifica dell'atto di citazione, producendo recto-verso dell'avviso di ricevimento; -che l'avviso di ricevimento era in bianco (cioè non recava alcuna dicitura) negli spazi denominati "Avvenuta consegna" e "Mancata consegna", anche se poi recava attestazione di compiuta giacenza; -che occorreva verificare il da farsi rispetto alla incompletezza dell'avviso di ricevimento; Par. invitava parte attrice a depositare in udienza l'originale dell'atto di citazione notificato, con avviso di ricevimento e quant'altro utile nel frattempo reperito (essenzialmente presso l'Ufficio postale competente); Par. fissava udienza di prosecuzione in data 20 gennaio 2022. All'udienza del 20 gennaio 2022: -parte attrice depositava in originale l'avviso di ricevimento, la CAD (Comunicazione di avvenuto deposito) e il plico contenente l'atto notificato restituito al mittente per compiuta giacenza; e produceva certificato di residenza aggiornato della convenuta; -la scrivente Giudicante alla luce di quanto prodotto ribadiva la declaratoria di contumacia della convenuta; -parte attrice produceva precedente specifico (sentenza Tribunale Bologna .../2022) e segnalava la pendenza avanti al Tribunale di Bologna di un'altra causa (n. .../2020 R.G.) originata dalla pubblicazione del post di R. in data 6 agosto 2019; -la causa era trattenuta in riserva. Con ordinanza emessa in data 20 gennaio 2022 veniva fissata udienza per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. in data 7 giugno 2022. Con ordinanza emessa in data 31 maggio 2022 veniva fissata udienza per medesimi incombenti in data 24 gennaio 2023, anche al fine di definire cause iscritte a ruolo in precedenza. All'udienza odierna la causa è stata discussa e viene ora decisa. B) La domanda attorea è fondata, potendosi dare continuità all'orientamento assunto da questa Sezione con la sentenza n. 3102/2022 pubblicata il 22 dicembre 2021, estensore il Giudice dott. Pietro Iovino. Queste le ragioni. 1. In data 6 agosto 2019 tale R. inseriva su Facebook il seguente post: "In questa maglia ... appare una frase ... che oltre ad insultare la nostra religione ... fa capire al mondo il grosso problema MENTALE DELLA SINISTRA ITALIANA!! E fa capire l'infimo livello della loro politica. LA FAMIGLIA E' SOLO UNA ... QUELLA DELLA CREAZIONE 1) PADRE 2) MADRE 3) UOMO 4) DONNA. E' così dalla notte dei tempi ... E così sarà fino alla fine dell'umanità!!". Il R. aveva infatti ripescato la fotografia che ritraeva la parte attrice X nel corso della manifestazione gay pride del 1° luglio 2017, con indosso una maglietta recante la seguente scritta: "ANCHE GESU' AVEVA DUE PADRI". La circostanza della partecipazione della parte attrice alla manifestazione in tale data, con indosso la maglietta, costituisce fatto pacifico in causa in quanto ammesso dalla stessa attrice. Il R. evidentemente mediante il post intendeva rimarcare e contestare dal proprio punto di vista (corrispondente a quello di un soggetto che si colloca nell'ambito del credo cattolico): -il riferimento (presente nella scritta della maglietta) a una famiglia omosessuale anziché a una famiglia connotata dalla presenza di un uomo e di una donna, dal R. preferita all'altra; -il richiamo della figura di Gesù Cristo, a dire della maglietta supportato dalla presenza di due padri (con riferimento implicito al Padre celeste e a San Giuseppe; nulla la maglietta riferiva rispetto alla posizione della madre biologica di Gesù). A fronte della pubblicazione del post del R., veniva successivamente postato su Facebook, a commento, il seguente messaggio: "Curati il cervello DEMENTE". Tale ultimo post è riconducibile e attribuibile alla convenuta Y, alla luce delle produzioni attoree sub documenti 3 e 4 a valere quale acquisizione informatico-forense effettuata con tutti i carismi del caso, come spiegato e documentato da parte attrice nell'atto introduttivo. Giova aggiungere che non risulta che la Y, una volta ricevuta in data 30 dicembre 2019 la lettera di diffida di parte attrice di cui al documento 5 attoreo, si sia peritata di presentare denuncia di furto di identità (a valere quale denuncia dell'uso illecito del proprio profilo a opera di terzi), prendendo le distanze dalle affermazioni offensive; anche ciò consente di affermare che il post debba essere attribuito alla convenuta. Mediante tale post con evidenza la Y intendeva commentare a propria volta la condotta del soggetto che aveva indossato la maglietta de qua; essa all'uopo usò appunto l'espressione "Curati il cervello DEMENTE". Con tale espressione la Y non solo manifestò (implicitamente) il proprio dissenso rispetto alla tesi prospettata nella maglietta e a ciò che essa implicava, ma altresì espresse una determinata valutazione nei confronti del soggetto che indossava la maglietta medesima, ritenendolo "demente" e meritevole di cure al cervello, probabilmente anche echeggiando la parte del messaggio del R. con il quale veniva rimarcato il "grosso problema mentale della sinistra italiana". Questi sono i dati oggettivi offerti dalla parte attrice. 2. Orbene, la frase utilizzata dalla Y è connotata da attitudine denigratoria nei confronti della X, ed è idonea ad attingere, ledendola, l'immagine della medesima, sotto il punto di vista dell'onore e dell'identità personale. La Y aveva la possibilità di limitarsi a esprimere una ordinaria critica rispetto al tenore della maglietta, usando toni pacati. Essa invece decise di attaccare direttamente la figura della X, superando il limite della continenza formale ed esulando dal diritto di critica poiché fece uso della parola in sé offensiva "demente" aggiungendo il suggerimento di "curarsi il cervello". La parola "demente" (a valere quale sostantivo o anche quale aggettivo) deriva dal termine latino "demens" il quale contiene il prefisso "de" avente valenza privativa unitamente alla parola "mens", mente; insomma, il soggetto demente è privo di mente o di cervello. Nel linguaggio comune, per demente si intende un soggetto pazzo, privo di senno, stolto, e ciò vale certamente quale termine spregiativo e ingiurioso. Si è trattato, nel caso di specie, di una frase gratuita, finalizzata a offendere il destinatario senza che l'offesa fosse stata originata da una effettiva provocazione: la maglietta conteneva una frase che mirava a supportare le famiglie omosessuali, e che verosimilmente non aveva l'intendimento di destabilizzare il credo cattolico o di infamare la figura di Gesù Cristo. Il fatto di avere inserito il messaggio su Facebook ne ha comportato la diffusione su larga scala, rendendolo idoneo a raggiungere una platea indeterminata di destinatari e assumendo così valenza diffamatoria. Giova ricordare a tal proposito che il delitto di diffamazione deve presentare tre requisiti: l'assenza della persona offesa; un'offesa all'altrui reputazione; la divulgazione a più persone. E appunto nel caso di specie la frase oggetto di causa venne diffusa a più persone su Facebook, fu divulgata in assenza della persona offesa e risulta connotata da offensività all'altrui reputazione. La diffamazione ravvisabile è quella aggravata ex art. 595 co. 3 c.p. in quanto si ha a che fare con una condotta di diffusione del messaggio attraverso l'uso di una bacheca Facebook, potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (Cass. pen. 40083/2018). Si veda anche Cass. pen. 24212/2021 la quale ha chiarito: -che il delitto di diffamazione può essere commesso anche a mezzo Internet, con l'uso dei social network; -che tale condotta integra l'ipotesi aggravata di cui all'art. 595 co. 3 c.p.; -che risponde a criteri logici e a condivise massime di esperienza ritenere la provenienza di un post dal profilo Facebook di un determinato utente, laddove questi ometta di denunciarne l'uso illecito eventualmente compiuto da parte di terzi. 3. La frase della convenuta Y non è riconducibile all'esplicazione del diritto di critica. La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che il legittimo esercizio del diritto di critica - anche in ambito politico, ove è consentito il ricorso a toni aspri e di disapprovazione più pungenti e incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti tra privati - è pur sempre condizionato, come quello di cronaca, dal limite della continenza, intesa come correttezza formale dell'esposizione e non eccedenza dai limiti di quanto strettamente necessario per il pubblico interesse. E così si veda Cass. 2357/2018: "In tema di diritto di critica, i presupposti per il legittimo esercizio della scriminante di cui all'art. 51 c.p., con riferimento all'art. 21 Cost., sono: a) l'interesse al racconto, ravvisabile anche quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini ma di quello della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la comunicazione; b) la continenza ovvero la correttezza formale e sostanziale dell'esposizione dei fatti da intendersi nel senso che l'informazione non deve assumere contenuto lesivo dell'immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti; d) l'esistenza concreta di un pubblico interesse alla divulgazione. (Nella specie la S.C. ha imposto al giudice del rinvio di accertare se le comunicazioni dirette a valutare negativamente il comportamento di un soggetto fossero strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato del comportamento preso di mira o si fossero tradotte in un'aggressione gratuita e distruttiva dell'onore e della reputazione dell'interessato, tenuto conto, nel bilanciamento dei valori, dell'interesse dei destinatari della comunicazione a conoscere i fatti denunciati)". Limiti, quelli della continenza e della non eccedenza, che sono stati ampiamente superati nel caso di specie in quanto la Y non ha dato corso a un dissenso ragionato rispetto alla scritta della maglietta, ma è trascesa ad attaccare il soggetto che la indossava, attribuendole l'etichetta offensiva di "demente" e di soggetto necessitante di cure al cervello. Per scrupolo giova ricordare che "In materia di diffamazione, l'esimente dell'esercizio del diritto di critica non costituisce espressione di un diritto potestativo, da esercitare nel momento in cui viene proposta l'eccezione, ma integra un diritto sostanziale già esercitato. Ne consegue che la relativa deduzione non ha natura di eccezione in senso stretto e che il giudice civile, ove debba accertare la sussistenza del carattere diffamatorio di un fatto, è tenuto a rilevare tutte le circostanze che siano state allegate e provate, atteso che l'eventuale esistenza di una esimente esclude il carattere diffamatorio del fatto" (Cass. 12902/2020); ciò significa che pur nella contumacia della parte convenuta è qui consentito alla scrivente Giudicante valutare, come sopra si è fatto, la sussistenza o meno della scriminante del diritto di critica. 4. Perché possa dirsi integrato il delitto di diffamazione è sufficiente che sia presente l'elemento soggettivo consistente nel dolo generico (anche solo dolo eventuale), a valere quale coscienza e volontà di comunicare a più persone l'addebito offensivo dell'altrui reputazione. Sul punto si vedano Cass. 26964/2007 ("In tema di diffamazione, conformemente alla giurisprudenza penale della S.C., è necessario e sufficiente che ricorra il cosiddetto dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, cioè la consapevolezza di offendere l'onore e la reputazione altrui, la quale si può desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate") e Cass. 25420/2017 ("In tema di responsabilità civile per diffamazione, è necessario e sufficiente che ricorra il cd. dolo generico, anche nelle forme del dolo eventuale, cioè la consapevolezza di offendere l'onore e la reputazione altrui, la quale si può desumere dalla intrinseca consistenza diffamatoria delle espressioni usate"). Nel caso di specie (in cui difetta la prova che la Y sapesse chi era il soggetto che indossava la maglietta con la frase "incriminata", quale era la sua professione e il contesto in cui la foto era stata scattata) è comunque ravvisabile l'elemento soggettivo del dolo generico in quanto è di palmare evidenza che l'intenzione non velata che ebbe ad animare la Y al momento dell'invio del commento sulla bacheca Facebook era proprio quella di colpire con veemenza l'onorabilità e l'immagine del soggetto che indossava la maglietta, chiunque esso fosse; ciò in quanto le parole "Curati il cervello DEMENTE" avevano caratteristiche inconfondibili di diretta e consapevole offensività nei confronti del destinatario, e miravano a raggiungere il popolo di Facebook in modo diretto e senza mezzi termini. 5. La parte attrice ha prospettato di avere patito danni patrimoniali e non patrimoniali per l'occorso. 5.a. A dire il vero nulla di specifico è stato dedotto dalla parte attrice rispetto al danno patrimoniale, attestatosi sulla soglia della generica allegazione. Tale voce di danno è comunque rimasta del tutto sfornita di prova. 5.b. Quanto al danno non patrimoniale, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che "In tema di responsabilità civile per diffamazione, il pregiudizio all'onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è "in re ipsa", identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell'offesa e la posizione sociale della vittima" (Cass. 8861/2021). Solo una volta soddisfatti dall'interessato tali oneri di allegazione e prova del danno, "la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice sulla base, non di valutazioni astratte ma del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato" (Cass. 31537/2018). Nel caso in esame il danno può dirsi presuntivamente provato nella sua connotazione di danno non patrimoniale (offesa all'immagine e all'onorabilità dell'attrice) in considerazione della presenza (con numerosissimi seguaci) della parte attrice su Facebook, dal che deriva la manifesta evidenza del post e la effettiva e concreta possibilità e probabilità che esso si sia diffuso nell'enorme platea del social, andando ad attingere in modo negativo l'immagine della parte attrice. La Y a dire il vero non fece menzione del nominativo del soggetto che indossava la maglietta e quindi verosimilmente neppure sapeva quale lavoro svolgesse; ciò si dice, tanto più che la Y aveva e ha la residenza in provincia di Biella e dunque verosimilmente non aveva avuto modo di collegare il volto della parte attrice (nota nel bolognese) ad una specifica professione o posizione politica. Ciò non toglie che la frase abbia inteso colpire e abbia colpito l'onore e l'immagine del soggetto destinatario dal messaggio, vieppiù considerando il tenore della frase offensiva. Come si evince dal documento 3B attoreo, la Y per effetto della frase per cui è causa ricevette due sole approvazioni (i c.d. like per utilizzare il solito inglesismo trapiantato nella lingua italiana). Anche tale circostanza circoscrive la concreta offensività della condotta diffamatoria. Per tutte tali ragioni, dovendosi quantificare in via equitativa il danno non patrimoniale patito dalla parte attrice, e facendo uso dei "Criteri orientativi per la liquidazione del danno da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa" varati dall'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, Edizione 2018, è possibile liquidare complessivi euro 2.500,00 (come da precedente specifico di Sezione) poiché si ricade nell'ambito della condotta diffamatoria di tenue gravità (per la quale il danno liquidabile va da euro 1.000,00 a euro 10.000,00). Si è quantificata una somma leggermente superiore al minimo in considerazione della relativa notorietà del soggetto diffamato e della scarsa risonanza mediatica dell'offesa arrecata (come desumibile dai due soli like che la Y ricevette), oltre che dal fatto che non constano concrete ripercussioni negative sulla professione dell'attrice per effetto di tale post. La somma di euro 2.500,00 viene liquidata all'attualità ed è comprensiva di interessi e rivalutazione ad oggi. Su detto importo, avendosi ora a che fare con un debito di valuta, spettano all'attrice gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al saldo. Pertanto la convenuta Y va condannata al pagamento in favore della parte attrice della somma di euro 2.500,00 oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza fino al saldo. C) Secondo il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico della parte convenuta. La liquidazione del compenso va effettuata ai sensi del Decreto del Ministero della Giustizia n. 55/2014, novellato in forza del D.M. 147 del 13 agosto 2022, le cui disposizioni ai sensi dell'art. 6 si applicano alle prestazioni professionali esaurite successivamente alla sua entrata in vigore (corrispondente al quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell'8 ottobre 2022) e quindi dal 23 ottobre 2022 in poi. In particolare: -alla luce della somma accertata come dovuta, si applica lo scaglione da euro 1.100,01 a euro 5.200,00 (Tabella 2); -le fasi da prendere in considerazione sono quelle di studio, introduttiva, trattazione e decisoria; -ai sensi dell'art. 20 co. 1 bis del D.M. citato, introdotto dall'articolo 5 del D.M. 37/2018 e applicabile alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore (27 aprile 2018), va riconosciuta anche la fase di attivazione della procedura di mediazione obbligatoria svolta e documentata sub 6 e 7 (da liquidare come da Tabella 25 bis allegata al D.M. 147/2022); -sussistono i presupposti per liquidare complessivi euro 1.843,00 (valori medi per le fasi di studio e introduttiva e così euro 425 + 425; valori minimi per le fasi di trattazione e decisoria e così euro 425,50 + 425,50; valori minimi per la fase di attivazione della mediazione e così euro 142,00) oltre rimborso forfettario del 15% ai sensi dell'articolo 2 comma 2 D.M. citato. Le anticipazioni ammontano a complessivi euro 274,75 (euro 264,00 per contributo unificato e marca + euro 10,65 per notifica). P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, difesa, eccezione, deduzione disattesa così provvede: Condanna Y al pagamento in favore di X della somma di euro 2.500,00 oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo. Condanna Y al pagamento in favore di X delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 1.843,00 per compenso di avvocato ed euro 274,75 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario 15%, CPA 4% e IVA se dovuta. Così deciso in Bologna il 24 gennaio 2023.

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