Sentenze recenti Tribunale Brescia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 817 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da El. Bo., rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ar., La. Ro. e Cl. Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. La. Ro. in Brescia, via (...); contro Parco del Mi., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ba. Ra., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura e Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Cremona, Lodi e Mantova, in persona del Ministro e del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento A) Per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della nota con la quale il Comune di (omissis) ha trasmesso alla ricorrente, in data 18.6.2022, l'autorizzazione paesaggistica con prescrizioni rilasciata dal Parco del Mi.; - dell'autorizzazione paesaggistica 39/22 rilasciata dal Parco del Mi. il 13.6.2022 (in parte qua); - del parere della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Cremona, Lodi e Mantova inviato al Parco del Mi. il 13.6.2022 (in parte qua); - del parere della Commissione per il paesaggio in materia di tutela paesistico - ambientale del Parco del Mi. emesso il 5.5.2022 (in parte qua); - degli atti collegati connessi e precisamente del diniego di installazione fotovoltaico e diniego/modalità di realizzazione di cappotto nell'edificio della ricorrente; B) Per quanto riguarda il ricorso per motivi aggiunti notificato dalla sig.ra El. Bo. il 12.9.2023: - del provvedimento del Parco del Mi. in data 15.6.2023 che ha ordinato alla ricorrente di rimuovere le opere abusivamente realizzate e conseguentemente di rimettere in pristino l'area sottoposta a vincolo identificata al foglio (omissis), mappale (omissis), entro 90 giorni dalla notifica dell'atto; - degli atti connessi ivi compreso per quanto occorrer possa il verbale di sopralluogo del Comune di (omissis) del 31.3.2023; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Parco del Mi., del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Cremona, Lodi e Mantova; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2024 il dott. Alessandro Fede e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1.- La ricorrente è proprietaria di un'unità immobiliare a destinazione residenziale, in un edificio di due unità collocato in un contesto rurale, nel Comune di (omissis) (MN), in zona ricompresa all'interno del Parco del Mi. e sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 142, comma 1, lett. f, d.lgs. 42/2004. 2.- Il 4.2.2022 ha presentato allo sportello telematico del Comune una SCIA e la richiesta di autorizzazione paesaggistica semplificata per opere di manutenzione straordinaria, consistenti nella coibentazione delle pareti esterne della sua unità mediante cappotto e nell'installazione di pannelli fotovoltaici sulla copertura, e il Comune ha trasmesso tale richiesta al Parco del Mi. (ente competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. a, l.r. 12/2005), che afferma di averla ricevuta il 21.3.2022. 2.1.- La Commissione per il paesaggio del Parco del Mi., in data 5.5.2022, ha espresso parere favorevole per la realizzazione del cappotto, prescrivendo però che esso non comportasse "modifiche della linearità con l'edificio in aderenza, copertura compresa", che i serramenti fossero in legno e che il colore del fabbricato fosse quello proposto nella simulazione; ha invece espresso parere negativo per la posa dell'impianto fotovoltaico. Il 23.5.2022 il Parco del Mi. ha trasmesso gli atti alla Soprintendenza per l'espressione del parere di competenza di quest'ultima, proponendo il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica con le prescrizioni della Commissione per il paesaggio. 2.2.- La Soprintendenza ha espresso il suo parere il 10.6.2022 e lo ha trasmesso al Comune tre giorni dopo; nel parere la Soprintendenza ha concordato con la Commissione per il paesaggio sull'esclusione del fotovoltaico, mentre, quanto al cappotto, ha ritenuto che esso possa essere realizzato "solo internamente all'edificio e (che) i serramenti dovranno rimanere nell'attuale posizione rispetto alla sezione muraria in modo da non alterare la percezione della facciata e da non creare differenze con la parte di edificio sulla quale non si interviene"; ha inoltre dettato altre prescrizioni sulla tinteggiatura e sui bancali. 2.3.- Il 13.6.2022 il Parco del Mi. ha rilasciato alla ricorrente l'autorizzazione paesaggistica semplificata n. 39/22, con prescrizioni conformi al parere della Soprintendenza. 3.- Il 18.6.2022 il Comune di (omissis), nel trasmettere all'interessata l'autorizzazione paesaggistica emessa dal Parco del Mi., l'ha invitata a inviare gli elaborati progettuali modificati in funzione delle prescrizioni richiamate nel provvedimento, inibendo nelle more l'avvio dei lavori. 4.- La sig.ra Bo. ha impugnato tali provvedimenti con ricorso notificato il 20.9.2022. Le amministrazioni intimate si sono costituite resistendo al ricorso con articolate deduzioni. 5.- All'udienza camerale del 26.10.2022 è stato disposto un rinvio perché le parti si erano dichiarate disponibili a individuare una possibile soluzione conciliativa della vicenda. In prossimità della successiva udienza camerale dell'8.3.2023, la ricorrente ha prodotto alcuni documenti con brevi note difensive di aggiornamento, in particolare evidenziando che si erano svolti due incontri tra il tecnico della ricorrente e, rispettivamente, il Parco del Mi. (30.11.2022) e la Soprintendenza (5.12.2022), in occasione dei quali i due enti avrebbero espresso posizioni opposte tra loro, atteso che: (i) il Parco del Mi. avrebbe mantenuto una posizione di sostanziale opposizione quanto all'installazione dei pannelli fotovoltaici, sebbene la ricorrente si fosse offerta di adottare accorgimenti tecnici idonei a mitigarne l'impatto visivo, mentre avrebbe espresso maggiore disponibilità in relazione al cappotto termico, a patto però di limitare la superficie di facciata su cui realizzarlo e di adottare accorgimenti idonei a mascherare lo scalino che si verrebbe a determinare rispetto al corpo basso in aderenza; (ii) la Soprintendenza, al contrario, avrebbe manifestato la propria disponibilità ad assentire alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico sulla copertura dell'edificio principale, con l'adozione però di alcuni accorgimenti (utilizzo di pannelli color coppo con finitura opaca e bordo del pannello nella stessa tinta, e integrazione dell'impianto nella copertura), mentre avrebbe ribadito la propria posizione di sostanziale chiusura rispetto al cappotto termico, limitandosi a proporre una riduzione del suo spessore a 2 cm, che tuttavia, secondo il tecnico di parte ricorrente, vanificherebbe l'efficacia dell'impianto. All'udienza camerale dell'8.3.2023, su istanza congiunta delle parti, è stato disposto un ulteriore rinvio per verificare in via ultimativa la possibilità di un esito condiviso della vicenda, tenuto anche conto che il riesame non aveva condotto alla formalizzazione di nuovi pareri da parte della Commissione per il paesaggio e della Soprintendenza, né tanto meno alla riformulazione delle prescrizioni apposte all'autorizzazione paesaggistica. In prossimità della successiva udienza camerale: - il Comune di (omissis) ha depositato copia del verbale di sopralluogo effettuato dall'amministrazione comunale in data 31.3.2023, su incarico del Parco del Mi., in occasione del quale ha accertato che erano stati già realizzati sia alcune opere preparatorie alla posa del cappotto termico (n. 6 telai esterni sporgenti dal filo principale dell'edificio), sia l'intero impianto fotovoltaico sulla falda a sud; - la ricorrente ha integrato la propria documentazione e depositato note d'udienza, ammettendo di aver realizzato l'impianto fotovoltaico, asseritamente secondo le indicazioni datele dalla Soprintendenza nell'incontro del 5.12.2022; in ogni caso, stante lo stallo in cui si è venuto a trovare il procedimento amministrativo, vista l'indisponibilità delle amministrazioni intimate a raggiungere una soluzione condivisa, ha chiesto al TAR l'adozione di un'ordinanza propulsiva che, pronunciandosi nel merito delle censure dedotte in ricorso, le consentisse di proseguire i lavori come da progetto assentito, ma senza le prescrizioni impugnate. Questo Tribunale, con ordinanza n. 172 del 24.4.2023, ha respinto la domanda cautelare, ritenendo che le censure dedotte in ricorso apparissero "fondate solo in parte, in termini comunque insufficienti a giustificare l'adozione di una misura cautelare di tipo propulsivo, come richiesto dalla parte ricorrente", e in particolare, che: (i) le censure di carattere procedimentale non apparissero fondate; (ii) il diniego alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico apparisse palesemente immotivato, ma "la circostanza che in corso di causa l'impianto sia comunque stato realizzato dalla parte ricorrente - pur in assenza di autorizzazione paesaggistica e contro l'espresso divieto di avvio dei lavori impartito dal Comune di (omissis) - fa evidentemente venir meno i presupposti per l'eventuale adozione della misura propulsiva invocata dalla parte ricorrente, visto che la stessa parte ricorrente ha dimostrato per fatti concludenti di volerne prescindere"; (iii) che il diniego alla realizzazione del cappotto termico non apparisse illegittimo. 6.- Il 15.6.2023 il Parco del Mi. ha emesso un'ordinanza di rimozione delle opere abusivamente realizzate dalla ricorrente e di conseguente rimessione in pristino, fissando per provvedervi un termine di 90 giorni dalla notifica dell'atto. 7.- La ricorrente ha impugnato anche questa ordinanza con ricorso per motivi aggiunti notificato il 12.9.2023, proponendo una nuova domanda cautelare. 8.- Prima dell'udienza camerale, la ricorrente ha presentato in data 6.10.2023 al Parco del Mi. domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica in relazione a entrambi i manufatti abusivi accertati dall'amministrazione comunale con verbale di sopralluogo dell'8.3.2023, e fatti oggetto dell'ordinanza di rimozione e riduzione in pristino impugnata con i motivi aggiunti (impianto fotovoltaico e n. 6 telai esterni sporgenti dal filo principale dell'edificio, prodromici all'installazione del cappotto termico). 9.- Questo Tribunale, con una nuova ordinanza cautelare n. 420 del 26.10.2023, ha ritenuto che, "in tale contesto, e nelle more del procedimento di "sanatoria" dei manufatti qui in esame, sia opportuno sospendere l'esecuzione del provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, al fine di non vanificare gli eventuali effetti positivi per la ricorrente derivanti da un ipotetico accoglimento della predetta domanda, e, in ogni caso, al fine di pervenire alla decisione di merito re adhuc integra". 10.- Depositate le memorie ex art. 73 c.p.a., all'udienza pubblica del 17.7.2024 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO (A) Sul ricorso principale. 1.- Il ricorso principale contiene un unico motivo articolato in una pluralità di censure, la prima delle quali concerne un asserito vizio di natura procedimentale, costituito dalla tardività dell'emissione dei pareri della Commissione per il paesaggio e della Soprintendenza, che determinerebbe l'inefficacia delle prescrizioni contenute nei pareri stessi. 1.1.- La censura è infondata. Trova infatti applicazione l'art. 11, comma 5, D.P.R. 31/2017 sull'autorizzazione paesaggistica semplificata, il quale, per il caso in cui l'amministrazione procedente (nella specie il Parco del Mi.) sia orientata per l'accoglimento dell'istanza, stabilisce un primo "termine tassativo di venti giorni dal ricevimento dell'istanza" affinché l'amministrazione procedente trasmetta alla Soprintendenza "una motivata proposta di accoglimento, unitamente alla domanda ed alla documentazione in suo possesso", e un secondo "termine tassativo di venti giorni dal ricevimento della proposta" affinché la Soprintendenza, se la sua valutazione è positiva, esprima il proprio parere vincolante. Sebbene entrambi i termini siano qualificati dalla legge come tassativi, solo per il secondo è espressamente previsto il meccanismo del silenzio assenso: il 9° comma infatti prevede che "In caso di mancata espressione del parere vincolante del Soprintendente nei tempi previsti dal comma 5, si forma il silenzio assenso ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e l'amministrazione procedente provvede al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica". Nel caso di mancato rispetto del primo termine "tassativo", invece, il D.P.R. 31/2017 non chiarisce quali siano le conseguenze. Nel caso di specie il primo termine non è stato rispettato, perché il Parco del Mi. afferma di avere ricevuto dal Comune l'istanza di autorizzazione paesaggistica il 21.3.2022, e ha trasmesso alla Soprintendenza gli atti e la sua proposta di accoglimento il 23.5.2022, impiegando così ben più dei venti giorni prescritti dalla norma. Il secondo termine invece è stato rispettato, perché la Soprintendenza ha ricevuto quanto sopra dal Parco del Mi. il 23.5.2022 e ha espresso il suo parere il 10.6.2022, cioè dopo diciotto giorni. Alla luce di ciò, si può prescindere dallo stabilire se l'inosservanza del termine da parte della Commissione per il paesaggio comporti il formarsi, per silenzio-assenso, di un parere positivo senza prescrizioni, perché comunque è successivamente intervenuto, in maniera tempestiva, il parere positivo con prescrizioni della Soprintendenza, vincolante per il Parco del Mi., che vi si doveva necessariamente conformare, pur se vi fosse stato a monte un parere positivo senza prescrizioni della Commissione per il paesaggio. Peraltro il parere della Soprintendenza, nella parte relativa all'impianto fotovoltaico, ha lo stesso contenuto del parere della Commissione per il paesaggio, perché vieta in maniera assoluta l'opera, mentre nella parte relativa al cappotto è più restrittivo del parere della Commissione per il paesaggio, in quanto impone di realizzare il cappotto all'interno dell'edificio, anziché consentirne la realizzazione all'esterno con alcuni accorgimenti. 2.- Le altre censure formulate dalla ricorrente nell'unico motivo del ricorso principale concernono il contenuto delle prescrizioni a lei imposte, cioè il divieto di realizzare l'impianto fotovoltaico e l'obbligo di realizzare il cappotto all'interno anziché all'esterno dell'edificio. 2.1.- Quanto all'impianto fotovoltaico, secondo la ricorrente non si è tenuto conto che la questione è ormai ben diversamente valutata dalle amministrazioni e dai giudici amministrativi; sostiene inoltre che in casi analoghi il Comune di (omissis) e quello di Mantova hanno assentito alla realizzazione dell'impianto fotovoltaico. La ricorrente lamenta poi la violazione dell'art. 9 d.l. 17/2022, convertito in legge 34/2022, in forza del quale il fotovoltaico non necessiterebbe più di autorizzazioni (rientrando nella manutenzione ordinaria), salvo per gli edifici di centri storici oggetto di vincoli ministeriali. 2.2.- Quanto al cappotto esterno, invece, la ricorrente sostiene che il disallineamento che esso creerebbe con l'edificio in aderenza potrebbe essere facilmente mascherato sotto il profilo tecnico, ad esempio con una canaletta di separazione, o con una progressiva riduzione dello spessore del cappotto verso la parte finale. Invece la collocazione del cappotto all'interno dell'edificio, che le è stata imposta dalla Soprintendenza e dal provvedimento finale, sarebbe impossibile perché si tratta di un edificio di antica costruzione (risalente ai primi del'900) e per realizzarlo si dovrebbero coprire in modo frazionato le stanze, sminuendo l'utilità del cappotto ai fini della protezione dell'edificio e della limitazione dei consumi energetici, creando ponti termici e sostenendo costi significativi; inoltre i lavori interni sono stati già eseguiti e il cappotto non è inseribile. 2.3.- Infine la ricorrente lamenta un vizio di eccesso di potere per mancata valutazione dello stato dei luoghi, perché sia per il fotovoltaico sia per il cappotto il provvedimento richiamerebbe genericamente il contesto in cui si inserisce l'edificio, senza considerare le sue caratteristiche e la circostanza che risale a inizio '900. Sostiene che l'impianto fotovoltaico non sarebbe visibile dall'esterno della proprietà perché a confine vi sono alberi ultraventennali molto alti, e che l'allineamento del cappotto con l'edificio adiacente sarebbe facilmente ottenibile. 3.- Per quanto concerne il divieto assoluto di installare l'impianto fotovoltaico, le censure della ricorrente sono fondate, nei termini di seguito precisati. 3.1.- Va innanzi tutto evidenziato che l'art. 7 bis, comma 5, d.lgs. 28/2011 prevede che "l'installazione, con qualunque modalità, anche nelle zone A degli strumenti urbanistici comunali, come individuate ai sensi del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, di impianti solari fotovoltaici e termici sugli edifici, come definiti alla voce 32 dell'allegato A al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata 20 ottobre 2016, n. 125/CU, o su strutture e manufatti fuori terra diversi dagli edifici,... e la realizzazione delle opere funzionali alla connessione alla rete elettrica nei predetti edifici o strutture e manufatti, nonché nelle relative pertinenze, compresi gli eventuali potenziamenti o adeguamenti della rete esterni alle aree dei medesimi edifici, strutture e manufatti, sono considerate interventi di manutenzione ordinaria e non sono subordinate all'acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso comunque denominati, ivi compresi quelli previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a eccezione degli impianti installati in aree o immobili di cui all'articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del citato codice di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, individuati mediante apposito provvedimento amministrativo ai sensi degli articoli da 138 a 141 e fermo restando quanto previsto dagli articoli 21 e 157 del medesimo codice". La richiamata voce 32 dell'allegato A al regolamento edilizio-tipo, adottato con intesa sancita in sede di Conferenza unificata del 20.10.2016 (e pubblicata in G.U. serie generale n. 268 del 16.11.2016), definisce l'edificio come "Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo". La disposizione dell'art. 7 bis, comma 5, appena citato trova applicazione al caso di specie sia ratione materiae che ratione temporis. Sotto il profilo della materia, infatti, la disposizione riguarda tutti i beni soggetti a vincolo paesaggistico, con la sola eccezione dei vincoli di fonte provvedimentale fondati sull'art. 136, comma 1, lett. b) e c), d.lgs. 42/2004, concernenti rispettivamente "le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza", e "i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici". Per l'immobile della ricorrente viene in rilievo invece il vincolo ex lege di cui all'art. 142, comma 1, lett. f, d.lgs. 42/2004, concernente "i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi", che non rientra nella suddetta eccezione, e dunque è assoggettato alla regola di cui all'art. 7 bis, comma 5, d.lgs. 28/2011. Sotto il profilo temporale, l'art. 7 bis, comma 5, d.lgs. 28/2011 è stato introdotto, nella formulazione sopra riportata, dall'art. 9, comma 1, d.l. 1.3.2022 n. 17, entrato in vigore il giorno successivo (v. l'art. 43 del medesimo d.l.), e poi convertito in legge 34/2022. La ricorrente ha presentato l'istanza di autorizzazione paesaggistica il 4.2.2022, dunque poche settimane prima che sopravvenisse la nuova norma; tuttavia la Commissione per il paesaggio ha emesso il suo parere il 5.5.2022, la Soprintendenza il 10.6.2022, e l'autorizzazione paesaggistica è stata rilasciata il 13.6.2022: tutti questi atti dunque sono intervenuti mesi dopo l'entrata in vigore della nuova norma. Secondo giurisprudenza consolidata, "Nei procedimenti amministrativi la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l'assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell'atto che vi ha dato avvio; ne consegue che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato a istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato" (così, tra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 19.4.2024, n. 3552; Cons. Stato, sez. V, 4.12.2023, n. 10497; Cons. Stato, sez. IV, 24.10.2022, n. 9045). Ne consegue che, per la realizzazione dell'impianto fotovoltaico, non occorreva alcuna autorizzazione paesaggistica, e pertanto, in sede di rilascio di tale provvedimento per le altre opere che formavano oggetto dell'intervento edilizio progettato dalla ricorrente, non poteva essere adottata una prescrizione che vietasse l'installazione di quell'impianto. 3.2.- Peraltro, anche sulla base della disciplina vigente prima di quella sopravvenienza normativa, il divieto di realizzazione dell'impianto fotovoltaico, imposto alla ricorrente, sarebbe stato illegittimo. Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, inaugurato da Cons. Stato, sez. VI, 23.3.2016, n. 1201, poiché la produzione di energia con fonti rinnovabili costituisce un obiettivo di interesse nazionale conforme al diritto europeo (direttive 2001/77/CE, 2009/28/CE e, da ultimo, 2018/2001/UE), "le motivazioni dell'eventuale diniego (seppur parziale) di autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile devono essere particolarmente stringenti, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente che l'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilevi una generica minor fruibilità del paesaggio sotto il profilo del decremento della sua dimensione estetica. Ogni nuova opera d'altronde ha una qualche incidenza sul paesaggio (che è costituito, secondo una delle definizioni più appropriate, dalla interazione tra le opere dell'uomo e la natura), di tal che il giudizio di compatibilità paesaggistica non può limitarsi a rilevare l'oggettività del novum sul paesaggio preesistente, posto che in tal modo ogni nuova opera, in quanto corpo estraneo rispetto al preesistente quadro paesaggistico, sarebbe di per sé non autorizzabile. Tali considerazioni impongono una più severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi - ivi compreso quello paesaggistico - alla realizzazione... di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile (nella specie da fonte solare). Tale comparazione, infatti, nei casi in cui l'opera progettata dal privato ha una espressa qualificazione legale in termini di opera di pubblica utilità, non può ridursi all'esame della ordinaria contrapposizione interesse pubblico/interesse privato, che connota generalmente il tema della compatibilità paesaggistica negli ordinari interventi edilizi, ma impone una valutazione più analitica che si faccia carico di esaminare la complessità degli interessi coinvolti: la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici" (nello stesso senso si sono poi espressi Cons. Stato, sez. VI, 9.6.2020, n. 3696 e questa Sezione con le sentenze 15.4.2022 n. 358, 2.7.2021 n. 617, 29.3.2021 n. 296, 30.11.2018 n. 1148, 12.1.2016 n. 27 e 4.10.2010 n. 3726; la Sezione ha anche precisato che una valutazione più rigorosa, ma non necessariamente ostativa, è ammissibile in relazione ai beni immobili dichiarati o qualificati ex lege di interesse culturale ai sensi della parte seconda del d.lgs. 42/2004, e in relazione agli edifici, o insiemi di edifici, per i quali sia riconosciuto uno specifico valore paesistico ex art. 136, comma 1, lett. b-c, d.lgs. 42/2004, nonché a proposito degli edifici che negli strumenti urbanistici risultino espressamente sottoposti a particolari restrizioni conservative). A questi principi non si sono conformate nel caso di specie la Soprintendenza e il Parco del Mi.: la Commissione per il paesaggio del Parco, infatti, ha espresso parere negativo per il fotovoltaico con la seguente motivazione, stringata e generica: "Vista la tipologia del fabbricato ed il contesto in cui è inserito"; la Soprintendenza nel suo parere ha detto semplicemente "Si concorda con le prescrizioni contenute nel parere del Parco del Mi. in merito... all'esclusione del fotovoltaico"; il provvedimento di autorizzazione paesaggistica ha poi recepito, trascrivendolo al suo interno, il parere della Soprintendenza. Non è stata nemmeno indagata la possibilità di prescrivere l'adozione di misure di mitigazione, oggi comunemente in uso nel settore, per consentire un'adeguata integrazione dell'impianto fotovoltaico nella copertura dell'edificio senza rilevanti impatti sul contesto paesaggistico. Non basta a rendere idonea una motivazione siffatta il mero riferimento, contenuto nel parere del Parco del Mi., alle particolari prescrizioni di natura paesaggistica contenute nell'art. 33 del piano territoriale di coordinamento del Parco (sulle quali si tornerà infra a proposito del cappotto termico), perché queste prescrizioni tutt'al più consentivano (prima del 2.3.2022, quando è entrata in vigore la nuova formulazione dell'art. 7 bis, comma 5, d.lgs. 28/2011) una valutazione più rigorosa della compatibilità paesaggistica di un intervento di installazione di un impianto fotovoltaico (come detto sopra), ma non esimevano comunque dal motivare specificamente la valutazione compiuta. 3.3.- È pertanto evidente l'illegittimità della prescrizione che vietava l'installazione dell'impianto fotovoltaico. 4.- Per quanto concerne invece l'obbligo di realizzare il cappotto all'interno dell'edificio anziché all'esterno, le censure della ricorrente sono infondate. Il parere della Commissione per il paesaggio, richiamato e integrato nelle sue prescrizioni da quello della Soprintendenza, fa espresso riferimento all'art. 33 del piano territoriale di coordinamento ("PTC") del Parco del Mi.. Tale piano ha valore di piano paesistico, per espresso disposto sia dell'art. 25 della legge statale 394/1991 ("Legge quadro sulle aree protette"), sia dell'art. 17 della legge regionale 86/1983 ("Piano regionale delle aree regionali protette. Norme per l'istituzione e la gestione delle riserve, dei parchi e dei monumenti naturali nonché delle aree di particolare rilevanza naturale e ambientale"). Ai sensi dell'art. 143, comma 1, lett. c, d.lgs. 42/2004, per le aree sottoposte a vincolo paesaggistico ex lege ai sensi dell'art. 142 del medesimo d.lgs., tra cui appunto i parchi e le riserve nazionali e regionali, il piano paesaggistico ha un contenuto sia di ricognizione, delimitazione e rappresentazione delle aree sottoposte a vincolo in scala idonea alla loro identificazione, sia di "determinazione di prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione". L'art. 33 del PTC del Parco del Mi. contiene appunto siffatte prescrizioni d'uso (definite "Norme di tutela paesistica"), imponendo, al comma 20, che "Il rilascio di autorizzazione paesaggistica da parte delle autorità subdelegate previste dalla L.R. n. 18/97 deve avvenire nel rispetto delle norme di cui al presente articolo, nonché di quelle contemplate dal presente piano in relazione alla specifica zona interessata ed al particolare intervento da effettuare". Nello specifico, l'art. 33, al comma 6, individua all'interno del Parco, mediante rinvio all'allegato A, tavola 2, "i luoghi notevoli per interesse storico-paesistico", suddivisi in tre categorie, la terza delle quali concerne gli "edifici rurali di particolare pregio per architettura e valori paesistici". L'immobile della ricorrente, indicato come "Corte Cà Rossa" in località Soave, rientra proprio in questa categoria. Il comma 15 dell'art. 33 prescrive, per gli edifici appartenenti a questa categoria, che "conservano i valori originari sia nell'impianto urbanistico sia per i caratteri architettonici, che devono essere inderogabilmente conservati; a tal fine gli interventi di restauro e/o di ristrutturazione edilizia devono essere finalizzati alla tutela, al recupero e alla valorizzazione del patrimonio edilizio presente, sia per quanto riguarda i singoli elementi strutturali ed architettonici, insediativi e produttivi, sia per quanto attiene ai rapporti complessivi con l'ambiente". Ne discende, per quanto qui rileva, che l'intervento edilizio progettato dalla sig.ra Bo. deve conservare inderogabilmente "i valori originari... per i caratteri architettonici" e deve tutelare "i singoli elementi strutturali ed architettonici" preesistenti. Questi stringenti vincoli giustificano il rigore della prescrizione imposta dalla Soprintendenza, e doverosamente recepita nell'autorizzazione paesaggistica, di realizzare il cappotto termico all'interno dell'edificio anziché all'esterno, "in modo da non alterare la percezione della facciata e da non creare differenze con la parte di edificio sulla quale non si interviene". La suddetta prescrizione, dunque, che è frutto dell'esercizio di discrezionalità tecnica, non risulta connotata da profili di manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti, e pertanto è da ritenersi pienamente legittima. (B) Sul ricorso per motivi aggiunti. 5.- Venendo al ricorso per motivi aggiunti, con il quale la ricorrente ha impugnato l'ordinanza del Parco del Mi. del 15.6.2023 che le ha ordinato di rimuovere le opere abusivamente realizzate e di rimettere l'immobile nel pristino stato, va precisato innanzi tutto che, nonostante abbia presentato in corso di causa l'istanza di sanatoria paesaggistica, la ricorrente conserva interesse alla decisione di tale ricorso. 5.1.- Infatti, in materia edilizia, è stato chiarito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato che "l'intervenuta presentazione della domanda di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non determina alcuna inefficacia sopravvenuta o invalidità di sorta dell'ingiunzione di demolizione, comportando che l'esecuzione della sanzione è da considerarsi solo temporaneamente sospesa (sez. VI, 30 gennaio 2020, n. 775; sez. VI, 5 dicembre 2019, n. 8319; sez. II, 24 giugno 2019, n. 4304; sez. VI, 5 novembre 2018, n. 6233)" (Cons. Stato, sez. VII, 2.4.2024, n. 2990). Diversamente da quanto previsto dalla legge in materia di condono, ove vi è una specifica norma che prevede la cessazione dell'efficacia dell'ordine di demolizione in caso di presentazione dell'istanza di sanatoria, "Quando è proposta una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36 del testo unico n. 380 del 2001, si verifica... una sospensione dell'efficacia dell'ordine di demolizione (nel senso che questo non può essere portato ad esecuzione, finché non vi sia stata la definizione della domanda, con atto espresso o mediante il silenzio-rigetto), sicché nel caso di rigetto dell'istanza di accertamento di conformità l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 06/06/2018, n. 3417; Consiglio di Stato sez. VI, 05/06/2017, n. 2681)" (Cons. Stato, sez. VI, 22.11.2023, n. 10033; nello stesso senso, con motivazione più ampia, sez. VI, 17.11.2023, n. 9875). 5.2.- Trasferendo analogicamente quei principi dalla materia edilizia a quella paesaggistica, può sostenersi che la presentazione dell'istanza di sanatoria paesaggistica comporti una mera sospensione temporanea dell'efficacia dell'ordine di demolizione emesso ex art. 167 d.lgs. 42/2004 (in questo senso TAR Campania, Napoli, sez. VI, 4.9.2024 n. 4821, 3.12.2014, n. 6315 e 29.11.2012 n. 4870). 5.3.- Peraltro va considerato che, nel caso di specie, la ricorrente ha presentato l'istanza oltre i 90 giorni che le erano stati fissati nell'ordine di demolizione del Parco del Mi. per rimuovere le opere abusive: l'ordine infatti è del 15.6.2023 e l'istanza del 6.10.2023. Questa circostanza conferma, a fortiori, la sussistenza di un interesse attuale della sig.ra Bo. alla decisione della domanda di annullamento dell'ordine di demolizione. 6.- Col primo motivo aggiunto la ricorrente censura l'ordine di demolizione emesso dal Parco del Mi. per illegittimità derivata da quella degli atti impugnati con il ricorso principale, del quale richiama le censure. 6.1.- Per quanto concerne l'impianto fotovoltaico, il vizio di illegittimità derivata sussiste perché, ai sensi dell'art. 7 bis, comma 5, d.lgs. 28/2011, nel testo introdotto dall'art. 9, comma 1, d.l. 17/2022, non è più necessaria l'autorizzazione paesaggistica per l'installazione dell'impianto fotovoltaico su edifici situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico ex lege ai sensi dell'art. 142 d.lgs. 42/2004, e pertanto l'autorizzazione paesaggistica rilasciata alla ricorrente per la ristrutturazione edilizia da lei progettata non poteva vietarle di installare il suddetto impianto. 6.2.- Per quanto concerne il cappotto termico, invece, il vizio di illegittimità derivata non sussiste perché la prescrizione di realizzare il cappotto all'interno anziché all'esterno dell'edificio, contenuta nell'autorizzazione paesaggistica, è legittima, come si è detto sopra a proposito del ricorso principale. Peraltro, quand'anche quella prescrizione fosse stata illegittima, il fatto che la ricorrente abbia avviato l'esecuzione dell'opera in difformità da essa (installando n. 6 telai sporgenti dal filo principale dell'edificio, prodromici alla realizzazione del cappotto esterno) rende l'opera abusiva, con conseguente necessità di emanare l'ordine di demolizione: infatti, dall'ipotetica illegittimità della prescrizione sul cappotto non discenderebbe in modo automatico che la ricorrente possa realizzarlo come da sua richiesta, perché l'amministrazione avrebbe potuto, in sede di nuovo esercizio del potere, imporle diverse prescrizioni. 7.- L'accoglimento parziale del primo motivo aggiunto, per illegittimità derivata dell'ordine di demolizione nella parte relativa all'impianto fotovoltaico, comporta l'assorbimento del secondo e del terzo motivo aggiunto, con i quali la ricorrente lamenta l'illegittimità del suddetto ordine, nella parte relativa al fotovoltaico, per vizi propri. Col secondo motivo aggiunto, infatti, la ricorrente lamenta che le sia stato ingiunto di demolire l'impianto fotovoltaico, nonostante l'ordinanza cautelare di questo TAR avesse affermato che il diniego alla realizzazione dello stesso era illegittimo; inoltre sostiene che l'art. 22 del PTC del Parco del Mi., anch'esso invocato nel provvedimento impugnato, sarebbe una norma inapplicabile perché talmente generica da poter inibire qualsiasi attività costruttiva. Col terzo motivo aggiunto la ricorrente lamenta che il Parco le abbia ordinato la demolizione ignorando che la Soprintendenza si era espressa favorevolmente al fotovoltaico. 8.- Si può quindi passare all'esame dei restanti tre motivi aggiunti, con i quali la ricorrente lamenta vizi propri dell'ordine di demolizione sia per l'impianto fotovoltaico sia per i telai prodromici alla realizzazione del cappotto. 9.- Col quarto motivo aggiunto la ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione, perché il Parco non avrebbe risposto alle sue comunicazioni e al nuovo progetto che ha presentato il 17.2.2023, non avrebbe promosso incontri, non avrebbe fatto precedere il provvedimento da una comunicazione finalizzata a sanare la posizione della ricorrente e non avrebbe consentito la partecipazione delle altre amministrazioni interessate. 10.- Col quinto motivo aggiunto la ricorrente sostiene che il Parco non abbia tenuto conto dell'interesse al risparmio energetico, ignorando la giurisprudenza in materia. 11.- Col sesto motivo aggiunto la ricorrente sostiene che il Parco abbia compiuto una valutazione errata e manifestatamente irragionevole degli interventi posti in essere, che sarebbero assolutamente minimali, trattandosi di pochi pannelli, non visibili dall'esterno o da vicini percorsi viari (peraltro non di grande frequentazione), e di un cappotto che ancora non c'è . L'ordine di demolizione sarebbe anche manifestamente ingiusto e sproporzionato perché l'intervento non comporta la creazione di alcun volume. 12.- Questi tre motivi sono assorbiti nella parte relativa all'impianto fotovoltaico, poiché in tale parte l'ordine di demolizione è già illegittimo per la più radicale ragione che l'impianto poteva essere realizzato in assenza di autorizzazione paesaggistica, e che pertanto è illegittimo il divieto di realizzazione imposto a monte nell'autorizzazione paesaggistica. 13.- Gli stessi motivi sono invece infondati nella parte relativa al cappotto perché, a fronte della realizzazione di opere in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, l'emanazione dell'ordine di demolizione è un atto dovuto, ai sensi dell'art. 167, 1° comma, d.lgs. 42/2004, il quale prevede che "il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese", salva la possibilità di chiedere un accertamento di compatibilità paesaggistica che sani ex post l'illegittimità delle opere, qualora ne sussistano i presupposti, fissati dal 4° comma del medesimo articolo. Siccome i sei telai finalizzati alla posa del cappotto sono stati installati dalla sig.ra Bo. senza la necessaria autorizzazione paesaggistica, non sussisteva alcuno spazio di discrezionalità che consentisse al Parco del Mi., nel procedimento che ha portato all'ordine di demolizione, di valutare eventuali apporti dell'interessata o di altre amministrazioni (quarto motivo), di considerare l'interesse pubblico al risparmio energetico (quinto motivo) e di soppesare la portata dell'opera realizzata dalla ricorrente e la proporzionalità del rimedio demolitorio (sesto motivo). (C) Conclusioni. 14.- Riepilogando, il ricorso principale è fondato nella sola parte in cui la ricorrente lamenta l'illegittimità del divieto di realizzare l'impianto fotovoltaico, mentre le restanti censure sono tutte infondate; corrispondentemente, il ricorso per motivi aggiunti è fondato nella sola parte in cui la ricorrente lamenta l'illegittimità derivata dell'ordine di demolizione dell'impianto fotovoltaico, mentre le restanti censure relative al medesimo ordine sono assorbite, e le censure relative all'ordine di demolizione dei 6 telai prodromici alla realizzazione del cappotto esterno sono infondate. Ne discende che gli atti impugnati vanno annullati nella sola parte in cui si riferiscono all'impianto fotovoltaico, senza che dall'annullamento derivi una riedizione del potere in capo alle amministrazioni costituite, poiché l'impianto poteva essere realizzato senza alcuna autorizzazione. 15.- Stante la soccombenza reciproca, le spese di lite vanno compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, accoglie parzialmente il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti, e per l'effetto annulla gli atti impugnati, limitatamente alla parte in cui si riferiscono all'impianto fotovoltaico, mentre rigetta i due ricorsi nella parte in cui si riferiscono al cappotto termico, il tutto come meglio precisato in motivazione. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario, Estensore Marilena Di Paolo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 120 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da SI. SRL, rappresentata e difesa dagli avv. An. Lo. e Fi. Ru., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; contro ASST DI MANTOVA, rappresentata e difesa dall'avv. An. Pu., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; nei confronti RV. IM. SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia, e domicilio fisico presso il medesimo legale in Brescia, viale (...); per l'annullamento (a) nel ricorso introduttivo: - del decreto del direttore generale n. 27 di data 3 gennaio 2024, con il quale è stata disposta l'esclusione della ricorrente dalla procedura negoziata per l'affidamento dei lavori relativi all'adeguamento VCCC (ventilazione e condizionamento) e impianti gas medicinali della sala cardiochirurgica blocco B (piano secondo), ed è stata contestualmente disposta l'aggiudicazione a favore della controinteressata; - della comunicazione di esclusione e aggiudicazione trasmessa via PEC in data 4 gennaio 2024; - della nota del RUP prot. n. 63732 di data 22 dicembre 2023 (originariamente datata 4 dicembre 2023), con la quale è stato formulato parere negativo circa la congruità dell'offerta della ricorrente; - della nota prot. n. 60416 di data 5 dicembre 2023, con la quale è stato acquisito il parere reso dallo Studio Consulenze Lavoro di Ba. Cl. e Ba. Ca. con riguardo all'equivalenza del CCNL applicato dalla ricorrente rispetto ai CCNL indicati nel disciplinare di gara; - del paragrafo 9 del disciplinare di gara, nella parte in cui richiede l'applicazione del CCNL Edilizia Artigianato, del CCNL Settore Elettrico, e del CCNL Frigoristi, e nella parte in cui non indica specifici elementi ai fini della valutazione della congruità dell'offerta; - nonché per la condanna al risarcimento del danno in forma specifica, con aggiudicazione a favore della ricorrente, previa declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato, o per equivalente economico, anche con riguardo alla perdita di opportunità e alle spese di partecipazione alla gara; (b) nei motivi aggiunti: - del decreto del direttore generale n. 431 di data 30 aprile 2024, con il quale sono state confermate l'esclusione dell'offerta della ricorrente e l'aggiudicazione dei lavori alla controinteressata; - della nota del RUP di data 23 aprile 2024, citata nel decreto n. 431/2024, con la quale è stato confermato il parere negativo circa la congruità dell'offerta della ricorrente; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della ASST di Mantova e di RV. IM. srl; Visti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2024 il dott. Mauro Pedron; Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La ASST di Mantova, con decreto del direttore generale n. 1092 di data 10 ottobre 2023, ha indetto una procedura negoziata ai sensi dell'art. 50 comma 1-c del Dlgs. 31 marzo 2023 n. 36 (CIG A01CED3017) per l'affidamento dei lavori relativi all'adeguamento VCCC (ventilazione e condizionamento) e impianti gas medicinali della sala cardiochirurgica blocco B (piano secondo). Per l'aggiudicazione è stato scelto il criterio del minor prezzo rispetto a una base d'asta di Euro 988.347,39, di cui Euro 27.320,88 per oneri per la sicurezza non soggetti a ribasso. 2. Per quanto interessa nel presente giudizio, il paragrafo 9 del disciplinare di gara stabilisce che l'aggiudicatario è tenuto ad applicare ai propri lavoratori e a quelli in subappalto il CCNL Edilizia Artigianato, il CCNL Metalmeccanici, il CCNL Settore Elettrico, il CCNL Frigoristi, oppure un altro contratto "che garantisca le stesse tutele economiche e normative". 3. Alla gara hanno partecipato tre imprese, tra cui la ricorrente, che si è collocata al primo posto con un ribasso del 15,96%, contro un ribasso del 3,16% offerto dalla controinteressata seconda classificata. 4. L'offerta della ricorrente è risultata anomala rispetto allo sconto di riferimento del 15%, fissato nel paragrafo 17 del disciplinare di gara. Nello specifico, peraltro, l'anomalia non implicava esclusione automatica ma la verifica di congruità . 5. L'offerta della ricorrente prevedeva l'impiego delle seguenti figure professionali: 2 operai specializzati del III livello del CCNL Edilizia Industria; 2 operai qualificati del II livello del CCNL Edilizia Industria; 3 impiantisti del III livello del CCNL Terziario Confcommercio; 2 impiantisti del IV livello del CCNL Terziario Confcommercio. 6. Nel corso della verifica di congruità la ricorrente ha reso la dichiarazione di equivalenza ai sensi dell'art. 11 comma 4 del Dlgs. n. 36/2023 tra le tutele del CCNL Terziario Confcommercio e quelle dei CCNL indicati nel disciplinare di gara. 7. Su questo aspetto il RUP ha chiesto il parere del consulente del lavoro rag. Ba. Ca., che in una relazione datata 4 dicembre 2023 ha respinto la tesi dell'equivalenza. Secondo il consulente del lavoro, vi sarebbe sproporzione, in base ai dati raccolti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tra il costo orario medio dei profili professionali del CCNL Terziario Confcommercio e il costo orario medio dei corrispondenti profili degli altri CCNL. 8. Recependo le conclusioni del RUP formulate in una nota datata 4 dicembre 2023 e protocollata il 22 dicembre 2023, il direttore generale, con decreto n. 27 di data 3 gennaio 2024, ha escluso l'offerta della ricorrente, e ha disposto l'aggiudicazione a favore della controinteressata. Il motivo è duplice, e consiste nella mancata equivalenza del CCNL dichiarato dalla ricorrente, come evidenziato dal consulente del lavoro, e nella mancata dimostrazione della sostenibilità dell'offerta, in particolare nel confronto con i ribassi medi di mercato accordati negli ultimi anni per lavori analoghi. 9. Contro il suddetto decreto, e contro gli atti istruttori e connessi, la ricorrente ha presentato impugnazione, formulando censure che possono essere sintetizzate come segue: (i) vi sarebbe difetto di motivazione, sia perché non sono stati fissati anticipatamente i criteri per la verifica dell'anomalia (sotto questo profilo è stato impugnato anche il paragrafo 9 del disciplinare di gara), sia soprattutto perché un ribasso del 15,96% non sarebbe affatto irragionevole, essendo anzi in linea con i ribassi desumibili dal sito Banchedati.biz con riguardo all'affidamento di lavori edili o di miglioramento sismico in Provincia di Mantova nel 2023; (ii) vi sarebbe poi violazione della libertà di sindacato, indirettamente garantita dall'art. 11 comma 3 del Dlgs. n. 36/2023, in quanto nell'interpretazione della stazione appaltante l'indicazione dei CCNL contenuta nel disciplinare di gara sarebbe di fatto vincolante. Il fraintendimento partirebbe dallo stesso disciplinare di gara (paragrafo 9), che indicherebbe erroneamente dei CCNL di nicchia (Settore Elettrico, Frigoristi) o comunque meno rilevanti di altri nel medesimo settore (Edilizia Artigianato anziché Edilizia Industria). In ogni caso, il confronto tra i CCNL condotto dal consulente del lavoro e dal RUP non sarebbe corretto (v. controperizia del consulente del lavoro dott. Pi. Im.); (iii) infine, non sussisterebbero le condizioni di cui all'art. 17 comma 9 del Dlgs. n. 36/2023 per la consegna dei lavori in via d'urgenza. 10. La ASST di Mantova e la controinteressata si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso. 11. Questo TAR, con ordinanza n. 89 del 12 marzo 2024, ha concesso una misura cautelare propulsiva, invitando la ASST a esprimersi nuovamente sulla sostenibilità dell'offerta della ricorrente, in particolare con riferimento all'equivalenza dei CCNL. 12. In esecuzione dell'ordine del TAR, il RUP ha coinvolto ancora il consulente del lavoro rag. Ba. e ha effettuato una nuova valutazione dell'offerta della ricorrente, confermando, con una relazione di data 23 aprile 2024, il parere negativo circa la sostenibilità della stessa (gli argomenti sono i seguenti: la maggior parte dei preventivi proposti sono ormai scaduti; mancherebbe l'equivalenza del CCNL Terziario Confcommercio; non potrebbero esservi risparmi in house, considerato che l'80,5% dei lavori verrebbe affidato in subappalto). 13. Su questo presupposto, il direttore generale, con decreto n. 431 di data 30 aprile 2024 (prodotto in giudizio in data 8 maggio 2024), ha confermato l'esclusione dell'offerta della ricorrente e l'aggiudicazione dei lavori alla controinteressata. 14. Il decreto di conferma è stato impugnato con motivi aggiunti notificati in data 7 giugno 2024 (e dunque tempestivi rispetto alla piena conoscenza del provvedimento avvenuta in sede processuale). Nei motivi aggiunti la tesi della ricorrente è, in sintesi, che non sarebbe stato effettuato un vero riesame dell'anomalia, secondo quanto richiesto nell'ordinanza cautelare. Sono poi ribaditi o riformulati gli argomenti del ricorso introduttivo sull'equivalenza dei CCNL e sulle economie contenute nell'offerta. Per il caso di accoglimento della sola domanda di risarcimento per equivalente, il danno patito è stato quantificato in Euro 121.689,25, oltre a rivalutazione e interessi. 15. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni, in parte anticipate in sede cautelare. Sulla verifica di anomalia 16. In primo luogo, si osserva che quando l'anomalia dell'offerta non implichi l'esclusione automatica ai sensi dell'art. 54 comma 1 del Dlgs. 36/2023 (come nel caso in esame, essendo state presentate solo tre offerte) la stazione appaltante può e deve procedere all'esame in concreto, e all'eventuale esclusione, anche se non siano stati preventivamente fissati appositi criteri negli atti di gara. La valutazione di sostenibilità viene svolta caso per caso, in relazione a fattispecie che, in conseguenza del principio di libera formulazione delle offerte, non sono predeterminabili con esattezza. La libertà riconosciuta ai concorrenti favorisce la massima partecipazione e limita il rischio di procedure di gara ritagliate sulle caratteristiche di specifici operatori economici, ma ha quale necessario bilanciamento l'esonero della stazione appaltante dall'obbligo di impiegare le proprie risorse per definire criteri di anomalia meramente ipotetici. È dunque sufficiente che la verifica di anomalia venga condotta sulla base di elementi specifici, purché adeguati al caso concreto. Questa è anche l'unica indicazione desumibile dall'art. 54 comma 1 del Dlgs. 36/2023. 17. Un elemento specifico meritevole di attenzione è certamente costituito dalla percentuale di ribasso, che deve essere confrontata, da un lato, con la soglia di anomalia indicata negli atti di gara, e dall'altro con le caratteristiche del mercato in cui si colloca l'appalto, anche utilizzando le banche dati di settore. 18. Nel caso in esame, entrambi questi parametri sono favorevoli alla ricorrente, nonostante l'ampio divario tra il ribasso offerto (15,96%) e i ribassi delle concorrenti (3,16%; 1,21%). In particolare, la soglia di anomalia individuata nel disciplinare di gara (15%) dimostra che anche secondo la stazione appaltante è possibile reperire sul mercato sconti analoghi a quello proposto dalla ricorrente. Rispetto alla soglia di anomalia, lo scostamento dell'offerta della ricorrente è relativamente modesto, e dunque facilmente giustificabile, Parimenti, i dati del sito Banchedati.biz, riferiti al territorio di Mantova, evidenziano un livello di ribassi nell'intorno del 15% per lavori edili o di miglioramento sismico, confermando che l'offerta della ricorrente non si colloca fuori scala, e dunque non può essere ritenuta palesemente insostenibile. 19. Incombe naturalmente alle singole imprese l'onere di giustificare la capacità di raggiungere il livello di risparmio indicato, grazie all'organizzazione interna e ai rapporti con i fornitori. Al riguardo, fornisce utili indicazioni la storia professionale, che nel caso della ricorrente è stata illustrata nelle giustificazioni, e non è stata contestata dalla stazione appaltante ("oltre 20 anni di esperienza in ambito sanitario ed oltre 100 sale operatorie realizzate su tutto il territorio italiano"). La capacità di stare a lungo su un mercato competitivo è già una garanzia di efficienza della struttura aziendale. Vi sono poi le speciali condizioni contrattate con i fornitori, che costituiscono un corollario dei rapporti commerciali consolidatisi negli anni. 20. La scadenza dei preventivi dei fornitori, su cui la stazione appaltante si è fondata nella motivazione dell'esclusione, non ha valore sintomatico per sé, trattandosi di una circostanza che si verifica di frequente nelle procedure di gara. In effetti, i preventivi sono tutti rilasciati per un tempo limitato, e se scadono prima della sottoscrizione del contratto l'unica misura proporzionata per la stazione appaltante, qualora vi siano ragioni per dubitare dell'effettiva disponibilità di un trattamento di favore (ad esempio per notori fenomeni inflazionistici successivi alla data dei preventivi), è la richiesta di produrre degli aggiornamenti in sede di verifica di anomalia, in modo da stabilire se in concreto rimangano ancora dei margini di utile per le lavorazioni interessate. Sull'equivalenza dei CCNL 21. In base all'art. 11 commi 3 e 4 del Dlgs. 36/2023, il ribasso inserito nell'offerta non può essere ottenuto in danno dei lavoratori mediante l'applicazione di un CCNL che, essendo incoerente rispetto alle lavorazioni, comporti minori tutele economiche e normative. 22. La suddetta norma provoca una limitazione della libertà di organizzazione aziendale, e dunque non può essere interpretata in senso eccessivamente restrittivo. Occorre infatti evitare di introdurre freni non necessari alla concorrenza, che potrebbero ostacolare il raggiungimento della massima partecipazione. Si ritiene pertanto che un'impresa possa mantenere il proprio CCNL anche in una gara che in base alle ripartizioni della contrattazione collettiva si collocherebbe in un altro settore economico, purché, secondo una valutazione complessiva, giuridica ed economica, sussistano i seguenti requisiti: (i) il trattamento dei lavoratori impiegati in tale gara non sia eccessivamente inferiore a quello dei CCNL individuati dalla stazione appaltante; (ii) vi sia corrispondenza, o almeno confrontabilità, tra le mansioni del CCNL applicato e le lavorazioni oggetto dell'appalto. 23. L'equivalenza dei CCNL non richiede la parità di retribuzione. Una simile condizione sarebbe impossibile, data la varietà di contenuti normalmente osservabile nei diversi settori della contrattazione collettiva, e anche discriminatoria, avendo quale risultato l'imposizione dei soli CCNL presi come riferimento negli atti di gara. A sua volta, il numero chiuso dei CCNL determinerebbe effetti anticoncorrenziali, deprimendo la partecipazione. D'altra parte, questa non sembra essere l'impostazione seguita dalla stazione appaltante. Gli stessi CCNL indicati nel disciplinare di gara contengono infatti significative differenze di retribuzione, una volta raffrontati i livelli di inquadramento. Occorre quindi ammettere una fascia di oscillazione, nella quale, o attorno alla quale, possano inserirsi anche i CCNL non nominati. 24. Nello specifico, a una parte dei lavoratori impiegati dalla ricorrente si applica il CCNL Edilizia Industria e ai restanti il CCNL Terziario Confcommercio. La stazione appaltante avrebbe quindi dovuto svolgere delle valutazioni separate per ciascuno di questi contratti, e formare successivamente un giudizio di sintesi, tenendo conto sia del trattamento giuridico sia del trattamento economico. Questo però non è stato fatto né inizialmente né in seguito all'ordinanza propulsiva del TAR. Il difetto di istruttoria in relazione a questi profili della vicenda non è quindi rimediabile tramite un ulteriore rinvio in sede amministrativa. 25. Entrando più nel dettaglio, dallo schema comparativo predisposto dal consulente del lavoro dott. Im. per conto della ricorrente emerge che il CCNL Edilizia Industria e il CCNL Terziario Confcommercio riconoscono tutele normative confrontabili con quelle dei CCNL indicati nel disciplinare di gara. In particolare: è garantito il pagamento del lavoro supplementare e del lavoro straordinario; è previsto il recupero delle festività soppresse; il periodo di prova è articolato in modo simile in relazione alle categorie e ai livelli di inquadramento; la disciplina del preavviso per il caso di licenziamento è similmente articolata in relazione alla durata del rapporto; nel CCNL Terziario Confcommercio il periodo di comporto è inferiore alla media, essendo pari a soli 180 giorni per anno, ma è ana al comporto breve per i lavoratori fino a tre anni di anzianità del CCNL Metalmeccanici; la retribuzione nel periodo di malattia è disciplinata in modo diverso nei vari CCNL, ma vi è omogeneità di impostazioni tra il CCNL Edilizia Industria e il CCNL Edilizia Artigianato; è previsto un monte ore di permessi retribuiti, anche se inferiore alla media per il CCNL Terziario Confcommercio; sono previsti strumenti di previdenza integrativa e di sanità integrativa. 26. Sotto il profilo economico, sia dalla relazione del consulente del lavoro rag. Ba. (impostata sul costo orario medio) sia dalla relazione del consulente del lavoro dott. Im. (impostata sulla retribuzione mensile), e anche dall'ulteriore relazione del consulente del lavoro rag. Ba. elaborata in corso di causa, risulta che il costo per il III e IV livello del CCNL Terziario Confcommercio è inferiore al costo dei corrispondenti livelli del CCNL Edilizia Artigianato e del CCNL Metalmeccanici. Dalla relazione del consulente del lavoro dott. Im. risulta inoltre che il suddetto costo è notevolmente inferiore al CCNL Settore Elettrico, ma superiore al CCNL Frigoristi (questi ultimi due contratti hanno rispettivamente i trattamenti economici migliori e peggiori tra i CCNL nominati nel disciplinare di gara). Non vi sono invece sostanziali differenze tra le retribuzioni e i costi orari del II e III livello del CCNL Edilizia Industria e del CCNL Edilizia Artigianato. Entrambi questi contratti sono economicamente di poco inferiori al CCNL Metalmeccanici, di molto inferiori al CCNL Settore Elettrico, ma ampiamente superiori al CCNL Frigoristi. 27. Dai predetti confronti non sembrano derivare elementi che facciano presumere un uso strumentale della contrattazione collettiva. In realtà, con riguardo agli operai edili, l'offerta della ricorrente appare di fatto la stessa del CCNL Edilizia Artigianato, nominato nel disciplinare di gara, mentre con riguardo agli impiantisti il CCNL Terziario Confcommercio, pur non essendo nominato nel disciplinare di gara, si colloca all'interno degli estremi rappresentati, al limite superiore, dal CCNL Settore Elettrico, e al limite inferiore dal CCNL Frigoristi. 28. In questo quadro, le differenze di costo tra il CCNL Terziario Confcommercio e il CCNL Metalmeccanici, stimate nell'ultima relazione del consulente del lavoro rag. Ba. in un intervallo variabile dal 26% al 52%, a seconda delle tabelle di costo prese come riferimento e delle varie ipotesi di comparazione dei livelli di inquadramento (dati che ovviamente sono inferiori nella stima del consulente del lavoro dott. Im.), non assumono rilievo decisivo, e si possono considerare normali oscillazioni retributive tra differenti CCNL, tutti ugualmente ammissibili ai fini della partecipazione alla gara. In proposito, occorre anche tenere presente la complessità del confronto tra i diversi metodi di inquadramento del personale, che induce ad attestare prudenzialmente le stime sulle percentuali di scostamento più basse, per non dilatare artificialmente le differenze retributive in danno dei concorrenti. Vi è poi nel caso in esame, come si è visto sopra, la garanzia esterna costituita, ai due estremi, dal CCNL Settore Elettrico e dal CCNL Frigoristi, che implica la tollerabilità, nella stessa impostazione seguita dalla stazione appaltante, di trattamenti economici significativamente differenziati. 29. Ricapitolando, nell'offerta della ricorrente risulta applicata, per le lavorazioni edili, una delle contrattazioni specifiche del settore (CCNL Edilizia Industria), e per le lavorazioni relative agli impianti elettrici e agli impianti termici una contrattazione più generica, ma ammissibile in quanto adattabile a una pluralità di situazioni con prestazioni miste (CCNL Terziario Confcommercio). Relativamente a quest'ultima contrattazione, ipotizzando (in mancanza di una dimostrazione in senso contrario) che i medesimi dipendenti installino nella stessa misura impianti elettrici e impianti termici, è assicurata, nei termini sopra precisati, l'equivalenza con i CCNL nominati nel disciplinare di gara. L'esclusione dell'offerta della ricorrente appare quindi ingiustificata. Sulla consegna anticipata dei lavori 30. Esaminando infine il problema della consegna dei lavori in via d'urgenza, si osserva che tale scelta era già prevista dal paragrafo 4.3 del disciplinare di gara ("il mancato avvio dei lavori in urgenza potrebbe determinare disservizi all'attività sanitaria, in particolare attività cardiochirurgica, [...] oltre che la possibilità di perdita di un finanziamento regionale"). Venendo in rilievo pertinenti obiettivi di interesse pubblico (prestazioni sanitarie, finanziamento), la motivazione appare idonea allo scopo. 31. I lavori sono poi effettivamente iniziati il 31 gennaio 2024, come risulta dal giornale dei lavori. Il cronoprogramma prevede il completamento dell'opera entro il 31 ottobre 2024. Sul risarcimento del danno 32. Già in sede cautelare era stato evidenziato che, essendo legittimo l'affidamento dei lavori in via d'urgenza, le aspettative della ricorrente si spostavano inevitabilmente verso la tutela risarcitoria generica. 33. In effetti, in un appalto di lavori riguardante un'opera singola, quando il cantiere sia ormai stato impostato secondo le caratteristiche proprie dell'impresa aggiudicataria, non vi sono le condizioni materiali per consentire un utile subentro da parte di un diverso operatore. In questa valutazione rileva anche il fatto che al danno patito dal concorrente illegittimamente escluso si contrappone il danno a cui è esposta la stazione appaltante per i disservizi provocati dal rinvio dell'ultimazione dei lavori e per gli oneri di coordinamento tra quanto realizzato e il resto dell'opera. L'interesse pubblico è quindi meglio tutelato ex art. 122 cpa mediante il risarcimento per equivalente. 34. Nella liquidazione dell'importo può essere utilizzata la normale tripartizione, ossia danno emergente (spese di partecipazione alla procedura di gara), lucro cessante (mancato utile dell'appalto), e danno curricolare. 35. Il danno emergente può essere quantificato in Euro 618 (costo di redazione del progetto e delle giustificazioni, e contributo ANAC), sulla base dei dati forniti dalla ricorrente. 36. Il lucro cessante può essere individuato in una percentuale dell'importo a base d'asta al netto del ribasso offerto, sul presupposto che la remunerazione dell'impresa deriva dalla capacità di ottimizzare le spese a fronte dell'impegno assunto. La ricorrente, attraverso la relazione dell'ing. Giuseppe Squillaci, scompone e analizza le diverse voci dell'offerta, stimando l'utile potenziale in Euro 115.305,96. Questo risultato corrisponde al 13,88% dell'importo a base d'asta al netto del ribasso offerto. Si ritiene, tuttavia, che tale misura di ristoro sia eccessiva, in quanto non considera l'erosione dell'utile causata dall'inflazione. Sul punto, va ripresa l'osservazione formulata dalla stazione appaltante a proposito della scadenza dei preventivi. Se tale circostanza non impedisce, come si è visto, di considerare sostenibile l'offerta, dal momento che verosimilmente un operatore economico solido e dotato di esperienza è in grado di portare a termine il lavoro anche in un contesto di rialzo dei prezzi, è però evidente che la necessità di rinegoziare i preventivi ha come conseguenza l'aumento dei costi, con la correlativa compressione dell'utile sperato. In via equitativa, è quindi possibile sollevare la stazione appaltante da una parte dell'onere risarcitorio, per non accollare alla stessa il rischio dell'aumento dei prezzi delle lavorazioni e dei subappalti, che è proprio dell'operatore economico. Analogamente, non può gravare sulla stazione appaltante quello che dal lato dell'impresa è il rischio dell'aumento del costo del personale, inteso quale risposta della contrattazione collettiva a un contesto di inflazione prolungata. Per queste ragioni, appare adeguata una percentuale di ristoro pari al 7%, il che determina la quantificazione del lucro cessante in Euro 58.142,50. 37. Spetta infine il danno curricolare, inteso come impoverimento dei requisiti professionali suscettibili di incidere positivamente sulla partecipazione a future procedure di gara. Anche in questo caso, in mancanza di parametri specifici forniti dall'operatore economico, occorre procedere in via equitativa. Poiché l'unica base di calcolo sicura è il lucro cessante appena liquidato, appare ragionevole quantificare il danno curricolare in una frazione di tale danno, e più precisamente nel 5% dello stesso, ossia in Euro 2.907,13. Conclusioni 38. Per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere accolto limitatamente all'accertamento dell'illegittimità dell'esclusione della ricorrente e all'accoglimento della domanda di risarcimento per equivalente. 39. Complessivamente, la ASST dovrà corrispondere alla ricorrente, a titolo di risarcimento, l'importo di Euro 61.667,63. Il pagamento dovrà avvenire entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente sentenza. In caso di superamento del predetto termine saranno dovuti gli interessi legali per il periodo successivo, fino al saldo. 40. Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ASST, e sono liquidate come da dispositivo. 41. Il contributo unificato è a carico dell'amministrazione ai sensi dell'art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda definitivamente pronunciando (a) accoglie il ricorso ai soli fini del risarcimento per equivalente monetario, secondo quanto esposto in motivazione; (b) condanna la ASST a corrispondere alla ricorrente la somma dovuta nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza; (c) condanna la ASST a versare alla ricorrente, a titolo di spese di giudizio, l'importo di Euro 3.000, oltre agli oneri di legge, e compensa le spese nei confronti della controinteressata; (d) pone il contributo unificato a carico della ASST. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia, nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2024, con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron - Presidente, Estensore Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere Luigi Rossetti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 885 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da Al. No., ed altri, rappresentati e difesi dall'avvocato Ge. Si., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ge. Tu., Er. Ni. Tu. e Da. Zu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; e con l'intervento di ad opponendum: Consorzio di Bonifica della Me. Pi. Be., rappresentato e difeso dall'avvocato An. Di Vi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Im. Eg. No. & Fi. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Ne. ed Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del nuovo Piano di zonizzazione acustica del Comune di (omissis) relativamente alla classificazione impressa alle proprietà dei ricorrenti e all'area comune; - della deliberazione di Consiglio comunale n. 13 in data 26 maggio 2022, avente per oggetto "Approvazione definitiva piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - esame osservazioni e controdeduzioni"; - di ogni altro atto presupposto, endoprocedimentale, consequenziale o comunque connesso, ivi comprese: - la deliberazione di Consiglio comunale n. 29 in data 29 novembre 2021, avente per oggetto l'adozione del Piano di zonizzazione acustica; - le controdeduzioni tecniche alle osservazioni, non note ai ricorrenti ed oggetto di diniego di accesso da parte del Comune di (omissis), con riserva di eventuali motivi aggiunti all'esito dell'ostensione del documento; quanto all'istanza ex art. 116 c. 2 c.p.a., proposta dal ricorrente No. Al., per l'esibizione delle controdeduzioni alle osservazioni formulate al Piano adottato, previo annullamento del diniego di accesso opposto dal Comune con comunicazione a firma del Responsabile del Settore Tecnico, arch. Ma. Ca., in data 21 settembre 2022; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da No. Al. il 6/4/2023: per l'annullamento - in parte qua del Piano di zonizzazione acustica e atti presupposti, tra cui le controdeduzioni tecniche alle osservazioni; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da No. Al. il 24/10/2023: per l'annullamento per illegittimità derivata, - della deliberazione n. 18 del Consiglio Comunale di (omissis) adottata in data 29 giugno 2023, pubblicata all'Albo pretorio comunale per 15 giorni dal 17 luglio 2023 al 1° agosto 2023, avente ad oggetto: "Convalida deliberazione consiliare n. 13 del 26/05/2022 avente oggetto "Approvazione definitiva piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - Esame osservazioni e controdeduzioni"" Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. I ricorrenti sono proprietari di alcune unità abitative facenti parte del super condominio "Re. Pa. Re.", sito in (omissis), Via (omissis), classificato nel PGT, risalente al 2013, come "Ambito residenziale consolidato". Il complesso, formato da tre condomì ni disposti su file parallele (Lotti 1, 2 e 3), è stato costruito in forza di un Programma Integrato di Recupero in variante al PRG approvato nel 1995. 2. Quanto alla classificazione acustica, il previgente Piano di zonizzazione acustica risalente al 2009 qualificava il Lotto 2 ed il Lotto 3 in classe II (aree destinate ad uso prevalentemente residenziale) della Tabella A del D.P.C.M. attuativo 14 novembre 1997, e in classe III (aree di tipo misto) gli edifici di proprietà dei ricorrenti, di cui ai civici 68/C, 68/D e una porzione del civico 68/E del Lotto 1. 3. Con delibera n. 29 del 29 novembre 2021, il Consiglio comunale di (omissis) adottava l'aggiornamento del Piano di zonizzazione acustica, il quale oltre a reiterare la classe III per i civici 68/C e 68/D, estende tale classificazione all'intero edificio 68/E ed ai giardini di pertinenza dei fabbricati 68 C, D ed E. 4. Fra l'adozione e l'approvazione del PZA, i ricorrenti presentavano sette osservazioni scritte finalizzate ad ottenere la qualificazione in classe II per le loro proprietà . 5. Con delibera n. 13 del 26 maggio 2022 il Comune di (omissis) deliberava di non accogliere le osservazioni presentate dagli odierni ricorrenti, procedendo dunque alla definitiva approvazione dell'aggiornamento del Piano di Zonizzazione Acustica attribuendo alle citate aree la classe III. 6. In data 12 settembre 2022 il sig. No. Al. presentava presso il Comune di (omissis) un'istanza di accesso agli atti per ottenere copia delle "controdeduzioni" pervenute dalla società Co. Am. s.p.a. incaricata dallo stesso Comune, come da determina n. 61 del 12 aprile 2022. 7. Con nota del 21 settembre 2022, il tecnico comunale negava l'accesso agli atti in ragione dell'asserita natura endoprocedimentale della nota della citata società di consulenza. 8. Con l'odierno ricorso collettivo, R.G. n. 885/2022, notificato in data 18 ottobre 2022, i ricorrenti hanno impugnato il nuovo Piano di zonizzazione acustica del Comune di (omissis) relativamente alla classificazione impressa alle loro proprietà, unitamente alla delibera del Consiglio comunale n. 13 del 26 maggio 2022, avente per oggetto "Approvazione definitiva piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - esame osservazioni e controdeduzioni"; alla delibera n. 29 del 29 novembre 2021 avente per oggetto l'adozione del Piano di zonizzazione acustica; alle controdeduzioni tecniche oggetto del diniego di accesso agli atti amministrativi formalizzato dal tecnico comunale, nonché ogni altro atto presupposto, endoprocedimentale, consequenziale o connesso. 9. Con lo stesso ricorso il sig. No. ha formulato istanza incidentale di accesso, ex art. 116 comma 2 c.p.a., con specifico riferimento al documento redatto dalla società Co. Am.. 10. Il 18 ottobre 2022 il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio e il 5 dicembre 2022 ha depositato memoria e documentazione, formulando eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai controinteressati e domandando il rigetto del ricorso e dell'istanza incidentale di accesso. 11. In giudizio sono intervenuti ad opponendum, rispettivamente il 5 e 8 dicembre 2022, il Consorzio di Bonifica della Me. Pi. Be. e l'Im. Eg. No. & Fi. s.r.l., precisando i presupposti della propria legittimazione, eccependo l'inammissibilità e chiedendo il rigetto del ricorso e dell'istanza di accesso. 12. All'udienza camerale dell'11 gennaio 2023 questo T.A.R. ha accolto l'istanza incidentale di accesso ordinando all'Amministrazione la trasmissione di copia integrale del documento richiesto. 13. Il 6 aprile 2023 i ricorrenti hanno impugnato con ricorso per motivi aggiunti le controdeduzioni tecniche alle osservazioni, oggetto di diniego di accesso da parte del Comune di (omissis) e il presupposto parere tecnico espresso dalla società Co. Am. trasmesso dal Comune a mezzo PEC in data 9 febbraio 2023. 14. Successivamente, il 24 ottobre 2023, con altro ricorso per motivi aggiunti, hanno impugnato per asserita illegittimità derivata la deliberazione del Consiglio comunale di (omissis) n. 18 datata 29 giugno 2023, pubblicata all'Albo pretorio comunale per 15 giorni dal 17 luglio 2023 al 1° agosto 2023, avente ad oggetto "Approvazione definitiva piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - Esame osservazioni e controdeduzioni". 15. Con memoria di costituzione del 24 ottobre 2023, si è costituito il Comune di (omissis) per resistere al ricorso per motivi aggiunti. 16. Con successivi atti di intervento ad opponendum, notificati il 7 dicembre 2023 e il 6 giugno 2024, il Consorzio di Bonifica della Me. Pi. Be. e l'Impresa Eg. hanno ribadito quanto affermato nei propri scritti difensivi depositati in atti, in particolare l'inammissibilità per mancata notifica del ricorso introduttivo ai controinteressati e comunque l'infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti. 17. In prossimità dell'udienza pubblica del 17 luglio 2024, le parti hanno depositato memorie e memorie di replica. 18. All'udienza pubblica del 17 luglio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Con il ricorso indicato in epigrafe i ricorrenti hanno censurato i provvedimenti impugnati formulando quattro motivi di illegittimità . 2. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni preliminari sollevate dalla parte resistente e dagli interventori ad opponendum perché il ricorso è infondato nel merito. 2.1.1. Passando all'esame delle censure, possono essere esaminati congiuntamente i primi due motivi di ricorso, con i quali i ricorrenti lamentano il vizio di eccesso di potere per manifeste illogicità ed irragionevolezza, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, macroscopico errore di fatto, sviamento e contraddittorietà intrinseca al piano - violazione per falsa ed errata applicazione ed interpretazione delle norme definitorie del D.P.C.M. 14 novembre 1997 e degli artt. 3 L. n. 447/1995 e 2 L. R. Lombardia n. 13/2001, difetto assoluto di attività istruttoria: i ricorrenti sostengono che il Comune di (omissis) avrebbe violato i criteri di pianificazione acustica sia statali che regionali, attribuendo una classificazione acustica agli edifici di loro proprietà in contrasto con la classe acustica in cui sarebbero da ricomprendere le aree ad uso prevalentemente residenziale; essi sostengono che il concreto assetto dell'area in oggetto - caratterizzata dalla assenza di "preusi" diversi dalla residenza e di attività commerciali - non sarebbe compatibile con la classe III; gli immobili di loro proprietà, nello specifico, a loro dire, non sarebbero in aree "prevalentemente" residenziali ma "esclusivamente" residenziali, appartenenti alla zona di "Ambito residenziale consolidato". Lamentano infine i ricorrenti che non sarebbe stata esplicitata la benché minima ragione che possa giustificare l'illegittima scelta del Comune di (omissis) di escludere gli edifici residenziali dalla classe II e di estendere la peggiorativa classe III. La stessa relazione tecnica del nuovo Piano di zonizzazione acustica - a loro dire - avrebbe precisato che "Le porzioni di territorio destinate a uso residenziale, ad esclusione delle residenze ubicate in prossimità di aree miste, artigianali o di assi viari rilevanti" ricadrebbero in classe II, e ad uso residenziale sarebbero gli edifici dei ricorrenti, dal momento che non sarebbero "ubicati in prossimità di aree artigianali, né di assi viari rilevanti, confinando.......a sud con un vialetto ad uso pubblico esclusivamente pedonale lambito dalla Ro. Se.". 3. I motivi sono infondati. 3.1. È necessario premettere che il c.d. piano di zonizzazione acustica, oggetto dell'odierno ricorso, è lo strumento con il quale il Comune, competente ai sensi dell'art. 6, comma 1, lettera a), della legge quadro n. 447 del 1995, classifica, ai sensi del precedente art. 4, il proprio territorio "nelle zone previste dalle vigenti disposizioni per l'applicazione dei valori di qualità ", definiti come "i valori di rumore da conseguire nel breve, nel medio e nel lungo periodo con le tecnologie e le metodiche di risanamento disponibili, per realizzare gli obiettivi di tutela previsti dalla presente legge" (art. 2, comma 1, lett. h). 3.2. La citata legge quadro, vertendosi in materia di legislazione concorrente tra Stato e Regioni, prevede altresì che le regioni stabiliscano con legge i criteri in base ai quali i comuni procedono a tale classificazione, "tenendo conto delle preesistenti destinazioni d'uso del territorio" (art. 4, comma 1, lett. a) e demanda alla competenza statale (art. 3) la determinazione dei valori limite di emissione "riferiti alle classi di destinazione d'uso del territorio", riportate nella Tabella A del D.P.C.M. attuativo 14 novembre 1997. La Tabella prevede la classificazione del territorio comunale in sei classi. Nel caso di specie rilevano le classi II e III. 3.3. Nella classe II sono ricomprese le "aree destinate ad uso prevalentemente residenziale", in cui rientrano "le aree urbane interessate prevalentemente da traffico veicolare locale, con bassa densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali ed assenza di attività industriali e artigianali"; in classe III sono ricomprese le "aree di tipo misto", in cui rientrano "le aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali, uffici, con limitata presenza di attività artigianali e con assenza di attività industriali; aree rurali interessate da attività che impiegano macchine operatrici". 3.4. In Lombardia, la L.R. 10 agosto 2001 n. 13, con l'art. 2, comma 3, ha determinato i criteri in base ai quali i Comuni devono procedere alla classificazione del loro territorio in zone, indicando in tale comma alcuni criteri di massima, e demandando a una delibera di Giunta Regionale l'individuazione di criteri di dettaglio. Tra i criteri di massima fissati dalla legge regionale, rileva nel caso di specie quello di cui alla lett. a: "la classificazione acustica deve essere predisposta sulla base delle destinazioni d'uso del territorio, sia quelle esistenti che quelle previste negli strumenti di pianificazione urbanistica". 3.5. I criteri di dettaglio sono stati fissati con D.G.R. n. VII/9776 del 12.7.2002 e prevedono, per quanto qui rileva specificamente, che "La zonizzazione acustica è un processo complesso che ha rilevanti implicazioni particolarmente sulle attività e le destinazioni d'uso esistenti; ne deriva che le modifiche alla classificazione non avvengono senza rilevanti motivi né devono avvenire frequentemente" (par. 1). 3.6. Inoltre, in linea con quanto stabilito dalla legge statale e regionale, si prevede che "Lo scopo fondamentale della classificazione deve essere quello di rendere coerenti la destinazione urbanistica e la qualità acustica dell'ambiente. Per definire la classe acustica di una determinata area e quindi i livelli del rumore presenti o previsti per quell'area ci si deve in primo luogo basare sulla destinazione urbanistica" (par. 4). 3.7. Nell'ambito del quadro normativo così tratteggiato, la giurisprudenza ha poi chiarito che la zonizzazione acustica in questione costituisce un vero e proprio esercizio di potere pianificatorio discrezionale, che ha lo scopo di migliorare, ove possibile, la situazione, e non deve quindi limitarsi a fotografare l'esistente (TAR Abruzzo, L'Aquila, sez. I, 10 luglio 2014 n. 597 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 9 novembre 2012 n. 2734). 3.8. Ebbene, innanzitutto occorre rilevare che nel caso di specie il Consiglio comunale di (omissis), con la delibera n. 13 del 26 maggio 2022, ha provveduto "all'aggiornamento del Piano di zonizzazione acustica in base all'intervenuta revisione del P.G.T. oltre che alla verifica di opere di mitigazione acustica sul territorio comunale", dando atto che il "Piano di classificazione acustica integra la documentazione tecnica del Piano di Governo del Territorio (P.G.T.)". In altre parole, il Piano di zonizzazione acustica qui impugnato non ha modificato in senso peggiorativo la classe acustica per i civici 68/C e 68/D, per i quali la situazione è rimasta quella del precedente Piano di zonizzazione del 2009 che già aveva attribuito la classe III ai civici 68/C - 68/D e ad una porzione del civico 68/E; l'adeguamento del Piano di zonizzazione acustica ha solo esteso tale classificazione all'intero edificio 68/E ed ai giardini di pertinenza dei fabbricati 68 C, D ed E. 3.9.Quanto alle ragioni del declassamento della porzione di fabbricato del civico 68/E e dei giardini pertinenziali dei civici 68 C, D ed E, si osserva che con riguardo al piano di zonizzazione acustica le scelte inerenti la classificazione sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all'accertamento di specifici presupposti di fatto, tra i quali l'omogeneità delle zone contigue e il preuso del territorio, il sindacato giurisdizionale è quindi ammesso nei casi di gravi illogicità, irrazionalità ovvero travisamenti sintomatici della sussistenza del vizio di eccesso di potere, che non ricorrono nel caso di specie dal momento che il provvedimento impugnato espone le ragioni per le quali è stata mantenuta la classe III ai fabbricati dei ricorrenti ed estesa alla porzione dell'immobile del civico 68/E. Esse sono costituite dalla presenza delle sorgenti sonore: a) il salto d'acqua della Ro. Se. Gr. che scorre presso l'immediato confine tra le abitazioni dei ricorrenti e l'immobile di proprietà dell'Im. Eg. No. & Fi. generando livelli di pressione sonora significativi (pag. 6 del provvedimento impugnato "La grande fonte sonora che determina effettivamente il mantenimento della classe III è la presenza del salto della Ro."); b) l'attraversamento della Via (omissis) che genera impatto acustico. 4. Risulta dalla memoria depositata in giudizio il 20 dicembre 2022 dal Comune di (omissis) che gli edifici di proprietà dei ricorrenti confinano con quello di proprietà dell'Im. Eg. No. & Fi. s.r.l., che negli anni passati ospitava una centrale idroelettrica volta allo sfruttamento dell'esistente salto d'acqua della Ro. Se., che verrà riattivata in virtù del decreto dirigenziale dell'Ufficio tecnico regionale Lombardia n. 252 del 15 gennaio 2022. 4.1. Ciò smentisce quanto affermato dai ricorrenti sull'assenza di "preusi" diversi dalla residenza e sull'assenza di attività commerciali. Nello stesso senso, la previsione espressa della destinazione "residenziale e terziaria" dell'area contenuta nella Convenzione urbanistica del 19 aprile 1995 prodotta dai ricorrenti (doc. 6 ric.), dove si legge che "il progetto prevede la costruzione, sulle aree di proprietà di un volume fuori terra di mc. 45.244,51 (quarantacinquemiladuecentoquarantaquattro virgola cinquantuno) a destinazione residenziale e terziaria" e ciò basta per escludere la destinazione "esclusivamente" residenziale delle aree e per affermarne la natura di "area di tipo misto" rientrante nella classe acustica III. 5. È quindi la prossimità alle sorgenti sonore che caratterizza e distingue la diversa condizione degli edifici dei ricorrenti, situati in "aree di tipo misto", rispetto ai due civici 68/A e B dello stesso Lotto 1, di classe II (prevalentemente residenziale), che sono invece distanti dall'edificio che ospita la centrale idroelettrica e al salto della Ro. Se.. In tal senso, il parere espresso dal dr. Brena, consulente del Comune di (omissis), il quale ha affermato che "La classe II è stata assegnata ai due immobili (civici 68/A e B) in quanto non soggetti alle emissioni sonore provenienti dal salto d'acqua della Ro. Se. Gr., trattandosi di sorgente di rumore localizzata, al contrario di quanto accade per i fabbricati già inseriti nella classe III". Inoltre, il consulente afferma che gli stessi "rilievi prodotti dagli osservanti, in condizioni di Ro. a regime, non mostrano la compatibilità dei livelli sonori con la classe II, per cui non si giustifica dal punto di vista tecnico la diminuzione di classe acustica". 5.1. Non solo, la classe III è stata logicamente e coerentemente assegnata ai giardini di pertinenza per ragioni di omogeneità, chiaramente ricavabili dal punto 6 della D.G.R. n. VII/9776 del 12.7.2002, la quale prevede che "Non sono da includere in Classe I le piccole aree verdi di quartiere che assumono le caratteristiche della zona a cui sono riferite"; pertanto è connotata da razionalità la scelta di attribuire la stessa classe III ai giardini posti ad ornamento degli edifici dei civici 68/C-D-E. Nel caso di specie, quindi, il Piano di zonizzazione acustica ha correttamente proceduto ad aggregare la porzione dell'edificio del civico 68/E, che in prima fase era stata ipotizzata in classe II ma che, potendo essere considerata omogenea dal punto di vista acustico, è stata accorpata nella classe III, cioè la stessa in precedenza prevista per i civici 68/C, D e metà civico E. 6. Neppure rileva l'appartenenza dell'area in cui sono situati gli edifici dei ricorrenti alla zona di "Ambito residenziale consolidato" per affermarne la destinazione esclusivamente residenziale, dal momento che tale ambito rientra nel c.d. "Sistema della residenza" indicato nell'art. 9 delle N.T.A. (doc. 20 res.), che riconosce la "priorità " e non l'esclusività della destinazione residenziale, prevedendo anche le destinazioni complementari a quella residenziale, indicate nel precedente art. 5.1 delle N.T.A., per lo più rientranti nel settore terziario, coerentemente con la citata previsione della Convenzione urbanistica del 19 aprile 1995. Inoltre, va anche detto che la natura residenziale dell'immobile non è l'unico parametro di attribuzione della classe, dal momento che l'individuazione della zona acustica va fatta con estrema attenzione a fronte anche di specifici rilievi fonometrici che ne supportino la sostenibilità . 7. Contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, dalla relazione tecnica del nuovo Piano di zonizzazione è invece possibile evincere i criteri tecnici di carattere generale che hanno portato all'attribuzione della classe III agli edifici dei ricorrenti, tra i quali, per quanto rileva nel caso di specie, il criterio delle potenziali sorgenti di rumore presenti sul territorio comunale, con attribuzione delle classi acustiche alle aree su cui le stesse impattano, in base alla deliberazione VII/9776 (punto 6). Infatti, nella relazione al Piano impugnato, a pag. 33, si legge: "le classi II, III e IV sono state assegnate in via preliminare sulla base dell'azzonamento del PGT. Tali classi sono da verificare in relazione all'effettivo stato acustico dell'area, in seguito alle indagini fonometriche, ai sopralluoghi e a colloqui con il personale tecnico e l'amministrazione". Nel successivo punto 6.4 della relazione tecnica sono poi riportate le "Fonti di rumore naturali. In questa categoria possono essere inclusi, ad esempio, i corsi d'acqua che, soprattutto in presenza di salti o in periodi di piena, producono livelli di emissione sonora non trascurabili", che nel caso di specie sono i rumori naturali del salto della Ro. Se.. 8. Non merita inoltre di essere condivisa nemmeno la censura con cui i ricorrenti lamentano la carenza istruttoria, perché nella relazione tecnica del nuovo Piano non solo sono censite le sorgenti sonore (rilevanza delle infrastrutture stradali, individuazione dei ricevitori sensibili, fonti naturali di rumore, etc.) ma essa riporta specifiche mappature del territorio, con punti di misura o di calcolo dei livelli di rumore distribuiti in modo dettagliato; rilevazioni fonometriche basate su stratificazioni spaziali e temporali (notturne e diurne); nonché i dettagli dei rilievi fonometrici eseguiti utilizzando come punto di rilievo anche la Via (omissis), dove i rilevatori sono stati collocati per "lunga durata (settimanale)". 9. Infine, la richiamata sentenza di questa Sezione, n. 33/2021 - che riguardava la pretesa di parte ricorrente di mantenere l'intera area di sua proprietà in Classe VI in ragione del preuso esclusivamente industriale del sito - fornisce in realtà un ulteriore argomento per affermare la legittimità del Piano di zonizzazione acustica impugnato, dal momento che mette in risalto come le rilevazioni fonometriche eseguite dall'amministrazione assumono un ruolo determinante per la verifica della compatibilità degli attuali livelli sonori con le nuove classificazioni acustiche introdotte dal Piano impugnato e come non sia sufficiente la destinazione urbanistica per definire la classe acustica. Nel caso esaminato dalla sentenza, la vicinanza della zona residenziale a quella industriale aveva infatti determinato il declassamento dalla II alla III degli edifici residenziali. 10. Ne consegue che, assorbiti i profili non esaminati, in parte ripetitivi di quelli già esaminati, e comunque non idonei a supportare una conclusione di tipo diverso, il ricorso principale va respinto. 11. Il ricorso per motivi aggiunti, notificato il 6 aprile 2023, con il quale sono state impugnate le controdeduzioni tecniche alle osservazioni, richiamate per relationem nella delibera di Consiglio Comunale n. 13 del 26 maggio 2022, e il presupposto parere tecnico espresso dalla società Co. Am. trasmesso dal Comune a mezzo PEC in data 9 febbraio 2023, è inammissibile in quanto gli atti impugnati non hanno natura provvedimentale ma endoprocedimentale, non autonomamente lesivi degli interessi dei ricorrenti, giacché la lesione si è avuta con l'approvazione del Piano di zonizzazione acustica, che ha espressamente richiamato e fatto proprie le controdeduzioni e il presupposto parere tecnico: i ricorrenti non hanno dunque interesse all'annullamento degli atti endoprocedimentali, e va pertanto condivisa l'eccezione di inammissibilità formulata dal Comune di (omissis). 12. Con secondo ricorso per motivi aggiunti del 24 ottobre 2023 i ricorrenti hanno impugnato per illegittimità derivata la delibera del Consiglio Comunale n. 18 del 29 giugno 2023, con cui il Comune avrebbe provveduto a convalidare la delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 26 maggio 2022 mediante l'allegazione delle controdeduzioni della Co. Am. s.p.a. richiamate per relationem ai fini dell'approvazione del Piano di zonizzazione acustica. 13. Ai sensi dell'art. 3, comma 3, L. 241/90 "Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest'ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama". L'art. 3 L. n. 241 del 1990, nella parte in cui afferma che la motivazione per relationem è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso nel senso che all'interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi, con la conseguenza che non sussiste per l'amministrazione l'obbligo di allegare tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 6 marzo 2019, n. 515; T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, sez. I, 8 aprile 2016, n. 130) 14. Come noto, il comma 2 dell'art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 consente alla pubblica amministrazione di convalidare i propri atti affetti da vizi di legittimità, attraverso una manifestazione di volontà intesa ad eliminare il vizio da cui l'atto stesso è inficiato, nell'esercizio del proprio potere di autotutela decisionale ed all'esito di un procedimento di secondo grado (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 6125 del 2018). 15. Alla luce di ciò non può dubitarsi che, nel caso di specie, la delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 26 maggio 2022 non era illegittima e quindi convalidabile dall'Amministrazione, tenuto conto che essa rinviava per relationem alle controdeduzioni della Co. Am. s.p.a., conseguentemente con la delibera n. 18 del 29 giugno 2023, che ha valore meramente confermativo della precedente delibera n. 13, si è limitata ad esercitare la facoltà di rendere disponibili i documenti richiamati mediante allegazione degli stessi alla delibera n. 13 del 26 maggio 2022. 16. Conseguentemente, il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile per carenza di interesse all'annullamento della delibera n. 18 del 29 giugno 2023, avente contenuto meramente confermativo della delibera del Consiglio Comunale n. 13 del 26 maggio 2022 già impugnata. 17. Concludendo, il ricorso principale va respinto e i ricorsi per motivi aggiunti vanno dichiarati inammissibili. 18. Le spese, per la complessità delle questioni esaminate, possono essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando: - dichiara infondato il ricorso principale; - dichiara inammissibili il primo e secondo ricorso per motivi aggiunti. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 293 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, Questura di Cremona, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del decreto Cat A12/2024/imm nr. 96 - P.V. del 20.03.2024 con il quale la Questura di Cremona ha dichiarato l'irricevibilità dell'istanza di conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale in permesso di soggiorno per lavoro subordinato presentata dal ricorrente; - nonché di ogni altro atto o provvedimento connesso, presupposto o conseguente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Cremona; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 il dott. Pietro Buzano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il sig. -OMISSIS-, titolare di permesso per protezione speciale, ha presentato in data 24.10.2023 istanza di conversione di tale titolo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Con il provvedimento indicato in epigrafe la Questura di Cremona ha dichiarato l'irricevibilità dell'istanza di conversione sulla scorta della seguente motivazione: "Nel caso si è constatato che la S.V., meglio generalizzata in oggetto, titolare del permesso tuttora valido sino al 8/06/2024, ha presentato richiesta di conversione in lavoro subordinato, non prevista dalla normativa vigente. Pertanto l'istanza in oggetto è da considerarsi irricevibile". Avverso tale provvedimento, il sig. Aa. So. ha proposto ricorso davanti a questo Tribunale, chiedendone, previa sospensione, l'annullamento. Si è costituita in giudizio la Questura di Cremona depositando una relazione sui fatti di causa. All'udienza camerale del 22 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione, previo avviso alle parti della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a. Con unico motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell'art. 7 d.l. n. 20/2023, affermando che la predetta disciplina transitoria consentirebbe la conversione in motivi di lavoro del permesso per protezione speciale di cui è titolare. Il ricorso è fondato. In base all'art. 7, comma 3, d.l. 20/2023 "I permessi di soggiorno già rilasciati ai sensi del citato articolo 19, comma 1.1, terzo periodo, in corso di validità, sono rinnovati per una sola volta e con durata annuale, a decorrere dalla data di scadenza. Resta ferma la facoltà di conversione del titolo di soggiorno in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, se ne ricorrono i requisiti di legge". Tale previsione, secondo l'interpretazione seguita da questa Sezione, consente la conversione, non solo dei permessi per protezione speciale di cui all'art. 19, comma 1.1, terzo periodo, TUI (a tutela della vita privata e familiare), espressamente richiamati nella prima proposizione della norma, ma anche di tutti gli altri permessi per protezione speciale di cui all'art. 19, comma 1 (rischio di persecuzione) e comma 1.1, primo e secondo periodo (rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti) del TUI. Al riguardo, si rinvia integralmente alle argomentazioni esposte nella sentenza n. 172/2024 di questa Sezione, di cui si riportano di seguito i passaggi fondamentali: "...se la facoltà di conversione in via transitoria era dapprima espressamente consentita dall'art. 7, comma 3, per l'unica categoria di permessi di protezione speciale destinata all'abolizione, a fortiori quella facoltà di conversione in via transitoria deve ritenersi consentita per tutte le altre categorie di tali permessi che non sono destinate all'abolizione, ma solo a non poter essere più convertite, a regime, in permessi per lavoro: del resto, se così non fosse, i permessi per protezione speciale a tutela della vita privata e familiare verrebbero ad avere, sotto il profilo della convertibilità, un ingiustificato trattamento più favorevole rispetto agli altri permessi per protezione speciale, mentre il decreto non aveva affatto un simile intento, come si è evidenziato sopra. 3.4.- Questo difetto di coordinamento dell'art. 7, comma 3, del d.l. 20/2023 rispetto al sopravvenuto divieto generalizzato di conversione dei permessi per protezione speciale, introdotto dalla legge di conversione, e che ha condotto ad un'evidente incongruenza, può dunque essere corretto in via interpretativa, mantenendo distinte le due proposizioni di cui si compone la disposizione e riconoscendo ad esse un diverso ambito di applicazione. La prima proposizione si riferisce inequivocabilmente, stante il chiaro tenore letterale, ai soli "permessi di soggiorno già rilasciati ai sensi del citato articolo 19, comma 1.1, terzo periodo, in corso di validità ", cioè ai soli permessi per tutela della vita privata e familiare: di tali permessi regola il rinnovo, consentito solo una volta per un anno. La seconda proposizione, che invece non contiene un riferimento testuale a quella specifica tipologia di permessi, va riferita a tutti i permessi per protezione speciale in corso di validità al momento dell'entrata in vigore del decreto legge, e dunque sia quelli a tutela della vita privata e familiare (ex art. 19, comma 1.1, terzo periodo, TUI), sia quelli di altro genere (ex art. 19, commi 1 e 1.1, primo secondo periodo, TUI): quella proposizione normativa consente pertanto la convertibilità in permessi per lavoro di tutti i permessi per protezione speciale in corso di validità . 3.5.- La suddetta interpretazione della disposizione si presenta altresì come costituzionalmente orientata, e senza per questo dover forzare il dato letterale. Infatti, se i permessi per protezione speciale di cui all'art. 19, comma 1 (rischio di persecuzione) e comma 1.1, primo e secondo periodo (rischio di tortura o trattamenti inumani e degradanti) del TUI, in corso di validità, fossero ritenuti non convertibili in permessi per lavoro in forza della disposizione transitoria di cui all'art. 7, comma 3, d.l. 20/2023, i possessori di quei permessi risulterebbero discriminati, senza alcuna ragione giustificatrice, sotto due versanti: - sia rispetto ai possessori di permessi rilasciati per le medesime ragioni, ma dopo l'entrata in vigore del d.l. 20/2023, in forza di domanda presentata prima, stante la disposizione transitoria di cui all'art. 7, comma 2, d.l. 20/2023, la quale prevede che ad essi si applichi in toto il regime previgente alla riforma, compresa dunque la disciplina sulla convertibilità (quel comma dispone infatti che "Per le istanze presentate fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero nei casi in cui lo straniero abbia già ricevuto l'invito alla presentazione dell'istanza da parte della Questura competente, continua ad applicarsi la disciplina previgente"); - sia rispetto ai possessori di permessi per protezione speciale di cui all'art. 19, comma 1.1, terzo periodo, cioè a tutela del diritto alla vita privata e familiare, in corso di validità, i quali certamente possono ottenere quella conversione: non è infatti dubitabile che l'art. 7, comma 3, si applichi ad essi, considerato che vi fa espresso riferimento". Nel caso di specie, il provvedimento impugnato qualifica il permesso da convertire quale permesso per "protezione speciale" ai sensi dell'art. 32, comma 3, D.lgs. n. 25/2008 senza specificare in quale tra le diverse ipotesi contemplate dall'art. 19, comma 1 e 1.1., d.lgs. n. 286/1998 ricadrebbe. In ogni caso - dovendosi ritenere ammessa la conversione per tutte le tipologie di permesso per protezione speciale alla luce delle suesposte considerazioni in ordine all'interpretazione della disciplina transitoria prevista dall'art. 7, comma 3, d.l. 20/2023 - il titolo di soggiorno del ricorrente, espressamente qualificato per "protezione speciale" dalla Questura, avrebbe dovuto essere convertito in permesso per motivi di lavoro al ricorrere degli altri presupposti previsti dalla legge. Nella relazione depositata in giudizio (cfr. pag. 2) la Questura sembra affermare che il permesso del ricorrente sarebbe stato rilasciato ai sensi dell'art. 1, comma 9, d.l. n. 113/2018 (permessi per "casi speciali" rilasciati nei "procedimenti in corso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali la Commissione territoriale non ha accolto la domanda di protezione internazionale e ha ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario...".) e che per tale motivo non sarebbe convertibile in base all'attuale disciplina normativa. Anche tale affermazione non risulta condivisibile. La qualificazione del permesso di cui il ricorrente ha chiesto la conversione quale titolo rilasciato in base alla disciplina di cui all'art. 1, comma 9, d.l. n. 113/2018 - oltre a non essere stata comprovata in giudizio dall'Amministrazione sulla base di evidenze documentali - non esclude in ogni caso la sua convertibilità, ma la conferma, atteso che il citato art. 1, comma 9, d.l. n. 113/2018 prevede espressamente che il suddetto permesso per "casi speciali" è "convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato", né tale norma risulta espressamente abrogata dalle successive riforme (cfr. sul punto la sentenza n. 172/2024 di questa Sezione, punto 4 e seg. della motivazione). Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato. L'Amministrazione resistente dovrà riprovvedere sulla domanda di conversione entro trenta giorni dalla comunicazione della presente decisione, conformandosi a quest'ultima, e, dunque, disponendo la conversione del titolo di soggiorno del ricorrente in permesso per motivi di lavoro, ove sussistano gli altri requisiti previsti dalla legge. Le spese di lite, in applicazione del criterio della soccombenza, devono essere poste a carico dell'Amministrazione resistente, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Condanna la Questura di Cremona a rifondere al ricorrente le spese di lite che liquida in euro 2.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Pietro Buzano - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 329 del 2023, proposto da Ma. Co., rappresentato e difeso dall'avvocato Pa. Bo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Parco Regionale dei Co. di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ge. Tu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura e Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia; Comune di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Si. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento del Parco Regionale dei Co. di Bergamo prot. n. 377, datato 1° febbraio 2023, notificato in data 1° febbraio 2023, avente ad oggetto: "Istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 181 e 167 del D. Lgs. 42/2004 e s.m.i. per lavori compiuti in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa per lavori inerenti le opere in difformità dall'aut. Paesagg. 121/2015 per intervento di sostituzione edificio esistente con ampliamento volumetrico e realizzazione autorimesse interrate nel Comune di Bergamo. Comunicazione di diniego e provvedimento sanzionatorio di ripristino". - del parere della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, rilasciato in data 21 dicembre 2022 p.g. n. 4376; - nonché di ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, conseguente e/o comunque connesso ai suddetti provvedimenti - fra cui il parere della Commissione per il paesaggio del Parco dei Co. espresso nella seduta n. 17 del 10 ottobre 2022. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Parco Regionale dei Co. di Bergamo, del Ministero della Cultura, del Comune di Bergamo e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 luglio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'odierno ricorrente, sig. Co., è proprietario in comune di Bergamo di un immobile situato all'interno del perimetro del Parco dei Co., in zona C "Agricola di protezione" inclusa nelle "Aree di elevato valore paesistico", disciplinate rispettivamente dagli artt. 15 e 31 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano Territoriale di Coordinamento vigente di cui alla delibera di Giunta regionale (d.G.R.) del 10 ottobre 2022 n. XI/7067, e pertanto è un immobile soggetto a tutela paesaggistica in base al vincolo di cui all'art. 142, comma 1, lettera f), del D. Lgs. n. 42/2004. 2. Relativamente a tale compendio immobiliare, il 27 settembre 2017 il dante causa del ricorrente aveva ottenuto dal Comune di Bergamo il permesso di costruire per la demolizione e ricostruzione dell'edificio con incremento volumetrico ai sensi della L.R. n. 13/2009 (c.d. piano casa), permesso rilasciato sulla base dell'autorizzazione paesaggistica n. 121 del 14 dicembre 2015 del Parco dei Co. di Bergamo, e il ricorrente, divenuto proprietario, aveva avviato i lavori di ricostruzione dell'immobile. 3. Con segnalazione di privati cittadini, protocollata con n. 4162 del 30 dicembre 2021, l'Ente Parco e il Comune di Bergamo venivano informati del fatto che nella proprietà del ricorrente erano in corso lavori di realizzazione di opere discordanti dai valori paesaggistici di riferimento e per tale ragione, il 24 gennaio 2022 e 27 gennaio 2022, il Comune di Bergamo eseguiva presso la proprietà del sig. Co. due sopralluoghi. 4. All'esito di tali sopralluoghi l'Amministrazione, dal semplice raffronto fra gli elaborati di progetto autorizzati nel 2015 e lo stato dei luoghi documentato anche dalle immagini fotografiche allegate al verbale del sopralluogo del 31 gennaio 2022 (cfr. doc. n. 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33 e 34), riscontrava varie difformità e abusi edilizi rispetto ai titoli abilitativi, compresa l'autorizzazione paesaggistica n. 121 del 14 dicembre 2015, come detto rilasciati inizialmente al dante causa del ricorrente e poi trasferiti al sig. Co. unitamente alla proprietà del compendio immobiliare. 5. A fronte di tale situazione, con provvedimento datato 31 gennaio 2022, p.g. n. 28917, il Comune di Bergamo ordinava al ricorrente ai sensi dell'art. 27 comma 3 del D.P.R. n. 380/2001 di sospendere immediatamente i lavori sull'edificio, compresi quelli in corso sulle aree di pertinenza, intimando la presentazione al Comune di Bergamo entro 15 giorni di una domanda di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 e di un'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria al competente Parco dei Co. di Bergamo ai sensi degli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42/2004: quest'ultima veniva presentata dal ricorrente il 23 maggio 2022. 6. Successivamente, con nota prot. n. 2593 del 20 luglio 2022, il Parco dei Co. comunicava al sig. Co. che, nella seduta n. 13 del 18 luglio 2022, la Commissione Paesaggio aveva espresso parere sospensivo sulla domanda, perché, a seguito del sopralluogo svolto in data 27 giugno 2022, erano state rilevate criticità tra le opere eseguite in difformità dall'autorizzazione paesaggistica n. 121/2015 e il contesto paesaggistico agrario di versante in cui risulta ubicato l'edificio, riservandosi pertanto di eseguire ulteriori approfondimenti istruttori preliminari e necessari alla formalizzazione di un parere definitivo da parte della Commissione Paesaggio, anche per valutare soluzioni sostenibili in termini di compatibilità paesaggistica dell'intervento edilizio del Co.. 7. La Commissione Paesaggio, terminati gli approfondimenti istruttori demandati agli Uffici del Parco, con verbale reso nella seduta n. 17 del 10 ottobre 2022, esprimeva parere negativo rispetto alla compatibilità paesaggistica in sanatoria dell'intervento e il 12 ottobre 2022 trasmetteva tale parere alla Soprintendenza competente per l'emissione del parere vincolante di cui agli artt. 167, comma 5, e 181, comma 1-quater, del D. Lgs. n. 42/2004. 8. Quest'ultima, con nota del 21 dicembre 2022, p.g. n. 4376, esprimeva a sua volta parere sfavorevole ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi eseguiti nella proprietà del ricorrente e pertanto, con nota prot. n. 4428 del 23 dicembre 2022, il Parco trasmetteva al Co. preavviso di diniego ex art. 10-bis Legge n. 241/1990, a cui non seguivano osservazioni. 9. Il 1° febbraio 2023, prot. n. 377, veniva quindi emesso il diniego definitivo sull'istanza CP 6/2022 prot. n. 1787 del 23 maggio 2022 e il provvedimento sanzionatorio di ripristino, con cui il Parco dei Co. ordinava al sig. Co. di provvedere entro 90 giorni: "per interesse pubblico, di ripristinare ai sensi dell'art. 167 del d.lgs. 42/2004 e s.m.i. lo stato dei luoghi secondo le seguenti modalità : - i parapetti dovranno essere realizzati in legno; - la colorazione delle facciate dovrà essere riproposta come quella autorizzata (BG 28 e BG 30), utilizzando i colori delle terre e differenziando la colorazione dei due corpi di fabbrica; - sul fronte sud le dimensioni delle aperture dovranno essere uniformate sui tre livelli prendendo a riferimento quello intermedio; inoltre dovrà essere prevista la schermatura di tutte le aperture con elementi lignei tipo brise-soleil o a pacchetto; - sul fronte nord le dimensioni delle aperture dovranno essere uniformate sui due livelli; inoltre dovrà essere prevista la schermatura di tutte le aperture con elementi lignei tipo brise-soleil o a pacchetto; - sul fronte est le aperture dell'edificio principale dovranno essere schermate con elementi lignei tipo brise-soleil o a pacchetto; - sui fronti est e ovest dovrà essere prevista la schermatura di tutte le aperture con elementi lignei tipo brise-soleil o a pacchetto; - il marcapiano dovrà essere realizzato in legno; - le gronde dovranno avere una colorazione del legno naturale; Per le difformità in corso di esecuzione riguardanti aree esterne (modellazioni del terreno, recinzioni, pavimentazioni, strada) dovrà essere presentato apposito progetto per il loro completamento". 10. In data 17 maggio 2024 il ricorrente ha presentato al Parco dei Co. di Bergamo una nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria CP 4/2024, prot. n. 1804, con il seguente oggetto: "Istanza di compatibilità paesaggistica ai sensi del combinato disposto dell'art. 17 DPR 31/2017 e dell'art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004 con proposta di parziale ripristino e/o mitigazione degli interventi già eseguiti e di completamento delle aree esterne, oggetto di provvedimento sanzionatorio di ripristino con le prescrizioni di cui alla pratica 006CP/2022 secondo le modalità espresse nella disposizione prot. 377 del 01/02/2023 per intervento di sostituzione edificio esistente con ampliamento volumetrico e realizzazione autorimesse interrate di cui all'autorizzazione paesaggistica n. 121/2015". 11. Con ricorso notificato in data 3 aprile 2023, il ricorrente ha chiesto a questo T.A.R. l'annullamento dei provvedimenti in epigrafe asseritamente illegittimi. 12. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Cultura - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, il Parco dei Co. di Bergamo e il Comune di Bergamo, depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 13. Con memoria depositata il 14 giugno 2024 il ricorrente ha presentato istanza di rinvio dell'udienza pubblica in attesa che il Parco dei Co. si pronunci definitivamente sul nuovo progetto proposto con l'ultima istanza del 17 maggio 2024, poiché - a suo dire - il nuovo parere espresso dalla Commissione in data 3 giugno 2024 e i rilievi mossi alla nuova soluzione potrebbero essere superati da una nuova ulteriore modifica progettuale. 14. All'udienza pubblica del 17 luglio 2024 il Collegio non ha ritenuto sussistenti i presupposti normativi di cui all'art. 73, comma 1, c.p.a. né le esigenze di economia processuale necessarie per la concessione del rinvio dell'udienza e pertanto la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Con il ricorso in epigrafe il ricorrente ha formulato cinque ripetitivi motivi di ricorso, tutti titolati con riferimento ai vizi di violazione di legge: artt. 142, 167 e 181 del D. Lgs. 42/2004; artt. 2 comma 2 bis e 3 Legge n. 241/90; violazione dei principi di leale collaborazione e di proporzionalità dell'azione amministrativa; eccesso di potere, nelle figure sintomatiche del travisamento dei presupposti, dello sviato esercizio della funzione, della motivazione illogica e perplessa, nonché del difetto di istruttoria: con i primi tre motivi il ricorrente sostiene che le opere oggetto della richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica sarebbero opere minori, di finitura esteriore di un edificio di civile abitazione realizzato sì in area sottoposta a vincolo paesaggistico, ma non inedificabile (art. 142 comma 1 lett. f) del D.Lgs 42/2004 in quanto inserito nel territorio del Parco dei Co. di Bergamo), difforme dall'originaria autorizzazione paesaggistica e tuttavia senza che vi sia stato aumento di volume o di superficie utile rispetto all'autorizzato; insomma opere che certamente - a suo dire - rientrerebbero nel novero delle opere ammissibili a compatibilità ai sensi dell'art. 167, considerato che il sig. Co. avrebbe apportato alcune modifiche materiche e architettoniche alla facciata mediante opere manutentive certamente ammissibili secondo il P.G.T.; afferma inoltre che l'accertamento della compatibilità paesaggistica ex art. 167-181 del d.lgs. 42/2004 sarebbe impossibile solo qualora ci si trovi di fronte ad un vincolo di inedificabilità assoluta e non anche in questa diversa ipotesi. Secondo il ricorrente la posizione assunta dalla Soprintendenza sarebbe illegittima sia sotto il profilo dell'istruttoria, del tutto carente e basata solo sulle definizioni date al contesto territoriale dalle norme urbanistiche e del P.T.C. del Parco, sia sotto quello della motivazione, che sarebbe - a suo dire - certamente illogica, perplessa e travisata, considerato che l'area ove è sorta la nuova costruzione sarebbe poco visibile dall'esterno, avrebbe una limitata accessibilità, e sarebbe contigua a un nucleo densamente edificato esistente (il quartiere di Monterosso e le sue propaggini verso la zona collinare) che nulla avrebbero a che vedere con l'agricoltura in quanto sarebbe una zona ove oramai gli edifici esistenti (come anche quello in oggetto) sarebbero tutti stati da decenni recuperati alla residenza e come tali utilizzati. Quanto infine ai materiali impiegati nella costruzione, il ricorrente afferma che sarebbero coerenti con quelli degli edifici circostanti e il colore ritenuto dalla Soprintendenza "incoerente con il sistema rurale" in realtà sarebbe presente in alcuni altri edifici vicini così come l'edificio in questione, prima della sua demolizione, era di colore bianco. Il ricorrente sostiene infine che secondo l'orientamento espresso da questo Giudice (sentenza n. 1373/2022) prima di poter addivenire a ripudiare il progetto, e quindi a prescegliere la c.d. opzione zero, la Soprintendenza avrebbe dovuto - in applicazione dei principi giurisprudenziali ampiamente richiamati nella decisione - "valutare ulteriori proposte che contemplino modalità costruttive meno impattanti, e proporre a sua volta prescrizioni limitative o mitigative", di modo che un eventuale parere negativo avrebbe potuto essere formulato "solo dopo aver motivatamente escluso le ipotesi intermedie, accompagnate da accorgimenti idonei ad evitare interferenze inaccettabili con i valori paesistici tutelati". Quanto alla motivazione, censurata anche con il quinto motivo di ricorso, - a suo dire - essa sarebbe inadeguata ed insufficiente in quanto sostanzialmente affidata a clausole di stile inidonee a dare conto dei concreti elementi di fatto e di diritto ostativi alla realizzazione dell'intervento e pregiudizievoli della tutela dell'interesse paesaggistico (cfr., ex multis, T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 29 marzo 2021, n. 269; Consiglio di Stato, sez. II, 9 novembre 2016 n. 2321), inoltre sarebbe inadeguata e insufficiente dal momento che la Commissione del Parco avrebbe fondato la propria decisione prendendo come riferimento la (omissis), villa Za., la De., e ville di interesse rappresentativo e panoramico, tutte differenti tra loro, per stile, caratteristiche costruttive ed epoca di realizzazione. Nessuna connessione architettonica e di stile sarebbe poi possibile fare - a dire del ricorrente - tra l'edificio preesistente e quello autorizzato nel 2015; così come peraltro, sarebbe un errore sostenere che l'edificio così come variato si discosti marcatamente da quello autorizzato. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente contesta la legittimità del provvedimento impugnato in quanto avrebbe escluso la compatibilità paesaggistica di opere che non erano oggetto della domanda: in particolare, la modifica delle dimensioni e la disposizione di alcune aperture in facciata, che sarebbero state oggetto di Scia n. 92 del 16 febbraio 2021 avente - secondo la tesi del ricorrente - efficacia paesaggistica ai sensi del D.P.R. 31/2017, All. a2 e per le quali il Parco dei Co. avrebbe erroneamente disposto il ripristino ai sensi dell'art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004 mentre, qualora la P.A. avesse voluto intervenire in merito a tali opere, avrebbe dovuto avviare un procedimento di autotutela amministrativa, cosa questa che non sarebbe avvenuta. 2. Con memoria del 13 giugno 2024 il Parco dei Co. di Bergamo ha eccepito l'improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse all'impugnazione del precedente diniego prot. n. 377 del 1° febbraio 2023 e dell'ordine di riduzione in pristino nel medesimo contenuto: il Parco dei Co. sostiene che con la presentazione di una nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria ai sensi degli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42/2004, unitamente al progetto di completamento delle opere esterne e di mitigazione paesaggistica degli abusi edilizi oggetto del diniego, il sig. Co. avrebbe prestato nei fatti acquiescenza ai provvedimenti impugnati. 3. Preliminarmente va quindi esaminata l'eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d'interesse sollevata dal Parco dei Co. di Bergamo. 4. L'eccezione non può essere accolta. 4.1. Lo stesso ricorrente, con la memoria di replica del 26 giugno 2024, afferma che l'eccezione sarebbe fondata solo se fosse stata accolta la nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria ai sensi degli artt. 167 e 181 del D. Lgs. n. 42/2004 del 14 giugno 2024, che però non è avvenuto, in quanto la Commissione del Paesaggio del Parco ha negato l'accoglimento di tale domanda. 4.2. Non solo, va inoltre detto che la presentazione di tale nuova istanza non può neppure essere interpretata come acquiescenza del ricorrente al provvedimento impugnato, dal momento che non è configurabile un comportamento univoco in tal senso, avendo questi proposto solo "un parziale ripristino" e non l'integrale ripristino degli interventi già eseguiti. 5. Si può ora passare all'esame dei motivi di ricorso. 6. Le censure mosse non sono fondate. 7. Va premesso che i provvedimenti impugnati costituiscono espressione di discrezionalità tecnica in quanto adottati dall'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. 7.1. Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, richiamata anche da parte ricorrente, in materia di autorizzazione paesaggistica, che rileva nel caso di specie, il giudizio affidato all'Amministrazione preposta è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, delle scienze ambientali, dell'arte e dell'architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità ; l'apprezzamento così compiuto è sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche (a partire dalla storica sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601; Consiglio di Stato sez. IV, 18 aprile 2023, n. 3892). 7.2. I primi tre e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente per la loro intrinseca connessione, per la consequenzialità e per la ripetitività - a tratti - delle censure dedotte. 7.3. Si osserva che la documentazione prodotta in giudizio dimostra che il complesso immobiliare - oggetto dell'autorizzazione paesaggistica ex art. 146 del D. Lgs. 42/2004 e del permesso di costruire rilasciati al dante causa dell'odierno ricorrente, rispettivamente nel 2015 e 2017 - è situato nel perimetro del Parco dei Co. di Bergamo, in area tutelata per legge ai sensi dell'art. 142, comma 1, lett. f) del D. Lgs. 42/2004, e in zona C "Agricola di protezione", a norma dell'art. 15 del Piano Territoriale di Coordinamento di cui alla d.G.R. 10 ottobre 2022 n. XI/7067. 7.4. Privi di fondamento sono quindi i motivi di ricorso con cui parte ricorrente deduce la violazione dell'art. 167 D. Lgs. n. 42/2004, nonché la carenza di istruttoria e di motivazione. 7.5. La citata norma dispone quale regola generale il divieto di realizzare, in area vincolata, opere senza il previo nulla-osta paesaggistico e prevede per il trasgressore la sanzione della rimessione in pristino. 7.6. Solo nelle ipotesi eccezionali, tassativamente indicate al comma 4 alle lett. a), b) e c) dell'art. 167 del D. Lgs. n. 42/2004, il legislatore consente il rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, previo pagamento di una sanzione pecuniaria, per alcuni abusi minori e precisamente: "a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380". 8. Nel caso in esame, ritiene il Collegio che l'amministrazione abbia correttamente rigettato l'istanza di sanatoria avanzata dal ricorrente in quanto dal semplice raffronto tra le immagini dell'edificio originario, lo stato di progetto autorizzato nel 2015 dal Parco dei Co. e lo stato di fatto realizzato, è di tutta evidenza che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non si tratta di opere minori o di difformità limitate alla finitura esteriore dell'edificio. 8.1. Si osserva infatti che secondo quanto descritto sia nel provvedimento di sospensione dei lavori del 31 gennaio 2022 p.g. n. 28917 (non impugnato dal ricorrente), sia nei verbali dei sopralluoghi della Polizia Locale, il ricorrente, rispetto al progetto originario oggetto dei titoli abilitativi, ha: (1) modificato l'accesso all'autorimessa; (2) realizzato un terrapieno addossato all'edificio, che ha portato all'eliminazione dell'accesso originariamente previsto e creato uno alternativo; (3) realizzato, a cinque metri dal torrente, una base in conglomerato cementizio sulla quale è stato poggiato un impianto di climatizzazione; (4) installato parapetti in vetro in luogo di quelli in legno; (5) eliminato le strutture lignee previste; (6) cambiato colore agli intonaci, ai serramenti e agli oscuranti; (7) chiuso l'intercapedine con infisso metallico; (8) chiuso la porta al piano terra; (9) reso inaccessibile il piano terra, non avendo costruito una finestra originariamente prevista; (10) realizzato una finestra di forma triangolare; (11) distribuito in modo diverso gli spazi interni. 8.2. In altre parole, il compendio immobiliare realizzato, sia per le caratteristiche architettoniche - che evocano quelle condominiali urbane -, sia per i materiali utilizzati (tra gli altri, gli elementi lignei - previsti e autorizzati - sono stati sostituiti con quelli in vetro), ha cancellato ogni traccia sia della cascina originaria che dell'immobile oggetto dei titoli abilitativi, i quali individuavano un edificio rurale con loggiato/porticato caratterizzato da solai in legno, pilasti in mattoni a vista, balaustre lignee e apertura di forme tradizionali e dimensioni contenute, con scuri in legno e travi in legno con colorazione naturale, considerato che l'edificio faceva parte di un quadro paesaggistico caratterizzato dalla presenza di edifici storici e di cascinali presenti sul versante collinare come la (omissis, villa Za., la De., e ville di interesse rappresentativo e panoramico, così come le "villulae" e i cascinali posti al centro del contesto agricolo di pertinenza inserito nella tavola 2 del P.T.C. del Parco dei Co.. 8.3. Va poi detto che il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria ex art. 167 del D. Lgs. 42/2004 presuppone che le opere realizzate in assenza o in difformità dall'autorizzazione paesaggistica "non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati", e ciò è quanto afferma il ricorrente senza però fornirne la prova, tanto più necessaria, tenendo conto delle difformità sopra descritte, almeno considerate nel loro complesso. 8.4. Risulta inoltre che la Soprintendenza, nel parere sfavorevole espresso il 21 dicembre 2022, p.g. n. 4376, ha "RILEVATO altresì che, seppur non evidenziato negli elaborati grafici, si segnala un'altezza maggiore dell'edificio rispetto a quanto autorizzato si rimanda agli uffici competenti le opportune verifiche ai fini di valutare l'ammissibilità a sanatoria di tale aumento volumetrico" e ciò basta ad escludere la certezza nel rilascio dell'autorizzazione ai sensi del citato art. 167. 9. Privo di pregio è poi il motivo con cui il ricorrente lamenta l'illegittimità del parere della Soprintendenza per carenza istruttoria e perché basato solo sulle definizioni date al contesto territoriale dalle norme urbanistiche e del P.T.C. del Parco. 10. Orbene, va senz'altro affermato che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, non vi è un difetto di istruttoria: la Soprintendenza, prima di esprimere la valutazione di compatibilità paesaggistica, ha preso in considerazione tutte le caratteristiche esteriori, che risultano individuate, raffrontate e giustificate con i valori riconosciuti e protetti dal vincolo. 10.1. Nel caso di specie l'ampia istruttoria ha infatti evidenziato che il compendio immobiliare rientra nelle zone C "agricole di protezione" di cui all'art. 15, comma 1, del P.T.C., "caratterizzate dalla presenza di valori naturalistici ed ambientali inscindibilmente connessi a particolari forme colturali e produzioni agricole caratteristiche, nonché dalla presenza di insediamenti antropici di rilievo storico e paesaggistico. Gli obiettivi per tali zone consistono nella conservazione, nel ripristino e nella riqualificazione delle attività, degli usi e delle strutture produttive caratterizzanti, insieme ai segni fondamentali del paesaggio naturale e agrario, quali gli elementi della struttura geomorfologica ed idrologica, i ciglioni e i terrazzamenti, i sistemi di siepi ed alberature. In tali zone si deve favorire un'agricoltura sostenibile di supporto alla biodiversità, anche agronomica". 10.2. In tali zone, per espressa previsione del successivo comma 3, sono comunque ammessi gli usi abitativi, nel senso che non sussistono vincoli di inedificabilità assoluta del suolo derivante dalla vocazione rurale della zona C, zona in cui è inserito anche il complesso immobiliare del ricorrente. 10.3. Secondo quanto previsto dal successivo comma 5 del citato articolo 15 "Per gli edifici ad uso extra-agricolo ricadenti nella zona C, classificati come usi abitativi (UU) che risultano assentiti alla data di entrata in vigore del presente piano, sono ammessi gli interventi di manutenzione (MA) e di restituzione (RE), nonché quelli volti al risparmio energetico secondo quanto stabilito all'art. 18 comma 2. Sono ammessi interventi di riqualificazione (RQ), anche con ampliamenti a condizione che: - non superino il 20% della SL esistente alla data di entrata in vigore della L.R. 8/1991 (con riferimento alla data del titolo abilitativo); - non venga modificata la sagoma degli edifici; - siano rispettati i vincoli sovraordinati e le condizioni di cui all'art. 28 per gli edifici di interesse storico-architettonico. Per gli edifici con grado di intervento di ristrutturazione edilizia di cui al dpr 380/01 attribuito dai PGT comunali (anche in sede di adeguamento del PGT a seguito di approvazione della variante generale del PTC), è altresì consentito l'ampliamento fino al 20% della SL esistente alla data di entrata in vigore della L.R. 8/1991 (con riferimento alla data del titolo abilitativo), anche con modifica della sagoma degli edifici stessi". 10.4. Per quanto d'interesse, la norma prosegue affermando che "Dovrà essere in ogni caso garantita la conservazione dei valori testimoniali e dei caratteri storico-architettonici degli edifici", cosa che non è avvenuta nel caso di specie, basti considerare che la documentazione fotografica in atti mostra un edificio del tutto avulso dal contesto rurale del Parco dei Co. di Bergamo e ciò anche per aver utilizzato materiali più adatti ad un edificio situato in un centro abitato, come ad esempio i parapetti in vetro al posto di quelli lignei, rivestimenti in marmo delle solette dei balconi, ampie vetrate disomogeneamente distribuite e senza oscuranti lignei, gronde lignee di colore bianco, etc. 10.5. Il Collegio non coglie neppure profili di illogicità, irragionevolezza e di travisamento dei fatti nella corretta valutazione espressa dalla Soprintendenza, la quale ha "CONSIDERATO che con opere illecite si è modificato in modo sostanziale l'immagine del manufatto in costruzione per il quale a suo tempo era stata rilasciata autorizzazione paesaggistica e, specificatamente, si era autorizzato un manufatto con caratteristiche architettoniche e materiche coerenti con il contesto rurale entro cui esso si colloca, mentre, viceversa, in assenza di autorizzazione paesaggistica si è proceduto illecitamente a predisporre un edificio per caratteristiche, materiali e colori del tutto avulso e incoerente con il contesto rurale di cui sopra (colore bianco dell'edificio del tutto avulso dai contesti rurali dei colli di Bergamo ove si preferivano colori caldi derivati dall'utilizzo delle malte di calce, parapetti in vetro al posto di quelli lignei, rivestimenti in marmo delle solette dei balconi, ampie vetrate disomogeneamente distribuite e senza oscuranti lignei, gronde lignee di colore bianco). Altresì le opere illecitamente realizzate hanno modificato in modo sostanziale l'area al suo intorno compromettendone in modo significativo le caratteristiche rurali che caratterizzano il contesto circostante, proponendo una sistemazione più consona quella di un giardino urbano di villa per il tramite della incongrua modifica degli andamenti di versante e l'introduzione di elementi impattanti quali rampa di accesso alle autorimesse di maggior impatto, muri di contenimento del terreno che non caratterizzano questo contesto tutelato con sovrastanti recinzioni". Inoltre, risulta dallo stesso materiale fotografico che alcuni altri edifici presenti in tale zona hanno conservato le caratteristiche storiche del contesto rurale. 10.6. I provvedimenti impugnati non violano nemmeno i principi giurisprudenziali della richiamata sentenza di questo Giudice n. 1373/2022, dal momento che tale pronuncia si riferisce ad un caso diverso, e cioè al parere negativo adottato dalla Soprintendenza sul progetto di nuova edificazione residenziale mentre nel caso in esame erano stati già rilasciati i titoli abilitativi (autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire) e la Soprintendenza ha valutato la compatibilità paesaggistica e l'impatto delle opere eseguite in sensibile difformità dall'autorizzato progetto, che qui come già detto appare radicalmente modificato nei volumi, nei materiali, nelle forometrie dei prospetti, etc. 10.7. Non può neppure essere condiviso l'assunto del ricorrente secondo il quale la zona in cui è inserita la costruzione nulla avrebbe a che vedere con l'agricoltura in quanto sarebbe una zona ove oramai gli edifici esistenti sarebbero stati tutti da decenni recuperati alla residenza e come tali utilizzati. Si tratta di una tesi che contrasta con il paesaggio naturale e agrario che si coglie dalla documentazione fotografica. 11. Quanto al dedotto vizio di motivazione, per costante e consolidata giurisprudenza, la motivazione del diniego di compatibilità paesaggistica è da ritenersi sufficiente quando evidenzi l'impatto dell'opera sulla bellezza naturale e l'esigenza di tutelarla e, in caso di motivazione succinte, se rileva gli estremi logici dell'incompatibilità di un manufatto con il contesto tutelato (ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 4 settembre 2020 n. 1643, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 21 gennaio 2020 n. 268; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 7 gennaio 2020 n. 1; Consiglio di Stato, sez. II, 5 giugno 2024, n. 5046). 11.1. I provvedimenti impugnati si sottraggono pertanto anche a tale censura, considerata la completezza e la sufficienza motivazionale che si ricavano dai presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche che fondano il corretto giudizio di incompatibilità delle opere realizzate con i valori naturalistici ed ambientali della zona agricola esposti nel precedente par. 10.5. 12. Parimenti infondato è il quarto motivo di ricorso dal momento che con l'istanza di accertamento della compatibilità paesaggistica di cui all'art. 167, comma 4, del D. Lgs. 42/2004 la Soprintendenza è chiamata ad esprimere una valutazione complessiva e non atomistica dell'intervento e quindi non può essere condivisa la tesi del ricorrente che sostiene che il parere negativo espresso dalla Soprintendenza non andrebbe riferito alle aperture sulle facciate che - a suo dire - sarebbero state oggetto di Scia n. 92 del 16 febbraio 2021 avente efficacia paesaggistica ai sensi del D.P.R. 31/2017, All. A.2. 12.1. Ai sensi dell'art. 2 del citato D.P.R. 31/2017 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata) "1. Non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato "A" nonché quelli di cui all'articolo 4"; nel citato Allegato A, tra le opere non soggette ad autorizzazione paesaggistica, figurano "la realizzazione o la modifica di aperture esterne o di finestre a tetto, purché tali interventi non interessino i beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest'ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l'edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici". 12.2. Ebbene, per il principio di gerarchia delle fonti che governa il rapporto tra le fonti del diritto, tale norma regolamentare non può trovare applicazione nel caso di specie, dal momento che il regime giuridico dell'immobile del ricorrente è quello fissato dall'art. 142, comma 1, lett. f) del D. Lgs. 42/2004, norma di rango primario che sottopone ad autorizzazione paesaggistica la realizzazione delle opere (comprese quindi le aperture esterne sulle facciate degli immobili) situate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico. 13. Si osserva infine che l'infondatezza del quarto motivo si ricava dal fatto che nella Scia n. 92 del 16 febbraio 2021 il ricorrente ha spuntato la voce secondo cui l'intervento "20.1 non ricade in zona sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi del Decreto Legislativo 22/01/2004, n. 42, e con riferimento all'esame dell'impatto paesistico del progetto, ai sensi della Parte IV delle Norme del PPR e sulla base delle "Linee guida per l'esame paesistico dei progetti" e non ha poi spuntato la voce che indica che le opere "20.2.2.1 sono escluse dal procedimento di autorizzazione paesaggistica secondo quanto previsto dall'Allegato A, punto di seguito indicato e dall'articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica 13/02/2017, n. 31". 14. Concludendo, per quanto sopra esposto, il ricorso va respinto. 15. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore del Parco dei Co. di Bergamo, del Ministero della Cultura - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia e del Comune di Bergamo che quantifica per ciascuno in euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede, Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 573 del 2024, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ignazio Paris, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituiti in giudizio; per l'annullamento RICORSO PER L'ANNULLAMENTO PREVIA CONCESSIONE DI MISURE CAUTELARI A) DELL’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE DI OPERE EDILIZIE ESEGUITE IN VIOLAZIONE DEL VINCOLO IDRAULICO (R.D. 523/1904 – L.R. 4/2016 e succ. mod. i.) -OMISSIS-(doc.2) notificata il -OMISSIS-; B- DELL’ORDINANZA stessa con cui veniva altresì disposta la NULLITA’ della SCIA ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990;C-di ogni altro atto, connesso, presupposto e/o consequenziale Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2024 il dott. Luigi Rossetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Premesso che: - il -OMISSIS-, in data -OMISSIS-, ha emesso “Ordinanza di demolizione di opere edilizie eseguite in violazione del vincolo idraulico (R.D. 523/1904 – L.R. 4/2016 e s.m.i.) del -OMISSIS-” con cui ha ordinato alla controinteressata e alla società ricorrente, nella qualità di esecutrice delle opere e comproprietaria dell’area, “la demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi sull’area sita alla […] in quanto realizzate a distanza inferiore ai 10 mt. dal -OMISSIS-in violazione dell’art. 96, comma 1, R.D. 523/1904 e del par. 5.1 del regolamento di polizia idraulica facente parte del PGT vigente”; - il provvedimento ripristinatorio è stato adottato dall’amministrazione comunale in quanto dagli “accertamenti tecnici svolti è emerso che parte della fondazione afferente l’erigendo capannone, è stata realizzata ad una distanza variabile da mt. 3,72 a mt. 4,51 dal -OMISSIS-in ragione delle caratteristiche architettoniche del manufatto, come risulta dall’allegato rilievo [..];” - con ricorso ed allegata istanza cautelare, notificati in data 15.07.2024 e regolarmente depositati, parte ricorrente impugna la predetta ordinanza deducendo l’illegittimità della stessa sulla base dei seguenti motivi di censura: Nullità ed illegittimità per violazione e falsa applicazione degli artt.70 e 97 D.P.R. 380/2001; Violazione e falsa applicazione delle norme procedurali in ordine all’emissione dell’ordinanza di demolizione di opere edilizie per decorso del termine ex lege; Violazione di legge ed eccesso di potere nonché di incompetenza in ordine alla disposta nullità della Scia ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 21 septies legge 241/1990 – Violazione ex artt.19 e 21 nonies L. 241/90; Violazione e falsa applicazione del regolamento di polizia idraulica . Eccesso di potere. Illogicità manifesta. Violazione e falsa applicazione delle norme di cui al R.D. N. 523/1904; - l’impianto censorio, nel merito, oppone la mancata assoggettabilità dei plinti di fondazione, non reputate costruzioni interrate, al vincolo idraulico ed asserendo la possibilità di eseguire gli scavi temporanei, funzionali all’esecuzione dei lavori, anche nella fascia di rispetto, in quanto assimilabili ai movimenti di terra di cui all’art. 96-f del RD 25 luglio 1904 n. 523; - con memoria di costituzione, depositata il 30.08.2024, il -OMISSIS- ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione di questo giudice in favore del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. All’udienza camerale del 12/06/2024 il Collegio, con riserva di sentenza ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., tratteneva l’affare in decisione. Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione. Questo Tribunale, difatti, ritiene che la presente controversia sia da riferire alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143, lett. a), del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, in base al quale “Appartengono alla cognizione diretta del tribunale superiore delle acque pubbliche: a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall'amministrazione in materia di acque pubbliche”; L’ampiezza della previsione normativa consente di ricondurre a tale giurisdizione anche le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di un ordine di demolizione, adottato dall’amministrazione comunale, per opere realizzate all'interno della fascia di rispetto idraulico. Si tratta di provvedimento che fornisce protezione, in via immediata e diretta, alle acque pubbliche attraverso la repressione di interventi edilizi che possano interferire con il regime delle acque, impedirne le possibilità di sfruttamento e il libero deflusso. Appare, pertanto, necessario rimettere al Giudice speciale delle acque pubbliche il necessario accertamento della violazione del vincolo idraulico. Quanto alle spese di giudizio, si osserva che il provvedimento gravato era stato preceduto da un provvedimento di immediata sospensione dei lavori, riguardante la medesima vicenda sostanziale e adottato per violazione dei medesimi parametri normativi, anch’esso impugnato innanzi a questo Tribunale (R.G. 394/2024). Nel predetto giudizio, all’esito dell’adozione del Decreto Monocratico n. 174/2024, nel quale veniva respinta l’istanza cautelare ed indicata la giurisdizione del TSAP, parte ricorrente, aderendo alle indicazioni presidenziali, rinunciava al ricorso e radicava il giudizio innanzi a quest’ultimo Tribunale (R.G.119/2024) Nonostante quanto sopra rilevato, il consequenziale provvedimento ripristinatorio è stato nuovamente impugnato innanzi a questo Tribunale, con istanza di adozione di misura cautelare. Il Collegio ritiene che la nuova iniziativa impugnatoria si ponga in contraddizione con la precedente condotta processuale, volontariamente assunta, di rinunciare al ricorso avverso il provvedimento di sospensione dei lavori ed adire la giurisdizione del TSAP. Trattandosi della stessa vicenda procedimentale, un utilizzo più coerente dello strumento processuale, con equivalenti prerogative difensive sul piano cautelare, avrebbe imposto alla ricorrente di adire direttamente il sistema giurisdizionale delle acque ed evitare un inutile aggravio di costi in capo all’amministrazione convenuta. Sulla base di quanto sopra osservato, si ritiene equo porre in capo alla parte ricorrente le spese di giudizio che saranno liquidate come da dispositivo. Conclusivamente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 11 del codice del processo amministrativo, deve dichiararsi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del Tribunale superiore delle acque pubbliche, dinanzi al quale la controversia potrà essere riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato di questa sentenza, fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione. Condanna la -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 3.000,00, oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 4 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron, Presidente Marilena Di Paolo, Referendario Luigi Rossetti, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 195 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. De Pa., e Do. Lo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Bologna, viale (...); contro -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento (a) per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - dell'ordinanza n. -OMISSIS-, a firma del Responsabile dell'Area Tecnica dello Sportello Unico Edilizia-Urbanistica del -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS-, notificata via PEC in pari data), nonché di ogni altro atto antecedente, conseguente e comunque connesso. Nel merito, DISPONGA l'annullamento del provvedimento impugnato, come indicato in epigrafe, nonché di ogni altro atto antecedente, conseguente e comunque connesso. In ogni caso, Con vittoria di spese e onorari, come per legge. In via istruttoria, Si chiede disporsi CTU finalizzata a descrivere le opere realizzate, a verificare l''''allegato aumento di quota del terreno per cui è causa, nonché la classificazione dei lavori effettuati in relazione alla disciplina urbanistica, edilizia e ambientale, nazionale e locale. (b) per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da -OMISSIS- il 20/11/2023: - dell'atto Prot -OMISSIS-di "Accertamento inottemperanza a ingiunzione alla rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi - acquisizione al patrimonio del Comune.", notificato in pari data, emesso dal -OMISSIS- -OMISSIS-, Area Tecnica, Sportello Unico Edilizia - Urbanistica, a firma del Responsabile del Servizio, l''-OMISSIS- (doc. n. 1 a-b-c-d), - dell'ordinanza n. -OMISSIS- avente ad oggetto: "Irrogazione sanzione pecuniaria (art. 31 comma 4 bis del D.P.R. 380/2001 e succ. mod.) per inottemperanza all'ordine di rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi", emessa dal -OMISSIS- -OMISSIS-, Area Tecnica, Sportello Unico Edilizia - Urbanistica, a firma del Responsabile del Servizio, l'-OMISSIS- (doc. n. 2 a-b-c-d-e-f) e, per quanto occorrer possa, - del "Verbale di accertamento dell''inottemperanza all''ordinanza di rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi n. -OMISSIS-, redatto dagli accertatori comunali,-OMISSIS- e-OMISSIS-(doc. n. 3) - degli atti presupposti, conseguenti e, comunque, connessi, anche non cogniti, nonché per la condanna - del -OMISSIS- -OMISSIS- al risarcimento di tutti i danni patiti e patendi da parte della Società ricorrente, derivanti dagli atti impugnati, nella misura da precisarsi e provarsi in corso di causa, oltre interessi e svalutazione monetaria. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2024 il dott. Luigi Rossetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ricorrente è proprietaria del terreno sito in -OMISSIS-, senza numero civico, identificato nel catasto dei terreni del predetto Comune al-OMISSIS- ricadente all'interno del perimetro del -OMISSIS- e avente destinazione urbanistica "ATRE: ambito di trasformazione residenziale esogena ecosostenibile, area urbana edificabile". Nel mese di novembre del 2022, avviava sul citato fondo opere in edilizia libera di "scorticamento" o "decorticazione" (id est, rimozione della vegetazione e delle radici) con susseguente stesura a secco di inerte certificato drenante per sottofondo. A tal fine, in data 11.11.2022, presentava CIL per "opere in edilizia libera per la movimentazione dello strato superficiale di terreno vegetale con stesura a secco di inerte certificato e drenante per sottofondo nei mapp.-OMISSIS-siti in -OMISSIS-(-OMISSIS-), -OMISSIS-". La CIL veniva in seguito ritirata sul presupposto che le opere rientrassero nel paradigma dell'edilizia libera. In data -OMISSIS-, il Responsabile dell'Area Tecnica del -OMISSIS- effettuava sopralluogo rilevando quanto segue: "a) è stato effettuato lo scavo di sbancamento del terreno vegetale; b) su gran parte del mappale è stato riportato dell'inerte ad una quota superiore a quella originaria del terreno; c) per la rimanente parte del mappale non interessata al riporto dell'inerte, è rimasto il terreno scavato; d) non si rilevano, per quanto visibile, opere impiantistiche quali fognature, linee acquedottistiche, linee elettriche, linee telefoniche. I lavori realizzati sopra menzionati, sono da classificare come "intervento di nuova costruzione" ai sensi della lettera E dell'art. 3 DPR 380/2001 in quanto atti alla trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e pertanto soggetti a titolo abilitativo; agli atti non risultano titoli edilizi relativi ai lavori rilevati. Inoltre, essendo l'area ricadente all'interno del perimetro del -OMISSIS-, per l'esecuzione degli interventi stessi necessita la preventiva autorizzazione paesaggistica ai sensi del Dlgs 42/2004, che agli atti non risulta essere stata rilasciata". A seguito del sopralluogo seguiva la "Comunicazione inizio del procedimento per accertamento di presunte violazioni alle norme in materia urbanistica-edilizia e di tutela del paesaggio ai sensi del d.p.r. 6 giugno 2001 n° 380, del d.lgs. n° 42 del 22.01.2004, della l.r. 11 marzo 2005 n° 12 e della legge n° 241 del 7 agosto 1990 e successive modifiche ed integrazioni". Alla comunicazione di avvio faceva seguito memoria difensiva della ricorrente. In data-OMISSIS- veniva adottata e notificata l'Ordinanza di demolizione-OMISSIS-, contenente l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi, che così testualmente riporta "... sono stati realizzati, nell'area sopra identificata, interventi di nuova costruzione in assenza di permesso di costruire e dell'autorizzazione paesaggistica, e senza la predisposizione della pianificazione attuativa ivi prevista dal P.G.T. vigente". Parte ricorrente contesta la suddetta qualificazione, ritenendo di poter sussumere l'intervento nell'ambito dell'art. 6 comma 1 lett. D) e E-ter) DPR 380/2001. Più precisamente, con il ricorso principale ed allegata istanza cautelare, notificati il 28.02.2023 e regolarmente depositati, l'ordinanza-OMISSIS-/2022 è stata impugnata deducendo i seguenti motivi di censura: 1)Travisamento ed erronea valutazione dei fatti: assenza di modificazione della quota del terreno e insussistenza della trasformazione urbanistica; 2) Difetto di istruttoria e difetto di motivazione: rilevazione tardiva di un fatto nuovo e non rispondente al vero; 3) Violazione degli artt. 3, lett. e),6, lett. d), e-bis) ed e-ter), DPR n. 380/2001: insussistenza dei presupposti per la qualifica di nuova costruzione; 4) Difetto di motivazione e violazione degli artt. 24 e 15 del PCT -OMISSIS- e del d.lgs. n. 42/2004; 5) Irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà del provvedimento. In data 21.03.2023, con memoria meramente formale, si costituiva il -OMISSIS- che provvedeva ad integrare le proprie argomentazioni difensive con memoria depositata in data 01.09.2023, concludendo per la reiezione del ricorso e della connessa istanza cautelare. All'udienza del 06.09.2023 l'istanza cautelare veniva respinta con Ordinanza di questo Tar n. 352/2023, depositata il 09.09.2023. In data 18.09.2023 i tecnici comunali provvedevano alla redazione del "Verbale di accertamento dell'inottemperanza all'ordinanza di rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi-OMISSIS- del -OMISSIS-", Prot.-OMISSIS-. Con ordinanza n. -OMISSIS-, l'amministrazione comunale provvedeva alla: "Irrogazione sanzione pecuniaria (art. 31 comma 4bis del D.P.R. 380/2001 e succ. mod.) per inottemperanza all'ordine di rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi". In data -OMISSIS-, la stessa amministrazione provvedeva, altresì, ad adottare e a notificare atto -OMISSIS- di "Accertamento inottemperanza a ingiunzione alla rimozione di opere abusive, con ripristino dello stato dei luoghi - acquisizione al patrimonio del Comune". Il Consiglio di Stato, in riforma dell'Ordinanza cautelare di questo TAR n. 352/2023, disponeva di "accogliere l'appello cautelare, mantenendo la res adhuc integra fino alla definizione del merito della controversia", con provvedimento n. -OMISSIS-. Con memoria depositata in data 20.11.2023 veniva integrato il Collegio difensivo con ulteriore difensore. Con ricorso per motivi aggiunti ed allegata istanza cautelare, notificati in data 16.11.2023 e regolarmente depositati, la società ricorrente ha impugnato i successivi provvedimenti di accertamento e sanzionatori sopra richiamati, invocando: 6) Illegittimità derivata con riferimento ai motivi da I a V dedotti con il ricorso principale; 7) Violazione di legge - Eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto - Difetto di istruttoria - Contraddittorietà manifesta; 8) Violazione di legge per violazione e falsa applicazione dell'art. 3, L.n. 689/81 in relazione all'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 31, commi3, 4 e 4 bis, D.P.R. n. 380/2001 - Eccesso di potere per falso presupposto di fatto e di diritto - Difetto di istruttoria. In data 15.12.2023 entrambe le parti depositavano memorie. Con ordinanza cautelare n. 498/2023, questo TAR sospendeva l'efficacia degli atti impugnati nei motivi aggiunti. In vista dell'udienza di discussione venivano depositate da entrambe le parti memorie e repliche ex art. 73 cod.proc.amm. All'udienza del 09.05.2024 l'affare è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Sul ricorso principale: profili urbanistici Il primo, il secondo e il terzo motivo di censura possono essere congiuntamente esaminati poiché strettamente connessi. Con il primo motivo di censura, ulteriormente argomentato nel ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente sostiene che il presupposto fattuale da cui parte l'amministrazione, ovvero l'innalzamento della quota originaria del terreno, sarebbe frutto di un travisamento, perché l'accertamento è intervenuto a lavori non ancora conclusi, con mezzi grossolani ed approssimativi, oltretutto senza indicare la quota originaria, in assenza di specifici e preesistenti punti di riferimento. In ogni caso, non vi sarebbe stata alcuna alterazione del terreno, né trasformazione dell'area in senso edificatorio. Le opere sarebbero invece da ricondursi all'edilizia libera, ed irrilevante sarebbe la circostanza che tali opere possano essere funzionali alla futura attuazione del comparto. Con il secondo motivo di censura si lamenta che l'amministrazione sarebbe incorsa in difetto di istruttoria e carenza di motivazione. Invero, contrariamente a quanto rilevato nella comunicazione di chiusura del procedimento sanzionatorio, il legale rappresentante della società ricorrente non avrebbe mai dichiarato l'ultimazione dei lavori. Anche per tale motivo, la presunta modifica della quota originaria del terreno sarebbe insussistente, mancando la fase del compattamento dell'inerte sull'intera area. Con il terzo motivo di censura si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, co. 1, lett. e), DPR n. 380/2001, in quanto l'intervento contestato rientrerebbe nell'opera di livellamento del terreno, inidonea alla trasformazione dei luoghi e alla modifica della destinazione urbanistica. Le opere intraprese rientrerebbero nell'ambito degli interventi di movimentazione terra (di cui all'art. 6, co. 1, lett. d), DPR n. 380/2001) e di pavimentazione di aree pertinenziali (di cui alla lett. e-ter della medesima disposizione). Si tratterebbe, pertanto, di "edilizia libera". Il Collegio non condivide. Le opere in contestazione hanno interessato un'area di oltre 16.000 mq. Esse, al di là delle contestate qualificazioni, sono consistite in imponenti interventi di rimozione vegetazione, movimento terra e livellamento del terreno preesistente con stesura a secco di materiale inerte con funzione drenante per sottofondo. Come desumibile dalla documentazione fotografica, compresa quella prodotta dalla ricorrente, la complessiva attività ha avuto quale effetto, in alcuni punti, l'aumento della quota originaria del terreno, mentre in altri punti è rimasto il terreno scavato. Negli atti di causa si afferma invece che: - il mappale in questione sarebbe "oggetto di intervento con semplici opere in edilizia libera per allestimenti con opere provvisionali al fine della predisposizione alla cantierizzazione dell'area", così pag. 6 della Relazione tecnica di parte ricorrente; - l'intervento integrerebbe "un'opera di edilizia libera prodromica alla futura realizzazione di interventi per i quali occorrerà invece il rilascio del permesso di costruire", così l'istanza di fissazione udienza del ricorso introduttivo. Queste affermazioni, che tendono a sminuire il rilievo dell'intervento, non sono in realtà utili alla parte ricorrente. L'intervento sembra in effetti svolgere anche una funzione strumentale alla realizzazione di opere edilizie rientranti nelle intenzioni future della società, e per le quali la stessa procederà a richiedere apposito titolo. Potrebbe quindi anche trattarsi di un intervento connesso con il futuro intervento edilizio al quale funzionalmente tende. Tuttavia, quello che rileva è che l'estensione territoriale della superficie interessata dalla complessiva attività è tale da non consentire la diluizione della percezione di quanto realizzato. Emerge immediatamente l'alterazione di un'intera zona non marginale o limitata del territorio. Ne consegue che per legittimare l'intervento repressivo dell'amministrazione non era necessaria la precisa individuazione della misura dell'innalzamento della quota originaria del terreno e dei singoli punti in cui l'innalzamento è presente. A fronte di un'alterazione evidente e massiva del territorio sarebbe eccessivo e sproporzionato esigere misurazioni di dettaglio, le quali sono utili tipicamente in relazione a interventi minori e circoscritti, dove è necessario effettuare una più precisa ponderazione per stabilire se le opere abusive presentino una reale attitudine alla trasformazione dei luoghi. Nel caso in esame, l'aumento della quota del terreno, a seguito delle opere contestate, è un elemento evidenziato nel verbale di sopralluogo dell'-OMISSIS- e nella comunicazione di avvio del procedimento edilizio. Esso, tuttavia, non è presente nell'ordinanza ripristinatoria impugnata, che qualifica correttamente il risultato quale nuova costruzione, secondo una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, considerando la complessiva portata dell'operazione di livellamento, aggravata dalla fragilità di un contesto territoriale sottoposto a vincolo paesaggistico. Ciò in aderenza al consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio va complessivamente riferito all'insieme delle opere nel loro sinergico impatto edilizio. In questo quadro, non appare condivisibile l'argomento di parte ricorrente secondo cui il sopralluogo sarebbe stato effettuato prima del completamento dei lavori, quando ancora non si era formato il presupposto giuridico dell'azione repressiva. Questa tesi, infatti, sembra implicare l'irrilevanza del "non finito", e conseguentemente l'obbligo per l'amministrazione di tollerare indefinitamente la prosecuzione della modifica del territorio da parte del privato, sottraendo quest'ultimo alle sanzioni reali e pecuniarie fino a quando non venga dichiarata l'ultimazione dei lavori. In realtà, quando la consistenza degli interventi senza titolo raggiunge la soglia della nuova costruzione (nell'accezione ampia che comprende anche la significativa alterazione del terreno) l'amministrazione ha il dovere di imporre la rimessione in pristino, fotografando l'abuso a quella data. Da qui in avanti si discute soltanto delle modalità del ripristino, e dell'eventuale possibilità di ridurre materialmente l'abuso entro una categoria urbanisticamente conforme. Nel caso in esame, pertanto, le ragguardevoli dimensioni dell'intervento imponevano al Comune i dovuti accertamenti, anche in considerazione del vincolo paesaggistico ivi insistente: l'impatto di un'opera che investe 16.000 mq di suolo consente l'immediata percezione, anche a lavori non ultimati, dei profili di definitività della trasformazione, verosimilmente non destinata a essere eliminata ad esecuzione completata. La documentazione fotografica allegata al verbale di sopralluogo, atto pubblico fidefacente fino a querela di falso, conferma quanto osservato. A ciò si deve aggiungere che l'assenza di titolo legittimante l'intervento non ha posto l'amministrazione nelle condizioni di effettuare un'adeguata istruttoria su lavori assentiti e lavori realizzati, affinché la ricorrente potesse conformarsi al titolo nella fase di esecuzione/ultimazione dell'intervento. Ricapitolando, il Collegio ritiene che l'abuso si fosse già formato al momento dell'accertamento, e che comunque la successiva fase di compattamento e livellamento dell'inerte sull'intera area, tenendo conto dell'estensione della superficie interessata, non avrebbe mitigato l'impatto complessivo della modifica del territorio affinché la stessa potesse essere considerata tale "da non necessitare in alcun modo di modelli comunicativi o dichiarativi nei confronti della Pubblica Amministrazione" (Cons. di Stato 21/07/2016 n. 1367). Sulla base di quanto sopra rilevato, questo Tribunale ritiene che l'intervento posto in essere non sia riconducibile né all'ambito degli interventi di movimentazione terra (art. 6, co. 1, lett. d), DPR n. 380/2001) né all'attività pavimentazione di aree pertinenziali (art. 6, co. 1, lett. e-ter, DPR n. 380/2001). La prima ipotesi è da escludere in quanto tali opere devono essere connesse strettamente all'esercizio di attività agricole o agro-pastorali. Come già rilevato in sede cautelare, "le attività di sbancamento e di scavo, per usi diversi da quelli agricoli, ove siano tali da comportare un'immutazione dello stato dei luoghi, devono essere assentiti con permesso di costruire e, se eseguiti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, necessitano altresì dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 Dlgs 42/2004"(TAR Molise n. 40/2023), inoltre "le opere di scavo, sbancamento e livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono soggette a titolo edilizio e sono, quindi, illegittime se eseguite in mancanza di autorizzazione" (TAR Napoli 3874/2020). Anche per ciò che concerne l'attività di pavimentazione e finitura di aree pertinenziali, la consistente dimensione dell'area esclude che possa configurarsi un'attività edilizia libera, come prospettato da parte ricorrente. Sul punto: "Deve escludersi che nell'assoggettare al regime di edilizia libera la realizzazione di interventi di pavimentazione di spazi esterni, entro i prescritti limiti di permeabilità del fondo, il legislatore abbia inteso consentire la facoltà di coprire liberamente e senza alcun titolo qualunque estensione di suolo inedificato, salvo soltanto il rispetto di tali limiti. E ciò in quanto la pavimentazione di aree esterne: (i) è di per sé idonea a trasformare permanentemente porzioni di suolo inedificato; (ii) riduce la superficie filtrante, con la conseguenza che - anche se contenuta nei prescritti limiti di permeabilità - incide comunque sul regime del deflusso delle acque dal terreno; (iii) è percepibile esteriormente, per cui presenta una potenziale rilevanza sotto il profilo dell'inserimento delle opere nel contesto urbano; (iv) determina la creazione di una superficie utile, benché non di nuova volumetria" (Consiglio di Stato sez. VI, 20/02/2024, n. 1659). In ragione di quanto sopra, risulta legittima la qualificazione di "nuova costruzione" operata dall'amministrazione procedente. Per la giurisprudenza consolidata, la 'costruzionè è ravvisabile ogni qualvolta "l'intervento edilizio produca un effettivo e rilevante impatto sul territorio e, dunque, in relazione alle opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo e sul suolo, se idonee a modificare lo stato dei luoghi determinandone una significativa trasformazione" (Cons. Stato, Sez. VI, 03/04/2024, n. 3031). È necessario il rilascio del permesso per le opere di qualsiasi genere che modifichino il suolo e lo stato dei luoghi, determinandone una significativa trasformazione (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 29 novembre 2023, n. 10291; Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2023), pur quando si tratti di movimento terra, in assenza di volumi e per realizzare una strada (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 24 marzo 2020, n. 2050). I principi sopra richiamati consentono di ritenere l'intervento, per la sua notevole entità e nonostante la preesistente vocazione edificatoria dell'area in cui lo stesso è stato realizzato, una nuova costruzione sottoposta al vincolo della pianificazione attuativa, come da PGT del Comune resistente. Correlativamente, l'assenza di titolo legittimante tale attività configura un abuso edilizio, trattandosi di un intervento di "trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio", subordinato al permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10 comma 1 lett. a) del T.U.E. 2. Sul ricorso principale: profili paesaggistici Con il quarto motivo di ricorso, la società ricorrente deduce che le opere intraprese, poiché rientranti nell'"edilizia libera", sarebbero del tutto irrilevanti sotto il profilo paesaggistico, per cui non richiederebbero la preventiva autorizzazione ai sensi del D.Ls. 42/2004, né il preventivo parere dell'Ente gestore del -OMISSIS-, esulando dall'applicazione degli artt. 24, comma 2, 13 e 15 della NTA. Si tratterebbe inoltre di intervento rientrante nella categoria opere minori, in assenza di volumi e superfici, per le quali, l'art. 149 Dlgs 42/2004 esclude la necessità della preventiva autorizzazione paesaggistica, poiché non idonee ad alterare la conformazione del territorio. L'elencazione delle attività esentate dalla necessità dell'autorizzazione paesaggistica, secondo il MIBACT, non avrebbe carattere tassativo. Il preventivo provvedimento autorizzatorio, in sostanza, sarebbe richiesto solo a condizione che l'attività intrapresa possa considerarsi di rilevanza paesaggistica ed incidere, per tale via, sull'interesse pubblico tutelato. In subordine, l'intervento sarebbe sanabile mediante la procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all'art. 167, co. 4, del citato D.Lgs. n. 42/2004. Infine, l'intervento realizzato non sarebbe soggetto neanche al parere obbligatorio dell'ente gestore di cui all'art. 13 delle NTA del -OMISSIS- Il Collegio non condivide. Come più sopra già rilevato, l'intervento, qualificato dall'ente locale quale "nuova costruzione", è stato realizzato in area ricompresa nel perimetro del -OMISSIS-, zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Il rilievo del Comune circa la necessità di conseguire la preventiva autorizzazione paesaggistica, pertanto, appare coerente e sufficientemente motivato. Le caratteristiche concrete dell'intervento contestato risultano idonee ad escludere che possa trattarsi di una manutenzione ordinaria o straordinaria, come tale esente da preventiva autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell'art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004. L'impattante opera di decorticazione, movimento terra, livellamento e stesura di inerte su 16.000 mq, in zona vincolata, non pare possa afferire a prerogative dominicali non comprimibili mediante poteri conformativi posti a tutela di specifiche esigenze di tutela paesistica. Ciò a prescindere dalla presenza di volumi e superfici. Con maggiore specificazione, il Collegio osserva che la dimensione dell'intervento contestato, a prescindere dalle qualificazioni urbanistico-edilizie, comporta una chiara lesione dell'interesse pubblico alla conservazione dello scenario paesaggistico circostante. L'amministrazione non è quindi incorsa in un difetto di istruttoria o di motivazione omettendo di valutare l'eventuale sussumibilità dell'intervento tra le attività esentate dal titolo paesaggistico ex art. 149 DLgs. 42/2004. Questo vale anche se si volesse considerare l'attività contestata quale attività edilizia libera, in quanto l'art. 6 comma 1 del DPR 380/2001 contiene una clausola di salvezza che conserva per questo tipo di attività l'obbligo di chiedere una previa autorizzazione paesaggistica ("Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienicosanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i seguenti interventi sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo"). Riassuntivamente, il Collegio ritiene che non si tratti di opere irrilevanti quanto a impatto paesistico, né di opere esentate dall'obbligo dell'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 149 Dlgs 42/2004. Tanto basta a sancire la legittimità dell'ordine di ripristino. Sotto il profilo della sanabilità di quanto realizzato, non risulta agli atti che la società ricorrente abbia richiesto l'accertamento ex art. 167 comma 4 DLgs 42/2004. Valutazioni a tale riguardo non possono quindi essere svolte nella presente sentenza. Con il quinto motivo di ricorso, la società ricorrente deduce l'irragionevolezza, illogicità e contraddittorietà dell'ordinanza impugnata. In particolare, la sanzione ripristinatoria si rivelerebbe manifestamente sproporzionata rispetto ad un intervento manutentivo di mero livellamento, senza innalzamento della quota originaria del terreno e senza realizzazione di manufatti e/o impianti. Il motivo è infondato. Come è stato evidenziato sopra, l'amministrazione ha adottato l'ordinanza ripristinatoria a fronte di un intervento di consistente impatto sia urbanistico sia paesistico, in area soggetta a vincolo paesaggistico, con manifesta trasformazione dei luoghi, il tutto in assenza di idoneo titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica. Sono quindi soddisfatti tutti i parametri che giustificano la rimessione in pristino. Il carattere vincolato della misura repressiva, che è finalizzata a ricostituire l'ordine urbanistico e paesistico violato, esclude valutazioni discrezionali potenzialmente foriere di lesioni al principio di proporzionalità . 3. Sul ricorso per motivi aggiunti Nei motivi aggiunti sono impugnati i provvedimenti successivi (accertamento dell'inottemperanza, acquisizione al patrimonio comunale, sanzione pecuniaria). Con il primo motivo di censura del ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente deduce l'illegittimità derivata di tali provvedimenti, poiché aventi quale atto presupposto l'ordinanza ripristinatoria-OMISSIS-/2022. Il motivo è infondato. Sulla base di quanto sopra osservato in relazione al ricorso principale, l'ordinanza ripristinatoria deve ritenersi legittima e, per tale via, nessuna illegittimità derivata affligge i provvedimenti impugnati con il ricorso in aggiunzione. Con il secondo motivo di censura del ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente deduce che l'amministrazione comunale avrebbe nuovamente errato nella qualificazione della fattispecie. Vi sarebbe poi sproporzione, in quanto risulta acquisita un'area di complessivi 20.000 mq, che ricomprende anche la porzione di area, pari a 6.000 mq, non interessata dal riporto del materiale inerte ma costituente "terreno scavato", come evidenziato nel verbale di sopralluogo dell'-OMISSIS-. Il Collegio non condivide. Anche le aree di "terreno scavato", qualificate dall'amministrazione comunale quale "scavo di sbancamento del terreno vegetale" costituiscono elemento integrante della complessiva valutazione di abusività dell'intervento. Lo scavo su ampia scala richiede infatti uno specifico titolo edilizio, in quanto modifica in modo permanente la consistenza e la conformazione del suolo. Risulta, pertanto, legittimo l'inserimento della porzione di "terreno scavato" nella superficie acquisita di diritto al patrimonio comunale. Con il terzo motivo di censura del ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente afferma che, dopo la pubblicazione dell'ordinanza cautelare di rigetto dell'istanza di sospensione, l'amministrazione comunale avrebbe tenuto una condotta illegittima oltre che scarsamente collaborativa. Difatti, la stessa avrebbe provveduto ad irrogare la sanzione acquisitiva nonostante la società ricorrente, in data -OMISSIS-, avesse "segnalato l'impossibilità di svolgere le opere di ripristino in una durata inferiore ai 30 giorni lavorativi". In sintesi, nonostante la volontà collaborativa della società ricorrente e la richiesta di beneficiare di un termine per adempiere spontaneamente, l'amministrazione comunale avrebbe irrogato la sanzione acquisitiva. Tale sanzione si rivelerebbe illegittima anche perché irrogata in assenza di un addebito di responsabilità nei confronti della ricorrente. Le opere sarebbero state intraprese nella più totale buona fede, atteso che i tecnici comunali avrebbero "suggerito" la riconducibilità delle stesse nel paradigma dell'edilizia libera. L'amministrazione comunale, prima di adottare il provvedimento acquisitivo, non avrebbe effettuato alcuna doverosa valutazione in merito all'assenza di colpa e alla totale buona fede della società ricorrente. La censura non è condivisibile. Va ricordato che la società ricorrente entro il termine di 90 giorni dall'ingiunzione, notificata il-OMISSIS-, non ha provveduto ad alcuna attività di ripristino del territorio né alla presentazione di sanatoria. Tale comportamento determina ope legis l'acquisizione al patrimonio comunale dell'intera area di insistenza dell'opera abusiva, rendendo doverosa la successiva attività sanzionatoria posta in essere dall'amministrazione ed impugnata con i motivi aggiunti. L'inerzia mantenuta dalla società ricorrente nel suddetto segmento temporale, nonostante la piena disponibilità materiale e giuridica del bene, è una circostanza oggettiva, che può essere superata solo dalla prova della maturazione di un affidamento tutelabile. Quest'ultimo non può derivare da asseriti suggerimenti informali di singoli funzionari comunali, in quanto incombe al privato l'onere di provocare un nuovo pronunciamento espresso dell'amministrazione mediante una specifica richiesta di dilazione. Quando la richiesta di un termine dilatorio di almeno 30 giorni è stata avanzata, in data -OMISSIS-, era ormai tardi per evitare l'effetto della perdita della proprietà . In ogni caso, il convincimento della liceità delle opere compiute non costituisce per sé un'esimente, e potrebbe fondare un utile affidamento in capo al privato solo se non accompagnato da concrete, reiterate ed univoche condotte dell'amministrazione, tali da far emergere una manifesta contraddittorietà o un'oggettiva incertezza sulla necessità di procedere al ripristino. In proposito non risulta però fornito alcun principio di prova. La legittimità dei provvedimenti impugnati esclude in radice la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata. La complessità della vicenda e delle questioni trattate suggerisce l'integrale compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, così dispone: - respinge il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti; - compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la società ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron - Presidente Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere Luigi Rossetti - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 671 del 2023, proposto da Gu. Er., rappresentato e difeso dagli avvocati En. Ba. e Gi. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Za. in Brescia, via (...); contro Società di Progetto Au. Pa. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Re., Ni. Sa. ed En. Fo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Po. e Ra. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso gli uffici dell'Avvocatura provinciale in Brescia, (...); Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento della nota di Au. Pa. s.p.a. del 17 luglio 2023 prot. 2489/u, di rigetto dell'istanza proposta in data 16 giugno 2023 dal ricorrente, intesa a chiedere la restituzione o in alternativa l'acquisizione sanante dei propri terreni in (omissis) mappali nn. (omissis) di cui al fg. (omissis), rispettivamente di mq. 50, 125, 30, 4.865, 45, 340 e 6.890, e mappale n. (omissis) di cui al fg. (omissis), di mq. 11.835. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società di Progetto Au. Pa. S.p.A., della Provincia di Brescia e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 luglio 2024 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Antefatto. 1.1. Con sentenza n. 1864 del 23 febbraio 2023, il Consiglio di Stato, Sezione IV, in riforma della sentenza del TAR Brescia, Sezione II, n. 1130 del 29 novembre 2018, annullava il decreto di esproprio adottato il 1° marzo 1999 dalla Provincia di Brescia in relazione ad alcuni terreni di proprietà del sig. Gu. Er., siti nel Comune di (omissis), già ricompresi nel fondo agricolo denominato "Navate" (segnatamente, i mappali nn. (omissis) di cui al fg. (omissis), e mappale n. (omissis) di cui al fg. (omissis)), terreni già occupati dalla Provincia di Brescia nei primi anni '90 per realizzare, come poi effettivamente avvenuto, la S.P. (omissis). 1.2. Il decreto di esproprio era annullato dal giudice di appello perché adottato oltre i termini indicati nella dichiarazione di pubblica utilità (quarantotto mesi a decorrere dal 20 ottobre 1992). 1.3. Per effetto del disposto annullamento, il giudice di appello riteneva non perfezionato il procedimento di esproprio nei riguardi delle aree oggetto di giudizio e per l'effetto condannava la Provincia di Brescia: a) a provvedere alla restituzione del bene al suo legittimo proprietario, sig. Gu. Er., previa rimozione delle opere pubbliche ivi realizzate, ovvero, alternativamente, all'eventuale acquisizione dello stesso ai sensi dell'art. 42 bis D.P.R. 327/2001, ove ritenuto attuale e prevalente l'interesse pubblico a tale acquisizione; b) a corrispondere al ricorrente il risarcimento del danno causato dalla illegittima occupazione delle aree, nei limiti delle porzioni di terreno effettivamente occupate e per il periodo antecedente al quinquennio rispetto alla proposizione del ricorso di primo grado; a questo riguardo, il giudice di appello demandava all'amministrazione provinciale di quantificare tale danno, ai sensi dell'art. 34 comma 4 c.p.a., in ragione dei criteri indicati nell'art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, con la precisazione che, in caso di acquisizione sanante, la medesima posta risarcitoria sarebbe confluita nell'indennizzo dovuto ai sensi di detta norma. 2. Il procedimento amministrativo di esecuzione del giudicato di appello. 2.1. In esecuzione della predetta sentenza del giudice di appello, la Provincia di Brescia, con nota del 12 giugno 2023, avviava il procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. 327/2001 dei terreni oggetto di giudicato, dandone comunicazione al proprietario e alle Amministrazioni interessate. In tale comunicazione la Provincia precisava, peraltro, che nelle more del giudizio di appello le aree di proprietà del ricorrente erano state consegnate formalmente, con verbale del 9 luglio 2020, alla Società di progetto Au. Pa. s.p.a., concessionaria della tratta autostradale (omissis) Piacenza-Cremona-Brescia e diramazione per (omissis), in forza di convenzione stipulata con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in data 31 luglio 2017; ciò al fine di consentire alla concessionaria la realizzazione del raccordo autostradale tra il casello di (omissis) dell'autostrada (omissis) e il casello di (omissis) dell'autostrada (omissis), all'interno del quale sarebbe stato inglobato anche il tratto di S.P. (omissis) interessante i terreni in questione. 2.2. La Provincia precisava inoltre che era stato effettuato un sopralluogo da parte di propri funzionari in data 24 maggio 2023 (di cui allegava il relativo verbale), dal quale era risultato che tutte le aree di proprietà del ricorrente a suo tempo espropriate erano state irreversibilmente trasformate, "sia per la corrispondenza con il vecchio sedime della SP (omissis) (in parte) che con l'attuale area di cantiere dei lavori di allargamento della medesima SP (omissis), nonché con opere pertinenziali già realizzate ed ultimate: ad es., la scarpata adibita a sostegno della nuova SP (omissis), il nuovo tracciato già destinato a viabilità, l'area a verde cintata con rete metallica, ecc.)". 2.3. Alla luce di tali rilievi, la Provincia invitava il proprietario dei terreni, il Ministero delle Infrastrutture e dei Traporti e la società concessionaria Au. Pa. s.p.a. ad una valutazione congiunta dell'istruttoria necessaria per la conclusione del procedimento, anche al fine di raggiungere una soluzione condivisa dal Ministero, destinatario della trascrizione finale e della voltura catastale al demanio dello Stato delle aree in questione. 2.4. Nell'ambito di tale procedimento, il ricorrente presentava osservazioni rilevando come, in virtù di quanto previsto dall'art. 42 bis D.P.R. 327/2001, la decisione in ordine alla restituzione del bene ovvero all'adozione del provvedimento di acquisizione sanante competesse ad Au. Pa., precisando, in ogni caso, che non si sarebbe opposto all'acquisizione sanante del compendio. 2.5. Il procedimento avviato dalla Provincia si articolava, a stretto giro, in alcuni incontri e in scambi di note scritte tra le parti interessate, in particolare: - Au. Pa., con nota dell'11 luglio 2023, declinava ogni competenza in ordine alle determinazioni da assumere per l'attuazione del giudicato, sul duplice rilievo che: (i) essendo stato il procedimento di acquisizione sanante già avviato dalla Provincia, sarebbe spettato a quest'ultima di concluderlo; (ii) la stessa sentenza del Consiglio di Stato n. 1864/2023 era stata emessa nei confronti della sola Provincia di Brescia, a cui pertanto sarebbe spettato eseguirla; - il Ministero, dal canto suo, ribadiva con plurime comunicazioni (del 24.7.2023, 27.07.2023 e 8.8.2023) la propria estraneità al procedimento e alla vicenda de qua. 3. Il ricorso in esame. 3.1. Con ricorso notificato in data 8 settembre 2023 e ritualmente depositato, il sig. Gu. Er. ha impugnato dinanzi a questo TAR la predetta nota di Au. Pa. dell'11 luglio 2023, con cui questa ha declinato ogni competenza ad adottare il provvedimento ex art. 42 bis, e ne ha chiesto l'annullamento sulla base di un unico motivo, con cui ha dedotto la violazione dell'art. 42 bis D.P.R. 327/2001. 3.2. Il ricorrente, richiamando i principi affermati dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 658/2023 in relazione ad una vicenda analoga, ha contestato la legittimità della posizione assunta dalla concessionaria ministeriale, rilevando come ai sensi del citato art. 42 bis, l'autorità a cui va rivolta l'istanza di acquisire o restituire l'area è quella che attualmente la occupa e la utilizza e che pertanto è nelle condizioni materiali di provvedere, salva la possibilità per la stessa di agire successivamente in rivalsa nei confronti del soggetto pubblico responsabile della procedura espropriativa illegittima (e quindi, nel caso di specie, della Provincia di Brescia) per ottenere il ristoro delle somme corrisposte al proprietario ai sensi dell'art. 42 bis; qualora invece Au. Pa. decidesse di provvedere alla restituzione del bene e alla rimessione in pristino, le somme dovute al proprietario a titolo di risarcimento del danno per l'occupazione illegittima sarebbero a carico della sola Provincia, come peraltro già statuito dal giudicato. 3.3. Ha precisato il ricorrente di agire nel presente giudizio esclusivamente al fine di conseguire l'attuazione del giudicato da parte del soggetto istituzionalmente onerato, ossia Au. Pa., e quindi al fine di indurre quest'ultima ad adottare, alternativamente, o un provvedimento di restituzione del bene ovvero un provvedimento di acquisizione sanante; per contro, non formano oggetto del presente giudizio eventuali pretese risarcitorie del ricorrente nei confronti della Provincia di Brescia nel caso in cui Au. Pa. dovesse propendere per la restituzione delle aree, e così anche eventuali domande indennitarie ex art. 42 bis nel caso in cui la concessionaria dovesse invece propendere per l'acquisizione sanante delle aree, essendo tali profili di competenza del giudice ordinario. 3.4. In conclusione, il ricorrente ha quindi chiesto l'annullamento del provvedimento impugnato e la condanna della Società di Progetto Au. Pa. s.p.a., a restituire i mappali indicati in narrativa o, in alternativa, ad acquisirli ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, con ogni conseguenza di legge. 4. Svolgimento del giudizio. 4.1. La Provincia di Brescia si è costituita in giudizio depositando documentazione e memoria difensiva, condividendo gli argomenti di parte ricorrente e chiedendo l'accoglimento del ricorso. 4.2. In giudizio si è costituita anche la Società di progetto Au. Pa. s.p.a., depositando documentazione e memorie difensive, eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso in quanto diretto avverso un atto meramente endoprocedimentale e non immediatamente lesivo, con cui la deducente non avrebbe definitivamente negato la pretesa sostanziale del ricorrente, ma si sarebbe limitata a rilevare come la stessa fosse stata già "presa in carico" dalla Provincia di Brescia, la quale si sarebbe già previamente determinata ad addivenire all'acquisizione sanante dei mappali. In subordine, nel merito, Au. Pa. ha contestato la fondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto, evidenziando la propria estraneità sia al giudicato che al successivo procedimento amministrativo ex art. 42 bis; quest'ultimo sarebbe stato attivato doverosamente dalla (sola) amministrazione provinciale, non soltanto in ottemperanza all'ordine giudiziale, ma anche in ossequio agli accordi intercorsi con la deducente nel verbale di consegna delle aree in questione - verbale costituente accordo ex art. 15 L. 241/90 - nel quale era stato convenuto che "Au. Pa. rimarrà estranea a qualsiasi vertenza sorta per qualunque causa in dipendenza della gestione provinciale del predetto tratto di strada precedente alla data del presente atto di consegna. Pertanto, qualora Au. Pa. dovesse comunque essere interessata da qualsiasi vertenza di tale natura, la Provincia terrà indenne e manlevata la prima in relazione alle stesse"; inoltre, nello stesso verbale era stato pure convenuto che il passaggio delle aree dal demanio provinciale a quello statale sarebbe avvenuto a titolo gratuito ("senza che perciò la Provincia possa chiedere ad Au. Pa. alcun indennizzo"). Secondo la concessionaria, inoltre, la competenza della Provincia ad avviare e concludere il procedimento in questione sarebbe confermata dalla circostanza che la Provincia, nel consegnare formalmente le aree espropriate alla concessionaria, non si sarebbe spogliata di ogni potere in relazione alle medesime, avendo conservato a proprio carico "le attività antighiaccio o di sgombro neve ", il "servizio di pronta reperibilità ", le attività di " manutenzione straordinaria ", nonché la gestione delle "richieste ed autorizzazioni al transito dei trasporti eccezionali". 4.3. All'udienza pubblica del 10 luglio 2024, dopo la discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione. 5. Decisione. 5.1. Sull'eccezione preliminare formulata da Au. Pa.. L'eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso formulata da Au. Pa. è infondata. 5.1.1. La nota di Au. Pa. dell'11 luglio 2023, impugnata dal ricorrente, esprime chiaramente la posizione definitiva della società in merito alla richiesta del ricorrente di assumere una determinazione, unitamente alla Provincia di Brescia, in merito alla acquisizione sanante dei terreni ovvero, in alternativa, alla riduzione in pristino e restituzione dei medesimi; la società evidenzia di ritenere "incomprensibile" la richiesta del proprietario, essendosi a suo dire la Provincia di Brescia già determinata ad addivenire all'acquisizione sanante del compendio ex art. 42 bis, conformemente, peraltro, alle statuizioni contenute nella sentenza del giudice di appello, che aveva individuato la sola Provincia di Brescia quale soggetto onerato dell'esecuzione del giudicato. Il contenuto assertivo della nota in esame, di esplicita declinatoria di ogni competenza della concessionaria a provvedere sull'istanza dell'interessato, rende evidente il suo carattere definitivo e immediatamente lesivo, rendendo quindi ammissibile la sua impugnazione da parte del ricorrente. 5.1.2. Peraltro, afferendo la controversia a materia rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 comma 1 lett. g) c.p.a., la domanda di parte ricorrente può essere interpretata, e quindi include implicitamente al suo interno, quelle di accertamento (del diritto ad ottenere una determinazione ex art. 42 bis) e di condanna (a provvedere). Anche sotto tale profilo, pertanto, il ricorso è suscettibile di esame nel merito. 5.2. Nel merito. Nel merito, il ricorso è fondato. 5.2.1. L'art. 42-bis comma 1 del D.P.R. n. 327 del 2001 stabilisce che "Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene". La norma in esame attribuisce dunque il potere di adottare il provvedimento di acquisizione sanante esclusivamente alla "autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità ". 5.2.2. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., di recente, sentenza Quarta Sezione n. 658 del 19 gennaio 2023) ha enucleato i principi generali desumibili da tale previsione normativa. Stante la piena attinenza di tali principi alla fattispecie in esame, si ritiene opportuno riportare alcuni estratti della sentenza in questione. Afferma il Consiglio di Stato, in detta pronuncia, che "(...) 11.1. La scelta di acquisire un bene occupato ed utilizzato sine titulo o di restituirlo va effettuata, infatti, esclusivamente dall'autorità che nell'attualità ha il rapporto fisico con il bene. La disposizione in parola attribuisce expressis verbis tale potere esclusivamente al soggetto pubblico che, di fatto, allo stato occupa e utilizza l'immobile e quindi trae vantaggio dalla relativa occupazione illegittima, essendo perciò irrilevante quale sia l'autorità che, a suo tempo, abbia dato inizio e proseguito la procedura espropriativa (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2015, n. 1514, richiamata dalla successiva sentenza di questa Sezione 28 maggio 2019, n. 3467, ove, al § 13.2, si afferma che "il soggetto che adotta il provvedimento ex art. 42 bis e corrisponde il valore venale deve e può rivalersi sul soggetto ritenuto responsabile della illegittimità della procedura espropriativa e condannato a corrispondere il risarcimento del danno, dovendo essere tenuta distinta la questione della responsabilità per l'illegittimità della procedura espropriativa seguita da quella dell'individuazione del soggetto competente, ex art. 42 bis del T.U. Espropriazione, all'acquisizione, quale autorità attualmente utilizzatrice del bene"). Quanto agli effetti conformativi del giudicato di annullamento del decreto di esproprio - che nel caso esaminato era stato adottato dalla Unità Tecnica Amministrativa della Presidenza del Consiglio - e all'incidenza sugli stessi di eventuali sopravvenienze di fatto o di diritto - rappresentate, nel caso esaminato, dalla circostanza che, attualmente, il bene illegittimamente occupato ed espropriato era utilizzato dalla Provincia di Salerno - la sentenza ha precisato: - "11.2. Il giudicato di cui si chiede l'ottemperanza deve infatti essere coordinato con la normativa vigente e con la conseguente necessità che gli adempimenti connessi vengano richiesti alla Provincia di Salerno, alla quale la ricorrente dovrà sollecitare i poteri di scelta, compresa l'attivazione o meno del citato art. 42 bis. 11.3. Nel processo amministrativo il contenuto dell'obbligo di ottemperanza al giudicato amministrativo va definito tenendo conto della questione dedotta in sede di cognizione e dell'effetto conformativo della decisione da ottemperare e, quindi, delle sopravvenienze di fatto e di diritto anteriori alla notificazione della sentenza medesima; di conseguenza le statuizioni di questa coperte dal giudicato possono essere ritenute insensibili ad esse solo nel caso in cui riguardino il riconoscimento di diritti puntuali, suscettibili di un'unica attuazione, in relazione ai quali sia possibile per il giudice individuare la normativa vigente e lo stato di fatto esistente al momento del riconoscimento del diritto medesimo. Invece, nel caso in cui la portata conformativa della sentenza annullatoria demandi, come nella specie, all'Autorità amministrativa il riesame della situazione incisa dall'illegittimo esercizio del potere, affinché la rivaluti nuovamente ed emani un nuovo atto emendato dai vizi originari, la pronuncia del giudice non può disporre per il futuro, statuendo l'insensibilità del riconoscimento della situazione giuridica soggettiva a qualsivoglia modifica, così inammissibilmente precludendo ope judicis l'efficacia di successive, eventuali modifiche normative; di conseguenza non si verifica l'elusione (né, tanto meno, la violazione) del giudicato amministrativo qualora la Pubblica amministrazione, in sede di riesame della vicenda, non attribuisca al ricorrente vittorioso l'utilità giuridica anelata a causa di uno ius superveniens che abbia modificato, rispetto alla disciplina vigente al momento dell'emanazione degli atti annullati, l'assetto dei poteri amministrativi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 23 luglio 2015, n. 3648). 11.4. Nella specie, peraltro, la sentenza di cui si chiede l'ottemperanza ha posto un comando giurisdizionale che, nella fase esecutiva, deve necessariamente concretizzarsi con il vigente quadro normativo, cui, del resto, la sentenza si è espressamente rimessa (cfr. § 13), in tal modo implicitamente riconoscendone il contenuto ed il perimetro applicativo; inoltre, la sentenza ottemperanda ha espressamente affermato che "l'intangibilità del giudicato copre il solo tratto dell'agire amministrativo già definito dalla regola data dal giudice, ma non anche il successivo tratto 'liberò dell'azione amministrativa, che resta invece disciplinato dalla regola legale" vigente ratione temporis, ossia appunto l'art. 42-bis, peraltro "idoneo a regolare ex tunc le fattispecie pregresse in virtù dell'espressa disposizione contenuta nel comma 8". Ha aggiunto, conclusivamente, la sentenza in esame: "12. Ciò che invece residua nell'orbita delle intimate Amministrazioni, in particolare a carico della Presidenza del Consiglio - Unità Tecnica Amministrativa, sono gli obblighi risarcitori conseguenti alla originaria occupazione, ovvero l'obbligo di risarcimento del danno da occupazione illegittima nei limiti temporali entro cui tale condizione è ad essa imputabile (ossia fino al momento in cui la competenza in materia di rifiuti è passata in capo alla Provincia), qualora la Provincia di Salerno scelga di restituire il bene, previa riduzione in pristino. 12.1. Viceversa, in caso di emanazione da parte della Provincia di provvedimento ex art. 42-bis, anche l'onere risarcitorio, nella misura stabilita dalla disposizione, graverà integralmente sulla Provincia: eventuali ragioni di rivalsa verso le Amministrazioni statali sono estranee al thema decidendum della presente controversia". Ebbene, applicando tali principi alla fattispecie in esame, è doveroso pervenire alle conclusioni che seguono. 5.2.3. Attualmente, i terreni oggetto di occupazione illegittima e del decreto di esproprio annullato dal giudice di appello con la sentenza n. 1864/2023 sono nell'esclusivo possesso di Au. Pa. s.p.a., in forza del verbale di consegna del 9 luglio 2020, che ha trasferito alla concessionaria ministeriale la disponibilità giuridica e materiale del compendio ai fini della realizzazione del raccordo autostradale tra il casello di (omissis) dell'autostrada (omissis) e il casello di (omissis) dell'autostrada (omissis), all'interno del quale sarebbero stati inglobati (come in effetti è avvenuto) i terreni di proprietà del ricorrente, che formano attualmente il sedime di un tratto della S.P. (omissis). 5.2.4. Dagli atti di causa - e in particolare dalla memoria della Provincia depositata in 6 giugno 2024, cfr. pagg. 14 e ss. - si evince che, attualmente, i lavori sono stati ultimati (quanto meno nella tratta del raccordo autostradale che interessa i mappali di proprietà del ricorrente), sicchè, allo stato, i terreni di proprietà del ricorrente sono stati definitivamente utilizzati e trasformati in sede autostradale, gestita da Au. Pa. in forza della citata convenzione con il MIT. Per tale motivo, alla stregua dei principi sopra esposti, dell'esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato n. 1864 del 2023 deve farsi carico Au. Pa. s.p.a., la quale è l'unica autorità che, allo stato, può valutare se è nelle condizioni materiali di restituire l'area al ricorrente, previa riduzione in pristino (eventualità, peraltro, del tutto inverosimile) ovvero se sussistano i presupposti di interesse pubblico per acquisirla ai sensi dell'art. 42 bis del TU espropri. 5.2.5. In tale contesto, è giuridicamente irrilevante la circostanza che la Provincia di Brescia abbia avviato il procedimento ex art. 42-bis, dal momento che, non essendo competente a concluderlo alla stregua di quanto sopra esposto, il medesimo dovrà necessariamente essere archiviato, pena l'adozione di un provvedimento illegittimo (o meglio radicalmente nullo) perché adottato in carenza assoluta di potere. 5.2.6. I limitati poteri di gestione mantenuti dalla Provincia di Brescia nel verbale di consegna del 9 luglio 2020 ("le attività antighiaccio o di sgombro neve", il "servizio di pronta reperibilità ", le attività di " manutenzione straordinaria ", nonché la gestione delle "richieste ed autorizzazioni al transito dei trasporti eccezionali") valevano evidentemente soltanto per la fase transitoria di realizzazione dei lavori autostradali; attualmente, peraltro, i lavori sono stati ultimati, secondo la non contestata deduzione della difesa provinciale, sicchè l'intera gestione del compendio, divenuto parte integrante del raccordo autostradale, è passata in carico al concessionario ministeriale. 5.2.7. Ne consegue, alla stregua dei principi sopra esposti, che ogni potere/dovere di determinazione ai sensi dell'art. 42 bis D.P.R. 327/2001 compete esclusivamente ad Au. Pa. s.p.a. Nel caso in cui quest'ultima dovesse propendere per l'acquisizione del compendio, graverà esclusivamente sulla medesima ogni onere economico discendente da tale provvedimento, fatta salva l'eventuale rivalsa nei confronti dell'ente responsabile della procedura espropriativa illegittima, ossia la Provincia di Brescia. Al riguardo, gli obblighi di manleva pattuiti nel verbale di consegna del 9 luglio 2020 rilevano esclusivamente nei rapporti inter partes, ma sono giuridicamente inopponibili al ricorrente, rimasto estraneo agli accordi convenzionali tra Provincia e concessionario ministeriale. 6. Conclusioni. 6.1. In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra esposte, il ricorso è fondato e va accolto, e per l'effetto va disposto l'annullamento dell'atto impugnato, con la conseguente condanna di Au. Pa. s.p.a. a provvedere, nel termine di giorni 90 (novanta) dalla comunicazione della presente sentenza, a restituire i terreni al ricorrente, previa riduzione in pristino, ovvero ad adottare il provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis, corrispondendo al ricorrente l'indennizzo di legge, nei sensi e per gli effetti sopra precisati (e tenendo conto, in quella sede, di eventuali acconti già corrisposti alla proprietà, a vario titolo, nelle more del procedimento espropriativo). 6.2. Le spese di lite vanno poste a carico di Au. Pa. s.p.a., unica parte soccombente nel presente giudizio, mentre possono essere interamente compensate sia nei confronti della Provincia di Brescia, in considerazione della posizione processuale assunta in giudizio, di aperta adesione alle tesi difensive e alle richieste di parte ricorrente; sia nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in considerazione della sostanziale estraneità dell'ente alle questioni giuridiche dibattute in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: a) accoglie il ricorso, e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato, nei sensi e per gli effetti indicati in motivazione; b) condanna la Società di progetto Au. Pa. s.p.a. a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato come per legge; c) compensa le spese nei confronti della Provincia di Brescia e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron - Presidente Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere, Estensore Luigi Rossetti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 756 del 2023, proposto da Fl. Ho. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Al. Lu. e Fr. Lu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fi. Be., Gi. Si. e Si. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ministero della Cultura e Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia; per l'annullamento previa adozione delle misure cautelari, - del provvedimento del Comune di (omissis), protocollo N.0025489/2023 del 21/09/2023, di diniego dell'autorizzazione paesaggistica; - nonché, ove occorra, del parere negativo conclusivo del Ministero della Cultura, Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio, per le Province di Bergamo e Brescia, prot. Mic|MIC_sabap-BS|06/09/2023|0018488-P; - e di ogni parere presupposto e richiamato, ivi incluso il precedente parere sospensivo MIC_SABAP-BS n. 0023059 del 21/11/2022; nonché per l'accertamento, - dell'obbligo del Comune di (omissis) di rilasciare l'autorizzazione paesaggistica semplificata richiesta dalla ricorrente in data 29/4/2022, prot. 8907, pratica paesaggistica n. VINC/2022/00229/PAESPL, condannandolo a provvedere entro il termine di 20 giorni e/o il termine perentorio che verrà ritenuto di giustizia. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L'odierna ricorrente, Fl. Ho. S.r.l., è una società proprietaria di un immobile a destinazione alberghiera situato nel centro storico del Comune di (omissis), catastalmente identificato al foglio (omissis), mapp. (omissis), sub (omissis). 2. Il 29 aprile 2022 il tecnico incaricato dalla società presentava al Comune di (omissis) una istanza di autorizzazione paesaggistica semplificata ai sensi del d.P.R. 31/2017, per il progetto di integrale rifacimento del tetto, attualmente a tasca e ammalorato, al fine di risolvere sia i problemi di infiltrazione d'acqua, presenti all'interno delle camere dell'ultimo piano dell'albergo e nelle proprietà confinanti, sia per proteggere gli impianti e gli elementi di servizio dell'albergo ivi ospitati, nonché migliorarne l'aspetto estetico globale. 3. A tal fine, era stato studiato un progetto di minimo impatto, che proseguisse la falda esistente del tetto e consentisse di tutelare tutte le proprietà coinvolte, ottenendo il consenso del vicino in aderenza. In particolare, la struttura, dovendo convogliare le precipitazioni verso l'esterno, era pensata come copertura ad una falda, per allontanare l'acqua dai punti di infiltrazione in corrispondenza del muro più elevato del vicino. 4. In data 11 maggio 22, la Commissione Paesaggio del Comune di (omissis) esprimeva un parere sospensivo chiedendo alcune verifiche sulle linee di gronda; venivano, dunque, eseguiti i rilievi delle quote e delle pendenze con un laser scanner, nonché completate le verifiche sugli aspetti segnalati dal Comune, depositando l'integrazione richiesta. 5. All'esito di saggi strutturali, il progettista aveva presentato una soluzione ribassata della falda del tetto riuscendo ad eliminare un cordolo in cemento armato alto 50 cm, cosicché in data 26 ottobre 2022 la Commissione per il Paesaggio esprimeva parere favorevole al progetto e formulava la proposta di accoglimento che trasmetteva alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia (d'ora in poi solo Soprintendenza) per acquisire il parere di competenza ai sensi dell'art. 146, comma 5, del d.lgs. 42/2004. 6. Successivamente, con comunicazione del 21 novembre 2022, prot. 23059, la citata Soprintendenza chiedeva, ai sensi dell'art. 11, comma 5, d.P.R. 31/2017 una revisione del progetto atteso che "... dalle fotografie storiche allegate si evince che la copertura preesistente avesse un'altezza di colmo inferiore rispetto a quella proposta, risultando di fatto nascosta dal muretto perimetrale. Si valuti quindi una soluzione alternativa che, impostando la copertura sull'impianto planimetrico del solo corpo di fabbrica a sinistra della terrazza esistente, preveda un tetto a padiglione con colmo in mezzeria di altezza più contenuta ed analoga all'attuale". 7. Nel termine di quindici giorni previsto dall'art. 11, comma 6, del d.P.R.31/2017, esattamente il 6 dicembre 2022, il progettista inviava articolate osservazioni, integrando la documentazione fotografica e i punti di vista, rappresentando le ragioni tecniche della scelta e rimarcando l'esistenza, su ogni lato dell'edificio, di coperture di altezza maggiore, spiegando l'impossibilità di sostituire la soluzione ad una falda con una copertura a due falde, che avrebbe condotto l'acqua verso le proprietà dei vicini, e concludeva chiedendo l'approvazione del progetto già presentato. 8. Seguiva la nota del 3 marzo 2023 con cui la Soprintendenza, anziché adottare il parere conclusivo di accoglimento o di rigetto, riscontrava le osservazioni pervenute dal progettista prospettando una diversa soluzione progettuale e concludeva affermando che "Tutto ciò richiamato e premesso questa Soprintendenza si esprimerà per quanto di propria competenza nel momento in cui si provvederà alla corretta trasmissione della documentazione relativa alla citata soluzione alternativa, che tenga conto delle osservazioni richiamate, inoltrata in modo conforme alle disposizioni normative da parte dell'Amministrazione in indirizzo ai sensi dell'art. 11 comma 5 del D.P.R. 31/2017 e s.m. e i., subdelegatt in materia di autorizzazione paesaggistica. Si ricorda che i termini temporali previsti dal DPR 31/2017 ripartiranno dalla data di ricevimento di tale documentazione ritenuta necessaria per consentire di esprimere il parere vincolante di propria competenza." 9. In data 10 marzo 2023, la ricorrente diffidava il Comune di (omissis) alla conclusione del procedimento, cui seguiva, il 20 marzo 2023, la comunicazione dello stesso che affermava che "in linea con quanto descritto nelle more della Soprintendenza di Brescia, la valutazione dell'istanza è da ritenersi in sospeso, fintantoché non verrà depositata la documentazione integrativa necessaria a superare le richieste (della Soprintendenza) avanzate nelle lettere richiamate in premessa". 10. In data 30 marzo 2023, la ricorrente notificava il ricorso ex art. 117 c.p.a., rubricato R.G. N. 286/2023 di questo T.A.R., per l'accertamento dell'obbligo del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura e della Soprintendenza di provvedere sull'istanza di autorizzazione paesaggistica semplificata presentata dalla ricorrente in data 29 aprile 2022. 11. Si costituivano in giudizio il Ministero della Cultura, la Soprintendenza e il Comune di (omissis), quest'ultimo affermando di aver già provveduto. 12. Con sentenza pubblicata il 19 luglio 2023 n. 613, questo T.A.R. accoglieva il ricorso accertando "(i) l'obbligo della Soprintendenza di concludere la fase procedimentale di sua competenza con l'adozione, entro il termine di giorni 20 dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, di un parere conclusivo di accoglimento o di rigetto della soluzione progettuale così come proposta dalla parte richiedente; (ii) l'obbligo del Comune di (omissis) di concludere la successiva fase procedimentale di sua competenza con l'adozione, entro i 20 giorni successivi al ricevimento del parere della Soprintendenza, di un provvedimento conclusivo di rilascio o di diniego dell'autorizzazione paesaggistica, conformemente al parere vincolante reso dal Soprintendente". 13. In particolare, la citata sentenza motivava nel senso che "3. Il caso qui in esame, come detto, rientra nell'ipotesi disciplinata dalla norma da ultimo citata (art. 11 comma 7). 3.1. A fronte della proposta di accoglimento formulata dalla Commissione Paesaggio del Comune di (omissis) in data 26 ottobre 2022 e trasmessa in pari data alla Soprintendenza (che afferma di averla ricevuta il 2 novembre 2022), quest'ultima si è pronunciata negativamente con un primo parere del 21 novembre 2022, con il quale ha ritenuto "necessario sospendere il procedimento" ai fini una "revisione progettuale" da parte dell'interessata, nei termini sopra riportati: fin qui, osserva il Collegio, nel perfetto rispetto della norma di cui all'art. 11 comma 7, la quale consente al Soprintendente di "indica(re) contestualmente le modifiche indispensabili per la valutazione positiva del progetto". 3.2. Peraltro, con pec del 6 dicembre 2022, il tecnico della società ha riscontrato il parere interlocutorio della Soprintendenza, affermando espressamente di non condividerne il contenuto e insistendo per l'accoglimento del progetto presentato, motivando in modo articolato la propria posizione. 3.3. A questo punto, ai sensi della norma citata, la Soprintendenza avrebbe avuto due possibilità : o adottare, entro il termine di venti giorni, "il provvedimento motivato di diniego fornendo specifica motivazione, con particolare riguardo alla non accoglibilità delle osservazioni o alla persistente incompatibilità del progetto adeguato con la tutela dei beni vincolati", dandone "contestualmente comunicazione all'autorità procedente"; oppure accogliere le osservazioni dell'interessata ed esprimere parere conclusivo favorevole al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica 3.4. Quello che la Soprintendenza non avrebbe potuto fare - e invece ha fatto - è sospendere nuovamente il procedimento in attesa di una revisione progettuale che l'interessata aveva già dichiarato apertamente di non avere interesse ad effettuare, per una serie di ragioni puntualmente indicate. 4. Alla luce di tali considerazioni, il nuovo parere soprassessorio della Soprintendenza del 3 marzo 2023 è illegittimo perché in contrasto con il comma 7 dell'art. 11 D.P.R. n. 31/2017, e di conseguenza è illegittimo pure il conseguente provvedimento - parimenti soprassessorio - adottato dal Comune di (omissis) in data 20 marzo 2023 con il quale si è ribadito che "la valutazione dell'istanza è da ritenersi in sospeso fintantochè non verrà depositata la documentazione integrativa necessaria a superare le richieste avanzate (dalla Soprintendenza) nelle lettere richiamate in premessa". 14. Secondo quanto affermato dalla ricorrente, in data 19 luglio 2023, la sentenza era stata trasmessa via pec dalla Segreteria della I Sezione di questo T.A.R. all'Avvocatura distrettuale dello Stato, alla Soprintendenza e alla parte ricorrente. 15. Scaduti i termini fissati da questo Tribunale, il progettista sollecitava l'Ufficio tecnico comunale, il quale, rilevato il decorso dei 20 giorni in capo alla Soprintendenza, comunicava che avrebbe inviato una richiesta di chiarimenti. 16. Decorsi tutti i termini, in data 5 settembre 2023, la ricorrente diffidava il Comune di (omissis) alla conclusione del procedimento. 17. In data 21 settembre 2023, il Comune di (omissis) trasmetteva il parere della Soprintendenza, datato 6 settembre 2023, secondo cui "... l'edificio era originariamente costituito da un avancorpo con tetto a padiglione e da un volume arretrato e più basso con tetto a falde, come desumibile dalla documentazione fotografica storica. La copertura attuale, frutto di una ampia ristrutturazione che ha coinvolto i corpi di fabbrica dell'albergo precedentemente al 1975 (ortofoto disponibili sul geoportale della Regione Lombardia), in parte presenta un tetto a falde nella parte retrostante il volume arretrato, in continuità con il quale è stata prospettata la soluzione progettuale alternativa indicata da questa Soprintendenza, oltre che in richiamo tipologico e morfologico con la configurazione più antica del corpo di fabbrica"...Omissis..."la nuova copertura non pare ricalcare la pendenza delle imposte di falda attuali, ma si alza e modifica la pendenza delle stesse, raggiungendo una quota di colmo superiore, con altezza complessiva maggiore della nuova copertura rispetto a quella potenziale data dal naturale prolungamento delle falde di imposta oggi esistenti"...Omissis..."da tavola di confronto del progetto in questione possiamo riscontrare un cambio di pendenza delle stesse in corrispondenza del prospetto nord per la falda di testata, e nel prospetto ovest, in relazione al tetto a doppia falda retrostante, con maggiore pendenza in quelle di progetto, tale da determinare un innalzamento dell'altezza complessiva"....Omissis..."Si concorda sul fatto che la soluzione potrebbe essere considerata migliorativa rispetto allo stato attuale, ma si ritiene che ci sia ulteriore margine di miglioramento, in favore di un minore impatto complessivo della copertura e una maggiore coerenza con l'assetto architettonico dell'edificio. Sulla base delle suddette valutazioni, si comunica che l'istanza non è accoglibile per le ragioni sopra esposte; e pertanto si esprime parere negativo conclusivo di compatibilità paesaggistica" e il provvedimento protocollo N.0025489/2023 del 21 settembre 2023 di diniego di autorizzazione paesaggistica della pratica di "rifacimento parziale della copertura" adottato sulla base del parere negativo della Soprintendenza e oggetto dell'odierno ricorso ritualmente notificato il 13 ottobre 2023 e depositato il successivo 17 ottobre 2023. 18. Il 16 novembre 2023 si è costituita in giudizio la Soprintendenza con atto di mero stile e 17 novembre 2023 si è costituito il Comune di (omissis) depositando memoria insistendo per il rigetto del ricorso. 19. Le parti, in prossimità dell'udienza pubblica, hanno poi depositato memorie e repliche. 20. All'udienza pubblica del 26 giugno 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre ripetitivi motivi riportanti lo stesso titolo, con i quali la ricorrente lamenta, sotto diversi profili, la violazione dell'art. 97 Cost., degli artt. 1, 2, 3, 17 bis, 20, 21 nonies L. 241/1990, degli artt. 11 del d.P.R. 13/02/2017, n. 31, e 146 del d.lgs. 22/01/2004, n. 42; violazione degli artt. 89 e 136, c.p.a. e 16 del D.L. 18/10/2012, n. 179; violazione della sentenza del T.A.R. Brescia N. 613/2023, sviamento, contraddittorietà, violazione dei principi di trasparenza, leale collaborazione, proporzionalità e adeguatezza, difetto di istruttoria e di motivazione. 2. In sintesi, con il primo motivo la società ricorrente sostiene che il parere negativo espresso dalla Soprintendenza il 6 settembre 2023 sarebbe tardivo e inefficace, e si dimostrerebbe illegittimo, anche per contraddittorietà e violazione dell'art. 21 nonies, L 241/1990, non rimuovendo in autotutela il provvedimento tacito favorevole e non argomentando sui presupposti, nel caso non esistenti, di un annullamento d'ufficio, primo fra tutti la illegittimità dell'atto. Sostiene inoltre la ricorrente che, accertata la natura soprassessoria e non provvedimentale degli atti gravati, la sentenza di questo T.A.R. N. 613/2023 avrebbe fatto retroagire il procedimento alla fase di competenza della Soprintendenza, successiva all'espressione della proposta di accoglimento del Comune di (omissis) e che ai sensi dell'art. 11 del d.P.R. 31/2017, decorso il termine di venti giorni entro il quale la Soprintendenza avrebbe dovuto adottare il parere vincolante, si sarebbe formato il silenzio assenso ex articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e pertanto il Comune avrebbe dovuto provvedere al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica; il termine di venti giorni per l'esercizio del potere della Soprintendenza, fissato dall'art. 11 del d.P.R. 31/2017, e confermato dalla sentenza richiamata - a suo dire - sarebbe spirato in data 8 agosto 2023, considerato che la sentenza era stata comunicata dalla Segreteria del T.A.R. alle parti costituite, tramite invio telematico ai difensori, all'indirizzo di posta elettronica certificata, il 19 luglio 2023. Infine la ricorrente aggiunge che il parere negativo e tardivo della Soprintendenza, essendo consumato il potere ministeriale, sarebbe automaticamente inefficace ai sensi dell'art. 2, comma 8 bis, della L. 241/90, che esprime i principi di effettività dei termini procedimentali e di certezza del diritto in relazione all'istituto del silenzio assenso, e quindi esso sarebbe ininfluente sul richiamato obbligo di provvedere del Comune; la ricorrente ha quindi chiesto, ai sensi dell'art. 31 c.p.a., alla luce - a suo dire - della vincolatività del parere tacito di assenso della Soprintendenza formatosi sulla proposta del Comune, l'accertamento dell'obbligo del Comune di rilasciare il provvedimento richiesto. 3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento di diniego impugnato, il quale recepirebbe - a suo avviso - senza motivazione il parere contrario della Soprintendenza, qualificandolo, erroneamente, come vincolante, quando invece, sarebbe pacifico in giurisprudenza, che l'esercizio tardivo del potere priverebbe il parere ministeriale dell'efficacia vincolante (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2136; Consiglio di Stato, sez. VI, 9 agosto 2016 n 3561; Consiglio di Stato, sez. VI, 24 luglio 2017, n. 3656). 4. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di motivazione del provvedimento comunale in quanto, sostiene, recepirebbe acriticamente il parere espresso della Soprintendenza, sul falso presupposto della sua natura vincolante. 5. Il Comune di (omissis) con la memoria depositata il 17 novembre 2023 ha replicato affermando, in sintesi, che la sentenza N. 613/2023 non avrebbe avuto altro effetto che quello di accertare, nonostante gli atti sino a quel momento emanati e reputati, per l'appunto, di natura interlocutoria, l'obbligo sia della Soprintendenza che del Comune di (omissis) di concludere il procedimento con un provvedimento espresso di accoglimento o di diniego sull'istanza a suo tempo avanzata dalla società, senza comportare alcuna "retroazione" del procedimento, giacché - a suo dire - conserverebbero la loro valenza endoprocedimentale e di impulso rispetto al procedimento avviato: pertanto, essendo il primo parere della Soprintendenza intervenuto il 21 novembre 2022, a distanza di 19 giorni dalla trasmissione della proposta del Comune (del 2 novembre 2022), tanto sarebbe sufficiente ad impedire la formazione del silenzio assenso di cui al comma 9 dell'art. 11 D.P.R. 31/2017; aggiunge che tale effetto si sarebbe verificato se la sentenza, oltre ad accertare l'obbligo di provvedere ulteriormente da parte della Soprintendenza (e del Comune), avesse annullato gli atti sino ad allora emanati dalle predette Autorità . In altri termini, secondo il Comune, l'avvio di una nuova fase procedimentale scaturirebbe e troverebbe fondamento direttamente nel provvedimento giurisdizionale e nell'ambito della quale non risulterebbe ammissibile la formazione del silenzio-assenso di cui al citato art. 11, comma 9. 6. Successivamente, con la memoria depositata il 23 maggio 2024, il Ministero della Cultura ha sostenuto che, ai sensi dell'art. 20, IV comma, l. 241/1990, l'istituto del silenzio-assenso richiamato da controparte non opererebbe nel campo della tutela ambientale e paesaggistica, e ciò sarebbe supportato dalla uniforme giurisprudenza (da ultimo tra le tante Consiglio di Stato, sez., IV Ord., 9 febbraio 2016, n. 538; Corte Cost., 22 luglio 2021, n. 160; T.A.R. Molise, Campobasso, sez. I, 17 novembre 2022, n. 431); sostiene inoltre che, decorso il termine assegnato, l'organo statale conserverebbe la possibilità di rendere il parere, con l'unica conseguenza che il parere espresso tardivamente perderebbe il suo valore vincolante e potrebbe essere quindi autonomamente e motivatamente valutato dall'amministrazione preposta al rilascio del titolo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2136 del 27 aprile 2015) e infine contesta la circostanza per cui la Soprintendenza non avrebbe osservato il termine previsto per l'adozione del parere in quanto la sentenza sarebbe stata notifica da parte ricorrente in data 30 agosto 2023. 7. È fondato il primo motivo di ricorso proposto dalla società ricorrente. 7.1. Oggetto del presente ricorso è un intervento edilizio in aree vincolate soggetto ad autorizzazione paesaggistica semplificata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 3 e dell'Allegato B lettera B.4 del d.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), rientrando nella categoria degli "Interventi sulle coperture diversi da quelli di cui alla voce B.2", contemplante in particolare "modifiche alle coperture finalizzate all'installazione di impianti tecnologici; modifiche alla inclinazione o alla configurazione di falde (...)". 7.2. Il procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica semplificata è disciplinato dagli articoli 10 e 11 del d.P.R. 31/2017. 7.3. Ai sensi del citato art. 10 del d.P.R. 31/2017 "Il procedimento autorizzatorio semplificato si conclude con un provvedimento, adottato entro il termine tassativo di sessanta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell'amministrazione procedente, che è immediatamente comunicato al richiedente." 7.4. Secondo quanto efficacemente sintetizzato da questa Sezione nella ripetuta sentenza 613/2023 tale termine, "benché dichiarato espressamente "tassativo" dalla norma in questione, non è associato a meccanismi di formazione di provvedimenti taciti di assenso o di diniego, sicché ad esso va attribuita natura inderogabile ma solo nel senso che "segna il punto a partire dal quale opera il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, sanzionabile sia in termini di ritardo, sia in termini - come esplicitamente ricordato dal successivo articolo - di responsabilità dei funzionari" (in tal senso, la circolare del MIBACT n. 0011688 dell'11 aprile 2017, contenente la Relazione Illustrativa al DPR n. 31 del 2017, citata dalla difesa comunale)": pertanto, il decorso del termine non determina la consumazione del potere di provvedere. 7.5. Una volta stabilito il termine di sessanta giorni per la conclusione del procedimento, il successivo articolo 11 del d.P.R. 31/2017 disciplina invece le fasi del procedimento e i termini assegnati alle autorità coinvolte (ossia il Comune, quale autorità procedente, e la Soprintendenza, quale organo consultivo preposto alla tutela del vincolo paesaggistico) per portale a compimento. 7.6. In sintesi, la norma prevede che l'autorità procedente (il Comune) esamina l'istanza verificando preliminarmente la tipologia nella quale si colloca l'intervento in progetto (libero, semplificato o sottoposto ad autorizzazione ordinaria); entro dieci giorni dal ricevimento della richiesta, dopo averla istruita, il Comune assegna eventualmente alla parte interessata un termine di dieci giorni per produrre chiarimenti e integrazioni documentali, durante il quale il procedimento resta sospeso; quindi, in caso di esito positivo di tale valutazione, "Entro il termine tassativo di venti giorni dal ricevimento dell'istanza ovvero, in caso di richiesta di integrazione documentale, dal ricevimento dell'ulteriore documentazione richiesta, l'amministrazione procedente trasmette alla Soprintendenza (...) una motivata proposta di accoglimento, unitamente alla domanda ed alla documentazione in suo possesso" (art. 11 comma 5). 7.7. L'ultimo periodo del comma 5 del citato articolo prevede inoltre che "Se anche la valutazione del Soprintendente è positiva, questi, entro il termine tassativo di venti giorni dal ricevimento della proposta, esprime il proprio parere vincolante, per via telematica, all'amministrazione procedente, la quale adotta il provvedimento nei dieci giorni successivi". 7.8. Nel caso in esame la Soprintendenza ha valutato negativamente la proposta di accoglimento formulata dal Comune e tale ipotesi è disciplinata dal successivo comma 7 dell'art. 11, il quale prevede che "in caso di valutazione negativa della proposta di accoglimento formulata dall'amministrazione procedente, il Soprintendente comunica per via telematica al richiedente, entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della proposta, i motivi che ostano all'accoglimento dell'istanza e della proposta dell'amministrazione procedente, specificandoli in modo dettagliato, ed indica contestualmente le modifiche indispensabili per la valutazione positiva del progetto, a meno che quest'ultimo risulti incompatibile con i valori paesaggistici che qualificano il contesto di riferimento ovvero contrastanti con le prescrizioni d'uso eventualmente presenti e di ciò venga data idonea ed adeguata motivazione. Con la comunicazione è sospeso il termine del procedimento ed è assegnato al richiedente un termine di quindici giorni entro il quale presentare le proprie osservazioni e il progetto adeguato. Decorso il termine assegnato, la Soprintendenza, ove ne ricorrano i presupposti, entro il termine di venti giorni adotta il provvedimento motivato di diniego fornendo specifica motivazione, con particolare riguardo alla non accoglibilità delle osservazioni o alla persistente incompatibilità del progetto adeguato con la tutela dei beni vincolati e ne dà contestualmente comunicazione all'autorità procedente". 7.9. Tali norme vanno lette unitamente al comma 9 dell'art. 11, secondo cui "In caso di mancata espressione del parere vincolante del Soprintendente nei tempi previsti dal comma 5 (termine tassativo di venti giorni), si forma il silenzio assenso ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e l'amministrazione procedente provvede al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica". 8. L'art. 17-bis, introdotto dalla l. 124/2015, testualmente recita "il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici" opera anche nei "casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale... per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche", con la precisazione che in siffatte ipotesi, salva diversa previsione, il termine entro il quale le amministrazioni competenti sono tenute a comunicare il proprio assenso, concerto o nulla osta è definito dalla normativa di settore (nel caso di specie il termine è fissato dal citato comma 5 dell'art. 11 d.P.R. 31/2017), attestandosi, in mancanza, in novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente; tale regime si applica espressamente anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica. 9. Va poi detto che mentre il silenzio-assenso di cui all'art. 17 bis è di tipo endoprocedimentale, destinato ad essere seguito comunque da un provvedimento conclusivo espresso dell'amministrazione procedente, il silenzio assenso dell'art. 20 della stessa legge n. 241 del 1990 è di tipo provvedimentale, cioè destinato a tenere luogo dell'autorizzazione paesaggistica richiesta, e ciò spiega il divieto stabilito all'art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che esclude radicalmente l'applicazione del silenzio assenso nei rapporti verticali tra privati e pubbliche amministrazioni preposte alla tutela dei cosiddetti "interessi sensibili", tra cui, per quanto qui rileva, quelli relativi agli atti e ai procedimenti riguardanti il patrimonio paesaggistico. 10. Ciò detto, è dunque inconferente il richiamo fatto dal Ministero della Cultura all'art. 20, comma 4, della L. 241/90 in quanto la norma vieta la formazione per silentium del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di "interessi sensibili" e non riguarda il silenzio-endoprocedimentale di cui all'art. 17 bis della L.241/90. 11. È inoltre inconferente la giurisprudenza evocata dal Ministero per sostenere la conservazione del potere della Soprintendenza esercitato dopo il termine, dal momento che le pronunce riguardano il diverso procedimento ordinario di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del D. Lgs. 42/2004. 12. Non può essere inoltre accolta la tesi del Ministero secondo cui la tardiva adozione del parere in funzione co-decisoria comporterebbe solo una sua dequotazione, perdendo l'efficacia vincolante, ma conservando la sua efficacia giuridica. Quell'interpretazione, secondo l'orientamento giurisprudenziale qui condiviso, deve ritenersi definitivamente superata dalla modifica apportata all'art. 2 della legge n. 241 del 1990 dall'articolo 12, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto-legge n. 76 del 2020, che ha introdotto il nuovo comma 8-bis, secondo il quale "Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, ovvero successivamente all'ultima riunione di cui all'art. 14 ter, comma 7... adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni": invero "la locuzione utilizzata dal legislatore ("sono inefficaci") mira a chiarire definitivamente che l'organo che si pronuncia tardivamente ha perso il potere di decidere: dunque il suo atto, adottato in carenza di potere relativamente ad uno specifico progetto, è privo di effetti nell'ordinamento amministrativo". (Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2023, n. 8610). 13. Nel caso di specie la Soprintendenza, autrice dell'assenso silenzioso, non poteva limitarsi ad esprimere il proprio sopravvenuto dissenso, ma doveva semmai sollecitare l'avvio del procedimento di riesame, condotto dall'Amministrazione procedente, secondo le regole dell'art. 21-nonies o 21-quinquies della L. 241/90 evidenziando le ragioni di illegittimità o le ragioni che giustificherebbero la revoca dell'atto, nell'ottica del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni. 14.1 Per le ragioni sin qui addotte, va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, con il conseguente annullamento del provvedimento definitivo del Comune. 14.2 Esso, infatti, si è basato esclusivamente sul "parere negativo" della Sovrintendenza, senza considerare che: a) l'intervento edilizio era sottoposto al regime semplificato di cui al punto 4 dell'allegato B del d.P.R. 31/2017; b) l'8 agosto 2023 erano scaduti i termini tassativi dell'art. 11 del d.P.R. 31/2017 (di venti giorni) assegnati alla Sovrintendenza per la sua co-decisione, considerato che il dies a quo era stato fissato dalla citata sentenza di questo T.A.R. del 19 luglio 2023 n. 613 dalla data di comunicazione della stessa alla parti costituite, avvenuta lo stesso giorno tramite invio telematico ai difensori, all'indirizzo di posta elettronica certificata; c) si era formato il silenzio-assenso ex art. 17-bis della legge 241/90; d) il "parere" negativo adottato dopo la formazione di tale silenzio cd. orizzontale era inefficace in quanto tardivo. 14.3. L'accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso. 15. In conformità alla presente decisione, il Comune di (omissis) è pertanto tenuto ad adottare un nuovo provvedimento conclusivo nel termine - indicato nell'art. 11, comma 5, ultima parte, d.P.R. 31/2017 - di dieci giorni dalla comunicazione della presente pronuncia, che dovrà conformarsi alle precedenti statuizioni, e, così, della qualificazione dell'intervento de quo come sottoposto a procedura autorizzatoria semplificata, e pertanto della proposta già originariamente trasmessa in senso favorevole alla Soprintendenza, oltre che della formazione del silenzio-assenso quanto al parere di competenza della Sovrintendenza. 16. Le spese, compensate per metà, seguono per il resto la soccombenza e la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto: - annulla il provvedimento protocollo N.0025489/2023 del 21 settembre 2023 di diniego di autorizzazione paesaggistica adottato dal Comune di (omissis); - compensa in ragione di metà le spese di giudizio tra le parti e condanna in solido il Ministero della Cultura e il Comune di (omissis) al pagamento delle spese di lite residue in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi Euro 2.500,00 (duemila /00) oltre accessori come per legge; al verificarsi dei presupposti di cui all'articolo 13, comma 6 bis.1, D.P.R. n. 115/2002, la parte resistente e la controinteressata in solido provvederanno altresì a rimborsare alla parte ricorrente il contributo unificato effettivamente versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 61 del 2024, proposto da In.Wi.It. S.p.A. (In. S.p.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Do.Ie., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Omissis, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato La.Te., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Bergamo, via (...); nei confronti Regione Lombardia, non costituita in giudizio; per l'accertamento della formazione del silenzio assenso in relazione all'istanza di autorizzazione presentata dalla società In. S.p.A. ai sensi dell'art. 44 del d.lgs n. 259 del 2003 (prot. n° 7837 del 30 giugno 2023); per l'accertamento dell'inefficacia ex art. 2, comma 8 bis, l. n. 241 del 1990 e, ove occorrer possa, della nullità ai sensi dell'art. 31, comma 4, c.p.a. dell'atto prot. n. 013673/2023 del 16 novembre 2023 di diniego all'installazione; nonché, in subordine, per l'annullamento, previa adozione di idonee misure cautelari ex art 55 c.p.a: - dell'atto prot. n. 013673/2023 del 16 novembre 2023 di diniego all'installazione; - di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali; in via subordinata, per l'annullamento: - degli artt. II.1.1.3 e II.2.1.5 lett. g) delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Dei Servizi del Piano di Governo del Territorio del Comune di Omissis; - di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ivi compresa - tra l'altro - qualsivoglia altra previsione dello strumento urbanistico comunale (o di altri atti del Comune) che possano costituire fondamento della determinazione negativa adottata; in via ulteriormente subordinata, ove occorrer possa, richiedendo la disapplicazione: - degli artt. II.1.1.3 e II.2.1.5 lett. g) delle Norme Tecniche di Attuazione del PDS del Piano di Governo del Territorio del Comune di Omissis; - di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali, ivi compresa - tra l'altro - qualsivoglia altra previsione dello strumento urbanistico comunale (o di altri atti del Comune) che possano costituire fondamento della determinazione negativa adottata. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Omissis; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO E DIRITTO Il provvedimento impugnato. 1.1. Con ricorso notificato il 15 gennaio 2024 e ritualmente depositato, la società In.Wi.It. s.p.a. (di seguito In. s.p.a.) ha impugnato il provvedimento in data 16 novembre 2023 con cui il Comune di Omissis ha respinto l’istanza presentata in data 30 giugno 2023 dalla medesima e da Telecom Italia s.p.a., ai sensi dell’art. 44 d.lgs. n. 259/03, di autorizzazione all’installazione di un impianto di tele-radiocomunicazione su area di proprietà privata sita in via (...) (Foglio (...) mappali (...) e (...)). 1.2. Il diniego è stato adottato sul rilievo che: “1) Le attrezzature tecnologiche sono esclusivamente ammesse in ambiti di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico (artt. II.1.1.3 NTA del PDS di PGT), individuate nelle tavole grafiche del PGT vigente e normate dalla lettera g) art. II.2.1.5 NTA. 2) Il sedime dell’Area interessata dal progetto di installazione è di natura privata e ricadente in ambito Pc produttivo consolidato, all’interno del quale non sono ammesse tipologie di infrastrutture quale quella oggetto di domanda. 3) L’assimilazione ad opere di urbanizzazione primaria dell’impianto in progetto e la qualificazione di carattere di pubblica utilità non comporta una deroga urbanistica. La fattibilità di agevolazione procedurale e accelerata può concernere esclusivamente le formalità di iter burocratico, ma nel rispetto delle vigenti disposizioni edilizie e urbanistiche”. 1.3. Unitamente al diniego, la parte ricorrente ha impugnato, in via subordinata, anche le norme presupposte dello strumento urbanistico comunale (artt. II.1.1.3 e II.2.1.5 lett. g) delle N.T.A. del Piano Dei Servizi), chiedendone l’annullamento ovvero la disapplicazione. Il ricorso. Il ricorso è stato affidato a quattro motivi, con cui la parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili, che possono essere così sintetizzati: 2.1) sull’istanza di autorizzazione, presentata dalla ricorrente il 30 giugno 2023, si sarebbe formato il silenzio assenso di cui all’art. 44 comma 10 del d.lgs. n. 259/2003, non essendo intervenuto alcun provvedimento espresso di diniego dell’amministrazione comunale né alcun parere negativo di autorità esponenziali di interessi sensibili nel termine di sessanta giorni previsto dalla norma in questione; pertanto, il 29 agosto 2023 si sarebbe formato il silenzio assenso; il diniego impugnato, essendo intervenuto soltanto il 16 novembre 2023, e quindi dopo il perfezionamento del silenzio assenso, sarebbe inefficace ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della legge n. 241 del 1990; 2.2) le norme dello strumento urbanistico applicate dall’amministrazione con il diniego impugnato (art. II.1.1.3 NTA e art. II.2.1.5 NTA, lettera g), del Piano Dei Servizi), nella misura in cui confinano gli impianti per radio-telecomunicazioni in aree specifiche del territorio comunale, inibendone la realizzazione su tutta la restante (e maggioritaria) parte dello stesso, sarebbero illegittime e andrebbero annullate o disapplicate in quanto contrarie al sistema normativo delineato dell’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001 n. 36; in base a tale norma, infatti, il Comune non può escludere dall’installazione intere zone e aree del territorio comunale, né confinare l’installazione a determinate aree (limite localizzativo), ma può soltanto escludere dall’installazione siti sensibili delimitati, quali scuole, aree gioco, asili nido, ospedali ecc. (criterio localizzativo in negativo); né sarebbero ostative alla realizzazione dell’impianto le previsioni dello strumento urbanistico relative alla destinazione d’uso dell’area di proprietà privata su cui verrebbe realizzato l’impianto (nel caso di specie Ambito Pc produttivo consolidato, all’interno del quale non sono ammesse tali tipologie di infrastrutture), dal momento che, a norma dell’art. 43, comma 4, del d.lgs n. 259 del 2003, le reti di comunicazione elettronica “sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria” e, come tali, sono compatibili con ogni destinazione funzionale prevista dalla pianificazione urbanistica e devono essere localizzate “in modo che sia assicurato un servizio capillare”; 2.3) il diniego impugnato sarebbe illegittimo anche nella parte in cui richiama l’art. II.2.1.5. delle NTA del Piano dei Servizi (“Limiti delle costruzioni nelle aree a servizi”), ritenendo applicabile il regime urbanistico ed edilizio delle costruzioni al caso di specie; e ciò in quanto, secondo la pacifica elaborazione giurisprudenziale, le stazioni radio base non possono essere assimilate alle normali costruzioni edilizie dal momento che non sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né hanno un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in cemento armato o muratura; anche sotto tale profilo, il diniego violerebbe l’art. 43, comma 4, del d.lgs n. 259 del 2003, in base al quale le reti di comunicazioni elettronica “sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria” e, come tali, sono compatibili con ogni destinazione funzionale prevista dalla pianificazione urbanistica e devono essere localizzate “in modo che sia assicurato un servizio capillare”; 2.4) con il quarto e ultimo motivo, la ricorrente ha richiamato il disposto di cui all’art. II.2.1.5 delle NTA del Piano dei Servizi, il quale prevede, tra l’altro, che “Le cabine di servizio pubblico o da esso dipendenti (ENEL, Telecom; ecc...) contenenti impianti tecnologici, possono essere ubicate in tutti gli ambiti di P.G.T. e non sono computabili ai fini degli indici di edificabilità”; secondo la ricorrente, ove tale disposizione fosse interpretata nel senso di ricomprendere nel concetto di “cabine di servizio pubblico contenenti impianti tecnologici” anche le stazioni radio base, l’impianto oggetto della domanda di parte ricorrente avrebbe dovuto essere autorizzato, per cui il diniego impugnato sarebbe illegittimo per violazione della predetta norma urbanistica; nel caso, invece, in cui la norma urbanistica non potesse essere interpretata nel senso di ricomprendere anche le stazioni radio base nel concetto di “cabine di servizio pubblico contenenti impianti tecnologici”, la norma in questione sarebbe illegittima perché contrastante con la regola cardine della neutralità tecnologica di cui all’art. 4 del d.lgs n. 259 del 2003, con conseguente illegittimità derivata del diniego impugnato. Svolgimento del processo. 3.1. Il Comune di Omissis si è costituito in giudizio depositando documentazione e memoria difensiva, contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto, in particolare rilevando: (i) il silenzio assenso non si sarebbe formato dal momento che la domanda di autorizzazione era priva, alla data della sua presentazione, di elementi essenziali fissati dalla normativa di settore, quali il parere tecnico dell’ARPA di cui all’art. 44 comma 3 d.lgs. 259/2003, intervenuto soltanto in data 15 luglio 2023; l’autorizzazione del proprietario del terreno all’installazione dell’impianto, trasmessa solo in data 17 ottobre 2023; e il parere favorevole della Soprintendenza, stante l’esistenza di un vincolo archeologico; (ii) le norme dello strumento urbanistico applicate dall’amministrazione non introdurrebbero un limite generalizzato all’installazione degli impianti in questione su ampie zone del territorio comunale, ma si limiterebbero ad individuare siti prioritari, al fine di bilanciare l’interesse economico degli operatori con l’interesse pubblico a minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, assicurando nel contempo la copertura della rete di telecomunicazioni; d’altra parte, il Comune avrebbe pure offerto alla ricorrente due siti alternativi, di proprietà pubblica, ove installare l’impianto, poco distanti (350 e 150 metri) da quello richiesto dall’interessata; (iii) l’amministrazione non avrebbe inteso equiparare le stazioni radio base alle costruzioni, ma avrebbe semplicemente applicato le norme del proprio strumento urbanistico, le quali individuano aree specifiche per l’allocazione delle attrezzature tecnologiche; d’altra parte, la ricorrente non avrebbe fornito prova alcuna delle ragioni per le quali il posizionamento dell’opera proprio nel punto prescelto sarebbe il migliore al fine di garantire la capillarità del servizio. 3.2. All’udienza camerale del 7 febbraio 2024, la parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare e il Presidente ha fissato l’udienza di merito per il giorno 27 giugno 2024. 3.3. In prossimità di quest’ultima, le parti hanno integrato la propria documentazione e depositato memorie conclusive nei termini di rito. 3.4. All’udienza pubblica del 27 giugno 2024, dopo la discussione dei difensori delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione. Decisione. 4.1. Sul silenzio assenso. È fondata e assorbente già la prima censura dedotta dalla parte ricorrente, in ordine all’avvenuto perfezionamento del silenzio assenso. 4.1.1. L’art. 44 comma 10 del d.lgs. n. 259/2003 prevede che “Le istanze di autorizzazione [alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica] si intendono accolte qualora, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, non sia stata data comunicazione di una determinazione decisoria della conferenza o di un parere negativo da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, ove ne sia previsto l'intervento, e non sia stato espresso un dissenso, congruamente motivato, da parte di un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali”. 4.1.2. Nel caso di specie, l’istanza di autorizzazione è stata presentata il 30 giugno 2023 e nei sessanta giorni successivi non è intervento alcuno degli atti interruttivi previsti dalla norma in esame, né l’amministrazione comunale risulta aver effettuato richieste istruttorie di sorta. I primi rilievi ostativi risultano formulati dall’amministrazione con l’atto di diffida del 29 settembre 2023 e con la comunicazione di avvio del procedimento (di rigetto) del 30 settembre 2023, nonché - a seguito delle osservazioni procedimentali dell’interessata - con la comunicazione del preavviso di diniego del 21 ottobre 2023, a cui ha fatto seguito il diniego conclusivo adottato il 16 novembre 2023: tutti atti successivi allo scadere dei 60 giorni dalla presentazione dell’istanza e quindi inidonei ad impedire il perfezionamento del silenzio assenso, avvenuto pertanto il 29 agosto 2023. 4.1.3. Né ha pregio l’eccezione del Comune secondo cui il silenzio assenso non si sarebbe formato dal momento che la domanda di autorizzazione sarebbe stata priva, alla data della sua presentazione, di elementi essenziali fissati dalla normativa di settore, quali il parere tecnico dell’ARPA di cui all’art. 44 comma 3 d.lgs. 259/2003 (intervenuto soltanto in data 15 luglio 2023), l’autorizzazione del proprietario del terreno all’installazione dell’impianto (trasmessa solo in data 17 ottobre 2023), e il parere favorevole della Soprintendenza (in ragione dell’esistenza di un vincolo archeologico). Al riguardo, va osservato che, secondo la più recente giurisprudenza, “Il dispositivo tecnico denominato "silenzio-assenso" risponde a una valutazione egale tipica in forza della quale l'inerzia ‘equivalé a provvedimento di accoglimento e gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell'atto amministrativo. Con il corollario che, ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche quando l'attività oggetto del provvedimento di cui si chiede l'adozione non sia conforme alle norme. Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, per l'altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della P.A.” (Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746). 4.1.4. Peraltro, neppure è condivisibile l’affermazione dell’amministrazione secondo cui la domanda della ricorrente sarebbe stata priva di elementi essenziali ai fini del rilascio dell’autorizzazione, atteso che: (i) come chiarito dalla giurisprudenza, la previsione di cui all'art. 87, d.lgs. n. 259/2003 postula che il parere dell'ARPA sia richiesto solo ed esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell'impianto, non sussistendo un onere per il richiedente di allegare il parere in questione in sede di presentazione dell'istanza (ovvero della d.i.a.), né un puntuale obbligo di far pervenire il parere medesimo all'Ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell'art. 87, d.lg. n. 259/2003 (Consiglio di Stato sez. VI, 24/09/2010, n. 7128); (ii) l’asserita esistenza di un vincolo archeologico sull’area destinata ad ospitare l’installazione non è stata documentata in modo chiaro dall’amministrazione, ma, soprattutto, non è stata allegata come motivo ostativo nella motivazione del diniego impugnato, sicchè la prospettazione di tale vincolo soltanto negli scritti difensivi dell’amministrazione costituisce un’integrazione postuma della motivazione, da ritenersi inammissibile alla stregua di consolidati principi giurisprudenziali; peraltro, quand’anche esistente, l’asserito vincolo archeologico non sarebbe stato di per sé ostativo all’assentibilità dell’impianto, potendo al più giustificare l’imposizione di prescrizioni all’atto autorizzativo finalizzate all’adozione di accorgimenti tecnici nell’effettuazione dei lavori di scavo necessari all’installazione; sotto tale profilo, peraltro, è dirimente il rilievo che la Soprintendenza - unica autorità competente a pronunciarsi su tali profili - non è stata neppure compulsata dall’amministrazione comunale in seno al procedimento; (iii) anche la prova della disponibilità dell’area non è richiesta dall’art. 44 citato quale requisito per il rilascio dell’autorizzazione, e in ogni caso tale prova è stata allegata dall’interessata in seno al procedimento amministrativo, dopo la formazione del silenzio assenso e prima dell’installazione dell’impianto, allo stato non ancora avvenuta. 4.1.5. In definitiva, alla luce delle considerazioni di cui sopra, ritiene il Collegio che sull’istanza di autorizzazione presentata dalla ricorrente si sia formato il silenzio assenso di cui all’art. 44 comma 10 d.lgs. n. 259/2003, di modo che il diniego impugnato, intervenuto solo successivamente al perfezionamento del provvedimento tacito di assenso, è inefficace (e va comunque annullato) ai sensi dell’art. 2, comma 8 bis, della legge n. 241 del 1990. Il rilievo sarebbe - ed è - di per sé assorbente. Peraltro, è fondato anche il secondo motivo. 4.2. Illegittimità derivata del diniego impugnato a causa dell’illegittimità in parte qua dello strumento urbanistico 4.2.1. Il diniego impugnato è stato motivato sul rilievo esclusivo della non conformità urbanistica dell’impianto da installare, e ciò in quanto lo stesso verrebbe realizzato, anzichè sulle aree espressamente deputate dallo strumento urbanistico all’allocazione di attrezzature tecnologiche, ossia le aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico di cui all’art. II.1.1.3 delle NTA del Piano dei Servizi (individuate nelle tavole grafiche del vigente PGT e disciplinate dalla lettera g) dell’art. II.2.1.5 NTA), su un’area di proprietà privata ricadente in ambito “Pc produttivo consolidato”, all’interno del quale lo strumento urbanistico vigente non ammette tipologie di infrastrutture quale quella oggetto di domanda. 4.2.2. Tali previsioni, osserva il Collegio, non sono tuttavia ostative. L’art. 43 comma 4 d.lgs. n. 259 del 2003 (già art. 86, comma 3) prevede che le infrastrutture relative alle reti di comunicazione, ivi inclusi gli impianti radioelettrici, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'articolo 16, comma 7 D.P.R. n. 380/2001, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori. Sulla scorta di tale previsione, la giurisprudenza è costante nel ritenere che le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, sottolineandosi che la disposizione dell'articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003 ha in tal modo evidenziato il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Cons. St., Sez. VI, 1 agosto 2017, n. 3853; Cons. St., Sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5756; T.A.R. Brescia, Sez. II, 2 novembre 2022, n. 1055; 19 novembre 2021, n. 972; 6 aprile 2019, n. 312; 20 settembre 2021 n. 806). Ai Comuni è consentito - ai sensi dell’art. 8 comma 6 della L. n. 36/2001 - di adottare un regolamento “per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico”, ma con la espressa “esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia”. Per conseguenza, secondo la giurisprudenza, "è precluso alle amministrazioni comunali d'introdurre nei piani regolatori e negli altri strumenti pianificatori - regolamento comunale per gli impianti - divieti o limitazioni generalizzati o, comunque, estesi ad intere zone comunali con l'effetto di non assicurare i livelli essenziali delle prestazioni che l'Amministrazione è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale" (Cons. St., Sez. VI, 23 gennaio 2018, n. 444; Cons. St., Sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794). Tale impostazione è stata fatta propria anche da questo T.A.R., il quale ha avuto modo di affermare che, “dall'assimilazione degli impianti di tele radio comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria discende che le infrastrutture di cui trattasi postulano la possibilità che le stesse siano ubicate in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche” (TAR Brescia, Sez. II, 19 novembre 2021, n. 972; Id., sez. I, 10 novembre 2015, n. 1468; id., Sez. II, 20 settembre 2021, n. 806). In particolare, il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in intere zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino, poiché tali disposizioni sono funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l'art. 4, l. n. 36 del 2000 riserva allo Stato attraverso l'individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con d.P.C.M., su proposta del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro della salute. Pertanto, le norme e le prescrizioni di pianificazione locale che individuano aree di installazione devono essere interpretate nel senso che l'indicazione dei siti idonei non è tassativa e che, laddove il gestore proponga siti diversi, l'ufficio competente deve svolgere un'istruttoria tecnica per verificare che tali siti non siano incompatibili con gli interessi primari che il piano è preposto ex lege a tutelare (T.A.R. Latina, sez. I, 27/03/2023, n. 182; TAR Pescara, sez. I, 3 aprile 2021 n. 196; TAR Marche, sez. I, 25 settembre 2020 n. 560). 4.2.3. Alla stregua di tali considerazioni, si ritiene che le aree di localizzazione delle stazioni radio base eventualmente individuate dall'ente locale nell'esercizio dei suoi poteri di pianificazione territoriale vanno ritenuti come meramente preferenziali, sì che, in presenza di una proposta alternativa formulata dall’operatore, peraltro sostenuta da apposita relazione tecnica, è necessario che l'Amministrazione ne valuti comunque la compatibilità con gli interessi pubblici sottesi al piano. 4.3. Nel caso di specie, il Comune di Omissis, facendo mal governo di tali principi, ha relegato gli impianti di telecomunicazione in aree specifiche del territorio comunale, precludendone in modo assoluto e generalizzato l’installazione su tutta la restante parte del territorio. Tale previsione non è stata intesa dall’amministrazione come mera individuazione di aree “preferenziali” su cui installare gli impianti di cui si discute, non preclusiva di indagini sito-specifiche in relazione ad eventuali istanze degli operatori riferite ad aree diverse, ma come previsione di carattere assoluto e vincolante, tale da precludere sul nascere la stessa possibilità per gli uffici di avviare istruttorie mirate in relazione a siti estranei a quelli specificamente individuati, quand’anche ritenuti dagli operatori essenziali o maggiormente idonei ad assicurare l’efficacia tecnologica dell’installazione e la copertura della rete. 4.4. Di conseguenza l’amministrazione, in violazione dei principi sopra esposti, ha omesso di svolgere un’istruttoria specifica in relazione al sito di proprietà privata richiesto dalla ricorrente (peraltro collocato in zona produttiva del territorio comunale), disattendendo il principio codificato dalla normativa di settore secondo cui gli impianti in questione, in quanto assimilati per legge ad opere di urbanizzazione primaria, sono di per sé compatibili con qualsivoglia destinazione urbanistica dell’area interessata e non possono essere confinati in zone specifiche predeterminate dall’amministrazione nel proprio strumento urbanistico, tanto più quando, come nel caso di specie, l’autorità di controllo abbia accertato il rispetto dei limiti di legge in materia di protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici. 4.5. L’asserita offerta da parte dell’amministrazione di siti alternativi, comunque non provata in giudizio, non elide l’illegittimità della condotta amministrativa, inficiata ab origine dalla decisione degli uffici di non avviare neppure una istruttoria sito-specifica riferita all’area richiesta dalla ricorrente, come invece avrebbero dovuto in ossequio ai principi sopra esposti. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, il ricorso deve essere accolto con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato e l’accertamento dell’obbligo conformativo dell’amministrazione di rilasciare alla ricorrente il titolo autorizzativo richiesto, stante il già avvenuto perfezionamento del silenzio assenso sulla domanda dell’interessata del 30 giugno 2023. Sussistono peraltro giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, tenuto conto della complessità della materia e della peculiarità della vicenda esaminata; il contributo unificato è però a carico dell’amministrazione ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1. del D.P.R. 30 maggio 2022, n. 15. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: a) accoglie il ricorso, nei sensi e per gli effetti indicati in motivazione; b) compensa le spese di lite; c) pone il contributo unificato a carico del Comune. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati: Mauro Pedron - Presidente Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere, Estensore Luigi Rossetti, Referendario L'ESTENSORE IL PRESIDENTE Ariberto Sabino Limongelli Mauro Pedron IL SEGRETARIO

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Brescia Terza Sezione Il Giudice Onorario del Tribunale di Brescia, dott. Antonio Cocchia, a seguito dell'udienza di precisazione delle conclusioni del 04/03/2024, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 931/2023 R.G. promossa da: Parte_1 (c.f. C.F._1), Parte_2 (c.f.C.F._2), Parte_3 (c.f. C.F._3, Pt_4(...) (c.f. C.F._4), Parte_5 (c.f.C.F._5 ), Parte_6 (c.f. C.F._6, Parte_7 (c.f. C.F._7), Parte_8 (c.f.C.F._8, Parte_9 (c.f. C.F._9), (...) Pt_io (c.f. c.f._io) rappresentati e difesi dall'Avv. Ma.Ve (c.f. c.f._ii con studio in Brescia, con elezione di domicilio in Indirizzo Telematico presso il difensore, giusta procura; ATTORI contro: Controparte_i (C.F. p.iva_i), corrente in Rodengo Saiano (BS), Viale ... (civici dal 2 al 24), in persona della amministratrice pro tempore CONVENUTO CONTUMACE CONCLUSIONI Le parti hanno così concluso. Parte attrice: in via principale, dichiarare l'illegittimità, la nullità e/o l'annullabilità della delibera condominiale del 24/10/2022, in quanto assunta sulla scorta di un atto emulativo ex art. 833 c.c., come dedotto nella narrativa del presente atto. Con la rifusione delle spese e compensi di lite nonché con rifusione delle spese inerenti la fase introduttiva della mediazione. In via istruttoria: si chiede ammissione di prova per interpello del Geom. Persona_1 amministratore del condominio convenuto contumace, sulle circostanze dedotte e non ammesse. FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO Con atto introduttivo ritualmente notificato in data 24/01/2024, a mezzo pec all'indirizzo di posta certificata dell'Amministratore pro tempore del cp_i convenuto, Email_i attribuito dal sito ini-pec al Geom. Per_i (...) le odierne parti attrici impugnavano la delibera del 24/10/2022. Il cp_i non si è costituito, rimanendo così contumace, dopo che l'assemblea condominiale aveva già deliberato di non partecipare alla mediazione. La causa veniva ritenuta di natura documentale, pertanto, fissata udienza di precisazione delle conclusioni al 04/03/2024, il giudizio veniva trattenuto in decisione con la concessione dei termini per il deposito di comparse conclusionali ed eventuali repliche ex art. 190 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con la delibera impugnata, il cp_i convenuto decideva a maggioranza di rimuovere gli orti e gli arbusti esistenti negli spazi condominiali. Le parti attrici ritengono illegittima la delibera in oggetto, nella parte in cui non vi è una giustificazione per la rimozione degli orti dalle parti comuni e per quale motivo il cp_i debba farsi carico di tale costo non necessario, lamentando così la violazione dell'art. 833 c.c. Con successiva delibera del 14/12/2022 il cp_i deliberava di non costituirsi nel procedimento di mediazione e di sospendere la delibera impugnata, in attesa della decisione giudiziaria. La difesa attrice, ritiene che la decisione di rimuovere gli orti sia scaturita come ritorsione da parte di uno dei condòmini, a seguito del rigetto della propria opposizione giudiziaria con sentenza di codesto Tribunale nel 2021. Indipendentemente da ciò, è importante sottolineare che in effetti, né la delibera impugnata, né la successiva, con cui il cp_i ha autonomamente deciso di sospendere l'efficacia della delibera impugnata, forniscono alcuna spiegazione del perché il cp_i dovrebbe sostenere i costi per la rimozione degli arbusti e degli orti insistenti nelle parti comuni, ed a fronte di quale eventuale vantaggio per la comunità. In linea generale, va ricordato che secondo l'articolo 833 c.c. il proprietario non può compiere atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. Per aversi "atti emulativi" in senso proprio, la giurisprudenza, sulla base di un'interpretazione letterale della norma sopra detta, richiede il concorso di due elementi indefettibili: uno di tipo oggettivo, che consiste nella mancanza di utilità per chi compie l'attività, e uno di tipo soggettivo (c.d. animus nocendi), che è rappresentato dalla consapevolezza e volontà di nuocere o arrecare molestie o danno ad altri (Cass. civ., Sez. II, 27/06/2005, n. 13732). La norma ha la finalità di assicurare che l'esercizio del diritto di proprietà risponda alla funzione riconosciuta al titolare dall'ordinamento, impedendo cioè che i poteri e le facoltà dal medesimo esercitate si traducano in atti privi di alcun interesse per il proprietario ma che, per le modalità con cui sono posti in essere, abbiano l'effetto di recare pregiudizio ad altri. In buona sostanza, l'atto deve essere obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma di per sè idoneo ad arrecare danno a terzi. L'assemblea di condominio ha certamente il potere di decidere, nell'interesse collettivo, le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, come anche quello di modificare - revocando una o più precedenti delibere, benché non impugnate da alcuno dei partecipanti - quelle in atto, ove intenda rivalutare la corrispondenza dell'innovazione ai limiti segnati dagli artt. 1120 e 1121 c.c. (Cass. civ., sez. II, 04/02/2021, n. 2636); di conseguenza sempre in ambito condominiale, non è stata ritenuta emulativa la decisione dell'assemblea che ha deliberato il ripristino di una recinzione fra la terrazza a livello comune e la proprietà individuale di un singolo condomino, poiché tale iniziativa deve ritenersi volta a garantire l'accesso a tutti i condomini alla parte comune e a preservare la stessa da fenomeni acquisitivi per usucapione (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 2005, n. 13732). Nel caso di specie, difetta una qualsivoglia giustificazione per la decisione condominiale impugnata in questa sede. La definizione dell'abuso di diritto è la seguente: "ogni forma anormale di esercizio di un diritto che, senza realizzare alcun interesse per il suo titolare, provoca un danno o un pericolo di danno per altri soggetti". Esempio codicistico è quello relativo agli atti emulativi: l'art. 833 c.c. pone il divieto al proprietario di porre in essere atti che abbiano il solo fine di nuocere o recare molestia ad altri. La Corte di Cassazione ha evidenziato che l'abuso del diritto presuppone: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extra-giuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. Conseguentemente, la Suprema Corte ha avuto modo di statuire che: "L'abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l'utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore" (Cass. 18 settembre 2009 n. 20106). Inoltre, si rimarca come anche in ambito condominiale possa operare l'abuso di diritto. Un esempio è stato dato dalla decisione della Corte d'Appello di Firenze del 19 settembre 2012, in cui si legge che rappresenta abuso del diritto l'impugnazione di una delibera da parte di un condòmino non ritualmente convocato, ma comunque presente alla riunione. La giurisprudenza ha poi asserito che un abuso del diritto in ambito condominiale può dirsi sussistente "quando la causa della deliberazione sia deviata dalla funzione tipica" (Trib. Roma 17 aprile 2019). Nel caso di specie non è dato comprendere il motivo alla base della decisione impugnata. Non è stato illustrato l'eventuale problema costituito dagli orti di cui è stata decisa la rimozione e non si comprende per quale motivo i condòmini dovrebbero sobbarcarsi delle spese per eliminare un proprio bene. Per questi motivi, si accoglie l'impugnazione attorea e si annulla la delibera impugnata. Infine, con riferimento alla spese di lite, le stesse seguono la soccombenza per principio generale ex art. 91 c.p.c., tuttavia in considerazione della mancata opposizione e della autosospensione della delibera impugnata, valutando in modo parzialmente positivo il comportamento di parte convenuta, considerando, inoltre, la non complessità delle attività giudiziali espletate, le stesse vengono mitigate e liquidate come da seguente dispositivo P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, - Accoglie la domanda di parte attrice ed annulla la delibera impugnata del 24/10/2022; - Condanna il cp_i convenuto al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 1.000,00 per competenze legali relative alla fase di mediazione ed alle fasi giudiziali effettivamente espletate, oltre ai costi di mediazione, anticipazioni giudiziali, rimborso delle spese generali, CPA e IVA come per legge. Così deciso in data 10 giugno 2024 dal TRIBUNALE ORDINARIO di Brescia.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA SEZIONE SECONDA CIVILE nella persona del Giudice dott.ssa Elena Fondrieschi ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1913/2018 promossa da: (...) in persona del legale rapp.te p.t., con il patrocinio dell'avv. (...) APPELLANTE contro (...) con il patrocinio dell'avv. (...) APPELLATO Conclusioni Le parti hanno precisato le conclusioni come da fogli depositati telematicamente che qui devono intendersi come integralmente trascritte. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Nel giudizio di primo grado introdotto con atto di citazione notificato in data 24.3.2017, il (...) proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 101/2016, emesso dal Giudice di Pace di Brescia con il quale gli era stato ingiunto il pagamento di 1.758,06 euro, al netto della ritenuta d'acconto, a titolo di competenze del geom. (...) in qualità di ex amministratore del predetto condominio nell'anno 2015, oltre anticipazioni per Euro 113,40, competenze legali liquidate in Euro 300,00, spese di procedura pari ad Euro 49,00 e rimborso forfettario Euro 45,00, oltre oneri di legge. L'opponente chiedeva di revocare e/o dichiarare privo di effetto giuridico il decreto ingiuntivo n. 101/2016 RG 8560/15, respingere la domanda proposta dal geom. (...) in via subordinata, ridurre l'importo della domanda proposta dal geom. (...) nei confronti del (...) per le ragioni esposte, in via riconvenzionale condannare il geom. (...) al risarcimento del danno subito dallo (...) per le ragioni esposte da quantificarsi secondo equità. Il (...) in persona dell'amministratore pro tempore deduceva quanto segue. Con verbale assemblare del 05.03.2016 (doc. 2 fase. attoreo), il (...) revocava il mandato di amministratore al geom. (...) e provvedeva alla nomina del nuovo amministratore nella persona del sig. (...). In data 16.03.2016, il geom. (...) consegnava i documenti relativi alla gestione condominiale al sig. (...) (verbale di consegna doc. fase. 3 opponente). Quest'ultimo sosteneva che il (...) aveva omesso di consegnare i giustificativi contabili relativi agli anni precedenti e che a causa di tali mancanze la rendicontazione del bilancio condominiale per l'anno 2015 era risultata difficoltosa al punto di impiegare più ore di lavoro. Pertanto, avanzava domanda riconvenzionale di risarcimento per aver impiegato la sua assistente più ore di lavoro per redigere il bilancio del 2015 del condominio (...) Il geom. (...) ritualmente costituitosi in giudizio, chiedeva di respingere l'opposizione in quanto infondata in fatto e in diritto e confermare il decreto ingiuntivo opposto. Il geom. (...) deduceva che in data 15.03.2015 aveva consegnato tutta la documentazione contabile del (...) al nuovo amministratore sig. (...). Inoltre, dopo che il (...) gli aveva palesato di avere dei problemi con la redazione del rendiconto del 2015, il (...) si era reso da subito disponibile per risolvere il problema del disavanzo chiedendo al suo collaboratore geom. (...) di visionare la documentazione consegnata insieme alla collaboratrice del (...) sig.ra (...). Quest'ultima, dopo gli incontri chiarificatori del 16 e del 18 marzo 2016 riusciva a redigere la chiusura del bilancio 2015 senza disavanzo patrimoniale. Pertanto, il geom. (...) chiedeva di confermare l'esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, rigettare la domanda di risarcimento, nonché la domanda di riduzione del prezzo. Con sentenza n. 1310/2017 il Giudice di Pace di Brescia rigettava l'opposizione, confermava il decreto ingiuntivo n. 101/2016, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava il (...) in persona del legale rapp.te p.t. al pagamento delle spese di giudizio al convenuto opposto, liquidati in Euro 1.205,00, oltre spese generali (15%), IVA e CPA come per legge. Con atto di citazione in appello notificato il 31/01/2018, il (...) in persona del legale rapp.te impugnava la sentenza civile n. 1310/2017 del giudice di Pace di Brescia. Nel gravame proposto l'appellante lamentava l'errata e/o insufficiente valutazione delle prove documentali e l'errata e/o insufficiente valutazione delle prove orali riguardante la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno che doveva liquidarsi in via equitativa. Chiedeva, previa reiezione di tutte le avverse eccezioni e domande, per quanto di soccombenza, previa eventuale conferma della revoca del decreto ingiuntivo opposto, riformarsi la sentenza del Giudice di Pace di Brescia n. 1310/2017 sent. e, per gli effetti, respingere la domanda proposta dal geom. (...) e/o ridurre l'importo nei confronti del (...) con condanna di Parte Appellata al risarcimento del danno subito dallo (...) da quantificarsi secondo equità. In ogni caso, rifuse le spese ed i compensi dei due gradi di giudizio. Asseriva che il Giudice di primo grado aveva commesso due errori nel valutare le prove sulla documentazione contabile consegnata dal geom. (...) al (...). Il primo errore sarebbe rinvenibile a pag. 5 della sentenza ove il Giudice esponeva che: "non sussiste l'asserita mancanza della riconsegna documentazione necessaria per il nuovo amministratore alla chiusura ed alla redazione del bilancio per l'anno 2015". Il secondo riguardava il fatto che il Giudice di primo grado avesse trascurato alcune contraddizioni in quanto i testi di parte opponente dapprima avrebbero confermato che i documenti consegnati al momento del passaggio di consegne al sig. (...) fossero solamente quelli indicati nel verbale di consegna del 16 marzo 2016 (doc. 3 del fascicolo di primo grado di parte opponente); per poi dichiarare invece che il bilancio 2014 fosse rappresentato dai documenti citati. In particolare i testi (...) e (...) avevano dichiarato espressamente che la documentazione consegnata dal geom. (...) al (...) riguardava "la ripartizione delle spese condominiali costituenti il bilancio 2014, il documento riepilogativo e la contabilità giornaliera, documenti di cui al verbale di consegna del 16 marzo 2015" (doc. 3 del fascicolo di primo grado) e la sig.ra (...) durante la sua deposizione testimoniale aveva dichiarato: "si è vero, confermo il verbale di consegna doc. 3 dell'opponente" e così anche il teste sig. (...). Inoltre, l'appellante asseriva che il Giudice di prime cure non si era pronunciato sul risarcimento in vie equitativa. Il geom. (...) ritualmente costituitosi in giudizio, con comparsa di costituzione e risposta, chiedeva la conferma della sentenza di primo grado e contestava la fondatezza dell'appello, reiterando le eccezioni ed argomentazioni svolte in primo grado. Concludeva chiedendo anche il rigetto della domanda attorea formulata ex art. 96 c.p.c. in quanto infondata. La causa matura per la decisione veniva trattenuta in decisione con termini per le comparse e le repliche. La sentenza n. 1310/2017 con la quale il Giudice di Pace di Brescia ha respinto le domande del (...) in persona del legale rapp.te p.t, confermando il decreto ingiuntivo opposto e lo condannava alle spese legali e interessi va confermata per le ragioni che seguono. Dall'analisi degli atti, delle prove testimoniali e dei documenti di causa emerge quanto segue. Risulta provato che il (...) il giorno 15 maggio 2014 nominava amministratore il geom. (...) pattuendo un compenso annuo di Euro 2.500,00, inclusa iva e cassa geometri (cfr. doc.1 fascicolo monitorio). Successivamente, con verbale assembleare del 05 marzo 2015 il (...) approvava il bilancio consuntivo relativo al periodo 15 maggio 2014 -31 dicembre 2014 (cfr. doc.2 secondo punto - fascicolo monitorio) e in tale seduta sollevava dall'incarico l'appellato dopo soli dieci mesi di attività (cfr. doc.2 primo punto - fascicolo monitorio). Il giorno 16 marzo 2015 il nuovo amministratore del (...) il sig. (...) si recava a (...) nello studio del geom. (...) dove ritirava la documentazione contabile e sottoscriveva il verbale di "passaggio di consegne". Il momento del passaggio delle consegne si concretizza, in pratica, nella redazione del c.d. verbale di consegna, contenente un elenco di tutti i documenti condominiali detenuti dall'amministratore sostituito che vengono consegnati al subentrante. La restituzione della documentazione da parte del precedente amministratore appare indispensabile ai fini della corretta gestione del condominio da parte del successivo amministratore. L'amministratore è obbligato a norma dell'art. 1129, comma 8, c.c., come modificato dalla L. n. 220 del 2012, alla cessazione dell'incarico l'amministratore alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi. L'eventuale inadempimento all'obbligo in questione lo rende responsabile di tutti i danni che il condominio affermi e dimostri di aver subito per effetto di tale mancata e/o ritardata restituzione. Le censure di parte appellante di mancata consegna di documentazione contabile e contraddittorietà delle prove orali con quelle documentali non possono essere accolte. Dall'escussione dei testi (...) e (...) è emerso che al momento del passaggio di consegne al (...) erano stati trasmessi i documenti elencati nel verbale sottoscritto dallo stesso e prodotto in causa, vale a dire la tabella ripartizione delle spese condominiali costituente il "bilancio anno 2014", il "documento riepilogativo" e la "contabile giornaliera" (cfr. docc. 8-9-10-11 fascicolo di 1° grado). Il teste (...) precisava, inoltre, che il rendiconto consuntivo dettagliato dell'anno 2014, attestante anche la situazione patrimoniale 2014, era stato da lui inviato a mezzo lett. racc. ad ogni singolo condomino. Decisiva sul punto è stata la deposizione resa dal teste (...) costruttore del fabbricato condominiale, il quale dichiarava di aver gestito personalmente il (...) fino al febbraio 2014 e di non aver mai redatto i bilanci condominiali ma provveduto alla ripartizione delle spese tramite le tabelle millesimali. Dalle prove documentali in atti è emerso che l'unica documentazione consegnata dal (...) al (...) riguardava la contabilità del 2015 e che non avrebbe mai potuto consegnare documentazione ulteriore perché inesistente, come riferito dal teste (...), costruttore del fabbricato (...) che i bilanci di chiusura degli anni precedenti al 2014 non esistevano perché mai redatti poiché il condominio fino a prima della nomina di amministratore del (...) era stato da lui gestito e che fino ad allora tutti i pagamenti venivano ripartiti tra i singoli condomini in ragione delle tabelle millesimali senza necessità di un rendiconto e/o bilancio consuntivo. Ulteriore documentazione contabile non è stata consegnata neppure in occasione dei due incontri fra i due collaboratori di studio del (...) e del (...) cui sono stati forniti solo chiarimenti, così come confermava la teste (...): "dopo due incontri e qualche mail siamo riusciti a chiudere il bilancio 2015 e a raggiungere il pareggio con la documentazione prodotta dallo studio (...). Pertanto, non sussiste nessuna contraddizione tra le prove orali e documentali. Orbene, il Giudice di prime grado correttamente ha concluso a pag. 5 che "non sussiste la mancata riconsegna dei bilanci di chiusura precedenti al 2014 perché inesistenti e ciò non per fatto e colpa di (...). Dalle risultanze probatorie emerge che il geom. (...) ha consegnato al (...) tutta la documentazione contabile del (...) necessaria al nuovo amministratore per la redazione del bilancio 2015. Anche la seconda censura sulla domanda riconvenzionale di risarcimento per i danni a titolo di danno economico che il (...) asseriva di avere subito per le ore di lavoro impiegate in eccedenza dalla (...), sua collaboratrice per la corretta chiusura del bilancio 2015, non può trovare accoglimento, non solo perché non vi è alcuna responsabilità del (...) nella consegna di documentazione, ma anche perché è emerso in istruttoria che il (...) nulla ha corrisposto alla (...) per le ore impiegate nei due incontri. La richiesta di risarcimento deve essere supportata da una dimostrazione del danno emergente, concreto e attuale, non irrisorio, che nel caso specifico nemmeno risulta specificatamente dedotto. Le spese di lite seguono la soccombenza con condanna di parte appellante alla rifusione in favore di parte appellata delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 1.956,15 di cui euro 1.701,00 per compenso professionale (considerati valori medi per fase studio e introduttiva e per decisionale in ragione dell'attività concretamente svolta) ed euro 255,15 per spese generali oltre iva, cpa, spese di notifica, contributo unificato e marca da bollo. P.Q.M. Il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita così dispone: Respinge l'appello principale proposto dal (...) e conferma la sentenza n. 101/2016 emessa dal Giudice di Pace di Brescia. Condanna parte appellante a rifondere a parte appellata le spese di lite, liquidate come in parte motiva. Brescia, 20 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale Ordinario di Brescia Terza Sezione CIVILE Il Tribunale Ordinario di Brescia in composizione monocratica, nella persona del giudice Claudia Gheri, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile di 1 grado ex artt. 281-decies ss. c.p.c. iscritta al n. 11037 del ruolo contenzioso generale dell'anno 2023 promossa da (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato a (...), presso lo studio dell'Avv. (...), che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso RICORRENTE contro (...) (C.F. (...)), in persona dell'amministratore di sostegno Avv. (...) elettivamente domiciliata a (...) presso lo studio dell'amministratore, che la rappresenta e difende giusta autorizzazione del Giudice Tutelare del 30.10.2023 RESISTENTE OGGETTO: (...) CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Il (...) ha promosso il presente ricorso nei confronti di (...) proprietaria di un appartamento sito all'interno del (...) allegandone la morosità nel pagamento delle spese condominiali per la gestione 2018 - 2019 per complessivi Euro 2.904,08, nonché nel versamento delle rate preventivate per l'esercizio ordinario 2019/2020 per complessivi Euro 1.195,23, debito per cui era stato emesso, in data 29.1.2020, decreto ingiuntivo, che, tuttavia, non aveva consentito alcun recupero delle somme dovute, e aggiungendo che l'inadempienza della condomina morosa si era protratta nel tempo, sino alla maturazione di un debito complessivo pari ad Euro 8.714,00. Il ricorrente ha, quindi, richiesto al Tribunale, ex art. 63, comma 3, disp. att. c.c., di autorizzare la sospensione, nei confronti della resistente morosa, del servizio comune del riscaldamento. (...) si è costituita in giudizio in persona del suo amministratore di sostegno non contestando la morosità, spiegabile alla luce della pensione modesta da lei percepita, pari ad Euro 1.000,00 mensili, ma rilevando che il distacco del riscaldamento avrebbe recato un grave danno alla sua salute psico-fisica, essendo costei affetta da decadimento cognitivo e sindrome di Korsakoff, obbligandola ad affrontare l'inverno senza riscaldamento. La resistente, quindi, ha chiesto il rigetto del ricorso. All'udienza del 29.11.2023, non essendo stato possibile raggiungere un accordo transattivo fra le parti, la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell'art. 281-sexies, comma 3, c.p.c.. Il ricorso è fondato e merita accoglimento. Ai sensi dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., "in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato": la disposizione, in particolare, investe l'amministratore di un potere di autotutela che diventa azionabile per rimuovere ostacoli frapposti dal condomino moroso all'esercizio di tale potere (cfr., con riferimento al riscaldamento centralizzato, T. Busto Arsizio 24.10.2010 e T. Milano 19.10.1998). Nel caso di specie, dai documenti versati in atti (documenti numeri da 1 a 7), risulta che la morosità della proprietaria dell'appartamento sito nel (...) ricorrente si protrae da ben oltre un semestre, circostanza non contestata nel merito dalla resistente (...) e il servizio indicato dal ricorrente - riscaldamento - è senz'altro ascrivibile a quelli "comuni suscettibili di godimento separato""; è verosimile, infine, che per la sua sospensione siano necessari interventi che comportino l'ingresso all'interno dell'unità immobiliare di proprietà di (...) tali da incontrare l'opposizione della stessa o degli altri eventuali inquilini che la occupino. La proprietaria debitrice, inoltre, ha riconosciuto l'esistenza del debito nei confronti del (...) e l'oggettiva impossibilità di saldarlo, limitandosi a giustificarne la ragione: pertanto, appaiono molto limitate le prospettive di recupero delle spese anticipate dagli altri condomini, come dimostrato dal decreto ingiuntivo già ottenuto, la cui esecuzione è stata infruttuosa, con conseguente necessità di interrompere l'erogazione del servizio di cui all'art. 63, comma 3, sopra citato per evitare un incontrollato incremento del debito ormai con ogni probabilità irrecuperabile. Con riferimento a quella giurisprudenza di merito che riteneva di dover distinguere, all'interno dei servizi suscettibili di godimento separato, fra quelli essenziali alla tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.), non sospendibili ai sensi dell'art. 63, comma 3, disp. att. c.c., e quelli non essenziali, sospendibili, con conseguente inapplicabilità della sospensione di cui all'art. 63, comma 3, sopra citato all'erogazione del riscaldamento e dell'acqua (Trib. Bologna, ordinanza del 15.9.2017), questo Tribunale ritiene di aderire al diverso orientamento secondo cui, nell'ordinamento italiano, non sussiste un obbligo per i condòmini in regola con i pagamenti di assumersi personalmente, a fini solidaristici, l'obbligazione di quelli morosi, perché questo significherebbe costringere i primi a continuare a sostenere i costi delle forniture di acqua e di gas che gravavano sui secondi o, in caso contrario, a subire, addirittura, le conseguenze dovute al distacco delle forniture da parte dell'erogatore dei servizi, con conseguente possibile lesione del diritto alla salute di tutti i condomini non morosi in luogo di quello dei morosi soltanto (Trib. Bologna, ordinanza del 3.4.2018, che ha riformato in sede di reclamo l'ordinanza dianzi citata, del 15.9.2017). Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto, con conseguente condanna della resistente a rimborsare al (...) ricorrente le spese di lite del presente giudizio, liquidate come da dispositivo secondo i parametri minimi previsti dalle tabelle allegate al D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 147/2022, previste per i procedimenti di cognizione dinanzi al Tribunale cautelari di valore compreso fra Euro 5.201,00 ed Euro 26.000,00, con esclusione delle fasi istruttoria/di trattazione, di fatto non celebrata, e decisoria, considerato il mancato deposito, ad opera delle parti, di scritti conclusivi. P.Q.M. Letto l'art. 63 disp. att. c.c., 1. Autorizza il (...) sito a (...) in (...), a sospendere il servizio condominiale del riscaldamento centralizzato nei confronti della condomina (...) 2. Ordina a (...) agli eventuali occupanti dell'unità immobiliare di proprietà di costei: a) di consentire ai tecnici e/o all'impresa incaricati dal (...) la realizzazione della sospensione della fornitura del riscaldamento, mediante ingresso all'interno dell'unità immobiliare di proprietà di (...) facente parte del detto (...) per procedere all'attuazione della sospensione della fornitura del riscaldamento sino a sanatoria della morosità maturata; b) di consentire ai tecnici e/o all'impresa incaricati dal (...) la realizzazione della sospensione della fornitura del riscaldamento, mediante ingresso all'interno della suddetta unità immobiliare di proprietà di (...) per procedere all'effettuazione degli autorizzati distacchi con ogni mezzo tecnico del caso e con autorizzazione altresì all'asporto degli elementi posizionati all'interno dell'immobile; 2. condanna la resistente, (...) a rifondere al (...) ricorrente le spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro 849,00 per compensi, oltre rimborso forfettario per spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge, e in Euro 279,28 per esborsi. Così deciso in Brescia il 10 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA SEZIONE SECONDA CIVILE Il Tribunale, nella persona del giudice dott. Marina Mangosi ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6188/2023 promossa da: (...) ATTORE con il patrocinio dell'avv. (...) contro (...) CONVENUTA contumace MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO Rilevato che l'attrice ha citato in giudizio (...) al fine di sentirla condannare, accertata la validità e l'efficacia del contratto d'appalto stipulato il (...) fra l'attrice e la (...) quale amministratore p.t. del (...) con sede in (...) in (...), al pagamento della somma di Euro 119.559,72 o di quella minore o maggiore somma dovuta, oltre agli interessi di mora dalla presentazione della domanda giudiziale fino all'effettivo saldo, ai sensi dell'art. 1284, IV comma, c.c. a titolo di rimborso spese e mancato guadagno e di caparra confirmatoria; che la convenuta è rimasta contumace; che parte attrice ha prodotto copia del contratto avente ad oggetto lavori di ristrutturazione della piscina condominiale; che parte attrice ha prodotto altresì copia della "revoca" del contratto, trasmessa a mezzo PEC dall'amministratore in data (...) (cfr. doc. 5) e copia dell'"accettazione del recesso" da parte di (...) trasmessa a mezzo PEC il (...) alla convenuta (cfr. doc.8); che dal contratto prodotto da parte attrice si evince all'art. 15 delle condizioni genali di contratto che "è facoltà di (...) accettare la richiesta di recesso dal contratto da parte del cliente, che sarà comunque obbligato a corrispondere a (...) un importo pari al 30% del valore residuo dei pagamenti ancora in essere al momento della comunicazione di recessione, a titolo di rimborso spese e mancato guadagno, oltre la caparra confirmatoria"; l'art 2 delle condizioni genali di contratto dispone, inoltre, che "il pagamento all'ordine viene richiesto a titolo di caparra confirmatoria ai sensi dell'art. 1385 c.c."; che, a seguito dell'intervenuto recesso, non sono stati eseguiti i lavori da parte di (...) che, del resto, dal contenuto della PEC inviata dal legale dei condomini di (...) il (...) (cfr. doc. 9), si evince che mai è stata deliberata da questi ultimi l'approvazione di un contratto d'appalto con (...) che parte convenuta, non costituendosi, non ha dedotto alcunché al fine di smentire le allegazioni della controparte; che senza l'espletamento di attività istruttoria la causa è stata rimessa in decisione, con discussione orale; rilevato che alla luce della documentazione prodotta possono ritenersi pacifiche le seguenti circostanze: - il perfezionamento di un valido contratto d'appalto fra il (...) in persona dell'Amministratore legale rappresentante pro tempore (...) e (...) in persona del legale rappresentante pro tempore; - l'esercizio del diritto di recesso da parte del committente; - che l'art 15 delle condizioni generali di contratto prevede che, in caso di recesso da parte del cliente, quest'ultimo sarà comunque obbligato a corrispondere a (...) un importo pari al 30% del valore residuo dei pagamenti ancora in essere al momento della comunicazione di recesso a titolo di "rimborso spese e mancato guadagno"; - che l'art. 2 delle condizioni genali di contratto dispone, inoltre, che il pagamento della prima franche del corrispettivo complessivo ("all'ordine"), pari ad Euro 50.181,60 oltre IVA, costituiva caparra confirmatoria ai sensi dell'art. 1385 c.c."; - l'assenza di preventiva delibera assembleare di approvazione del contratto d'appalto, e di successiva ratifica da parte dell'assemblea condominiale; - nessun importo sia stato corrisposto dal (...) rilevato che: - l'importo dovuto ai sensi dell'art. 15 va quantificato sull'intero prezzo d'appalto (Euro 167.272,00 oltre IVA), non essendo stato eseguito alcun lavoro, ed ammonta ad Euro 55.200,00, importo già comprensivo di IVA; - la funzione di anticipazione della prestazione e di rafforzamento del vincolo obbligatorio propria della caparra confirmatoria si perfeziona con la consegna che una parte fa all'altra di una somma di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso di inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale") e che, pertanto, in mancanza della traditio della somma convenuta a titolo di caparra deve ritenersi preclusa la possibilità di far valere alcuna delle funzioni di tale istituto (Cass. 35068/22); - qualora, l'amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 1135, comma 2, c.c., abbia disposto, in assenza di previa delibera assembleare, lavori di straordinaria amministrazione, la relativa obbligazione è riferibile al condominio ove l'amministratore ne abbia speso il nome e quei lavori siano caratterizzati dall'urgenza, mentre, in mancanza di quest'ultimo requisito, non è configurabile alcun diritto di rivalsa o regresso del condominio medesimo, atteso che i rispettivi poteri dell'amministratore e dell'assemblea sono delineati con precisione dalle disposizioni del codice civile (artt. 1130 e 1135), che limitano le attribuzioni dell'amministratore all'ordinaria amministrazione e riservano all'assemblea dei condomini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria, con la sola eccezione dei lavori di carattere urgente (cfr. Cass. 2807/17; Cass. n.4332/1987); - che, in particolare, "(... nel caso in cui l'amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all'art. 1135 comma 2 c.c., abbia assunto l'iniziativa di compiere opere di manutenzione straordinaria caratterizzate dall'urgenza, ove questa effettivamente ricorra ed egli abbia speso, nei confronti dei terzi, il nome del condominio, quest'ultimo deve ritenersi validamente rappresentato e l'obbligazione è direttamente riferibile al condominio. Laddove invece i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell'amministratore non posseggano il requisito dell'urgenza, il relativo rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dell'amministratore al di fuori delle sue attribuzioni, attesa la rilevanza "esterna" delle disposizioni di cui agli artt. 1130 e 1135 comma 2 c.c." (Cass. 2807/17; Cass. 6557/2010); - che nel caso di specie, i lavori di ristrutturazione relativi alla piscina condominiale, oggetto del contratto d'appalto, non risultano caratterizzati dal requisito dell'"urgenza"; ritenuto, pertanto, in base alle considerazioni che precedono, che il contratto d'appalto stipulato deve ritenersi inefficace nei confronti del (...) dal momento che l'amministratore, odierna parte convenuta, ha posto in essere un atto al di fuori delle proprie attribuzioni; rilevato altresì che il rapporto tra l'amministratore del condominio ed il condominio è qualificabile in termini di mandato le cui disposizioni sono applicabili ex art. 1129, comma 5, c.c., per quanto non disciplinato in modo specifico da detta norma (Cass. 36430/21); che il contratto posto in essere dal mandatario oltre i limiti del mandato, in caso di mancanza di ratifica, è inopponibile al mandante ed i suoi effetti si producono nel patrimonio del mandatario, che li assume a suo carico ed ha l'obbligo di tenere indenne il mandante da qualsiasi pregiudizio che possa derivare per il suo patrimonio dalla stipulazione e dall'esecuzione del negozio. (Cass. 982/02); che, in conclusione la domanda formulata dall'attrice va accolta limitatamente all'importo dovuto a titolo di rimborso spese e mancato guadagno, con conseguente condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 55.200,00 oltre interessi legali ex art. 1284 IV comma c.c. dalla notifica della citazione al saldo; che le spese seguono la soccombenza e si liquidano nella misura di Euro 9142,00 per compenso professionale, di cui Euro 2552,00 per studio, Euro 1628,00 per la fase introduttiva, Euro 2835,00 per la fase istruttoria (importo minimo considerato che non è stata svolta l'attività istruttoria) ed Euro 2127,00 per la fase decisoria (importo minimo considerato che la causa è stata decisa mediante discussione orale e senza deposito di note conclusive); P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: 1) condanna la convenuta al pagamento, per le causali di cui in motivazione, della somma di Euro 55.200,00 oltre interessi legali dalla notifica dell'atto di citazione sino al saldo; 2) condanna altresì parte convenuta a rimborsare le spese di lite, che si liquidano in Euro 9142,00 per compenso professionale, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali come per legge. Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale. Brescia, (...)

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BRESCIA - Terza Sezione Civile - Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Andrea Tinelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 6011/2023 R.G. promossa da (...) e (...) (avv. RI.RA.) ATTORI contro (...) (avv. ST.OS.) CONVENUTO CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli depositati in data 5 febbraio 2024. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Le parti sono proprietarie di unità immobiliari all'interno di un fabbricato - in origine appartenente al sig. (...) nonno degli attori e padre del convenuto - sito a Borno, località (...). Segnatamente, gli attori sono comproprietari della porzione distinta al NCEU di detto comune al foglio (...) sez. BOR con il mappale (...) sub. 1 piano 1-2, mentre il convenuto è proprietario della porzione censita al mappale (...) sub. 2 piano S-T. Gli istanti hanno allegato che, nel 2012, il convenuto avrebbe installato, senza alcuna autorizzazione, i dispositivi che regolano l'impianto fotovoltaico sulla parte esterna della loro unità immobiliare (muro perimetrale) e i pannelli fotovoltaici sul tetto comune e hanno chiesto la rimozione di tali manufatti (posti a servizio del solo appartamento del convenuto), ovvero un indennizzo in denaro per l'occupazione abusiva, nel caso la tutela in forma specifica fosse troppo onerosa. Il convenuto si è opposto all'accoglimento della domanda, sulla base di due argomenti: (i) l'installazione dell'impianto sarebbe avvenuta nel 2014, previo assenso del sig. (...) (ii) in ogni caso, la realizzazione di un impianto fotovoltaico come quello in esame sarebbe sempre consentita dall'art. 1122-bis c.c. (entrato in vigore dal 18 giugno 2013). Gli attori, nella prima memoria ex art. 171-ter c.p.c., hanno replicato che il dispositivo dell'impianto si trova sulla parete divisoria del loro appartamento, a ridosso della porta d'ingresso, all'interno del pianerottolo/terrazza a loro uso esclusivo. Il convenuto, nella successiva memoria, ha controbattuto evidenziando che non esistono muri perimetrali in proprietà esclusiva, ma solo comuni. Non è stata svolta attività istruttoria. Si conferma, anche in punto di motivazione, l'ordinanza del 12 gennaio 2024. L'udienza di discussione ex art. 281-sexies c.p.c. si è svolta nelle forme della trattazione scritta. Acquisite le note delle parti, viene pronunciata la presente sentenza. 2. Si richiamano atti e documenti di causa, noti alle parti. 3. L'installazione dell'impianto fotovoltaico (sistema e pannelli), la sua ubicazione (parete esterna dell'unità attorea e tetto dello stabile) e l'asservimento alla sola porzione immobiliare del convenuto non sono in contestazione. È altresì (ovviamente) pacifica la natura condominiale del tetto. Vi è discussione, invece, circa la parete dove sono agganciati i dispositivi di regolazione dell'impianto. Secondo gli attori essa sarebbe di loro esclusiva proprietà, mentre a detta del convenuto avrebbe natura condominiale. Rientrano fra i muri maestri, annoverabili fra le parti comuni dell'edificio ex art. 1117 n. 1) c.c., non solo i muri portanti, ma anche i muri perimetrali, in quanto: - determinano la consistenza volumetrica dell'edificio; - lo proteggono dagli agenti atmosferici e termici; - delimitano la superficie coperta; - delineano la sagoma architettonica dell'edificio stesso (cfr. Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2749 del 30/05/1978). Nell'ambito dei muri perimetrali (comuni) dell'edificio rientrano pure i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle linee verticali dell'immobile, a nulla rilevando, in senso contrario, che un muro si apra su un terrazzo di proprietà esclusiva (v., Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 27145 del 21/12/2007). Alla luce di questi principi, che ben si attagliano al caso concreto, la parete su cui si trovano i dispositivi dell'impianto - qualificata dagli stessi attori "muro perimetrale" (così, pag. 2 della citazione) - non può che rivestire natura comune, benché arretrata e interna alla loro terrazza. Del resto, gli attori non hanno allegato né prodotto alcun titolo negoziale idoneo a sovvertire la presunzione di condominialità dettata dall'art. 1117 n. 1) c.c. per i muri perimetrali. La conseguenza di quanto esposto è che ogni parte dell'impianto è posta su parti comuni dell'edificio. Ne deriva che la fattispecie è disciplinata dall'art. 1122-bis c.c. Ai sensi di tale disposizione, l'installazione dell'impianto de quo, in quanto destinato alla singola unità abitativa del convenuto, non era soggetta alla preventiva autorizzazione assembleare (comma 4). L'intervento dell'assemblea è contemplato solo in via del tutto eventuale, per prescrivere modalità di esecuzione dell'opera tali da salvaguardare la stabilità e il decoro dell'edificio, nonché il pari utilizzo del lastrico e delle altre superfici comuni da parte dei restanti condomini (comma 3). Dunque, la realizzazione dell'impianto - risalente al 2014, non al 20123 - non può essere censurata dagli attori, né sotto il profilo dell'assenza di una preventiva autorizzazione, né sotto quello del mancato successivo coinvolgimento assembleare, poiché gli istanti non hanno mai motivatamente asserito che sia stato arrecato pregiudizio alla stabilità o al decoro dell'edificio, ovvero che l'ampiezza della porzione di parti comuni occupate sia incompatibile con l'altrui pari uso. In conclusione, le domande attoree vanno respinte. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come segue, secondo i parametri dettati dal d.m. n. 55/2014 per i procedimenti di valore compreso fra euro 26.001,00 ed euro 52.000,00. Fase di studio della controversia, valore medio: euro 1.701,00; fase introduttiva del giudizio, valore medio: euro 1.204,00; fase istruttoria e/o di trattazione, valore minimo, poiché non sono state assunte prove costituende: euro 903,00; fase decisionale, valore medio: euro 2.905,00. Compenso tabellare euro 6.713,00, oltre rimborso forfettario al 15%, Iva e Cassa. P.Q.M. Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa o assorbita: 1. rigetta le domande attoree; 2. condanna gli attori, in solido fra loro, a rifondere al convenuto le spese di lite, che liquida in euro 6.713,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, Iva e Cassa. Brescia, 9 febbraio 2023.

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