Sentenze recenti Tribunale Brescia

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ca. e Ar. Pl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Brescia, via (...); per l'annullamento - del provvedimento disciplinare del 31 gennaio 2022 numero 333/SSA/I/232778, notificato all'interessato in data 8 febbraio 2022 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso notificato il 1° aprile 2022, l'odierno ricorrente, -OMISSIS-, agente scelto della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto del Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza emesso il 31 gennaio 2022, notificato l'8 febbraio 2022, con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, ai sensi dell'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 2. Il provvedimento disciplinare risulta fondato sulla seguente motivazione: "dall'aprile del 2020 al febbraio del 2021 manteneva, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con compagnie non confacenti al proprio stato. Inoltre, in violazione dei doveri inerenti alle funzioni, rivelava notizie ed informazioni di uffici riguardanti le attività di Polizia giudiziaria e controllo del territorio, turbando la regolarità del servizio". 3. In particolare, il procedimento disciplinare era stato avviato dopo l'arresto di S.A., pregiudicato, avvenuto in Lecco in data 30 ottobre 2020, in concorso con il cittadino albanese F.C., per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto trovati in possesso di 450 gr di cocaina, oltre 2,3 kg. di hashish e circa 7 gr. di marijuana. 4. Dall'analisi del cellulare di S.A. e dai successivi riscontri sui tabulati telefonici acquisiti in sede di indagine, erano emersi numerosi ed assidui contatti dell'agente scelto -OMISSIS- con il pregiudicato sopraindicato e con i familiari di quest'ultimo, anche dopo il suo arresto. 5. In particolare, tale stretta frequentazione, quasi fraterna, era emersa dai numerosi contatti telefonici, dall'analisi delle chat wh. e da Fa., intrattenuti fino alla mattina del giorno in cui S.A. è stato tratto in arresto, di cui viene dato ampiamente conto nell'annotazione redatta in data 26 febbraio 2021 da personale della Squadra Mobile della Questura di Lecco. 6. Nelle chat intercorse, inoltre, erano state rilevate alcune richieste di informazioni relative al servizio di controllo del territorio svolto dalle volanti che S.A. aveva rivolto a -OMISSIS-, confidando sulla sua disponibilità ; in ben quattro occasioni, tutte documentate, S.A., mentre si trovava in alcuni locali della Provincia di Lecco, aveva inviato all'agente scelto -OMISSIS-, tramite wh., le foto di alcuni avventori, chiedendogli se appartenessero alle FF.OO.: una volta il -OMISSIS- aveva confermato che uno dei soggetti fotografati era effettivamente un appartenente all'Arma dei Carabinieri. In un'altra circostanza, sempre mediante lo stesso mezzo di comunicazione, aveva informato l'amico sulla propria posizione durate il servizio di volante e gli aveva inviato foto raffiguranti sia l'autovettura di servizio che colleghi e persone sottoposte a controlli documentali. 7. Era inoltre emerso un altro rapporto di conoscenza dell'agente scelto -OMISSIS- con altri soggetti trovati in possesso di sostanze stupefacenti e tratti in arresto in data 21 luglio 2020 dalla Polizia Ferroviaria di Milano e il 28 ottobre 2020 dalla Squadra Mobile di Lecco. 8. Pertanto, l'agente scelto -OMISSIS- era stato deferito alla locale A.G. per il reato di rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. 9. In data 20 aprile 2021, il Pubblico Ministero titolare dell'indagine aveva formulato richiesta di archiviazione per speciale tenuità del fatto, rilevando che: "- non ricorrono le condizioni per dover richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato; - il reato per cui si procede rientra nella cornice edittale prevista dall'art. 131-bis, commi 1 e 4 c.p.; - non ricorrono le cause ostative di cui all'art. 131-bis, co. 2 e 3 c.p; - le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio; - l'instaurazione di un giudizio penale non appare coerente con le finalità per cui questo è stato disegnato dal Legislatore". 10. In data 9 giugno 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecco aveva accolto la richiesta del Pubblico Ministero, emettendo decreto di archiviazione del procedimento penale. 11. Il Questore di Lecco, acquisito il citato decreto in data 29 giugno 2021, a seguito di formale istanza finalizzata a conoscere lo stato del procedimento penale, avviava l'inchiesta disciplinare, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 737/1981, nominando, con atto del 10 settembre 2021, notificato il 13 settembre 2021, il funzionario istruttore, il quale, a sua volta, in data 21 settembre 2021, formalizzava la contestazione degli addebiti, individuando ex art. 6, commi 1, 4 e 7 della citata normativa, in relazione alla condotta tenuta dall'agente, la sanzione della "sospensione dal servizio". 12. L'agente De Beo, in data 17 ottobre 2021, presentava memoria difensiva, con la quale negava di conoscere i pregiudizi penali a carico di S.A. e dei suoi familiari, nonché contestava di aver rivelato segreti d'ufficio. 13. Il procedimento disciplinare si è concluso con l'adozione del provvedimento disciplinare oggetto dell'odierno ricorso. 14. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Interno per resistere al ricorso depositando documenti e memorie e insistendo per il rigetto del ricorso. 15. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è affidato a tre motivi di illegittimità . 2. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 6, dPR 737/81: il ricorrente sostiene che siano stati violati i termini per l'esercizio del potere disciplinare. A suo dire la contestazione degli addebiti sarebbe avvenuta oltre i 40 giorni dalla comunicazione del decreto di archiviazione, e ciò in violazione dell'art. 9, comma 6, d.P.R. 737/81 che prevede "Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 2.1. Il motivo è infondato. 2.2. Si osserva che l'art. 9, comma 6, del d.P.R. 737/81 presuppone che sia stata pronunciata una sentenza, sia essa di condanna o di assoluzione, con la quale sia stato definito il processo penale, situazione che non ricorre nel caso di specie, dove invece non è stata esercitata l'azione penale - si evidenzia - non per infondatezza della notitia criminis, ma per la speciale tenuità del fatto. 2.3. Il citato articolo, inoltre, fa decorrere il dies a quo del termine di decadenza per la contestazione degli addebiti, che coincide con l'inizio del procedimento disciplinare, dalla pubblicazione o dalla notificazione della sentenza, adempimenti non prescritti per il decreto di archiviazione. 2.4. Non trattandosi dunque di casi simili, il citato art. 9, comma 6, non può trovare applicazione analogica come invece sostiene parte ricorrente, dal momento che l'art. 12 delle preleggi prevede che se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, salvo il divieto di analogia in malam partem, sancito dal successivo art. 14, per le leggi penali e leggi eccezionali. 2.5. Ebbene, nel caso di specie, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 31 del d.P.R. n. 737/1981, ai procedimenti disciplinari dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è applicabile analogicamente l'art. 103 d.P.R. n. 3/1957, secondo il quale "l'ufficio del personale che abbia comunque notizia di una infrazione disciplinare commessa da un impiegato svolge gli opportuni accertamenti preliminari e, ove ritenga che il fatto sia punibile con la sanzione della censura, rimette gli atti al competente capo ufficio; negli altri casi contesta subito gli addebiti all'impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni". 2.6. Per costante giurisprudenza la norma ora citata, secondo cui la contestazione degli addebiti deve avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione all'osservanza di un termine prestabilito e puntuale, tale da comportare col suo decorso la decadenza dell'azione disciplinare, bensì indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedimentale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. II, 6 febbraio 2023, n. 1212). 2.7. Non è infatti previsto, all'art. 12, d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737 - che costituisce la normativa speciale rispetto a quella generale dettata dal d.P.R. n. 3 del 1957 -, alcun termine perentorio per la contestazione degli addebiti disciplinari a carico degli agenti della Polizia di Stato, con la conseguenza che l'Amministrazione procedente deve ottemperare solo ad una regola di ragionevole prontezza nell'effettuare detta contestazione; inoltre, l'uso del termine "subito" nel contesto dell'art. 103, d.P.R. n. 3 del 1957, ai fini della contestazione degli addebiti, per l'orientamento giurisprudenziale consolidato, presenta una mera valenza sollecitatoria, sicché residua all'Amministrazione un ampio spazio di azione ai fini dell'espletamento degli adempimenti finalizzati al reperimento e alla valutazione degli elementi relativi alle vicende oggetto di esame; infatti, nel procedimento disciplinare a carico dell'agente di Polizia di Stato - che ha inizio con la contestazione degli addebiti e termina con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato - vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, e cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, la presa di visione degli atti e, appunto, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli ordinatori o sollecitatori, che sono tutti gli altri termini (Consiglio di Stato sez. III 20 giugno 2018 n. 3779, T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. V, 23 febbraio 2024, n. 718). 2.8. Ciò chiarito, va ulteriormente precisato che il d.P.R. n. 737/1981 non indica puntualmente quale sia l'atto di avvio del procedimento disciplinare, ossia quello che materialmente impedisce la decadenza dal potere, sicché spetta all'interprete individuarlo. 2.9. Orbene, analizzando il corpus normativo va rilevato come per l'irrogazione del richiamo scritto, della pena pecuniaria e della deplorazione il procedimento si avvia con la contestazione scritta degli addebiti (v. artt. 17 e 18 d.P.R. 737 cit.); viceversa, nel caso delle sanzioni più gravi, il primo atto del procedimento è la nomina del funzionario istruttore (art. 19, comma 2 d.P.R. 737 cit.), il quale comunica l'avvio (rectius, contesta per iscritto gli addebiti) al dipendente entro 10 giorni. 2.10. Nel caso di specie, dunque, il termine di riferimento è da individuarsi nel 13 settembre 2021, data in cui il Questore di Lecco aveva disposto l'espletamento di una inchiesta disciplinare notificando la nomina del funzionario istruttore, e la contestazione degli addebiti è avvenuta il 21 settembre 2021. 2.11. Sulla ragionevolezza dei termini per la contestazione degli addebiti, considerata la natura afflittiva del procedimento disciplinare, si osserva inoltre che nella disciplina del procedimento sanzionatorio contenuta nella L. 689/81, l'art. 14 prescrive che la contestazione degli addebiti deve essere fatta "immediatamente" e se la contestazione non è avvenuta immediatamente, deve essere fatta entro il termine di 90 giorni. Da ciò si trae dunque un ulteriore argomento per sostenere la ragionevolezza del termine entro il quale è avvenuta la contestazione degli addebiti e cioè nel termine di 85 giorni. 2.12. Ebbene, il periodo intercorso tra il fatto, la segnalazione (29 giugno 2021) e l'avvio del procedimento disciplinare, considerando anche l'approssimarsi del periodo estivo (luglio - agosto) in cui l'attività lavorativa subisce un naturale rallentamento legato al godimento delle ferie da parte del personale, si è manifestato in linea con quei criteri di ragionevole prontezza e tempestività di cui sopra, rendendo manifestamente infondata la doglianza del ricorrente. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti posti a fondamento della sanzione, violazione della sfera della discrezionalità della P.A., violazione e falsa applicazione dell'art. 6 d.P.R. 737/81: in sintesi, il ricorrente sostiene che l'Amministrazione avrebbe erroneamente riportato la sua condotta alle fattispecie previste dall'art. 6 comma III, cioè ai casi in cui: - vengono poste in essere in modo abituale o reiterato le mancanze sanzionate con la pena pecuniaria; - si sia ricevuta una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti la destituzione di diritto; - l'aver denigrato l'Amministrazione o i superiori; - l'aver tenuto un comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto; - l'aver tollerato abusi commessi da dipendenti; - aver compiuto atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione; - l'assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati; - l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico 8 legale; - l'allontanamento senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni; - l'omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore a cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l'omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all'art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale. Non solo la condotta tenuta dall'odierno ricorrente non rientrerebbe affatto nelle fattispecie sopra descritte ma, a suo dire, l'Amministrazione non avrebbe considerato che il decreto di archiviazione avrebbe ritenuto non gravi i fatti e il giudice penale non avrebbe svolto alcun tipo di accertamento dei fatti. Infine, il ricorrente esclude la consapevolezza e la conoscenza dei precedenti penali a carico del soggetto tratto in arresto. 4. Il motivo non è fondato. 4.1. Innanzitutto si osserva che il provvedimento impugnato si fonda sui fatti tipici di cui all'art. 6, n. 1 e n. 4, in relazione all'art. 4, n. 3 del d.P.R. n. 737/1981. 4.2. La fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 6, n. 1 e n. 4, e 4, n. 3, del d.P.R. n. 737/1981 contempla le "mancanze...di particolare gravità ovvero...reiterate o abituali" in relazione al "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" nonché in relazione ad un "comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto". 4.3. Per quanto riguarda l'infrazione di cui all'art. 4 n. 3 del d.P.R. n. 737/1981, vale a dire il "mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato" dai tabulati telefonici versati negli atti delle indagini preliminari, è emerso che l'agente scelto -OMISSIS- frequentava e aveva instaurato un rapporto di amicizia quasi fraterno con S.A. e con la sua famiglia, rapporto che andava ben al di là di quello di semplice avventore del ristorante di quest'ultimo. Risulta infatti che -OMISSIS- e S.A. si sono tenuti in contatto telefonico e tramite messaggi via chat con una costante frequenza fino alla mattina dell'arresto di S.A. e risulta inoltre che -OMISSIS-, il 23 luglio 2020, aveva scritto a S.A. "-OMISSIS-torna tra noi" informandolo come quest'ultimo, arrestato per droga, fosse stato scarcerato e sottoposto al regime degli arresti domiciliari. Dalla relazione istruttoria redatta dal funzionario istruttore emergono inoltre ulteriori elementi a supporto dello stretto legame instaurato dal -OMISSIS- con la famiglia di S.A.; in particolare, il funzionario istruttore aveva allegato una nota investigativa redatta dal Dirigente della DIGOS di Lecco, che aveva documentato, dopo l'arresto di S.A., un incontro conviviale e amichevole di -OMISSIS- con i parenti di S.A., presso il bar del palazzetto dello sport di Me.. Si legge inoltre che dagli stessi accertamenti investigativi, emergevano altresì contatti del -OMISSIS-, non motivati da finalità istituzionali, con un dipendente di un esercizio commerciale destinatario di una misura interdittiva antimafia e di un cittadino kossovaro, tale -OMISSIS-, entrambi arrestati per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. 4.4. Quanto al procedimento penale a carico del -OMISSIS-, assumono rilevanza le chat che riportano le richieste di informazioni che S.A. gli rivolgeva per identificare eventuali appartenenti alle forze dell'ordine presenti nei locali dallo stesso frequentati e per conoscere la localizzazione delle pattuglie sul territorio, informazioni evidentemente utili per poter svolgere la sua illecita attività di spaccio lontano dalle forze dell'ordine. 4.5. Contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente - la quale sostiene che in sede penale non sarebbe stato svolto alcun accertamento sui fatti - il decreto di archiviazione ex art. 131-bis c.p. per la speciale tenuità del fatto è stato emesso in quanto "le dichiarazioni rese dall'indagato in sede di interrogatorio portano a ritenere le condotte di reato di particolare tenuità, attese le motivazioni addotte alla base delle stesse, ascrivibili ad una superficiale valutazione delle conseguenze penali in relazione alla rivelazione di segreti d'ufficio" e dunque esso è stato adottato sul presupposto di un giudizio di fondatezza della notitia criminis, considerato che l'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità penale ma prevede una causa di non punibilità per i reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, applicabile nel caso di specie. 5. Non può quindi negarsi che il comportamento contestato al ricorrente in sede disciplinare sia in contrasto coi doveri del personale della Polizia di Stato e capace di arrecare grave nocumento alla credibilità e al prestigio di quest'ultima, in considerazione delle sue funzioni istituzionali, né è dato cogliere profili di irragionevolezza nella valutazione dell'Amministrazione in merito alla gravità della condotta dell'incolpato, il quale, ancora dopo l'arresto del pregiudicato aveva continuato a mantenere rapporti di convivialità con i parenti dell'arrestato. 6. Occorre rammentare che per il regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza il personale della Polizia di Stato ha il precipuo dovere di "non mantenere, al di fuori di esigenze di servizio, relazioni con persone che notoriamente non godono pubblica estimazione, non frequentare locali o compagnie non confacenti alla dignità della funzione" (art. 12, n. 4, d.P.R. 28 ottobre 1985, n. 782) e di "non frequentare senza necessità di servizio o in maniera da suscitare pubblico scandalo persone dedite ad attività immorali o contro il buon costume ovvero pregiudicate" (art. 12, n. 5, d.P.R. n. 782/85) e, in generale, "deve mantenere una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità, nella piena coscienza delle finalità e delle conseguenze delle proprie azioni in modo da riscuotere la stima, la fiducia ed il rispetto della collettività, la cui collaborazione deve ritenersi essenziale per un migliore esercizio dei compiti istituzionali, e deve astenersi da comportamenti o atteggiamenti che arrecano pregiudizio al decoro dell'Amministrazione" tenendo anche fuori servizio una "condotta conforme alla dignità delle proprie funzioni" (art. 13 d.P.R. n. 782/85). 6.1. Alla luce degli elementi in atti, il Collegio ritiene che l'apprezzamento dell'Amministrazione dell'Interno in ordine alla sussistenza dei presupposti degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente sia esente da palese travisamento dei fatti. 7. Con il terzo e ultimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l'eccessività della sanzione inflitta: a dire del ricorrente, la sanzione sarebbe del tutto sproporzionata rispetto alla condotta contestata, tenuto anche conto del fatto che, a mente dell'art. 13, comma 1, del d.P.R.737/81, l'organo competente ad infliggere la sanzione deve tener conto di tutte le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell'età, della qualifica e della anzianità di servizio e sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali. Nel caso di specie non vi sarebbe alcuna prova che la mancanza descritta nella nota di contestazione del 21 settembre 2021, anche alla luce del giudizio di tenuità proposto dal P.M. ed accolto dal G.I.P. di Lecco, sia stata reiterata o abituale, o che abbia gettato scandalo nell'Amministrazione. 8. Il motivo è infondato. 8.1. Occorre premettere che per costante giurisprudenza, in punto di individuazione e dosimetria della sanzione disciplinare, l'Amministrazione gode di ampia discrezionalità, sindacabile dal giudice amministrativo solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità o palese arbitrarietà (ex multis, Cons. St., sez. II, 31 gennaio 2023, n. 1103, cit.; Cons. St., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; T.A.R. Piemonte, sez. I, 13 febbraio 2022, n. 124). 8.2. Nel caso di specie, il funzionario istruttore ha tenuto conto di tutte le circostanze, esposte a pag. 5 della relazione istruttoria, ritenendo prevalente la gravità della condotta in quanto le frequentazioni del -OMISSIS- con soggetti dediti ad attività criminose quali spaccio di sostanze stupefacenti, non sono deontologicamente conformi al regolamento di servizio, cui un appartenente ai ruoli della Polizia di stato ha il dovere di uniformarsi e ciò è stato considerato come altamente lesive del vincolo fiduciario di appartenenza che lega la Polizia di Stato ai propri dipendenti. 8.3. A fronte di un simile riprovevole comportamento, di particolare gravità per il decoro e l'immagine della Polizia di Stato, la sanzione inflitta al ricorrente non appare sproporzionata né illogica. 8.4. Quanto al trasferimento d'ufficio, la giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento per motivi di opportunità ed incompatibilità ambientale dell'appartenente alla Polizia di Stato, disposto ai sensi della norma appena citata, "non ha carattere sanzionatorio né disciplinare, non postulando comportamenti sanzionabili in sede penale o disciplinare, ed è condizionato solo alla valutazione del suo presupposto essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva di una situazione di fatto lesiva del prestigio, decoro o funzionalità dell'amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza del dipendente in una determinata sede e, dall'altro lato, suscettibile di rimozione attraverso l'assegnazione del medesimo ad altra sede" (T.A.R. Milano, sez. III, 30/04/2018, n. 1156; T.A.R. Palermo, sez. I, 18/11/2022, n. 3273; T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 07/12/2021, n. 928; T.A.R. Cagliari, sez. II, 03/07/2019, n. 599). 9. Per quanto sopra esposto il ricorso va dunque respinto. 10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) oltre accessori se previsti dalla legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Alessandro Fede - Referendario Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 808 del 2021, proposto da AZIENDA AGRICOLA CA. PA., rappresentata e difesa dall'avv. Es. Er., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; contro AGEA, ADER, rappresentate e difese dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia, e domicilio fisico in Brescia, via (...); per l'annullamento - della cartella di pagamento n. 064 2021 00049105 31/000, emessa dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione sede di Mantova, notificata il 21 settembre 2021 attraverso la casella PEC (omissis), con la quale è stato chiesto il pagamento della somma di Euro 28.524,27 a titolo di prelievo supplementare, interessi e oneri di riscossione per la campagna 1996-1997; - del ruolo n. 2021/002553 Tributi coattivi anno 1996, indicato nella cartella di pagamento; - con domanda di risarcimento; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'AGEA e dell'ADER; Visti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2023 il dott. Mauro Pedron; Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Considerato quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. L'azienda agricola ricorrente, produttore di latte vaccino e come tale assoggettata al regime europeo delle quote latte fino alla campagna 2014-2015, impugna la cartella di pagamento n. 064 2021 00049105 31/000, emessa dall'Agenzia delle Entrate - Riscossione sede di Mantova, notificata il 21 settembre 2021 attraverso la casella PEC (omissis), con la quale è stato chiesto il pagamento della somma di Euro 28.524,27 a titolo di prelievo supplementare, interessi e oneri di riscossione per la campagna 1996-1997. 2. L'impugnazione è estesa al ruolo n. 2021/002553 Tributi coattivi anno 1996, indicato nella cartella di pagamento. È stato chiesto inoltre il risarcimento del danno. 3. Nel ricorso sono formulate plurime censure, che possono essere sintetizzate nei punti seguenti: (i) vi sarebbe incertezza sull'effettiva produzione nazionale di latte nell'intero periodo compreso tra la campagna 1995-1996 e la campagna 2014-2015, e di conseguenza mancherebbe addirittura il presupposto per poter applicare il prelievo supplementare ai produttori che avrebbero concorso a determinare il presunto esubero rispetto alla quota nazionale. In proposito, il ricorso richiama l'ordinanza del GIP di Roma del 5 giugno 2019 (nel procedimento n. 96592/2016 RG-NR e n. 101551/2016 RG-GIP), e la sentenza del Tribunale UE Sez. II 2 dicembre 2014 T-661/11 (Repubblica Italiana v. Commissione). Gli importi del prelievo supplementare risulterebbero quindi inseriti illegittimamente nel Registro nazionale dei debiti di cui all'art. 8-ter comma 2 del DL 10 febbraio 2009 n. 5, non trattandosi di importi accertati come dovuti; (ii) si sarebbe verificata la prescrizione (quadriennale, quinquennale o decennale) del debito, anche per mancata notifica dell'accertamento al produttore, essendo irrilevante la notifica effettuata nei confronti degli acquirenti. Sarebbe in ogni caso illegittima l'applicazione degli interessi; (iii) nella quantificazione del prelievo supplementare dovrebbero essere disapplicate le norme interne contrastanti con il diritto dell'Unione, come recentemente interpretato dalla Corte di Giustizia; (iv) sull'importo del prelievo supplementare, ridefinito e ridotto in base alle operazioni di calcolo imposte dalle sentenze della Corte di Giustizia di cui al punto (iii), dovrebbe poi essere effettuata un'ulteriore riduzione per tenere conto delle compensazioni con gli aiuti PAC già eseguite dagli organismi pagatori ai sensi dell'art. 8-ter comma 5 del DL 5/2009; (v) vi sarebbero anche alcuni vizi propri della cartella di pagamento. In primo luogo, viene evidenziato che la notifica via PEC non è partita da un indirizzo risultante dai pubblici elenchi di cui all'art. 16-ter comma 1 del DL 18 ottobre 2012 n. 179. Si sarebbe poi verificata la decadenza ex art. 25 comma 1-c del DPR 29 settembre 1973 n. 602, in quanto la notifica è intervenuta oltre il secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento del debito è divenuto definitivo (alla fine della campagna), e prima che entrassero in vigore le nuove regole di riscossione di cui al decreto direttoriale del 22 gennaio 2020. La cartella di pagamento sarebbe comunque priva di motivazione, e si baserebbe su un secondo ruolo, illegittimo in quanto aggiuntivo rispetto all'iscrizione nel Registro nazionale dei debiti. 4. L'amministrazione si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso. 5. Con i depositi di data 17 novembre 2022, 23 marzo 2023 e 31 marzo 2023 l'AGEA ha fornito le seguenti informazioni: (a) il TAR Lazio, con sentenza n. 5970 del 28 giugno 2012, ha dichiarato perento nei confronti dell'azienda agricola ricorrente e di altri produttori il ricorso contro gli atti di compensazione nazionale per la campagna 1996-1997; (b) il TAR Lazio, con sentenza n. 5900 del 27 giugno 2012, ha respinto nel merito il ricorso proposto dall'azienda agricola ricorrente e da altri produttori contro gli atti di compensazione nazionale per la campagna 1996-1997 (tranne sul punto della decorrenza degli interessi). L'appello è stato respinto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1219 del 10 marzo 2015, che ha trattato anche la questione della legittimità comunitaria delle categorie privilegiate nella compensazione; (c) il TAR Lazio, con sentenza n. 4818 del 28 maggio 2012, ha respinto nel merito il ricorso proposto dall'azienda agricola ricorrente e da altri produttori contro la determinazione dei QRI per la campagna 1996-1997. L'appello è stato respinto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4571 del 9 settembre 2014; (d) con riferimento alla campagna 1996-1997, l'AGEA ha inviato all'azienda agricola ricorrente l'intimazione di pagamento n. AGEA.AGA.2018.0025865 di data 5 ottobre 2018, notificata il 10 novembre 2018, alla quale non ha fatto seguito alcuna richiesta di rateizzazione; (e) l'azienda agricola ricorrente ha impugnato la suddetta intimazione di pagamento davanti al TAR Brescia, ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 268 del 19 marzo 2021, sia per il carattere collettivo e cumulativo dell'impugnazione sia per la presenza di sentenze sfavorevoli passate in giudicato. L'appello è stato respinto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 6335 del 20 luglio 2022; (f) tutti i recuperi PAC medio tempore intervenuti sono stati regolarmente contabilizzati e detratti dai debiti originari (v. doc. 10 e 11). 6. Occorre peraltro sottolineare che la documentazione prodotta dall'AGEA a proposito del recupero del prelievo supplementare (v. doc. 10 e 11) attesta il completo azzeramento dell'importo dovuto per la campagna 1996-1997. 7. Pur prendendo atto di tale circostanza, nella memoria di data 11 aprile 2023 l'azienda agricola ricorrente insiste per la decisione di merito, evidenziando che se fosse dichiarata la prescrizione, o comunque l'estinzione del debito, vi sarebbe la possibilità di chiedere la restituzione di quanto indebitamente introitato dall'AGEA. Viene inoltre sottolineato che la sentenza del TAR Lazio n. 5970/2012 dichiarativa della perenzione non riguarda l'azienda agricola ricorrente ma un produttore omonimo. 8. Così ricostruito il quadro fattuale, sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni. Sulle censure di carattere formale 9. Le questioni relative alle formalità della cartella di pagamento impugnata non sembrano idonee a far emergere delle cause di nullità . 10. Per quanto riguarda l'indirizzo PEC, è sufficiente a garantire la certezza della provenienza il fatto che nei pubblici elenchi risulti il dominio dell'indirizzo, e che tale elemento sia riconducibile all'amministrazione procedente. Vale comunque la regola generale secondo cui la notifica a mezzo PEC avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale non risultante dai pubblici elenchi non può mai essere considerata nulla, se la stessa abbia consentito al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza e all'oggetto (v. Cass. civ. Sez. VI 28 febbraio 2023 n. 6015). 11. L'indicazione di un ruolo specifico dell'AGEA all'interno delle cartelle o delle intimazioni di pagamento è un passaggio procedimentale che ha essenzialmente un'utilità pratica, e non contraddice il valore di iscrizione a ruolo attribuito dall'art. 8-ter comma 4 del DL 5/2009 all'iscrizione del prelievo supplementare nel Registro nazionale dei debiti. Non vi è alcuna duplicazione dei ruoli, e tantomeno una duplicazione del debito, ma solo la riproduzione in un atto particolare dell'iscrizione a ruolo già avvenuta mediante il Registro nazionale dei debiti, ai fini dell'avvio della procedura di recupero. Questa soluzione appare conveniente anche sotto il profilo della trasparenza, in quanto consente di individuare un responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo. 12. Occorre poi evidenziare che le informazioni contenute nell'ultimo atto di riscossione coattiva si aggiungono a quelle inserite negli atti presupposti già notificati. Attraverso l'insieme di questi atti, l'amministrazione fornisce indicazioni di dettaglio sul debito delle annate in contestazione, garantendo il livello di motivazione richiesto dall'art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212. Sull'esigibilità del credito 13. L'AGEA non può procedere alla riscossione coattiva del prelievo supplementare se il produttore abbia presentato domanda di rateizzazione, tranne quando si sia verificata la decadenza dal beneficio per mancata sottoscrizione del contratto o per mancata effettuazione dei pagamenti alle scadenze stabilite. Nello specifico, non è stata attivata alcuna procedura di rateizzazione. 14. La frazione di prelievo supplementare che sia stata recuperata tramite compensazione con gli aiuti PAC trattenuti dagli organismi pagatori regionali deve essere esclusa dalla procedura di riscossione coattiva, essendo il debito, per questa parte, ormai estinto. La dichiarazione di intervenuta compensazione è però possibile solo se l'importo degli aiuti PAC trattenuti sia individuato in modo certo (v. CS Sez. II 23 agosto 2019 n. 5858). La compensazione deve quindi essere dedotta in giudizio mediante inequivoche attestazioni provenienti dagli organismi pagatori regionali, o essere accertata nei confronti degli stessi previa integrazione del contraddittorio, e deve riguardare le campagne oggetto di contestazione. Non è possibile la compensazione incrociata con campagne diverse, in quanto ciascuna campagna ha una storia giuridica a sé, che deve essere oggetto di uno specifico accertamento. 15. Se non adeguatamente documentata, la compensazione con gli aiuti PAC rimane un argomento generico, non opponibile nella procedura di recupero del prelievo supplementare. Lo stesso vale per gli importi eventualmente versati nel corso delle procedure di rateizzazione. 16. Nello specifico, è la stessa AGEA a riconoscere il recupero dell'importo dovuto, ma questo non cancella l'interesse a una pronuncia di merito, che se favorevole alla parte ricorrente imporrebbe la restituzione, parziale o totale, delle compensazioni con gli aiuti PAC, e se sfavorevole consoliderebbe le somme incamerate dall'AGEA. Sulla produzione nazionale di latte 17. L'argomento basato sull'incertezza circa l'effettiva produzione nazionale, e, a cascata, sull'indimostrabilità dello sforamento delle quote individuali, è presente da anni nel contenzioso attivato dai produttori contro gli atti di accertamento e di imputazione del prelievo supplementare. Complessivamente, la valutazione è stata negativa, sia da parte della giurisprudenza europea (v. C.Giust. Sez. VI 25 marzo 2004 C-480/00, Ribaldi, punti 63-68; C.Giust. Sez. VI 25 marzo 2004 C-231/00, C-303/00 e C-451/00, Lattepiù , punti 79-85) sia da parte della giurisprudenza nazionale (v. ad esempio C.Cost. 7 luglio 2005 n. 272; CS Sez. VI 8 giugno 2009 n. 3487; TAR Lazio Sez. II-ter 23 aprile 2012 n. 3643; CS Sez. III 14 gennaio 2016 n. 87; CS Sez. II 12 febbraio 2020 n. 1077; CS Sez. II 6 dicembre 2021 n. 8090; Tar Brescia Sez. II 15 settembre 2020 n. 642). 18. La Corte di Giustizia, nel qualificare l'Italia come inadempiente all'obbligo di addebitare il prelievo supplementare ai singoli produttori responsabili degli sforamenti, nonché all'obbligo di iscrivere a ruolo e di riscuotere coattivamente l'importo dovuto presso i produttori e gli acquirenti (v. C.Giust. Sez. IV 24 gennaio 2018 C-433/15, Commissione v. Italia), ha precisato che non hanno carattere esimente né le difficoltà tecniche della ricostruzione della posizione dei singoli produttori (v. punto 42), né la circostanza che lo Stato italiano abbia già versato al FEAOG le somme relative al prelievo corrispondente al superamento della quota nazionale (v. punto 60). 19. Sulla base di questi precedenti, occorre quindi riaffermare che le questioni riguardanti la gestione storica delle quote latte in Italia e la coerenza dei dati inseriti nell'anagrafe bovina non possono determinare un dubbio insuperabile circa la quantificazione del prelievo supplementare nei confronti di tutti i produttori, o di classi di produttori. Le uniche eccezioni sono quelle recentemente individuate dalla Corte di Giustizia a proposito della compensazione nazionale e del rimborso del prelievo in eccesso, che saranno esaminate nel seguito della motivazione. Sugli interessi 20. Gli interessi si combinano con il debito principale, e ricadono nella medesima procedura di riscossione coattiva, in quanto accessori dovuti ex lege per una violazione permanente della disciplina europea sulle quote latte. Il vincolo di solidarietà tra produttori e acquirenti (v. CS Sez. III 13 febbraio 2020 n. 1173) consente di applicare gli interessi moratori anche quando l'imputazione del prelievo supplementare sia stata comunicata ai soli acquirenti. 21. La rinuncia agli interessi da parte delle autorità nazionali costituisce aiuto di Stato, e dunque presuppone una deroga in sede europea. Questo è avvenuto per la rateizzazione del 2003, disposta dall'art. 10 commi 34-39 del DL 28 marzo 2003 n. 49 (v. accordo Ecofin del 3 giugno 2003, e decisione del Consiglio dell'Unione n. 2003/530/CE del 16 luglio 2003). È peraltro evidente che il beneficio, avendo natura incentivante, poteva essere applicato solo ai produttori che avessero chiesto la rateizzazione e non fossero decaduti dalla stessa. In questo senso sono interpretabili le condizioni contenute nella suddetta decisione del Consiglio dell'Unione. 22. Quanto alla misura degli interessi, vista la natura permanente dell'inadempimento, appare corretta l'applicazione dei tassi stabiliti dal diritto europeo successivamente alla conclusione delle campagne che hanno dato origine al prelievo supplementare (v. CS Sez. III 31 gennaio 2018 n. 648). Ferma restando la peculiare disciplina della rateizzazione sopra descritta, sussiste un giustificato motivo per posticipare l'imputazione degli interessi, in modo che la decorrenza inizi dal momento in cui è stata comunicata al produttore l'entità del prelievo dovuto e non dal 1 settembre dell'anno di riferimento, solo relativamente alle campagne 1995-1996, 1996-1997 e 1997-1998 (v. TAR Lazio Sez. II-ter 10 gennaio 2018 n. 214; TAR Lazio Sez. II-ter 16 maggio 2012 n. 4426). Per quanto riguarda l'azienda agricola ricorrente, l'AGEA si è già adeguata all'orientamento del TAR Lazio con la citata intimazione di pagamento n. AGEA.AGA.2018.0025865 di data 5 ottobre 2018. 23. Rispetto a questo scenario consolidato, il legislatore nazionale ha introdotto delle innovazioni attraverso l'art. 10-bis del DL 13 giugno 2023 n. 69, con la finalità di recepire le recenti sentenze della Corte di Giustizia sui criteri di calcolo del prelievo supplementare. La nuova disciplina prevede il ricalcolo del debito con applicazione degli interessi unicamente dalla data del 27 giugno 2019, ossia dal deposito della prima delle suddette pronunce (v. comma 3). Trattandosi di una modifica che presuppone comunque l'esistenza di un diritto al ricalcolo, non possono esservi effetti immediati sul presente giudizio. Il problema dello scorporo degli interessi condonati dal legislatore nazionale si riproporrà quindi in sede amministrativa, qualora l'esito del ricorso lasci aperta la strada del ricalcolo. Sulla prescrizione 24. La prescrizione applicabile al prelievo supplementare, tanto per il capitale quanto per gli interessi, è quella decennale, trattandosi di somme dovute a seguito di specifici accertamenti, e non periodiche (v. CS Sez. II 28 dicembre 2021 n. 8659; TAR Lazio Sez. II-ter 30 gennaio 2020 n. 1320; TAR Lazio Sez. II-ter 4 dicembre 2018 n. 11776). Essendo basati sul medesimo inadempimento, gli interessi non sono scindibili dal capitale sotto il profilo della prescrizione. 25. Non è applicabile il termine di prescrizione quadriennale previsto dall'art. 3 par. 1, comma 1, del Reg. CE 18 dicembre 1995 n. 2988/95 per le misure e le sanzioni amministrative relative a violazioni del diritto europeo. Il presupposto dell'applicazione del suddetto termine è infatti un'irregolarità idonea a incidere sul bilancio dell'Unione, come specificato dall'art. 1 par. 2 del Reg. CE 2988/95 ("Costituisce irregolarità qualsiasi violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da un'azione o un'omissione di un operatore economico che abbia o possa avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita"). Nel caso delle quote latte non vi è però un simile rischio, in quanto la tutela del bilancio dell'Unione è assicurata direttamente dagli Stati, attraverso la reintegrazione del FEAOG (poi FEAGA), mentre è compito delle autorità statali recuperare il prelievo supplementare dai produttori che hanno contribuito allo sforamento della quota nazionale. La distinzione tra i due profili è evidenziata dalla Corte di Giustizia nella citata sentenza C-433/15 (v. punti 60 e 61). Pertanto, il versamento del prelievo supplementare è qualificabile come obbligazione di diritto europeo per quanto riguarda la disciplina sostanziale, ma è sottoposto ai termini di prescrizione e decadenza previsti dal diritto interno per quanto riguarda le operazioni di recupero. Il più ampio intervallo temporale a disposizione delle autorità statali per effettuare il recupero è legittimato dall'art. 3 par. 3 del Reg. CE 2988/95, che consente agli Stati di applicare un termine di prescrizione superiore a quello europeo. Occorre poi evidenziare che la disciplina italiana, benché meno favorevole quanto alla durata del termine di prescrizione, è tuttavia più mite sotto il profilo della decorrenza del suddetto termine, perché per le irregolarità permanenti (come deve essere considerato il rifiuto di versare il prelievo supplementare) l'art. 3 par. 1, comma 2, del Reg. CE 2988/95 prevede che il termine di prescrizione decorra dal giorno in cui cessa l'irregolarità . 26. Nel diritto interno, il vincolo di solidarietà tra produttori e acquirenti impone di considerare interruttivi per i produttori ex art. 1310 c.c. anche gli atti notificati agli acquirenti. 27. Secondo la regola generale dell'art. 2945 comma 2 c.c., la prescrizione si interrompe con la proposizione del ricorso, e non decorre nella pendenza del giudizio. Quando l'iniziativa giudiziale sia stata assunta dal debitore, l'effetto sospensivo (o interruttivo permanente) si mantiene per tutta la durata del processo, indipendentemente dalla mancanza di attività processuale della parte ricorrente (rinuncia, perenzione). Nei giudizi impugnatori, infatti, l'amministrazione convenuta, che vanta la posizione di creditore e ha interesse a tutelare le ragioni del proprio credito di fronte alla richiesta di accertamento negativo insita nell'impugnazione, si difende in ogni momento del processo per il solo fatto di mantenere ferma la richiesta di reiezione del ricorso, e in questo modo determina l'interruzione e la correlativa sospensione della prescrizione fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (v. Cass. civ. Sez. III 21 ottobre 2022 n. 31259; Cass. civ. Sez. III 20 dicembre 2021 n. 40845; Cass. civ. Sez. Lav. 29 luglio 2021 n. 21799). In conseguenza del rovesciamento speculare delle posizioni rispetto alla fattispecie descritta nell'art. 2945 comma 3 c.c., l'estinzione del processo, a cui è assimilabile la perenzione nel processo amministrativo (v. Cass. civ. SU 31 maggio 2022 n. 17619), non provoca la perdita dell'effetto interruttivo permanente della prescrizione in danno dell'amministrazione convenuta. La cancellazione dell'effetto interruttivo permanente è in realtà una sanzione per il creditore che abbia agito in giudizio senza poi svolgere l'attività processuale necessaria per arrivare a una pronuncia di merito. Tale sanzione, pertanto, non può essere estesa per analogia quando il creditore sia invece l'amministrazione convenuta, la quale abbia chiesto la reiezione del ricorso con una domanda implicita di accertamento positivo del credito (ossia di negazione dell'accertamento negativo), e intenda procedere, una volta estintosi il giudizio, alla riscossione coattiva. Altrimenti detto, nel caso di estinzione del giudizio, o di perenzione, non è applicabile l'art. 2945 comma 3 c.c., e si conserva invece l'effetto interruttivo permanente della prescrizione, in quanto al venir meno dell'interesse del ricorrente per l'accertamento negativo del credito si contrappone il persistente interesse dell'amministrazione alla conservazione e alla riscossione del credito stesso. L'esito processuale in rito, trasformando in definitivi i provvedimenti difesi in giudizio dall'amministrazione, mantiene intatto anche il diritto di credito incorporato nei medesimi provvedimenti (v. Cass. civ. Sez. Trib. 15 febbraio 2023 n. 4813). 28. Esaminando sotto un diverso profilo il problema della prescrizione nel corso del giudizio, si osserva che l'amministrazione convenuta si trova di fronte a un impedimento ex art. 2935 c.c. all'esercizio del diritto. È vero che la riscossione coattiva è bloccata solo da un'ordinanza cautelare di sospensione (v. art. 8-quinquies commi 1 e 2 del DL 5/2009), ma la pendenza di un giudizio determina comunque incertezza del diritto, e non permette di considerare definitivo l'accertamento intervenuto in sede amministrativa. Per tale ragione, la norma appena richiamata, pur considerando esigibili le imputazioni di prelievo non sospese in sede giurisdizionale, qualifica l'esigibilità come presupposto per la presentazione della domanda di rateizzazione da parte del debitore, implicando quindi l'attesa di una decisione di quest'ultimo e la correlativa sospensione delle procedure di riscossione coattiva. 29. Essendo necessario disincentivare comportamenti che potrebbero costituire abuso del diritto, occorre escludere in via interpretativa il decorso della prescrizione nei periodi in cui il legislatore ha sospeso le procedure di iscrizione a ruolo e quelle di riscossione coattiva per consentire ai produttori di aderire alle rateizzazioni, previste rispettivamente dall'art. 10 commi 34-39 del DL 49/2003 e dagli art. 8-quater e 8-quinquies del DL 5/2009 (v. TAR Brescia Sez. II 27 maggio 2020 n. 400). Non va poi trascurato che i termini di decadenza e di prescrizione sono stati prorogati di ventiquattro mesi nel periodo della pandemia per i carichi affidati all'agente della riscossione dall'8 marzo 2020 al 31 dicembre 2021 (v. art. 68 comma 4-bis del DL 17 marzo 2020 n. 18). Con riguardo al prelievo supplementare, questa proroga si somma alla sospensione della prescrizione dal 1 aprile al 15 luglio 2019, specificamente introdotta per consentire l'ordinato passaggio all'agente della riscossione dei residui di gestione (v. art. 8-quinquies comma 10-ter del DL 5/2009). 30. Quando il prelievo supplementare relativo a una determinata campagna sia stato accertato mediante una sentenza di merito, decorre poi un nuovo termine decennale di prescrizione (peraltro coincidente con il termine dell'actio iudicati ex art. 2953 c.c.). Un nuovo termine decennale decorre tuttavia anche nel caso di estinzione del giudizio o di perenzione. In proposito, occorre sottolineare che il prelievo supplementare non è un credito avente natura tributaria, e dunque non è sottoposto al termine di decadenza previsto dall'art. 25 comma 1-c del DPR 602/1973. Quest'ultima norma richiede che le cartelle di pagamento delle imposte sui redditi siano notificate, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo, condizione che si verifica appunto con l'estinzione del giudizio o con la perenzione, in quanto tali pronunce non sostituiscono l'accertamento amministrativo con uno giudiziale. È vero che un rinvio all'art. 25 del DPR 602/1973 era contenuto nel previgente art. 8-quinquies comma 10-bis del DL 5/2009, ma il richiamo era riferibile al solo strumento della cartella di pagamento come modalità di riscossione coattiva, oltre che alla competenza dell'AGEA, e in mancanza di qualsiasi specificazione di diritto sostanziale non poteva implicare né la rinuncia dello Stato al termine di prescrizione ordinario né il subentro di un termine decadenziale breve. Conferme successive sono ravvisabili sia nella nuova formulazione del comma 10-bis dell'art. 8-quinquies del DL 5/2009, che non contiene più alcun rinvio all'art. 25 del DPR 602/1973 ma disciplina direttamente i termini e le modalità di trasmissione telematica dei residui all'agente della riscossione, sia nella nuova formulazione del comma 10-ter, che fa riferimento ai termini di prescrizione, disponendone la sospensione, come si è visto sopra. 31. Pertanto, tenendo conto dell'effetto interruttivo e sospensivo derivante dai ricorsi sopra descritti, nonché della notifica di un'intimazione di pagamento, e computando infine anche la proroga e la sospensione ex lege dei termini di prescrizione, si ritiene che l'azienda agricola ricorrente, non possa invocare la prescrizione del credito dell'AGEA. Sul contrasto con il diritto dell'Unione 32. I profili di contrasto della normativa italiana con il diritto europeo sono stati accertati per gradi dalla Corte di Giustizia, fino alla campagna 2006-2007. In un primo momento, la pronuncia di C.Giust. Sez. VII 27 giugno 2019 C-348/18 (Barausse) ha dichiarato l'incompatibilità della compensazione nazionale ex art. 1 comma 8 del DL 1 marzo 1999 n. 43, nonché ex art. 1 comma 5 del DL 4 febbraio 2000 n. 8, in vigore fino alla campagna 2002-2003, con l'art. 2 par. 1, comma 2, del Reg. CEE 28 dicembre 1992 n. 3950/92. La pronuncia di C.Giust. Sez. II 11 settembre 2019 C-46/18 (San Rocco) ha poi dichiarato l'incompatibilità del meccanismo di rimborso del prelievo in eccesso ex art. 9 comma 3 del DL 49/2003, in vigore a partire dalla campagna 2003-2004, con l'art. 2 par. 4 del Reg. CEE 3950/92, in combinato con l'art. 9 par. 1 del Reg. CE 9 luglio 2001 n. 1392/2001. Entrambi questi regolamenti sono rimasti in vigore fino alla campagna 2003-2004. 33. Il contrasto con il diritto dell'Unione riguarda (a) nel caso della compensazione nazionale, la redistribuzione delle quote inutilizzate secondo categorie prioritarie anziché in modo proporzionale; (b) nel caso del rimborso del prelievo in eccesso, l'esclusione dal rimborso dei produttori che non hanno versato il prelievo. 34. Relativamente al rimborso del prelievo in eccesso, il contrasto tra l'art. 9 comma 3 del DL 49/2003 e il diritto dell'Unione si è ripresentato anche con il subentrante Reg. CE 29 settembre 2003 n. 1788/2003, in vigore per le campagne dal 2004-2005 al 2007-2008, in combinato con il Reg. CE 30 marzo 2004 n. 595/2004. In effetti, vi è corrispondenza, da un lato, tra l'art. 2 par. 4 del Reg. CEE 3950/92 e l'art. 13 par. 1-b del Reg. CE 1788/2003, che disciplinano in via generale il rimborso del prelievo supplementare in eccesso, e dall'altro tra i rispettivi regolamenti di attuazione, ossia tra l'art. 9 par. 1 del Reg. CE 1392/2001 e l'art. 16 par. 1 del Reg. CE 595/2004. Per quanto riguarda questa seconda coppia di norme, la corrispondenza è perfetta fino alla campagna 2006-2007. Dalla campagna 2007-2008 si applica la versione dell'art. 16 par. 1 del Reg. CE 595/2004 introdotta dall'art. 1 del Reg. CE 4 ottobre 2006 n. 1468/2006, che alla lett. (f) prevede la facoltà per gli Stati di adottare altri criteri oggettivi, previa consultazione della Commissione. 35. L'esistenza di un conflitto tra l'art. 9 comma 3 del DL 49/2003 e la coppia costituita dall'art. 13 par. 1-b del Reg. CE 1788/2003 e dalla versione originaria dell'art. 16 par. 1 del Reg. CE 595/2004 è stata accertata da C.Giust. Sez. II 13 gennaio 2022 C-377/19 (Benedetti). Di conseguenza, la normativa nazionale deve essere disapplicata anche per le campagne dal 2004-2005 al 2006-2007. Resta il problema della campagna 2007-2008, disciplinata dal Reg. CE 1468/2006, per la quale, come sottolineato nella sentenza C-377/19 (v. punto 49), vi è la novità costituita dalla lett. (f) dell'art. 16 par. 1 del Reg. CE 595/2004, ossia la possibilità per gli Stati di adottare altri criteri oggettivi, previa consultazione della Commissione. In proposito, appare decisivo il significato da attribuire all'omessa consultazione. La Commissione, nelle osservazioni formulate in relazione alla causa C-377/19, ha infatti precisato di non aver avuto preventiva comunicazione dei criteri da parte dello Stato italiano. Poiché la consultazione della Commissione sembra descritta come una condizione per l'esercizio del potere di integrazione delle norme europee (v. CS Sez. III 27 gennaio 2023 n. 973), si può ritenere che in Italia anche per la campagna 2007-2008 non fosse consentito escludere dal rimborso del prelievo in eccesso i produttori non in regola con l'obbligo di versamento mensile del prelievo. 36. Le campagne dal 2008-2009 al 2014-2015 sono disciplinate dal Reg. CE 22 ottobre 2007 n. 1234/2007/CE, che, in base a quanto disposto dall'art. 230 par. 1-a del Reg. CE 17 dicembre 2013 n. 1308/2013, è rimasto in vigore fino al 31 marzo 2015. L'art. 84 par. 1-b del Reg. CE 1234/2007/CE corrisponde all'art. 13 par. 1-b del Reg. CE 1788/2003. Poiché entrambe queste norme prevedono che il rimborso del prelievo in eccesso avvenga per categorie prioritarie individuate dagli Stati in base a criteri oggettivi, occorre stabilire se il Reg. CE 595/2004, come modificato dal Reg. CE 1468/2006, si possa considerare disciplina attuativa non solo del Reg. CE 1788/2003, ma anche del sopravvenuto Reg. CE 1234/2007/CE. In caso di risposta affermativa, si ripresenterebbe il problema della mancata comunicazione dei criteri alla Commissione. 37. La risposta corretta appare però quella negativa. La norma sopravvenuta è autoesecutiva, e non implica l'adozione di un regolamento attuativo. Si può quindi ritenere che ridisciplinando la materia delle quote latte il Reg. CE 1234/2007/CE abbia definitivamente autorizzato gli Stati a introdurre delle categorie prioritarie sulla base di criteri oggettivi. Qui diventa rilevante il problema se il versamento del prelievo sia assimilabile a un criterio oggettivo. In giurisprudenza è emersa un'opinione contraria a tale assimilazione (v. CS Sez. III 19 maggio 2022 n. 3961, punto 10). La tesi sostenuta è che l'adempimento dell'obbligo di versamento del prelievo non avrebbe carattere oggettivo, in quanto attribuirebbe un trattamento privilegiato ad alcuni produttori solo grazie all'attività di versamento mensile svolta da terzi, ossia dagli acquirenti. Sembra tuttavia preferibile la soluzione opposta, sia perché il versamento del prelievo da parte degli acquirenti corrisponde a un preciso obbligo, rinforzato dal potere sostitutivo e sanzionatorio dello Stato (v. art. 11 e 13 par. 3 del Reg. CE 1788/2003; art. 81 e 84 par. 3 del Reg. CE 1234/2007/CE), e dunque non è propriamente una circostanza soggettiva o casuale, sia perché l'oggettività si può considerare sussistente quando vi siano certezza del diritto e assenza di discrezionalità amministrativa, entrambe caratteristiche possedute dal requisito in esame. 38. Occorre però sottolineare che recentemente il legislatore nazionale, recependo attraverso l'art. 10-bis del DL 69/2023 le sentenze della Corte di Giustizia sui criteri di calcolo del prelievo supplementare, ha esteso il ricalcolo anche alla campagna 2008-2009, applicando alla stessa i medesimi criteri previsti per le campagne 2006-2007 e 2007-2008 (v. comma 2.b.2). 39. Ricapitolando, la campagna oggetto del presente giudizio è astrattamente regolata dalle pronunce della Corte di Giustizia. Più precisamente, la campagna 1996-1997 ricade nelle statuizioni della sentenza C-348/18. Sulla disapplicazione del diritto interno 40. Il contrasto con il diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte di Giustizia, comporta l'obbligo per il giudice nazionale di disapplicare le norme interne anteriori o successive, all'occorrenza anche di propria iniziativa (v. C.Giust. Sez. III 10 marzo 2022 C-177/20, Grossmania, punto 43). 41. Quando si tratta di quote latte, deve essere disapplicata la disciplina relativa alla compensazione nazionale (per le campagne dal 1995-1996 al 2002-2003) e la disciplina relativa al rimborso del prelievo in eccesso (per le campagne seguenti fino all'annata 2007-2008 compresa). L'effetto conformativo della disapplicazione vincola le autorità amministrative a calcolare nuovamente i debiti dei produttori. Il ricalcolo deve essere complessivo (v. CS Sez. II 12 luglio 2022 n. 5845; CS Sez. II 28 dicembre 2021 n. 8659; CS Sez. II 6 dicembre 2021 n. 8099), ossia deve riguardare tutti i produttori convolti nelle operazioni di compensazione o di rimborso, per rideterminare in modo virtuale l'importo dovuto da ciascuno. Il nuovo importo così determinato sarà poi inserito in una successiva cartella di pagamento inviata al produttore che ha agito in giudizio. Il massimo risultato conseguibile dall'accoglimento del ricorso in seguito alla disapplicazione delle norme interne è quindi la cancellazione di quella parte del prelievo supplementare che non corrisponde al diritto europeo come interpretato dalla Corte di Giustizia (v. sentenza C-46/18, punti 25 e 30). 42. L'obbligo di disapplicare le disposizioni nazionali incompatibili incontra l'ostacolo delle situazioni definite con sentenza passata in giudicato (v. TAR Venezia Sez. II 29 ottobre 2021 n. 1305). Secondo la Corte di Giustizia, se il giudicato rispetta i principi di equivalenza e di effettività, il diritto dell'Unione non obbliga il giudice nazionale a disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una decisione. Resta però fermo il diritto dei privati a essere risarciti per il danno derivante da una violazione del diritto dell'Unione imputabile alle decisioni degli organi giurisdizionali di ultimo grado degli Stati (v. C.Giust. GS 24 ottobre 2018 C-234/17, XC, punto 58; C.Giust. Sez. I 4 marzo 2020 C-34/19, Telecom Italia, punti 58, 65, 68; C.Giust. Sez. VI 16 luglio 2020 C-424/19, Cabinet de avocat, punti 23, 25, 26; C.Giust. GS 21 dicembre 2021 C-497/20, Randstad, punti 79 e 80). 43. Prima di disapplicare il diritto interno occorre quindi verificare se in giudizi su atti presupposti si sia formato un giudicato sull'obbligo di corrispondere il prelievo supplementare. Al riguardo, si devono tenere distinti i giudicati di merito da quelli in rito. Questi ultimi, infatti, sono inidonei a coprire il dedotto e il deducibile anche nel diritto interno (v. Cass civ. Sez. VI 13 febbraio 2020 n. 3527; Cass. civ. Sez. Lav. 23 gennaio 2023 n. 1966), e dunque a maggior ragione non possono assumere rilievo ai sensi del diritto europeo, consolidando il debito delle aziende agricole a titolo di prelievo supplementare. Senza un accertamento di merito da parte del giudice nazionale, si consolidano soltanto i provvedimenti di imputazione del prelievo supplementare, e gli atti consequenziali, il che è sufficiente per dirimere una controversia nell'ordinamento interno, ma non per creare una certezza giuridica di natura giurisdizionale in grado di contrapporsi alle sentenze della Corte di Giustizia. 44. Questo problema è destinato a proporsi anche dopo l'intervento del legislatore nazionale finalizzato a recepire le sentenze della Corte di Giustizia sui criteri di calcolo del prelievo supplementare. L'art. 10-bis del DL 69/2023 stabilisce infatti al comma 1 che il ricalcolo è subordinato a una sentenza definitiva che annulla l'imputazione del prelievo supplementare e ne dispone il ricalcolo. Il successivo comma 6 ammette al ricalcolo anche i produttori che abbiano già promosso ricorso (ancora pendente) contro i provvedimenti di imputazione del prelievo supplementare. Se ne deduce che le sentenze definitive sfavorevoli ai produttori non consentono il ricalcolo. Tuttavia, poiché il ricalcolo è richiesto dal diritto europeo, anche l'impedimento deve essere riconosciuto dal diritto europeo, e dunque solo un giudicato che abbia già creato una certezza del diritto contraria a quella definita dalla Corte di Giustizia può costituire un'esimente rispetto alla disapplicazione del diritto interno. Le sentenze in rito, che non creano una simile certezza del diritto, e dunque non contengono un bene giuridico tutelato dal diritto europeo, non hanno una rilevanza ulteriore rispetto ai provvedimenti, in quanto la loro funzione è in effetti il consolidamento dell'atto impugnato, non la sostituzione dell'atto con un accertamento giudiziale. 45. L'assimilazione delle sentenze in rito ai provvedimenti per i quali siano scaduti i termini di impugnazione trova sostegno nella giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla disapplicazione dei provvedimenti contrastanti con il diritto europeo. In proposito, si sono manifestati due orientamenti. Da un lato, è stata affermata la diretta prevalenza del diritto europeo, con il conseguente obbligo di disapplicare un provvedimento divenuto definitivo che costituisca atto presupposto di un successivo provvedimento contestato (v. C.Giust. Sez. II 29 aprile 1999 C-224/97, Ciola, punti 33-34). Dall'altro, è stato riconosciuto il valore della certezza del diritto garantita dal provvedimento definitivo, e dunque l'obbligo di disapplicazione è stato sottoposto ad alcune condizioni (v. C.Giust. 13 gennaio 2004 C-453/00, Kü hne, punti 24 e 28). Le condizioni individuate sono (a) l'esistenza in capo a un organo amministrativo del potere di ritornare sulla propria decisione; (b) il carattere definitivo di tale decisione in seguito a una sentenza di un giudice nazionale; (c) il contrasto della decisione amministrativa e della sentenza con il diritto europeo, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia; (d) un'istanza dell'interessato immediatamente dopo essere stato informato della suddetta giurisprudenza. 46. Progressivamente, questo secondo orientamento ha subito un'evoluzione nel senso della sempre maggiore apertura all'istituto della disapplicazione. È stata infatti ritenuta non necessaria la deduzione del contrasto con il diritto europeo nell'impugnazione dell'atto amministrativo davanti al giudice nazionale, ed è stata parimenti esclusa la necessità di rispettare termini tassativi per la presentazione dell'istanza di riesame davanti all'organo amministrativo (v. C.Giust. GS 12 febbraio 2008 C-2/06, Kempter, punti 46 e 56). A proposito della differenza tra la decisione dell'organo amministrativo e la decisione del giudice, è stato chiarito che, mentre il principio di leale cooperazione ex art. 4 par. 3 del TUE impone a un organo amministrativo di riesaminare un provvedimento definitivo per tenere conto della sopravvenienza di una sentenza della Corte di Giustizia, qualora in base al diritto nazionale sussista il potere di tornare su tale decisione, la sentenza definitiva rimane invece intangibile, tranne quando le norme processuali interne prevedano la possibilità per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato (v. C.Giust. Sez. IV 29 luglio 2019 C 620/17, Hochtief, punti 57-60). Per l'ipotesi in cui le norme nazionali richiedano l'allegazione di fatti nuovi a fondamento dell'istanza di riesame in sede amministrativa, è stato precisato che la sopravvenienza di una sentenza della Corte di Giustizia costituisce essa stessa un fatto nuovo, indipendentemente dalla circostanza che l'interessato abbia menzionato tale sentenza (v. C.Giust. GS 14 maggio 2020 C 924/19-PPU e C 925/19-PPU, FMS, punti 194 e 195). Relativamente alle norme nazionali che regolano il riesame di una decisione amministrativa definitiva, è stata sottolineata la necessità di trovare un equilibrio tra l'esigenza di certezza del diritto e l'esigenza di effettività della tutela, e di conseguenza è stato attribuito al giudice nazionale il compito di verificare se le procedure di diritto interno rendano impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto europeo (v. C.Giust. Sez. III 20 maggio 2021 C 120/19, X, punti 69, 74, 78). A proposito del potere di tornare su una decisione amministrativa definitiva, la citata sentenza C-177/20 (v. punti 62 e 64) ha rilevato l'esistenza di situazioni in cui l'intangibilità del provvedimento secondo il diritto interno non può ragionevolmente essere giustificata dall'esigenza di certezza del diritto, essendo contraria ai principi di effettività e leale cooperazione ex art. 4 par. 3 del TUE, e ha ribadito che la leale cooperazione non impone solo la disapplicazione di una norma di legge ma anche l'adozione di provvedimenti generali o particolari idonei a garantire l'applicazione del diritto dell'Unione nel territorio nazionale. 47. Trasponendo queste indicazioni nell'ordinamento interno, si può ritenere che un giudicato di merito formatosi su un atto presupposto, e contenente l'accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza dell'obbligo di versare il prelievo supplementare, vincoli anche l'esito del giudizio sull'atto consequenziale o reiterativo. Un giudicato formatosi solo su una questione di rito, invece, consolida l'atto presupposto rispetto alle pretese basate sulla normativa nazionale, ma lo espone alla disapplicazione sia in sede amministrativa sia in sede giurisdizionale quando, decidendo su un atto consequenziale o reiterativo, occorra recepire la giurisprudenza della Corte di Giustizia. Quest'ultima soluzione vale anche nel caso in cui l'atto presupposto non sia stato impugnato e non sia più impugnabile. La disapplicazione dell'atto presupposto avviene previo bilanciamento tra l'esigenza di certezza del diritto e l'esigenza di effettività della tutela, sulla base delle indicazioni contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia oggetto di recepimento. 48. Si osserva che l'art. 10-bis comma 6 del DL 69/2023 ha adottato una linea restrittiva sulla disapplicazione dei provvedimenti, limitandola all'ipotesi in cui i produttori abbiano impugnato (in un giudizio ancora pendente) l'imputazione del prelievo supplementare per motivi inerenti alla corretta interpretazione dei metodi di calcolo secondo quanto statuito dalle sentenze della Corte di Giustizia. Rimane però il problema della coerenza di tale disposizione con i principi comunitari di effettività e leale cooperazione ex art. 4 par. 3 del TUE, come interpretati dalla Corte di Giustizia, in quanto, non sembra possibile porre in capo ai produttori un onere di difesa retrospettivo, ossia riferito a motivi di ricorso che non erano chiaramente individuabili all'epoca della conoscenza dei provvedimenti, quando la Corte di Giustizia non si era ancora pronunciata sui criteri di calcolo del prelievo supplementare. La disapplicazione dei provvedimenti definitivi segue infatti un'impostazione esattamente rovesciata, ossia considera elemento sopravvenuto rilevante la nuova interpretazione del diritto europeo fornita dalla Corte di Giustizia. Potrebbe quindi essere giustificato, al più, un intervento del legislatore nazionale diretto a imporre ai produttori un termine di diligenza per la richiesta di disapplicazione dei provvedimenti non impugnati (o impugnati in giudizi conclusi con sentenze in rito). Di conseguenza, appare necessario coordinare la nuova disciplina nazionale con i principi del diritto europeo, considerando disapplicabili i provvedimenti anche al di fuori dell'ipotesi espressamente codificata dall'art. 10-bis comma 6 del DL 69/2023, secondo i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia. Sul caso in esame 49. Poiché nella presente sentenza vengono respinti, come si è visto sopra, gli argomenti diretti a far dichiarare prescritto o altrimenti estinto l'obbligo di versamento del prelievo supplementare, le residue aspettative di parte ricorrente si concentrano necessariamente sulla domanda subordinata, che ha come obiettivo la disapplicazione delle norme interne e dei provvedimenti attuativi, e la ripetizione del calcolo secondo le indicazioni della Corte di Giustizia, intercettando ora la sopravvenuta disciplina dell'art. 10-bis commi 1 e 6 del DL 69/2023. La via della disapplicazione risulta praticabile a condizione che manchi un giudicato di merito sfavorevole. 50. Le decisioni intervenute sugli atti di imputazione del prelievo supplementare per la campagna oggetto del presente giudizio contengono però un accertamento di merito sfavorevole all'azienda agricola ricorrente, se si esclude la sentenza di perenzione del TAR Lazio n. 5970/2012, la quale tuttavia riguarda un produttore omonimo. 51. È possibile non tenere conto della sentenza del TAR Lazio n. 4818/2012 e della sentenza del Consiglio di Stato n. 4571/2014, perché l'oggetto di quei giudizi era la determinazione dei QRI, e dunque le argomentazioni coperte dal giudicato non sono esattamente corrispondenti e contrarie a quelle formulate dalla Corte di Giustizia sui criteri applicabili nella compensazione nazionale. 52. Una piena contrapposizione sussiste invece tra le pronunce della Corte di Giustizia e la sentenza del TAR Lazio n. 5900/2012, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1219/2015. In particolare, quest'ultima segue espressamente a proposito delle categorie privilegiate la tesi poi smentita dalla Corte di Giustizia. Si è quindi formato un giudicato di merito che si oppone alla ripetizione del calcolo dell'importo dovuto, e conseguentemente impedisce anche di applicare la disciplina nazionale sopravvenuta e di recuperare le somme già incamerate dall'AGEA. Occorre sottolineare che la presenza di un giudicato di merito sfavorevole è anche alla base delle sentenze del TAR Brescia n. 268/2021 e del Consiglio di Stato n. 6335/2022, con le quali è stata rispettivamente dichiarata e confermata l'inammissibilità dell'impugnazione contro l'intimazione di pagamento n. AGEA.AGA.2018.0025865 di data 5 ottobre 2018. Conclusioni 53. Il ricorso deve quindi essere respinto, sia nella parte impugnatoria sia relativamente alla domanda di risarcimento. 54. L'effetto conformativo della pronuncia consolida il recupero del prelievo supplementare già operato dall'AGEA. 55. La complessità dei rapporti tra la normativa interna e il diritto europeo giustifica la compensazione delle spese di giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda definitivamente pronunciando: (a) respinge il ricorso; (b) compensa le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia, nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2023, con l'intervento dei magistrati: Bernardo Massari - Presidente Mauro Pedron - Consigliere, Estensore Luigi Rossetti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1069 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da IN. GR., rappresentato e difeso dall'avv. Gi. La., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia, e domicilio fisico presso il medesimo legale in Brescia, viale (...); MINISTERO DELLA CULTURA, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia, e domicilio fisico in Brescia, via (...); nei confronti MI. SE., rappresentata e difesa dagli avv. Mo. Ro. e Pa. Ba., con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia; per l'annullamento (a) nel ricorso introduttivo: - del provvedimento del sindaco prot. n. 5071 di data 21 ottobre 2021, con il quale è stata dichiarata l'agibilità dei locali posti al piano terra (uso abitativo) e al piano interrato (accessori e autorimessa) dell'appartamento di proprietà della controinteressata; - del provvedimento del responsabile dell'Ufficio Tecnico prot. n. 5073 di data 21 ottobre 2021, con il quale, sulla base della relazione di sopralluogo di data 27 settembre 2021, è stato chiuso come segue il procedimento relativo alle violazioni edilizie contestate alla controinteressata: (i) i locali posti al piano interrato sono agibili e destinati a spazi accessori e autorimessa, non hanno le caratteristiche igienico-sanitarie per essere utilizzati come locali abitabili, e non incidono sul carico urbanistico e sulla capacità insediativa dell'immobile; (ii) i locali posti al piano terra sono conformi a quanto indicato nella CILA n. 63/2019, e risultano agibili e destinati a uso abitativo; - della relazione di sopralluogo di data 27 settembre 2021; - nonché per l'ottemperanza alla sentenza del TAR Brescia n. 714 del 30 luglio 2021, che ha accolto il ricorso contro il silenzio del Comune circa la verifica degli abusi edilizi asseritamente realizzati dalla controinteressata; - e per la dichiarazione di decadenza dei permessi di costruire n. 33 di data 23 giugno 2018 (modifiche interne e trasformazione di finestra in portafinestra) e n. 47 di data 24 ottobre 2018 (modifica della scala esterna e della bocca di lupo), nonché della CILA n. 63/2019 di data 26 giugno 2019 (modifica delle tramezze interne); (b) nei primi motivi aggiunti: - del permesso di costruire in sanatoria n. 11/S/2022 di data 23 maggio 2022; - del provvedimento del responsabile dell'Ufficio Tecnico prot. n. 1434 di data 22 marzo 2022, contenente l'accertamento di compatibilità paesistica delle opere abusive interne ed esterne; (c) nei secondi motivi aggiunti: - del permesso di costruire in sanatoria n. 11/S/2022 di data 23 maggio 2022; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), del Ministero della Cultura, e di MI. SE.; Visti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2023 il dott. Mauro Pedron; Considerato quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente ha acquistato in data 6 novembre 2003 un appartamento al primo piano di un condominio situato nel Comune di (omissis), in via (omissis). Nel medesimo fabbricato, al piano terra, al di sotto dell'abitazione del ricorrente, si trova l'appartamento della controinteressata, acquistato il 26 gennaio 2018. 2. L'area sui cui insiste il condominio è classificata dal PGT in zona R2 (Ambiti territoriali a destinazione prevalentemente residenziale), ed sottoposta a vincolo paesistico (DM 27 aprile 1976). 3. Con segnalazione del 18 gennaio 2021 il ricorrente ha espresso al Comune la propria convinzione che nell'appartamento della controinteressata fossero state realizzate opere abusive. La tesi del ricorrente era che, contestualmente alla trasformazione del piano terra in un'unica zona soggiorno-cucina tramite abbattimento delle tramezze interne, la camera da letto fosse stata abusivamente spostata nell'interrato non abitabile, in cui sarebbe stato realizzato anche il bagno con doccia e servizi. Da questo conseguirebbe che i titoli edilizi rilasciati alla controinteressata, ossia il permesso di costruire n. 33/2018 di data 23 giugno 2018 (modifiche interne e trasformazione di finestra in portafinestra) e il permesso di costruire n. 47/2018 di data 24 ottobre 2018 (modifica della scala esterna e della bocca di lupo), nonché la CILA n. 63/2019 di data 26 giugno 2019 (modifica delle tramezze interne), sarebbero viziati da falsa rappresentazione dei luoghi, in quanto le relazioni tecniche di supporto riporterebbero le suddette modifiche interne come stato di fatto legittimo. 4. A fronte dell'inerzia del Comune nella repressione degli abusi segnalati, il ricorrente ha attivato il rimedio contro il silenzio. Il TAR Brescia, con sentenza n. 714 del 30 luglio 2021, ha accertato l'obbligo del Comune di "pronunciarsi espressamente sull'eventuale incremento dei volumi abitabili e sulla consequenziale mutazione del carico urbanistico e della capacità insediativa originari, nonché sulla complessiva agibilità dei locali". 5. Ultimando il procedimento già avviato, il Comune, con provvedimento del sindaco di data 21 ottobre 2021, ha dichiarato l'agibilità dei locali posti al piano terra (uso abitativo) e al piano interrato (accessori e autorimessa) dell'appartamento della controinteressata. Contemporaneamente, il responsabile dell'Ufficio Tecnico, con provvedimento di data 21 ottobre 2021, ha formulato le seguenti conclusioni sulle violazioni edilizie contestate alla controinteressata: (i) i locali posti al piano interrato sono agibili e destinati a spazi accessori e autorimessa, non hanno le caratteristiche igienico-sanitarie per essere utilizzati come locali abitabili, e non incidono sul carico urbanistico e sulla capacità insediativa dell'immobile; (ii) i locali posti al piano terra sono conformi a quanto indicato nella CILA n. 63/2019 di data 26 giugno 2019, e risultano agibili e destinati a uso abitativo. 6. L'accertamento della legittimità dello stato dei luoghi tiene conto delle modifiche introdotte nel frattempo dalla controinteressata in esecuzione dell'ordine di rimozione adottato dal sindaco il 14 giugno 2021. La situazione risultante dalle predette modifiche è così descritta nella relazione di sopralluogo di data 27 settembre 2021: (i) in uno dei due giardini di proprietà esclusiva, la fontanina abusiva con scarico dirottato nella tubazione di raccolta delle acque meteoriche è stata privata dell'allaccio all'acquedotto e trasformata in fioriera; (ii) al piano terra, l'evacuazione dei fumi della stufa a pellet, installata a regola d'arte come da dichiarazione di conformità rilasciata dall'impresa installatrice il 23 dicembre 2019, è assicurata dalla canna fumarla esistente, sfociante sul tetto. Per l'evacuazione dei fumi della caldaia a condensazione, installata a regola d'arte come da dichiarazione di conformità rilasciata dall'impresa installatrice in data 27 marzo 2019, è stata utilizzata una nuova canalizzazione che corre lungo la parete, nascosta dal cartongesso, e termina all'esterno dell'abitazione. Per quanto riguarda i fumi e i vapori della cucina, è presente una cappa con filtro a carboni attivi e bocchetta di aerazione; (iii) il bagno abusivo realizzato nel piano interrato, avente altezza inferiore a 2,40 metri, è stato privato dei sanitari e degli allacci all'acquedotto, e trasformato in lavanderia; (iv) l'impianto di riscaldamento abusivo presente al piano interrato è stato eliminato; (v) il bagno al piano terra è stato dotato di doccia. 7. Il responsabile dell'Ufficio Tecnico, con provvedimento di data 22 marzo 2022, ha accolto l'istanza di sanatoria paesistica formulata dalla controinteressata il 20 ottobre 2021, riguardante prevalentemente opere collocate nei due giardini di proprietà esclusiva (sul lato ovest, muro divisorio con inserimento di un mobiletto in muratura, e ampliamento del marciapiede; sul lato est, modifica della scala esterna, e posa di una pavimentazione filtrante in doghe di legno; nel piano interrato, eliminazione dei sanitari). La decisione è basata sul parere favorevole della Commissione per il Paesaggio di data 25 ottobre 2021. 8. In data 23 maggio 2022 è stato rilasciato alla controinteressata il permesso di costruire in sanatoria n. 11/S/2022. La richiesta era stata formulata il 21 aprile 2022, e integrata il 12 maggio 2022, con riferimento alle opere sopra descritte. 9. Contro i suddetti provvedimenti il ricorrente ha presentato impugnazione, che è stata integrata, una volta acquisita la documentazione oggetto dell'istanza di accesso, da doppi motivi aggiunti. Le censure possono essere sintetizzate e riordinate come segue: (i) violazione degli art. 50 e 54 del Dlgs. 18 agosto 2000 n. 267, nonché degli art. 24 e 26 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, in quanto non spetterebbe al sindaco dichiarare l'agibilità di un immobile, oltretutto cancellando l'onere del proprietario di presentare un'apposita SCIA per dimostrare le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, e risparmio energetico; (ii) travisamento, in quanto per la rimozione degli abusi sarebbero state ritenute sufficienti modifiche solo apparenti (all'esterno, è stato rimosso il rubinetto della fontanina, senza eliminazione dell'impianto idraulico e dello scarico nel pluviale; nel piano interrato sono stati rimossi solo i sanitari e gli elementi esterni della doccia, lasciando al loro posto i tubi, il miscelatore dell'acqua, i rubinetti dell'impianto di riscaldamento, il lavandino, e una lavatrice); (iii) contraddizione rispetto agli originari titoli edilizi, in quanto il risultato della parziale rimozione degli abusi al piano interrato (lavanderia) non sarebbe ammissibile, mancando l'altezza minima di 2,40 metri e la superficie minima di 4 mq necessarie per i servizi igienici (v. prescrizioni contenute nelle concessioni edilizie n. 523 di data 24 luglio 1990 e n. 1471 di data 30 dicembre 1991). Inoltre, per quanto riguarda il piano terra, mancherebbe la relazione sui requisiti acustici, non sarebbe garantita l'espulsione oltre il tetto dei fumi e dei vapori di cottura, vi sarebbe un'unica tubazione per la caldaia e la stufa a pellet, e il bagno avrebbe misure inferiori a quelle minime; (iv) violazione della sentenza del TAR n. 714/2021, in quanto non sarebbe stata effettuata una valutazione complessiva degli interventi abusivi oggetto di sanatoria, che avrebbero condotto alla trasformazione del piano interrato in spazio abitabile e all'alterazione dei due giardini di proprietà esclusiva con creazione di un terrapieno e di altre opere impattanti; (v) violazione dell'art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 22 gennaio 2004 n. 42, in quanto le innovazioni apportate dalla controinteressata non potrebbero accedere alla sanatoria paesistica; 10. Oltre all'annullamento degli atti impugnati, è stata chiesta la dichiarazione di decadenza dei permessi di costruire n. 33/2018 di data 23 giugno 2018 e n. 47/2018 di data 24 ottobre 2018, nonché della CILA n. 63/2019 di data 26 giugno 2019, in quanto titoli basati su una fuorviante rappresentazione dello stato di fatto del fabbricato e sull'erronea asseverazione della conformità urbanistica delle opere. 11. Il Comune si è costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, e producendo in data 21 luglio 2022 parte della documentazione richiesta dal ricorrente. Si sono costituiti anche il Ministero della Cultura e la controinteressata, chiedendo parimenti la reiezione del ricorso. 12. Questo TAR, con ordinanza n. 1088 del 7 novembre 2022, ha deciso in ordine all'istanza di accesso formulata dal ricorrente ai sensi dell'art. 116 comma 2 cpa. 13. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione di merito si possono svolgere le seguenti considerazioni: (a) occorre premettere che alcune delle censure proposte dal ricorrente, e in particolare quelle di dettaglio sulle scelte costruttive seguite nell'appartamento della controinteressata, non poggiano su un'adeguata legittimazione, in quanto non sono strettamente connesse all'interesse rappresentato, che è quello di evitare conseguenze negative per l'appartamento situato al piano superiore. Il criterio della vicinitas non consente di esercitare un controllo generalizzato sulle scelte costruttive del proprietario confinante, ma implica l'onere per la parte ricorrente di dimostrare che dalle innovazioni discende una diminuzione dell'utilità dell'immobile di proprietà ; (b) sul potere di autotutela, si osserva in via generale che non è possibile chiedere all'amministrazione di risalire nel tempo per cancellare titoli edilizi remoti solo perché gli stessi costituiscono il presupposto di titoli edilizi più recenti oggetto di contestazione. Nel bilanciamento dei contrapposti interessi, l'affidamento di chi ha costruito sulla base di un titolo edilizio prevale, con il passare del tempo, sull'interesse pubblico all'annullamento in autotutela. I soggetti che contestano l'edificazione devono quindi attivarsi tempestivamente, sia per segnalare gli errori all'amministrazione ai fini dell'autotutela, sia per impugnare in via diretta i titoli contestati; (c) nello specifico, il ricorrente ha proposto ricorso straordinario contro i permessi di costruire n. 33/2018 di data 23 giugno 2018 e n. 47/2018 di data 24 ottobre 2018. Peraltro, dopo la richiesta di trasposizione, con la conseguente dichiarazione di improcedibilità (v. parere del Consiglio di Stato n. 01086/2022 e decreto presidenziale di data 12 aprile 2023), l'impugnazione non risulta ulteriormente coltivata. In questo modo, i titoli edilizi remoti risultano consolidati, e per il principio del ne bis in idem non è possibile ottenerne la rimozione nel presente giudizio, neppure riformulando la domanda come richiesta di dichiarazione di decadenza; (d) al ricorrente rimane quindi la sola possibilità di contestare i recenti provvedimenti del Comune con i quali è stata dichiarata la regolarità, o è stata concessa la sanatoria, dell'attuale situazione dei luoghi nell'appartamento della controinteressata; (e) in proposito, gli argomenti relativi alla incompetenza del sindaco circa l'agibilità di un immobile non possono essere condivisi, sia perché si tratta di questioni puramente formali, essendosi il sindaco pronunciato sulla base di un accertamento tecnico degli uffici, sia perché il provvedimento del sindaco deve essere valutato nel contesto dei vari provvedimenti adottati in seguito alla segnalazione del ricorrente. Tale segnalazione era basata sulla tesi della natura insanabilmente abusiva degli interventi edilizi della controinteressata. I provvedimenti rilevanti sono quindi essenzialmente quello del responsabile dell'Ufficio Tecnico di data 21 ottobre 2021, riguardante l'agibilità dei locali della controinteressata (tanto sotto il profilo della conformità urbanistica quanto sotto il profilo igienico-sanitario), quello del medesimo dirigente di data 22 marzo 2022, relativo alla sanatoria paesistica, e il permesso di costruire in sanatoria di data 23 maggio 2022; (f) la materia del contendere si concentra pertanto sul problema della trasformazione del piano interrato in superficie residenziale, trattandosi di un esito certamente escluso dai titoli edilizi remoti e in contrasto con la disciplina urbanistica, nella quale non è presente una riserva di diritti edificatori utilizzabili a tale scopo. La trasformazione in senso residenziale del piano interrato, rendendo il piano terra un monolocale meglio sfruttabile come zona giorno, potrebbe, almeno in astratto, creare disturbo al ricorrente, che abita al piano superiore, in quanto vi sarebbe un maggior numero di punti nell'appartamento della controinteressata da cui potrebbero partire emissioni sonore moleste; (g) più specificamente, il problema è se la riduzione degli abusi effettuata dalla controinteressata, e descritta nella relazione di sopralluogo di data 27 settembre 2021, sia sufficiente a rendere sanabile urbanisticamente e paesisticamente il resto delle opere; (h) va precisato al riguardo che la sanatoria parziale per sottrazione di opere abusive è perfettamente ammissibile. La repressione degli abusi deve infatti avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, e dunque non deve causare la demolizione di opere che potrebbero essere regolarizzate. A maggior ragione, non deve comportare la demolizione di opere conformi; (i) pertanto, allo scopo di far cessare la destinazione residenziale del piano interrato appare sufficiente la rimozione dei sanitari e dei termosifoni. Non è necessaria, in quanto eccessiva rispetto allo scopo perseguito, la demolizione delle murature per togliere le tubazioni dell'impianto di riscaldamento, e non è neppure necessario interrompere il collegamento all'impianto idraulico e disinstallare il lavandino per impedire l'utilizzo come lavanderia; (j) in realtà, l'utilizzo come lavanderia non reintroduce la destinazione residenziale, in quanto la lavanderia è per sé un locale tecnico compatibile con le autorimesse o con le cantine, ed è sempre insediabile in uno di questi spazi, separatamente dal resto dell'abitazione. Eventuali divieti generalizzati contenuti nella disciplina urbanistica comunale devono essere disapplicati per irragionevole compressione dei diritti edificatori. Non essendo destinata alla presenza continuativa delle persone, la lavanderia deve rispettare solamente le altezze minime dei locali tecnici in cui viene collocata, e comunque il limite minimo di 2,10 metri stabilito dall'art. 3.4.7 del regolamento locale di igiene per i ripostigli. Se l'altezza interna non supera i 2,30 metri, i locali tecnici non formano volumetria utile (v. art. 55.2 del regolamento edilizio), e quindi non entrano in alcuna relazione con la parte propriamente residenziale dell'appartamento, lasciando inalterato il peso insediativo (che in base all'art. 18.3 delle NTA viene valutato come rapporto volume/abitante); (k) per quanto riguarda il piano terra, si osserva che l'eliminazione di muri non portanti non richiede nuove valutazioni strutturali, sismiche o acustiche, trattandosi di semplice riorganizzazione degli spazi interni. In questa riorganizzazione devono comunque essere salvaguardati i servizi indispensabili ad assicurare l'agibilità dell'appartamento, e in primo luogo il bagno, essendo escluso che lo stesso possa essere trasferito al piano interrato al di fuori dell'ambito propriamente residenziale; (l) in concreto, il bagno del piano terra, con l'antibagno, ha dimensioni pari a 5,01 mq (v. tavola U). Questa misura non viola alcuna disposizione del regolamento locale di igiene, in quanto le superfici minime indicate nell'art. 3.4.4 non contemplano direttamente i bagni. D'altra parte, non appare coerente l'assimilazione del bagno a un locale con funzioni e caratteristiche completamente diverse come la cucina, per la quale è prevista una superficie minima di 8 mq. Al contrario, proprio la natura necessaria del bagno, non sacrificabile a differenza di altri locali, principali e accessori, impone di stabilire l'adeguatezza delle dimensioni attraverso una valutazione caso per caso, nel rispetto del minimo incomprimibile di 1,20 mq previsto dall'art. 59 del regolamento edilizio. Con riguardo alle dotazioni, il bagno del piano terra rispetta le prescrizioni dell'art. 3.4.70 del regolamento locale di igiene (vaso con bidet, lavabo, doccia, in un locale avente superficie idonea a contenere tutti questi elementi); (m) relativamente agli impianti di evacuazione dei fumi, il Comune ha acquisito le dichiarazioni di conformità, con corrispondente assunzione di responsabilità, rilasciate dalle imprese installatrici, e dunque ha correttamente svolto l'istruttoria; (n) le censure relative alle modifiche dei giardini di proprietà esclusiva sui due lati corti dell'appartamento della controinteressata aprono un fronte di contestazione che avrebbe richiesto l'allegazione di uno specifico interesse all'impugnazione, trattandosi di opere apparentemente non idonee a diminuire l'utilità dell'appartamento del ricorrente, o a introdurre molestie; (o) valgono comunque, per quanto riguarda la rimozione del rubinetto della fontanina senza eliminazione del collegamento idraulico e dello scarico nel pluviale, le medesime considerazioni svolte sopra a proposito della rimozione dei sanitari e dei termosifoni dal piano interrato. Occorre infatti raggiungere il risultato dell'eliminazione delle opere abusive con il minimo sacrificio per il proprietario, anche se in questo modo vi è il rischio di favorire atteggiamenti opportunistici e l'eventuale reiterazione dell'abuso in futuro. Qualora in un secondo tempo l'abuso fosse effettivamente reiterato mediante reimpiego degli impianti sigillati e resi funzionalmente ma non strutturalmente inutilizzabili, il potere repressivo del Comune acquisterebbe maggiore intensità, per risultare efficace in relazione al caso concreto, e dunque potrebbe estendersi alla demolizione delle opere conformi che ospitano i suddetti impianti; (p) per quanto riguarda invece le opere regolarizzate, si osserva che ricadono tutte nella fattispecie di ammissibilità della sanatoria paesistica ex art. 167 commi 4 e 5 del Dlgs. 42/2004, mancando nuove superfici utili o volumi; (q) l'attività di rimodellamento del terreno, se proporzionata alla realizzazione di opere di pavimentazione e di finitura degli spazi esterni, non produce un terrapieno rilevante ai fini urbanistici o paesistici, e viene attratta nell'edilizia libera ai sensi dell'art. 6 comma 1-e-ter del DPR 6 giugno 2001 n. 380. La disciplina urbanistica comunale può introdurre delle graduazioni, e subordinare il movimento terra a CILA, SCIA o permesso di costruire oltre determinati indici quantitativi o a causa della connessione con altre opere. Peraltro, nel caso in esame, sulla base delle indicazioni contenute nella tavola U, sembra che il rimodellamento del terreno sia funzionalmente ed esteticamente proporzionato alle esigenze di rifacimento della rampa di scale esterna, nel rispetto delle preesistenti quote del piano terra e della strada comune. 14. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. 15. La complessità della vicenda e la presenza di abusi edilizi poi rimossi o sanati giustificano la compensazione delle spese di giudizio, ferma restando la pronuncia in punto spese contenuta nell'ordinanza n. 1088/2022. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Seconda definitivamente pronunciando: (a) respinge il ricorso; (b) compensa le spese di giudizio, come precisato in motivazione. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia, nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2023, con l'intervento dei magistrati: Bernardo Massari - Presidente Mauro Pedron - Consigliere, Estensore Luigi Rossetti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 519 del 2021, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, quest'ultima anche in qualità di procuratrice generale di -OMISSIS- e di -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati Ma. Ug. Bi., Ma. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Do. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia nei confronti -OMISSIS-, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Lombardia - Dipartimento di Brescia, Provincia di Brescia, non costituiti in giudizio; per l'annullamento - dell'ordinanza n. 98 dell'11.06.2021, ex art. 192 D. Lgs. n. 152/2006 del Sindaco del Comune di (omissis), "per la rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati in via (omissis) a (omissis) (BS) "; - nonché di ogni altro atto presupposto, connesso ed endoprocedimentale compresa la nota Prot. 6271 del 12/02/2021 di comunicazione di avvio del procedimento medesimo; e, in quanto occorra - della norma di cui all'art. 20 del vigente Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana del Comune di (omissis), approvato con delibera del consiglio comunale n. 20/2009 e modificato con delibera del consiglio comunale n. 4/2010 e n. 4/2016 Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2023 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Le sorelle -OMISSIS- e -OMISSIS- e la madre delle stesse, signora -OMISSIS-, sono rispettivamente nude proprietarie le prime quattro e usufruttuaria l'ultima, di due capannoni (un capannone ad est in cui vi sono anche due unità residenziali e uno ad ovest, ciascuno con area pertinenziale, ai quali si accede dal civico (omissis)) e di un immobile adibito ad ufficio e deposito (con altro ingresso) situati nel Comune di (omissis) (BS), in Via (omissis), identificati dai civici n. (omissis). 2. Nel 2003, il capannone ad ovest, con accesso dal civico (omissis), costituito da due campate a volte e pertinenze laterali (tettoie/depositi) con relativa area pertinenziale esclusiva, era stato dato in locazione alla -OMISSIS- In. S.r.l. (d'ora in poi "-OMISSIS-"), che aveva avviato in questo capannone l'attività costituita, come da oggetto sociale, dalla produzione di corde, trecce, canapi e cordami in fibre naturali, in nylon e altri prodotti sintetici nonché di recupero filati. 3. A partire dal 2005, la -OMISSIS-non solo si era resa morosa nel versamento dei canoni, ma aveva anche tenuto condotte arbitrarie, quali l'occupazione abusiva con propri beni di parti comuni dell'altro capannone, iniziando altresì ad ammassare i propri materiali e prodotti (bancali in legno, materiale plastico di vario tipo e filati di nylon e poliestere) nella propria area pertinenziale. 4. Nel giugno del 2006, le ricorrenti denunciarono al Comune di (omissis) la presenza di consistente materiale nell'area pertinenziale dei capannoni e di potenziale pericolosità e, a fronte degli inadempimenti contrattuali e delle condotte arbitrarie della conduttrice, si attivarono per risolvere il contratto e per far cessare tali condotte. 5. Le parti, con verbale di conciliazione giudiziale, sottoscritto nel luglio 2006, raggiunsero un accordo in forza del quale la -OMISSIS-si era impegnata a riconsegnare alle locatrici, libero da persone e cose, l'immobile oggetto del contratto di locazione entro e non oltre il 30 novembre 2006 e a rimuovere entro il 31 agosto 2006, a sua cura e spese, dalle aree esterne di proprietà -OMISSIS- non concesse in locazione, tutto il materiale della stessa conduttrice. 6. Tale accordo non veniva nei fatti rispettato dalla conduttrice, che continuava a permanere nell'immobile. 7. Dopo la denuncia del 2006, erano stati eseguiti due sopralluoghi: uno del 4 luglio 2006 da parte dell'Ufficio Ecologia del Comune di (omissis), che aveva rilevato la presenza "di bancali in legno, materiale plastico di vario tipo e filati in nylon e poliestere depositati sia nell'area di pertinenza della ditta che in aree di utilizzo comune ai tre insediamenti che occupano l'area"; e l'altro effettuato l'11 settembre 2007 dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, che aveva riscontrato "la presenza di materiale all'interno del cortile di pertinenza della ditta e accertata la sussistenza di pericolo d'incendio a causa del quantitativo, delle modalità di stoccaggio, dello stato di abbandono e della mancata sorveglianza del materiale". 8. Il Sindaco di Rovato, venuto a conoscenza dei fatti, aveva quindi emesso, in data 9 gennaio 2008, l'ordinanza contingibile e urgente ex art. 54 D. Lgs. n. 267/2000 nei confronti del sig. -OMISSIS-, in qualità di amministratore unico della -OMISSIS-, ordinandogli "di provvedere entro 15 giorni dalla notifica alla rimozione del materiale depositato nell'area di pertinenza della ditta -OMISSIS-" con l'avvertenza che "Trascorso il termine suddetto senza che l'interessato abbia ottemperato all'ordine ingiunto, si provvederà d'ufficio a spese del contravventore, oltre alla denuncia all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 650 del Codice Penale". 9. Tale ordinanza non è stata ottemperata sig. -OMISSIS-, né eseguita d'ufficio dal Comune a spese del destinatario, come ivi previsto. 10. Il Tribunale di Brescia, su ricorso delle odierne ricorrenti, nel 2008, ha dichiarato il fallimento della -OMISSIS-S.r.l. (Fall.to n. 128/2008), a seguito del quale il curatore fallimentare, verificato che presso il capannone si trovavano "ricoverati diversi scarti di filature inutilizzabili, in completo stato di abbandono", sull'assunto della mancanza di valore e dell'antieconomicità dell'acquisizione dei medesimi, che "avrebbe comportato per la procedura un inutile aggravio di costi necessari al fine di provvedere alla loro eliminazione tramite smaltimento presso idonee discariche", aveva chiesto e ottenuto dal Giudice Delegato l'autorizzazione a non acquisire all'attivo tali beni. 11. Il fallimento si è chiuso nel febbraio 2011 per impossibilità di soddisfare nemmeno in parte i creditori. 12. A seguito di controlli effettuati dal personale di Arpa Lombardia nell'ambito del progetto del Nucleo Ambientale della Prefettura, il 3 dicembre 2020, la Legione Carabinieri Forestali Lombardia della Stazione di Iseo ha effettuato un sopralluogo presso il capannone, al quale ha presenziato la signora -OMISSIS-. Alla stessa è stata rilasciata una copia del verbale in cui si dava atto della presenza di rifiuti "riconducibili a materiale ormai esausto e rifiuti decadenti dall'attività di cordaneificio depositati all'esterno in area pavimentata... e all'interno del capannone" precisando che "tali rifiuti risultano essere tutti riconducibili all'attività posta in essere dalla Ditta -OMISSIS- In. S.r.l. il cui legale rappresentante è il sig.-OMISSIS-", e si anticipava la denuncia all'Autorità Giudiziaria di quest'ultimo quale responsabile del deposito incontrollato di rifiuti e della gestione illecita degli stessi, nonché lo svolgimento di accertamenti in merito alle responsabilità del Curatore fallimentare. Il materiale è stato sottoposto a sequestro giudiziario e nominata custode la signora -OMISSIS-. 13. Con nota Prot. 6271 del 12 febbraio 2021 il Dirigente dell'Area Tecnica del Comune di (omissis), richiamata la nota dei carabinieri forestali del 30 gennaio 2021, ha comunicato l'avvio del procedimento per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti presenti in -OMISSIS- a Rovato ex art. 192 D. Lgs. n. 152/2006, sia nei confronti del sig. -OMISSIS-, "in qualità di legale rappresentante della ditta -OMISSIS- In. S.r.l. (fallita nel 2008) precedente affittuaria dell'immobile e dalla cui attività sono derivati i rifiuti" e, senza specificazione alcuna, sia nei confronti delle (nude) proprietarie e dell'usufruttuaria dell'area e del capannone, signore-OMISSIS- e-OMISSIS-. 14. Ricevuta la comunicazione, la signora -OMISSIS-, anche su sollecitazione dei Carabinieri (e interpretando in modo non corretto la nota di comunicazione di avvio del procedimento) si è subito rivolta a società specializzate onde ottenere preventivi, procedendo pure a chiedere, sempre su suggerimento dei Carabinieri, l'autorizzazione al dissequestro per lo smaltimento, provvedimento adottato dal Procuratore della Repubblica nel maggio 2021, che ha disposto la restituzione condizionata al soggetto richiedente, subordinata al contestuale avvio allo smaltimento/recupero dei rifiuti in questione. 15. In data 11 giugno 2021 il Sindaco del Comune di (omissis) ha emesso l'ordinanza n. 98, notificata alle ricorrenti in data 11 giugno 2021 e 22 giugno 2021(alla signora -OMISSIS- e -OMISSIS-) "per la rimozione e smaltimento dei rifiuti abbandonati ex art. 192 D. Lgs. 152/2006" nella quale richiamati (i) la comunicazione della Legione Carabinieri Forestali Lombardia Stazione di Iseo del 30 gennaio 21 con la quale è stato segnalato un deposito incontrollato di rifiuti in -OMISSIS-, (ii) l'art. 192 comma 1 del D. Lgs. n. 152/2006 e l'art. 20 del Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana approvato con deliberazione di Consiglio Comunale 8/5/09 n. 20 (secondo cui "le aree di uso comune dei fabbricati nonché le aree scoperte private non di uso pubblico, recintate e non, devono essere tenute pulite a cura dei rispettivi conduttori, amministratori o proprietari, e devono essere inoltre conservate libere da materiali di scarto, anche se abbandonati da terzi"), (iii) la comunicazione di avvio del procedimento, "visto il riscontro trasmesso dall'Avv. Ri. St. per conto di-OMISSIS- in data 12 marzo 2021 ed acquisto al prot. n. 12341 del 15 marzo 21 con il quale è stato evidenziato che essendo la -OMISSIS- In. S.r.l. fallita nel 2008 (Fall. N. 127/2008) il sig.-OMISSIS-è stato privato delle disponibilità materiali dei beni societari compreso l'immobile nel quale era stato rilevato il deposito incontrollato, e impossibilitato pertanto a procedere allo smaltimento dei rifiuti; è stato inoltre osservato che parte dei rifiuti rilevati non deriva dall'attività a suo tempo svolta dalla -OMISSIS-" e ritenuto che "per le considerazioni sopra esposte sussistono le condizioni per emettere la presente ordinanza" ha ordinato alle nude proprietarie e all'usufruttuaria dell'area e del capannone di provvedere a propria cura e spese: - "alla presentazione al Comune di (omissis) entro il termine di 30 giorni dalla data di notifica della presente ordinanza di un piano di rimozione e/o smaltimento/recupero dei rifiuti presenti presso l'immobile di -OMISSIS-" riportante natura e quantità dei rifiuti, destinazione dei rifiuti, modalità di indagine delle matrici ambientali dell'area interessata dall'abbandono dei rifiuti ai sensi dell'art. 239, comma 2 e dell'art. 242, del D. Lgs. n. 152/2006 al termine delle operazioni di rimozione dei rifiuti, tempi di attuazione - nonché "all'esecuzione degli interventi previsti nel piano entro i termini e secondo le modalità che saranno indicati nel provvedimento di approvazione dello stesso da parte del Comune di (omissis)". 16. In data 21 luglio 2021, la sig.ra -OMISSIS-, avvalendosi dell'opera della società -OMISSIS- srl, ha presentato il piano di smaltimento/recupero dei rifiuti, che è stato approvato con nota Prot. 35275 il successivo 17 agosto 2021 dal Dirigente dell'Area tecnica del Comune di (omissis). Detto piano è stato regolarmente eseguito, come da presentazione in data 31 dicembre 2021 della documentazione attestante il corretto smaltimento e le analisi del terreno nei punti potenzialmente interessati da eventuale contaminazione da percolamento, il tutto con un esborso di 50.116,00 euro sostenuto dalle ricorrenti. 17. Con nota del 21 dicembre 2022 il Dirigente dell'Area Tecnica del Comune di (omissis), dopo la presentazione del "piano di campionamento finalizzato alla verifica dell'assenza di passività ambientali" al termine delle operazioni di rimozione e smaltimento rifiuti, condiviso positivamente con ARPA - redatto dalla Lithos srl il 23 giugno 2022 su incarico delle ricorrenti e con ulteriori esborsi di denaro - ha comunicato la conclusione con esito positivo del procedimento. 18. Tra fine agosto/primi di settembre 2022 è stato notificato alle ricorrenti il "processo verbale di constatazione" redatto a loro carico ai sensi dell'art. 56 comma 4 della L.R. n. 10/2003 per dedotte "violazioni tributarie di cui alla sezione V della legge regionale 10/2003" dai funzionari della Provincia di Brescia del Settore Sostenibilità Ambientale e Protezione Civile - Ufficio difesa del suolo e controllo rifiuti in data 9 agosto 2022 in relazione all'informazione ricevuta dal Comune di (omissis) con nota dell'1 agosto 2022 dell'"avvenuta rimozione di rifiuti depositati/abbandonati in un'area localizzata in Rovato via (omissis) n. 95" e al fatto che la rimozione è avvenuta "in forza dell'ordinanza n. 98/21 dell'11 giugno 2021, sulla scorta della quale i verbalizzanti hanno qualificato come "trasgressore" le ricorrenti ai sensi e per gli effetti dell'art. 57 della citata L.R., quantificando il tributo di cui all'art. 53 della L. R. Lombardia n. 10/2003 e la sanzione di cui al successivo art. 57 comma 5, nell'importo complessivo di Euro 9.762,38. 19. Con ricorso notificato il 30 luglio 2021 e ritualmente depositato il 1° settembre 2021, è stata impugnata l'ordinanza sindacale n. 98 adottata dal Sindaco di Rovato ex art. 192 del D. Lgs. 152/2006. 20. Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) depositando documentazione e articolate memorie difensive contestandone la fondatezza e chiedendone il rigetto. 21. All'udienza del 25 ottobre 2023 la causa è passata in decisione. DIRITTO 1. Preliminarmente è necessario esaminare l'eccezione di improcedibilità del ricorso per carenza d'interesse sollevata con le memorie di replica della difesa comunale, in considerazione dell'avvenuta rimozione e smaltimento dei rifiuti nonché per la carenza di interesse a coltivare un'azione risarcitoria nei confronti del Comune, dal momento che non si potrebbe "ipotizzare una qualche responsabilità soggettiva....in capo al Comune medesimo, tale da condurre a una ipotesi risarcitoria", sia per la mancata "obiezione" all'intenzione del Comune di adottare l'ordinanza, non avendo le ricorrenti riscontrato la comunicazione di avvio del procedimento, sia per l'attivazione volta ad ottenere il dissequestro penale dell'area per rimuovere i rifiuti senza alcun disconoscimento della propria responsabilità . 2.1. L'eccezione è infondata. 2.2. Invero, dalla documentazione in atti non si può negare che le ricorrenti abbiano sostenuto ingenti esborsi di denaro per adempiere alle prescrizioni contenute nell'ordinanza e ciò basta per ritenere sussistente l'interesse all'accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato quanto meno a fini risarcitori ai sensi dell'art. 34 comma 3, c.p.a., in base al quale qualora "nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto ai fini risarcitori". Invero, parte ricorrente, nella memoria depositata il 22 settembre 2023, ha espressamente dichiarato "l'interesse all'accertamento dell'illegittimità del provvedimento impugnato ai fini risarcitori sulla scorta dei principi affermati dall'Adunanza Plenaria nella decisione n. 8/2022", per la quale l'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a. richiede la sola dichiarazione della parte di avervi interesse a fini risarcitori: una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento. Ma vi è di più : la violazione tributaria contestata alle ricorrenti ha come presupposto il provvedimento sindacale e la ritenuta responsabilità dell'abbandono dei rifiuti in capo alle ricorrenti ai sensi dell'art. 192 del D.lgs. 152/2006, da ciò consegue l'interesse, attuale e concreto, al ricorso e all'annullamento del provvedimento impugnato. 2.3. Non si può nemmeno condividere la tesi della difesa comunale, che interpreta il mancato riscontro della comunicazione di avvio del procedimento e la richiesta di dissequestro come volontà delle stesse di rinunciare all'impugnazione. Va detto che non tutti i comportamenti integrano acquiescenza, occorre innanzitutto che l'atto suscettibile di impugnazione sia giuridicamente esistente e che sia fonte di una lesione attuale in danno del soggetto acquiescente, e certamente tale non è la comunicazione di avvio del procedimento, che non ha natura provvedimentale. La giurisprudenza amministrativa ha precisato che "L'acquiescenza ad un provvedimento amministrativo sussiste solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell'atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l'operatività " (Cons. Stato, sez. II, 31 agosto 2020, n. 5315). Quanto poi alla richiesta di dissequestro, va anche detto che dalla documentazione in atti risulta che effettivamente essa è stata presentata dalle ricorrenti su indicazione di un maresciallo dell'Arma dei Carabinieri e non può pertanto valere nemmeno come una sorta di dichiarazione confessoria per facta concludentia. 3. Si può ora passare all'esame delle censure dedotte dalle ricorrenti con il ricorso in epigrafe. 4. Con il primo motivo si censura la violazione e/o falsa ed erronea applicazione ed interpretazione di legge (art. 192 D. Lgs. n. 152/06, art. 3 Legge n. 241/90), difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, mancata individuazione del titolo di responsabilità delle (nude) proprietarie e dell'usufruttuaria: secondo le ricorrenti il provvedimento avrebbe violato l'art. 192 comma 3 del D. Lgs. n. 152/06 dal momento che già dalla prima lettura dell'ordinanza e anche dalla comunicazione di avvio del procedimento, emergerebbe l'assenza di una specifica istruttoria, in contraddittorio, in punto di responsabilità delle proprietarie e dell'usufruttuaria e dunque quanto all'accertamento in capo a queste di un comportamento doloso e colposo. Emergerebbe - a dire delle ricorrenti - una sorta di responsabilità oggettiva basata sul mero presupposto della loro titolarità dell'immobile nel quale è stato rinvenuto il materiale, in contrasto, tra l'altro, con quanto accertato dai Carabinieri e descritto nella relazione trasmessa al Comune, e che ha dato luogo all'avvio del procedimento, da cui risulterebbe espressamente che " i rifiuti rinvenuti sono derivati dall'attività del precedente affittuario, svolta dalla ditta -OMISSIS-International srl, (fallita in data 2008) il cui legale rappresentante era il signor -OMISSIS-". Senza dimenticare, aggiungono le ricorrenti, che nel 2008 il Sindaco aveva emesso nei confronti dello stesso amministratore della -OMISSIS-, ordinanza ai sensi dell'art. 54 del D. Lgs. 267/2000. 4.1. Il motivo è fondato. 4.2. Il Collegio osserva infatti che l'art. 192 del D. Lgs. 152/2006 così dispone: "1. L'abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati. 2. È altresì vietata l'immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee. 3. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all'avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull'area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate". 4.3. La disposizione pone l'obbligo di rimozione dei rifiuti sia sul responsabile dell'abbandono o del deposito, sia, in solido con questi, sul proprietario del terreno e sui titolari di diritti reali o personali di godimento dell'area, a condizione che la violazione sia imputabile ad almeno uno di essi secondo gli ordinari titoli di responsabilità . Tale responsabilità deriverebbe, alternativamente, o da una condotta attiva (avere lasciato in stato di abbandono i rifiuti) o da una condotta omissiva (avere violato l'obbligo giuridico di impedire, in quanto custode/ detentore dei rifiuti, che gli stessi restassero in stato di abbandono). 4.4. Giova ricordare quanto affermato nella recente sentenza del TAR Lombardia-Milano, Sez. III, del 9 maggio 2020, n. 777, che ha puntualizzato come "Tale corresponsabilità deve però essere accessoria e contestuale alla condotta principale, o comunque frutto di preordinazione e/o cooperazione anche colposa con la condotta principale stessa. In termini esemplificativi, risponde astrattamente ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 152 del 2006 il proprietario che non adotta alcuna misura "esigibile" di sorveglianza o delimitazione del suo bene (su cui vengono da ignoti abbandonati i rifiuti), il locatore che acconsente consapevolmente ad un abbandono di rifiuti da parte del produttore degli stessi, il possessore che concorda con un terzo il deposito incontrollato dei rifiuti sul suo terreno. La condotta violativa di cui all'art. 192 su cui si innesta la responsabilità del proprietario, tuttavia, deve essere quella principale e attiva (abbandono o deposito incontrollato degli specifici rifiuti), non un'ulteriore condotta, cronologicamente successiva, e del tutto slegata, in termini di volontarietà o colpa, rispetto a quella precedente". 4.5. Come ripetutamente affermato dalla recente giurisprudenza, sono illegittimi gli ordini di smaltimento dei rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua mera qualità e in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'Amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione, dell'imputabilità soggettiva della condotta. In tale quadro normativo, tutto incentrato sulla tipicità dell'illecito ambientale, non vi è spazio per una responsabilità oggettiva, nel senso che per essere ritenuti responsabili della violazione dalla quale è scaturita la situazione di inquinamento, occorre quantomeno la colpa. E tale regola di imputabilità a titolo di dolo o colpa non ammette eccezioni, anche in relazione ad una eventuale responsabilità solidale del proprietario dell'area ove si è verificato l'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti sul suolo e nel suolo. In virtù dell'art. 192 del D. Lgs. n. 152/2006, l'obbligo di rimozione dei rifiuti grava in via principale sull'autore dell'illecito, in solido, sul proprietario del terreno e sui titolari di diritti reali o personali di godimento dell'area, qualora a costoro sia imputabile una condotta dolosa o colposa, da accertarsi previo contraddittorio, secondo il principio di matrice eurounitaria in materia ambientale per cui "chi inquina paga" (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 7657/2020; T.A.R. Campania - Salerno, sez. II, 7 marzo 2022, n. 644, T.A.R. Friuli Venezia Giulia - Trieste, sez. I, 11 febbraio 2022, n. 91). 4.6. Ora, nel caso in esame, secondo quanto dedotto anche con la memoria difensiva, il Comune ha posto a carico delle ricorrenti l'obbligo di rimozione dei rifiuti in ragione: a) della detenzione (oltre che della proprietà /usufrutto), da molti anni, dell'area su cui giacciono i rifiuti; b) del fallimento della -OMISSIS-, autrice materiale, di talché - per espressa ammissione della difesa comunale - risultando estinta l'autrice materiale dell'illecito, il Comune si è trovato costretto, dopo una comunicazione di avvio del procedimento, ad archiviarlo nei confronti del rappresentante legale della stessa. 4.7. Si tratta di una tesi non condivisibile e che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa comunale, non è sostenuta dalla richiamata sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 3/2021, che si è occupata di un caso diverso, dove, in materia fallimentare, ha posto a carico del curatore l'obbligo di rimozione dei rifiuti abbandonati sul fondo entrato a far parte della massa attiva fallimentare in quanto detentore del fondo stesso. Ad avviso della Plenaria "La curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito, tuttavia, anche quando non prosegue l'attività imprenditoriale, non può evidentemente avvantaggiarsi dell'esimente di cui all'art. 192, lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall'attività imprenditoriale dell'impresa cessata. Nella qualità di detentore dei rifiuti, sia secondo il diritto interno, ma anche secondo il diritto comunitario (quale gestore dei beni immobili inquinati), il curatore fallimentare è perciò senz'altro obbligato a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero. Il rilievo centrale che, nel diritto comunitario, assume la detenzione dei rifiuti risultanti dall'attività produttiva pregressa, a garanzia del principio "chi inquina paga", è, inoltre, coerente con la sopportazione del peso economico della messa in sicurezza e dello smaltimento da parte dell'attivo fallimentare dell'impresa che li ha prodotti". Ciò detto, non può essere accolta l'interpretazione della difesa comunale secondo la quale l'obbligo di rimozione dei rifiuti graverebbe sul detentore a prescindere dall'accertamento della responsabilità per l'illecito ambientale. 4.8. Ne consegue che è errata anche la ricostruzione del Comune in relazione al fallimento della -OMISSIS-, fallimento che - a suo dire - avrebbe estinto l'illecito ambientale, imputabile alla società conduttrice. 4.9. Sulla questione è intervenuta una recente pronuncia delle Sezioni unite penali che hanno affermato il principio di diritto secondo cui "il fallimento della persona giuridica non determina l'estinzione dell'illecito previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001" (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014). 4.10. Né assumono rilievo le considerazioni, pur espresse dalla difesa, riguardanti l'eventualità che il fallimento sia, in tutto o in parte, incapiente rispetto ai costi di rimozione dei rifiuti. Secondo l'Adunanza Plenaria n. 3/21 "Si tratta invero di evenienze di mero fatto, peraltro configurabili anche in ipotesi riferibili a un imprenditore non fallito, o al proprietario del bene o alla stessa amministrazione comunale che, in dissesto o meno, non abbia disponibilità finanziarie adeguate. Ciò che rileva nella presente sede è l'affermazione dell'imputabilità al fallimento dell'obbligo di porre in essere le attività strumentali alla bonifica". 4.11. Non rileva neppure il fatto che i materiali abbandonati non siano stati acquisiti allo stato attivo del fallimento, dal momento che la giurisprudenza ha affermato, in un caso simile, che "la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità connesse alla discarica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidarla" (Consiglio di Stato, Sez. IV, 8 giugno 2021 n. 4383). 4.12. Il richiamo da parte della difesa comunale alle sentenze di questo TAR - Brescia, Sez. I, n. 829 del 2022 e n. 769 del 2022 è inconferente dal momento che entrambe si riferiscono al diverso caso del trasferimento della proprietà delle aree e dei rifiuti abbandonati sulle stesse, oggetto di espressa previsione contrattuale, con conseguente passaggio all'avente causa degli obblighi di rimozione e smaltimento dei rifiuti. Nel caso di specie, non vi è stato alcun atto traslativo di diritti reali o personali di godimento ma la restituzione delle aree a seguito della risoluzione del contratto di locazione. 5. Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 192 d.lgs. n. 152/06, art. 104 ter della legge fallimentare), difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, motivazione erronea, insufficiente, non pertinente né congrua, travisamento dei fatti: secondo le ricorrenti l'ordinanza sarebbe stata emessa illegittimamente nei confronti delle sole (nude) proprietarie e dell'usufruttuaria e non già del signor -OMISSIS-, recependo sostanzialmente (e senza minima motivazione) le osservazioni presentate dal legale dello stesso con le quali "è stato evidenziato che essendo la -OMISSIS- In. S.r.l. fallita nel 2008 (Fall. N. 127/2008) il sig.-OMISSIS-è stato privato delle disponibilità materiali dei beni societari compreso l'immobile nel quale è stato rilevato il deposito incontrollato, e impossibilitato pertanto a procedere allo smaltimento dei rifiuti; è stato inoltre osservato che parte dei rifiuti rilevati non deriva dall'attività a suo tempo svolta dalla -OMISSIS-e che è certamente stata collocata nell'immobile in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento e quindi alla perdita di disponibilità del complesso aziendale da parte del signor -OMISSIS-". Le ricorrenti aggiungono inoltre che la motivazione della "esclusione" del signor-OMISSIS-quale destinatario dell'ordinanza e anche quale responsabile dell'abbandono e del deposito incontrollato dei rifiuti e soggetto tenuto agli adempimenti di cui all'art. 192 del D.lgs. 152/2006 sarebbe erronea e sarebbe illegittima la determinazione conseguente, che - ad avviso delle ricorrenti - avrebbe portato "a contrario" ad una sorta di motivazione della responsabilità "diretta" delle odierne ricorrenti. 5.1. Il motivo è fondato. 5.2. Si è già accennato all'obbligo posto a carico della curatela fallimentare di rimuovere i rifiuti, occorre ora osservare che la recente giurisprudenza del Consiglio di Stato ha affermato che in caso di fallimento rileva il principio di concorrenzialità tra le responsabilità dei diversi soggetti che a vario titolo sono (o sono stati) coinvolti nelle fattispecie di danno o di pericolo per l'ambiente, dal momento che "La responsabilità della curatela non elide, comunque sia, la responsabilità della società o dei soggetti che, agendo per essa, hanno materialmente commesso, contribuito o agevolato la verificazione della situazione di danno o di pericolo per l'ambiente" aggiungendo, per quanto d'interesse nel caso di specie "...si deve affermare il principio che la società resta comunque assoggettata alla responsabilità, essendo stata l'autrice materiale dell'illecito" e che "il quadro della responsabilità gravante sui soci della stessa va ricostruito alla stregua dei principi civilistici", in particolare sulla norma cardine che è quella contenuta all'art. 2462 c.c., per la quale "nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio" che va coordinata con l'art. 2476 c.c., che prevede che "gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall'inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall'atto costitutivo per l'amministrazione della società ", tra questi doveri vanno annoverati anche quelli "ambientali". (Cons. Stato Sez. IV, 8 giugno 2021, n. 4383). 5.3. Ciò che rileva è dunque l'art. 5 del D. Lgs. 231/2001, che prevede la responsabilità della società "per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso". 5.4. Ciò detto, non può trovare accoglimento la soluzione del Comune che ha escluso tra i destinatari dell'ordinanza impugnata sia l'amministratore sia la società in quanto fallita, e ha posto esclusivamente a carico delle ricorrenti, senza aver svolto accertamenti e senza contraddittorio, l'obbligo di rimuovere anche quei rifiuti che, secondo quanto affermato dal signor -OMISSIS-, non sarebbero riconducibili all'attività svolta dalla -OMISSIS-e che sarebbero stati collocati nell'immobile in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. 6. Si può passare ora all'esame dell'ultimo motivo di ricorso con il quale si deduce l'illegittimità dell'ordinanza se emessa in applicazione (anche) dell'art. 20 del Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana del Comune di (omissis) (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 20/2009 e modificato con delibera del n. 4/2010 e n. 4/2016), difetto dei presupposti, violazione e falsa applicazione ed interpretazione di legge (art. 192 del D. Lgs. n. 152/2006 e art. 20 del Regolamento di Igiene Urbana), difetto di motivazione; in subordine, si deduce l'illegittimità dell'ordinanza per illegittimità derivata dall'illegittimità dell'art. 20 del citato Regolamento, per violazione di legge (art. 192 del d.lgs. 152/2006), carenza di potere regolamentare (117 Cost), illogicità ed irrazionalità manifeste: secondo le ricorrenti l'art. 20 del Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana del Comune di (omissis) richiamato dall'ordinanza sindacale impugnata integrerebbe il presupposto normativo principale, dato dall'art. 192 del d.lgs. 152/2006. 6.1. Il motivo è fondato. 6.2. Si osserva che, per espressa ammissione della difesa comunale, la norma regolamentare avrebbe integrato il contenuto dell'ordinanza sindacale, infatti la memoria di replica afferma "Donde, pare del tutto appropriato e corretto il riferimento alla citata disposizione regolamentare, integrante il presupposto normativo principale, dato dall'art. 192 del TUA. La disposizione di cui al detto Regolamento impone la rimozione dei rifiuti presenti su aree scoperte private non ad uso pubblico ai proprietari pure se i rifiuti fossero stati abbandonati da terzi. Trattasi di norma autonoma, come tale autonomamente sanzionandosi la relativa violazione (cfr. art. 34 del regolamento, doc.14) che, rispondendo alla necessità di assicurare l'igiene urbana sul territorio, nel richiamo introduttivo alla parte IV del d.lgs n. 152 del 2006 (cfr. art. 1 del Regolamento), non rinvia al solo art. 192 del TUA, ma, se del caso, anche all'art. 188 del d.lgs n. 152 del 2006, disposizione che espressamente richiama la responsabilità del detentore di rifiuti, inteso quale persona fisica che li detiene (art. 2 del Reg.)". 6.3. L'art. 20 del citato regolamento, rubricato "Pulizia dei fabbricati e delle aree scoperte privata e raccolta rifiuti" prevede che: "le aree di uso comune dei fabbricati nonché le aree scoperte private non di uso pubblico, recintate e non, devono essere tenute pulite a cura dei rispettivi conduttori, amministratori o proprietari, e devono essere inoltre conservate libere da materiali di scarto, anche se abbandonati da terzi". 6.4. È evidente che la formulazione della norma regolamentare è illegittima laddove introduce una inammissibile responsabilità oggettiva o di posizione in capo "ai conduttori, amministratori o proprietari", sui quali, tenuto conto del dettato della norma, ricade un obbligo di rimozione dei "materiali di scarto" a prescindere dall'accertamento della responsabilità dell'abbandono o del deposito dei rifiuti da parte degli stessi e anche ove la responsabilità venisse accertata in capo a terzi. Tutto ciò in palese contrasto con il principio "chi inquina paga" e in violazione con la fonte primaria, l'art. 192, comma 3, del D. Lgs. 152/2006, che subordina la responsabilità del proprietario e dei titolari di diritti reali o personali di godimento all'accertamento di una corresponsabilità per la violazione, a titolo di dolo o di colpa. 7. Alla luce di tali considerazioni, l'ordinanza sindacale impugnata appare pertanto affetta dai vizi di violazione di legge ex art. 192 del D. lgs. 152/2006 e art. 104 ter della legge fallimentare, difetto di istruttoria e di motivazione denunciati dalle ricorrenti, così come l'art. 20 del Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana del Comune di (omissis) viola il principio "chi inquina paga" e l'art. 192, comma 3, del decreto citato, sicché il ricorso va accolto con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato e dell'art. 20 del Regolamento, e con assorbimento di ogni censura residua. 8. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato e l'art. 20 del Regolamento per il Servizio di Igiene Urbana del Comune di (omissis). Condanna il Comune di (omissis) a rifondere alle ricorrenti le spese di lite, che liquida in Euro 4000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il signor -OMISSIS- e le ricorrenti. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci - Presidente Ariberto Sabino Limongelli - Consigliere Marilena Di Paolo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 267 del 2021, proposto da S.E. Se. Ec. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pi. Fe., En. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Provincia di Bergamo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Va., Ka. Na., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Un. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Di La., Sa. Mo., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ambito Territoriale Ottimale della Provincia di Bergamo, non costituito in giudizio; Comune di (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Ad., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - del provvedimento della Provincia di Bergamo prot. Registro Ufficiale (…), adottato in data 19 febbraio 2021, avente ad oggetto “ARCHIVIAZIONE dell'istanza AIA trasmessa da S.E. Se. Ec. S.r.l con nota in atti provinciali al prot. (…) del 15.06.2020. ARCHIVIAZIONE dell''istanza di Verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale trasmessa da S.E. Se. Ec. S.r.l con nota in atti provinciali al prot. (…) del 15.06.2020 e successivamente integrata”; - della nota prot. (…) del 9 febbraio 2021, con cui Un. S.p.A. ha espresso parere contrario all'iniziativa della ricorrente; - ove occorrere possa, della nota prot. (…) del 20 gennaio 2021 con cui la Provincia di Bergamo ha comunicato i motivi ostativi ai sensi dell'articolo 10-bis L. 241/1990; - sempre ove occorrere possa e per quanto di ragione della nota prot. (…) del 15 gennaio 2021 contenente il parere negativo di Un. S.p.A.; - e di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso, con particolare riferimento alle note con cui l'ATO Bergamo ha trasmesso, facendoli propri, i pareri di Un. S.p.A. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bergamo, di Un. S.p.A. e del Comune di (Omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 settembre 2023 la dott.ssa Marilena Di Paolo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. La S.E. Se. Ec. S.r.l. (di seguito, solo “S.E.” o “ricorrente”) è una società attiva nel settore dei servizi ambientali dal 2006, che opera nel campo delle bonifiche ambientali e della gestione e trattamento dei rifiuti, con sede legale a Ci. (RC) e con una unità operativa situata nella zona industriale del Comune di (Omissis) (BG), in via (…). 2. Il 15 giugno 2020, la S.E. presentava al Settore Ambiente della Provincia di Bergamo istanza di verifica di assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale (d’ora in poi VIA) di un progetto per la realizzazione nella struttura di Medolago di un impianto di trattamento chimico-fisico e biologico di rifiuti liquidi speciali non pericolosi con scarico in pubblica fognatura (300 mc/g) e una linea di trattamento e disidratazione meccanica di fanghi non pericolosi (30 mc/g), e istanza di Autorizzazione Integrata Ambientale (d’ora in poi AIA). 3. Dopo aver acquisito integrazioni documentali e aver chiesto chiarimenti alla S.E., la Provincia di Bergamo pubblicava sul sito web SILVIA la documentazione e avviava il procedimento di verifica di VIA dandone comunicazione alla S.E. con nota del 4 dicembre 2020. 4. Con nota di prot. n. 3347 del 20 gennaio 2021, acquisiti i pareri negativi del Comune di (Omissis) e del gestore del servizio idrico integrato, Un. S.p.A. (d’ora in poi Un.), la Provincia di Bergamo comunicava il preavviso di diniego, a cui seguirono le osservazioni della S.E., successivamente riscontrate, con conferma dei pareri già espressi, dal Comune e dal gestore. 4.1.1. In particolare, il Comune di (Omissis), con nota del 14 gennaio 2021, aveva espresso parere negativo in quanto: - “l’assetto idraulico fognario, nell’area ove è insediata l’azienda, presenta alte criticità di deflusso delle acque durante eventi meteorici di particolare intensità e l’edificio non risulta servito da pubblica fognatura”; –“le norme tecniche di attuazione del PGT vigente riportano che per l’ambito di riferimento è vietato insediare attività ad alto rischio e pericolo per l’uso di sostanze chimiche di prodotti e materiali. È inoltre vietato l’insediamento di industrie di Prima Classe di cui al d.m. 5 settembre 1994”. 4.1.2. Successivamente, a riscontro delle osservazioni formulate dalla S.E. a seguito del preavviso di diniego, con nota del 10 febbraio 2021, il Comune, oltre a confermare le criticità già riferite, precisava che le pratiche edilizie indicate dalla ricorrente per attestare la presenza della rete fognaria, si riferivano in realtà ad aree di proprietà estranee a quella del nuovo insediamento e, da ultimo, segnalava un’ulteriore criticità rappresentata dalla vicinanza degli insediamenti residenziali, tale da impedire l’insediamento di industrie di prima classe. 4.1.3. A sua volta, Un. aveva motivato il parere negativo espresso con la nota prot. 1419/21 del 15 gennaio 2021, osservando che lo scarico di acque reflue previste dal progetto avrebbe prodotto sul depuratore di Brembate un impatto di 1.645 “abitanti equivalenti”, cioè superiore alla capacità di trattamento residua dello stesso e concludeva ritenendo il progetto non realizzabile in quel momento; successivamente, confermando il parere negativo, con la nota prot.n. (…) del 9 febbraio 2021, chiariva che la maggiore capacità di trattamento indicata dalla S.E. nelle sue osservazioni si riferiva a dati superati, relativi ad una diversa configurazione strutturale, sostanzialmente dimezzati dal successivo D.Lgs. 152/2006 e dalla normativa regionale, oltre al fatto che la capacità di trattamento residua del depuratore di Brembate si sarebbe ulteriormente ridotta con le immissioni di acque reflue provenienti dal depuratore di Bottanuco, oramai prossimo alla chiusura. 4.2. Nel frattempo S.E. aveva anche chiesto e ottenuto un incontro con i funzionari di Un., nel corso del quale erano stati illustrati i motivi posti alla base del parere negativo del gestore e la stessa ricorrente si era resa disponibile a ridurre la portata di scarico da 300 mc/g fino a 100 mc/g e a valutare ulteriori soluzioni. 5. Con nota prot. prov. n. 1056 del 19 febbraio 2021, la Provincia di Bergamo disponeva l’archiviazione dell’istanza di AIA e della VIA. 6. Tale nota, congiuntamente al parere negativo di Un., è stata impugnata dalla S.E. dinanzi a questo TAR con il ricorso in esame, che è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 27 settembre 2023. 7. Per resistere al ricorso si sono costituite la Provincia di Bergamo, Un. e il Comune di (Omissis) depositando documentazione e articolate memorie difensive, rilevando eccezioni di tardività del ricorso avverso il parere negativo di Un., di inammissibilità e di improcedibilità, in ogni caso contestando la fondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. 8. Dopo la proposizione del ricorso, il successivo 9 agosto 2021, la S.E., attraverso il portale istituzionale “SILVIA” ha presentato una nuova istanza di verifica di assoggettabilità a VIA relativa ad un nuovo progetto. DIRITTO 1. Con il ricorso indicato in epigrafe il ricorrente ha censurato il provvedimento impugnato formulando sette motivi di illegittimità. 2. Si può prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti perché il ricorso è infondato nel merito. 2.1.1. Anzitutto, si può procede congiuntamente all’esame del primo e secondo motivo di ricorso, con i quali la ricorrente deduce la violazione degli articoli 9, 19 e 29-bis e ss. e 124 e ss. e dell’allegato IX alla Parte seconda del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, violazione del regolamento regionale 25 marzo 2020, n. 2, violazione degli artt. 3, 7, 14, 14-bis, 14-ter e seguenti della Legge 7 agosto 1990, n. 241, violazione dei principi di buona amministrazione ed imparzialità, eccesso di potere per sviamento, violazione del giusto procedimento, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, carenza dei presupposti di fatto, illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta, violazione del principio di proporzionalità e del legittimo affidamento. 2.1.2. Secondo la parte ricorrente il provvedimento di archiviazione dell’istanza di VIA sarebbe stato illegittimamente adottato dalla Provincia di Bergamo sull’assunto che il parere negativo di Un. sarebbe stato ostativo al rilascio dell’AIA, senza che la stessa Provincia avesse svolto alcuna attività istruttoria, così violando le garanzie partecipative e il citato R.R. 2/2020, il quale all’articolo 5, comma 7, prevede che «Qualora in sede di istruttoria della procedura di verifica di VIA emergano elementi ostativi al rilascio della approvazione o di una autorizzazione necessaria per la realizzazione del progetto per la quale il proponente abbia già presentato istanza autorizzativa, non si dà ulteriore corso al procedimento di verifica di VIA per ragioni di economicità dell'azione amministrativa, procedendosi all'archiviazione della relativa istanza, a seguito della conclusione dell'istruttoria avviata dall'autorità competente all'autorizzazione o approvazione cui l'elemento ostativo si riferisce». 2.1.3. A dire della ricorrente, l’archiviazione del procedimento di screening di VIA avrebbe potuto essere disposta unicamente a fronte della “conclusione dell’istruttoria avviata dall’autorità competente all’autorizzazione o approvazione cui l’elemento ostativo si riferisce”, mentre nel caso di specie la Provincia, ente competente al rilascio dell’AIA, non solo non avrebbe concluso, ma non avrebbe neppure avviato il procedimento autorizzativo ex art. 29-quater D.lgs. 152/2006, dal momento che il parere negativo era stato erroneamente ritenuto insindacabile dalla Provincia. 2.1.4. Sostiene inoltre la ricorrente che la Provincia, al fine di accertare il reale stato del depuratore, avrebbe dovuto entrare nel merito dei pareri resi da Un., non essendo tali pareri supportati da alcun documento tecnico, e comunque avrebbe certamente dovuto convocare la conferenza di servizi ex art. 14 ter L. 241/90, nella quale il parere di Un. non avrebbe potuto considerarsi “qualitativamente prevalente”. 2.2.1. Tali motivi sono entrambi infondati. 2.2.2. Ai fini dell’esame delle censure formulate dalla ricorrente, conviene premettere alcuni cenni sui rapporti tra VIA ed AIA. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, i due procedimenti, di verifica di assoggettabilità a VIA e quello finalizzato al rilascio dell’AIA, sono distinti e assolvono a funzioni diverse: la prima si occupa dell’impatto di un’opera o impianto, attraverso l’esame del progetto; la seconda dell’impatto di una determinata attività (Consiglio di Stato, Sez. V, 6 luglio 2016, n. 3000). Occorre inoltre distinguere tra impianti che già esistono e, come nel caso di specie, di impianti che devono essere ancora realizzati; per gli impianti esistenti, già sottoposti a VIA, la sovrapposizione può sussistere, ma si tratta di un problema interno all’AIA, quale procedimento autonomo nel quale potranno essere acquisiti i dati prodotti nel procedimento di VIA; per quanto riguarda invece i nuovi impianti da realizzare, si presenta un problema di coordinamento tra due valutazioni aventi in sostanza il medesimo oggetto, seppur considerato sotto diversi profili: il progetto dell’impianto. 2.2.3. L'ambito specifico della VIA è, quindi, l'inquadramento generale della localizzazione dell'impianto, ed il suo rilascio integra, in sostanza, una condizione di procedibilità dell'AIA. Infatti, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del D. Lgs. 152/2006, l’AIA <<può essere rilasciata solo dopo che, ad esito della procedura di verifica, l’autorità competente abbia valutato di non assoggettare i progetti a VIA>>. 2.3. Nel caso di specie, la S.E. aveva rappresentato la necessità di scaricare 330 mc/g di acque reflue industriali che l’impianto progettato dalla ricorrente, dopo il trattamento chimico-fisico e biologico di rifiuti liquidi speciali non pericolosi e la disidratazione meccanica di fanghi non pericolosi, avrebbe rilasciato alla fognatura di Medolago e indirizzato al depuratore di Brembate. 2.4. La disciplina degli scarichi che qui rileva è contenuta in norme primarie e regolamentari, che subordinano la realizzazione del progetto alla necessaria e preventiva autorizzazione, così come previsto dall’art. 124 del D.lgs. 152/2006, secondo cui <<tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati>> e l’Allegato IX specifica che l’AIA sostituisce l’autorizzazione allo scarico. Inoltre, ai sensi degli art. 21 e 23 del Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione, approvato dall’Ufficio d’Ambito della Provincia di Bergamo con delibera del C.d.A. n. 13 del 6 luglio 2016 <<gli scarichi di acque reflue industriali sono ammessi in fognatura a condizione che presentino caratteristiche qualitative e quantitative compatibili con al funzionalità di reti ed impianti di Un. S.p.A>> e che <<ai fini dell’attivazione di uno scarico di acque reflue industriali e/o di prima pioggia, deve essere acquisita l’autorizzazione allo scarico da parte dell’Autorità competente, che acquisisce, anche in fase di rinnovo, il parere di Un. S.p.A.>>. 2.5. Chiaro è dunque che è riservata al gestore del servizio idrico, Un., la competenza esclusiva per ciò che concerne la valutazione tecnica delle caratteristiche degli scarichi di acque reflue, non solo di carattere qualitativo ma anche, come nel caso di specie, di carattere quantitativo, tenuto conto della capacità di trattamento residua degli scarichi. 2.6.1. Il parere negativo esprime dunque il risultato della valutazione tecnica svolta da Un., adeguatamente motivata in ordine alla insufficiente capacità di trattamento residua del depuratore di Brembate, e si configura come elemento ostativo che rileva nell’ambito di ambedue i procedimenti (di verifica di assoggettabilità a VIA e di AIA) e ne condiziona gli esiti. 2.6.2. Si tratta pertanto di una valutazione tecnica infungibile ex art. 17, comma 2, della L. 241/90, che per espressa disposizione del regolamento deve essere preventivamente acquisita dall’amministrazione competente, ma non di un atto avente valore provvedimentale, immediatamente impugnabile, come invece sostenuto dalle parti convenute. 2.7. Continuando nella disamina delle esposte censure, il Collegio ravvisa inoltre l'infondatezza delle doglianze per quanto concerne le garanzie partecipative della ricorrente, dal momento che la Provincia ha comunicato l’avvio del procedimento di verifica di VIA con nota del 4 dicembre 2020; né è mancata una adeguata fase istruttoria, avviata dalla Provincia con le richieste dei pareri al Comune di (Omissis) e al gestore Un., poi esitate in espressi e motivati pareri negativi, correttamente comunicati alla ricorrente con il preavviso del diniego ex art. 10 bis della L. 241/90. 2.8. Per quanto riguarda poi la censura sulla mancata indizione della conferenza di servizi, si osserva che l’art. 9 del D.lgs. 152/2006, contenente le “Norme procedurali generali comuni” delle procedure di verifica e autorizzazione, al comma 2, prevede che l’Autorità competente indìce la conferenza di servizi «ove ritenuto utile…..al fine di acquisire elementi informativi e le valutazioni delle altre autorità pubbliche interessate»; dal tenore letterale della norma si evince quindi che la valutazione circa l’utilità della convocazione della conferenza istruttoria è rimessa alla discrezionalità della Provincia e, pertanto, non è censurabile la scelta della Provincia del mancato ricorso a tale modulo di semplificazione procedimentale. 2.9.1. In realtà, ciò che invece la ricorrente intende contestare è la scelta della Provincia di condividere e fare proprio il parere negativo espresso dal gestore del servizio idrico integrato Un., scelta che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2016, n. 3000), rientra nell'ambito della discrezionalità tecnico-amministrativa, sottratta al sindacato di legittimità, salvo le macroscopiche ipotesi di arbitrarietà, irragionevolezza, irrazionalità, illogicità e travisamento dei fatti, che non ricorrono nel caso di specie. 2.9.2. Invero, un’autonoma valutazione di quei pareri da parte dell'amministrazione procedente non solo non è richiesta direttamente dalla legge, ma non è neppure ragionevole pretenderla per negare la richiesta autorizzazione: tale autonoma valutazione dei pareri sfavorevoli - e dunque un particolare onere di motivazione - diversa ed ulteriore da quella per relationem, sarebbe stata necessaria solo se l'amministrazione procedente si fosse voluta discostare da quei pareri sfavorevoli, il che non è avvenuto. 2.10. Questo Collegio, quindi, non ravvisa alcun superamento dei limiti della logicità e della ragionevolezza delle valutazioni tecniche da parte delle Amministrazioni intimate, che, al contrario appaiono logiche e ragionevoli, pur nella loro opinabilità che è propria di tutte le scienze specialistiche, non emergendo elementi sintomatici di vizi di manifesta illogicità o travisamento negli atti tecnici istruttori. 2.11.1. Il provvedimento impugnato non può, infine, essere censurato sotto il profilo della carenza motivazionale, dal momento che esso è adeguatamente motivato per relationem, con riferimento ai pareri negativi e convergenti sia del Comune di (Omissis) che del gestore del servizio Un. 2.11.2. Per quanto riguarda, in particolare, Un., le note prot. (…) del 15.01.2021 e n. (…) del 9.02.2021 contengono un’ampia e circostanziata motivazione, sufficiente e proporzionata, facendo riferimento: - alle caratteristiche del nuovo scarico richiesto e alla capacità di trattamento del depuratore di Brembate destinato ad accogliere le relative acque; - al fatto che i dati relativi al depuratore di Brembate citati dalla S.E. a sostegno della propria richiesta fossero in realtà superati, non ufficiali e, soprattutto, facenti riferimento ad una diversa configurazione dell’impianto nonché ad un contesto normativo non più vigente; - alla necessità, documentata attraverso numerose analisi, di mantenere una “eccezionale concentrazione di biomassa attiva nelle vasche, ben superiore ai valori ideali di processo” al fine di consentire il trattamento del carico già insistente sull’impianto stesso, tenuto conto anche dell’ulteriore aggravio conseguente alla dismissione di altro impianto della zona (quello sito in Comune di (Omissis)); - alla dichiarata necessità di aumentare la capacità di trattamento dell’impianto di Brembate attraverso diversi interventi di miglioramento dell’impianto stesso, per cui il parere non poteva che essere negativo. 3. Proseguendo nella trattazione delle censure dedotte con il ricorso, questo Collegio, nel rispetto delle regole fissate da C.d.S., a.p. 27 aprile 2015, n. 5, osserva che ricorrono ragioni di economia processuale, le quali consentono di disporre il parziale assorbimento dei motivi 3, 4, 6 e 7 relativamente alle censure di illegittimità per violazione degli articoli 3,14, 14 bis, 14 ter e seguenti della L. 241/90, violazione degli articoli 19 e 29 bis e seguenti e degli art. 124 e 125 e dell’allegato IX alla parte seconda del D. Lgs. 152/2006, violazione dei principi del giusto procedimento, violazione del principio di proporzionalità, del legittimo affidamento, eccesso di potere per sviamento, per difetto di istruttoria, carenza dei presupposti di fatto, illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta: si tratta, infatti, di censure ripetitive di motivi già in precedenza esaminati e respinti. 3.1. Devono invece essere esaminate le altre censure formulate con il terzo motivo di ricorso; in particolare, l’articolata censura di violazione dell’art. 10 bis, rinviando l’esame delle asserite violazioni del Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione e della stessa autorizzazione allo scarico del depuratore di Brembate n. 2240 del 29 ottobre 2019, che formano oggetto del successivo quarto motivo di ricorso. 3.2.1. Secondo la ricorrente la mancata allegazione di <<documentazione o esame a supporto delle affermazioni dichiarate>> da Un. le avrebbe impedito di comprendere le ragioni tecniche della potenzialità dell’impianto di depurazione; inoltre, la Provincia, in assenza di tale documentazione tecnica, avrebbe dovuto considerare il parere alla stregua di un parere del tutto immotivato e quindi equiparabile, ai sensi dell’articolo 14-ter della L. 241/1990, ad un parere positivo. 3.2.2. Sempre la ricorrente rileva infine il provvedimento di archiviazione non avrebbe confutato le sue osservazioni formulate dopo il preavviso di diniego. 4.1. Il motivo è infondato, innanzitutto perché, quanto al contraddittorio endoprocedimentale, si è già dato atto che è stato correttamente garantito dalla Provincia: prima, con la comunicazione di avvio del procedimento, e poi, con il preavviso di diniego. Non solo, subito dopo il preavviso la S.E. aveva chiesto e ottenuto un incontro con i funzionari di Un., nel corso del quale erano state illustrate le ragioni del parere negativo. 4.2. Si osserva inoltre che, oltre a quanto già rilevato nel § 2.11.2., il gestore ha persino allegato numerose analisi per dimostrare che l’impianto di depurazione di Brembate era appena sufficiente a trattare lo scarico influente (v. analisi 1260/20, 1531/20, 210/20, 2452/20, 2622/20, 5071/20, 5378/20, 5626/20, 7298/20, 10667/20, 12447/21), e pertanto non si è in presenza di un parere immotivato e quindi non avrebbe comunque trovato applicazione l’art. 14-ter della L. 241/1990 anche ove la Provincia avesse indetto la conferenza di servizi. 4.3. Risulta inoltre dai documenti versati in atti che sia il Comune di (Omissis) sia Un. hanno riscontrato le osservazioni prodotte dalla ricorrente a seguito del preavviso di diniego ex art. 10 bis e di ciò si è dato ampiamente conto nel provvedimento impugnato che, anche sotto tale profilo, non può essere censurato. 5.1. Si può procedere congiuntamente all’esame del quarto e sesto motivo di ricorso, con i quali la ricorrente ha dedotto la violazione del Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione e della stessa autorizzazione allo scarico del depuratore di Brembate n. 2240 del 29 ottobre 2019, nonché il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento: secondo la ricorrente le ragioni impeditive poste alla base del parere negativo di Un. sarebbero in contrasto non solo con i dati resi pubblici da Hi. SpA, precedente gestore, a cui Un. è subentrata nel 2019, ma anche con quelli autorizzati con la d.d. n. 2240 del 29 ottobre 2019, che avrebbero indicato una capacità di trattamento del depuratore di Brembate pari a 185.000 abitanti equivalenti; inoltre – a suo dire - gli Enti non avrebbero considerato la non significatività dello scarico da autorizzare a fronte della disponibilità della ricorrente di ridurre lo scarico da 300 mc/g a 100 mc/g. 5.2. Lamenta poi, da ultimo, una disparità di trattamento: la Provincia di Bergamo, pochi mesi prima della presentazione dell’istanza di VIA, sulla base di un parere positivo di Un. emesso – a suo dire - in violazione del Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione, avrebbe rilasciato a favore della Ke. In. & Fl. It. S.p.A l’AIA sostitutiva dell’autorizzazione allo scarico nell’impianto di depurazione di Brembate per un volume massimo di scarico di 112.500 mc/annui, successivamente aumentata a 220.000 mc/annui e quindi ben superiore alla capacità di trattamento pari a 0,1%. I motivi sono entrambi infondati. 6.1. Per quanto riguarda la d.d. n. 2240 del 29 ottobre 2019, si osserva che Hi. SpA aveva ottenuto nel 2014 l’autorizzazione allo scarico nei corsi d’acqua superficiali delle acque reflue urbane e, nel 2017, in prossimità della scadenza, ne aveva chiesto il rinnovo con una nuova istanza presentata prima che entrasse in vigore il R.R. n. 6/2019, il quale espressamente prevede che le nuove disposizioni relative alle procedure di autorizzazione si applicano alle istanze presentate dopo l’entrata in vigore di detto regolamento. Solo con l’entrata in vigore del R.R. n. 6/2019 è stata definita una determinata procedura che il gestore degli impianti di trattamento di acque reflue dovrà osservare per il calcolo della capacità effettiva di trattamento degli impianti riferita alle condizioni reali di funzionamento e ai valori limite allo scarico vigenti, fermo restando che potranno essere immessi nel depuratore di Brembate solo gli scarichi di acque reflue industriali che presentino caratteristiche qualitative e quantitative compatibili. 6.2. Pertanto, il dato in questione (185.000, che è un dato teorico, in quanto riferito alla potenzialità del progetto), espresso in termini di abitanti equivalenti, deve essere calcolato tenendo conto di una serie di variabili tecniche che cambiano nel tempo, ossia: la dimensione dei manufatti, la tecnologia impiegata, l’età della struttura, i limiti da rispettare allo scarico, le procedure gestionali adottate, il contributo di scarichi industriali. 6.3. Nel caso di specie, trovando applicazione il R.R. 6/2019 e la nuova procedura di calcolo con esso introdotta, i risultati del nuovo calcolo effettuato da Un. per determinare la capacità residua di trattamento del depuratore di Brembate, hanno determinato il parere negativo, ritenendo non ammissibile un ulteriore carico in ingresso per l’impianto di depurazione di Brembate, ciò anche se la ricorrente avesse ridotto in modo significativo lo scarico da 300 mc/g a 100 mc/g. 6.4. Per quanto riguarda, inoltre, la dismissione del depuratore di Bottanuco, che Un. ha richiamato come ulteriore elemento nella motivazione del parere negativo, si osserva che già la citata d.d. n. 2240 del 29 ottobre 2019 indicava che “si potrebbero verificare criticità nel caso di carichi di punta” rispetto ai valori standard di funzionamento dell’impianto, e prescriveva le opportune verifiche, secondo i parametri di cui al regolamento regionale predetto. Verifiche poi eseguite da Un., che ha manifestato la necessità di adeguamento dell’impianto, in parte realizzato, con riferimento a una sezione di filtrazione, ed in parte ancora da realizzare, in merito al potenziamento dell’impianto stesso, per cui è stato affidato, in data 9 febbraio 2023, l’incarico per la relativa progettazione. Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, non si tratta di un motivo di opposizione inconsistente e pretestuoso. 6.5. Non è infine ravvisabile la disparità di trattamento lamentata dalla ricorrente, configurabile, peraltro, soltanto quando in presenza di situazioni identiche, o analoghe, l'amministrazione applica trattamenti diversi, o, viceversa, quando in presenza di situazioni diverse opera uguale trattamento. 6.6. Nel caso di specie, invece, la ricorrente ha chiesto l’autorizzazione per un nuovo impianto, mentre la Ke. In. & Fl. It. S.p.A . è in possesso di autorizzazione allo scarico, senza limiti di portata, dal 2013. Tuttavia, al fine di ottenere una diminuzione dei carichi inquinanti versati nel depuratore intercomunale di Brembate, con l’AUA è stata prescritta alla Ke. In. & Fl. It. S.p.A . la realizzazione di un impianto di depurazione che la stessa ha infatti realizzato e messo in esercizio nel 2021, oltre a dimostrare che per il COD la concentrazione media rilevata in uscita ha avuto una importante diminuzione rispetto ai valori effettivi precedenti. Il parere positivo è stato quindi legittimamente espresso da Un. per il rilascio dell’AUA ai sensi dell’art. 21 del Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione, che prevede che <<gli scarichi di acque reflue industriali sono ammessi in fognatura a condizione che presentino caratteristiche qualitative e quantitative compatibili con la funzionalità di reti ed impianti di Un. S.p.A.>>, ciò ha trovato applicazione, nello stesso modo, sia per la ricorrente che per la Ke. In. & Fl. It. S.p.A . 7.1. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 74, 110 e 185 del D.lgs. 152/2006, violazione dell’allegato 5 alla Parte Terza del D.lgs. 152/2006, eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, ingiustizia ed irragionevolezza manifesta: la ricorrente afferma che il parametro della capacità residua per il trattamento di acque reflue dell’impianto di depurazione di Brembate, si riferirebbe esclusivamente ai rifiuti liquidi che vengono immessi nell’impianto previa comunicazione del gestore del S.I.I., senza un sistema di collettamento, e proprio in quanto riferibile unicamente ai rifiuti, non troverebbe applicazione relativamente agli scarichi di acque reflue collettate tramite fognatura. A suo dire, l’unico articolo che richiamerebbe il parametro della capacità residua sarebbe l’art. 110 del D. Lgs. 152/2006, riferito comunque allo smaltimento dei rifiuti liquidi, mentre non esisterebbe nessuna norma che subordini il rilascio dell’autorizzazione alla valutazione del gestore del servizio. 7.2. Il motivo è infondato: si tratta infatti di un’interpretazione che non trova riscontro nel quadro normativo vigente, che non distingue tra rifiuti liquidi e acque reflue industriali. Basti ricordare che la valutazione tecnica di Un., espressamente prevista dal Regolamento del Servizio Fognatura e Depurazione, si pone come un passaggio imprescindibile e infungibile per definire la portata degli scarichi di acque reflue nella rete fognaria, senza distinguere tra rifiuti liquidi e acque reflue industriali. 8.1. Con il settimo e ultimo motivo di ricorso, per quanto non assorbito nei motivi già esaminati, ha dedotto la violazione del principio di proporzionalità e del legittimo affidamento, sostenendo che «le esigenze di salvaguardia del corretto funzionamento del depuratore di Brembate avrebbero potuto essere garantite attraverso l’adozione di misure meno lesive per la ricorrente, quali ad esempio la prescrizione del rispetto di valori emissione più rigorosi» e lamenta infine il respingimento della sua proposta della ricorrente di riduzione dello scarico. 8.2. Il motivo è infondato. Come è noto, il principio di proporzionalità, di derivazione eurounitaria, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 maggio 2013 n. 964) 8.3. Date tali premesse, non si ravvisa nel provvedimento impugnato la violazione di detto principio in quanto Un. ha correttamente ponderato i contrapposti interessi e anche valutato la proposta della ricorrente di riduzione del carico, senza riuscire tuttavia a superare i limiti della capacità effettiva di trattamento del depuratore di Brembate, riferita alle condizioni reali di funzionamento e ai valori limite allo scarico vigenti, che non consentivano, in quel momento, di ricevere nessun altro scarico. 9. Non meritano accoglimento le istanze istruttorie formulate dalla ricorrente dal momento che la documentazione versata in atti è da ritenersi adeguata e completa. 10. Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato: le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite nei confronti della Provincia di Bergamo, del Comune di (Omissis) e di Un. S.p.A., che liquida in € 3.500,00 (tremilacinquecento) oltre oneri accessori per ciascuna di queste, oltre spese generali nella misura di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 27 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Angelo Gabbricci, Presidente Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere Marilena Di Paolo, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI BRESCIA - Sezione Terza Civile - Il Tribunale, in composizione monocratica nella persona del giudice dott. Andrea Tinelli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 8512/2020 R.G. promossa da (...) (avv. (...)) ATTORE contro (...) (avv.ti (...)) CONVENUTA CONCLUSIONI Le parti hanno concluso come da fogli depositati telematicamente. Tali conclusioni sono richiamate e sono da ritenersi parte integrante e sostanziale di questa sentenza. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Si discute della successione di (...), deceduta il 7 dicembre 2018. Eredi legittimi sono i due figli, ossia l'attore e la convenuta. Il primo, dopo aver sostenuto l'identificazione della massa col saldo attivo del conto corrente n. 91291 intrattenuto presso la (...), filiale di Ghedi, ha domandato che l'eredità venga integrata dalla somma di euro 21.500,00 (1), indebitamente prelevata dalla sorella dal conto materno, nonché da alcuni beni mobili (preziosi, orologio monili e gioielli), con successiva ripartizione tra i coeredi in quote di 1/2. La convenuta, anzitutto, ha evidenziato l'incompletezza delle allegazioni attoree, che non comprendono la menzione di due elementi: che la de cuius, con atto in data 18 maggio 1981, aveva donato la nuda proprietà di due immobili siti a Ghedi per la quota di 4/12 al figlio e per la quota di 1/12 alla figlia; che la massa è gravata da un debito per spese funerarie per euro 3.146,00, in parte anticipate dalla sorella (euro 2.816,00) ed in parte ancora da saldare (euro 330,00 per il monumento funebre). In secondo luogo, la convenuta ha affermato che tutti gli esborsi censurati dall'attore sarebbero stati richiesti o autorizzati dalla de cuius (malata nel fisico, ma lucida fino all'ultima settimana di vita), ovvero utilizzati nell'interesse della stessa. In base a queste premesse, la sig.ra (...) ha insistito per il rigetto delle domande attoree. In particolare, l'infondatezza dell'azione deriverebbe: dall'impossibilità di procedere a divisione parziale (quale sarebbe quella richiesta dall'attore, in quanto limitata ai soli beni mobili); dall'utilizzo pienamente legittimo delle somme uscite dal conto corrente dell'ereditanda; dalla necessità di procedere a collazione per imputazione del valore delle quote (di piena proprietà) oggetto di donazione, con conseguente maturazione, in capo all'attore, di un debito superiore al credito vantato. La causa è stata istruita mediante prove testimoniali. L'udienza di precisazione delle conclusioni si è svolta in trattazione scritta. Scaduti i termini ex art. 190 c.p.c., il processo è infine transitato in fase decisoria. 2. Si richiamano atti e documenti di causa, noti alle parti. 3. La linea difensiva della convenuta si impernia su un'eccezione logicamente preliminare di inammissibilità delle domande attoree. In base al contenuto di questa eccezione, l'attore avrebbe esercitato un'azione di divisione parziale, a cui la sorella non ha aderito; di conseguenza, la richiesta di scioglimento della comunione (unitamente alle domande che vi attengono) sarebbe inammissibile. La questione esposta, dato il suo carattere preliminare, deve essere esaminata per prima. Per "divisione oggettivamente parziale" s'intende una divisione che ha per oggetto solo una parte dei beni comuni. La divisione è soggetta ad un principio di universalità oggettiva (Cass. 6931/2016), che rende la divisione universale la regola e quella parziale l'eccezione. Tale principio è derogabile dall'accordo unanime dei condividenti (Cass. 4699/1990), ovvero quando, di fronte ad una domanda giudiziale di divisione parziale, gli altri compartecipi vi aderiscano (Cass. 10220/1994). Una domanda di divisione parziale che incontri l'opposizione degli altri condividenti non è decidibile nel merito (2). Nel caso di specie, la divisione richiesta dall'attore è effettivamente parziale, perché non attinge tutti i beni in comunione. Segnatamente, essa è limitata alla ripartizione della somma di euro 21.500,00, che l'attore sostiene sia stata indebitamente distratta dalla convenuta, mentre non coinvolge il saldo attivo di conto corrente, né i beni immobili destinati ad essere posti in collazione. La parzialità della divisione si ricava testualmente dalle allegazioni ed istanze dell'attore. A pag. 4 della memoria attorea depositata in data 14 aprile 2021 è esplicitamente dichiarato che "l'attore non ha introdotto il contenzioso al fine di porre in discussione l'intero asse ereditario. Ha limitato il thema disputandum ad alcune e sole voci precise e che, ad oggi, restano ancora non chiarite dalla convenuta che adduce ragioni di spesa del tutto generiche, prive di confronto che non sia il dictatum della parte proferente e che, pertanto, debbono essere rendicontate"". Ancora, le conclusioni rassegnate a pag. 6 di tale memoria presuppongono che la divisione non avvenga per l'intero, bensì "con assegnazione all'attore dell'importo pari al 50% di quanto verrà restituito per sorte capitale, interessi e frutti civili, oltre che a titolo di interessi di mora". L'eccezione di inammissibilità della convenuta - che alla divisione parziale si è fermamente opposta - è quindi fondata. Da essa, però, non derivano tutte le conseguenze che la convenuta ne vorrebbe trarre. L'azione attorea volta ad "accertare che le somme prelevate dalla convenuta dal conto corrente in fatto univocamente individuato, di esclusiva titolarità del de cuius, appartengano alla massa" resta sorretta da un autonomo interesse ad agire e deve essere decisa nel merito. La convenuta era delegata ad operare sul c/c n. 91291, di cui la madre era intestataria presso la (...) di Ghedi, sin dal 3 dicembre 2002. Secondo l'attore, la sorella avrebbe approfittato di questa delega per impiegare, a vantaggio proprio e dei propri congiunti (figlia e marito), somme prelevate dal conto corrente della de cuius. Gli atti (asseritamente) distrattivi si collocano nel periodo 12 luglio - 4 dicembre 2018 e sono di tre tipi: assegni per un totale di euro 9.000,00 (uno di essi, n. 0011040351 0857554570, di euro 2.000,00, a favore della figlia della convenuta; l'altro, il n. 0011040352 0857554570, di euro 7.000,00, negoziato dalla convenuta); giroconto di euro 5.000,00, in data 23 novembre 2018, a beneficio di (...), marito della convenuta; prelievi di contanti per un totale di euro 7.250,00 (in tranches da euro 1.000,00, 500,00 o 750,00). Si procede a considerare partitamente le varie categorie, onde verificare, per ciascuna di essa, se la pretesa attorea di restituzione alla massa sia fondata o meno. Sul punto, sono fondamentali le risultanze della prova testimoniale. Iniziamo dagli assegni. Con l'assegno n. 0011040351 0857554570, di euro 2.000,00, la de cuius ha voluto ricompensare la nipote per le cure ricevute. Ne hanno dato conto (...) (3) e (...) (4). Stesso discorso vale per l'assegno n. 0011040352 0857554570, di euro 7.000,00, negoziato dalla convenuta. La circostanza è stata riferita dalla testimone (...), che ne ha avuta contezza diretta (5). Anche il giroconto di euro 5.000,00 è stato ispirato dalla riconoscenza della de cuius verso chi l'aveva assistita. Il genero "aveva provveduto a sistemare la camera da letto della signora (...) in attesa dell'arrivo del letto da decubito, togliendo anche la muffa dalle pareti e isolandole con del cartongesso" e, per questo, la suocera ha inteso elargirgli la somma in questione (cfr. deposizioni dei testimoni (...) e (...) (6). I trasferimenti di denaro per complessivi euro 14.000,00 sono stati compiuti dietro precisa indicazione della de cuius. Si può discutere della loro natura (donazioni; adempimenti di obbligazioni naturali; altro). Di certo, però, non si è trattato di atti di illegittima distrazione di somme operati dalla figlia nel proprio interesse. La prospettazione dell'attore, dunque, è infondata, sicché non ricorre alcuna obbligazione di restituzione di questi importi alla massa. Residuano i prelievi. Non vi sono testimonianze in grado di dar conto della causale e della destinazione dei singoli prelevamenti contanti. Tuttavia, dalla combinazione delle varie deposizioni emerge un quadro nell'ambito del quale la convenuta, la figlia e il marito della convenuta hanno assunto un ruolo fondamentale nella gestione della malattia dell'ereditanda. Le testimonianze di (...), (...) (moglie e figlio dell'attore) e (...) (cugina delle parti) in qualche modo ridimensionano questo ruolo, prospettando una condivisione degli oneri di accudimento con la famiglia dell'attore; tuttavia, nessuna deposizione contiene la esplicita negazione del contributo di rilievo dato dalla figlia e dalla nipote della de cuius. (...), non legato da rapporti di parentela con le parti, ricorda che dopo aver subito gli interventi, la de cuius "era sempre dalla figlia; per quel che so, dopo l'amputazione della gamba stava dalla figlia anche di notte; quando la sera andavo a prendere il caffè, vedevo che il genero dormiva in una stanza adiacente perché la signora (...) dormiva talora con la figlia (...), talora con la nipote (...)". Il testimone ritiene, inoltre, che "la signora (...) avrebbe avuto bisogno di una badante, ma avendo avuto la figlia e anche la nipote ha potuto farne a meno". Una situazione simile è stata descritta anche da (...) (7) e da (...) (8). Alla luce delle circostanze descritte, è senz'altro plausibile la tesi della convenuta, secondo la quale i prelievi si sono resi necessari per far fronte alle cure della madre e ai costi del menage familiare che, negli ultimi mesi di vita, ha visto la de cuius convivere con la figlia o essere da questa accudita. È sintomatica, in questo senso, la narrazione di (...), la quale ha avuto contezza di alcune spese che si erano rese necessarie per la cura della de cuius e che, unitamente ad altre, possono giustificare i prelevamenti di contanti (9). In conclusione, va escluso che la convenuta sia tenuta a restituire alla massa la somma corrispondente ai prelievi di denaro, che ella non ha utilizzato per sé, ma nell'interesse della madre malata. L'esito complessivo della lite è quindi il seguente. La domanda di divisione va dichiarata inammissibile (senza vincolo di giudicato). Le domande di accertamento che l'importo complessivo di euro 21.500,00 appartiene all'asse ereditario e di conseguente condanna alla restituzione vanno respinte nel merito. 4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, tenuto conto della nota spese depositata dalla convenuta in data 19 giugno 2023. P.Q.M. Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa o assorbita: 1. dichiara inammissibile la domanda di divisione ereditaria proposta dall'attore; 2. rigetta le domande attoree di accertamento che l'importo complessivo di euro 21.500,00 appartiene all'asse ereditario e di conseguente condanna alla restituzione di tale importo; 3. condanna l'attore a rifondere alla convenuta le spese di lite, che liquida in euro 21,80 per esborsi ed euro 4.916,00 per compensi, oltre rimborso forfettario al 15%, Iva e Cassa. Brescia, 20 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2023. (1) È appena il caso di rilevare che, forse per mera svista, nelle conclusioni è richiesto il conferimento alla massa di euro 21.500,00, ma la somma dei prelievi indicati alle pagg. 3 e 4 della citazione ammonta ad euro 21.250,00. (2) La pronuncia non può che essere una pronuncia sul processo. Se venisse resa una pronuncia di merito, idonea al giudicato, i beni che ne costituiscono oggetto finirebbero per restare indefinitamente in comunione, in contrasto col favor per la divisione, ricavabile dall'art. 1111 c.c. Dunque, respinta - in rito - una domanda di divisione parziale, non è preclusa una successiva iniziativa per la divisione universale. (3) "La nonna (...) aveva detto che voleva dare dei soldi alla nipote (...) per quello che aveva fatto per lei, per l'aiuto, per l'assistenza, per le visite. Ero presente quando la signora (...) ha fatto queste dichiarazioni. Preciso che la signora (...) ha più volte detto, quando eravamo a pranzo, di voler dare dei soldi alla nipote; sicuramente nel mese di luglio 2018; con ricordo con precisione i giorni". (4) "La nipote (...) ha preso la 104 per stare con la nonna ed assisterla; la signora (...) si è sentita in dovere di ricambiare. La nipote (...) aveva chiesto allo zio (...) se voleva prendere lui la 104; ma lo zio ha rifiutato perché lavorava, dicendo di prenderla loro. Non mi ricordo la data. So che però la signora (...) ha dato i soldi alla nipote quando ha deciso di stare a casa con lei". (5) "Ero presente quando la signora (...) ha detto che voleva ricompensare la figlia (...) per quello che aveva fatto per lei e che continuava a fare. Mi ricordo la somma di Euro 7.000,00 perché la madre voleva che la figlia (...) acquistasse un apparecchio acustico perché non sentiva bene; infatti quando la figlia (...) andava in ospedale per la madre (...) doveva farsi accompagnare da (...) perché non sentiva bene quello che dicevano i medici e doveva farselo ripetere da (...). Preciso che in quell'occasione ho detto alla signora (...) che aveva due figli e che doveva dire al figlio (...) del regalo che aveva intenzione di fare alla figlia (...); ma la signora (...) mi ha risposto che i soldi erano suoi e che ne faceva quello che voleva e che li dava a chi se li meritava". (6) "Era d'inverno prima che morisse; la signora (...) voleva ricompensare il genero per tutto quello che aveva fatto negli ultimi trent'anni. Faceva tutto il genero. Ero presente quando la signora (...) gli ha detto di prendere la somma di Euro 5.000,00". (7) "Dopo l'intervento alla carotide la signora (...), che era già sulla sedia a rotelle, si è trasferita dalla figlia (...) all'incirca per quattro mesi e la mia compagna (...), prima di ottenere la legge n. 104/1992, l'ha assistita insieme con la madre (...) e dopo è rimasta a casa dal lavoro e si è dedicata alla nonna a tempo pieno, venendo comunque sempre aiutata dalla madre (...). La signora (...) dormiva nel letto matrimoniale con la figlia (...), mentre il genero dormiva sul divano. Aggiungo che la nipote (...), prima della 104, per assistere la nonna (...) ha utilizzato tutte le ferie e i permessi di cui godeva; preciso inoltre che io e (...) non siamo andati in ferie nel 2018 e abbiamo dovuto rinviare la convivenza nella nuova casa di Calvisano perché la nonna (...) si era ammalata e la mia compagna le aveva promesso che si sarebbe occupata di lei". (8) "Preciso che dopo l'intervento alla carotide la signora (...) si è trasferita dalla figlia (...) in pianta stabile anche a dormire; dopo che è stata operata alla gamba, il mese dopo circa, era sulla sedia a rotelle e stava ancora dalla figlia (...) perché non stava bene; c'era anche il marito della figlia che l'aiutava anche per andare in bagno; quando ha iniziato a stare un po' meglio, andava a dormire a casa sua nel letto apposito da decubito e nella stessa camera da letto era stata messa una brandina -cuccetta, così la figlia e la nipote a turno dormivano con la signora (...). Ero quasi sempre là, andavo dopo pranzo a prendere il caffè, parlavo con la signora (...), che era felice perché vedeva la mia nipotina; e andavo anche dopo cena a fare una chiacchierata. Durante i sei mesi di malattia della signora (...) vedevo il figlio (...) tutte le sere dopo le 17.30 quando staccava dal lavoro; passava di lì e stava con la madre. Non so a che ora andasse via, ma quando ritornavo dopo cena non lo vedevo; l'ho visto solo quando la madre è stata male ovvero l'ultima settimana di vita". (9) "So che la figlia (...) ha acquistato per la madre una poltrona elevatrice, la stufa a pellets e quant'altro le servisse".

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BRESCIA SECONDA SEZIONE CIVILE in persona del giudice onorario di pace Dott.ssa Maria Cristina Bongiorno, ha pronunciato la seguente SENTENZA nelle cause riunite così iscritte; al n. 6045/2018 del ruolo generale degli affari contenziosi civile, avente ad oggetto: appalto, altre ipotesi ex art. 1655 e ss. c.c., promossa da (...) spa, rappresentata e difesa, giusta delega in atti, dall'Avv. Ba.Ma., domiciliata presso il suo studio parte attrice contro (...) snc, rappresentata e difesa, giusta delega in atti, dagli Avv.ti Ka.Pe. e An.Pe., domiciliata presso il loro studio parte convenuta e al n. 8035/2018 ruolo generale degli affari contenziosi civile, avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo, promossa da (...) spa, rappresentata e difesa, giusta delega in atti, dall'avv. Ba.Ma., domiciliata presso il suo studio parte opponente contro (...) snc, rappresentata e difesa, giusta delega in atti, dagli Avv.ti Ka.Pe. e An.Pe., domiciliata presso il loro studio parte opposta FATTO E DIRITTO La parte attrice (opponente nel giudizio riunito) deduce di aver commissionato alla convenuta con ordine del 9/5/2017 la lavorazione meccanica di svariate piastre a disegno per il corrispettivo di 26.613,50, poi ridotto a Euro 18.580,50 con esclusione delle lavorazioni della piastra disegno 151 finale; di aver stabilito la consegna ripartita delle piastre lavorate in data compresa tra il 30/5/2017 ed il 7/7/2017, che la convenuta non rispettava; di aver fissato un termine tassativo di consegna entro il 16/10/2017, avendo la convenuta riferito la propria incapacità di garantire il grado di finitura pattuito, ma la scadenza non era rispettata e le consegne erano ulteriormente ritardate fino a metà dicembre 2017; di aver riscontrato gravi vizi e difetti delle piastre consegnate, prontamente denunciati alla convenuta; di essersi fatta carico dei costi per rendere utilizzabili le piastre da parte del cliente finale e di aver dovuto impiegare un proprio dipendente per monitorare l'attività della convenuta, con i relativi costi; che la gravità dell'inadempimento della convenuta e opposta è tale da giustificare la riduzione del 50% del prezzo dell'appalto, oltre il risarcimento del danno, compreso il danno all'immagine nei confronti del cliente finale, che applicava nei confronti dell'attrice una penale per il grave ritardo della fornitura; che, qualche ora dopo la notifica dell'atto di citazione, per tutta risposta, la convenuta notificava il ricorso con pedissequo decreto ingiuntivo, che l'attrice opponeva per i medesimi motivi. Costituendosi in giudizio, la parte convenuta conferma il rapporto intercorso ed i termini di consegna previsti nell'ordine dell'attrice; deduce di aver predisposto preventivamente la campionatura delle piastre da realizzare, su istruzioni della committente, che le avrebbe sottoposte all'approvazione del cliente finale prima di procedere con il resto della produzione; di aver consegnato le piastre campione ed emesso le relative fatture, sospendendo la produzione degli altri pezzi; che l'attrice pagava regolarmente le fatture e comunicava a fine agosto 2017 la volontà di riprendere le lavorazioni ma l'opposta informava la committente che il macchinario era impegnato in altre produzioni e la consegna dei pezzi rimanenti sarebbe avvenuta non prima del 25/10/2017; che la committente richiedeva un diverso grado di finitura di alcuni pezzi rispetto all'ordine iniziale, che l'opposta non riusciva a garantire, e l'opponente decideva di proseguire con le medesime finiture della campionatura; che l'avanzamento dei lavori veniva costantemente monitorato dalla committente tramite un proprio dipendente e che la consegna delle piastre lavorate avveniva a più riprese dal 19/10/2017 al 27/11/2017; che la fattura emessa il 18/1/2018 - oggetto di causa - tornava insoluta e la committente contestava per la prima volta il ritardo nella consegna delle piastre nonché la presenza di gravi vizi dell'intera fornitura, compresa la campionatura già approvata e pagata dal cliente finale; che la successiva lettera del legale di parte attrice sosteneva che tutte le piastre erano state respinte dal cliente finale perché inadatte all'uso, confermando la disponibilità di riconoscere alla convenuta la somma di Euro 8.175,78 in via transattiva, proposta che la convenuta respingeva per procedere al deposito e successiva notifica del ricorso monitorio e del decreto ingiuntivo, ora opposto. La domanda è supportata da un'adeguata prova documentale: l'attrice produce l'ordine de quo e corrispondenza intercorsa tra le parti e con il cliente finale (produzioni condivise in buona parte con la convenuta. In aggiunta, la parte convenuta produce l'offerta iniziale accettata dall'attrice, le fatture relative alle piastre campione, i documenti di trasporto ed i certificati di conformità delle piastre consegnate, i disegni delle lavorazioni originali e revisionati dall'attrice e la relazione di un proprio consulente informatico sull'integrità di email provenienti dall'attrice, disconoscendo una di esse a causa di allegati non conformi (errore materiale riconosciuto dal legale della parte avversa). Il tardivo deposito della comparsa conclusionale non inficia la difesa attorea, ampiamente sviluppata nei precedenti atti di parte (citazione e memorie istruttorie). La fattispecie è inquadrabile nel contratto d'appalto (art. 1655 e seguenti cod. civ.), trattandosi di opere compiute da un soggetto - appaltatore - che possiede un'organizzazione imprenditoriale complessa di mezzi e risorse, tale da definirsi almeno un'impresa di medie dimensioni. Dalle produzioni in atti si evince quanto segue: - che l'attrice pagava regolarmente le fatture relative al primo set di piastre (5 piastre-campione), consegnate il 14/6, 20/6 e 4/7/2017, e confermava alla convenuta il 30/8/2017 di procedere con i rimanenti 4 set dei 6 disegni (19 piastre) in conto lavorazione; - che il 1/9/2017 la convenuta riconosceva di non essere in grado di garantire le nuove tolleranze in finitura richieste dall'attrice e proponeva, qualora non fosse accettabile il grado di finitura superiore, "la fornitura dei particolari sgrossati con sovrametallo per Vostra finitura interna"; - che il 4/10/2017 l'attrice rispondeva alla convenuta di proseguire con le condizioni già fornite; - che la convenuta completava la consegna delle piastre finite il 27/11/2017 invece del previsto 25/10/2017 - o del 16/10/2017 o 2/11/2017 tassativi per l'attrice - alle stesse condizioni del primo lotto e senza apportare varianti alle finiture, dunque, con un ritardo di oltre un mese, nel termine di 90 giorni rispetto a quello di 60 giorni indicato nell'ordine; - che l'attrice monitorava fattivamente lo stato di avanzamento delle lavorazioni anche recandosi presso la sede della convenuta (c.d. expediting) ed il 30/10/2017 (non il 30/11/2017!) denunciava i vizi delle piastre dell'ultima consegna che avevano ancora "spessore e planarità sotto tolleranza" su una delle quali "non sono stati eseguiti i fori ?", anticipando l'emissione di una nota di credito cumulativa al termine del controllo della consegna; - che nulla replicava la convenuta alle contestazioni dell'attrice; - che l'attrice contestava formalmente i ritardi e la qualità delle piastre lavorate dalla convenuta con email del 22/1/2018, allegando un rapporto di non conformità ed accettazione con riserva della fornitura, risolta positivamente dopo l'accettazione del cliente finale. Da ritenersi, dunque, tempestiva la denuncia dei vizi ex art. 1667 cod. civ., avuto riguardo alle consegne successive al 27/10/2017, tenuto conto anche dell'orientamento della Suprema Corte in materia di vendita a consegne ripartite avente ad oggetto beni con le medesime caratteristiche di qualità, secondo il quale, per la tempestività della denuncia, occorre riferirsi solo alla prima consegna in quanto le consegne successive non fanno decorrere nuovamente il termine decadenziale e non necessitano di nuove e specifiche denunzie (Cass. civ., sez. II, ord. n. 16766 del 21/6/2019). Da richiamare, nella fattispecie, anche il principio di diritto che regola l'accettazione dell'opera, che non si esaurisce con la semplice presa in consegna dell'opera (la traditio), ma si concreta in una manifestazione di volontà del committente, ovvero, nel compimento di atti di gradimento dell'opera o, comunque, incompatibili con la volontà di rifiutarla o di accettarla con riserva; così la Suprema Corte, secondo cui, in tema d'appalto "la presa in consegna dell'opera da parte del committente non equivale "ipso facto" ad accettazione della medesima senza riserve, e quindi ad una accettazione tacita pur in difetto di verifica, ex art. 1665, comma IV, cod. civ., occorrendo in concreto stabilire se nel comportamento delle parti siano o meno ravvisabili elementi contrastanti con la presunta volontà di accettare l'opera senza riserve" (Cass. civ., sez. III, sent. n. 22879/2015). In particolare, la Suprema Corte ha ravvisato i presupposti dell'accettazione dell'opera a fronte della presa in consegna della stessa e dell'avvenuto pagamento, da parte del committente, del corrispettivo, ivi compreso lo svincolo delle somme ritenute a garanzia (Cassazione civile, sez. II, sent. n. 10452/2020), mentre gli acconti pagati in corso d'opera non costituiscono accettazione tacita, neppure per "facta concludentia" (Cass. civ., sez. II, ord. n. 13224/2019). L'orientamento è stato così ribadito dalla più recente giurisprudenza : " l'art. 1665 cod. civ., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i fatti ed i comportamenti dai quali deve presumersi l'accettazione del committente e, in particolare, al comma IV, prevede come presupposto dell'accettazione tacita la consegna dell'opera al committente e come fatto concludente la ricezione senza riserva da parte di quest'ultimo, anche se non si sia proceduto alla verifica" (Cass., civ. sez. II, ord. n. 4021 del 9/2/2023). Non paiono sussistenti, nella fattispecie, i presupposti dell'accettazione della committente, considerate le criticità emerse nel corso del rapporto, come i ripetuti solleciti delle consegne ed i ritardi oggettivi della convenuta, la denuncia dei vizi riscontrati, l'esigenza di monitorare l'andamento delle lavorazioni e l'operato della convenuta nonché il mancato pagamento delle fatture a saldo; anche lo "scioglimento" della riserva menzionato nel rapporto di non conformità per avvenuta accettazione del cliente finale non esclude, in astratto, la responsabilità della convenuta per i pregressi costi di finitura o adeguamento delle piastre ed i danni lamentati dall'attrice nella email allegata. Quanto all'onere della prova, fino a quando l'opera non sia stata espressamente o tacitamente accettata dal committente è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sull'appaltatore l'onere di provare di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte (Cass. civ., sez. II, sent. n. 80 del 2018). Onere che non può dirsi adempiuto dalla convenuta: l 'unico teste, responsabile del sistema qualità, si è limitato a dichiarare che ad ogni consegna era allegato il certificato di conformità delle piastre e che lui stesso aveva predisposto i report dimensionali e verificato la rugosità delle piastre, riferendosi a documenti di provenienza interna, contestati dalla committente e privi di effettivo valore probatorio. Né rileva l'eccepita revisione dei disegni successiva all'ordine, avendo la convenuta ammesso di non aver potuto garantire la rugosità inferiore richiesta dopo la consegna delle prime piastre e di aver proseguito le lavorazioni come da campionatura e disegni iniziali. I restanti testi, responsabile della produzione e responsabile operativo dell'attrice, hanno confermato che le piastre erano state consegnate con molto ritardo e non erano conformi ai disegni; che parte della fornitura era stata restituita perché non lavorata come richiesto; che i disegni delle lavorazioni erano quelli allegate all'ordine; che l'attrice non aveva richiesto modifiche dei gradi di finitura particolari ma solo di quello generale di alcuni disegni (che la stessa convenuta definisce "nuove tolleranze in finitura"); che il cliente finale aveva fatto delle contestazioni e chiesto una riduzione del prezzo; che l'attrice aveva impiegato due persone per una settimana e circa 80 ore supplementari per rendere utilizzabili le piastre contestate dal proprio cliente; e che un dipendente dell'attrice aveva compiuto accessi quotidiani alla sede della convenuta per seguire lo stato di avanzamento dei lavori. In presenza di vizi o difformità eliminabili, il committente ha a disposizione due azioni alternative: 1. domandare che l'appaltatore sia condannato ad eliminare i vizi e le difformità quanto dell'opera; sarà quindi l'appaltatore stesso ed a proprie spese a rimuovere vizi e difformità, in al committente non è consentito affidarne ad un terzo la rimozione e chiedere il rimborso della spesa; 2. chiedere che il prezzo pattuito sia proporzionalmente ridotto; sarà quindi necessario verificare se il valore dell'opera affetta da vizi o da difformità sia effettivamente inferiore a quello che doveva essere il valore dell'opera realizzata a regola d'arte. Sui rimedi riparatori esperibili ex art. 1668, comma I, cod. civ., si è espressa la Suprema Corte, nel senso che "in tema di appalto, il committente ... deve conseguire la medesima utilità economica che avrebbe ottenuto se l'inadempimento dell'appaltatore non si fosse verificato, la cui determinazione va commisurata - nei limiti del valore dell'opera o del servizio - al "quantum" necessario per l'eliminazione dei vizi e delle difformità ovvero al "quantum" monetario per cui glistessi vizi e difformità incidono sull'ammontare del corrispettivo in denaro pattuito e non può tradursi nell'acquisizione di un'utilità economica eccedente" (Cass. civ., sez. II, sent. n. 4161 del 2/3/2015). Nella fattispecie, il minor valore dell'opera non potrà che essere commisurato ai costi sostenuti dall'attrice per rendere utilizzabili le piastre, come da domanda (Euro 6.680,00), da ritenersi congrui rispetto al numero di ore lavorate, circa 80, riferite dal testimone (73,09 nell'estratto in atti), e determinare una proporzionale riduzione del prezzo dell'appalto. Trattasi di valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 cod. civ. per impossibilità o rilevante difficoltà nella stima del danno, non dipendente dall'inerzia della parte gravata dall'onere della prova (Cass. civ., sez. VI, ord. n. 26051 del 17/11/2020), non essendo ammissibile la c.t.u. sulle piastre che la stessa attrice deduce di aver lavorato per renderle utilizzabili da parte del cliente. Resta assorbita per evidente duplicazione la domanda risarcitoria dei medesimi costi. Nessuna prova l'attrice ha fornito dell'asserita penale dovuta al cliente finale per il ritardo, alla luce delle generiche contestazioni della email prodotta, senza alcun riferimento alla fornitura delle piastre lavorate dalla convenuta; tantomeno, dell'effettivo rimborso preteso, di cui alla nota di credito in atti, contenente la descrizione di lavorazioni e disegni diversi da quelli del contratto de quo e la menzione di un "agreement email 11/5/2018", non meglio documentato. Da respingere anche la domanda risarcitoria dei costi di "expediting", non pattuiti, così come dell'asserito danno all'immagine, privo di qualsiasi riscontro. All'accoglimento parziale della domanda segue la revoca del decreto ingiuntivo opposto e la condanna dell'attrice al pagamento della somma che residua dopo la riduzione del prezzo dell'appalto (Euro 18.580,50), dedotta la somma delle fatture d'acconto già pagate (Euro 2.695,10 e Euro 1.419,50), a favore della convenuta. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione parziale delle spese, ai sensi dell'art. 92, comma II, cod. proc. civ. (Cass. civ. sez. un., sent. n. 32061 del 31/10/2022). P.Q.M. Accoglie parzialmente la domanda di (...) spa nei confronti di (...) snc e riduce il prezzo dell'appalto per il minor valore dell'opera a Euro 11.900,50; revoca il decreto ingiuntivo n. 1738/2018 del Tribunale di Brescia del 3/4/2018 e condanna (...) spa al pagamento di Euro 7.785,90 nei confronti di (...) snc; compensa parzialmente le spese di lite, che liquida in Euro 5.077,00 ex D.M. n. 147 del 2022 (fase di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale), e condanna (...) spa alla rifusione del 50% a favore di (...) snc. Così deciso in Brescia il 24 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA Sezione LOCAZIONE Il Tribunale di Brescia - sezione S5 - in persona del Giudice dott.ssa Paola Agliardi, all'udienza del 28 febbraio 2023, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 1452 del Ruolo Generale Affari Civili dell'anno 2022 e vertente tra: (...) rappresentata e difesa giusta mandato in calce allo sfratto per morosità e citazione per la convalida dall'Avvocato (...) del Foro di Brescia; INTIMANTE (...) S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta delega in calce alla comparsa di costituzione e risposta dall'Avvocato (...) del Foro di Pavia; INTIMATA A seguito di sfratto per morosità e citazione per la convalida ritualmente notificata da (...) a (...) S.R.L. la convenuta si costituiva in giudizio opponendosi alla convalida dell'intimato sfratto. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sfratto per morosità e citazione per la convalida ritualmente notificato, chiedeva la convalida dello sfratto intimato nei confronti della società (...) S.R.L. ad ogni effetto di legge deducendo il mancato pagamento, totale o parziale, da parte della società conduttrice di canoni ed accessori maturati per la locazione di immobili commerciali posti in S., Località C., Via (...) (catastalmente identificati con i mappali (...) sub.(...) Cat.(...) e (...) sub. (...) Cat. (...) del Foglio (...)) alla stessa locati in forza di contratto sottoscritto in data 18 dicembre 2019, regolarmente registrato. In particolare dal predetto atto introduttivo si ricava fra l'altro quanto segue: la società conduttrice non ha pagato il canone di locazione: a) - dal mese di Ottobre 2020 al mese di Aprile 2021 ; b) - dal mese di Agosto 2021 al corrente mese di Dicembre 2021, oltre ad ulteriore somma arretrata di Euro 60,00 e tenuto conto di n.3 acconti di Euro 500,00 ciascuno, deriva che l'ammontare complessivo dei canoni non pagati è pari, ad oggi, ad Euro 48720,00 (quarantottomilasettecento20/00).".... A mezzo dell'Avvocato (...) la convenuta (...) S.R.L. si costituiva in giudizio e si opponeva alla convalida dello sfratto assumendo le seguenti conclusioni: "In via cautelare Rigettarsi la richiesta di emissione dell'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. poiché l'opposizione è fondata su prova scritta e comunque perché sussistono gravi motivi ostativi al rilascio dell'Immobile, legati alla situazione di emergenza sanitaria da covid-19 tutt'ora in corso, nonché alle misure restrittive all'esercizio dell'attività d'impresa adottate nel settore bar/ristorazione. In via principale e nel merito a) Rigettarsi la richiesta di convalida di sfratto per morosità per tutti i motivi esposti in narrativa. b) Accertare e dichiarare l'esistenza dei gravi motivi di cui all'art. 665 c.p.c. ostativi alla pronuncia dell'ordinanza di convalida di sfratto; c) Accertare e dichiarare la violazione dei principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, per l'effetto, disporre anche ai sensi dell'art. 1374 c.c., la riduzione del canone locatizio in misura del 50% con riferimento ai canoni già scaduti e nella misura del 35% per i mesi a scadere sino al termine dello stato di emergenza sanitaria, o nella misura ritenuta equa e di giustizia per tutti i motivi esposti in narrativa. d) Operare dunque una riparametrazione del canone secondo equità; In via riconvenzionale a) Accertare e dichiarare che i lavori di ristrutturazione espletati dalla società(...) s.r.l. presso l'unità immobiliare locata rientrano in quelli di straordinaria amministrazione b) Accertare e dichiarare che i lavori di ristrutturazione espletati erano stati previamente autorizzati implicitamente dalla signora (...) c) Accertare e dichiarare che i lavori eseguiti ammontano ad Euro 93.020,12 e, per l'effetto, condannare la signora (...) a corrispondere alla società (...) s.r.l. la suddetta somma; d) Dichiarare la compensazione tra il credito vantato società (...) s.r.l. nei confronti della signora (...) di Euro 93.020,12 a titolo di rimborso spese sostenute per i lavori di straordinaria amministrazione con il credito vantato dalla signora (...) nei confronti della società (...) s.r.l. a titolo di canoni di locazione impagati che risulterà nel corso del giudizio, detratto da eventuali acconti già corrisposti, essendo entrambi certi, liquidi ed esigibili.".... Il Giudice, preso atto dell'opposizione, ricorrendone i presupposti persistendo la morosità, emetteva ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. fissando per l'esecuzione il giorno marzo 2022; quindi disponeva mutamento del rito con onere a carico delle parti di attivare la procedura obbligatoria di mediazione ex D.Lgs. n. 28 del 2010. Fallito il tentativo di conciliazione davanti all'Organismo di mediazione adito, come da verbale prodotto, il Giudice, preso atto della rinunzia al mandato da parte dell'Avvocato (...) e a fronte della rinunzia dell'Avvocato (...) ai termini per l'integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti, fissava udienza di discussione e precisazione delle conclusioni con termine per il deposito di brevi note riepilogative. Nelle predette note, richiamato interamente il contenuto dei precedenti scritti difensivi e dei verbali di causa, contestato tutto quanto ex adverso argomentato, dedotto ed eccepito, l'Avvocato per parte intimante chiedeva l'accoglimento delie seguenti conclusioni: "in via principale e nel merito: 1) Rigettare tutte le domande ed eccezioni svolte da controparte ed accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di locazione intercorrente tra le parti relativo all'unita immobiliare di S., Località C., 2) confermare l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. già pronunciata in data 10 febbraio 2022; 3) condannare la soc. (...) srl al pagamento in favore della dott.ssa(...)dei canoni di locazione scaduti, oltre interessi legali ed accessori tutti, fino alla liberazione dell'immobile; 4)condannare la soc. (...) srl a rifondere alia dott.ssa(...) (...)le spese inutilmente sostenute per la liberazione dell'immobile come meglio quantificate in atti; 5) condannare la soc. (...) srl al pagamento in favore della dott.ssa (...) delle spese e competenze del giudizio che saranno liquidate dal Giudice - tenendo conto sia della fase di sfratto, sia della fase di opposizione e della mediazione obbligatoria - oltre spese generali IVA, CPA e rimborso contributo forfettario e marche; 6) condannare la soc. (...) srl al pagamento in favore della dott.ssa (...) di una somma di denaro ai sensi dell'art. 96 c.p.c. da liquidarsi secondo equità o da liquidarsi secondo i criteri indicati in atti." Nessuna difesa veniva più coltivata per la società convenuta, ragion per cui, chiusa la fase istruttoria, la causa all'odierna udienza veniva decisa. MOTIVI DELLA DECISIONE Parte intimante ha dimostrato il titolo alla base della sua pretesa creditoria e la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice risulta fondata in fatto ed in diritto. Sull'inadempimento Il principio per cui è il conduttore a dover provare di aver regolarmente pagato è stato ribadito anche con sentenza dei Tribunale di Nocera Inferiore del 18 febbraio 2021 nella quale si legge: "In relazione alla eccezione di pagamento, giova ricordare che il locatore che agisce in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione, sostenendo l'inadempimento della controparte per mancato pagamento dei canoni pattuiti, in quanto creditore è tenuto unicamente a provare la fonte negoziale o legale del proprio diritto e ad allegare l'altrui inadempimento; spetta, difatti, al debitore provare di aver adempiuto alla propria obbligazione (...)". Nel corso del giudizio, pur continuando a detenere il bene con un comportamento sicuramente concludente e sintomatico della permanenza del sinallagma contrattuale (almeno sino al 20 giugno 2022, data di rilascio dell'immobile), l'intimata, tenuta a fornire prova di aver correttamente adempiuto alle sue obbligazioni di conduttrice, ha eccepito la non gravità dell'inadempimento ma non ha provato il pagamento di quanto dovuto a titolo di canoni di locazione nè peraltro ha documentato e/o provato le circostanze alia base delle proprie difese. Ai sensi dell'articolo 5 L. n. 392 del 1978 e salvo quanto previsto dall'articolo 55 della medesima legge, il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell'articolo 1455 del codice civile. Precisato, per quanto occorrer possa, che l'articolo 55 - cosiddetto termine di grazia - per giurisprudenza maggioritaria non trova diretta applicazione nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, il richiamato articolo 1455 fissa il criterio della non scarsa importanza dell'inadempimento come limite minimo alla facoltà riconosciuta alla parte non inadempiente di chiedere la risoluzione del contratto. Normalmente la valutazione in ordine alla gravità dell'inadempimento spetta al giudice e l'orientamento più consolidato in giurisprudenza sul criterio in base al quale condurre il giudizio, è quello che impone una valutazione in termini di relatività, nel senso che il giudice è chiamato ad accertare in concreto la gravità dell'inadempimento mediante la combinazione sia di elementi oggettivi, ovvero l'incidenza dell'inadempimento e dei suoi effetti sull'economia complessiva del rapporto contrattuale, sia di elementi soggettivi, quali l'interesse del contraente all'esatto e tempestivo adempimento. Che nel caso di specie l'inadempimento della conduttrice sia connotato dal carattere della gravità si evince dal fatto che già al momento dell'intimazione il debito per canoni scaduti e non corrisposti ammontava ad Euro 48.720,00 (quarantottomilasettecentoventi virgola zero zero). Inadempimento reiterato anche nel corso del giudizio poiché da allora più nessun versamento è stato eseguito in favore della locatrice. Per quanto occorrer possa prendendo posizione sulle difese svolte dalla conduttrice peraltro nella sola fase sommaria del giudizio: Sullo stato dell'Immobile locato - In tema di riparazioni - Ai sensi degli articoli 1575 e seguenti del codice civile il locatore deve, tra l'altro, mantenere il bene locato in uno stato idoneo all'uso pattuito e, salvo le parti abbiano diversamente pattuito, effettuare tutte le riparazioni necessarie affinché il bene mantenga la sua naturale destinazione. Restano invece normalmente a carico del conduttore le opere necessarie a rimuovere il deterioramento prodotto dall'utilizzo del bene. Quando il bene locato necessita di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi deve tempestivamente dame avviso al locatore. Tuttavia, se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso e purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore. Si tratta di riparazioni che sarebbero comunque a carico del locatore, ma che il conduttore può effettuare personalmente se il primo non può compierle con la dovuta tempestività o se, nell'inerzia del locatore, esse si rendono necessarie per rimuovere guasti che impediscono il godimento della cosa. Affinché l'intervento sia legittimo il conduttore ha l'onere di avvisare il locatore dell'inizio dei lavori. Per alcuni il mancato avviso non comporta la perdita del diritto ad ottenere il rimborso poiché l'avviso non costituirebbe preventiva autorizzazione all'esecuzione delle riparazioni. Tuttavia dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono che la mancata comunicazione al locatore precluda il diritto ad ottenere il rimborso delle spese sostenute e documentate e che, in ogni caso, il diritto al rimborso non sia compensabile legalmente con il debito per il pagamento del canone. Quindi, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1577 codice civile, il conduttore ha la facoltà e non l'obbligo di intervenire sull'immobile, perché tale obbligo rimane comunque a carico del locatore tempestivamente messo in mora e avvisato della necessità di riparazioni urgenti. Ma se le circostanze rendono necessario od opportuno un intervento, il conduttore, usando l'ordinaria diligenza, può certamente attivarsi affinché i danni conseguenti siano quanto meno limitati. - In tema di idoneità dell'immobile locato all'uso convenuto - Se circostanze che diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità del bene locato all'uso convenuto possono legittimare la richiesta del conduttore di risoluzione del contratto o di riduzione del canone ai sensi dell'art. 1578 c.c., al riguardo la Cassazione ha più volte precisato che, ai fini della risoluzione per inadempimento del locatore, dal contratto deve emergere in modo non equivoco che il conduttore ignorasse il fatto che l'immobile locato non fosse idoneo all'uso convenuto. In altre parole il conduttore non deve avere, "nemmeno implicitamente, accettato il rischio di non poter utilizzare i locali nello stato in cui si trovavano al momento della firma del contratto". Se, invece, il conduttore ha accettato, per contratto, le condizioni dei locali stessi, "in sostanza si è fatto carico di renderli eventualmente idonei alle proprie particolari esigenze", anche con riferimento ai provvedimenti eventualmente richiesti dalle normative vigenti in materia amministrativa, urbanistica e/o di sicurezza degli impianti. - In tema di miglioramenti ed addizioni - Al termine della locazione, il conduttore deve restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l'ha ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall'uso normale della cosa. In questo quadro si inseriscono gli articoli 1592 e 1593 c.c. che si occupano, rispettivamente, dei miglioramenti e delle addizioni. Per "miglioramenti" si intendono quelle opere che apportano all'immobile un aumento di valore, un suo incremento quantitativo e qualitativo, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività. Il conduttore, di regola, non ha diritto ad un'indennità per i miglioramenti apportati al bene locato, salvo vi sia stato il consenso del locatore che non può desumersi da un comportamento di mera tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara e non equivoca espressione di volontà, ovvero in un'esplicita approvazione degli interventi, "così che la mera consapevolezza o la mancata opposizione del locatore riguardo agli stessi non legittima il conduttore alla richiesta d'indennizzo". Dimostrando invece di aver ottenuto il consenso nel modo chiarito, il conduttore avrà diritto, al momento della riconsegna dell'immobile, ad un'indennità pari alla minor somma tra l'importo delia spesa sostenuta ed il valore del risultato ottenuto. Per le addizioni invece bisogna distinguere a seconda che le stesse siano o meno separabili senza nocumento della cosa. Se le opere non si possono rimuovere senza danneggiare l'immobile, ove costituissero un miglioramento, verranno regolate di conseguenza. Se invece sono separabili senza danneggiare l'immobile, il conduttore ha il dovere di toglierle alla fine della locazione salvo che il proprietario preferisca ritenerle pagando al conduttore un'indennità pari alla minor somma tra l'importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. Non potendosi imporre al proprietario innovazioni migliorative che non siano state approvate, il conduttore dovrà provvedere a proprie spese al ripristino della cosa. Sui riflessi delle misure restrittive dettate in materia di Covid-19 E' discusso se il citato art. 3, comma 6 bis, del D.L. n. 6 del 2020, che esonera il debitore dalia responsabilità ex art. 1218 c.c. per le conseguenze derivanti dal rispetto delle misure di contenimento sociale tese a fronteggiare l'epidemia da Covid-19, sia suscettibile di applicazione anche all'ipotesi di omesso e/o ritardato pagamento dei canoni di locazione maturati durante l'emergenza. Altrettanto discussa l'applicazione degli articoli 1374 e 1375 c.c. in tema di buona fede nell'esecuzione del contratto, nel senso di un'interpretazione degli stessi volta alla possibilità di beneficiare di una riduzione dell'importo del canone pattuito. La giurisprudenza di merito continua a pronunciarsi sulle controversie nate a seguito di morosità nelle locazioni. Se in passato è arrivata a decisioni con esiti alterni e di segno opposto, ormai è nel senso di ritenere dovuti i canoni di locazione nell'intero loro ammontare non essendoci alcuna norma che legittimi la sospensione dei pagamenti. In particolare i Giudici che si sono già pronunciati proprio su locazioni di tipo commerciale, hanno osservato che i Dpcm "adottati durante l'emergenza sanitaria e per affrontare la stessa, essendo semmai partecipi della medesima natura delle ordinanze contingibili ed urgenti, secondo l'orientamento più convincente sono meri provvedimenti amministrativi generali ma privi di valenza normativa." Quanto al resto hanno altresì evidenziato che l'esercizio di un diritto sancito in contratto "non può essere considerato, in sé, violativo dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede" potendo semmai la violazione della buona fede risiedere nelle particolari e concrete modalità di esercizio del diritto, quando in relazione alle circostanze del caso siano appunto scorrette. Il criterio della buona fede impone sì al contraente di attivarsi in favore dell'altro ma pur sempre "nei limiti dell'interesse proprio" ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori" ovvero "nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio a suo carico" ovvero sempre che "non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse". Ne discende che la rinunzia ad un diritto contrattuale per addivenire per esempio ad un diverso accordo costituisce certamente "un apprezzabile sacrificio che" come tale "non può essere preteso". Quindi, se per giurisprudenza costante e consolidata: - il conduttore è tenuto a versare il canone nella sua interezza anche se si verifica una diminuzione nel godimento del bene locato ed anche ove tale evento sia riconducibile al fatto del locatore; - il conduttore non può sospendere unilateralmente il pagamento del canone e può avvalersi della sospensione solo se la controprestazione del locatore viene completamente a mancare (ove così non fosse si creerebbe un'alterazione del sinallagma contrattuale); - il conduttore non potrà chiedere i danni al proprietario se nel contratto non è stata esplicitamente prevista e dichiarata dal proprietario stesso l'idoneità e/o conformità dell'immobile locato; - il conduttore potrà chiedere l'indennità per miglioramenti ed addizioni solo se apportati con il consenso dei locatore, che non può desumersi da un comportamento di mera tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara e non equivoca espressione di volontà, ovvero in un'esplicita approvazione degli interventi, "così che la mera consapevolezza, o la mancata opposizione, del locatore riguardo agli stessi non legittima il conduttore alia richiesta d'indennizzo" nel caso di specie, le condizioni legittimanti la sospensione dei pagamento del canone o la riduzione del suo ammontare sono da escludersi con riferimento alle circostanze riferite nel corso del giudizio così come non sussistono i presupposti per condannare la locatrice al rimborso delle spese sostenute per miglioramenti ed addizioni apportati all'immobile locato non essendo state provate le particolari circostanze che legittimano tale eccezione (ovvero il consenso chiaro ed inequivocabile all'esecuzione delle opere innovative). Pertanto le domande/eccezioni formulate da (...) S.R.L. non possono trovare accoglimento in quanto infondate in fatto e/o in diritto e comunque non provate, mentre l'inadempimento delle obbligazioni contrattuali a suo carico, accertato anche nel corso del presente giudizio, integra certamente i presupposti di cui agli articoli 5 L. n. 392 del 1978 e 1455 del codice civile e consente di dichiarare la risoluzione del contratto di locazione che intercorre tra le parti per inadempimento della (...) S.R.L. con condanna della stessa al pagamento in favore di (...) dei canoni scaduti, oltre ad interessi legali ed accessori tutti, maturati e non pagati sino alla data di effettivo rilascio dei beni avvenuto in data 20 giugno 2022. Inoltre per il generale principio della soccombenza, la (...) S.R.L. va altresì condannata alla rifusione in favore di (...) delle spese e competenze del giudizio che si liquidano, tenuto conto anche dell'assistenza prestata per la procedura obbligatoria di mediazione ex D.Lgs. n. 28 del 2010 e delle spese sostenute per ottenere la liberazione degli immobili, in Euro 4.500,00 oltre IVA e CPA come per legga. P.T.M. Il Tribunale di Brescia - Sezione s5 - in persona dei Giudice dott.ssa Paola Agliardi, disattesa ogni diversa istanza e respinta ogni eccezione contraria, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da(...)con sfratto per morosità e citazione per la convalida ritualmente notificato nei confronti della(...) S.R.L. così provvede: - dichiara la risoluzione del contratto di locazione ad uso commerciale intercorrente tra le parti, relativo ad immobili posti in S., Località C., Via (catastalmente identificati con i mappali (...) sub. (...) Cat. (...) e (...)sub. (...) Cat. (...) del Foglio (...)), per inadempimento della società (...) S.R.L; - rigetta le domande/eccezioni formulate da (...) S.R.L. in quanto infondate in fatto e/o in diritto e comunque non provate; - conferma, per quanto occorrer possa, la precedente ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c.; - condanna la società (...) S.R.L. al pagamento in favore di(...)dei canoni scaduti, oltre ad interessi legali ed accessori tutti, maturati e non pagati sino alla data di effettivo rilascio dei beni, avvenuto in data 20 giugno 2022; - condanna la (...) S.R.L. al pagamento in favore di(...) delle spese e competenze del giudizio che si liquidano, tenuto conto anche dell'assistenza prestata per la procedura obbligatoria di mediazione ex D.Lgs. n. 28 del 2010 e delle spese sostenute per ottenere la liberazione degli immobili, in Euro 4.500,00 oltre IVA e CPA come per legga. Così deciso in Brescia, il 28 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA SEZIONE QUINTA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Alessia Busato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al N. R.G. 15271/2019 promossa da: S.C., rappresentato e difeso dall'avv. Glauco Arcaini -ATTORE- contro B.B. SOCIETA' PER AZIONI, rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) -CONVENUTO- FATTO E DIRITTO Con atto di citazione del 24 ottobre 2019 C.S. conveniva in giudizio B.B. S.p.a. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti l'investimento in diamanti, effettuato su suggerimento dei funzionari del predetto istituto di credito, rivelatisi difformi per contenuto e valore rispetto a quanto prospettato all'atto della stipula. In particolare esponeva che le proposte di investimento erano pervenute dai funzionari dell'istituto di credito i quali avevano rappresentato i diamanti non solo quale bene rifugio bensì quale investimento con alta redditività nel lungo periodo consegnando, a supporto di tali indicazioni, documentazione illustrativa dell'investimento riconducibile alla società "partner", I. S.p.a. Precisava che la proposta di acquisto era stata raccolta dagli stessi funzionari dell'Istituto di Credito i quali avevano anche materialmente predisposto l'ordine di bonifico dal conto dell'attore al conto della società venditrice. Allegava di aver successivamente verificato che il valore dei diamanti, all'epoca degli acquisti, era pari, complessivamente, ad Euro 4935,80 a fronte di un prezzo di acquisto di Euro 13.229,00, e che il loro valore dall'epoca dell'acquisto era diminuito a riprova dell'inidoneità dell'investimento quale bene rifugio. Evidenziava inoltre che, da un'istruttoria svolta da A., era emerso che B.B. S.p.a. non aveva provveduto ad alcuna verifica della veridicità delle informazioni diffuse a suo mezzo da I. S.p.a., nel frattempo dichiarata fallita, ed era stata beneficiaria di ingenti provvigioni in ragione degli acquisti effettuati dagli acquirenti dalla stessa "segnalati". In ragione di quanto sopra riteneva, pertanto, la convenuta responsabile: - in ragione del ruolo assunto di promotore all'investimento in diamanti, per l'intervenuta violazione dei doveri ex art. 1175 c.c., configurandosi nei confronti dell'operatore qualificato anche una culpa in omettendo; - in ragione della violazione del generale dovere di solidarietà sociale gravante anche sull'Istituto di Credito; - in ragione dello status di operatore qualificato rivestito dall'Istituto di Credito nei rapporti coi soggetti privati ai quali veniva proposto l'investimento in diamanti, essendo stati violati degli obblighi di correttezza sullo stesso gravanti in ragione del ruolo di pubblico affidamento rivestito; - ex art. 1218-1375 c.c. avendo prestato, nella stipula dell'operazione di investimento, un'attività "connessa all'attività bancaria" ossia un'attività che pur non essendo strettamente bancaria consente all'Istituto di Credito di Sviluppare l'attività esercitata (rif. Art. 8co. 3 D.M. Tesoro 6 luglio 1994) violando gli obblighi di protezione e tutela dell'altro contraente; - per la violazione degli obblighi di informativa attiva e passiva dell'art. 21 t.u.f., nonché ex art. 28 e 29 reg. Consob n. 11522/1998 qualora si ritenga l'investimento in diamanti un investimento finanziario ovvero che la Banca abbia assunto il ruolo di intermediazione nell'investimento. Chiedeva, pertanto, la condanna dell'istituto di credito convenuto al risarcimento del danno quantificato nell'importo pari al valore delle somme investite per l'acquisto dei diamanti o, per l'ipotesi di restituzione dei beni da parte del fallimento, nella differenza tra il prezzo pagato a I. s.p.a. per l'acquisto dei diamanti e il valore di mercato del prezzo dei diamanti al momento dell'acquisto. Si costituiva ritualmente B. S.p.a. che, contestata l'inidoneità a valere quale prova privilegiata dell'accertamento svolto dall'A., riguardante intervenute violazioni dei diritti dei consumatori anziché del diritto della concorrenza, evidenziava la propria estraneità al contratto di compravendita dei diamanti - concluso tra parte attrice e I. S.p.a. - allegando di aver svolto il mero ruolo di segnalatore e facilitatore dei rapporti tra i due soggetti contraenti. Ricostruito il rapporto di collaborazione con I. s.p.a. rilevava che le obbligazioni risarcitorie conseguenti ad una pretesa responsabilità contrattuale di quest'ultima non avrebbero mai potuto far carico su un soggetto terzo, estraneo al contratto, quale era la banca. Contestava inoltre la configurabilità di una responsabilità da "contatto sociale" e applicabilità del TUF e dei regolamenti attuativi. Quanto ad una eventuale responsabilità extracontrattuale eccepiva la prescrizione del credito contestando in ogni caso la sua fondatezza. Eccepiva inoltre il concorso di colpa dell'attore rilevando che questi, utilizzando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto avvedersi di quale fosse il ruolo della banca e quale quello di I. s.p.a. nonché del fatto che il prezzo proposto e praticato dalla stessa I. s.p.a. era dalla medesima determinato e che il corrispettivo della vendita doveva comprendere tutti i servizi enumerati nel materiale informativo. Segnalava, inoltre, che non risultava che l'attore avesse formulato alcuna richiesta di chiarimenti a I. circa le voci componenti il corrispettivo e le modalità con cui le pietre erano state valorizzate e che, in ogni caso, le condizioni di vendita offrivano espressamente agli acquirenti la possibilità di recedere dall'acquisto. Chiedeva pertanto il rigetto della domanda. La causa, istruita mediante assunzione di prova orale ed espletamento di consulenza tecnica, veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni come in epigrafe indicate. La domanda di parte convenuta merita sostanziale accoglimento. Quanto alla ricostruzione del fatto storico costituito dalle modalità di conclusione dei contratti di acquisto dei diamanti, non è contestato che l'attore fosse cliente di B. S.P.A. (all'epoca dei fatti C.B.), né è contestata la qualifica di consumatore del sig. C. e la sua bassa propensione al rischio. Parimenti prive di contestazioni sono le allegazioni in ordine al fatto che l'attore fosse venuto a conoscenza della possibilità di investire in diamanti presso la filiale dell'Istituto di Credito, ove era presente il materiale informativo di provenienza I. S.p.a. Non vi è una prova diretta della concreta attività posta in essere dall'istituto di credito ai fini della conclusione dei contratti di compravendita di cui sopra: i due testimoni escussi sul punto hanno infatti sostanzialmente dichiarato di non ricordare le circostanze relative alla conclusione dei due contratti (cfr. deposizione della testimone P. e del testimone B.). Peraltro, la valutazione complessiva del materiale probatorio acquisito, porta comunque a ritenere provata l'attività di intermediazione alla vendita da parte dell'istituto di credito convenuto. E' infatti emerso che tale tipologia di investimento era trattata quale "prodotto di investimento" da parte dell'Istituto di Credito, che pertanto procedeva spontaneamente a proporlo alla propria clientela riconducendolo alla prassi della diversificazione degli investimenti. Il teste V.B., dipendente del B.B., ha infatti dichiarato che "La vendita di diamanti veniva condotta attraverso la condivisione con il cliente attraverso un investimento che doveva essere non speculativo. A supporto venivano forniti delle brochure da parte di I. nel quale veniva confermato che l'acquisto dei diamanti era relativamente sicuro. ADR Si trattava di un prodotto a catalogo della banca e come tutti i prodotti quando si aveva davanti il cliente se ne parlava e lo si proponeva. La direzione su questa tipologia di prodotti diceva di non concentrare nel portafoglio questi prodotti perché avevano orizzonte temporale di investimento lungo (almeno 7 anni) quindi di non superare il 20, 25%"). E il teste, A.P., ex dipendente della convenuta ha confermato che ".... dalla sede arrivavano dei tabulati compilati con indicati dei nominativi da contattare per proporre l'acquisto di diamanti. Preciso che si tratta di un modus operandi su tutti i prodotti dell'istituto. Vi erano inoltre delle riunioni mensili in filiale tenute dal direttore nel corso delle quali il direttore indicava il budget del mese indicando a titolo esemplificativo anche quanti diamanti dovevano essere collocati. Se c'era il tabulato inviato dalla sede si partiva da quello altrimenti l'impiegato addetto al servizio doveva farsi l'elenco dei clienti per proporre i prodotti da vendere. Preciso che se era il collega addetto a dover individuare i nominativi poi la direzione intendendo il responsabile di sede sentiva tutti gli addetti chiedendo conto di chi avessero sentito e dell'esito. Preciso che in filiale funzionava così". Peraltro lo stesso contratto di collaborazione concluso tra l'istituto di credito e I. s.p.a. nelle premesse indica che l'istituto di credito è disponibile a collaborare "informando i propri clienti sulla possibilità di acquistare diamanti dalla medesima I.". Da quanto sopra si evince chiaramente che la politica aziendale era quella di trattare l'acquisto dei diamanti come un prodotto finanziario da proporre alla clientela sicché può ben ritenersi coerente con l'id quod plerumque accidit che l'acquisto dei diamanti, presentati come bene rifugio, sia stato effettivamente proposto dall'istituto di credito all'attore quale cliente con bassa propensione al rischio. Deve in ogni caso essere rilevato che quand'anche fosse stato l'attore a chiedere informazioni all'istituto di credito in merito all'acquisto, l'attività di consegna del materiale informativo e di gestione dell'ordine di acquisto è sempre riconducibile all'intermediazione alla vendita. E' pacifico infatti che i funzionari della Banca hanno provveduto a raccogliere gli ordini di acquisto (tant'è che negli ordini di acquisto, doc. 1A e 5, compilati presso la filiale non è presente la firma dell'"agente intermarket") e a formalizzare il pagamento predisponendo il bonifico a saldo del prezzo. L'istituto di credito si è inoltre prestato a fare da tramite delle comunicazioni tra il Cliente e I. S.p.a., così concretamente contribuendo alla consolidazione del primo contratto, nonché all'induzione di parte attrice alla stipula del secondo acquisto. Sul punto è dirimente la lettura del doc. 3 allegato da parte attrice, datato 8 marzo 2013, ovvero pochi mesi prima dell'inoltro del secondo ordine di acquisto (del 7 agosto 2013) laddove il documento risulta intestato "(...) C.S." e, indicato il n. di certificato del diamante in cui ne viene indicato il valore. Al di là di ogni considerazione in merito alla veridicità delle informazioni comunicate, tale documento, consegnato dall'Istituto di Credito e riportante a chiare lettere "Gruppo Banca", conferma il ruolo di apparente garante della bontà dell'operazione assunto dalla Banca, nonché il legittimo affidamento prestato dal sig. C. nell'operatore qualificato. Deve allora essere verificato se, in ragione dei rapporti in essere tra l'attore e l'istituto di Credito e della fattispecie concreta come sopra ricostruita, B.B. S.p.a. abbia posto in essere un comportamento astrattamente fonte di responsabilità risarcitoria, per poi, in caso affermativo, verificare se tale responsabilità sussista nel caso concreto. Quanto al primo profilo questo giudice condivide la ricostruzione di quella parte della giurisprudenza di merito che vede integrato, nel caso in esame, un'ipotesi di "responsabilità da contatto sociale". Come noto secondo la giurisprudenza della Suprema Corte il nostro ordinamento prevede che si possa incorrere in responsabilità contrattuale ex lege "anche in ragione del solo contatto sociale, poiché a questo si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire la tutela degli interessi che si manifestano e sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (cfr. Cass. n. 9085 del 2006, Cass. n. 12362 del 2006, Cass. n. 10297 del 2004, Cass. n. 589 del 1999 ed altre conformi); essa presuppone l'inadempimento di uno specifico obbligo giuridico già preesistente e volontariamente assunto nei confronti di un determinato soggetto (o di una determinata cerchia di soggetti). ... le obbligazioni derivanti dalla violazione di specifiche norme o principi giuridici preesistenti ricadono nella categoria degli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico, cui pure la medesima norma allude" (Cass. Sez. Un. 14712/2007). Si configura, quindi, un contatto sociale qualificato, idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., allorquando sia ravvisabile una relazione, volontariamente instauratasi, tra due soggetti determinati che, in ragione della speciale qualità di uno di essi, sia idonea ad ingenerare nell'altro un affidamento circa l'adempimento di obblighi di protezione ed informazione, in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione. Da tale relazione discendono a carico del professionista non già obblighi di prestazione ex art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione nonché di informazione ex artt. 1175 e 1375 c.c. Nel caso di specie, lo svolgimento dell'attività bancaria è caratterizzato da peculiare professionalità che si riflette necessariamente sull'intera gamma delle attività svolte nell'esercizio dell'impresa bancaria, e quindi sui rapporti che in quelle attività sono radicati. Dal che appunto dipende, per un verso, l'affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento, da parte dell'istituto di credito, dei compiti inerenti al servizio offerto e, per altro verso, la specifica responsabilità in cui l'istituto di credito incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, egli non osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge. E che nel caso in esame l'istituto di credito fosse tenuto, in virtù della sua specifica posizione, ad un obbligo di informazione chiara e veritiera è confortato anche dalla posizione assunta dalla stessa B.I., nella comunicazione del 2018 richiamata da parte attrice che, seppure successiva alla conclusione dei contratti, esprime un principio che si fonda su norme generali applicabili anche ai contratti precedentemente conclusi. In tale comunicazione è precisato che, per quanto riguarda l'investimento in diamanti, le banche devono garantire adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi in un'ottica di massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali: le commissioni applicate; l'effettivo valore commerciale delle pietre preziose; la possibilità di rivendita. Accertata pertanto l'astratta prospettabilità di una responsabilità ex lege è necessario verificare se, nel caso concreto, l'istituto di credito abbia violato gli obblighi di buona fede, informazione e protezione di cui sopra e se tali violazioni siano in nesso di causa con il danno lamentato dall'attore e pertanto se siano in nesso di causa con la conclusione dei due contratti di acquisto dei diamanti. Anche a tali domande non può che darsi risposta positiva. Parte attrice, nella sostanza, lamenta l'omessa informazione, da parte dell'istituto di credito, in merito alle modalità di determinazione del prezzo di acquisto dei diamanti e alla possibilità di liquidazione degli stessi. Quanto al valore dei diamanti, nella brochure informativa non vi è alcun cenno al fatto che questo fosse determinato in autonomia dalla venditrice e che fosse comprensivo di oneri accessori (tra i quali la provvigione dovuta all'istituto di credito). Le informazioni contenute nella brochure sono anzi decettive in quanto se è vero che viene indicato che I. s.p.a. pubblica trimestralmente la quotazione dei diamanti è anche vero che non viene precisato che la quotazione è quella effettuata in autonomina dalla stessa I. e, soprattutto che tale quotazione non era relativa al solo valore intrinseco o di mercato dei diamanti ma che comprendeva anche il costo di varie prestazioni accessorie. Il riferimento alla "quotazione" di beni, quali i diamanti, presentati quale investimento, il richiamo al fatto che tali beni hanno un "mercato sicuro" (come riportato nel paragrafo "il colore: andare per gradazioni"), il riferimento al concetto di "incontro tra domanda ed offerta" (nel paragrafo "un investimento con requisiti ben C.") sono elementi che portano il lettore della brochure a ritenere che le quotazioni richiamate, seppure pubblicate da I., siano "oggettive" e non frutto di una valutazione discrezionale della venditrice comprensiva di oneri accessori. Anche l'omessa precisazione, nella brochure e nella proposta di acquisto, dell'importo attribuito al valore di mercato del diamante e dell'importo atto a remunerare i servizi accessori (oltre che quelli dell'istituto di credito) si appalesa come chiara violazione del dovere di informazione. Né tale responsabilità può ritenersi esclusa dalle clasuole - relative all'esonero di responsabilità - pattuite nel contratto concluso tra l'istituto di credito e I. s.p.a. o da quanto riportato in calce alla brochure illustrativa dell'investimento. Quanto al primo profilo l'esonero di responsabilità dell'istituto di credito nei rapporti con I. s.p.a. è circostanza che non rileva con riguardo alla posizione dell'attore, terzo estraneo rispetto alla regolamentazione contrattuale dei rapporti tra convenuta e I. s.p.a. Quanto al secondo profilo la responsabilità da contatto sociale non può ritenersi derogata dall'indicazione di esonero di responsabilità contenuta nella brochure nella quale la banca, dopo aver confermato di svolgere attività di "orientamento" e aver precisato che "informazioni più approfondite in merito all'investimento potranno essere chieste solo " a I. precisa che la banca "non assume alcuna responsabilità in proposito, con particolare riferimento alle caratteristiche della pietra", in quanto a tacer d'altro, è evidente che l'asserito esonero dalla responsabilità non riguarda le informazioni contenute nella brochure né l'attività di orientamento. Il nesso di causa tra tale violazione informativa e la conclusione dei contratti di acquisto può ritenersi provato in via indiziaria essendo scarsamente coerente con l'id quod plerumque accidit che un investitore prudente che si volge all'acquisto di "beni rifugio" paghi per servizi accessori un prezzo ben maggiore rispetto al valore del bene acquistato (sul divario tra il valore di mercato dei diamanti e il costo di acquisto cfr. infra). Né certamente può essere riconosciuta una responsabilità concorrente del sig. C. nella causazione del danno per aver questi fatto un "incauto affidamento" nella correttezza di comportamento dell'Istituto di Credito: al contrario, è l'Istituto di Credito che, ben consapevole dell'affidamento del C., in virtù del rapporto di gestione patrimoniale in essere, avrebbe dovuto evitare qualsivoglia comportamento atto a ingenerale confusione in merito alle modalità di determinazione del valore di acquisto dei diamanti. Né ha rilievo la facoltà di recesso in assenza di prova, che deve essere fornita dalla convenuta, che entro la data nella quale poteva essere esercitato il recesso l'attore era venuto a conoscenza dell'effettivo valore di mercato del bene acquistato. Quanto alla quantificazione del danno l'attore ha, in corso di causa, espressamente limitato l'azione al risarcimento del danno pari al valore differenziale tra il costo di acquisto del diamante e il valore delle pietre alla data dell'espletata CTU, avendo optato per la conservazione dei contratti di acquisto ed ottenuto nelle more del processo il possesso dei due diamanti acquistati. Ritiene questo Giudice che, essendo il danno integrato dall'aver parte attrice acquistato un bene ad un prezzo superiore rispetto al valore di mercato dello stesso e senza chiara indicazione che il prezzo era determinato con riferimento anche a spese per servizi accessori, lo stesso debba essere quantificato in un importo pari alla differenza tra il costo sostenuto dall'attore all'atto di acquisto e il valore di mercato dei diamanti alla medesima data. E' in quel momento infatti che si esaurisce la condotta illecita contestata nei termini di cui sopra. Né ha rilievo che nel prezzo di acquisto fossero compresi una serie di servizi accessori la cui incidenza sul prezzo di acquisto non è stata meglio esplicitata nella proposta di acquisto e nel materiale informativo, considerando che l'attività illecita consiste proprio nel non prospettare l'effettivo valore di mercato del bene acquistato avendo indotto in errore sullo stesso prospettandone la coerenza con quotazioni apparentemente oggettive ma frutto di valutazione discrezionale di I. s.p.a. e comprensive di oneri accessori. Deve, pertanto, riconoscersi, a titolo di risarcimento del danno, l'importo differenziale tra il prezzo di acquisto dei beni e il valore degli stessi al momento dell'acquisto come accertato dal CTU. Sotto tale profilo deve rilevarsi che la valutazione del CTU con riguardo al valore dei diamanti alla data di acquisto è pienamente condivisibile essendo le uniche due contestazioni mosse dal CTP di parte convenuta in sede di operazioni peritali non idonee ad inficiarne il valore. Quanto ai listini utilizzati dal CTU relativi alla vendita all'ingrosso, questi ha previsto un ricarico del valore stante la vendita al dettaglio, quanto ai costi per gli oneri accessori gli stessi sono irrilevanti per i motivi sopra indicati. Alcun valore può, poi, essere dato allegazione di parte convenuta in merito alla possibilità del sig. C. di ottener un indennizzo da parte del fallimento, essendo l'allegazione tardiva e comunque priva di supporto probatorio ritualmente acquisito. In definitiva, pertanto deve essere riconosciuto a titolo risarcitorio l'importo complessivo di Euro 8.579,22. Trattandosi di un debito di valore gli importi di cui sopra dovranno essere rivalutati all'attualità dalla data di conclusione dei contratti. Sulle somme di cui sopra rivalutate da anni in anno decorreranno gli interessi legali dalla data di conclusione dei contratti. Le spese di lite seguono la soccombenza e, giusta nota, vengono liquidate in Euro 5.077,00 per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori di legge, rimborso CU e marca. Spesa di CTU, come liquidata con separato decreto, definitivamente a carico di parte convenuta salva la solidarietà. P.Q.M. Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, rigettata ogni contraria istanza, deduzione, difesa o eccezione, così dispone: condanna B.B. S.p.a. a corrispondere a S.C., a titolo di risarcimento del danno per la causale di cui in parte motiva, l'importo di Euro 8.579,22, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dal 5/4/2012 sull'importo di Euro 4.126,42 e dal 14/10/2013 sull'importo di Euro 4.452,08; spese liquidate come in parte motiva. Così deciso in Brescia, il 20 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRESCIA Sezione Lavoro, Previdenza e Assistenza obbligatoria in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa Isabella Angeli, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella controversia di primo grado promossa da (...) con l'avv. (...) - ricorrente contro (...) S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore con gli avv. (...) - resistente Oggetto: Altre ipotesi All'udienza di discussione, i procuratori delle parti concludevano come da rispettivi atti. MOTIVI DELLA DECISIONE Con ricorso ex art. 414 c.p.c. (...) ha adito l'intestato Tribunale esponendo di essere stato assunto in data 8.6.1988 da Azienda Servizi Municipalizzati di Brescia - con la qualifica di operaio di secondo livello super, con orario di lavoro pari a 6 ore e 30 minuti al giorno per sei giorni alla settimana - e di essere transitato senza soluzione di continuità alle dipendenze di (...) S.p.a., a seguito di cessione di ramo d'azienda, con decorrenza dal 1.1.2008. Ha rappresentato, in particolare, di essere addetto alla movimentazione dei cassonetti stradali per la raccolta differenziata dei rifiuti, del loro trasporto e del conferimento negli impianti di destinazione; ha precisato di svolgere le proprie mansioni quale "mono operatore", a bordo di autocarri senza contatti con altri lavoratori o con soggetti terzi. Ha rappresentato, altresì, di essere stato allontanato dal luogo di lavoro dal 15.10.2021 al 16.1.2022, con sospensione della relativa retribuzione, per essersi rifiutato di esibire la certificazione verde prevista dal d.l. 127/2021 conv. l. 165/2021 (c.d. green pass). Ha aggiunto di non avere mai dichiarato di essere privo della certificazione stessa, ma di non aver ritenuto necessario adempiere a tale richiesta, non manifestando sintomi influenzali, indossando dispositivi di protezione (mascherina) e svolgendo la propria prestazione lavorativa senza contatti interpersonali. Ha sostenuto l'illegittimità della citata disposizione, foriera di ingiustificate discriminazioni tra i lavoratori muniti e quelli privi di green pass a prescindere dal loro stato di salute e dell'effettiva sussistenza di un pericolo per la sicurezza collettiva in ragione delle caratteristiche delle specifiche attività professionali. Ha dedotto che la normativa in esame, equiparando l'omessa esibizione del green pass all' assenza ingiustificata, con conseguente sospensione della retribuzione, risultava contraria a principi di rango costituzionale (artt. 1, 2, 3, 4, 13, 35, 36, 38,1 17 comma 1, Cost.) ed europeo (artt. 49 e 52 Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE). Ha chiesto, dunque, previ i necessari accertamenti e la disapplicazione del d.l. 127/2021, la condanna di (...) S.p.a. al pagamento di tutti gli emolumenti di natura retributiva e contributiva relativi ai 53 giorni di sospensione dal lavoro, disposta in applicazione della normativa censurata. Con memoria ritualmente depositata si è costituita in giudizio (...) S.p.A., innanzitutto precisando che le giornate di assenza ingiustificata del lavoratore erano state 52 e non 53 e che, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, le sue mansioni prevedevano anche un previo accesso ai locali aziendali (portineria, spogliatori, ufficio tecnico, magazzino, officina, piazzale) nonché ad utenze non domestiche della città ed impianti. Ha dedotto, in ogni caso, l'irrilevanza delle concrete modalità di svolgimento dell'attività, ai fini dell'applicazione dell'obbligo di green pass, a fronte della normativa ratione temporis applicabile, correttamente osservata per tutto il periodo in contesa. Ha sostenuto, infine, la legittimità del decreto legge contestato da controparte, in ragione dell'interesse collettivo tutelato nonché della circostanza che, al fine di ottenere la certificazione verde, non fosse necessario sottoporsi al alcun trattamento sanitario, ma fosse sufficiente un test antigenico rapido o molecolare (cd. tampone), senza alcuna compromissione della libertà di autodeterminazione. Ha chiesto, dunque, il rigetto integrale delle domande avversarie. Il ricorso non può essere accolto per le ragioni di seguito esposte. Come noto, l'art. 3 d.l. 127/2021 conv. l. 165/2021 ha introdotto l'art. 9-septies nel d.l. 52/2021 conv. l. 87/2021, con il quale è stato previsto, dal 15.10.2021 e sino al 31.12.2021 (data poi prorogata, dapprima al 31.03.2022 e poi al 30.04.2022) l'obbligo per chiunque svolgesse un'attività lavorativa nel settore privato, di possedere ed esibire su richiesta la certificazione verde COVID-19 di cui all'art. 9, comma 2, del medesimo decreto "ai fini dell'accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta". La norma prevedeva altresì che il datore di lavoro fosse tenuto a verificare il rispetto delle prescrizioni e che nell'ipotesi di mancato possesso dell'attestazione da parte di alcuni dipendenti, gli stessi dovessero considerarsi "assenti ingiustificati" con conseguente sospensione dalla retribuzione e da ogni altro compenso ed emolumento, senza conseguenze disciplinari. Dalla mera lettura della disposizione citata si evince come la stessa fosse destinata a trovare applicazione con riferimento a tutti i lavoratori del settore privato, compreso quindi il (...). La normativa, infatti, ha introdotto una deroga solo per coloro che fossero stati esentati dalla somministrazione del vaccino, sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti dal Ministero della salute. Lo stesso ricorrente, d'altro canto, non ha negato di essere destinatario dell'obbligo di green pass, ma ha contestato la legittimità della norma laddove: - ha introdotto un dovere indiscriminato di possesso ed esibizione della certificazione, a prescindere dalle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e dall'effettivo stato di salute del dipendente; - ha equiparato il mancato possesso del certificato ad un'assenza ingiustificata con sospensione della retribuzione, anche laddove il dipendente stesso si presentasse correttamente al lavoro senza sintomi influenzali. Ebbene, a fronte di tale quadro normativo, non si rilevano profili di illegittimità nella condotta della società. Invero, è pacifico che il datore di lavoro abbia rifiutato l'attività del (...) sulla base di disposizioni di rango primario che hanno reso impossibile la prestazione a carico del dipendente, nel periodo 15.10.2021-16.01.2022. Stante la natura sinallagmatica del rapporto tra le parti, correttamente (...) S.p.a. - sia ai sensi della normativa emergenziale sia secondo il generale principio di cui all'art. 1463 c.c. - si è rifiutata di versare alla controparte la retribuzione richiesta, che avrebbe integrato un indebito emolumento a fronte dell'assenza di controprestazione, per motivi non riconducibili alla destinataria della stessa. Sotto questo profilo, alcun rilievo assumono le argomentazioni di cui all'atto introduttivo del giudizio, relative alla presunta incompatibilità del d.l. 127/2021 con i principi di rango costituzionale ed europeo. Il datore di lavoro privato, infatti, non avrebbe certamente potuto violare consapevolmente una disposizione vincolante di rango primario, sulla base di una mera prospettazione di illegittimità della stessa, riammettendo in servizio il ricorrente non in possesso della certificazione verde obbligatoria. In altri termini, anche qualora si ritenessero fondate le censure del ricorrente relative alla normativa nazionale, non sarebbe comunque possibile qualificare come illegittima ora per allora la condotta datoriale ed in particolare l'omesso versamento della retribuzione al dipendente, a fronte della mancata percezione della prestazione lavorativa, rifiutata in ottemperanza alla legge vigente. Tanto è sufficiente a far ritenere infondate le domande di parte ricorrente. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenendo conto della natura e del valore della controversia nonché dell'assenza di istruttoria. P.Q.M. Definitivamente pronunciando ogni contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede: respinge il ricorso; condanna (...) a rimborsare ad (...) S.p.a. le spese di lite, che si liquidano complessivamente in Euro 2.000, oltre a spese generali al 15%, IVA, CPA. Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza. Sentenza provvisoriamente esecutiva. Così deciso in Brescia il 2 febbraio 2023. Depositata in Cancellaria l'11 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brescia, sezione seconda civile, nella persona del giudice unico dott. Luciano Ambrosoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 14004/2014 Ruolo Generale promossa da (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Va. e dall'avv. Ri.Ma., entrambi del foro di Brescia, per procura a margine dell'atto di citazione ATTORE contro (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Lu.Ma. foro di Brescia per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta CONVENUTO e nei confronti di (...) PLC - rappresentanza (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Ce.Al. del foro di Brescia per procura in calce all'atto di chiamata di terzo notificato TERZO CHIAMATO e di (...) (già F.S.n.c.), in persona del socio accomandatario, rappresentato e difeso dall'avv. Da.Ba. e dall'avv. St.Bi., entrambi del foro di Brescia, per procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta TERZO CHIAMATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto notificato il 23- luglio 2014 (...) S.r.l. ha citato in giudizio (...) S.r.l. e - premesso che la società gestisce il porto turistico di Pacengo di Lazise, composto da ormeggi per circa 200 barche e da una struttura coperta per rimessaggio di imbarcazioni al primo piano della quale si trovano ampi locali bagno a disposizione dei diportisti e dei dipendenti; che l'8 marzo 2012 ha stipulato contratto di appalto per la ristrutturazione dei locali bagno con (...) S.r.l. (doc. 1); che le opere, inclusa la pattuita sostituzione delle tubazioni di scarico delle acque bianche e nere dai punti di derivazione nei bagni sino all'allaccio alla fognatura, sono state eseguite tra marzo e giugno 2012 ed il prezzo di Euro 50.000,00 oltre IVA è stato per intero corrisposto (doc. 2/4); che lunedì 21 ottobre 2013 i dipendenti, nell'accedere agli uffici che si trovano al piano terra sotto i locali bagno ristrutturati, hanno trovato uffici e magazzino allagati e imbrattati da acqua di scarico ed escrementi (v. fotografie doc. 5); che, rimossa la struttura in cartongesso del controsoffitto, si è rilevato che il tubo delle acque nere presentava raccordo male eseguito (innesto nella colonna di scarico con tubo di diametro di 12 cm nel quale era inserito raccordo di diametro sensibilmente inferiore - 8,5 cm - e nessuna sigillatura - doc. 6) e il difetto è stato immediatamente denunciato a (...) S.r.l., il cui l'amministratore (...) ha eseguito il giorno stesso sopralluogo unitamente a personale dell'(...) S.a.s., subappaltatrice dei lavori idraulici, e ha constatato il difetto di installazione; che il 2 dicembre 2013 è stato eseguito sopralluogo da perito incaricato da (...), e nessun indennizzo è stato mai corrisposto - ha chiesto la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'allagamento, quantificati nella somma di Euro 15.933,57 o nel diverso importo da accertare, oltre ad interessi e rivalutazione. La società convenuta, costituita con comparsa depositata il 23 dicembre 2014, ha preliminarmente chiesto l'autorizzazione alla chiamata in manleva della società (...), quale subappaltatrice delle opere idrauliche, e del proprio assicuratore per la responsabilità civile (...) PLC; nel merito - confermato il contratto di appalto per ristrutturazione dei locali bagno, il subappalto a (...) S.n.c. delle opere idrauliche, la denuncia ricevuta dell'allagamento e il sopralluogo eseguito il giorno stesso insieme ad incaricati di (...) - ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata, e ha in particolare dedotto l'assenza di prova sia del difetto di posa dei tubi di scarico (che, sostiene, non era oggetto del contratto di appalto, giacché questo "non prevedeva assolutamente lo smantellamento delle precedenti tubazioni di scarico e la posa di nuove") sia della relazione causale tra i lavori eseguiti e i danni e così pure, infine , della loro quantificazione. Autorizzata la chiamata dei terzi, - (...) Plc si è costituita con comparsa depositata il 25 maggio 2015, con la quale - associatasi in via subordinata alle difese dell'assicurata (...) S.r.l. in ordine all'infondatezza della domanda attrice - ha in via principale eccepito decadenza di (...) S.r.l. dalla copertura assicurativa ai sensi degli artt. 1913 e 1915 c.c., per non avere denunciato il sinistro nel termine di 10 giorni da quando ne ha avuto conoscenza, e in ogni caso la non operatività della polizza (i) perché stipulata (il 24 maggio 2013) ben oltre la data di conclusione dei lavori (giugno 2012) e senza previsione di retroattività, (ii) perché non concernente il rischio da lavori di natura idraulica, (iii) per violazione degli obblighi di buona fede contrattuali ai sensi degli artt. 1892, 1893 e 1898 c.c. e (iv) per espressa esclusione pattizia della copertura per danni "cagionati da opere o installazioni in genere dopo l'ultimazione dei lavori". - (...) (già (...) S.n.c.), dichiarata contumace all'udienza del 25 giugno 2015, si è tardivamente costituita con comparsa depositata l'11 febbraio 2016, e, confermati il contratto di subappalto con la chiamante (...) S.r.l. e la realizzazione, in adempimento del subappalto, degli impianti sanitari e del raccordo del "nuovo impianto alla preesistente "colonna di scarico" posizionata subito al di sotto del piano di calpestio della zona oggetto delle opere", ha chiesto il rigetto della domanda nei propri confronti in quanto infondata; in particolare (...) ha dedotto (i) di avere eseguito le opere in conformità con le indicazioni dell'impresa subappaltante e utilizzando i materiali dalla stessa forniti e (ii) di avere in particolare realizzato "la giunzione tra le tubature di scarico ... e la colonna di scarico esistente ... mediante l'utilizzo di un collante/sigillante fornito proprio da (...) S.r.l."; ha inoltre (iii) contestato l'esistenza di relazione causale tra l'evento e la posa delle nuove tubazioni, tenuto conto del tempo trascorso tra l'allagamento (21 ottobre 2013) e la consegna del lavoro finito (giugno 2012), e ha prospettato quale spiegazione più verosimile che "la tracimazione delle acque nere sia l'effetto di una occlusione della colonna di scarico, in prossimità della base della stessa, tale da generare il progressivo riempimento della medesima, nel corso del tempo e sino al colmo", così come ritenuto - afferma - anche dal tecnico incaricato dal proprio assicuratore (...) S.p.A., e ha rammentato in aggiunta che, "in epoca successiva e prossima all'evento, durante un sopralluogo congiunto, venne rilevato che in un adiacente pozzetto di pertinenza del CONSORZIO G.U., una valvola di "non-ritorno" risultava mal funzionante, con il risultato che non era impedito il reflusso verso monte dei liquami"; ha infine contestato in quanto non provati i danni come quantificati dall'attore. Autorizzato il deposito di memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c., la causa è stata istruita mediante assunzione di interrogatori formali (dei legali rappresenti di (...) e di (...)) e di testimoni e acquisizione, con ordine di esibizione al terzo ex art. 210 c.p.c., della relazione del perito incaricato da (...) (depositata nel fascicolo telematico il 26 ottobre 2018), ed è stata infine trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti sopra riportate, con termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. E' documentato e non controverso che (...) S.r.l., con scrittura privata in data 8 marzo 2012 (doc. 1 attore), ha appaltato a (...) S.r.l. le opere di ristrutturazione dei locali bagno posti al primo piano dell'edificio aziendale sede del rimessaggio imbarcazioni nel porto turistico di Pacengo di Lazise 1.1 Tra le opere di generale rifacimento dei bagni, destinati ad utilizzo dei diportisti e dei dipendenti, è prevista anche la realizzazione di nuovo impianto idraulico e sanitari comprensivi di "impianto di scarico, in tubo polipropilene 110-40 cm raccordi (escluse colonne di discesa)" (pag. 4 e 9 del contratto). 1.2 I lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti, come da concordi allegazioni delle parti, tra marzo e giugno 2012, e (...) S.r.l. ne ha pagato l'intero prezzo di Euro 50.870,95 oltre IVA (doc. 2, 3, 4). 1.3 Così pure è certo e incontroverso che, per l'esecuzione delle opere idrauliche l'impresa (edile) (...) S.r.l. ha incaricato il subappaltatore (...) S.n.c. di (...) e (...) (oggi (...) S.a.s.), che ha emesso le fatture n. (...) e n. (...) del 2012 nei confronti della subappaltante (doc. 1 e 2 convenuto). 2. L'allagamento degli uffici e del magazzino al piano terra, scoperto dai dipendenti il mattino di lunedì 21 ottobre 2013 e dovuto ad ingente fuoriuscita di acque nere dai tubi di scarico del bagno nascosti dal controsoffitto in cartongesso, è documentato dalle fotografie allegate all'atto di citazione (doc. 5) e non è contestato dal convenuto (...) né dal terzo chiamato (...), i quali ebbero il giorno stesso notizia dell'accaduto ed eseguirono sopralluogo presso la sede di (...). 3. Quanto alla causa della fuoriuscita di acque nere, le deduzioni svolte in atto di citazione su quanto scoperto quello stesso lunedì 21 ottobre 2013 una volta fatto rimuovere il controsoffitto in cartongesso (inserimento nella colonna di scarico di innesto di diametro inferiore senza necessario raccordo e sigillatura, così come rappresentato nelle fotografie prodotte quale doc. 6) hanno trovato piena conferma nell'istruttoria orale e in particolare nelle testimonianze di (...) (impiegato all'epoca alle dipendenze di (...) S.r.l., il quale rammenta che furono chiamati per intervento urgente l'impresa idraulica (...) e il muratore (...) e che, rimosso il cartongesso, si riscontrò, nel punto di fuoriuscita dell'acqua, il differente diametro della colonna discarico, superiore a quello del tubo inserito e privo di raccordo e di sigillatura), e degli stessi artigiani intervenuti (l'idraulico (...) e il muratore (...), i quali riferiscono negli stessi termini in ordine al loro intervento e a quanto allora riscontrato, e riconoscono nelle fotografie sub doc. (...) quelle scattate a documentazione della situazione di tubi e innesti). 3.1 Diversamente da quanto prospettato da (...), non vi è dubbio che la sostituzione dei tubi di raccolta degli scarichi dei sanitari sino all'innesto nella colonna di discesa esistente costituisse opera compresa nell'appalto e sia stata in effetti realizzata dall'impresa idraulica subappaltatrice: di ciò si ha conferma, oltre che nei passaggi sopra richiamati del testo del contratto di appalto, nell'elenco delle prestazioni esposte nella fattura (...) n. 57/2012 (doc. 4 attore) e, eloquentemente, nella comparsa di costituzione di (...), la quale esplicitamente dichiara di avere "realizzato gli impianti sanitari e ? raccordato, secondo indicazioni precise della committenza e dell'appaltatrice, il nuovo impianto alla preesistente "colonna di scarico" posizionata subito al di sotto del piano di calpestio della zona oggetto delle opere", e con specifico riferimento alla "giunzione tra le tubature di scarico" nuove da essa collocate "e la colonna di scarico esistente" (di cui conferma il diverso diametro, sia pure riducendone la differenza: 8 e 10 cm, e non, come sostenuto dall'attrice - e risultante dalle fotografie - 8 cm e 12 cm) sostiene di averla "effettuata ... mediante l'utilizzo di un collante/sigillante fornito proprio da (...) S.r.l.!". 3.2 Irrilevante nel rapporto tra il committente (...) e l'appaltatore convenuto (...) approfondire il tema delle istruzioni e direttive impartite da (...) al subappaltatore e della fornitura di collante/sigillante in tesi utilizzato per la giunzione di tubo di scarico e colonna di discesa (la responsabilità contrattuale dell'appaltatore verso l'appaltante comprende ovviamente anche le opere di cui abbia affidato la realizzazione a propri subappaltatori), è comunque il caso di osservare sin d'ora, in quanto ciò direttamente attiene all'accertamento dello stato delle tubazioni all'atto della rimozione del controsoffitto in cartongesso e della corretta esecuzione delle opere, che il solo testimone che riferisce circa l'utilizzo di un sigillante, a suo dire fornito da (...), è (...), idraulico al tempo dipendente di (...), e che la sua deposizione è tuttavia assai generica (il teste non ricorda tipologia e misura di tubi, né il tipo di "collante specifico" in tesi fornito dal subappaltante (...), ma solo di avere eseguito lavori secondo indicazioni e con materiali provenienti dalla stessa: dunque neppure dice espressamente che l'innesto specifico oggetto di causa fu realizzato con raccordi per adattamento dei differenti diametri e sigillato, ma solo in via generale che materiali e collanti erano forniti dal subappaltante) e comunque evidentemente inidonea a provare l'esecuzione a regola d'arte dell'innesto, giacché fotografie e testimonianze acquisite (incluse quelle dei due artigiani P. e Z. intervenuti d'urgenza il 21 ottobre 2013) confermano sia la sensibile differenza di diametro e l'assenza di raccordi sia l'assenza di materiale sigillante. Sul punto appare del resto logica la considerazione che il legale rappresentante di (...) ha espresso in sede di interrogatorio formale allorché, nel negare di avere fornito sigillante e constatare che nessun sigillante risulta essere stato in concreto utilizzato, aggiunge: "non può essere utilizzato un sigillante non essendo identici i diametri dei tubi" (così pure confessando, nei confronti della propria committente C., la diversità dei diametri e l'assenza di corretto raccordo). 3.3 Positivamente provato l'errore invero grossolano di esecuzione del raccordo del tubo di scarico, resta da aggiungere che sia (...) che (...) fanno rinvio ad accertamento sulla causa del sinistro che sarebbe stato compiuto dal perito incaricato da (...), assicuratore per la responsabilità civile di (...), secondo il quale l'evento è stato determinato da occlusione della colonna di scarico che ha provocato il progressivo riempimento e la tracimazione delle acque nere, e la fuoriuscita è avvenuta in corrispondenza di tubazione preesistente, non interessata dalle opere di rifacimento del bagno: in realtà il perito assicurativo ha eseguito sopralluogo il 2 dicembre 2013, a ripristino delle tubazioni e dello stato dei luoghi già completato, e ha tratto le conclusioni richiamate da convenuta e terza chiamata non già da accertamenti diretti ma esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese nella denuncia di sinistro dalla ditta assicurata (...) (v. relazione Noxa 25 maggio 2014, acquisita per ordine ex art. 210 c.p.c. e depositata il 26 ottobre 2018, e comunicazione 5 settembre 2014 di mancato accoglimento della domanda di indennizzo, doc. 5 convenuto). 3.3.1 Posto che certamente, per quanto sopra esposto, è falso che l'acqua sia uscita da porzione delle tubazioni diversa da quelle posate in esecuzione del contratto di appalto, la relazione causale tra l'errata realizzazione dell'innesto nella colonna di scarico e l'allagamento dei locali del piano terra è pienamente accertata, e ciò indipendentemente da quale fu la causa immediata del rigurgito dei liquami: anche ammettendo la non provata circostanza della occlusione della colonna di scarico a causa di carta od oggetti gettati dai diportisti nei bagni del porto turistico o di difetto di manutenzione, qualora raccordi e tubazioni fossero stati correttamente realizzati le acque nere sarebbero risalite sino ai sanitari al primo piano e da qui, al più ed eventualmente, sarebbero fuoriuscite sul pavimento dei bagni, con danni e disagi assai più contenuti rispetto a quelli prodotti dall'allagamento, attraverso il controsoffitto in cartongesso, di pavimenti, pareti e arredi degli uffici e del magazzino del piano terra. Ed uguale considerazione vale per la possibile causa ulteriore prospettata dalla terza chiamata, che evoca un successivo sopralluogo congiunto (non si dice di chi) che avrebbe rivelato, in un adiacente pozzetto del Consorzio G.U., che "una valvola di "non-ritorno" risultava mal funzionante, con il risultato che non era impedito il reflusso verso monte dei liquami": l'allegazione, del tutto generica e indimostrata, non modifica le conclusioni sopra esposte (e propone anzi solo spiegazione che radicalmente esclude addebiti di incuria o scarsa manutenzione a carico del gestore del porto). 4. I danni provocati dalla fuoriuscita di liquami dalle tubazioni di scarico dei sanitari poste sotto il soffitto del piano terra e nascoste dal controsoffitto in cartongesso hanno interessato, come da allegazioni di parte attrice, il controsoffitto medesimo, le pareti perimetrali di uffici e magazzino, il pavimento in legno della zona uffici e le divisorie in cartongesso e in legno, arredi e oggetti vari: le allegazioni sono documentate da fotografie (doc. 5) e confortate inoltre dal racconto dei testimoni (...) e C.C., all'epoca del sinistro dipendenti di (...) S.r.l. (non più alla data della testimonianza) ed entrambi presenti il mattino del 21 ottobre 2013, allorché all'apertura degli uffici li trovarono allagati dalle acque nere. E del resto al riguardo (...) e (...), rappresentanti o incaricati dei quali eseguirono sopralluogo il giorno stesso del sinistro, al riguardano nulla obiettano. 5. Accertate dunque l'esistenza dei danni e la relazione causale di essi con l'errata esecuzione delle opere oggetto di appalto, (...) è contrattualmente responsabile (anche per il fatto del subappaltatore del quale si sia avvalsa) nei confronti del committente, e, in assenza di prova dell'impossibilità dell'adempimento per fatto ad essa non imputabile, va condannata al risarcimento del danno 5.1 Parte attrice quantifica il danno di cui chiede il risarcimento in ragione dei costi sostenuti per il ripristino dell'impianto di scarico dei bagni e dei beni danneggiati o lordati dalle acque nere, per importo complessivo di Euro 15.933,57, dei quali Euro 14.837,00 versati con bonifici in pagamento di fatture emesse dalle imprese che hanno eseguito opere di ritinteggiatura (doc. 8), rifacimento impianto elettrico e illuminazione (doc. 9 e 19), ricerca danno e ripristino impianto scarico dei bagni (doc. 10 e 21), eliminazione e rifacimento cartongesso (doc. 11 e 18), ed Euro 1.096,50 corrispondenti alla quota della retribuzione dei propri dipendenti (4) per le ore (110) da essi dedicate ai lavori di pulizia e ripristino per i quali (...) S.r.l. non si è rivolta a imprese esterne (rifacimento pavimenti e tramezza divisoria tra magazzino e ufficio, tinteggiatura soffitto in legno, svuotamento magazzino, pulizia beni ricoverati, scaffalature, arredi dell'ufficio). 5.2 Quanto ai costi documentati da fatture e bonifici relativi a opere di ripristino che per descrizioni appaiono certamente pertinenti rispetto ai danni provati e alle necessità di ripristino, in assenza di contestazioni se non generiche e a fronte di importi che prima facie appaiono congrui, la quantificazione del danno appare pienamente provata, fatta salva l'esclusione dell'IVA (che per (...) S.r.l. non costituisce voce di danno costituendo importo a credito vero l'erario, e che peraltro l'impresa edile Z. non ha esposto in fattura e (...) non ha pagato: v. fattura e bonifico di Euro 1.574,00, pari all'imponibile: doc. 18), cosicché l'importo capitale da riconoscersi per dette voci di danno ammonta a Euro 12.134,00. 5.3 Va pure riconosciuto il danno per le ore lavorative dei dipendenti (...), (...), (...) e (...): i lavori di pulizia e ripristino da essi effettuati sono confermati dai testimoni (...) e (...), sono in via logica confermati dalla circostanza che le opere di cui i 4 dipendenti sono stati incaricati rientrano certamente tra quelle necessarie alla luce delle fotografie sullo stato dei luoghi sopra richiamate e non sono comprese in alcuna delle fatture di altre imprese, appaiono per quantità di ore (110 totali, così calcolate dall'impiegata Amicabile, che conferma il conteggio effettuato) più che congrue in rapporto all'entità del lavoro da svolgere (si vedano in proposito anche le fotografie prodotte quale doc. 12, rappresentative dello stato di pavimenti, tramezze etc e dei lavori eseguiti dai lavoratori subordinati) e per importo (Euro 1.096,50) proporzionato rispetto al trattamento economico mensile dei dipendenti (v. buste paga sub 12) e certamente di gran lunga inferiore rispetto al costo che (...) avrebbe dovuto sostenere se gli stessi lavori li avesse appaltati a terzi. 5.4 Nel computo del capitale di Euro 15.933,57 di cui ha chiesto il risarcimento (...) S.r.l. ha omesso di calcolare i costi (Euro 208,00 + 280,06, al netto dell'IVA Euro 171,90 + 208,00) sostenuti per servizio di assistenza del registratore di cassa assistenza e sostituzione del registro corrispettivi (doc. 13 e 14), che pure ha esposto in narrativa immediatamente dopo le altre voci di danno: della diretta pertinenza di dette spese con danni in effetti provocati dall'acqua non vi è tuttavia prova e, siano o meno la mancata addizione di esse all'importo richiesto nelle conclusioni (sia pure con formula aperta alle maggiori o minore somme che risultino accertate) e l'assenza di prove orali e argomentazioni sul punto espressione di rinuncia a chiederne ristoro, nulla va per tale titolo liquidato. 5.5 A (...) S.r.l. spetta dunque risarcimento del danno per complessivo importo capitale di Euro 13.230,50, da rivalutarsi dal dì dell'evento ad oggi in Euro 15.638,45. Su detta somma spettano gli interessi compensativi, da calcolarsi a far tempo dalla stessa data sulla somma di Euro 13.230,50 anno per anno rivalutata, per un totale importo, ad oggi determinato comprensivo di rivalutazione e interessi, di Euro 16.292,78 (Euro 15.638,45 + 654,33). 5.6 Sulla somma così ad oggi determinata per capitale e interessi spettano infine gli interessi legali dalla pronuncia al saldo (cfr. Cass. Sez. II, 14 dicembre 1991, n.13508 secondo cui la sentenza che liquidi il danno per fatto illecito, attribuendo gli interessi cosiddetti compensativi a far data dall'illecito medesimo, costituisce un'obbligazione di valuta, come tale produttiva degli interessi di pieno diritto previsti dall'art. 1282 c.c. per i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro, anche con riguardo all'importo rappresentato dai detti interessi compensativi, i quali rappresentano una componente del debito complessivo, non un autonomo debito di interessi, e, quindi, si sottraggono alle disposizioni dell'art. 1283 c.c. in tema di anatocismo). 6. In ragione della soccombenza, la parte convenuta deve essere condannata al pagamento delle spese di lite, da liquidarsi per il giudizio in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e degli importi previsti per cause di valore compreso fra Euro 5.201,00 e Euro 26.001,00, in Euro 4.835,00 per compenso (importi medi per fasi studio, introduttiva, istruttoria e decisoria: Euro 875,00 + 740,00 + 1.600,00 + 1.620,00), oltre a spese generali in ragione del 15% (Euro 725,50) ed accessori, e al rimborso delle anticipazioni all'iscrizione della causa. 7. La domanda in garanzia proposta da (...) nei confronti del proprio assicuratore (...) va rigettata: al di là della oggettiva tardività della denuncia di sinistro (l'assicurato ha avuto conoscenza dell'evento il giorno stesso in cui è stato scoperto dal danneggiato, e la prima denuncia al proprio assicuratore avviene in data 11 luglio 2014 - doc. 4 convenuto - dopo che l'assicuratore di (...) ha rifiutato l'indennizzo e quando ormai da tempo lo stato dei luoghi è stato ripristinato), da ascriversi comunque al più a colpa per avere inizialmente tutti rivolto l'attenzione all'assicuratore del subappaltatore, è risolutivo considerare che, come da eccezioni immediatamente opposte dalla terza chiamata, la polizza è stata stipulata il 24 maggio 2013 (dopo il completamento delle opere) e l'art. 5, II, lett.. f della polizza espressamente esclude dalla garanzia RCT i danni cagionati da "opere, installazioni in genere dopo la ultimazione dei lavori o, qualora si tratti di riparazione, manutenzione o posa in opera, quelli non avvenuti durante il periodo di esecuzione dei lavori": in forza di tale clausola deve dunque ritenersi esclusa garanzia assicurativa per i danni al cliente dell'assicurato che i vizi dell'impianto abbiano prodotto in date successive alla consegna e accettazione dell'impianto (irrilevante la circostanza che la responsabilità dell'assicurato per danno a persone o cose prodottosi dopo la consegna derivi da condotta per intero esauritasi in corso di esecuzione dell'opera), in termini sia di menomata facoltà di utilizzo dei locali dell'azienda e/o del personale assunto e retribuito sia di minore produzione e così pure (per quanto qui in particolare interessa) di costi di ripristino o di rifacimento dell'impianto malfunzionante; ma per quest'ultimo (e nel caso in esame economicamente più rilevante) profilo va anche, più radicalmente, considerato che la pattuizione sulla esclusione di garanzia per i danni cagionati dalle opere dopo l'ultimazione dei lavori si innesta, nello stesso art. 5, in complessiva definizione contrattuale dell'oggetto della garanzia che chiaramente si riferisce ai soli danni a terzi cagionati nell'esercizio dell'attività d'impresa diversi da quelli direttamente inerenti l'esatto adempimento nei confronti del proprio committente, essendo infatti esplicitamente esclusa garanzia per i danni "alle cose sulle quali si eseguono i lavori e alle cose e/o opere in costruzione" (art. 5, II, lett. e). 8. E' invece fondata la domanda proposta nei confronti della terza chiamata (...), che ha per intero realizzato, in esecuzione del subappalto concluso con (...), le opere idrauliche e in particolare l'innesto dei tubi di scarico dei bagni nella colonna: quanto si è in precedenza esposto in ordine all'errata esecuzione del raccordo conduce logicamente ad affermare la responsabilità del subappaltatore nei confronti dell'appaltatore, e l'obbligo perciò di tenerlo indenne di ogni somma che lo stesso sia tenuto a corrispondere, a titolo di danni e di spese, in favore della committente (...) S:r.l.. 8.1 La difesa del terzo chiamato, che genericamente deduce di avere operato in conformità con le indicazioni di (...) e utilizzando il materiale (e il sigillante) dallo stesso fornito, non vale, innanzitutto, neppure astrattamente a prospettare la propria riduzione a mero esecutore o nudus minister del subcommittente: l'impresa idraulica ha assunto l'impegno ad eseguire l'opera con autonoma organizzazione di mezzi e persone, e la soggezione alle indicazioni di committente e direttore lavori non fa cadere l'autonoma responsabilità, tanto più a fronte di prestazione tanto grossolanamente viziata quanto quella di collegamento di tubi di scarico di diverso diametro senza adeguati raccordi, che quand'anche fosse stata frutto di direttive o ordini specifici non esimeva certo l'impresa idraulica dal rilevare l'errore e rifiutare l'esecuzione ("L'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze delcommittente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori" - Cass. sez. 1, 9 ottobre 2017 n. 23594). E nel caso in esame la terza chiamata non ha provato né offerto di provare che le sia stato ordinato di eseguire il collegamento così come effettuato, e, in ogni caso, neppure evoca di avere mosso osservazioni o di essersi opposta all'ordine in tesi incongruo, e non può perciò in nessun invocare, ad esclusione della propria responsabilità per inadempimento, l'efficacia esimente delle istruzioni del subcommittente delle quali pure avesse dato prova. 8.2 E peraltro l'allegazione di soggezione a istruzioni sulle operazioni e sul materiale (al di là della scarsa consistenza logica di un rapporto di subappalto che veda l'impresa edile subappaltante impartire all'impresa idraulica subappaltatrice istruzioni specifiche non già sull'opera voluta ma sulle modalità tecniche operative di esecuzione degli impianti e pure sui sigillanti da usare) è comunque totalmente sfornita di prova, ed è anzi contraddetta anche in punto utilizzo di sigillanti procurati dal subappaltante a fronte dell'accertata mancata applicazione di sigillanti e dalla stessa impossibilità del loro impiego in presenza di tubi di diametro differente e privi di idoneo raccordo. 8.3 Il terzo chiamato (...) S.a.s. va dunque condannato a tenere (...) S.r.l. indenne di quanto questa è condannata a pagare in favore di (...) S.r.l. 9. In ragione della soccombenza, (...) e (...) vanno rispettivamente condannate al pagamento delle spese di lite in favore, rispettivamente, di (...) (il principio di causalità, a fronte della immediata eccezione di non copertura e delle ribadite e immutate conclusioni dell'assicurato, fa ricadere le spese sulla chiamante) e della stessa (...), con liquidazione secondo i medesimi parametri e importi sopra esposti per le spese di lite di parte attrice. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, 1) condanna (...) S.r.l. al pagamento in favore di (...) S.r.l. della somma, ad oggi determinata comprensiva di interessi, di Euro 16.292,78, oltre a interessi legali dalla pronuncia al saldo; 2) condanna (...) S.r.l. al pagamento in favore di parte attrice delle spese di lite, che liquida in Euro 264,00 per anticipazioni, Euro 4.835,00 per onorari e Euro 725,50 per spese generali, oltre CPA e IVA; 3) condanna (...) a tenere (...) S.r.l. indenne degli importi che quest'ultima è condannata a versare in favore di (...) S.r.l. in forza dei capi 1) e 2); 4) rigetta la domanda di (...) S.r.l. nei confronti di (...) Plc; 5) condanna (...) alla rifusione delle spese di lite in favore di (...) S.r.l., liquidate in Euro 264,00 per anticipazioni, Euro 4.835,00 per onorari e Euro 725,50 per spese generali, oltre CPA e IVA 6) condanna (...) S.r.l. al pagamento delle spese di lite in favore di (...) Plc, liquidate in Euro 4.835,00 per onorari e Euro 725,50 per spese generali, oltre CPA e IVA. Così deciso in Brescia il 6 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BRESCIA In persona del G.O.T. dott. Maurizio Fabbrocini, in funzione di Giudice Unico, ha pronunziato, mediante, la seguente SENTENZA nel procedimento iscritto al n. R.G. n. 11337-20 del Ruolo Generale Affari Civili Contenziosi promosso con atto di citazione ritualmente notificato in data 15.10.20 le società (...) srl e (...) srl. con l'Avv.ti Pi. e Ma.Pe. - ATTORI - Contro SUPERCONDOMINIO "(...), con l'avv. Lu.Pe. -CONVENUTO- OGGETTO: IMPUGNATIVA DELIBERA CONDOMINIALE Come in atti che si hanno qui per integralmente ritrascritte MOTIVI DELLA DECISIONE L'oggetto del presente giudizio riguarda l'impugnativa della delibera assunta in data 25.09.2019 (punti n. 1, 3, 4, 8) dal supercondominio "(...)" Con riguardo all'impugnativa di cui al punto 1 odg relativo all'approvazione del bilancio consuntivo 2018/19 si rileva quanto segue. Si legge nell'impugnato verbale "L'assemblea chiede di non considerare nella votazione l'(...) in quanto in conflitto di interessi". Tale affermazione, risulta lesiva nei confronti dell'(...), cui di fatto è stato impedito di votare circa l'approvazione del bilancio consuntivo. Tale scelta adottata dall'assemblea è contraria alle norme che regolamentano il condominio ed ai principi giurisprudenziali in materia. La giurisprudenza è concorde nell'affermare che il condomino in (presunto) conflitto di interessi non può essere escluso dalla votazione, ma sarà eventualmente una sua scelta quella di astenersi dal voto. L'esclusione statuita dall'assemblea condominiale è tratta di una scelta nulla in quanto lesiva dei diritti del singolo. Sul punto, si richiama l'ordinanza della Cassazione Civile n. 20126 del 22.06.2022: "le maggioranze necessarie per approvare le delibere condominiali sono inderogabilmente quelle previste dalla legge, in rapporto a tutti i partecipanti e al valore dell'intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo, sia ai fini del quorum deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interessi con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio". Tale delibera è pertanto illegittima. Con riguardo all'impugnativa di cui al punto 3 odg si rileva quanto segue. Il verbale dà atto non ci sono voti favorevoli mentre ci sono dei contrari ed 1 astenuto, conclude tuttavia erroneamente dando atto che è stata approvata ad unanimità mentre in realtà dalla votazione riportata nel verbale è stata di fatto rigettata, trattasi di evidente errore formale. La relativa impugnazione deve pertanto essere accolta. Con riguardo all'impugnativa di cui al punto 4 odg, la stessa, rilevato che è stata assunta con 13 condomini per 134,02 millesimi deve essere annullata, senza le maggioranze - sia deliberative che costitutive - previste dalla legge. Con riguardo all'impugnativa di cui al punto 8 odg relativo al bilancio preventivo 2019-20 e relativo riparto, si rileva che la delibera è stata assunta senza le maggioranze - sia deliberative che costitutive - previste dalla legge, essendo necessarie le doppie maggioranze di cui all'art. 1136 comma 3 c.c., con conseguente illegittimità della stessa. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando in contraddittorio, ogni contraria istanza eccezione o deduzione disattesa, così provvede: - Annulla la delibera assunta il 25.09.2019 nei punti n. 1, 3, 4, 8 - condanna il SUPERCONDOMINIO "(...)", al pagamento delle spese di lite che si liquidano in favore di (...) S.R.L., e (...) S.R.L., per il giudizio e la fase di mediazione mediazione in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario del 15%, IVA e cpa. Così deciso in Brescia l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 3 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brescia, sezione seconda civile, nella persona del giudice unico dott. Luciano Ambrosoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 17051/2014 Ruolo Generale promossa DA (...) S.n.c., con sede in V. sul C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Fr.Ma. e dall'avv. Lo.Du., entrambi del foro di Brescia, per procura a margine dell'atto di citazione ATTORE contro (...), rappresentato e difeso dall'avv. Pa.Sa. del foro di Brescia per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta CONVENUTO e nei confronti di (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Is.Pa. del foro di Brescia per procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore e memoria 183 comma 6 n. 1 c.p.c. TERZO CHIAMATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato il 26 settembre 2014 la S.n.c. (...) - premesso di avere ultimato il 6 novembre 2007 la costruzione del complesso edilizio Villa Agnese sito nel Comune di Villanuova sul Clisi, composto da otto unità residenziali vendute a terzi e da essi abitate - ha convenuto il geometra (...) per chiederne la condanna al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 55.422,85 oltre IVA o nella diversa somma da accertare, subiti a causa dell'inadempimento dell'incarico professionale a lui conferito per la progettazione architettonica e la direzione lavori anche per le opere in cemento armato (v. denuncia dei lavori 7 agosto 2006 e dichiarazione di inizio lavori 30 marzo 2006, doc. 1 e 2). L'attore deduce in particolare che: - le otto unità residenziali che compongono il complesso sono poste a formare una "C" attorno ad una soletta sopraelevata, al di sopra della quale si trovano giardini pensili e posti auto di superficie, mentre al di sotto si trovano le autorimesse, il corsello di accesso e manovra e i locali accessori alle abitazioni; - il contratto di appalto (doc. 4, 4/a e 4/b), redatto dal geometra (...) e sottoscritto il 30 marzo 2006 con l'appaltatore P. S.r.l. (per scissione divenuto, in corso d'opera, (...) S.r.l.), prevede che (i) l'impermeabilizzazione delle superfici sia realizzata mediante guaine bituminose monostrato saldate a caldo su massetto cementizio a formazione della pendenza (voce 90 elenco prezzi, allegato B al contratto: "Impermeabilizzazione di superfici orizzontali con fornitura e posa di membrana impermeabilizzante bitume polimero ... di 4 mm di spessore ... in teli applicati con sormonti da cm 10 saldati a fiamma, con risvolti incollati a fiamma sulle pareti verticali per almeno 10 cm...") e, inoltre, (ii) impiego di "materiali coperti da idonea polizza assicurativa del produttore" (art. 11); - "nel corso dell'anno 2012" i proprietari delle unità abitative hanno contestato alla società (...) l'esistenza di infiltrazioni di acqua nell'interrato provenienti dalla soletta di copertura; - il geometra (...), "prontamente informato", "faceva eseguire numerosi fori nel soffitto al fine di consentire il drenaggio della soletta ed eliminare così le infiltrazioni ritenendo che vi fosse acqua residua risalente all'epoca della costruzione"; - "le infiltrazioni persistevano al punto che i condomini minacciavano il ricorso all'autorità giudiziaria (docc. 5 e 6)"; - (...) S.n.c. ha allora conferito all'arch. (...) di verificare lo stato della soletta e il professionista, con l'ausilio di un muratore, il 12 giugno 2013 ha eseguito carotatura mediante la quale ha verificato che l'impermeabilizzazione, da eseguirsi per progetto e per capitolato con guaina bituminosa saldata a caldo, era stata invece realizzata "mediante la sola stesura sul massetto di posa della pavimentazione di una membrana cementizia" ("Ma." di (...)); - (...) S.n.c. ha allora conferito all'arch. (...) incarico di redigere preventivo di spesa per le opere di ripristino e questi ha redatto computo metrico del complessivo importo di Euro 55.422,85 oltre IVA (v. perizia datata 26 giugno 2013, doc. 7 attore); - nel corso dell'estate 2013 (...) S.n.c. ha fatto eseguire le opere indicate dall'arch. (...), e ha sostenuto "una spesa complessiva ammontante ad Euro 55.422,85, come da fatture che si producono (docc. 8-14)"; - le nuove opere hanno risolto il problema delle infiltrazioni nel piano interrato. Per quanto esposto, (...) S.n.c. - prima con raccomandata AR 3 luglio 2013 dei propri legali (doc. 17) che deduce essere rimasta senza risposta, e poi con la notificazione dell'atto di citazione in data 26 settembre 2014 - ha contestato al progettista e direttore dei lavori geom. (...) l'inadempimento delle proprie obbligazioni di vigilanza e controllo sull'operato dell'impresa appaltatrice, in quanto: (i) quest'ultima, in violazione delle previsioni di capitolato, non ha eseguito l'impermeabilizzazione della soletta con membrana bituminosa saldata a caldo; (ii) egli ha ciò non di meno liquidato a favore dell'impresa, nel SAL n. 7 (doc. 15), la voce "impermeabilizzazione con membrana in bitume polimero" mai realizzata, per importo di Euro 3.230,00, e (iii) con il SAL n. 8 (16) anche la voce "impermeabilizzazione con mapelastic" per importo di Euro 3.800,00 ("attività" anch'essa, si sostiene in citazione in difformità invero con le stesse risultanze della relazione (...), "non eseguita dall'impresa e, tuttavia, corrisposta dalla (...) S.n.c."); (iv) non ha preteso dall'impresa appaltatrice la consegna di polizza assicurativa del produttore a copertura dei materiali impiegati per l'impermeabilizzazione. Costituitosi con comparsa depositata il 30 dicembre 2014 (...) ha in via preliminare chiesto l'autorizzazione alla chiamata in giudizio del proprio assicuratore (...) S.p.A.; nel merito ha chiesto il rigetto della domanda di (...) S.n.c. in quanto infondata per decadenza e per prescrizione (i relativi termini sono comunque decorsi, che si ritenga applicabile l'art. 2226 c.. o invece l'art. 1667 c.c. oppure ancora l'art. 1669 c.c.) e comunque per insussistenza dell'inesatto adempimento lamentato e per l'impossibilità di dare prova dell'esistenza dei vizi e dei danni, avendo la parte attrice eseguito, tra il 2007 e il 2013, più interventi di radicale modificazione dello stato dei luoghi, non preceduti da alcuna contestazione e verifica in contraddittorio. Con decreto depositato il 2 gennaio 2015 è stata autorizzata la chiamata in giudizio del terzo (...) S.p.A., il quale si è costituito il 5 giugno 2015 depositando comparsa con la quale ha chiesto in via principale respingersi la domanda di parte attrice e subordine, in caso di condanna del convenuto, ha invocato le cause di esclusione e di limitazione della copertura assicurativa previste dalle condizioni della polizza. Assegnati i termini per il deposito delle memorie ex art. 183 co. 6 c.p.c., la causa è stata istruita mediante assunzione dei testimoni indicati da attore e convenuto e interrogatorio formale delle due parti, oltre ad ordine al convenuto di esibizione della dichiarazione IVA per l'anno 2011 (richiesta dall'assicuratore ai fini di verificare l'eventuale aumento di rischio non comunicato, come previsto dal contratto di assicurazione in relazione all'art. 1898 c.c.), e all'esito è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni sopra riportate, con termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. (...) S.n.c. propone domanda di accertamento di inadempimento contrattuale e di risarcimento dei danni nei confronti del geometra (...) deducendo inesatto adempimento delle obbligazioni derivanti dall'incarico a lui conferito di progettazione architettonica e di direzione lavori per la realizzazione del complesso edilizio Villa Agnese in comune di Villanuova sul Clisi, che l'attrice ha costruito, appaltandone i lavori con contratto 30 marzo 2006 all'impresa edile P. S.r.l. (in seguito, per scissione, P. S.r.l.), con inizio lavori il 3 aprile 2006 e chiusura il 6 novembre 2007. 1.1 Secondo quanto dedotto da parte attrice gli acquirenti delle singole unità immobiliari hanno denunciato "nel corso dell'anno 2012" (così in atto di citazione) l'esistenza di infiltrazioni d'acqua nel piano interrato (autorimesse, corsello, locali accessori) provenienti dalla soletta di copertura, sulla quale si trovano giardini pensili e posti auto di superficie; in tesi attrice le infiltrazioni sono conseguenza dell'inadempimento del geometra (...), il quale non ha vigilato sulla corretta esecuzione dell'impermeabilizzazione della soletta (realizzata con membrana cementizia "(...)" anziché con guaina bituminosa saldata a caldo, o - così pare estendersi la doglianza dell'attore laddove contesta anche la voce (...) del SAL 8 - non realizzata affatto) e non ha inoltre preteso dall'impresa appaltatrice documentazione della polizza assicurativa del produttore dei materiali utilizzati per l'impermeabilizzazione. 2. Indiscusso che la prima denuncia scritta e contestazione delle infiltrazioni e della esecuzione di impermeabilizzazione difforme dal capitolato rivolta dalla committente (...) S.n.c. al proprio progettista e direttore lavori sia quella contenuta nella raccomandata di costituzione in mora 3 luglio 2013 (doc. 17 attore), le eccezioni di decadenza e di prescrizione sollevate dal convenuto (...) sono infondate, in quanto nel rapporto tra committente e professionista incaricato della progettazione e/o direzione lavori non trovano applicazione l'art. 2226 c.c. in materia di lavoro autonomo c.c. né gli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di appalto, ma la prescrizione ordinaria decennale dei diritti nascenti da contratto. 2.1 E' dunque irrilevante, ai fini della decisione su dette questioni preliminari di merito, considerare se l'intervento suggerito e fatto eseguire dal geometra (...), consistito nel praticare "numerosi fori nel soffitto al fine di consentire il drenaggio della soletta ed eliminare così le infiltrazioni ritenendo che vi fosse acqua interstiziale residua risalente all'epoca della costruzione" (citazione, pag. 3), costituisca riconoscimento dell'esistenza del vizio (con conseguente superfluità della denuncia e irrilevanza del suo ritardo) e, inoltre, volontaria assunzione dell'impegno all'eliminazione del vizio (con autonoma decorrenza di nuovo termine di prescrizione ordinaria). E' però sin d'ora il caso di evidenziare che il ruolo del geometra (...) nella decisione di eseguire i fori per drenaggio della soletta - che in atto di citazione l'attore allega essere successiva alle segnalazioni ricevute dai proprietari "nel corso del 2012" - è riconosciuto dallo stesso convenuto, il quale però lo colloca a fine 2007/inizio 2008 (in epoca in cui - afferma - egli era ancora impegnato per i lavori di completamento di particolari delle opere) e lo riconduce a propria iniziativa, indipendente da denunce di vizi (delle quali non vi è del resto non solo prova ma neppure chiara allegazione), in quanto funzionale alla eliminazione dell'umidità interstiziale che può naturalmente formarsi nel corso dei lavori per esecuzione della soletta e non invece a porre rimedio ad infiltrazioni da difetto di impermeabilizzazione ("... dopo l'edificazione di un complesso di tali dimensioni, protrattosi per oltre due anni, inverni compresi, è opportuno eseguire dei fori in precisi punti dell'edificio, al fine di permettere il drenaggio completo dell'umidità accumulatasi nel corso dei mesi di costruzione": memoria n. 3, pag. 1 e 2): appare evidente che simile intervento, per caratteristiche e finalità pacificamente correlata all'umidità interstiziale, non possa costituire per il direttore lavori che l'abbia disposto riconoscimento di vizio dell'impermeabilizzazione per come realizzata né assunzione dell'obbligo di ripristino. 3. Il convenuto ha inoltre nel merito negato che l'impermeabilizzazione sia stata eseguita in modo difforme rispetto a quanto pattuito e che il materiale utilizzato sia inidoneo ((...) al riguardo sostiene che: è vero che è stata utilizzata la membrana cementizia (...), ma ciò è avvenuto solo nelle parti della soletta con pavimentazione; per i giardini, così come per i tetti, è stata invece utilizzata, come da capitolato, la guaina bituminosa; le due voci esposte nei SAL 7 e 8 non sono dunque false; la sostituzione di (...) alla guaina bituminosa per le sole aree pavimentate è stata decisa in conformità con i poteri attribuiti dal direttore dei lavori dall'art. 13 del contratto e, comunque, d'accordo con la società committente, la quale ha infatti essa stessa acquistato il materiale e lo ha messo a disposizione dell'appaltatrice per la posa, con assistenza di tecnico del produttore (...); la membrana cementizia (...) assicura adeguata impermeabilizzazione delle solette e tenuta delle pavimentazioni posate direttamente sulla membrana, come da scheda tecnica del prodotto - doc. 6; il prodotto (...) di (...) è certificato CE e conforme ai requisiti di contratto e la contestazione di assenza di copertura assicurativa del produttore è infondata e comunque irrilevante, posto che (...) non lamenta un difetto del prodotto e una responsabilità del produttore), e ha contestato altresì che l'attore, gravato anche in virtù del principio di vicinanza della prova dell'onere di dimostrare l'esistenza dei vizi, la riconducibilità di essi all'opera del progettista/direttore lavori e i danni, non ne ha data e non può darne prova, in quanto ha unilateralmente eseguito, senza prima esperire accertamento tecnico preventivo, opere che hanno totalmente modificato lo stato dei luoghi e precludono ogni accertamento sulla fondatezza della domanda. 4. L'azione di responsabilità contrattuale per inesatto adempimento del progettista/direttore dei lavori e di condanna al risarcimento dei danni da infiltrazioni in tesi conseguenti all'inadempimento pone a carico del committente - va recepita sul punto la deduzione del convenuto - l'onere di allegare e provare (oltre alla fonte dell'obbligazione, ossia l'incarico professionale che in questo caso è indiscusso), l'inesatta esecuzione della prestazione promessa (l'impermeabilizzazione omessa o realizzata con membrana diversa rispetto a quella prevista dal capitolato), le infiltrazioni nel piano interrato e la materiale relazione causale con l'inesatto adempimento, il danno (quantificato nelle conclusioni nell'importo che si assume pari ai costi sostenuti per opere di ripristino); in via logicamente successiva viene in considerazione l'onere del convenuto, ex art. 1218 c.c., di provare che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, ossia da evento imprevisto ed imprevedibile. 4.1 Nella vicenda in esame l'onere della prova dei fatti costitutivi della domanda non è, per più aspetti, assolto, e la mancanza o incertezza della prova si risolve in pregiudizio dell'attore. 5. Così come ampiamente dedotto e argomentato da convenuto e terza chiamata, le contestazioni mosse al geometra (...) con la lettera raccomandata 3 luglio 2013 intervengono quando ormai, trascorsi oltre 5 anni dalla dichiarazione di ultimazione delle opere e dalla domanda di certificato di agibilità (16 e 20 novembre 2007), lo stato della soletta sopraelevata che copre il piano interrato ove si trovano corsello di manovra, autorimesse e locali accessori già è stato radicalmente modificato, in quanto oggetto di interventi di rimozione completa e rifacimento ex novo di massetto, pendenze, sistema di impermeabilizzazione e pavimentazioni, così come si evince (pagine 4, 5, 6) dalla perizia a firma dell'arch. (...) recante data 26 giugno 2013, che (...) S.n.c. produce con l'atto di citazione (doc. 7) e che costituisce l'essenziale base argomentativa e probatoria dell'azione intrapresa. 5.1 La perizia dell'arch. (...), non preceduta da alcuna verifica in contraddittorio dello stato dei luoghi (ed invero, per quanto consta, neppure da contestazione scritta), non si esaurisce nell'esecuzione di sopralluoghi per osservazione e descrizione delle condizioni dell'immobile (v. 4 fotografie allegate a documentare alcune infiltrazioni nel corsello e in una autorimessa) e di prove tecniche ripetibili (il perito riferisce di una prova di tenuta effettuata il 7 giugno 2013 riversando acqua "nel giardino individuato alla lettera A"), ma si estende al resoconto sulle cause desunte dalla osservazione (con sopralluogo eseguito il 12 giugno 2013 "durante la rimozione delle caldane e dei sottofondi") delle opere di eliminazione dell'esistente (pavimenti, membrane, sottofondi di riempimento) e di integrale rifacimento (di massetto in calcestruzzo a formazione delle pendenze, impermeabilizzazione, massetto di posa, pavimento ed altre opere accessorie), e giunge così ad affermare che: sotto i giardini pensili (individuati in planimetria sub A e B) la rimozione di caldane e sottofondi ha rivelato che l'impermeabilizzazione è stata fatta con la stesura sul massetto di posa della membrana cementizia (...) di (...) e non con la membrana bituminosa saldata a caldo prevista dal contratto; per gli altri spazi di superficie (giardini pensili C e F, vialetto di accesso D, parcheggi di superficie E) l'uguale utilizzo di (...) anziché guaina bituminosa è attestato dal perito sulla base di "documentazione fotografica fornita al sottoscritto". 5.2 Superfluo approfondire la persuasività ed esaustività delle conclusioni della perizia, la descrizione degli interventi che essa afferma essere stati eseguiti nel giugno 2013 ad integrale rifacimento di sottofondi, impermeabilizzazioni e pavimenti per l'intera copertura del piano interrato, e dei quali quantifica il costo nell'importo di Euro 55.422,85 oltre IVA posto dalla società attrice a misura della propria richiesta di risarcimento, offre la certezza che (...) S.n.c. nell'estate 2013 ha radicalmente e definitivamente modificato lo stato dei luoghi prima di introdurre la causa (e prima anche di inviare contestazione scritta dei vizi con la raccomandata 3 luglio 2013), e non risulta avere considerato l'opportunità (o necessità) di promuovere, onde assicurare verifica in tempi rapidi nel contraddittorio utilizzabile come prova nel giudizio di merito, un accertamento tecnico preventivo. 5.3 Definitivamente preclusa la possibilità di un diretto accertamento (i) della esistenza e entità di difformità e/o carenze esecutive, (ii) di infiltrazioni e (iii) della relazione causale tra esse, e così pure della (iv) individuazione delle opere necessarie e sufficienti al ripristino e del relativo costo, la relazione dell'arch. (...) effettuata su incarico di parte attrice e fondata su rilievi ed osservazioni non ripetibili eseguiti senza alcun confronto con la controparte non può logicamente sostituirsi all'accertamento giudiziale (o alla verifica stragiudiziale in contraddittorio) quale prova degli assunti dell'attore. E ciò ancor prima e indipendentemente da taluni limiti oggettivi del suo contenuto. 6. Non solo. Seppure le allegazioni svolte in atto di citazione, non modificate né integrate sul punto nella memoria 183 comma 6 n. 1 c.p.c., collochino nell'anno 2012 le contestazioni mosse dai proprietari delle unità abitative al venditore (...) S.n.c. e riferiscano della realizzazione dei fori di drenaggio (voluta dal geom. (...) una volta informato da (...) S.n.c. del problema) quale unico intervento sulle solette che abbia preceduto quello radicale del giugno 2013, dalla stessa corrispondenza prodotta dall'attore e, soprattutto, dalle allegazioni e produzioni del convenuto si desume che altre opere di modifica e rifacimento di pavimenti e sottofondi, successive all'ultimazione del complesso edilizio, già erano state realizzate anche prima del 2013, e che dunque gli stessi rilievi effettuati dall'arch. (...) appaiono avere ad oggetto non già le solette realizzate dall'impresa appaltatrice P. con la direzione lavori del geometra (...) ma quelle successivamente da altri modificate. 6.1 Le lettere in data 5 aprile e 11 luglio 2011 prodotte dall'attore (doc. 5 e 6), indirizzate dai proprietari delle unità immobiliari al venditore T., rivelano che le doglianze per infiltrazioni nell'interrato inviate a (...) S.n.c. risalgono a data ben anteriore al 2012 e contengono inoltre riferimento a precedenti interventi in un garage di proprietà esclusiva a risoluzione di infiltrazioni e sui giardini esterni (a proposito dei quali lamentano il mancato ripristino di marmi rimossi durante i lavori). In che cosa consistano gli interventi sulla soletta lo chiarisce il convenuto, il quale - prodotta la tavola 1 del progetto di variante in corso d'opera presentato al Comune di Villanuova sul Clisi nel 2007 (doc. 8, 18, 19), alcune fotografie scattate durante i lavori (doc. 9) e l'immagine satellitare Google Earth dell'edificio in data 6 novembre 2014 (doc. 10), e raffrontati tali documenti con la descrizione dello stato dei luoghi del perito arch. (...), la planimetria, le fotografie e il computo metrico descrittivo dei lavori di ripristino allegati alla perizia, in comparsa di costituzione rileva e contesta che laddove la planimetria originaria prevede, nelle aree identificate con le lettere C e F, la posa di pavimentazione, alla data della perizia e successivamente esistevano invece giardini, e che viceversa le aree A e B, nel 2007 progettate e realizzate con porzione pavimentata e porzione a giardino, successivamente risultano per intero pavimentate. 6.2 In ordine a tali variazioni parte attrice nulla dice e nulla documenta. Solo nella memoria 183 comma 6 n. 2 c.p.c., maturate ormai le preclusioni assertive, (...) S.n.c. ha introdotto capitoli di prova volti a dimostrare, oltre all'avvenuta denuncia al geometra (...) delle infiltrazioni e l'indicazione di questi ad eseguire fori di drenaggio (nel 2008 e nel 2010, così anticipando l'epoca sino ad allora riferita e discostandosi comunque anche da quella in cui lo stesso convenuto afferma di avere fatto eseguire l'operazione), pure l'assunzione da parte del geometra (...) di ruolo direttivo anche per le modificazioni dello stato dei luoghi successive alla conclusione dei lavori, genericamente evocando nuove opere effettuate nel 2008 e nel 2010 e implicitamente prospettandole come funzionali e correlate all'esecuzione dei fori di drenaggio (capitoli da 14 a 20 e da 22 a 26). 6.3 Ebbene - infondata, come già detto, la pretesa di annettere all'esecuzione di fori di drenaggio il riconoscimento del difetto di impermeabilizzazione e l'assunzione dell'obbligo di ripristino, e inconsistente quella di ridurre ogni modifica sopravvenuta dello stato dei luoghi a quelle sommariamente evocate nei capitoli di prova e di presentarle come correlate o funzionali all'esecuzione dei fori di drenaggio, ossia all'unico intervento certamente ordinato dal direttore dei lavori - è comunque assorbente considerare che l'esecuzione di dette opere in più tempi dal 2008 al 2010 (e anzi anche nel 2012 - v. doc. 20) e l'affermazione che esse si svolsero sotto la direzione del geometra (...) costituiscono oggetto di allegazione del tutto nuova (il professionista è convenuto in quanto progettista e direttore dei lavori del complesso ultimato a novembre 2007, nessun incarico o ruolo per opere successive risulta o si deduce essergli stato conferito in seguito) e tardivamente introdotta con la capitolazione di prova nella memoria n. 2. Del resto, va aggiunto, le fatture di imprese edili (I.; (...), A. - doc. 18-21) che (...) S.n.c. produce con la stessa memoria n. 2 a supporto dei capitoli di prova orale (la società attrice non produce invece propria documentazione amministrativa, tecnica o contabile inerente gli interventi eseguiti, che potrebbe fornire esatta descrizione delle opere, dei tempi di loro esecuzione e del ruolo eventuale del geometra (...)), pur nella genericità del loro contenuto, non fanno alcun riferimento all'esecuzione di fori di drenaggio (che dunque non vi è affatto prova siano stati eseguiti da detti imprenditori e nei periodi indicati dall'attore e contemporaneamente ad altre trasformazioni) e attengono a lavori anche concernenti "rifacimento sottofondi e impermeabilizzazioni di terrazze soprastanti i garage" (fattura 24 settembre 2010 (...)). 6.4 E' dunque certo che tra il 2007 e il 2013 (...) S.n.c. o i suoi aventi causa hanno eseguito (con gli stessi imprenditori citati come testimoni e emittenti le fatture indicate o con altri, essi stessi dunque esecutori di opere di impermeabilizzazione inidonee a evitare infiltrazioni) interventi a seguito dei quali porzioni della copertura occupate da giardino pensile sono state trasformate e pavimentate (aree A e B) e porzioni pavimentate sono state destinate a giardino pensile (aree C e F), e che solo per il vialetto e il parcheggio di superficie non si è mutato il genere di pavimentazione: assente ogni documentazione progettuale, di cantiere e contabile concernente le opere eseguite, è del tutto incerto se non escluso che il sistema di impermeabilizzazioni osservato e descritto dall'arch. (...) nel giugno 2013 fosse il medesimo eseguito in esecuzione dell'appalto secondo direttive e sotto la sorveglianza del direttore lavori geometra (...). 7. Consegue a quanto esposto che non è provato e non vi è modo di verificare che la membrana cementizia (...) sia stata utilizzata anche per il sottofondo dei giardini (l'utilizzo per questi della guaina bituminosa saldata a caldo, affermata dal geometra (...) e coerente con il contenuto dei SAL, al di là delle discordi affermazioni dei testimoni, sembra confermata dalle fotografie doc. 9 del convenuto nelle quali pare riconoscersi il risvolto verticale saldato a caldo) e non solo, come riconosciuto dal convenuto, per le pavimentazioni; e neppure che, idonee o meno al fine le membrane applicate (la scheda tecnica pare confermarne la congrua modalità di impiego), le infiltrazioni lamentate siano state provocate appunto da difetto del materiale di impermeabilizzazione o non invece, ad esempio, da vizio di posa o, ancora, da danneggiamento dovuto a modifiche successive e/o a difettoso ripristino; la stessa prova delle infiltrazioni è assai vaga, affidata solo a generali e generiche dichiarazioni di diffuso manifestarsi di umidità ma non documentata se non in modo assai parziale dalle fotografie allegate alla perizia arch. (...) che, per esiguo numero e piano stretto di immagine, non permettono affatto di cogliere in quali e quanti ambienti, sotto quali fra le coperture (variamente realizzate a giardino, terrazze e parcheggio e negli anni modificate) e con quale gravità e diffusione il problema - in tesi protrattosi per oltre 5 anni sino al rifacimento dell'intera soletta nel 2013 - si sia manifestato, né dunque di comprendere necessità e congruità dell'integrale rifacimento rispetto ai vizi riscontrati e in tesi addebitabili alla condotta del convenuto; tema quest'ultimo a proposito del quale va anche rilevato che l'attore quantifica il proprio esborso, e il danno di cui chiede ristoro, nell'importo esatto risultante dal computo metrico preventivo dell'arch. (...), ma ad attestazione delle opere in effetti eseguite nel 2013 e dei pagamenti effettuati non produce che alcune fatture e preventivi di importo inferiore, e nessun bonifico o prova di pagamento, e neppure la documentazione amministrativa, progettuale e di cantiere concernente l'esecuzione dei lavori. 8. Per tutto quanto esposto la domanda va rigettata e l'attore soccombente condannato alla rifusione delle spese di lite, che in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e considerato il valore della causa superiore e prossimo alla soglia minima dello scaglione compreso tra Euro 52.001,00 e Euro 260.000,00, si determina (applicando importi inferiori a medi tenuto del minimo superamento della soglia di scaglione di ampia escursione) in Euro 10.000,00 ciascuno per il convenuto e per la società terza chiamata (fasi studio, introduttiva, istruttoria e decisoria: Euro 2.000,00 + 1.200,00 + 3.800,00 + 3.000,00), oltre a spese generali (Euro 1.500,00) e accessori, e al rimborso in favore del convenuto delle anticipazione esposte pari a Euro 820,02 P.Q.M. Il Tribunale di Brescia, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) rigetta la domanda proposta da (...) S.n.c.; 2) condanna parte attrice alla rifusione in favore di (...) e di (...) S.p.A. delle spese di lite, che liquida per ognuno in Euro 10.000,00 per compenso e Euro 1.500,00 per spese generali, oltre a CPA e IVA, e, per il solo (...), Euro 820,02 per anticipazioni Così deciso in Brescia il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brescia, sezione seconda civile, nella persona del giudice unico dott. Luciano Ambrosoli ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile n. 11044/2014 Ruolo Generale promossa DA (...), (...), (...), (...) e (...), rappresentati e difesi tutti dall'avv. Ma.Ar. del foro di Brescia per procura a margine dell'atto di citazione ATTORI contro (...) S.p.A., con sede in (...) via X. A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Te.Qu. del foro di Milano e dall'avv. Gi.Be. del foro di Brescia per procura alle liti in calce all'atto di citazione notificato CONVENUTO e nei confronti di (...) Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.A., con sede in (...) via X. A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Te.Qu. del foro di Milano e dall'avv. Gi.Be. del foro di Brescia per procura alle liti in calce all'atto di citazione notificato TERZO CHIAMATO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione notificato in data 9 giugno 2014 gli attori in epigrafe indicati, in proprio e in qualità di eredi di (...), deceduto il 17 ottobre 2010 dopo il ricovero presso la Poliambulanza di Brescia per malattia respiratoria, hanno convenuto in giudizio (...) S.p.a. chiedendone la condanna al versamento degli indennizzi di cui alla polizza "infortuni" n. (...) e alla polizza vita "anni sereni" n. (...) pari, rispettivamente, ad Euro 250.290,00 ed Euro 50.000,00, oltre interessi, e, inoltre, al risarcimento dei danni da liquidarsi anche in via equitativa conseguenti all'illegittimo rifiuto di corrispondere gli indennizzi contrattualmente dovuti. In particolare, gli attori hanno dedotto che: - (...), già sottoscrittore di numerose polizze (vita, infortuni, malattia) con la compagnia (...), "nei giorni della prima settimana del settembre 2010" veniva convocato presso gli uffici del proprio agente assicurativo per il rinnovo di una polizza vita decennale; - debitamente compilata la modulistica, il contratto veniva rinnovato ed il 10 settembre 2010 venivano versati il premio relativo alla polizza vita (efficace dal 13 settembre 2010) e le rate di premio di altre polizze in essere; - dopo la stipula della polizza e prima della partenza per un viaggio all'estero prevista per lunedì 13 settembre 2010, l'assicurato decideva di sottoporsi ad una visita medica a causa di un improvviso dolore alla schiena; - gli accertamenti disposti dal medico di base (RX toracica) evidenziavano una broncopolmonite per la quale veniva prescritta terapia antibiotica nonostante la quale le condizioni di salute peggioravano e subentravano serie difficoltà respiratorie, cosicché (...) veniva ricoverato presso l'istituto ospedaliero Poliambulanza di Brescia e il 17 ottobre 2010 trasferito in struttura ospice, presso la quale decedeva; - informata del decesso, l'assicurazione provvedeva a liquidare ai familiari e eredi alcune delle polizze stipulate in vita dall'assicurato, e negava invece il diritto al pagamento dell'indennizzo della polizza vita "anni sereni" n. (...) e della polizza "infortuni" n. (...) stipulate o rinnovate con decorrenza 10-13 settembre 2010, per le quali rispettivamente risultano dovuti gli indennizzi di Euro 50.000,00 e di Euro 250.000,00 + 290,00 per indennità giornaliera di ricovero. La convenuta (...) S.p.a., costituitasi in giudizio con comparsa del 16 ottobre 2014, in via preliminare ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva con riguardo alla domanda di pagamento dell'indennizzo di Euro 250.000,00 previsto dalla polizza "infortuni" n. (...), in quanto stipulata da (...) Compagnia Italiana di Assicurazioni, soggetto giuridico diverso dalla società convenuta; in ogni caso, ha osservato nel merito, il sinistro oggetto di causa è estraneo al rischio assicurato, in quanto la patologia che ha determinato la morte dell'assicurato non è riconducibile alla nozione di infortunio come definito dall'art. 14 delle condizioni generali. Quanto alla polizza vita "anni sereni" n. (...), ha dedotto che l'indennizzo è stato rifiutato in applicazione dell'art. 1892 c.c., giacché l'assicurato, al momento del rinnovo, era consapevole di essere affetto dal 2009 da patologia cardiaca trattata farmacologicamente oltre che della broncopolmonite diagnosticata nei giorni immediatamente precedenti e tuttavia non ha fatto menzione delle patologie e degli esami diagnostici effettuati, ed anzi li ha espressamente negati nella compilazione del questionario medico sottoscritto ed allegato alla polizza; in subordine, ha eccepito l'operatività dell'art. 15 condizioni generali che prevede, nell'ipotesi in cui l'assicurato non si sottoponga a visita medica ed il suo decesso intervenga nel c.d. periodo di carenza della polizza (6 mesi dalla stipulazione), esclusivamente la restituzione del 90% dei premi versati e non la liquidazione dell'intero capitale. All'udienza di prima comparizione parte attrice ha chiesto ed è stata autorizzata alla chiamata di (...) Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.a., e quest'ultima si è costituita in giudizio con comparsa depositata il 27 marzo 2015, con i medesimi difensori e associandosi integralmente alle difese della convenuta (...). Autorizzato il deposito di memorie nei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., e disconosciuta dagli attori la firma di (...) in calce al "questionario sanitario" allegato alla polizza vita n. (...) prodotta dalla convenuta dapprima in copia e poi in originale (la difesa degli attori rileva la difformità dell'esemplare allegato al contratto in loro possesso, nel quale il questionario risulta non compilato e non sottoscritto), la causa - dopo tentativo di conciliazione e alcuni rinvii in pendenza di trattative - è stata istruita, sull'istanza di verificazione della scrittura, mediante CTU grafologica, che ha verificato l'autenticità delle sottoscrizioni a nome (...) apposte al questionario sanitario (v. relazione 30 agosto 2019 CTU dott.ssa Emanuela Sandonini). In esito al deposito della relazione di CTU grafologica sono seguite altre trattative e gli attori hanno infine formulato proposta di rinunciare agli atti del giudizio e alla domanda a spese compensate, che le società assicuratrici hanno rifiutato. Le parti hanno infine insistito nelle rispettive conclusioni anche in via istruttoria e, invitate le stesse a precisare le conclusioni, la causa è stata infine trattenuta in decisione con termini per comparse conclusionali e memorie di replica. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda di liquidazione dell'indennizzo previsto dalla polizza infortuni n. (...), rispetto alla quale legittimata passiva è (...) Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.A., è infondata perché l'evento dal quale è derivata la morte dell'assicurato è estraneo al rischio assicurato come definito dall'art. 14 delle condizioni generali di contratto. Così come evidenziato dall'assicuratore sin dalla sua comparsa di costituzione (e ancor prima dalla convenuta (...) S.p.a., sia pure in via subordinata rispetto alla principale eccezione di carenza di legittimazione passiva, o più propriamente di estraneità al rapporto contrattuale), la polizza "futura infortuni" fatta valere dagli attori (doc. 3 e 4) assicura il rischio definito all'art. 14 delle condizioni generali di contratto ("? E' considerato infortunio l'evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che abbia per conseguenza diretta ed esclusiva lesioni fisiche obbiettivamenteconstatabili le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente od una inabilità temporanea?"), che con evidenza non comprende la malattia e la morte in conseguenza di malattia, così come del resto si desume anche dalle specificazioni della nozione di infortunio esplicitate nella stessa clausola ("Sono considerati infortuni anche: 1) l'asfissia non di origine morbosa; 2) gli avvelenamenti acuti da ingestione o da assorbimento di sostanze; 3) l'annegamento; 4) l'assideramento od il congelamento; 5) i colpi di sole o di calore; 6) le lesioni muscolari determinate da sforzi e le ernie addominali traumatiche o da sforzo, esclusi in ogni caso gli infarti" ...). Indiscusso che la morte dell'assicurato fu conseguenza di broncopolmonite bilaterale (indubbiamente una malattia, intesa quale alterazione dello stato di salute determinata da causa endogena, organica o funzionale), sulla specifica obiezione della estraneità dell'evento (morte in conseguenza di malattia) rispetto al rischio assicurato dalla polizza futura infortuni gli attori (i quali riferiscono per altro in atto di citazione, nell'enumerare le varie polizze stipulate da (...) con il medesimo gruppo assicurativo, di due contratti conclusi a copertura del rischio malattia, anch'essi - in quanto concernenti solo il rischio invalidità permanente e non il mero ricovero né la morte - tra quelli per i quali nulla è stato liquidato) nulla hanno replicato a verbale e nelle memorie depositate ex art. 183 comma 6 c.p.c.. Solo in comparsa conclusionale hanno per la prima volta dedotto che, dovendosi la broncopolmonite ed il decesso di (...) far discendere da una "infezione virale" derivante da "contatto con una persona infetta", l'evento soddisfa tutti i requisiti della nozione contrattuale di infortunio (in quanto l'aggressione del virus costituisce causa, oltre che fortuita ed esterna, anche "violenta, perché il contatto infettante con il virus non è dilatato nel tempo, ma concentrato cronologicamente"): al riguardo è sufficiente considerare che l'invocata assimilazione della broncopolmonite ad infortunio secondo la definizione di polizza costituisce assunto nuovo proposto in comparsa conclusionale e fondato su allegazione in fatto (l'origine virale della broncopolmonite) tardiva e indimostrata (non è in vero dato desumere dagli atti e dai documenti prodotti l'origine virale o invece batterica o di altro genere dell'affezione broncopolmonare, e la terapia eminentemente antibiotica descritta in cartella clinica appare rinviare a diagnosi di causa batterica), e in ogni caso inidonea rispetto al fine, non essendo pertinente nella fattispecie il richiamo al noto orientamento giurisprudenziale in materia di infortuni sul lavoro e indennizzabilità ex art. 2 o 3 del D.P.R. n. 1124 del 1965 quale infortunio ovvero quale malattia professionale compresa nella tabella 4 della patologia infettiva se contratta in ambiente di lavoro ("Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro,costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione": così Cass. Sez. 6-L, 10 ottobre 2022 n. 29435, conforme, ex multis, da Cass. Sez. L. 8 aprile 2004, n. 6899 e Cass. Sez. L., 1 giugno 2000, n. 7306). Va dunque rigettata la domanda attrice di pagamento dell'indennizzo (Euro 250.000,00 per il caso di morte oltre Euro 100,00 per ciascun giorno di ricovero) previsto dalla polizza infortuni n. (...). Quanto alla domanda di pagamento dell'indennizzo (Euro 50.000,00) previsto dalla polizza vita n. (...), appare fondata l'eccezione opposta da (...) S.p.A. ai sensi dell'art. 1892, comma 3, ultimo periodo, c.c., in forza del quale la convenuta ha rifiutato il pagamento del capitale assicurato. L'assicuratore ha contestato ai beneficiari della polizza vita le dichiarazioni false e reticenti rese da (...) all'atto della sottoscrizione del contratto, allorché compilò e firmò il "questionario sanitario" facente parte del testo negoziale e, in risposta a quesiti concernenti anche e specificamente l'esistenza di malattie (precedenti o in atto) del cuore o dell'apparato cardiocircolatorio e dell'apparato respiratorio, e la sottoposizione ad accertamenti diagnostici praticati negli ultimi 3 anni con risultati fuori della norma, rispose negativamente a tutte le domande, così tacendo - afferma la società convenuta - la patologia cardiaca dalla quale era da tempo affetto (ripetuti episodi di fibrillazione atriale) e trattata farmacologicamente, gli esami diagnostici effettuati negli ultimi 3 anni (ECG) e l'anomalia evidenziata (modica ipertrofia atriale e insufficienza valvolare mitralica), oltre alla patologia respiratoria medesima per la quale fu ricoverato il 18 settembre 2010, insorta circa 15 giorni prima e dunque già manifestatasi alla data della firma della polizza vita. Al riguardo va in primo luogo osservato che il contratto di assicurazione prodotto dalla società convenuta, in copia con la comparsa di costituzione e in seguito in originale, e disconosciuto dagli eredi di (...) nelle pagine contenenti il questionario sanitario in tesi falso e reticente, è stato riconosciuto autentico in esito alla perizia grafologica affidata alla CTU dott.ssa Emanuela Sandonini. Consegue alla verificazione che non solo è provata fino a querela di falso l'autografia delle firme a nome (...) apposte in calce al questionario (pagine 21 e 22 di 25 che compongono il contratto), ma anche la provenienza delle dichiarazioni ivi contenute. Diversamente da quanto argomentato dalla difesa degli attori nelle memorie conclusionali, non è onere della controparte, una volta verificata la firma, chiedere anche la verificazione o offrire comunque dimostrazione che la compilazione del questionario è in effetti opera del sottoscrittore: accertata l'autenticità delle firme (che gli attori stessi, in esito alla CTU grafologica, non revocano più in dubbio), è del pari certa la provenienza (non necessariamente per averle materialmente vergate, essendo sufficiente l'assunzione di paternità e responsabilità mediante la firma) dal sottoscrittore, ed è onere di chi ciò contesti dedurre e provare con querela di falso la manipolazione della scrittura o altrimenti il riempimento abusivo, senza autorizzazione (absque pactis) o in difformità rispetto agli accordi (contra pacta), proponendo nel primo caso querela di falso o nel secondo azione di annullamento per vizio di volontà. Inoltre, è il caso di ulteriormente evidenziare, la circostanza che la copia del contratto di assicurazione in possesso degli eredi di (...) (il contratto risulta stipulato nell'unico originale trattenuto dall'assicuratore e prodotto per la verificazione e in due copie destinate all'assicurato e all'agenzia) sia non compilata e non sottoscritta nelle pagine del questionario sanitario non può costituire, volta che l'originale compilato invece in ogni sua parte sia verificato, indice di falsificazione o di invalidità delle dichiarazioni ivi rese dell'assicurando sul proprio stato di salute, richieste dall'assicuratore ai fini indicati nel modulo (v. presentazione della proposta e avvertenze sulla compilazione del questionario sanitario, pag. 19 e 21 della scrittura). Tanto premesso, l'art. 1892 c.c. prevede l'annullabilità del contratto di assicurazione qualora l'assicurato abbia reso dichiarazioni inesatte o reticenti su circostanze determinanti per il consenso dell'assicuratore sul contratto o sulle condizioni di polizza, sempre che il contraente abbia agito con dolo o colpa grave. E stabilisce inoltre che l'assicuratore, qualora il sinistro si verifichi prima del termine di decadenza entro il quale può impugnare il contratto (tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto l'inesattezza o la reticenza), può direttamente opporre la falsità e rifiutare il pagamento della somma assicurata. L'inesattezza e reticenza delle dichiarazioni dell'assicurando, formulate in risposta al questionario sanitario incluso del testo contrattuale, è certa ed indiscussa alla luce delle stesse produzioni degli attori: le dichiarazioni di non essere affetto da malattie ("precedenti o in atto") al cuore e all'apparato cardiocircolatorio (punti 1 e 8.a del questionario) e all'apparato respiratorio (punto 1.b), di non avere eseguito negli ultimi 3 anni accertamenti diagnostici con risultati fuori norma (punto 2) e di non avere "attuali disturbi della salute" (punto 4) si rivelano tutte oggettivamente false. La relazione medico legale postuma a firma del dott. (...) e la cartella clinica del ricovero di (...) presso l'istituto Poliambulanza (prodotti da parte attrice - doc. 11, 13, 14), così come la certificazione del dipartimento terapia intensiva della Poliambulanza (prodotta dall'assicuratore - doc. 3) convergono ad attestare che il 10 settembre 2010, quando sottoscrisse la polizza, (...) era da tempo affetto da patologie croniche cardiache ed aveva eseguito anche in epoca recente accertamenti diagnostici con esito positivo per l'esistenza di anomalie ("pregressi ripetuti episodi di FA" - fibrillazione atriale - "parossistica cardiovertita farmacologicamente (1980 - 88 - 92); molteplici test da sforzo positivi per criteri ECG da ischemia inducibile da sforzo per i quali veniva consigliata coronarografia peraltro mai eseguita dal paziente ... Eco-cardio (2009): modica ipertrofia settale (12 mm) ed insufficienza mitralica lieve. Ex fumatore ...": così in cartella clinica la diagnosi di ingresso in terapia infettiva, il 22 settembre 2010, richiamata anche nella relazione del dott. (...) e nella certificazione prodotta dalla società convenuta); ed è pure certo che alla data del 10 settembre 2020 già era in atto la patologia polmonare per la quale il contraente la settimana successiva fu ricoverato, sino al decesso in data 17 ottobre 2010 (proprio il 10 settembre 2010 (...) si sottopose a RX torace che attesta, in quadro di broncopatia cronica con impronta di tipo enfisematoso, "sospetto lieve addensamento alla base di sinistra come da reperto di tipo flogistico con obliterazione del seno costofrenico"; e a commento lo stesso dott. (...), in sintonia del resto con i dati anamnestici in cartella clinica, afferma che certamente (...) cominciò a soffrire di disturbi febbrili con tosse prima del 10 settembre 2010, data in cui la polmonite era già radiologicamente evidente, seppure - pare evidente - con carattere all'epoca di non particolare gravità). Appare del pari certo che le mancate informazioni sulla patologia cardiaca e sugli accertamenti diagnostici siano determinanti, se non anche del consenso dell'assicuratore alla stipula del contratto, almeno delle condizioni della polizza: se per un verso non ogni inesattezza o reticenza dell'assicurato può dirsi determinante del consenso dell'assicuratore, si deve d'altra parte considerare che "la predisposizione di un questionario da parte dell'assicuratore, benché non abbia la funzione di "tipizzare" le possibili cause di annullamento del contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenti, evidenzia tuttavia l'intenzione dell'assicuratore di annettere particolare importanza a determinati requisiti e richiama l'attenzione del contraente a fornire risposte complete e veritiere sui quesiti medesimi e, quindi, dev'essere valutata dal giudice in sede di indagine sul carattere determinante, per la formazione del consenso, dell'inesattezza o della reticenza" (così Cass. Sez. 3, 12 maggio 1999, n. 4682). Nel caso in esame il questionario appunto - oltre a non limitarsi a generica richiesta sullo stato di salute e a precisare almeno per genere le patologie alla cui conoscenza la compagnia ha interesse per la valutazione del rischio (sul punto, peraltro, v. Cass. Sez. 3, 20 dicembre 2011, n. 27578: "L'assicuratore il quale, prima della stipula di un'assicurazione sulla vita, sottoponga al contraente un questionario anamnestico per la valutazione del rischio, non ha alcun onere di indicare analiticamente tutti gli stati morbosi che ritiene influenti sul rischio, ma è sufficiente che ponga all'assicurato la generica richiesta di dichiarare ogni stato morboso in atto al momento della stipula o ne raggruppi le specie per tipologie (nella specie: patologie metaboliche) né tale formulazione del questionario può essere interpretata come disinteresse dell'assicuratore alla conoscenza di malattie non espressamente indicate. Ne consegue che, per escludere la reticenza di cui agli artt. 1892 e 1893 cod. civ., non può essere dall'assicurato sottaciuta l'esistenza di una patologia preesistente come il diabete anche se non singolarmente indicata nel questionario anamnestico") - esplicita a più riprese (v. pagg. 19 e 21) le finalità delle informazioni (sostitutive del resto, si precisa nel modulo, della visita medica preventiva altrimenti necessaria), l'importanza di fornire risposte esatte e complete e le conseguenze che possono discendere da "dichiarazioni non veritiere, inesatte o reticenti". Ciò posto, non si può dubitare che le risposte negative alla domanda sull'esistenza di "malattie di cuore, della circolazione" e "all'apparato circolatorio", e sull'assenza di accertamenti diagnostici di esito fuori forma, siano, a fronte del ben diverso quadro che si evince dalla documentazione clinica, oggettivamente rilevanti ai fini della formazione del consenso dell'assicuratore. Né può dubitarsi - valgono gli stessi elementi in fatto dianzi esposti - che la dichiarazione inesatta o reticente debba considerarsi dolosa o almeno gravemente colposa: la causa di annullamento ex art. 1892 c.c. non richiede la prova dell'intenzione fraudolenta, ma unicamente della consapevolezza di rendere dichiarazione non conforme al vero e della rilevanza dell'informazione (ad es. Cass. Sez. 3, 10 giugno 2015, n. 12086), e (...) era ovviamente consapevole della patologia cardiaca e del contenuto e delle finalità del questionario sanitario ben esplicitate nel testo della polizza vita. Al riguardo è solo il caso di aggiungere (a fronte delle conclusioni della relazione medico legale del dott. (...) prodotta dagli attori e riprese negli atti difensivi) che non rileva, ai fini di escludere il diritto al pagamento della somma assicurata, che causa dell'evento non siano state malattie dell'apparato cardiocircolatorio ma la broncopolmonite bilaterale, giacché l'annullabilità consegue alla rilevanza causale dell'informazione inesatta o reticente rispetto al consenso dell'assicuratore e non alla rilevanza causale della patologia taciuta rispetto all'evento. E' inutile perciò approfondire se il silenzio di (...) sulla patologia respiratoria esistente al 10 settembre 2010 possa considerarsi essa stessa reticenza rilevante e, inoltre, dolosa o gravemente colposa; comunque potendosi in contrario ragionevolmente opinare che, pur consapevole dello stato febbrile e di tosse di non minima entità (lo stesso giorno viene eseguita Rx toracica, e questa già certifica l'affezione polmonare), il paziente e il suo stesso curante valutassero allora la situazione quale complicanza seria ma non così allarmante, e irrilevante perciò rispetto alle condizioni di stipula della polizza vita o al più da ricondursi, per assenza di dolo e colpa grave del contraente, alla fattispecie dell'art. 1893 c.c.. Il rifiuto dell'assicuratore del pagamento dell'indennizzo per l'evento morte, intervenuto prima di tre mesi dalla stessa stipula del contratto, è dunque fondato a norma dell'art. 1892 c.c.. Le spese di lite, non ravvisandosi i presupposti per la compensazione invocati da parte attrice nelle memorie conclusionali, seguono la soccombenza e, in applicazione del D.M. n. 55 del 2014 e tenuto conto del valore di causa indeterminabile dichiarato, si liquidano (unitariamente, con aumento del 30%: le due compagnie assicuratrici, appartenenti al medesimo gruppo, hanno svolto con i medesimi procuratori difese sostanzialmente identiche argomentando ognuna anche sulla polizza emessa dall'altra) in Euro 11.230,70 (valori medi per fasi studio, introduttiva e istruttoria, minimo per fase decisoria in fatto tenutasi esclusivamente per la pronuncia sulle spese, avendo gli attori proposto in esito alla CTU grafologica rinuncia agli atti a spese compensate, rigettata dalle due società: Euro 2.025,00 + 1.349,00 + 3.560,00 + 1.705,00; aumento del 30% ex art. 4 comma 2), e così in Euro 5.615,35 ciascuno, oltre a spese generali in ragione del 15%, CPA e IVA. Le spese di CTU, come liquidate con decreto in data 3 ottobre 2019, vanno poste definitivamente a carico degli attori. P.Q.M. Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, 1) rigetta le domande proposte da parte attrice; 2) condanna gli attori al pagamento in favore di (...) S.p.A. e di (...) Compagnia Italiana di Assicurazioni S.p.A. delle spese di lite, che liquida in Euro 5.615,35 ciascuna per compenso, oltre a spese generali, CPA e IVA; 3) pone le spese di CTU, come liquidate con decreto 3 ottobre 2019, definitivamente a carico degli attori. Così deciso in Brescia il 16 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA SEZIONE QUARTA CIVILE Il tribunale, nella persona del giudice Andrea Giovanni Melani, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al ruolo generale n. 17801/2015 promossa da (...) s.a.s. (p. i.v.a. (...)), nella persona del legale rappresentante pro tempore, difesa dall'avvocato Em.Gi., elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, in Brescia, via (...) attrice contro (...) (c.f. (...)), (...) (c.f. (...) ), (...) (c.f. (...) ), difesi dall'avvocato Al.Gh., elettivamente domiciliati presso lo studio del difensore, in Brescia, via (...) convenuti CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Con citazione, (...) s.a.s. ha convenuto in giudizio (...), (...) e (...), assumendo che, il 10 febbraio 2010, ha stipulato con (...) s.p.a., poi (...) s.r.l., contratto di vendita con cui concedeva all'attrice il diritto di vendere in esclusiva i prodotti dei marchi "(...)" e "(...)" in cambio del 20% da calcolarsi sul ricavato netto; il contratto scadeva il 31 marzo 2013; ha stipulato con (...) s.p.a., poi (...) s.r.l., contratto di produzione con cui le è stata affidata la fabbricazione dei prodotti in conformità alle richieste della controparte, con decorrenza dal 1 luglio 2010 e sino al 30 giugno 2012; in relazione al primo contratto, era creditrice di (...) s.p.a. della somma di Euro 581.515,71, mentre, in relazione al secondo contratto, lo era della somma di Euro 339.015,59; (...) s.r.l. è stata posta in liquidazione, notizia appresa tramite missiva del 7 novembre 2013; il convenuto, socio di (...) s.p.a., ha rilasciato a garanzia delle obbligazioni societarie assegni bancari a favore dell'attrice per l'importo totale di Euro 400.627,86; il 10 aprile 2013, questo Tribunale ha ingiunto al convenuto di pagare immediatamente la somma di Euro 316.874,62; il 7 dicembre 2012, (...) e (...) s.r.l. hanno venduto alle convenute la proprietà di alcuni immobili, siti in B., via P. dei R.; l'atto è stato preceduto dal preliminare del 9 agosto 2012 stipulato, quali promissari acquirenti, dal convenuto e dalla moglie (...); alla vendita è intervenuto il convenuto che ha nominato, quale acquirente dei diritti e degli obblighi negoziali e quindi in suo luogo, la figlia (...), che ha accettato; all'esito, (...) ha acquistato la proprietà dell'immobile sito in B., via P. dei R., identificato in catasto al foglio (...), mappale (...), subalterno (...), e delle cose comuni, la comproprietà, insieme alla madre (...), degli immobili ivi siti, identificati in catasto al foglio (...), mappale (...), subalterni (...), (...), (...), e delle cose comuni, e al foglio (...), mappali (...) e (...); (...) ha acquistato, oltre alle predette comproprietà, la proprietà degli immobili ivi siti, identificati in catasto al foglio (...), mappale (...), subalterno (...), e mappale (...), e delle cose comuni; è stato pattuito il prezzo di Euro 1.105.000,00, di cui Euro 405.000,00 per i beni di (...), Euro 600.000,00 per quelli di (...), e la parte restante per le comproprietà; il prezzo dovuto da (...) è stato pagato sino alla concorrenza di Euro 240.000,00 dai genitori; in realtà, (...) e (...) hanno pagato ciascuno la somma di Euro 337.500,00. L'attrice ha dedotto la liberalità o gratuità sottesa alla dazione di (...) e gli estremi della revocabilità. L'attrice ha altresì dedotto la collusione delle convenute in danno dei suoi interessi. L'attrice ha dunque chiesto l'accertamento della revocabilità del pagamento di Euro 337.500,00 ovvero del diverso importo da accertarsi nel processo, la conferma o la modifica del sequestro conservativo dei beni compravenduti, la condanna delle convenute al risarcimento del danno da liquidare in via equitativa. 2. (...), (...), (...) si sono costituiti in giudizio, allegando che parte del prezzo, pari ad Euro 105.000,00, è stata corrisposta dalle convenute, utilizzando le risorse disponibili sul conto corrente a loro intestate; l'ulteriore parte della somma, pari ad Euro 570.000,00, è stata corrisposta tramite assegni circolari e bancari in relazione ai conti correnti cointestati ai coniugi; (...) ha pagato la somma di Euro 450.000,00, di cui Euro 120.000,00 da imputare al prezzo dovuto dalla figlia; la liberalità del convenuto non è superiore ad Euro 57.983,09 e in favore della sola figlia. I convenuti hanno contestato le deduzioni attoree e chiesto il rigetto della domanda. 3. Non è stata espletata attività di istruzione probatoria. All'udienza del 15 settembre 2022, le parti hanno precisato le conclusioni e sono stati concessi i termini ex art. 190 c.p.c.; alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, in data 5 dicembre 2022, la causa è stata trattenuta per la decisione 1. La domanda revocatoria è parzialmente fondata. A mente dell'art. 2901, co. 1, c.c., l'azione revocatoria consta di plurimi presupposti, oggettivi e soggettivi: i primi sono il credito del revocante, il compimento di un atto dispositivo da parte del debitore, il pregiudizio arrecato dall'atto alle ragioni del creditore; i secondi sono la conoscenza del debitore circa il pregiudizio arrecato e, in caso di atto a titolo oneroso, la conoscenza del terzo circa il pregiudizio arrecato, oppure la dolosa preordinazione del debitore circa l'atto dispositivo, se anteriore al sorgere del credito, e, in caso di atto a titolo oneroso, la partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo. Nella fattispecie concreta, ricorrono tutti i presupposti dell'azione revocatoria. Avuto riguardo al credito dell'attrice, non è contestato tra le parti che il convenuto ha emesso a favore della prima assegni bancari per l'importo totale di Euro 400.627,86, tra il 2011 e il 2012. È controverso se gli assegni siano stati emessi a garanzia delle obbligazioni contratte dall'attrice con (...) s.p.a. (poi (...) s.r.l.), di cui il convenuto è socio, come sostiene l'attrice, o di eventuali restituzioni di (...) s.p.a. delle royalty anticipate dall'attrice, i cui presupposti non si sono verificati, come sostenuto dal convenuto. Il credito può dirsi litigioso. La caratteristica del credito non è ostativa alla titolarità dell'azione revocatoria, poiché la nozione di credito ex art. 2901 c.c. è lata e ricomprende anche il credito eventuale, tra cui appunto quello litigioso (tra le tante, Cass. civ., sez. III, sent. 6 maggio 2021, n. 12047). Il credito è materia attuale di accertamento giudiziale. A seguito della revoca con sentenza di questo Tribunale n. 124/2017 del 17 gennaio 2017 del decreto ingiuntivo emesso a favore dell'attrice, la Corte d'appello di Brescia ha pronunciato la sentenza 19 novembre 2019, n. 1666 e, in riforma della decisione del giudice di primo grado, ha rigettato l'opposizione a decreto ingiuntivo (doc. non numerato allegato al foglio attoreo del 26 febbraio 2020); la sentenza è stata gravata da ricorso per cassazione, giusta rappresentazione convergente delle parti. Allo stato il credito attoreo gode di un accertamento giudiziale di segno favorevole. Quanto all'oggetto dell'azione, sono revocabili gli atti giuridici, anche non negoziali, con cui il debitore dispone di beni giuridici del suo patrimonio o assume debiti. L'attrice ha censurato il pagamento effettuato dal convenuto di una parte del prezzo della compravendita delle proprietà degli immobili di cui all'atto del 7 dicembre 2012, acquistate dalle convenute. Le convenute sono moglie e figlia del convenuto. I convenuti non hanno contestato l'an dell'atto. Essi hanno contestato (e soltanto) l'entità del prezzo sostenuta dal convenuto. Secondo l'attrice, il contributo ammonterebbe ad Euro 337.500,00 (p. 18 cit.) ovvero ad una somma maggiore o minore, mentre, per i convenuti, ammonterebbe ad Euro 57.983,09 (p. 8 comp. cost.) oppure, quale ipotesi per essi deteriore, ad Euro 285.000,00, di cui Euro 120.000,00 da imputare al prezzo a carico della figlia ed Euro 165.000,00 da imputare al prezzo a carico della moglie (pp. 25 s. comp. concl.). A convincere è la prospettazione attorea anche se solo in parte. Il prezzo di Euro 1.105.000,00 è stato pagato per Euro 430.000,00 con le risorse di cui al mutuo contratto dalle convenute. La lite verte sulla fonte di pagamento della parte residua di Euro 675.000,00. I convenuti non hanno contestato che Euro 540.000,00 derivano da assegni relativi al conto corrente aperto presso (...) s.c.p.a. cointestato ai coniugi (p. 5 comp. cost.), come risulta anche dall'atto di compravendita (doc. n. 27 fasc. att.). I convenuti hanno poi precisato che la provvista ivi presente deriva dalla (sola) vendita di una proprietà immobiliare appartenente al convenuto e alla moglie. L'enunciato è parzialmente dimostrato. Risulta dall'estratto del conto corrente (doc. n. 4 fasc. conv.) l'accredito della somma di Euro 654.033,83 il 16 marzo 2012, pari alla somma degli importi dei tre assegni bancari emessi il 13 marzo 2012 a pagamento parziale del prezzo della vendita di diritti immobiliari dei coniugi (cfr. doc. n. 5 fasc. conv.). La provvista è stata utilizzata per onorare i primi quattro assegni di importo totale di Euro 200.000,00 emessi il 20 marzo 2012 a pagamento parziale del prezzo della vendita litigiosa futura (cfr. doc. n. 4 fasc. conv., doc. n. 27 fasc. att.). Sicché, si può ritenere che i coniugi vi abbiano concorso per la metà ciascuno. Dopodiché, risultano giroconti per ulteriori Euro 100.000,00, giusta rilievo attoreo. Pertanto, anche questa provvista ha concorso unitamente a quella di provenienza comune, decurtata di Euro 200.000,00, ai pagamenti successivi per un totale residuo di Euro 340.000,00. Nel rispetto del sistema delle preclusioni processuali, i convenuti non hanno assunto alcunché circa la provenienza della somma di Euro 100.000,00. I convenuti non hanno inoltre contestato che (...) non abbia redditi propri (p. 21 cit.), con le conseguenze ai sensi dell'art. 115, co. 1, c.p.c.. Appare allora, in difetto di circostanze di segno contrario, che la provvista di Euro 100.000,00 corrisponda a risorse riferibili al patrimonio del convenuto. Ciò significa che al pagamento della somma restante di Euro 340.000,00, il convenuto ha verosimilmente partecipato in misura maggiore, come in modo implicito e generale l'attrice ha sostenuto nel non escludere il maggiore contributo del convenuto rispetto a quello calcolato sulla base della presunzione di appartenenza delle risorse sui conti correnti per metà ciascuno ai cointestatari. Le risorse imputabili al convenuto erano circa il 59% (circa Euro 327.000,00) della provvista totale, pari alla somma della metà della provvista comune residua (euro 454.033,83) e dell'importo di Euro 100.000,00. Il contributo del convenuto risulta essere stato di Euro 200.600,00 (pari al 59% di 340.000,00). Il suo contributo complessivo rispetto alla parte di prezzo pagata mediante le risorse sul conto corrente di (...) s.c.p.a. è stato di Euro 300.600,00. I convenuti hanno preso posizione anche sulla restante parte di prezzo, pari ad Euro 135.000,00. Per quanto riguarda la somma di Euro 30.000,00, i convenuti hanno allegato che si tratta di un assegno bancario tratto sul conto corrente aperto presso (...) s.c.p.a., cointestato ai coniugi (p. 6 comp. cost.). Per quanto riguarda la somma di Euro 105.000,00, i convenuti hanno allegato che è stata "versata successivamente all'atto di acquisto (...) per tramite di disponibilità esistenti su conto corrente intestato alle sole" convenute (p. 4 comp. cost.). Con la memoria ex art. 183, co. 6, n. 2), c.p.c., i convenuti hanno depositato atto (pubblico) di quietanza delle venditrici degli immobili litigiosi, da cui risulta che la somma di Euro 535.000,00 è stata pagata mediante bonifici bancari di Euro 35.000,00 a valere sul conto corrente cointestato ai coniugi presso (...) s.c.p.a., di Euro 215.000,00 e di Euro 285.000,00 a valere su altro conto corrente (doc. n. 39 fasc. conv.). Quanto all'assegno di Euro 30.000,00 e al bonifico di Euro 35.000,00 (quale prima parte dell'importo di Euro 105.000,00), i convenuti hanno allegato che il conto corrente di riferimento, cointestato ai coniugi, era stato alimentato per Euro 25.000,00 dalla vendita della proprietà comune e per Euro 100.000,00 da risorse personali di (...). L'assegno bancario è stato tratto il 30 settembre 2012, come allegato dall'attrice (p. 16 cit.) e non specificamente contestato dai convenuti; peraltro, l'attrice ha riprodotto le evidenze dell'atto di compravendita (doc. n. 27 fasc. att.); l'addebito è del 25 ottobre 2012 (docc. nn. 8, 9 fasc. conv.). Quando la convenuta ha accreditato la somma di Euro 100.000,00, già vi era sul conto corrente la somma di Euro 90.000,00, come osservato dall'attrice; prima del bonifico di Euro 35.000,00 (7 dicembre 2012), non risultano altri accrediti (ibidem). Pertanto, per il pagamento di Euro 65.000,00 (assegno di Euro 30.000,00 e bonifico di Euro 35.000,00) si è attinto al conto corrente alimentato con risorse per complessivi Euro 190.000,00. I convenuti, mentre hanno giustificato la diversa provenienza della somma di Euro 100.000,00, alcunché hanno soggiunto rispetto alla somma di Euro 90.000,00. Il silenzio in uno alla mancata contestazione dell'assenza di redditi di (...) porta a ritenere che la provenienza fosse dal patrimonio del convenuto. Vista la confusione delle somme accreditate sul conto corrente, di quasi pari entità per i coniugi convenuti, e considerata la parte di prezzo pagata (euro 65.000,00), non si può ritenere con adeguata sicurezza che al pagamento vi abbiano provveduto le parti con il solo denaro di (...). In difetto di più precise ed ulteriori allegazioni, il pagamento di Euro 65.000,00 è allora da imputare per la metà al convenuto. Per quanto riguarda i bonifici di Euro 215.000,00 e di Euro 285.000,00, per un valore totale di Euro 500.000,00, si ritiene provata la provenienza da un conto corrente intestato alle sole convenute (doc. n. 38 fasc. conv.); si tratta del conto corrente su cui verosimilmente è stato accreditato il mutuo di Euro 430.000,00; ivi risulta infatti l'accredito di Euro 428.296,85 in data 7 dicembre 2012 (doc. n. 38 fasc. conv.). La differenza di Euro 70.000,00 (quale seconda parte dell'importo di Euro 105.000,00) è da imputarsi alle sole convenute, in difetto di prova sufficiente circa la provenienza delle risorse dal convenuto e della finalizzazione della dazione di denaro al pagamento del prezzo; da un canto, dal conto scalare non vi sono elementi per individuare la provenienza delle risorse, né l'attrice ha chiesto l'emissione di un ordine di esibizione in parte qua, dall'altro canto, sulla base di quanto accertato, appare che il convenuto abbia deciso di contribuire all'acquisto tramite le risorse dei conti correnti cointestati alla moglie disponibili prima della stipulazione del definitivo e utilizzate prevalentemente nel periodo precedente al preliminare e in quello immediatamente successivo, quando in ragione della sua posizione di, rispettivamente, futura e attuale parte del preliminare, si può dire con certezza che la dazione di denaro fosse finalizzata all'acquisto dei diritti immobiliari. Risulta che il convenuto abbia contribuito all'acquisto per la somma complessiva di Euro 333.100,00 (gli addendi sono 300.600,00 e 32.500,00), superiore alla somma che dall'atto di compravendita risulta pagata dallo stesso, vale a dire la metà di Euro 240.000,00 da imputare al prezzo a carico della figlia. I convenuti non hanno contestato specificamente la causa liberale sottesa all'atto del convenuto. Gli atti difensivi non contengono alcuna allegazione significativa di onerosità ovvero gratuità (non liberale) della causa, che sia stata fatta nel rispetto del sistema delle preclusioni processuali. Nelle difese finali (pp. 21 ss. comp. concl.), i convenuti hanno trattato funditus dell'obbligo restitutorio delle somme utilizzate dal cointestatario del conto corrente in eccesso rispetto alle proprie; sennonché, si tratta di difese del tutto astratte, atteso che, prima di allora, i convenuti non hanno mai riferito dell'impegno della moglie del convenuto di restituzione di denaro, che peraltro era pacificamente priva di redditi. Occorre a questo punto qualificare l'atto censurato, operazione rispetto alla quale il giudice non è vincolato alle posizioni di parte (art. 101, co. 2, Cost.), purché fondata sulle loro allegazioni. Soltanto nelle difese finali, le parti, segnatamente i convenuti, si sono occupate della questione con maggiore approfondimento. Dalle difese attoree, si evince che la posizione di fondo è quella di ritenere che l'atto del convenuto sia stato strumentale all'acquisto dei diritti immobiliari a favore delle convenute; ciò spiegherebbe la legittimità del sequestro ottenuto sugli stessi. I convenuti hanno contestato che ricorra una donazione indiretta visto il pagamento parziale del prezzo. L'atto revocando è da qualificare come donazione indiretta (o liberalità non donativa) ex art. 809 c.c. e da ascrivere, in particolare, all'area dell'intestazione di beni a nome altrui. La dazione della somma di denaro è stata effettuata quale mezzo per l'unico e specifico fine dell'acquisto dei beni immobiliari. Ne costituisce primo indice pregnante lo schema utilizzato. Il convenuto ha partecipato al contratto preliminare di acquisto per sé o per persona da nominare e nel contratto definitivo ha nominato la figlia come acquirente, a seguito del contributo al pagamento di una parte significativa del prezzo (euro 570.000,00), con ciò spogliandosi del diritto potestativo di ottenere il trasferimento della ricchezza, data dalle proprietà immobiliari (ancorché in parte pro quota), a favore di un terzo. Ne costituiscono secondo indice le difese dei convenuti stessi. Essi hanno profuso risorse per rappresentare e dimostrare l'esatto contributo del convenuto all'acquisto dei beni delle convenute, con ciò confermando che il reale interesse delle parti non era la mera dazione di denaro, utilizzabile indifferentemente, ma assicurare loro l'acquisto delle proprietà immobiliari. La circostanza per cui (...) fosse parte negoziale anche del preliminare non esclude che sia ravvisabile anche rispetto a lei la posizione di donataria (indiretta). Il richiamo allo schema utilizzato è strumentale soltanto a suffragare la conclusione cui si perviene anche solo dall'esame delle asserzioni di parte convenuta. I due indici rendono non revocabile in dubbio che era interesse ultimo delle parti far sì che le convenute fossero proprietarie degli immobili litigiosi, interesse da realizzare mediante il contributo parziale del convenuto al pagamento del prezzo. A dispetto di quanto sostenuto dai convenuti, la donazione indiretta sussiste anche se il pagamento del prezzo è parziale: "deve (?) reputarsi che la liberalità realizzata con la corresponsione delle somme necessarie a pagare il prezzo da parte del donante, non necessariamente debba tradursi nella corresponsione dell'intero prezzo, ma anche di una parte di esso, laddove sempre sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo impiego delle somme, e che laddove queste ultime non siano in grado di coprire per l'intero l'obbligazione gravante sul compratore, l'oggetto della liberalità debba essere identificato, analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato corrispondente alla quota parte di prezzo soddisfatta con la provvista fornita dal donante" (Cass. civ., sez. II, ord. 17 aprile 2019, n. 10759). Questo principio di diritto è da condividere perché assicura la lettura (nel senso di qualificazione) della vicenda in coerenza al reale interesse delle parti, secondo una prospettiva ormai radicata nell'esame delle fattispecie (segnatamente negoziali) che concentra l'attenzione sugli effetti piuttosto che sulla struttura, con ciò esaltando il concreto. Siccome un soggetto ben può decidere di donare la porzione del diritto reale di cui è titolare e (rischiare di) subire l'azione revocatoria del creditore strumentale ad agire esecutivamente sulla quota, non si può non ipotizzare che lo stesso risultato si possa ottenere indirettamente attraverso, ad esempio, l'intestazione della quota ad un terzo. Ciò che rileva è soltanto la strumentalità della dazione di denaro all'intestazione del bene a nome altrui, quale risultato giuridico ultimo da conseguire, quindi la volontà concreta delle parti. La donazione (indiretta) è un atto dispositivo del patrimonio suscettibile di essere revocato. Il convenuto si è privato dell'arricchimento corrispondente ai beni scambiati. Ragioni di economia giuridica consentono di ottenere lo stesso risultato (arricchire gli altri senza alcun beneficio), attraverso uno schema più agevole e meno oneroso - pagamento del prezzo per l'acquisto di beni da intestare in ultimo ad altri - rispetto a quello diretto - acquisto dei beni da parte del futuro donante e successiva donazione degli stessi da eseguirsi nelle forme legali -. Per questo motivo, l'atto dispositivo ha ad oggetto i beni acquistati dalle convenute e non il denaro del convenuto; la semplificazione dello schema consente di fingere che i beni siano (effettivamente) transitati dal patrimonio del convenuto. La conclusione è coerente al regime della donazione indiretta; a titolo esemplificativo, si rammenta che la collazione e la riduzione a tutela della legittima hanno ad oggetto i beni acquistati dal donatario e non il denaro usato dal de cuius. La somma di Euro 333.100,00 corrisponde al 30,14479% circa del prezzo totale. Significa che il convenuto ha donato beni per circa Euro 137.159,00 alla figlia (pari alla percentuale applicata al valore dei beni acquistati di Euro 455.000,00) e per circa Euro 195.941,00 alla moglie (pari alla percentuale applicata al valore dei beni acquistati di Euro 650.000,00). Avuto riguardo al pregiudizio arrecato in conseguenza dell'atto litigioso (c.d. eventus damni), si rammenta che esso ricorre e in caso di variazione quantitativa e in caso di variazione qualitativa tale da rendere più difficile o più onerosa la realizzazione del diritto di credito (per tutte, Cass. civ., sez. VI -3, ord. 24 marzo 2021, n. 8217). È indubbio che la donazione (indiretta) ha comportato una variazione quantitativa del patrimonio del convenuto. Il sacrificio è rimasto per definizione privo di un corrispettivo. È poi onere del debitore allegare e dimostrare la capienza dei beni che costituiscono il patrimonio, nonostante l'atto dispositivo impugnato, dal momento che si tratta di un'eccezione impeditiva dell'azione revocatoria e in virtù del criterio logico della vicinanza della prova (art. 2697, co. 2, c.c.; per tutte, Cass. civ., sez. VI-3, ord. 18 giugno 2019, n. 16221). Il convenuto non ha asserito la capienza del suo patrimonio, nonostante gli effetti sulla garanzia generica dell'atto donativo. Quanto al presupposto soggettivo, atteso che il credito nei confronti del convenuto è sorto prima del compimento del preliminare, vista l'anteriorità dell'impegno di garante (2011-giugno 2012) - è altresì anteriore la maturazione del credito nei confronti della debitrice come si esporrà a breve -, occorre accertare la conoscenza del convenuto circa il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie per effetto dell'atto revocando (c.d. scientia damni). Come ogni stato soggettivo, la prova è diffusamente presuntiva (art. 2729 c.c.). È pacifico che il convenuto era socio di (...) s.p.a., sicché si deve ritenere fosse a conoscenza delle vicende inerenti all'attività sociale. Il convenuto non ha contestato che la società aveva un debito verso l'attrice di Euro 920.531,30, oltre agli interessi, maturato in epoca antecedente il 7 dicembre 2012, data del definitivo, ma anche antecedente il 9 agosto 2012, data del preliminare (v. date fatture di cui alle pp. 6 ss. cit.). È chiaro che, di fronte alle difficoltà se non all'impossibilità della debitrice di pagare (circostanza che si desume dall'entità del debito, dall'assenza di allegazioni di segno contrario, dalla dichiarazione di fallimento nel 2014, quindi poco dopo la contrazione del debito con l'attrice), il garante può attendersi di essere destinatario di azioni volte ad attivare la sua responsabilità patrimoniale. Il convenuto era pertanto consapevole che qualunque atto dispositivo del patrimonio, a maggior ragione se producente impoverimento quale unico effetto per la propria posizione, avrebbe inciso sul buon esito delle azioni. La liberalità dell'atto dispositivo quindi la sua gratuità consentono di non indagare lo stato soggettivo delle convenute. La domanda è accolta nei limiti dei beni donati e pertanto è dichiarata nei confronti dell'attrice l'inefficacia della donazione indiretta fatta dal convenuto a favore delle convenute, avente ad oggetto i diritti immobiliari di cui all'atto del 7 dicembre 2012, stipulato con le venditrici (...) e (...) s.r.l., limitatamente alla quota del 30,14479% dei beni acquistati dalla figlia e alla medesima quota dei beni acquistati dalla moglie. 2. Sui predetti beni, l'attrice ha chiesto e ottenuto sequestro conservativo sino alla concorrenza di Euro 370.000,00. I convenuti hanno dedotto l'illegittimità del sequestro perché la revocatoria verte sul denaro utilizzato dal convenuto per pagare il prezzo dell'acquisto delle convenute. Il sequestro ex art. 2905, co. 2, c.c. presenta connotati di specialità rispetto a quelli tipici di parte generale e segnatamente a quello conservativo (artt. 2905, co. 1, c.c., 671 c.p.c.). La specialità deriva dal diritto da cautelare. Il sequestro è volto a conservare gli effetti dell'azione revocatoria, quindi il diritto del creditore di espropriare il bene del terzo acquistato dal debitore. Pertanto, come si legge in letteratura, l'oggetto possibile ed esclusivo del sequestro è il bene alienato dal debitore al terzo con l'atto revocando. Anche questo sequestro è destinato a convertirsi in pignoramento (art. 686, co. 1, c.p.c.), con il passaggio in giudicato della statuizione di accoglimento della domanda, vista la natura costitutiva dell'azione sottesa, e purché il creditore sia munito di un titolo esecutivo attuale. Nel caso di specie, la revocatoria ha di mira una donazione indiretta e, siccome ciò che è stato donato sono i diritti immobiliari e non il denaro, correttamente il sequestro è stato chiesto ed emesso sui primi. Atteso che oggetto della revocatoria è la quota del 30,14479% delle proprietà donate alle convenute, il sequestro è da ritenersi circoscritto alla stessa e privo di effetti per l'eccedenza (art. 669-novies, co. 3, parte prima, c.p.c.). 3. L'attrice ha chiesto la condanna delle convenute al risarcimento del danno. La domanda non è fondata. L'attrice non ha precisamente allegato il quantum del pregiudizio sofferto in ragione della condotta delle convenute, nel rispetto del sistema delle preclusioni processuali, e si è limitata ad invocare l'art. 1226 c.c., la cui applicabilità dipende, però, dal concorso di precise circostanze (per tutte, Cass. civ., sez. III, sent. 30 aprile 2010, n. 10607); il pregiudizio risulta inoltre indimostrato (l'esperimento vittorioso dell'azione revocatoria consentirà all'attrice, ricorrenti i presupposti, di aggredire i beni donati a soddisfazione del credito). La domanda è rigettata. Al regolamento delle spese processuali si applica il principio di causalità, di cui il criterio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. ne costituisce espressione (tra le tante, Cass. civ., sez. III, sent. 30 gennaio 2009, n. 2473). Ricorre un'ipotesi di soccombenza reciproca che giustifica la compensazione delle spese processuali (art. 92, co. 2, c.p.c.). La compensazione è soltanto parziale. Atteso che la domanda risarcitoria, rispetto alla quale l'attrice è soccombente, ha avuto un impatto minimo sull'economia del processo e considerata l'incidenza ridotta della decisione sulla portata del sequestro, le spese sono compensate per un terzo e per la restante parte sono poste a carico dei convenuti. Lo stesso criterio informa la liquidazione delle spese per il processo cautelare ante causam e per il reclamo perché strumentali al merito. Diversamente, per quanto riguarda il processo cautelare in corso di causa attivato dall'attrice, le spese processuali vanno poste a carico integralmente dell'attrice perché ha formulato una domanda inutile, dichiarata inammissibile. Le spese processuali sono liquidate secondo i parametri del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, limitatamente al processo cautelare ante causam, al reclamo e al processo cautelare in corso di causa. Per quanto riguarda le spese processuali di questo processo, si applicano i parametri del d.m. richiamato per come novellato dal D.M. 13 agosto 2022, n. 147, entrato in vigore il 23 ottobre 2022; ai sensi dell'art. 6 D.M. n. 147 del 2022, in continuità con la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sez. un., 12 ottobre 2012, n. 17406), si applica il nuovo regime se l'attività delle parti non si è esaurita sotto la vigenza del regime anteriore. Per stabilire il valore della controversia, ai sensi dell'art. 5, co. 1, parte terza, D.M. n. 55 del 2014, nei giudizi per azioni revocatorie si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta. Tenuto conto del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, non vi è motivo di discostarsi dall'applicazione dei parametri forensi medi di cui alle corrispondenti tabelle allegate al decreto ministeriale. Non trova applicazione l'art. 4, co. 2, parte seconda, D.M. n. 55 del 2014 (assistenza di un solo soggetto contro più soggetti), atteso che l'oggetto della lite non ha richiesto al difensore dell'attrice di articolare difese significativamente distinte in ragione della posizione dei convenuti. Per il processo cautelare ante causam, le spese processuali sono ridotte della metà limitatamente alla fase istruttoria (non sono state acquisite prove, ma è stata solo trattata la causa, v. nota spese attorea) e alla fase decisionale (priva di difese scritte, v. nota spese attorea); le spese processuali sono liquidate nella somma di Euro 8.100,00 per compensi, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge per il processo cautelare. Altrettanto vale per la liquidazione delle spese processuali del reclamo; le spese processuali sono liquidate nella somma di Euro 8.100,00 per compensi, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge per il reclamo. Per il processo cautelare in corso di causa, il compenso è liquidato solo con riguardo alle fasi introduttiva e istruttoria, ridotto della metà per quest'ultima, in quanto mera trattazione; le spese processuali sono liquidate nella somma di Euro 4.252,50 per compensi, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge. Per il processo di merito, le spese processuali sono ridotte della metà limitatamente alla fase istruttoria (non sono state acquisite prove, ma è stata solo trattata la causa); le spese processuali sono liquidate nella somma di Euro 17.251,50 per compensi, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge per il processo cautelare. Sono liquidate a favore dell'attrice spese per Euro 2.921,00 (risultano documentate le voci di cui alla nota spese allegata alla memoria di replica, tranne quelle rubricate "copia ricorso-decreto per uso trascrizione", "copia ricorso-decreto per uso notifica", "notifica ricorso-decreto"). P.Q.M. Il tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: revoca la donazione indiretta fatta da (...) a favore di (...) e (...), avente ad oggetto i diritti immobiliari di cui all'atto del 7 dicembre 2012 stipulato con le venditrici (...) e (...) s.r.l., nei limiti della quota del 30,14479%, e ne dichiara l'inefficacia nei confronti di (...) s.a.s.; limita il sequestro ottenuto da (...) s.a.s. alla quota dei beni di cui al capo primo; rigetta la domanda di (...) s.a.s. di condanna di (...) e (...) al risarcimento del danno; compensa tra le parti le spese processuali nella misura di un terzo e condanna (...), (...), (...) al rimborso delle spese processuali a favore di (...) s.a.s., nella misura restante, spese che sono liquidate per l'intero nella somma di Euro 33.451,50, per compensi, Euro 2.921,00 per spese, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge; condanna (...) s.a.s. al rimborso delle spese processuali del processo cautelare in corso di causa a favore di (...), (...), (...), che liquida in complessivi Euro 4.252,50, per compensi, oltre a spese generali al 15%, c.p.a. e i.v.a. alle rispettive aliquote di legge; dichiara che la sentenza è soggetta a trascrizione nei registri immobiliari. Così deciso in Brescia il 2 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 gennaio 2023.

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