Sentenze recenti Tribunale Brindisi

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  • TRIBUNALE DI BRINDISI Sezione Civile REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il TRIBUNALE in composizione monocratica nella persona del dott. (...)ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia in primo grado rubricata al N.(...)/2019 R.G., tra: (...) (c.f. (...)), rappr.to e difeso dall'avv. (...) elettivamente dom.to in (...) alla (...) 3; attore contro (...) (C.F. (...)), titolare della ditta individuale (...) & (...) rappr.ta e difesa dall'avv. (...) elettivamente dom.to in (...) alla via (...) 30; nonchè (...) arch. (...) (c.f. (...)) (...); convenuti (...) contratto di appalto - contratto d'opera; precisazione delle conclusioni come da verbale di udienza del 23/3/2023; FATTO E DIRITTO Si procede alla redazione del presente provvedimento omettendo di riportare la parte relativa allo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, n. 4, c.p.c., così come novellato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69. Con ricorso ex art. 702 bis cpc depositato il (...) e notificato in data (...), (...) conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale, (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) nonché l'arch. (...) al fine di sentire così pronunciare: "accertare e dichiarare 1) La responsabilità solidale nella causazione dei gravi vizi d'opera ex art. 1669 c.c. nella costruzione dell'immobile ex novo di proprietà del sig. (...) della ditta appaltatrice (...) & restauri di (...) e del direttore dei lavori nominato (...) 2) (...) in solido, i resistenti al risarcimento dei danni conseguenti, pari ad (...) 23.100,00 in favore del sig. (...) 3) Conseguentemente condannare gli stessi ricorrenti in solido al pagamento delle spese e competenze, oltre rimborso forfettario per spese generali, (...) CPA come per legge per il presente giudizio; 4) (...) i resistenti, in solido, alle spese competenze del procedimento per ATP interamente anticipate dal ricorrente di cui (...) 2.376,43 per competenze liquidate al (...) Il ricorrente a sostegno della domanda assumeva: 1)- che con contratto di appalto del 25.10.2012 commissionava alla ditta (...) e (...) la costruzione dell'immobile sito in (...) alla via delle (...) affidandone la direzione dei lavori all'(...) 2)-che la consegna dell'immobile avveniva in data (...) e soltanto nel maggio 2016, allorquando ivi si trasferiva la famiglia del ricorrente, quest'ultimo verificava in danno della stessa abitazione svariati fenomeni fessurativi e infiltrazioni d'acqua (segnatamente, molteplici lesioni causate da un errata realizzazione degli intonaci esterni; evidenti risalite di umidità lungo i prospetti esterni causate sia da una errata realizzazione dei piazzali esterni sia per effetto della mancata predisposizione di una guaina sottostante la pavimentazione e lungo il tratto di giunzione con la muratura; risalita di umidità all'interno dell'abitazione); 3)- che quel tipo di infiltrazioni, oltre che essere causa di rovina dell'immobile, ponevano seri problemi di salute, pertanto, il ricorrente dava corso a lavori di intervento e rispristino per un ammontare di spesa di Euro 23.100,00, come risultante dai giustificativi di spesa che allegava (v. fatture sub all. n. 7 fascicolo attoreo), e nel corso dei quali, peraltro, emergevano ulteriori vizi e difetti che avevano richiesto ulteriori e diversi interventi; 4) che in ragione della urgenza di provvedere ai lavori di ripristino, il ricorrente aveva dato corso ad un procedimento per l'ATP innanzi al Tribunale di Brindisi - rubricato al N.R.G. 2728/2017 - nel contraddittorio di (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) nonché dell'arch. (...) 5) che il (...) ing. (...) confermando l'assunto del ricorrente, accertava che le cause dei vizi rilevati erano conseguenza diretta di errate esecuzioni dell'opera, siccome non conforme alle regole dell'arte, e che per questo erano imputabili alla ditta appaltatrice ed al D.L. e stimava i danni in Euro 18.600,00, oltre ad iva. Ritualmente costituitosi, il convenuto (...) titolare della impresa individuale edile (...) e (...) eccepiva in via preliminare, la decadenza e la prescrizione ai sensi degli artt. 1667 e 1669 c.c. dell'azione promossa, sul ritenuto presupposto del decorso del termine annuale intercorrente dalla denunzia del 16.10.2016 all'instaurazione del presente giudizio nel 03.3.19, oltre che per intempestività della denunzia dei vizi, poiché a fronte della presa in possesso dell'immobile nel maggio 2016 la denuncia a mezzo racc. a.r. era stata trasmessa soltanto il (...), ovvero oltre cinque mesi dopo. Nel merito, la impresa resistente contestava la domanda, declinando in capo al direttore dei lavori, l'arch. (...) la responsabilità nella verificazione dei vizi, oltre che per i danni lamentati dal ricorrente (e ciò sul ritenuto presupposto della negligenza ed imperizia del medesimo D.L. per errata progettazione, mancata direzione dei lavori ed incauta consulenza fornita alla proprietà-committenza) con conseguente rigetto della domanda attorea. Nella contumacia del convenuto (...) arch. (...) veniva disposto il mutamento del rito stante la necessità dell'istruzione non sommaria, quindi acquisito il fascicolo del procedimento per ATP - rubricato al N.R.G. 2728/2019 - del Tribunale di Brindisi tenutosi tra le stesse parti, la causa è stata istruita attraverso produzione documentale, l'interrogatorio formale deferito ad (...) e prova testi. Fatte precisare le conclusioni, all'udienza del 23/3/2023 la causa è stata trattenuta in decisione con l'assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. La domanda attorea è fondata e va pertanto accolta per quanto di ragione. Va innanzitutto operato un primo e dirimente accertamento preliminare sulla eccezione tempestivamente sollevata da parte convenuta, di inammissibilità dell'azione proposta dal committente (...) che ha riconnesso all'inadempimento della impresa appaltatrice consistente nei difetti riscontrati a carico dell'immobile e delle loro derivazioni causali e dell'imperfetta esecuzione dell'opera, al fine di ottenere il ristoro delle spese sostenute ed occorrenti per l'eliminazione delle difformità e dei difetti, oltre che il risarcimento da essi derivante. In particolare il convenuto (...) ha eccepito sia la prescrizione che decadenza del diritto dell'attore a far valere i vizi dell'opera, adducendo la violazione sia del decorso del termine di un anno dalla denunzia dei vizi - datata 16.10.2016 - rispetto all'instaurazione del presente giudizio (avvenuto con ricorso depositato in data (...)), sia del decorso termine di sessanta giorni fra la denuncia dei vizi e la loro scoperta (ndr. maggio 2016). In tema, giova osservare che la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di ribadire che, nel contratto di appalto (applicabile anche al contratto d'opera), il committente, che lamenti difformità o difetti dell'opera, può richiedere, a norma dell'art. 1668, comma 1, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell'appaltatore, mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall'art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. La prima domanda, infatti, che postula la colpa dell'appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell'appaltatore; la seconda, che prescinde dalla colpa dell'appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un "minus" rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della "eadem res debita", sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi (Cass. civ. 24305 del 16-10-2017). A mente dell'art. 1669 c.c. "Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia". Dunque, ai fini della responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili destinate a lunga durata, l'art. 1669 cod. civ., oltre a richiedere che i vizi si palesino entro un decennio dal compimento dell'opera, stabilisce, al primo comma, un termine annuale di decadenza, relativo alla denunzia dei vizi, che decorre dalla scoperta della gravità dei difetti e della loro imputabilità alla prestazione dell'appaltatore, e pone, al secondo comma, un termine annuale di prescrizione, che si lega unicamente, sotto il profilo cronologico, alla denunzia dei difetti, la quale, pertanto, è atto condizionante la decorrenza del termine prescrizionale (Cass. 18078/2012). Ai fini della proponibilità dell'azione risarcitoria prevista dall'art. 1669 cod. civ. in caso di rovina o di gravi difetti di cose immobili destinate a durare nel tempo, il termine di dieci anni dal compimento dell'opera previsto da tale norma attiene alle condizioni di fatto che danno luogo a responsabilità del costruttore e non anche all'esercizio della suddetta azione la quale può essere iniziata anche dopo la scadenza del suddetto termine, purché entro un anno dalla denunzia dei vizi (Cass. 5020/1993). Quest'ultima a sua volta deve farsi entro il termine di un anno dalla scoperta dei vizi, secondo le ulteriori scansioni temporali divisate dall'art. 1669 c.c. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che ove soltanto uno di essi non sia rispettato, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti dell'appaltatore non può essere fatta valere (Cass. 14561/2004). La scoperta dei vizi si intende verificata quando il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera (nella specie, attraverso una relazione di consulenza tecnica), non essendo sufficiente, di regola, per il decorso del termine suddetto, la constatazione di segni esteriori di danno o di pericolo, né manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (Cass. 777/2020) salvo che si tratti di manifestazioni indubbie come cadute o rovine estese (Cass. 13707/2023). Tale termine può essere postergato all'esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale (Cass. 10048/2018). Invero il termine per la relativa denunzia non inizia a decorrere finché il committente (o l'acquirente) non abbia conoscenza sicura dei difetti e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause. Nondimeno, qualora si tratti di un problema di immediata percezione, sia nella sua reale entità, che nelle sue possibili cause sin dal suo primo manifestarsi, il decorso di tale termine non è necessariamente né automaticamente postergato all'esito dei predetti approfondimenti tecnici (Cass. 27693/2019). Con impegno di sintesi, in tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art. 1669 cod. civ., poiché la disciplina concernente la decadenza e la prescrizione per l'esercizio dell'azione ha lo scopo di non onerare il danneggiato della proposizione di domande generiche a carattere esplorativo, è necessario che la denuncia, per far decorrere il successivo termine prescrizionale, riveli una conoscenza sufficientemente completa del vizio e della responsabilità per lo stesso (Cass. 3040/2015). Dal punto di vista processuale, la decadenza dall'azione per tardività della denunzia, stabilita dall'art. 1669, primo comma, cod. civ., non può essere rilevata d'ufficio dal giudice ma deve essere eccepita dalla parte, trattandosi di decadenza posta a tutela di interessi individuali e concernente diritti disponibili (Cass. 18078/2012). Il termine annuale previsto dall'art. 1669, secondo comma, per l'esercizio del diritto del committente ad essere risarcito dei correlativi danni, decorrente dalla denunzia di rovina o di pericolo di rovina, o di gravi difetti dell'immobile, è, per espressa definizione normativa, un termine prescrizionale. Ne consegue che, a norma dell'art. 2943 cod. civ., il relativo decorso viene interrotto non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma, altresì, da qualsiasi atto stragiudiziale (nella specie, una lettera) che valga a costituire in mora il debitore. Ciò in quanto detto termine si riferisce non già alla sola azione di responsabilità nei confronti dell'appaltatore, ma al diritto di credito del committente, affiancato, come tutti i diritti, dalla facoltà, per il suo titolare, di farlo valere in giudizio, la quale costituisce un modo di esplicazione dello stesso, e non incide sulla sua disciplina sostanziale, ivi compresa la regolamentazione della prescrizione e delle relative cause di interruzione (Cass. 1955/2000). Nel caso di specie, è pacificamente ammesso che la consegna e, quindi, il compimento dell'opera è avvenuta il (...) (v. punto n. 3 ricorso introduttivo) e che - siccome non specificamente contestato ex art. 115 cpc - soltanto nel maggio 2016 a causa di ritardi nell'allacciamento dell'utenza idrica, l'immobile de quo veniva occupato dalla famiglia dell'attore che ivi si trasferiva, mentre la consapevolezza dei vizi è stata, invece, raggiunta in modo più completo, soltanto con il deposito della relazione finale in sede di accertamento tecnico preventivo (16.03.2018). Ne segue che la scoperta è senz'altro intervenuta entro il termine decennale di cui all'art. 1669 c.c. Nel caso di specie - come già sopra specificato - la compiuta conoscenza dei fenomeni deve ritenersi acquisita dall'odierno attorie, in assenza di elementi anteriori altrettanto esaustivi (quale, tra l'altro, non può certamente essere considerata la missiva del 10 ottobre 2016 di cui al n.1 fasc. parte attrice), solo all'atto del deposito della relazione finale del CTU in sede di (...) a cui è seguito la notificazione in data del ricorso ex art. 702 bis cpc relativo al presente procedimento, valevole quale atto di denuncia dei vizi e, quindi, in quanto tale idoneo a interrompere tanto il termine di decadenza quanto quello di prescrizione. Alla stregua di tutto quanto sopra le eccezioni di decadenza e prescrizione formulate dal convenuto non meritano accoglimento. Ciò posto, nel merito la domanda attorea, è fondata per le ragioni di seguito esposte. Giova innanzitutto richiamare il granitico orientamento della Corte di Cassazione secondo cui "(...) di responsabilità regolata dall'art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione" (Cass. n. 17874/17 del negli stessi termini, tra le tante, Cass. n. 3406/15; Cass. n. 13882/2014; v. anche Cass. n. 1236/16 del secondo cui "In tema di appalto per la costruzione di edifici, qualora il committente, come nel caso di specie, lamenti che l'edificio realizzato presenta gravi difetti ascrivibili sia a errata progettazione sia a cattiva esecuzione dei lavori e addebiti specifici comportamenti colposi concorrenti all'appaltatore e al progettista, concretati rispettivamente dalla non conformità dei lavori alle norme tecniche e dal mancato accertamento della consistenza del sottosuolo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rivenienti dai riscontrati difetti, la domanda risulta fondata sugli elementi di fatto e di diritto che connotano l'azione concessa dall'art. 1669 c.c., esercitabile non solo nei confronti dell'appaltatore ma anche nei riguardi nel progettista. La disciplina dettata dall'art. 1669 c.c., anche in ordine alla decadenza e alla prescrizione, è cioè applicabile nei confronti di tutti coloro che hanno cagionato l'evento dannoso, a nulla rilevando la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità perché l'appaltatore e il progettista, quando con le rispettive azioni o omissioni costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse concorrono in modo efficiente a produrre (...) uno degli eventi dannosi tipici indicati dall'art. 1669 c.c., si rendono entrambi responsabili dell'unico illecito extracontrattuale e rispondono entrambi a detto titolo del danno cagionato). "(...) ed il direttore dei lavori rispondono in solido nei confronti del danneggiato per i difetti di costruzione dell'edificio quando le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l'evento dannoso (Cass. n. 14650/20; v. anche Cass. n. 20294/18 e Cass. n. 5103/16). Ferma, quindi, l'ammissibilità di una responsabilità ex art. 1669 c.c. del direttore dei lavori, si tratta di verificare, nel caso in esame, se i difetti riscontrati siano qualificabili come gravi, ai fini dell'applicazione della tutela risarcitoria di cui alla citata norma, e se l'arch. (...) sia responsabile per aver concorso alla produzione dei gravi vizi. Quanto al primo profilo, rientrano nell'ambito applicativo dell'art. 1669 c.c. i vizi che incidono negativamente sugli elementi strutturali essenziali dell'opera o su quelli accessori ma destinati a garantire un durevole godimento del manufatto, e quindi sulla solidità, efficienza e durata di quest'ultimo (Cass. n. 8577/08). In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui "i gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura" (Cass. n. 19868 del 2009) e ritenuto, ad esempio, che rientrassero nella disciplina di cui all'art. 1669 c.c. i difetti all'intonaco, il quale, staccandosi, finiva per incidere sull'impermeabilizzazione e sull'isolamento termico dell'edificio (Cass. n 27433/18 e Cass. n. 20644/17), ovvero difetti relativi al posizionamento degli infissi, elementi fondamentali per la protezione dalle intemperie e direttamente incidenti sulla vivibilità degli alloggi, ed agli allacci idrici (Cass. n. 5388/2018). Quanto al secondo profilo, il direttore dei lavori ha l'obbligo non solo di controllare la conformità dell'opera al progetto, ma di verificare che l'impresa esecutrice delle opere osservi le regole dell'arte in modo tale che il risultato finale sia esente da vizi. In ragione del dovere di sorveglianza del direttore dei lavori, egli è responsabile nel caso in cui non si sia colposamente avveduto dei vizi e non abbia impartito all'impresa esecutrice le opportune disposizioni. I predetti principi sono consolidati nella giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui "in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, il direttore dei lavori per conto del committente presta un'opera professionale in esecuzione di un'obbligazione di mezzi e non di risultati ma, essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l'impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente - preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto"; rientrano pertanto nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente; in particolare l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati sulla corretta esecuzione dei lavori" (Cass. n. 10728/19; negli stessi termini Cass. n. 15255/20) . Giova precisare che parte attrice ha, univocamente, posto a fondamento della domanda risarcitoria la responsabilità dell'arch. (...) quale direttore dei lavori di costruzione del fabbricato e non quale progettista degli stessi, pertanto, in ipotesi non può essere ritenuto responsabile dei danni conseguenti ad eventuali vizi derivanti dall'attività progettuale. È stata acquisita agli atti di questo giudizio la consulenza tecnica di ufficio tesa ad accertare l'esistenza di lesioni alle strutture dell'edificio attoreo e degli altri vizi rilevati nell'ambito del procedimento per A.T.P. rubricato al n.r.g. 2728/2017, al fine altresì, di individuare la causa e la imputabilità al direttore dei lavori o alla società appaltatrice di quantificare i costi occorrenti per le opere di ripristino dei vizi. Va premesso che l'immobile in esame consta di un villino al piano terra con cortile pertinenziale è composto da n. 3 vani letto, due bagni, cucina, ripostiglio-lavanderia, soggiorno e disimpegno con lastricato solare praticabile a mezzo di scala in muratura attestata sul retro prospetto la cui superficie coperta è di mq. 135,00 con altezza utile interna di mt. 3,80 ed insiste su di un lotto di suolo esteso circa mq. 350,00 avente accesso carrabile e pedonale da (...) di (...)#. Sul predetto immobile il CTU ing. (...) ha accertato l'esistenza di un diffuso interessamento a carico della pavimentazione in grés del piazzale di "sconnessioni con distacchi netti e rotture del battiscopa del muro di recinzione oltre all'ammaloramento degli intonaci " oltre alla presenza diffusa di vegetazione spontanea segno questo evidente del distacco materico oramai avvenuto tra le due superfici ortogonali, il che a giudizio del consulente causa il "deteriorando sia il paramento murario della recinzione che i prospetti del fabbricato" (v. pag. 6 e ss. della relazione (...). In particolare, secondo quanto accertato dal CTU "i cedimenti diffusi del piazzale esterno hanno infatti del tutto alterato le pendenze per il deflusso dell'acqua che, in tal modo, è libera di lambire e ristagnare in prossimità delle murature verticali in generale andando a causare la risalita idrica lamentata in ricorso". (v. pag. 6 e ss. della relazione (...). E, di tal guisa, sempre a giudizio del consulente, le diffuse lesioni sui prospetti sono dovute alle consequenziali infiltrazioni idriche nel sottosuolo dell'immobile, parendo evidente che "l'acqua infiltrandosi, risale sulle murature per il fenomeno fisico della capillarità creando sia all'interno che all'esterno le macchie di umidità (v. pag. 6 e ss. della relazione (...), soprattutto lungo i muri perimetrali a confine con il cortile, non mancando, tuttavia, di evidenziare che il fenomeno della risalita capillare dell'acqua dal terreno era manifestamente in atto. Dunque, relativamente all'immobile oggetto di appalto, confermando la sussistenza di tutti i vizi lamentati dall'attore, il CTU ha, altresì, accertato la presenza di umidità e condensa sui soffitti ed, in particolare, all'interno del locale lavanderia "dove l'intonaco sulle pareti e sul torrino è seriamente compromesso dall'umido" (vedi foto nn. 9-10-11 della relazione CTU - pag. 7), offrendo così la rappresentazione dell'immobile, che nel suo insieme appare precocemente invecchiato e con siffatte problematiche - anche di natura igienico/sanitaria - che lo rendono innegabilmente inadeguato per una civile abitazione. Le opere da realizzare per rimediare ai detti vizi, compiutamente descritte nell'elencazione di pagina 11 e ss. della relazione peritale, consistono nel rifacimento ex novo del piazzale esterno all'abitazione "con l'impiego di bandelle impermeabili in corrispondenza alle murature della casa e della recinzione", dando attuazione in tal modo alla demolizione e successiva compattazione del piazzale esistente, su cui successivamente dovrà "realizzarsi il nuovo massetto con le necessarie pendenze per il deflusso dell'acqua". (v. pag. 8 e ss. della relazione (...). Quanto, invece, ai muri esterni dell'abitazione nonché al paramento della recinzione, questi a detta del CTU necessitano di ripristini di intonaco, stuccature e pitturazione. Il CTU, quanto alle cause dei riscontrati vizi, ha valorizzando, in specie, che "ad ingenerare tutti i lamentati inconvenienti è stata un'inadeguata realizzazione del piazzale esterno oltre che del torrino di copertura del locale lavanderia". (v. pag. 5 e ss. della relazione (...). Il CTU ha, infatti, rilevato che trattasi di infiltrazioni idriche nel sottosuolo dell'immobile che causano la risalita sui muri perimetrali sia all'interno che all'esterno dell'abitazione e che dipendono essenzialmente da una inadeguata realizzazione del piazzale che non ha previsto l'adozione di tutti gli accorgimenti necessari al fine di impedire le infiltrazioni idriche nel sottosuolo. Ha in particolare precisato il (...) che al fine di consentire il deflusso e l'allontanamento delle acque meteoriche, erano stati realizzati compluvi e displuvi sulla pavimentazione esterna, senza tuttavia che il substrato venisse adeguatamente compattato ed impermeabilizzato per impedire le infiltrazioni, in tal modo innescando cedimenti diffusi su tutto quanto il piazzale. Inoltre, avendo il CTU appurato che con il trascorrere del tempo i cedimenti avevano del tutto annullato le originarie pendenze, ha riscontrato che, in caso di pioggia, si originano ristagni d'acqua in prossimità dei muri perimetrali dell'abitazione oltre che in corrispondenza alla recinzione. In sostanza, il CTU ha ritenuto che l'omissione di una efficiente barriera impermeabilizzante sarebbe la causa che ha scatenato la presenza di umidità sui muri e gli assestamenti strutturali con le consequenziali lesioni lungo i prospetti dell'immobile. Dopo aver evidenziato che tutto il piazzale esterno all'abitazione sarebbe obiettivamente inutilizzabile, il CTU ha stabilito l'urgenza di un completo rifacimento dello stesso al fine di scongiurare "assestamenti differenziali strutturali delle fondazioni e/o altro fenomeno dannoso che possa provocare ulteriori e ben più gravi danni" all'immobile attoreo (v. pag. 11 - relazione (...). Sempre a parere del (...) la presenza di acqua per risalita sui muri interni sarebbe la causa delle formazioni sui soffitti e sui così detti ponti termici (travi e pilastri in c.a.) in occasione dell'attivazione dell'impianto termico con l'evaporazione che crea un microclima pregno di umidità che si condensa sulle parti più fredde dell'immobile. Con riferimento, invece, alla situazione di degrado accertata all'interno del locale lavanderia, il CTU ha riscontrato che "il torrino realizzato in copertura non è stato adeguatamente coibentato in verticale e tanto meno impermeabilizzato in orizzontale per cui il vapore prodotto all'interno si condensa andando a depositarsi per l'appunto sulla parte più fredda del vano (pareti e solaio del torrino)" (v. pag. 11 - relazione (...) I vizi come sopra accertati, devono essere qualificati come gravi ai sensi dell'art. 1669 c.c. poiché comportano: diffuse infiltrazioni di acque piovane sia nell'immobile che nelle pareti contro terra al piano; fenomeni di umidità per capillarità sulla parte inferiore delle pareti interne ed esterne; distaccamento delle stuccature della pavimentazione della terrazza piano terra e sfaldamenti della pavimentazione; deterioramento della parte sommitale orizzontale delle murature; sfaldamento intonaco delle pareti e parapetti esterni, crettature e lesioni alla base dei parapetti. Trattasi di vizi che pregiudicano la sicurezza e la stabilità dell'opera, poiché indeboliscono la tenuta dei pilastri di fondazione e comportano, a causa delle diffuse infiltrazioni d'acqua, dei fenomeni di umidità e delle lesioni e sfaldamenti sia di pareti che di pavimentazioni, una considerevole menomazione del normale godimento dell'edificio. La gravità dei vizi discende dalla loro incidenza sulla stabilità dell'immobile e sulla fruibilità abitativa, per la permeabilità dell'edificio a infiltrazioni di acqua e fenomeni di umidità e per i diffusi deterioramenti di murature e pavimentazioni. Giova, peraltro, rammentare che la giurisprudenza riconduce nella categoria dei gravi difetti, ex art. 1169 c.c., quelli consistenti in: vizi del tetto o del terrazzo comportanti infiltrazioni d'acqua (Cass. 21351/2005), insufficiente spessore dei solai che ne determini l'incurvamento (Cass. 2928/1975), caduta dell'intonaco e dei rivestimenti dei muri perimetrali (Cass. 6585/1986; Cass. 20644/2013). Di tali vizi risponde oltre all'appaltatore altresì il direttore dei lavori. Non è, infatti, revocabile in dubbio che la fase della impermeabilizzazione di terrazze e coperture, così come quella di realizzazione delle pareti perimetrali interrate, imponesse, attesa la sua ovvia rilevanza sulla stabilità e fruibilità abitativa dell'immobile, una attenta osservazione e vigilanza da parte del direttore dei lavori. Non poteva poi sfuggire al direttore dei lavori l'assoluta inadeguatezza dei compluvi e displuvi sul pavimento del piazzale senza che il substrato venisse adeguatamente compattato ed impermeabilizzato per impedire le infiltrazioni, così si sono in tal modo innescati cedimenti diffusi su tutto quanto il piazzale. I gravi e diffusi vizi dimostrano che tale vigilanza è mancata o è stata carente. Non risulta, tuttavia, che l'arch. (...) abbia rilevato i vizi né che abbia intimato alla appaltatrice di porvi rimedio. Il direttore dei lavori è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni che necessitano di peculiari competenze tecniche ed il suo comportamento deve essere, pertanto, valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della "diligentia quam in concreto" il che, fra l'altro, obbliga il D.L. ad accertare la conformità della progressiva realizzazione dell'opera alle regole della tecnica ed a rilevare eventuali errori o manchevolezze progettuali. (...). (...) deve, quindi, ritenersi responsabile per aver omesso di vigilare, valutare (o per essere giunto a conclusioni errate circa) la adeguatezza, sotto il profilo strutturale, dimensionale e funzionale, degli elementi di compluvio e despluvio delle acque meteoriche nell'interesse della pavimentazione della terrazza. Si palesa, infine, un profilo di negligenza del convenuto anche nel mancato rilievo che l'assenza del compattamento e impermeabilizzazione del substrato del piazzale per impedire le infiltrazioni, avrebbe prodotto cedimenti diffusi su tutto quanto il piazzale. Sussiste il nesso causale tra i rilevati vizi e la condotta del direttore dei lavori atteso che, secondo i principi che presiedono al nesso di causalità (condicio sine qua non e causalità adeguata), una attenta vigilanza nel corso dell'esecuzione dei lavori di costruzione del fabbricato, una pronta indicazione alla impresa appaltatrice della inadeguatezza di tale attività per il mancato rispetto delle regole dell'arte delle costruzioni e l'imposizione dei necessari correttivi, avrebbe consentito con elevata probabilità di evitare la realizzazione di un edificio gravato da così rilevanti vizi. Quanto all'ammontare dei danni subiti dall'attore, il CTU ha stimato (pagina 12 e ss. della relazione) i costi necessari per rimediare ai vizi riscontrati in complessivi Euro.18.000,00, oltre iva. Premesso che costituisce principio di diritto più volte affermato dalla Corte di Cassazione quello secondo il quale il giudice del merito resta esonerato dall'obbligo di puntualmente motivare, indicando le fonti del suo convincimento, allorquando aderisca alle conclusioni del consulente tecnico, il quale nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte (cfr. Cass. n.282 nonché Cass. n.4850), ritiene il (...) nel caso di specie di dover far proprie le conclusioni del (...) oltre che in ordine alla individuazione dei vizi, altresì alla stima dei costi di ripristino, quale parametro oggettivo di valutazione dei danni da preferirsi rispetto ai costi sostenuti dall'attore per effettuare i lavori di ripristino che, come accertato nel corso del giudizio. In particolare l'attore ha dedotto e provato (v. dichiarazione teste (...) attestazione di spese - fatture n.9, 11, 15 e 21/18 - all. 7 fasc. attore.) che i predetti lavori sono stati eseguiti successivamente all'ATP e anteriormente alla instaurazione del presente giudizio di merito, onde per cui parte attrice ha chiesto il risarcimento dei danni parametrati ai costi sostenuti per rimediare ai vizi del fabbricato, che, rispetto alla originaria previsione del CTU (ndr. Euro 18 mila), "dal punto di vista tecnico sono stati necessari lavori di intervento e rispristino per un ammontare di (...) 23.100,00, somma leggermente superiore da quella preventivata dal ctu e dalla ditta alla quale sono stati affidati i lavori di ripristino, a causa dell'emersione, nel corso dei lavori di ripristino, di ulteriori vizi e difetti richiedenti interventi ulteriori". In realtà, al di là della generica deduzione sopra riportata, l'attore non ha offerto alcun elemento oggettivo da cui desumere la maggior rispondenza all'integrale ristoro dei danni effettivamente patiti, dei costi effettivamente sostenuti rispetto a quelli stimati dal CTU ed in particolare non è dato sapere se la stima operata dal CTU abbia in realtà sottostimato i costi degli interventi, ovvero - come sembra alludere l'attore - i maggiori costi siano dipesi dal fatto che sarebbero emersi ulteriori vizi in precedenza non riscontrati. Va da se che quanto a tale seconda ipotesi, nulla potrà essere riconosciuto all'attore in difetto di prova in ordine alla sussistenza di tali ulteriori vizi, alle sue cause, alla data della scoperta ed alla sua tempestiva denuncia. Quantificati i danni in Euro.18.000,00 oltre (...) di essi sono tenuti a rispondere in via solidale tanto l'appaltatore che il direttore dei lavori essendo irrilevante in questa sede la suddivisione delle responsabilità fra i soggetti obbligati, attenendo questa al rapporto interno tra i debitori in solido (Cass. n. 12367/18), posto che ai sensi dell'art. 2055 c. 3 c.c., le colpe di coloro che hanno concorso al fatto dannoso si presumono, nel dubbio, uguali. Sulla somma innanzi liquidata, trattandosi di obbligazione di valore, deve essere riconosciuta la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulla somma via via rivalutata, dalla data di deposito della CTU dell'ing. (...) (18/5/2018) alla data di pronuncia della sentenza. Le spese di lite, tanto del presente giudizio che del procedimento per (...) debbono seguire la soccombenza e vanno liquidate, quanto ai compensi, secondo i parametri medi previsti dal d.m. n. 55/2014. Le spese di CTU sostenute in sede di ATP vanno poste a totale e definitivo carico dei convenuti in solido fra loro. p.q.m. Il TRIBUNALE di Brindisi, Sezione Civile, in composizione monocratica nella persona del dott. (...) definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) e l'arch. (...) disattesa ogni diversa o contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) condanna (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) e l'arch. (...) in solido fra loro, a corrispondere in favore di (...) il complessivo importo di euro 18.000,00, oltre iva (se e nella misura dovuta), maggiorata della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma via via rivalutata con decorrenza dal 18/5/2018; 2) condanna altresì (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) e l'arch. (...) in solido fra loro, alla refusione in favore di (...) delle spese di lite relative al presente procedimento, che si liquidano in Euro.135,00 per le borsuali, Euro.4.901,00 per compensi, oltre 15% per rimb. forf., CPA ed IVA (se dovuta) nonché delle spese del procedimento di ATP rubricato al n.2728/2017 RG, che si liquidano in Euro.135,00 per le borsuali ed Euro.2.225,00 per compensi, oltre 15% per rimb. forf., CPA ed IVA (se dovuta), come per legge; 4) pone integralmente e definitivamente a carico di (...) titolare della impresa individuale edile (...) & (...) e l'arch. (...)# in solido fra loro, le spese di C.T.U. relative al procedimento di (...) Brindisi, lì 14/5/2024 IL GIUDICE dott. (...) La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del dott. (...) funzionario componente l'(...) per il Processo.

  • TRIBUNALE DI BRINDISI Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica in persona del giudice dott. (...) ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. (...)/2015 R.G. PROMOSSA DA (...) S.A.S. (...) e C., in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avv. (...) ATTRICE CONTRO (...), in persona dell'amministratore p.t., rappresentata e difesa giusta procura in atti dall'avv. (...) CONVENUTO All'udienza del 10.10.23 le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, come da relativo verbale in atti, da intendersi qui interamente richiamate e trascritte. FATTO E DIRITTO Ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., come modificato dall'art. 45 co. 17 della legge 18 giugno 2009 n. 69, la presente sentenza viene motivata attraverso una "concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione". La "(...) S.a.s di (...) e C.", premettendo di aver concluso con il (...) di (...) n. 27 sito in (...) un contratto di appalto per "l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione, restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria" per un importo di Euro 155.000,00 (divenuti Euro 163.305,00 in ragione di ulteriori lavori ad essa commissionati in data (...)) e di aver eseguito opere per complessivi Euro 143.615,24, ha lamentato il mancato pagamento, da parte del condominio convenuto, della somma di Euro 23.615,24 per prestazioni già eseguite, nonché di aver subito perdite economiche per ulteriori Euro 24.301,12, a titolo di spese sostenute, danno emergente e lucro cessante, oltre al danno morale. (...), in particolare, ha precisato che il (...) di via (...) fin dalla redazione del primo stato di avanzamento dei lavori, si rendeva moroso nei pagamenti e che, a causa del persistente inadempimento, la società attrice in data (...) sospendeva i lavori (come da missiva inviata al convenuto in data (...)). Sulla scorta di tali premesse, (...) e (...) S.A.S. ha convenuto in giudizio il (...) di via (...) domandando che, previo accertamento del grave inadempimento posto in essere dallo stesso, fosse dichiarata la risoluzione del contratto d'appalto e che il convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni sopra indicati. Costituitosi in giudizio il (...) di via (...) ha domandato il rigetto delle avverse domande contestandone la fondatezza. Più precisamente, il convenuto ha esposto che: l'inadempimento non poteva configurarsi come grave, avendo il medesimo già corrisposto la somma di Euro 120.000,00; la società appaltatrice aveva eseguito lavori per Euro 143.615,00; "in virtù dei lavori revisionati l'importo totale sulla previsione della ultimazione dei lavori sarebbe dovuto essere di Euro 154.680,34 e non più di Euro 163.000,00". La domanda attorea volta ad ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di appalto è fondata e meritevole di accoglimento. Ed invero, "il creditore che agisce in giudizio, sia per l'adempimento del contratto, sia per la risoluzione e il risarcimento del danno deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del proprio diritto, limitandosi ad allegare l'inadempimento della controparte, sulla quale incombe l'onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall'adempimento. Coerentemente, l'appaltatore che agisce in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo deve provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, ove il committente ne eccepisca l'inadempimento. Specularmente, a fronte della contestazione di inadempimento sulla cui base si fonda la domanda della committente, spetta all'appaltatore, l'onere di fornire la prova del puntuale adempimento della propria obbligazione. (...) di risoluzione e quella risarcitoria hanno difatti in comune con l'azione di adempimento l'elemento costitutivo fondamentale: per conseguenza, chi le propone è tenuto a provare soltanto l'esistenza del titolo, e non anche l'inadempienza dell'obbligato" (Cassazione civile sez. I, 06/07/2023, n.19110). Nel caso di specie, indiscussa è, tra le parti in causa, la fonte negoziale su cui si fondano le pretese attoree. Il condominio convenuto, invero, oltre a non aver contestato l'esistenza del contratto d'appalto stipulato con la società attrice in data (...) ha, altresì, riconosciuto (sebbene solo in parte) il proprio inadempimento, affermando, nella comparsa conclusionale del 7.12.23, che "la domanda attrice è parzialmente fondata in quanto il convenuto le riconosce il solo diritto al conseguimento della menzionata somma di Euro 14.289,72 (somma ricavata dalla differenza fra i lavori eseguiti alla data dell'8.5.2015 pari ad Euro 134.289,72 - accertata dal ctu - e gli acconti versati di Euro 120.000,00)". Può, dunque, ritenersi raggiunta la prova tanto della sussistenza della fonte negoziale, gravante sulla società appaltatrice, quanto dell'inadempimento di parte convenuta, da quest'ultima non contestato. Passando ora ai profili attinenti alla rilevanza dell'inadempimento, prevista e richiesta dall'art. 1455 c.c. ai fini della risoluzione del contratto, occorre precisare che "in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell'art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito"(Cassazione civile, sez. VI-2, ordinanza n. 12182 del 22 giugno 2020). In particolare, "in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice, per valutarne la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti, che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità" (Cassazione civile, sez. III, sentenza n. 22346 del 22 ottobre 2014). Nel caso di specie, l'importanza dell'inadempimento posto in essere dalla convenuta, che, secondo quanto previsto dall'art. 10 del contratto in parola, alla data di redazione del secondo stato di avanzamento dei lavori (8.5.2015) avrebbe dovuto corrispondere all'attrice un ulteriore 30% del corrispettivo pattuito, si evince, oltre che dal mancato rispetto del termine previsto per il pagamento, anche dal protrarsi ininterrotto dello stesso, nonostante i numerosi solleciti di parte attrice. Il condominio convenuto, difatti, è rimasto inerte sia alle richieste di pagamento inviate dalla società attrice con lettera raccomandata del 24.4.2015 e successive PEC del 12.5.2015 e del 26.5.2015, sia all'ordinanza ex art. 186 bis c.p.c., (pronunciata all'udienza del 16.3.2018), con cui questo Tribunale, alla luce della dichiarazione resa dall'amministratore del condominio, nell'ambito del procedimento avente ad oggetto il "pignoramento presso terzi promosso da casa (...) e dall'avv. (...) a carico di (...) Sas" (ove l'amministratore del condominio ha dichiarato che "il (...) de quo risulta essere debitore nei confronti della ditta (...) sas di un importo pari ad Euro 23.615,24 e che tale somma non sarà sottratta alla garanzia del credito?"), ha ordinato al convenuto il pagamento della somma di Euro 23.615,24. Anche l'ingiustificato rifiuto, da parte del condominio convenuto, di declinare le generalità dei codomini morosi, in ottemperanza al disposto di cui all'art. 11 del contratto di appalto, ai sensi del quale "l'appaltatore rinuncia espressamente al vincolo della solidarietà tra condomini per le quote non pagate e, pertanto, potrà agire unicamente nei confronti dell'eventuale condomino moroso", confermato, altresì, all'udienza del 23.6.2017 dall'amministratore del condominio (il quale, in sede di esame, ha dichiarato che "non ho comunicato alla società (...) e (...) i nominativi dei condomini morosi perché mi riservavo di comunicarlo ad ultimazione dei lavori") concorre, unitamente agli ulteriori elementi fattuali sopra vagliati, a concludere per la gravità dell'inadempimento. Non può, invece, ritenersi idonea a giustificare il mancato pagamento della restante parte del corrispettivo pattuito, la circostanza (addotta da parte convenuta) secondo cui lo stato di avanzamento dei lavori sarebbe stato sottoscritto dal solo direttore dei lavori e dalla società (...) e (...) (e non anche dal committente), posto che tale attività rientra nelle competenze esclusive del direttore dei lavori, in qualità di rappresentante del committente. Difatti "il direttore dei lavori non va confuso con il direttore del cantiere, che è un fiduciario dell'appaltatore, a differenza del primo che è, invece, un mandatario del committente per il controllo della esecuzione delle opere secondo le regole dell'arte, la corrispondenza dei materiali impiegati, nonché per la verifica della conformità al progetto delle opere realizzate, attività da attuarsi attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa. Il titolare o amministratore dell'impresa appaltatrice è, quindi, incompatibile a svolgere l'incarico di direttore dei lavori, atteso che quest'ultimo è un rappresentante del committente preposto a sorvegliare l'esatta esecuzione delle opere" (cfr. fra le altre Corte appello, (...) 20/01/2016 , n. 20). Nel contratto de quo le parti hanno, invero, espressamente attribuito al direttore dei lavori sia il compito di redigere gli stati di avanzamento dei lavori (art 10), sia poteri rappresentativi e di controllo, prevedendo, all'art. 16, che "il direttore dei lavori ha poteri di coordinamento, direzione e controllo tecnico contabile dei lavori ai quali è preposto. Egli interloquisce in via esclusiva con l'appaltatore per gli aspetti tecnici ed economici del contratto ed , in particolare, ha il compito: a) di verificare la conformità delle esecuzioni al progetto approvato ed alle autorizzazioni rilasciate, nonché il contratto; b) di verificare in corso lavori che l'appaltatore utilizzi materiali idonei ed accorgimenti tecnici e costruttivi tali da garantire un'esecuzione a regola d'arte; c) di provvedere al rilievo delle opere eseguite; d) di provvedere alla contabilizzazione delle stesse, con le modalità previste nel presente contratto, predisponendo in contraddittorio con l'appaltatore la documentazione contabile; e) di provvedere ad ogni adempimento necessario al fine di consentire la regolare esecuzione di eventuali variazioni e/o aggiunte in corso d'opera". Anche, infine, la sospensione dei lavori operata dalla (...) e (...) a fronte del mancato pagamento di parte convenuta, deve considerarsi legittima, posto che "In tema di appalto privato, l'inadempimento da parte del committente relativo al mancato pagamento degli importi dovuti alle scadenze pattuite, giustifica la sospensione dei lavori da parte dell'appaltatore, dato che nell'appalto trovano applicazione i principi generali in materia di contratti a prestazioni corrispettive, per cui, se il committente non paga il residuo corrispettivo, l'appaltatore può rifiutarsi di consegnargli la restante parte dell'opera, alla stregua del principio inadimplenti non est adimplendum, di cui all' art. 1460 c.c." (Cassazione civile , sez. II , 11/04/2013 , n. 8906; Tribunale, L'(...) , 03/11/2020 , n. 496, Tribunale Trani, 20/03/2018, n.711). Può, pertanto, ritenersi che, costituendo il pagamento della prestazione la principale obbligazione del rapporto contrattuale, l'inadempimento del convenuto, consistito nel mancato pagamento del corrispettivo alle scadenze pattuite, assuma i requisiti della gravità e della importanza che, tenuto altresì conto del comportamento delle parti e degli obblighi di buona fede sulle stesse gravanti nell'esecuzione del contratto, giustificano la risoluzione dello stesso. Quanto alle conseguenze della risoluzione, è noto che l'appalto, in generale non si sottrae, in caso di risoluzione, alla regola dettata dall'art. 1458 c.c. della piena retroattività di tutti gli effetti, anche in ordine alle prestazioni già eseguite, la quale mira a ristabilire la situazione patrimoniale in cui le parti si sarebbero trovate se il contratto stesso non fosse stato concluso, attraverso la restituzione delle prestazioni effettuate (che opera ex tunc, dal momento cioè in cui è sorta l'obbligazione) e la liberazione da quelle non ancora eseguite (che opera ex nunc, dal momento cioè della sentenza). Allorché si tratti di risoluzione del contratto di appalto di lavori conseguente all'inadempimento del committente, non essendo evidentemente configurabile la restituzione in natura all'impresa appaltatrice della costruzione parzialmente eseguita, la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso che il contenuto dell'obbligo restitutorio a carico del committente va determinato con riferimento al momento della pronuncia di risoluzione e in relazione all'ammontare del corrispettivo originariamente pattuito (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12162 del 24/05/2007). Dunque, ai fini della determinazione del quantum debeatur, il (...) geom. (...), ha, dapprima, provveduto a stabilire l'ammontare dei lavori complessivamente eseguiti dalla società attrice, per poi verificare la misura del credito dalla stessa vantato alla data dell'8.5.2015 (data di redazione del secondo stato di avanzamento dei lavori). Il Ctu, in particolare, ha appurato che "la società (...) e (...) S.a.s. ha eseguito lavori "a corpo" e "a misura", fino alla data dell'8.9.2015 per un costo totale pari ad Euro 148.417,64" e che il credito a favore della società (...) e (...) S.a.s. di (...) e C per i lavori già eseguiti, con riferimento alla data dell'8.5.2015 è pari ad Euro 18.789,72". Detto importo, secondo il consulente, "scaturisce dalla differenza tra l'importo dei lavori effettivamente eseguiti a tale data, pari ad Euro 134.289,72, (così come si evince nella colonna "riscontro dei lavori a corpo" e "a misura" relativi al 2 S.A.L. eseguiti alla data dell'8.5.2015 risultante dalla contabilità redatta dal direttore dei lavori" ...) e gli acconti già versati dal committente (...) di (...) n. 27 fino alla data del 20.4.2015, data immediatamente antecedente a quella dell'8.5.2015, pari ad Euro 115.500,00?" Dunque, a fronte di lavori complessivamente eseguiti dalla (...) e (...) sas per Euro 148.417,64, avendo il condominio convenuto versato, nel periodo dal 30.9.2014 al 30.7.2015 la somma totale di Euro 120.000,00, può riconoscersi in favore dell'attrice un credito di Euro 28.417,64. Tuttavia, dovendo il giudicante attenersi, secondo il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, alla domanda, formulata dall'attrice, di pagamento in favore della stessa "della somma di Euro 23.615,24 a titolo di pagamento dei lavori reali eseguiti ad oggi", non potendo, viceversa, ammettersi un'emendatio libelli della medesima, consentita, ai sensi dell'art. 183 comma 4 c.p.c., sino all'udienza di trattazione, con riferimento alla somma dovuta titolo di corrispettivo per i lavori eseguiti la domanda attorea va accolta entro il predetto limite. Il suddetto importo, tuttavia, va ridotto ad Euro 14.036,09, dovendosi scomputare (dalla somma di Euro 23.615,24) la somma di Euro 9.579,15, corrispondente al versamento effettuato dal (...) convenuto (terzo pignorato) in favore della ditta (...) (creditore dell'attrice), giusta bonifici prodotti dal convenuto e non contestati da controparte. Inoltre, rilevato che "in caso di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono a un'obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all'articolo 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente" (Cassazione civile sez. I, 14/12/2018, n.(...)), non potrà procedersi alla rivalutazione automatica della somma dovuta a titolo di risarcimento, potendosi riconoscere esclusivamente gli interessi moratori al tasso legale dalla data della domanda (quale atto di costituzione in mora) fino al soddisfo. Meritevole di accoglimento è, altresì, la domanda, formulata dall'attrice, volta ad ottenere il risarcimento del danno da lucro cessante. (...) e (...) ha, invero, fornito la prova di aver subito un pregiudizio economicamente valutabile, costituito dalla differenza tra l'utile netto che avrebbe conseguito in caso di buon esito del rapporto contrattuale (e, dunque, il prezzo globale pattuito in contratto, come in seguito rettificato ed accertato in sede di consulenza: Euro163.305,00) e quanto già percepito (120.000,00) dal convenuto ed odiernamente riconosciuto a titolo di danno emergente (Euro 28.417,64), corrispondente a Euro 14.887,36. In questo caso, trattandosi di debito di valore, su tale ultima somma va applicata (anche d'ufficio) la rivalutazione monetaria secondo gli indici I.S.T.A.T. F.O.I., con decorrenza dal 18.5.2015 (data di prevista per l'ultimazione dei lavori e per il saldo finale), non potendosi applicare, neppure in questo caso, interessi compensativi a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, non avendo l'attrice provato, neppure sulla scorta di presunzioni, che qualora avesse avuto l'immediata disponibilità di tale somma avrebbe potuto impiegarla redditiziamente in modo da conseguire un guadagno superiore a quanto già liquidato a titolo di rivalutazione monetaria (cfr. da ultimo, Cass. n. 3268/2008). Il condominio convenuto, viceversa, non avendo fornito alcuna prova del dedotto "stralcio", dal contratto di appalto, di lavori commissionati per complessivi Euro 9.190,00 ed, in particolare, "di quelli contrassegnati nel contratto d'appalto negli artt.: 21) ristrutturazione torrino accesso garage per un importo di Euro 3.500,00 (da effettuarsi al 90%); 23) torrino scala di importo contrattuale di Euro 6.750,00; 28) revisione pavimentazione esterna cortili di importo contrattuale pari ad Euro 2.090,00", non potrà avvalersi della detrazione di tale ammontare dal quantum debeatur. Alcunché va, invece, risarcito a titolo di danno morale in favore dell'attrice, non potendo l'ipotizzato pregiudizio all'immagine e alla reputazione della società essere presunto, in difetto assoluto della benché minima allegazione di alcun ulteriore danno rispetto a quello patrimoniale già liquidato ed alle spese occorse per la difesa nel presente giudizio. Invero, "Il danno morale, causato dall'incertezza derivante dall'inadempimento contrattuale, deve essere inteso come sofferenza soggettiva rientrante nelle categorie di danno non patrimoniale. La sussistenza di tale danno, però, deve essere debitamente provata dal richiedente il risarcimento", (Cassazione civile sez. VI, 18/07/2018, n.19101, nello stesso senso di Cassazione civile sez. III, 24/10/2011, n.21999). All'accoglimento, benché, parziale, della domanda proposta dall'attrice consegue la condanna del convenuto alla rifusione delle spese di lite dalla stessa sostenute, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. Vanno, altresì, poste a carico della parte convenuta, in ragione della soccombenza, le spese occorse per la consulenza tecnica d'ufficio, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica in persona del Giudice dott. (...) definitivamente decidendo il giudizio iscritto al n. (...)/2015 R.G., così provvede: - dichiara risolto il contratto stipulato tra le parti in data (...) per grave inadempimento del convenuto; - condanna (...) di (...), in persona del suo amministratore p.t., al pagamento, in favore della (...) e (...) della somma di Euro 14.036,09, oltre interessi legali dalla data della domanda al soddisfo, nonché al pagamento della somma di Euro 14.887,36 a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici e le decorrenze indicate in motivazione; - rigetta le ulteriori domande attoree; - condanna il condominio convenuto alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'attrice, che liquida in Euro 545,00 per spese ed Euro 7.616,00 per competenze, oltre a rimborso forfetario spese generali, I.V.A. e C.A.P. come per legge, da distrarre in favore del procuratore dichiaratosi antistatario; - pone definitivamente a carico del convenuto le spese occorse per la consulenza tecnica d'ufficio, come liquidate in corso di causa. Così deciso in Brindisi il 22 aprile 2024. Depositata in Cancelleria il il 22 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BRINDISI Sezione Civile Dott. Stefano MARZO ha emesso la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta a n. 3725/18 R.G., passata in decisione all'udienza del 06.06.2023. Oggetto: Risarcimento danni. TRA AL.Sa., rappresentato e difeso dall'Avv. (...); ATTORE E COMUNE DI FRANCAVILLA FONTANA, rappresentato e difeso dall'Avv. (...); ASL BRINDISI, rappresentato e difeso dall'Avv. (...); CONVENUTI All'udienza del 06.06.2023 i procuratori delle parti rassegnavano le conclusioni riportandosi ai rispettivi scritti difensivi e la causa veniva trattenuta per la decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. IN FATTO Con atto di citazione del 02/09/2018 Al.Sa. riassumeva il giudizio promosso il 06/05/2018 precedentemente instaurato dinanzi al Giudice di Pace di Brindisi (definito con declaratoria di incompetenza per valore), convenendo il Comune di Francavilla Fontana e la ASL BR, per ivi sentire dichiarare e riconoscere che l'incidente stradale di cui egli era stato vittima in data 6.6.2017, alle ore 12,30 sulla S.P. Francavilla Fontana - San Vito dei Normanni, in conseguenza dell'improvviso attraversamento della strada da parte di branco di cani randagi, è da ascrivere a responsabilità degli enti pubblici convenuti, per omessa predisposizione dei servizi di prevenzione del randagismo e di cattura dai cani randagi; per l'effetto, chiedeva la condanna in solido dei predetti enti pubblici al pagamento in suo favore, a titolo di risarcimento dei danni, della complessiva somma di euro 18.933,67, per le causali di cui in narrativa, ovvero della maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì del sinistro al soddisfo, con vittoria di spese e competenze di causa da distrarsi in favore del procuratore anticipatario. Riferiva quanto segue: il giorno 06/06/2017, alle ore 12,30 circa, egli era alla guida della propria autovettura (...), assicurata per la R.C.A. con la S.p.A. (...) lungo la S.P. 48 Francavilla Fontana per San Vito dei Normanni, in agro di Francavilla; procedeva a moderata velocità tenendo destra, quando all'improvviso, dopo un'ampia curva a sinistra, una (...) proveniente dal senso opposto di marcia evitava l'impatto con un branco di cani randagi che erano sbucati dalla destra di detta vettura; subito dopo essere stati schivati dalla (...), i cani invadevano la corsia di marcia su cui esso attore stava procedendo; a causa di ciò egli, dopo avere invano effettuato una brusca frenata e una sterzata a destra per evitare l'impatto, l'investiva i cani e perdeva il controllo del mezzo, andando a sbattere contro il muretto posto a destra della strada e poi finendo fuori dalla strada. Tanto premesso, lamentava che la sua autovettura aveva subito ingentissimi danni a parti meccaniche e di carrozzeria e che egli aveva riportato gravi lesioni, che lo avevano costretto a recarsi al più vicino Pronto Soccorso, dove gli erano state diagnosticate le lesioni riportate nei referti medici in atti. Deduceva che i danni da lesioni personali vanno liquidati in euro 18.933,67, di cui euro 3.500,00 per I.T.T. gg. 2 0, I.T.P. gg. 40, I.P.P. 3 per cento, danni morali, alla vita di relazione e spese mediche ed euro 15.433,67 (più IVA). Soggiungeva che a ciò vanno aggiunti i danni patrimoniali all'autovettura, da liquidarsi come da preventivo in atti. Con comparsa di risposta del 12.10.2018 e del 27.11.2018 si costituivano rispettivamente la ASL BR e il Comune di Francavilla Fontana, contestando entrambi nell'an e nel quantum il fondamento delle domande di parte attrice e chiedendone il rigetto. Prodotta varia documentazione; esperite prova testi, CTU ricostruttiva della dinamica del sinistro e CTU medico-legale; da ultimo la causa era trattenuta per la decisione definitiva, previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. IN DIRITTO La Corte di Cassazione Sez. 6-3, con Ordinanza n. 9621 del 24/03/2022, avente ad oggetto un sinistro verificatosi in provincia di Taranto, dunque in territorio soggetto alla normativa regionale pugliese in materia di randagismo (Legge Regione Puglia 3 aprile 1995, n. 12, in particolare art. 6), ha affermato i seguenti principi: "Va premesso che "la responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all'art. 2043 cod. civ., e non dalle regole di cui all'art. 2052 cod. civ., 5 Ric. 2021 n. 09465 sez. M3 - ud. (...) che non sono applicabili in considerazione della natura stessa di detti animali e dell'impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2018, n. 17060, Rv. 649513-01, che richiama Cass. Sez. 3, ord. 31 luglio 2017, n. 18954, Rv. 645379-01, nello stesso senso si veda anche Cass. Sez. 3, ord. 11 dicembre 2018, n. 31957, Rv. 651948-01); - che da tale premessa la giurisprudenza di questa Corte ha tratto la conseguenza che, nella fattispecie di illecito aquiliano che viene così configurandosi, "l'individuazione dell'ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo rileva non sul piano della colpa, ma dell'imputazione della responsabilità omissiva sul piano causale" (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 17060 del 2018, cit.); - che in base a questa impostazione, poiché è la "esistenza dell'obbligo giuridico" che "fonda l'antigiuridicità della condotta omissiva" (e ciò "nel senso che l'efficienza dell'omissione sul piano causale rispetto all'evento dannoso diventa giuridicamente rilevante ai fini dell'imputazione dell'evento in presenza dell'obbligo giuridico di impedire l'evento, secondo il paradigma dell'art. 40, comma 2, cod. pen."), occorre preliminarmente "analizzare la normativa regionale caso per caso per dirimere la controversia in ordine a quale ente sia ascrivibile la responsabilità civile" per danni da mancata cattura di animale randagio (ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 17060 del 2018, cit.); - che con riferimento alla normativa regionale pugliese (legge regionale 3 aprile 1995, n. 12, in particolare art. 6), "risulta evidente che funzione tipica dell'obbligo giuridico di recupero dei cani randagi a 6 P.c. 2021 n. (...), sez. M3 - ud. 07.12.2021 carico dei Servizi veterinari delle (...), è quella di prevenire eventi dannosi quale quello per cui è causa", sicché il solo "punto da chiarire è se, in base a diverso titolo, ricorra anche l'obbligo giuridico del Comune", la cui eventuale "responsabilità va misurata non con riferimento ai controlli connessi all'attuazione della legge n. 12 del 1995, previsti dall'art. 2, che sono esercitati mediante pur sempre l'Azienda sanitaria locale ed hanno carattere eminentemente amministrativo, ma con riferimento all'obbligo di costruzione o risanamento dei canili sanitari esistenti e di gestione degli stessi", ex art. 8 della citata legge regionale (nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 17060 del 2018, cit.); - che una volta individuato il soggetto titolare dell'obbligo giuridico di recupero dei cani randagi, quanto alla prova della imputabilità - e, dunque, della colpa - per non avervi ottemperato, la più recente giurisprudenza di questa Corte ha precisato quanto segue; - che, in particolare, è stato posto in luce che "in base al principio del neminem laedere, la P.A. è responsabile dei danni riconducibili all'omissione dei comportamenti dovuti, i quali costituiscono il limite esterno alla sua attività discrezionale", sicché "in presenza di obblighi normativi, la discrezionalità amministrativa si arresta, poiché l'ente è tenuto ad evitare o ridurre i rischi connessi all'attività di attuazione della funzione attribuitale" (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 26 maggio 2020, n. 9671, Rv. 661740-01; nello stesso anche Cass. Sez. 6-3, ord. 9 novembre 2021, n. 32884, Rv. 662964-01); - che, di conseguenza, è stato evidenziato che, "poiché è fuori discussione che l'omissione di una condotta rileva, quale condizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, allorché si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che -7- Ric. 2021 n. 09465 sez. M3 - ud. 07.12.2021 implichi l'esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell'evento, in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, il nesso di causalità che astringe a quest'ultimo i danni conseguenti, rimane presuntivamente provato" (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9671 del 2020, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 32884 del 2021, cit.); - che in tale prospettiva è stato altresì precisato che, "una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell'obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l'evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, non rileva, ai fini dell'esonero dalla responsabilità, che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia provato la non conoscenza in concreto dell'esistenza del pericolo" (cfr. ancora una volta, sempre in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9671 del 2020, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 32884 del 2021, dt.); - che ne deriva, così, che "l'onere del danneggiato di provare, anche per presunzioni, l'esistenza di segnalazioni o richieste di intervento per la presenza abituale di cani, qualificabili come randagi" - valorizzato da questa Corte con le pronunce sopra citate (Cass. Sez. 3, sent. n. 17060 del 2018, cit. e Cass. Sez. 3, ord. n. 18954 del 2017, cit.) - si colloca "a valle" rispetto a quello "del soggetto (ASL) tenuto per legge alla predisposizione di un servizio di recupero di cani randagi abbastanza articolato, di provare di essersi attivato rispetto all'onere cautelare previsto dalla normativa regionale" (Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9671 del 2020, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 32884 del 2021, cit.); - che nel caso di specie, come si è detto, "il servizio di recupero dei cani randagi grava sulle ASL e la domanda risarcitoria è fondata su un fatto che costituisce, come testé rimarcato, concretizzazione del rischio - 8 - Ric. 2021 n. 09465 sez. M3 - ud. 07-12-2021 che la norma cautelare mirava ad evitare", sicché, visto che "l'osservanza della norma cautelare implica l'approntamento di un servizio organizzato, spettava alla ASL, dedurre e dimostrare di avervi dato compiuta osservanza in base ai principi generali in materia di nesso di causalità e di responsabilità colposa" (Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9671 del 2020, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 32884 del 2021, cit.); - che, pertanto, "solo una volta che questa prova fosse stata data, spettava all'attore dedurre e dimostrare che, per esempio, il servizio era stato approntato solo sulla carta, ma che in realtà non era operativo o aveva, nella fattispecie, funzionato male, perché c'erano state specifiche segnalazioni che non avevano avuto seguito" (Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9671 del 2020, cit.; in senso conforme, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 32884 del 2021, cit.); - che la sentenza oggi impugnata ha contravvenuto a tali principi nel respingere la domanda risarcitoria dell'odierno ricorrente sul rilievo che esso "non ha provveduto neanche ad allegare eventuali profili di colpa in capo alla Asl di Taranto, per non aver provveduto su apposita e specifica segnalazione alla cattura e al ricovero dell'animale randagio"; - che essa, infatti, ha violato l'art. 2697 cod. civ., evenienza censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., nonché configurabile nell'ipotesi - qui, appunto, sussistente - "in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni" (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-01)". Alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali, si deve prendere le mosse dalle seguenti premesse: a) La responsabilità per i danni causati dagli animali randagi deve ritenersi disciplinata dalle regole generali di cui all'art. 2043 cod. civ., e non dalle regole di cui all'art. 2052 cod. civ., - 5 - Ric. 2021 n. 09465 sez. M3 - ud. 07.12.2021 che non sono applicabili in considerazione della natura stessa di detti animali e dell'impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione ad essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo. b) Occorre preliminarmente "analizzare la normativa regionale caso per caso per dirimere la controversia in ordine a quale ente sia ascrivibile la responsabilità civile" per danni da mancata cattura di animale randagio (ancora una volta, Cass. Sez. 3, sent. n. 17060 del 2018, cit.); - che con riferimento alla normativa regionale pugliese (legge regionale 3 aprile 1995, n. 12, in particolare art. 6). Una volta qualificata la fattispecie giuridica in esame ai sensi dell'art. 2043 c.c., prima di procedere all'individuazione (in base alle leggi regionali) dell'ente pubblico eventualmente responsabile della mancata cattura dei cani randagi, è necessario verificare se ricorrano tutti gli elementi costitutivi della responsabilità aquiliana regolata dall'art. 2043 c.c. In primo luogo, si deve verificare la sussistenza del rapporto di causalità diretta fra il transito dei cani randagi lungo la strada teatro del sinistro stradale oggetto di causa e il verificarsi del sinistro stesso. A tale fine è necessario, in primo lugo, stabilire quale fosse la velocità del veicolo al momento dell'impatto e quale fosse il campo visivo della strada nel tratto che fu teatro del sinistro, con specifico riferimento all'andamento rettilineo o curvilineo della stessa. Orbene, con riferimento alla velocità del veicolo condotto dall'attore, emergono tre elementi probatori estremamente rilevanti: A) lo stesso attore al punto sub 1) di pag. 2 dell'atto di citazione afferma che stava procedendo "a velocità moderata"; B) il teste De.Co. ha riferito che, subito prima del sinistro, egli stava procedendo "in coda alla (...) di colore scuro" (cioè era in coda all'auto dell'attore); egli ha poi soggiunto: "avevo una velocità di circa 50 chilometri orari"; C) il CTU ha accertato che la probabile velocità del veicolo condotto dall'attore, al momento del sinistro, era di 65 km/h. Dalle prime due circostanze, (il fatto che il teste De.Co. procedeva "in coda" all'auto dell'attore e il fatto che egli "aveva una velocità di circa 50 chilometri orari") si deve desumere che alla stessa velocità - di circa 50 kmh - stava procedendo anche il veicolo (...) dell'attore, dovendosi presumere quanto segue: 1) che il teste avesse guardato il tachimetro della sua auto che segnava 50 kmh e 2) che, siccome egli stava procedendo in coda al veicolo dell'attore, i due veicoli tenevano, approssimativamente, la stessa velocità. La ricostruzione del teste trova pieno riscontro nella richiamata affermazione dell'attore - contenuta a pag. 2 della citazione - secondo cui egli stava procedendo "a velocità moderata"; dovendosi ritenere il concetto di velocità moderata perfettamente compatibile con la velocità di 50 kmh indicata dal teste. Ma soprattutto trova sostanziale riscontro nella ricostruzione operata dal CTU il quale è giunto alla conclusione che il veicolo dell'attore procedeva a circa 65 km/h. Con riferimento alla conformazione della strada, nel tratto teatro del sinistro, si deve rilevare che (come evidenziato dal CTU Ing. Ma.Sa., nella relazione a sua firma) l'attore "dopo aver percorso un'ampia curva a sinistra, a circa 450 metri dall'Oleificio (...), in un tratto rettilineo che gode di ottima visualità ed in condizioni di ottima visibilità", scorgeva i cani randagi che attraversavano la strada. Si deve altresì evidenziare che i cani randagi provenivano dal lato della carreggiata opposto a quello lungo la quale stava transitando l'attore. Infatti, secondo quanto riferito anche dal teste Ca.Co. (conducente della (...) che proveniva dalla direzione di marcia opposta a quella dell'attore) i cani randagi avevano prima tagliato la strada all'auto da lui condotta (tuttavia egli era riuscito ad evitare l'impatto) quindi, dopo avere oltrepassato la mezzeria, avevano attraversato la corsia opposta, tagliando la strada all'auto dell'attore, il quale invece non era riuscito ad evitare l'impatto. Così ricostruita la dinamica del sinistro; tenuto conto della moderata velocità che teneva l'auto dell'attore (compresa fra i 50 e i 65 kmh); considerato che il tratto di strada era rettilineo e con condizioni di ottima visibilità (come riferito dal CTU) e pertanto tale da consentire di vedere l'eventuale presenza di animali lungo il margine opposto della strada; si deve ritenere che l'attore, qualora avesse usato la normale prudenza e diligenza, avrebbe dovuto accorgersi per tempo della presenza dei cani che provenivano dal margine della corsia opposta a quella da lui percorsa e che - sulla corsia opposta - erano stati già evitati dalla (...) condotta dal sig. Ca. L'attore aveva avuto più tempo a disposizione dello stesso sig. Ca. per potere azionare il freno, prima che i cani - dopo essere stati evitati dal Ca. - oltrepassassero la mezzeria e raggiungessero l'altra corsia di marcia, sulla quale egli stava transitando. Se l'impatto fu evitato dal Ca., il quale si era visto sbucare i cani dalla destra della sua corsia di marcia, a maggior ragione avrebbero dovuto essere avvistati per tempo ed evitati dall'attore, il quale li aveva visti uscire dalla sinistra della carreggiata e oltrepassare la mezzeria, dopo essere stati evitati dalla (...) condotta dal Ca. Ciò vale tanto più ove si consideri la velocità particolarmente moderata alla quale stava procedendo l'attore (fra i 50 e i 65 km/h). In conclusione, il sinistro si è verificato esclusivamente a causa della scarsa attenzione e dunque dell'imprudenza dell'attore, con conseguente esclusione del rapporto di causalità diretta fra la presenza dei cani lungo la strada e il verificarsi del sinistro oggetto di causa. Pertanto, le domande proposte dall'attore devono essere rigettate. Ricorrono i gravi motivi di cui all'art 92 c.p.c., che impongono di disporre l'integrale compensazione delle spese processuali, in considerazione della gravità dell'insidia costituita dai cani randagi che attraversarono la carreggiata e che costrinsero sia l'attore che il teste sig. Ca. ad effettuare manovre di emergenza nel tentativo di evitare l'impatto. Le spese di CTU devono essere poste a carico di tutte le parti in causa, nella misura di un terzo per parte. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi, definitivamente pronunciandosi, rigetta le domande proposte dall'attore e dispone l'integrale compensazione delle spese processuali fra tutte le parti in causa. Pone spese di CTU a carico di tutte le parti, nella misura di un terzo per parte. Così deciso in Brindisi il 13 novembre 2023. Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice Onorario di Pace del Tribunale di Brindisi, avv. Vittoria Uggenti, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 4105/2019 R.G., avente ad oggetto "prestazione d'opera intellettuale" e vertente tra (...), C.F. (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) presso il cui studio a Sava in via (...) è elettivamente domiciliato; opponente e (...) C.F. (...) e (...) C.F. (...) rappresentate e difese dall'avv. (...) presso il cui studio a Lecce in via (...) sono elettivamente domiciliate opposte FATTO E DIRITTO Con atto di citazione notificato il 4.10.2019, il sig. (...) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 732/19 emesso dal Tribunale di Brindisi in data 27/06/2019, su ricorso degli avvocati (...) con il quale è stato ingiunto all'opponente di pagare la somma di Euro 8881,60, di cui Euro 5.709,60 in favore di (...) ed Euro 3.172,00in favore di Jessica (...), oltre ad Euro 791,34 a titolo di spese legali a lordo degli accessori di legge di cui le opposte sostenevano di essere creditrici a titolo di competenze ed onorari per prestazioni professionali. L'opponente, ha assunto che i legali convenuti non hanno svolto alcuna "azione legale in ordine all'accordo sottoscritto" che l'attività svolta dagli avv.ti (...) è stata " stragiudizialmente inutile "e di aver adempiuto alla propria obbligazione derivante dalla scrittura privata versando la somma E.3.450,66 allo studio inglese (...). Gli avv. (...), costituitosi tempestivamente in giudizio, reiterata la prospettazione in fatto e in diritto posta a base del ricorso ex art 633 cpc contestano le richieste dell'attore opponente, chiedono di rigettare l'opposizione proposta dall'opponente con la conferma del decreto ingiuntivo emesso. Ed invero hanno eccepito l'inammissibilità dell'opposizione e contestato nel merito il fondamento della domanda attrice, con istanza di esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo ex art. 648 cpc. Le professioniste opposte, hanno dedotto, da un lato, di aver posto in essere considerevole e diligente attività professionale dettagliatamente descritta e di cui hanno fornito adeguata prova documentale nella fase monitoria, dall'altro lato, rilevavano il difetto di prova del fatto estintivo del diritto di credito ovverosia il pagamento della somma pattuita in Euro 7.000 oltre iva e cpa, in favore degli avv.ti (...) e (...). Concessa l'invocata provvisoria esecuzione al provvedimento monitorio, la causa, acquisita la documentazione prodotta, espletate le prove orali, all'udienza del 16.12.2022 è stata trattenuta per la decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. La domanda è infondata e va quindi rigettata per i motivi che seguono. Nel merito, le creditrici, richiedono il pagamento di somme dovute per lo svolgimento di attività professionale. Giova osservare che, in base ad orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati (per tutte, Cass. Civ. Sez. Unite n. 13533/2001), al creditore, che deduce l'inadempimento da parte del debitore, spetta dimostrare, secondo i criteri di distribuzione dell'onere della prova contenuti nell'art. 2697 cc, il fatto costitutivo del credito, laddove al debitore spetta di provare il fatto estintivo dello stesso o di una sua parte, per cui il primo è tenuto unicamente a fornire la prova dell'esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre a fronte di tale prova, sarà onere del debitore dimostrare di avere adempiuto alle proprie obbligazioni. Tale principio non soffre deroga anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che si configura come fase ulteriore del procedimento già iniziato con il deposito del ricorso per ingiunzione, e dà luogo ad un giudizio di cognizione - che si svolge secondo il rito ordinario in contraddittorio fra le parti - avente ad oggetto la domanda proposta dal creditore con il ricorso per ingiunzione e nel quale le parti, pur apparentemente invertite, conservano la loro posizione sostanziale rimanendo così soggette ai rispettivi oneri probatori. Invero, a seguito di opposizione il giudizio, da sommario, si trasforma a cognizione piena. In ogni caso, il giudice dell'impugnazione non si limita ad esaminare se l'ingiunzione sia stata emessa legittimamente, bensì procede all'esame del merito della controversia con poteri di cognizione piena, sulla base sia dei documenti prodotti in sede monitoria, sia dei mezzi istruttori eventualmente ammessi ed assunti nel corso del giudizio. Pertanto, il creditore (al quale compete la posizione sostanziale di attore, per aver richiesto l'emissione del decreto) ha, nella tale fase, l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto vantato (in proposito, Cass. 4.12.1997, n. 12311; id 14.4.1999, n. 3671; id 25.5.1999, n. 5055; Cass. 7.9.1977 n. 3902; Cass. 11.7.1983 n. 4689; Cass. 9.4.1975 n. 1304; Cass. 8.5.1976 n. 1629) e, in particolare, l'esistenza e la misura del credito azionato nelle forme della tutela monitoria, mentre alla parte opponente spetta quello di convenuta sostanziale, gravando su entrambe l'onere di provare i fatti su cui le rispettive pretese si basano. Tutto ciò precisato, dalle risultanze processuali emerge che le opposte hanno dimostrato l'avvenuto, esatto adempimento e la conseguente pretesa creditoria anche in ragione del fatto che dalle proprie argomentazioni, sono stati prodotti elementi certi di convincimento. Tuttavia, l'opponente nulla ha provato a fondamento delle proprie ragioni. Lo stesso teste (...) ha reso dichiarazioni generiche e pertanto ininfluenti ai fini del decidere. Occorre, rilevare che nel giudizio di cognizione possono essere poste, a fondamento e base della decisione, le circostanze pacifiche o incontestate. Ed a tale proposito va osservato che un dato fatto può ritenersi pacifico ed acclarato - sia quando viene esplicitamente ammesso dalla controparte, sia quando ha assunto una posizione processuale difensiva incompatibile con il suo disconoscimento. Sta di fatto che, sussistendo a carico del debitore l'onere di prendere posizione sui fatti posti dal creditore a fondamento della domanda, comporta che i suddetti fatti, qualora non contestati, debbono essere considerati incontroversi e non richiedono una ulteriore, quanto specifica, dimostrazione. Peraltro le contestazioni sollevate dall'opponente, non hanno trovato riscontro probatorio, limitandosi a generiche affermazioni e, pertanto, ritiene questo decidente che esse non siano assolutamente convincenti e non assolvano all'onere probatorio giusto il disposto di cui all'art. 2697 c.c., che recita: "chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda". Quanto detto costituisce il principio, oramai consolidato della c.d. "non contestazione", in base al quale i fatti allegati dalla parte e non espressamente e/o formalmente contestati dalla parte onerata a disconoscerli, costituiscono elementi di prova. Il principio trova collocazione nella disposizione di cui all'art 115 c.p.c., come novellato dalla l. n. 69/09 - "il giudice deve porre a fondamento della decisione ...nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita... " -, nonché nella sentenza della Suprema Corte n. 21176/15 che ribadisce che una contestazione generica - rispetto ai fatti oggetto di specifica e puntuale allegazione ad opera dell'altra parte e rientranti della sfera di conoscibilità di chi è onerato della contestazione -, è priva di qualsiasi effetto. Sta di fatto che, in assenza delle indispensabili specificazioni allegatorie, l'azione proposta si pone in contrasto, oltre che con i principi del processo civile, che impongono all'attore di esporre con precisione i fatti e gli elementi di diritto a base della domanda specifica che si vuole proporre (art. 163 c.p.c.), anche con la garanzia costituzionale del diritto di difesa, ex art. 24 Cost., in quanto impedisce all'avversario una difesa giudiziale ed efficace e nel merito, rendendo altresì difficoltoso per il giudice l'apprezzamento delle ragioni poste a fondamento della domanda. Ciò detto, presupposto essenziale ed imprescindibile dell'esistenza di un rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del suo diritto al compenso, è l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento del compenso (Cass. 3016/2006, Cass. 1244/2000). Infatti, allorché si verta in ipotesi di prestazione d'opera professionale intellettuale, che si assume richiesta dal cliente, si è in presenza di un vero e proprio contratto, come lo qualifica l'art. 2230 c.c. individuandolo come una sotto categoria del contratto d'opera. Ciò comporta che in merito a detto contratto vi sia stato uno scambio di consensi, costituito dalla proposta contrattuale (nella fattispecie rappresentata dal conferimento dell'incarico con scrittura privata dell'11.4.2018), nonché dell'accettazione (in genere espressa per fatti concludenti) dal professionista, che esegue la prestazione richiesta. Ciò costituisce, prima ancora che un principio regolatore dei contratti di prestazione d'opera intellettuale, un principio regolatore dell'intera materia contrattuale. La prova dell'avvenuto conferimento dell'incarico, quando il diritto al compenso sia contestato dal convenuto sotto il profilo della mancata instaurazione di un rapporto siffatto, deve essere fornita dall'attore (Cass. 1244/2000 cit.), che ha l'onere di dimostrare l'an del credito vantato e l'entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del compenso. Ciò posto, occorre procedere sulla base dei fatti alla valutazione giuridica della condotta del professionista in relazione alla natura della responsabilità individuabile nella fattispecie. Anzitutto, va rilevato che l'attività dell'avvocato si caratterizza per la molteplicità e varietà degli incarichi e delle funzioni svolte. Di conseguenza si evidenziano diversi profili di responsabilità in cui il professionista possa incorrere. In particolare nella specie si tratta di una responsabilità civile connessa all'esercizio di una professione intellettuale, fattispecie comune a tutti i prestatori d'opera intellettuale (art 1176, co.2 cc e 2236 cc); nella maggior parte dei casi il professionista esercita la propria attività in esecuzione di un contratto d'opera intellettuale. Si tratta del contratto che ha per oggetto una prestazione d'opera intellettuale svolta a favore del cliente e dietro compenso. La disciplina civilistica è contenuta negli artt.2229 e segg. In materia di esercizio e regolamentazione delle professioni intellettuali. Le obbligazioni inerenti l'esercizio di un'attività professionale sono di regola definite obbligazioni di mezzi e non di risultato. Il professionista quindi assumendo l'incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato sperato ma non anche a conseguirlo. L'inadempimento del professionista non può dunque essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato sperato dal cliente ma deve essere valutato alla stregua dei doveri scaturenti dall'esercizio di quella determinata attività professionale, con particolare attenzione al dovere di diligenza. In sostanza il professionista si limita ad assumere un'obbligazione di comportamento, il cui oggetto consiste nel porre in essere un'attività diligente e professionale adeguata. Costituisce dato pacifico, l'esistenza e la validità del contratto di incarico professionale (il mandato) non disconosciuto dall'attore opponente. All'art. 4.1 del detto contratto è previsto expressis verbis che " La prevedibile misura del costo della prestazione fino al riconoscimento del Lodo in Gran Bretagna e il tentativo di notifica dello stesso al debitore è determinata in EUR 7.000 per onorari, cui dovranno aggiungersi Iva, cpa e spese come per legge. Tali costi non includono e sono indipendenti da quelli relativi alle prestazioni che saranno eseguite dagli avvocati inglesi che saranno nominati dal Cliente per il riconoscimento e l'esecuzione del Lodo". Le opposte hanno compiutamente provato lo svolgimento in favore di (...) della loro attività professionale ed il mancato pagamento del relativo compenso. Hanno documentato di aver messo in mora e invitato l'opponente al pagamento di quanto richiesto, ma questo atto è rimasto senza esito e non è stato riscontrato dal (...), dalla corposa documentazione allegata al proprio fascicolo, emerge la prova dell'espletamento dell'attività professionale in favore dell'opponente in modo diligente e professionale che è consistita in un'attività di natura stragiudiziale propedeutica e funzionale al recupero del credito portato dal lodo arbitrale italiano (il 'Lodo'). Attività che si è sostanziata nello a) studiare la controversia e individuare gli strumenti di diritto internazionale e i soggetti (autorità calcistiche e avvocati abilitati in Inghilterra) tramite i quali tentare il recupero del credito vantato dall'attore nei confronti del Sig. (...) e portati dal Lodo; (b) scambio di corrispondenza e partecipazione a incontri in presenza con la (...); (c) corrispondenza e intermediazione dei rapporti tra il sig. (...) e lo studio legale inglese (...). Ai sensi del mandato, l'attività processuale, eventualmente da svolgersi, sarebbe stata avviata dinanzi alle autorità giudiziarie inglesi non dalle convenute avvocatesse in Italia bensì da uno studio legale locale all'uopo individuato e istruito dalle predette nell'interesse dell'attore e da quest'ultimo incaricato con separato mandato. Ed invero, il sig. (...) ha effettivamente conferito mandato allo studio inglese (...) con separato atto di incarico (cfr. docc. 15 (a), 16(a), 16(b) e 16(c), del fascicolo monitorio) e, a causa di circostanze del tutto estranee alle convenute, quali (I)il ritardo imputabile esclusivamente all'attore nella consegna della documentazione necessaria che gli era stata tempestivamente richiesta dalle due convenute (cfr. doc. 6 - email del 7.06.2018 tra l'Avv.(...) e l'Avv. (...)), (II) l'esito negativo delle indagini volte a individuare la residenza del Sig. (...) (cfr. doc. 21 del fascicolo monitorio) e (III) il trasferimento del giocatore (...) (possibilità di cui il sig. (...) era ben consapevole sin dall'inizio, avendola egli stesso esposta alle convenute opposte prima del conferimento dell'incarico alle stesse e allo studio (...)) in una società di calcio russa), lo studio legale (...) ha (ovviamente) ritenuto inutile intraprendere l'azione giudiziaria di riconoscimento e di esecuzione del Lodo dinanzi all'autorità britanniche. Nella specie, non è in discussione il conferimento di incarico professionale da parte (...) alle avvocatesse (...) e (...); ne discende, pertanto, il diritto dell'opponente al pagamento dei relativi compensi, giacché nel contratto d'opera intellettuale l'onerosità costituisce elemento naturale del negozio con la conseguenza che, in assenza di prova contraria il contratto deve ritenersi oneroso. Orbene accertato il lavoro effettivamente svolto dalle avvocatesse (...) e (...) in favore di (...), in assenza di elementi contrari di convincimento, ne consegue che quest'ultimo è debitore nei confronti delle opposte , della somma di Euro 8881,60 oltre interessi legali e spese di procedura monitoria, e oltre IVA e CAP e 12,5% per r.s.g. portata dal decreto ingiuntivo opposto, pertanto in tale situazione non può non conseguire il rigetto della proposta opposizione e, per l'effetto si conferma il decreto ingiuntivo di cui è causa. Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo in applicazione dei parametri previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M n. 55/2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 13/8/2022 applicabile ratione temporis, relativi alle fasi di studio, introduttiva e decisoria, ridotti della metà. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi, definitivamente pronunciando sulla domanda promossa da (...) con atto di citazione in opposizione così provvede: 1) Rigetta l'opposizione; 2) conferma il decreto ingiuntivo opposto n. 732/19 emesso dal Tribunale di Brindisi in data 27/06/2019; 3) dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo opposto; 4) Condanna (...) al pagamento delle spese processuali, in favore delle opposte che liquida in complessivi Euro 2500,00 oltre oneri e accessori di legge. Brindisi, 24 maggio 2023 Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2023.

  • TRIBUNALE DI BRINDISI Sezione Specializzata Agraria In nome del Popolo Italiano Il Tribunale così composto: Dr FRANCESCO GILIBERTI Presidente Dr SILVA NASTASIA Giudice Dr LUCA SCUZZARELLA Giudice rel. Dr PALMA ANGELO Esperto Dr SPECCHIA ANDREA Esperto nella causa civile di I Grado iscritta al n. 2067/2022 R.G. promossa da: Azienda Sanitaria Locale di Brindisi, C.F.: 01647800745, nella persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall'avv. (...), ricorrente Contro (...) (c.f.: (...)), (...) (c.f.: (...)); (...) (c.f.: (...)), (...) (c.f.: (...)), (...) (c.f.: (...)), tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) resistenti e ricorrenti in via riconvenzionale all'udienza del 12.4.2023 ha pronunciato la seguente SENTENZA: Sulle conclusioni rassegnate Per la ricorrente 1) Dichiarare ai sensi dell'art. 418 c.p.c. la decadenza delle riconvenzionali proposte, l'inammissibilità e l'improcedibilità delle stesse. 2) Accogliere per tutti i motivi esposti le domande così come riportate nel ricorso, rigettando tutte le avverse deduzioni e richieste, anche di natura istruttoria. 3) Condannare i resistenti al pagamento delle spese e competenze del giudizio. Per i resistenti 1) rigetto dell'avverso ricorso perché improponibile, inammissibile, infondato e carente di prova, con vittoria di spese e onorari di giudizio e pertanto si chiede che venga riconosciuta in capo ai resistenti la attuale qualità di legittimi detentori dei beni di che trattasi quali conduttori, con i conseguenti diritti loro attribuiti dalla legge (opzione, prelazione, riscatto) e dichiarata la prescrizione di ogni avversa pretesa economica, in qualsivoglia modo denominata. 2) In via subordinata e riconvenzionale, si richiamano le conclusioni della memoria di costituzione da intendersi qui trascritte. 3) Con vittoria di spese e onorari di causa PREMESSO CHE Con ricorso depositato il 23.6.2022 l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi conveniva in giudizio la sig.ra (...) unitamente ai Germani (...), tutti subentrati al defunto (...) nel contratto di affitto agrario da questi stipulato con l'Ente ricorrente, chiedendo il rilascio immediato del fondo dagli stessi detenuto ed il pagamento dei canoni arretrati relativi alle annualità 2009/2010 - 2010/2011 - 2011/2012 - 2012/2013 - 2013/2014 - 2014/2015 - 2016/2017 a titolo di indennità per occupazione illegittima. Premetteva l'ASL Brindisi che in data 19.11.1997 il defunto (...) aveva stipulato innanzi all'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura di Brindisi con essa ricorrente un contratto di affitto in deroga ai sensi dell'art 45 della Legge n. 203 del 3.05.1982 per la durata di anni 4 a far tempo dall'11 novembre 1997 e termine al 10.11.2001 data nella quale l'Azienda Sanitaria si sarebbe dovuta immettere nel pieno ed esclusivo possesso dei terreni e fabbricati oggetto del contratto. Con il citato contratto l'Azienda Sanitaria Locale di Brindisi concedeva in affitto al sig. (...), l'Azienda Agricola denominata "(...)" sita in agro di Fasano (BR) alla c.da (...), consistente in fabbricati e terreni costituiti in azienda. Il canone era stato convenuto dalle parti nella misura di L. 10.000.000 annui (Euro 5.164,57). Tuttavia, contrariamente agli accordi assunti il Sig. (...) non rilasciava i fondi nel termine contrattualmente previsto. Deduceva inoltre che con una prima raccomandata A/R del 4.5.2011 prot. 30302, l'Azienda Sanitaria Locale aveva richiesto al sig. (...) il rilascio dell'Azienda Agricola; ma la richiesta era rimasta inevasa. Con missiva pervenuta all'Azienda Sanitaria Locale l'11.02.2015 e protocollata in data 13.02.2015 al n. 10877 la sig.ra (...) comunicava il subentro al marito, (...) deceduto in data 04.02.2015 nella conduzione dell'Azienda Agricola in questione. Con missiva del 17.03.2020, prot. n. 21681 notificata ai subentrati eredi di (...) l'ASL di Brindisi reiterava la disdetta per la data del 19.11.2020. Tuttavia tale disdetta veniva revocata dalla ricorrente con successiva missiva del 06.11.2020, prot. n. 86708, l'ASL con la quale si invitavano gli eredi (...) all'immediato rilascio dei fondi dagli stessi detenuti. Infine, con raccomandata a.r. del 31.05.2021, l'ASL comunicava agli eredi di (...) che intendeva procedere giudizialmente per il rilascio dell'Azienda Agricola e per il recupero dell'indennizzo commisurato ai canoni ad oggi non corrisposti, convocando gli stessi presso l'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura per esperire l'obbligatorio tentativo di conciliazione ex art. 11 del D.Lgs. n. 150/2011 che veniva svolto con esito negativo. Fissata in data 9.11.2022 l'udienza di discussione della causa innanzi il Collegio si costituivano con comparsa i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda di rilascio formulata dall'attrice e spiegando altresì domanda riconvenzionale volte al riconoscimento del maturato diritto di opzione ai sensi dell'art 3 del D.L. 351/2001 ovvero di prelazione dell'azienda agricola in oggetto, nonché il riconoscimento delle migliorie ed addizioni apportate al fondo ex art. 16 L. 203/1982 ed ai sensi dell'art 936 c.c., chiedevano inoltre sempre in via riconvenzionale il risarcimento del danno per fatto e/o atto illecito della ASL Brindisi - violazione della buona fede contrattuale e precontrattuale. Deducevano in proposito i convenuti che in realtà il contratto di affitto stipulato tra le parti doveva ritenersi ancora in vigore, poiché rinnovatosi tacitamente per la durata di 15 anni ai sensi dell'art 4 della legge 3 maggio 1982 n. 203 dopo la prima scadenza contrattuale convenuta per il 10.11.2001 e quindi di seguito per ulteriori 15 anni stante la inefficacia della disdetta inviata dall'Asl in data 17.3.2020 che lo stesso Ente aveva annullato con successiva missiva del 6 novembre 2020. Eccepivano quindi la prescrizione dei canoni richiesti dall'ASl per decorso del termine quinquennale ai sensi dell'art. 2948 n. 5 c.c. e quindi per il periodo 2010-2015, avendo i convenuti provveduto al pagamento dei successivi canoni relativi alle annualità dal 2016 al 2021 con bonifico di Euro 25.822,85. Inoltre eccepivano l'improponibilità della domanda principale per assenza di corrispondenza tra l'oggetto del tentativo di conciliazione espletato davanti all'Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura e l'oggetto della domanda, atteso che l'oggetto del presente giudizio (scadenza contrattuale al 10.11.2001 e condanna al pagamento di un indennizzo per il ritardo nel rilascio) risultava diverso da quello per cui era stato esperito il tentativo di conciliazione (disdetta del contratto a far data dal 19.11.2020 e pagamento dei canoni di locazione arretrati. Infine i ricorrenti eccepivano l'improcedibilità della domanda per violazione del comma 3 dell'art. 5 della legge 203/1982, non essendo la richiesta giudiziale di pagamento dei canoni mai stata formulata in precedenza con lettera raccomandata inviata ai conduttori contenente la contestazione l'inadempimento. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda formulata dall'ASL Brindisi risultano solo parzialmente fondate e meritano accoglimento per quanto di ragione. In via preliminare deve essere rigettata l'eccezione di improponibilità della domanda principale sollevata dai resistenti per mancata corrispondenza tra l'oggetto del tentativo di conciliazione proposto dall'Asl Brindisi e l'oggetto della domanda giudiziale dalla stessa proposta. In proposito assumono sul punto i resistenti che, mentre con il tentativo di conciliazione l'Azienda ricorrente aveva chiesto la restituzione del bene attesa la disdetta manifestata per la data dell'19.11.2020 e il pagamento dei canoni arretrati, viceversa con il presente ricorso l'Asl chiede accertarsi la scadenza del contratto: "sin dal 10 novembre 2001" (dunque non più dal 19.11.2020) "e la condanna dei resistenti al pagamento di un indennizzo (non più - quindi - di un canone locativo) per "il mancato tempestivo rilascio". L'eccezione risulta tuttavia infondata, come può evincersi dalla semplice lettura del verbale redatto di fronte l'ispettorato per l'agricoltura in data 15.10.2021 da cui risulta che, la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione è stata inoltrata "per evitare l'insorgere della lite giudiziaria e trovare una bonaria soluzione delle seguenti questioni: "Richiesta rilascio dell'Azienda agricola denominata "(...)" e pagamento canoni di fitto non corrisposti". Orbene al di là dell'inquadramento giuridico delle singole questioni di fatto controverse tra le parti (segnatamente il termine di scadenza del contratto e la qualificazione giuridica delle annualità richieste e anche con riferimento al relativo regime di prescrizione) l'oggetto della domanda giudiziale consistente nel rilascio dell'azienda agricola per cessazione del contratto e nella richiesta di pagamento delle somme dovute dai conduttori in ragione del suddetto rapporto, risulta correttamente indicato nella domanda di conciliazione proposta ai sensi dell'art. 46 della legge n. 203 del 1982. Ed invero la funzione del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla legge a pena di improponibilità della domanda giudiziale è quella di prevenire l'insorgere della lite mettendo le parti nella condizione di conoscere i termini essenziali della controversia al fine di pervenire ad una soluzione conciliativa. Le parti devono quindi essere messe in condizione di conoscere nei termini essenziali sia il petitum sostanziale richiesto ovvero il bene o utilità oggetto della pretesa sia la causa paetendi ovvero le ragioni di fatto e di diritto della domanda; senza che sia necessario in sede conciliativa che la domanda risulti correttamente determina e tecnicamente specificata come richiesto a pena di nullità della domanda giudiziale ai sensi dell'art. 164 c.p.c. in relazione ai requisiti indicati dall'art 163c.p.c n. 3 e n. 4. Deve pertanto ritenersi che la richiesta di rilascio e di pagamento dei canoni formulata in via preventiva dall'ASL costituisca valida condizione di proponibilità della successiva domanda giudiziale, indipendentemente dalla esatta individuazione del termine di scadenza del contratto e della qualificazione giuridica delle somme richieste quali indennità ex art. 1591 ovvero quali canoni di affitto, trattandosi di questioni oggetto della controversia devoluta alla cognizione del Tribunale. Parimenti deve essere rigettata l'eccezione di improcedibilità della domanda di pagamento dei canoni inquanto non preceduta da formale messa in mora ai sensi comma 3 dell'art. 5 della legge 203/1982, atteso che la norma in questione si riferisce all'ipotesi di risoluzione del contratto per grave inadempimento, e prevede la necessità da parte del locatore di notificare la preventiva contestazione, mentre la stessa non trova applicazione nella diversa ipotesi della domanda di rilascio per scadenza del contratto sussistente nel caso di specie. Venendo al merito della domanda principale deve rilevarsi che il contratto originariamente stipulato dalle parti in deroga a quanto previsto dall'art. 2 della legge 3 maggio 1982, prevede al punto 4 la durata di anni quattro "afar tempo dall'11 novembre 1997 e termine al 10.11.2001, data nella quale l'Azienda Sanitaria si reimmetterà nel pieno ed esclusivo possesso dei terreni e fabbricati oggetto del contratto senza alcuna ulteriore o diversa autorizzazione". In proposito ritiene il Collegio che mediante la clausola in questione le parti, con l'intervento delle relative associazioni di categoria abbiano inteso derogare solo alla durata iniziale del contratto, ordinariamente prevista dalla legge in quindici anni per i contratti di affitto agrario a coltivatore diretto. Nessuna deroga risulta prevista dalle parti rispetto all'obbligo di disdetta, che secondo l'art 4 della legge 1982 n. 203 deve essere comunicata almeno un anno prima della scadenza del contratto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Tale conclusioni si basa su più ordini di ragioni: in primo luogo sul dato testuale dell'art. 4, atteso che il tenore letterale della clausola in questione non prevede alcuna espressa deroga all'obbligo della disdetta necessaria ai fini della esclusione del tacito rinnovo stabilito dalla legge. Né in proposito può ritenersi che la esatta indicazione della data di cessazione del contratto, accanto alla sua durata prevista in quattro anni, possa interpretarsi come esonero dalla disdetta, inquanto trattandosi di norma di natura cogente è necessario che tale deroga sia espressamente ed inequivocabilmente manifestata dalle parti. Ed infatti ai sensi dell'art 58 della legge1982 n. 203 "tutte le norme previste dalla presente legge sono inderogabili", mentre ai sensi dell'art 45 della stessa legge, le parti tramite accordi stipulati con l'assistenza delle rispettive organizzazioni, possono derogare a qualsiasi disposizione in essa contenuta, fermi i limiti posti dal comma 2 dello stesso art. 45. Infine l'interpretazione della clausola contrattuale deve tener conto della comune intenzione delle parti così come emerge dal loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto secondo le disposizione di cui agli art. 1362 e ss c.c. Pertanto ai fini della corretta interpretazione del contratto in esame deve aversi riguardo al comportamento della Azienda ricorrente che, dopo aver fatto inutilmente decorrere il termine iniziale di scadenza e a distanza di distanza di diversi anni ha inviato formale disdetta ai conduttori: dapprima con missiva inviata a (...) il 4 maggio 2011 con la quale comunicava che il contratto non si intenderà più tacitamente prorogato alla data di scadenza fissata improrogabilmente per il 19.11.2013, successivamente con missiva del 17 marzo 2020 con la quale la ASL Brindisi comunicava agli eredi del sig. (...) che: "il contratto di che trattasi improrogabilmente alla data di scadenza del 19 novembre 2020 non si intenderà più rinnovato tacitamente e pertanto la presente ha valore di disdetta", sebbene tale ultima missiva sia stata poi annullata dall'ASL con ulteriore nota del 6 novembre 2020. Da quanto sopra risulta che la mancata disdetta nei termini di legge del contratto di affitto in oggetto ne ha determinato il tacito rinnovo tra le parti per la durata di anni quindici, e precisamente dal 10.11.2001 sino al 10.11.2016. Invero neppure la durata quindicennale della proroga legale prevista per l'affitto ordinario dall'art 4 della legge agraria può intendersi implicitamente derogata dalle parti stante il disposto di cui all'art 58 che, come già riferito, sancisce la natura inderogabile di ogni singola disposizione della legge - inclusa quindi anche quella disciplinante la durata prevista in caso di proroga tacita - salvo quanto disposto dall'art. 45. Ne discende che il contratto di che trattasi risulta cessato per effetto della prima disdetta utilmente inviata dall'ASL Brindisi in data 11 maggio 2011 all'originario contraente (...). Tale missiva prodotta agli atti dalla ricorrente e richiamata nel ricorso introduttivo non risulta contestata dalle parti resistenti che sono subentrate nella medesima posizione contrattuale del loro dante causa ai sensi dell'art 49 della L. citata a far data dalla comunicazione inviata all'ASL dall'erede (...) con lettera ricevuta il 13.2.2015. In presenza dunque di proroga tacita per la durata legalmente stabilita di quindici anni a partire dal 11.11.2001, gli effetti della intimata disdetta notificata dall'Ente decorrono non già dal novembre del 2013 come indicato nella stessa missiva ma dal novembre del 2016. Ed invero per effetto della disdetta formalmente intimata il contratto deve ritenersi definitivamente cessato alla scadenza del periodo di proroga quindicennale, senza che possa invocarsi da parte dei resistenti una ulteriore proroga desumibile dalla inerzia tenuta dall'ASL sino alla successiva disdetta del marzo del 2020. In proposito deve richiamarsi il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità nella materia dei contratti agrari secondo cui "la rinnovazione tacita non è desumibile nemmeno dalla prolungata permanenza dell'affittuario del fondo sia pure accompagnata dalla riscossione dei canoni ove vi sia stata una manifestazione di volontà da parte del concedente mediante la disdetta, occorrendo una nuova manifestazione di volontà in senso contrario" cfr. Corte di Cassazione n. 4679 del 10.03.2016. Venendo dunque alla domanda di pagamento delle annualità non pagate e richieste dalla ricorrente a titolo di indennità di occupazione ai sensi dell'art 1591 c.c., deve rilevarsi che attesa la perduranza del contratto sino al novembre del 2016, le annualità dovute sino a tale data devono qualificarsi quali ordinari canoni di affitto e pertanto risultano soggette alla disciplina della prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2948 n. 3 c.c. per i fitti di beni rustici e ogni altro corrispettivo di locazioni. Ne discende che avendo i resistenti ritualmente sollevato l'eccezione di prescrizione con riferimento ai canoni esigibili nei cinque anni precedenti la formale richiesta avanzata dalla Amministrazione ricorrente con raccomandata del 31.5.2021 ricevuta in data 8.6.2021, da intendersi quale primo valido atto interruttivo, risultano prescritti i canoni di affitto maturati dall'annualità 2009/2010 all'annualità 2014/2015 per decorso del termine quinquennale. Viceversa con riferimento all'annualità agraria 2015/2016, il cui canone risultava esigibile dal 10 novembre del 2016, il relativo termine di prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 3 c.c. risulta interrotto dalla richiesta stragiudiziale inoltrata dalla ricorrente e pertanto spetterà all'ASL la somma di euro 5.164,57 a titolo di canone di affitto come previsto in contratto. La suddetta somma dovrà essere corrisposta dai resistenti in solido tra loro in quanto dagli stessi dovuta iure proprio in qualità di contraenti subentrati al loro dante causa (...) nel contratto di affitto a far data dal febbraio 2015. Quanto infine alle domande riconvenzionali formulate dai ricorrenti e volte al riconoscimento del diritto di opzione ai sensi dell'art. 3 del D.L. 351/2001 (ovvero di prelazione) dell'azienda agricola in oggetto, nonché il riconoscimento delle migliorie ed addizioni apportate al fondo ex art. 16 L. 203/1982 ed ai sensi dell'art. 936 c.c. le stesse devono essere dichiarate improponibili per omesso esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione davanti l'IPA. In tema di controversie sui contratti agrari la Suprema Corte nella sentenza n. 27255/2008, ha stabilito che "anche la domanda riconvenzionale deve essere preceduta, a pena di improponibilità, dal tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'art. 46 della legge 3 maggio 1982 n. 203. Tale regola, tuttavia, non si applica allorché ricorrano due presupposti, ovvero che le parti del giudizio coincidano con le parti del tentativo obbligatorio di conciliazione e che la formulazione della domanda riconvenzionale non comporti alcun ampliamento della controversia già oggetto della tentata conciliazione, perché fondata su questioni già esaminate in quella sede". Nel caso in esame è evidente come le domande riconvenzionali in questioni introducano un thema decidendum del tutto nuovo e diverso rispetto a quello oggetto della procedura di conciliazione, con conseguente improponibilità delle domande riconvenzionale spiegate dai convenuti. Quanto alle spese del giudizio, le stesse devono integralmente compensarsi tra le parti tenuto conto dell'accoglimento della domanda attorea di rilascio dei fondi a fronte del sostanziale rigetto delle ulteriori domande di accertamento della scadenza del contratto e di pagamento dei canoni richiesti a titolo di indennità di occupazione come meglio specificato nel dispositivo, dovendosi dunque ravvisare un'ipotesi di soccombenza reciproca ai sensi dell'art 92 comma 2 c.p.c. P.Q.M. Definitivamente statuendo sulle domande proposte dall'Azienda Sanitaria Locale Brindisi nei confronti di (...), (...) (...), (...) e (...), nonché sulle domande riconvenzionali proposte dai suddetti convenuti, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattese: 1) in parziale accoglimento della domanda attorea, riconosce che il contratto di affitto stipulato in data 19.11.1997 tra (...) e Asl Brindisi è cessato in data 10.11.2016 e per l'effetto ordina ai convenuti, il rilascio dell'Azienda Agricola denominata "(...)" sita in agro di Fasano (BR) alla c.da (...), costituita da fabbricati e terreni della estensione complessiva di HA 24.67.53 circa, in Catasto: Partita (...) - Foglio (...) - Particelle (...) oltre a quelle facenti parte del compendio aziendale in favore dell'istante Azienda sanitaria, liberi da persone e cose entro il 10.11.2023. 2) condanna i convenuti in solido tra loro al pagamento in favore dell'ASL Br della somma di euro 5.164,57 a titolo di canone di affitto per l'annualità agraria 2015/2016, oltre interessi legali su tali somme dalla domanda. 3) Dichiara la prescrizione del diritto di credito dell'ASL per i canoni di affitto maturati dall'annualità 2009/2010 all'annualità 2014/2015. 4) dichiara le domande riconvenzionali improponibili. 5) compensa le spese di lite integralmente tra le parti Brindisi 12 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2023.

  • TRIBUNALE di BRINDISI Sezione Civile Repubblica Italiana In Nome del Popolo Italiano, il Giudice Dott. Luca Scuzzarella ha pronunciato Sentenza ex art. 190 c.p.c. nel procedimento civile n. 3359 2019 R. G. tra (...) in persona del l.r.p.t ((...)) rappresentata e difesa dall'Avv. (...), opponente contro (...) S.P.A. ((...)), in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. (...) opposta Conclusioni Per l'opponente 1) Revocare l'impugnato decreto e/o dichiararlo nullo o annullabile perché inammissibile, improponibile e comunque infondato in fatto ed in diritto, anche per la carenza probatoria circa la debenza delle somme richieste; 2) Dichiarare non dovuta la somma di Euro14.770,64 oltre agli accessori come per legge Per l'opposta 1) dichiarare integralmente valido ed efficace nonché confermare il decreto ingiuntivo n. 613/2019 del Tribunale di Brindisi, condannando di conseguenza l'opponente al pagamento in favore della (...) S.p.A., della somma di Euro #14.770,64#, oltre interessi come liquidati nel decreto ingiuntivo opposto, sino all'effettivo soddisfo, o in subordine 2) condannare l'opponente al pagamento dei maggiori o minori importi e/o di quelle diverse somme che l'adito Giudicante dovesse accertare all'esito del presente giudizio, Svolgimento del processo Con ricorso del decreto ingiuntivo depositato in data 14.9.2019 (...) SPA agiva nei confronti della (...) per il pagamento del proprio credito derivante da n. 44 fatture commerciali emesse per l'erogazione di servizi telefonici ammontanti a complessive euro 14.770,64 oltre interessi maturati sulle stesse fatture elencate nel richiamato estratto notarile. Rilevava che, stante la serbata inerzia, la (...) S.p.A., con più atti di messa in mora, rispettivamente del 05.07.2017, del 24.01.2018 e del 23.10.2018, aveva invitato la parte debitrice a provvedere al pagamento delle suddette somme non corrisposte, ma ciononostante gli atti di diffida non avevano subito alcun effetto. In accoglimento del ricorso il Tribunale di Brindisi emetteva conseguente decreto ingiuntivo n. 2151/2019 con il quale in(...)ava alla debitrice il pagamento della somma di Euro.14770,64 oltre gli interessi di mora ex art. 5, comma 2, D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 dal trentesimo giorno successivo alla ricezione di ciascuna fattura, nonché le spese processuali per procedimento monitorio. Con atto di citazione ritualmente notificato la (...) proponeva opposizione deducendo che: Nell'ottobre del 2012 la Cooperativa aveva stipulato a mezzo agente di zona (...) srl, contratto Business con la (...). In forza di tale contratto veniva attivata presso la sede della Cooperativa la linea telefonica fissa e mobile. A distanza di più di tre anni il contratto con l'operatore telefonico (...)/(...) veniva disdetto in data 08/10/2015 giusta documentazione allegata da cui si evinceva non solo la volontà di recedere dal contratto ma anche la specificazione delle linee da cessare; Successivamente in data 10/11/2015 veniva inoltrata ulteriore richiesta di cessazione di altri servizi congiunti al contratto principale e ancora il 27 aprile del 2016 la Cooperativa inoltrava la richiesta di cessazione del contratto con specificazione delle linee telefoniche attive. Infine il 13 luglio 2016 la Cooperativa chiedeva la disdetta del contratto a causa delle mutate condizioni contrattuali. Eccepiva pertanto: inesistenza della prova del credito ingiunto. infondatezza della pretesa; inesattezza del credito - improcedibilità del ricorso monitorio. Nel corso del giudizio veniva rigettata la richiesta di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo tenuto conto dei motivi di opposizione dedotti. La causa, istruita solo documentalmente, veniva trattenuta in decisione all'udienza del 9.1.2023 con assegnazione dei termini di legge. In fatto e diritto L'opposizione è in parte fondata e merita accoglimento - Deve in primo luogo rigettarsi la eccezione di improponibilità del ricorso per l'omesso espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al CORECOM ad opera della (...) S.p.A., atteso che ai sensi del regolamento n. 173 del 2007 adottato dall'AGCOM il tentativo obbligatorio di conciliazione è previsto per "le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi" (art. 2, comma 1), disponendo che "il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al Co.re.com competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 13" (art. 3, comma 1), e precisando che "Sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l'utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'articolo 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 645 c.p.c. e ss." (art. 2, comma 2). Peraltro parte opponente non ha riproposto la suddetta eccezione nelle conclusioni definitivamente rassegnate dovendosi la stessa ritenersi pertanto rinunciata. Risulta invece in parte fondata l'eccezione sollevata dalla Cooperativa relativa agli effetti del recesso dal contratto dalla stessa legittimamente esercitato: Vi è in atti disdetta da parte della Cooperativa dell'8.10.2015 con comunicazione inoltrata via fax alla società emittente (...) Italia Spa, nella quale si fa richiesta di cessazione dei servizi telefonici con identificativo 016113513179 e con identificativo 016113513754 nonché dell'utenza 0831435105; Vi è inoltre in atti copia della richiesta di cessazione immediata delle numerazioni attive del contratto n. 888010880592 inoltrata via fax a (...) Spa in data 8.10.2015. In relazione a tali atti la società opposta ha eccepito l'inefficacia del recesso per il mancato rispetto delle forme pattizie, nonché l'assenza di certezza in ordine alla provenienza delle missive in quanto prive del documento di identità del mittente. Ed invero nel caso di specie le condizioni generali di abbonamento applicabili agli utenti Business, all'articolo 3, del regolamento contrattuale prevedono che il recesso venga esercitato a mezzo di lettera raccomandata A/R da inviarsi agli indirizzi indicati sul sito (...) e dal Servizio Clienti 191, oppure, in alternativa, in via telematica tramite il sito web (...)business.it oppure con Posta Elettronica Certificata (PEC). In ogni caso, secondo quanto previsto dal regolamento contrattuale "Nel caso di comunicazione di recesso esercitato tramite raccomandata A/R o PEC, il Cliente dovrà allegare alla stessa copia di un proprio documento di identità". La opponente ha inoltre prodotto lettera inoltrata via PEC di conferma della disdetta del contratto da parte in data 27 aprile 2016 inviata a (...) e per conoscenza anche al CORECOM, con diffida ad emettere ulteriori fatture sulle utenze in questione. Anche tale missiva è stata correttamente contestata da (...) perché priva dell'allegazione del documento di identità del legale rappresentante e in secondo luogo per l'inapplicabilità del diritto al recesso ai sensi del Decreto Legge 31 gennaio 2007, n. 7, c.d. (decreto Bersani) riferibile solo ai consumatori, e non anche alle persone giuridiche quali odierna opposta. Vi è infine in atti ulteriore comunicazione inoltrata in data 13.7.2016 via fax dalla (...) in persona del suo legale rappresentante ed indirizzata al servizio clienti di (...) (corredata da copia del documento di identità del legale rappresentante e regolarmente sottoscritta) avente ad oggetto la richiesta di portabilità dei numeri telefonici attivi per trasferimento ad altro operatore a seguito del mutamento delle condizioni contrattuali in essere- contratto n. 888010880592. Tale comunicazione è stata successivamente inoltrata dalla società opponente anche con lettera raccomandata ricevuta il 20.7.2016 da (...) Spa. La suddetta comunicazione risulta idonea a determinare la disdetta dai contratti in essere tra le parti e la cessazione delle linee telefoniche indicate, stante il rispetto delle forme convenzionalmente pattuite e la ricorrenza di una giusta causa di recesso anticipato (mutamento delle condizioni contrattuali) non contestati da (...) Spa, la cui buona fede non può essere ulteriormente tutelata. Da quanto sopra discende il diritto della (...) al recesso dal contratto di telefonia concluso con (...) a far data dal 13.7.2016. Il credito fatto valere in via monitoria dovrà essere pertanto rideterminato con riferimento agli importi specificati nelle fatture emesse da (...) spa fino al 5° bimestre del 2016 (giugno luglio 2016), periodo in cui la Cooperativa opponente ha di fatto usufruito dei servizi telefonici forniti da dalla società opposta. Precisamente per le fatture emesse e non pagate fino al luglio 2016 (ultima fattura n. 8S 00334639 del 5 agosto 2016) la società opponente dovrà corrisponder la complessiva somma di euro 6644,01 (s e/o) oltre gli interessi di mora ex art. 5, comma 2, D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 dal trentesimo giorno successivo alla ricezione di ciascuna fattura. Ne consegue la revoca del decreto ingiuntivo opposto. Le spese del giudizio di opposizione devono compensarsi tenuto conto della reciproca soccombenza P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo tra (...) in persona del legale rappresentante p.t. e (...) o (...) spa in persona del suo legale rappresentante p.t.. - accoglie parzialmente l'opposizione e per l'effetto revoca il decreto ingiuntivo n. 613/2019 emesso dal Tribunale di Brindisi in data 6/6/2019. - condanna la società opponente al pagamento della somma di euro 6644,01 rinveniente dalle fatture emesse da (...) Spa sino al periodo giugno- luglio 2016, oltre gli interessi di mora ex art. 5, comma 2, D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 dal trentesimo giorno successivo alla ricezione di ciascuna fattura. Spese del giudizio di opposizione compensate tra le parti Brindisi 1 aprile 2023. Depositata in Cancelleria 3 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 4700/2016 R.G., avente ad oggetto "azione di risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale" tra Azienda (...) (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ro.Al., presso il cui studio a Brindisi, in via (...), è elettivamente domiciliata; attrice e (...) (C.F. (...) ), in proprio e in qualità di erede di (...), rappresentata e difesa dagli avv. Pi.Li. e Gr.Da., presso il cui studio a Fasano (BR), in via (...), è elettivamente domiciliata; convenuta e (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...) ), in qualità di eredi di (...), rappresentanti e difesi dagli avv. Pietro Liuzzi e Graziella Darcavio, presso il cui studio a Fasano (BR), in via dello Zoo Safari n. 25, sono elettivamente domiciliati; convenuti e (...) (C.F. (...) ), (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Ma.Ma., presso il cui studio a Fasano (BR), in via (...), sono elettivamente domiciliati; convenuti e (...) (C.F. (...) ), rappresentato e difeso dagli avv. Do.Ci. e Do.Et., presso il cui studio a Lecce, in via (...), è elettivamente domiciliato; convenuto nonché (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F. (...) ), rappresentati e difesi dagli avv. Gi.Be. e An.Pe., presso il cui studio a Roma, in via (...), sono elettivamente domiciliati; convenuti Motivi della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha citato in giudizio gli odierni convenuti perché fossero condannati al risarcimento del danno patrimoniale subito nonché al risarcimento del danno all'immagine, da liquidarsi in via equitativa. Ha dichiarato che i convenuti sono stati rinviati a giudizio nell'ambito del procedimento penale svoltosi presso il Tribunale di Brindisi per il reato di cui agli artt. 110, 81 e 323 c.p. poiché avrebbero procurato intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale alla (...) s.r.l., alla (...) s.r.l. ed alla (...) s.r.l. (quest'ultima dal 25 gennaio 1999 al 10 marzo 2000 ha detenuto tutte le quote della (...) s.r.l.), società che sarebbero state scelte dal (...) nell'esercizio del suo potere di primario e dirigente della (...) presso il reparto di ortopedia dell'ospedale di Fasano in violazione delle disposizioni legislative ed omettendo di astenersi pur trovandosi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto. Il Tribunale di Brindisi, con sentenza n. 405/2010, passata in giudicato il 24 ottobre 2010, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti dei convenuti perché i reati erano estinti per prescrizione. Ha dedotto, dunque, che ai sensi della L.R. n. 7 del 2002, il dirigente del reparto di ortopedia poteva scegliere le protesi da impiantare attraverso la consultazione dei listini prezzi delle ditte fornitrici depositati presso la Camera di Commercio, corredato da una percentuale di sconto che varia da un minimo del 10% ad un massimo del 41%. Le protesi sarebbero state acquistate dalle società (...) s.r.l. e la (...) s.r.l., riconducibili a vario titolo ai convenuti, non applicando alcun tipo di sconto ai sensi della L. n. 7 del 2002, materiali che potevano essere forniti anche da altre imprese concorrenti con prezzi più bassi e con un maggiore sconto del 20%, con un risparmio di spesa pari a 78.971,90 Euro. Ha chiesto, dunque, la condanna dei convenuti al pagamento di tale importo nonché al riconoscimento di un'ulteriore somma, da liquidare in via equitativa, a titolo di danno all'immagine, con vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 22 dicembre 2016, si è costituita in giudizio (...), la quale ha eccepito preliminarmente la propria carenza di legittimazione passiva in ordine alla richiesta di risarcimento del danno all'immagine, deducendo che tale tipologia di danno sarebbe ascrivibile solo ai dipendenti dell'(...) e non anche a soggetti che sono estranei all'ente. Sempre in via preliminare, ha eccepito la prescrizione del diritto, riferendo che nel caso in esame il termine sarebbe di sei anni e dovrebbe decorrere dal 19 ottobre 2004, data in cui è stato emesso il decreto di rinvio a giudizio dal gip, non ravvisandosi nel caso in esame l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione per tutta la durata del processo penale, che opera solo nel caso in cui l'azione civile sia stata esercitata in quel procedimento, circostanza che non è avvenuta nel caso di specie. Nel merito, ha chiarito che la (...) avrebbe chiesto il risarcimento delle somme fatturate dall'anno 1996 al 2002, precisando tuttavia che la legge regionale invocata da parte attrice sarebbe entrata in vigore nel 2002 e non potrebbe essere applicata retroattivamente; ha riferito, inoltre, di aver cessato di essere socia della (...) dal 31 dicembre 1998 e della I.(...) dal 25 gennaio 1999, con conseguente sua responsabilità solo limitatamente a tali periodi e in proporzione alla propria quota societaria; in via subordinata, ha comunque riferito che le protesi sarebbero state scelte indipendentemente dal prezzo in ragione della loro qualità, dal momento che la buona riuscita dell'intervento dipende anche dal tipo di impianti che vengono utilizzati. Ha chiesto, dunque, di accertare il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alla domanda di risarcimento del danno all'immagine, di accertare l'intervenuta prescrizione del diritto e di rigettare la domanda; in via subordinata, ha chiesto di condannarla nei limiti della propria quota societaria e limitatamente agli anni in cui è stata socia, con vittoria di spese. (...), (...) e (...), costituendosi in giudizio con atto depositato il 22 dicembre 2012, hanno preliminarmente eccepito la prescrizione del diritto, riferendo che nel caso in esame opererebbe il termine quinquennale che dovrebbe decorrere dalla data del passaggio in giudicato della sentenza, ovvero dal 24 ottobre 2010, precisando che l'applicazione del più lungo termine di prescrizione previsto dal reato non ricorrerebbe nel caso in esame dal momento che, essendosi il procedimento concluso con una dichiarazione di prescrizione non si sarebbe verificato alcun accertamento. In subordine, ha riferito che il termine sarebbe comunque prescritto nei confronti di (...) e (...), poiché quando il reato si estingue per prescrizione si estingue anche la relativa azione civile, salvo che la vittima si sia costituita parte civile nel processo penale, circostanza che non si è verificata nel caso in esame; in ordine a (...), hanno riferito che il termine di prescrizione di sei anni decorrerebbe dal passaggio in giudicato della sentenza e, dunque, essendo la notifica avvenuta in data 29 ottobre 2016, tale termine sarebbe prescritto. Nel merito, hanno dedotto che la scelta delle protesi avverrebbe sulla base di una valutazione discrezionale del primario, deducendo che (...) non avrebbe provveduto a stilare alcun ordine, mentre in ordine al danno all'immagine hanno dichiarato che esso non sarebbe sufficientemente provato. Hanno chiesto, dunque, in via preliminare di accertare la prescrizione del diritto e, nel merito, di rigettare la domanda, con vittoria di spese. All'udienza del 26 gennaio 2017, accertata la regolarità della notifica, è stata dichiarata la contumacia dei convenuti (...), (...) e (...), successivamente revocata a seguito della costituzione degli stessi. (...), infatti, costituendosi in giudizio, ha eccepito l'inesistenza giuridica dell'atto introduttivo del giudizio a causa della insussistenza di una valida procura alle liti in favore del difensore, che avrebbe ottenuto l'incarico per esperire il procedimento solo nei confronti di (...) e di (...). Sempre in via preliminare, ha eccepito la prescrizione del diritto ai sensi dell'art. 2947 comma III c.c., termine che nel caso di specie sarebbe quinquennale e decorrerebbe dalla data del passaggio in giudicato della sentenza, con conseguente perfezionamento della stessa alla data della notifica, avvenuta il 19 ottobre 2016. Nel merito ha dedotto che la legge regionale invocata dall'attrice sarebbe entrata in vigore in epoca successiva rispetto ai fatti per i quali astrattamente potrebbe sussistere una sua responsabilità, dal momento che egli avrebbe cessato le proprie partecipazioni societarie in data 31 dicembre 1995 per la (...) s.r.l. e in data 16 settembre 1998 per la (...) s.r.l.. Ha chiesto, dunque, una volta accertato il difetto del mandato, di dichiarare la sua estromissione dal giudizio e, sempre in via preliminare, di accertare la prescrizione del diritto; nel merito ha chiesto il rigetto della domanda, con vittoria di spese. Si sono costituiti in giudizio, inoltre, in qualità di eredi di (...), anche (...) (già costituita in proprio), (...) e (...), i quali hanno reiterato l'eccezione di prescrizione già formulata dalla (...) e, nel merito, hanno riferito che la legge regionale sarebbe entrata in vigore il 21 maggio 2002 e che il (...), a far data dal 30 settembre 2002, sarebbe stato in pensione, usufruendo delle residue ferie sin dall'11 maggio 2002: tanto escluderebbe una sua responsabilità per non aver richiesto lo sconto prescritto dalla successiva disposizione legislativa. Hanno chiesto, dunque, di accertare l'intervenuta prescrizione del diritto e di rigettare le domande formulate; in subordine, di accertare che il danno deve essere circoscritto agli anni dal 1996 a 10 marzo 2000 ed entro il limite della quota societaria, con vittoria di spese. (...) e (...), costituendosi in giudizio, hanno eccepito preliminarmente la nullità dell'atto introduttivo poiché nella notifica effettuata nei loro confronti non sarebbe presente né la procura né la sottoscrizione e, mancando l'indicazione del legale rappresentante, non sarebbe possibile verificare l'effettiva esistenza dei poteri rappresentativi; sempre in via preliminare, hanno dedotto che la procura sarebbe stata conferita solo per l'instaurazione del giudizio nei confronti del (...) e del (...) e non, dunque, nei loro confronti. Nel merito hanno chiesto il rigetto della domanda poiché, dal punto di vista contrattuale, non avrebbero intrattenuto alcun rapporto con l'(...) e, dal punto di vista extracontrattuale, una loro eventuale responsabilità non potrebbe discendere dalla sola qualifica di socio. Hanno eccepito, inoltre, la prescrizione del diritto. Hanno chiesto, dunque, di accertare la prescrizione del diritto e, nel merito, di rigettare la domanda, con vittoria di spese. La causa è stata istruita con l'acquisizione della documentazione presentata dalle parti e, all'udienza di precisazione delle conclusioni del 17 luglio 2020, è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Con ordinanza di rimessione istruttoria del 28 settembre 2021, il sottoscritto giudice, rilevando il difetto della procura alle liti, ha disposto, ai sensi dell'art. 182 comma II c.p.c., un termine per la sanatoria con efficacia ex tunc, termine che non è soggetto al limite delle preclusioni derivanti dalle decadenze processuali e trova applicazione anche quando la procura manchi del tutto oltre che quando sia inficiata da un vizio che ne determini la nullità, con conseguente irrilevanza della distinzione tra nullità ed inesistenza. Parte attrice, ottemperando al termine concesso, ha depositato, in data 23 novembre 2021, la Delib. n. 2760 del 28 ottobre 2021 che ne ha consentito la regolarizzazione; tanto consente di rigettare, dunque, le eccezioni di inesistenza dell'atto introduttivo formulata dal (...) e di nullità dell'atto introduttivo formulata dai convenuti (...) e (...), atteso che se la produzione in tempi successivi della procura è idonea a sanare con efficacia retroattiva il vizio di costituzione, allora lo stesso può dirsi anche in ordine alla mancanza della procura in copia all'atto notificato. Alla successiva udienza di precisazione delle conclusioni del 17 gennaio 2022, celebratasi mediante trattazione scritta, la causa è stata nuovamente trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. Tutti i convenuti, costituendosi in giudizio, hanno eccepito la prescrizione del diritto. Si rammenta che, ai sensi dell'art. 2947 c.c. "il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato"; al terzo comma, è previsto che "in ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile". Pertanto, fermo restando il termine prescrizionale del reato contestato ai convenuti nel caso di specie, ovvero quello di abuso di ufficio in concorso, pari a sei anni, si deve ritenere che quest'ultimo sia applicabile alla fattispecie in esame. Vale ricordare, inoltre, che se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta una sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il termine decorrerà dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile. Il giudizio penale instaurato nei confronti dei convenuti è stato definito con sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato contestato, decisione che, come affermato dalle parti ed incontestato, è datata 7 giugno 2010 ed è divenuta irrevocabile il 24 ottobre 2010. È da questa data che deve essere conteggiato il termine di sei anni di prescrizione, scaduto, quindi, il 24 ottobre 2016. Non può trovare applicazione nel caso di specie, in cui il processo penale si è concluso con una declaratoria di prescrizione del reato, la conversione del termine di prescrizione civile in quello decennale (art. 2953 c.c.), che trova applicazione solo quando la sentenza passata in giudicato sia "di condanna" e cioè costituisca un provvedimento giudiziale definitivo che impone a chi vi è obbligato l'esecuzione della prestazione dovuta per il soddisfacimento del diritto altrui fatto valere, con conseguente esclusione di pronunce di mero accertamento (ex plurimis, Cass. n. 2003/2017). E tuttavia, dal combinato disposto degli artt. 160 c.p. e 2945 c.c., può desumersi il carattere permanente dell'interruzione della prescrizione per tutta la durata del processo penale: l'art. 2943 c.c., infatti, dispone che il termine di prescrizione è interrotto con la notificazione dell'atto con cui il giudizio è stato iniziato o con "la domanda proposta nel corso di un giudizio" e, dunque, anche con l'atto con cui il soggetto legittimato eserciti l'azione costituendosi parte civile nel processo penale (Cass. civile, sez. unite, 5 aprile 2013, n. 8348). Ebbene, nel caso di specie, all'udienza del 22 febbraio 2006, il Tribunale Penale ha ammesso la costituzione di parte civile della persona offesa (...), esclusivamente nei riguardi di (...) e (...), disponendo "l'esclusione nei confronti di tutti gli altri imputati"; dunque, nei loro confronti può dirsi interrotto il termine di prescrizione. Si deve ritenere, pertanto, che il termine di prescrizione non sia maturato nei confronti di (...) e (...): la notifica dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio nei loro confronti, infatti, è avvenuta prima dello spirare del termine di sei anni per la prescrizione del reato, decorrente dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio. Con riguardo agli eredi di (...), si precisa che l'atto di citazione, introduttivo del presente giudizio, è stato notificato il 2 marzo 2017, astrattamente dopo il decorso del termine di sei anni dal passaggio in giudicato della sentenza che ha definito il giudizio penale. E, tuttavia, il decesso del presunto danneggiante non può riverberare in danno del soggetto danneggiato, quanto al computo del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno che, come è noto, egli può azionare nei confronti degli eredi del primo; appare irrilevante il fatto che (...) fosse già deceduto nell'agosto 2011, ben prima dell'instaurazione del presente giudizio, trattandosi di circostanza di cui l'attrice poteva essere incolpevolmente all'oscuro. Con l'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, infatti, notificato il 12 ottobre 2016 a (...), il termine di prescrizione è stato interrotto ed ha cominciato a decorrerne uno nuovo: tale effetto interruttivo produce senz'altro i suoi effetti nei confronti degli eredi del (...), poi citati in giudizio nel 2017, quando cioè processualmente la parte attrice è venuta a conoscenza del decesso del convenuto principale. Con riguardo, invece, ai convenuti (...) e (...) deve farsi applicazione del disposto di cui all'art. 1310 c.c., secondo cui l'atto con cui il creditore interrompe la prescrizione contro il comune debitore ha effetti nei confronti degli altri debitori in solido; si rammenta infatti che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la costituzione di parte civile nel processo penale produce, come ogni altra domanda giudiziale, un effetto interruttivo permanente della prescrizione del diritto al risarcimento del danno scaturito dal reato per tutta la durata del processo, nei confronti tanto di coloro contro i quali viene rivolta espressamente la costituzione, quanto dei coobbligati solidali, perfino quelli che sono rimasti estranei al processo penale, e il termine di prescrizione riprende a decorrere dal momento in cui è divenuta irrevocabile la sentenza penale che ha definito il giudizio (Cass. 28/11/2017, n. 28456). Gli altri convenuti nel presente giudizio, dunque, possono essere considerati coobbligati in solido con (...) e (...), nei cui confronti il termine di prescrizione non è maturato. È noto che l'art. 2043 c.c. fa sorgere l'obbligo del risarcimento dalla commissione di un fatto doloso o colposo, mentre il successivo art. 2055 c.c. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento, il "fatto dannoso"; la prima norma si riferisce all'azione del soggetto che cagiona l'evento, la seconda riguarda la posizione di colui che subisce il danno, e in cui favore è stabilita la solidarietà. Ne consegue che l'unicità del fatto dannoso richiesta dall'art. 2055 c.c. per la responsabilità solidale tra gli autori dell'illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale forma di responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato, anche nel caso in cui il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, senza che rilevi in alcun modo, ai fini civilistici, a differenza di quanto accade nel giudizio penale, l'assenza di un collegamento psicologico tra quelle condotte. L'indagine ai fini della applicabilità della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. dovrà incentrarsi, quindi, sulla unicità del "fatto dannoso", imputabile alla pluralità di condotte illecite, anche succedutesi nel tempo e di natura diversa, civilistica - extracontrattuale o contrattuale - o penalistica; "fatto dannoso" da assumersi, nel contesto stesso della responsabilità extracontrattuale, come danno-evento, ossia nella sua configurazione giuridica di quell'atto che ha determinato un danno risarcibile siccome "ingiusto" e, dunque, all'origine della lesione di un diritto/interesse tutelato dall'ordinamento. Si richiama sul punto l'orientamento della Cassazione espresso nella pronuncia n. 1070 del 2019, che ha evidenziato come l'unificazione normativa delle diverse posizioni debitorie, imperniata sul "fatto dannoso imputabile a più persone", quale il risultato anche di fatti illeciti distinti e costituenti violazioni di norme giuridiche anche diverse, realizza in ogni caso, indipendentemente dalla diversità dei titoli del diritto di credito, il presupposto della solidarietà. Pertanto, la diversità dei diritti di credito, immanente al carattere eterodeterminato di ciascuno di essi, non fa venir meno la solidarietà passiva, essendo sufficiente per la sua configurabilità, in virtù dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento, che le azioni od omissioni di ciascun soggetto abbiano concorso in modo efficiente a produrlo (in tal senso anche Cass. 9 novembre 2006, n. 23918 e Cass. 30 marzo 2010, n. 7618). Nel caso di specie, peraltro, diverse essendo le condotte tenute da ciascuno degli imputati e degli odierni convenuti (ad eccezioni di quelli legittimati passivamente solo iure hereditatis), identiche sono invece le norme penali di cui si è assunta la violazione, tanto che la contestazione formulata dal P.M. era del reato di abuso di ufficio in concorso. Trovano pertanto applicazione le norme dettate dagli artt. 1292 c.c. e ss. (se non, per l'appunto, specificamente derogate) e, tra queste, quella di cui all'art. 1310 c.c., comma 1, che rende l'atto interruttivo della prescrizione compiuto dal creditore contro uno dei debitori in solido efficace anche nei confronti degli altri debitori solidali. Lo stesso criterio, parametrato sulla unicità del fatto dannoso, viene in rilievo ai fini dell'applicazione estensiva del termine lungo di prescrizione previsto dall'art. 2947 c.c. per le azioni di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, che presuppone che vi sia identità tra il fatto costituente reato e quello dal quale scaturisce la responsabilità dedotta in sede civile. Con la conseguenza che l'indicato termine di prescrizione non è invocabile nel caso in cui l'imputazione penale si riferisca a fatti connessi, ma non identificabili con quello addotto a fondamento dell'azione risarcitoria in sede civile oppure al caso in cui solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, nel qual caso tale particolare termine di prescrizione non è invocabile con riferimento alle obbligazioni degli altri debitori derivanti da fatti costituenti solo illecito civile. Si condivide pertanto l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, "in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito imputabile a più danneggianti e determinativo del vincolo solidaledi cui all'art. 2055 c.c., la natura del titolo di responsabilità che sostanzia la pretesa del diritto di credito risarcitorio azionato, da un lato, condiziona l'individuazione del termine di durata della prescrizione in base alle varie disposizioni dell'art. 2947 c.c. (termine che muterà, quindi, a seconda della consentita estensione della più lunga durata eventualmente stabilita per il fatto-reato, resa possibile ove sussista coincidenza tra quest'ultimo e il fatto determinativo dell'illecito civile); dall'altro lato, detta diversità di titoli, e di diritti (eterodeterminati), non incide di per sè ai fini dell'interruzione del termine di prescrizione di volta in volta rilevante, essendo comunque applicabile l'art. 1310 c.c., comma 1, in quanto, a tal fine, risulta necessaria e sufficiente l'esistenza del vincolo obbligatorio solidale scaturente dal presupposto dell'unicità del "fatto dannoso" ai sensi dell'art. 2055 c.c., comma 1, che comporta (se non diversamente derogato) l'applicazione del sistema regolativo delle obbligazioni solidali previsto dal legislatore agli artt. 1292 c.c. e ss." (Cass. 5 settembre 2019, n. 22164). Si rileva che, in applicazione di tale principio, la Cassazione è giunta a ritenere validamente interrotto il termine di prescrizione anche in un caso in cui le condotte attive o omissive poste in essere siano profondamente differenti fra di esse, determinino violazioni di diverse norme giuridiche e diano perfino origine a diverse obbligazioni, restitutorie o risarcitorie e tuttavia possano ritenersi unite da un vincolo di solidarietà sostanziale, nei confronti dell'unico soggetto creditore dell'obbligazione risarcitoria, perché tutte concorrenti nella causazione dell'evento pregiudizievole dedotto (cfr. ord. n. 7016 del 11/03/2020). Tanto consente di ritenere, dunque, che il diritto fatto valere nei confronti di (...) e (...) non si sia prescritto, atteso che il termine di sei anni deve essere conteggiato, anche in riferimento a tali due convenuti, dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale. In ordine, invece, ai convenuti (...), (...) e (...) si rileva che il diritto non può ritenersi prescritto a causa della loro tardiva costituzione in giudizio: si rammenta, infatti, che la prescrizione, in quanto eccezione in senso stretto e come tale rimessa alla volontà della parte che di essa intende giovarsi, è un'eccezione non rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 2938 c.c., che può essere eccepita dal convenuto costituito nella comparsa di costituzione depositata tempestivamente ai sensi dell'art. 167 c.p.c., con conseguente inammissibilità della stessa quando venga eccepita una volta scaduti i termini per la costituzione. La notifica nei confronti del (...) è avvenuta in data 19 ottobre 2016 ed egli si è costituito in giudizio il 19 maggio 2017, la notifica nei confronti di (...) e (...) è avvenuta il 14 ottobre 2016 e i due convenuti si sono costituiti in giudizio in data 17 maggio 2017: essendosi dunque tutti e tre costituiti ben oltre il termine di 20 giorni dall'udienza indicata nell'atto di citazione (16 gennaio 2017), si deve ritenere che l'eccezione sia tardiva e che, dunque, non possa dichiararsi la prescrizione del diritto. Venendo al merito della causa, in riferimento alle fatture contestate nell'atto di citazione emesse sino al 2002 (sul punto, si deve precisare che nell'atto di citazione, relativamente all'ultima fattura, è stato erroneamente indicato l'anno "2008" al posto dell'anno "2002", come può evincersi dal confronto con le medesime fatture oggetto di contestazione indicate nella c.t.u. del procedimento penale, allegata al fascicolo di parte attrice), occorre preliminarmente rilevare che la L.R. n. 7 del 2002 è stata promulgata e pubblicata in data 21 maggio 2002 e nel corpo del testo legislativo è espressamente previsto che, trattandosi di legge urgente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 60 dello Statuto, essa è entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione. Tale legge, all'art. 21, prevede che l'applicazione di endoprotesi è regolata ai fini del rimborso dei relativi costi anche con la modalità indicata alla lettera b), cioè con la tariffa corrispondente al raggruppamento omogeneo di diagnosi ridotta del 20% e maggiorata in misura pari al rimborso del costo sostenuto per l'acquisto della endoprotesi. Le fatture prese in considerazione nel presente capo della sentenza sono riferite al periodo che va dal 1999 al 2001: ebbene, essendo la legge entrata in vigore solo nel maggio 2002, la domanda non può essere accolta, atteso che non è configurabile una applicazione retroattiva della legge regionale, prima di tutto in ragione del fatto che la stessa legge non lo prevede espressamente e poi anche perché non sarebbe ipotizzabile una applicazione retroattiva di una legge - che disciplina le modalità con le quali devono essere individuati i fornitori ed eseguiti i pagamenti - rispetto ad ordini già effettuati. Anche nella relazione peritale redatta nel corso del procedimento penale, infatti, è precisato che prima dell'emanazione della legge regionale l'acquisizione di endoprotesi avveniva attraverso l'adozione di listini prezzi delle ditte fornitrici, senza evidenza delle percentuali di sconto. La domanda, dunque, non può essere accolta. In considerazione delle spese seguono la soccombenza e sono liquidate, come da dispositivo, in applicazione dei parametri previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M. n. 55 del 2014 relativamente alle fasi di studio, introduttiva e decisoria. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 4700/2016 R.G., ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione reietta o assorbita, così provvede: rigetta la domanda formulata da (...), perché infondata; condanna (...), in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione in favore di (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e (...) (rispetto a questi ultimi tre con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario), delle spese di lite, che liquida in 4.015,00 Euro pro capite, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, come per legge; Il presente provvedimento è redatto con la collaborazione della dott.ssa (...), componente l'Ufficio per il Processo del sottoscritto magistrato. Così deciso in Brindisi il 6 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

  • TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica nella persona del dott. Francesco Giliberti, ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia in primo grado rubricata al N. 1030 /2018 RG; tra (...) (c.f. (...)), rappr. e dif. dall'avv. (...); attore contro CONDOMINIO (...) IN FRANCAVILLA FONTANA (BR) (c.f. (...)), in persona dell'Amministratore pro tempore, rappr. e dif. dall'avv. (...), convenuto Oggetto: impugnazione delibera condominiale; precisazione delle conclusioni come da note scritte autorizzate depositate in modalità telematica in vista dell'udienza del 13.07.2021 celebrata nelle forme della trattazione scritta; FATTO E DIRITTO La presente sentenza viene redatta in forma sintetica omettendo di riportare la parte relativa allo svolgimento del processo, a norma dell'art. 132, comma 2, n.4 c.p.c., come novellato dall'art. 45, comma 17, legge n. 69/2009. (...) ha impugnato dinanzi a questo Tribunale la delibera del 15.12.2017 con la quale l'assemblea del condominio di (...) in Francavilla Fontana (BR) (di seguito, il "Condominio") aveva stabilito la ripartizione delle somme al pagamento delle quali il Condominio stesso era stato condannato, in forza di sentenza n. 134/2017 del Tribunale di Brindisi, a titolo di risarcimento dei danni causati dall'intasamento dell'impianto fognante condominiale e conseguente fuoriuscita di liquami, ed in particolare con la quale era stato addebitato alla (...) l'importo complessivo di Euro.7.707,89, in ragione della propria quota millesimale, in qualità di proprietaria di due locali deposito posti al piano seminterrato dell'edificio condominiale siti in Francavilla Fontana (BR) alla Via (...), identificati sub. 18 e sub. (...) al foglio (...), particella (...) del Catasto Fabbricati del Comune di Francavilla Fontana. Deduceva l'attrice che entrambe le proprie unità immobiliari non erano mai state collegate né all'impianto idrico né a quello fognario del Condominio e per l'effetto la stessa sarebbe del tutto estranea alla vicenda oggetto del risarcimento del danno di cui alla sentenza n. 134/2017 del Tribunale di Brindisi, e alla conseguente ripartizione tra i condomini delle spese derivanti dalla condanna. Quale corollario dell'assunta carenza di titolarità passiva, l'attrice eccepiva l'invalidità della delibera condominiale del 15.12.2017 per "violazione di legge, del regolamento condominiale e delle Tabelle millesimali, e, in ogni caso, il vizio di eccesso di potere" nonché per "violazione delle norme di legge relative alla modalità di convocazione dell'assemblea nonché relative alla costituzione dell'assemblea, alla validità delle deliberazioni ed alle maggioranze previste, specie in relazione ai criteri di calcolo delle maggioranze stesse". Ritualmente costituitosi, il Condominio convenuto ha eccepito la decadenza dall'impugnazione per mancato rispetto del termine perentorio di gg. 30 previsto dall'art. 1137 c.c., nonché l'infondatezza dei motivi addotti, rilevando, in particolare, che il regolamento condominiale annoverava tra le parti comuni anche l'impianto fognario definendolo come indivisibile, e che "la eventuale circostanza del non allaccio alla rete fognaria condominiale dei locali in questione non ha alcun rilievo, in quanto, essendo l'impianto fognario di proprietà comune ed indivisibile, in qualsiasi momento, l'attrice potrà collegarsi ad esso (...) per cui, in forza della proprietà comune e della sua indivisibilità, l'attrice è tenuta a concorrere alla spesa deliberata con l'impugnata delibera, in base alla tabella millesimale di proprietà". La causa è stata istruita attraverso CTU. La domanda attorea è infondata e va pertanto rigettata. Va preliminarmente rigettata l'eccezione sollevata dal Condominio di decadenza dall'impugnazione della delibera condominiale per mancato rispetto del termine perentorio di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c., per essere l'atto introduttivo del giudizio preceduto dalla domanda di mediazione notificata il 9 gennaio 2018 e dunque entro il termine di decadenza e per essere la notifica dell'atto di citazione intervenuta in data 28.2.2018 e quindi entro il "medesimo" termine di decadenza che, a norma dell'art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 28/2010, deve farsi decorrere dalla data in cui era stato depositato il verbale negativo di mediazione e cioè dall'8/2/2018. Diversamente da quanto dedotto dalla difesa del Condominio, questo giudicante ritiene infatti che la domanda di mediazione interrompa e sospenda l'eventuale termine decadenziale, con la conseguenza che terminato il procedimento di mediazione e segnatamente, depositato il verbale negativo da parte dell'organismo adito dalle parti, decorra un ulteriore termine decadenziale, come del resto confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. Un. n. 17781/2013). Venendo al merito, questo giudicante ritiene generiche, e in quanto tali non suscettibili di valutazione, le censure di parte attrice relative alla violazione di legge e all'eccesso di potere, come possibili cause invalidanti della delibera condominiale impugnata. In ogni caso, non si riscontrano profili di invalidità della delibera condominiale del 15.12.2017, risultando validamente adottata in seconda convocazione con la presenza di 10 condomini pari a 829 millesimi e con la maggioranza degli intervenuti secondo quanto richiesto terzo comma dell'art. 1136 c.c. Peraltro, al di là della imprecisa terminologia utilizzata nell'atto introduttivo del giudizio, nella sostanza i motivi addotti dalla difesa dell'attrice a sostegno dell'invalidità della delibera condominiale impugnata, sono tra di loro connessi, e si basano tutti sul presupposto secondo il quale i due immobili di sua proprietà esclusiva, non essendo collegati agli impianti idrici e fognari del condominio ella non sarebbe tenuta a farsi carico pro quota, del danno a terzi di cui i predetti impianti avrebbero prodotto danni. Premesso che le condotte fognanti sono di proprietà e di uso comune ed indivisibile a tutti i condomini, e in quanto tali costituiscono parti comuni dell'edificio ex art. 1117 c.c., dalle indagini tecniche svolte dal CTU Geom. (...) è stato appurato che le parti comuni a cui si riferisce la sentenza n. 134/2017 del Tribunale di Brindisi, sono rappresentate dalle tubazioni idriche-fognanti condominiali, e che "la rete fognaria condominiale, ossia il recapito finale della rete condominiale, deve ritenersi anche a servizio dei locali di proprietà attrice e quindi "COMUNE" anche alla odierna attrice". Appare a questo punto doveroso evidenziare che durante le operazioni peritali il CTU Geom. (...), è emerso che il liquido colorato immesso nei servizi igienici posti all'interno dei due locali "non ha mai raggiunto la pozzetta pubblica di AQP posta sulla strada perché nelle more di esecuzione annunciata del saggio da eseguire, la condotta fognaria a servizio dei locali di proprietà (...) che pure doveva confluire le deiezioni liquide e solide nella fogna pubblica, era stata recisa e rimossa dal suo sito facendo cadere l'acqua colorata sul pavimento del vano deposito interrato", ed ha precisato che "la rimozione del tronco fognario dal suo sito non poteva avere altro scopo se non quello di dimostrare che i liquidi immessi nei servizi igienici esistenti nel locale di proprietà attrice non raggiungevano il recapito finale costituito dalla pozzetta di AQP a servizio del Condominio di Via (...), ossia a servizio della fogna condominiale (...) ed è abbastanza chiaro che tale rimozione, operata nel corso delle indagini peritali, sia stata eseguita solo da chi ha ritenuto di poterne trarre vantaggio". Le suesposte risultanze peritali danno adito a fondati dubbi sull'integrazione del reato di frode processuale ex art. 374 c.p., per i quali questo giudicante provvederà con separata nota a trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per le determinazioni di competenza. Relativamente alla rilevanza degli accertamenti peritali rispetto agli assunti attorei, va rilevato che pur a prescindere da chi e per quale ragione ha operato il materiale distacco fra la parte di condotta di proprietà esclusiva e quella di proprietà condominiale ed escluso che via sia traccia alcuna di "autonomo allaccio fognario", sarebbe stato comunque onere dell'attrice provare che il riscontrato distacco fosse stato praticato prima che dalla condotta comune si producessero infiltrazioni che avevano prodotto danni a terzi al risarcimento dei quali il Condominio sarebbe stato condannato, evidenziandosi come sarebbe assai improbabile ritenere che i reflui provenienti dai servizi igienici di pertinenza dei locali di proprietà dell'attrice, sin dall'origine confluissero non in una condotta, ma si riversavano all'interno dei locali. Appare peraltro priva di alcuna rilevanza la circostanza, pur dedotta dall'attrice, secondo la quale il Regolamento di Condominio (segnatamente a pag. 17) con riferimento all'impianto di sollevamento dell'acqua, escluda dal riparti delle spese, il locale commerciale sito al civico (...),) in quanto provvisto di proprio contatore ed allaccio AQP: invero, l'allaccio autonomo per l'adduzione di acqua potabile, non esclude che i reflui venissero smaltiti attraverso le condotte condominiale, e ciò a prescindere se il contratto con AQP onerasse l'attrice anche degli oneri di smaltimento ("fognatura e depurazione", in quanto strettamente connessi con il consumo di acqua. In diritto, va peraltro considerato che sulla base della disciplina prevista dall'art. 1118, comma 4, c.c. il distacco del singolo condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento e di condizionamento - quand'anche per analogia legis la regola possa essere estesa alla rinuncia da qualsiasi altro bene comune e dunque al distacco dall'impianto idrico-fognario -, può avvenire soltanto qualora dal distacco non derivino squilibri all'impianto e peraltro il condomino rinunciante è esonerato dal pagamento delle spese per il consumo e l'uso ordinario, e non anche dai costi di manutenzione straordinaria dell'impianto e di sua conservazione. In applicazione del suddetto principio, la (...), quand'anche non avesse utilizzato l'impianto fognario condominiale - secondo la improbabile ipotesi che i reflui prodotti nei locali non venissero recapitati nella fogna pubblica, ma smaltiti riversandoli al suolo -, in ogni caso la stessa sarebbe tenuta a farsi carico nella porzione derivante dal riparto operato sulla base delle tabelle millesimali, delle spese di riparazione straordinaria e per l'effetto la stessa doveva rispondere insieme agli altri condomini dei danni causati dalle rotture presenti nella condotta. Per tutte le considerazioni che precedono, dovendosi ritenere che la Sig.ra (...) sia compartecipe delle spese a cui il Condominio è stato condannato con sentenza n. 134/2017 del Tribunale di Brindisi, la domanda attorea va rigettata e la Sig.ra (...) va condannata al pagamento di Euro.7.707,89 a favore del Condominio. Le spese processuali seguono la regola della soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo tenuto conto del DM 55/2014 e segnatamente dei parametri medi per le prime due fasi e dei parametri minimi per le due ultime fasi, atteso il mancato deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, da parte della difesa del condominio, della sommarietà dell'attività istruttoria e del mancato deposito della memoria di replica nella fase decisoria. P.Q.M. Il TRIBUNALE di Brindisi, Sezione Civile, in composizione monocratica nella persona del dott. Francesco GILIBERTI, definitivamente pronunciando sulla causa promossa da (...), nei confronti del CONDOMINIO (...) IN FRANCAVILLA FONTANA (BR), in persona dell'Amministratore pro tempore, disattesa ogni diversa o contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1. Rigetta la domanda attorea; 2. condanna (...) al pagamento nei confronti del CONDOMINIO DI (...) IN FRANCAVILLA FONTANA (BR) delle spese di lite che si liquidano in Euro.3.545,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfettario C.P.A. ed I.V.A. come per legge, nonché all'integrale e definitivo pagamento delle spese di C.T.U. già liquidate con separato decreto. Brindisi, lì 19 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 2486/2019 R.G., avente ad oggetto "appello avverso sentenza del Giudice di Pace in materia di Spedizione - Trasporto (nazionale, internazionale, terrestre, aereo, marittimo, misto" e vertente tra (...) (già (...)) (P.IVA: (...)), in persona del procuratore speciale, rappresentata e difesa dagli avv. Ma.Ca. e Gi.Bi., del Foto di Verona, e dall'avv. Ma.Ma., del Foro di Brindisi, presso il cui studio in Brindisi, alla via (...), sono elettivamente domiciliati; appellante e (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Al.Ca., presso il cui studio a Melendugno (LE), alla via (...), è elettivamente domiciliato; appellato MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Brindisi, la società (...), poi (...), in persona del procuratore speciale, al fine di accertare l'inadempimento e/o l'inesatto adempimento da parte della Compagnia aerea degli obblighi contrattuali assunti e per sentirla condannare al pagamento della somma di 250,00 Euro, a titolo di compensazione pecuniaria (art. 7 del Regolamento Comunitario n. 261/2004) per il ritardo del volo Brindisi - Bergamo dell'11 marzo 2017, oltre all'importo di 150,00 Euro, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, ovvero delle differenti somme ritenute dal Giudice eque e/o di giustizia; il tutto con vittoria delle spese di lite. Nel primo grado di giudizio, (...) ha dedotto di aver stipulato con la predetta compagnia un contratto di trasporto aereo, acquistando un biglietto per la tratta Brindisi/Bergamo (volo (...)) con partenza prevista per il giorno 11 marzo 2017, alle ore 08.40; ha precisato di avere appreso, una volta giunto in aeroporto, che il volo avrebbe subito un ritardo di tre ore e che la partenza effettiva sarebbe stata differita alle ore 11.55, con arrivo a destinazione finale alle ore 13.40, anziché alle ore 10.40; ha dichiarato, altresì, di aver patito notevoli disagi, anche in ragione della mancata assistenza da parte della compagnia aerea che, sebbene sollecitata a provvedere al risarcimento dei danni subiti, non ha inteso adempiere. Con comparsa di costituzione e risposta del 12 settembre 2017, si è costituita in giudizio dinanzi al Giudice di Pace, la società (...) (già (...)), in persona del procuratore speciale, eccependo, in rito, la carenza di giurisdizione del Giudice adito e deducendo, nel merito, che il ritardo del volo (...) dell'11 marzo 2017 sarebbe stato determinato dalle avverse condizioni meteorologiche che in quella giornata avrebbero interessato lo scalo di Brindisi, così impedendo al vettore (...), proveniente da Bergamo, di effettuare le operazioni di atterraggio/decollo, come certificato dal gestore Società (...) (all. n. 7 del fascicolo di primo grado di (...)). Nello specifico, la compagnia aerea ha dichiarato che il velivolo (...) sarebbe partito in orario da Bergamo, ma di essere stato costretto, a causa dei forti venti trasversali, a dirottare sull'aeroporto di Lamezia Terme, conseguentemente ritardando l'atterraggio presso lo scalo di Brindisi, dal quale sarebbe dovuto ripartire per Bergamo. Ritenuto, dunque, che il ritardo dovesse imputarsi esclusivamente a circostanze eccezionali ed imprevedibili, estranee al suo controllo, (...) ha sostenuto che l'attore non avrebbe avuto diritto alla compensazione pecuniaria di cui all'art. 7 del Regolamento CE 261/2004. Ha chiesto, dunque, pregiudizialmente in rito, di accertare e dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice italiano in favore della competenza giurisdizionale della Swords and Balbriggan District Court Office, Irlanda; nel merito, il rigetto della domanda attorea, poiché infondata in fatto e in diritto; il tutto con vittoria delle spese e competenze di lite. Il giudizio di primo grado è stato istruito con l'acquisizione della documentazione allegata dalle parti, nonché di quella esibita, ex art. 320 c.p.c., dalla Società (...), giusta ordinanza del 17 novembre 2017. Rinviata la causa per la precisazione delle conclusioni, all'udienza del 7 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione. Con la sentenza n. 2255/2018, emessa il 25 novembre 2018 e depositata in data 5 dicembre 2018, il Giudice di Pace di Brindisi, in accoglimento della domanda attorea, ha condannato (...) al pagamento in favore del (...) della somma di 400,00 Euro, oltre interessi legali dalla domanda sino al soddisfo, oltre al pagamento delle spese processuali liquidate nella complessiva somma di 243,00 Euro, di cui 43,00 per spese, oltre accessori di legge. Con atto di appello del 30 maggio 2019, ritualmente notificato il 30 maggio 2019 e depositato il 03 giugno 2019, (...) (già (...)) ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado, poiché errata, avendo il Giudice di Pace di Brindisi omesso di pronunciarsi sull'eccezione relativa al difetto del presupposto per la concessione della compensazione pecuniaria, ossia sull'eccezionalità della circostanza causativa del ritardo del volo (...), e di valutare i mezzi di prova a tale scopo allegati. Ha, dunque, chiesto che fosse rigettata la domanda formulata in primo grado da (...), con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio. Si è costituito in giudizio (...) eccependo, in rito, l'inammissibilità dell'appello per omessa indicazione dei requisiti di cui all'art. 434 c.p.c.; nel merito, ha reiterato il proprio diritto alla compensazione pecuniaria, giacché il ritardo del volo, neppure contestato dalla Compagnia aerea, non sarebbe stato determinato da circostanze eccezionali di maltempo; ha contestato la carenza di prova in ordine ad esse e sulle misure in concreto adottate per evitare il pregiudizio sofferto dai passeggeri. Ha, pertanto, chiesto, in via preliminare, di dichiarare l'inammissibilità dell'appello e, nel merito, di rigettarlo, con conferma della sentenza n. 2255/2018 resa dal Giudice di Pace di Brindisi; il tutto con vittoria delle spese e competenze di lite, con distrazione in favore del procuratore antistatario. Il giudizio è stato istruito con l'acquisizione dei fascicoli di parte di primo grado e della documentazione ivi allegata. All'udienza del 26 novembre 2021 la causa è stata trattenuta per la decisione, con assegnazione alle parti dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. SULL'ECCEZIONE DI INAMMISSIBILITÀ DELL'APPELLO. Si premette che nel giudizio ordinario di cognizione, come quello per cui è causa, trova applicazione l'art. 342 c.p.c. e non, invece, il 434 c.p.c., come erroneamente richiamato dall'appellato; tanto premesso, l'eccezione preliminare dallo stesso formulata deve essere rigettata. È pacifico in giurisprudenza che gli artt. 342 e 434 c.p.c. modificati dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vadano interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta escluso, invece, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l'atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass., Sez. Unite, 16 novembre 2017, n. 27199). Ritenuto, pertanto, che l'atto di appello soddisfi i requisiti di cui all'art. 342 c.p.c. e che la suddetta eccezione di inammissibilità proposta dall'appellato sia infondata, si procede all'esame dei motivi di impugnazione della sentenza. NEL MERITO DELL'APPELLO. Con il primo motivo di appello, l'appellante contesta l'erroneità della sentenza impugnata per omessa pronuncia del Giudice di prime cure in ordine alla eccezionalità della circostanza causativa del ritardo del volo (...), idonea ad escludere la responsabilità del vettore aereo. Il motivo è infondato e va disatteso. Il tema dell'omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia è stato ampiamente trattato dalla giurisprudenza di legittimità, ove ha affermato che "non ricorre il vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico - giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda" (Cass., ord. n. 5624/2021), ossia quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest'ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito. Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento, come nella specie, risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte, o comunque acquisite, e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell'adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (Cass. n. 5583/2011). Il Giudice di Pace di Brindisi, alla luce dell'allegazione documentale prodotta dalle parti, ha ritenuto provato il ritardo dell'aeromobile posto alla base della domanda attorea, invero neppure contestata in punto di fatto dalla Compagnia aerea, essendosi quest'ultima limitata ad eccepire l'assenza di qualsivoglia sua responsabilità in ordine alla causazione dei fatti in esame, omettendo di fornire prova idonea e sufficiente in ordine all'esistenza di circostanze eccezionali che non si sarebbero potute evitare anche laddove fossero state adottate tutte le misure del caso. Al riguardo, si rimanda, per un verso, al Considerando 14 del Reg. CE n. 261/2004"Come previsto ai sensi della convenzione di Montreal, gli obblighi che incombono ai vettori aerei operativi dovrebbero essere limitati o dovrebbero non applicarsi nei casi in cui un evento è dovuto a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. Siffatte circostanze possono, in particolare, ricorrere in caso di instabilità politica, condizioni meteorologiche incompatibili con l'effettuazione del volo in questione, rischi per la sicurezza, improvvise carenze del volo sotto il profilo della sicurezza e scioperi che si ripercuotono sull'attività di un vettore aereo operativo", per altro verso all'art. 5,comma 3, del Regolamento (CE) n. 261/2004, secondo cui "Il vettore aereo operativo non è tenuto a pagare una compensazione pecuniaria a norma dell'articolo 7, se può dimostrare che la cancellazione del volo è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso", nonché all'art. 1218 c.c., per l'onus probandi, in base al quale, il contraente trasportato deve solo provare l'acquisto del titolo di viaggio e di essersi presentato all'imbarco (circostanze non contestate), incombendo sul vettore aereo, come anche espressamente previsto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, l'onere di provare il verificarsi delle suddette circostanze eccezionali (si ripete, di un evento non previsto e non prevedibile usando la normale diligenza: sostanzialmente un evento riconducibile alle cause di forza maggiore e di caso fortuito) e il nesso causale rispetto al ritardo, accompagnato dalla effettiva adozione di tutte le misure idonee per evitare il ritardo, nonostante le quali il ritardo non si sarebbe comunque potuto evitare (cfr. Cass., ord., n. 1584/2018; cfr. Comunicazione della Commissione, Orientamenti interpretativi relativi al regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, 2016/C, 214/04). In punto di fatto, risultano prodotti in atti la carta d'imbarco a nome di (...). Null'altro doveva dimostrare l'odierno appellato. Di contro, si ritiene che la compagnia aerea appellante non abbia assolto agli oneri probatori su di essa gravanti. In primo luogo, appare quantomeno dubbio attribuire alla presenza di forti venti trasversali sull'aeroporto di Brindisi il carattere di "circostanza eccezionale", trattandosi di un evento ricorrente e prevedibile nella stagione invernale (11 marzo 2017). Peraltro, dal "Giornale di Scalo" relativo alla giornata del 11 marzo 2017, depositato nel precedente grado di giudizio a seguito di ordinanza ex art. 210 c.p.c., è emerso che, in quello stesso giorno e in concomitanza con lo stesso orario del volo dell'attore, tutte le altre compagnie aeree hanno effettuato regolarmente i propri voli da Brindisi. Tanto porta ad escludere l'esistenza della circostanza eccezionale del maltempo o di venti idonei a determinare un ritardo del volo (...); pertanto, non sembra configurarsi nel caso in esame la circostanza esimente indicata dal regolamento (Ce) n. 261/2004 che, al considerando 14, fornisce un elenco esemplificativo di circostanze eccezionali escludenti la responsabilità del vettore, tra le quali "le condizioni meteorologiche incompatibili con l'effettuazione del volo". Inoltre, privo di rilievo appare l'assunto di parte appellante secondo cui, la ipotetica circostanza eccezionale verificatasi nel volo precedente si ripercuoterebbe anche sul volo successivo effettuato con il medesimo aeromobile, escludendo anche per quest'ultimo il diritto alla compensazione pecuniaria. Va osservato che detta interpretazione oltre ad essere eccessivamente vessatoria e sfavorevole per gli utenti finali dei voli (i quali sarebbero esposti ad una serie di ritardi "a catena", in ipotesi non risarcibili), non tiene conto del fatto che, ai fini dell'esclusione della compensazione pecuniaria, la Compagnia aerea è comunque tenuta a dare la prova di aver posto in essere tutte le misure del caso idonee ad evitare le conseguenze sfavorevoli del ritardo, limitandolo nel margine della tolleranza previsto dal Regolamento (tre ore). Come, infatti, chiarito dalla Cassazione con sentenza n. 20787/2004, la diligenza che si richiede ad una compagnia aerea supera il concetto di ordinaria diligenza, di cui all'1176, II comma, c.c., poiché quest'ultima, in quanto contraente qualificato, deve essere consapevole dei rischi connessi alla sua attività e deve pertanto mettere in atto misure professionalmente adeguate a prevenire ed evitare qualsiasi rischi al passeggero. A tal proposito, la Corte di Giustizia UE ha anche precisato che i vettori aerei, per dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie, devono dare contezza delle risorse spiegate in termini di personale, tempi, mezzi finanziari per assicurare l'interesse dei passeggeri ad arrivare in orario a destinazione (Corte di Giustizia UE, sez. IV, 11 giugno 2020, n. 74/19). Si precisa, altresì, che "la diligenza richiesta a tale vettore aereo al fine di consentirgli di sottrarsi al proprio obbligo di compensazione pecuniaria presuppone che egli si avvalga di tutti i mezzi a sua disposizione per garantire un riavviamento ragionevole, soddisfacente e nel minor tempo possibile, mezzi tra i quali figura la ricerca di altri voli diretti o non diretti operati eventualmente da altri vettori aerei, appartenenti o meno alla stessa alleanza aerea e che arrivano meno tardi rispetto al volo successivo del vettore aereo interessato. Pertanto, solo qualora non vi sia alcun posto disponibile su altro volo diretto o non diretto che consenta al passeggero interessato di raggiungere la sua destinazione finale meno tardi rispetto al volo successivo del vettore interessato o qualora l'effettuazione di un simile riavviamento costituisca per tale vettore aereo un sacrificio insopportabile, tenuto conto della capacità della sua impresa (...), si deve ritenere che il detto vettore aereo, riavviando il passeggero in questione con il volo successivo operato dal vettore medesimo, si sia avvalso di tutti i mezzi di cui disponeva (sent. Corte di Giustizia UE, sez. IV, 11.6.2020, N. 74/19, considerando n. 59 - 60). Nella fattispecie, R. non ha mai provato, neppure nel precedente grado di giudizio, di aver fatto ricerca di eventuali voli alternativi nell'immediato operati dalla medesima o da altri vettori, in modo tale da poter riproteggere i passeggeri a mezzo altro volo e far loro raggiungere la destinazione con minore disagio. Ne discende che, il ritardo, ben superiore al margine di tolleranza regolamentare di tre ore, è attribuibile solo a ragioni organizzative della Compagnia, e non alla presenza di condizioni meteo eccezionali riguardanti il volo; la stessa, infatti, non avendo dimostrato né che lo scalo fosse bloccato per tutti i voli e neppure di essersi prodigata per cercare una possibile riprotezione dei passeggeri, si deve ritenere che essa abbia evidentemente preferito attendere la fine dell'asserita "circostanza eccezionale" per effettuare il volo diretto a Bergamo a mezzo del proprio automobile. Consegue che, in mancanza della prova di un fatto idoneo ad escludere l'inadempimento della compagnia consistito nel ritardo del volo superiore a tre ore (ipotesi equiparata al volo cancellato o di negato imbarco giusto disposto della Corte di Giustizia UE), sussiste il diritto alla compensazione pecuniaria, così come stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza del 23.10.2012, che ha ribadito la validità degli artt. 5 e 7 del Reg. 261/2004, con la finalità, da un lato, di riconoscere un giusto ristoro al passeggero per i disagi causati dal ritardo, dall'altro, di costituire una remora per tali evenienze, onde migliorare la qualità del trasporto aereo. Per tali ragioni, il primo motivo di appello va respinto, poiché infondato, con conseguente conferma della sentenza sul punto. Con riferimento al secondo motivo di appello, l'appellante ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto all'appellato ulteriori somme a titolo risarcitorio, segnatamente "di Euro 150,00 per danno non patrimoniale patito", poiché già inclusa nella somma liquidata a titolo di compensazione pecuniaria ex art. 7 del Regolamento CE n. 261/2004. Il motivo di appello è infondato. Si osserva che l'art. 12 del Regolamento Ce 261/2004 lascia impregiudicati i diritti del passeggero ad un "risarcimento supplementare", in quanto il riconoscimento della compensazione pecuniaria di cui all'art. 7 Reg. n. 261/2004 non pregiudica il diritto del passeggero al risarcimento degli eventuali pregiudizi ulteriori subiti a causa del disservizio, sempre che ne sussistano i presupposti in conformità a diversa normativa nazionale o internazionale (Cass. del 15.07.2015 n. 14667). Più recentemente, la stessa Corte di Giustizia (sentenza del 23/10/2012) ha chiarito il rapporto esistente tra il diritto alla compensazione pecuniaria, fondato sull'articolo 7 del Reg. n. 261/2004 - cui possono avere diritto i passeggeri dei voli cancellati o quelli che (in applicazione della citata sentenza del 19/11/2009 nelle cause C 402/07 e C 432/07) giungono alla loro destinazione finale tre ore o più dopo l'orario di arrivo originariamente previsto dal vettore aereo - e il diritto al risarcimento del danno da ritardo, previsto all'articolo 19 della Convenzione di Montreal, tenuto conto dell'esclusione - ai sensi dell'articolo 29, seconda frase, della medesima Convenzione - della riparazione a titolo non risarcitorio. Sul punto, la Corte di Giustizia ha ritenuto che non vi sia alcuna incompatibilità tra i due istituti, trattandosi di due forme di tutela complementari, ma tra loro diverse e compatibili. In tal caso, il passeggero che ne faccia richiesta "deve fornire la prova della fonte - in questo caso negoziale - del suo diritto, ossia deve produrre il titolo o il biglietto di viaggio o altra prova equipollente, potendosi poi limitare alla mera allegazione dell'inadempimento del vettore" (Cfr. Cass. civile n. 1584/2018). Nel caso in esame, l'attore in primo grado ha prodotto il titolo di viaggio, così come non è stato contestato dalla Compagnia aerea che il volo Brindisi - Bergamo sia partito con un ritardo di tre ore e dieci minuti; di contro, l'odierna appellante non ha provato di aver fornito agli attori l'assistenza necessaria durante la lunga attesa in aeroporto, così come dettato dall'art. 6 del Reg. CE n. 261/04, in combinato disposto con il successivo art. 9. Ne consegue che il motivo di appello è infondato e va respinto, con la conseguenza che va integralmente confermata la sentenza impugnata e dunque la condannata di (...). Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in applicazione dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014 per lo scaglione di riferimento, relativamente alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, ridotti della metà. Sussistono, inoltre, i presupposti per la condanna dell'appellante soccombente al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell'art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, comma XVII, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, applicabile ai giudizi iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 2486/2019 R.G., ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione reietta o assorbita, così provvede: rigetta l'appello e conferma la sentenza del primo grado; condanna (...), in persona del procuratore speciale, al pagamento delle spese processuali per il grado di appello in favore del procuratore antistatario di parte appellata, che liquida in 630,00 Euro, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA, come per legge; dispone il pagamento a carico dell'appellante del doppio del contributo unificato previsto dal testo unico delle spese di giustizia in caso di rigetto integrale dell'impugnazione (art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2019). Il presente provvedimento è stato redatto con la collaborazione della dott.ssa (...), componente l'Ufficio per il Processo del sottoscritto magistrato. Così deciso in Brindisi il 13 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 15 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica nella persona del dott. Francesco Giliberti, ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia in primo grado rubricata al N.4048 /2019 RG; tra (...) (c.f.(...) ) , rappr. e dif. dall'avv. TA.BA.; attore contro COMUNE DI VILLA CASTELLI (c.f. (...)), in persona del Sindaco pro tempore, rappr. e dif. dall'avv. NI.VI.; convenuto Oggetto: Risarcimento danni da occupazione illegittima ed accessione invertita; FATTO E DIRITTO Si procede alla redazione del presente provvedimento omettendo di riportare la parte relativa allo svolgimento del processo, ai sensi dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. così come novellato dall'art. 45, comma 17, L. 18 giugno 2009, n. 69. (...) conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Brindisi, il Comune di Villa Castelli, onde sentir accogliere - nei di lui confronti - le seguenti conclusioni: "a) accertare e dichiarare che, in danno del signor (...) ed ad opera del COMUNE DI VILLA CASTELLI si è verificata l'illegittima occupazione acquisitiva del terreno identificato in catasto ...; b) per l'effetto, dichiarare tenuto il COMUNE DI VILLA CASTELLI, anche ai sensi dell'art. 42 Cost., a risarcire il signor (...) di tutti i danni dallo stesso subiti per i fatti di cui è causa, sotto il triplice profilo della perdita della facoltà di godimento del bene, della limitazione della propria facoltà di disporne, nonché, infine, del valore venale del bene medesimo; c) conseguentemente, condannare il COMUNE DI VILLA CASTELLI a pagare nei confronti del signor (...), a titolo di risarcimento dei suvvisti danni, la somma che, in tal senso, verrà accertata, in corso di causa, quale spettante e dovuta, a mezzo di disponenda C.T.U., oltre rivalutazione monetaria sulla somma risultante dal momento della domanda fino alla data della sentenza, nonché interessi legali sulla somma rivalutata dalla data del fatto illecito (2 giugno 1998 - giorno della immissione nel possesso) e sino all'effettivo soddisfo; d) con vittoria di spese e compensi professionali relativi al presente giudizio, rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge". Ritualmente costituitosi il Comune di Villa Castelli ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del g.o. adito in favore del giudice amministrativo e nel merito contestando nell'an e nel quantum l'avversa pretesa. Le parti, all'esito dello scambio delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., sono state invitate a precisare le conclusioni in ordine alla questione di giurisdizione sollevata dall'Ente civico convenuto. Ad avviso del giudicante va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo. Invero chi giudica ritiene di doversi rifare al principio reiteratamente espresso dalla Corte della Legittimità (ex plurimis Cass. Civ., S.U., del 25/7/2016, n. 15284; Cass. Civ., S.U., del 28/03/2019, n. 8675) in materia di riparto di giurisdizione in ordine alle fattispecie caratterizzate dai danni conseguenti alla perdita della proprietà di immobili occupati d'urgenza per l'esecuzione di opere pubbliche, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, a tenore del quale la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, discende dal collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con la dichiarazione di pubblica utilità, espressione dell'esercizio - quand'anche illegittimo - del potere autoritativo dal parte della P.A. ( "... La pronuncia Sez. U. 25/7/2016, n. 15284 è stata resa proprio in relazione a fattispecie assimilabile a quella di causa, ed ha affermato che la controversia avente ad oggetto la restituzione di un suolo, ovvero il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del medesimo, occupato d'urgenza, per l'esecuzione di un intervento di edilizia residenziale pubblica, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, ancorché illegittima (nella specie perché priva dei termini iniziale e finale dei lavori e delle procedure di esproprio), è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, stante il collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con la dichiarazione suddetta, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta quest'ultima. La pronuncia cit., nello specifico, ha rilevato che: "Nel caso in esame il riparto della giurisdizione è regolato, ratione temporis, dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, come sostituito dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, lett. b), che devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia" e che va interpretato e applicato in conformità a quanto statuito dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006, contenenti declaratorie di parziale incostituzionalità, rispettivamente, dell'art. 34 D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 cit., e dell'analoga disposizione di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 53, nel testo all'epoca vigente. In particolare, la seconda sentenza ha puntualizzato il senso della declaratoria d'incostituzionalità delle disposizioni di cui trattasi, nella parte in cui devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo anche le controversie relative ai "comportamenti" delle pubbliche amministrazioni, osservando che "nelle ipotesi in cui i "comportamenti" causativi di danno ingiusto - e cioè, nella specie, la realizzazione dell'opera - costituiscono esecuzione di atti o provvedimenti amministrativi (dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza) e sono quindi riconducibili all'esercizio del pubblico potere dell'amministrazione, la norma si sottrae alla censura di illegittimità costituzionale, costituendo anche tali "comportamenti" esercizio, ancorché viziato da illegittimità, della funzione pubblica della pubblica amministrazione". Ai fini, dunque, della devoluzione al giudice amministrativo delle controversie relative ai comportamenti in questione è sufficiente il collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con una dichiarazione di pubblica utilità, ancorché illegittima, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta tale dichiarazione, viceversa valorizzata dalla giurisprudenza anteriore alla richiamata pronuncia della Corte costituzionale (cfr., per tutte, Cass. 7643/2003, Cass. Sez. Un. 9532/2004; quanto al nuovo corso della giurisprudenza di legittimità cfr., fra le altre, Cass. Sez. Un. 26798/2008, 7938/2013, 10879/2015, 12179/2015, le ultime due delle quali riferite a fattispecie disciplinate dall'art. 133 c.p.a., lett. g), analogo alle già richiamate disposizioni vigenti in precedenza)". Detto orientamento è stato ribadito anche, tra le altre, nelle successive pronunce del 29/1/2018, n. 2145 e del 16/4/2018, n. 9334, che hanno affermato che in tema di risarcimento dei danni derivanti dall'illecita occupazione di un bene, sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133 cod. proc. amm., comma 1, lett. g), quando il comportamento della P.A., cui si ascrive la lesione oggetto della domanda, sia la conseguenza di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento ablativo, espressione di un potere amministrativo in concreto esistente, riguardante l'individuazione e la configurazione dell'opera pubblica sul territorio, cui la condotta successiva, anche se illegittima, si ricollega in senso causale. Ne consegue l'infondatezza della prospettazione delle ricorrenti, che sostengono che debba essere valida ed efficace la dichiarazione di pubblica utilità, per potersi ritenere il collegamento, anche mediato, con la funzione pubblica. La pronuncia Sez. U. 25/7/2016, n. 15284 è stata resa proprio in relazione a fattispecie assimilabile a quella di causa, ed ha affermato che la controversia avente ad oggetto la restituzione di un suolo, ovvero il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del medesimo, occupato d'urgenza, per l'esecuzione di un intervento di edilizia residenziale pubblica, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità, ancorché illegittima (nella specie perché priva dei termini iniziale e finale dei lavori e delle procedure di esproprio), è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, stante il collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con la dichiarazione suddetta, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta quest'ultima" (Cassazione civile sez. un., 28/03/2019, n.8675). Nel caso di specie, risulta per tabulas e peraltro viene riconosciuto dallo stesso attore, che l'occupazione delle aree di sua proprietà (eseguita in data 2 giugno 1998) era finalizzata alla realizzazione di una opera pubblica e faceva seguito alla dichiarazione di pubblica utilità dell'opera stessa adottata dal Comune di Villa Castelli con delibera di GM n.263/96: dunque a tale occupazione la PA procedeva nell'esercizio del suo potere amministrativo, il che - a prescindere dai profili di legittimità originaria ovvero di inutile decorso del termine di durata della occupazione di cinque anni per come fissato dallo stesso Ente Civico -, determina la giurisdizione del giudice amministrativo (ex plurimis Cassazione civile, sez. un., 17/12/2020, n.28980, "la giurisdizione esclusiva amministrativa si fonda su un comportamento della pubblica amministrazione che non sia semplicemente occasionato dall'esercizio del potere, ma si traduca, in base alla norma attributiva, in una sua manifestazione e, cioè, risulti necessario, considerate le sue caratteristiche in relazione all'oggetto del potere, al raggiungimento del risultato da perseguire; in definitiva, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo allorquando il comportamento della Pa, cui si ascrive la lesione, sia la conseguenza di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento, legittimo o illegittimo, ma comunque espressione di un potere amministrativo (in concreto) esistente, cui la condotta successiva si ricollega in senso causale; mentre la giurisdizione del giudice ordinario sussiste per quelle domande che trovino causa in condotte connesse per mera occasionalità a quelle indispensabili per la realizzazione dell'opera pubblica, compiute su immobili fin dall'origine esclusi dall'oggetto di questa"). Per le considerazioni che precedono, va dichiarato il difetto di giurisdizione del g.o. in favore del giudice amministrativo, dinnanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto nel termine di legge a norma dell'art. 59 L. n. 69 del 2009. La mancanza di alcuna specifica contestazione nel merito della pretesa attorea, giustifica l'integrale compensazione delle spese processuali. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) contro COMUNE DI VILLA CASTELLI, in persona del Sindaco pro tempore, disattesa ogni diversa ulteriore o contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) dichiara il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, per avere giurisdizione il giudice amministrativo; 2) spese della presente fase interamente compensate. Così deciso in Brindisi il 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2022.

  • TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brindisi in composizione monocratica nella persona del dott. Francesco Giliberti, ha emesso la seguente SENTENZA nella controversia in primo grado rubricata al N. 5199/2017 RG; tra (...) attrice contro (...) convenuto Oggetto: azione di risarcimento danni a cose da responsabilità extracontrattuale, precisazione delle conclusioni: come da note scritte autorizzate depositate dalle parti in modalità telematica in vista dell'udienza del 22/4/2021 celebrata nelle forme della trattazione scritta. FATTO E DIRITTO La presente sentenza viene redatta in forma sintetica omettendo di riportare la parte relativa allo svolgimento del processo a norma dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per come novellato dall'art. 45, comma 17, legge 69/2009. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., (...) proprietaria di un appartamento sito in Brindisi alla via facente parte dell'omonimo condominio, ha convenuto in giudizio (...), all'epoca dei fatti amministratore del predetto condominio, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, quantificati in Euro 7.500.00 o nella somma accertata dal giudice, oltre rivalutazione ed interessi dal di dell'evento sino al soddisfo, previa dichiarazione della responsabilità del convenuto nella causazione dei danni subiti a seguito del danneggiamento e dell'asporto di beni di sua proprietà, nonché la condanna al pagamento di una "sanzione amministrativa" ex D.Lgs. 7/2016, con vittoria delle spese del giudizio. Ha dedotto la ricorrente che la mattina di domenica 5.10.2008, in sua assenza, il convenuto aveva divelto dal muro in cui era stata infissa una struttura in legno dotata di teli ombreggiami, delle dimensioni di mt. 6,00x 3,50, danneggiandola, nonché asportato diverse piante invasate ed estirpato dal terreno un ficus benjamin dell'altezza di mt. 3,00 circa, tutti di proprietà della ricorrente e da questa installati nel cortile condominiale nell'area prospiciente l'appartamento in proprietà esclusiva. Sempre a detta dell'attrice, l'odierno convenuto (...) era stato tratto a giudizio dinanzi al Giudice di Pace di Brindisi per il reato p. e p. dall'art. 635 c.p., venendo tuttav la assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 7/2016 che aveva in parte qua depenalizzato l'ipotesi delittuosa contestata. Concludeva l'attrice evidenziando che con sentenza n. (...), ormai passata in giudicato, questo Tribunale aveva annullato le delibere assunte dal Condominio di (...) adottate rispettivamente in data 9.9.2008, con la quale l'assemblea condominiale aveva conferito all'Amministratore (...) mandato di provvedere alla rimozione delle opere installate nel cortile comune da parte della (...) qualora quest'ultima non vi avesse provveduto spontaneamente entro dieci giorni dalla delibera e in data 26.11.2008, con la quale era stata confermata la delibera predetta. Ritualmente costituitosi, il convenuto ha eccepito preliminarmente la carenza della propria legittimazione passiva rilevando di aver agito in qualità di amministratore del Condominio di (...), e di essere stato espressamente autorizzato dall'assemblea con delibera del 9.9.2008 alla rimozione dei manufatti in questione, domandando nel merito il rigetto dell'avversa domanda, in quanto infondata e non provata, contestando l'entità del danno preteso siccome non provato ed eccessivo. Disposto il mutamento del rito e concessi i termini di cui all'art. 183 VI co. c.p.c., la causa è stata istruita sulla base della documentazione prodotta dalle parti ed attraverso l'espletamento di C.T.U.. La domanda attorea va accolta per quanto di ragione. Non merita accoglimento l'eccezione sollevata dal convenuto di carenza della propria legittimazione passiva, atteso che l'assunto secondo cui lo stesso avrebbe agito in veste di amministratore del Condominio ed essere stato autorizzato dalla assemblea dei condomini in data 9.9.2008 non ha alcun pregio giuridico. Va infatti rilevato che difetta nella fattispecie il nesso di occasionalità necessaria tra la condotta che causò il danno lamentato dall'attrice e le mansioni esercitate dal convenuto, posto che in queste non potrebbero certo farsi rientrare i compili di operare con violenza sulle cose presenti nell'edificio condominiale, né la condotta tenuta dal (...) nel preteso assolvimento di un onere impostogli dal Condominio corrisponde, neanche sotto forma di degenerazione ed eccesso, al normale esplicarsi del compito in questione. La condotta materiale tenuta dal (...) per come pacificamente da questo ammessa, esula dall'espletamento delle mansioni e dall'ambito dell'incarico di Amministratore condominiale e/o dallo specifico incarico che gli era stato conferito dal Condominio con la delibera adottala nella predetta assemblea, sicché non sarebbe in alcun modo configurarle la responsabilità del Condominio neanche a norma dcl'art. 2049 c.c.. per il sol fatto di aver autorizzato il (...) nella sua qualità di Amministratore "... ad intervenire per la rimozione e la pulizia di detta parte comune", non avendolo di certo incaricato - ne potendo riconoscersi in capo al Condominio un simile potere neanche sulle parti comuni qualora nella detenzione esclusiva di singoli condomini - di assolvere il compito usando violenza sulle cose, danneggiandole. La condotta tenuta dal (...) infatti - il quale dovendo dare esecuzione alla delibera assembleare ed una volta eventualmente ottenuto il rifiuto della odierna attrice ad eseguire spontaneamente la volontà della maggioranza dei condomini, anziché rivolgersi al Giudice per esercitare i pretesi diritti del Condominio, usava violenza sulle cose di proprietà esclusiva di uno dei condomini danneggiandole (secondo l'ipotesi accusatoria formulata dal PM ed inoltre, verrebbe da rilevare, facendosi arbitrariamente ragione da sé così integrando il reato di cui all'art. 392 c.p.) - non può che ascriversi alla sua esclusiva e personale responsabilità, con conseguente imputazione diretta ed esclusiva a sé medesimo dell'obbligazione di risarcire i danni derivati dal proprio agire. Premesso che appare pacifico fra le parti che il (...) abbia provveduto alla demolizione del manufatto di proprietà esclusiva della attrice e che tale azione, oltre a privare la stessa della possibilità di godimento, abbia reso il bene inservibile, appare irrilevante ai fini del riconoscimento del diritto della danneggiata al ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali, la circostanza secondo la quale medio tempore sia intervenuta l'abolitio criminis della fattispecie penale oggetto di specifica contestazione. Invero la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che "il danno prodotto da un fatto ingiusto è risarcibile sia nel caso in cui il fatto non costituisca reato nel momento in cui é commesso, sia nel caso in cui in quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia infine, nel caso in cui il fatto, pur costituendo reato nel momento della sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di illiceità per effetto di "abolitio criminis". A diversa conclusione non può indurre la considerazione che l'art. 185 cod.pen. prevede l'obbligo del risarcimento del danno non patrimoniale solo come conseguenza del reato, perché la risarcibilità del danno non patrimoniale è prevista anche dalla norma civile (art. 2059 cod. civ.), che. anzi, in ragione della sua generica formulazione, riferisce la risarcibilità del danno non patrimoniale non soltanto all'ipotesi prevista dall'art. 185 cod. pen., ma anche ad ipotesi (arti. 89 co. 11 cod. proc. civ., art. 598 cod. pen.) prive di rilevanza penale, ond'è che lo stesso art. 185 si pone come norma integrativa delle regolamentazione legale dell'illecito civile" (Cassazione civile sez. III, 19/02/1998. n. 1761). Passando al quantum, esaustive e condivisibili si ritengono le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U., in ordine ai danni patrimoniali derivanti dalla perdila del gazebo. in quanto frutto di una disamina esaustiva, metodologicamente corretta e scevra da vizi logici. Si ritiene pertanto di liquidarsi a detto titolo di danno la somma di Euro 4 406.64 (importo già comprensivo di IVA ), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma via via rivalutata. Quanto al danno non patrimoniale - sia pur limitato al solo danno morale c.d. soggettivo, per essere la attrice rimasta vittima di un fatto che al momento della sua realizzazione costituiva reato -, appare equo liquidare l'importo di Euro 500.00 all'attualità, oltre gli interessi legali sulla somma via via devalutata. A norma del combinato disposto di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D.lgs. 7/2016 (applicabile al caso di specie a norma della disposizione transitoria di cui all'art. 12), avendo il (...), agendo con dolo danneggiato i beni di proprietà della odierna attrice al di fuori dei casi di cui agli articoli 635, 635-bis, 635-ter, 635-quater e 635-quinquies del codice penale, allo steso va applicata la sanzione civile che tenuto conto della gravità della violazione, si reputa congruo irrogare nella misura di Euro 200.00. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo, in applicazione dei parametri medi del D M. 55/14 e tenuto conto del valore della domanda nei limiti dell'effettivo riconoscimento. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice dott. Francesco Giliberti, definitivamente pronunziando sulla domanda proposta da (...) nei confronti di (...), disattesa ogni diversa o contraria istanza, eccezione o deduzione, così provvede: 1. condanna (...) al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 4.406.64 a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma via via rivalutata, dal di dell'evento al soddisfo nonché alla somma di Euro 500.00 a titolo di risarcimento del danno morale, oltre gli interessi legali sulla somma via via devalutata: 2. condanna inoltre (...) al pagamento in favore di (...) delle spese processuali che liquida in 6.172.46 per le borsuali ed Euro 2.430.00 per compensi, oltre 15% per R.S.G.. CAP e IVA se dovute, nonché all'integrale e definitivo pagamento delle spese di CTU; 3. applica a (...) la sanzione civile pecuniaria di cui all'art.4 D.lgs. 7/2016 di Euro 200.00. mandando alla Cancellerìa per il recupero secondo le disposizioni stabilite dalla parte VII del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002. n. 115. Così deciso in Brindisi il 12 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2022.

  • TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 1771/2019 R.G., avente ad oggetto "appello avverso sentenza del Giudice di Pace"; tra (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ca.Ta., presso il cui studio ad Ostuni, in Piazza (...) n. 37, è elettivamente domiciliata; appellante e (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Fr.Sa., presso il cui studio ad Ostuni, in via (...), è elettivamente domiciliata; appellata MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di appello depositato il 19 aprile 2019, (...) ha convenuto in giudizio (...) per ottenere la riforma della sentenza n. 1843/2018, emessa dal Giudice di Pace di Brindisi il 9 ottobre 2019 e depositata il successivo 11 ottobre 2019. Nell'instaurare il giudizio di primo grado, la (...) aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 790/2016, emesso dal Giudice di Pace di Brindisi il 20 maggio 2016, con il quale le era stato ingiunto il pagamento della somma di 1.076,75 Euro, oltre interessi e spese del procedimento monitorio. L'odierna appellante, nel giudizio di primo grado, ha preliminarmente eccepito l'inammissibilità del ricorso per decreto ingiuntivo, ritenendo che esso sarebbe stato emesso sulla base di una sola fattura e, dunque, in assenza dei presupposti di cui all'art. 633 c.p.c.; ha poi eccepito la carenza di legittimazione attiva della (...): quest'ultima, infatti, avrebbe dichiarato di essere proprietaria di un immobile ad uso deposito situato all'interno di un condominio in via (...) ad Ostuni, il cui soffitto coinciderebbe con un terrazzo-pozzo luce di proprietà pro quota della (...) (per 1/2 unitamente al figlio (...)) e di (...), ed avrebbe altresì riferito che sul solaio sarebbero stati compiuti lavori di risanamento e riparazione fatturati per 2.800,00 Euro, oltre Iva, di cui la (...) non avrebbe corrisposto la quota di sua spettanza. Quest'ultima ha dunque dedotto che si tratterebbe di lavori condominiali, come si desumerebbe dalle missive ricevute dall'amministratore di condominio e dalla circostanza che la stessa ditta avrebbe effettuato altri lavori di straordinaria ristrutturazione, e che, pertanto, non dovrebbero essere ripartiti ai sensi dell'art. 1125 c.c. e dovrebbero essere preventivamente approvati dall'assemblea condominiale. Nel merito, ha contestato l'esistenza del credito, evidenziando che non sarebbero specificati nella fattura i lavori eseguiti, che il pagamento sarebbe stato effettuato in contanti in violazione delle disposizioni legislative in materia di antiriciclaggio, che gli acconti sarebbero stati corrisposti ancor prima che i lavori avessero inizio ed il saldo ancora prima che fossero conclusi. L'opponente ha chiesto, pertanto, in primo grado, preliminarmente la sospensione della provvisoria esecuzione e, nel merito, la revoca del decreto ingiuntivo opposto con condanna dell'opposta al risarcimento del danno per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c., con vittoria di spese. (...), costituendosi nel giudizio di primo grado, ha riferito che la ditta (...) s.r.l.s. di Ceglie Messapica sarebbe stata incaricata da tutti i comproprietari del solaio oggetto di intervento - e, dunque, anche dalla (...) - per la realizzazione di lavori di riparazione e ristrutturazione di un intradosso coincidente con il tetto del suo immobile ad uso deposito; ha chiarito che l'obbligazione non sarebbe di natura condominiale e che, in virtù di tanto, a lavori già conclusi, sarebbe stata effettuata la ripartizione delle spese ai sensi dell'art. 1125 c.c. da parte dell'avv. (...), che avrebbe effettuato il calcolo non in veste di amministratore di condominio, ma di professionista incaricato dalle parti; ha riferito, inoltre, che non avrebbe alcuna rilevanza il fatto che la stessa ditta avrebbe eseguito dei lavori all'interno del condominio, atteso che per gli interventi per cui è causa sarebbe stato sottoscritto un altro e diverso contratto. Ha dichiarato di aver provveduto al pagamento secondo le modalità indicate dalla ditta esecutrice dei lavori, anche perché ai sensi dell'art. 1125 c.c. sarebbe stata la debitrice maggioritaria; ha chiesto, dunque, in primo grado, di rigettare la sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto e, nel merito, di confermare il decreto ingiuntivo, con condanna di controparte al risarcimento per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. e con vittoria di spese anche del procedimento monitorio. All'udienza del 12 ottobre 2016 il Giudice di Pace ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto; la causa è stata istruita con l'escussione di testi e con l'acquisizione della documentazione depositata dalle parti. Il Giudice di Pace di Brindisi, con la sentenza n. 1843, depositata l'11 ottobre 2018, ha rigettato l'opposizione e confermato il decreto ingiuntivo, condannando l'opponente al pagamento delle spese di lite. La (...), con atto di appello ritualmente notificato, ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado, lamentando che il Giudice di Pace avrebbe confuso la nozione di bene condominiale con quella di bene in comproprietà; ha poi contestato la ripartizione delle somme, nonché l'applicazione dell'iva al 22%. Ha chiesto, dunque, la riforma della sentenza di primo grado, con condanna della (...) ai sensi dell'art. 96 c.p.c. ed alla restituzione di quanto versato in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi sino al soddisfo, con vittoria di spese del doppio grado di giudizio. La (...), costituendosi in giudizio, ha preliminarmente ribadito che l'emissione del decreto ingiuntivo sarebbe avvenuta nel rispetto dell'art. 633 c.p.c. ed ha contestato nel merito le argomentazioni sostenute dalla (...), reiterando le allegazioni difensive formulate in primo grado. Ha chiesto, dunque, la conferma della sentenza, con vittoria di spese. Preliminarmente, appare opportuno ricostruire i fatti di causa. Non è contestato tra le parti che nel condominio di via (...) n. 3 ad Ostuni la (...), odierna appellata, è proprietaria di un locale ad uso deposito il cui soffitto coincide con un terrazzo di proprietà della (...) (unitamente al figlio (...)) e di (...), estranea al presente giudizio. Si deve rilevare, preliminarmente, che la documentazione depositata da parte appellante nel corso del giudizio di primo grado non è rilevante ai fini del presente giudizio, atteso che fa riferimento a diversi lavori di manutenzione straordinaria che hanno riguardato l'edificio condominiale nel suo complesso, come dimostrato documentalmente (delibere assembleari in cui sono stati invitati tutti i condomini, importi di spesa considerevolmente superiori a quelli per cui è causa, nonché descrizione di lavori che non sono oggetto del presente giudizio) ed anche a mezzo prova testi: la teste (...), amministratrice del condominio all'epoca dei fatti, ha infatti riferito che i lavori per i quali la (...) sarebbe creditrice non sono quelli oggetto del capitolato d'appalto per l'esecuzione di lavori di straordinaria manutenzione nell'edificio condominiale (udienza del 24 gennaio 2018). L'odierna appellata, nel corso del giudizio di primo grado, ha fornito prova delle proprie allegazioni difensive: ha riferito, infatti, che tali lavori sono stati concordati tra le parti interessate - in ragione della comproprietà del solaio-terrazza - e che l'avv. (...), interpellata dalle parti, è stata invitata a redigere, dietro compenso, solo la ripartizione delle spese, non essendo intervenuta nelle contrattazioni in qualità di amministratrice di condominio. Parte appellante ha infatti depositato il preventivo di spesa della ditta che ha eseguito i lavori (all. n. 3 all'atto di citazione di primo grado), datato 11 agosto 2015 e recante l'importo di 2.800,00 Euro, nonché la raccomandata a/r del 12 agosto 2015 (all. f) al fascicolo depositato da parte appellante nel giudizio di primo grado all'udienza del 25 gennaio 2017), in cui la (...) ha comunicato che in data 24 agosto 2015 avrebbero avuto inizio i lavori per il risanamento del solaio intermedio posto a copertura del deposito della (...), con avvertimento che la spesa sarebbe stata ripartita tra i comproprietari ai sensi dell'art. 1125 c.c.; ebbene, rispetto a tale documento non si ravvisano elementi che possano scalfire la sentenza di primo grado: si deve ritenere, infatti, che in questa prima fase l'amministratrice di condominio è stata interpellata solo in ragione del suo ruolo di "rappresentante" del condominio nel suo complesso, al fine di metterla a conoscenza della imminente realizzazione dei lavori che avrebbero interessato alcuni appartamenti del condominio. Le medesime circostanze sono state riferite dal teste (...) nel corso dell'udienza del 28 marzo 2018 e si rileva che, sul punto, la (...) non ha provato di avere in quella sede contestato l'ammontare del preventivo (né tantomeno l'importo dell'Iva) o la disposizione legislativa sulla quale è stata calcolata la quantificazione delle spese. La circostanza che, invece, l'attività di ripartizione delle spese sia stata espletata nella differente qualifica di professionista incaricato emerge inequivocabilmente dalla missiva datata 17 settembre 2015, consegnata a mano da (...) Raffaele, figlio della (...), nei confronti della (...), avente ad oggetto "lavori di manutenzione piano di calpestio di un solaio di un pozzo di luce e del relativo intradosso", in cui si dà atto che i lavori sono stati svolti dalla ditta (...) s.r.l.s. per un importo pari a 2.800,00 Euro e che la somma è stata versata per intero dalla madre (la (...)), richiedendo alla professionista - nella consapevolezza che trattasi di questione che esula dal ruolo di amministratrice di condominio e che l'intradosso non è di proprietà condominiale, ma in considerazione della sua terzietà ed imparzialità - la predisposizione del piano di riparto, in base al quale procedere al recupero delle somme (all. n. 3 fascicolo di primo grado dell'appellata); l'appellata ha poi dimostrato di aver corrisposto la somma di 50,00 Euro in favore della (...) per il compimento di tale attività, come si evince dalla fattura emessa dalla professionista n. 1 del 4 gennaio 2016, avente ad oggetto "onorario per riparto di spesa rifacimento solaio intermedio" (all. n. 4 fascicolo di primo grado dell'appellata), rispetto alla quale non ha formulato alcuna domanda risarcitoria nei confronti dell'appellante. Ebbene, dalla documentazione depositata dalla (...), è possibile desumere - anche in applicazione del principio del "più probabile che non" vigente nel processo civile - che effettivamente le parti, dopo accordi tra loro intercorsi, hanno effettuato un'indagine di mercato al fine di individuare la ditta che potesse eseguire i lavori in termini più vantaggiosi: la parte appellata, infatti, ha depositato il preventivo che era stato fornito dall'impresa edile di (...) (all. n. 2 fascicolo di primo grado dell'appellata), poi scartato perché di importo più elevato rispetto a quello della ditta (...) s.r.l.s. ed ha fornito elementi probatori, ovvero prove testimoniali, dalle quali può evincersi che gli accordi fossero stati stipulati in detti termini tra le parti; sul punto la (...) non ha fornito prove di segno contrario. Si deve ritenere, dunque, che la circostanza che le attività siano state compiute dalla stessa ditta che ha eseguito i lavori di straordinaria manutenzione del condominio sia una mera coincidenza, dovuta al fatto che essa ha fornito, anche rispetto a tale attività, il preventivo più conveniente. La stessa (...) ha poi depositato la raccomandata a/r datata 8 ottobre 2015, inviata dalla (...) ai soli (...), (...) e (...), con cui le parti sono state messa a conoscenza del "piano di riparto e criteri di ripartizione per i lavori di risanamento del solaio intermedio in corrispondenza del pozzo luce" (all. n. 4 all'atto di citazione in primo grado della (...)), dal quale si evince che la (...) (unitamente al figlio Parisi) avrebbero dovuto corrispondere la somma di 882,58 Euro ai sensi dell'art. 1125 c.c. con la precisazione che anche in futuro i condomini avrebbero dovuto ripartirsi non solo le spese di straordinaria manutenzione, ma anche quelle di ordinaria manutenzione, quali l'impermeabilizzazione dei giunti e della pavimentazione esistente, trattandosi di spese che devono "essere suddivise tra i tre condomini che ne traggono utilità"; anche una volta ricevuta tale missiva, la (...) non ha dimostrato di aver contestato l'importo richiesto ed i criteri di ripartizione delle somme. E' pacifico e non contestato che la comproprietaria del terrazzo, (...), ha provveduto al pagamento della somma ad essa spettante, pari a 217,62 Euro, come provato documentalmente con la quietanza liberatoria allegata da parte appellata (all. n. 5 fascicolo di primo grado dell'appellata), ed è altresì pacifico che le somme sono state interamente corrisposte dalla (...): è presente in atti la fattura n. 6/2016 emessa dalla (...) s.r.l.s. attestante i pagamenti effettuati dall'appellata - per l'importo complessivo di 3.416,00 Euro (all. n. 4 all'atto di citazione in primo grado della (...)) -, e, ad abundantiam, si rileva che tale elemento può dirsi provato in via indiziaria dal pagamento effettuato dall'altra comproprietaria, (...), in riferimento alla quota di sua spettanza in favore dell'appellata. Ebbene, in ordine alle contestazioni di parte appellante, occorre dunque analizzare se vi fossero i presupposti per l'emanazione del decreto ingiuntivo opposto e se, nel caso in esame, la ripartizione potesse avvenire ai sensi dell'art. 1125 c.c.. Va osservato che l'opposizione a decreto ingiuntivo, anche quando è proposta allo scopo di sostenere, oltre a valutazioni di merito, l'illegittimità del ricorso alla procedura monitoria, instaura comunque un giudizio di cognizione sul credito vantato e fatto valere dal ricorrente con la richiesta del decreto di ingiunzione, ed il relativo giudizio, anche quando il decreto sia revocato sul presupposto che non poteva essere concesso, si conclude con una pronuncia di merito sulla dedotta pretesa (Cass. n. 19560/2009). Il giudice dell'opposizione, pertanto, è investito del potere-dovere di pronunciarsi sulla pretesa fatta valere con la domanda di ingiunzione, anche nel caso in cui il decreto ingiuntivo sia stato emesso in assenza delle condizioni stabilite dalla legge per il procedimento monitorio, non potendosi limitare ad accertare e dichiarare la nullità del decreto emesso (Cass. n. 7188/2003; Cass. n. 12311/1997, e più di recente Tribunale Pistoia, 20/05/2019 n. 305). Deve rilevarsi, inoltre, che nel giudizio di opposizione l'opposto assume la posizione sostanziale di attore e l'opponente quella di convenuto, con l'onere di contestare il diritto azionato con il ricorso facendo valere l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda oppure l'esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (Cass. ord. n. 13240/2019; Cass. n. 2421/2006). La prova del fatto costitutivo del credito, invece, spetta al creditore opposto (Cass. n. 21101/2015; Cass. n. 17371/2003), il quale può avvalersi di tutti gli strumenti previsti dalla legge (Cass. n. 5915/2011; Cass. n. 5071/2009), compresa la mancata contestazione da parte dell'opponente del fatto invocato a sostegno della pretesa azionata. È ormai pacifico che se per l'emanazione del decreto ingiuntivo è sufficiente la dimostrazione, anche con le sole fatture, di un credito certo, liquido ed esigibile, nel giudizio di cognizione tale allegazione non può bastare, dovendo essere riscontrata da altri elementi probatori. È consolidato, infatti, l'orientamento secondo cui nel giudizio di opposizione le fatture non costituiscono prova piena del credito che attestano, ma sono degradate ad "elementi di prova" e possono al più costituire un mero indizio della sussistenza della pretesa la quale, però, deve essere supportata da ulteriori prove e/o indizi, non essendo a tal fine sufficiente la documentazione unilateralmente prodotta in sede monitoria (cfr. Trib. Monza del 13 marzo 2019, Cass. ord. 17659/2019, Trib. Avezzano 22 agosto 2018, Cass. 9542/2018, Cass. 15383/2010). Nel caso che ci occupa, l'opposta ha allegato al ricorso per decreto ingiuntivo la fattura giustificativa del suo credito e, pertanto, si ritiene che correttamente il decreto ingiuntivo sia stato emesso: si rammenta, infatti, che il giudice investito del procedimento monitorio effettua una sommaria valutazione inaudita altera parte sulla base della documentazione depositata dal ricorrente e, pertanto, prescindendo dalle eventuali allegazioni difensive che verranno formulate sul merito dall'ingiunto nel diverso giudizio a cognizione ordinaria. Si deve ritenere, inoltre, che nel caso in esame le spese siano state correttamente ripartite ai sensi dell'art. 1125 c.c. Come noto, infatti, relativamente alla ripartizione delle spese in ambito condominiale, trova applicazione l'art. 1123 c.c. il quale prevede che le spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, "salvo diversa convenzione"; è precisato altresì che, se le cose sono destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne o in relazione ai soggetti che ne traggono utilità. All'art. 1125 c.c. è prevista un'ipotesi di deroga legale a tale principio, che trova applicazione nel caso di manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai, prevedendo che in tali casi i costi devono essere sostenuti in parti uguali dai proprietari dei due piani l'un l'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto. Dal dettato della disposizione legislativa e dalla sua collocazione all'interno del codice, emerge che la circostanza che gli immobili siano ubicati all'interno del condominio non preclude l'applicazione dell'art. 1125 c.c., ma, anzi, ne disciplina le modalità di ripartizione al fine di evitare l'insorgenza di controversie tra condomini e di scongiurare che anche gli altri condomini possano essere condannati a sostenere i costi di lavori riguardanti solai e pavimentazioni che non fanno parte dei loro immobili; non si ravvisa, infatti, alcuna inconciliabilità assoluta tra i concetti di bene condominiale e di bene in comproprietà, come dedotto da parte appellante: nell'ambito di un edificio condominiale, infatti, è ben possibile che vi siano beni in comproprietà, che possono avere come titolari tutti i condomini (si pensi alle parti comuni, quali il cortile di accesso o l'ascensore, ad esempio) o solo alcuni di essi (quando, ad esempio, come nel caso in esame, vi sono unità di proprietà esclusiva sovrastanti, il solaio è comune). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il solaio che separa le due unità abitative, l'una sovrastante all'altra ed appartenenti a diversi proprietari, deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune ai due piani; si tratta, tuttavia, di una presunzione iuris tantum che vale per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e di copertura, in quanto "svolgono una inscindibile funzione divisoria tra i due piani, con utilità ed uso uguale per entrambi e correlativa inutilità per gli altri condomini, sicché le spese per la loro manutenzione e ricostruzione competono in parti eguali ai rispettivi proprietari' (Cass. n. 24266/2018); nel caso in esame, dunque, spettava a parte appellante dimostrare che, invece, esso fosse comune a tutti i condomini e che, pertanto, le spese andassero ripartite ai sensi dell'art. 1123 c.c.. Si deve rilevare che dall'esecuzione dei lavori di risanamento effettuati dalla ditta (...) sia scaturita un'obbligazione solidale tra i proprietari di entrambe le unità immobiliari interessate dagli interventi: in tal caso, si rammenta, il condomino può essere escusso per l'intero debito del condominio da un terzo (in tal caso la ditta appaltatrice) nei cui confronti è un condebitore solidale ed ha diritto di regresso nei confronti degli altri condomini limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi. Nel caso in esame, dunque, è legittimo il pagamento eseguito dalla (...) ed anche, per l'effetto, l'azione in regresso intrapresa dalla stessa nei confronti della (...), che non ha provveduto al pagamento della sua quota. In ordine alle contestazioni formulate dall'appellante sugli importi e sulla impossibilità di richiedere le detrazioni, si ritiene che esse, formulate per la prima volta solo nel giudizio di primo grado, siano irrilevanti e dilatorie, atteso che è emerso dall'istruttoria orale che ella fosse a conoscenza della necessità dei lavori, dei diversi preventivi che erano stati presentati e, nonostante ciò, non ha dimostrato di aver effettuato in altre occasioni alcun tipo di contestazione in ordine alle modalità di calcolo dell'importo e dell'iva, oppure in riferimento alla mancata richiesta di detrazioni fiscali, richiesta che, peraltro, avrebbe potuto avanzare ella stessa in prima persona. Si ritiene, dunque, che tali contestazioni siano state formulate nel corso del giudizio di primo grado a soli fini dilatori, dovendosi precisare che, in ogni caso, eventuali contestazioni in ordine all'Iva applicata dovevano essere effettuate nei confronti della ditta appaltatrice e non degli altri condebitori. Per tali ragioni, dunque, l'appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza emessa dal Giudice di Pace e del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione; sul punto, si precisa che parte appellante ha riferito di aver già provveduto al pagamento della somma ivi indicata. Non può trovare accoglimento la domanda formulata da parte appellata di risarcimento dei danni per lite temeraria ai sensi dell'art. 96 c.p.c.. Si rammenta, infatti, che pur essendo la liquidazione del danno di cui all'art. 96, comma I, c.p.c. effettuabile d'ufficio, trova comunque applicazione il principio ex art. 2697 c.c. secondo cui colui che intende ottenere il risarcimento del danno deve fornire la prova dell'an e del quantum debeatur: è dunque onere della parte richiedente il risarcimento dimostrare la concreta ed effettiva esistenza del danno causato dal comportamento processuale di controparte (Trib. Roma, 10 luglio 2018, n. 14223; Trib. Roma, 2 ottobre 2017, n. 18514; Cass. n. 21393/2005; Cass. n. 13355/2004) nonché la concreta desumibilità di esso dagli atti di causa, onere probatorio che nel caso in esame non è stato assolto dalla (...). Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, come da dispositivo, in applicazione dei parametri previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M. 55/2014 relativamente alle fasi di studio, introduttiva e decisoria. Sussistono inoltre i presupposti per la condanna della (...), soccombente, al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello ai sensi dell'art. 13, comma I quater, del D.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 1, comma XVII, della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il quale prevede che "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis"; tale disposizione è applicabile ai giudizi iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 1771/2019 R.G., ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione reietta o assorbita, così provvede: rigetta l'appello; condanna (...) alla rifusione in favore di (...) delle spese di lite del presente giudizio, che liquida nell'importo di 440,00 Euro, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A., come per legge; condanna (...) al pagamento di una somma pari al contributo unificato già versato per l'instaurazione del presente grado di giudizio. Il presente provvedimento è redatto con la collaborazione della dott.ssa (...) componente l'Ufficio per il Processo del sottoscritto magistrato. Così deciso in Brindisi il 9 giugno 2022. Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Brindisi - Prima Sezione Il Tribunale di Brindisi, nella persona del Giudice, Dott. Stefano Sales, in funzione di giudice unico ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 592/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)) in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura a margine dell'atto introduttivo dall'avv. D'I.GI. presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Lecce OPPONENTE CONTRO (...) S.r.l. PER ESSA JULIET SPA - PER ESSA (...) (C.F. (...)) rappresentato e difeso per procura a margine della comparsa di costituzione dall'avv. CO.FR. presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Lecce VIA (...) 20149 MILANO OPPOSTO CONCLUSIONI delle parti: come da allegati al verbale d'udienza di precisazione delle conclusioni che siglati dal giudice formano parte integrante della presente decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'opposizione deve essere rigettata. Quanto alla titolarità del credito azionato, occorre rilevare che nell'avviso pubblicato in G. U. (specificamente relativo alla cessione di crediti di (...) S.p.A. alla (...) S.r.l. ed intestato alla seconda) è contenuto un link aprendo il quale il rapporto dedotto risulta chiaramente quale ceduto. Seppur sia vero che non è esplicitamente indicata l'identità del cessionario, tale dato è nondimeno agevolmente ricavabile dal fatto che il link medesimo sia contenuto appunto nel predetto avviso di cessione, nel quale sono anche indicate le caratteristiche dei crediti ceduti. Su tali circostanze, nessuna contestazione specifica è stata mossa dall'opponente, che si è limitato, al fine di contestare la effettività della cessione (e anche a fronte delle indicazioni di controparte), a ribadire la necessità di esibizione del contratto di cessione stesso, senza contestare, anche, che il credito azionato rientrasse nelle tipologie di cessione previste. Quanto al motivo relativo alla nullità della fideiussione che risulti prestata in conformità delle prassi sanzionate dalla Banca d'Italia col provvedimento 55/2005, non v'è che da ribadire che la giurisprudenza (Tribunale Forlì, 265/2019) pare allo stato orientata ad escluderla, in considerazione - rigorosa e allo stato ben difficilmente contestabile - del fatto che la normativa antitrust riguarda le intese fra i soggetti predisponenti, e non anche i singoli contratti di fideiussione che riproducano la clausola censurata. Vi è poi da considerare che, nel caso sottoposto, non risulta applicabile la disciplina ex artt. 1341 e 1342 c.c., poiché la clausola di fideiussione contestata è contenuta in un atto pubblico, nel quale la volontà effettiva delle parti è indagata ed accertata dal notaio rogante, con la conseguenza che essa non può in alcun modo ritenersi lesiva della libertà contrattuale; Le stesse considerazioni occorrono a proposito del motivo incentrato sulla pretesa violazione dell'art. 1957 c.c. dato che la rinuncia costituisce atto di volontà negoziale indagato, nella sua effettività, dal notaio rogante. Spese per soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: - rigetta l'opposizione e condanna l'opponente al rimborso, nei confronti di (...), delle spese legali che si liquidano in Euro 10.000 per compensi oltre rimborso forfetario, IVA e CA.. Così deciso in Brindisi il 28 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2022.

  • Tribunale di Brindisi Sezione civile Il Tribunale di Brindisi - sezione civile, in persona del Giudice Unico Dott.ssa Gabriella Del Mastro, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2274/2018 del ruolo generale contenzioso civile avente per oggetto "Azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c.", vertente TRA (...) S.P.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Mesagne (Br) alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. DE.MA., dal quale è rappresentata e difesa in virtù di mandato in atti; ATTRICE E - VINCENZO RENNA (c.f. (...)); - (...) (c.f. (...)). CONVENUTI - CONTUMACI NONCHE' (...) S.R.L., (c.f. (...)), quale cessionaria dei crediti del (...) S.p.A. elettivamente domiciliata in Mesagne (Br) alla Via (...), presso lo studio dell'Avv. DE.MA., dal quale è rappresentata e difesa in virtù di mandato in atti; INTERVENTORE VOLONTARIO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato, il (...) S.p.A. citava, innanzi a questo Tribunale, (...) e (...) per sentire dichiarare la inefficacia ex art. 2901 c.c. dell'atto per Notar Mi.Er. di Brindisi del 03.10.2014, Rep. n. 98306, Racc. n. 41051, con il quale (...) donava alla propria coniuge (...) la piena proprietà dei seguenti beni immobili: 1) abitazione in San Pietro Vernotico, alla via (...), piano terra, vani 3, riportata nel NCEU al foglio (...) sub 3-5, cat. A4; 2) abitazione in San Pietro Vernotico alla via (...) n. 31, piano terra, vani 3,5, riportata nel NCEU al foglio (...) sub 1-2, cat.A4; 3) terreno in Torchiarolo alla c.da (...) esteso Are 3.00, riportato nel Catasto Terreni al foglio (...). Nessuno dei convenuti si costituiva, di talché se ne dichiara la contumacia. Con comparsa di costituzione del 08.11.2018, depositata telematicamente il 15.01.2019, (...) S.r.l., quale cessionaria dei crediti del (...) S.p.A., si costituiva in giudizio riportandosi agli atti e alle produzioni documentali già effettuate dalla cedente, facendo proprie tutte le domande, eccezioni, deduzioni ed istanze già formulate dalla cedente e dal suo procuratore giudiziale; chiedeva, infine, l'estromissione della cedente (...) S.p.A. dal presente giudizio. La causa veniva istruita documentalmente e all'udienza del 03.02.2022, precisate le conclusioni come da verbale a trattazione scritta in atti, la causa veniva introitata per la decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda di revocatoria avanzata dall'attrice è fondata e deve, pertanto, essere accolta. Quanto alla legittimazione, al fine dell'esercizio dell'azione revocatoria, è sufficiente, come ha chiarito la Suprema Corte, "l'esistenza di una semplice ragione di credito e non necessariamente di un credito certo, liquido ed esigibile accertato in sede giudiziale" (v. Cass. 18.02.1998 n. 1712; Cass. 17.10.2001 n. 12678; Cass. 14.11.2001 n. 14166; Cass. 18.03.2003 n. 3981). È documentalmente provato il credito che l'istituto di credito vanta nei confronti di (...) in forza delle fideiussioni dallo stesso prestate a garanzia delle obbligazioni rivenienti dai contratti bancari stipulati dalla Renna s.r.l. con il (...). Sussistono poi gli altri presupposti per l'accoglimento della esperita azione revocatoria. Detti presupposti, nell'ipotesi - ricorrente nel caso di specie - di atto dispositivo a titolo gratuito compiuto successivamente al sorgere del credito, sono oltre all'esistenza del credito, il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (eventus damni) e la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (scientia damni). Tali presupposti sono ravvisabili nel caso di specie. Per quel che concerne Yeventus damni, la giurisprudenza della Suprema Corte, con orientamento pressoché unanime, ritiene che Yeventus damni è ravvisabile non solo quando si determini la perdita, in tutto o in parte, della garanzia patrimoniale offerta dal debitore, ma anche quando si verifichi maggiore difficoltà, incertezza o dispendio nell'esazione coattiva del credito (Cass. n. 2400/2000), potendo il detto eventus damni consistere in una variazione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del patrimonio del debitore. Inoltre, l'accertamento dell'eventus damni non presuppone una valutazione del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede solo la dimostrazione da parte di quest'ultimo della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore (Cass. civ. n. 26310/2021). A tal fine, l'onere probatorio del creditore si restringe alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l'entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione. Orbene, nella fattispecie in esame, l'atto di donazione in questione ha senza dubbio comportato un peggioramento, in termini quantitativi e qualitativi, del patrimonio del debitore (fideiussore), il quale si è spogliato della proprietà di due abitazioni e di un terreno senza ricevere alcun corrispettivo. Sussiste, poi, anche il presupposto della scientia damni. Poiché l'atto di donazione, oggetto della instaurata azione, è successivo al sorgere del credito, ai fini della revocatoria, non è necessaria la dolosa preordinazione in danno del creditore e cioè l'intenzione del debitore di sottrarre il bene alla garanzia del creditore, ma è sufficiente la consapevolezza da parte dello stesso debitore del pregiudizio che, mediante l'atto di disposizione, si arreca in concreto alle ragioni del creditore; consapevolezza la cui prova può essere raggiunta anche mediante presunzioni (Cass. n. 14274/99). Inoltre, poiché la revoca concerne un atto a titolo gratuito non è necessaria la prova della conoscenza anche da parte del terzo che l'atto posto in essere dal debitore possa arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore. Nel caso concreto, il carattere lesivo dell'atto dispositivo impugnato e la consapevolezza del debitore di precludere l'attivazione coattiva del credito si desumono pacificamente dalla indubbia variazione del patrimonio del debitore donante, il quale, pur consapevole della propria obbligazione, ha stipulato l'atto di donazione in favore della moglie. La conoscenza, da parte del convenuto Renna, dell'impegno assunto nei confronti della banca, la conoscenza, in quanto amministratore unico della Renna s.r.l., della situazione debitoria in cui versava la debitrice principale, nonché la consapevolezza che l'atto dispositivo comportava una variazione in negativo del suo patrimonio sono indizi precisi della consapevolezza del condebitore di arrecare pregiudizio all'attrice per effetto della stipula della donazione. Peraltro, nel caso in esame, la circostanza che l'atto di donazione abbia comportato un impoverimento del patrimonio del debitore senza che ciò fosse giustificato da motivi plausibili, nonché la contestuale disposizione di una pluralità di beni e il legame coniugale tra donante e donatario (in separazione dei beni), sono sintomatici della volontà del debitore di sottrarre i propri beni al soddisfacimento delle ragioni creditorie dell'istituto di credito. Alla luce di quanto fin qui osservato, deve essere accolta la domanda revocatoria proposta, inizialmente, dal (...) S.p.A., e successivamente reiterata da (...) S.r.l., in qualità di suo successore a titolo particolare, con conseguente declaratoria di inefficacia nei suoi confronti dell'atto di donazione del 03.10.2014. Giusta espressa richiesta della cessionaria (...) S.r.l. nella comparsa di costituzione depositata il 15.01.2019, sussistono i presupposti per disporre l'estromissione del cedente (...) S.p.A. dal presente giudizio. Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo in base ai valori minimi previsti dal DM 55/2014 per lo scaglione da Euro 26.001 a Euro 52.000. P.Q.M. Il Tribunale di Brindisi - sezione civile - in persona del Giudice Unico, Dott.ssa Gabriella Del Mastro, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) S.p.A., e successivamente reiterata da (...) S.r.l., in qualità di suo successore a titolo particolare, nei confronti di (...) e (...), così provvede: a) dichiara l'estromissione dal giudizio del (...) S.p.A.; b) accoglie la domanda e, per l'effetto, dichiara inefficace nei confronti della (...) S.r.l. l'atto di donazione del 03.10.2014 con il quale (...) donava alla propria coniuge (...) la piena proprietà dei seguenti beni immobili: 1) abitazione in San Pietro Vernotico, alla via (...) n. 56/58, piano terra, vani 3, riportata nel NCEU al foglio (...) sub 3-5, cat.A4; 2) abitazione in San Pietro Vernotico alla via (...) n. 31, piano terra, vani 3,5, riportata nel NCEU al foglio (...) sub 1-2, cat.A4; 3) terreno in Torchiarolo alla c.da (...) esteso Are 3.00, riportato nel Catasto Terreni al foglio (...). c) condanna i convenuti, in solido fra loro, al pagamento delle spese di lite che si liquidano in complessivi Euro 3.340,70 di cui Euro 573,70 per spese, Euro 2.767,00 per compensi, oltre spese generali, I.V.A. e C.A.P. come per legge. Così deciso in Brindisi il 26 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 26 maggio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BRINDISI SEZIONE CIVILE Il Tribunale di Brindisi, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, ha emesso la seguente SENTENZA nella causa iscritta al n. 5862/2016 R.G., avente ad oggetto "azione di risarcimento danni da responsabilità precontrattuale"; tra (...) srl (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante p.t. dott. ing. F.C., rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Vi., elettivamente domiciliata in Francavilla Fontana alla via (...) presso lo studio dell'avv. Fr.Bi.; attrice e (...) (C.F. (...)), in persona del presidente e legale rappresentante p.t. padre (...), residente in N. alla via (...) L. n. 101; convenuto contumace e Consorzio (...) (C.F. (...)), in persona del presidente e legale rappresentante p.t. padre (...), residente in N. alla via (...) L. n. 101; convenuto contumace nonché Comune di Torre Santa Susanna (C.F. (...) ), in persona del Commissario Prefettizio dott. P.M., legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. An.Mi., elettivamente domiciliato in Torre Santa Susanna alla via (...); convenuto e (...) s.r.l. (C.F. (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ma.To., elettivamente domicilia in Lecce alla via (...) presso lo studio dell'avv. St.Mi. interventore MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.r.l. ha convenuto in giudizio il (...), il Consorzio (...) ed il Comune di Torre Santa Susanna, al fine di ottenere, in accoglimento della formulata domanda surrogatoria, la condanna del citato Comune, a titolo di responsabilità precontrattuale, al risarcimento dei danni arrecati agli altri due convenuti, da quantificarsi in una somma corrispondente almeno a quella dovuta alla società attrice dal Consorzio (...), e dunque, la condanna dell'amministrazione comunale al pagamento di tali somme in suo favore, in luogo del Consorzio, fino al soddisfacimento dei crediti dalla stessa attrice vantati nei riguardi di quest'ultimo. In particolare, parte attrice ha rappresentato che, nella prospettiva dell'evento giubilare del 2000, con gli interventi normativi di cui alla L. n. 651 del 1996, avente ad oggetto "Misure urgenti per il grande Giubileo del 2000" e della successiva L. n. 270 del 1997, rubricata "Piano degli interventi di interesse nazionale relativi a percorsi giubilari e pellegrinaggi in località al di fuori del Lazio", sarebbero stati previsti interventi riguardanti sia i settori dell'accoglienza e della ricettività, sia il recupero dei beni culturali e religiosi a fini turistici. In tale contesto, nel dicembre 1996, su iniziativa della Provincia Napoletana dei Padri Scolopi e di altre Istituzioni Religiose, sarebbe stato costituito il "Comitato Itinerario l'(...) - Cammino di Fede e Cultura", finalizzato a curare, in occasione del menzionato Giubileo, l'organizzazione tecnico amministrativa e finanziaria, propedeutica alla realizzazione delle opere necessarie per l'attuazione dell'itinerario, con iniziative e scopi religiosi, culturali e sociali, nelle regioni di Lazio, Campania, Basilicata e Puglia. In particolare, il predetto Comitato avrebbe avuto quale scopo la realizzazione del "Programma (...)", attraverso interventi di diversa natura ed entità, finalizzati al recupero di immobili, sottoutilizzati o in disuso, di proprietà sia di Istituzioni Religiose e sia di Enti Locali, da destinare a servizi socio-culturali. In funzione strumentale, proprio al fine di dare attuazione agli interventi del citato Programma Multiregionale "Appia Antica", elaborato dal Comitato "Itinerario l'(...)", sarebbe stato costituito il Consorzio (...) Quest'ultimo avrebbe operato per delega degli Enti partecipanti al (...), in qualità di mandatario, sviluppando le attività procedurali e progettuali necessarie per pervenire alla redazione del programma, dei progetti preliminari e dei progetti definitivi utili alla programmazione delle fonti finanziarie d'investimento, e si sarebbe avvalso, in mancanza di una propria struttura operativa, dell'ausilio di terzi, tra cui la (...) s.r.l., odierna attrice. A tal proposito, la società attrice ha dedotto di aver fornito talune prestazioni e servizi di supporto organizzativo al Consorzio (...), in virtù delle quali ha ottenuto nei confronti di quest'ultimo il decreto ingiuntivo n. 8347, emesso il 14 luglio 2009 dal Tribunale di Napoli per l'importo di Euro 422.397,15. Decreto ingiuntivo cui è stata apposta la formula esecutiva, stante la mancata opposizione da parte del debitore, e che costituisce il presupposto della spiegata domanda surrogatoria. L'attrice ha rilevato come la Regione Puglia avrebbe aderito alla proposta di concertazione interregionale, sicché si sarebbe pervenuti, nelle sedute del 15 e 20 maggio 1998, alla sottoscrizione di un protocollo d'intesa per la stipula di un accordo di programma quadro, con l'intervento anche di un rappresentante del Comune di Torre Santa Susanna; accordo di programma poi approvato con Delib. G.R. n. 1783 del maggio 1998. Il programma avrebbe previsto il recupero di immobili sottoutilizzati e di aree residuali per la sistemazione di strutture convenzionate polifunzionali di supporto, da adibire alla pubblica fruizione, utili sia in vista dell'evento giubilare, sia per assicurare servizi sociali a titolo definitivo anche dopo tale evento. Per quanto concerne il rapporto tra il Comune di Torre Santa Susanna e il (...) -affiancato dal Consorzio (...), parte attrice ha precisato che l'ente convenuto, dopo aver deliberato la propria adesione al Comitato con Delib. di Giunta n. 208 del 14 maggio 1998, avrebbe partecipato, su invito della regione Puglia, alla stipula dell'Accordo di Programma del 22 ottobre 1998, in occasione del quale sarebbero stati approvati alcuni interventi segnatamente d'interesse del Comune di Torre Santa Susanna, all'uopo prevedendosi che l'Accordo stesso avrebbe avuto valenza di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza degli interventi, che sarebbero stati realizzati dalle Istituzioni proponenti, direttamente e/o tramite il Consorzio (...). Tale Accordo di Programma sarebbe stato, poi, approvato dal Comune convenuto con delibera consiliare n. 73 del 20.11.1998, trasmessa alla Regione per i successivi adempimenti con nota sindacale prot. n. (...) del 26/11/1998 e, per quanto di rispettiva competenza, dall'amministrazione provinciale di Brindisi con Delib. n. 102 del 2018 del 29/12/1998 e dalla G.R. della Puglia con Delib. n. 1646 del 7 settembre 1999. Con nota del 7.01.1999 l'Amministrazione Comunale convenuta, di concerto con il Consorzio, avrebbe inoltrato apposita istanza di richiesta di finanziamento al Ministero del Tesoro e sarebbero poi seguite diverse conferenze di servizi per l'istruttoria tecnico-amministrativa dei progetti, sino a gennaio 2001, quando si sarebbe pervenuti alla definizione di apposito Protocollo di C.I. con l'intervento della Provincia di Brindisi, che ha proceduto alla stipula di un aggiornato Accordo di Programma nel marzo 2001. Dunque, in applicazione dell'art. 27 della L. n. 142 del 1990, il Protocollo di Concertazione del maggio 1998, l'Accordo di Programma dell'ottobre 1998 e l'Accordo di Programma del marzo 2001 -atti tutti approvati anche dalla Giunta regionale e dalla Giunta della Provincia di Brindisi e sottoscritti dal Comune di Torre Santa Susanna - avrebbero avuto efficacia vincolante. Parte attrice ha sostenuto che, sebbene il Comune di Torre Santa Susanna avesse partecipato ai passaggi istituzionali finalizzati alla realizzazione del programma, l'ente si sarebbe, tuttavia, sottratto alla adozione degli atti necessari al versamento delle quote di cofinanziamento, necessarie a dotare il Consorzio ed il Comitato delle provviste economiche occorrenti per l'assolvimento, in particolare da parte del primo, delle obbligazioni contratte. Ha precisato che con note di gennaio, giugno, luglio e settembre 2008 il Consorzio avrebbe inviato solleciti all'Amministrazione Comunale convenuta perché provvedesse alla liquidazione di quanto dovuto e quantificato nell'importo di Euro 60.989,31, come da fattura n. (...). Sarebbe, poi, seguito uno scambio di corrispondenza tra il Comitato, che avrebbe inviato note di sollecito, ed il Comune di Torre Santa Susanna, che avrebbe, invece, contestato le richieste di pagamento del Consorzio, ritenendo che l'adesione al Comitato non fosse mai stata formalizzata, e avrebbe disconosciuto tutti gli obblighi finanziari che gli erano stati addebitati. L'attrice ha, pertanto, lamentato l'illegittimità della condotta tenuta dal Comune, il quale, dopo aver beneficiato delle prestazioni complessivamente rese dal Consorzio, si sarebbe sottratto al perfezionamento dei consequenziali atti utili al proficuo completamento dell'iter avviato in vista del raggiungimento dello scopo di interesse generale sotteso alla attuazione del Programma, per la parte involgente i beni comunali, in guisa da pregiudicare il legittimo affidamento riposto dagli altri soggetti coinvolti, e sarebbe venuta meno agli obblighi di cofinanziamento delle spese di gestione procedurale ed associativa propedeutiche all'attivazione dell'accordo di programma e per i servizi correlati; obblighi finanziari ammontanti, giusta fattura n. (...), nella somma di Euro 41.251,00. In considerazione, del comportamento tenuto dal Comune di Torre Santa Susanna, l'attrice ha ravvisato a carico di quest'ultima la configurabilità di una responsabilità precontrattuale ai sensi dell'art. 1337 c.c. nei confronti del Consorzio. Pertanto, preso atto dell'inadempimento del (...) e del Consorzio (...) nei confronti della (...) srl per effetto del decreto ingiuntivo esecutivo allegato in atti e, previo accertamento dell'inadempimento del Comune di Torre Santa Susanna nei confronti del (...) e del Consorzio (...), l'attrice ha chiesto, in accoglimento della formulata domanda surrogatoria, la condanna del citato Comune, a titolo di responsabilità precontrattuale, al risarcimento dei danni arrecati agli altri due convenuti, da quantificarsi in una somma corrispondente almeno a quella dovuta alla società attrice dal Consorzio (...), e dunque la condanna dell'amministrazione comunale al pagamento di tali somme in suo favore, in luogo del Consorzio, fino al soddisfacimento dei crediti dalla stessa attrice vantati nei riguardi di quest'ultimo. Con comparsa del 27.04.2017 si è costituito in giudizio il Comune di Torre Santa Susanna, il quale, deducendo la pendenza di altra causa avente, a suo avviso, un rapporto di connessione con il presente giudizio, ha chiesto preliminarmente la rimessione della causa innanzi al Presidente del Tribunale di Brindisi; nonché la declaratoria di intervenuta prescrizione del diritto rivendicato ex parte creditoriis sotto il triplice profilo di cui agli artt. 2956 n. 2 c.c. (prescrizione triennale del diritto dei professionisti al compenso per l'opera prestata); dell'art. 2946 c.c. (prescrizione ordinaria decennale) e dell'art. 2949 c.c. (prescrizione quinquennale in materia societaria). Nel merito, ha contestato l'an e il quantum della pretesa risarcitoria dedotta dall'attrice e di cui sarebbe titolare il (...) ed il Consorzio, e di conseguenza il creditore surrogante, rilevando come l'Amministrazione comunale convenuta non avrebbe mai aderito né al (...), né al Consorzio (...) e che le formalità di adesione, dettagliatamente descritte negli atti costitutivi e negli statuti di tali istituzioni, non sarebbero mai state espletate. Ha precisato come lo stesso Accordo di Programma, all'art. 2, avrebbe previsto la partecipazione al Programma Multiregionale ed Intersettoriale (...) "come da atti e statuti'' e la successiva adozione di atti deliberativi di conferma della partecipazione; atti di conferma mai adottati dal Comune di Torre (...) Susanna. Inoltre, ha rilevato come la sola partecipazione agli Accordi di Programma non avrebbe potuto essere ritenuta quale adesione al (...) ed al Consorzio (...), né avrebbe potuto comportare l'assunzione di obblighi finanziari in quanto tali istituti erano finalizzati alla "attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento anche di iniziativa privata che richiedevano, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di Comuni, di Province e Regioni, di Amministrazioni Statali e di altri soggetti pubblici'' (art. 34 del D.Lgs. n. 267 del 2000). L'ente convenuto ha, dunque, escluso di aver mai aderito alle suddette associazioni, escludendo, altresì, che le sottoscrizioni da parte del Comune di Torre Santa Susanna agli Accordi di Programma indetti dagli Enti Regionali e Provinciali avrebbero potuto valere quali procedure di adesione ai suindicati consorzi. Ha sostenuto, inoltre, che il Consorzio G.T. non sarebbe rimasto inerte, come asserito dall'attrice, avendo lo stesso inviato due raccomandate al Comune di Torre Santa Susanna, con le quali avrebbe chiesto il pagamento delle attività svolte a suo dire in favore dell'Ente convenuto; missive poi riscontrate dall'Amministrazione comunale. Ha rilevato come il predetto Consorzio non avrebbe avanzato alcuna azione di inadempimento contrattuale o precontrattuale nei confronti dell'Ente convenuto, poiché sarebbe stato consapevole di non aver alcun diritto giuridicamente tutelato per avanzare tali azioni nei suoi confronti. L'amministrazione comunale convenuta ha chiesto, pertanto, nel merito il rigetto dell'avversa domanda di surrogatoria, con condanna dell'attrice al pagamento delle spese e competenze di lite. La causa è stata istruita con l'acquisizione della documentazione presentata dalle parti, l'interrogatorio formale del legale rappresentante della società attrice e l'escussione di testimoni di parte convenuta. In data 19 ottobre 2020 è, poi, intervenuta volontariamente nel presente giudizio (...) S.r.l., la quale si è annoverata fra i soggetti rimasti creditori del Consorzio (...), rivendicando infatti un credi di complessivi 79.940,00 Euro, oltre interessi, per il tramite del decreto ingiuntivo n. 5986/2013 del Tribunale di Napoli, confermato a seguito di opposizione spiegata dal debitore, con sentenza n. 3650/2018. Ha chiesto la condanna, anche in suo favore, del Comune di Torre Santa Susanna per i medesimi titoli e causali dedotti in giudizio dalla (...) s.r.l., nei limiti ritenuti, di giustizia. Le parti hanno, poi, precisato le loro conclusioni e la causa è stata trattenuta in decisione, previa assegnazione alle stesse dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. SULL'ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE Preliminarmente, si rileva come parte attrice invochi, in via surrogatoria, una responsabilità precontrattuale del Comune nei riguardi del Consorzio (...) e del (...), ai quali intende sostituirsi, fondando siffatta prospettazione sulla lamentata violazione dell'obbligo di collaborazione da parte dell'ente locale. In particolare, secondo l'attrice, la condotta di quest'ultimo sarebbe stata suscettibile di ingenerare nelle altre parti del rapporto e, segnatamente, nel Comitato e nel Consorzio, una legittima aspettativa nell'assolvimento delle attività finalizzate al debito perfezionamento dei provvedimenti destinati a spiegare efficacia vincolante sul piano negoziale ed in previsione del cui intervento le attività per cui è causa sarebbero state rese. In merito alla dedotta responsabilità precontrattuale, la dottrina ha prefigurato una forma di responsabilità che si colloca "ai confini tra contratto e torto", in quanto radicata in un "contatto sociale" tra le parti che dà adito ad un reciproco affidamento dei contraenti ed è quindi qualificato dall'obbligo di buona fede e dai correlati obblighi di informazione e di protezione, del resto positivamente sanciti dagli artt. 1175, 1375, 1337 e 1338 c.c.. E' venuto, dunque, ad esistenza la figura di un rapporto obbligatorio connotato, non da obblighi di prestazione, come accade nelle obbligazioni che trovano la loro causa in un contratto, bensì da obblighi di protezione, egualmente riconducibili, sebbene manchi un atto negoziale, ad una responsabilità diversa da quella aquiliana e prossima a quella contrattuale, poichè ancorabili a quei fatti ed atti idonei a produrli, costituente la terza fonte delle obbligazioni menzionata dall'art. 1173 c.c.. Nella teoria del rapporto obbligatorio - come rielaborata dalla dottrina italiana prevalente - viene messo in luce, dunque, come il proprium della responsabilità contrattuale non sia più costituito dalla violazione di una pretesa di adempimento, bensì dalla lesione arrecata ad una relazione qualificata tra soggetti, in quanto tale sottoposta dall'ordinamento alla più pregnante ed efficace forma di responsabilità, rispetto a quella aquiliana, rappresentata dalla responsabilità di tipo contrattuale (prescrizione decennale, inversione dell'onere della prova a favore del danneggiato, maggiore estensione del danno risarcibile, stante l'applicabilità solo a quest'ultima del disposto di cui all'art. 1225 c.c.). Tale impostazione dogmatica è stata seguita anche dalla giurisprudenza di legittimità, dandosi in tal modo luogo ad una vera e propria evoluzione giurisprudenziale, connotata dalla piena condivisione delle elaborazioni dottrinali in tema di responsabilità contrattuale da "contatto sociale qualificato", ormai pressochè assestata e stabile nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Orbene, le affermazioni giurisprudenziali in ordine ad una responsabilità contrattuale da "contatto sociale qualificato" muovono dalla considerazione di situazioni nelle quali, per effetto del rapporto che si è venuto a creare tra le parti e del conseguente affidamento che ciascuna di esse ripone nella buona fede, nella correttezza e nella professionalità dell'altra, si generano tra le stesse obblighi di protezione che precedono e si aggiungono agli obblighi di prestazione scaturenti dal contratto. La Cassazione ha disegnato, dunque, i tratti essenziali di una responsabilità contrattuale non fondata su di un atto negoziale, bensì su una relazione di vita produttiva di obblighi la cui violazione è assimilabile a quella arrecata agli obblighi scaturenti dal contratto. Si è, invero, affermato - al riguardo - che rientrano nelle controversie di natura contrattuale, non solo quelle riguardanti il mancato adempimento di un obbligo di prestazione di fonte negoziale, della cui natura contrattuale non è possibile dubitare, ma anche le controversie nelle quali l'attore alleghi l'esistenza di una regola di condotta legata ad una "relazione liberamente assunta tra lui e l'altra parte" e ne lamenti la violazione da parte di quest'ultima (Cass. S.U. 24906/2011). Sempre con riferimento alla responsabilità precontrattuale, si è poi ancora più puntualmente osservato che la parte che agisca in giudizio per il risarcimento del danno subito nella fase che precede la stipula del contratto, non è tenuta a provare l'elemento soggettivo dell'autore dell'illecito (dolo o colpa), versandosi - come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui la responsabilità precontrattuale costituisce "una figura normativamente qualificata" - in una delle ipotesi previste dall'art. 1173 c.c. (Cass. 12/07/2016, n. 14188; Cass. 27/10/2017, n. 25644). Alla stregua di tali principi, confermati anche dalle Sezioni Unite della Cassazione, deve quindi affermarsi che la responsabilità che grava sulla pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato a causa delle violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa non sorge in assenza di rapporto, come la responsabilità aquiliana, ma sorge da un rapporto tra soggetti - la pubblica amministrazione e il privato che con questa sia entrato in relazione - che nasce prima e a prescindere dal danno e nel cui ambito il privato non può non fare affidamento nella correttezza della pubblica amministrazione. Si tratta, allora, di una responsabilità che prende la forma dalla violazione degli obblighi derivanti da detto rapporto e che, pertanto, va ricondotta allo schema della responsabilità relazionale, o da contatto sociale qualificato, da inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale, con l'avvertenza che tale inquadramento non si riferisce al contratto come atto, ma al rapporto obbligatorio, pur quando esso non abbia fonte in un contratto (Cass., sez. un., ord., 28/04/2020, n. 8236). Orbene, dalla ricostruzione innanzi operata e dalla documentazione prodotta in atti dalle parti si evince come il Comune di Torre Santa Susanna abbia partecipato ai diversi passaggi istituzionali finalizzati alla realizzazione del Programma, deliberando, ad esempio, con Delib. di Giunta n. 208 del 14 maggio 1998, comunicata alla Provincia Napoletana dei PP. Carmelitani con nota prot. n. (...) del 14.05.1998, la propria decisione di "aderire alla iniziativa promossa dai P.C.", intendendo "aderire alla proposta di convenzione con la Provincia Napoletana dei PP. Carmelitani, che aderendo al Comitato promotore del ripetuto Itinerario e, avvalendosi del collegato finalizzato Consorzio (...) cf (...), avvierà, anche in qualità di Concessionario dell'Amministrazione Comunale ai sensi della L. n. 216 del 1995, ogni opportuna procedura e procederà all'attuazione diretta degli interventi utili per realizzare nel complesso immobiliare di Piazza Convento un centro polifunzionale di servizi sociali convenzionati" (cfr. all.ti 3.02 e 3.03 di parte attrice). L'ente comunale convenuto ha poi partecipato alla stipula e sottoscrizione dell'Accordo di Programma del 22 ottobre 1998, concernente anche alcuni interventi d'interesse del Comune di Torre Santa Susanna. Tale Accordo di Programma, con i relativi progetti, è stato, poi, approvato e ratificato dal Comune convenuto con delibera consiliare n. 73 del 20.11.1998, trasmessa alla Regione con nota prot. n. (...) del 26/11/1998. Va, altresì, considerato che con nota del 7 gennaio 1999, avente ad oggetto "Programma Multiregionale "Itinerario (...), Cammino di Fede e cultura". Richiesta di Intesa Istituzionale ex Delib. Cipe 9 luglio 1998", l'Amministrazione Comunale convenuta ha, poi, inoltrato apposita "richiesta di Intesa istituzionale con relativo finanziamento di completamento del Programma di cui all'oggetto, attinente interventi compresi in questo comune.."; nel marzo 2001 si è poi pervenuti alla stipula di un aggiornato "Accordo di Programma per l'attuazione del Programma Multiregionale ed intersettoriale "L'(...), Cammino di Fede e cultura" - Promozione del partenariato tra amministrazioni locali, enti religiosi e comunità", sottoscritto anche dal Comune di Torre Santa Susanna. Alla luce di quanto innanzi, è possibile qualificare la pretesa risarcitoria formulata dall'attrice in accoglimento della spiegata surrogatoria come responsabilità di tipo contrattuale da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni, ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi dell'art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 1175 e 1375 c.c.. Ne discende come debba trovare applicazione nella fattispecie de quo il termine decennale di prescrizione, ai sensi dell'art. 2946 c.c. (Cass. 12/07/2016, n. 14188). Sul punto si precisa che dalla documentazione in atti è emerso come il Comune di Torre Santa Susanna abbia partecipato ai diversi passaggi istituzionali -innanzi menzionati- finalizzati alla realizzazione del Programma e abbia ricevuto la nota del 31 gennaio 2008, con i relativi allegati e la fattura n. (...), afferente una relazione sulle procedure tecnico-amministrative e l'attività svolte, nonché la richiesta di pagamento di parte delle somme oggi oggetto di causa, ammontanti - quest'ultime- ad Euro 41.251,00. Tale richiesta di pagamento inviata dal Consorzio, cui sono seguiti ulteriori solleciti di pagamento, è stata riscontrata dall'Amministrazione comunale con missiva prot. (...) dell'08.10.2008, con cui l'odierna convenuta ha contestato di aver mai aderito al (...) e al Consorzio G.., rilevando come le formalità di adesione, dettagliatamente descritte negli atti costitutivi e negli statuti di tali istituzioni, non sarebbero mai state espletate. Ebbene, alla luce di quanto innanzi esposto, considerata la richiesta risarcitoria per responsabilità precontrattuale del Comune di Torre Santa Susanna nei riguardi del Consorzio (...) e del (...), formulata dall'attrice in accoglimento della spiegata surrogatoria, per una lamentata violazione dell'obbligo di collaborazione da parte dell'ente locale e per una dedotta condotta idonea a ingenerare nel Comitato e nel Consorzio una legittima aspettativa nell'assolvimento delle attività e degli obblighi previsti; tenuto conto della documentazione in atti e dello scambio di corrispondenza intercorso tra le parti, rilevante anche ai fini interruttivi della prescrizione, si evince come, in applicazione alla fattispecie concreta dell'ordinario termine decennale di prescrizione ai sensi dell'art. 2946 c.c., il diritto azionato in giudizio non possa considerarsi prescritto. Pertanto, l'eccezione di prescrizione sollevata dall'amministrazione comunale convenuta non è meritevole di accoglimento. SUL MERITO Nel merito, si osserva come l'attrice, in ragione del proprio credito vantato nei confronti del (...) e del Consorzio (...), abbia formulato una domanda surrogatoria, chiedendo che venga accertato il suo diritto a surrogarsi nelle ragioni creditorie che il Comitato ed il Consorzio innanzi citati vanterebbero nei riguardi del Comune di Torre Santa Susanna in considerazione della dedotta responsabilità precontrattuale dell'ente comunale nei confronti degli altri due convenuti. Ebbene, si rende preliminarmente necessario osservare come l'azione surrogatoria, consentendo al creditore di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possano derivare alle sue ragioni dall'inerzia del debitore, il quale ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad incrementare il suo patrimonio, conferisce al creditore stesso la legittimazione all'esercizio di un diritto altrui e ha perciò carattere necessariamente eccezionale, potendo essere proposta solo nei casi ed alle condizioni previste dalla legge (Cass. n. 5805/2012). Proprio per quanto concerne l'asserita legittimazione ad agire in qualità di creditore in surrogazione a norma dell'art. 2900 c.c., giova rammentare che la peculiarità dell'azione, il cui scopo è quello di soddisfare o conservare le ragioni creditorie dell'attore, richiede l'allegazione e la prova di alcuni elementi costitutivi imprescindibili, ossia: che l'attore abbia la qualità di creditore; la prova dell'esistenza del credito; il cd. eventus damni, che specifica l'interesse del creditore ad agire; l'esistenza di un diritto, patrimoniale e disponibile, che il debitore vanta verso un terzo determinato; l'inerzia del titolare del diritto. Ebbene, per quanto concerne i primi due requisiti innanzi menzionati, la società attrice ha rilevato di aver fornito talune prestazioni e servizi di supporto organizzativo al Consorzio (...), in virtù delle quali ha ottenuto nei confronti di quest'ultimo il decreto ingiuntivo n. 8347, emesso il 14 luglio 2009 dal Tribunale di Napoli per l'importo di 422.397,15 Euro. Decreto ingiuntivo cui è stata apposta la formula esecutiva, stante la mancata opposizione da parte del debitore. Dunque, l'odierna attrice ha dimostrato sia di essere creditrice nei confronti del Consorzio convenuto, sia di essere titolare, nei suoi confronti, di un credito certo, liquido ed esigibile. Tuttavia, dalla documentazione prodotta in atti ed, in particolare, dal ricorso per decreto ingiuntivo e pedissequo decreto n. 8347/09 munito di formula esecutiva, si evince come la (...) s.r.l. sia creditrice solo nei confronti del Consorzio (...); mentre non risulta documentata l'esistenza di alcun suo dedotto credito nei confronti del (...), altro convenuto in giudizio; e ciò sebbene l'odierna attrice chieda di surrogarsi anche nelle ragioni creditorie vantate dal predetto Comitato nei riguardi del Comune di Torre Santa Susanna. Pertanto, nel presente giudizio, ai fini della spiegata azione surrogatoria potranno essere prese in considerazione solo le pretese creditorie vantate dall'attrice nei confronti del Consorzio (...). Per quanto concerne gli ulteriori requisiti prescritti per l'azione surrogatoria prevista dall'art. 2900 c.c., si rileva come per giustificare, mediante l'esercizio di tale azione, la sostituzione del creditore nell'esercizio delle azioni di cui è titolare il debitore, non sia sufficiente che questi trascuri la realizzazione dei suoi diritti, ma occorre altresì che la sua inerzia possa avere riflessi negativi sulla garanzia che, a norma dell'art. 2740 c.c., il patrimonio del debitore costituisce per i creditori. Trattandosi di una forma eccezionale di tutela, a legittimare l'esercizio di detta azione non basta l'interesse generico che al creditore deriva dall'art. 2740 c.c. (secondo cui il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri), ma occorre un interesse specifico, determinato dal pregiudizio che può derivare alle ragioni del creditore medesimo dal comportamento inerte o negligente del debitore, essendo in definitiva l'azione surrogatoria diretta a tutelare il diritto di quest'ultimo contro il pericolo dell'insolvenza del suo debitore (Cass. 31/01/1984, n. 741). Nel caso di specie, si rileva il difetto di uno dei requisiti imprescindibili dell'art. 2900 c.c., ossia quello rappresentato dall'eventus damni, in quanto non è stata neppure dedotta una situazione di incapienza del patrimonio del debitore. Manca, infatti, un imprescindibile requisito per l'accoglimento della proposta azione surrogatoria, vale a dire la prova adeguata in ordine al pericolo d'insolvenza del debitore surrogato. Al riguardo non può che richiamarsi la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui l'azione surrogatoria ha, secondo il vigente codice civile, una funzione conservativa, in quanto è intesa a tutelare la realizzazione del diritto del creditore contro il pericolo dell'insolvenza del debitore, derivante dall'inerzia o dalla negligenza di questo rispetto all'esercizio di diritti che a lui competono nei confronti di terzi (Cass. n. 741/1984; Cass. n. 1021/1967). Nell'azione surrogatoria, l'interesse ad agire, pertanto, sussiste in concreto ogni qualvolta si delinei la eventualità che il patrimonio del debitore surrogato non offra sufficienti garanzie per la soddisfazione del credito e, dunque, sussista un pericolo di insolvenza, ovvero un nocumento eventuale e possibile. L'indagine sulla possibilità del detto pregiudizio investe, quindi, un presupposto essenziale dell'azione e, quindi, un elemento che il giudice deve accertare d'ufficio, in relazione allo specifico credito posto a base della legittimazione surrogatoria, ma tenendo conto del fatto che tale interesse, per il principio generale dell'onere probatorio, deve essere provato da chi lo allega, non potendo la prova di esso ritenersi implicita nel solo fatto dell'esercizio dell'azione (Tribunale Milano, Sez. II, Sent., 17/04/2013, n. 5414). Ebbene, su questo aspetto l'attrice non ha fornito in concreto alcun elemento di prova, limitandosi solo a provare di essere creditore nei confronti del Consorzio (...) e ad allegare il decreto ingiuntivo esecutivo. Non è stato prodotto, infatti, alcun elemento che dimostri che l'attore non possa soddisfarsi su beni del proprio debitore. Pertanto, non avendo parte attrice adempiuto al rigoroso onere di allegazione e di prova del pericolo di insolvenza in capo al debitore e, dunque, non sussistendo uno dei presupposti per l'esercizio dell'azione surrogatoria, la domanda attorea deve essere rigettata. Ne consegue come le ulteriori domande di inadempimento contrattuale del Comune di Torre Santa Susanna nei confronti del (...) e del Consorzio (...) e di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale dell'Amministrazione Comunale in favore di quest'ultimi, formulate dall'attrice ai fini dell'accoglimento della spiegata surrogatoria e quali presupposti della stessa, debbano ritenersi assorbite dal rigetto della domanda surrogatoria per i motivi innanzi esplicitati. Si rileva, inoltre, l'inammissibilità della domanda formulata dall'attrice al punto 1) delle note di trattazione scritta relative all'udienza del 12 febbraio 2021 ("accertare le prestazioni ed i servizi resi dal Comitato e dal Consorzio nell'ambito del rapporto dedotto in lite e quantificarne il relativo controvalore nelle somme indicate e corrispondenti alla fattura emessa dal Consorzio quale quota associativa e per servizi ovvero in quelle, maggiori o minori, che dovessero essere stimate secondo giustizia, se del caso anche a mezzo CTU"), in quanto formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni. In merito all'intervento volontario depositato da (...) S.r.l. in data 19 ottobre 2020, peraltro in una fase del giudizio in cui risultavano scaduti i termini per la formulazione di istanze istruttorie e per le produzioni documentali, le relative pretese vanno rigettate nel merito per mancanza di prova dei fatti costitutivi. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in applicazione dei parametri previsti per lo scaglione di riferimento dal D.M. n. 55 del 2014, applicabile ratione temporis, alle fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria, ridotti della metà. P.Q.M. Il Tribunale, in composizione monocratica, in persona del Giudice, Roberta Marra, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n. 5862/2016 R.G., ogni contraria domanda, istanza, eccezione e deduzione reietta o assorbita, così provvede: rigetta la domanda surrogatoria formulata dall'attrice per i motivi di cui in motivazione; condanna parte attrice, in persona del suo legale rappresentante p.t., al pagamento in favore del Comune di Torre Santa Susanna, in persona del legale rappresentante p.t., delle spese processuali, che liquida nell'importo complessivo di Euro 3.972,00, oltre spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A., se dovuti, come per legge; compensa integralmente tra l'attrice ed il terzo intervenuto (...) S.r.l. le spese del presente giudizio. Il presente provvedimento è redatto con la collaborazione della dott.ssa (...), componente dell'Ufficio per il Processo del sottoscritto magistrato. Così deciso in Brindisi il 24 maggio 2022. Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2022.

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