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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO Sezione Lavoro Il Tribunale di Busto Arsizio in persona del giudice del lavoro dott.ssa Francesca La Russa ha pronunziato il seguente dispositivo di SENTENZA nella causa n. 564/2022 R.G. lav., promossa da (...) ricorrente contro (...) resistente P.Q.M. - dichiara il carattere discriminatorio delle affermazioni con le quali l'amministratrice della società resistente (...) ha pubblicamente dichiarato, durante l'evento "Donne e moda" del 4 maggio 2022, di "puntare" per ricoprire le posizioni "importanti" della società su uomini o, altrimenti, su donne solo sopra i quaranta anni, nonché delle frasi a giustificazione "se dovevano sposarsi, si sono già sposate, se dovevano far figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello e quindi diciamo che io le prendo che hanno fatto tutti i quattro giri di boa, quindi sono lì belle tranquille con me a mio fianco e lavorano h24, questo è importante" e, per l'effetto, condanna la società resistente a corrispondere all'associazione ricorrente, a titolo di risarcimento, una somma stabilita in via equitativa in 5.000,00 euro, oltre interessi legali, da oggi all'effettivo pagamento; - condanna la società resistente alla pubblicazione, a proprie spese, entro 30 giorni, del dispositivo della sentenza su un quotidiano nazionale a sua scelta tra "Il Fatto Quotidiano", (...)"; - ordina alla società resistente (...) di promuovere, sentita l'associazione ricorrente, un consapevole abbandono dei pregiudizi di età, genere, carichi e impegni familiari nelle fasi di selezione del personale per le posizioni di vertice con adozione, entro 6 mesi, di un piano di formazione aziendale sulle politiche discriminatorie che preveda la realizzazione di corsi annuali, con l'intervento di esperti, ai quali siano chiamati a partecipare, obbligatoriamente, tutti i dipendenti e condanna la società resistente al pagamento di una somma di euro 100,00, in favore dell'associazione ricorrente, per ogni giorno di ritardo nell'attuazione di tali provvedimenti; - condanna la società resistente al rimborso delle spese di lite sostenute dall'associazione ricorrente che si liquidano in 3.500,00 euro per compensi, oltre spese generali, iva e cpa; - fissa in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione. Busto Arsizio, 4 giugno 2024.
Tribunale di Busto Arsizio, Sentenza n. 198/2024 del 06-02-2024 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO SEZIONE Prima Il Tribunale di Busto Arsizio in composizione collegiale nelle persone dei signori (...) Dott. (...) - Presidente Dott.ssa (...) - Giudice Dott.ssa (...) - Giudice relatore ha pronunziato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2230/2023 R.G. posta in decisione all'esito dell'udienza dell'1 febbraio 2024 e promossa da (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) RICORRENTE contro (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) RESISTENTE CON (...) OBBLIGATORIO DEL PUBBLICO MINISTERO OGGETTO: scioglimento, nullità, annullamento di matrimonio (...) Le parti all'udienza dell'1.2.204 precisavano le seguenti conclusioni: Parte ricorrente: "1. dichiarare lo scioglimento del matrimonio civile in regime di separazione legale dei beni celebrato in (...) (...) il 7 marzo 2020 tra i (...)ri (...) di (...) e (...) trascritto presso (...) dell'(...) di Stato Civile del Comune di (...) n. 12 parte 1 - anno 2020 e, per l'effetto, ordinare all'(...) dello Stato Civile del Comune di (...) di procedere alla trascrizione dell'emananda sentenza nei registri degli atti di matrimonio del Comune di (...) 2. Accertato che non è mai sorta la comunione spirituale e materiale della coppia, stante la mancata convivenza per scelta unilaterale della moglie sin dalla celebrazione del matrimonio e accertata la sussistenza di mezzi economici adeguati da parte della (...)ra (...) dichiarare che nessun assegno divorzile è da corrispondersi in suo favore". Parte resistente: "In via preliminare (...) e dichiarare che le parti hanno inteso ab origine assoggettare l'unione matrimoniale al diritto islamico (diritto (...) nazionale della resistente) e per l'effetto regolare la fattispecie applicando il diritto islamico ed in particolare al diritto di famiglia marocchino ((...) marocchina 2004) Nel merito In via principale (...) che mai è sorta la comunione spirituale e materiale della coppia, stante la mancata coabitazione e la mancata consumazione del matrimonio, per esclusivo fatto e colpa del ricorrente (nonché per quanto occorrer possa accertato il mancato vincolo secondo il diritto islamico, nonché il mancato donativo nuziale, entrambi bastevoli per la declaratoria di nullità del vincolo secondo la (...) marocchina), dichiarare la nullità/annullamento del matrimonio celebrato in (...) (...) il (...) tra i sig.ri (...) di (...) e (...) trascritto presso (...) dell'(...) di Stato Civile del Comune di (...) n. 12 parte 1- anno 2020 In via subordinata pregiudiziale (...) denegata ipotesi che non si ritenga applicabile il diritto islamico marocchino di famiglia in merito alla nullità/annullamento del matrimonio, dichiarare l'inammissibilità del ricorso introduttivo ex art. 473 bis n. 12 secondo comma c.p.c., mancando l'allegazione del provvedimento di archiviazione del Giudice Penale; In via subordinata nel merito (...) denegata ipotesi che non si ritenga applicabile il diritto islamico marocchino di famiglia in merito alla nullità/annullamento del matrimonio, accertare che la signora (...) ha perfezionato il consenso matrimoniale sulla base di un errore essenziale e determinante su una qualità personale dello sposo ai sensi dell'art. 122, secondo comma C.C. , ovvero la fervida fede di musulmano praticante e, per l'effetto, dichiarare la nullità/annullamento del matrimonio celebrato in (...) (...) il (...) tra i sig.ri (...) di (...) e (...) trascritto presso (...) dell'(...) di Stato Civile del Comune di (...) n. 12 parte 1- anno 2020; In via di ulteriore subordine (...) denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda di declaratoria di nullità/annullamento del matrimonio, dichiarare lo scioglimento del matrimonio secondo applicazione del diritto marocchino, condannando il ricorrente a versare alla signora (...) una somma equitativamente determinata a titolo di consolazione (mout'a) e di una indennità per il periodo della "vedovanza" o, in difetto, dichiarare, giusta applicazione del diritto italiano, lo scioglimento del matrimonio civile in regime di separazione legale dei beni, celebrato in (...) (...) il (...) tra i sig.ri (...) di (...) e (...) trascritto presso (...) dell'(...) di Stato Civile del Comune di (...) n. 12 parte 1-nno 2020 e, per l'effetto, ordinare all'(...) dello Stato Civile del Comune di (...) di procedere alla trascrizione dell'emananda sentenza nei registri degli atti di matrimonio del Comune di (...) . Con riserva di domandare anche in separato giudizio risarcimento delle voci di danno patrimoniale e non patrimoniale subite dalla signora (...) in conseguenza dei comportamenti del ricorrente sopra descritti. In ogni caso, con vittoria di spese, diritti ed onorari del giudizio, oltre iva e cpa come per legge". RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Parte ricorrente, cittadino italiano, proponeva domanda di scioglimento del matrimonio contratto con la resistente, cittadina marocchina, in data (...), deducendo che, instaurato il giudizio di separazione personale, il (...) i coniugi erano stati autorizzati a vivere separati e che con sentenza n. (...)/2022 era stata pronunciata sentenza di separazione dal Tribunale di Busto Arsizio. Il ricorrente chiedeva che venisse accertata la non debenza dell'assegno divorzile e non formulava ulteriori domande, in quanto dall'unione coniugale non erano nati figli ed i coniugi non avevano mai convissuto. La resistente si costituiva ed eccepiva, in via pregiudiziale, l'inammissibilità del ricorso difettando l'indicazione della pendenza di altri procedimenti fra le parti. In particolare, si lamentava del fatto che il ricorrente non avesse precisato di aver sporto denuncia querela per il reato di cui all'art. 570 c.p. e che il procedimento si era concluso con l'archiviazione. Nel merito, la resistente chiedeva che venisse accertata la volontà delle parti di assoggettare il matrimonio alla disciplina del diritto islamico e che, pertanto, venisse dichiarata la nullità o l'annullamento del matrimonio in applicazione del diritto islamico marocchino, secondo il quale il matrimonio è "unico" con effetti civili ed islamici religiosi. Nel caso di specie, non si sarebbe perfezionato il vincolo secondo il rito islamico ed il matrimonio sarebbe nullo per una pluralità di ragioni: versamento solo parziale del donativo nuziale, mancata consumazione del matrimonio, mancata trascrizione del matrimonio in (...) Il matrimonio, in ogni caso, doveva essere annullato anche ai sensi dell'art. 122, comma 2, c.c., in quanto la resistente aveva prestato il consenso sull'erroneo presupposto che il marito fosse un fervente musulmano. La resistente, pertanto, chiedeva: la nullità/annullamento del matrimonio secondo il diritto islamico; in subordine, l'inammissibilità del ricorso ex art. 473bis.12 c.p.c.; in ulteriore subordine, l'annullamento del matrimonio ex art. 122 c.c.; in via ulteriormente subordinata la pronuncia di scioglimento del matrimonio secondo applicazione del diritto marocchino, condannando il ricorrente a versare alla signora (...) una somma equitativamente determinata a titolo di consolazione (mout'a) e di una indennità per il periodo della "vedovanza" o, in difetto, pronuncia di scioglimento del matrimonio secondo il diritto italiano. Si riservava di agire separatamente per il risarcimento dei danni causati dalla vicenda. Il ricorrente nella prima memoria sosteneva di aver solo accettato che il matrimonio avesse validità anche in (...) e di non aver assoggettato il matrimonio al diritto islamico. All'esito della prima udienza dell'1.2.2024 la causa veniva rimessa in decisione al Collegio ex art. 473bis.22, u.c., c.p.c. Ritiene il Collegio che la domanda di pronuncia dello scioglimento del matrimonio proposta dalla parte ricorrente sia fondata e meritevole di accoglimento. In via pregiudiziale deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità. Effettivamente il ricorrente avrebbe dovuto indicare l'esistenza del procedimento penale ex art. 473bis.12, comma 2, c.p.c. Tale omissione, però, non comporta l'inammissibilità del ricorso trattandosi di conseguenza non prevista dal legislatore. Inoltre, considerato che le nuove disposizione si inseriscono nel c.p.c., la mancata indicazione degli elementi richiesti, se rilevante ai fini dell'edictio actionis, legittimerebbe il Giudice ad attivare il potere di ordinare l'integrazione del ricorso previsto dall'art. 164 c.p.c. e, solo in caso di inottemperanza, dichiarare estinto il giudizio. Nel merito, è necessario premettere che il vincolo sorto dalle parti è disciplinato dal diritto italiano. (...). 28 L. 218/1995, infatti, dispone: "Il matrimonio è valido, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione o dalla legge nazionale di almeno uno dei coniugi al momento della celebrazione o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento". Ai sensi dell'art. 29, "1. I rapporti personali tra coniugi sono regolati dalla legge nazionale comune. 2. I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze o più cittadinanze comuni sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata". Infine, l'art. 31 della medesima legge prevede: "1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni. 2. Le parti possono designare di comune accordo la legge applicabile, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento, mediante scrittura privata. La designazione può avvenire anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell'udienza di prima comparizione delle parti, anche con dichiarazione resa a verbale dai coniugi, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale". (...). 8 del regolamento UE prevede che, in mancanza di una scelta, il divorzio e la separazione personale sono disciplinati dalla legge dello Stato: a) della residenza abituale dei coniugi nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale, o, in mancanza; b) dell'ultima residenza abituale dei coniugi sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l'autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; o, in mancanza; c) di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l'autorità giurisdizionale; o, in mancanza; d) in cui è adita l'autorità giurisdizionale. Pertanto, nel caso di specie la validità del matrimonio sotto il profilo formale deve essere verificata ex art. 28 cit. in base all'ordinamento italiano, essendo stato celebrato in (...) Ne consegue che il mancato versamento del donativo, la mancata trascrizione in (...) la mancata consumazione non ne comportano la nullità. Peraltro, nel caso di specie, non vi è una scrittura privata con la quale veniva concordata l'applicazione del diritto islamico marocchino e non veniva dimostrato che le parti avessero deciso di regolare il matrimonio solo secondo il diritto islamico, ma risulta solo che vi fosse l'intenzione di far sorgere anche il vincolo religioso (in altre parole, la fattispecie è assimilabile all'ipotesi in cui i coniugi contraggano matrimonio civile con la comune intenzione di sposarsi in un secondo momento anche in (...) e di rimandare la convivenza dopo tale celebrazione religiosa). Ne consegue che sia la domanda di invalidità che quella di scioglimento del matrimonio devono essere esaminate applicando il diritto italiano. Il matrimonio, contratto a (...) in (...) come già anticipato risulta civilmente valido sotto il profilo formale. Non sussistono, poi, i presupposti per la sua impugnazione. Le cause di invalidità previste dall'art. 122 c.c. sono tassative. In particolare detta norma prevede la facoltà di impugnare il matrimonio nel caso in cui il consenso sia stato prestato per effetto di errore essenziale sull'identità o su una qualità personale dell'altro coniuge. Il comma 3 precisa che l'errore sulle qualità dell'altro coniuge è essenziale purchè riguardi "1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; 2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. (...) di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; 4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. (...) di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile; 5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine". Pertanto, considerato che l'elenco di cui all'art. 122 c.c. ha carattere tassativo e che nel caso di specie la circostanza che il ricorrente non fosse un fervido praticamente musulmano, anche ove provata, non rientrerebbe in detto elenco, il matrimonio deve essere ritenuto valido. Sussistono, invece, i presupposti per lo scioglimento del matrimonio secondo il diritto italiano, applicabile ai sensi dell'art. 31 L. 218/1995 e dell'art. 8, lett. a, d, reg. UE. In applicazione della L.898/1970 la domanda di scioglimento del matrimonio deve essere accolta, posto che è pacifico che i due coniugi non abbiano mai iniziato la convivenza e che ogni contatto fra gli stessi cessava nel 2020. Va, quindi, ritenuto accertato che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere ricostituita. Pertanto, essendo provato che lo stato di separazione legale tra i coniugi si è protratto per il termine di legge, ricorrono gli estremi previsti dall'art. 3 n. 2 lettera b) della legge 01/12/1970 n. 898. Infine, deve essere accolta la domanda di accertamento dell'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di un assegno divorzile in favore della resistente, peraltro nemmeno chiesto da quest'ultima. La convivenza fra i coniugi, infatti, non è mai iniziata e nessuno dei due apportava alcun tipo di contributo personale ed economico alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio. Inoltre già nel 2021 veniva proposto il giudizio per la separazione personale. Ed ancora, parte resistente ha gli strumenti per mantenere il reddito che ha sempre avuto, avendo sempre svolto, per quanto dedotto nel presente giudizio, l'attività di badante ed avendo solo 29 anni. Pertanto, l'assegno divorzile non può essere riconosciuto né tenendo conto della sua funzione assistenziale né di quella perequativo-compensativa. Le spese di lite devono essere poste a carico di parte convenuta, essendosi questi opposta alla pronuncia di scioglimento del matrimonio. P.Q.M. Il Tribunale di Busto Arsizio, così deliberando fra le parti di cui in epigrafe: 1) dichiara lo scioglimento del matrimonio contratto tra (...) di (...) e (...) il (...) e trascritto nei (...) del Comune di (...) anno 2020- parte I - n. 12; 2) manda la (...) di trasmettere copia autentica della presente sentenza all'(...) dello Stato Civile del Comune di (...) per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al R.D. 09/07/1939 N. 1238 e successive modifiche; 3) dichiara che l'assegno divorzile non è dovuto in favore della resistente; 4) rigetta tutte le ulteriori domande; 5) condanna parte resistente al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite che liquida in Euro 98,00 per spese ed in Euro 3.810 per compensi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario. Così deciso in (...) nella camera di consiglio del 2 febbraio 2024.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO PRIMA SEZIONE CIVILE Riunito in Camera di Consiglio in persona dei magistrati: Francesco Paganini - Presidente Maria Eugenia Pupa - Giudice Manuela Palvarini - Giudice relatore ha pronunziato la seguente SENTENZA nel procedimento per divorzio promosso in data 26/03/2021 da Sp.Le. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'Avv. SA.CO., RICORRENTE contro Au.Gr. (C.F. (...)), ammessa in via anticipata e provvisoria al patrocinio a spese dello Stato in data 26/04/2021, con il patrocinio dell'avv. VA.DI., RESISTENTE con l'intervento necessario del Pubblico Ministero. RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE A mezzo della sentenza parziale n. 1128/2021 pubblicata in data 16/07/2021 è già stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato dalle parti in data 22/04/1967 a Samarate (VA). È doveroso/dovuto ricordare che le parti, genitori di due figli maggiorenni economicamente indipendenti, si sono separate alle seguenti condizioni concordate all'udienza presidenziale celebrata in data 03.03.2017 (omologate da questo Tribunale in data 04.03.2017): "2. Fino alla vendita, la casa coniugale, sita in G. alla Via P. n. 8,rimane assegnata a entrambi i coniugi. 3. I coniugi reciprocamente si obbligano a non far frequentare l'abitazione di cui sopra ad eventuali nuovi compagni. Al fine di dividere l'immobile in due porzioni abitabili verrà posizionato all'interno dello stesso un muro e/o porta divisoria. 4. Il piano seminterrato, il giardino e la terrazza retrostanti verranno occupati dal Sig. Le.Sp. mentre la signora Gr.Au. occuperà il piano primo e la parte di giardino antistante. Il garage verrà utilizzato da entrambi i coniugi. La signora Gr.Au. avrà libero accesso al locale laboratorio adibito a sartoria. 5. Il signor Le.Sp., in caso di necessità, dovrà garantire l'accesso al piano sottostante ove sono collocati i contatori e si impegna a mantenere costantemente accesi i caloriferi durante il periodo invernale. 6. La casa sita in Sp. T. di R. (M.) alla Via Sp. sarà utilizzata da entrambi i coniugi che, entro il mese di maggio di ogni anno, si comunicheranno reciprocamente il periodo in cui intendono trascorrervi le vacanze. I coniugi si obbligano reciprocamente a non consentire l'accesso all'abitazione ai rispettivi parenti e ad eventuali compagni/e. eccettuati i figli. 7. Il Signor Sp. fino alla vendita di entrambe le abitazioni si farà carico di sostenere le spese relative agli immobili (utenze relative ai consumi, imposte). Alla vendita si potranno rivedere le statuizioni di carattere economico tra le parti. 8. I beni comuni che costituiscono l'arredo della casa coniugale rimarranno nella disponibilità di entrambi i coniugi fino al termine della coabitazione. Successivamente, verranno divisi di comune accordo tra i coniugi in ragione del 50% del valore. 9. L'autovettura attualmente intestata al Sig. Le.Sp. rimarrà nella disponibilità di quest'ultimo. 10. Entro un anno dalla separazione il signor Le.Sp. porrà in essere ogni iniziativa necessaria a porre rimedio ad eventuali difformità urbanistiche che interessano l'abitazione sita in G. alla Via P. n. 8". A mezzo del ricorso depositato in data 26/03/2021 il ricorrente ha chiesto, oltre alla pronuncia sullo status come innanzi già resa, "1) assegnazione della casa coniugale ai coniugi fino alla vendita della stessa, come previsto nel verbale di separazione del 03/03/17; il ricavato, detratte le spese, anche quelle eventualmente necessarie a sanare eventuali difformità urbanistiche, sarà diviso equamente tra le parti, così come il ricavato della vendita dei beni comuni che costituiscono l'arredo; 2) sino alla vendita ciascun coniuge occuperà la porzione di immobile già concordato in sede di separazione e contribuirà, nella misura del 50%, al pagamento delle spese relative alla casa coniugale (con ciò intendendosi le utenze, le imposte, ma anche le spese per la sistemazione, ai fini della vendita dell'immobile, delle eventuali difformità urbanistiche)", limitandosi ad allegare che "dal giorno dell'udienza Presidenziale la separazione si è protratta ininterrottamente e la comunione spirituale e materiale non può più essere ricostituita tra i coniugi". A contrario, costituendosi in giudizio in data 10/05/2021, la resistente ha rappresentato "una situazione matrimoniale, protrattasi per oltre cinquant'anni, caratterizzata da un rapporto molto difficile con il marito ma che ella, per amore della famiglia e per consentire ai figli di crescere in un contesto "sereno", ha sempre cercato di portare avanti nel migliore dei modi. Il Sig. Sp. è stato un marito assente ed un padre che allo stato attuale non è riuscito a coltivare un buon rapporto con i propri figli. Purtroppo, nel 2017, a seguito di innumerevoli contrasti e di una situazione familiare che non poteva essere ulteriormente protratta a causa della frequentazione da parte del marito di un'altra donna, la Sig.ra Au. decideva con estrema difficoltà e dolore di porre fine al matrimonio e di addivenire a separazione dei coniugi", ha dedotto che la casa familiare è unica, "le utenze non sono divise, vi è un'unica caldaia e un unico contatore. Le due porzioni sono attualmente separate solo da una porta, che divide i due piani e che è stata apposta proprio per consentire ai coniugi di vivere separati. Tuttavia, ben presto sono sorti i primi contrasti, dettati dalla convivenza in un contesto unitario, separato unicamente da una porta. A titolo esemplificativo e non esaustivo, il Sig. Sp. per risparmiare sulle bollette spegne la caldaia posta al piano inferiore nella zona di sua pertinenza, così costringendo la Sig.ra Au. a sopportare il freddo, non potendo ella regolare il termostato posto al piano superiore se la caldaia viene spenta. Ciò, soprattutto in considerazione dell'età della Sig.ra Au., costituisce una grave fonte di sofferenza, che la costringe a vivere spesso a una temperatura molto fredda. Il Sig. Sp., altresì, impedisce alla Sig.ra Au. di invitare a pranzo i propri amici e/o parenti (in particolare i fratelli), in quanto a suo avviso questo comporterebbe un aumento delle spese di gestione dell'immobile (che, si ricorda, in sede di separazione si è stabilito siano a esclusivo carico del Sig. Sp.). Il ricorrente, inoltre, non perde occasione per ingiuriare la Sig.ra Au., sia telefonicamente che verbalmente, rendendo la convivenza davvero insopportabile. L'odierna resistente non si sente libera a casa sua, e ciò perché il Sig. Sp. osta alla sua tranquillità con urla, ingiurie ecc.", ha espresso "la ferma volontà" di porre in vendita la casa coniugale, di proprietà di entrambi i coniugi al 50% (già infruttuosamente posta in vendita nel 2018 conferendo incarico a un'Agenzia immobiliare) e ha chiesto il rigetto della domanda avversaria "in ordine alla suddivisione delle spese di gestione dell'abitazione, e ciò in ragione sia della sproporzione tra i redditi delle parti in causa essendo titolare di una pensione netta mensile dell'importo di Euro 600,00 pari alla metà di quella percepita dallo Sp. dell'importo mensile di Euro 1.200,00 sia delle gravi difficoltà economiche della Sig.ra Au. a sostenere le spese per medicinali e visite specialistiche a causa delle diverse patologie di cui soffre dal 2018 a oggi a causa del contraccolpo psicologico patito a causa della separazione e a gestire le spese di una casa troppo grande per le esigenze di due persone anziane (circa 80mq per piano), sia del pretestuoso rifiuto del Sig. Sp. a vendere la casa sul quale grava l'obbligo di porre rimedio alle eventuali difformità urbanistiche dell'immobile, obbligo al quale egli è tuttora inadempiente. Da ultimo, si segnala che il Sig. Sp. attualmente continua a percepire le detrazioni per i lavori di sostituzione dei serramenti svolti in pendenza di matrimonio e acquistati da entrambi i coniugi. Pertanto, si chiede che il 50% dell'importo delle detrazioni venga corrisposto alla Sig.ra Au. sin dall'inizio del percepimento, e ciò poiché ella ha economicamente contribuito all'acquisto e porre a carico del Sig. Sp. un assegno divorzile mensile pari ad Euro 300,00". A mezzo dell'ordinanza presidenziale assunta in data 13/05/2021 sono state confermate le condizioni di separazione dei coniugi. A mezzo della memoria integrativa depositata in data 02/06/2021, tra l'altro, il ricorrente ha dichiarato: "Unico dato certo è che questa sorta di "convivenza" non sia positiva per nessuno dei due coniugi e che l'unica soluzione sia quella di vendere l'immobile ? a tutt'oggi il sig. Sp. provvede al versamento di tutte le spese e non ha, in effetti, eseguito alcuna opera per sistemare le difformità urbanistiche ? Oggi una pensione di ca. Euro 1.100,00 gli consente solo di arrivare a fine mese, senza accumulare un piccolo risparmio che, forse più presto che tardi, gli servirà certamente, ma dovendo, ad esempio, fermarsi a pranzo dalle sorelle per poter "risparmiare" sulla spesa. Ed è per questo motivo che ora insiste affinché le spese della casa vengano sostenute in pari misura da entrambi i coniugi sino alla vendita dell'immobile ? per quanto abbia nel frattempo individuato il probabile costo della regolarizzazione delle difformità urbanistiche, non ha la capacità economica per sostenere detta spese. Da qui la richiesta di trovare una soluzione alternativa per coprire tale importo o di porlo a carico di ciascun coniuge nella misura del 50% ? la sig.ra Au. potrà godere dell'appoggio dei figli che si sono già dichiarati disponibili a coprire la sola quota della madre; il sig. Sp., dal canto suo, non ha un familiare disponibile ad aiutarlo con detto esborso". Alla prima udienza celebrata in data 14.07.2021 dinanzi al giudice istruttore, tra l'altro, sono state dichiarate inammissibili le domande non connesse e sono stati concessi i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. Disposta la comparizione personale delle parti per il giorno 09.12.2021 il tentativo esperito di addivenire alla regolamentazione consensuale del loro divorzio è fallito. A mezzo dell'ordinanza assunta in data 13.12.2021 le prove orali articolate dalle parti non sono state ammesse in quanto ritenute non rilevanti ai fini del decidere ed è stato disposto il deposito (entro e non oltre il 28.02.2022) della documentazione comprovante le condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi nel triennio 2019/2021. All'udienza celebrata in data 09.03.2022 il ricorrente ha dichiarato di essersi determinato a mettere in vendita l'ex casa coniugale, a ripartire il ricavato al 50% con la controparte e a utilizzare parte della caparra di sua spettanza per sanarne le difformità e ha offerto alla resistente l'assegno divorzile dell'importo mensile di Euro 100,00 (che l'Au. ha chiesto aumentare all'importo mensile di Euro 300,00). A mezzo dell'ordinanza riservata assunta in data 10.03.2022 il giudice relatore ha formulato alle parti la seguente proposta conciliativa: "1) Conferma delle condizioni di separazione di cui ai punti n. 1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 10 fino alla stipula dell'atto di vendita dell'immobile sito in G. (V.), Via P. 8, con la precisazione che le difformità presenti nell'immobile di cui sopra saranno regolarizzate con la quota parte della caparra e/o dell'acconto versato dai promissari acquirenti di competenza dello S.; 2) Ripartizione del ricavato dalla vendita dell'immobile sito in G. (V.), Via P. 8, tra le parti in ragione del 50% ciascuna; 3) A partire dalla stipula dell'atto di vendita dell'immobile sito in G. (V.), Via P. 8, corresponsione da parte dello Sp. all'Au. della somma mensile di Euro 220,00 entro il giorno 5 di ogni mese a titolo di assegno divorzile, oltre rivalutazione come per legge". All'udienza celebrata in data 05.05.2022 il ricorrente ha dichiarato di accettare i punti n. 1 e 2 della proposta conciliativa di cui sopra e di essere disponibile a offrire all'Au. l'assegno divorzile una tantum dell'importo di Euro 7.000,00. Parte resistente ha dichiarato di essere disponibile ad accettare la proposta conciliativa formulata dal giudice relatore in data 10.03.2022. A mezzo dell'ordinanza riservata assunta in data 14.05.2022, "dato atto che il ricorrente non ha offerto spontaneamente la documentazione richiestagli in data 13.12.2021 (essendosi limitato a offrire, in aggiunta ai CUD 2018, 2019 e 2020 e al Modello 730-2021 offerti in data 11.05.2021 e in data 13.10.2021, un "prospetto" dei rapporti in essere con P.I. al 31.12.2015) e che, tra l'altro, soltanto in data 07.05.2022 si è appresa l'esistenza del c/c n. (...) intestato allo Sp. avente saldo di Euro 29.882,95 alla data del 02.05.2022 (al netto del prelievo, in tre tranches, del complessivo importo di Euro 15.000,00 in data 18/21.03.2022 e 04.04.2022)" - rectius al netto del prelievo, in quattro tranches, del complessivo importo di Euro 20.000,00 in data 18/21.03.2022 e 04/08.04.2022, sono state disposte indagini sulle condizioni reddituali e patrimoniali dello Sp. a mezzo della G.d.F. (che in data 12.12.2022 ha dichiarato di depositare estratto conto dall'01.01.2017 al 31.03.2022 depositando, tuttavia, soltanto estratto del succitato c/c n. (...) sino al 19.03.2021: sic!). All'udienza celebrata in data 20.10.2022 i procuratori delle parti hanno dichiarato di avere trovato un acquirente disponibile ad acquistare l'immobile comune al prezzo di Euro 200.000,00, che il ricorrente, all'ultimo, si è rifiutato di sottoscrivere il preliminare di vendita pretendendo la suddivisione dei 4 buoni postali dell'importo di Euro 1.000,00 ciascuno cointestati anche alla figlia, il pagamento di una fattura dell'agente immobiliare che ha venduto la casa in Sicilia dell'importo di circa Euro 1.000,00 e la rinuncia all'assegno divorzile a fronte del versamento una tantum dell'importo di Euro 3.000,00. La resistente ha dichiarato di avere anticipato i soldi per il pagamento della fattura del geometra incaricato della sanatoria della casa coniugale a fronte del rifiuto opposto dal ricorrente e di essere disponibile a pagare la metà della fattura di cui sopra e a dividere in quattro il valore dei buoni postali (comprendendo entrambi i figli). Il giudice relatore ha ricordato allo Sp. "che l'accettazione della proposta d'acquisto formulata dal terzo costituisce adempimento degli obblighi assunti in sede di separazione e che l'inadempimento a dette obbligazioni lo espone al rischio di ulteriori iniziative giudiziarie". All'udienza celebrata in data 12.01.2023 le parti, personalmente presenti, hanno dichiarato di avere accettato una proposta d'acquisto della casa familiare al prezzo di Euro 200.000,00 con termine per la stipula del preliminare al 31.01.2023 e del definitivo entro la fine di luglio 2023 e di avere già incaricato il geometra C. della sanatoria delle irregolarità presenti a spese del ricorrente come da accordi. Il ricorrente ha dichiarato di avere già reperito un immobile con box in G., Via F. 32, da condurre in locazione dall'01.04.2023 al canone mensile di Euro 650,00 oltre spese condominiali e la resistente ha dichiarato di essere intenzionata a reperire un immobile da acquistare. Alla successiva udienza celebrata in data 23.03.2023 le parti hanno dichiarato di avere appreso che il box della casa familiare presenta delle irregolarità urbanistiche non sanabili che ne impongono la demolizione e il rifacimento con un esborso di circa Euro 30.000,00 e che, pertanto, è sfumato il progetto di vendita della stessa non avendo le parti detta disponibilità economica. L'avv. Cosco ha dichiarato che il suo assistito è intenzionato a vendere comunque la casa familiare dando mandato esclusivo all'agenzia Tecnocasa di Gallarate facendosi carico della sanatoria delle parti interne dell'immobile e a trasferirsi nell'immobile che condurrà in locazione a partire dall'01.04.2023 e, tra l'altro, ha offerto l'assegno divorzile dell'importo mensile di Euro 150,00 o l'assegno divorzile una tantum dell'importo di Euro 5.000,00. Tra l'altro, parte resistente ha offerto documentazione fotografica al fine di dimostrare che la controparte andrebbe a vivere nello stesso palazzo dove vive la compagna Ma.Sp.. Entrambe le parti hanno quindi chiesto fissare l'udienza per la precisazione delle conclusioni alla quale la causa è stata trattenuta in decisione (concedendo i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi). Sulle istanze istruttorie reiterate dalle parti in data 09/10.05.2023: Senza tacere che la richiesta fissazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni (congiuntamente formalizzata dalle parti all'udienza celebrata in data 23.03.2023), dimostrando l'intenzione non equivoca di passare alla fase deliberativa/conclusiva del procedimento, è del tutto incompatibile con la volontà di proseguire nella fase istruttoria del procedimento e che detta scelta non è ritrattabile (pena la ragionevole durata del presente procedimento), occorre puntualizzare che, comunque, non vi è spazio per la rimessione della causa sul ruolo al fine dell'assunzione delle prove orali reiterate dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni perché le stesse o sono formulate in termini generici o non sono rilevanti ai fini del decidere o vertono su circostanze pacifiche o documentate o comportano valutazioni non demandabili ai testimoni. Sulla domanda formulata dal ricorrente in data 09.05.2023 sub n. (...): Trattasi di domanda nuova e non connessa per ciò solo inammissibile. Nel merito: In primis si deve evidenziare che ha errato lo Sp. nel sostenere, in data 02/06/2021, che "I motivi che hanno portato la sig.ra Au. a chiedere la separazione, poi consensualizzata avanti alla dott.ssa G., sono oggi irrilevanti e non pare, dunque, opportuno discuterne, ovviamente contestandoli, in questa sede" e che "già in sede di separazione rinunciava alla richiesta di un assegno di mantenimento" (avendo l'assegno divorzile diversa natura/causale e diversa finalità). Da tempo, infatti, la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la libertà di scelta e l'autoresponsabilità, che della libertà è una delle principali manifestazioni, costituiscono il fondamento dell'unione matrimoniale che è una delle formazioni sociali che la Costituzione riconosce come modello relazionale familiare preesistente e tipizzato. Il canone dell'uguaglianza posto alla base dell'articolo 29 Cost. può essere attuato e reso effettivo soltanto all'interno di una relazione governata da scelte che sono frutto di determinazioni liberamente assunte dai coniugi, in particolare, in ordine ai ruoli e ai compiti che ciascuno di essi assume nella vita familiare. L'autodeterminazione, quindi, non si esaurisce con la facoltà, anche unilaterale, di sciogliersi dal vincolo coniugale ma preesiste a tale determinazione e connota tutta la relazione e, in primis, la definizione e condivisione dei ruoli endofamiliari. In altri termini, i principi di autodeterminazione e autoresponsabilità non solo orientano la scelta di unirsi matrimonio ma altresì, per gli effetti conseguenti al suo scioglimento così come definiti all'art. 5, comma 6, L. n. 898 del 1970, determinano il modello della relazione coniugale e il contributo di ciascun coniuge all'attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall'art. 143 cod. civ.: la conduzione della vita familiare è il frutto di decisioni libere e condivise alle quali si collegano doveri e obblighi che imprimono alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso, soprattutto in relazione alla durata del vincolo, anche irreversibile. Com'è facile allora comprendere alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non necessariamente consegue una correlata duttilità e flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico patrimoniale dell'ex coniuge al momento della cessazione dell'unione matrimoniale. Il legislatore è stato largamente consapevole del forte condizionamento che il modello di relazione matrimoniale scelto (o, comunque, adottato) dai coniugi può determinare sulle loro condizioni, non solo economico-patrimoniali, successive allo scioglimento del vincolo coniugale. Per questa ragione, nell'istituire l'assegno divorzile, con una prescrizione di carattere eccezionale e derogatorio, stante il riacquisto dello stato libero per effetto del divorzio, ha imposto al giudice di "tenere conto" di una serie d'indicatori che sottolineano il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità ma anche come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita. Se la relazione coniugale è retta (come deve essere), fin dall'inizio, dai principi di libertà e autoresponsabilità, la funzione conformativa di detti principi deve essere valorizzata nel regime giuridico dell'unione matrimoniale anche in relazione agli effetti che ne conseguono dopo lo scioglimento del vincolo senza incidere sull'efficacia solutoria di tale determinazione ma senza azzerare l'esperienza della relazione coniugale (soprattutto se duratura). Da riflessioni di siffatto tenore le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la nota Sentenza n. 23138/2018, sono giunte ad abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile, nel quadro di un'interpretazione del citato art. 5, comma 6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento (costituito, come evidenziato, dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.). Ne consegue che, allo stato dell'arte, la funzione (indubbiamente) assistenziale dell'assegno divorzile si è arricchita e arricchisce di un contenuto perequativo-compensativo che, discendendo direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà, ha condotto e conduce al riconoscimento all'ex coniuge più debole di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti (obbligate del deposito della necessaria documentazione fiscale), deve tenere conto del raggiungimento non soltanto di un grado di autonomia economica tale da garantire l'autosufficienza secondo un parametro astratto ma di un livello reddituale adeguato al contributo, in concreto, fornito alla realizzazione della vita familiare (non potendosi trascurare che l'impegno profuso all'interno della famiglia può condurre - se non all'esclusione - alla limitazione di quello diretto alla costruzione di un percorso personale e professionale al di fuori di essa), soppesando le eventuali aspettative professionali ed economiche sacrificate, la durata del matrimonio e l'età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge economicamente più debole deve, pertanto, avere anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio professionale ed economico derivante dall'assunzione di un impegno diverso (fermo restando che la determinazione e l'attuazione della scelta di sciogliere l'unione matrimoniale determinano un complessivo deterioramento delle condizioni di vita del coniuge meno dotato di capacità relazionali, reddituali, economiche e patrimoniali proprie). Potranno così ben presentarsi sia situazioni in cui uno degli ex coniugi non sia titolare di redditi/patrimoni propri (in cui verrà in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell'assegno divorzile), sia situazioni più variegate caratterizzate da una sperequazione nelle condizioni economico-patrimoniali delle parti di entità (e cause) variabili. La declinazione di detti principi nella fattispecie che qui ci occupa impone le seguenti considerazioni e riflessioni. È lo stesso ricorrente ad avere reiteratamente affermato, per la prima volta in data 02/06/2021, che "nel 2017, quando si sono separati, i coniugi erano già pensionati e valga inserire il carattere sottolineato la loro situazione reddituale, a distanza di 4 anni dallaseparazione, non è variata rispetto a quel momento, esattamente come non è tuttora pensabile che uno o entrambi i coniugi (rispettivamente di anni 78 il sig. Sp. e 71 la sig.ra A.) debbano o possano trovare un'occupazione". È stato documentalmente provato che l'immobile sito in Sp. T. di R. (di cui le parti erano comproprietarie) è stato venduto in data 27.04.2018 al prezzo complessivo di Euro 26.000,00 e che le parti hanno incassato l'importo di Euro 13.000,00 ciascuna. Rispetto alle comproprietà immobiliari dell'Au. (diverse dall'ex casa coniugale sita in G.) citate dallo Sp. a partire dalla memoria integrativa del giugno 2021 - i. e. alla quota indivisa del diritto di proprietà piena ed esclusiva avente a oggetto la casa familiare dei genitori ove vive l'anziana madre (affetta da Alzheimer) e alla cessione, "tempo fa", della quota di comproprietà di un terzo immobile (sito a P. G. anch'esso appartenuto ai genitori) - non è stato provato che detta variazione patrimoniale (pacificamente intervenuta alla morte del padre della resistente) sia intervenuta successivamente alla separazione consensualizzata e omologata nel mese di marzo 2017, né emerge dalla documentazione in atti che l'Au. consegua entrate da dette "comproprietà immobiliari" (spettando, tra l'altro, ex lege alla di lei madre il diritto di abitazione della casa familiare sita in S.). Quanto alla "scelta" della resistente di interrompere la propria attività lavorativa all'età di 42 anni basti rilevare che essa è stata assunta in costanza di convivenza coniugale (ante marzo 2017) e delle conseguenze (in termini pensionistici) di detta scelta deve farsi carico anche lo Sp. (che, all'epoca, ancora conviveva con l'Au.). Non da ultimo, in data 03.03.2017 la resistente ha certamente rinunciato a chiedere la corresponsione di un assegno di mantenimento da parte del coniuge ma ciò ha fatto a fronte dell'assunzione da parte dello Sp. dell'obbligo di sostenere "fino alla vendita di entrambe le abitazioni comuni site in Sp. T. di R. e in G. le spese relative agli immobili (utenze relative ai consumi, imposte)" e di porre "in essere ogni iniziativa necessaria a porre rimedio ad eventuali difformità urbanistiche che interessano l'abitazione sita in G. alla Via P. n. 8". A oggi, non sono state vendute "entrambe le abitazioni" e lo Sp. non ha intrapreso alcuna delle iniziative necessarie "a porre rimedio alle certe difformità urbanistiche cheinteressano l'abitazione sita in G. alla Via P. n. 8" (comprese - e non già escluse - le sue pertinenze). Vi è più, non essendo stata provata alcuna variazione in melius nel reddito e nel patrimonio dell'Au. post separazione (e non essendo stata neppure allegata una variazione in peius nel reddito e nel patrimonio dello S.) il ricorrente non può legittimamente o, meglio, fruttuosamente chiedere di essere dispensato dall'adempiere le obbligazioni liberamente assunte nel marzo 2017 ai punti n. 7 e 10. Né gli vale, allo scopo, allegare di essersi trasferito nell'immobile sito in G., Via E. F. 32, in forza del contratto di locazione (liberamente) sottoscritto in data 17.04.2023 - allorquando era già sfumato il progetto di vendita dell'ex casa coniugale (così come dichiarato all'udienza celebrata in data 23.03.2023) - e di avere così anticipato la cessazione di una coabitazione certamente non pacifica, peraltro, sic!, anche a causa della sua condotta (poco rispettosa delle primarie esigenze dell'ex moglie). Né si può tacere che, persino in corso di causa, lo Sp. non ha fatto quanto era obbligato a fare per accelerare la sanatoria dell'immobile sito in G. "costringendo" l'Au. ad anticipare le spese del geometra all'uopo nominato. Né può lo Sp. imputare all'Au. la responsabilità della mancanza di relazioni con entrambi i figli maggiorenni (ultraquarantenni) e con le loro rispettive famiglie (anch'essa evidentemente "frutto" o conseguenza delle libere scelte e, comunque, delle condotte liberamente assunte in costanza di convivenza coniugale). Le cause dell'indisponibilità di entrambi i figli a visitare e "aiutare" il padre devono essere ricercate "altrove" (senza tacere che se la resistente può contare sulla vicinanza e aiuto dei figli e dei fratelli il ricorrente può contare sulla vicinanza e aiuto della sorella e della compagna). Tanto meno il ricorrente può legittimamente pretendere di modificare unilateralmente le condizioni di separazioni concordate in data 03.03.2017, omologate in data 04.03.2017 e confermate in data 13.05.2021 e sgravarsi sic et simpliciter delle obbligazioni di pagare tutte "le spese relative all'ex casa coniugale (utenze relative ai consumi, imposte) ? fino alla vendita" anche di detto immobile (il cui piano seminterrato, giardino e terrazza retrostanti e garage, tra l'altro, sono ancora nella sua disponibilità) e di sanarne le difformità riscontrate. Da un punto di vista patrimoniale, infine, valga evidenziare che, al netto dei 4 buoni postali fruttiferi di cui le parti sono cointestatarie con la figlia dell'importo di Euro 1.000,00 ciascuno, il c/c n. (...) intestato allo Sp. presentava alla data del 31.12.2020 un saldo di Euro 55.121,88 e alla data del 02.05.2022 un saldo di Euro 29.882,95; che il libretto di risparmio postale n. (...) intestato all'Au. e alla figlia (K.S.S.) alla data del 31.12.2020 presentava un saldo di Euro 2.954,24 e alla data del 09.02.2022 un saldo di Euro 2.700,07; che le uniche operazioni rilevanti ivi registrate sono l'accredito di Euro 10.045,42 per "rimborso buoni dematerializzati" in data 09.07.2021 e l'addebito di Euro 10.000,00 per "emissione buoni dematerializzati" in data 14.07.2021; che, dal canto suo, lo Sp. ha chiesto il rimborso di buoni dematerializzati per Euro 9.980,00 in data 25.10.2018 (emettendo assegno postale di Euro 10.000,00 in data 14.11.2018), ha ottenuto il rimborso di polizze vita e di quote fondi per complessivi 1.775,07 nel marzo 2020 e non ha offerto alcuna giustificazione ai prelievi di complessivi Euro 20.000,00 nei mesi di marzo/aprile 2021 (in concomitanza con l'instaurazione del presente giudizio), che la polizza vita dell'Au. (del valore capitale di Euro 11.988,86 alla data del 05.09.2021) risale all'anno 2013 (ante separazione 2017) e che, non da ultimo, soltanto grazie all'intervento della G.d.F. è stato possibile avere contezza delle disponibilità dello Sp.. Tali essendo le risultanze processuali, non potendosi non valorizzare anche la significativa durata della convivenza coniugale (50 anni) e del vincolo matrimoniale (54 anni), l'età degli ex coniugi, i verosimili problemi di salute che affliggono entrambi e le differenti proposte conciliative formulate dallo Sp. in corso di causa, reputa il Collegio che, ferme restando le condizioni di separazione omologate nel marzo 2017 sino al passaggio in giudicato della sentenza sullo status pubblicata in data 16.07.2021 e dal passaggio in giudicato della sentenza n. 1128/2021 sino alla voltura delle utenze dell'ex casa coniugale, dalla voltura delle utenze dell'ex casa coniugale lo Sp. debba versare all'Au. l'importo mensile di Euro 220,00, rivalutato come per legge, entro il giorno 5 di ogni mese, tramite bonifico bancario, a titolo di assegno divorzile, impregiudicate le obbligazioni assunte in sede di separazione, a oggi non adempiute (nonostante la scadenza del termine annuale pattuito al punto n. 10), di sanare le difformità riscontrate nell'ex casa coniugale al fine di consentirne la vendita e di ripartirne il ricavato nella misura del 50% ciascuno. il tutto con le seguenti precisazioni/puntualizzazioni: ove lo Sp. facesse rientro nell'ex casa coniugale o concedesse a terzi l'uso e/o il godimento della porzione al medesimo assegnato in sede di separazione "omologata", le spese delle utenze della medesima (medio tempore volturate all'Au.) dovranno essere ripartite tra le parti in ragione dei consumi effettivi o del 50% ciascuno (nel caso in cui non fosse possibile la misurazione degli stessi); infine, tenuto conto che soltanto in corso di causa, post separazione 2017, le parti hanno appreso il rilevante costo della sanatoria delle difformità riscontrate nel box che costituisce pertinenza dell'ex casa coniugale, tenuto conto della disponibilità manifestata dai figli della coppia genitoriale di aiutare la madre a sostenerne una quota, parzialmente modificando le condizioni omologate nel marzo 2017 (in ragione della citata sopravvenienza), la resistente parteciperà ai costi della sanatoria delle difformità presenti nell'immobile sito in G. nella misura di 1/3 (restando a carico dello Sp. gli ulteriori 2/3). Le spese di lite seguono la c.d. regola della soccombenza e, liquidate come da dispositivo ex D.M. n. 55 del 2014 (le prime tre fasi) ed ex D.M. n. 147 del 2022 (la quarta fase), tenuto conto del valore della controversia dichiarato all'atto della sua iscrizione a ruolo, dell'attività istruttoria espletata e delle note spese in atti versate, sono poste a carico del ricorrente (riconoscendo il 70% dei valori tabellari medi per le fasi n. 1, 2 e 4 e il 50% per la fase n. 3). P.Q.M. Il Tribunale di Busto Arsizio, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni contraria e/o diversa e/o ulteriore istanza assorbita e/o disattesa e/o respinta: 1) CONFERMA le condizioni della separazione omologate da questo Tribunale in data 04.04.2017 sino al passaggio in giudicato della sentenza parziale n. 1128/2021; 2) DISPONE CHE dal passaggio in giudicato della sentenza parziale n. 1128/2021 lo Sp. si faccia carico di tutte le spese, per utenze e imposte, dell'ex casa coniugale sita in G., Via P. n. 8, sino alla voltura delle utenze all'Au.; 3) DISPONE CHE dalla voltura delle utenze dell'ex casa coniugale sita in G., Via P. n. 8, all'Au. il ricorrente versi alla resistente l'importo mensile di Euro 220,00, rivalutato come per legge, a titolo di assegno divorzile, entro il giorno 5 di ogni mese, tramite bonifico bancario; 4) DISPONE CHE ove il ricorrente utilizzi la porzione dell'ex casa coniugale assegnatagli in sede di separazione omologata (o conceda a terzi l'uso e/o il godimento della medesima) le spese delle utenze vengano ripartite tra le parti come in parte motiva; 5) CONFERMA le obbligazioni assunte dalle parti in sede di separazione "omologata" i.e. l'obbligazione di sanare le difformità riscontrate nell'ex casa coniugale al fine di consentirne la vendita e di ripartirne il ricavato nella misura del 50% ciascuna; 6) DISPONE CHE la resistente partecipi ai costi della sanatoria delle difformità riscontrate nell'ex casa coniugale per la quota di 1/3 E CHE lo Sp. si faccia carico della restante quota di 2/3; 7) CONDANNA il ricorrente a rifondere alla resistente (e, per lei, allo Stato) le spese di lite che liquida in complessivi Euro 4.830,00, oltre rimborso spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Così deciso in Busto Arsizio il 29 settembre 2023. Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Busto Arsizio Seconda Sezione Civile Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Milton D'Ambra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, in epigrafe rubricata, introdotta con atto di citazione notificato in data 13 giugno 2022 a mezzo messaggio di p.e.c. PROMOSSA DA Im. S.R.L., (...), con sede legale a Milano, Via (...), in persona del legale rappresentante p.t., con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. GI.RO., che la rappresenta e difende, come da procura alle liti allegata all'atto di citazione. PARTE ATTRICE OPPONENTE CONTRO Le. S.R.L., (...), con sede legale a Roma, in qualità di successore a titolo particolare del credito di Ba. S.P.A., rappresentata dalla mandataria Ga. S.P.A., con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. AD.AN., che la rappresenta e difende come da procura alle liti depositata unitamente alla comparsa di costituzione e risposta. PARTE CONVENUTA OPPOSTA FALLIMENTO Ar. S.R.L., (...), in persona del Curatore fallimentare p.t., autorizzato a resistere in giudizio con decreto reso in data 29 agosto 2022 dal Giudice delegato alla procedura fallimentare portante r.g. 16/2022 Fall. avanti il Tribunale di Pavia, con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. EN.MO., che lo rappresenta e difende, come da procura alle liti depositata unitamente alla comparsa di costituzione e risposta. PARTE CONVENUTA OPPOSTA AVV. Gi.Ca., (...), con studio legale a C. P. (M.), Via A. n. 26. PARTE CONVENUTA OPPOSTA CONTUMACE OGGETTO: Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato alle controparti in data 13 giugno 2022, la Im. S.R.L. introduceva la fase di merito del giudizio di opposizione di terzo introdotto, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., nella causa di espropriazione immobiliare portante r.g. 316/2021 e.i. Per contrastare l'esecuzione intrapresa dalla Le. S.R.L. nei confronti della Ar. S.R.L., la Im. S.R.L., con ricorso depositato in data 10 febbraio 2022 avanti il Giudice dell'esecuzione, aveva domandato, in qualità di terzo affittuario di ramo d'azienda, di "dichiarare non opponibile a Im. S.r.l. il pignoramento eseguito e l'esecuzione, sospendendola fino alla estinzione del contratto, ovvero dichiarandola estinta, in ogni caso ordinando al custode di astenersi dalla gestione dei singoli immobili locati e di incamerare i relativi canoni", deducendo che: - con contratto del 5 dicembre 2016, la Ar. S.R.L. aveva concesso in affitto alla opponente Im. S.R.L. il ramo d'azienda comprensivo di svariate unità immobiliari facenti parte di un Compendio immobiliare nel Comune di Castano Primo con accesso dalla Via A. n. 10 (riunite in n. 23 Lotti composti da abitazione e autorimessa), pattuendo un canone annuo di Euro 27.600,00 oltre IVA, per la durata di 20 anni a decorrere dal 1 gennaio 2017; - sulla base di tale contratto la Im. S.R.L. aveva, in seguito, stipulato diciotto contratti di locazione, tra il mese di aprile 2017 ed il mese di maggio 2021; - poiché il contratto di affitto del 5 dicembre 2016 era stato trascritto nei Registri Immobiliari di Pavia in data 20 dicembre 2016 e, quindi, in tesi, aveva data certa anteriore alla data di trascrizione del pignoramento (13 agosto 2021), in forza del quale la creditrice ipotecaria fondiaria Le. S.R.L. aveva sottoposto ad esecuzione forzata tali unità immobiliari di proprietà della debitrice esecutata Ar. S.R.L., esso sarebbe stato da ritenere, in forza del disposto dell'art. 2644 c.c., opponibile al fondiario procedente e, conseguentemente, la Im. S.R.L. avrebbe avuto il diritto di continuare a percepire i canoni di locazione anche per il periodo successivo alla instaurazione della procedura esecutiva; - allo scopo di impedire l'acquisizione dei canoni da parte del Custode giudiziario nominato dal Giudice dell'esecuzione, aveva avviato il giudizio di opposizione di terzo, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., domandando in via cautelare la sospensione dell'esecuzione (art. 624 c.p.c.) e l'ordine da impartire al Custode giudiziario di astenersi dalla gestione delle unità immobiliari pignorate e di riscuotere i canoni di locazione dai conduttori. Il Giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 15 marzo 2022, rigettava l'istanza di sospensione dell'esecuzione per carenza di legittimazione ad agire, così motivando: "è viceversa esclusa, per comune opinione, la legittimazione dei titolari di diritti di godimento sui beni oggetto dell'esecuzione, e tra questi, in particolare, 'l'affittuario di un'azienda che comprenda i beni mobili oggetto della procedura espropriativa' (cfr. Cass. n. 17876/2011)". Il Collegio, con ordinanza del 24 aprile 2022, rigettava il reclamo proposto dalla Im. S.R.L. ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., confermando l'ordinanza resa nella fase interdittale dal Giudice dell'esecuzione. Con l'atto introduttivo della presente fase di merito la Im. S.R.L., dopo aver dedotto le medesime circostanze in fatto, ha precisato che "l'opposizione di terzo non ha ad oggetto la rivendica di diritti reali ovvero ad effetti reali sui beni oggetto di esecuzione ma solamente i frutti della cosa pignorata vantati in estensione del pignoramento che risultano ceduti alla Im. s.r.l. unitamente all'azienda"; ha ulteriormente replicato che: - la pronuncia citata dal Giudice dell'esecuzione (Cass. n. 17876 del 2011), a fondamento del rigetto dell'istanza proposta ai sensi dell'art. 624 c.p.c., non è pertinente, in quanto "verte in tema di diritti di godimento di beni mobili oggetto della proceduraespropriativa, non con riguardo ai beni immobili che, di converso, seguono le regole della trascrizione"; - anche il Collegio, con l'ordinanza di rigetto del reclamo, ha errato nell'escludere che l'affittuaria di ramo d'azienda vanti un "un diritto di credito sulla cosa pignorata: un diritto cioè del quale la cosa pignorata formi l'oggetto diretto"; al contrario, poiché l'affittuario di ramo d'azienda comprendente beni immobili concessi in locazione vanta proprio un diritto di credito sulla cosa pignorata (quantomeno, sui frutti civili), è legittimato a proporre l'opposizione di terzo secondo quanto precisato dalla, pure citata dal Collegio, sentenza resa dalla S.C. (Cass. n. 26537 del 2017). Tutto ciò premesso, ha concluso rassegnando le medesime conclusioni contenute nel ricorso introduttivo e, quindi, chiedendo la declaratoria di inopponibilità nei suoi confronti dell'esecuzione intrapresa, con ordine al Custode giudiziario "di astenersi dalla gestione dei singoli immobili locati e di incamerare i relativi canoni". Si costituivano tempestivamente la creditrice opposta Le. S.R.L. e, stante la sopravvenuta declaratoria di fallimento della società esecutata (Tribunale di Pavia, sentenza n. 16 del 17 marzo 2022), il FALLIMENTO Ar. S.R.L., eccependo: - la carenza di legittimazione dell'affittuario del ramo d'azienda a proporre opposizione di cui all'art. 619 c.p.c.; - l'inopponibilità alla procedura del contratto di affitto di azienda ultranovennale, secondo quanto previsto dall'art. 2923 n. 2 c.c., in quanto non correttamente trascritto presso la competente conservatoria, e comunque ex art. 2923 n. 3 c.c., avendo le parti pattuito un canone vile, inferiore di oltre un terzo rispetto al cd. "giusto prezzo" di mercato. Concludevano entrambe per il rigetto, nel merito, dell'opposizione e per la consequenziale declaratoria di legittimità dell'esecuzione forzata; in rito, la creditrice procedente opposta ha altresì chiesto, di dichiarare l'inammissibilità delle "nuove domande inerenti i c.d. frutti dell'immobile" e, comunque, di confermare la statuizione, già resa in fase cautelare, sul difetto di legittimazione attiva della opponente a proporre il rimedio di cui all'art. 619 c.p.c. Pur evocato correttamente in giudizio in qualità di creditore intervenuto nella causa di espropriazione immobiliare, l'AVV. Gi.Ca. non si costituiva. All'udienza di prima comparizione e trattazione del 26 ottobre 2022 veniva dichiarata la contumacia dell'Avv. Gi.Ca. e le parti venivano autorizzate al deposito delle memorie istruttorie di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c. (vecchio rito). All'udienza del 28 febbraio 2023 veniva resa a verbale ordinanza di rigetto dei tre capitoli di prova chiesti dalla parte opponente, stante la natura documentale dei medesimi. La difesa di parte attrice opponente dava atto della sua rinuncia al mandato. Esaurita la trattazione ed istruzione della controversia, le parti venivano, quindi, invitate a precisare telematicamente le conclusioni e, previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, all'udienza cartolare del 16 maggio 2023 la causa veniva trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Dall'esame della documentazione prodotta dalle parti e del fascicolo della causa di espropriazione immobiliare opposta è stato provato che: - con contratto di mutuo ipotecario fondiario stipulato il 4 aprile 2005 spedito in forma esecutiva (doc. 10 fasc. L.), l'allora Ba.Po. S.COOP. a R.L. prometteva di mutuare alla Ed. S.R.L. (in persona dell'allora Amministratore unico Da.Pa.) la somma di Euro 4.000.000,00, oltre interessi convenuti negli artt. 1-2-3 del contratto, da rimborsarsi mediante il versamento di n. 240 rate mensili posticipate; - a garanzia del mutuo promesso, l'istituto di credito mutuante promittente iscriveva ipoteca volontaria di primo grado in danno della società mutuataria (nota di iscrizione del 7 aprile 2005 nn. 48637/11295), sull'intera quota di svariate unità immobiliari facenti parte di un Complesso immobiliare sito nel Comune di Castano Primo (doc. 10 fasc. L.); - con atto notarile di quietanza del 18 novembre 2008, spedito in forma esecutiva, effettuata una decurtazione del finanziamento per Euro 218.000,00, veniva erogato il finanziamento per il minor importo di Euro 3.782.000,00, eseguito mediante n. 22 erogazioni, con rideterminazione degli interessi (art. 3), frazionamento del finanziamento in n. 27 Lotti e riduzione dell'ipoteca iscritta ad Euro 7.564.000,00 (doc. 11 fasc. L.; frazionamento all'All. B; svincolo dei beni all'All. C); - con due contratti di compravendita stipulati il 19 aprile 2010 (doc. 12 fasc. L.) e il 27 aprile 2011 (doc. 13 fasc. L.) la Ed. S.R.L. vendeva, gravati da ipoteca frazionata, n. 23 Lotti alla Ar. S.R.L. (in persona dell'amministratore unico Pa.Pa.), con contestuale accollo non liberatorio del mutuo per complessivi Euro 3.615.108,12. - la Ed. S.R.L. veniva dichiarata fallita con sentenza resa dal Tribunale di Milano in data 10 maggio 2018; la Le. S.R.L., in qualità di successore a titolo particolare del credito vantato dall'istituto mutuante Ba.Po., veniva ammessa al passivo per la somma di Euro 3.873.443,70, in via chirografaria (in quanto i beni ipotecati risultavano usciti dalla massa fallimentare); - nelle more, con scrittura privata autenticata del 5 dicembre 2016, la Ar. S.R.L. concedeva in affitto alla Im. S.R.L. il ramo d'azienda costituito dai 23 Lotti acquistati dalla Ed. S.R.L. pattuendo un canone annuo di Euro 27.600,00, per la durata di venti anni, dal 1 gennaio 2017 al 31 dicembre 2036. (doc. 14 fasc. Le. S.R.L.); il ramo d'azienda immobiliare affittato era composto, in particolare, da 47 unità immobiliari site nel Comune di Castano Primo, con accesso dalla Via A., costituite da 23 abitazioni e 23 autorimesse ad esse pertinenziali, poi sottoposte ad esecuzione forzata nella causa di espropriazione immobiliare opposta (delle 47 unità immobiliari solo su un'autorimessa non veniva trascritto il relativo pignoramento); - il contratto di affitto d'azienda veniva in data 21 dicembre 2016 erroneamente trascritto (doc. 15 fasc. L.), come pure riconosciuto nell'atto introduttivo della presente fase dalla stessa opponente (Atto di citazione, pag. 3), nei Registi Immobiliari di PAVIA (e non già nei Registri Immobiliari di MILANO 2 competente per i beni immobili ricompresi nel Comune di CASTANO PRIMO); nella nota di trascrizione, peraltro, venivano indicate differenti unità immobiliari site nel diverso Comune di CASORATE PRIMO; - con atto di pignoramento immobiliare trascritto in data 13 agosto 2021 (doc. 16 e 17 fasc. L.), la società veicolo fondiaria opposta avviava, con le forme di cui all'art. 602 c.p.c., l'espropriazione immobiliare in danno del terzo acquirente di bene ipotecato Ar. S.R.L., stante l'inadempimento della fallita mutuataria Ed. S.R.L. e degli accollatari, sulla base di atto di precetto con cui veniva intimato il pagamento di complessivi Euro 3.873.443,70 per capitale ed interessi; il pignoramento immobiliare notificato e trascritto aveva (e tuttora ha), ad oggetto, come anticipato, 46 unità immobiliari, poi riunite in n. 23 Lotti, formati ciascuno da abitazione e pertinenziale autorimessa, tutti facenti parte del Compendio immobiliare sito nel Comune di Castano Primo, con accesso dalla Via A.; - il Custode giudiziario nominato, anche con il compito di riscuotere i canoni di locazione pattuiti dalla Im. S.R.L. con i conduttori dei 23 Lotti pignorati, con Relazione di Custodia giudiziaria del 3 febbraio 2022 (doc. 18 fasc. L.) informava il Giudice dell'esecuzione che, effettuato il sopralluogo col Perito estimatore, il difensore della Im. S.R.L., intimava al Custode di astenersi dalla riscossione dei canoni che, in tesi, dovevano continuare ad essere riscossi dalla affittuaria il ramo d'azienda immobiliare, sulla base dell'opponibile contratto trascritto in data anteriore alla data di trascrizione del pignoramento. 2. Così ricostruita la vicenda sostanziale sottesa, vanno, preliminarmente, disattese le due eccezioni in rito sollevate dalla convenuta opposta Le. S.R.L. 2.1. Tra la domanda proposta con ricorso depositato in data 10 febbraio 2022 avanti il Giudice dell'esecuzione e la domanda proposta per la presente fase di merito con citazione notificata il 13 giugno 2022 non vi è mutatio libelli, come sostenuto dalla convenuta opposta. Invero, non vi è divergenza nel raffronto tra il petitum e la causa petendi, bensì solo una differente articolazione di difese che tendono, tutte ed inequivocabilmente, ad una pronuncia dichiarativa che accerti l'opponibilità al creditore procedente del contratto di affitto di ramo d'azienda concluso per scrittura privata autenticata nel 2016 tra la parte esecutata Ar. S.R.L., in qualità di affittante, e la Im. S.R.L., in qualità di affittuaria; il petitum immediato, e di questo vi è riscontro nella formulazione delle domande laddove viene chiesto di "ordinare al Custode di astenersi dalla gestione dei singoli immobili locati e di incamerare i relativi canoni", è costituito dall'accertamento del diritto vantato dalla società opponente di continuare a poter riscuotere di canoni di locazione conclusi dalla medesima con i singoli conduttori dei 23 appartamenti ed autorimesse oggetto di esecuzione forzata e, nondimeno, ricompresi nel perimetro del ramo d'azienda affittato. 2.2. L'esame della domanda e delle ragioni su cui essa si fonda consente, altresì, di pervenire ad un positivo giudizio sulla legittimazione della Im. S.R.L. di domandare la tutela richiesta con le forme dell'opposizione di terzo di cui all'art. 619 c.p.c.; sotto questo profilo, allora, anche l'eccezione pregiudiziale di rito tendente alla declaratoria di insussistenza della condizione di ammissibilità della domanda quanto al profilo della legitimatio ad causam attiva deve essere rigettata e, ciò, nonostante nel doppio grado della fase cautelare, il rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecuzione proposta ai sensi dell'art. 624 c.p.c. sia stato motivato proprio sulla base di un supposto difetto di legittimazione ad agire. Va senz'altro condivisa l'impostazione della questione nei seguenti termini: - l'art. 619 c.p.c. riconosce al terzo, da intendersi come "colui che subisce un pregiudizio dall'espropriazione pur senza esserne il soggetto passivo e che quindi ricopre una posizione estranea alla procedura che non gli consentirebbe di proporre opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c." (Cass. n. 4005 del 2022; Cass., 15 dicembre 1980, n. 6497; Cass., 25 maggio 1978, n. 2639), la legittimazione ad agire se ed in quanto pretenda di essere titolare della proprietà o di altro diritto reale sul bene pignorato, ovvero di una posizione giuridica inconciliabile con l'attuazione coattiva del titolo azionato dal creditore procedente. - due sono i casi i cui è esperibile il rimedio invocato e, su tale aspetto della questione, la S.C. ha precisato (Cass. civ., Sez. VI-3, 9 novembre 2017, n. 26537) che il rimedio può essere proposto: (a) sempre e comunque, da chi vanti un diritto reale sulla cosa pignorata (così la lettera dell'art. 619 c.p.c., con una indicazione che per giurisprudenza pacifica ha valore esemplificativo e non tassativo laddove indica il solo titolo di proprietà ?); (b) chi vanti un diritto di credito nei confronti del debitore esecutato, invece, può proporre opposizione di terzo solo a due condizioni: (b') che il diritto di credito del terzo opponente sia prevalente rispetto a quello del creditore procedente (?); (b") che l'opponente vanti un diritto di credito sulla cosa pignorata: un diritto, cioè, del quale la cosa pignorata formi l'oggetto diretto (?) ovvero a quel diritto che abbia efficacia reale (si è, da tempo, escluso, ad esempio, che l'opposizione di terzo possa essere fatta valere da chi vanti un diritto di credito non sulla cosa pignorata, ma derivante da spese sostenute per la cosa pignorata, Cass. civ., Sez. 3, 28 novembre 1964, n. 2828). Ebbene, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte convenuta e, sotto questo profilo, dovendo essere rimeditate anche le conclusioni cui è pervenuto il Giudice dell'esecuzione ed il Collegio nella fase cautelare, il diritto dell'affittuario di un ramo d'azienda, composto da beni immobili fruttiferi, di acquisire i frutti civili dell'azienda e, quindi, di apprendere i canoni di locazione versati dai conduttori delle unità immobiliari ricomprese nell'ambito oggettivo del ramo d'azienda affittato rientra nel diritto di credito astrattamente prevalente del quale il bene pignorato forma l'oggetto diretto; come tale, esso è tutelabile con il rimedio dell'opposizione di terzo. Tralasciando, per un attimo, il concetto di prevalenza (recte: astratta prevalenza), va chiarito che, in questa ipotesi, la cosa pignorata che forma oggetto diretto del diritto di credito tutelabile non è rappresentato dall'unità immobiliare in sé considerata, bensì dai suoi frutti, in questo caso dai frutti civili rappresentati dai canoni di locazione, i quali, come noto, sono ricompresi nel pignoramento del bene principale, formandone oggetto diretto, appunto, unitamente alle pertinenze ed agli accessori, ai sensi dell'art. 2912 c.c. Il diritto di credito dell'affittuario di disporre dei frutti prodotti dal bene affittato si pone allora in tensione col diritto del creditore procedente di pignorare, unitamente al bene immobile fruttifero, anche i suoi frutti, pur essendo l'affittuario soggetto differente dalla parte affittante esecutata titolare dei beni fruttiferi. In questo senso, allora, riscontrandosi alterità tra il titolare esecutato del diritto reale pignorato ed il titolare non esecutato del diritto di credito ad esso inerente, risulta coerente col sistema delineato dal regime codicistico delle opposizioni esecutive che al primo spetti (solo) il rimedio di cui all'art. 615 c.p.c. ed al secondo (solo) il rimedio di cui all'art. 619 c.p.c. L'altro presupposto che consente al titolare di un diritto di credito di proporre il rimedio dell'opposizione di terzo è che tale diritto di credito, avente ad oggetto diretto la cosa pignorata, sia anche "prevalente". Il concetto di prevalenza deve essere vagliato sulla base delle norme di diritto sostanziale che disciplinano, tipo per tipo, i criteri risolutori dei conflitti e le azioni previste per la tutela del diritto; ai fini del positivo vaglio della condizione di ammissibilità della domanda rappresentata dalla legittimazione ad agire, occorre che tale diritto di credito, per essere tutelato dal rimedio di cui all'art. 619 c.p.c., sia "astrattamente prevalente" rispetto al diritto del creditore procedente di apporre il vincolo preordinato all'esproprio e intraprendere l'esecuzione forzata; esso deve, cioè, porsi in termini di incompatibilità sostanziale con il diritto del creditore pignorante, nel senso che l'esistenza del primo esclude la praticabilità del secondo. Una cosa è, invero, verificare la teorica ed astratta idoneità del diritto di credito sulla cosa pignorata a prevalere sull'antagonista diritto del creditore procedente, altra cosa è il vaglio sulla sua concreta idoneità a prevalere, sussistendo tutti i presupposti, ad esempio, per la sua opponibilità. Il primo si risolve in un esame preliminare in rito sull'ammissibilità della domanda, il secondo coinvolge, invece, la cognizione sulla sua fondatezza nel merito. Ebbene, così contestualizzata e meglio esaminata la questione, diventa agevole comprendere le ragioni in base alla quale la giurisprudenza di legittimità ha escluso il requisito della idoneità alla prevalenza del diritto di credito (e, quindi, la legittimazione ad agire con l'opposizione di terzo) vantato dal comodatario o dal conduttore sulla cosa pignorata (Cass. 15 novembre 1974, n. 3649); in tali casi non può predicarsi una astratta prevalenza ed incompatibilità del diritto di credito rispetto a quello a quello del creditore procedente, poiché il primo ha ad oggetto il godimento del bene, mentre il secondo con il pignoramento appone un vincolo preordinato al trasferimento coatto di un diritto reale; la tutela del comodatario o del conduttore è meramente obbligatoria da invocare esclusivamente nei confronti del dante causa (il comodante o il locatore esecutato), con le opportune azioni codicistiche concesse appunto per la limitazione, la compressione o la soppressione delle possibilità del godimento del bene oggetto dell'obbligazione pattiziamente assunta dalla sua sola controparte, azioni che hanno evidentemente natura personale e non già reale (Cass. civ., Sez. II, 31 agosto 2011, n. 17876). Questa conclusione è stata poi estesa dalla giurisprudenza "anche ai contratti di affitto di azienda, (...), se non altro allorquando si verta esclusivamente sui beni mobili che ne farebbero oggetto" (Cass. civ., Sez. II, 31 agosto 2011, n. 17876); questa è la sentenza richiamata a sostegno dell'eccezione preliminare dalla convenuta opposta; tuttavia, il chiaro ed inequivoco riferimento all'azienda composta da soli beni mobili, dove, come nella locazione o nel comodato, il diritto dell'affittuario tende ad esaurirsi nel mero godimento, esclude che possa trovare applicazione nel caso in esame, in quanto, secondo quanto meglio si preciserà di seguito, per il caso di affitto di ramo d'azienda composto da beni immobili esistono precisi criteri di risoluzione del conflitto che possono comportare la prevalenza del diritto dell'affittuario sui "frutti e le altre utilità della cosa" (art. 1615 c.c.) rispetto a quello del creditore procedente di sottoporli ad esecuzione forzata. 3. Nel merito, l'opposizione di terzo è infondata e va rigettata, per le considerazioni di seguito esposte. 3.1. La questione sottoposta dalla società attrice opponente e, cioè, l'esame sulla opponibilità (prevalenza rispetto) al creditore procedente del contratto di affitto avente ad oggetto un ramo d'azienda composto da beni immobili, va risolta sulla base del combinato disposto dell'art. 2918 c.c. con l'art. 2924 c.c.; in particolare, il conflitto tra l'affittuario di ramo d'azienda ricomprendente unità immobiliari produttive di frutti civili (i canoni locazione) e il creditore pignorante va ricondotto alla fattispecie disciplinata nel primo comma dell'art. 2918 c.c., il quale prevede l'opponibilità al creditore pignorante (come pure sostenuto da parte opponente), dell'atto con cui vengono ceduti fitti ultratriennali, a condizione che esso sia stato trascritto in data anteriore alla trascrizione del pignoramento. Analogo regime di opponibilità è, poi, con coerenza, predicato per la medesima fattispecie nei confronti dell'aggiudicatario in vendita forzata (art. 2924 c.c.). 3.2. L'affitto di ramo d'azienda è, infatti, riconducibile alla cessione dei fitti (Cass. civ., Sez. III, 23 ottobre 2018, n. 26701). In base ad interpretazione sistematica, del tutto condivisibile, la giurisprudenza di legittimità ha, invero, chiarito che "l'art. 2643 c.c., n. 9, là dove dispone che sono soggetti all'onere della trascrizione gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora scaduti, per un termine maggiore di tre anni, si riferisce anche ai corrispettivi per l'affitto di un'azienda, fra i cui beni sia compreso un immobile, in quanto la figura dell'affitto di azienda, di cui all'art. 2562 c.c., è riconducibile a quella fattispecie di locazione indicata dall'art. 1615 c.c., con l'espressione gestione e godimento della cosa produttiva e, pertanto, la nozione di fitto, di cui al detto n. 9 è idonea a comprendere anche il corrispettivo dell'affitto di azienda". Dunque, poiché nella nozione di fitti è ricompreso il canone di affitto di un'azienda avente ad oggetto beni immobili produttivi, dovendo essere la relativa disciplina ricondotta al disposto di cui all'art. 1615 c.c. in tema di Gestione e Godimento di cosa produttiva, allora l'atto con cui viene pattuito il canone d'affitto (il contratto di affitto di ramo d'azienda) va ricondotto alla nozione di atto di cessione dei fitti, come tale trascrivibile ai sensi dell'art. 2643, n. 9), c.c., ai fini dell'opponibilità verso il creditore pignorante e l'aggiudicatario predicata, rispettivamente, negli artt. 2918 e 2924 c.c. 3.3. Quindi, il contratto di affitto di ramo d'azienda comprendente beni immobili produttivi e avente durata ultratriennale per essere opponibile al creditore pignorante e all'aggiudicatario in vendita forzata va validamente ed efficacemente trascritto, nei competenti Registri Immobiliari sulle singole unità immobiliari ricomprese nel perimetro dell'azienda affittata; tale trascrizione va effettuata a favore della parte affittuaria e contro la parte affittante. In tal modo, l'eventuale pignoramento trascritto da un creditore procedente in data successiva e, correlativamente, l'eventuale decreto di trasferimento emesso nella relativa causa di espropriazione immobiliare, saranno inopponibili alla parte affittuaria, la quale, fermo restando il trasferimento dell'unità immobiliare (rimasta nella titolarità della parte affittante esecutata), avrà diritto a continuare percepire i fitti in suo favore ceduti, cioè i frutti civili prodotti dalla medesima unità immobiliare ricompresa nel perimetro del ramo d'azienda affittato. 3.4. Nel caso di specie, tale fattispecie non può ritenersi perfezionata, in quanto, alla conclusione del contratto di affitto di azienda, per scrittura privata autenticata nel 2016 tra l'allora in bonis Ar. S.R.L. (in qualità di parte affittante proprietaria delle unità immobiliari) e l'odierna società attrice opponente Im. S.R.L. (in qualità di parte affittuaria), non è seguita una valida ed efficace trascrizione del medesimo nei Registri Immobiliari competenti. 3.4.1. E' invero circostanza pacifica, per ammissione della stessa parte opponente (Atto di citazione in opposizione, pag. 3) e documentata (doc. 15 fasc. L.) che sulle unità immobiliari facenti parte del Compendio immobiliare situato nel Comune di CASTANO PRIMO non è stato trascritto alcun atto di affitto di ramo d'azienda avente durata ultratriennale nei competenti Registri Immobiliari di MILANO 2. La trascrizione veniva, invero, invalidamente effettuata presso i Registri Immobiliari di PAVIA e aveva ad oggetto inesistenti unità immobiliari site nel diverso Comune di CASORATE PRIMO. 3.5. Questa essendo la ragione dell'inopponibilità del contratto di affitto di ramo d'azienda alla convenuta pignorante Le. S.R.L., corre l'obbligo di evidenziare che dalla invalidità della nota di trascrizione non può farsi discendere l'effetto di opponibilità ai terzi cui la trascrizione, avente come nel caso di specie natura dichiarativa, è preordinata (Cass. civ., Sez. II, 19 marzo 2019, n. 7680). 3.5.1. Nel nostro ordinamento, il sistema di pubblicità immobiliare attuato con la trascrizione è imperniato su principi formali (Cass. n. 12835 del 2014; Cass. n. 14440 del 2013; Cass. n. 5002 del 2005). Ciò significa che per individuare l'oggetto di un atto trascritto, il terzo che a tale atto sia rimasto estraneo dovrà fare affidamento unicamente sul contenuto con cui la notizia è riportata nei Registri Immobiliari. L'individuazione di tale contenuto è a sua volta affidata alla esclusiva responsabilità del richiedente, al quale spetta l'onere di procedere redigendo la relativa nota conformemente a quanto previsto dal dettato normativo. Redatta la nota ed effettuata su tale base la corrispondente formalità, sarà unicamente questo il contenuto desumibile ai fini della pubblicità dichiarativa, non essendo richiesto al terzo che intenda avvalersene alcun onere di controllo ulteriore (Cass. n. 5028 del 2007; Cass. n. 18892 del 2009). In applicazione del c.d. "principio di autoresponsabilità", la nota di trascrizione è un atto di parte, per cui gli effetti che ne derivano sono strettamente conformi e correlati al suo specifico contenuto (Cass. n. 8964 del 2000). 3.5.2. Per valutare se, ed in che misura, un atto o una domanda giudiziale trascritti siano opponibili a terzi, occorre dunque aver riguardo unicamente al contenuto della nota di trascrizione. 3.5.3. Da ciò deriva che le indicazioni comprese nella nota dovranno consentire l'identificazione, senza possibilità di equivoci o di incertezze, di tutti gli elementi essenziali del negozio, ivi compresi i beni che ne sono oggetto o il soggetto nei cui confronti è rivolta la domanda, senza la possibilità, né l'onere, per i terzi di integrare tali eventuali lacune attingendo ad elementi esterni. 3.6. Così argomentando, pertanto, è evidente che la società veicolo procedente, consultando i competenti Registri Immobiliari di MILANO 2, si avvedeva della circostanza che su tutte le unità immobiliari sottoposte ad esecuzione forzata non era stato trascritto alcun atto ad essa opponibile, non rivestendo alcun rilievo il fatto che il contratto di affitto d'azienda fosse stato trascritto in diversi Registri Immobiliari su unità inesistenti o, comunque, anche solo diverse da quelle sottoposte a pignoramento. 3.7. L'invalidità e l'inefficacia della trascrizione rende il contratto di affitto d'azienda inopponibile al creditore procedente. 4. All'inopponibilità al creditore procedente del contratto d'affitto d'azienda consegue l'insussistenza del diritto (a continuare a riscuotere i canoni) vantato dalla Im. S.R.L. in qualità di affittuaria, dovendo essere, in definitiva, la sua opposizione di terzo rigettata, senza necessità di provvedere (confermare) l'ordinanza istruttoria resa, non avendo parte opponente reiterato le relative istanze con il deposito della precisazione delle conclusioni che, anzi, venivano omesse (Cass. n. 16886 del 2016). 5. L'espropriazione immobiliare conseguente va, quindi, dichiarata legittima, così come lecita è da qualificare la condotta del Custode giudiziario che ha provveduto a riscuotere i canoni di locazione dovuti dai conduttori dei 23 Lotti pignorati in forza dei contratti di locazione conclusi da costoro con la Im. S.R.L. in qualità di affittuaria del ramo d'azienda comprendente le unità immobiliari pignorate. 6. Al rigetto della domanda consegue l'applicazione del principio di soccombenza per la regolazione delle spese di lite (art. 91 c.p.c.), che vengono liquidate in dispositivo, per entrambe le parti costituite, sulla base della nota depositata dalla convenuta opposta Le. S.R.L. ai sensi dell'art. 75 att. c.p.c. (Cass., Sez. II, 5 maggio 2022, n. 14198), non venendo tuttavia liquidati i compensi per la non celebrata fase istruttoria, essendo la causa documentale e di puro diritto. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata, così provvede: 1) RIGETTA l'opposizione e, per l'effetto, DICHIARA LEGITTIMA l'espropriazione immobiliare portante r.g. 316/2021 e.i. pendente avanti questo Tribunale. 2) CONDANNA parte attrice opponente Im. S.R.L. al pagamento in favore di ciascuna delle parti convenute opposte costituite Le. S.R.L. e FALLIMENTO Ar. S.R.L. delle spese processuali che liquida, per ciascuna, in Euro 5.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali imponibili, c.p.a. ed i.v.a. (ove non detraibile dalle parti vittoriose). Sentenza ope legis esecutiva nei capi di condanna. Così deciso in Busto Arsizio il 14 agosto 2023. Depositata in Cancelleria il 14 agosto 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Busto Arsizio Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del Giudice dr. Francesco Paganini ha pronunciato la seguente SENTENZA Nella causa civile iscritta al n. R.G. 5603/2019 promossa da CONDOMINIO RESIDENZA (...) (C.F.: (...)) in persona del suo amministratore pro tempore, - (...) (C.F.: (...)) - ed altri, tutti con il patrocinio dell'avv. BI.MA. ATTORI contro (...) SRL (C.F.: (...)) in persona del suo legale rappresentante sig. (...), con il patrocinio dell'avv. AS.PA. ARCH. (...) (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. AS.PA. CONVENUTI e contro (...) SPA (C.F.: (...)) con il patrocinio dell'avv. AN.OR. TERZA CHIAMATA RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione, regolarmente notificato, il Condominio Residenza (...), corrente in G., via (...) n. 38/A e 38/B, e i condomini indicati in epigrafe convenivano in giudizio la (...) S.r.l. e l'Arch. (...), chiedendone la condanna, in via tra di loro solidale o ciascuno per quanto di esclusiva competenza, al risarcimento di tutti i danni conseguenti ai vizi e difetti costruttivi, quantificati in Euro 481.679,90, oltre alla refusione delle spese resesi necessarie per l'accertamento stragiudiziale e giudiziale dei vizi e difetti quantificati in Euro 15.597,07 e al risarcimento dei danni per il mancato o pregiudicato uso delle parti comuni pari a Euro 50.000,00 nonché dei danni a titolo di pregiudicato e/o limitato godimento e/o riduzione del corrispettivo conseguenti ai vizi e difetti afferenti la non corretta installazione delle cappe di esalazione cucina, quantificati in Euro 20.000,00 in favore del Condominio e di ciascuna unità immobiliare. Esponevano in particolare gli attori che il Condominio Residenza (...) era un complesso immobiliare che constava di due edifici, edificato dietro committenza della venditrice, la società (...) S.r.l. e su progetto dall'Arch. (...), che pure aveva svolto la direzione lavori. La realizzazione del fabbricato condominiale prevedeva la predisposizione di tecnologie edilizie che avrebbero dovuto essere all'avanguardia nel campo del risparmio energetico e rispetto per l'ambiente. La parte relativa agli impianti era stata appaltata e realizzata dalla (...) s.r.l., società dichiarata fallita in data 2 settembre 2013 dal Tribunale di Busto Arsizio. Assumevano gli attori che nello stabile si erano manifestati plurimi vizi e difetti, come dettagliatamente indicati nell'atto di citazione, che avevano interessato gli impianti e le opere edili, sia nelle parti comuni che nelle parti di proprietà esclusiva. In particolare, i vizi e difetti venivano accertati dal CTU nominato dal Tribunale di Busto Arsizio in sede di accertamento tecnico preventivo, mentre altre problematiche emergevano successivamente all'ATP, durante i lavori di emenda dei primi 6 vizi rilevati dal CTU che, stante l'urgenza, venivano da subito eseguiti. Si costituivano in giudizio, contestualmente con la medesima comparsa di costituzione e risposta, la (...) S.r.l. e l'Arch. (...), eccependo in via preliminare la decadenza nonché la prescrizione della domanda. In particolare, deducevano che, quanto ai vizi elencati ai numeri da 1 a 4 della CTU espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, questi dovevano ricondursi alla presenza di ferrobatteri negli impianti, come emerso in sede peritale e come confermato dagli attori nel proprio atto di citazione. I segnali della presenza dei ferrobatteri dovevano farsi risalire alla fine del 2013 ed inizio del 2014, come desumibile dal verbale dell'assemblea condominiale straordinaria del 7.07.2014, nel corso della quale venivano affrontate le segnalazioni di taluni condomini in ordine al riscontro di acqua marrone torbida fuoriuscente dalle tubazioni e veniva dato incarico alla C.L. per l'esecuzione degli interventi all'uopo necessari. Di conseguenza, doveva ritenersi maturata la decadenza nonché la prescrizione ex art. 1669 c.c. dal momento che la denuncia dei vizi alla committente e al direttore dei lavori era pervenuta solo in data 5 agosto 2015. Inoltre, secondo la tesi dei convenuti, la provenienza dei ferrobatteri doveva imputarsi alla rete dell'acquedotto come riconosciuto dalla società che aveva gestito la fornitura dell'acqua pubblica, ossia l'Amsc, e avvalorato dalla circostanza che anche nelle altre palazzine vicine, servite dal medesimo ramo di rete idrica, si erano verificate analoghe problematiche. Dunque, doveva escludersi ogni responsabilità dei convenuti, ai quali non poteva imputarsi alcuna negligenza per avere realizzato gli impianti con colonne di acciaio e acciaio zincato anziché con tubazioni multistrato in resine sintetiche, dal momento che non vi era alcuna normativa che vietava l'utilizzo di acciaio. Sostenevano ancora i convenuti che la realizzazione ed il posizionamento delle colonne montanti con quelle in ferro zincato, erano state eseguite dalla impresa cui era stato appaltato l'esecuzione degli impianti, (...) srl di (...), senza alcuna ingerenza da parte della committente e senza che fossero state date a riguardo indicazioni da parte dell'arch. (...), poiché la direzione dei lavori di fatto era stata assunta dall' ing. (...). Ancora, assumevano i convenuti che, quanto ai vizi da 5 a 13 della relazione peritale, relativi per lo più all'impianto VMC, gli stessi dovevano ricondursi alla disciplina di cui all'art. 1667 c.c. e quindi da denunciare entro due anni dalla consegna dell'opera. Pertanto, parte attrice doveva ritenersi decaduta nonché prescritta l'azione avendo denunciato i vizi dopo tre anni dalla relativa consegna. Quanto poi alla carenza di documentazione di cui al punto 13 della relazione tecnica, sostenevano i convenuti che tale documentazione doveva essere fornita dalla (...) S.r.l. che aveva realizzato gli impianti e quindi non poteva essere addebitata alcuna responsabilità alla committente e al direttore dei lavori. Contestavano, infine, la quantificazione dell'importo richiesto a titolo di danno, nonché la richiesta di rimborso delle spese legali e tecnico peritali. Concludevano chiedendo, preliminarmente, l'autorizzazione alla chiamata in causa di: - (...) Srl in quanto società collaudatrice degli impianti e manutentrice dei medesimi che aveva eseguito, su incarico del Condominio, gli interventi volti alla risoluzione della problematica dell'acqua contaminata, al fine di dichiarane la responsabilità per i vizi, difformità, malfunzionamenti manifestatisi nell'impianto di raffrescamento e riscaldamento nonché in quello dell'acqua fredda e calda sanitaria di entrambe le palazzine, - (...) Spa al fine di tenere manlevati i convenuti in forza dei contratti assicurativi sottoscritti rispettivamente dall'arch. (...) e dalla (...) S.r.l.. Nel merito, i convenuti chiedevano il rigetto delle domande ed in subordine la limitazione della condanna ai soli danni verificatosi per loro diretta azione imperita. Concessa l'autorizzazione alla sola chiamata in causa di (...) Spa e ritualmente notificato l'atto di citazione del terzo, si costituiva la predetta compagnia assicurativa, aderendo quanto al merito della causa alle difese articolate dall'arch. (...). Eccepiva, inoltre: - l'inopponibilità alla stessa della CTU resa in sede di accertamento tecnico preventivo, non essendo stata parte del procedimento; - la perdita del diritto degli assicurati a essere tenuti indenni ex art. 1915 c.c. in quanto avevano denunciato il sinistro solo in data 16.10.2017, quando il procedimento di accertamento tecnico preventivo era già concluso e sebbene avessero ricevuto dal Condominio Residenza (...) la prima lettera formale di messa in mora in data 31.8.2015; - l'intervenuta prescrizione della copertura, ex art. 2952, com. 2 e 3 c.c. non avendo gli assicurati denunciato il sinistro entro due anni dal giorno in cui il terzo aveva avanzato la richiesta di risarcimento. Eccepiva, ancora, l'inoperatività delle polizze stipulate in quanto le stesse coprivano solo i danni causati alle opere in caso di rovina totale delle stesse o di rovina e gravi difetti di parti delle opere destinate per loro natura a durata, compromettendone in maniera certa ed attuale la stabilità dell'opera e tali non potevano considerarsi i vizi de quo, poiché al concetto di rovina indicato in contratto doveva attribuirsi un significato più ristretto di quello elaborato dalla giurisprudenza in ambito di responsabilità ex art. 1669 c.c.. In ogni caso, quanto alla polizza contratta con (...) S.r.l., la terza chiamata assumeva che la copertura era riconosciuta a condizione che l'opera fosse stata realizzata a regola d'arte, secondo la migliore tecnica costruttiva, in piena osservanza di leggi e regolamenti in vigore o di norme stabilite da organismi ufficiali (art. 3) ed esclusa per danni indiretti e consequenziali, danni causati da ruggine, danni da difettosa impermeabilizzazione (art. 2). Quanto alla polizza contratta dall'arch. (...), la copertura non si estendeva alle perdite patrimoniali e ai danni derivanti da mancata rispondenza delle opere all'uso od alle necessità cui erano destinate (art. 1.6 lett. u) ed infine, la garanzia non copriva la responsabilità derivante all'assicurato in forza del vincolo di solidarietà, essendo limitata ai soli danni riconducibili all'operato dell'arch. (...), e in misura proporzionale alla quota di responsabilità in capo allo stesso. Concludeva, pertanto, la compagnia assicurativa chiedendo il rigetto delle domande di garanzia ed in subordine, la condanna entro i limiti ed i massimali di polizza. All'udienza di comparizione parti del 16 dicembre 2020, venivano concessi i termini ex art. 183 c.p.c. e, successivamente, la causa veniva istruita con l'interrogatorio formale dell'Arch. (...), l'escussione testimoniale e l'espletamento di CTU. Terminata l'istruttoria, si perveniva all'udienza di precisazione delle conclusioni in data 5 aprile 2023, per cui la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini per le comparse conclusionali ex art. 190 c.p.c... Parte attrice agisce nel presente giudizio, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento del danno derivante dalla presenza di vizi e difetti costruttivi interessanti il complesso condominiale, sia relativamente alle parti comuni che riguardo alle proprietà esclusive dei singoli condomini. Preliminarmente all'instaurazione della presente controversia, nel 2016 l'attrice aveva esperito un accertamento tecnico preventivo, all'esito del quale la CTU, incaricata di periziare l'immobile condominiale de quo, aveva evidenziato la presenza dei seguenti vizi e difetti e delle seguenti cause che ne avevano dato origine, enucleati con numerazione da 1 a 13,: 1) Malfunzionamento dell'impianto di riscaldamento. 2) Malfunzionamento dell'impianto idrico sanitario acqua calda 3) Malfunzionamento dell'impianto di ricircolo acqua calda sanitaria 4) Malfunzionamento dell'impianto idrico sanitario acqua fredda In ordine ai suddetti quattro vizi, il CTU aveva accertato come la contaminazione da ferrobatteri fosse l'origine della causa del malfunzionamento, in quanto avevano dato inizio alla corrosione delle tubazioni in A. e di conseguenza alla formazione di sospensione melmosa ferrosa all'interno dell'impianto Idrico e Termico. Il CTU aveva puntualizzato nella parte relativa alle risposte alle osservazioni dei CTP che "non è in grado tecnicamente di relazionare il momento iniziale o il punto zero in cui siano stati immessi i Ferrobatteri negli impianti, ma soprattutto, dovendo il CTU basarsi sempre su dati certi, non può supporre (o prospettare) la loro origine. Di sicuro dalle attuali analisi eseguite, verbalizzate, relazionate e allegate, non provengono dall'acquedotto" (pag. 94 della relazione tecnica). "L'installazione di tubazioni in acciaio nero e zincato nell'impianto meccanico di riscaldamento/raffrescamento e idrico sanitario conseguentemente con la presenza di Ferrobatteri nelle stesso impianto ha portato ad avere una situazione attuale come rilevata dai verbali, fotografie e analisi" (pag. 103 della relazione tecnica). Dunque, secondo quanto accertato dal CTU, i ferrobatteri erano già presenti nell'impianto installato dall'appaltatore. Alla luce delle risultanze di natura scientifica della CTU, non possono assumere alcuna rilevanza probatoria le dichiarazioni testimoniali rese nel presente giudizio da (...), amministratore del condominio nell'anno 2014, quando in assemblea era stata posta all'ordine del giorno la problematica della fuoriuscita dalle tubature di acqua marrone e si era dato incarico alla società (...) - ind di effettuare le verifiche del caso e di procedere alla risoluzione della problematica. Il teste ha riportato che altri amministratori di Condomini, ubicati nelle vicinanze del Condominio de quo, gli avevano riferito della sussistenza della medesima problematica di fuoriuscita di acqua marrone torbida nel medesimo periodo (2014) e che anche il responsabile della società che gestiva il servizio comunale di erogazione dell'acqua potabile, AMSC di Gallarate, gli aveva confermato che la tratta che asserviva il Condominio era terminale, e come tale più ricca di residui e batteri poiché difficilmente raggiungibile dai prodotti di depurazione; tuttavia la deposizione testimoniale è priva di riscontri oggettivi, basti considerare che altro teste di parte convenuta, F.L., amministratore di condominio, interrogato sul medesimo cap. 5 affermava che "nel 2014 nei condomini da me amministrati anche in zona non ho memoria di problematiche simili a quelle denunziate dagli attori". Tra l'altro, contrariamente a quanto sostenuto dai convenuti, nessuna responsabilità è ravvisabile in capo alla (...) - ind., posto che secondo la ricostruzione fatta dai convenuti medesimi e confermata anche dalla documentazione in atti (doc. 9 del fascicolo dei convenuti), la problematica di fuoriuscita di acqua marrone era preesistente all'intervento della (...) - ind, e pertanto non riconducibile al suo intervento. 5) Non corretta installazione delle unità esterne (motocondensanti) marca Daikin: "L'errato posizionamento delle unità esterne, non rispettando le dimensioni minime imposte dal manuale di installazione, non permettono una corretta espulsione e ripresa aria alle motocondensanti Daikin". 6) Mancanza di scarico a pavimento all'interno della centrale Termo-frigorifera: "In fase costruttiva della centrale non è stato inserito lo scarico a pavimento per convogliare gli scarichi dell'impianto, dei bollitori e le eventuali perdite di acqua all'interno del locale. La mancanza dello scarico causa la non corretta defluizione delle acque e di conseguenza la loro stagnazione all'interno del locale". 7) Non corretta installazione delle macchine VMC all'interno degli appartamenti dei condomini (...) (edificio A), M. (edificio A), (...) (edificio A), (...) (edificio A), T. (edificio A), T. (edificio B), T. (edificio B), G. (edificio A), (...) (edificio A), (...) (edificio B): "L'errato posizionamento delle botole di ispezione nel disimpegno dove è installata la macchina della VMC non permette l'accesso ai filtri della macchina stessa". 8) Non corretta installazione delle griglie esterne delle VMC a servizio degli appartamenti: "L'errato posizionamento dei canali di immissione aria esterna ed espulsione aria vizia interna crea interferenza sulle griglie esterne". 9) Non corretta installazione della regolazione batteria delle VMC a servizio degli appartamenti. Mancanza di elettrovalvola On/Off a due/tre vie per il controllo fluido caldo/freddo: "La mancanza di regolazione sulla batteria, dovuta alla non installazione di elettrovalvola, causa il non corretto controllo delle temperature di mandata dell'aria all'interno dell'appartamento servito". 10) Mancato collegamento della seconda rete condensa prevista nelle macchine VMC installate. A riguardo il CTU ha rilevato che: "La VMC marca (...) srl, serie (...), ha una doppia funzione: - (...) igienico dell'aria attraverso un recuperatore ad alta efficienza al suo interno. - Deumidificazione ambiente attraverso un circuito frigorifero indipendente al suo interno. Di conseguenza sono previsti nr. 2 allacci di condensa alla stessa macchina, uno per la batteria e uno per il recuperatore al suo interno, così come previsto dal manuale tecnico della macchina. Attualmente è stata collegata solamente la condensa della batteria, ma in alcune situazioni dell'anno si crea condensa anche all'interno della bacinella a servizio del recuperatore di calore installato all'interno della macchina. Il mancato collegamento della seconda bacinella causa il riversamento dell'acqua di condensa nel controsoffitto". 11) Mancanza della VMC in nr. 12 locali e precisamente in quelli che hanno accorpato nr. 2 appartamenti o dei locali attigui. Condomini (...) (edificio A), G. (edificio A), (...) (edificio B), (...) (edificio B): "E' stato installato il Deumidificatore a servizio degli ambienti annessi all'appartamento, ma non il ricambio igienico dell'aria come nel resto dell'appartamento. La mancanza di VMC in questi ambienti causa un ricircolo continuo della stessa aria interna e un non ottimale ricambio igienico dell'aria, così come avviene in tutti i locali restanti dell'appartamento". 12) Non corretta installazione dell'esalazioni (...). A riguardo il CTU aveva appurato le seguenti irregolarità: "- Tratti orizzontali di tubazioni in PP grigio all'altezza dell'ultima soletta degli edifici con lunghezze di circa 10/15 metri per raggiungere il cavedio di esalazione. - Presenza di acqua all'interno delle tubazioni orizzontali. - Tubazioni in contropendenza rispetto al flusso d'aria. - Mancanza di sistemi raccolta condensa all'interno degli appartamenti. - Interferenza tra l'appartamento del Sig. (...) piano secondo edificio "A" e l'appartamento del Sig. (...) piano primo edificio "A", in quanto utilizzano lo stesso condotto di esalazione cappe cucina I lunghi tratti orizzontali delle tubazioni di esalazione delle cappe cucina raffreddano ulteriormente i vapori di cottura delle piastre a induzione, causando la formazione di condensa al loro interno. La stessa ristagna nelle tubazioni in contropendenza e, a causa della mancanza dei sistemi di raccolta condensa, si riversa all'interno degli appartamenti". 13) Mancanza di documentazione tecnica finale sugli impianti meccanici centralizzati. A riguardo il CTU aveva accertato l'insufficienza della documentazione relativamente alla tipologia impiantistica installata, ritenendo necessaria una integrazione dei certificati e progetti come elencati nella relazione peritale. Così sinteticamente descritti i vizi e difetti accertati dal CTU, il Tribunale reputa provato in giudizio la non conformità delle opere eseguite alle regole dell'arte. Le conclusioni a cui giunge il CTU sono pienamente condivise da questo Giudice, in quanto la relazione è accurata e completa sotto ogni profilo e l'iter motivazionale seguito appare congruo alla natura dei quesiti, sorretto da precise argomentazioni tecniche e normative di riferimento e immune da qualsivoglia vizio logico come, analogamente, le controdeduzioni formulate in ordine alle osservazioni fatte dai consulenti di parte. In base alle risultanze della consulenza tecnica si ritiene che i su menzionati vizi e difetti, come rilevati e descritti dalla C.T.U., siano riconducibili alla fattispecie dell'art. 1669 c.c.. C.'è noto, secondo la giurisprudenza di legittimità, nella nozione di gravi difetti rientrano non solo quelli che possono pregiudicare la sicurezza o la stabilità dell'edificio, ma anche quelli da cui deriva un apprezzabile danno alla funzione economica od una sensibile menomazione del normale godimento dell'edificio o del suo valore di scambio, rivestendo il carattere della gravità tutte quelle alterazioni che incidono sulla sostanza dell'opera e su tutti quegli elementi che devono essere presenti affinché l'opera stessa possa fornire la normale utilità in relazione alla sua funzione economica e pratica (ex pluribus, cfr. Cass. n. 19868/2009 ; Cass. n. 1468/1999, Cass. n. 456/1999, Cass. n. 2977/1998, Cass. n. 1393/1998, Cass. n. 1203/1998, Cass. n. 7992/1997, Cass. n. 10624/1996, Cass. n. 13106/1995, Cass. n. 5103/1995, Cass. n. 1164/1995, Cass. n. 1081/1995, Cass. n. 245/1995, Cass. n. 10218/1994, Cass. n. 13112/1992, Cass. n. 9081/1992, Cass. n. 1686/1991, Cass. n. 3339/1990). Consegue che possono integrare la fattispecie prevista dall'art. 1669 c.c. anche i difetti inerenti elementi secondari e accessori purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene secondo la destinazione propria di quest'ultimo (cfr. Cass. SU n. 7756/2017). In particolare, in tema di impianti la Corte di Cassazione ha affermato che "I gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti dei committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti soltanto su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini." (Cass. civ. Sez. 2 - , Ordinanza n. 24230 del 04/10/2018) Ed ancora "Il "difetto di costruzione" che, a norma dell'art. 1669 cod. civ. legittima il committente all'azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell'appaltatore può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la "rovina" o il "pericolo di rovina"), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo cui èdestinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l'impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incide negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo, mentre i vizi (o le difformità dell'opera dalle previsioni progettuali o dal contratto d'appalto), legittimanti l'azione di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1667 cod. civ. non devono necessariamente incidere in misura rilevante sull'efficienza e la durata dell'opera." (Cass. civ. Sez. 2, Sentenza n. 456 del 19/01/1999). Alla luce di tale ricostruzione ermeneutica deve affermarsi che anche i vizi relativi all'impianto di ventilazione meccanica controllata (VMC) devono ritenersi gravi e meritevoli della tutela ex art. 1669 c.c. ancor più nel caso di specie, ove si consideri, altresì, la tipologia di edificazione rappresentata dal Condominio de quo, che stante la stessa propaganda pubblicitaria effettuata dai convenuti (doc. 61TER di parte attrice) era stato progettato e realizzato con tecniche improntate ad un ampio risparmio energetico e rispetto dell'ambiente, con ricorso a tecnologie all'avanguardia, di cui il sistema di VMC ne faceva parte integrante essenziale, posto che in tali strutture edilizie la ventilazione meccanica è fondamentale per prevenire problemi di umidità e muffa, conservando al meglio l'edificio e proteggendone il suo valore. Dunque, tutti i vizi rilevati dalla CTU rientrano nell'ambito dei gravi difetti ex art. 1996 c.c.. Analogamente vi rientrano tutte le irregolarità o carenze della documentazione elencata nella relazione tecnica resa in sede di ATP, come ad esempio il certificato di collaudo e taratura dei sistemi di contabilizzazione dell'energia sull'impianto di riscaldamento/raffrescamento e contabilizzazione volumetrica sull'impianto idrico sanitario, nonché il certificato di collaudo e taratura dell'impianto VMC/DEUMIDIFICAZIONE installato negli appartamenti ed i progetti costruttivi dell'impianto meccanico realizzato. In ordine a tali vizi e difetti non può ritenersi intervenuta alcuna decadenza o prescrizione dall'azione risarcitoria de qua, in quanto per costante orientamento giurisprudenziale si deve ritenere che i termini ex art. 1669 c.c. decorrano dal momento in cui si acquisisce un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva non solo dei difetti ma anche della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, momento coincidente, di regola, con l'acquisizione di relazioni peritali anche solo di parte e, nel caso di specie, dalla redazione della perizia depositata in data 27 aprile 2017 nell'ambito del procedimento per ATP R.G. n. 6299/16 (ex plurimis Cass., n. 24052/2021). Quindi, i citati termini, nel caso di specie, sono stati rispettati posto che a conclusione del procedimento per ATP su menzionato, con raccomandata del 16 aprile 2018 (doc. 58 del fascicolo attoreo), quindi entro il termine di decadenza di un anno, il Condominio denunciava i vizi e con raccomandata del 8 aprile 2019 (doc. 59 del fascicolo attoreo) interrompeva il termine prescrizionale di un anno per poi promuovere il presente giudizio con la notifica dell'atto di citazione in data 11 ottobre 2019. La circostanza, riportata da parte convenuta, che già nel 2014, nel corso dell'assemblea straordinaria, i condomini avessero lamentato la fuoriuscita di acqua marrone dalle tubature e la società collaudatrice e manutentrice degli impianti, la (...), avesse dichiarato che l'ingresso di acqua contaminata era da attribuire alla rete pubblica dell'acquedotto, non assume alcuna rilevanza ai fini del decorso del termine di decadenza e di prescrizione in quanto all'epoca non risultava oggettivamente accertata la causa del proliferare dei ferrobatteri, poi verificata in sede di ATP, il cui esito è stato, oltretutto, diametralmente opposto a quello prospettato dalla (...)-ind, in quanto è stata esclusa la provenienza dei ferrobatteri dall'acquedotto comunale. I vizi rilevati riguardano le opere appaltate dalla (...) S.r.l. alla (...) s.r.l., società dichiarata fallita in data 2 settembre 2013 dal Tribunale di Busto Arsizio. Sussiste, pertanto, la responsabilità dei convenuti, (...) S.r.l. committente/venditrice e l'Arch. (...), quale direttore dei lavori e progettista. Per quanto concerne la committente, tale società è legittimata passiva in relazione all'azione ex art. 1669 c.c., in quanto in tema di appalto, la giurisprudenza ritiene che la responsabilità sancita dall'art. 1669 c.c. sia applicabile al committente - venditore che abbia avuto una qualche ingerenza, sorveglianza o influenza nella realizzazione dell'opera, come può avvenire, esemplificativamente, quando egli nomini il direttore dei lavori o designi il progettista dalla cui negligenza dipenda, sia pure in concorso con l'appaltatore, il vizio lamentato. Come emerge dalla documentazione in atti (doc. 62 di parte attrice), la (...) S.r.l. ha dato in appalto le opere di impiantistica alla società (...) srl, ad oggi fallita, con attribuzione dei compiti di progettazione e direzione dei lavori all' arch. (...) il quale oltretutto, dalla visura camerale in atti, risulta essere socio della (...) S.r.l. nella misura del 50% del capitale sociale. All'Ing. (...) è stato attribuito il solo compito di coordinamento in fase di progettazione ed in fase di esecuzione del piano di sicurezza e coordinamento. In relazione ai vizi accertati, sussiste, pertanto, anche una concorrente responsabilità ex art. 2055 c.c. del progettista/direttore dei lavori Arch. (...). Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, in caso di difetti di costruzione rispondono a titolo di concorso con l'appaltatore tutti quei soggetti, quali il progettista ed il direttore dei lavori che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'immobile, abbiano contribuito, per colpa professionale, alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione (Cass. 2006 n.3406, Cass. 2012 n.8016). "Il vincolo di responsabilità solidale fra l'appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale" (Cass., ord. n. 29218/2017). Con specifico riferimento al direttore dei lavori, in generale si rileva che, come ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, "l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sue varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati. L'adempimento di tali obbligazioni richiede quindi non solo la verifica della conformità della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, ma altresì impone l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi e, conseguentemente, l'esercizio del potere concreto di vigilanza e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente" (Cass. 2008 n.10728; Cass. 2006 n.4366). In definitiva, va accolta la domanda di parte attrice nei confronti dei convenuti, con condanna dei medesimi in via solidale, ai sensi dell'art. 2055 c.c., al risarcimento dei danni derivanti dai suddetti vizi. Con riferimento al quantum debeatur, il CTU in sede di ATP aveva stimato i costi di emenda pari a complessivi Euro 159.524,00 oltre IVA. Parte attrice ha affermato che al termine dell'accertamento tecnico preventivo e prima dell'instaurazione del presente giudizio, stante l'urgenza, ha proceduto all'emenda dei primi sei vizi, avanzando nella presente sede domanda risarcitoria per un importo superiore a quello quantificato in sede di accertamento tecnico preventivo, in quanto nel corso degli interventi correttivi, sarebbero emerse altre problematiche non prevedibili all'epoca dell'accertamento tecnico preventivo e che avrebbero comportato ulteriori costi. È stata, pertanto, disposta ulteriore CTU al fine di accertare se gli interventi eseguiti dagli attori siano stati risolutivi di tutti i vizi riscontrati in sede di ATP e se per l'esecuzione dei lavori in connessione ai vizi riscontrati in sede di ATP siano stati necessari ulteriori interventi, accertandone la pertinenza ed i costi. A conclusione delle operazioni peritali, il CTU ha potuto accertare che a seguito degli interventi effettuati dal Condominio "... sono stati solo parzialmente eliminati i vizi riscontrati in A.T.P. Nonostante i lavori eseguiti dal Condominio ... si sono riscontrati dopo opportune analisi la presenza di (...) e di ferro in sospensione all'interno dei circuiti di distribuzione", nonché nell'impianto centralizzato di Riscaldamento/Condizionamento e acqua sanitaria fredda/calda/ricircolo. Il risultato delle analisi ha dato un valore della presenza di ferrobatteri superiore ai valori trovati nelle analisi eseguite nell'A.T.P. Come relazionato dal CTU, "Questi valori stanno a significare che è ancora in atto una proliferazione all'interno dell'impianto, con conseguente aumento del ferro in circolo prodotto da una corrosione in essere. Per quanto riguardano i vizi interni agli appartamenti sono stati eseguiti solamente degli interventi parziali senza intervenire in modo risolutivo ai vizi evidenziati in A.T.P., soprattutto in merito alle cappe cucina." (pagg. 14-15, 22-23 della relazione peritale). Quanto agli interventi ulteriori eseguiti dal Condominio in riferimento a problematiche non emerse né prevedibili in sede di ATP, dalle operazioni peritali sono risultate necessarie le sole opere di: - Basamento per le unità esterne dell'Edificio "A" e "B" - Piantumazione esterna della zona macchine Daikin dell'Edificio "A" e "B" in merito allo spostamento delle unità esterne. - Sostituzione delle unità esterne e relative unità interne, in quanto ad Settembre 2017 il sistema Flex Type HT è andato fuori produzione per adeguamento normativa ERP e non c'è la retrocompatibilità. Si allega comunicazione dell'agenzia Daikin della provincia Milano. (pag. 24 della relazione tecnica) per un ammontare dei relativi costi pari a Euro 65.600,00 oltre IVA da porre in capo ai convenuti. Pertanto, il CTU ha ritenuto che in ordine ai vizi e difetti attualmente ancora permanenti ed ai relativi costi, quelli relativi all'impianto centralizzato sono riferibili al Condominio per la sola parte eccedente la stima fatta in fase di A.T.P. integrata dei costi di Euro 65.600,00 oltre IVA per le opere su citate; ciò in quanto l'Ente di gestione, ha incaricato e appaltato a proprie imprese tra il 2017/2018/2019 una serie di lavorazioni con l'intento di eliminare i vizi dell'impianto centralizzato rilevati nella precedente A.T.P., interventi che però, in sede di CTU in corso di causa, non sono risultati risolutivi della problematica per ragioni non imputabili ai convenuti. In merito ai vizi e difetti rilevati nella precedente A.T.P. all'interno degli appartamenti degli attori, sistemati e parzialmente sistemati dai singoli attori, e agli ulteriori vizi totalmente presenti e sui quali ancora il Condominio non ha eseguito alcun intervento, il CTU ha confermato la riferibilità dei medesimi ai convenuti. La nuova stima dei costi, tenuto conto di quanto evidenziato dal CTU, ammonta, pertanto, a Euro 201.940,00 (già comprensiva dell'importo di Euro 65.600,00 per le ulteriori lavorazioni resesi necessarie successivamente all'A.T.P. ut supra esaminate) oltre IVA. Si ritiene corretta e condivisibile la nuova stima dei costi di emenda eseguita dal CTU, in quanto fondata su criteri tecnici esenti da censure e congruamente motivata, avendo esplicitato il consulente le ragioni della valutazione dei vari interventi e avendo replicato puntualmente alle osservazioni dei consulenti di parte. Alla luce dei formulati rilievi, il danno risarcibile ammonta complessivamente a Euro 201.940,00 oltre IVA, trattandosi di un costo che rimarrà a carico del Condominio a seguito dell'esecuzione delle opere di ripristino. Non risulta provato che il Condominio abbia beneficiato del bonus fiscale del 50% per gli interventi eseguiti, circostanza che è stata meramente allegata dai convenuti ma non sorretta da alcun elemento probatorio. Analogamente, deve escludersi il risarcimento per mancato o pregiudicato uso delle parti comuni, avendo parte attrice meramente allegato, senza provare, il danno subito. Quanto, invece, all'ulteriore richiesta risarcitoria relativa all'errata installazione delle cappe cucina, la soluzione prospettata dal CTU non è risolutiva del problema ma costituisce solo un palliativo. Il CTU ha infatti, evidenziato che "la totale sistemazione della problematica di formazione condensa e la conseguente rientrata di acqua negli appartamenti è risolvibile solamente con l'installazione di sistemi raccolta condensa per ogni singola tubazione. Questo è quasi totalmente irrealizzabile se non intervenendo in modo pesante a livello edile all'interno delle singole cucine o bagni ciechi" (pag. 68 della relazione tecnica resa in sede di ATP). I costi per l'intervento proposto sono stati stimati dal CTU ed inseriti nell'ammontare complessivo dei costi di emenda. Si ritiene equo riconoscere un ulteriore importo di Euro 1.000,00 per ciascuna unità abitativa a titolo di risarcimento del danno data l'impossibilità di rimediare in toto al vizio accertato. Nulla invece va riconosciuto in ordine a tale voce di danno al Condominio, data la natura di ente di gestione delle parti comuni ed essendo i vizi alle cappe cucina di pertinenza dei singoli appartamenti in proprietà esclusiva. Su tali somme sin qui liquidate, spetta la rivalutazione a decorrere dalla data di manifestazione dei danni in parola, riportabile, in assenza di riferimenti temporali certi diversi, alla relazione del CTU in sede di accertamento tecnico preventivo in data 27 aprile 2017, non avendo la CTU nel presente giudizio attualizzato la stima espressa, oltre ad interessi legali dalla data della domanda giudiziale al saldo. Ora acclarata la responsabilità dei convenuti in solido va, da ultimo, esaminata la domanda di manleva proposta dagli stessi nei confronti di (...) SpA. Quest'ultima eccepisce in primis la tardività della denuncia del sinistro in violazione delle Condizioni Generali di Assicurazione con la conseguente perdita del diritto all'indennizzo ex art. 1915 c.c. Tale eccezione è infondata. Secondo l'orientamento giurisprudenziale di legittimità, "in tema di assicurazione contro i danni, l'inosservanza, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità ed i tempi previsti dall'art. 1913 c.c. ed, eventualmente, dalla polizza, non può implicare, di per sè, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all'indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall'assicuratore, ai sensi dell'art. 1915 c.c., comma 2"; -"l'onere di provare la natura, dolosa o colposa dell'inadempimento spetta all'assicuratore. Nel caso previsto dall'art. 1915 c.c., comma 1 dovrà provare il fine fraudolento dell'assicurato; in quello regolato dall'art. 1915, comma 2 dovrà invece dimostrare che l'assicurato volontariamente non ha adempiuto all'obbligo di dare l'avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto"(Cass. civ. Sez. III, Ord., 30-09-2019, n. 24210). Non avendo, la società assicuratrice, soddisfatto nel caso di specie l'onere probatorio posto a suo carico, non può operare il meccanismo di decadenza previsto dalle disposizioni richiamate. Venendo all'esame dell'eccezione di prescrizione del diritto dell'assicurato a percepire l'indennizzo, secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'art. 2952, terzo comma, c.c. va interpretato restrittivamente: la prescrizione del diritto all'indennizzo decorre dal giorno in cui l'assicurato riceve una richiesta risarcitoria dal significato univoco ed idonea a prospettare una concreta iniziativa del danneggiato, di modo che l'assicurato avverta l'urgenza di darne comunicazione all'assicuratore (Cassazione civile, sez. II, 31 Gennaio 2019, n. 2971). Nel caso concreto, la difesa della Compagnia indica quale dies a quo la missiva del 31 agosto 2015 (doc. 56 di parte attrice) inviata dal legale del Condominio nella quale si invitavano i convenuti a porre rimedio alle problematiche lamentate: "Nel contestarVi quindi la Vostra esclusiva responsabilità nella determinazione degli eventi denunciati per quanto di Vostra rispettiva competenza. Vi invito ad un immediato intervento definitivo, precisandoVi che in difetto e senza ulteriori solleciti, procederò giudizialmente nei Vostri confronti come da mandato già conferitomi". Tuttavia, il tenore letterale della comunicazione citata non è quella esplicita di una richiesta di risarcimento del danno, quale quella inviata dal legale del Condominio a seguito dell'esperimento dell'accertamento tecnico preventivo in data 16 aprile 2018 (doc. 58 di parte attrice) ove è dato leggere: "? ad ogni effetto di legge sono nuovamente a contestarVi la Vostra esclusiva responsabilità nella determinazione degli eventi denunciati e ad intimarVi, in via solidale e/o ciascuno per quanto di propria competenza, l'immediato (e comunque entro e non oltre 15 giorni dal ricevimento dellapresente) risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi, che mi riservo di quantificare. In difetto mi vedrò costretto ad agire giudizialmente nei Vostri confronti per la tutela degli interessi dei miei assistiti. La presente costituisce atto di costituzione in mora, anche ai fini interruttivi della prescrizione." In tale ultima missiva vi è una chiara ed inequivoca richiesta risarcitoria, nella quale viene rivolta una espressa intimazione di pagamento entro un termine prestabilito, resa ancor più seria alla luce del precedente esperimento della procedura di accertamento tecnico preventivo che ha riconosciuto la sussistenza dei vizi lamentati dal Condominio e della relativa responsabilità dei convenuti. Da tale momento può ritenersi, dunque, sorta controversia sul punto e, quindi, il dies a quo del termine di prescrizione, in quanto come precisato dalla giurisprudenza di legittimità il termine decorre solo dal momento in cui l'assicurato ha ricevuto una richiesta risarcitoria dal significato inequivocabile, restando escluso il ricorso per accertamento tecnico preventivo (Cass. civ. Sez. III, Ord., 15-06-2020, n. 11581). La prescrizione, nel caso di specie, risulta essere stata interrotta dalla denuncia del sinistro, avvenuta, come dichiarato dalla stessa Compagnia assicurativa, in data 16 ottobre 2017. Va, invece, accolta l'eccezione di inoperatività della garanzia con riguardo a entrambe le polizze stipulate dalla (...) S.R.L. e dall'ARCH. (...). All'art. 1 della polizza contratta dalla (...) S.R.L. risulta che la copertura assicurativa ha ad oggetto "i danni materiali e diretti causati all'opera assicurata, durante il periodo di efficacia del contratto, da uno dei seguenti eventi purché derivanti da difetto di costruzione: a) rovina totale dell'opera; b) rovina e gravi difetti di parti dell'opera, destinate per propria natura a lunga durata, che compromettano in maniera certa ed attuale la stabilità dell'opera; c) certo ed attuale pericolo di rovina dell'opera o delle dianzi indicate parti di essa; d) rovina di parti dell'opera non destinate per propria natura a lunga durata, solo se conseguente ad un evento previsto ai punti precedenti." Analogamente, come si legge alla lett. A delle "CONDIZIONI AGGIUNTIVE" della polizza stipulata dall'arch. (...), "?la garanzia vale anche per i danni causati alle opere oggetto di progettazione, direzione lavori e collaudo e a quelle sulle quali o nelle quali si eseguono o si sono eseguiti i relativi lavori di costruzione a condizione che si verifichi uno dei seguenti eventi: a) rovina totale delle opere b) rovina e gravi difetti di parti delle opere destinate per loro natura a lunga durata, che compromettano in maniera certa ed attuale la stabilità dell'opera. Si precisa inoltre che sono compresein garanzia le spese imputabili all'Assicurato per neutralizzare o limitare le conseguenze di un grave difetto che comprometta in maniera certa ed attuale la stabilità dell'opera, determinando pericolo di rovina dell'opera stessa o di parti di essa, con obbligo da parte dell'Assicurato di darne immediato avviso alla Società". L'interpretazione letterale delle clausole negoziali induce, quindi, senza ombra di dubbio a ritenere gli eventi di causa, seppur gravi, non ricompresi nell'oggetto della copertura assicurativa. Ed invero, la natura dei vizi accertati dalla CTU non integra l'ipotesi di rovina totale o parziale dell'edificio ovvero di vizio idoneo a compromettere in maniera certa ed attuale la stabilità dell'edificio. Le spese del presente giudizio nonché quelle del procedimento di accertamento tecnico preventivo, seguono il principio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo, come anche le spese relative alla consulenza tecnica di ufficio disposta in sede di ATP e nel presente giudizio. Spetta, altresì, a parte attrice il rimborso delle spese per la consulenza tecnica di parte, avendo natura di allegazione difensiva tecnica (Cass. civ. Sez. 2, 03/01/2013 n. 84), che si liquida nella minor somma di Euro 2.000,00. P.Q.M. Il Tribunale di Busto Arsizio, sezione III civile in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede: 1) Condanna i convenuti (...) SRL, in persona del legale rappresentante, e l'ARCH. (...) in solido al pagamento in favore degli attori, a titolo di risarcimento dei danni ex art. 1669 c.c., della somma di Euro 201.940,00 oltre IVA, oltre a rivalutazione e interessi legali sulle somme annualmente rivalutate dal 27 aprile 2017 ad oggi; oltre interessi legali da oggi al saldo. 2) Condanna i convenuti (...) SRL, in persona del legale rappresentante, e l'ARCH. (...) in solido al pagamento di Euro 1.000,00 in ragione di ogni unità abitativa e a favore dei rispettivi proprietari-condomini costituiti nel presente giudizio, a titolo di risarcimento per il deprezzamento di valore dell'immobile dovuto alla non corretta installazione dell'esalazioni cappe cucina, vizio non emendabile, oltre a rivalutazione e interessi legali sulle somme annualmente rivalutate dal 27 aprile 2017 ad oggi; oltre interessi legali da oggi al saldo. 3) Condanna i convenuti (...) SRL, in persona del legale rappresentante, e l'ARCH. (...) in solido al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 2.000,00 a titolo di rimborso delle spese per consulenza tecnica di parte oltre accessori di legge. 4) Condanna altresì i convenuti (...) SRL, in persona del legale rappresentante, e l'ARCH. (...) alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore degli attori, che si liquidano in Euro 14.000,00 per compenso professionale, oltre spese generali, i.v.a., c.p.a. e anticipazioni (c.u., marche e spese di notifica). 5) Condanna i convenuti (...) SRL, in persona del legale rappresentante, e l'ARCH. (...) alla rifusione in favore degli attori delle spese sostenute nel giudizio per Accertamento Tecnico Preventivo, che si liquidano in Euro 3.800,00 per compenso professionale oltre spese generali, i.v.a., c.p.a. e anticipazioni (c.u., marche e spese di notifica) 6) Pone le spese di CTU, disposta nel presente giudizio e le spese di CTU nel procedimento di ATP, definitivamente a carico solidale dei convenuti (...) SRL e ARCH. (...). 7) Rigetta le domande di manleva formulate da (...) SRL e ARCH. (...) nei confronti di (...) SpA e, per l'effetto, condanna i primi alla rifusione in favore della società assicurativa delle spese di lite del presente procedimento che liquida in complessivi Euro 5.000,00. Così deciso in Busto Arsizio il 26 luglio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Paganini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 5926/2021 del Ruolo Generale promossa da: GI.RU. (c.f. (...)), con il patrocinio dell'avv. Ma.Cr.; ATTORE contro AL.VI. (c.f. (...)), BR.RI. (c.f. (...)) e DR ES.ME. S.R.L. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentantepro tempore, con il patrocinio dell'avv. An.Bo.; CONVENUTI nonché contro H.A. S.P.A. (c.f. (...)), già H.I. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Di.Mu.; TERZA CHIAMATA nonché contro AL. S.P.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. Fr.Al.; TERZA CHIAMATA Conclusioni delle parti Per la parte attrice: "NEL MERITO: previa ogni più opportuna declaratoria accertata e dichiarata la responsabilità dei resistenti Dott. AL.VI. e Dott. BR.RI. nonché della struttura Sanitaria 'Dr. ES.ME. S.r.l.' per i titoli esposti in narrativa, in via esclusiva o concorrente secondo eventualmente la ritenuta congrua percentuale di colpa di ognuno dei resistenti, condannare i medesimi in via tra loro solidale e/o alternativa e/o concorrente al risarcimento dei danni tutti patiti dal ricorrente, nella misura di complessivi Euro 10.144,50.- per le varie componenti del danno non patrimoniale oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interesse legali dal dovuto 26/10/2017 al saldo, o in quella diversa misura maggiore e minore che sarà ritenuta dovuta ed oltre al rimborso dell'importo di Euro 3.200,00.- oltre agli interessi legali dal dovuto al saldo. Oltre alle spese e competenze legali del procedimento di ATP da liquidarsi conformemente alla tariffa di cui al D.M. 55/2014, all'importo di Euro 2.440,00.- corrisposto ai CTU per spese e compensi ed alle spese e compensi professionali del presente giudizio, oltre al rimborso forfettario del 15% ed agli accessori di legge. IN VIA ISTRUTTORIA: ammettersi prova per interpello dei due medici convenuti Dott. Vi.Al. e Dott. Ri.Br. e del legale Rappresentante della Dr ES.ME. e per testi sui seguenti capitoli di prova, preceduti dall'inciso 'vero che': 1) in data 26 ottobre 2017 l'esponente si recava nell'ambulatorio "DA." sito presso la "DR. ES.ME. S.R.L." con sede in Padova (...) (P.IVA (...)) per essere sottoposto ad un intervento di 'liposcultura', che veniva eseguito dal DR. AL.VI. (doc. 1 -cartella clinica "anno 10/2017") previo pagamento in contanti dell'importo di Euro 3.200,00.-; 2) l'intervento aveva però esito del tutto negativo, non risolvendo i problemi dell'esponente, che anzi ha visto formarsi un progressivo accumulo di grassi concentrati in prossimità della zona ombelicale dell'addome; 3) la clinica odierna resistente, nella persona dell'Amministratore Signora Za.Cr., esaminata la cartella clinica ed accertato l'esito assolutamente negativo dell'intervento, invitava l'esponente a sottoporsi ad un secondo intervento promesso come risolutore, che avveniva il 6/10/2018 per mezzo del Dott. BR.RI. (doc. 2 "scheda valutazione medico-estetica") a spese della clinica stessa; 4) anche questo secondo intervento non risolveva il problema, tanto che l'esponente il 10/4/2019 si sottoponeva ad 'Ecografia sottocute parete addominale ' con il seguente esito 'In corrispondenza delle tumefazioni palpatoriamente apprezzabili si rileva presenza di accumuli focali di tessuto adiposo a margini sfumati con spessore massimo di 6 mm., quest'ultimo a sede paraombellicale ds. (doc. 3)'; 5) le fotografie che si producono sub doc. 4 evidenziano ictu oculi il problema; 6) con raccomandata A/R 19/9/2019 (doc. 5) l'esponente chiedeva agli odierni resistenti gli estremi delle rispettive Compagnie Assicurative, senza ricevere alcun riscontro; 7) il c.d. 'peggioramento estetico della regione addominale' (cfr pag. 8 ctu), derivata al sig. Ru. a seguito dei due interventi ha provocato al medesimo un grave disagio nella sfera prettamente intima e privata; 8) il disagio del sig. Ru. causa peggioramento estetico della ragione addominale si manifesta a livello relazionale e nel rapporto con il partner; 9) il sig. Ru. manifesta vergogna nel potersi mostrare a petto nudo in spiaggia o in piscina o in palestra causa peggioramento estetico della ragione addominale. Si indicano sin d'ora a testimoni i sig.ri: 1. Wa.Gh. - Casorezzo - Via (...). 2. An.Ma. - Villastanza di Parabiago - via (...). 3. El.Zu. - Busto Garolfo - via (...). 4. Ma.Am. - Castano Primo - via (...). Si chiede concedersi i termini ex art. 190 cpc per il deposito di comparse conclusionali e repliche. ". Per le parti convenute: "NEL MERITO In via principale Per le ragioni di cui agli atti di causa, respingersi le domande dell'attore nei confronti del dott. Ri., del dott. Vi. e della DR ES.ME. Srl in quanto infondate in fatto e in diritto. Spese di lite rifuse. In via subordinata nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande attoree, ridursi le pretese alla minor somma ritenuta di giustizia, e ritenersi che AL. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore e H.I. Spa (già Am.As. Spa), in persona del legale rappresentante pro tempore, sulla base dei rapporti contrattuali dedotti in atti, essendo emerso che eventualmente trattasi di danno estetico di natura biologica e pertanto rientrante nella copertura assicurativa, siano condannate a tenere indenni e manlevare rispettivamente il dott. Ri. e il dott. Vi. da qualsivoglia pretesa economica in ordine ai fatti per cui è lite. Per le stesse causali, condannarsi le compagnie assicurative alla rifusione delle spese di lite in favore rispettivamente del dott. Ri. e del dott. Vi.. In via istruttoria: si chiede il rinnovo della CTU diretta ad accertare la correttezza del trattamento praticato dagli odierni resistenti nei confronti di Ru.Gi..". Per la terza chiamata H.A. S.p.A.: "Voglia l'Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria eccezione, così giudicare: Nel merito In via principale, rigettare ogni domanda svolta nei confronti di H.I. S.p.A., poiché infondata in fatto ed in diritto. Con vittoria di spese e competenze di lite. In via subordinata, limitare l'onere di indennizzo gravante su H.I. S.p.A. a quanto ritenuto di giustizia all'esito dell'istruttoria e comunque nei termini ed entro i limiti contrattualmente previsti. ". Per la terza chiamata AL. S.p.A.: "A - sulla garanzia: - respingere la domanda in quanto infondata e comunque non provata anche sotto il profilo dell'inoperatività; - respingere, in ogni caso, la domanda di manleva totale, escludendo dalla prestazione assicurativa le somme eventualmente dovute per restituzione dei compensi e quelle ulteriori rispetto al debito risarcitorio pro-quota riferibile al dott. BR.RI.; - nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda, determinare l'obbligazione della Compagnia tenuto conto della normativa di cui alla polizza R.C. professionale, ivi compresi scoperto e/o franchigia alle condizioni evidenziate in atti; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. B - sulla domanda principale del sig. GI.RU.: Nel merito: - respingersi la domanda in quanto infondata in fatto ed in diritto e, comunque, non provata; - respingersi comunque ogni pretesa nei confronti del dott. BR.RI.; - respingere, perché irrituale, infondata e non provata, ogni richiesta in relazione alla restituzione dei compensi; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. C - nei confronti dei convenuti dott. AL.VI. ed s.r.l. DR. ES.ME.: - determinarsi, nel rapporto interno, l'obbligazione risarcitoria di ogni singolo soggetto; - con condanna - nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle eccezioni proposte dalla s.p.a. AL. - della s.r.l. DR. ES.ME., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, nonché del dott. AL.VI. alle restituzioni in favore della s.p.a. AL. conseguenti alla ripartizione proporzionale di responsabilità; - con vittoria di spese e competenze di causa, oltre spese generali ed accessori di legge. D - in via istruttoria ed esclusa ogni inversione dell'onere della prova: - riproposta ogni istanza, osservazione, deduzione, contestazione, eccezione ed opposizione di cui alla comparsa di costituzione, alle memorie ex art.183, VI° co. n.2 e n.3 c.p.c., nonché a verbale di causa. - reiterata ogni contestazione alla documentazione prodotta dall'attore.". Motivi della decisione GI.RU. ha convenuto innanzi al Tribunale di Busto Arsizio DR ES.ME. S.r.l., il dr. AL.VI. ed il dr. BR.RI. con procedimento ex art. 702-bis c.p.c., domandando accertarsi la responsabilità esclusiva o concorrente dei resistenti nella determinazione dei danni lamentati dal ricorrente e condanna degli stessi a restituire il corrispettivo di Euro 3.200,00 percepito per l'intervento chirurgico di liposuzione all'addome praticato in data 26-10-2017 dal dr. AL.VI., nonché a pagare l'ulteriore importo di Euro 10.144,50 a titolo di risarcimento. Il ricorrente riferiva, infatti, che l'operazione, eseguita presso la clinica DR ES.ME. S.r.l., aveva sortito esito negativo, avendo determinato un peggioramento degli inestetismi lamentati dal Ru.. La legale rappresentante della struttura sanitaria aveva perciò invitato l'esponente a sottoporsi gratuitamente ad un secondo intervento, volto alla eliminazione definitiva delle problematiche rimaste irrisolte ed effettivamente eseguito il 06-10-2018 ad opera del dr. BR.RI.. Tuttavia, anche la seconda operazione non aveva emendato gli esiti negativi della prima, come attestato dagli esami clinici eseguiti a distanza di alcuni mesi. Per tali ragioni, il Ru. aveva infine promosso innanzi al Tribunale di Busto Arsizio il procedimento ex art. 669-bis c.p.c. n. 6945/19 R.G., conclusosi con il deposito dell'elaborato peritale da parte dei c.t.u. nominati, dr. Al.Mi. e Fe.Am., nel quale si dava conto di errori tecnici commessi tanto nel corso del primo intervento chirurgico, quanto nel corso del secondo, si accertava la sussistenza dei danni denunciati dal ricorrente e la loro riconducibilità all'operato dei sanitari. Costituitisi in giudizio con comparsa depositata in data 03-02-2022, i resistenti DR. ES.ME. S.r.l., AL.VI. e BR.RI. eccepivano preliminarmente l'inammissibilità/improcedibilità della domanda risarcitoria avanzata da GI.RU. nei loro confronti, per mancato rispetto del termine perentorio di 90 giorni stabilito dall'art. 8 della Legge 0803-2017, n. 24 ("Legge Gelli - Bianco") per intraprendere il giudizio di merito una volta definito il procedimento per a.t.p. ex art. 696-bis c.p.c. In via subordinata, qualora la domanda spiegata dal Ru. fosse stata ritenuta ammissibile e/o procedibile, essi chiedevano di essere autorizzati a chiamare in causa in garanzia le compagnie presso le quali erano assicurati per la responsabilità professionale (rispettivamente, HD. As. S.p.A., all'epoca Am. S.p.A., e AL. S.p.A.) e di disporre la conversione del rito, da sommario ad ordinario, in ragione delle difese svolte dal Ru., tali da imporre un'istruzione non sommaria della causa. Nel merito, i resistenti negavano qualsivoglia responsabilità nella causazione dei danni lamentati da parte ricorrente, allegando di avere operato ciascuno, per quanto di competenza, secondo i dovuti canoni di diligenza e nel pieno rispetto delle buone prassi e delle linee guida vigenti in materia (DR ES.ME. S.r.l. eccepiva, inoltre, l'esistenza di una clausola di esonero da responsabilità a proprio favore, sottoscritta dal ricorrente al momento della prestazione del consenso all'esecuzione degli interventi chirurgici). Essi concludevano, dunque, per il rigetto delle domande avversarie e, per il caso di loro accoglimento, per la condanna delle compagnie assicurative chiamate in causa a tenerli indenni da qualsivoglia obbligazioni risarcitone nei riguardi del Ru.. Alla prima udienza, svoltasi con modalità di trattazione scritta, il Giudice autorizzava la chiamata in causa di H.A. S.p.A. e di AL. S.p.A. e rinviava la procedura al 27-04-2022. Le società terze chiamate si costituivano con comparse depositate, rispettivamente, il 06-04-2022 ed il 15-04-2022. Entrambe le terze chiamate aderivano, poi, alle istanze dei convenuti di inammissibilità/improcedibilità della domanda per violazione dell'art. 8 della Legge n. 24/2017 ed instavano per la rinnovazione della c.t.u. e per la conseguente conversione del rito, affermando l'inopponibilità ad esse dell'elaborato peritale depositato all'esito del procedimento per a.t.p., non essendo state evocate nel relativo giudizio. Eccepivano, inoltre, l'insussistenza di un danno estetico, assumendo che la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata in termini di mancato raggiungimento del risultato atteso dal paziente, circostanza non coperta dalle garanzie assicurative, e contestavano la quantificazione del danno non patrimoniale operata dal ricorrente, manifestamente eccessiva, erroneamente fondata sulle tabelle in uso presso il Tribunale di Milano anziché su quelle contemplate dagli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private e, comunque, comprensiva di personalizzazione in aumento per la quale non esistevano i presupposti. Allegavano, infine, che i contratti di assicurazione prevedevano franchigie, le quali, in caso di accoglimento della domanda risarcitoria di parte attrice, avrebbero comunque dovuto determinare la riduzione dell'importo liquidabile, da rideterminare al netto degli scoperti contrattualmente stabiliti. Negavano, infine, il diritto del Ru. alla restituzione dei corrispettivi pagati per il primo intervento di liposuzione, dovendosi escludere la sussistenza in capo alle compagnie di assicurazione terze chiamate dell'obbligazione di restituire somme percepite da terzi. H.A. S.p.A. eccepiva, inoltre, la non operatività della copertura assicurativa a favore del dr. AL.VI., assumendo che il medico si fosse reso inadempiente all'onere di denunciare il sinistro imposto all'assicurato dagli artt. 1913 e 1915 c.c. Nel corso dell'udienza del 27-04-2022, il Giudice disponeva la conversione del rito e fissava udienza ex art. 183 c.p.c. per il 25-05-2022; all'esito, concedeva i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c. richiesti dalle parti, che depositavano le relative memorie. Esaurita l'istruzione della causa con l'assunzione dei mezzi di prova orale tramite interrogatorio formale dei convenuti ed escussione dei testi di parte attrice, il Giudice rinviava al 29-03-2023 per la celebrazione dell'udienza di precisazione delle conclusioni, al termine della quale tratteneva la causa in decisione ed assegnava alle parti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. In via preliminare, dev'essere esaminata l'eccezione di improcedibilità della domanda sollevata dalle parti convenute e terze chiamate per violazione dell'art. 8, comma 3, della Legge n. 24/2017. Tale disposizione prevede un'ipotesi di giurisdizione condizionata, nel senso che, per poter promuovere un'azione in materia di responsabilità medica, è necessario aver previamente promosso ricorso ex art. 696-bis c.p.c., ovvero, in alternativa, il procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28/2010 e ss. mm. L'art. 8, comma 3, della Legge n. 24/2017, nella versione vigente al momento della proposizione della domanda di merito, aggiungeva che "Ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato presso il Giudice che ha trattato il procedimento di cui al comma 1, il ricorso di cui all'art. 702 bis del codice di procedura civile". Le parti convenute e terze chiamate, facendo leva su tale disciplina, hanno invocato una pronuncia in rito in ordine alla domanda attorea, assumendo che l'attore sarebbe incorso nella sanzione dell'improcedibilità della domanda, per avere introdotto l'azione risarcitoria con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. solo in data 15-122021, ben oltre la scadenza del termine di novanta giorni dal deposito della relazione peritale nel procedimento per a.t.p. n. 6945/2019 R.G., avvenuto l'08-03-2021. Tale ricostruzione deve essere disattesa e la domanda attorea deve ritenersi procedibile anche se proposta oltre il termine di novanta giorni dal deposito della relazione di c.t.u. e dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso per a.t.p. Infatti, come ritenuto dalla preponderante giurisprudenza di merito, e come previsto dalle linee guida in materia adottate da alcuni Tribunali (ad esempio le Linee guida in materia di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 8 Legge 24/2017 stilate dalla XIII Sezione Civile del Tribunale di Roma), il termine di novanta giorni per l'avvio del procedimento di cognizione ha natura meramente ordinatoria. La contrapposta tesi della perentorietà di detto termine non convince sotto plurimi profili. In primo luogo, l'opzione interpretativa prospettata dai convenuti contrasta apertamente con la lettera della norma, posto che, in base alla formulazione del citato art. 8 della Legge n. 24/2017, è il decorso del termine perentorio di sei mesi previsto per il deposito della c.t.u. a rendere procedibile la domanda risarcitoria. Infatti, ciò che ne condiziona la procedibilità è solo ed esclusivamente l'avvio del procedimento ex art. 696-bis c.p.c., per la cui durata il legislatore ha fissato un termine, di sei mesi, che costituisce l'unico espressamente definito come perentorio. Al contrario, nessuna perentorietà è stata prevista in relazione al termine di novanta giorni per il deposito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (oggi, ricorso ex art. 281-undecies c.p.c., a seguito della riforma del rito civile introdotta dal D.Lgs. n. 149/2022), di tal che, in assenza di una qualificazione normativa espressa in tal senso, i suddetti novanta giorni non possono che essere intesi come ordinatori (art.152, comma 2, c.p.c., secondo cui "I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori"). In secondo luogo, dalla formulazione letterale dell'art. 8, comma 3, Legge n. 24/2017 emerge che il rispetto del termine di novanta giorni per l'avvio della successiva fase sommaria di cognizione con le forme dell'art. 702-bis c.p.c. è previsto "al fine di far salvi gli effetti della domanda". Ciò comporta che all'inosservanza del termine stesso non possono ricollegarsi conseguenze diverse dalla perdita della possibilità di ancorare gli effetti della domanda giudiziale al momento del deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. In altri termini, se il ricorrente ha introdotto il procedimento di merito oltre i novanta giorni, semplicemente non si avrà quell'ancoraggio e la domanda produrrà i propri effetti soltanto dal momento dell'introduzione del giudizio di merito e non da quello precedente del deposito del ricorso per a.t.p., non potendosi applicare sanzioni processuali più gravi, quale quella di onerare l'interessato di instaurare un altro processo, previa reiterazione della condizione di procedibilità per la seconda causa. Una simile evenienza si porrebbe in evidente contrasto con il principio di conservazione degli atti giudiziari, di efficienza della macchina giudiziaria e di ragionevole durata del processo. Non senza considerare lo spirito e lo scopo deflattivo sotteso alla normativa in esame; infatti, il voler necessariamente costringere la parte ricorrente ad instaurare il giudizio di merito, prima ancora di sapere se l'esito dell'a.t.p. in itinere potrà essere di supporto alle sue ragioni, appare illogico e contrario alla natura conciliativa dell'a.t.p. imposto per legge in una chiara ottica di economia processuale. Per le suesposte ragioni, la domanda proposta da GI.RU. va dichiarata procedibile (con la produzione dei relativi effetti dalla data di deposito del ricorso ex art. 702=bis c.p.c.) imponendosi il rigetto dell'eccezione in rito ex adverso formulata. Ugualmente infondata e da rigettare è l'ulteriore eccezione svolta dalla convenuta DR ES. ME. S.r.l., tesa a far valere le clausole di esonero di responsabilità per i danni conseguenti all'attività imprudente, negligente o imperita svolta dal medico operante presso la struttura sanitaria, contenute nei moduli per l'acquisizione del consenso informato destinati al paziente Ru., di cui ai documenti nn. 1 e 2 del fascicolo attoreo. Il patto di esonero preventivo dalla responsabilità sottoscritto dall'attore in favore della società convenuta è, infatti, nullo per contrarietà all'art. 1229 c.c., comma 2, in quanto la tutela della salute rileva come "norma di ordine pubblico" e la trasgressione delle disposizioni dirette a salvaguardare il bene "salute" espone l'autore della violazione al risarcimento, a prescindere da qualsiasi patto preventivo di esclusione o di limitazione di responsabilità. Ciò in quanto, nell'ambito di operatività dell'art. 1229, comma 2, c.c., vanno senz'altro ricompresi gli obblighi riguardanti la salvaguardia della altrui integrità fisica o morale, con la conseguenza che le clausole di esonero della responsabilità per i danni alla persona debbono ritenersi invalide. Osservato, incidentalmente, che le clausole di esonero in discorso sono inserite nella modulistica deputata all'acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario e, dunque, in un contesto che rende scarsamente riconoscibili l'effettiva natura delle stesse e le conseguenze della loro sottoscrizione, nella fattispecie in esame la sanzione della nullità consegue, altresì, all'indeterminatezza dell'oggetto delle clausole. Infatti, mandando libera la struttura sanitaria da "ogni obbligo e/o responsabilità derivanti dall'intervento chirurgico, essendo lo stesso di esclusiva competenza del medico", esse appaiono inidonee a individuare il contenuto dell'obbligazione, tenuto conto che le prestazioni implicate nel rapporto di spedalità tra paziente e casa di cura sono le più varie, per durata, contenuto e modalità, potendo svolgersi nel corso di anni e ricomprendere, in ipotesi, visite, accertamenti diagnostici, interventi medici e chirurgici, questi ultimi da soli o in equipe. Un obbligo così vasto e indefinito rende impossibile individuare a priori le conseguenze patrimoniali da esso scaturenti e non soddisfa il requisito di determinabilità sancito dall'art. 1346 c.c. Ancora, e soprattutto, la nullità delle clausole di esonero da responsabilità discende dalla carenza di causa. Esse sono infatti connotate da un evidente squilibrio in favore di DR ES. ME. S.r.l. e dall'assenza di un apprezzabile interesse in capo al paziente, il quale, nell'ipotesi di insorgenza di danni, si vede privato in via preventiva e definitiva della possibilità di ottenere il risarcimento dalla casa di cura, il tutto senza alcuna diretta contropartita. I patti di esonero da responsabilità contenuti nei documenti in esame risultano dunque unicamente finalizzati a traslare sulla parte debole del rapporto le conseguenze patrimoniali della responsabilità della parte forte: per tali motivi, essi non superano il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., il quale, viceversa, richiede che il contratto miri a soddisfare interessi meritevoli di entrambe le parti. Infine, si osserva che legittimare un meccanismo di trasferimento convenzionale delle conseguenze pregiudizievoli dell'inadempimento dalla struttura sanitaria al paziente si porrebbe in evidente contrasto sia con l'interpretazione comunemente data dell'art. 1228 c.c., sia con la ratio e con le disposizioni della legge n. 24/2017, poiché esso vanificherebbe il regime del c.d. "doppio binario" introdotto dalla Legge "Gelli-Bianco" nella disciplina del riparto delle responsabilità gravanti sulla casa di cura e sul medico operante nella medesima. La pluralità di elementi ora illustrata conduce dunque alla declaratoria di nullità delle clausole di esonero dalla responsabilità di DR ES.ME. S.r.l., in applicazione anche di quanto disposto dagli atti. 1229, comma 2, e 1322 c.c. La dichiarazione di nullità delle stesse vanifica, quindi, le difese svolte dalla società convenuta in merito alla rinuncia ad agire nei confronti della struttura sanitaria espressa dall'attore attraverso la loro sottoscrizione. Svolte tali necessarie considerazioni preliminari e procedendo con l'esame del merito della controversia, merita ricordare che il vigente regime della responsabilità medico-sanitaria, come codificato dalla Legge n. 24/2017, prevede una bipartizione in ragione delle diverse posizioni occupate dalla struttura sanitaria che, conformemente alla disciplina ed all'orientamento giurisprudenziale previgente, continua ad essere inquadrata nell'alveo della responsabilità contrattuale, e dall'esercente la professione sanitaria, espressamente ricondotta alla responsabilità extracontrattuale "salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente" (art. 7, comma 3, della Legge n. 24/2017), il tutto con evidenti implicazioni in termini di prescrizione, onere della prova e danno risarcibile. Infatti, nel caso in cui il paziente agisca giudizialmente nei confronti della struttura sanitaria, egli dovrà rispettare il termine di prescrizione decennale e sarà onerato di provare il contratto, di allegare l'inadempimento del medico consistente nell'aggravamento della situazione patologica del paziente o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto dell'intervento e del relativo nesso di causalità con l'azione o l'omissione dei sanitari, restando invece a carico dell'obbligato - sia esso il sanitario o la struttura - la dimostrazione dell'assenza di colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. Civ., Sez. III, Sentenza 26-02-2020, n. 5128). Inquadrata la responsabilità della struttura sanitaria nell'ambito contrattuale, il riparto dell'onere probatorio non potrà che seguire i criteri fissati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di impugnative contrattuali in ipotesi di inadempimento o inesatto adempimento (cfr. Cass. Civ., SS. UU., Sentenza 30-10-2001, n. 13533/2001). In particolare, sarà onere del paziente danneggiato provare il titolo a fondamento della propria pretesa, il danno ed il nesso causale tra quest'ultimo e le condotte (commissive e/o omissive) del debitore concretantesi nell'aggravamento della patologia o nell'insorgenza di nuove affezioni per effetto dell'intervento sanitario. Viceversa, nel caso in cui l'azione sia promossa nei confronti del medico, il paziente disporrà del termine prescrizionale di cinque anni per far valere le proprie ragioni in giudizio e sarà tenuto a dimostrare il dolo o la colpa del medico nell'esecuzione del trattamento sanitario ed il nesso causale tra la condotta dell'operatore ed il danno lamentato. Sotto questo punto di vista, la struttura sanitaria risponde, oltre che per l'inadempimento da colpa propria, anche per il fatto colposo o doloso dei suoi ausiliari, a mente dell'art. 1228 c.c., sicché sussiste nei confronti del paziente creditore una sorta di garanzia, assunta dalla struttura sanitaria debitrice, di rispondere anche dei fatti commessi da terzi, della cui opera essa si avvale. La struttura sanitaria risponde, pertanto, per il fatto dei medici sulla base di una regola di responsabilità che, pur prescindendo dalla colpa nella scelta o nella vigilanza dell'ausiliario, rimanda pur sempre alla condotta dei medici (e ferma restando la configurabilità di una sua responsabilità per fatto proprio) solo allorquando costoro abbiano agito con dolo o colpa. Il fatto doloso o colposo dell'ausiliario rileva, dunque, per un verso come fatto di inadempimento, del che il medico non risponde verso il creditore non essendo parte del rapporto obbligatorio (responsabilità contrattuale della casa di cura), e, per altro verso, come fatto che incidendo sull'integrità psico-fisica del paziente ne ha leso un diritto fondamentale della persona, rilevante ai sensi dell'art. 2043 c.c. (responsabilità aquiliana in proprio). Nella fattispecie in esame, posto che non sono in discussione né il perfezionamento del contratto tra il Ru. e la DR ES.ME. S.r.l. (la quale, nella comparsa di costituzione e risposta, ammette espressamente che "(...). L'odierno ricorrente si rivolgeva alla DR ES.ME. S.r.l. di Padova per un intervento di liposuzione all'addome (...)"), né l'esecuzione dei due interventi di chirurgia plastica per cui è causa ad opera dei convenuti Vi. e Ri., né tantomeno l'avvenuto pagamento del corrispettivo di Euro 3.200,00, la consulenza tecnica d'ufficio espletata nel corso del procedimento per a.t.p. ha accertato la responsabilità di entrambi i chirurghi correlata al peggioramento estetico della regione addominale rispetto alla situazione preesistente. Vero è che il procedimento ex art. 696-bis c.p.c. si era svolto senza la partecipazione delle compagnie assicurative odierne terze chiamate, allora non evocate in giudizio; tuttavia, l'elaborato peritale acquisito agli atti del presente procedimento è comunque valutabile come elemento di prova da parte di questo Giudice, conformemente all'orientamento ribadito, anche di recente, dalla Suprema Corte di legittimità, secondo il quale: "La relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo" (Cass. Civ., Sez. III, Sentenza 24-03-2023, n. 8496). Le conclusioni espresse dai c.t.u dr. Al.Mi. (specialista in medicina legale e delle assicurazioni) e dr. Fe.Am. (specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica) meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della persona dell'attore e della documentazione medica prodotta, e perché esaurienti e complete. Dopo ampia descrizione delle caratteristiche tecniche generali dell'intervento di liposuzione, i c.t.u. hanno illustrato la tecnica operatoria praticata sulla persona dell'attore ("tecnica tumescente secondo Klein, riconosciuta come metodica di base della liposuzione ", con "aspirazione di tessuto nei piani superficiali e profondi dell'addome e del dorso"), accertando che, nonostante la natura "routinaria" di entrambi gli interventi chirurgici, non implicanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel corso di ambedue erano stati commessi errori legati ad "incongrue manovre di aspirazione che risulta essere stata in alcune zone eccessiva ed in altre insufficiente, in altre ancora troppo superficiale", tanto da avere determinato il permanere di visibili "zone irregolari di minus" ("ondulazioni ed avvallamenti cutanei"). Il dr. Mi. ed il dr. Am., pertanto, concludevano affermando che l'esito infausto della liposcultura alla quale l'attore si era sottoposto era dipeso dall'imperita condotta dei medici convenuti, causa efficiente del danno estetico lamentato dall'attore (cfr. la perizia a pag. 8: "la metodica di esecuzione della liposuzione effettuata dagli Operatori ha nella misura del più probabile che non compromesso il risultato finale, creando, come detto, zone di minus la cui evidenza è peggiorata dalle caratteristiche intrinseche della cute della paziente e dalla presenza di residui adiposi localizzati in altre sedi, come documentate anche dall'esame ecografico postoperatorio eseguito dal paziente. Si configura quindi errore tecnico di esecuzione chirurgica nel corso della prima procedura, non emendato sempre per errore tecnico nel corso della seconda procedura (...). Pertanto, nelle zone aspirate il risultato estetico non è stato migliorativo rispetto alla situazione preoperatoria, considerando la qualità della cute della paziente e lo standard medio di risultati attendibili con l'utilizzo di questa tecnica in casi consimili"). Il danno occorso al Ru. a seguito dell'inesatta esecuzione degli interventi chirurgici rientra nella tipologia del "danno estetico", come del resto attestato dai c.t.u., i quali hanno fatto chiaramente riferimento al "peggioramento estetico delle zone trattate a carico del paziente" (cfr. l'elaborato peritale, a pagina 10). Detta tipologia di danno (nel caso di specie post intervento di liposuzione) esprime una formula meramente descrittiva del più generale danno alla salute, inteso quale lesione temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica della persona esplicante un'incidenza negativa sulla sua quotidianità e sui profili dinamico-relazionali della sua vita, ossia in tutti gli ambiti in cui si svolge la sua personalità, e andrà pertanto liquidato alla stregua dei generali criteri di monetizzazione del danno biologico, di cui subito appresso. I c.t.u. hanno stimato in misura del 4% i postumi permanenti sofferti dal Ru. e quanto all'inabilità temporanea, in giorni due l'inabilità assoluta, in giorni 18 l'inabilità parziale al 75%, in giorni 20 l'inabilità parziale al 50% e in giorni 20 l'inabilità parziale al 25%. Come espressamente previsto dall'art. 7, comma 4, della Legge n. 24/2017 con riguardo di risarcimento del danno conseguente all'attività della struttura sanitaria e dell'esercente la professione sanitaria, la liquidazione deve essere operata in base alle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 07-09-2005, n. 209 (Codice delle Assicurazioni Private), le quali attualmente prevedono un valore punto base di Euro 870,97 per il danno biologico permanente ed un'indennità giornaliera di Euro 50,79 per ciascun giorno di inabilità temporanea. Tenuto conto dell'età del danneggiato al momento della stabilizzazione dei postumi (momento identificato con lo spirare dei 60 giorni di inabilità temporanea trascorsi a far tempo dal secondo intervento chirurgico), il risarcimento spettante al Ru. per il danno biologico sofferto deve essere liquidato come segue: A) Danno biologico permanente al 4%: Età della persona danneggiata al termine del periodo di inabilità temporanea anni 59 Percentuale di invalidità permanente 4% Danno biologico permanente Euro 3.419,43 B) Danno biologico temporaneo: inabilità temporanea totale: giorni 2 (due) (Euro 50,79 x 2 Euro 101,58 inabilità temporanea parziale al 75%: giorni 18 (diciotto) (Euro 50,79 x 0,75 x 18) Euro 685,67 inabilità temporanea parziale al 50%: giorni 20 (venti) (Euro 50,79 x 0,50 x 20) Euro 507,90 inabilità temporanea parziale al 25%: giorni 20 (venti) (Euro 50,79 x 0,25 x 20) Euro 253,95 Il risarcimento per il danno non patrimoniale complessivamente dovuto all'attore, dato dalla somma delle voci A e B di cui sopra, ammonta pertanto a Euro 4.968,53, importo cui devono aggiungersi gli interessi compensativi al tasso legale a far tempo dal sinistro, calcolati non sulla somma in valori attuali (Cass. Civ. S.U. 1712/1995, Cass. Civ. n. 26303/2019) bensì su quella originaria (ottenuta devalutando il detto importo al suo valore al momento del fatto) rivalutata anno per anno, secondo gli indici ISTAT di rivalutazione dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati. Non si ravvisano i presupposti per incrementi connessi all'invocata personalizzazione in aumento della liquidazione del danno, stante l'assoluta genericità ed indeterminatezza delle allegazioni di parte attrice circa i presupposti della personalizzazione medesima e stante il rigetto dei mezzi di prova orale articolati sul punto dal Ru., inammissibili per le ragioni già indicate nell'ordinanza del 05-10-2022, che si richiamano e si confermano. Va, infatti, opportunamente valorizzato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale: "In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura "standard" del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna "personalizzazione" in aumento" (Cass. Civ., Sez. VI-III, 04-03-2021, n. 5865). Quanto alla ripartizione interna dell'obbligazione risarcitoria, non è possibile quantificare il grado di colpa individuale di ciascun convenuto, poiché i c.t.u., nel rispondere al quesito a tal fine formulato in sede di a.t.p., hanno riferito che: "I profili di responsabilità dei singoli Chirurghi operatori non appaiono distinguibili.". Pertanto, deve farsi ricorso alla presunzione di cui all'art. 2055, comma 3, c.c. nel senso di ritenere sussistente una gradazione paritaria delle rispettive responsabilità. Alla luce dell'accertata responsabilità concorrente di DR ES.ME. S.r.l., del dr. Vi. e del dr. Ri., appare altresì fondata e meritevole di accoglimento l'ulteriore domanda attorea, articolata nella richiesta di restituzione ex art. 2033 c.c. del compenso di Euro 3.200,00 pagato per il primo intervento chirurgico di liposuzione: infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla terza chiamata AL. S.p.A., la domanda di restituzione del corrispettivo sottende quella implicita di risoluzione del contratto d'opera ex art. 1453 c.c., da ritenersi inequivocabilmente presupposta dal Ru. per il fatto stesso che pretendere la restituzione del prezzo versato implica il fatto di ritenere privo di causa il pagamento effettuato (v. Cass. Civ., Sez. II, Sentenza 18-09-2020, n. 19513; Cass. Civ., Sez. VI - I, Ordinanza 23-10-2017, n. 24947, secondo cui "la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un'altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione", proprio con riguardo al caso di richiesta di restituzione della prestazione eseguita dalla parte non inadempiente). Naturalmente, l'obbligazione restitutoria grava sull'accipiens effettivo del corrispettivo, ovvero sul dr. Vi. che, come ricordato precedentemente, per ammissione delle stesse parti convenute è il soggetto al quale era stato materialmente effettuato il pagamento. Per tutte le ragioni esposte, i convenuti devono essere condannati in solido tra loro a risarcire a GI.RU. il danno non patrimoniale patito dall'attore come conseguenza dell'errata esecuzione degli interventi di chirurgia estetica per cui è causa, nella misura retro indicata. Il dr. AL.VI. deve altresì essere condannato a restituire all'attore il corrispettivo percepito per l'esecuzione dell'operazione effettuata il 26-10-2017, ammontante a Euro 3.200,00, somma produttiva degli interessi al saggio legale dalla data dell'intervento fino al saldo effettivo. Acclarata la responsabilità solidale dei convenuti vanno da ultimo esaminate le domande di manleva proposte rispettivamente dal dr. BR.RI. nei confronti di AL. S.p.A. e dal dr. AL.VI. nei confronti di H.A. S.p.A. Entrambe sono fondate e meritevoli di accoglimento. Le deduzioni delle compagnie di assicurazione circa l'inoperatività delle polizze muovono dal presupposto secondo il quale il danno estetico lamentato dal Ru. non sarebbe conseguenza di errori tecnici imputabili ai medici. Tuttavia, esse sono espressamente contraddette dalle risultanze della c.t.u. espletata nel corso del procedimento per a.t.p., delle quali si è già dato conto diffusamente nella superiore parte motiva. H.A. S.p.A. ha inoltre eccepito la violazione dei termini per la denuncia del sinistro previsti dall'art.1913 c.c. da parte dell'assicurato dr. Vi. e la conseguente perdita del diritto alla garanzia ai sensi dell'art. 1915 c.c. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ., n. 5435/2005; Cass. Civ., n. 3044/97) ha precisato che, "affinché l'assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente - con conseguente perdita del diritto all'indennità ai sensi dell'art. 1915 c.c. - all'obbligo imposto dall'art. 1913 c.c. di dare avviso del sinistro all'assicuratore (la cui ratio risiede nell'esigenza di porlo in condizioni di accertare tempestivamente le cause del sinistro e l'entità del danno prima che possano disperdersi eventuali prove e indizi), non occorre lo specifico e fraudolento intento di creargli danno, essendo sufficiente la consapevolezza dell'indicato obbligo e la cosciente volontà di non osservarlo". Facendo applicazione al caso in esame dei principi enunciati si ritiene che la semplice conoscenza del sinistro da parte del dr. Vi. non consenta, di per sé, di dedurre un'intenzionale omissione della comunicazione alla società assicuratrice, nel termine previsto dalla norma indicata, sicché u ritardo della comunicazione non può che essere attribuito a negligenza o dimenticanza. La pretesa inosservanza dell'obbligo di avviso può assumere, tutt'al più, natura colposa e non dolosa. Infatti, l'assicurato con la comunicazione del 02-12-2019 ha certamente inteso rendere edotta la compagnia assicuratrice del sinistro. Deve pertanto ritenersi applicabile il secondo comma del citato art. 1915 c.c., con l'effetto che, come ben chiarito dalla giurisprudenza richiamata, l'indennità può essere ridotta solo in ragione del pregiudizio sofferto per il ritardo dalla società assicuratrice, onerata di dimostrarne sia l'effettiva esistenza, sia l'esatto ammontare. Nel caso di specie, di tale pregiudizio - che sarebbe da correlarsi al lasso temporale intercorso tra la data effettiva del sinistro e la ricezione della denuncia dello stesso ed è quello derivante dalle difficoltà di accertamento delle circostanze del sinistro ad opera dell'assicuratore, che non sia prontamente informato della vicenda dannosa - non vi è alcuna dimostrazione. H.A. S.p.A. non ha in alcun modo chiarito in che termini avrebbe subito un pregiudizio dal ritardo della comunicazione del sinistro, essendosi limitata a dedurre l'applicabilità delle citate norme, senza ulteriori specificazioni. L'eccezione di inoperatività della garanzia deve, pertanto, essere respinta. Ne consegue che le compagnie assicuratrici AL. S.p.A. e H.A. S.p.A. debbono essere condannate a tenere indenni, rispettivamente, il dr. Ri. ed il dr. Vi., per quanto gli stessi saranno tenuti a pagare a GI.RU. in forza della presente sentenza a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, entro i limiti delle franchigie previsti dalle polizze e con esclusione degli importi riconosciuti all'attore a titolo di restituzione del corrispettivo versato, da porre interamente a carico del dr. Vi. per le ragioni in precedenza esposte. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n. 55/2014 e ss.mm. Le spese relative al procedimento per a.t.p., comprensive dei compensi per i c.t.u. e del difensore di GI.RU., sono da liquidare quali spese di giudizio e si pongono definitivamente a carico solidale delle sole parti convenute, stante la mancata partecipazione al giudizio ex art. 696-bis c.p.c. delle compagnie di assicurazione. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: condanna i convenuti, in via solidale, a pagare all'attore il complessivo importo di Euro 4.968,53, da devalutare al momento di stabilizzazione dei postumi e da rivalutare annualmente a far tempo da tale momento, con aggiunta degli interessi legali sulle somme rivalutate, fino ad oggi; oltre interessi legali sulle somme così liquidate da oggi al saldo; condanna il dr. AL.VI. a restituire a GI.RU. l'importo di Euro 3.200,00, oltre interessi al saggio legale dal 26-10-2017 al saldo; condanna i convenuti, in via solidale, a rifondere all'attore le spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.700,00 per compensi professionali, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. ed anticipazioni, da distrarsi a favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c.; condanna i convenuti, in via solidale, a rifondere all'attore le spese del procedimento per a.t.p., liquidate in Euro 900,00 per compensi professionali, oltre spese generali, I.V.A., C.P.A. ed anticipazioni, da distrarsi a favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c., oltre a Euro 2.440,00 a titolo di rimborso dei compensi pagati ai c.t.u.; condanna AL. S.p.A. a tenere indenne il dr. BR.RI. di quanto sarà tenuto a versare all'attore in forza dei capi precedenti; condanna H.A. S.p.A. a tenere indenne il dr. Al.Vi.in quanto sarà tenuto a versare all'attore in forza dei capi precedenti a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale. Busto Arsizio, 18 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 19 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO SEZIONE Terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2866/2021 promossa da: (...) S.p.A., con sede in Roma alla Via (...), in persona dell'Amministratore delegato, Dott. (...), rappresentata e difesa dall'Avvocato (...) del Foro di Roma (cod. fisc. (...)), ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma alla Via (...) Attore (...), cod. fisc. (...), nato il (...) a Gallarate (VA), residente in Via (...) Comune ARSAGO SEPRIO (VA). Convenuto contumace OGGETTO: Mutuo CONCLUSIONI Per parte attrice: Raccertare e dichiarare che il contratto per cui è causa deve essere interpretato esclusivamente sulla scorta della normativa nazionale (art. 125 sexies TUB) con esclusione della applicabilità della sentenza (...); 2) accertare la conformità dello schema contrattuale per cui è causa ed in particolare dell'art. 9 delle condizioni generali di contratto alle disposizioni di cui all'art. 125 sexies TUB e la completa informativa fornita al cliente con le informazioni europee così come statuito dal lodo ABF per cui è causa; 3) accertare la trasparenza del contratto ex art. 35 del codice del consumo così come statuito dal lodo ABF per cui è causa; 4) accertare la natura di costi up front delle commissioni di attivazione (comprensive dei costi di istruttoria) e (in caso di mancato accoglimento della richiesta di cui al successivo capo 5) delle commissioni di intermediazione del contratto per cui è causa; accertare che la voce commissioni di intermediazione del contratto per cui è causa è un onere volontariamente assunto dal Cliente e non imposto dalla Finanziaria e conseguentemente dichiarare l'irripetibilità di detta voce di costo in quanto non obbligatoria; 6) accertare la correttezza delle restituzioni operate dalla (...) S.p.A. a seguito della estinzione anticipata e la non debenza di alcunché nei confronti del resistente; 7) accertare l'erroneità del lodo ABF di cui in narrativa limitatamente alla asserita rimborsabilità dei costi up front in funzione della sentenza (...); 8) ordinare all'ABF di cancellare, per quanto concerne il lodo di cui in narrativa la denominazione sociale (...) S.p.A. dall'elenco della banche e società finanziarie inadempienti pubblicate al seguente indirizzo web https://www. arbitrobancariofinanziario.it/intermediari-inadempienti/index. html. Con rinuncia alle spese e compensi di giudizio poiché la finanziaria non intende onerare i propri clienti con oneri di lite. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con ricorso ex art. 702bis c.p.c., (...) S.p.A. conveniva in giudizio (...) per sentir accertare la trasparenza delle condizioni contrattuali praticate nel contratto di finanziamento stipulate con la parte resistente, l'applicabilità del contratto al disposto dell'art. 125 sexies TUB e la inapplicabilità della sentenza "(...)" emessa dalla Corte di Giustizia, e pertanto la non debenza in favore della controparte delle commissioni di attivazione e di intermediazione, in quanto oneri "up front". La ricorrente domandava altresì l'ordine all'ABF di cancellare, la denominazione sociale (...) S.p.A. dall'elenco della banche e società finanziarie inadempienti presente sul sito dell'Arbitro stesso. Deduceva la ricorrente di aver stipulato in data 24 ottobre 2019 con la parte resistente un contratto di finanziamento da rimborsare mediante cessione del quinto della retribuzione. Precisava che il negozio aveva ad oggetto l'importo lordo di Euro 15.420,00, da restituire in n. 60 rate di Euro 257,00 ciascuna. Aggiungeva che il contratto estinto anticipatamente, per volontà della controparte contrattuale, dopo il pagamento della rata n. 9. Rilevava la ricorrente di aver provveduto ai sensi dell'art. 125 sexies co. 1 Tub alla restituzione in favore del cliente della somma di Euro 127,50, prevista dal contratto a titolo di commissioni di gestione non maturate. Adduceva inoltre che, coerentemente con le previsioni contrattuali, non erano stata restituita al cliente le somme (neppure pro quota) dovute a titolo di commissioni di attivazione e di intermediazione, trattandosi di costi "up front". Precisava che, in forza del tenore dell'art. 125 sexies c.p.c. nella versione pro tempore applicabile (anteriore alla riforma intervenuta nel 2021), l'obbligo restitutorio gravante sull'istituto di credito avesse ad oggetto esclusivamente le commissioni c.d. recurring, mentre non anche quelle c.d. up front. Sottolineava al riguardo l'inapplicabilità della sentenza interpretativa c.d. (...) della Corte di Giustizia, in quanto afferente ad una norma non direttamente applicabile (l'art. 16 della direttiva 2008/48/CE) che il legislatore nazionale (art. 125 sexies tub, nella versione pro tempore applicabile) avrebbe espressamente deliberato di attuare in misura riduttiva. (...) veniva dichiarato contumace. Il Giudice disponeva la conversione del rito sommario in rito ordinario di cognizione. Precisate le conclusioni e assegnati i termini di cui all'art. 190 c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice, tutte le domande svolte da (...) S.p.A. sono infondate e devono essere rigettate. Le domande attoree trovano fondamento in un problema giuridico unitario, che attiene alla interpretazione dell'art. 125 sexies D.Lgs. 385/1993 (Tub), e segnatamente al diritto di rimborso dei costi del credito previsto a beneficio del cliente. Il quesito essenzialmente attiene alla inclusione, nel fuoco dell'obbligo di restituzione, dei soli oneri c.d. "recurring" o anche dei costi "up-front", ed alle modalità di computo dell'importo da restituirsi in entrambi i casi. Si precisa sin d'ora che la soluzione al problema farà applicazione dei condivisibili principi sanciti dalla recente pronuncia della Corte Costituzionale, 22/12/2022 (ud. 08/11/2022, dep. 22/12/2022), n.263. La comprensione della sentenza necessita tuttavia di una preliminare ricostruzione storica, finalizzata a rendere contezza delle molteplici sfaccettature del problema sopra esposto, che - lungi dal circoscriversi alla portata interpretative della disposizione sopra indicata - si riverbera sul rapporto con il diritto eurounitario e sulla successione di leggi nel tempo. La genesi dell'art. 125 sexies Tub si deve all'impulso del diritto sovranazionale, e segnatamente alla direttiva 2008/48/CE, relativa ai contratti di credito ai consumatori. L'art. 16 della direttiva in parola prevede la facoltà di risoluzione anticipata del contratto da parte del consumatore, da attuarsi mediante restituzione anticipata del capitale originariamente erogato dall'istituto di credito, e ne disciplina le conseguenze. Segnatamente, il par. 1 prevede che "(i)l consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto". Il sintagma "costo totale del credito" è definito all'art. 3, paragrafo 1, lettera g) della direttiva nei seguenti termini: "tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte". Prima di esaminare la corrispondente disciplina nazionale, è necessario sottolineare due elementi di rilievo nella norma appena evocata. Il primo è che il diritto "riduzione" ha ad oggetto tutti i costi del credito, senza distinzione alcuna. Segnatamente, la lettera della disposizione include - richiamando la distinzione che, come si dirà, è sorta in merito all'applicazione della disciplina nazionale - tanto i c.d. costi recurring (ovvero soggetti a maturazione nel tempo, e destinati ad essere corrisposti periodicamente per tutta la durata del rapporto) quanto i costi c.d. up-front (ovvero i costi finalizzati alla concessione del prestito, e corrisposti di solito all'atto della stipula). Depone in tal senso l'ampia definizione di "costi del credito" sopra indicata, e la altrettanto lata dicitura dell'art. 16 par. 1, che correla il diritto alla riduzione alla totalità dei costi del credito, senza effettuare alcuna distinzione fra le due categorie anzidette. Può invero osservarsi che l'ultimo inciso del par. 1 dell'art. 16 menziona "i costi dovuti per la restante durata del contratto", e pertanto apparentemente circoscrive il suo ambito applicativo ai soli oneri che maturano nel tempo (quali appunto i costi recurring); tuttavia la disposizione è univoca nel precisare che il diritto del consumatore include tutti i costi del credito, quale che ne sia la natura, compresi ("che comprende") quelli soggetti maturazione progressiva. Il secondo dato di rilievo è che la disposizione in esame non condizione e non subordina il diritto alla riduzione alla trasparenza delle clausole contrattuali. Esso dunque sussiste a prescindere dalla chiarezza od opacità delle pattuizioni negoziali regolative della restituzione anticipata. Nell'ordinamento italiano, la direttiva 2008/48/CE è stata attuata con il D.Lgs. n. 141 del 2010, il cui art. 1 ha interamente sostituito il Capo II del Titolo VI del t.u. bancario. In particolare, la disciplina del rimborso anticipato è stata recepita nell'art. 125-sexies TUB, il cui comma 1, prima della recente novella del 2021, recitava: "(i)l consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto". La nozione di "costo totale del credito", è stata inserita nell'art. 121, comma 1, lettera e), Tub, secondo cui il ""costo totale del credito" indica gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza". Il comma 2 della norma citata prevede che "(n)el costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte". Come rilevato dalla prima giurisprudenza che si è occupata della normativa in esame, il tenore dell'art. 125 sexies tub si presenta parzialmente diverso dalla lettera del citato art. 16 par. 1 della direttiva sopra indicata. Si dirà in seguito come in realtà la differenza letterale non conduca ad una necessaria eterogeneità interpretativa, e dunque non preclude l'interpretazione del diritto nazionale in senso conforme alla previsione eurounitaria. Cionondimeno, non può sottacersi come il differente approccio letterale della norma del Tub abbia dato origine alla complessa vicenda evolutiva di cui trattasi, esitando in un vicendevole influsso di orientamenti ermeneutici e prassi applicative e determinando il legislatore ad un successivo e recente intervento. L'art. 125 sexies Tub prima citato, invero, correla il diritto alla riduzione al "coso totale del credito", come la citata norma sovranazionale prima menzionata, ma specifica che detto diritto è (non già comprensivo, bensì) equiparato ("pari") ai costi dovuti per la "vita residua del contratto'" La giurisprudenza di merito e l'Arbitro Bancario Finanziario hanno in un primo momento valorizzato detto inciso nel senso di circoscrivere l'ambito del diritto alla riduzione ai soli costi suscettibili di maturazione nel tempo (c.d. recurring) con esclusione di quelli "up-front', che pertanto restavano esclusivamente a carico del consumatore. A fronte di contegni abusivi degli istituti di credito successivamente consolidatisi nella prassi, le pronunce arbitrali (ABF - Coll. coord. n. 6167/2014 cit. e Coll. coord. n. 10003/2016) avevano iniziato a riconoscere un diritto alla riduzione omnicomprensivo (idoneo cioè a includere costi del credito di qualunque natura e categoria) laddove i costi del credito non fossero stati delineati in maniera trasparente nelle condizioni contrattuali. La riducibilità delle commissioni "up-front", in altri termini, veniva riconosciuta a condizione che le conseguenze del recesso anticipato fossero definite in modo opaco nel testo negoziale. La Banca d'Italia, a sua volta, è intervenuta con il provvedimento del 9 febbraio 2011, recante "Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti - Recepimento della Direttiva sul credito ai consumatori" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 febbraio 2011, serie generale, n. 38 - supplemento ordinario n. 40). Nella Sezione VII di tali disposizioni (Credito ai consumatori, paragrafo 5.2.1, lettera q, nota 3) si legge che "(n)ei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione anticipata includono l'indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore". In successive Sezioni si precisa poi che le procedure interne dell'intermediario devono quantificare "in maniera chiara, dettagliata e inequivoca gli oneri che maturano nel corso del rapporto e che, in caso di estinzione anticipata, sono restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore, se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore" (Sezione VII-bis, "Cessione di quote dello stipendio, del salario o della pensione", e Sezione XI, "Requisiti organizzativi", paragrafo 2, comma 1, terzo alinea, nota 1). Il diritto alla riduzione previsto Tub dunque non era ritenuto dalla giurisprudenza e dalla Banca d'Italia omnicomprensivo, salva l'ipotesi di opacità delle pattuizioni contrattuali. In questo quadro interviene la sentenza "(...)" della Corte di giustizia, datata 11 settembre 2019 e relativa alla causa C-383/18, che si è pronunciata su rinvio pregiudiziale. La pronuncia valorizza l'espressione "costo totale del credito", interpretata teleologicamente alla luce della ratio di effettiva tutela e protezione degli interessi del consumatore. Dopo aver rilevato che "l'effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto, dato che (...) i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione di costi può includere un certo margine di profitto" (Par. 31), ha stabilito che "L'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore". La sentenza in sostanza non limita il rimborso dovuto per effetto dell'estinzione anticipata ai soli costi c.d. recurring, ma lo estende ai costi collegati ad attività preliminari alla concessione del finanziamento (c.d. up-front), a prescindere dalla trasparenza delle condizioni contrattuali. La giurisprudenza italiana successiva ha in misura prevalente recepito la sentenza appena citata, adeguandovi - in ottica di interpretazione conforme - la lettura dell'art. 125 sexies tub. Significativa sul punto la decisione dell'ABF, collegio di coordinamento, n. 26525 del 2019. La pronuncia muove dall'assunto che la differenza testuale fra l'art. 125 sexies tub e l'art. 16 della direttiva, non assurga ad insanabile incompatibilità, e che pertanto possa e debba comunque procedersi alla interpretazione conforme della normativa nazionale; ha pertanto concluso che l'art. 125-sexies Tub debba interpretarsi nel senso che tutti i costi connessi al credito (sia upfront, che recurring) debbano computarsi ai fini del diritto alla riduzione, anche per i contratti stipulati prima della sentenza sovranazionale, considerata la natura retroattiva delle pronunce interpretative della Corte di Giustizia. La decisine sottolinea tuttavia la permanenza delle distinzione sotto il profilo dei criteri di calcolo del diritto alla riduzione, da attuarsi secondo il metodo "pro rata temporis" per le commissioni recurring, e secondo il criterio alternativo del "costo ammortizzato" (ovvero seguendo la curva di andamento degli interessi corrispettivi) per le commissioni upfront. Successivamente il legislatore italiano, in sede di conversione del d.l. n. 73 del 2021 nella legge n. 106 del 2021, ha introdotto l'art. 11-octies. In particolare, il comma 1, lettera c), del citato articolo ha sostituito l'art. 125-sexies t.u. bancario, introducendo (per quanto rileva in questa sede) le seguenti modifiche. È stata anzitutto riformulata la seconda parte del comma 1 con la previsione che il consumatore, in caso di rimborso anticipato, "ha diritto alla riduzione, in misura proporzionale alla vita residua del contratto, degli interessi e di tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte". E' stato poi aggiunto un nuovo comma 2, che regola i criteri di riduzione degli interessi e dei costi, prevedendo che "(l')articolo 125-sexies del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, come sostituito dal comma 1, lettera c), del presente articolo, si applica ai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Alle estinzioni anticipate dei contratti sottoscritti prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto continuano ad applicarsi le disposizioni dell'articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d'Italia vigenti alla data della sottoscrizione dei contratti". La lettura della nuova disposizione induce a tre conclusioni. La prima è che il comma 1 del nuovo art. 125 sexies tub riproduce fedelmente il contenuto dell'art. 16 par. 1 della direttiva, appianando le differenze letterali antecedenti, e in sostanza espressamente inglobando nel diritto al rimborso tutti i costi del credito up front e recurring e così recependo il dictum della sentenza (...) della Corte di Giustizia. La seconda, ricavabile dal co. 2 dell'art. 11 octies appena citato, è che la disposizione in questione, incidendo sulla versione antecedente dell'art. 125 sexies Tub, espressamente presuppone che detta norma circoscrivesse il diritto al rimborso alle sole commissioni recurring. Detta conclusione è desumibile dal richiamo alle decisioni della Banca d'Italia, che come si è detto interpretavano la disposizione in questo senso. La terza, anch'essa implicata dal co. 2 dell'art. 11 octies, è la netta demarcazione temporale fra i contratti stipulati prima dell'entrata in vigore del nuovo art. 125 sexies, che l'art. 11 octies assoggetta al precedente regime contrastante con il diritto eurounitario, e quelli stipulati successivamente, cui si applicava la nuova versione dell'art. 125 sexies tub. In questo quadro interviene la citata sentenza costituzionale n. 263/2022, che sancisce la illegittimità costituzionale del comma 2 dell'art. 11 octies per contrasto con gli artt. 11 e 117 co. 1 Cost. La pronuncia muove dall'assunto, che qui merita di essere integralmente condiviso, secondo il quale la versione preesistente dell'art. 125 sexies, pur a fronte delle differenze terminologiche sopra evidenziate, poteva e doveva essere letta in senso conforme all'art. 16 della direttiva ed alla interpretazione offerta dalla sentenza (...). Sul punto, può direttamente richiamarsi l'autorevole opinione della Corte costituzionale, secondo la quale (pag. 12.3.2 della sentenza in esame) "si deve confutare la tesi che vorrebbe affermare la netta divergenza del dato testuale del vecchio art. 125-sexies da quello dell'art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE, deducendone l'impossibilità di recepire il contenuto prospettato dalla sentenza (...).Innanzitutto, la distinzione fra il testo dell'art. 16, paragrafo 1, della direttiva e quello del precedente art. 125-sexies, comma 1, t.u. bancario, pur essendo non del tutto marginale, non era (e non è) tale da far escludere una loro sostanziale corrispondenza. Se è vero, infatti, che l'espressione riduzione "che comprende gli interessi e i costi" è più lata rispetto alla formula che parla di una riduzione "pari agli interessi e ai costi", tuttavia, il perno dell'interpretazione della disposizione risiede, a ben vedere, in altri indici testuali. Sono, a tal riguardo, decisivi, da un lato, il paradigma cui è riferita la riduzione, vale a dire "il costo totale del credito", e, da un altro lato, la nozione di "costi dovuti per la durata residua del contratto". In particolare, la preposizione "per" può riferirsi tanto ai costi dovuti "lungo" la durata del contratto, i soli costi cosiddetti recurring, quanto ai costi dovuti "in funzione della" durata del contratto, il che evoca la misura della riduzione. Questo secondo, possibile significato della preposizione collima, del resto, con il paradigma cui si riferisce la riduzione, che è dato dal costo totale del credito, poiché in tanto si giustifica tale richiamo, in quanto tutti i costi siano riducibili e lo siano, dunque, in funzione della durata residua del contratto, che diviene la misura della riduzione proporzionale. Del resto, proprio il riferimento al costo totale del credito ha rivestito un ruolo decisivo nell'interpretazione fornita dalla sentenza (...)". La sentenza afferma dunque che l'intervento legislativo del 2021, richiamando le già citate pronunce della Banca d'Italia, ha espressamente e retroattivamente interpretato la normativa preesistente in senso difforme dalla sistema sovranazionale, e nel contempo ha limitato nel tempo gli effetti della pronuncia interpretativa della pronuncia (...) della Corte di Giustizia, in sostanza precludendoli per il periodo antecedente alla entrata in vigore del nuovo art. 125 sexies Tub. Essa dunque così conclude: "è costituzionalmente illegittimo l'art. 11-octies, comma 2, d.l. 25 maggio 2021, n. 73, conv., con modif., in l. 23 luglio 2021, n. 106, limitatamente alle parole " e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d'Italia" . La disposizione censurata, nel sostituire il precedente art. 125-sexies t.u., bancario in termini strettamente fedeli alla sentenza (...), modifica la disciplina dei prestiti del consumatore e regola il rimborso anticipato, prevedendo che il consumatore abbia conseguentemente diritto alla riduzione non solo dei costi recurring, ma anche di quelli relativi alle attività finalizzate alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (costi c.d. up-front). Tuttavia, il rinvio previsto alle norme secondarie della Banca d'Italia, le quali avallano l'interpretazione riferita unicamente al rimborso dei costi recurring, si discosta dai contenuti della citata pronuncia, determinando la violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost". All'esito della pronuncia costituzionale anzidetta, deve dunque concludersi che tutti i costi del credito (sia up front che recurring) siano inclusi nel diritto alla riduzione, tanto per il periodo successivo alla entrata in vigore della recente novella normativa del 2021 sull'art. 125 sexies tub (in forza dell'espresso tenore letterale dell'attuale art. 125 sexies), quanto nel periodo antecedente (in forza dell'interpretazione conforme con il diritto sovranazionale e in particolare con la sentenza (...)). Tale conclusione, in coerenza con i tratti della disciplina sovranazionale, prescinde dall'assolvimento dell'onere di trasparenza da parte dell'istituto di credito, e cioè dalla univoca e chiara indicazione dei costi del recesso anticipato. In questi termini si è condivisibilmente assestata la giurisprudenza di merito più recente, sia antecedente (Tribunale Bologna sez. II, 07/01/2021, n.26) sia successiva all'intervento della Consulta (ex multis, Tribunale Benevento sez. II, 09/03/2023, n.639). A nulla vale osservare, in contrario, che tale soluzione violerebbe i limiti della interpretazione conforme. Secondo l'unanime insegnamento della giurisprudenza nazionale e sovranazionale, l'obbligo di interpretazione conforme - a differenza del diverso strumento della disapplicazione - non trova un limite nella diretta applicabilità della norma comunitaria di riferimento, potendo e dovendo attuarsi anche con riferimento alla normativa priva di efficacia diretta e diretta applicabilità (come le direttive, a prescindere se siano self-executing), e neppure trova il proprio limite nella natura orizzontale o verticale dei rapporti implicati nel giudizio. Unici limiti alla interpretazione conforme, che la Corte Costituzionale ha condivisibilmente ritenuto insussistenti nel caso di specie, è rappresentato dai "principi generali del diritto'' e dalla interpretazione "contra legem della normativa nazionale' (cfr. sul punto Corte giustizia UE sez. II, 13/01/2022, n.282). Infatti la Consulta, mentre da un lato ha rilevato che l'art. 125 sexies tub prima della novella del 2021 era suscettibile di interpretazione conforme, dall'altro lato ha sottolineato che proprio la riforma del 2021 ha precluso detto strumento ed ha pertanto reso imprescindibile l'intervento della corte costituzionale, perché ha fornito una interpretazione autentica dell'anzidetta disposizione espressamente contrastante con il diritto sovranazionale. Chiarito quanto sopra, deve a questo punto osservarsi che esso abbraccia inclusi gli oneri di intermediazione, tipicamente riconducibili al novero degli oneri upfront. Tale conclusione si ricava univocamente dall'attuale comma terzo dell'art. 125 sexies tub, che sebbene introdotto con la legge n. 106-2021, fornisce un importante contributo ermeneutico per la interpretazione della precedente disciplina. La disposizione prevede il diritto di regresso del finanziatore nei confronti dell'intermediario per la quota della commissione di intermediazione rimborsata al consumatore, e pertanto espressamente presuppone la rimborsabilità dell'onere di intermediazione in favore del cliente. A tale conclusione non osta la circostanza che l'onere di intermediazione sia destinato ad un soggetto diverso dall'ente finanziatore, considerato che proprio a tal fine la disciplina prevede il diritto di regresso dell'istituto di credito, e rilevato altresì che l'art. 121 co. 2 tub include fra i "costi del credito" passibili di riduzione anche i premi assicurativi, anch'essi potenzialmente destinati a soggetti terzi rispetto al rapporto creditizio. Neppure può affermarsi, in senso contrario alla rimborsabilità degli oneri di intermediazione, che gli stessi sarebbero correlati ad un servizio accessorio, e pertanto sarebbero dovuti solo ove obbligatori, ai sensi del citato art. 3 lett. par. 1 g) della direttiva n. 48/2008. Al riguardo è sufficiente osservare che l'attività di intermediazione, per come definita dall'art. 121 co. 1 lett. H) tub, è direttamente funzionale (fra l'altro) alla conclusione del contratto di finanziamento. Dunque, da un lato tale attività non può propriamente qualificarsi come servizio accessorio, in quanto necessario antecedente della stipula del negozio, mentre dall'altro (ed in ogni caso) essa è pertanto per definizione qualificabile "requisito per ottenere il credito" ai sensi del comma 2 dell'art. 121, ed è dunque suscettibile in ogni caso di rientrare nel novero dei costi del credito rimborsabili. Nel caso di specie, il contratto è stato stipulato prima dell'entrata in vigore della nuova versione dell'art. 125 sexies tub, ed è pertanto soggetto alla precedente versione della norma, da interpretarsi in coerenza con il diritto sovranazionale. Pertanto, il consumatore convenuto ha diritto alla riduzione di tutti i costi del credito, inclusivi non solo della commissione di gestione (che risulta essere già stata "ridotta" e versata dalla parte attrice, a quanto si evince dal doc. 9, e che costituisce una commissione recurring) ma anche delle commissioni upfront di attivazione e di intermediazione. Non osta a tale conclusione la circostanza, dedotta da parte attrice, che il contratto di cui al doc. 1 (in particolare, art. 9) preveda analiticamente i costi del recesso anticipato, in ossequio al canone della trasparenza. A prescindere infatti dal rispetto dell'obbligo di trasparenza, per le ragioni anzidette deve dichiararsi la vessatorietà e la conseguente nullità dell'art. 9 comma 2 del contratto di finanziamento di cui al doc. 1 attoreo, nella parte in cui esclude il diritto al rimborso delle commissioni di attivazione e delle provvigioni dell'intermediario, in quanto preclusivo di un diritto del consumatore riconosciuto dal diritto eurounitario e foriero di un ingiustificato squilibrio contrattuale. Conclusivamente, spetta al convenuto il diritto al rimborso delle commissioni di attivazione e di intermediazione, nella misura riconosciuta dalla decisione Abf di cui al doc. 9 attoreo, pari a complessivi Euro 1.593,00. Conclusivamente, la domanda di accertamento della trasparenza delle condizioni contrattuali dev'essere dichiarata assorbita, in quanto inidonea per le ragioni anzidette ad escludere il diritto al rimborso ed alla riduzione in capo al consumatore. Tutte le restanti domande attoree devono essere rigettate, inclusa la domanda volta alla cancellazione dall'elenco Abf degli intermediari finanziari inadempienti. Le spese seguono la soccombenza. Considerata tuttavia la contumacia della parte vittoriosa (parte convenuta), le stesse vengono dichiarate irripetibili. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: 1) dichiara assorbita la domanda di accertamento della trasparenza delle condizioni contrattuali, svolta (...) S.p.A. nei confronti di (...); 2) rigetta tutte le altre domande svolte da (...) S.p.A. nei confronti di (...); 3) dichiara irripetibili le spese di lite sostenute da (...). Sentenza provvisoriamente esecutiva quanto alle statuizioni di condanna ed emessa a Busto Arsizio, 17 luglio 2023 e sottoscritta con firma digitale certificata Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 901/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), in proprio ed in qualità di procuratrice di (...) (C.F. (...) ), e (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. GI.VO. ed elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore PARTE ATTRICE contro (...) (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. MA.RO. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...), anche in qualità di procuratrice speciale di (...), e (...), rispettivamente, sorella, marito e nipote di (...), deceduta il 25.5.2018, hanno convenuto dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio l'(...), esponendo la seguente vicenda sanitaria: - in data 16.5.2018 (...) era stata ricoverata presso l'Azienda (...) poiché aveva accusato dispnea e insorgenza improvvisa di respiro rantolante; - a seguito degli accertamenti svolti, essendo emersi uno scompenso cardiaco ed un edema polmonare, era stata impostata una terapia farmacologica (vasodilatatori, diuretico, betabloccante, ACE inibitori) e la paziente aveva superato la fase critica; - successivamente la paziente era stata sottoposta in data 22.5.2018 ad ecocardiogramma transtoracico e in data 25.5.2018 a coronarografia; - durante l'intervento erano insorte complicanze (arresto cardiaco refrattario), per cui la paziente, dopo vari episodi di arresto cardiocircolatorio, era stata trasferita in urgenza, per shock cardiogeno, al reparto di anestesia e rianimazione, dove era deceduta il giorno stesso. Premessi tali elementi, gli attori hanno dedotto che l'infarto del miocardio era da ricondurre a due eventi trombotici in sede coronarica occorsi durante l'intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante Angioplastica Percutanea Transluminale (PTCA) e hanno censurato il comportamento della struttura sanitaria convenuta, evidenziando innanzitutto che, come chiarito anche dalla consulenza di parte, poiché la paziente, al momento dell'intervento, soffriva di svariate co-morbilità e tenuto conto del miglioramento nel frattempo intervenuto, i sanitari avrebbero dovuto valutare con maggior rigore la sua situazione clinica prima di sottoporla ad un'operazione invasiva, rischiosa e assolutamente non necessaria. Durante l'intervento, poi, il sanitario, con la sua manovra imperita, aveva causato la dissezione dell'aorta; a fronte delle complicanze emerse, inoltre, l'equipe, composta da un cardiologo e da due infermieri, anziché, come previsto dalle linee guida, da due cardiologi interventisti, due infermieri e un tecnico sanitario di radiologia medica, non aveva compiuto alcun tentativo di supportare adeguatamente il circolo sanguigno con l'adozione di un sistema di sostegno extracorporeo. Gli attori hanno, inoltre, dedotto che il modulo di consenso informato firmato dalla paziente era generico e non comprendeva l'autorizzazione ad effettuare la procedura terapeutica (PTCA) a cui, invece, la de cuius era stata poi sottoposta in data 25.5.2018, peraltro, senza nemmeno preventivamente informarli; al contrario, per la pericolosità ed invasività dell'intervento, il consenso informato avrebbe dovuto essere specifico e dato in forma scritta. Alla luce di tali elementi, era evidente la responsabilità, anche sotto il profilo penale, dei medici intervenuti, la cui condotta era stata caratterizzata da negligenza sotto molteplici profili. Gli attori hanno concluso, pertanto, chiedendo il risarcimento iure proprio del danno da perdita del rapporto parentale, da liquidare, per ciascuno, secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, con la dovuta personalizzazione, nonché il risarcimento iure hereditatis del danno per mancata acquisizione del consenso informato, nella misura di Euro 100.000,00. Ritualmente citata, si è costituita la (...), deducendo che la consulenza già disposta dal P.M. in sede penale aveva escluso qualsivoglia responsabilità professionale in capo ai sanitari che ebbero in cura la paziente: i consulenti nominati dal P.M., infatti, avevano sottolineato la necessità dell'approfondimento coronarografico del 25.5.2018 al fine di indagare la pervietà del circolo coronarico, nonché la correttezza della decisione di intraprendere un intervento di rivascolarizzazione mediante angioplastica con posizionamento di stent in corrispondenza dei rami coronarici interessati da stenosi critica, atteso il quadro di coronarosclerosi grave e diffusa palesatasi nel corso della coronarografia; d'altro canto, né dalla visione del CD relativo alla registrazione della coronarografia, né dall'esame autoptico eseguito al cuore, era emersa la dissecazione acuta dell'aorta e l'occlusione dell'ostio delle coronarie durante l'intervento di angioplastica. La struttura convenuta ha, inoltre, dedotto che, per supportare il circolo sanguigno, era stato utilizzato il contropulsatore aortico, come previsto nel trattamento dello shock cardiogeno, e che il consenso informato reso dalla paziente era omnicomprensivo di tutti i necessari cicli terapeutici collegati e conseguenti alla coronografia, tra cui, per l'appunto, l'angioplastica. In punto di quantum debeatur, la convenuta ha, poi, dedotto che il danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, così come il danno da mancanza di consenso informato, non erano stati provati, non potendo ritenersi tali danni in re ipsa. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto delle domande attoree. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. 1. Sulla responsabilità della struttura sanitaria convenuta È opportuno premettere, in via di principio, che la condotta di parte convenuta va esaminata sia con riferimento alla responsabilità contrattuale (quanto all'azione iure hereditatis, in relazione al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione), sia con riferimento alla responsabilità extracontrattuale (quanto all'azione iure proprio in relazione al danno da perdita del rapporto parentale). I danni subiti dalla de cuius, infatti, derivano da responsabilità contrattuale della struttura, che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione e come ormai previsto dall'art. 7 della legge Gelli-Bianco, accettando il paziente e fornendo allo stesso assistenza sanitaria-ospedaliera, conclude con il medesimo un contratto di prestazione d'opera atipico di "spedalità", in relazione al quale adempie avvalendosi di ausiliari della cui opera risponde ex art. 1228 c.c. (Cass. n. 8826/2007); in relazione a tali danni, spetta, quindi, agli eredi unicamente allegare l'inadempimento della struttura, provando il danno e il nesso di causa tra quest'ultimo e l'inadempimento allegato (con le precisazioni rese da Cass. n. 18392/2017), restando a carico della struttura obbligata la prova che non vi è stato inadempimento o che lo stesso non è stato eziologicamente rilevante (per tutte, Cass. S.U. n. 577/2008; cfr., anche, Cass. n. 975/2016; Cass. n. 17143/2012; Cass. n. 2117/2015). Diversamente, le pretese risarcitorie avanzate iure proprio dai congiunti, che con la struttura non sono legati da vincoli contrattuali, devono essere valutate nell'ambito della responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, consistente nell'avere provocato per colpa la morte del prossimo congiunto (cfr., da ultimo, Cass. n. 14258/2020); in quest'ottica, quindi, grava sui congiunti del paziente l'onere di provare innanzitutto il fatto illecito, ossia la condotta dell'ospedale, il nesso causale tra essa e l'evento dannoso (il decesso), nonché l'esistenza di una colpa in capo alla struttura medica e, infine, il danno consequenziale all'evento, ascrivibile alla categoria del c.d. danno da perdita del rapporto parentale. Ebbene, nel caso di specie, come si spiegherà analiticamente nel prosieguo, gli attori hanno compiutamente assolto anche l'onere probatorio a loro carico ai sensi dell'art. 2043 c.c., dimostrando la sussistenza della responsabilità della struttura per il decesso della congiunta (...), accertata in tutti i suoi elementi costitutivi dalla c.t.u. Ed invero, la consulenza tecnica espletata in corso di causa - le cui conclusioni meritano di essere integralmente condivise, in quanto appaiono basate su un obiettivo studio della documentazione medica in atti e priva di vizi logici -, a firma del dott. (...), specialista in medicina legale, e del dott. (...), specialista in cardiologia, depositata il 24.10.2022, ha rilevato profili di responsabilità sanitaria per colpa in capo ai sanitari della struttura convenuta, non avendo questi ultimi gestito congruamente il caso della paziente (...). In particolare, la c.t.u. espletata ha consentito di accertare che: - la coronarografia diagnostica fu effettuata senza alcun evento dannoso per la paziente; - l'evento avverso fatale rappresentato dalla dissecazione coronarica seguì, invece, all'intervento di rivascolarizzazione con PTCA su ramo intermedio (RI) e circonflesso (CX); - la decisione di procedere a tale ultimo intervento fu censurabile, in quanto priva di un valido senso clinico: dal quadro coronarografico, infatti, risultava che i due rami principali (arteria discendente anteriore e coronaria destra), per quanto diffusamente malati, non presentavano stenosi critiche e, quindi, non potevano determinare di per sé stessi il quadro di ipocinesia globale del ventricolo sinistro; una volta acquisito con la coronografia tale dato, utile sotto il profilo diagnostico differenziale, i sanitari avrebbero dovuto indirizzare la strategia clinica verso la terapia medica, prendendo in seria considerazione l'ipotesi di una tossicità da trastuzumab, medicinale assunto dalla paziente in chemioterapia, e non già eseguire una procedura non indicata, che comportava, tenuto conto delle caratteristiche della paziente, un rischio di eventi avversi superiore alle media; - subito dopo l'inizio della procedura sul ramo CX, mentre si tentava di introdurre il filo guida verso CX e marginale ottuso (MO), si verificò la dissecazione del tronco comune, da qualificarsi come iatrogena, che comportò la pressoché improvvisa obliterazione del tronco comune distale e il successivo immediato collasso emodinamico, refrattario ad ogni tentativo di supporto farmacologico e meccanico; - il trattamento di emergenza con farmaci antiaggreganti inibitori della glicoproteina IIb-IIIa, amine pressorie e posizionamento di un contropulsatore aortico, fu appropriato ed eseguito celermente; - data l'estrema gravità del danno, l'impossibilità di ripristinare il flusso nella coronaria sinistra oltre il tronco comune e il collasso emodinamico immediato, la paziente con ogni probabilità non sarebbe sopravvissuta anche nell'ipotesi di una immediata disponibilità di supporti più sofisticati alle funzioni vitali (ad es. l'ECMO) o di un intervento cardiochirurgico immediato; - le patologie oncologiche della paziente non hanno avuto incidenza sull'esito infausto (se non nel senso di aumentare i rischi correlati all'intervento); se la paziente fosse stata sottoposta al corretto trattamento farmacologico dello shock cardiogeno, dal punto di vista cardiologico le sue probabilità di sopravvivenza sarebbero state di poco inferiori alla media per età; - il consenso informato fu fatto sottoscrivere su di un modulo che, pur datato e controfirmato, non era sufficientemente rappresentativo dello specifico bilancio rischi/benefici relativo alla scelta terapeutica adottata nel caso di specie, mancando le necessarie informazioni sulla procedura di angioplastica e sugli specifici rischi connessi; il materiale informativo per l'atto sanitario, pur citato nel modulo, non era presente nella cartella clinica. La c.t.u. espletata ha, quindi, permesso di accertare il nesso di causa tra l'intervento di angioplastica e il decesso della paziente (...), nonché la colpa dei sanitari, concretatasi, in primo luogo, nella loro imprudente decisione di effettuare una procedura interventistica superflua e controindicata in una paziente con chiara indicazione alla terapia medica e con profilo di rischio di complicanze superiore alla media e, in secondo luogo, nell'avere causato la dissecazione dell'aorta. Siffatte conclusioni non possono essere revocate in dubbio alla luce delle censure mosse alla consulenza dalla difesa della struttura sanitaria convenuta. Al riguardo, deve innanzitutto essere chiarito che tanto la consulenza espletata in questo giudizio, quanto la consulenza disposta dal P.M. in sede penale e le sue integrazioni, sono giunte alla conclusione che la scelta di procedere all'esame coronarografico, per quanto di esecuzione non indicata con priorità rispetto ad altri esami non invasivi, non è stata per sé censurabile, ma soprattutto che tale esame fu eseguito senza danno alcuno alla paziente. Le conclusioni dei c.t.u. nominati dal giudice istruttore divergono invece da quelle dei consulenti del P.M. con riguardo alla successiva angioplastica: la consulenza espletata in questo giudizio, infatti, ha concluso che la procedura interventistica di angioplastica di due rami non principali non era indicata, "mancando stenosi critiche a carico del ramo discendente anteriore e della coronaria destra ed un'evidenza di maggior danno funzionale regionale a carico dei territori dipendenti dal ramo intermedio e circonflesso"; l'ipotetico vantaggio, in termini prognostici, di una procedura di rivascolarizzazione del ramo intermedio in assenza dei supporti diagnostici non giustificava, quindi, secondo i c.t.u., il rischio a cui la paziente fu esposta, che era un rischio aumentato, tenuto conto delle sue condizioni di salute. Ciò che i c.t.u. imputano ai sanitari, pertanto, è che gli stessi "effettuarono una procedura ad alto rischio e di improbabile utilità sul profilo di rischio e sulla prognosi della paziente, per la quale era invece indicata la terapia medica, l'immediata sospensione del trattamento con trastuzumab e la rivalutazione progressiva nel follow-up man mano che gli effetti negativi di quest'ultimo si fossero risolti" (p. 3 della risposta alle osservazioni). Tali rilievi acquisiscono prevalenza rispetto alle considerazioni dei consulenti nominati nel procedimento penale, che hanno, invece, escluso profili di responsabilità nell'operato dei sanitari intervenuti. Al riguardo, deve chiarirsi, in via di principio, che il giudice di merito può (ma non deve) tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, quale prova indiretta, attesa l'esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudicante (cfr. anche Cass. n. 3524/2023, secondo cui il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia di parte stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione); ciò, però, sul presupposto che, una volta acquisita la relativa documentazione al processo civile e a fronte delle considerazioni critiche delle parti, il giudice non reputi necessario procedere ad una valutazione più approfondita della vicenda, nominando, all'uopo, il proprio ausiliario. Tale ultima ipotesi si è verificata nel caso di specie, avendo il giudice istruttore, anche a fronte delle critiche mosse alla consulenza da parte dell'attrice, ravvisato la necessità di nominare un Collegio peritale al fine di valutare gli elementi acquisiti e di risolvere le questioni tecniche oggetto del presente giudizio, decisione, questa, che come è noto, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice (da ultimo, Cass. n. 26854/2022). Ciò chiarito in via di principio in ordine alla prevalenza delle risultanze della c.t.u. espletata in questo giudizio, deve altresì osservarsi che quest'ultima risulta anche più completa rispetto a quella svolta in sede penale. Sul punto occorre osservare che, come riconosciuto anche dai consulenti di parte convenuta nelle osservazioni alla bozza, la causa della disfunzione ventricolare sinistra che aveva determinato lo scompenso cardiaco acuto per cui la paziente era stata ricoverata, doveva essere ricercata, con ogni probabilità, nella cardiotossicità da farmaci chemioterapici; tale situazione ben avrebbe potuto essere superata con la terapia farmacologica, senza alcuna necessità di sottoporre la paziente ad un intervento. Ebbene, tale aspetto, di rilevanza centrale, non risulta essere stato adeguatamente indagato in ambito penale: le consulenze prodotte da parte convenuta e, in particolare, l'integrazione da ultimo intervenuta (doc. 10, fascicolo di parte convenuta), infatti, non hanno in alcun modo esaminato le reali cause dello scompenso cardiaco (tossicità da trastuzumab), l'omessa diagnosi differenziale che ha determinato la scelta di procedere all'angioplastica anziché impostare la terapia farmacologica, né i fattori di rischio nell'esecuzione dell'intervento associati al fatto che (...) fosse una paziente oncologica. Diversamente, pacifico che l'intervento non fosse indifferibile, al fine di comprendere se l'esecuzione dell'angioplastica fosse o meno la scelta corretta, valutati i rischi e i benefici, in una logica ex ante, occorreva non solo dare atto della situazione compromessa emersa all'esito della coronarografia, ma anche indagarne le cause: poiché, come ritenuto anche dai consulenti di parte convenuta, la causa dello scompenso era da ricercarsi nella cardiotossicità da trastuzumab, i consulenti in sede penale avrebbero dovuto chiarire come mai la scelta dei sanitari di procedere comunque all'intervento (anziché impostare la terapia farmacologica, scelta pure ipotizzata dagli stessi consulenti, cfr. p. 64), senza, peraltro, alcun previo confronto con i colleghi di cardiochirurgia (di cui pure dà atto la consulenza, p. 65) non fosse censurabile sotto il profilo dell'imprudenza; i consulenti del P.M., inoltre, avrebbero dovuto dare atto del fatto che la paziente era malata oncologica, sottoposta a concomitante terapia antineoplastica con trastuzumab ed ormonale con inibitori dell'aromatasi, verificando, di conseguenza, se tali dati comportassero un rischio aumentato di eventi avversi e, in particolare, un maggior rischio di dissecazione coronarica, attesa la maggiore fragilità vascolare. L'incompletezza della consulenza espletata su incarico del P.M. porta, quindi, a maggior ragione, a dare prevalenza alle conclusioni della c.t.u. in atti, che, per vero, non sono state oggetto di contestazione nemmeno da parte dei consulenti di parte convenuta, che si sono limitati ad evidenziare la correttezza dell'esame diagnostico eseguito prima dell'angioplastica. Così delineata la condotta dei sanitari, connotata da imprudenza per avere deciso di eseguire un intervento non necessario e, anzi, inutile, esponendo la paziente al rischio poi in effetti verificatosi, che era evitabile per quanto sopra detto, prevedibile, in quanto noto in letteratura, e aumentato, attese le concrete condizioni della candidata all'intervento, risulta secondario stabilire se l'operazione sia stata o meno eseguita secondo le leges artis, risultando già comprovata la colpa. Ad ogni modo, per completezza, si rileva che anche sotto quest'ultimo profilo la c.t.u. espletata è stata chiara nell'indicare che la causa dell'evento infausto fosse da ricercare nella dissecazione del tronco comune sinistro, visibile sulla scorta delle immagini angiografiche ("La dissecazione del tronco comune distale fu determinata dalla prima angioplastica del ramo intermedio prossimale che determinò, poco dopo il deployment dello stent, una discontinuazione endoteliale che risultò nella formazione di un falso lume a rapida estensione retrograda", cfr. p. 3 della risposta alle osservazioni), dovendosi qui solamente precisare che, come rilevato dai c.t.u., la dissezione coronarica può sfuggire ad un esame necroscopico non approfondito, per cui il fatto che il referto dell'esame necroscopico non abbia evidenziato alcuna dissecazione non è elemento che può essere invocato dalla struttura per escludere che vi sia stata la dissecazione. Per tali ragioni, alla luce delle conclusioni dei c.t.u., deve ritenersi provata sia l'imprudenza dei sanitari della struttura ospedaliera convenuta, il cui contegno ha concretizzato un fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., sia il nesso causale tra tale condotta e il decesso di (...). Va, dunque, affermata la responsabilità della struttura convenuta sia ex artt. 1223 e 1228 c.c., che ex artt. 2043 e 2049 c.c. 2. Sui danni patiti dalla de cuius Appurata la dimostrazione, in corso di causa, di tutti gli elementi richiesti per poter ottenere l'accoglimento della domanda formulata nei confronti della struttura convenuta, vale a dire il rapporto di (...) con la struttura ospedaliera, l'errore medico compiuto dal personale dell'Ospedale di Gallarate per colpa e il nesso di causa con l'evento di danno (il decesso della paziente), occorre adesso stabilire quali danni abbia patito la de cuius, come tali risarcibili iure hereditatis. A tal proposito, l'attore (...), in qualità di erede, ha domandato il risarcimento del danno conseguente alla mancata acquisizione del consenso informato, quantificato, in via equitativa, in Euro 100.000,00, allegando che la mancata acquisizione del consenso informato aveva prodotto un danno alla libera determinazione di (...) a sottoporsi all'intervento di angioplastica, oltre ad avere cagionato un vero e proprio danno alla sua salute, atteso che tale intervento errato aveva provocato il decesso della medesima; dell'esecuzione di tale intervento non erano, del resto, nemmeno stati informati nemmeno loro, in qualità di parenti della de cuius, che, se fossero stati messi al corrente, avrebbero potuto comprendere l'effettiva portata dell'intervento in questione e valutare concretamente l'opportunità che la congiunta venisse sottoposta a tale invasiva e rischiosa operazione. La domanda non merita accoglimento. Sul punto, giova innanzitutto ricordare, in linea generale, che, quando si discorre di violazione del consenso informato, i danni non patrimoniali conseguenti ad una siffatta violazione astrattamente risarcibili possono essere di due tipi: quelli conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in tale ultimo caso di apprezzabile gravità, diverso dalla lesione del diritto alla salute, e quelli conseguenti alla lesione del diritto all'integrità psico-fisica del paziente, tutelata dall'art. 32 Cost. (cfr. in merito a siffatta distinzione, ex multis, Cass. n. 2854/2015; Cass. n. 24220/2015; Cass. n. 24074/2017; Cass. n. 16503/2017). In particolare, la risarcibilità dei primi può essere riconosciuta anche laddove non sussista alcuna lesione della salute (cfr. Cass. n. 2468/2009), o, se la lesione della salute non è causalmente collegabile alla lesione di quel diritto (perché l'intervento o la terapia sono stati scelti ed eseguiti correttamente), sempre che siano configurabili conseguenze pregiudizievoli che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé stesso considerato (quali, ad esempio, il turbamento e la sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate: v. Cass. n. 2847/2010). L'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute: nel primo caso, l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario; nel secondo caso, invece, l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - gravante sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude, comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in re ipsa (da ultimo, Cass. n. 15723/2022; v. anche Cass. n. 24471/2020; Cass. n. 28985/2019; Cass. n. 20885/2018; Cass. n. 2369/2018; Cass. n. 2998/2016). Tanto premesso in via di principio, quanto all'allegazione secondo cui il difetto di consenso avrebbe determinato un danno alla salute, si osserva che, nel caso di specie, il mancato consenso andrebbe posto in relazione causale non già con le conseguenze dannose per la salute, ma con la morte della paziente; deve, tuttavia, escludersi la risarcibilità del c.d. danno tanatologico, per le ragioni già ben chiarite dalla giurisprudenza di legittimità. Ed invero, la lesione dell'integrità fisica con esito letale intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del bene salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita per il definitivo venir meno del soggetto non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima del corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi (S.U. n. 15350/2015; v. anche Cass. n. 15706/2010; Cass. n. 79/2009; Cass. n. 23679/2009). Peraltro, non può non osservarsi, per completezza, che parte attrice non ha in alcun modo dimostrato il nesso di causa tra l'omissione e l'evento di danno, non avendo provato (né, per vero, allegato) che la de cuius (unico soggetto titolato con tutta evidenza ad esprimersi, atteso che il consenso deve essere personale e che la stessa era capace di intendere e di volere, tanto da avere prestato il consenso all'esecuzione della coronarografia), laddove correttamente informata, avrebbe rifiutato l'intervento. Del pari, l'attore non ha allegato, né tanto meno provato, alcun danno autonomo da lesione del diritto all'autodeterminazione della de cuius, inteso quale turbamento a seguito della violazione del diritto all'autodeterminazione, né avrebbe potuto essere diversamente, atteso che la de cuius è deceduta subito dopo l'intervento al quale non aveva acconsentito a sottoporsi. È evidente, quindi, che alcuna somma possa essere riconosciuta a tale titolo, con conseguente rigetto della domanda svolta. 3. Sul danno da perdita del rapporto parentale Per ciò che concerne le conseguenze dannose derivate dalla condotta illecita della struttura patite iure proprio, gli attori hanno affermato di avere subito un danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) conseguente alla prematura perdita della prossima congiunta (...), evento che avrebbe sconvolto la loro vita affettiva e familiare. Al riguardo, occorre premettere che la morte di un prossimo congiunto determina per i prossimi congiunti superstiti un danno iure proprio (v., ex multis, Cass. n. 18284/2021; Cass. n. 21837/2019), di carattere non patrimoniale in conseguenza dell'irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con il congiunto defunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale) nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore) cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro, previsto, per i coniugi dall'art. 143 c.c., per il genitore dall'art. 147 c.c., e ancor prima da un principio immanente nell'ordinamento fondato sulla responsabilità genitoriale (v. Corte Cost., 13/5/1998, n. 166), e per il figlio dall'art. 315 c.c. (v. Cass. n. 13546/2006). Ed invero, l'evento morte del congiunto determina per i congiunti superstiti la perdita di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti, il non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché l'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (v. Cass. n. 10107/2011), con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost. (v. Cass. n. 13546/2006). Il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, quindi, lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli effetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato (Cass. n. 2557/2011; più di recente, Cass. n. 28989/2019). È chiaro, tuttavia, che, dal punto di vista delle conseguenze della lesione, il pregiudizio in discorso può manifestarsi come sofferenza interiore o come sconvolgimento delle abitudini e delle aspettative di vita dei superstiti danneggiati: vale a dire come danno morale o danno alla vita di relazione (cfr. Cass. n. 21060/2016; Cass. n. 16992/2015; Cass. n. 1361/2014). Laddove, poi, la sofferenza psichica si sia "cristallizzata" in una vera e propria patologia nosograficamente apprezzabile, si configurerà un danno biologico psichico, suscettibile di liquidazione secondo il criterio c.d. tabellare, salva l'opportuna "personalizzazione" dei relativi valori, al fine di adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto. Si tratta, dunque, di valutare gli elementi che siano stati (allegati e) provati dagli attori, con riguardo alla singola fattispecie concreta, posto che "il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che può causare nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e un'alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche "vuoti" risarcitori, e, in particolare, per il danno da lesione del rapporto parentale, deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse" (Cass. n. 19402/2013). Ancora, in via generale, pare opportuno ricordare che, come statuito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, la nozione di "società naturale" cui fa riferimento l'art. 29 Cost. non può essere limitata al ristretto ambito della sola c.d. famiglia nucleare: in particolare, è stato chiarito che il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza (ex multis, Cass. n. 18284/2021; Cass. n. 21837/2019; Cass. n. 29784/2018; Cass. n. 3767/2018; Cass. n. 21230/2016; con specifico riferimento al rapporto nipoti-nonni, Cass. n. 7743/2020; Cass. n. 29332/2017; con riguardo al rapporto nipoti-zii, Cass. n. 28989/2019). Se, infatti, occorre certamente evitare una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari, non può, tuttavia, condividersi l'assunto che il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa costituire elemento idoneo di discrimine e giustificare, dunque, l'aprioristica esclusione, nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (Cass. n. 21230 cit.), quando, invece, ben possono ipotizzarsi convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinate da necessità economiche, egoismi o altro, e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura, ma che non implicano, di per, sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà. La convivenza, piuttosto, escluso che possa assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola, costituisce elemento probatorio utile in via presuntiva, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur (v. Cass. n. 8218/2021). In definitiva, quindi, il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale deve essere considerato secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell'ambito delle tradizionali figure parentali, dall'altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all'eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva o esistenziale (Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 8218/2021). La maggiore o minore prossimità formale del legame parentale non rileva, pertanto, nel senso di escludere la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, assumendo, invece, rilevanza sotto il profilo probatorio e del quantum risarcitorio, in quanto tanto più ci si allontana dai membri della c.d. famiglia nucleare, tanto più si richiederà la prova rigorosa in ordine all'effettiva esistenza e consistenza del vincolo affettivo (Cass. n. 5452/2020; Cass. n. 7743/2020). A tale ultimo proposito, occorre ricordare che il danno da perdita del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, ma va allegato e provato dal danneggiato, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c. (cfr. Cass. n. 2228/2012; Cass. n. 10527/2011). Ed invero, "Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire" (Cass. ord. n. 907/2018). La prova del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto può, pertanto, essere offerta anche a mezzo di presunzioni, che in argomento assumono, anzi, precipuo rilievo, e possono assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice, non costituendo un mezzo di prova di rango inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6572/2006). Il danno provocato dalla perdita di un congiunto, infatti, "dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare. Trattasi di un'ipotesi di danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo" (Cass. n. 31950/2018). In presenza di un'offesa di gravità così elevata (come la precoce morte del congiunto), quindi, l'onere dei danneggiati di allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire al fatto ignoto, deve ritenersi affievolito, fermo restando che le allegazioni, per poter essere valutate, devono essere effettivamente specifiche e individualizzanti, in quanto, altrimenti, si liquiderebbe un danno in re ipsa (Cass. 11689/2022). Ciò chiarito in ordine all'an, in merito alla quantificazione di siffatto danno, si ricorda qui che, poiché il danno in questione si configura quale danno di natura non patrimoniale, la liquidazione deve essere effettuata in applicazione del principio generale di cui all'art. 1226 c.c. e, pertanto, in base ad una valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile allegata, tra cui la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti (cfr. Cass. ord. n. 907/2018; v., sul punto, anche Cass. n. 28989/2019). Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve, poi, perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione (Cass. n. 12408/2011); proprio per assicurare tale esigenza di uniformità di trattamento in situazioni analoghe e, quindi, di certezza del diritto, sono state predisposte delle Tabelle - prima di origine pretoria, poi anche di produzione legislativa - che individuano parametri uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale. Come chiarito di recente dalla Suprema Corte, tuttavia, non ogni criterio di quantificazione del danno è in grado di assicurare la prevedibilità nell'esercizio della discrezionalità rimessa al giudice di merito: ed invero, quando il sistema del punto variabile non è seguito, la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza (in questo senso, è significativo che il principio di diritto enunciato da Cass. n. 12408/2011 sopra richiamato sia seguito all'accoglimento di un motivo di ricorso vertente sulla liquidazione del danno mediante punto-base e che la scelta della tabella del Tribunale di Milano abbia preso le mosse dal sistema del punto variabile). In particolare, come evidenziato dalla Suprema Corte con sentenza n. 10579/2021, i requisiti che una tabella per la liquidazione del danno parentale dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio "a punto variabile"; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (v., sul punto, anche le successive Cass. n. 26300/2021 e Cass. n. 33005/2021). Solo così, infatti, si garantisce, oltre ad un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, assicurando al tempo stesso un sufficiente grado di personalizzazione della liquidazione in considerazione delle peculiarità del caso concreto. A tali principi si è da ultimo adeguato anche l'Osservatorio del Tribunale di Milano, che ha elaborato nel 2022 delle tabelle per la liquidazione del danno parentale integrate a punti a partire dalle precedenti tabelle del 2021, utilizzando i valori monetari della forbice delle dette tabelle e con riferimento alle stesse circostanze (età vittima primaria, età vittima secondaria, convivenza, presenza o meno di congiunti superstiti ed intensità del vincolo affettivo) menzionate nei criteri orientativi delle precedenti tabelle. Le nuove Tabelle indicano un valore-punto, determinato sulla scorta del rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto avente diritto al risarcimento, potendosi presumere che il danno sia maggiore quanto più stretto è il rapporto determinato (e che, in concreto, è stato ottenuto dividendo per 100 il valore monetario massimo previsto dalle due tabelle milanesi del 2021 per la liquidazione del rispettivo danno parentale), attribuendo, poi, un punteggio sulla scorta dei seguenti parametri: a. l'età del congiunto, dovendosi presumere che il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età del congiunto superstite; b. l'età della vittima: anche in questo caso è ragionevole ritenere che il danno sia inversamente proporzionale all'età della vittima, in considerazione del progressivo avvicinarsi al naturale termine del ciclo della vita; c. la convivenza tra la vittima ed il congiunto superstite, dovendosi presumere che il danno è tanto maggiore quanto più costante e assidua è stata la frequentazione tra la vittima ed il superstite; d. la presenza all'interno del nucleo familiare di altri congiunti, in quanto il danno derivante dalla perdita è sicuramente maggiore se il congiunto superstite rimane solo, privo di quell'assistenza morale e materiale che gli derivano dal convivere con un'altra persona o dalla presenza di altri familiari, anche se non conviventi; e. la qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto (da valutare guardando, ad esempio, alle seguenti circostanze di fatto: frequentazioni/contatti; condivisione delle festività/ricorrenze; condivisione di vacanze; condivisione di attività lavorativa/hobby/sport; attività di assistenza sanitaria/domestica; agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria). Tutto ciò premesso in via generale, con riguardo alla fattispecie concreta oggetto di causa, si rileva innanzitutto che la struttura convenuta, per la prima volta nella memoria conclusiva di replica, ha dedotto che gli attori non avevano dimostrato la loro titolarità ad agire. La difesa è tardiva e, come tale, deve essere disattesa. Si osserva, a tal proposito, che la contestazione della titolarità attiva, investendo un fatto costitutivo della pretesa, che deve essere provato dall'attore, non integra una eccezione in senso stretto, ma una mera difesa, proponibile in ogni fase del giudizio (Cass. n. 15832/2011; Cass., Sez. Un., n. 2951/2016); ciò, tuttavia, a condizione che il convenuto, ritualmente costituitosi, non abbia riconosciuto la circostanza o svolto difese incompatibili con la sua negazione (cfr., da ultimo, Cass. n. 10640/2021; Cass. n. 9457/2020). Ed invero, la titolarità del rapporto controverso, quale fatto costitutivo della domanda, rimane assoggettata al generale onere della prova, che può essere raggiunta anche attraverso la mancata contestazione a norma dell'art. 115 c.p.c.. Il convenuto, quindi, può, con il suo comportamento processuale, influire sugli incombenti probatori gravanti sull'attore (eliminandoli o alleviandoli), laddove non contesti o riconosca espressamente la verità dei fatti ex adverso affermati (cfr. Cass. n. 15759/2014; Cass. n. 15832/2011). Nel caso di specie, la titolarità del rapporto in capo agli attori deve ritenersi circostanza provata, non essendovi stata alcuna contestazione sul punto da parte della struttura nel corso del giudizio fino alla memoria di replica, con la conseguenza che la prova di tale fatto costitutivo era già stata raggiunta ai sensi dell'art. 115 c.p.c. Ciò chiarito, facendo ora applicazione dei principi sopra esposti al caso in esame, occorre differenziare le posizioni dei singoli congiunti che hanno domandato il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Quanto al marito e alla sorella della defunta (...), deve qui ribadirsi che il danno consistente nella lesione rilevante alla sfera affettiva e familiare causata dalla morte improvvisa del coniuge, genitore, figlio o fratello, sussiste in via presuntiva (salvo prova contraria) nell'an, alla luce del legame affettivo che normalmente esiste, che fa presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all'essere umano (da ultimo, Cass. n. 25541/2022), con la precisazione che, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l'esistenza di circostanze concrete dimostrative dell'assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. n. 3767/2018). Nel caso di specie, il coniuge ha allegato di avere trascorso una vita accanto alla propria moglie, con oltre quarant'anni di matrimonio, vissuti in simbiosi, e la sorella (...), di avere avuto, sin dall'infanzia, un legame affettuoso, stretto e profondo con la sorella, con innumerevoli momenti di vita trascorsi insieme e condivisi anche nella quotidianità. Ebbene, reputa il Tribunale che la presunzione secondo cui normalmente tra gli stretti congiunti (come lo sono (...) e (...)) vi è un intenso vincolo affettivo, unitamente agli elementi allegati, siano sufficienti per ritenere comprovato nell'an il danno da perdita del rapporto parentale, potendosi ritenere provato che gli attori abbiano sofferto in seguito all'evento luttuoso. Diversamente, per quanto riguarda la nipote (...), reputa il Tribunale che le sole allegazioni della stessa non siano sufficienti a ritenere comprovata la sussistenza di un effettivo pregiudizio dato dalla lesione del legame affettivo. Sul punto, si ribadisce che, se nel rapporto tra familiari della c.d. famiglia nucleare può essere invocata la presunzione sopra richiamata, in forza della quale lo stretto vincolo di parentela lascia presumere la sussistenza di un profondo legame affettivo, la cui perdita costituisce certamente un danno risarcibile, nel rapporto tra parenti meno prossimi la medesima presunzione non può ritenersi sic et simpliciter operante; spetta, pertanto, alla parte dimostrare, in modo rigoroso, la sussistenza di una stretta frequentazione con il defunto, ovvero di una vicinanza di affetti o interessi, ovvero di qualsivoglia altro concreto elemento esteriore da cui desumere la profondità del legame, la cui perdita sia perciò tale da determinare uno sconvolgimento nella vita di colui che ne chiede il risarcimento o la sua profonda sofferenza. Nel caso di specie, (...) ha allegato di avere una "stretta relazione di affetto e di condivisione con la defunta zia, caratterizzata da continuità, contatto pressoché quotidiano, profondo affetto di tipo materno e condivisione di tutti gli appuntamenti importanti della vita e della quotidianità". Tali allegazioni, del tutto generiche, sono rimasta sfornite di qualsivoglia prova. Ed invero, l'attrice, senza premurarsi di descrivere in maniera specifica circostanze in fatto tali da poter ritenere dimostrato per presunzioni un legame con la defunta zia, già anziana e non convivente, di tale intensità da comportare un effettivo sconvolgimento delle sue abitudini di vita ed un profondo dolore, se non tardivamente nella comparsa conclusionale (laddove si legge, per la prima volta, "che la Sig.ra (...) ha sempre condiviso tutte le festività più importanti e festeggiato le ricorrenze con la famiglia della propria defunta zia e spesso si è recata con loro in innumerevoli viaggi di vacanza che hanno, nel tempo, contribuito a consolidare il rapporto di affetto, vicinanza e condivisione"), si è limitata a formulare un capitolo di prova del tutto generico e palesemente valutativo ("Vero che la Sig.ra (...) era legata alla propria zia, Sig.ra (...), da un solido rapporto affettivo che le legava e caratterizzato da continuità, contatto pressoché quotidiano, profondo affetto di tipo materno per il quale la de cuius rappresentava per la Sig.ra (...) un'importante figura di riferimento, oltre che di condivisione non solo di tutti gli appuntamenti importanti della vita della medesima ma anche nella quotidianità") e a produrre una sola fotografia che la ritrae con la zia in un'epoca e un luogo del tutto imprecisati, oltre a delle dichiarazioni scritte di conoscenti volte a descrivere il rapporto con la defunta zia in vista del presente giudizio, che, tuttavia, non sono valutabili, trattandosi di una forma di surrettizia "testimonia scritta", resa in assenza dei presupposti e delle forme di cui all'art. 257 bis c.p.c., o, ancora, una dichiarazione in cui essa stessa rappresenta il rapporto con la zia (che nemmeno può supplire al difetto originario di allegazione, giacché, come chiarito anche da Cass. SS.UU. n. 2435/2008, "i documenti rivestono funzione eminentemente probatoria che, come tale, non può surrogare quella dell'allegazione dei fatti"). Non ha, invece, in alcun modo offerto di dimostrare la condivisione di interessi comuni, le frequentazioni ricorrenti, i reciproci gesti di solidarietà, quali, ad esempio, l'assistenza durante le malattie (tenuto altresì conto che la defunta zia era malata oncologica) o gli aiuti economici. Non sussistono, quindi, in relazione alla posizione della nipote, le condizioni di apprezzabilità minima del danno, non essendo stata in alcun modo dimostrata, neanche in via presuntiva, la gravità e la serietà del pregiudizio e della sofferenza patita, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale, che esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, da allegare in modo circostanziato, e che non può risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, come insegna la giurisprudenza di legittimità sopra citata (da ultimo, Cass. n. 28989 cit.). Nessun risarcimento può, pertanto, essere riconosciuto iure proprio a (...) per lesione del rapporto parentale, con conseguente rigetto della sua domanda. Dovendosi ora procedere alla liquidazione del danno patito da (...) e da (...), considerati tutti i profili di lesività non patrimoniale emersi, valutata l'intensità del legame esistente tra le parti, valutato il perturbamento d'animo subito dagli attori a causa di quanto subito da (...) e l'alterazione dell'esistenza degli stessi, ricorrendo al sistema di calcolo delineato dalle Tabelle del Tribunale di Milano come sopra descritte, può procedersi: - per quanto riguarda (...), all'attribuzione di un punteggio complessivo pari a 58, di cui 10 punti per qualità ed intensità della relazione affettiva, tenuto conto dei parametri sopra indicati, con la precisazione che è stata tenuta in considerazione la condivisione quarantennale della quotidianità con la de cuius, unico elemento significativo emerso; - per quanto riguarda (...), all'attribuzione di un punteggio complessivo pari a 16, con esclusione del punteggio attribuito dalle tabelle per qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto, non avendo l'attrice allegato tempestivamente e in maniera specifica alcunché per quanto attiene la condivisione della quotidianità, delle festività e delle vacanze, delle frequentazioni e dei contatti con la sorella: ed invero, l'attrice si è limitata a indicare circostanze aspecifiche e affatto individualizzanti dell'attualità del rapporto, formulando all'uopo un capitolo di prova altrettanto generico e valutativo ("Vero che la Sig.ra (...), sin dall'infanzia, è sempre stata legata alla propria sorella, Sig.ra (...), per la quale ha avuto un legame affettuoso, stretto e profondo con innumerevoli momenti di vita trascorsi insieme e condivisi anche nella quotidianità e che, proprio a causa di tale tragico ed improvviso evento, ha gettato nello sconforto più profondo la medesima"); solo nella comparsa conclusionale ha, poi, dedotto che "le sorelle avevano un rapporto telefonico pressochè quotidiano mentre si vedevano quasi tutti i week end anche con la nipote, Sig.ra (...), in quanto le odierne Ricorrenti hanno la casa in campagna sita in M. (V.) a pochi chilometri di distanza dalla loro parente stretta", allegazioni che risultano tardive, oltre che in alcun modo comprovate. Il punteggio così ottenuto va, a sua volta, moltiplicato per Euro 3.365,00 per quanto riguarda il coniuge e per Euro 1.461,20 per quanto riguarda la sorella, secondo quanto indicato dalle citate tabelle di Milano. Alla luce degli elementi sopra indicati, rilevato che non si ravvisano specificità nel caso concreto che non siano state tenute adeguatamente in conto nel calcolo appena esposto, anche eventualmente in riduzione o aumento rispetto alle somme che si otterrebbero con una rigida applicazione dei punti e dei valori di cui alle Tabelle, può essere riconosciuta, quindi, a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, la somma di Euro 195.170,00 ad (...) e la somma di Euro 23.379,20 a (...). Il risarcimento - in quanto debito di valore - è quantificato in moneta attuale; non spetta, pertanto la rivalutazione monetaria. Sull'importo riconosciuto decorrono, invece, gli interessi, quali componenti del risarcimento a ristoro del mancato godimento della maggior somma riconosciuta, da computarsi, alla luce dell'orientamento consolidato della Suprema Corte (cfr. Cass. civ. S.U. 1712/1995), sull'importo riconosciuto, "devalutato" fino al giorno dell'illecito (25.5.2018) e poi "rivalutato" annualmente fino ad oggi. Dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta, all'effettivo saldo, decorrono, poi, gli interessi al tasso legale sulla somma sopra liquidata complessivamente. 4. Sulle spese di lite Quanto alle spese di lite, ivi comprese quelle di cui alla mediazione, in considerazione dell'esito del giudizio e dell'accoglimento solo parziale delle domande svolte dagli attori, va disposta la compensazione delle spese di lite tra le parti nella misura di 1/3, ponendo a carico della convenuta l'onere di rifondere agli attori i restanti 2/3. Le spese si liquidano come in dispositivo, in base ai parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornati al D.M. n. 147 del 1922 per lo scaglione da Euro 52.000,00 ad Euro 260.000,00, guardando al valore dell'accolto, con un aumento del 30% ex art. 4, comma 2, D.M. citato. Devono, invece, essere poste integralmente a carico della convenuta soccombente le spese della CTU medico legale espletata in questo giudizio, già liquidate con separato decreto, nonché le spese sostenute dagli attori per la consulenza di parte, essendosi la stessa resa necessaria al fine di accertare la responsabilità della struttura. Non sussistono, infine, i presupposti per la condanna della convenuta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., tenuto conto del parziale accoglimento delle domande e della circostanza che, alla data dell'instaurazione del giudizio, le consulenze svolte in ambito penale avevano escluso la responsabilità dei sanitari intervenuti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 901/2021, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) in accoglimento delle domande formulate dagli attori nei limiti di cui in motivazione, condanna l'Azienda (...) a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, ad (...), rappresentato dalla procuratrice speciale (...), la somma di Euro 195.170,00, e a (...) la somma di Euro 23.379,20, oltre interessi come da motivazione; 2) rigetta, per il resto, le domande attoree; 3) compensa nella misura di 1/3 le spese di lite e condanna la convenuta a rifondere a parte attrice i restanti 2/3, che liquida, già al netto della compensazione, in Euro 6.680,00 per esborsi (Euro 580,00 + Euro 6.100,00 per spese c.t.p.) ed Euro 13.096,00 (di cui Euro 873,60 per l'attivazione della mediazione) per compensi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 4) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto. Così deciso in Busto Arsizio il 13 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Busto Arsizio, III Sezione Civile, nella persona del giudice unico dott. Francesco Paganini, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6621/2019 del Ruolo Generale promossa da CONDOMINIO (...) ((...)), elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico, presso lo studio dell'avv. (...) dal quale é rappresentato e difeso; - attore - contro (...) SRL ((...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20030 SENAGO, presso lo studio dell'avv. (...) dal quale é rappresentato e difeso; - convenuto - conclusioni delle parti Per parte attrice: "Foglio di precisazione delle conclusioni nell'interesse di Condominio (...) Si insiste per l'accoglimento delle seguenti richieste e conclusioni Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis rejectis, così giudicare: In via principale: accertata e dichiarata la sussistenza dei vizi e difetti denunciati da parte attrice e la responsabilità delle convenute (...) s.r.l. e (...) s.r.l., condannare queste ultime a risarcire il danno subito dal Condomino, nella misura di Euro 16.078,13 oltre i.v.a. ciascuna, od in quella diversa misura ritenuta di giustizia. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e del procedimento di consulenza tecnica preventiva." Per parte convenuta (...): "FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI PER LA CONVENUTA (...) S.R.L. Parte convenuta, all'esito delle proprie difese insiste e confida per l'accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ill.mo Giudice adito, contrariis reiectis, per le ragioni sopra esposte: IN VIA PRELIMINARE Accertato e dichiarato che l'azione nei confronti della (...) S.r.l. risulta viziata da prescrizione e/o decadenza ai sensi dell'art. 1669 c.c., rigettare le domande tutte svolte da controparte nei confronti della convenuta condannando parte attrice alla rifusione delle spese del presente giudizio. NEL MERITO Nella denegata ipotesi di rigetto della domanda svolta in via preliminare concernente l'intervenuta prescrizione e decadenza della presente azione, per tutti i motivi esposti in narrativa, rigettare le domande svolte dal Condominio (...) in quanto infondate in fatto e in diritto. IN VIA ISTRUTTORIA Con più ampia riserva di ulteriormente dedurre, produrre ed articolare, anche a prova contraria, sulle eventuali istanze istruttorie formulate dalle controparti. Con il favore di spese, diritti ed onorari del presente giudizio." Per parte convenuta (...): "FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI NELL'INTERESSE DI (...) S.R.L. L'Avv. (...) dichiara di non accettare il contraddittorio sulle eventuali nuove domande ex adverso introdotte in questa sede e così precisa le proprie CONCLUSIONI IN VIA PREGIUDIZIALE = accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva in capo ad (...) S.r.l. con conseguente estromissione dal presente giudizio. IN VIA PRELIMINARE accertare e dichiarare l'intervenuta decadenza dalla garanzia e prescrizione dell'azione ex artt. 1667 e 1669 c.c. con conseguente declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità dell'intestato giudizio. SOLO nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle eccezion pregiudiziale e/o preliminare di cui sopra, in via gradata: IN VIA PREGIUDIZIALE = disporre nuova consulenza tecnica ex art. 698 comma 2° c.p.c. nonché ammettersi prova per testi così come di seguito articolata. NEL MERITO = accertata la correttezza delle prestazioni rese da (...) S.r.l. in favore di parte ricorrente; = accertata, pertanto, l'assenza di qualsivoglia responsabilità in capo ad (...) S.r.l.; = rigettare le domande avversarie tutte, con qualunque statuizione, perché infondate in fatto ed in diritto. IN VIA ISTRUTTORIA = ordinare a parte ricorrente l'esibizione ex art. 210 c.p.c. del contratto di manutenzione del tetto dell'immobile ovvero di altra documentazione idonea allo scopo; = si chiede ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova: 1) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava lo stato di degrado del tetto del condominio di Saronno, (...). 2) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava che il tetto del condominio di Saronno, (...) presentava accumuli di sporcizia che occludevano gli scarichi. 3) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava che il tetto del condominio di Saronno, (...) era stato manomesso da terzi estranei ad (...) S.r.l. 4) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 vedeva sul tetto del condominio di Saronno, (...) materiale mai utilizzato da (...) S.r.l. 5) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 raccomandava alla committenza del condominio di Saronno l'importanza della pulizia del tetto dell'immobile. A testi sui capitoli 1), 2), 3), 4), 5) si indicano il sig. (...) ed il geom. (...) presso (...) S.r.l. 6) Vero che le tegole canadesi dell'immobile sito in Saronno, (...) sono state correttamente chiodate ed incollate da parte di (...) S.r.l. 7) Vero che l'azione del vento, gli sbalzi termici e la grandine possono creare distacchi delle falde. 8) Vero che la maggior inclinazione delle falde del tetto dell'immobile sito in Saronno, (...) tutela all'azione del vento. A testi sui capitoli 6), 7), 8) si indicano il geom. (...) e l'arch. (...) presso Tegola Canadese S.p.A. = si fa salva e riservata ogni istanza sino alla scadenza dei termini di legge. NEL MERITO - IN VIA SUBORDINATA = nella denegata ipotesi in cui venissero ravvisati profili di responsabilità, a qualunque titolo in capo ad (...) S.r.l., e quindi per ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande avversarie, dichiarare tenuta la società (...) SA - Rappresentanza Generale e Direzione per l'Italia (P.IVA (...)) con sede in Milano (MI), Via (...) (già (...)) e condannare la stessa a manlevare (...) S.r.l. da ogni domanda avversaria che dovesse trovare accoglimento. IN OGNI CASO = Vittoria di spese, diritti e onorari del presente grado di giudizio." Per la terza chiamata (...) SA: "Precisazione delle conclusioni per (...). L'avv. (...), in nome e per conto di (...), che rappresenta e difende, senza accettare il contradittorio su eventuali eccezioni, istanze e domande nuove, rassegna le seguenti conclusioni voglia l'Ill.mo Tribunale di Busto Arsizio, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, così giudicare: - nel merito, in via principale, accertata e dichiarata in ogni caso l'intervenuta prescrizione e/o decadenza dei diritti del danneggiato e/o comunque il difetto di legittimazione passiva dell'assicurata rispetto alla domanda attorea, per le ragioni tutte esposte in narrativa, dichiarare improcedibile e/o respingere la domanda attorea comunque perché infondata in fatto e diritto e quindi disporre la non operatività della polizza e/o la non insorgenza di obblighi a carico di (...), mandando assolta la terza chiamata da qualsivoglia obbligo contrattuale; - in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi in cui non dovessero essere accolte le preliminari eccezioni e dovesse ravvisarsi una qualsivoglia responsabilità dell'assicurato nella determinazione dei danni di cui si discute e/o ritenere questo tenuto al risarcimento, accertata e dichiarata l'intervenuta prescrizione dei diritti dell'assicurato nei confronti della compagnia e/o il venir meno del suo diritto all'indennizzo per le ragioni tutte esposte in narrativa, per l'effetto disporre che alcun obbligo è insorto a carico di (...) rispetto al caso de quo e così respingere integralmente la domanda di garanzia e manleva formulata nei suoi confronti e/o mandarla assolta da qualsivoglia obbligo contrattuale; - in estremo subordine: nella denegata e non creduta ipotesi in cui non dovesse essere accolta la preliminare eccezione di prescrizione e ravvisarsi l'operatività della garanzia assicurativa invocata, limitare in ogni caso l'operatività della polizza e l'obbligo di manleva per i soli danni diretti e risultati provati ed in stretta derivazione causale con l'operato dell'assicurata, con esclusione di quelli frutto di un aggravamento per omissione colpevole dell'assicurato e/o non derivanti dal suo operato, valutando ex art. 1227 cod. civ. il concorso dello stesso attore nella produzione del danno di cui si lamenta, comunque con applicazione dei previsti scoperti e franchigie e limitazioni tutte contrattuali; - in ogni caso con il favore delle spese e compensi di causa. In via istruttoria: si richiamo le espresse difese ed istanze come da memorie ex art. 183 VI c.p.c. n. 2 e 3 ritualmente depositate da aversi qui per richiamate e trascritte." motivi della decisione Il Condominio (...), di Saronno, Piazza (...), in persona del suo amministratore Pro tempore, premesso: Che l'edificio era stato costruito nell' anno 2006 dalla società (...) S.r.l. con sede a Milano; Che il manto di copertura era stato realizzato dalla società (...) S.r.l., con sede in Castellanza; Che a partire dall'anno 2011 si era verificato il distacco, con conseguente caduta nel cortile sottostante, di alcune tegole del tetto; Che la circostanza era stata prontamente denunciata dall'amministratore alla società costruttrice e da quest'ultima all' impresa che aveva realizzato il tetto; Che la società (...) aveva tuttavia respinto ogni responsabilità in merito, negando ogni addebito e rendendosi disponibile a intervenire solo a seguito della stipula di un nuovo contratto di manutenzione del tetto; che il condominio aveva conferito incarico all'ingegnere (...) di Saronno di individuare le cause dei fenomeni sopra descritti, ossia caduta di tegole; Che tale professionista, come risulta dalla relazione del 17 luglio 2015 aveva accertato che numerose tegole bituminose, dette canadesi, si erano spezzate a metà in corrispondenza delle sovrapposizioni, probabilmente a causa di una scarsa adesione fra le stesse; che il legale del condominio aveva richiesto con raccomandata 15/12/2015 della società (...) e la società (...) di intervenire per eliminare i vizi denunziati; Che tale diffida/costituzione in mora, era stata successivamente rinnovata a mezzo Raccomandata e posta elettronica certificata il 12/5/2016; 15 /9 /2016; 21/6/2017; 20.6/2018; Che In considerazione della perdurante inattività dei destinatari delle missive era stato presentato ricorso per ATP, rubricato al RG 71 15/2018, accertamento che aveva acclarato la responsabilità dei resistenti per un cattivo posizionamento delle tegole, lavoro non eseguito a regola d'arte per cui si rendeva necessario la parziale rinnovazione dello stesso con un esborso di 40 mila,200,00 euro; Chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento dell'importo capitale sopraindicato. Si costituivano ritualmente in giudizio le due società. La società (...) eccepiva preliminarmente l'intervenuta prescrizione, decadenza della denuncia dei vizi ai sensi dell'art. 1669 codice civile, in quanto i primi inconvenienti erano stati accertati già a partire dal 2011 con il distacco di alcune tegole e quindi si era verificata la prescrizione non avendo il condominio tempestivamente coltivato l'azione. Nel merito sosteneva che nessuno responsabilità era da imputarsi alla società (...) posto che il manto di copertura era stato realizzato dall'altra convenuta. Quest'ultima costituendosi in giudizio, in via preliminare, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva. Sosteneva infatti di essere subappaltatore di altra società, poi dichiarata fallita e di non avere alcun legame contrattuale né con il condominio né con la (...) e a proprio volta sosteneva comunque prescrizione e decadenza ai sensi dell'articolo 1669 codice civile, chiedendo l'autorizzazione a chiamare in garanzia la società (...), avendo una garanzia postuma decennale. Il giudice autorizzava la chiamata della terza assicurazione (...) sa, che si costituiva facendo proprio nel merito le difese dell'assicurato ma escludendo l'operatività dell'assicurazione, stante l'intervenuta prescrizione biennale. Disposta la conversione del rito e l'acquisizione dell'accertamento tecnico preventivo, istruita la causa mediante l'assunzione delle sole prove orali ammesse, la stessa, sulle decisioni come rassegnate telematicamente, passava In decisione. L'azione proposta dal condominio e fondata e meritevole di accoglimento. L'azione in esame deve essere inquadrata nell'archetipo di cui all'articolo 1669 codice civile, ossia di una responsabilità per costante giurisprudenza della Suprema Corte extracontrattuale. Appare opportuno preliminarmente operare un distinguo tra i vari termini previsti dalla norma in esame: "In tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l'art. 1669 cod. civ. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell'appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore - costruttore), due ulteriori termini: uno di decadenza, per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti, di un anno dalla "scoperta" dei vizi o difetti, e l'altro di prescrizione, per l'esercizio dell'azione di responsabilità, di un anno dalla denuncia. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere." Sez. 2, Sentenza n. 14561 del 30/07/2004 (Rv. 575125 - 01) In particolare come enunciato dalla Suprema Corte il termine decennale, pure invocato dai convenuti non è previsto quale termine né di prescrizione né di decadenza, ma è semplicemente il termine finale di un rapporto sostanziale. Se gli eventi si verificano entro tale termine, come nel caso in esame, l'appaltatore è tenuto all'integrale risarcimento. Ora è pacifico che l'immobile è stato costruito nell'anno 2006 dalla società (...), venditrice/costruttrice e che la copertura dell'immobile è opera destinata di per sé a durare nel tempo, per cui opera l'articolo 1669 codice civile. Il distacco di alcune tegole verificatesi a partire dall'anno 2011, fatto grave e pericolosissimo, naturalmente subito contestato al venditore costruttore e da questi all'(...) S.r.l. non può sicuramente, isolatamente considerato, essere ritenuto termine iniziale della piena consapevolezza del condominio sulle cause del distacco stesso. Che una tegola ,anche una sola, si distacchi dal tetto e cada in cortile è un fatto oggettivamente grave e come tale, a prescindere dalla causazione dell'evento, non poteva non essere immediatamente denunciato alla società venditrice costruttrice che aveva l'onere di intervenire unitamente alla (...), che, arbitrariamente aveva subordinato il suo intervento alla stipula di un contratto di manutenzione del tetto di cui, altrettanto immotivatamente e pretestuosamente ha richiesto la produzione in giudizio, senza che vi sia alcun obbligo normativo o regolamentare in merito, di stipulare una siffatta convenzione in capo al condominio. La (...) come società venditrice e costruttrice aveva la responsabilità di intervenire al pari delle (...), mentre nessun concorso di colpa è configurabile nei confronti del condominio, che, da parte sua, si è immediatamente e vanamente reso parte attiva. L' eccezione di legittimazione passiva svolto dalla (...) è del tutto infondata, non vertendosi in un rapporto contrattuale ma in un'ipotesi di risarcimento danno di natura extracontrattuale. "In materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell'art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire - con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato - se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell'immobile. "Sez. 2 -, Ordinanza n. 22093 del 04/09/2019 (Rv. 655215 - 01) "La condotta negligente del subappaltatore, che integra inadempimento contrattuale nei confronti del subappaltante, ben può dar luogo a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti del committente originario, in quanto idonea a ledere il diritto di quest'ultimo ad una corretta esecuzione del rapporto contrattuale di appalto, nonché a cagionare un pregiudizio ingiusto, mentre non può ingenerare una sua responsabilità - anch'essa di natura extracontrattuale - ai sensi dell'art. 1669 c.c., presupponendo l'operatività di tale norma il rapporto diretto tra committente ed appaltatore, solo legittimato passivo, quale unico garante della stabilità e sicurezza dell'edificio, rispetto all'azione in tal senso proposta dal primo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, in relazione ai danni subiti dal committente a causa dei lavori di copertura di un edificio eseguiti dal subappaltatore e consistiti negli esborsi necessari conseguiti allo scoperchiamento del tetto, ha ricondotto la responsabilità del subappaltatore medesimo all'art. 2043 c.c.)". Sez. 2 -, Ordinanza n. 21719 del 27/08/2019 (Rv. 655235 - 01) L'accertamento tecnico preventivo ritualmente acquisito agli atti è del tutto preciso e condivisibile, laddove indica l'imperizia della (...) S.r.l. nella posa in opera delle tegole, avvenuta non a regola d'arte. Nulla si può imputare al condominio per l'aggravamento dello stato dei luoghi: non incombeva certo al condominio provvedere alla sistemazione della copertura posta in essere dai convenuti. Al contrario il condominio è stato alquanto diligente, contestando subito a entrambe le società l'accaduto, ossia distacco di una tegola o di più tegole nel tempo, contestando la relazione dell'ing. (...) entro un anno dalla scoperta della causa delle cadute delle tegole ed interrompendo la prescrizione annuale con pec del legale. Incombeva a tali società intervenire prontamente per non aggravare lo stato dei luoghi. Dopo la relazione dell'ing. (...) si può ritenere acquisita in capo all'ente attoreo la consapevolezza delle cause del dissesto del manto di copertura, cause contestate con raccomandata del legale del condominio ai due convenuti: il termine prescrizionale è stato sempre interrotto con le pec del legale, l'atp e poi il presente giudizio, senza soluzione di continuità. Alla luce delle acquisizioni svolte, in particolare ATP, le due società in ragione di metà ciascuno devono essere condannate a pagare al condominio l'importo di 20.100 Euro ciascuna, oltre IVA per i danni accertati. La (...) nella sua veste di impresa venditrice e costruttrice e quindi come tale responsabile ultima di tutti i lavori eseguiti o male eseguiti anche dai subappaltatori dei suoi subappaltatori, avendo un obbligo generale di vigilanza e la (...) quale esecutrice materiale non a regola d'arte dei lavori, violazioni da ritenersi causalmente equipollenti. "In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., ove il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia) trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l'appaltatore(e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l'opera sia a quest'ultimo riferibile - sulla base di un accertamento di fatto relativo all'esistenza di un suo potere direttivo e di controllo sull'appaltatore che non può essere escluso negli appalti a cascata". Sez. 2 -, Ordinanza n. 27250 del 16/11/2017 (Rv. 646075 - 01) Da ultimo ritiene questo tribunale che operi la copertura assicurativa a carico della terza chiamata a favore della (...). Infatti nelle raccomandate che si sono susseguite nel tempo nessun pagamento era stato richiesto alla srl (...), richiesta formulata per la prima volta nel presente giudizio: precedentemente era stato richiesto all'assicurata di provvedere alla sistemazione della copertura dell'immobile. Stante la inattività delle due società oggi convenute, era stato promosso accertamento tecnico preventivo ritualmente acquisito agli atti del processo. "In tema di assicurazione della responsabilità civile, la prescrizione breve del diritto all'indennizzo decorre dal momento in cui l'assicurato riceve la richiesta risarcitoria del danneggiato perché a partire da tale momento il responsabile è in condizione ed è tenuto ad attivare il proprio assicuratore, atteso che il concreto accertamento della riconducibilità del sinistro nell'ambito della copertura assicurativa è preliminare soltanto alla liquidazione dello stesso, ma non incide sulla decorrenza del termine di prescrizione, senza che, peraltro, assuma rilevanza il disposto dell'art. 2935 c.c., derogato, in materia assicurativa, dall'art. 2952 c.c. Ordinanza n. 25430 del 26/10/2017 (Rv. 646456 - 01) Alla luce dei più recenti pronunciamenti della Suprema Corte l'accertamento tecnico preventivo è liberamente valutato dal giudice e utilizzato nella sua decisione anche nei confronti dell'assicurazione che non vi abbia partecipato. "La relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto inutilizzabile, nei confronti della compagnia assicuratrice, la consulenza tecnica d'ufficio prodotta nel giudizio di merito, ma resa nel procedimento di a.t.p. al quale l'assicurazione non era stata chiamata a partecipare). Sez. 3 -, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023 (Rv. 667109 - 01) La terza chiamata comunque è stata posta in grado in corso di causa di svolgere precise e non generiche negazioni e valutazioni, al contrario non formulate , sicché (...) deve essere condannata a tenere indenne la S.r.l. (...) per l'importo capitale di euro 20.100 nonché le spese di costituzione nel presente giudizio e tutte le altre spese che la stessa debba rifondere al condominio attore ad esclusione di quelle relative all'atp, laddove l'(...) non ha immediatamente chiamato l'assicurazione, il cui risultato e le valutazioni tecniche dell' ATP sono estensibili anche alle assicurazioni ,ma non le spese del CTU e della procedura. Pertanto i convenuti devono essere condannati a pagare ciascuno di essi Euro 20.100,00 di importo capitale già espresso in termini attuali oltre IVA ed interessi legali dal 12.5.2016 al saldo, nonché, in via tra loro solidale, le spese di CTU, quelle di ATP, liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori e quelle del presente giudizio, liquidate in Euro 300,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 oltre accessori per compensi professionali. La terza chiamata deve tenere indenne l'impresa (...) degli importi sopraindicati, ad esclusione delle voci attinenti l'atp. Soccorrono giustificati motivi per dichiarare compensate le spese tra assicurazione ed assicurata, che non aveva prima di tale causa denunciato il sinistro. Se la circostanza da un punto di vista sostanziale non rileva, non avendo dimostrato l'assicurazione che da tale omissione le sia derivato un pregiudizio e essendo nulle clausole che da tale omissioni vorrebbero fare derivare l'inoperatività del vincolo assicurativo, rileva processualmente: se notiziata tempestivamente l'assicurazione inadempiente nel pagamento sarebbe stata tenuta anche a rifondere le spese processuali dell'assicurata. PQM Condanna 1. La S.r.l. (...) e la S.r.l. (...) a pagare al condomino attore l'importo capitale di Euro 20.100,00 ciascuna, oltre IVA ed interessi legali dal giugno 2016 al saldo nonché in via tra di loro solidale le spese di CTU, di atp e di lite, liquidate come in motivazione; 2. La terza chiamata a rifondere gli importi di cui al capo che precede alla propria assicurata, con esclusione delle somme dovute al CTU e per l'atp; Dichiara Compensate le spese tra la S.r.l. (...) e l'assicurazione terza chiamata. Busto Arsizio, 23 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO SEZIONE Terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2449/2020 promossa da: (...), c.f. (...), residente in Somma Lombardo Via (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (...) ATTORE contro (...) , c.f. (...), residente in via (...) 22073 FINO MORNASCO (...) spa, corrente in Bologna via (...), rappresentata ed assistita dall'avv. (...) e con domicilio eletto presso e nello studio in Gallarate via (...) CONVENUTI OGGETTO: lesione personale CONCLUSIONI Per parte attrice: Richiamati tutti gli scritti difensivi e sulla scorta della CTu medico legale sulla persona dell'attore, allo stato si rassegnano le seguenti conclusioni: CONCLUSIONI danno biologico 40% E. 230.612,00 danno non patrimoniale (pers. 25%) E. 57.653,00 inab. Temp. Assoluta gg. 165 E. 16.335,00 inab. Temp. Parziale 75% gg.640 E. 47.520,00 inab. Temp. Parziale 50% gg.290 E. 14.355,00 spese mediche E. 1.598,07 E. 368.073,07 - Acconto del 04/02/20 E. 206.000,00 Importo E. 162.073.07 e/o nella diversa somma che il Giudice riterrà di giustizia. Oltre interessi dal giorno del fatto 20/03/2016 al versamento dell'acconto di E. 206.000,00 (04/02/20) e dal 04/02/20 al saldo; Oltre al riconoscimento del danno emergente e/o patrimoniale per la somma versata a codesto difensore per la fase stragiudiziale pari a E. 24.354,00 oltre spese generali Iva e Cap e per la fase introduttiva della negoziazione assistita pari a E. 2.000,00 oltre accessori di legge e spese vive pari a E. 6.50; con vittoria di spese, compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali Iva e Cap come per legge. Per (...) s.p.a. piaccia al Tribunale ill.mo ogni contraria istanza disattesa giudicare: nel merito: previo declaratoria di corresponsabilità ex art. 2054 cc dell'attore nella produzione dell'evento di cui è causa, anche in applicazione dell'art. 1227 cc, ritenuta la congruità della offerta avanzata dalla comparente in data 4.2.20, respingere tutte le domande svolte contro la comparente, per i motivi illustrati. Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) per sentir accertare la responsabilità di (...) in ordine al sinistro stradale del 20.3.2016, e per sentir condannare (...) s.p.a. ai sensi dell'art. 141 codice assicurazioni al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell'incidente. Adduceva che in data 20/03/2016 nel Comune di Cislago, egli si trovava alla guida del proprio motociclo "DUCATI MULTISTRADA" TG (...), a percorrere la via (...), quando l'autovettura VOLKSWAGEN GOLF" TG (...) di proprietà e condotta da (...) da (...) s.p.a., svoltava a sinistra omettendo di dare la precedenza precedenza e facendo sbalzare dalla moto l'attore. Sottolineava che la vettura della convenuta (...) era coperta da assicurazione rilasciata da (...) s.p.a. Precisava che, in conseguenza del sinistro, egli veniva ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell'Ospedale di Niguarda di Milano, dove veniva diagnosticato "Politrauma della strada con frattura sovra condiloidea del femore destro"; successivamente egli rimaneva in ospedale fino al 06/04/16; dal 06/04/16 al 10/06/16 veniva ricoverato presso il reparto di riabilitazione dell'Ospedale di Somma Lombardo; seguirono ulteriori ricoveri e solo il 30/07/19 fu concesso la deambulazione libera senza stampelle. L'attore precisava di aver patito danno biologico temporaneo totale 102gg; danno biologico temporaneo parziale 75% 990gg; postumi permanenti con riferimento alla sola integrità psico-fisica del soggetto al 50%. Liquidava l'importo complessivo del danno biologico, inclusa personalizzazione, in Euro 525.730,65. Adduceva l'attore di avere già ricevuto da (...) s.p.a. il pagamento di euro 206.000,00 (perfezionato in data 04/02/20), a titolo di liquidazione del danno biologico. In punto di danni patrimoniali, adduceva di aver sostenuto spese mediche e di trasporto per la somma complessiva di Euro 8.816,15, di cui euro 6.000,00 già pagati dall'assicurazione (...) s.p.a. Adduceva infine di aver patito spese legali nei seguenti termini: compensi per la fase stragiudiziale pari a Euro 24.354,00, oltre accessori; compenso per la fase introduttiva della negoziazione assistita pari a Euro 2.000,00, oltre accessori. Conclusivamente l'attore, nell'atto di citazione e nella memoria ex art. 183 co. 6 n 1 c.p.c., domandava la condanna dei convenuti, in solido, al pagamento di euro 319.730,65, inclusivi dei danni patrimoniali (spese mediche) e non patrimoniali (danno biologico), già dedotti gli acconti ricevuti da (...) s.p.a. (euro 6000,00 per spese mediche, euro 206.000,00 per danno biologico); domandava inoltre la condanna di (...) al pagamento delle spese legali sopra indicate. In sede di precisazione delle conclusioni, l'attore riduceva il petitum di condanna ad euro 162.073.07. (...), pur a fronte di rituale notifica dell'atto introduttivo, non si costituiva in giudizio. Con comparsa si costituiva invece in giudizio (...) s.p.a. La convenuta eccepiva l'applicabilità dell'art. 2054 co. 2 c.c. e il concorso di colpa dell'attore nella causazione del sinistro, cui avrebbe contribuito l'eccessiva velocità tenuta dal motociclo. Contestava inoltre la quantificazione del danno prospettata dall'attore. La convenuta concludeva dunque per il rigetto della domanda attorea. Il Giudice disponeva ctu medico-legale sulla persona dell'attore. Concluso l'iter peritale, fissava udienza di precisazione delle conclusioni e concedeva termini ex art. 190 c.p.c. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice la domanda attorea merita accoglimento, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Prima di procedere all'esame nel merito della domanda attorea, deve dichiararsi la contumacia di (...), che pur a fronte di regolare notifica dell'atto introduttivo non si è costituita in giudizio. In via preliminare, deve altresì osservarsi che la domanda attorea è proponibile, come del resto incontestato, in quanto è stata ritualmente preceduta dalla missiva dell'Attore alla compagnia assicurativa del responsabile civile, recante la richiesta di pagamento dell'indennizzo (doc. 17 attoreo), come prescritto dall'art. 145 d. lgs 7.09.2005 n. 209, Codice delle assicurazioni private, di seguito "CAP". 2.1 Accertamento della responsabilità in ordine alla causazione del sinistro. Ad avviso di questo Giudice, deve accertarsi in capo a (...) la esclusiva responsabilità del sinistro del 20.3.2016. In punto di diritto, deve anzitutto premettersi l'azione attorea dev'essere qualificata ai sensi dell'art. 2054 cc e 144 Codice assicurazioni private (diversamente da quanto prospettato dall'attore, che richiama l'art. 141 CAP). L'art. 2054 c.c. prevede una presunzione di responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione del veicolo a carico di ciascun conducente, salvo che provi di avere fatto tutto il possibile per evitarli, nonché del proprietario, salvo che provi che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà. Per liberarsi da tale presunzione di responsabilità, il conducente deve rispettare di aver seguito e osservato tutte le regole dettate dal codice della strada e dalla comune prudenza, e individuare una causa del sinistro (ad esempio, il caso fortuito o la forza m(...)re) che sia estranea alla propria sfera di azione. L'art. 144 CAP consente l'azione risarcitoria diretta di chi sia danneggiato dalla circolazione del veicolo direttamente anche contro l'assicuratore RCA del veicolo, con il litisconsorzio necessario del responsabile civile. L'accertamento della responsabilità del conducente e proprietario del veicolo, fondata sulla presunzione di cui all'art. 2054 c.c., non esime il Giudice dal dovere di valutare il concorso di colpa del danneggiato, e non esonera quest'ultimo dall'onere di provare di aver fatto il possibile per evitare l'evento (Cass. n. 20439 del 2008). Nella ricostruzione del sinistro stradale, va attribuito un peso dirimente alla relazione di incidente stradale di cui al doc. 1 attoreo. In punto di valenza probatoria della relazione e degli accertamenti compiuti dalla polizia locale e stradale, è assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale il verbale di intervento a un incidente stradale, che costituisce atto pubblico ex art. 2700 c.p.c. con riferimento ai fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza, è liberamente valutabile dal giudice con riguardo alle altre circostanze che egli abbia accertato all'esito dei rilievi effettuati e delle dichiarazioni assunte nell'immediatezza del fatto. Ferma restando tale premessa, in ogni caso, la prova in questione assume un particolare grado di attendibilità intrinseca, che può esser infirmata solo da prova contraria. A tal riguardo, fra le tante, può citarsi la seguente condivisibile massima: "il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un'attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria" (Sez. 3, Sentenza n. 22662 del 09/09/2008, Rv. 604689 - 01). E' assunto parimenti noto, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale le dichiarazioni rese dai soggetti coinvolti nell'incidente (o da testimoni) alla polizia locale o stradale, contenute nel verbale di intervento, costituiscono fonte probatoria meramente indiziaria, che può contribuire insieme alle altre prove a formare il convincimento del giudice (così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17249 del 14/11/2003, Rv. 568186 - 01). Analoga valenza probatoria è riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità agli schizzi planimetrici allegati alla relazione stradale. Orbene, nel caso di specie, come si desume dalla relazione di cui al doc. 1 attoreo (in particolare, pag. 1), l'intervento è stato effettuato circa venti minuti dopo il sinistro, avvenuto attorno alle ore 11.00 del 20.3.2016 in Cislago. Gli operanti hanno sentito le persone coinvolte del sinistro (doc. 1, pag. 2), e sulla base di tali deposizioni e dei rilievi effettuati hanno elaborato lo schizzo planimetrico allegato alla relazione (doc. 1, pag. 3). Le risultanze della relazione dunque, prive di valenza probatoria legale, sono soggette al libero apprezzamento del Giudice. Orbene, alla luce del tenore della relazione, deve ritenersi che la stessa sia pienamente attendibile quanto alla ricostruzione del sinistro, ed in particolare alla individuazione dei fatti e dei dati che comprovano la negligenza di (...), cui deve ascriversi la piena ed esclusiva responsabilità della causazione del sinistro. Per contro, la relazione non può ritenersi idonea a provare in questa sede l'eccessiva velocità del motociclo condotto dall'attoree, pur prospettata dalla parte convenuta (...) s.p.a. Onde giustificare tale conclusione, deve esaminarsi il contenuto del rapporto in parola. La relazione attesta di una collisione avvenuta fra l'automobile Volkswagen Golf targata (...) di proprietà di e condotta da (...), assicurata da (...) s.p.a., e il motociclo Ducati targato (...), condotto dall'odierno attore. Lo scontro fra i due veicoli, avvenuto in via (...) in Cislago, ha coinvolto una vettura BMW parcheggiata sul ciglio della strada, sulla quale il motociclo è andato a impattare dopo lo scontro con l'auto guidata da (...). La relazione riporta le dichiarazioni rese da due persone coinvolte nel sinistro: (...), passeggero dell'autovettura condotta da (...), e la stessa (...). Il primo ha dichiarato che l'impatto della moto sull'autovettura è avvenuto nel momento in cui quest'ultima stava svoltando a sinistra. La seconda ha fornito ulteriori e rilevanti precisazioni, sottolineando di aver intrapreso la manovra di svolta senza prestare attenzione, e di essersi vista quindi colpire dal motociclo; ha altresì sottolineato che la propria vettura, al momento della collisione, si trovata poco oltre la linea di mezzeria di via (...). La ricostruzione offerta da (...) ha trovato conferma nei rilievi eseguiti dagli operanti e negli schizzi planimetrici dagli stessi elaborati, i quali collocano il punto d'impatto poco dopo la linea di mezzeria della via (...), all'altezza dell'incrocio con via (...). Il verbalizzante ha dunque concluso accertando due violazioni del codice della strada, da parte di (...): l'omessa precedenza (art. 145 comma 2 del Codice appena citato); il cambiamento di corsia con manovra pericolosa (art. 154 co. 1 e co. 8 del Codice). Le emergenze probatorie sin qui compendiate, invero pacifiche ed incontestate dalle parti, danno conto della esclusiva responsabilità di (...) in ordine alla causazione del sinistro in parola. Le stesse infatti sono concordi nel dimostrare che esso è avvenuto al momento della svolta compiuta da (...) ed in ragione di detta manovra, compiuta dalla convenuta senza la dovuta prudenza ed attenzione. Per contro, dalle risultanze della relazione non emerge, fra le cause del sinistro, alcuna condotta riconducibile ad (...). Invero, la relazione ha accertato in capo a quest'ultimo una violazione del Codice della Strada, ritenendo eccessiva la velocità di approssimazione all'incrocio. Al riguardo devono tuttavia svolgersi due rilievi. In primo luogo, il rapporto, come peraltro rilevato dal Giudice di Pace nella sentenza di cui al doc. 2 attoreo, non fornisce gli elementi fattuali da cui desume tale accertamento, e pertanto non può ritenersi idoneo - anche nel presente giudizio - a provare dimostrare la violazione del codice della Strada imputata ad (...). Né tale violazione potrebbe desumersi dai danni, sicuramente ingenti, occorsi al motociclo e alla persona dell'attore. Infatti, per circostanza incontestata, il motociclo ha impattato contro un'autovettura in sosta, dopo l'impatto con la vettura di (...): tale secondo impatto ha ragionevolmente contribuito al prodursi delle conseguenze dannose. Inoltre, è in ogni caso dirimente osservare che, quale che fosse la velocità del motociclo, non vi è alcuna prova che la stessa abbia contribuito alla causazione del sinistro, il quale per contro risulta attendibilmente cagionato dalla manovra di (...). Pertanto, non sussistono gli estremi per l'applicazione dell'art. 2054 co. 2 c.c. La giurisprudenza ha chiarito che la presunzione di pari responsabilità prevista dall'art. 2054 co. 2 c.c. ha carattere sussidiario, dovendosi applicare solo nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro (e anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno: v. Cass., 26253/2007). Nel caso di specie, gli accertamenti effettuati consentono di accertare le dinamiche del sinistro e le responsabilità in ordine alla sua causazione: la presunzione dunque non può trovare applicazione. Parimenti, non si ravvisano gli estremi del concorso di colpa ex art. 1227 c.c., invocato da parte convenuta. Infatti, nessun elemento probatorio, come si è osservato, consente di ascrivere all'attore (neppure in parte) la causazione del sinistro. 2.2. Accertamento e quantificazione dei danni. In punto di accertamento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sin d'ora è il caso di evidenziare che le conclusioni cui è giunto il CTU sono sostanzialmente condivisibili ed idonee ad essere poste a fondamento della decisione, in quanto raggiunta sulla scorta della visita medico legale del danneggiato e dell'esame di documenti tutti ritualmente versati in causa, le operazioni peritali si sono svolte nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e le valutazioni del CTU risultano supportate da regole scientifiche medico legali condivise dalla comunità scientifica sviluppate ed applicate secondo un percorso argomentativo immune da vizi logici. Il CTU ha accertato il danno biologico come segue (pag. 15 della relazione): - Danno temporaneo al 100 %: gg. 165; - Danno temporaneo al 75 %: gg 640; - Danno temporaneo al 50 %: gg. 290; - Danno biologico permanente: 40 %. Il ctu si è soffermato sul nesso causale fra danno biologico e sinistro, concludendo condivisibilmente che "sulla base dei criteri metodologici che regolano il rapporto causale in ambito medico-legale, risulta riconoscibile nella fattispecie la sussistenza del nesso di causalità materiale tra antecedente traumatico e lesività accertata, tra l'incidente e le plurime lesioni patite agli arti inferiori dall'(...), risultando in effetti pienamente soddisfatta la criteriologia medico-legale sotto il profilo cronologico, topografico, di efficienza quali-quantitativa del mezzo lesivo, di continuità sintomatologica, nonché di esclusione di altre cause preesistenti o sopravvenute" (pag. 13 della relazione). Per quanto attiene ai danni patrimoniali, CTU ha accertato e ritenuto congrue e pertinenti spese mediche per complessivi Euro 1.598,07, sostenute in relazione a: stampella, visita ortopedica, carrozzina, esame del sangue, noleggio Kinetec del luglio 2019, noleggio Kinetec del settembre 2019; noleggio carrozzina, noleggio deambulatore, cavigliera, tutore ginocchio, cavigliera aircast. Il ctu ha escluso la sussistenza di prevedibili spese future. Ha ritenuto non pertinenti invece le spese, pur documentate in atti, relative a: Busto C35, ecoaddome, certificato invalidità civile. Deve ora procedersi alla liquidazione del danno. Prendendo le mosse dal danno biologico, trattandosi di danno di non lieve entità, il danno va quantificato in via equitativa con applicazione dei parametri forniti dalle cd tabelle milanesi, come affermato dalla Corte di legittimità nella nota pronuncia Cass. civ., sez. 3, 30.06.2011, n. 14402. La liquidazione deve avvenire avuto riguardo ai valori attuali alla data della pronuncia (Cass. civ., sez. 3, 21.12.2015 n. 25615) e con riferimento all'età del danneggiato alla data di cessazione della IT accertata (ex multis: Cass. civ., sez. 3, 19.12.2014 n. 26897) e con la precisazione che l'adozione delle voci di danno non patrimoniale (biologico, morale e personalizzazione/esistenziale) risponde ad esigenze puramente descrittive, trattandosi di un unico danno da liquidare unitariamente. La liquidazione costituisce applicazione delle tabelle milanesi attualmente vigenti, da ultimo comunicate dall'Osservatorio della giurisprudenza del Tribunale di Milano nel 2021. Con riferimento ai valori indicati nella predette Tabelle - utilizzati dal giudicante come parametro di partenza per giungere ad una liquidazione equitativa del danno da perdita di chance- si osserva come, nel caso di specie si possa ancora fare applicazione delle tabelle elaborate da questo Tribunale comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell'integrità psico/fisica - criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte (Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2011 n. 28290). Infatti, pur tenendo conto dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e dell'intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 C.d.A. come modificati dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere, secondo un'interpretazione letterale che rende inutile il ricorso agli ulteriori criteri interpretativi, definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - nel caso in esame, alla luce dell'entità delle lesioni, della peculiarità delle stesse (come descritte nella relazione di CTU), delle allegazioni di parte attrice e delle dichiarazioni dei testi, è possibile valutare, con i criteri di cui alle richiamate tabelle, sia l'aspetto interiore del danno sofferto quanto quello dinamico-relazione. Nel caso di specie l'attore, nato il 16.5.1959, alla data di stabilizzazione dei postumi (avvenuta il 20.3.2019) aveva 59 anni. Ora, le tabelle milanesi attualmente vigenti, relative alle liquidazioni in valuta attuale del danno biologico permanente, fissano la liquidazione per un danno del 40% per una persona di 59 anni nella misura di Euro 227.409,00, in valuta attuale. L'importo appena indicato è inclusivo della m(...)razione per danno c.d. morale da sofferenza interiore. Tale m(...)razione trova giustificazione nel caso di specie nelle condivisibili conclusioni del ctu, il quale ha accertato una sofferenza pari a 2, su una scala da 1 a 5, e dunque apprezzabili ripercussioni sul piano morale. Venendo al danno da inabilità temporanea, esso dev'essere liquidato come segue: danno da inabilità temporanea assoluta pari a euro Euro 16.335,00; danno da inabilità temporanea al 75% pari a Euro 47.520,00; danno da inabilità temporanea al 50% pari a Euro 14.355,00. L'importo complessivo del danno da inabilità temporanea, comprensivo del danno c.d. morale e calcolato in valuta attuale, è pari a Euro 78.210,00. Conclusivamente, sommando la cifra relativa al danno inabilità temporanea all'ammontare del danno da invalidità permanente, si ottiene l'importo complessivo spettante alla parte attrice a titolo di risarcimento del danno alla salute, pari a Euro 305.619,00, già rivalutato ad oggi. In relazione al danno biologico così calcolato, non si ritiene di dover applicare la maggiorazione aggiuntiva correlata alla c.d. personalizzazione. Come noto, la giurisprudenza di legittimità riconosce un potere discrezionale al giudice di merito per quanto attiene alla c.d. personalizzazione, chiarendo che quest'ultima, legata alle irripetibili peculiarità del caso concreto, può essere riconosciuta solo ove sia dimostrata la sussistenza di particolari conseguenze dannose che esulano dal novero dei danni statisticamente connessi al fatto illecito (così Cass. n. 2788 del 2019). Invero parte attrice non ha dedotto né dimostrato conseguenze dannose specifiche che esulino dall'ordinario novero delle ripercussioni negative riconducibili al suo grado di compromissione dell'integrità psico-fisica. Non possono infatti considerarsi quali conseguenze peculiari ed "irripetibili" l'impossibilità di proseguire la pratica di alcune attività sportive, o l'impatto del ricovero ospedaliero sulla vita di relazione: tali conseguenze dannose, benché indubbiamente apprezzabili, non risultano quali eccezionali ed uniche, e pertanto il loro risarcimento viene assorbito con la liquidazione del punto di danno non patrimoniale appena calcolato. Sull'importo complessivo del danno biologico pari a Euro 305.619,00, devono essere riconosciuti alla parte attrice gli interessi moratori al tasso legale dalla sentenza al saldo. Non si ritiene di dover riconoscere gli interessi compensativi. L'applicazione di tali interessi, come chiarito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1111 del 2020) è facoltativa per il Giudice, che può non riconoscerli laddove il danneggiato ometta di dedurre, rispetto al mancato godimento dell'importo risarcitorio, conseguenze dannose specifiche, non risarcibili mediante la mera rivalutazione. Nel caso di specie la domanda attorea non rispetta, neppure sul piano dell'allegazione, tale requisito. Per quanto attiene ai danni patrimoniali, le spese già sostenute e ritenute congrue dal ctu, come si è detto, ammontano a Euro 1598,07: rivalutate dal 20.3.2016 ad oggi, le stesse ammontano a Euro 1.901,70. Anche su tale somma sono dovuti gli interessi moratori al s(...) legale dalla sentenza al saldo. Sommando i danni patrimoniali a quelli non patrimoniali, si ottiene il complessivo importo di euro 307.520,70 (già rivalutato ad oggi), oltre interessi moratori al saggio legale dalla sentenza al saldo, che spettano all'attore a titolo di risarcimento del danno. Orbene, deve a questo punto darsi atto che, per circostanza pacifica ed incontestata, parte convenuta (...) ha già versato a parte attrice, a titolo di risarcimento del danno biologico per il sinistro oggetto del presente giudizio, l'importo di Euro 206.000,00. Effettuando la differenza fra il danno accertato e liquidato in questa sede (pari a complessivi euro 307.520,70) e l'importo già complessivamente versato dalla convenuta a titolo di acconto, si ottiene l'importo di euro 101.520,70. (...) dev'essere condannata a versare in favore di parte attrice l'importo anzidetto, già rivalutato ad oggi, oltre interessi moratori al s(...) legale dalla sentenza al saldo. E' altresì incontestato che (...) abbia versato all'attore, a titolo di risarcimento delle spese mediche, l'importo di euro 6000,00. Detta somma tuttavia non dev'essere sottratta dal valore complessivo del danno accertato in questa sede, considerato che - a quanto si evince dal foglio di precisazione delle conclusioni telematicamente depositato da parte attrice - le spese mediche quantificate dall'attore in euro 1598,07 sono ulteriori e diverse rispetto a quelle che erano già state liquidate dalla compagnia assicurativa. 2.3. Spese di lite. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatoti: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ, sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie, i convenuti sono risultati integralmente soccombenti, e pertanto devono essere condannati in solido alla rifusione delle spese in favore dell'attore. Le spese si liquidano con applicazione del dm n. 55/2014. Segnatamente, si reputano congrui i parametri medi previsti per i giudizi avanti al Tribunale per lo scaglione di valore applicabile per le fasi introduttiva, di studio, istruttoria e decisionale, per complessivi Euro 14.103,00 per compenso. Spettano altresì all'attore Euro 1241,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria), oltre 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. Le spese di ctu devono essere poste definitivamente a carico dei convenuti in solido, al 50% a carico di (...) e per il restante 50% a carico di (...) s.p.a. Ad avviso di questo Giudice, non possono essere liquidate in favore dell'attore le spese legali per assistenza stragiudiziale e negoziazione assistita, documentate dalle note pro forma di cui ai doc. 24 e 25 attorei. Con riguardo alle attività di assistenza stragiudiziale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che esse "hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale nella fase pre-contenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri di domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle spese processuali vere e proprie" (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 24481 del 04/11/2020, Rv. 659763 - 02) Coerentemente con tale premessa, la Cassazione ha condivisibilmente subordinato la risarcibilità di tali spese alla prove che l'attività stragiudiziale abbia avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass., sentenza n. 9548 del 13/04/2017), precisando altresì che la valutazione prognostica di utilità deve essere effettuata "ex ante", avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito del futuro giudizio e sulla base delle prove in possesso del danneggiato (Cass. n. 6422 del 2017). Al medesimo regime soggiacciono le spese legali sostenute per la negoziazione assistita prima del giudizio, risarcibili solo nell'ipotesi in cui le stesse siano state ex ante idonee ad una conclusione stragiudiziale. Orbene, nel caso di specie non vi è prova della idoneità dell'attività difensiva, in base ad una valutazione ex ante, ad una stragiudiziale definizione della controversia. Invero, la missiva di messa in mora del marzo 2016 (doc 3 attoreo) e le successive missive di quantificazione del danno di cui ai doc. 17 e 20 attorei, non forniscono alcuna motivazione in merito alle ragioni per le quali la responsabilità del sinistro sarebbe da ascriversi esclusivamente alla responsabilità di (...), e pertanto non risultano idonee a porre le basi per una soluzione conciliativa. A fronte della missiva di (...) di cui al doc. 22 attoreo, che ha ravvisato un concorso di colpa del 30% del danneggiato nel sinistro per cui è causa, la lettera di invito alla negoziazione assistita di cui al doc. 23 attoreo insiste in una richiesta risarcitoria piena, senza motivare le ragioni di tale posizione. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: 1) dichiara la contumacia di (...); 2) in accoglimento della domanda svolta da (...) nei confronti dei convenuti, e per l'effetto: 1.1) accerta la esclusiva responsabilità di (...) in relazione al sinistro del 20.3.2016; 1.2) condanna (...) s.p.a. al pagamento in favore dell'attore di euro 101.520,70, già rivalutati ad oggi, oltre interessi come indicati in motivazione, a titolo di risarcimento del danno. 3) rigetta la domanda di condanna svolta da (...) per la parte residua; 4) condanna in solido (...) s.p.a. e (...) al pagamento delle spese di lite in favore dell'attore, che si liquidano come segue: Euro 14.103,00 per compenso; Euro 1241,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria); 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali; CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. 5) pone le spese di CTU definitivamente a carico dei convenuti in solido, ripartendole nei rapporti interni come segue: per il 50 % a carico di (...) s.p.a., e per il residuo 50% a carico di (...). Sentenza provvisoriamente esecutiva quanto alle statuizioni di condanna ed emessa a Busto Arsizio, 15 aprile 2023 e sottoscritta con firma digitale certificata.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Milton D'Ambra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, in epigrafe rubricata, promossa con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2021 ad istanza di parte attrice a mezzo messaggio di p.e.c. all'indirizzo telematico di parte convenuta. PROMOSSA DA FALLIMENTO (...) S.P.A., (...), in persona del Curatore fallimentare autorizzato dal Giudice delegato con decreto del 7 novembre 2020, con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. CH.PI., che lo rappresenta e difende, come da procura alle liti allegata all'atto di citazione. PARTE ATTRICE CONTRO (...), (...), nato a T. (F.), il (...), residente a B. A., Via P. n. 6, con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. LU.GR., che lo rappresenta e difende come da procura alle liti depositata unitamente alla comparsa di costituzione e risposta. PARTE CONVENUTA OGGETTO: Azione di responsabilità del Curatore fallimentare (art. 38, co. 2, L. Fall.). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte in data 10 marzo 2021, il Fallimento attore conveniva in giudizio il Dott. (...) deducendo l'inadempimento del medesimo agli obblighi su di lui gravanti dalla data di nomina a Curatore del Fallimento (...) S.P.A. (9 giugno 2009) fino alla data di revoca disposta dal Tribunale (11 settembre 2015) e chiedendo la sua condanna al risarcimento del danno quantificato in complessivi Euro 1.335.013,59. A fondamento della domanda risarcitoria, il Fallimento attore, in persona del Curatore subentrato, deduceva due profili di responsabilità: - aver effettuato pagamenti in favore dei dipendenti e dell'INPS in assenza di loro formale insinuazione allo stato passivo; - aver omesso l'avvio della fase di liquidazione del patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare. Ciò premesso, chiedeva la condanna al risarcimento del danno, quantificato, quanto al primo profilo, in Euro (673.821,27 + 396.674,40) in relazione ai pagamenti effettuati in favore dei dipendenti (TFR, ferie, permessi, tredicesime e contributi ai fondi previdenziali) e in favore dell'INPS e, quanto al secondo profilo, in Euro 264.517,93 in relazione ai costi e alle spese maturati e sostenuti dal Fallimento in conseguenza dell'omesso avvio della fase di liquidazione dell'attivo per il pagamento di crediti aventi natura prededucibile (imposte, costi per l'assicurazione e spese condominiali gravanti sugli immobili). Si costituiva con comparsa tempestivamente depositata in data 3 giugno 2021 il Dott. (...) contestando gli addebiti formulati e chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda risarcitoria e, in via subordinata, la riduzione della pretesa eccependo il concorso di colpa del Fallimento attore nella causazione del danno. All'udienza di prima comparizione e trattazione del 30 giugno 2021 veniva disposta la comparizione personale delle parti, per tentare la conciliazione. All'udienza di comparizione del 12 ottobre 2021 si procedeva ad interrogare liberamente il convenuto personalmente e, all'esito, veniva formulata alle parti una proposta conciliativa (pagamento della somma di Euro 85.000,00) che, in seguito, veniva accettata dalla parte convenuta ma respinta dal Fallimento attore. Assegnati alle parti i termini istruttori, all'udienza del 6 giugno 2022 venivano respinti tutti i richiesti capitoli di prova orale. Veniva, altresì, ordinato al Fallimento attore l'esibizione dei seguenti atti e documentati del Fascicolo fallimentare non già depositati (programma di liquidazione redatto dal Curatore convenuto; tutte le relazioni periodiche semestrali fino alla data di revoca; tutti rapporti informativi relativi all'esercizio provvisorio; verbale di rendiconto dell'esercizio provvisorio; decreto di proroga e chiusura dell'esercizio provvisorio; tutte le istanze di prelievo e le relative autorizzazioni del G.D.), oltre ad un prospetto riepilogativo delle maggiori imposte e spese maturate, anno per anno, in relazione a ciascuna delle masse immobiliari acquisite all'attivo fallimentare. All'udienza di esame della documentazione oggetto dell'ordine di esibizione, esaurita la trattazione ed istruzione della controversia, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni e, previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza cartolare del 30 novembre 2022. MOTIVI DELLA DECISIONE Giova, in primo luogo, richiamare i fatti relativi al periodo in cui il DOTT. (...) assumeva la carica di Curatore fallimentare del Fallimento (...) S.P.A. (4 giugno 2009 - 11 settembre 2015). La (...) S.P.A., società fondata a Gallarate nel 1949 e attiva nella produzione e nel commercio di elettrodomestici, anche nel mercato europeo e nordamericano, veniva dichiarata fallita, su istanza degli istituti di credito, con sentenza del 4 giugno 2009. Al momento della dichiarazione di fallimento, la società era nel pieno della sua attività di produzione e vendita, con ordini da evadere e 107 dipendenti (lo stato di insolvenza derivava essenzialmente da tensioni finanziarie, conseguenti anche alla crisi del sistema creditizio iniziata nell'agosto 2008, che avevano provocato carenza di liquidità e l'impossibilità per la società di provvedere con regolarità all'adempimento delle proprie obbligazioni). Per questa ragione, con la dichiarazione di fallimento il Tribunale autorizzava l'esercizio provvisorio, col deliberato fine di salvaguardare i livelli occupazionali e l'integrità dell'avviamento d'azienda e del marchio d'impresa (a seguito della fusione attuata il 18 settembre 2007, la società aveva incorporato altre società alla stessa collegate e, già dal 2005, aveva stabilito filiali in F., S., P. e negli Stati U.); scopo dell'esercizio provvisorio era, pertanto, rintracciare, tempestivamente, sul mercato la disponibilità di qualche operatore di settore disposto ad acquisire l'azienda nella sua integrità economico-giuridica, evitando così la vendita atomistica dei singoli cespiti. L'odierno convenuto era nominato Curatore fallimentare e, fra i primi atti della Curatela, vi era, pertanto, la richiesta della CIGS con sospensione integrale dell'attività lavorativa per tutti i prestatori di lavoro (c.d. CIGS a zero ore) e l'avvio dell'offerta pubblica di vendita dell'azienda. Già a poche settimane dalla dichiarazione di fallimento, in data 23 luglio 2009 perveniva, quindi, al Fallimento la proposta irrevocabile d'acquisto di ramo d'azienda da parte della (...) S.R.L. facente capo al noto (...); il ramo d'azienda oggetto della proposta di acquisto era costituito dalla giacenza di magazzino composto da merci (materie prime e semilavorati), dai beni mobili aziendali (macchinari, impianti di produzione ed attrezzature, con le relative licenze), dai rapporti commerciali derivanti da tutti gli ordini dei clienti successivi alla data della proposta, dal marchio "(...)", con ogni IP collegata, nonché dall'elenco dei clienti e dal relativo avviamento. Dal ramo d'azienda era escluso tutto il patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare; si trattava di due fabbricati e tre terreni a Gallarate che sarebbero stati suddivisi dal nominato Perito estimatore in n. 5 Lotti immobiliari, il più importante dei quali era rappresentato dall'opificio industriale di Via (...) nel quale avveniva la produzione industriale. Gli elementi essenziali della proposta irrevocabile d'acquisto (doc. 2 fasc. parte convenuta) erano i seguenti: - prezzo di acquisto pari ad Euro 850.000,00 con pagamento immediato di una caparra pari ad Euro 500.000,00; - impegno della proponente ad effettuare investimenti per Euro 1.500.000,00 nei tre anni successivi al 1 ottobre 2009, con integrale mantenimento del personale ed esercizio della produzione nello storico stabilimento industriale di Gallarate, da condurre in comodato d'uso gratuito. Tra le condizioni ritenute essenziali dal (...) per la conclusione del contratto di cessione d'azienda vi era quella, secondo cui sarebbero rimasti esclusivamente in capo alla Fallita tutti i debiti verso i prestatori di lavoro maturati fino alla data del trasferimento (TFR, retribuzioni, ratei di ferie, rol, ex festività, mensilità aggiuntive), secondo quanto espressamente previsto dall'art. 47, co. 5, L. n. 428 del 1990 (disposizione che, in parte qua, deroga alla disciplina di diritto comune di cui all'art. 2112 c.c. nel caso in cui il trasferimento d'azienda avvenga nell'ambito di procedure concorsuali). Ciascun rapporto di lavoro sarebbe stato, comunque, oggetto di un verbale di conciliazione individuale in sede protetta (art. 411 c.p.c.), sulla base di una previa intesa a livello collettivo (c.d. Accordo quadro) da concludere con le Organizzazioni Sindacali. La proposta era dichiarata irrevocabile fino al 30 luglio 2009. Sottoposta agli Organi della procedura, la medesima veniva autorizzata dal Comitato dei creditori e dal Giudice delegato in data 29 luglio 2009, venendo ritenuta dallo stesso Giudice delegato "di assoluta necessità stante l'assenza di ulteriori offerte convenienti" (doc. 3 fasc. parte convenuta); nel decreto con cui, ai sensi dell'art. 104 L. Fall., il Giudice delegato autorizzava il Curatore ad accettare la proposta veniva, in particolare, rilevato che il prezzo di acquisto era da ritenersi congruo rispetto ai valori di stima acquisita agli atti e che "con l'accettazione della proposta si otterrà di fatto la ripresa produttiva dell'impresa con evidenti vantaggi occupazionali per le maestranze alla luce anche della considerazione che, come da proposta, si eviteranno alla procedura i noti ed indubbi svantaggi derivanti dalla perdita definitiva, come sarebbe, dei posti di lavoro delle maestranze"; ancora, "appare pure congrua la proposta di comodato di 5 mila mq. del capannone della Fallita per tre anni dalla stipula del definitivo" (doc. 3 fasc. parte convenuta). In data 29 settembre 2009 il Curatore veniva autorizzato dal Giudice delegato e dal Comitato dei creditori a stipulare l'atto di cessione d'azienda e a sottoscrivere l'Accordo quadro con le OO.SS. Veniva, così, sottoscritto dal Fallimento cedente e dalla società cessionaria, da un lato, e dalle OO.SS. di categoria, dall'altro, l'Accordo quadro per consentire alla cessionaria di accedere, nelle more del triennio contemplato dal Piano industriale, al beneficio della CIGS prevista in caso di riorganizzazione aziendale (doc. 3 fasc. parte convenuta, All. B); l'art. 3 dell'Accordo quadro confermava la pattuizione relativa al mantenimento in capo al Fallimento cedente di tutto il debito maturato nei confronti dei prestatori di lavoro trasferiti alla cessionaria (...) S.R.L. ("le parti convengono che con effetto dal 01/10/2009 siano trasferiti a (...) S.R.L. tutti i lavoratori in forza alla data odierna, con mantenimento, in capo alla fallita, dei TFR maturati alla data di trasferimento, nonché dei ratei di ferie, rol, ex festività, mensilità aggiuntive, nonché di ogni qualsivoglia spettanza dovuta agli stessi in dipendenza del rapporto di lavoro con la (...) S.P.A. ai sensi del comma 5 dell'art. 47 della L. 29 dicembre 1990, n. 428"), mentre ai sensi del successivo art. 9 veniva previsto che i dipendenti avrebbero sottoscritto appositi verbali di conciliazione individuale ex art. 411 c.p.c., dal contenuto corrispondente alle intese raggiunte in sede di accordi sindacali in ordine al trasferimento d'azienda. Con contratto stipulato in data (...) a rogito Notaio G.F. in B. del G. (Rep. n. (...), Racc. n. (...)) veniva trasferito il ramo d'azienda per il prezzo pagato di Euro 850.000,00 con decorrenza dal 1 ottobre 2009; nell'art. 3a) era testualmente previsto che "i debiti e crediti di ogni specie maturati al 30 settembre 2009 relativi ad operazioni del ramo di azienda ceduto rimangono a carico ed a favore della cedente", mentre con l'art. 7 viene integrato all'atto di cessione il contenuto dell'Accordo quadro sottoscritto con le OO.SS.. Stante la previsione relativa al Piano industriale triennale con collegata pattuizione di comodato ad uso gratuito del compendio immobiliare industriale di Via (...) a Gallarate, l'esercizio provvisorio proseguiva. Così, successivamente alla stipula dell'atto di cessione d'azienda e alla sottoscrizione dell'Accordo quadro con le OO.SS., venivano conclusi in sede sindacale i verbali di conciliazione con i prestatori di lavoro, in esecuzione dei quali, nel semestre successivo, il Curatore convenuto provvedeva al pagamento del "debito verso dipendenti" (Euro 848.176,27), dei "debiti verso INAIL e INPS" (Euro 12.614,39) e dei "debiti verso fondi di previdenza complementare" (Euro 18.622,60); tanto emerge dallo Stato patrimoniale depositato unitamente alla Prima Relazione semestrale depositata dal Curatore in data 8 febbraio 2010 e sottoscritta dai membri del Comitato dei creditori il 4 febbraio 2010 (doc. 12 fasc. parte attrice). Con la Seconda Relazione semestrale del 30 luglio 2010 (doc. 13 fasc. parte attrice) veniva depositato un nuovo Stato patrimoniale aggiornato e si dava espressamente atto che nel semestre di riferimento era stato corrisposto il TFR a tutti i lavoratori dipendenti. Successivamente a tale data, il Curatore non depositava più alcuna Relazione semestrale e, nonostante il decorso del triennio 2009-2012, veniva omessa tutta l'attività di programmazione e attuazione relativa alla liquidazione dell'intero patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare ed escluso dal perimetro del ramo d'azienda ceduto il 29 settembre 2009. Con decreto del 15 maggio 2015 il Tribunale convocava il Curatore convenuto avanti al Collegio per ottenere chiarimenti in ordine alle seguenti criticità riscontrate dal Giudice delegato (doc. 14 fasc. parte attrice): i) il mancato deposito del programma di liquidazione; ii) il mancato deposito delle Relazioni semestrali di cui all'art. 33, co. 5. L. Fall. per il periodo successivo al secondo semestre 2010; iii) la mancanza di informazioni in relazione alla sorte dell'immobile ove era esercitata l'attività dopo il termine del 31 dicembre 2012 (e più precisamente "se successivamente allo spirare del termine del 31.12.2012 fissato nel contratto di cessione d'azienda concluso con (...) srl, l'immobile concesso alla concessionaria in comodato gratuito sia stato riconsegnato al Curatore"); iv) la mancata effettuazione di riparti parziali a fronte dell'incasso di cospicue somme. Il Curatore compariva all'udienza del 20 maggio 2015 e forniva oralmente i chiarimenti richiesti dal Tribunale. Il 9 giugno 2015 il Curatore depositava una Relazione di aggiornamento (doc. 15 fasc. parte attrice) nella quale riepilogava il contenuto della prima e della seconda Relazione semestrale, dichiarando che: a) l'esercizio provvisorio doveva ritenersi di fatto concluso all'8 giugno 2010; b) non erano state depositate relazioni successive "poiché nulla è accaduto in relazione all'esercizio provvisorio"; c) l'esercizio provvisorio era rimasto in essere al fine di giustificare la presentazione di una domanda di accesso ad un bando per l'erogazione di fondi (per la quale, diversamente, non vi sarebbero stati i presupposti); d) le retribuzioni corrisposte per il mese di maggio 2009 (il mese antecedente alla dichiarazione di fallimento) erano pari ad Euro 80.614,90; e) era stata depositato, con separata istanza, il Rendiconto finale dell'esercizio provvisorio (istanza, tuttavia, non reperita, come rilevato anche dal Tribunale nel provvedimento di revoca dell'11 settembre 2015); f) era stato realizzato tutto l'attivo, ad esclusione degli immobili. In data 11 settembre 2015, il Tribunale revocava il DOTT. (...) dalla carica nominando quale nuovo Curatore il dott. (...) (doc. 17 fasc. parte attrice). In particolare, gli inadempimenti rilevati e sulla base dei quali era stata disposta la revoca erano i seguenti: a) mancato deposito del Programma di liquidazione; b) mancato esperimento di qualsiasi tentativo di vendita relativo al Compendio immobiliare della Fallita; c) mancato deposito delle Relazioni semestrali di cui all'art. 33, co. 5, L. Fall., a far data dal 30 luglio 2010, posto che "le sette relazioni di aggiornamento non hanno il contenuto, né rispettano i termini, di cui alla norma richiamata e non sono accompagnate dal conto della gestione"; d) mancato deposito dei Rendiconti semestrali o, comunque, del Rendiconto finale dell'esercizio provvisorio, secondo quanto previsto dall'art. 104, co. 5, L. Fall.; e) concessione "di fatto" in comodato gratuito alla società che ha acquistato l'azienda di una parte dell'insediamento produttivo di Via C. n. 98 a Gallarate e successivamente allo spirare del termine del 31 dicembre 2012. Il Curatore subentrato provvedeva, tra il 2016 e il 2019, alla liquidazione del patrimonio immobiliare acquisito all'attivo (doc. da 18 a 23 fasc. parte attrice) ricavando dalla vendita dei Lotti formati la complessiva somma di Euro 1.959.500,00. Una parte considerevole del ricavato derivante dalla vendita delle cinque masse immobiliari veniva, nondimeno, destinato al pagamento fuori riparto dei c.d. debiti di massa, rappresentati dalle imposte locali (IMU e TASI), dai premi assicurativi e dalle spese condominiali maturati dalla data di dichiarazione del fallimento e fino alla vendita, essendo tali crediti divenuti esigibili proprio a seguito del trasferimento della proprietà: il Curatore subentrato sosteneva, pertanto, costi per complessivi Euro 224.351,26 (doc. da 24 a 28 fasc. parte attrice). Provvedeva, pertanto, a predisporre il Rendiconto finalizzato al riparto finale delle residue disponibilità liquide pari a circa Euro 1.500.000,00. Nelle more chiedeva ed otteneva, in data 7 novembre 2020, l'autorizzazione di cui all'art. 25 n. 6) L. Fall. per procedere nei confronti dell'odierno convenuto mediante azione di responsabilità ai sensi dell'art. 38, co. 2, L. Fall.. Preliminarmente è opportuno precisare che la competenza a decidere la domanda di risarcimento dei danni causati dal curatore revocato al Fallimento spetta, in questo caso, al Tribunale in composizione monocratica. Per vero, la speciale azione risarcitoria di cui all'art. 38, co. 2, L. Fall. può essere esperita dal Curatore subentrato o in sede di contestazione del rendiconto, nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 116, co. 4, L. Fall. che prevede la devoluzione al Collegio di tutte le questioni che sorgono a seguito dell'introduzione del giudizio di conto nei confronti del medesimo Curatore (e, pertanto, anche del danno cagionato con condotta negligente o in violazione degli obblighi imposti dalla legge e dalla natura dell'incarico) o in via ordinaria e previa autorizzazione a procedere del Giudice delegato attraverso l'introduzione di un giudizio di cognizione ordinario finalizzato all'accertamento della responsabilità (contrattuale) del Curatore revocato e alla conseguente condanna al risarcimento del danno cagionato (Cass. n. 18438 del 2011: "l'azione di responsabilità - che investe il merito della gestione e della condotta del curatore sotto il profilo del rispetto della legge e della diligenza nell'assolvimento dei doveri - è di norma proposta in sede di giudizio di rendiconto, non necessariamente limitato alla verifica di eventuali errori materiali, omissioni o improprietà dei criteri di conteggio adottati; tale sede non è esclusiva, data l'ammissibilità della scissione del controllo più propriamente contabile da quello gestionale"). La competenza spetta in entrambi casi al Tribunale del luogo in cui è dichiarato il fallimento, a prescindere dal valore della domanda (art. 24 L. Fall.) ma, mentre nel primo caso (azione di responsabilità proposta con la contestazione del rendiconto finale di gestione), il Tribunale giudica in composizione collegiale, secondo appunto quanto espressamente dispone l'art. 116, co. 4, L. Fall. nella parte in cui prevede che "il Collegio provvede in Camera di consiglio", in caso di giudizio ordinario di cognizione il Tribunale giudica in composizione monocratica, non essendo prevista dalla norma generale sulla composizione del Tribunale (art. 50-bis c.p.c.) la fattispecie de quo, che, per inciso, non è devoluta alle Sezioni specializzate in materia di impresa, né viene trattata col rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., operando in definitiva il criterio generale e residuale della composizione monocratica previsto dal successivo art. 50-ter c.p.c. (cfr., come esempi del primo tipo, Trib. Roma, Sez. fallimentare, 20 settembre 2016, n. 17223; Trib. Roma, Sez. fallimentare, 7 marzo 2012, n. 4759; cfr., come esempi del secondo tipo, Trib. Bari, Sez. II, 18 luglio 2018, n. 3154; Trib. Milano, Sez. II, 13 maggio 2011, n. 6453; Trib. Lecce, 1 ottobre 2008). Nel merito, la domanda è in parte fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono. L'art. 38, co. 1, L. Fall. prevede che "il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico"; nell'esercizio delle sue funzioni il Curatore assume la qualifica di Pubblico ufficiale (art. 30 L. Fall.). L'azione di responsabilità disciplinata dell'art. 38, co. 2, L. Fall. fa, pertanto, riferimento proprio alla condotta, attiva od omissiva, del Curatore durante l'espletamento del suo munus publicum, in forza del quale egli deve provvedere all'amministrazione del patrimonio fallimentare ed al compimento di tutti gli atti della procedura concorsuale che la legge attribuisce alla sua competenza, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Può pertanto essere chiamato a rispondere del danno patrimoniale sofferto dal Fallimento, inteso come centro di imputazione degli interessi di tutti i creditori concorsuali, a causa delle condotte da lui poste in essere in violazione del dovere di diligenza, da intendere come diligenza di tipo professionale, secondo il paradigma normativo di cui all'art. 1176, co. 2, c.c.. Secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai univoco, l'incarico conferito al Curatore dal Tribunale dà luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c., in virtù della natura del rapporto che appare del tutto equiparabile al mandato, venendo in rilievo obblighi specifici riconducibili a tale tipo contrattuale (Cass. n. 5044 del 2001). Ne deriva che, secondo i tradizionali criteri di riparto dell'onere probatorio, incombe sull'attore la prova dell'inadempimento da parte del precedente Curatore agli obblighi imposti dalla legge, del nesso causale tra tale condotta e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, nonché del danno subito dal Fallimento (inteso nell'accezione testé indicata), mentre spetta al Curatore convenuto dimostrare che tale inadempimento non è a lui imputabile e che nella sua condotta non sono rinvenibili profili di negligenza (Cass. 5044 del 2001; Cass. n. 1507 del 2000; Cass. n. 8716 del 1996). Condotte poste in essere con negligenza o, comunque, prive del grado della diligenza richiesta dalla particolare natura professionale dell'incarico (artt. 1218 e 1176, co. 2, c.c.) integrano ipotesi di responsabilità per colpa generica; la violazione di norme di legge o di prescrizioni contenute nell'approvato Programma di liquidazione integrano, invece, ipotesi di colpa specifica (art. 38, co. 1, L. Fall.). Nel caso di specie, il Fallimento attore deduce a sostegno della sua domanda ipotesi del secondo tipo. Tra i doveri connessi all'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del Giudice delegato e del Comitato dei creditori, vi rientrano gli obblighi di informazione periodica mediante la predisposizione, il deposito e la pubblicazione di Rapporti riepilogativi sulla gestione della procedura concorsuale, da presentare ogni sei mesi dal deposito della Relazione particolareggiata iniziale (art. 33, co. 1 e 5, L. Fall.), il dovere di presentare un Rendiconto dell'attività svolta durante l'esercizio provvisorio con cadenza semestrale o, comunque, alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio (art. 104, co. 5, primo periodo, L. Fall.), il dovere di informare "senza indugio" il Giudice delegato ed il Comitato dei creditori su circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell'esercizio provvisorio (art. 104, co. 5, secondo periodo, L. Fall.), il dovere di pianificare la realizzazione dell'attivo fallimentare attraverso il deposito di un Programma di liquidazione da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori, entro il termine di centottanta giorni dalla dichiarazione di fallimento e con previsione di tempi certi entro il quale dovrà essere completata la realizzazione dell'attivo (art. 104-ter, co. da 1 a 3, L. Fall.), la presentazione al Giudice delegato, al momento del compimento della liquidazione dell'attivo e prima del riparto finale, nonché in ogni caso in cui cessi dalle funzioni, del Rendiconto finale di gestione, ossia dell'esposizione analitica delle operazioni contabili e delle attività di gestione della procedura (art. 116 L. Fall.). Una volta approvato, anche il Programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter L. Fall. assurge esso stesso a parametro di giudizio sulla misura della diligenza richiesta al Curatore in ordine alle modalità e ai termini di attuazione degli atti di pianificazione e di indirizzo ivi previsti per la realizzazione, in termini economici, dell'attivo fallimentare; non a caso, l'art. 38, co. 1, L. Fall., menziona, accanto alla legge, i doveri derivanti dall'attuazione del Programma di liquidazione approvato, con la conseguenza che condotte deviate rispetto a quanto programmato vengono ad integrare precise (ed ulteriori) ipotesi di colpa specifica, al pari di quanto avviene in caso di violazione di un (altrettanto) preciso obbligo di legge. Prova indiretta della centralità del Programma di liquidazione si ha, invero, dal rinvio espresso all'art. 104-ter L. Fall. contenuto nell'art. 32, co. 1, L. Fall.: l'adempimento relativo alla predisposizione del Programma di liquidazione è dovere attribuito "personalmente" al Curatore e, per tale ragione, non è delegabile a terzi coadiutori nemmeno con l'autorizzazione del Comitato dei creditori. Sulla base della documentazione depositata dalle parti e della conseguente ricostruzione dei fatti è emerso che il convenuto DOTT. (...), nell'espletamento dell'incarico di Curatore del FALLIMENTO (...) S.P.A., si è reso responsabile di plurime violazione dei doveri impostigli dalla legge, con particolare riferimento alla fase di liquidazione dell'intero patrimonio immobiliare non ricompreso nel perimetro dell'azienda ceduta il 29 settembre 2009. E' circostanza pacifica (Comparsa conclusionale parte convenuta, pag. 14) e documentata (doc. 38 fasc. parte attrice; doc. da 12 e 15 fasc. parte convenuta) che il Curatore convenuto disponesse, già a partire dal mese di ottobre 2011, le Relazioni di stima di tutti e cinque i compendi immobiliari; anche la Perizia estimativa relativa al Lotto costituto dal capannone industriale di Via (...) era disponibile, tenuto conto che le variazioni al Piano di Governo del Territorio avevano visto l'interlocuzione del Perito estimatore tra il 2010 e il 2011 (doc. 8 e 9 fasc. parte convenuta) e che la richiesta del Certificato di Destinazione Urbanistica risaliva al 4 maggio 2011 (doc. 10 fasc. parte convenuta). Anche a voler concedere che fino al programmato anno di cessazione dell'esercizio provvisorio, cioè fino all'anno 2012, poteva avere senso procrastinare la vendita del Lotto principale formato dal capannone industriale di Via (...) (il contratto di cessione prevedeva, infatti, che il capannone industriale di Gallarate fosse concesso in comodato d'uso gratuito alla cessionaria, a fronte dell'obbligo di mantenere i livelli occupazionali e, soprattutto, la produzione degli elettrodomestici in Italia), risulta del tutto priva di ragione la scelta di omettere tout court, dall'anno 2012 in poi, non solo l'attività di vendita dei singoli cespiti ma anche la stessa attività di pianificazione ed indirizzo che si sarebbe dovuta compendiare in un Programma di liquidazione che non ha mai visto la sua genesi durante l'amministrazione del DOTT. (...) (sarà, solo in seguito, a partire dall'anno 2016, il Curatore subentrante a farsi carico dell'incombente di cui all'art. 104-ter L. Fall. e all'attuazione delle programmate vendite secondo la disciplina di cui all'art. 107 L. Fall.). Come anche evidenziato nel decreto di revoca del settembre 2015, il Curatore convenuto ha, pertanto, violato, in primo luogo, il dovere sancito dall'art. 104-ter L. Fall. di predisporre un Programma di liquidazione dei beni immobili da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori. L'omesso deposito dell'atto di pianificazione dell'attività liquidatoria trova, invero, riscontro all'esito dell'ordine di esibizione disposto all'udienza del 7 giugno 2022 (doc. 50 fasc. parte attrice). Innanzi all'omissione dell'atto di pianificazione generale, tutti i capitoli di prova richiesti da parte convenuta risultano irrilevanti ai fini della prova circa la non imputabilità dell'inadempimento oggettivo ovvero circa la sussistenza della diligenza professionale richiesta dall'incarico. Una volta acquisite agli atti le Relazioni di stima dei cinque beni immobili formanti l'attivo e tenuto conto della cessazione de facto dell'esercizio provvisorio, non vi era alcuna ragione per omettere la predisposizione dell'atto che costituisce il presupposto per l'avvio della necessaria attività di liquidazione del patrimonio immobiliare; da questo punto di vista, le difese di parte convenuta non colgono nel segno, laddove individuano, per vero genericamente, nella crisi del mercato immobiliare le ragioni dell'omesso avvio della fase liquidatoria. Tale aspetto, se mai avesse avuto un qualche rilievo circa il ritardo nelle vendite o nei ribassi applicati, è, invero, irrilevante avuto riguardo alla omissione tout court dell'atto di pianificazione a monte. Anzi, a ben vedere, la circostanza avrebbe potuto, semmai, avere un senso ove opportunamente evidenziata e rappresentata al Comitato dei creditori e al Giudice delegato; in tal caso, la sede per rappresentare le difficoltà relative all'allocazione sul mercato dei beni immobili sarebbe stato proprio quel Programma di liquidazione che, nella specie, è stato sic et sempliciter pretermesso. Tutti i capitoli di prova orale chiesti da parte convenuta mirano a dimostrare che già a partire dall'anno 2009 il Curatore aveva avuto una serie di incontri finalizzati alla cessione degli immobili restati fuori dal perimetro dell'azienda; tuttavia, tali incontri si appalesano del tutto inidonei a dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento contestato in assenza dell'approvazione dell'atto di pianificazione che, anzi, li presuppone; il caso di specie riguarda, infatti, non tanto un caso di ritardo nella vendita dei beni immobili, quanto piuttosto un caso di mancato avvio delle vendite medesime, in assenza di ragioni giustificatrici che dovevano essere rappresentate agli Organi della procedura. In questo periodo di totale inerzia del convenuto Curatore è persino mancata quell'attività minima di relazione al Giudice delegato, aggravato dalla circostanza che era pendente l'esercizio provvisorio, pur essendone venuti meno i presupposti; pertanto, accanto alla omessa predisposizione, deposito e pubblicazione delle Relazioni periodiche di cui all'art. 33, co. 5, L. Fall., si affianca l'omessa rendicontazione semestrale specificamente prevista dall'art. 104, co. 5, L. Fall. con riferimento all'esercizio provvisorio che de iure proseguiva anche oltre il 2012, nonostante de facto fossero emerse quelle "circostanze sopravvenute" che il Curatore avrebbe dovuto rappresentare "senza indugio" al Giudice delegato, affinché provvedesse in ordine alla cessazione del medesimo e, quindi, a dichiarare il nulla osta all'avvio della fase di liquidazione dei beni immobili non ricompresi nell'azienda ceduta. Il danno causato al Fallimento è consistito, oltre che nel ritardo per i creditori ad essere soddisfatti mediante la rapida e tempestiva distribuzione del ricavato, anche e soprattutto negli ingenti costi che sono gravati su ciascuna massa immobiliare in questo tempo di inerzia. Tali costi, configurando precisi debiti di massa aventi natura prededucibile (sostenuti dal Curatore subentrato dopo l'avvio e il perfezionamento delle vendite fallimentari), hanno eroso ingiustificatamente le disponibilità liquide utilmente distribuibili, non apparendo esimenti le ragioni poste dal Curatore convenuto a giustificazione dell'omessa liquidazione. Poiché la condotta alternativa lecita sarebbe stata quella di predisporre, già sul finire dell'anno 2011 il Programma di liquidazione da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori e poiché la disposizione legislativa prevede testualmente che l'attuazione del Programma di liquidazione "non può eccedere due anni" (art. 104-ter, co. 3, L. Fall.), appare corretto ritenere che il danno cagionato sia costituito dai costi che nel biennio successivo (cioè dalla data di presumibile completa attuazione Programma di liquidazione fino alla data di revoca dall'incarico) hanno eroso il ricavato della vendita dei Lotti immobiliari formati. Ipotizzando, pertanto, che le difficoltà di allocazione dei beni immobili avrebbero comportato, comunque, un trasferimento dei medesimi non prima del biennio previsto dalla norma come termine massimo di attuazione degli atti di pianificazione ed indirizzo contenuti nel Programma di liquidazione, il risarcimento del danno può essere circoscritto a quel lasso di tempo ulteriore (in concreto, il successivo biennio antecedente la revoca) durante il quale sugli immobili sono maturate le maggiori imposte e i maggiori costi in concreto sopportati dal Curatore subentrato all'esito delle vendite. Non un periodo maggiore, in quanto non è stata fornita la prova, gravante su parte attrice, che la vendita sarebbe avvenuta in un periodo più ristretto; sul punto, anzi, vi è riscontro indiretto ed ex post circa le difficoltà oggettive, anche per il Curatore subentrato, ad allocare sul mercato i beni immobili (soprattutto il capannone industriale di Via C. trasferito nell'anno 2019). Non un periodo minore, però, in quanto le oggettive difficoltà di allocazione rappresentate da parte convenuta, avrebbero potuto assumere una qualche forma di rilevanza solo all'esito di quell'attività di pianificazione e di informazione agli Organi concorsuali che nella specie è del tutto mancata; mancando l'atto di pianificazione generale ed essendo state omesse le relazioni periodiche semestrali, è impossibile ipotizzare, secondo un giudizio prognostico ed ex ante, la probabile concessione di proroga di un termine che mancava in rerum natura. Il periodo biennale individuato è, del resto, il periodo contemplato dalla norma violata (art. 104-ter, co. 3, L. Fall.) ed è quello che maggiormente risulta aderente alle teorie sulla concezione normativa della colpa. Il danno risarcibile va, invero, ricavato attraverso quel giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento antidoveroso tenuto dal responsabile che era nelle condizioni di poter non assumere; anziché come una realtà psicologica (come implicitamente teorizzato da parte convenuta che ha richiesto di provare per testi le buone intenzioni del Curatore) la colpa va rintracciata nella violazione del dato normativo positivo che esprime il rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto e la norma giuridica (per quanto ben intenzionato il Curatore ha omesso scientemente di rispettare, primariamente, la previsione legale dell'art. 104-ter L. Fall.). Solo in questo modo si riesce ad accertare la responsabilità e a determinare il danno risarcibile cagionato in maniera unitaria e oggettiva, basata cioè sul rapporto di contraddizione tra la condotta tenuta e l'Ordinamento positivo. Ciò chiarito, il danno risarcibile è costituito dalle imposte comunali (IMU e TASI), dai premi dovuti per l'assicurazione sulla responsabilità civile e dalle spese condominiali maturati e divenuti esigibili in relazione a ciascuna delle cinque masse immobiliari, come crediti aventi natura prededucibile e, incassato il prezzo di vendita, aventi i presupposti per il loro pagamento fuori riparto (all'amministrazione finanziaria, all'assicuratore e al condominio), secondo il combinato disposto di cui agli artt. 111-bis e 111-ter L. Fall. (mediante prelievo dal ricavato della vendita relativa alla massa immobiliare alla quale ciascun "costo" in concreto afferisce). Pertanto, il danno subito può essere quantificato come segue, in relazione al biennio antecedente la data della revoca (per comodità probatoria, si considera il biennio solare 2014-2015) e in relazione a ciascuno dei seguenti Lotti immobiliari: 1- Lotto di G., Via C. n. 98; 2- Lotto di G., Corso S. n. 15; 3- Lotto di G., Lotto di G. ha dichiarato al Giudice delegato di aver corrisposto fino a quella data premi assicurativi sugli immobili per complessivi Euro 35.000,00 e spese condominiali per complessivi Euro 25.250,00. Considerato che il convenuto è restato in carica per sei anni, il costo medio annuale per premi assicurativi è pari ad Euro (35.000,00 / 6) = Euro 5.833,33 e il costo medio annuale per spese condominiali è pari ad Euro (25.250,00 / 6) = Euro 4.208,33. Tali importi trovano, peraltro, indiretto riscontro documentale, in quanto, da un lato, il premio assicurativo annuale già solo per il solo Lotto n. 1 ammontava ad Euro 10.100,00 durante gli anni (dal 2016) dell'amministrazione W. (doc. 52 fasc. parte attrice), mentre, dall'altro, sono depositate le istanze del medesimo Curatore subentrato per il pagamento delle spese condominiali gravanti sul Lotto n. 2 dal settembre 2013 all'agosto 2015 per complessivi Euro 10.175,65 (doc. 53 fasc. parte attrice). Il danno è, pertanto, determinato moltiplicando il costo medio annuale per ciascuno dei due anni già considerati per la determinazione del danno derivante da maggiori imposte: Euro (5.833,33 * 2) = Euro 11.666,66 per premi assicurativi ed Euro (4.208,33 * 2) = Euro 8.416,66 per spese condominiali. Complessivamente, quindi, l'inerzia ingiustificata del convenuto curatore ha determinato, nel biennio considerato, un danno risarcibile per maggiori imposte e maggiori costi per premi assicurativi e spese condominiali complessivamente determinato in Euro (147.330,87 + 11.666,66 + 8.416,66) = Euro 167.414,19. Poiché l'obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito (non di valuta, bensì) di valore, sul capitale liquidato va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa (Cass. n. 1627 del 2022) che, nel caso di specie, viene individuato nell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi. Va, invece, rigettata la restante porzione della domanda di risarcimento del danno. In relazione ai pagamenti effettuati ai dipendenti e agli enti di previdenza obbligatoria e complementare non vi è stata violazione delle norme sull'accertamento dello stato passivo o sulla distribuzione del ricavato, posto che l'Accordo quadro sottoscritto con le OO.SS. di categoria e l'atto di cessione dell'azienda, entrambi conclusi in data 29 settembre 2009 giusta autorizzazione resa dal Giudice delegato e dal Comitato dei creditori, prevedevano espressamente che tra gli obblighi della Curatela vi fosse quello di provvedere al pagamento dei crediti vantati da tutti i prestatori di lavoro subordinato che risultavano ricompresi nel perimetro dell'azienda ceduta. Gli impegni negoziali assunti dagli Organi concorsuali in relazione all'adempimento, da parte del Fallimento in via esclusiva, di tutte le obbligazioni derivanti dai rapporti di lavoro hanno infatti generato debiti di massa ricadenti nell'ambito di applicazione della disciplina dei crediti prededucibili (art. 111-bis L. Fall.); la circostanza che tali crediti verso la massa fossero, del tutto casualmente, anche potenziali crediti concorsuali non muta il fatto che, al ricorrer dei presupposti di cui all'art. 111-bis, co. 4, L. Fall. (liquidità, esigibilità e certezza), essi potessero essere soddisfatti fuori riparto, ove l'attivo fosse stato, come nel caso di specie, presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Secondo l'originaria disposizione di cui all'art. 111 L. Fall., la prededuzione indicava una specifica modalità prioritaria di pagamento delle spese afferenti all'attività degli Organi fallimentari e dei debiti contratti dalla relativa amministrazione, inclusi quelli dell'esercizio provvisorio, mediante uno svincolo solutorio rispetto alla fase del riparto, posto che era essenzialmente il Giudice delegato a disporne il pagamento con decreto, individuatane la consistenza di crediti verso la massa (o debiti di massa). La sottrazione al regime del concorso e alla regola della par condicio, finì con l'evidenziare, peraltro, la difficoltà di conciliare una semplice nozione contabile di mero "costo della procedura" con il riconoscimento della medesima preferenza di pagamento anche per tutte le altre obbligazioni sorte sì dopo l'apertura del fallimento ma per effetto di "atti utili" o comunque di "condotte oggettivamente riferibili ai suoi organi", in relazione cioè alle attività funzionali alla liquidazione dei beni. In seguito, accertata la continuità della stessa crisi economico-finanziaria dapprima regolata attraverso l'istituto (abrogato) dell'amministrazione controllata, la prededuzione fu riconosciuta nel successivo fallimento anche quanto ai debiti contratti prima, sussistendo "l'identità delle cause del dissesto che ha dato luogo alle varie procedure, dovendo sussistere tra (esse) non solo un nesso di consecutività, ma anche di interdipendenza" (Cass. n. 8164 del 1999), premiandosi in tal modo la conservazione del valore economico nell'interesse dei creditori. Successivamente, la giurisprudenza ha esteso la prededuzione a quei concordati che avessero fatto della continuazione un elemento essenziale della proposta, cioè "oggetto dell'ammissione da parte del tribunale nonché dell'approvazione da parte dei creditori e dell'omologazione finale" (Cass. n. 7140 del 1996). Al di fuori delle ipotesi descritte, i debiti assunti autonomamente nel proprio interesse dal soggetto insolvente, prima dell'instaurazione del concorso ovvero anche dopo, nei limitati ambiti di amministrazione consentitagli, erano esclusi dal perimetro della prededuzione, conciliandosi rigorosamente la preferenzialità con i soli atti diretti a realizzare l'obiettivo della conduzione ottimale della procedura e del miglior soddisfacimento dei creditori, prerogativa di azione riservata alle competenze degli organi. Il quadro normativo di riferimento è mutato con le Riforme degli anni 2006 e 2007. L'art. 111-bis, co. 2, L. Fall., nella sua attuale formulazione (ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006 e del correttivo di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007), prevede che sono crediti prededucibili oltre a quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, anche quelli sorti "in occasione" o "in funzione" della procedura concorsuale. Al di fuori dei casi previsti dalla legge, la prededucibilità può, quindi, anche discendere o dalla riferibilità del debito ad atti degli organi della procedura (i crediti sorti "in occasione") o dalla strumentalità degli atti della procedura (i crediti sorti "in funzione"). La riscrittura dell'art. 111-bis L. Fall. ha, pertanto, ridefinito il contesto delle regole e si è compendiata "in una definizione espressa e per clausole generali" dei crediti prededucibili, con la conseguenza che la natura prededucibile di un credito vantato nei confronti della massa, promana (non tanto e) non solo da una ricognizione formale ed in senso stretto dei casi espressamente e tassativamente previsti dall'Ordinamento, bensì "da una particolare relazione rimessa ai due criteri cronologico o teleologico affidati all'interprete" (Cass. n. 18345 del 2022). In tutti questi casi, la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell'attività (nella quale il credito ha il suo titulus) agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente; mentre il privilegio, quale eccezione alla par condicio creditorum, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo (individuale o concorsuale), ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito "poiché ne suppone l'esistenza e lo segue" (Cass. n. 36755 del 2021; Cass. n. 5685 del 2015 sulla non retroattività della norma istitutiva), la prededuzione semmai può aggiungersi alle cause legittime di prelazione, nei rapporti interni alla categoria dei debiti di massa, in caso di insufficienza di attivo ovvero nel caso in cui sia necessario procedere ad una gradazione anche nella soddisfazione dei creditori prededucibili, in quanto essa "attribuisce una precedenza rispetto a tutti i creditori sull'intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perché nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finché esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione" (Cass. n. 15724 del 2019; Cass. n. 3020 del 2020; Cass. n. 10130 del 2021). Tralasciando - in quanto non rilevante in relazione alla concreta fattispecie - l'indagine riguardante il perimetro della prededuzione di fonte legale, occorre, a questo punto, approfondire un poco gli altri due parametri della "occasionalità" e "funzionalità", per evidenziare che, da un lato, il criterio dell'occasionalità presuppone che il credito sia sorto nel corso della procedura concorsuale (criterio temporale), mentre il criterio funzionale richiede che il debito sia stato contratto con una giustificazione finalistica collegata procedura concorsuale. Può, quindi, già affermarsi, con un certo grado di sicurezza, che nella categoria dei crediti prededucibili (cioè fra i "debiti di massa") vanno, senz'altro, inclusi i crediti sorti in conseguenza dell'attività gestionale della curatela fallimentare, ossia le obbligazioni conseguenti all'attività negoziale posta in essere dal Curatore in relazione all'amministrazione della massa attiva. Il criterio temporale ha assunto, nella giurisprudenza di legittimità, un connotato autonomo rispetto al criterio teleologico, per la rilevanza della congiunzione disgiuntiva nel testo della disposizione (Cass. n. 5098 del 2014; Cass. n. 10130 del 2021; Cass. n. 22670 del 2021). Il criterio temporale va, comunque, declinato, oltre che sul piano cronologico, anche rispetto all'imputazione del titolo dell'obbligazione (la causa debendi del credito prededucibile) ad una attività che deve necessariamente essere ricondotta agli Organi della procedura stessa (Cass. n. 1513 del 2014, secondo cui il criterio, per non ingenerare aporie, deve essere integrato con l'implicito elemento soggettivo menzionato, altrimenti apparendo esso "palesemente irragionevole in quanto porterebbe a considerare come prededucibili, per il solo fatto di essere sorti in occasione della procedura, i crediti conseguenti ad attività del debitore non funzionali ad esigenze della stessa"); pertanto, può affermarsi che, almeno tendenzialmente e secondo il criterio temporale, gli impegni assunti dagli Organi concorsuali, così come le obbligazioni geneticamente scaturenti dalla rispettiva attività, generano debiti di massa, in quanto "di per sé assorbono la funzionalità agli scopi della procedura cui accedono, quali costi gravanti sulla stessa in quanto intrinsecamente sostenibili in vista delle sue finalità concorsuali" (Cass. n. 18345 del 2022). Il criterio teleologico, dal canto suo, esprime, invece, un'attitudine di vantaggio per il ceto creditorio, potendo essere riferito anche a crediti maturati in capo a terzi, per prestazioni svolte anche prima dell'inizio della procedura e perciò al di fuori di un diretto controllo dei relativi Organi, ferma restando la necessaria relazione di inerenza allo scopo (concorsuale), più che al risultato, dell'iniziativa che genera il relativo debito di massa. Questa relazione di inerenza allo scopo è stata particolarmente esaminata con riguardo ai crediti sorti nell'ambito di procedure concorsuali in consecuzione (tipicamente nel caso in cui ad una domanda prenotativa di concordato consegua poi il fallimento della società proponente); riguardo ad essa si registra il superamento di un primo approccio c.d. utilitaristico, condotto in concreto, nella prospettiva di una verifica ex post sulla sussistenza della menzionata "attitudine di vantaggio per il ceto creditorio". Per contro, tale esame sul vantaggio, ha assunto - nella varietà delle formule definitorie - un sostanziale assestamento entro una qualità strumentale riconoscibile ex ante, non senza oscillazioni sulla rappresentazione più o meno presunta, e dunque automatica, nel nesso con il prosieguo concorsuale, specie se ad esito infausto. Ad ogni modo, la funzionalità può dirsi sussistente quando l'attività originante il credito sia ragionevolmente assunta, nella prospettazione delle circostanze ad essa coeve, quando è in grado di assecondare le utilità (patrimoniali, aziendali, negoziali) su cui può contare l'intera massa dei creditori, destinati a prendere posizione sulla proposta del debitore; ciò ne permette l'assimilazione ad una nozione di costo esterno sostenibile al pari di quelli prodotti dalle attività interne degli Organi concorsuali (Cass. n. 42093 del 2021; Cass. 18345 del 2022). Questi essendo i presupposti per il riconoscimento della natura di credito prededucibile, non può certo negarsi tale carattere ai crediti nascenti dall'accordo di cessione del ramo d'azienda concluso dal Curatore in data 29 settembre 2009 e dal collegato Accordo quadro con le OO.SS. di categoria sottoscritto dal Fallimento cedente e dalla società cessionaria del ramo d'azienda. La cessione del ramo d'azienda e le pattuizioni relative ai crediti nascenti dai rapporti di lavoro ricompresi nel ramo ceduto (artt. 3 e 9 dell'Accordo quadro; artt. 3 e 7 dell'atto di cessione d'azienda) è, senza dubbio, espressione di una scelta gestionale di tale organo, all'interno dell'attività di liquidazione della massa attiva autorizzata dal Comitato dei creditori e dal Giudice delegato, al fine di procurare un vantaggio immediato alla procedura (si vedano, a tal proposito, i rilievi del Giudice delegato di cui si è dato conto nelle premesse). Essa, a prescindere dalla bontà della scelta (ritenuta, in ogni caso, opportuna da tutti gli Organi della procedura chiamati ad esprimersi al riguardo), era evidentemente finalizzata alla tutela degli interessi della massa, con la conseguenza che le obbligazioni assunte dal Curatore, nell'ambito del relativo negozio, non possono che qualificarsi come debiti di massa. Infatti, ciò che conta ai fini del riconoscimento di tali obbligazioni come prededucibili è la loro fonte, rinvenibile, nel caso di specie, nella clausola negoziale che, nell'ambito della cessione del ramo d'azienda, prevedeva, con la struttura di un accollo liberatorio ad efficacia esterna (art. 1273, co. 1, c.c.), il pagamento di tutti i debiti relativi ai rapporti di lavoro dei prestatori inclusi nell'azienda ceduta. Il Curatore agiva nell'ambito delle sue potestà di amministratore della massa attiva; nell'ambito dell'attività di liquidazione di una componente dell'attivo fallimentare (il ramo d'azienda) assumeva, autorizzato dagli Organi della procedura ad accettare la proposta irrevocabile d'acquisto pervenuta da parte del (...), un'obbligazione negoziale nell'interesse di tutto il ceto creditorio, consentendo non solo il raggiungimento dell'obiettivo posto a base dell'autorizzazione alla conduzione dell'esercizio provvisorio (la salvaguardia dell'integrità aziendale e dell'avviamento, dei livelli di occupazione e del mantenimento della produzione in Italia) ma, altresì, la rapida monetizzazione dell'azienda acquisita all'attivo. Peraltro, clausole negoziali di questo tipo sono tipiche in quanto legislativamente previste dalla disciplina di settore relativa alla gestione dei rapporti di lavoro nel caso di trasferimento d'azienda quando l'impresa si trovi in stato di crisi o di insolvenza (art. 47, co. 5, L. n. 428 del 1990, nella parte in cui deroga alla disciplina di diritto comune di cui all'art. 2112 c.c.), in quanto ad essa si accompagna, come effettivamente avvenuto nel caso di specie, a livello di negoziazione collettiva, il contratto stipulato con le rappresentanze sindacali di categoria e, a livello individuale, la conciliazione in sede protetta di ciascun prestatore di lavoro ai sensi dell'art. 411 c.p.c. Di questi passaggi il Curatore da, peraltro, conto nelle due Relazioni semestrali successive al trasferimento d'azienda, rappresentando con correttezza, anche dal punto di vista contabile, i pagamenti che via via venivano eseguiti in favore dei dipendenti e degli enti previdenziali e, pertanto, l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla Curatela nell'ambito dell'attività di liquidazione del bene azienda. Non a caso, tra le cause di grave inadempimento rilevate dal Tribunale non vi è menzione a questa porzione dell'attività posta in essere dal convenuto che veniva revocato sostanzialmente per le omissioni relative alla liquidazione dei beni immobili fuori dal perimetro dell'azienda ceduta. Da questo punto di vista, allora, le uniche censure che si sarebbero potute muovere al Curatore sarebbero state quelle relative all'eventuale insussistenza dei presupposti per il pagamento fuori riparto dei singoli dipendenti; tuttavia, se da un lato, tali deduzioni non sono state allegate dal Fallimento attore (che rimprovera solo il mancato accertamento dei crediti con le modalità di cui al Capo V della Legge fallimentare), dall'altro, sussiste la prova della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 111-bis, co. 4, L. Fall.: i crediti dei prestatori di lavoro, con la formalizzazione degli accordi sindacali nelle sedi protette previste dalle norme di riferimento, sono divenuti liquidi ed esigibili, in assenza di contestazioni. Il loro pagamento è avvenuto con prelievo dal prezzo ricavato dalla cessione dell'azienda e non risulta che alcuno dei creditori prededucibili sia rimasto insoddisfatto. Rispetto a questa porzione iniziale dell'attività posta in essere dal Curatore convenuto non c'è stata, pertanto, alcuna violazione a norme di legge, sicché i fatti costitutivi richiesti dalla speciale azione di cui all'art. 38 L. Fall. sono da ritenere insussistenti. Per inciso, anzi, la bontà di quell'operazione di cessione aziendale trova riscontro nel fatto che la produzione industriale, a distanza di oltre dieci anni e nel mezzo dei travagli della crisi industriale e della pandemia, tuttora prosegue per il tramite del cessionario (...) nello storico insediamento avviato a Gallarate nel lontano 1949. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo sulla base dei parametri ministeriali di cui al D.M. n. 55 del 2014 aggiornati al D.M. n. 147 del 2022 previsti per lo scaglione di riferimento scelto sulla base del criterio (non del disputatum, bensì) del decisum (Cass. n. 21256 del 2016); vengono liquidate tutte le fasi nei valori medi, ad eccezione della fase istruttoria liquidata al minimo stante la limitata attività, in relazione ad essa, in concreto espletata dalle parti. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione e difesa rigettata, così provvede: 1) ACCERTATO l'inadempimento del convenuto ai doveri del proprio ufficio di Curatore del Fallimento (...) S.P.A., DICHIARA il DOTT. (...) responsabile del danno derivante dal pagamento di maggiori imposte e maggiori costi e, per l'effetto, lo CONDANNA al pagamento in favore del FALLIMENTO (...) S.P.A., in persona del Curatore fallimentare, della somma di Euro 167.414,19 oltre al danno da svalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, e agli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, dalla data di proposizione della domanda giudiziale sino al soddisfo. 2) CONDANNA il convenuto DOTT. (...) al pagamento in favore della parte attrice FALLIMENTO (...) S.P.A., in persona del Curatore fallimentare, delle spese di lite che vengono liquidate in Euro (1.686,00 + 27,00) per spese documentate non imponibili (c.u. e spese forfettarie) ed Euro 11.268,00 per compenso professionale, oltre spese generali imponibili al 15%, c.p.a. ed i.v.a. (se dovuta, in quanto non detraibile dalla parte vittoriosa in forza del regime fiscale ad essa applicabile). Sentenza ope legis esecutiva. Così deciso in Busto Arsizio il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6052/2019 promossa da: (...) SRL (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. VI.LA. e dell'avv. UB.MA. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori PARTE ATTRICE contro (...) SPA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. DA.FE. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.r.l. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") ha convenuto in giudizio (...) S.p.A. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") esponendo: che era solita rifornirsi dalla convenuta degli erogatori (c.d. "tastini") e delle valvole per la realizzazione delle bombolette spray che produceva; che nel mese di marzo 2018 (...) le aveva proposto una nuova campionatura di valvole con i relativi erogatori, informandola che a breve quelli abitualmente commercializzati sarebbero stati "fuori produzione"; che, pertanto, in data 21.3.2018, aveva ordinato le nuove valvole come proposte in campionatura - modello NLF 1/3/25 - con i relativi nuovi erogatori modelli NLF; che, inaspettatamente, nel mese di maggio del 2018, (...) le aveva comunicato che gli erogatori ordinati non erano disponibili e le aveva proposto l'acquisto di erogatori di altra e diversa tipologia, fornendo rassicurazioni in ordine alla compatibilità di siffatti erogatori con le valvole precedentemente ordinate modello NLF 1/3/25; che già in tale occasione aveva riferito alla convenuta che i ritardi nella consegna degli erogatori e delle valvole stavano comportando uno stallo nella produzione e nell'evasione degli ordini, dal momento che le poche scorte rimaste non potevano garantire continuità di fabbricazione; che aveva effettuato una verifica con modalità manuale sui campioni degli erogatori nuovo modello e delle valvole già ordinate in data 21.3.2018, in quanto, trattandosi di pochi campioni, non era possibile il loro inserimento in linea sulla macchina per un assemblaggio "in automatico"; che, poiché la verifica aveva dato esito positivo, aveva autorizzato la consegna urgente dei nuovi erogatori proposti, stante il grave ritardo nel frattempo già accumulato; che solo in data 13.6.2018, allorquando era ormai completamente ferma nella produzione delle bombolette spray da oltre una settimana, la convenuta le aveva consegnato 30.000 erogatori; che, ricevuta la consegna, aveva verificato che alcuni degli erogatori risultavano ancora del primo modello indicato nell'ordine del 21.3.2018, successivamente sostituito dall'ordine del 22.5.2018; che, ad ogni modo, per riprendere la produzione, aveva collocato valvole e tastini sul macchinario preimpostato con l'automatismo in linea per il loro accoppiamento, che, tuttavia, non avveniva correttamente, cosicché, dopo vari tentativi, in data 18.6.2018, aveva richiesto l'intervento di un tecnico della società produttrice del macchinario, il quale, senza riuscire a risolvere la problematica, avendo riscontrato che il malfunzionamento era da imputare all'impossibilità di un perfetto inserimento in automatico, per mezzo della macchina, dei tastini nel corpo delle valvole; che siffatte problematiche e i ritardi accumulati erano stati denunciati immediatamente e nei giorni successivi alla (...); che, nel frattempo, con ordine del 2.5.2018, aveva già inoltrato altra richiesta per l'acquisto di analoghi erogatori e valvole per la produzione di un diverso modello di bombolette denominato "self-tinto"; che in data 5.6.2018, a seguito di alcune "non adattabilità" riscontrate sui primi elementi consegnati, aveva chiesto di poter annullare il secondo ordine alla (...), la quale, tuttavia, in data 6.6.2018 le aveva comunicato che non era possibile, in quanto gli erogatori e le valvole erano già in fase di produzione; che tale successivo ordine era stato evaso in data 26.6.2018, e che, anche in questo caso, dopo avere avviato la produzione delle bombolette "self-tinto", aveva riscontrato le stesse criticità di accoppiamento tra i tastini e le valvole; che dal 6.6.2018 fino al 13.6.2018, in quanto sprovvista di materiale da assemblare, era rimasta in completo stallo produttivo, lasciando inattive le operaie adibite alla produzione, mentre, dal 13.6.18, dopo la consegna dei tastini, stante il continuo blocco della macchina in fase di inserimento dei tastini nel corpo delle valvole, si era vista costretta a impiegare risorse e manodopera per verificare e provare la compatibilità dei tastini con le valvole, e, una volta verificata l'impossibilità di procedere con un accoppiamento in automatico, si era vista costretta a impiegare il personale perché provvedesse all'inserimento manuale dei tastini nel corpo delle valvole, accumulando inevitabilmente ulteriore ritardo; che dal 20.6.2018 al 25.7.2018, dopo l'intervento del tecnico, aveva ripreso, seppur in maniera parziale e rallentata, la produzione su macchina, impegnando una persona fissa al controllo visivo dell'assemblaggio, con il compito di provvedere alla sostituzione manuale quando l'inserimento automatico della valvola risultava incompatibile; che, tuttavia, in fase di verifica e di collaudo del prodotto finale, le dipendenti avevano constatato una serie di anomalie sulle bombolette esaminate (accoppiamenti malriusciti per valvole rovinate o per erogatori e valvole non conformi ed incompatibili tra loro; impossibilità di inserimento dei tastini in quanto le valvole rimanevano aperte; mancata erogazione da parte del tastino; un anomalo funzionamento del tastino nella fase di spruzzatura che impediva una corretta nebulizzazione e che macchiava le superfici); che solo in data 11.9.2018 erano state consegnate da altro fornitore nuovi erogatori e nuove valvole, così risolvendo definitivamente i problemi di produzione; che tra i mesi di giugno, luglio e settembre 2018, le bombolette prodotte con erogatori e valvole fornite da (...), nei modelli sia standard che self-tinto, erano state immesse sul mercato, e che, a seguito di numerose contestazioni e segnalazioni ricevute da parte dei vari rivenditori, i quali le avevano comunicato che avrebbero cambiato fornitore, si era trovava costretta a ritirare dal mercato 1.340 bombolette self-tinto, in quanto difettose e mal funzionanti, e aveva dovuto bloccare l'immissione su mercato di altre 1.070 bombolette self-tinto, mentre altre 300 erano state scartate in fase di collaudo, in quanto visibilmente difettose; che, anche successivamente, altri colorifici avevano contestato i difetti delle bombolette vendute agli acquirenti finali; che, nell'ambito della vendita intercorsa, era configurabile un'ipotesi di consegna di aliud pro alio o, comunque, un vizio o una mancanza di qualità rilevante ai sensi e per gli effetti degli artt. 1490 e 1497 c.c., per cui i contratti dovevano ritenersi risolti; che, inoltre, a causa del ritardo di quasi tre mesi nella consegna del materiale ordinato, era stata costretta ad interrompere la produzione, rimanendo in completo stallo per almeno quattro giorni consecutivi; che i vizi nella fornitura le avevano causato danni economici e all'immagine; che, in particolare, il danno emergente patito era pari ai costi sostenuti per l'intervento di un tecnico per regolare la macchina, per la manodopera inutilizzata per quattro giorni, per le ore in più lavorate dalle dipendenti impiegate a risolvere le problematiche riscontrate, oltre che per la produzione ed il consumo di maggior vernice e per lo svuotamento, l'analisi, il trasporto e lo smaltimento delle bombolette danneggiate e scartate in fase di test e delle vernici, nonché per il ritiro delle bombolette difettose nei vari colorifici; che aveva altresì subito un danno da lucro cessante, pari al mancato guadagno sulle bombolette non vendute, nonché al mancato guadagno discendente dalla perdita di clientela; che aveva, infine, patito un danno da perdita di immagine commerciale, compromessa a seguito della messa in commercio di prodotti difettosi. Ha chiesto, pertanto, di accertare e dichiarare l'intervenuta risoluzione del contratto di fornitura per grave inadempimento della (...) ai sensi dell'art. 1453 c.c. o, comunque, in subordine, per la sussistenza dei vizi contestati o per l'inidoneità all'uso della cosa venduta ex artt. 1490 e 1497 c.c., e di condannarla al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'inadempimento contrattuale della società venditrice, quantificabili in Euro 39.914,20, oltre a Euro 10.000 per la perdita dell'immagine commerciale. Si è costituita in giudizio la società (...), eccependo in via preliminare la decadenza dalla garanzia ex art. 1495 c.c. avendo l'attrice denunciato formalmente i pretesi vizi solo in data 5.12.2018, e chiedendo, nel merito, il rigetto di tutte le domande, in quanto infondate in fatto e in diritto, nonché, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice al pagamento della somma di Euro 11.106,42, oltre interessi e rivalutazione. In particolare, la convenuta ha dedotto: che la vendita aveva avuto ad oggetto campioni approvati di valvole ed erogatori; che l'attrice non aveva mai lamentato alcunché riguardo alle caratteristiche dei prodotti forniti, ma solo problemi di assemblaggio; che, quindi, le problematiche non erano da imputarsi ad un difetto di produzione delle valvole o degli erogatori, che erano stati verificati come perfettamente conformi nel corso della visita del 18.6.2018, ma alla macchina di posa degli erogatori, che non risultava centrata; che i danni non erano provati ed erano erroneamente quantificati; che, attesa l'infondatezza delle contestazioni avversarie, aveva diritto al pagamento delle tre fatture relative alla fornitura oggetto di causa, per un totale di Euro 11.106,42. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. 1. Sulle eccezioni preliminari di decadenza dalla garanzia e di prescrizione dell'azione Deve in via preliminare essere esaminata l'eccezione di decadenza dal diritto alla garanzia tempestivamente sollevata da parte della convenuta, la quale ha rilevato la tardività della denuncia dei vizi da parte dell'attrice, deducendo che la prima denuncia formale era stata effettuata in data 5.12.2018, ben oltre il termine di otto giorni dalla scoperta dei vizi prescritto dall'art. 1495 c.c. L'eccezione è infondata, in quanto dalla documentazione prodotta risulta che l'acquirente abbia denunziato le difformità del materiale consegnato nel termine di legge. Sul punto occorre innanzitutto osservare che, ai sensi dell'art. 1495 c.c., il termine di otto giorni per la denuncia decorre dalla scoperta dei vizi o delle difformità riscontrate, che si verifica nel momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva circa l'esistenza dei vizi (Cass. n. 8183/2002; Cass. n. 11046/2016). Al fine di conservare il diritto alla garanzia ex art. 1495 c.c. l'acquirente non è, tuttavia, tenuto a fare, nel termine stabilito, una denuncia analitica e specifica, con precisa indicazione dei vizi che presenta la cosa, potendo validamente limitarsi ad una denuncia generica e sommaria, che valga a mettere sull'avviso il venditore (da ultimo, Cass. n. 27488/2019; si tratta, comunque, di un orientamento costante: Cass. n. 5878/1993; Cass. n. 6234/2000; Cass. n. 25027/2015). La denuncia, inoltre, non richiede speciali formalità, ben potendo essere effettuata, in difetto di una espressa previsione di forma, con qualunque mezzo che, in concreto, si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati e, quindi, anche con una telefonata (sul punto, ex multis, Cass. n. 5142/2003). Nel caso di specie, è pacifico che l'attrice abbia riscontrato le problematiche di cui si discorre il giorno stesso in cui le è stata consegnata la prima partita dei tastini ordinati, il 13.6.2018, giorno in cui ha iniziato la produzione utilizzando il macchinario che permetteva l'inserimento continuativo in linea dei tastini (erogatori) nel corpo delle valvole, riscontrando le problematiche sopra descritte; ebbene, proprio dalla mail del 18.6.2018, inviata dalla convenuta a distanza di soli cinque giorni dalla consegna e prodotta in giudizio proprio da quest'ultima (doc. 1, fascicolo di parte convenuta), si evince chiaramente che la non conformità degli erogatori era già stata segnalata dall'attrice il giorno stesso della consegna ("Per quanto riguarda la NCC (Non Conformità) da voi segnalata mercoledì 13 giugno con il vostro invio di foto del problema evidenziato sullo stelo dell'erogatore"), e che, quello stesso giorno, si era altresì tenuto un incontro tra le parti proprio al fine di verificare la sussistenza dei vizi lamentati da parte attrice e negati da parte convenuta, il che comprova la tempestività della denuncia. Non assume rilevanza, invece, né che la denuncia non fosse "formale", essendo sufficiente, come sopra esposto, che il compratore comunichi al venditore che il prodotto consegnato presenta delle problematiche, né che (...) avesse riscontrato la conformità della merce, circostanza, invero, del tutto neutra ai fini di stabilire la tempestività o meno della denuncia. Del pari, risulta infondata, oltre che inammissibile, in quanto tardiva, l'eccezione di prescrizione dell'azione, dovendosi ricordare che, come chiarito dalla Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite (n. 18672/2019), anche gli atti stragiudiziali valgono ad interrompere la prescrizione di un anno dalla data della consegna, per cui, considerando gli atti interruttivi del 5.12.2018 e del 13.5.2019 (docc. 24 e 25, fascicolo di parte attrice), alla data della notifica della domanda, avvenuta l'11.11.2019, l'azione non poteva ritenersi in alcun modo prescritta. 2. Sui vizi e difetti lamentati da (...) e sulle contrapposte domande delle parti di risoluzione del contratto e di pagamento del prezzo La domanda di parte attrice volta ad ottenere la risoluzione dei contratti di compravendita di cui agli ordini del 21.3.2018 e del 2.5.2018 è fondata e va accolta per le considerazioni di seguito esposte. Al riguardo occorre muovere dalle conclusioni cui è pervenuta la consulenza tecnica d'ufficio espletata in corso di causa, qui recepite, stante la coerenza logica interna delle argomentazioni, che, peraltro, sono state condivise da tutti i partecipanti alle operazioni peritali. In particolare, per quanto qui interessa, la consulenza d'ufficio depositata in data 10.1.2022 ha permesso di chiarire che: - in data 21.3.2018 (...) ha ordinato a (...) 150.000 valvole NLF 1/3/25, pescaggio 164 mm L., guarnizione neoprene, e 100.000 Erogatori per valvola NLF VO5.2720 + VO6.215 BC/NR; successivamente (...), previo accordo con (...), le ha consegnato gli erogatori modello NLF VO4.2730/150/215, circostanza che emergeva già dalla documentazione in atti (come emerge dalla documentazione in atti che, con ordine del 2.5.2018, (...) ha acquistato altre 50.000 valvole NLF 1/3/25 per le bombolette self-tinto); - "non sussistevano problematiche di imperfetto assemblaggio manuale tra le valvole modello NFL 1/3/25 e gli erogatori V04.2730/150/215", come, del resto, già riconosciuto da parte attrice; - l'impossibilità di un perfetto inserimento in automatico, per mezzo della macchina, comprovato dai testi escussi (...) e (...) (cfr. verbali di udienza del 23.2.2021 e dell'11.5.2021), è dipeso dal fatto che le valvole e gli erogatori consegnati richiedevano, per l'accoppiamento, una macchina con un maggior grado di precisione nella centratura; rispetto ai componenti della serie originaria NKF, che l'attrice fino a quel momento aveva acquistato, quelli della serie NLF si caratterizzano, infatti, per le dimensioni più piccole dei fori: il foro della gomma in neoprene "passa da 3,88 mm a 3,00 mm" e il foro di inserimento dell'erogatore nella valvola "passa da 4,16 mm a 3,3 mm"; "questa differenza, all'apparenza minima, è la causa dei problemi che si sono manifestati durante la produzione" (cfr. p. 10 della consulenza tecnica d'ufficio); - un diverso settaggio della macchina non avrebbe potuto, da solo, ovviare alla problematica di assemblaggio lamentata, non potendosi conseguire un risultato produttivo pari a quello che si otteneva con l'utilizzo dei componenti utilizzati prima di allora, ma solamente un buon risultato. Tali conclusioni permettono di affermare che la cosa venduta, quanto meno, non possedesse le qualità promesse, essenziali per l'acquirente. Ed invero, laddove il compratore acquisti dal fornitore abituale di erogatori e valvole di un determinato modello (NKF), con caratteristiche specifiche, funzionali al loro utilizzo per la produzione industriale, (e, quindi, impiegando necessariamente macchinari) altro e nuovo modello (quello NLF), peraltro per esigenze non già del cliente ma del fornitore stesso (il quale non avrebbe più prodotto i pezzi prima venduti), circostanza in alcun modo contestata da parte convenuta, il fornitore è tenuto a proporre e a consegnare un modello equipollente a quello precedentemente acquistato, o, laddove non venga più prodotto, quanto meno a specificare al cliente le caratteristiche che rendono il nuovo modello difforme dal precedente (nel caso di specie, le dimensioni), senza che a tale carenza possa ovviare l'invio della campionatura, in quanto, come avrebbe dovuto essere noto al fornitore, la campionatura non poteva essere testata sulla macchina utilizzata per la produzione. Nel caso di specie, invece, (...) non ha nemmeno mai indicato a (...) le difformità del prodotto venduto in sostituzione del precedente; ha, di conseguenza, consegnato erogatori e tastini che, per le diverse dimensioni che avevano rispetto ai precedenti, non potevano più essere accoppiati perfettamente sul tipo di macchinario della cliente, come tali inadatti per un loro assemblaggio in linea su quella macchina, tenuto conto che elementi così piccoli, per poter essere assemblati correttamente, devono necessariamente combaciare ed incastrarsi tra loro in maniera perfetta. Così ricostruita la vicenda contrattuale, risulta evidente che (...) abbia consegnato a (...) dei beni privi delle qualità promesse, che quest'ultima poteva lecitamente attendersi e che attenevano alla stessa funzionalità del prodotto, rilevanti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1497 c.c.. Al riguardo, deve innanzitutto osservarsi che, nonostante la distinzione, in concreto, tra l'aliud pro alio datum e la mancanza di qualità non sia sempre agevole, in quanto la fattispecie contemplata dall'art. 1497 c.c. ricomprende anche le ipotesi in cui la qualità mancante, pur non essendo stata specificamente promessa dal venditore, assuma uno specifico rilievo caratterizzante, le inadempienze del venditore che si configurano come aliud pro alio sono quelle che, nella comune valutazione, assumono i caratteri di maggiore gravità, poiché la cosa consegnata appare radicalmente diversa da quella pattuita e tale da rendere il bene privo delle qualità minimali necessarie ad assolvere la sua funzione naturale o a quella assunta come essenziale dalle parti, e, quindi, totalmente inservibile, ragion per cui può apparire giustificato non applicare i termini di cui all'art. 1497 c.c., norma che risponde, invero, all'esigenza di assicurare la pronta contestazione di inesattezze nella prestazione del venditore, che la prolungata inerzia del compratore potrebbe far ritenere tollerate (per tutte, Cass. n. 3370/2004). Nel caso in esame, tuttavia, i beni consegnati non erano totalmente inservibili, atteso che, all'esito della taratura del macchinario e con l'ausilio dei controlli effettuati dagli operai impiegati sulla produzione, l'attrice è riuscita a produrre delle bombolette; tali beni, tuttavia, non avevano certamente le qualità promesse, in quanto non erano adatti ad essere adoperati con la macchina che l'acquirente aveva a disposizione, ma necessitavano di costanti interventi di controllo. Sul punto, vale la pena ricordare che possono essere promesse anche determinate qualità della cosa inerenti ad un uso della cosa da farsi in determinate condizioni, che obbligano il venditore laddove dedotte in contratto, espressamente ovvero anche implicitamente (cfr. Cass. n. 4657/1998; Cass. n. 5257/1978; Cass. n. 3133/1969; in ordine alla configurabilità della promessa implicita, v. anche Cass. n. 10728/2001; Cass. n. 508/1982); tale qualità promessa, espressamente ovvero implicitamente pattuita, assume, peraltro, per volontà dei contraenti, carattere di essenzialità di per sé incompatibile con la tollerabilità della sua mancanza, per cui tale mancanza comporta il diritto del compratore di ottenere la risoluzione del contratto (cfr. Cass. n. 3550/1995; Cass. n. 4923/1977; Cass. n. 556/1964). In questo senso, il fatto che i prodotti non presentassero vizi né singolarmente considerati, né assemblati manualmente tra loro, non è circostanza idonea ad escludere la garanzia di cui all'art. 1497 c.c., dovendosi qui ribadire che l'acquisto presupponeva la possibilità per l'acquirente di assemblare i prodotti con l'ausilio di un macchinario, come evidentemente noto al venditore, suo fornitore abituale; avendo quest'ultimo proposto e poi consegnato dei prodotti dal punto di vista dimensionale difformi da quelli che erano sempre stati ordinati in precedenza, senza, tuttavia, in alcun modo indicarlo all'attrice, lo stesso ha disatteso le sue richieste, consegnandole così un bene con caratteristiche diverse da quelle che, quanto meno implicitamente, aveva promesso (ossia che i prodotti avrebbero potuto sostituire i precedenti, essendo perfettamente fungibili), circostanza, quest'ultima, allegata da parte attrice e in alcun modo contestata, oltre che confortata dalla ricostruzione del c.t.u. (cfr. p. 8, dove si legge "le due aziende si sono relazionate allo scopo di definire i nuovi componenti, sostitutivi dei precedenti non più disponibili, da utilizzare per le bombolette"). L'affermazione, poi, secondo cui sarebbe stato sufficiente sostituire il tamburo della macchina per ovviare alla problematica, è stata fermamente esclusa dal c.t.u., il quale, peraltro d'accordo con i rispettivi consulenti di parte, ha concluso che "un diverso settaggio della macchina non avrebbe potuto, da solo, ovviare alla problematica di assemblaggio lamentata, per avere un risultato produttivo pari a quello che si otteneva con l'utilizzo dei componenti (valvole e tastini erogatori) utilizzati prima di allora, ma solamente un buon risultato come da report di intervento (...) del 19/06/2018" (p. 5 della relazione). In conclusione, essendo stata accertata nel caso di specie la mancanza della qualità promessa, certamente eccedente i limiti di tolleranza, deve essere pronunciata la risoluzione del contratto, con conseguente rigetto della domanda svolta in via riconvenzionale da parte convenuta di pagamento del prezzo della merce fornita. 3. Sulla domanda di risarcimento dei danni Quanto alla domanda dell'attrice volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei ritardi nella consegna della merce e delle riscontrata mancanza di qualità delle cose vendute, vale la pena ricordare in via generale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., il danneggiato ha diritto al risarcimento dei danni che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, comprensivi tanto della perdita subita, quanto del mancato guadagno, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato (ex multis, Cass. n. 18832/2016). A tal proposito, si rende necessario indagare l'esistenza di un duplice nesso di causalità: uno fra comportamento ed evento, per poter configurare una responsabilità, ed uno tra evento e danno, per delineare i confini di detta responsabilità ed imputare all'inadempimento le singole conseguenze dannose, che ne siano conseguenza diretta ed immediata (Cass. n. 9374/2006). Tali danni devono essere provati dal danneggiato: il criterio di riparto dell'onere di allegazione e prova dell'azione di risarcimento del danno contrattuale svolta in causa, infatti, è regolato dagli artt. 1218 e 2697 c.c. e dal principio della vicinanza della prova, in forza dei quali spetta a chi agisce in risarcimento allegare e provare la fonte legale o convenzionale dell'obbligazione che si allega totalmente o parzialmente inadempiuta, nonché allegare e provare il danno ed il nesso causale tra inadempimento totale o parziale e danno (cfr. Cass. SS.UU. n. 21678/2013; Cass. n. 18125/2013; Cass. n. 22361/2007). In particolare, quanto al danno da mancato guadagno, spetta al danneggiato provare che, ove l'altro contraente fosse stato adempiente, avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, che invece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (Cass. n. 24632/2015; conf. Cass. n. 1752/2005). L'accertamento del danno patrimoniale da mancato guadagno richiede, quindi, la prova, anche indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), il creditore avrebbe ottenuto se la prestazione fosse stata eseguita (Cass. n. 5613/2018; Cass. n. 25160/2018; Cass. n. 24632/2015; Cass. n. 7647/1994). L'onere di allegazione investe tanto il danno evento, quanto i danni conseguenza lamentati, dei quali deve essere specificata l'entità: le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria, infatti, non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non, causate da tale condotta (cfr. Cass. n. 691/2012). A condizione che l'esistenza del danno sia comunque dimostrata, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, il danno è liquidato dal giudice in via equitativa, come disposto dall'art. 1226 c.c. (cfr. Cass. n. 3794/2008; Cass. n. 8615/2006; Cass. n. 5375/2003). Il potere discrezionale del Giudice di procedere a valutazione equitativa postula, tuttavia, la prova dell'incolpevole impossibilità o rilevante difficoltà di provare l'ammontare preciso del danno richiesto, da valutarsi con riguardo alla particolarità del caso e alle risultanze processuali, e non esonera affatto la parte istante dall'onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso al fine di consentire al Giudice la precisa determinazione del danno stesso, né tanto meno può essere volto a supplire l'inerzia probatoria della parte interessata. Sulla scorta dei principi di diritto appena enunciati e delle emergenze istruttorie, la domanda di risarcimento del danno svolta dall'attrice risulta solo in minima parte fondata e deve essere accolta per quanto di ragione. Quanto al danno emergente, reputa il Tribunale che occorra risarcire all'attrice unicamente la spesa di Euro 287,43 sostenuta per l'intervento del tecnico della società (...) s.r.l. del 19.6.2018, in quanto tale intervento è stato pacificamente volto a cercare di risolvere la situazione di stallo di produzione dovuta al non corretto assemblaggio dei tastini e delle valvole, sicché si tratta di un esborso causalmente riconducibile al difetto di qualità, comprovato anche nel quantum, in quanto documentato (doc. 28) e confermato dalla teste (...), segretaria di direzione della (...) (cfr. verbale di udienza dell'11.5.2021 e la risposta data sul capitolo 33). Non può essere, invece, riconosciuto innanzitutto il rimborso della spesa di Euro 4.394,64 sostenuta per l'acquisto di altri erogatori e valvole dal nuovo fornitore, (...) spa - (...), in sostituzione dei materiali forniti da (...). Ed invero, sebbene l'esborso risulti provato, non risulta che (...) abbia patito alcun danno, non avendo corrisposto alcunché a (...) per le valvole e gli erogatori viziati; se a (...) fosse, dunque, addebitato il costo sostenuto da (...) per pagare la merce in sostituzione, si verificherebbe un indebito arricchimento dell'attrice, che si troverebbe a non pagare nessuna fornitura. Ed invero, in esito all'inadempimento del debitore, il risarcimento deve porre il creditore nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non vi fosse stato: il risarcimento deve, pertanto, comprendere tutti i nocumenti subiti, senza però eccedere da essi, facendo ottenere al creditore indebiti vantaggi a fronte della situazione che si sarebbe cristallizzata con l'adempimento. Tanto si verificherebbe nel caso di specie nell'ipotesi in cui venisse riconosciuto il danno emergente lamentato. (...) avrebbe potuto lamentare il danno emergente costituito dalla maggiore spesa che si era trovata a sostenere presso il nuovo fornitore per reperire urgentemente sul mercato nuovi tastini ed erogatori; nulla è stato, tuttavia, dedotto sul punto. Gli stessi principi trovano applicazione con riferimento alle somme che sono state versate da (...) alle operaie dipendenti a titolo di retribuzione durante il forzato periodo di inattività, protrattosi per cinque giorni lavorativi, e dovuto, in tesi, al ritardo nelle consegne del materiale imputabile a (...): ed invero, le operaie sarebbero state retribuite da (...) anche nel caso in cui la produzione fosse stata avviata tempestivamente, per cui non risulta che sia stato sostenuto alcun esborso causalmente riconducibile al ritardo imputabile alla convenuta, che si atteggia, al contrario, quale fatto neutro rispetto alla retribuzione che è stata corrisposta in quei cinque giorni. In quest'ottica l'attrice, semmai, avrebbe potuto domandare il danno da mancato guadagno, laddove il ritardo accumulato non fosse stato recuperato, con conseguente ridotta produzione di bombolette, o, ancora, lamentare, se del caso, che, a causa di tale stallo nella produzione, era stata successivamente costretta ad assumere altro personale o a pagare degli straordinari al personale già assunto per velocizzare la produzione. Anche in questo caso, nulla di tutto ciò è stato dedotto. Per le medesime ragioni non sono risarcibili i costi sostenuti da (...) per retribuire il personale che si è occupato di controllare i tastini durante la produzione, di verificare in sede di collaudo gli accoppiamenti malriusciti e la non corretta nebulizzazione, nonché di provvedere alla verifica del buon funzionamento delle bombolette prodotte, allo svuotamento di quelle non funzionanti, al loro smaltimento e alla pulizia; ciò per l'assorbente ragione che, dalla stessa documentazione prodotta dall'attrice (cfr. doc. 30), non risulta in alcun modo comprovato che i dipendenti abbiano lavorato delle ore in più, effettuando degli straordinari, che soli avrebbero potuto essere riconosciuti quale danno emergente. In particolare, lo stesso c.t.u. ha indicato che nei giorni 14 e 15 giugno 2018 gli operai hanno svolto le operazioni di controllo e di inserimento manuale dei tastini per otto ore ciascuno il primo giorno e per cinque ore il successivo, per cui non risulta che sia stato svolto alcuno straordinario; lo stesso vale per lo svuotamento delle bombolette mal riuscite, per cui sono state impiegate nove giornate lavorative da otto ore ciascuna. Anche in relazione a tale richiesta, non risulta, quindi, alcuna diminuzione patrimoniale che avrebbe potuto essere evitata, e che, quindi, sia causalmente riconducibile all'inadempimento, in quanto l'attrice avrebbe corrisposto le medesime retribuzioni anche laddove la convenuta le avesse consegnato tastini ed erogatori adeguati. Con riferimento, invece, ai costi sostenuti per le prove effettuate e il consumo di maggior vernice da inserire nelle bombolette poi gettate e in quelle utilizzate per le prove, nonché per lo smaltimento delle bombolette, il danno non è provato sotto altro profilo, in quanto non vi è alcuna evidenza in atti della sussistenza e consistenza di tali danni: fermo restando quanto sarà esposto infra in ordine ai difetti delle bombolette confezionate, manca la prova, infatti, che le bombolette smaltite siano state 4.265 (non essendo chiara, nemmeno a livello di allegazione, la sorte di 1.055 bombolette self-tinto), né si può rimediare a tale carenza basandosi su quel passaggio della c.t.u. in cui si legge che "Nel corso delle operazioni peritali Parte attrice ha riferito che l'operazione svolta ha interessato circa 4.265 bombolette" (p. 15 consulenza in atti), trattandosi di allegazione in alcun modo verificata; non è stato dimostrato, poi, che effettivamente l'attrice abbia sostenuto dei costi per tale smaltimento, non risultando in atti alcuna fattura pagata nemmeno con riferimento a tutti quei prodotti che, per stessa ammissione dell'attrice, non sono stati trattenuti nel magazzino al fine di permettere le verifiche del c.t.u.. Passando ora ad esaminare il preteso danno da mancato guadagno, che riguarderebbe sia le bombolette modello "self-tinto", che altre bombolette tinte (...) standard, si osserva quanto segue. Allega parte attrice che, a fronte di una produzione di 3.765 pezzi di bombolette modello "self tinto", tra i mesi di ottobre e dicembre 2018, le erano state restituite 1.340 bombolette difettose, già consegnate ai clienti; 1.070 bombolette erano state, invece, bloccate poiché viziate, per cui risultavano ancora stoccate presso il suo magazzino, mentre ulteriori 300 bombolette erano risultate difettose in fase di test e quindi gettate; anche 500 bombolette tinte (...) standard, in quanto prodotte con difetti, erano state successivamente smaltite e gettate. Aveva, quindi, patito un danno per la mancata vendita di 2.710 bombolette self-tinto pari ad Euro 9.485,00, considerato il ricavo unitario di Euro 3,50 per pezzo venduto, e un danno per la mancata vendita di n. 500 bombolette tinte (...) standard pari ad Euro 3.650,00, considerato il ricavo unitario di Euro 7,30 per pezzo venduto. Ebbene, quanto alle bombolette tinte (...) standard, fermo restando che nemmeno sono stati prodotti gli ordini dei clienti relativi a tali bombolette, per cui il guadagno appare meramente ipotetico, basti osservare che il capitolo di prova formulato sul punto (cap. 51) non è stato ammesso in quanto valutativo e soprattutto generico, non essendo stati indicati i vizi che le bombolette presentavano, ma unicamente che le bombolette erano state "prodotte con difetti", per cui non era possibile stabilire se lo scarto di tali bombolette sia dipeso dal non corretto assemblaggio dei tastini e degli erogatori tra loro, verifica a maggior ragione necessaria se solo si consideri che, dalla documentazione prodotta dalla stessa attrice (doc. 29), si evince la sussistenza di un vizio (quello del tastino difettoso) che non è stato in alcun modo comprovato in questo giudizio, non essendo stato possibile stabilire se, anche a seguito dell'assemblaggio manuale che parte attrice tentò di effettuare durante la produzione, persistessero i difetti lamentati nel funzionamento delle bombolette spray assemblate. Sul punto, infatti, il c.t.u., nell'esaminare le bombolette indicate come campioni da parte attrice, ha evidenziato, concordemente con i c.t.p., che "la bomboletta "tinta (...)" presentava l'erogatore diverso dal modello V04.2730/150/215 e la bomboletta "metallo spray per esterni" presentava una guarnizione particolarmente danneggiata", per poi escludere che fosse possibile verificare se, anche a seguito dell'assemblaggio in parte manuale, effettuato durante la produzione, persistessero i difetti lamentati nel funzionamento delle bombolette spray assemblate (cfr. p. 13 della relazione). Quest'ultima osservazione vale anche con riferimento alle bombolette self-tinto: dalle bolle prodotte, infatti, risulta unicamente che le stesse siano state rese in quanto "difettose"; anche all'esito delle testimonianze rese, poi, non è stato dimostrato che i resi siano stati effettuati a causa di un difetto di qualità imputabile al venditore, come sopra descritto; al contrario, sempre dal doc. 29 citato, risulta che il difetto lamentato in questa fase, quando alcune bombolette erano già state confezionate (e, quindi, evidentemente, era stato superato il problema dell'imperfetto assemblaggio), era costituito da un difetto di spruzzatura del tastino, che non risulta comprovato nel presente giudizio nella sua sussistenza e nel suo nesso causale con la problematica qualitativa riscontrata, dovendosi anche qui ribadire che la c.t.u. non ha saputo dare risposta al quesito in ordine alla persistenza delle problematiche e dovendosi dare atto che, sempre in sede di operazioni peritali, è stato accertato che "l'iniettore utilizzato dai rivenditori di (...) non era compatibile con le valvole modello NFL 1/3/25". In conclusione, quindi, tenuto conto dell'esito della c.t.u., che ha chiarito che le valvole e gli erogatori in sé considerati non presentavano vizi, così come non presentavano problemi di compatibilità tra loro, deve escludersi che siano risarcibili tutti quei danni discendenti da altri pretesi difetti estetici e meccanici dei prodotti finiti, che si sono manifestati in una fase successiva della produzione, trattandosi di vizi non comprovati dall'attrice, come, invece, era suo onere, secondo quanto definitivamente chiarito da Cass. Sez. Un., 3.5.2019, n. 11748, e che, comunque, per come descritti, non appaiono in realtà attribuibili al difetto di qualità riscontrato, ma, con ogni probabilità, alle attività che sono state successivamente svolte dall'attrice. Ed invero, due tra i testi escussi di parte attrice hanno dichiarato che, durante la produzione con la macchina, una persona fissa controllava che i tastini fossero ben inseriti, usando anche il martello per "picchiare sul tastino perché entrasse" (cfr. dichiarazioni dei testi (...) e (...)); ebbene, atteso che il c.t.u. non ha riscontrato alcun vizio delle valvole e dei tastini in sé considerati, deve ritenersi che tale modo di procedere possa aver determinato difetti di funzionamento delle bombolette. Non può non rilevarsi, peraltro, che le sole contestazioni specifiche della clientela in atti (docc. 19 e 20, fascicolo di parte attrice) fanno riferimento, entrambe, ad una sostituzione della merce difettosa consegnata a ottobre-novembre 2018 (quella di cui si discute) con altra merce (deve ipotizzarsi prodotta con altre valvole, visto che ormai l'attrice era a conoscenza della problematica emersa), ad inizio 2019, sostituzione che, comunque, non era risultata soddisfacente per il cliente, per cui, a maggior ragione, manca la prova che i resi effettuati siano in rapporto causale diretto con la mancanza di qualità delle valvole e dei tastini forniti da (...). Tali constatazioni portano ad escludere altresì la risarcibilità del danno da perdita dei clienti indicati negli atti di parte attrice. Sul punto, più in generale, si rileva che un danno siffatto non può ritenersi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del fornitore, dovendosi osservare che nelle relazioni commerciali non è affatto inusuale che alcune partite di merce presentino vizi e non per questo, se gli episodi sono adeguatamente gestiti lato commerciale, i rapporti si interrompono; non si può, quindi, presuntivamente ritenere che l'interruzione dei rapporti commerciali con determinati clienti sia da attribuire alla sola consegna di una partita di merce viziata (conclusione, come già sottolineato, da escludere anche solo leggendo le contestazioni, che fanno riferimento ad una ripetizione dei disagi dovuti alla consegna di merce viziata). Per le medesime ragioni anche il danno non patrimoniale richiesto dall'attrice per la lesione della sua immagine professionale non è dovuto. Al riguardo, si rileva che il danno non patrimoniale da lesione della reputazione, alla stregua degli altri danni da lesione di diritti fondamentali, resta un danno-conseguenza e, perciò, non coincide con la lesione dell'interesse e non sussiste in re ipsa; deve, pertanto, essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche attraverso il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi (cfr. da ultimo Cass. n. 9385/18), configurandosi, altrimenti, quale pena privata per un comportamento lesivo. Ebbene, nel caso di specie, non è stata fornita la prova che l'alterazione degli assetti relazionali di parte attrice ed il discredito sulla sua reputazione commerciale presso la clientela sia dipesa dai difetti accertati, per le considerazioni già esposte. In conclusione, deve essere riconosciuto all'attrice unicamente l'importo di Euro 287,43. Poiché la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno è un credito di valore, deve tenersi conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, nonché degli interessi compensativi maturati, anche d'ufficio (Cass. n. 2037/2019), che devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco di tempo compreso tra la data dell'esborso (1.9.2018) e la liquidazione. Su tali somme, corrispondenti all'intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta. 4. Sulle spese di lite L'esito del giudizio, che vede accolte solo in parte le pretese attoree e rigettata la domanda riconvenzionale di parte convenuta, giustifica la compensazione delle spese di lite in ragione della metà; per il resto, le spese sono poste a carico di parte convenuta e sono liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 2022, guardando al valore dell'accolto. Devono, invece, essere poste a carico della parte soccombente le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, in quanto la CTU è risultata necessaria per accertare i difetti della cosa venduta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 6052/2019, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - accertata la mancanza delle qualità promesse e comunque essenziali per l'uso a cui era destinata la cosa venduta, dichiara l'intervenuta risoluzione dei contratti di vendita relativi agli ordini del 21.03.2018 e del 02.05.2018 intervenuti tra le parti; - condanna parte convenuta a corrispondere a parte attrice la somma di Euro 287,43, oltre rivalutazione ed interessi come meglio indicati in parte motiva; - rigetta le altre domande di parte attrice; - rigetta la domanda riconvenzionale svolta da parte convenuta; - compensa nella misura del 50% le spese di lite e condanna la convenuta alla rifusione in favore di dell'attrice del residuo 50%, che liquida, al netto della compensazione, in Euro 284,00 per spese ed Euro 2.539,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA (se dovuta) e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU, già liquidate con separato decreto. Così deciso in Busto Arsizio l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5550/2019 promossa da: C.P. (C.F. (...)) nata il (...) a B. A. e residente in G. (V.) alla G. G. n. 7, rappresentata e difesa dall'avv. Sa.An. (c.f. (...); fax (...); avv. (...)) in forza di procura in calce al presente atto ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Lu.Ca. (C.F.: (...); PEC: (...)) con studio in Busto Arsizio (VA), piazza (...). ATTORE contro (...) Società per azioni (attualmente (...) S.p.A.), con sede in S., Piazza Q. n. 8, C.F. (...), in persona del Dott. M.D., nato a N. il (...) (CF: (...)), in qualità di Direttore Legale e procuratore speciale - giusto atto di procura speciale ricevuto il (...) dal Notaio (...) - Rep. (...) Rac. (...), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al presente atto, dagli Avv.ti Lu.Zi. (Codice Fiscale (...), ed indirizzo PEC: (...)) e Fe.Ma. (Codice Fiscale (...), ed indirizzo PEC: (...)), entrambi del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliato presso lo Studio dei medesimi in Milano, Corso (...). CONVENUTO OGGETTO: Altri contratti bancari e controversie tra banche, etc ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 10.10.2019, (...) conveniva in giudizio la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di dichiarare, in via preliminare, quest'ultima tenuta a rendere conto del suo operato ai sensi dell'art. 1713 c.c. e nei modi e nelle forme dell'art. 263 c.p.c., nonché nel merito di dichiarare la nullità degli ordini di acquisto delle obbligazioni L., per carenza di forma scritta richiesta ad substantiam ex artt. 23, comma primo, TUF, 1325 e 1418 c.c., e per violazione degli obblighi di informazioni preliminari ex art. 67-quater del Codice del Consumo e, per l'effetto, condannare la convenuta al versamento, in favore dell'attrice, dell'intera somma investita, pari complessivamente a Euro 124.498,70, a titolo di restituzione dell'indebito, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). Ciò premesso, in via principale, l'attrice chiedeva altresì, in via subordinata, di accertare la responsabilità contrattuale della Banca per violazione delle regole di condotta e degli obblighi informativi (anche nella veste di Intermediario aderente al Consorzio (...)), e, più in dettaglio, per violazione dell'obbligo di astensione ed inadeguatezza delle operazioni di investimento ex artt. 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/98, delle disposizioni del codice del consumo in tema di informativa precontrattuale e per violazione degli artt. 26 e 27 Regolamento Consob 11522/98, in tema di conflitto di interessi, su operazioni in contropartita diretta, e, per l'effetto, di dichiarare la risoluzione degli ordini di acquisto delle obbligazioni L. e di condannare la Banca al pagamento, in favore dell'attrice, entro 30 giorni, a titolo di risarcimento danni, dell'intera somma investita, pari ad Euro 124.498,70, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). Instava, da ultimo, in via alternativa e ulteriormente subordinata, per l'accertamento della responsabilità precontrattuale della Banca ai sensi degli artt. 1218, 1337, 1338 c.c., per omesse informazioni, e conseguente dichiarazione di risoluzione degli ordini di acquisto delle obbligazioni L. e, per l'effetto, per la condanna della Banca al versamento, nei confronti dell'Attrice, a titolo di risarcimento danni, dell'intera somma investita, pari ad Euro 124.498,70, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). A sostegno di siffatte domande, l'attrice deduceva in fatto quanto segue. - In data 24 aprile 2006, (...) apriva, per la prima volta in vita sua, un conto deposito titoli "a custodia ed amministrazione" presso la (...); tale rapporto veniva contraddistinto dal n. (...) conto corrente di riferimento n. (...); - successivamente all'apertura del predetto deposito, il Dott. (...), direttore dell'agenzia di Lonate Pozzolo, proponeva all'attrice di investire la maggior parte della liquidità presente sul proprio conto corrente in una delle obbligazioni presenti nel Listino "Obbligazioni a basso rischio/rendimento" a marchio (...), e precisamente nelle obbligazioni (...) FRN 09 (cod. isin (...)), prospettate come investimenti sicuri e privi di rischi; - persuasa l'attrice della solidità dell'investimento, in data 10 maggio 2006 la Banca acquistava pertanto, in nome e per conto della stessa (non fisicamente presente all'atto dell'operazione), l'ammontare nominale di obbligazioni (...)PLC 04/09 TV (Isin: (...)) pari a Euro 168.000, per un controvalore totale di Euro 169.764,48, corrispondente a ben oltre il 63% del portafoglio titoli posseduto da P.; l'anzidetto acquisto veniva, peraltro, effettuato in "contropartita diretta" con la Banca e, dunque, fuori mercato; - malgrado la preannunciata sicurezza dell'investimento, in data 15.09.2008, avveniva il default della (...) e la stessa veniva ammessa alla procedura concorsuale, denominata Chapter 11, con conseguente mancata restituzione del capitale investito e cessazione del percepimento degli interessi; circostanze di cui la Banca ometteva qualsivoglia comunicazione; - apprese solo successivamente tali informazioni dai notiziari pubblici, nella data del 12 luglio 2016, l'attrice, per il tramite della (...) S.r.l., richiedeva alla Banca la consegna della documentazione inerente all'acquisto del titolo (...)PLC 04/09 TV datato 10 maggio 2006, ai sensi dell'art. 119, comma quarto, del D.Lgs. n. 385 del 1993 e dell'art. 13 della L. n. 675; - ricevuta in data 14 settembre 2016 la documentazione richiesta, (...) veniva a sapere che l'investimento a lei intestato era stato completamente dismesso in data 31 gennaio 2012, nonché che le sue obbligazioni (...)PLC 04/09 TV erano state vendute, al prezzo di Euro 27,00, per un controvalore complessivo di Euro 45.265,78, senza tuttavia che quest'ultima avesse mai sottoscritto un ordine di vendita; - alla luce di siffatta scoperta, in data 11 ottobre 2016, l'attrice, per il tramite dell'anzidetta (...) S.r.l., inviava alla Banca una lettera di reclamo al fine di evidenziare le riscontrate omissioni e di denunciare la natura apocrifa delle sottoscrizioni di cui all'ordine di vendita del 31.01.2012; - tale reclamo, rimasto in fatto inevaso, veniva successivamente seguito da una lettera di convocazione innanzi all'(...) per le controversie finanziarie; anche tale tentativo si rivelava tuttavia infruttuoso. Regolarmente evocata in giudizio, si costituiva tempestivamente, in data 31.01.2020, la (...) Società per azioni (attualmente (...) S.p.A.), la quale, nel contestare integralmente le avverse domande, chiedeva, in via preliminare, di dichiarare l'inammissibilità, improponibilità, improcedibilità delle azioni risarcitorie e risolutorie per intervenuta prescrizione ai sensi degli artt. 2946 e 2947 c.c., ovvero, con riferimento anche alle domande di nullità, per assenza dei presupposti di legge, non essendo gli ordini di acquisto atti negoziali e pertanto non soggetti ai rimedi esperibili per i contratti, ovvero ancora per carenza dell'interesse ad agire e della legittimazione processuale dell'attrice, stante la conclusione del rapporto vigente inter partes in data 31.01.2012. Insisteva, da ultimo e in ogni caso, nel merito per il rigetto delle anzidette domande, stante l'infondatezza delle stesse in punto di fatto e diritto, ovvero, in via subordinata, in caso di accoglimento delle avverse pretese, per la compensazione tra quanto dovuto dalla Banca e quanto incamerato dall'attrice, a titolo di cedole, rimborsi, ricavato dalla vendita dei titoli (...) ed ulteriori somme derivanti dal rapporto di negoziazione inter partes, nonché per l'esclusione o per la limitazione del risarcimento del danno, alla luce della buona fede della Banca (quanto alla decorrenza degli interessi) e della natura di debito di valuta dell'eventuale debito discendente dalla risoluzione o invalidità del contratto de quo, in assenza della prova del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, co. 2 c.c. In seno alla prima udienza di comparizione parti, su istanza delle stesse, venivano concessi i termini di cui all'art. 183, co. 6 c.p.c. Spirati i surriferiti termini, alla luce del disconoscimento, ad opera dell'attrice, delle sottoscrizioni di cui ai docc. 4 e 8 da quest'ultima prodotti e della correlata istanza di verificazione avanzata ex art. 216 c.p.c. da parte convenuta, veniva avviato procedimento incidentale di verificazione, previa nomina di consulente tecnico d'ufficio grafologo. Ritenuta, successivamente al deposito della consulenza, la causa matura per la decisione, il Tribunale disponeva rinvio per la precisazione delle conclusioni e assegnava consequenzialmente i termini, di cui all'art. 190 c.p.c., per memorie conclusionali e repliche, riservando la decisione in esito alla trasmissione delle medesime. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice, la domanda attorea è in parte prescritta ed in parte infondata. Devono anzitutto reputarsi prescritte le seguenti domande: di accertamento della responsabilità contrattuale e precontrattuale, di risoluzione degli ordini di acquisto dei titoli, di condanna al risarcimento del danno conseguente alla responsabilità contrattuale e precontrattuale, di condanna alla resa del conto ex art. 1713 c.c.. In punto di diritto, è necessario anzitutto premettere il condivisibile principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danno stesso si manifesta oggettivamente, avendo comunque riguardo all'epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile e non al dato soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto al risarcimento, potendo tale conoscenza essere colpevolmente ritardata dall'incuria del titolare del diritto (Cass., 25 gennaio 2018, n. 1889; Cass., 15 novembre 2016, n. 23236; Cass., 7 aprile 2016, n. 6747). Tale principio si fonda sull'esigenza, pure specificamente individuata dalla Suprema Corte, di non procrastinare, al di fuori delle eccezioni espressamente previste, l'inizio del decorso della prescrizione decennale rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere (Cass., 18 gennaio 2004, n. 1547). In punto di azione di risarcimento del danno e di accertamento della responsabilità dell'intermediario per l'acquisto di titoli obbligazionari, la giurisprudenza di merito oscilla nella individuazione del dies a quo della prescrizione. A fronte di un orientamento che la individua nella data di default o di sospensione dei pagamenti da parte dell'emittente (di recente, Corte appello L'Aquila sez. I, 18/10/2021, n.1559), diversa impostazione la ravvisa nella data di sottoscrizione degli ordini di acquisto dei titoli (Tribunale Arezzo, 01/10/2019, n.759 ; Tribunale di Teramo, 30/09/2015, n. 1296). Ad avviso di questo Giudice quest'ultimo orientamento merita condivisione, pur con alcuni adattamenti, per un triplice ordine di considerazioni. La prima attiene alla struttura dell'illecito, di natura contrattuale ed extracontrattuale. Dal primo esula la componente del danno, da accertarsi solo ai fini della determinazione dell'oggetto della prestazione risarcitoria. Il secondo si incentra sul danno-evento rappresentato dalla lesione della libertà all'autodeterminazione negoziale. Le due fattispecie di responsabilità, dunque, prescindono nella loro struttura dalla concreta verificazione di un danno al patrimonio, che costituisce piuttosto una conseguenza ulteriore e indiretta dell'illecito. Il dies a quo deve dunque essere ravvisato, per ciascuna delle due ipotesi, nel momento in cui risulta percepibile (in base allo standard di ordinaria diligenza) la natura illecita della condotta, e pertanto la violazione delle prescrizioni contrattuali o della libertà di autodeterminazione negoziale. In secondo luogo, tale momento non può essere ravvisato nella data in cui l'emittente ha dichiarato il default. Tale conclusione si impone non solo (come rilevato dalla sentenza prima citata) perché detto default esula dalla matrice strutturale della responsabilità invocata, ma anche e soprattutto perché ravvisare in quella data il dies a quo significherebbe esigere - ai fini della decorrenza della prescrizione - non la mera conoscibilità dell'inadempimento e della lesione all'autodeterminazione, ma la loro effettiva conoscenza. Tale conclusione contrasterebbe con la consolidata ratio della giurisprudenza di legittimità prima richiamata. In terzo ed ultimo luogo, deve osservarsi che proprio a partire dalla data di effettuazione degli ordinativi e di stipula del contratto quadro la parte attrice avrebbe potuto avvedersi dell'illecito contrattuale e precontrattuale. L'onere di diligenza gravante sull'attrice, che nel caso di specie avrebbe richiesto una tempestiva e continuativa auto-verifica della convenienza dell'affare concluso, non viene peraltro meno per la circostanza che parte convenuta (secondo le deduzioni attoree) abbia omesso di fornire informazioni rilevanti sui rischi e le caratteristiche dell'operazione finanziaria. Infatti, a prescindere da eventuali inadempimenti imputati alla parte convenuta (che in questa sede non vengono accertati, data la valenza assorbente della eccezione di prescrizione), residuava comunque la possibilità per la parte attrice di attivarsi autonomamente per la verifica delle implicazioni e della natura dell'investimento effettuato. Riconoscere in capo alla cliente tale onere non implica dunque esonerare la parte convenuta dagli obblighi informativi discendenti dalla legge, ma solo addebitare all'attrice un dovere minimo di approfondimento, dopo la stipula di un significativo investimento economico, per la verifica di eventuali incongruenze. La conclusione trae fondamento dunque dal generale principio di autoresponsabilità che permea la materia contrattuale e che giustifica altresì la sopra richiamata giurisprudenza relativa all'art. 2935 c.c. Orbene, venendo al caso di specie, il dies a quo della prescrizione dev'essere ravvisato al più tardi nella data del 10.5.2006, in cui è stato sottoscritto l'ordine di acquisto di cui al doc. 2 attoreo. Non può attribuirsi valenza interruttiva alla missiva di cui al doc. 1 attoreo, che non contiene alcun addebito di responsabilità e rappresenta una mera richiesta documentale. La prima missiva idonea alla costituzione in mora è il reclamo di cui al doc. 11 attoreo, risalente però alla data del 11.10.2016, in cui sia la prescrizione ordinaria decennale che quella quinquennale erano oramai spirate. Può adesso esaminarsi la domanda di accertamento della nullità dell'ordine di acquisto dei titoli, e la conseguente domanda di restituzione. Preliminarmente, deve rilevarsi l'ammissibilità della domanda in questione, considerata la natura negoziale dell'ordine di investimento, come tale passibile di autonoma declaratoria di nullità (ex multis Cassazione civile sez. I, 24/04/2018, n.10116). Sussiste inoltre l'interesse e la legittimazione attorea, posto che l'atto di citazione adduce la titolarità in capo all'attrice del diritto alla ripetizione delle somme in conseguenza della nullità . Le eccezioni di inammissibilità svolte da parte convenuta devono dunque essere rigettate. Tanto premesso, la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione è infondata, per le ragioni che seguono. Non può anzitutto ritenersi applicabile al caso di specie la nullità dell'art. 67 septies decies co. 4 D.Lgs. n. 206 del 2005, dovendo rilevarsi in via assorbente quanto segue. La disposizione appena citata presuppone la violazione di "obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione" delle caratteristiche del prodotto finanziario acquistato dal cliente. In punto di diritto, deve anzitutto richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale "anche l'obbligo dell'intermediario di tenersi informato sulla situazione del cliente, in quanto funzionale al dovere di curarne diligentemente e professionalmente gli interessi, permane attuale durante l'intera fase esecutiva del rapporto e si rinnova ogni qual volta la natura o l'entità della singola operazione lo richieda, per l'ovvia considerazione che la situazione del cliente non è statica bensì suscettibile di evolversi nel tempo" (SS.UU., n. 26725 del 2007). Tale assunto è stato arricchito da successivi interventi, i quali hanno fondato l'obbligo d'informazione di tipo continuativo non solo sulle norme primarie e regolamentari di settore, ma anche sugli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono il rispetto delle regole generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Facendo proprie tali considerazioni, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente osservato "come sia determinante per l'investitore, sussistendo nel caso di specie anche uno specifico vincolo pattizio in tal senso, entrare tempestivamente in possesso delle informazioni su di un titolo, idonee non solo a far comprendere l'iniziale grado di rischio collegato all'investimento, ma che consentano anche di assumere provvidenziali scelte di cessione del titolo, atte ad impedire gravose perdite per l'investitore, in caso di svalutazione del titolo acquistato o deterioramento del patrimonio degli emittenti il titolo" (Cass. n 15936/2018). Ferma restando dunque la natura continuativa dell'obbligo gravante sull'intermediario, deve tuttavia precisarsi che la nullità prevista dalla disposizione in esame presuppone un difetto informativo genetico e coevo alla stipula del contratto. In altri termini, ai fini dell'applicazione 67 septies decies co. 4, deve appurarsi che già all'epoca della stipula del contratto l'intermediario potesse prevedere compiutamente i profili di rischio connessi al prodotto finanziario acquistato e che omettesse di informare il cliente a riguardo. Orbene, a quanto si evince dalla stessa relazione peritale depositata da parte attrice (doc 10 attoreo) i profili di rischio idonei a compromettere la adeguatezza dell'investimento si sono palesati a partire dalla seconda metà del 2007, oltre un anno dopo la stipula del contratto (andamento delle passività, livello di liquidità, indice di indebitamento, evoluzione del rischio, utile per azione: tutti indici che hanno assunto profili di rischiosità dopo l'agosto 2007, secondo la relazione). D'altro canto, non può sottacersi che il rating A+, mantenuto da parte delle maggiori agenzie Internazionali sino al default della B.D.affari emittente, esclude in radice la possibilità per la convenuta di avvedersi dei segnali del futuro tracollo e dunque di cogliere la reale entità del rischio, come correttamente rilevato da parte della giurisprudenza di merito in casi analoghi a quello in esame (Tribunale sez. I - Parma, 25/01/2017, n. 101; Tribunale - Vercelli, 12/06/2015, n. 369). Tanto premesso, deve osservarsi che all'esito del procedimento di verificazione il ctu ha accertato la natura apocrifa delle sottoscrizioni apposte in calce all'ordine di vendita dei titoli del 31.1.2012 (doc 4 attoreo) e del documento informativo di cui al doc. 8 attoreo. Orbene, al riguardo deve anzitutto darsi atto della condivisibilità delle conclusioni cui è giunto il ctu, in quanto sorrette da adeguata e coerente motivazione e giunte all'esito di un congruo iter di accertamento. Cionondimeno, la domanda attorea è comunque infondata, per le seguenti ragioni. Anzitutto, deve sottolinearsi che la domanda di accertamento della nullità svolta dall'attore, per come precisata nelle conclusioni dell'atto introduttivo e della memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. (e confermata in sede di precisazione delle conclusioni) non ha ad oggetto l'ordine di vendita in questione, bensì del precedente ordine di acquisto. Dalla anzidetta natura negoziale degli ordini di acquisto deriva come si è detto la loro passibilità di autonoma declaratoria di nullità, e discende altresì la naturale conseguenza che la nullità dell'ordine di vendita del titolo non si riverbera di per sa sulla validità degli altri ordini che costituiscono esecuzione del contratto quadro. Pertanto, pienamente valido deve ritenersi l'ordine di acquisto dei titoli (doc 2 attoreo), di cui parte attrice lamenta la nullità ma non ha mai contestato la autenticità della sottoscrizione. Sotto altro profilo, la nullità dell'ordine di vendita in ogni caso non può condurre all'accoglimento della domanda restitutoria avanzata dall'attore, poiché detta domanda non ha ad oggetto i titoli che erano stati venduti bensì la somma di denaro spesa per acquistarli, e presuppone infatti la nullità (non dell'ordine di vendita, bensì) dell'ordine di acquisto. Non può del resto sottacersi che la domanda di restituzione, per come formulata dall'attore, è logicamente incompatibile con la lamentata nullità dell'ordine di vendita. Infatti, detta domanda ha ad oggetto la differenza fra il controvalore economico che i titoli avevano all'epoca dell'ordine di acquisto (maggio 2006) e il relativo controvalore all'epoca dell'ordine di vendita (gennaio 2012). Tale domanda dunque si fonda sul dato che parte attrice ha ricevuto un importo per la vendita dei titoli, e dunque presuppone che la vendita sia stata validamente effettuata e che la stessa sia efficace. Per le ragioni sopra indicate deve rigettarsi la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione. Si considerano assorbite tutte le questioni, ed eccezioni non espressamente esaminate nella presente motivazione. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ., sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie, all'esito del giudizio parte attrice è risultata soccombente rispetto alla domanda di nullità, onde la stessa va condannata (in relazione a tale domanda) a rifondere le spese di parte convenuta, non ravvisandosi gravi ed eccezionali motivi idonei a discostarsi dal principio di causalità della lite. Rispetto alle restanti domande, invece, deve ritenersi sussistente il presupposto per la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 co. 2 c.p.c., in ragione del contrasto giurisprudenziale sussistente in relazione alla decorrenza della prescrizione. Pertanto, si ritiene di compensare le spese di lite nella misura del 50%, e di condannare parte attrice alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta per il restante 50%. Le spese si liquidano con applicazione del D.M. n. 55 del 2014, secondo parametri medi previsti per i giudizi avanti al Tribunale per lo scaglione di valore applicabile per le fasi introduttiva, di studio, decisionale. Non si procede a una autonoma liquidazione della fase istruttoria, considerato che l'istruttoria nel presente giudizio è stata circoscritta all'espletamento della ctu, i cui costi vengono posti a carico di parte attrice. L'importo a titolo di compenso (già dimidiato al 50%) è liquidato in Euro 4.216,5. Le spese di ctu devono infatti essere poste definitivamente a carico di parte attrice, in quanto soccombente. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) rigetta la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione, svolta da parte attrice nei confronti di parte convenuta; 2) dichiara prescritte le domande, svolte da parte attrice nei confronti di parte convenuta, di accertamento della responsabilità contrattuale e precontrattuale, di risoluzione degli ordini di acquisto dei titoli, di condanna al risarcimento del danno, di condanna alla resa del conto ex art. 1713 c.c.; 3) condanna altresì la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta il 50% delle spese di lite, che si liquida come segue: Euro 4.216,5 per compenso, il 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, cpa e iva se e come dovute per legge. Compensa fra le parti le spese di lite per la parte residua. 4) pone definitivamente ed esclusivamente le spese di ctu in capo a parte attrice. Così deciso in Busto Arsizio il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3793/2020 promossa da: (...) S.P.A. già (...) S.P.A. (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. PA.BO., dell'avv. GI.CA. e dell'avv. GI.GO. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori PARTE ATTRICE contro COMUNE DI CERRO MAGGIORE (C.F. (...)), in persona del Sindaco pro tempore, con il patrocinio dell'avv. AD.PI. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.p.a. (già (...) s.p.a.), in qualità di cessionaria dei crediti acquistati da (...) S.p.a., (...) S.p.a. e (...) S.p.a., ha convenuto in giudizio, dinnanzi all'intestato Tribunale, il Comune di Cerro Maggiore per sentirlo condannare al pagamento: della somma di Euro 14.647,06 per sorte capitale portata da alcune fatture che le erano state cedute, oltre interessi di mora da calcolarsi dalla scadenza delle singole fatture al saldo, ai sensi degli artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 231 del 2002, nonché degli interessi anatocistici dal giorno della domanda sugli interessi scaduti e dovuti da almeno sei mesi da calcolarsi in base all'art. 1284 c.c.; della somma di Euro 920,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002, in ragione di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture sopra indicate; della somma di Euro 1.758,20 a titolo di interessi di mora maturati per il ritardato pagamento delle fatture cedute relative ad altre forniture, oltre agli ulteriori interessi anatocistici dalla domanda all'effettivo pagamento da calcolarsi in base al tasso previsto dall'art. 1284 c.c.; nonché della somma di Euro 18.880,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002, in ragione di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture sopra indicate. A sostegno delle sue pretese, (...) s.p.a. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") ha esposto: che (...) S.p.a., (...) S.p.a. e (...) S.p.a. le avevano ceduto pro soluto i crediti che vantavano nei confronti del Comune convenuto; che, in forza di tali cessioni di credito, regolarmente notificate al debitore, era creditrice nei confronti del Comune del residuo importo di Euro 14.647,06, a titolo di sorte capitale per il mancato pagamento delle fatture indicate nell'allegato prodotto sub doc. 3; che su tale somma andavano calcolati gli interessi ai sensi degli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 231 del 2002, pari, alla data del 30.7.2020 ad Euro 6.402,59, nonché gli interessi anatocistici dalla data della proposizione della domanda giudiziale sugli interessi scaduti da almeno sei mesi, nonché Euro 920,00 a titolo di risarcimento forfettario del danno di Euro 40,00 per ciascuna fattura non pagata; che risultava altresì creditrice dell'importo di Euro 1.758,20, dovuto a titolo di interessi di mora maturati per il ritardato pagamento da parte del Comune di Cerro Maggiore di altre fatture, specificamente riepilogate nel doc. 5, al quale andavano sommati gli interessi anatocistici dalla proposizione della domanda giudiziale, nonché dell'importo di Euro 18.880,00, a titolo di risarcimento forfettario del danno di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture di cui sopra, non tempestivamente pagate. Nel costituirsi in giudizio il Comune di Cerro Maggiore ha chiesto il rigetto delle domande attoree, deducendo, in particolare: che il credito portato dalle fatture di cui all'elenco sub doc. 3 risultava estinto per effetto dell'integrale pagamento in favore dell'originario creditore, avvenuto prima delle rispettive cessioni; che, stante l'infondatezza della domanda relativa alla somma capitale, anche le ulteriori domande di condanna al pagamento degli interessi moratori e anatocistici sulle somme di cui al doc. 3 erano infondate; che anche le somme indicate nell'elenco prodotto sub docc. 4 e 5, richieste a titolo di interessi moratori sulle fatture cedute, non erano dovute, stante la tempestività del pagamento di quasi tutte le fatture elencate; che anche la richiesta di pagamento della somma di Euro 40 per ogni fattura asseritamente pagata in ritardo era infondata, tenuto conto che l'art. 6, D.Lgs. n. 231 del 2002, riconosceva un importo forfettario per il recupero e che, comunque, richiedere tale importo in relazione alle singole fatture, in relazione alle quali erano maturati interessi anche per pochi centesimi di Euro, configurava un abuso del diritto. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. All'esito dell'istruttoria documentale, il credito vantato da (...) è risultato fondato negli limiti che seguono. 1. Sul credito per sorte capitale Per quanto concerne il primo gruppo di fatture di cui all'elenco prodotto sub doc. 3, per complessivi Euro 14.647,06 in linea capitale, vale la pena premettere che (...) ha dimostrato la propria legittimazione attiva in relazione ai crediti vantati, avendo depositato in giudizio l'atto di conferimento del mandato alla gestione, al recupero e all'incasso dei crediti ceduti da (...) S.p.a. a (...) S.p.a., sua mandante, nonché l'atto di cessione dei crediti intervenuto con (...) S.p.a. il 29.6.2015, regolarmente notificato al debitore ceduto il 17.7.2015, e con (...) S.p.a. il 30.6.2017, anch'esso regolarmente notificato al debitore ceduto il 6.7.2017 (cfr. docc. 6 e 12, fascicolo di parte attrice). Ciò posto, l'eccezione sollevata dal Comune convenuto relativa all'inesistenza del credito portato dalle fatture di cui sopra, in quanto lo stesso si sarebbe integralmente estinto per intervenuto pagamento in data anteriore a quella della cessione dei crediti, merita accoglimento nei limiti qui di seguito esposti. Al riguardo, si osserva, in via di principio, che il debitore ceduto può sempre opporre al cessionario le eccezioni di inesistenza ab origine del credito, così come di estinzione dello stesso per intervenuto pagamento; ebbene, nel caso di specie, il Comune di Cerro Maggiore ha depositato documentazione attestante l'intervenuto pagamento di tutte le fatture elencate nel doc. 3, fascicolo di parte attrice. Sul punto, reputa il Tribunale che la documentazione prodotta, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, fornisca adeguata prova degli avvenuti pagamenti, nelle date sopra indicate, da parte del Comune debitore, avendo quest'ultimo depositato non solo i mandati di pagamento relativi alle fatture in esame, la cui emissione, peraltro, è stata comunicata al creditore (v. Cass. n. 29776/2020), ma anche tutte le ricevute degli avvenuti pagamenti, da cui risulta l'esecuzione del mandato (documentazione ritenuta sufficiente, da ultimo, ex multis, anche da Corte appello Milano, sez. I, 11.4.2022, n. 1218; Corte appello Milano, sez. IV, 10.5.2022, n. 1531). Non può non rilevarsi, peraltro, che, nel caso in esame, l'attrice, a fronte di siffatta produzione, si è limitata a ribadire che il Comune non aveva dimostrato di avere pagato i crediti oggetto del giudizio, sicché, a fronte di una mera contestazione in ordine alla prova del fatto, senza che quest'ultimo sia stato oggetto di specifica contestazione, deve concludersi come il versamento della somma di denaro costituisca in realtà circostanza di fatto non contestata e, come tale, non necessitante di essere provata in giudizio, ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Ciò chiarito in ordine alla rilevanza della documentazione prodotta, quanto alle fatture riconducibili alla mandante (...), che, a sua volta, avrebbe acquistato i crediti da (...) in data 23.12.2014 per l'importo di Euro 14.504,46, come risulta dal mandato alla gestione e all'incasso, risulta che: - la fattura n. (...) del 23.5.2012, per Euro 1.173,00, è stata regolarmente pagata, come risulta dal mandato di pagamento n. (...) del 27.8.2012, eseguito in data 29.8.2012 (doc. 68, fascicolo di parte convenuta); - le fatture n. (...) per Euro 204,50, n. (...) per Euro 314,00, n. (...) per Euro 536,00 e n. (...) per Euro 170,50, tutte del 23.8.2012, sono state regolarmente pagate, come risulta dal mandato di pagamento n. (...) del 26.10.2012, eseguito in data 31.10.2012 (doc. 69); - le seguenti fatture riconducibili all'anno 2014 (n. (...) per Euro 53,18; n. (...) per Euro 37,97; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 46,31; n. (...) per Euro 47,04; n. (...) per Euro 48,13; n. (...) per Euro 59,60; n. (...) per Euro 111,14; n. (...) per Euro 112,28; n. (...) per Euro 121,30; n. (...) per Euro 244,82; n. (...) per Euro 313,98; n. (...) per Euro 484,32; n. (...) per Euro 568,68; n. (...) per Euro 635,52; n. (...) per Euro 863,02; n. (...) per Euro 8.233,34) sono state ritualmente pagate, come risulta dalla ricevuta di pagamento dell'ordine n. (...) del 26.11.2014 (doc. 70), che reca l'importo complessivo pari ad Euro 31.441,35, somma questa coincidente con quella indicata nell'avviso di pagamento del 31.12.2014, indirizzato all'originario creditore (doc. 3); - le fatture n. (...) dell'11.6.2014 per Euro 97,15 e n. (...) per Euro 62,76 risultano essere state pagate, rispettivamente, in data 11.9.2014 e in data 28.10.2014 (docc. 5 e 71). Anche le fatture riconducibili a (...), per l'importo rispettivamente di Euro 244,70 (fattura n. (...) dell'11.12.2015) e di Euro 39,34 (fattura n. (...) del 24.2.2015), risultano essere state pagate, la prima, con i mandati di pagamento n. (...) per Euro 197,13 e n. (...) per Euro 47,57 (docc. 6, 49 e 53), assolti con ordinativi univocamente riconducibili a tali mandati del 29.2.2016 e del 2.3.2016 (cfr. ricevute di pagamento di cui ai docc. 72 e 73), e, la seconda, con il mandato di pagamento n. (...) del 12.5.2015 (doc. 7), assolto con pagamento del 15.5.2015 (doc. 74). Con riguardo, infine, alle fatture riconducibili a (...), si rileva che la fattura n. (...) del 13.6.2017 per Euro 122,77 risulta essere stata pagata in data 8.8.2017, come da ordinativo del 4.8.2017, che fa riferimento al mandato di pagamento n. (...) del 4.8.2017, in cui è ricompresa la predetta fattura (cfr. doc. 75 e doc. 8), e che la fattura n. (...) del 1.6.2017 altro non è che una nota di credito, a favore del Comune, per Euro 43,88. Dalla documentazione prodotta, risulta, quindi, che il Comune convenuto abbia pagato tutte le fatture azionate in questo giudizio. L'attrice ha, tuttavia, eccepito che i pagamenti effettuati non libererebbero il Comune nei suoi confronti, in quanto intervenuti successivamente alla notifica delle cessioni. Al riguardo, il Tribunale osserva, quanto alle fatture riconducibili alla mandante (...) (che, a sua volta, avrebbe acquistato i crediti da (...) in data 23.12.2014), che i pagamenti sono stati tutti effettuati al più tardi in data 26.11.2014, sicché non vi è dubbio, a prescindere dalla data della notifica al debitore ceduto della cessione di cui sopra, mai indicata da parte attrice, che, all'epoca dei pagamenti, il creditore legittimato a ricevere il pagamento fosse ancora il creditore originario (...). Diversamente, per quanto riguarda le fatture riconducibili ad (...), deve rilevarsi che l'importo di Euro 244,70 di cui alla fattura n. (...) del 28.12.2015 è stato pagato ad (...) successivamente alla notifica della cessione, in data 17.7.2015, nonostante la stessa dovesse ritenersi ricompresa tra le fatture "emesse non oltre 24 mesi dopo la stipula" dell'atto di cessione, avvenuta il 29.6.2015. Lo stesso vale per la fattura riconducibile a (...), la n. (...) del 13.6.2017, per Euro 122,77, che risulta pagata alla creditrice originaria in data 8.8.2017, successivamente alla notifica della cessione, avvenuta il 6.7.2017, sebbene la stessa fosse ricompresa nelle fatture cedute (cfr. elenco allegato all'atto di cessione). Ne discende che i due pagamenti attestati dai mandati e dalle ricevute di cui sopra, quantunque abbiano avuto materialmente luogo, non consentono di ritenere il Comune di Cerro Maggiore liberato dalle proprie obbligazioni nei confronti della cessionaria, che ha titolo per domandare e ottenere il pagamento del credito acquistato. Ed invero, posto che, a mente dell'art. 1264 c.c., la cessione del credito è efficace nei confronti del ceduto a far data dalla notificazione o dalla relativa accettazione, proprio la notifica sovverte la presunzione semplice di buona fede del debitore ed impedisce che l'eventuale pagamento al cedente abbia efficacia liberatoria. In definitiva, detraendo dall'elenco delle fatture sub doc. 3, fascicolo di parte attrice, gli importi risultati estinti secondo le considerazioni che precedono, si ottiene che il credito residuo spettante a (...) è pari ad Euro 367,47 per sorte capitale. A tale somma devono essere aggiunti gli interessi moratori al tasso commerciale (art. 5, D.Lgs. n. 231 del 2002), dalla scadenza di ciascuna fattura al saldo effettivo, nonché, ai sensi dell'art. 1283 c.c., gli interessi prodotti dai predetti interessi moratori, scaduti da almeno sei mesi, con decorrenza dalla data di notifica della citazione al saldo effettivo e al tasso di cui all'art. 1284, comma 4, c.c. Va altresì riconosciuta, in favore di parte attrice, la somma di Euro 40,00 per ciascuna fattura dovuta ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2002, per un totale di Euro 80,00. 2. Sul credito a titolo di interessi di mora per il ritardato pagamento di altre fatture Quanto alla domanda di (...) di condanna di parte convenuta al pagamento delle somme portate dalle fatture prodotte sub doc. 4, emesse dalla stessa (...) nei confronti del Comune a fronte del ritardato pagamento di una serie di fatture che erano state cedute da (...) a (...), di cui (...) è mandataria, e da (...) e (...) a (...) stessa, per un totale di Euro 1.758,20, reputa il Tribunale che le eccezioni sollevate dal Comune convenuto meritino solo parziale accoglimento. Si precisa innanzitutto che, anche in questo caso, (...) ha legittimazione ad agire per il recupero dei crediti per interessi moratori maturati sulle fatture asseritamente pagate in ritardo dal Comune convenuto. Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, che genericamente ha allegato che "la stragrande maggioranza delle fatture poste a fondamento dei presunti interessi che sarebbero maturati fuoriesce dall'elenco dei crediti ceduti da (...), (...) e (...) a favore di B.", senza indicare a quali fatture facesse riferimento nello specifico, dal controllo effettuato dalla scrivente le fatture in questione risultano tutte ricomprese negli elenchi allegati al mandato all'incasso e alle due cessioni di credito, ad eccezione delle fatture di (...) emesse successivamente alla data del 29.6.2015, che, tuttavia, risultano comunque essere state cedute a (...) in forza della clausola contenuta nell'atto secondo cui sarebbero state oggetto di cessione anche le fatture "emesse non oltre 24 mesi dopo la stipula" dell'atto di cessione (cfr. doc. 12, fascicolo di parte attrice). Il Comune ha poi eccepito di aver pagato puntualmente le fatture di cui ai tabulati allegati, rispettivamente, alle fatture n. (...) del 20.7.2015 dell'importo di Euro 601,47, n. (...) del 29.1.2016 dell'importo di Euro 243,17, n. (...) del 20.7.2016 dell'importo di Euro 313,61, n. (...) del 21.10.2016 per Euro 234,17, e n. (...) del 19.10.2017 per Euro 365,78 (cfr. doc. 4, fascicolo di parte attrice), producendo i relativi mandati di pagamento e le relative ricevute di pagamento. L'eccezione risulta fondata nei limiti di seguito esposti. Vale la pena premettere in linea generale che, ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 231 del 2002, applicabile anche alle transazioni commerciali concluse con le pubbliche amministrazioni, visto il disposto di cui all'art. 2 del medesimo decreto, gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora; come chiarito anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 3 aprile 2008, nella causa C-306/06, poi, l'art. 3, n. 1, lett. c), ii), della direttiva 2000/35/CE (la cui formulazione è la medesima di quella della corrispondente norma della direttiva 2011/7/UE), deve essere interpretato nel senso che "esso richiede, affinché il pagamento mediante bonifico bancario escluda l'applicazione degli interessi moratori o ponga fine alla stessa, che la somma dovuta sia accreditata sul conto del creditore alla scadenza". Applicando tali principi al caso di specie e rilevato che il Comune non ha contestato il dies a quo di decorrenza degli interessi moratori, si osserva che, con riguardo alla fattura n. (...) del 20.7.2015 per Euro 601,47, il Comune ha depositato in atti i mandati di pagamento emessi in data 11.12.2014, per tutte le trentanove fatture elencate nel prospetto (cfr. mandati di pagamento n. (...) - (...) e (...) del 11.12.2014 prodotti sub docc. 10-12), e ricevute di bonifico da cui risulta che i pagamenti sono stati effettuati in data 15.12.2014 e accreditati in data 22.12.2014 (doc. 76), e, quindi, prima della scadenza delle fatture in questione, fissata per il 30.12.2014; nulla è, pertanto, dovuto a titolo di interessi moratori. Lo stesso vale per gli interessi di cui alla fattura n. (...) del 19.10.2017, per Euro 365,78, avendo il Comune prodotto i mandati di pagamento n. (...), (...) e (...) del 24.4.2017 (docc. 64 - 66) e n. (...) del 31.5.2017 (doc. 67), nonché la ricevuta dei bonifici, accreditati rispettivamente in data 27.4.2017 e 12.6.2017 (doc. 79), per cui risulta comprovata la piena tempestività dei pagamenti effettuati, atteso che le fatture di cui al riepilogo scadevano in data 2.5.2017, ad eccezione dell'ultima fattura indicata nel prospetto, pagata con mandato n. (...), che scadeva in data 19.6.2017 (dovendosi ritenere che erroneamente sia stata indicata la data 19.5 in quanto la fattura era stata emessa in data 19.4 e la scadenza, anche per tutte le altre fatture, era a due mesi dall'emissione). Diversamente, quanto alla fattura n. (...) del 20.7.2016, dell'importo di Euro 313,61, si rileva che il Comune ha depositato il mandato di pagamento n. (...) del 21.9.2015 (doc. 41, ma già doc. 29) e la relativa attestazione di pagamento (doc. 77 cit.); il pagamento, tuttavia, non risulta essere stato effettuato tempestivamente, atteso che tutte le fatture elencate nel prospetto scadevano il 29.9.2015 e che le somme sono state accreditate al creditore in data 28.12.2015, sicché devono essere riconosciuti gli interessi conteggiati nel prospetto prodotto da parte attrice (doc. 4 cit.). Lo stesso è a dirsi con riguardo alla fattura n. (...) del 21.10.2016, per l'importo di Euro 234,17: ed invero, dagli stessi mandati e ricevute di pagamento prodotti dal Comune (che comunque riguardano solo le fatture cedute da (...) e non anche quelle di (...)), si evince che i pagamenti sono avvenuti in ritardo rispetto alle date di scadenza delle fatture, secondo quanto indicato dalla parte attrice nei conteggi di cui al prospetto (rispettivamente, in data 8.2.2016 in relazione ai mandati di pagamento nn. (...) - (...) - (...) - (...) e (...) del 28.1.2016 di cui ai docc. 42 - 46; in data 8.3.2016, in relazione ai mandati nn. (...) - (...) - (...) -(...) - (...) - (...) e (...) del 29.2.2016 di cui ai docc. 47 - 53; in data 6.4.2016 in relazione ai mandati nn. 892 - 893 - 894 - 895 - 896 del 29.3.2016 di cui ai docc. 54 - 58; in data 13.4.2016 in relazione al mandato n. 953 del 4.4.2016 di cui al doc. 60; in data 2.12.2015 in relazione ai mandati n. 2940 - 2941 e 2943 del 20.11.2015, di cui ai docc. 61 - 63, cfr. docc. 78 e 77 cit.). Con riguardo, infine, alla fattura n. (...) del 29.1.2016 per Euro 243,17, si evidenzia che il Comune ha depositato i mandati di pagamento che attestano gli ordini di pagamento e le ricevute dei bonifici che comprovano l'effettuazione del pagamento nelle date di seguito indicate (cfr. mandati di pagamento nn. (...) - (...) - (...) - (...) e (...) del 23.6.2015 di cui ai doc. 13 -17, eseguiti in data 6.7.2015; nn. 1737 - 1738 - 1739 - 1740 e 1741 del 3.7.2015, di cui ai docc. 18 - 22, eseguiti in data 15.7.2015; nn. 2106 - 2107 - 2108 - 2109 - 2110 del 19.8.2015, di cui ai docc. 23 - 27, eseguiti in data 31.8.2015; nn. 2378 - 2379 - 2380 - 2381 - 2382 e 2383 del 21.9.2015, di cui ai docc. 28 - 33, eseguiti in data 5.10.2015; nn. 2654 - 2655 - 2656 - 2658 e 2659 del 22.10.2015, di cui ai docc. 34 -38, eseguiti in data 2.11.2015; n. 2942 del 20.11.2015, di cui al doc. 39, eseguito in data 2.12.2015 (doc. 77). Ebbene, dal raffronto tra la data di scadenza delle fatture di cui al riepilogo prodotto sub doc. 4, fascicolo di parte attrice, e le date di pagamento sopra indicate, si evince che: - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.6.2015, che sono state pagate con accredito del 6.7.2015 e non già del 5.8.2015, come indicato dall'attrice, secondo i calcoli effettuati, è dovuta la minore somma di Euro 29,62, a titolo di interessi di mora; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 30.7.2015, nulla è dovuto dal Comune in quanto tempestivamente pagate con accredito del 15.7.2015; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.8.2015, che sono state pagate con accredito del 31.8.2015 e non già del 10.9.2015, come indicato dall'attrice, secondo i calcoli effettuati, è dovuta a titolo di interessi la minore somma di Euro 7,87 (arrotondata per eccesso), a titolo di interessi di mora; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.9.2015, le stesse sono state pagate con accredito del 5.10.2015, per cui è dovuta la somma di Euro 47,20 correttamente indicata dall'attrice; - per quanto riguarda le fatture con scadenza al 30.10.2015, le stesse sono state pagate il 2.11.2015, per cui è dovuta a titolo di interessi la somma di Euro 13,02 correttamente indicata dall'attrice; - per quanto riguarda la fattura con scadenza al 30.11.2015, infine, la stessa è stata pagata il 2.12.2015 per cui è dovuta a titolo di interessi la somma di Euro 0,09 correttamente indicata dall'attrice; per un totale di Euro 97,80. Su tale importo, in quanto relativo ad interessi di mora dovuti da più di sei mesi, sono dovuti, ai sensi dell'art. 1283 c.c. gli interessi anatocistici nella misura prevista dall'art. 1284, comma 4, c.c., con decorrenza dalla data di notifica della citazione e fino al saldo. Non può essere, invece, riconosciuto in favore dell'attrice il risarcimento del danno relativo ai costi di recupero del credito previsto dall'art. 6 D.Lgs. n. 231 del 2002 nella misura di Euro 40,00 per ogni fattura pagata in ritardo tra quelle indicate nei prospetti riepilogativi prodotti sub doc. 4. Al riguardo vale la pena evidenziare che, ai sensi della citata disposizione, l'importo forfettario in questione è dovuto "quale risarcimento dei costi di recupero sostenuti dal creditore" (comma 2). Ed invero, secondo quanto meglio chiarito dai considerando 19 e 20 della direttiva 2011/7/UE, "il risarcimento sotto forma di importo forfettario dovrebbe mirare a limitare i costi amministrativi e i costi interni legati al recupero" e "oltre ad avere diritto al pagamento di un importo forfettario per coprire i costi interni legati al recupero, il creditore dovrebbe poter esigere anche il risarcimento delle restanti spese di recupero sostenute a causa del ritardo di pagamento del debitore". Come si vede, quindi, il risarcimento minimo di cui sopra presuppone che siano stati sostenuti dei costi di recupero degli importi pagati in ritardo (cfr., sui costi di recupero, sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 13 settembre 2018, ?eská poji??ovna, causa C-287/17). Nel caso di specie, tuttavia, non è stato nemmeno allegato che gli originari creditori abbiano sostenuto costi di recupero - di sollecito o anche solo amministrativi o interni -, né ciò si può presumere, anche guardando ai ritardi rilevati, tutti di pochi giorni e peraltro in buona parte erroneamente conteggiati; non può ritenersi, di conseguenza, che il diritto al risarcimento forfettario si sia trasferito alla cessionaria. 3. Sulla domanda svolta in via subordinata Anche la domanda di parte attrice ex art. 2041 c.c. svolta in via subordinata non può essere accolta, non essendo configurabile alcun arricchimento indebito nella fattispecie in esame, avendo parte convenuta pagato tempestivamente le fatture per cui le domande non sono state accolte in via principale o non essendo comunque dovuti i pagamenti richiesti da (...) per le ragioni di cui in narrativa. 4. Conclusioni e spese In conclusione, in parziale accoglimento delle domande proposte da (...), il Comune di Cerro Maggiore deve essere condannato a pagare, in favore di (...), la somma di Euro 367,47 per sorte capitale, oltre agli interessi moratori al tasso commerciale dalla scadenza al saldo effettivo, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione, nonché la somma di Euro 80,00 ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2002. Il Comune di Cerro Maggiore deve altresì essere condannato al pagamento della somma di Euro 645,58 a titolo di interessi moratori scaduti, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione. Quanto alle spese di lite, atteso il considerevole divario tra petitum e decisum, reputa il Tribunale che le stesse debbano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 3793/2020, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 367,47, oltre agli interessi moratori al tasso commerciale dalla scadenza delle singole fatture al saldo effettivo, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione; - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 80,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002; - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 645,58, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione; - rigetta, per il resto, le domande proposte da parte attrice; - compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Così deciso in Busto Arsizio l'11 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.
TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Francesco Paganini - Presidente dott. Massimiliano Radici - Giudice dott. Maria Eugenia Pupa - Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. .../2021 posta in decisione all'udienza del 04/10/2022 e promossa da P.A., elettivamente domiciliato in ...presso lo studio degli avv.ti..., che lo rappresentano e difendono giusta procura allegata al ricorso; -RICORRENTE contro B.G., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, elettivamente domiciliata in ...presso lo studio dell'avv...., che la rappresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione; -RESISTENTE CON L'INTERVENTO OBBLIGATORIO DEL PUBBLICO MINISTERO OGGETTO: dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio Svolgimento del processo - Motivi della decisione La domanda di dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 21/07/1984 in ...è fondata e meritevole di accoglimento. Da quanto risulta, le parti vivono in stato di separazione fin dalla loro comparizione avanti il Presidente del Tribunale di Milano, avvenuta nel corso del giudizio di separazione (conclusosi con sentenza n. ... del 2014) e tra loro non vi è più stata riunione. Lo stato di separazione protrattosi per vari anni, l'esistenza del presente ricorso e l'inutilità dell'esperimento del tentativo di conciliazione dimostrano che l'unione materiale e spirituale tra i coniugi non può essere ricostituita. Premesso che nelle more processuali la figlia S. è divenuta economicamente autonoma e ha cessato dal luglio 2021 la convivenza con la madre presso la casa coniugale, a sua volta alienata con suddivisione tra le parti del ricavato, deve precisarsi che la controversia resta confinata alla disamina della domanda della resistente avente ad oggetto la determinazione di un assegno divorzile in suo favore. A tale proposito si osserva che deve accogliersi la domanda della resistente diretta a conseguire il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore, seppure in un importo inferiore a quello richiesto. Com'è noto, la recente sentenza n. 18287 dell'11/07/2018 ha adottato una linea interpretativa di totale rottura rispetto ai pregressi orientamenti: a) definitivo abbandono di entrambi i criteri (tenore di vita ed autosufficienza economica del richiedente) posti alla base dei contrapposti orientamenti del passato; b) superamento della struttura necessariamente bifasica del procedimento di determinazione dell'assegno divorzile, abbandonando così la distinzione fondata sulla natura attributiva o determinativa dei criteri richiamati dall'art. 5, comma 6, della legge sul divorzio; c) disconoscimento di una funzione meramente assistenziale all'assegno divorzile, a favore di una natura composita dello stesso, che alla funzione assistenziale unisce quella perequativa e compensativa; d) pariteticità dei criteri previsti all'art. 5, sesto comma, della L. n. 898 del 1970; e) abbandono di una concezione astratta del criterio di "adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi", a favore di una visione concreta, relativa allo specifico contesto coniugale; f) valutazione necessariamente complessiva dell'intera storia coniugale e prognosi futura, determinando l'assegno in base all'età e allo stato di salute dell'avente diritto, nonché alla durata del vincolo coniugale; g) valorizzazione del profilo perequativo - compensativo dell'assegno, accertando in maniera rigorosa il nesso causale esistente tra scelte endo-familiari e situazione del richiedente al momento di scioglimento del vincolo coniugale. Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno dunque abbandonato la prospettiva individualista fatta propria dalla Corte nella pronuncia n. 11504 del 2017, valorizzando il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione. Diretta conseguenza di tale impostazione è che, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti l'assegno divorzile, il Giudice dovrà procedere secondo l'iter logico sopra delineato. In primo luogo, il Giudicante dovrà comparare, anche d'ufficio, le condizioni economico - patrimoniali delle parti e, qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati all'art. 5 sesto comma della Legge sul divorzio. In particolare, il Decidente dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio. All'esito di tali valutazioni dovrà infine quantificare l'assegno divorzile, rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare né all'autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito come sopra indicato. A sostegno della sua opposizione, il ricorrente adduceva sia il miglioramento della condizione patrimoniale della B. derivante dall'incasso della somma di Euro 120.000 dalla vendita della casa coniugale, sia la piena capacità lavorativa della controparte, da anni impegnata in attività di lavoro non regolarizzate in qualità di colf idonee ad assicurarle il sostentamento; al contrario, la convenuta ha lamentato la riduzione della sua attività lavorativa con sostanziale dimezzamento delle sue entrate dalla somma mensile di Euro 800 dell'epoca della separazione a quello di Euro 400- 500 al mese e fatto presente come la sua parte del corrispettivo per la vendita della immobile non fosse neppure sufficiente all'acquisto di una nuova abitazione, mentre la controparte poteva contare sulla casa della convivente. Nel caso concreto, oltre a doversi considerare la lunga durata del rapporto matrimoniale, da cui sono nate due figlie, cui la convenuta ha prestato le sue cure genitoriali rinunziando alla sua attività professionale di gestione di un bar per dedicarsi a meno redditizie attività non stabilizzate (circostanza dedotta sin dal primo atto costitutivo e non contestata dal P.), deve osservarsi che, previa valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti basata sulle allegazioni documentali, persiste tra i due coniugi un rilevante divario tra le rispettive capacità reddituali; in effetti, se è vero che il P. ha subito il licenziamento per il superamento del periodo di comporto, percependo l'indennità Naspi di Euro 1.000, è pure vero che egli non si trova più costretto a fare fronte al mutuo della casa ed al finanziamento su di lui gravanti all'epoca della separazione e che egli può, comunque, contare sia sulla somma ricavata dalla vendita dell'abitazione coniugale, sia sul T.F.R., mentre la B. dovrà comunque utilizzare la sua parte del prezzo dell'alienazione immobiliare per l'acquisto di un appartamento o per sostenere un canone locativo potendo fare affidamento solo su introiti da lavori non regolarizzati, destinati fatalmente a ridursi con l'avanzare dell'età. Allo stesso tempo, tuttavia, non può neppure trascurarsi la circostanza dell'introito ad opera della convenuta di una somma superiore a Euro 41.000 derivante dall'acquisito di un biglietto del Superenalotto nel 2021; in effetti, pur avendo la resistente dichiarato come l'acquisto del biglietto sia stato effettuato dalle figlie (circostanza non provata), deve, altresì, rilevarsi come l'accredito sia stato eseguito sul conto della madre nonostante la figlia sia titolare di un proprio conto e come una parte della somma sia stata utilizzata per un investimento in favore non solo delle figlie ma della stessa madre. All'accoglimento della domanda relativa al riconoscimento di un assegno divorzile in favore della convenuta consegue la declaratoria dell'obbligo del P. di versare la quota del 40% del Trattamento di Fine Rapporto maturato nel periodo dal 21/07/1984 (data di celebrazione del matrimonio) sino alla data di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Alla stregua di tali considerazioni appare equo porre a carico del P. un assegno divorzile pari all'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, ossia Euro 150 come maggiorato dall'intervenuta rivalutazione, oltre l'ulteriore rivalutazione annua ISTAT dal gennaio 2024, da versarsi entro il giorno 10 di ogni mese. Alla stregua dell'accoglimento della domanda della convenuta diretta a conseguire la determinazione di un assegno divorzile, deve condannarsi il ricorrente a rifondere le spese di lite sostenute dalla resistente con il versamento diretto in favore dell'E., a condizione della definitiva ammissione della B. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ma senza la dimidiazione del 50% alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui "In tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità" (Cass. sez. II, sentenza n. 19 del 3 gennaio 2020). P.Q.M. Il Tribunale di Busto Arsizio, così deliberando in via definitiva: 1) Dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 21/07/1984 in Rescaldina, ordinando l'annotazione della presente sentenza a margine dell'atto di matrimonio n. 34, parte II, serie A, anno 1984; 2) Pone a carico del ricorrente l'obbligo di corrispondere alla convenuta un assegno divorzile di Euro 150 così come incrementato dalla rivalutazione maturata fino alla presente sentenza, oltre la rivalutazione annua dal gennaio 2024, da versarsi entro il giorno 10 di ogni mese; 3) Dichiara il P. tenuto al versamento in favore della controparte della quota del 40% del Trattamento di Fine Rapporto maturato nel periodo dal 21/07/1984 (data di celebrazione del matrimonio) sino alla data di cessazione degli effetti civili del matrimonio; 4) Condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite sostenute dalla resistente nell'importo di Euro 4.040 per compensi, oltre il rimborso spese forfetario al 15%, l'IVA ed il CPA, con il versamento in favore dell'E., a condizione della definitiva ammissione della resistente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Conclusione Così deciso in Busto Arsizio nella camera di consiglio del 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.
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