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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 901/2021 promossa da: (...) (C.F. (...)), in proprio ed in qualità di procuratrice di (...) (C.F. (...) ), e (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. GI.VO. ed elettivamente domiciliate presso lo studio del difensore PARTE ATTRICE contro (...) (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. MA.RO. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE (...), anche in qualità di procuratrice speciale di (...), e (...), rispettivamente, sorella, marito e nipote di (...), deceduta il 25.5.2018, hanno convenuto dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio l'(...), esponendo la seguente vicenda sanitaria: - in data 16.5.2018 (...) era stata ricoverata presso l'Azienda (...) poiché aveva accusato dispnea e insorgenza improvvisa di respiro rantolante; - a seguito degli accertamenti svolti, essendo emersi uno scompenso cardiaco ed un edema polmonare, era stata impostata una terapia farmacologica (vasodilatatori, diuretico, betabloccante, ACE inibitori) e la paziente aveva superato la fase critica; - successivamente la paziente era stata sottoposta in data 22.5.2018 ad ecocardiogramma transtoracico e in data 25.5.2018 a coronarografia; - durante l'intervento erano insorte complicanze (arresto cardiaco refrattario), per cui la paziente, dopo vari episodi di arresto cardiocircolatorio, era stata trasferita in urgenza, per shock cardiogeno, al reparto di anestesia e rianimazione, dove era deceduta il giorno stesso. Premessi tali elementi, gli attori hanno dedotto che l'infarto del miocardio era da ricondurre a due eventi trombotici in sede coronarica occorsi durante l'intervento di rivascolarizzazione miocardica mediante Angioplastica Percutanea Transluminale (PTCA) e hanno censurato il comportamento della struttura sanitaria convenuta, evidenziando innanzitutto che, come chiarito anche dalla consulenza di parte, poiché la paziente, al momento dell'intervento, soffriva di svariate co-morbilità e tenuto conto del miglioramento nel frattempo intervenuto, i sanitari avrebbero dovuto valutare con maggior rigore la sua situazione clinica prima di sottoporla ad un'operazione invasiva, rischiosa e assolutamente non necessaria. Durante l'intervento, poi, il sanitario, con la sua manovra imperita, aveva causato la dissezione dell'aorta; a fronte delle complicanze emerse, inoltre, l'equipe, composta da un cardiologo e da due infermieri, anziché, come previsto dalle linee guida, da due cardiologi interventisti, due infermieri e un tecnico sanitario di radiologia medica, non aveva compiuto alcun tentativo di supportare adeguatamente il circolo sanguigno con l'adozione di un sistema di sostegno extracorporeo. Gli attori hanno, inoltre, dedotto che il modulo di consenso informato firmato dalla paziente era generico e non comprendeva l'autorizzazione ad effettuare la procedura terapeutica (PTCA) a cui, invece, la de cuius era stata poi sottoposta in data 25.5.2018, peraltro, senza nemmeno preventivamente informarli; al contrario, per la pericolosità ed invasività dell'intervento, il consenso informato avrebbe dovuto essere specifico e dato in forma scritta. Alla luce di tali elementi, era evidente la responsabilità, anche sotto il profilo penale, dei medici intervenuti, la cui condotta era stata caratterizzata da negligenza sotto molteplici profili. Gli attori hanno concluso, pertanto, chiedendo il risarcimento iure proprio del danno da perdita del rapporto parentale, da liquidare, per ciascuno, secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, con la dovuta personalizzazione, nonché il risarcimento iure hereditatis del danno per mancata acquisizione del consenso informato, nella misura di Euro 100.000,00. Ritualmente citata, si è costituita la (...), deducendo che la consulenza già disposta dal P.M. in sede penale aveva escluso qualsivoglia responsabilità professionale in capo ai sanitari che ebbero in cura la paziente: i consulenti nominati dal P.M., infatti, avevano sottolineato la necessità dell'approfondimento coronarografico del 25.5.2018 al fine di indagare la pervietà del circolo coronarico, nonché la correttezza della decisione di intraprendere un intervento di rivascolarizzazione mediante angioplastica con posizionamento di stent in corrispondenza dei rami coronarici interessati da stenosi critica, atteso il quadro di coronarosclerosi grave e diffusa palesatasi nel corso della coronarografia; d'altro canto, né dalla visione del CD relativo alla registrazione della coronarografia, né dall'esame autoptico eseguito al cuore, era emersa la dissecazione acuta dell'aorta e l'occlusione dell'ostio delle coronarie durante l'intervento di angioplastica. La struttura convenuta ha, inoltre, dedotto che, per supportare il circolo sanguigno, era stato utilizzato il contropulsatore aortico, come previsto nel trattamento dello shock cardiogeno, e che il consenso informato reso dalla paziente era omnicomprensivo di tutti i necessari cicli terapeutici collegati e conseguenti alla coronografia, tra cui, per l'appunto, l'angioplastica. In punto di quantum debeatur, la convenuta ha, poi, dedotto che il danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, così come il danno da mancanza di consenso informato, non erano stati provati, non potendo ritenersi tali danni in re ipsa. Ha concluso, pertanto, chiedendo il rigetto delle domande attoree. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. 1. Sulla responsabilità della struttura sanitaria convenuta È opportuno premettere, in via di principio, che la condotta di parte convenuta va esaminata sia con riferimento alla responsabilità contrattuale (quanto all'azione iure hereditatis, in relazione al danno da lesione del diritto all'autodeterminazione), sia con riferimento alla responsabilità extracontrattuale (quanto all'azione iure proprio in relazione al danno da perdita del rapporto parentale). I danni subiti dalla de cuius, infatti, derivano da responsabilità contrattuale della struttura, che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione e come ormai previsto dall'art. 7 della legge Gelli-Bianco, accettando il paziente e fornendo allo stesso assistenza sanitaria-ospedaliera, conclude con il medesimo un contratto di prestazione d'opera atipico di "spedalità", in relazione al quale adempie avvalendosi di ausiliari della cui opera risponde ex art. 1228 c.c. (Cass. n. 8826/2007); in relazione a tali danni, spetta, quindi, agli eredi unicamente allegare l'inadempimento della struttura, provando il danno e il nesso di causa tra quest'ultimo e l'inadempimento allegato (con le precisazioni rese da Cass. n. 18392/2017), restando a carico della struttura obbligata la prova che non vi è stato inadempimento o che lo stesso non è stato eziologicamente rilevante (per tutte, Cass. S.U. n. 577/2008; cfr., anche, Cass. n. 975/2016; Cass. n. 17143/2012; Cass. n. 2117/2015). Diversamente, le pretese risarcitorie avanzate iure proprio dai congiunti, che con la struttura non sono legati da vincoli contrattuali, devono essere valutate nell'ambito della responsabilità extracontrattuale per fatto illecito, consistente nell'avere provocato per colpa la morte del prossimo congiunto (cfr., da ultimo, Cass. n. 14258/2020); in quest'ottica, quindi, grava sui congiunti del paziente l'onere di provare innanzitutto il fatto illecito, ossia la condotta dell'ospedale, il nesso causale tra essa e l'evento dannoso (il decesso), nonché l'esistenza di una colpa in capo alla struttura medica e, infine, il danno consequenziale all'evento, ascrivibile alla categoria del c.d. danno da perdita del rapporto parentale. Ebbene, nel caso di specie, come si spiegherà analiticamente nel prosieguo, gli attori hanno compiutamente assolto anche l'onere probatorio a loro carico ai sensi dell'art. 2043 c.c., dimostrando la sussistenza della responsabilità della struttura per il decesso della congiunta (...), accertata in tutti i suoi elementi costitutivi dalla c.t.u. Ed invero, la consulenza tecnica espletata in corso di causa - le cui conclusioni meritano di essere integralmente condivise, in quanto appaiono basate su un obiettivo studio della documentazione medica in atti e priva di vizi logici -, a firma del dott. (...), specialista in medicina legale, e del dott. (...), specialista in cardiologia, depositata il 24.10.2022, ha rilevato profili di responsabilità sanitaria per colpa in capo ai sanitari della struttura convenuta, non avendo questi ultimi gestito congruamente il caso della paziente (...). In particolare, la c.t.u. espletata ha consentito di accertare che: - la coronarografia diagnostica fu effettuata senza alcun evento dannoso per la paziente; - l'evento avverso fatale rappresentato dalla dissecazione coronarica seguì, invece, all'intervento di rivascolarizzazione con PTCA su ramo intermedio (RI) e circonflesso (CX); - la decisione di procedere a tale ultimo intervento fu censurabile, in quanto priva di un valido senso clinico: dal quadro coronarografico, infatti, risultava che i due rami principali (arteria discendente anteriore e coronaria destra), per quanto diffusamente malati, non presentavano stenosi critiche e, quindi, non potevano determinare di per sé stessi il quadro di ipocinesia globale del ventricolo sinistro; una volta acquisito con la coronografia tale dato, utile sotto il profilo diagnostico differenziale, i sanitari avrebbero dovuto indirizzare la strategia clinica verso la terapia medica, prendendo in seria considerazione l'ipotesi di una tossicità da trastuzumab, medicinale assunto dalla paziente in chemioterapia, e non già eseguire una procedura non indicata, che comportava, tenuto conto delle caratteristiche della paziente, un rischio di eventi avversi superiore alle media; - subito dopo l'inizio della procedura sul ramo CX, mentre si tentava di introdurre il filo guida verso CX e marginale ottuso (MO), si verificò la dissecazione del tronco comune, da qualificarsi come iatrogena, che comportò la pressoché improvvisa obliterazione del tronco comune distale e il successivo immediato collasso emodinamico, refrattario ad ogni tentativo di supporto farmacologico e meccanico; - il trattamento di emergenza con farmaci antiaggreganti inibitori della glicoproteina IIb-IIIa, amine pressorie e posizionamento di un contropulsatore aortico, fu appropriato ed eseguito celermente; - data l'estrema gravità del danno, l'impossibilità di ripristinare il flusso nella coronaria sinistra oltre il tronco comune e il collasso emodinamico immediato, la paziente con ogni probabilità non sarebbe sopravvissuta anche nell'ipotesi di una immediata disponibilità di supporti più sofisticati alle funzioni vitali (ad es. l'ECMO) o di un intervento cardiochirurgico immediato; - le patologie oncologiche della paziente non hanno avuto incidenza sull'esito infausto (se non nel senso di aumentare i rischi correlati all'intervento); se la paziente fosse stata sottoposta al corretto trattamento farmacologico dello shock cardiogeno, dal punto di vista cardiologico le sue probabilità di sopravvivenza sarebbero state di poco inferiori alla media per età; - il consenso informato fu fatto sottoscrivere su di un modulo che, pur datato e controfirmato, non era sufficientemente rappresentativo dello specifico bilancio rischi/benefici relativo alla scelta terapeutica adottata nel caso di specie, mancando le necessarie informazioni sulla procedura di angioplastica e sugli specifici rischi connessi; il materiale informativo per l'atto sanitario, pur citato nel modulo, non era presente nella cartella clinica. La c.t.u. espletata ha, quindi, permesso di accertare il nesso di causa tra l'intervento di angioplastica e il decesso della paziente (...), nonché la colpa dei sanitari, concretatasi, in primo luogo, nella loro imprudente decisione di effettuare una procedura interventistica superflua e controindicata in una paziente con chiara indicazione alla terapia medica e con profilo di rischio di complicanze superiore alla media e, in secondo luogo, nell'avere causato la dissecazione dell'aorta. Siffatte conclusioni non possono essere revocate in dubbio alla luce delle censure mosse alla consulenza dalla difesa della struttura sanitaria convenuta. Al riguardo, deve innanzitutto essere chiarito che tanto la consulenza espletata in questo giudizio, quanto la consulenza disposta dal P.M. in sede penale e le sue integrazioni, sono giunte alla conclusione che la scelta di procedere all'esame coronarografico, per quanto di esecuzione non indicata con priorità rispetto ad altri esami non invasivi, non è stata per sé censurabile, ma soprattutto che tale esame fu eseguito senza danno alcuno alla paziente. Le conclusioni dei c.t.u. nominati dal giudice istruttore divergono invece da quelle dei consulenti del P.M. con riguardo alla successiva angioplastica: la consulenza espletata in questo giudizio, infatti, ha concluso che la procedura interventistica di angioplastica di due rami non principali non era indicata, "mancando stenosi critiche a carico del ramo discendente anteriore e della coronaria destra ed un'evidenza di maggior danno funzionale regionale a carico dei territori dipendenti dal ramo intermedio e circonflesso"; l'ipotetico vantaggio, in termini prognostici, di una procedura di rivascolarizzazione del ramo intermedio in assenza dei supporti diagnostici non giustificava, quindi, secondo i c.t.u., il rischio a cui la paziente fu esposta, che era un rischio aumentato, tenuto conto delle sue condizioni di salute. Ciò che i c.t.u. imputano ai sanitari, pertanto, è che gli stessi "effettuarono una procedura ad alto rischio e di improbabile utilità sul profilo di rischio e sulla prognosi della paziente, per la quale era invece indicata la terapia medica, l'immediata sospensione del trattamento con trastuzumab e la rivalutazione progressiva nel follow-up man mano che gli effetti negativi di quest'ultimo si fossero risolti" (p. 3 della risposta alle osservazioni). Tali rilievi acquisiscono prevalenza rispetto alle considerazioni dei consulenti nominati nel procedimento penale, che hanno, invece, escluso profili di responsabilità nell'operato dei sanitari intervenuti. Al riguardo, deve chiarirsi, in via di principio, che il giudice di merito può (ma non deve) tenere conto, ai fini della sua decisione, delle risultanze di una consulenza tecnica acquisita in un diverso processo, anche di natura penale ed anche se celebrato tra altre parti, quale prova indiretta, attesa l'esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudicante (cfr. anche Cass. n. 3524/2023, secondo cui il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia di parte stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di questa sua valutazione); ciò, però, sul presupposto che, una volta acquisita la relativa documentazione al processo civile e a fronte delle considerazioni critiche delle parti, il giudice non reputi necessario procedere ad una valutazione più approfondita della vicenda, nominando, all'uopo, il proprio ausiliario. Tale ultima ipotesi si è verificata nel caso di specie, avendo il giudice istruttore, anche a fronte delle critiche mosse alla consulenza da parte dell'attrice, ravvisato la necessità di nominare un Collegio peritale al fine di valutare gli elementi acquisiti e di risolvere le questioni tecniche oggetto del presente giudizio, decisione, questa, che come è noto, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice (da ultimo, Cass. n. 26854/2022). Ciò chiarito in via di principio in ordine alla prevalenza delle risultanze della c.t.u. espletata in questo giudizio, deve altresì osservarsi che quest'ultima risulta anche più completa rispetto a quella svolta in sede penale. Sul punto occorre osservare che, come riconosciuto anche dai consulenti di parte convenuta nelle osservazioni alla bozza, la causa della disfunzione ventricolare sinistra che aveva determinato lo scompenso cardiaco acuto per cui la paziente era stata ricoverata, doveva essere ricercata, con ogni probabilità, nella cardiotossicità da farmaci chemioterapici; tale situazione ben avrebbe potuto essere superata con la terapia farmacologica, senza alcuna necessità di sottoporre la paziente ad un intervento. Ebbene, tale aspetto, di rilevanza centrale, non risulta essere stato adeguatamente indagato in ambito penale: le consulenze prodotte da parte convenuta e, in particolare, l'integrazione da ultimo intervenuta (doc. 10, fascicolo di parte convenuta), infatti, non hanno in alcun modo esaminato le reali cause dello scompenso cardiaco (tossicità da trastuzumab), l'omessa diagnosi differenziale che ha determinato la scelta di procedere all'angioplastica anziché impostare la terapia farmacologica, né i fattori di rischio nell'esecuzione dell'intervento associati al fatto che (...) fosse una paziente oncologica. Diversamente, pacifico che l'intervento non fosse indifferibile, al fine di comprendere se l'esecuzione dell'angioplastica fosse o meno la scelta corretta, valutati i rischi e i benefici, in una logica ex ante, occorreva non solo dare atto della situazione compromessa emersa all'esito della coronarografia, ma anche indagarne le cause: poiché, come ritenuto anche dai consulenti di parte convenuta, la causa dello scompenso era da ricercarsi nella cardiotossicità da trastuzumab, i consulenti in sede penale avrebbero dovuto chiarire come mai la scelta dei sanitari di procedere comunque all'intervento (anziché impostare la terapia farmacologica, scelta pure ipotizzata dagli stessi consulenti, cfr. p. 64), senza, peraltro, alcun previo confronto con i colleghi di cardiochirurgia (di cui pure dà atto la consulenza, p. 65) non fosse censurabile sotto il profilo dell'imprudenza; i consulenti del P.M., inoltre, avrebbero dovuto dare atto del fatto che la paziente era malata oncologica, sottoposta a concomitante terapia antineoplastica con trastuzumab ed ormonale con inibitori dell'aromatasi, verificando, di conseguenza, se tali dati comportassero un rischio aumentato di eventi avversi e, in particolare, un maggior rischio di dissecazione coronarica, attesa la maggiore fragilità vascolare. L'incompletezza della consulenza espletata su incarico del P.M. porta, quindi, a maggior ragione, a dare prevalenza alle conclusioni della c.t.u. in atti, che, per vero, non sono state oggetto di contestazione nemmeno da parte dei consulenti di parte convenuta, che si sono limitati ad evidenziare la correttezza dell'esame diagnostico eseguito prima dell'angioplastica. Così delineata la condotta dei sanitari, connotata da imprudenza per avere deciso di eseguire un intervento non necessario e, anzi, inutile, esponendo la paziente al rischio poi in effetti verificatosi, che era evitabile per quanto sopra detto, prevedibile, in quanto noto in letteratura, e aumentato, attese le concrete condizioni della candidata all'intervento, risulta secondario stabilire se l'operazione sia stata o meno eseguita secondo le leges artis, risultando già comprovata la colpa. Ad ogni modo, per completezza, si rileva che anche sotto quest'ultimo profilo la c.t.u. espletata è stata chiara nell'indicare che la causa dell'evento infausto fosse da ricercare nella dissecazione del tronco comune sinistro, visibile sulla scorta delle immagini angiografiche ("La dissecazione del tronco comune distale fu determinata dalla prima angioplastica del ramo intermedio prossimale che determinò, poco dopo il deployment dello stent, una discontinuazione endoteliale che risultò nella formazione di un falso lume a rapida estensione retrograda", cfr. p. 3 della risposta alle osservazioni), dovendosi qui solamente precisare che, come rilevato dai c.t.u., la dissezione coronarica può sfuggire ad un esame necroscopico non approfondito, per cui il fatto che il referto dell'esame necroscopico non abbia evidenziato alcuna dissecazione non è elemento che può essere invocato dalla struttura per escludere che vi sia stata la dissecazione. Per tali ragioni, alla luce delle conclusioni dei c.t.u., deve ritenersi provata sia l'imprudenza dei sanitari della struttura ospedaliera convenuta, il cui contegno ha concretizzato un fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c., sia il nesso causale tra tale condotta e il decesso di (...). Va, dunque, affermata la responsabilità della struttura convenuta sia ex artt. 1223 e 1228 c.c., che ex artt. 2043 e 2049 c.c. 2. Sui danni patiti dalla de cuius Appurata la dimostrazione, in corso di causa, di tutti gli elementi richiesti per poter ottenere l'accoglimento della domanda formulata nei confronti della struttura convenuta, vale a dire il rapporto di (...) con la struttura ospedaliera, l'errore medico compiuto dal personale dell'Ospedale di Gallarate per colpa e il nesso di causa con l'evento di danno (il decesso della paziente), occorre adesso stabilire quali danni abbia patito la de cuius, come tali risarcibili iure hereditatis. A tal proposito, l'attore (...), in qualità di erede, ha domandato il risarcimento del danno conseguente alla mancata acquisizione del consenso informato, quantificato, in via equitativa, in Euro 100.000,00, allegando che la mancata acquisizione del consenso informato aveva prodotto un danno alla libera determinazione di (...) a sottoporsi all'intervento di angioplastica, oltre ad avere cagionato un vero e proprio danno alla sua salute, atteso che tale intervento errato aveva provocato il decesso della medesima; dell'esecuzione di tale intervento non erano, del resto, nemmeno stati informati nemmeno loro, in qualità di parenti della de cuius, che, se fossero stati messi al corrente, avrebbero potuto comprendere l'effettiva portata dell'intervento in questione e valutare concretamente l'opportunità che la congiunta venisse sottoposta a tale invasiva e rischiosa operazione. La domanda non merita accoglimento. Sul punto, giova innanzitutto ricordare, in linea generale, che, quando si discorre di violazione del consenso informato, i danni non patrimoniali conseguenti ad una siffatta violazione astrattamente risarcibili possono essere di due tipi: quelli conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subìto un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in tale ultimo caso di apprezzabile gravità, diverso dalla lesione del diritto alla salute, e quelli conseguenti alla lesione del diritto all'integrità psico-fisica del paziente, tutelata dall'art. 32 Cost. (cfr. in merito a siffatta distinzione, ex multis, Cass. n. 2854/2015; Cass. n. 24220/2015; Cass. n. 24074/2017; Cass. n. 16503/2017). In particolare, la risarcibilità dei primi può essere riconosciuta anche laddove non sussista alcuna lesione della salute (cfr. Cass. n. 2468/2009), o, se la lesione della salute non è causalmente collegabile alla lesione di quel diritto (perché l'intervento o la terapia sono stati scelti ed eseguiti correttamente), sempre che siano configurabili conseguenze pregiudizievoli che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé stesso considerato (quali, ad esempio, il turbamento e la sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate: v. Cass. n. 2847/2010). L'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute: nel primo caso, l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario; nel secondo caso, invece, l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - gravante sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. Ciò non esclude, comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in re ipsa (da ultimo, Cass. n. 15723/2022; v. anche Cass. n. 24471/2020; Cass. n. 28985/2019; Cass. n. 20885/2018; Cass. n. 2369/2018; Cass. n. 2998/2016). Tanto premesso in via di principio, quanto all'allegazione secondo cui il difetto di consenso avrebbe determinato un danno alla salute, si osserva che, nel caso di specie, il mancato consenso andrebbe posto in relazione causale non già con le conseguenze dannose per la salute, ma con la morte della paziente; deve, tuttavia, escludersi la risarcibilità del c.d. danno tanatologico, per le ragioni già ben chiarite dalla giurisprudenza di legittimità. Ed invero, la lesione dell'integrità fisica con esito letale intervenuto immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del bene salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, la cui perdita per il definitivo venir meno del soggetto non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima del corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi (S.U. n. 15350/2015; v. anche Cass. n. 15706/2010; Cass. n. 79/2009; Cass. n. 23679/2009). Peraltro, non può non osservarsi, per completezza, che parte attrice non ha in alcun modo dimostrato il nesso di causa tra l'omissione e l'evento di danno, non avendo provato (né, per vero, allegato) che la de cuius (unico soggetto titolato con tutta evidenza ad esprimersi, atteso che il consenso deve essere personale e che la stessa era capace di intendere e di volere, tanto da avere prestato il consenso all'esecuzione della coronarografia), laddove correttamente informata, avrebbe rifiutato l'intervento. Del pari, l'attore non ha allegato, né tanto meno provato, alcun danno autonomo da lesione del diritto all'autodeterminazione della de cuius, inteso quale turbamento a seguito della violazione del diritto all'autodeterminazione, né avrebbe potuto essere diversamente, atteso che la de cuius è deceduta subito dopo l'intervento al quale non aveva acconsentito a sottoporsi. È evidente, quindi, che alcuna somma possa essere riconosciuta a tale titolo, con conseguente rigetto della domanda svolta. 3. Sul danno da perdita del rapporto parentale Per ciò che concerne le conseguenze dannose derivate dalla condotta illecita della struttura patite iure proprio, gli attori hanno affermato di avere subito un danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) conseguente alla prematura perdita della prossima congiunta (...), evento che avrebbe sconvolto la loro vita affettiva e familiare. Al riguardo, occorre premettere che la morte di un prossimo congiunto determina per i prossimi congiunti superstiti un danno iure proprio (v., ex multis, Cass. n. 18284/2021; Cass. n. 21837/2019), di carattere non patrimoniale in conseguenza dell'irreversibile venir meno del godimento del rapporto personale con il congiunto defunto (c.d. danno da perdita del rapporto parentale) nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore) cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro, previsto, per i coniugi dall'art. 143 c.c., per il genitore dall'art. 147 c.c., e ancor prima da un principio immanente nell'ordinamento fondato sulla responsabilità genitoriale (v. Corte Cost., 13/5/1998, n. 166), e per il figlio dall'art. 315 c.c. (v. Cass. n. 13546/2006). Ed invero, l'evento morte del congiunto determina per i congiunti superstiti la perdita di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti, il non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché l'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti (v. Cass. n. 10107/2011), con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29 e 30 Cost. (v. Cass. n. 13546/2006). Il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, quindi, lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli effetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell'art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell'art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all'art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato (Cass. n. 2557/2011; più di recente, Cass. n. 28989/2019). È chiaro, tuttavia, che, dal punto di vista delle conseguenze della lesione, il pregiudizio in discorso può manifestarsi come sofferenza interiore o come sconvolgimento delle abitudini e delle aspettative di vita dei superstiti danneggiati: vale a dire come danno morale o danno alla vita di relazione (cfr. Cass. n. 21060/2016; Cass. n. 16992/2015; Cass. n. 1361/2014). Laddove, poi, la sofferenza psichica si sia "cristallizzata" in una vera e propria patologia nosograficamente apprezzabile, si configurerà un danno biologico psichico, suscettibile di liquidazione secondo il criterio c.d. tabellare, salva l'opportuna "personalizzazione" dei relativi valori, al fine di adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto. Si tratta, dunque, di valutare gli elementi che siano stati (allegati e) provati dagli attori, con riguardo alla singola fattispecie concreta, posto che "il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che può causare nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e un'alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche "vuoti" risarcitori, e, in particolare, per il danno da lesione del rapporto parentale, deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse" (Cass. n. 19402/2013). Ancora, in via generale, pare opportuno ricordare che, come statuito a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, la nozione di "società naturale" cui fa riferimento l'art. 29 Cost. non può essere limitata al ristretto ambito della sola c.d. famiglia nucleare: in particolare, è stato chiarito che il danno da perdita del rapporto parentale, in quanto danno iure proprio dei congiunti, è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione, e in particolare l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata altresì dalla convivenza, quest'ultima non assurgendo a connotato minimo di relativa esistenza (ex multis, Cass. n. 18284/2021; Cass. n. 21837/2019; Cass. n. 29784/2018; Cass. n. 3767/2018; Cass. n. 21230/2016; con specifico riferimento al rapporto nipoti-nonni, Cass. n. 7743/2020; Cass. n. 29332/2017; con riguardo al rapporto nipoti-zii, Cass. n. 28989/2019). Se, infatti, occorre certamente evitare una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari, non può, tuttavia, condividersi l'assunto che il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa costituire elemento idoneo di discrimine e giustificare, dunque, l'aprioristica esclusione, nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l'esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto (Cass. n. 21230 cit.), quando, invece, ben possono ipotizzarsi convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinate da necessità economiche, egoismi o altro, e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura, ma che non implicano, di per, sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà. La convivenza, piuttosto, escluso che possa assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola, costituisce elemento probatorio utile in via presuntiva, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur (v. Cass. n. 8218/2021). In definitiva, quindi, il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale deve essere considerato secondo una progressione che, se da un lato, trova un limite ragionevole (sul piano presuntivo e salva la prova contraria) nell'ambito delle tradizionali figure parentali, dall'altro non può che rimanere aperta alla libera dimostrazione della qualità di rapporti e legami parentali che, benché di più lontana configurazione formale (o financo di assente configurazione formale: si pensi, a mero titolo di esempio, all'eventuale intenso rapporto affettivo che abbia a consolidarsi nel tempo con i figli del coniuge o del convivente), si qualifichino (ove rigorosamente dimostrati) per la loro consistente e apprezzabile dimensione affettiva o esistenziale (Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 8218/2021). La maggiore o minore prossimità formale del legame parentale non rileva, pertanto, nel senso di escludere la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, assumendo, invece, rilevanza sotto il profilo probatorio e del quantum risarcitorio, in quanto tanto più ci si allontana dai membri della c.d. famiglia nucleare, tanto più si richiederà la prova rigorosa in ordine all'effettiva esistenza e consistenza del vincolo affettivo (Cass. n. 5452/2020; Cass. n. 7743/2020). A tale ultimo proposito, occorre ricordare che il danno da perdita del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, ma va allegato e provato dal danneggiato, secondo la regola generale di cui all'art. 2697 c.c. (cfr. Cass. n. 2228/2012; Cass. n. 10527/2011). Ed invero, "Il danno non patrimoniale da uccisione di un congiunto, quale tipico danno-conseguenza, non coincide con la lesione dell'interesse e, pertanto, deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche se, trattandosi di un pregiudizio proiettato nel futuro, è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obbiettivi che è onere del danneggiato fornire" (Cass. ord. n. 907/2018). La prova del danno non patrimoniale da uccisione dello stretto congiunto può, pertanto, essere offerta anche a mezzo di presunzioni, che in argomento assumono, anzi, precipuo rilievo, e possono assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice, non costituendo un mezzo di prova di rango inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa (cfr. Cass., Sez. Un., n. 6572/2006). Il danno provocato dalla perdita di un congiunto, infatti, "dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare. Trattasi di un'ipotesi di danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo" (Cass. n. 31950/2018). In presenza di un'offesa di gravità così elevata (come la precoce morte del congiunto), quindi, l'onere dei danneggiati di allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire al fatto ignoto, deve ritenersi affievolito, fermo restando che le allegazioni, per poter essere valutate, devono essere effettivamente specifiche e individualizzanti, in quanto, altrimenti, si liquiderebbe un danno in re ipsa (Cass. 11689/2022). Ciò chiarito in ordine all'an, in merito alla quantificazione di siffatto danno, si ricorda qui che, poiché il danno in questione si configura quale danno di natura non patrimoniale, la liquidazione deve essere effettuata in applicazione del principio generale di cui all'art. 1226 c.c. e, pertanto, in base ad una valutazione equitativa che tenga conto dell'intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore circostanza utile allegata, tra cui la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l'età della vittima e dei singoli superstiti (cfr. Cass. ord. n. 907/2018; v., sul punto, anche Cass. n. 28989/2019). Nella concretizzazione della clausola generale dell'equità in sede di quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice di merito deve, poi, perseguire il massimo livello di certezza, uniformità e prevedibilità del diritto, così da assicurare la parità di trattamento di cui l'equità integrativa è espressione (Cass. n. 12408/2011); proprio per assicurare tale esigenza di uniformità di trattamento in situazioni analoghe e, quindi, di certezza del diritto, sono state predisposte delle Tabelle - prima di origine pretoria, poi anche di produzione legislativa - che individuano parametri uniformi per la liquidazione del danno non patrimoniale. Come chiarito di recente dalla Suprema Corte, tuttavia, non ogni criterio di quantificazione del danno è in grado di assicurare la prevedibilità nell'esercizio della discrezionalità rimessa al giudice di merito: ed invero, quando il sistema del punto variabile non è seguito, la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza (in questo senso, è significativo che il principio di diritto enunciato da Cass. n. 12408/2011 sopra richiamato sia seguito all'accoglimento di un motivo di ricorso vertente sulla liquidazione del danno mediante punto-base e che la scelta della tabella del Tribunale di Milano abbia preso le mosse dal sistema del punto variabile). In particolare, come evidenziato dalla Suprema Corte con sentenza n. 10579/2021, i requisiti che una tabella per la liquidazione del danno parentale dovrebbe contenere sono i seguenti: 1) adozione del criterio "a punto variabile"; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella (v., sul punto, anche le successive Cass. n. 26300/2021 e Cass. n. 33005/2021). Solo così, infatti, si garantisce, oltre ad un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, assicurando al tempo stesso un sufficiente grado di personalizzazione della liquidazione in considerazione delle peculiarità del caso concreto. A tali principi si è da ultimo adeguato anche l'Osservatorio del Tribunale di Milano, che ha elaborato nel 2022 delle tabelle per la liquidazione del danno parentale integrate a punti a partire dalle precedenti tabelle del 2021, utilizzando i valori monetari della forbice delle dette tabelle e con riferimento alle stesse circostanze (età vittima primaria, età vittima secondaria, convivenza, presenza o meno di congiunti superstiti ed intensità del vincolo affettivo) menzionate nei criteri orientativi delle precedenti tabelle. Le nuove Tabelle indicano un valore-punto, determinato sulla scorta del rapporto di parentela esistente tra la vittima ed il congiunto avente diritto al risarcimento, potendosi presumere che il danno sia maggiore quanto più stretto è il rapporto determinato (e che, in concreto, è stato ottenuto dividendo per 100 il valore monetario massimo previsto dalle due tabelle milanesi del 2021 per la liquidazione del rispettivo danno parentale), attribuendo, poi, un punteggio sulla scorta dei seguenti parametri: a. l'età del congiunto, dovendosi presumere che il danno è tanto maggiore quanto minore è l'età del congiunto superstite; b. l'età della vittima: anche in questo caso è ragionevole ritenere che il danno sia inversamente proporzionale all'età della vittima, in considerazione del progressivo avvicinarsi al naturale termine del ciclo della vita; c. la convivenza tra la vittima ed il congiunto superstite, dovendosi presumere che il danno è tanto maggiore quanto più costante e assidua è stata la frequentazione tra la vittima ed il superstite; d. la presenza all'interno del nucleo familiare di altri congiunti, in quanto il danno derivante dalla perdita è sicuramente maggiore se il congiunto superstite rimane solo, privo di quell'assistenza morale e materiale che gli derivano dal convivere con un'altra persona o dalla presenza di altri familiari, anche se non conviventi; e. la qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto (da valutare guardando, ad esempio, alle seguenti circostanze di fatto: frequentazioni/contatti; condivisione delle festività/ricorrenze; condivisione di vacanze; condivisione di attività lavorativa/hobby/sport; attività di assistenza sanitaria/domestica; agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria). Tutto ciò premesso in via generale, con riguardo alla fattispecie concreta oggetto di causa, si rileva innanzitutto che la struttura convenuta, per la prima volta nella memoria conclusiva di replica, ha dedotto che gli attori non avevano dimostrato la loro titolarità ad agire. La difesa è tardiva e, come tale, deve essere disattesa. Si osserva, a tal proposito, che la contestazione della titolarità attiva, investendo un fatto costitutivo della pretesa, che deve essere provato dall'attore, non integra una eccezione in senso stretto, ma una mera difesa, proponibile in ogni fase del giudizio (Cass. n. 15832/2011; Cass., Sez. Un., n. 2951/2016); ciò, tuttavia, a condizione che il convenuto, ritualmente costituitosi, non abbia riconosciuto la circostanza o svolto difese incompatibili con la sua negazione (cfr., da ultimo, Cass. n. 10640/2021; Cass. n. 9457/2020). Ed invero, la titolarità del rapporto controverso, quale fatto costitutivo della domanda, rimane assoggettata al generale onere della prova, che può essere raggiunta anche attraverso la mancata contestazione a norma dell'art. 115 c.p.c.. Il convenuto, quindi, può, con il suo comportamento processuale, influire sugli incombenti probatori gravanti sull'attore (eliminandoli o alleviandoli), laddove non contesti o riconosca espressamente la verità dei fatti ex adverso affermati (cfr. Cass. n. 15759/2014; Cass. n. 15832/2011). Nel caso di specie, la titolarità del rapporto in capo agli attori deve ritenersi circostanza provata, non essendovi stata alcuna contestazione sul punto da parte della struttura nel corso del giudizio fino alla memoria di replica, con la conseguenza che la prova di tale fatto costitutivo era già stata raggiunta ai sensi dell'art. 115 c.p.c. Ciò chiarito, facendo ora applicazione dei principi sopra esposti al caso in esame, occorre differenziare le posizioni dei singoli congiunti che hanno domandato il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale. Quanto al marito e alla sorella della defunta (...), deve qui ribadirsi che il danno consistente nella lesione rilevante alla sfera affettiva e familiare causata dalla morte improvvisa del coniuge, genitore, figlio o fratello, sussiste in via presuntiva (salvo prova contraria) nell'an, alla luce del legame affettivo che normalmente esiste, che fa presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza e, di norma, connaturale all'essere umano (da ultimo, Cass. n. 25541/2022), con la precisazione che, trattandosi di una praesumptio hominis, sarà sempre possibile per il convenuto dedurre e provare l'esistenza di circostanze concrete dimostrative dell'assenza di un legame affettivo tra vittima e superstite (Cass. n. 3767/2018). Nel caso di specie, il coniuge ha allegato di avere trascorso una vita accanto alla propria moglie, con oltre quarant'anni di matrimonio, vissuti in simbiosi, e la sorella (...), di avere avuto, sin dall'infanzia, un legame affettuoso, stretto e profondo con la sorella, con innumerevoli momenti di vita trascorsi insieme e condivisi anche nella quotidianità. Ebbene, reputa il Tribunale che la presunzione secondo cui normalmente tra gli stretti congiunti (come lo sono (...) e (...)) vi è un intenso vincolo affettivo, unitamente agli elementi allegati, siano sufficienti per ritenere comprovato nell'an il danno da perdita del rapporto parentale, potendosi ritenere provato che gli attori abbiano sofferto in seguito all'evento luttuoso. Diversamente, per quanto riguarda la nipote (...), reputa il Tribunale che le sole allegazioni della stessa non siano sufficienti a ritenere comprovata la sussistenza di un effettivo pregiudizio dato dalla lesione del legame affettivo. Sul punto, si ribadisce che, se nel rapporto tra familiari della c.d. famiglia nucleare può essere invocata la presunzione sopra richiamata, in forza della quale lo stretto vincolo di parentela lascia presumere la sussistenza di un profondo legame affettivo, la cui perdita costituisce certamente un danno risarcibile, nel rapporto tra parenti meno prossimi la medesima presunzione non può ritenersi sic et simpliciter operante; spetta, pertanto, alla parte dimostrare, in modo rigoroso, la sussistenza di una stretta frequentazione con il defunto, ovvero di una vicinanza di affetti o interessi, ovvero di qualsivoglia altro concreto elemento esteriore da cui desumere la profondità del legame, la cui perdita sia perciò tale da determinare uno sconvolgimento nella vita di colui che ne chiede il risarcimento o la sua profonda sofferenza. Nel caso di specie, (...) ha allegato di avere una "stretta relazione di affetto e di condivisione con la defunta zia, caratterizzata da continuità, contatto pressoché quotidiano, profondo affetto di tipo materno e condivisione di tutti gli appuntamenti importanti della vita e della quotidianità". Tali allegazioni, del tutto generiche, sono rimasta sfornite di qualsivoglia prova. Ed invero, l'attrice, senza premurarsi di descrivere in maniera specifica circostanze in fatto tali da poter ritenere dimostrato per presunzioni un legame con la defunta zia, già anziana e non convivente, di tale intensità da comportare un effettivo sconvolgimento delle sue abitudini di vita ed un profondo dolore, se non tardivamente nella comparsa conclusionale (laddove si legge, per la prima volta, "che la Sig.ra (...) ha sempre condiviso tutte le festività più importanti e festeggiato le ricorrenze con la famiglia della propria defunta zia e spesso si è recata con loro in innumerevoli viaggi di vacanza che hanno, nel tempo, contribuito a consolidare il rapporto di affetto, vicinanza e condivisione"), si è limitata a formulare un capitolo di prova del tutto generico e palesemente valutativo ("Vero che la Sig.ra (...) era legata alla propria zia, Sig.ra (...), da un solido rapporto affettivo che le legava e caratterizzato da continuità, contatto pressoché quotidiano, profondo affetto di tipo materno per il quale la de cuius rappresentava per la Sig.ra (...) un'importante figura di riferimento, oltre che di condivisione non solo di tutti gli appuntamenti importanti della vita della medesima ma anche nella quotidianità") e a produrre una sola fotografia che la ritrae con la zia in un'epoca e un luogo del tutto imprecisati, oltre a delle dichiarazioni scritte di conoscenti volte a descrivere il rapporto con la defunta zia in vista del presente giudizio, che, tuttavia, non sono valutabili, trattandosi di una forma di surrettizia "testimonia scritta", resa in assenza dei presupposti e delle forme di cui all'art. 257 bis c.p.c., o, ancora, una dichiarazione in cui essa stessa rappresenta il rapporto con la zia (che nemmeno può supplire al difetto originario di allegazione, giacché, come chiarito anche da Cass. SS.UU. n. 2435/2008, "i documenti rivestono funzione eminentemente probatoria che, come tale, non può surrogare quella dell'allegazione dei fatti"). Non ha, invece, in alcun modo offerto di dimostrare la condivisione di interessi comuni, le frequentazioni ricorrenti, i reciproci gesti di solidarietà, quali, ad esempio, l'assistenza durante le malattie (tenuto altresì conto che la defunta zia era malata oncologica) o gli aiuti economici. Non sussistono, quindi, in relazione alla posizione della nipote, le condizioni di apprezzabilità minima del danno, non essendo stata in alcun modo dimostrata, neanche in via presuntiva, la gravità e la serietà del pregiudizio e della sofferenza patita, tanto sul piano morale-soggettivo, quanto su quello dinamico-relazionale, che esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, da allegare in modo circostanziato, e che non può risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche, come insegna la giurisprudenza di legittimità sopra citata (da ultimo, Cass. n. 28989 cit.). Nessun risarcimento può, pertanto, essere riconosciuto iure proprio a (...) per lesione del rapporto parentale, con conseguente rigetto della sua domanda. Dovendosi ora procedere alla liquidazione del danno patito da (...) e da (...), considerati tutti i profili di lesività non patrimoniale emersi, valutata l'intensità del legame esistente tra le parti, valutato il perturbamento d'animo subito dagli attori a causa di quanto subito da (...) e l'alterazione dell'esistenza degli stessi, ricorrendo al sistema di calcolo delineato dalle Tabelle del Tribunale di Milano come sopra descritte, può procedersi: - per quanto riguarda (...), all'attribuzione di un punteggio complessivo pari a 58, di cui 10 punti per qualità ed intensità della relazione affettiva, tenuto conto dei parametri sopra indicati, con la precisazione che è stata tenuta in considerazione la condivisione quarantennale della quotidianità con la de cuius, unico elemento significativo emerso; - per quanto riguarda (...), all'attribuzione di un punteggio complessivo pari a 16, con esclusione del punteggio attribuito dalle tabelle per qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto, non avendo l'attrice allegato tempestivamente e in maniera specifica alcunché per quanto attiene la condivisione della quotidianità, delle festività e delle vacanze, delle frequentazioni e dei contatti con la sorella: ed invero, l'attrice si è limitata a indicare circostanze aspecifiche e affatto individualizzanti dell'attualità del rapporto, formulando all'uopo un capitolo di prova altrettanto generico e valutativo ("Vero che la Sig.ra (...), sin dall'infanzia, è sempre stata legata alla propria sorella, Sig.ra (...), per la quale ha avuto un legame affettuoso, stretto e profondo con innumerevoli momenti di vita trascorsi insieme e condivisi anche nella quotidianità e che, proprio a causa di tale tragico ed improvviso evento, ha gettato nello sconforto più profondo la medesima"); solo nella comparsa conclusionale ha, poi, dedotto che "le sorelle avevano un rapporto telefonico pressochè quotidiano mentre si vedevano quasi tutti i week end anche con la nipote, Sig.ra (...), in quanto le odierne Ricorrenti hanno la casa in campagna sita in M. (V.) a pochi chilometri di distanza dalla loro parente stretta", allegazioni che risultano tardive, oltre che in alcun modo comprovate. Il punteggio così ottenuto va, a sua volta, moltiplicato per Euro 3.365,00 per quanto riguarda il coniuge e per Euro 1.461,20 per quanto riguarda la sorella, secondo quanto indicato dalle citate tabelle di Milano. Alla luce degli elementi sopra indicati, rilevato che non si ravvisano specificità nel caso concreto che non siano state tenute adeguatamente in conto nel calcolo appena esposto, anche eventualmente in riduzione o aumento rispetto alle somme che si otterrebbero con una rigida applicazione dei punti e dei valori di cui alle Tabelle, può essere riconosciuta, quindi, a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, la somma di Euro 195.170,00 ad (...) e la somma di Euro 23.379,20 a (...). Il risarcimento - in quanto debito di valore - è quantificato in moneta attuale; non spetta, pertanto la rivalutazione monetaria. Sull'importo riconosciuto decorrono, invece, gli interessi, quali componenti del risarcimento a ristoro del mancato godimento della maggior somma riconosciuta, da computarsi, alla luce dell'orientamento consolidato della Suprema Corte (cfr. Cass. civ. S.U. 1712/1995), sull'importo riconosciuto, "devalutato" fino al giorno dell'illecito (25.5.2018) e poi "rivalutato" annualmente fino ad oggi. Dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta, all'effettivo saldo, decorrono, poi, gli interessi al tasso legale sulla somma sopra liquidata complessivamente. 4. Sulle spese di lite Quanto alle spese di lite, ivi comprese quelle di cui alla mediazione, in considerazione dell'esito del giudizio e dell'accoglimento solo parziale delle domande svolte dagli attori, va disposta la compensazione delle spese di lite tra le parti nella misura di 1/3, ponendo a carico della convenuta l'onere di rifondere agli attori i restanti 2/3. Le spese si liquidano come in dispositivo, in base ai parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, come aggiornati al D.M. n. 147 del 1922 per lo scaglione da Euro 52.000,00 ad Euro 260.000,00, guardando al valore dell'accolto, con un aumento del 30% ex art. 4, comma 2, D.M. citato. Devono, invece, essere poste integralmente a carico della convenuta soccombente le spese della CTU medico legale espletata in questo giudizio, già liquidate con separato decreto, nonché le spese sostenute dagli attori per la consulenza di parte, essendosi la stessa resa necessaria al fine di accertare la responsabilità della struttura. Non sussistono, infine, i presupposti per la condanna della convenuta ai sensi dell'art. 96 c.p.c., tenuto conto del parziale accoglimento delle domande e della circostanza che, alla data dell'instaurazione del giudizio, le consulenze svolte in ambito penale avevano escluso la responsabilità dei sanitari intervenuti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 901/2021, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) in accoglimento delle domande formulate dagli attori nei limiti di cui in motivazione, condanna l'Azienda (...) a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale, ad (...), rappresentato dalla procuratrice speciale (...), la somma di Euro 195.170,00, e a (...) la somma di Euro 23.379,20, oltre interessi come da motivazione; 2) rigetta, per il resto, le domande attoree; 3) compensa nella misura di 1/3 le spese di lite e condanna la convenuta a rifondere a parte attrice i restanti 2/3, che liquida, già al netto della compensazione, in Euro 6.680,00 per esborsi (Euro 580,00 + Euro 6.100,00 per spese c.t.p.) ed Euro 13.096,00 (di cui Euro 873,60 per l'attivazione della mediazione) per compensi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge; 4) pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di c.t.u., già liquidate con separato decreto. Così deciso in Busto Arsizio il 13 giugno 2023. Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Busto Arsizio, III Sezione Civile, nella persona del giudice unico dott. Francesco Paganini, ha pronunciato la presente SENTENZA nella causa iscritta al n. 6621/2019 del Ruolo Generale promossa da CONDOMINIO (...) ((...)), elettivamente domiciliato in Indirizzo Telematico, presso lo studio dell'avv. (...) dal quale é rappresentato e difeso; - attore - contro (...) SRL ((...)), elettivamente domiciliato in VIA (...) 20030 SENAGO, presso lo studio dell'avv. (...) dal quale é rappresentato e difeso; - convenuto - conclusioni delle parti Per parte attrice: "Foglio di precisazione delle conclusioni nell'interesse di Condominio (...) Si insiste per l'accoglimento delle seguenti richieste e conclusioni Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis rejectis, così giudicare: In via principale: accertata e dichiarata la sussistenza dei vizi e difetti denunciati da parte attrice e la responsabilità delle convenute (...) s.r.l. e (...) s.r.l., condannare queste ultime a risarcire il danno subito dal Condomino, nella misura di Euro 16.078,13 oltre i.v.a. ciascuna, od in quella diversa misura ritenuta di giustizia. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio e del procedimento di consulenza tecnica preventiva." Per parte convenuta (...): "FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI PER LA CONVENUTA (...) S.R.L. Parte convenuta, all'esito delle proprie difese insiste e confida per l'accoglimento delle seguenti CONCLUSIONI Voglia l'Ill.mo Giudice adito, contrariis reiectis, per le ragioni sopra esposte: IN VIA PRELIMINARE Accertato e dichiarato che l'azione nei confronti della (...) S.r.l. risulta viziata da prescrizione e/o decadenza ai sensi dell'art. 1669 c.c., rigettare le domande tutte svolte da controparte nei confronti della convenuta condannando parte attrice alla rifusione delle spese del presente giudizio. NEL MERITO Nella denegata ipotesi di rigetto della domanda svolta in via preliminare concernente l'intervenuta prescrizione e decadenza della presente azione, per tutti i motivi esposti in narrativa, rigettare le domande svolte dal Condominio (...) in quanto infondate in fatto e in diritto. IN VIA ISTRUTTORIA Con più ampia riserva di ulteriormente dedurre, produrre ed articolare, anche a prova contraria, sulle eventuali istanze istruttorie formulate dalle controparti. Con il favore di spese, diritti ed onorari del presente giudizio." Per parte convenuta (...): "FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI NELL'INTERESSE DI (...) S.R.L. L'Avv. (...) dichiara di non accettare il contraddittorio sulle eventuali nuove domande ex adverso introdotte in questa sede e così precisa le proprie CONCLUSIONI IN VIA PREGIUDIZIALE = accertare e dichiarare il difetto di legittimazione passiva in capo ad (...) S.r.l. con conseguente estromissione dal presente giudizio. IN VIA PRELIMINARE accertare e dichiarare l'intervenuta decadenza dalla garanzia e prescrizione dell'azione ex artt. 1667 e 1669 c.c. con conseguente declaratoria di inammissibilità e/o improcedibilità dell'intestato giudizio. SOLO nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle eccezion pregiudiziale e/o preliminare di cui sopra, in via gradata: IN VIA PREGIUDIZIALE = disporre nuova consulenza tecnica ex art. 698 comma 2° c.p.c. nonché ammettersi prova per testi così come di seguito articolata. NEL MERITO = accertata la correttezza delle prestazioni rese da (...) S.r.l. in favore di parte ricorrente; = accertata, pertanto, l'assenza di qualsivoglia responsabilità in capo ad (...) S.r.l.; = rigettare le domande avversarie tutte, con qualunque statuizione, perché infondate in fatto ed in diritto. IN VIA ISTRUTTORIA = ordinare a parte ricorrente l'esibizione ex art. 210 c.p.c. del contratto di manutenzione del tetto dell'immobile ovvero di altra documentazione idonea allo scopo; = si chiede ammettersi prova per testi sui seguenti capitoli di prova: 1) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava lo stato di degrado del tetto del condominio di Saronno, (...). 2) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava che il tetto del condominio di Saronno, (...) presentava accumuli di sporcizia che occludevano gli scarichi. 3) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 constatava che il tetto del condominio di Saronno, (...) era stato manomesso da terzi estranei ad (...) S.r.l. 4) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 vedeva sul tetto del condominio di Saronno, (...) materiale mai utilizzato da (...) S.r.l. 5) Vero che Lei in data 10 novembre 2011 raccomandava alla committenza del condominio di Saronno l'importanza della pulizia del tetto dell'immobile. A testi sui capitoli 1), 2), 3), 4), 5) si indicano il sig. (...) ed il geom. (...) presso (...) S.r.l. 6) Vero che le tegole canadesi dell'immobile sito in Saronno, (...) sono state correttamente chiodate ed incollate da parte di (...) S.r.l. 7) Vero che l'azione del vento, gli sbalzi termici e la grandine possono creare distacchi delle falde. 8) Vero che la maggior inclinazione delle falde del tetto dell'immobile sito in Saronno, (...) tutela all'azione del vento. A testi sui capitoli 6), 7), 8) si indicano il geom. (...) e l'arch. (...) presso Tegola Canadese S.p.A. = si fa salva e riservata ogni istanza sino alla scadenza dei termini di legge. NEL MERITO - IN VIA SUBORDINATA = nella denegata ipotesi in cui venissero ravvisati profili di responsabilità, a qualunque titolo in capo ad (...) S.r.l., e quindi per ipotesi di accoglimento, anche solo parziale, delle domande avversarie, dichiarare tenuta la società (...) SA - Rappresentanza Generale e Direzione per l'Italia (P.IVA (...)) con sede in Milano (MI), Via (...) (già (...)) e condannare la stessa a manlevare (...) S.r.l. da ogni domanda avversaria che dovesse trovare accoglimento. IN OGNI CASO = Vittoria di spese, diritti e onorari del presente grado di giudizio." Per la terza chiamata (...) SA: "Precisazione delle conclusioni per (...). L'avv. (...), in nome e per conto di (...), che rappresenta e difende, senza accettare il contradittorio su eventuali eccezioni, istanze e domande nuove, rassegna le seguenti conclusioni voglia l'Ill.mo Tribunale di Busto Arsizio, disattesa ogni contraria domanda, eccezione e deduzione, così giudicare: - nel merito, in via principale, accertata e dichiarata in ogni caso l'intervenuta prescrizione e/o decadenza dei diritti del danneggiato e/o comunque il difetto di legittimazione passiva dell'assicurata rispetto alla domanda attorea, per le ragioni tutte esposte in narrativa, dichiarare improcedibile e/o respingere la domanda attorea comunque perché infondata in fatto e diritto e quindi disporre la non operatività della polizza e/o la non insorgenza di obblighi a carico di (...), mandando assolta la terza chiamata da qualsivoglia obbligo contrattuale; - in via subordinata, nella denegata e non creduta ipotesi in cui non dovessero essere accolte le preliminari eccezioni e dovesse ravvisarsi una qualsivoglia responsabilità dell'assicurato nella determinazione dei danni di cui si discute e/o ritenere questo tenuto al risarcimento, accertata e dichiarata l'intervenuta prescrizione dei diritti dell'assicurato nei confronti della compagnia e/o il venir meno del suo diritto all'indennizzo per le ragioni tutte esposte in narrativa, per l'effetto disporre che alcun obbligo è insorto a carico di (...) rispetto al caso de quo e così respingere integralmente la domanda di garanzia e manleva formulata nei suoi confronti e/o mandarla assolta da qualsivoglia obbligo contrattuale; - in estremo subordine: nella denegata e non creduta ipotesi in cui non dovesse essere accolta la preliminare eccezione di prescrizione e ravvisarsi l'operatività della garanzia assicurativa invocata, limitare in ogni caso l'operatività della polizza e l'obbligo di manleva per i soli danni diretti e risultati provati ed in stretta derivazione causale con l'operato dell'assicurata, con esclusione di quelli frutto di un aggravamento per omissione colpevole dell'assicurato e/o non derivanti dal suo operato, valutando ex art. 1227 cod. civ. il concorso dello stesso attore nella produzione del danno di cui si lamenta, comunque con applicazione dei previsti scoperti e franchigie e limitazioni tutte contrattuali; - in ogni caso con il favore delle spese e compensi di causa. In via istruttoria: si richiamo le espresse difese ed istanze come da memorie ex art. 183 VI c.p.c. n. 2 e 3 ritualmente depositate da aversi qui per richiamate e trascritte." motivi della decisione Il Condominio (...), di Saronno, Piazza (...), in persona del suo amministratore Pro tempore, premesso: Che l'edificio era stato costruito nell' anno 2006 dalla società (...) S.r.l. con sede a Milano; Che il manto di copertura era stato realizzato dalla società (...) S.r.l., con sede in Castellanza; Che a partire dall'anno 2011 si era verificato il distacco, con conseguente caduta nel cortile sottostante, di alcune tegole del tetto; Che la circostanza era stata prontamente denunciata dall'amministratore alla società costruttrice e da quest'ultima all' impresa che aveva realizzato il tetto; Che la società (...) aveva tuttavia respinto ogni responsabilità in merito, negando ogni addebito e rendendosi disponibile a intervenire solo a seguito della stipula di un nuovo contratto di manutenzione del tetto; che il condominio aveva conferito incarico all'ingegnere (...) di Saronno di individuare le cause dei fenomeni sopra descritti, ossia caduta di tegole; Che tale professionista, come risulta dalla relazione del 17 luglio 2015 aveva accertato che numerose tegole bituminose, dette canadesi, si erano spezzate a metà in corrispondenza delle sovrapposizioni, probabilmente a causa di una scarsa adesione fra le stesse; che il legale del condominio aveva richiesto con raccomandata 15/12/2015 della società (...) e la società (...) di intervenire per eliminare i vizi denunziati; Che tale diffida/costituzione in mora, era stata successivamente rinnovata a mezzo Raccomandata e posta elettronica certificata il 12/5/2016; 15 /9 /2016; 21/6/2017; 20.6/2018; Che In considerazione della perdurante inattività dei destinatari delle missive era stato presentato ricorso per ATP, rubricato al RG 71 15/2018, accertamento che aveva acclarato la responsabilità dei resistenti per un cattivo posizionamento delle tegole, lavoro non eseguito a regola d'arte per cui si rendeva necessario la parziale rinnovazione dello stesso con un esborso di 40 mila,200,00 euro; Chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento dell'importo capitale sopraindicato. Si costituivano ritualmente in giudizio le due società. La società (...) eccepiva preliminarmente l'intervenuta prescrizione, decadenza della denuncia dei vizi ai sensi dell'art. 1669 codice civile, in quanto i primi inconvenienti erano stati accertati già a partire dal 2011 con il distacco di alcune tegole e quindi si era verificata la prescrizione non avendo il condominio tempestivamente coltivato l'azione. Nel merito sosteneva che nessuno responsabilità era da imputarsi alla società (...) posto che il manto di copertura era stato realizzato dall'altra convenuta. Quest'ultima costituendosi in giudizio, in via preliminare, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva. Sosteneva infatti di essere subappaltatore di altra società, poi dichiarata fallita e di non avere alcun legame contrattuale né con il condominio né con la (...) e a proprio volta sosteneva comunque prescrizione e decadenza ai sensi dell'articolo 1669 codice civile, chiedendo l'autorizzazione a chiamare in garanzia la società (...), avendo una garanzia postuma decennale. Il giudice autorizzava la chiamata della terza assicurazione (...) sa, che si costituiva facendo proprio nel merito le difese dell'assicurato ma escludendo l'operatività dell'assicurazione, stante l'intervenuta prescrizione biennale. Disposta la conversione del rito e l'acquisizione dell'accertamento tecnico preventivo, istruita la causa mediante l'assunzione delle sole prove orali ammesse, la stessa, sulle decisioni come rassegnate telematicamente, passava In decisione. L'azione proposta dal condominio e fondata e meritevole di accoglimento. L'azione in esame deve essere inquadrata nell'archetipo di cui all'articolo 1669 codice civile, ossia di una responsabilità per costante giurisprudenza della Suprema Corte extracontrattuale. Appare opportuno preliminarmente operare un distinguo tra i vari termini previsti dalla norma in esame: "In tema di rovina e difetti di cose immobili destinate per loro natura a durare nel tempo, l'art. 1669 cod. civ. prescrive, oltre al termine decennale attinente al rapporto sostanziale di responsabilità dell'appaltatore (ricollegabile anche alla posizione del venditore - costruttore), due ulteriori termini: uno di decadenza, per la denuncia del pericolo di rovina o dei gravi difetti, di un anno dalla "scoperta" dei vizi o difetti, e l'altro di prescrizione, per l'esercizio dell'azione di responsabilità, di un anno dalla denuncia. I detti termini sono interdipendenti, nel senso che, ove uno soltanto di essi non sia rispettato, la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente (o dei suoi aventi causa) non può essere fatta valere." Sez. 2, Sentenza n. 14561 del 30/07/2004 (Rv. 575125 - 01) In particolare come enunciato dalla Suprema Corte il termine decennale, pure invocato dai convenuti non è previsto quale termine né di prescrizione né di decadenza, ma è semplicemente il termine finale di un rapporto sostanziale. Se gli eventi si verificano entro tale termine, come nel caso in esame, l'appaltatore è tenuto all'integrale risarcimento. Ora è pacifico che l'immobile è stato costruito nell'anno 2006 dalla società (...), venditrice/costruttrice e che la copertura dell'immobile è opera destinata di per sé a durare nel tempo, per cui opera l'articolo 1669 codice civile. Il distacco di alcune tegole verificatesi a partire dall'anno 2011, fatto grave e pericolosissimo, naturalmente subito contestato al venditore costruttore e da questi all'(...) S.r.l. non può sicuramente, isolatamente considerato, essere ritenuto termine iniziale della piena consapevolezza del condominio sulle cause del distacco stesso. Che una tegola ,anche una sola, si distacchi dal tetto e cada in cortile è un fatto oggettivamente grave e come tale, a prescindere dalla causazione dell'evento, non poteva non essere immediatamente denunciato alla società venditrice costruttrice che aveva l'onere di intervenire unitamente alla (...), che, arbitrariamente aveva subordinato il suo intervento alla stipula di un contratto di manutenzione del tetto di cui, altrettanto immotivatamente e pretestuosamente ha richiesto la produzione in giudizio, senza che vi sia alcun obbligo normativo o regolamentare in merito, di stipulare una siffatta convenzione in capo al condominio. La (...) come società venditrice e costruttrice aveva la responsabilità di intervenire al pari delle (...), mentre nessun concorso di colpa è configurabile nei confronti del condominio, che, da parte sua, si è immediatamente e vanamente reso parte attiva. L' eccezione di legittimazione passiva svolto dalla (...) è del tutto infondata, non vertendosi in un rapporto contrattuale ma in un'ipotesi di risarcimento danno di natura extracontrattuale. "In materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell'art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire - con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato - se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell'immobile. "Sez. 2 -, Ordinanza n. 22093 del 04/09/2019 (Rv. 655215 - 01) "La condotta negligente del subappaltatore, che integra inadempimento contrattuale nei confronti del subappaltante, ben può dar luogo a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti del committente originario, in quanto idonea a ledere il diritto di quest'ultimo ad una corretta esecuzione del rapporto contrattuale di appalto, nonché a cagionare un pregiudizio ingiusto, mentre non può ingenerare una sua responsabilità - anch'essa di natura extracontrattuale - ai sensi dell'art. 1669 c.c., presupponendo l'operatività di tale norma il rapporto diretto tra committente ed appaltatore, solo legittimato passivo, quale unico garante della stabilità e sicurezza dell'edificio, rispetto all'azione in tal senso proposta dal primo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che, in relazione ai danni subiti dal committente a causa dei lavori di copertura di un edificio eseguiti dal subappaltatore e consistiti negli esborsi necessari conseguiti allo scoperchiamento del tetto, ha ricondotto la responsabilità del subappaltatore medesimo all'art. 2043 c.c.)". Sez. 2 -, Ordinanza n. 21719 del 27/08/2019 (Rv. 655235 - 01) L'accertamento tecnico preventivo ritualmente acquisito agli atti è del tutto preciso e condivisibile, laddove indica l'imperizia della (...) S.r.l. nella posa in opera delle tegole, avvenuta non a regola d'arte. Nulla si può imputare al condominio per l'aggravamento dello stato dei luoghi: non incombeva certo al condominio provvedere alla sistemazione della copertura posta in essere dai convenuti. Al contrario il condominio è stato alquanto diligente, contestando subito a entrambe le società l'accaduto, ossia distacco di una tegola o di più tegole nel tempo, contestando la relazione dell'ing. (...) entro un anno dalla scoperta della causa delle cadute delle tegole ed interrompendo la prescrizione annuale con pec del legale. Incombeva a tali società intervenire prontamente per non aggravare lo stato dei luoghi. Dopo la relazione dell'ing. (...) si può ritenere acquisita in capo all'ente attoreo la consapevolezza delle cause del dissesto del manto di copertura, cause contestate con raccomandata del legale del condominio ai due convenuti: il termine prescrizionale è stato sempre interrotto con le pec del legale, l'atp e poi il presente giudizio, senza soluzione di continuità. Alla luce delle acquisizioni svolte, in particolare ATP, le due società in ragione di metà ciascuno devono essere condannate a pagare al condominio l'importo di 20.100 Euro ciascuna, oltre IVA per i danni accertati. La (...) nella sua veste di impresa venditrice e costruttrice e quindi come tale responsabile ultima di tutti i lavori eseguiti o male eseguiti anche dai subappaltatori dei suoi subappaltatori, avendo un obbligo generale di vigilanza e la (...) quale esecutrice materiale non a regola d'arte dei lavori, violazioni da ritenersi causalmente equipollenti. "In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., ove il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia) trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l'appaltatore(e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l'opera sia a quest'ultimo riferibile - sulla base di un accertamento di fatto relativo all'esistenza di un suo potere direttivo e di controllo sull'appaltatore che non può essere escluso negli appalti a cascata". Sez. 2 -, Ordinanza n. 27250 del 16/11/2017 (Rv. 646075 - 01) Da ultimo ritiene questo tribunale che operi la copertura assicurativa a carico della terza chiamata a favore della (...). Infatti nelle raccomandate che si sono susseguite nel tempo nessun pagamento era stato richiesto alla srl (...), richiesta formulata per la prima volta nel presente giudizio: precedentemente era stato richiesto all'assicurata di provvedere alla sistemazione della copertura dell'immobile. Stante la inattività delle due società oggi convenute, era stato promosso accertamento tecnico preventivo ritualmente acquisito agli atti del processo. "In tema di assicurazione della responsabilità civile, la prescrizione breve del diritto all'indennizzo decorre dal momento in cui l'assicurato riceve la richiesta risarcitoria del danneggiato perché a partire da tale momento il responsabile è in condizione ed è tenuto ad attivare il proprio assicuratore, atteso che il concreto accertamento della riconducibilità del sinistro nell'ambito della copertura assicurativa è preliminare soltanto alla liquidazione dello stesso, ma non incide sulla decorrenza del termine di prescrizione, senza che, peraltro, assuma rilevanza il disposto dell'art. 2935 c.c., derogato, in materia assicurativa, dall'art. 2952 c.c. Ordinanza n. 25430 del 26/10/2017 (Rv. 646456 - 01) Alla luce dei più recenti pronunciamenti della Suprema Corte l'accertamento tecnico preventivo è liberamente valutato dal giudice e utilizzato nella sua decisione anche nei confronti dell'assicurazione che non vi abbia partecipato. "La relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, è liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva ritenuto inutilizzabile, nei confronti della compagnia assicuratrice, la consulenza tecnica d'ufficio prodotta nel giudizio di merito, ma resa nel procedimento di a.t.p. al quale l'assicurazione non era stata chiamata a partecipare). Sez. 3 -, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023 (Rv. 667109 - 01) La terza chiamata comunque è stata posta in grado in corso di causa di svolgere precise e non generiche negazioni e valutazioni, al contrario non formulate , sicché (...) deve essere condannata a tenere indenne la S.r.l. (...) per l'importo capitale di euro 20.100 nonché le spese di costituzione nel presente giudizio e tutte le altre spese che la stessa debba rifondere al condominio attore ad esclusione di quelle relative all'atp, laddove l'(...) non ha immediatamente chiamato l'assicurazione, il cui risultato e le valutazioni tecniche dell' ATP sono estensibili anche alle assicurazioni ,ma non le spese del CTU e della procedura. Pertanto i convenuti devono essere condannati a pagare ciascuno di essi Euro 20.100,00 di importo capitale già espresso in termini attuali oltre IVA ed interessi legali dal 12.5.2016 al saldo, nonché, in via tra loro solidale, le spese di CTU, quelle di ATP, liquidate in Euro 3.000,00 oltre accessori e quelle del presente giudizio, liquidate in Euro 300,00 per esborsi ed Euro 7.000,00 oltre accessori per compensi professionali. La terza chiamata deve tenere indenne l'impresa (...) degli importi sopraindicati, ad esclusione delle voci attinenti l'atp. Soccorrono giustificati motivi per dichiarare compensate le spese tra assicurazione ed assicurata, che non aveva prima di tale causa denunciato il sinistro. Se la circostanza da un punto di vista sostanziale non rileva, non avendo dimostrato l'assicurazione che da tale omissione le sia derivato un pregiudizio e essendo nulle clausole che da tale omissioni vorrebbero fare derivare l'inoperatività del vincolo assicurativo, rileva processualmente: se notiziata tempestivamente l'assicurazione inadempiente nel pagamento sarebbe stata tenuta anche a rifondere le spese processuali dell'assicurata. PQM Condanna 1. La S.r.l. (...) e la S.r.l. (...) a pagare al condomino attore l'importo capitale di Euro 20.100,00 ciascuna, oltre IVA ed interessi legali dal giugno 2016 al saldo nonché in via tra di loro solidale le spese di CTU, di atp e di lite, liquidate come in motivazione; 2. La terza chiamata a rifondere gli importi di cui al capo che precede alla propria assicurata, con esclusione delle somme dovute al CTU e per l'atp; Dichiara Compensate le spese tra la S.r.l. (...) e l'assicurazione terza chiamata. Busto Arsizio, 23 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO SEZIONE Terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2449/2020 promossa da: (...), c.f. (...), residente in Somma Lombardo Via (...), rappresentato e difeso dall'avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (...) ATTORE contro (...) , c.f. (...), residente in via (...) 22073 FINO MORNASCO (...) spa, corrente in Bologna via (...), rappresentata ed assistita dall'avv. (...) e con domicilio eletto presso e nello studio in Gallarate via (...) CONVENUTI OGGETTO: lesione personale CONCLUSIONI Per parte attrice: Richiamati tutti gli scritti difensivi e sulla scorta della CTu medico legale sulla persona dell'attore, allo stato si rassegnano le seguenti conclusioni: CONCLUSIONI danno biologico 40% E. 230.612,00 danno non patrimoniale (pers. 25%) E. 57.653,00 inab. Temp. Assoluta gg. 165 E. 16.335,00 inab. Temp. Parziale 75% gg.640 E. 47.520,00 inab. Temp. Parziale 50% gg.290 E. 14.355,00 spese mediche E. 1.598,07 E. 368.073,07 - Acconto del 04/02/20 E. 206.000,00 Importo E. 162.073.07 e/o nella diversa somma che il Giudice riterrà di giustizia. Oltre interessi dal giorno del fatto 20/03/2016 al versamento dell'acconto di E. 206.000,00 (04/02/20) e dal 04/02/20 al saldo; Oltre al riconoscimento del danno emergente e/o patrimoniale per la somma versata a codesto difensore per la fase stragiudiziale pari a E. 24.354,00 oltre spese generali Iva e Cap e per la fase introduttiva della negoziazione assistita pari a E. 2.000,00 oltre accessori di legge e spese vive pari a E. 6.50; con vittoria di spese, compensi professionali, oltre rimborso forfettario spese generali Iva e Cap come per legge. Per (...) s.p.a. piaccia al Tribunale ill.mo ogni contraria istanza disattesa giudicare: nel merito: previo declaratoria di corresponsabilità ex art. 2054 cc dell'attore nella produzione dell'evento di cui è causa, anche in applicazione dell'art. 1227 cc, ritenuta la congruità della offerta avanzata dalla comparente in data 4.2.20, respingere tutte le domande svolte contro la comparente, per i motivi illustrati. Esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) conveniva in giudizio (...) s.p.a. e (...) per sentir accertare la responsabilità di (...) in ordine al sinistro stradale del 20.3.2016, e per sentir condannare (...) s.p.a. ai sensi dell'art. 141 codice assicurazioni al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell'incidente. Adduceva che in data 20/03/2016 nel Comune di Cislago, egli si trovava alla guida del proprio motociclo "DUCATI MULTISTRADA" TG (...), a percorrere la via (...), quando l'autovettura VOLKSWAGEN GOLF" TG (...) di proprietà e condotta da (...) da (...) s.p.a., svoltava a sinistra omettendo di dare la precedenza precedenza e facendo sbalzare dalla moto l'attore. Sottolineava che la vettura della convenuta (...) era coperta da assicurazione rilasciata da (...) s.p.a. Precisava che, in conseguenza del sinistro, egli veniva ricoverato presso il reparto di Traumatologia dell'Ospedale di Niguarda di Milano, dove veniva diagnosticato "Politrauma della strada con frattura sovra condiloidea del femore destro"; successivamente egli rimaneva in ospedale fino al 06/04/16; dal 06/04/16 al 10/06/16 veniva ricoverato presso il reparto di riabilitazione dell'Ospedale di Somma Lombardo; seguirono ulteriori ricoveri e solo il 30/07/19 fu concesso la deambulazione libera senza stampelle. L'attore precisava di aver patito danno biologico temporaneo totale 102gg; danno biologico temporaneo parziale 75% 990gg; postumi permanenti con riferimento alla sola integrità psico-fisica del soggetto al 50%. Liquidava l'importo complessivo del danno biologico, inclusa personalizzazione, in Euro 525.730,65. Adduceva l'attore di avere già ricevuto da (...) s.p.a. il pagamento di euro 206.000,00 (perfezionato in data 04/02/20), a titolo di liquidazione del danno biologico. In punto di danni patrimoniali, adduceva di aver sostenuto spese mediche e di trasporto per la somma complessiva di Euro 8.816,15, di cui euro 6.000,00 già pagati dall'assicurazione (...) s.p.a. Adduceva infine di aver patito spese legali nei seguenti termini: compensi per la fase stragiudiziale pari a Euro 24.354,00, oltre accessori; compenso per la fase introduttiva della negoziazione assistita pari a Euro 2.000,00, oltre accessori. Conclusivamente l'attore, nell'atto di citazione e nella memoria ex art. 183 co. 6 n 1 c.p.c., domandava la condanna dei convenuti, in solido, al pagamento di euro 319.730,65, inclusivi dei danni patrimoniali (spese mediche) e non patrimoniali (danno biologico), già dedotti gli acconti ricevuti da (...) s.p.a. (euro 6000,00 per spese mediche, euro 206.000,00 per danno biologico); domandava inoltre la condanna di (...) al pagamento delle spese legali sopra indicate. In sede di precisazione delle conclusioni, l'attore riduceva il petitum di condanna ad euro 162.073.07. (...), pur a fronte di rituale notifica dell'atto introduttivo, non si costituiva in giudizio. Con comparsa si costituiva invece in giudizio (...) s.p.a. La convenuta eccepiva l'applicabilità dell'art. 2054 co. 2 c.c. e il concorso di colpa dell'attore nella causazione del sinistro, cui avrebbe contribuito l'eccessiva velocità tenuta dal motociclo. Contestava inoltre la quantificazione del danno prospettata dall'attore. La convenuta concludeva dunque per il rigetto della domanda attorea. Il Giudice disponeva ctu medico-legale sulla persona dell'attore. Concluso l'iter peritale, fissava udienza di precisazione delle conclusioni e concedeva termini ex art. 190 c.p.c. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice la domanda attorea merita accoglimento, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. Prima di procedere all'esame nel merito della domanda attorea, deve dichiararsi la contumacia di (...), che pur a fronte di regolare notifica dell'atto introduttivo non si è costituita in giudizio. In via preliminare, deve altresì osservarsi che la domanda attorea è proponibile, come del resto incontestato, in quanto è stata ritualmente preceduta dalla missiva dell'Attore alla compagnia assicurativa del responsabile civile, recante la richiesta di pagamento dell'indennizzo (doc. 17 attoreo), come prescritto dall'art. 145 d. lgs 7.09.2005 n. 209, Codice delle assicurazioni private, di seguito "CAP". 2.1 Accertamento della responsabilità in ordine alla causazione del sinistro. Ad avviso di questo Giudice, deve accertarsi in capo a (...) la esclusiva responsabilità del sinistro del 20.3.2016. In punto di diritto, deve anzitutto premettersi l'azione attorea dev'essere qualificata ai sensi dell'art. 2054 cc e 144 Codice assicurazioni private (diversamente da quanto prospettato dall'attore, che richiama l'art. 141 CAP). L'art. 2054 c.c. prevede una presunzione di responsabilità per i danni derivanti dalla circolazione del veicolo a carico di ciascun conducente, salvo che provi di avere fatto tutto il possibile per evitarli, nonché del proprietario, salvo che provi che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà. Per liberarsi da tale presunzione di responsabilità, il conducente deve rispettare di aver seguito e osservato tutte le regole dettate dal codice della strada e dalla comune prudenza, e individuare una causa del sinistro (ad esempio, il caso fortuito o la forza m(...)re) che sia estranea alla propria sfera di azione. L'art. 144 CAP consente l'azione risarcitoria diretta di chi sia danneggiato dalla circolazione del veicolo direttamente anche contro l'assicuratore RCA del veicolo, con il litisconsorzio necessario del responsabile civile. L'accertamento della responsabilità del conducente e proprietario del veicolo, fondata sulla presunzione di cui all'art. 2054 c.c., non esime il Giudice dal dovere di valutare il concorso di colpa del danneggiato, e non esonera quest'ultimo dall'onere di provare di aver fatto il possibile per evitare l'evento (Cass. n. 20439 del 2008). Nella ricostruzione del sinistro stradale, va attribuito un peso dirimente alla relazione di incidente stradale di cui al doc. 1 attoreo. In punto di valenza probatoria della relazione e degli accertamenti compiuti dalla polizia locale e stradale, è assunto consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale il verbale di intervento a un incidente stradale, che costituisce atto pubblico ex art. 2700 c.p.c. con riferimento ai fatti che il pubblico ufficiale attesti essere avvenuti in sua presenza, è liberamente valutabile dal giudice con riguardo alle altre circostanze che egli abbia accertato all'esito dei rilievi effettuati e delle dichiarazioni assunte nell'immediatezza del fatto. Ferma restando tale premessa, in ogni caso, la prova in questione assume un particolare grado di attendibilità intrinseca, che può esser infirmata solo da prova contraria. A tal riguardo, fra le tante, può citarsi la seguente condivisibile massima: "il rapporto di polizia fa piena prova, fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un'attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria" (Sez. 3, Sentenza n. 22662 del 09/09/2008, Rv. 604689 - 01). E' assunto parimenti noto, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo il quale le dichiarazioni rese dai soggetti coinvolti nell'incidente (o da testimoni) alla polizia locale o stradale, contenute nel verbale di intervento, costituiscono fonte probatoria meramente indiziaria, che può contribuire insieme alle altre prove a formare il convincimento del giudice (così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17249 del 14/11/2003, Rv. 568186 - 01). Analoga valenza probatoria è riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità agli schizzi planimetrici allegati alla relazione stradale. Orbene, nel caso di specie, come si desume dalla relazione di cui al doc. 1 attoreo (in particolare, pag. 1), l'intervento è stato effettuato circa venti minuti dopo il sinistro, avvenuto attorno alle ore 11.00 del 20.3.2016 in Cislago. Gli operanti hanno sentito le persone coinvolte del sinistro (doc. 1, pag. 2), e sulla base di tali deposizioni e dei rilievi effettuati hanno elaborato lo schizzo planimetrico allegato alla relazione (doc. 1, pag. 3). Le risultanze della relazione dunque, prive di valenza probatoria legale, sono soggette al libero apprezzamento del Giudice. Orbene, alla luce del tenore della relazione, deve ritenersi che la stessa sia pienamente attendibile quanto alla ricostruzione del sinistro, ed in particolare alla individuazione dei fatti e dei dati che comprovano la negligenza di (...), cui deve ascriversi la piena ed esclusiva responsabilità della causazione del sinistro. Per contro, la relazione non può ritenersi idonea a provare in questa sede l'eccessiva velocità del motociclo condotto dall'attoree, pur prospettata dalla parte convenuta (...) s.p.a. Onde giustificare tale conclusione, deve esaminarsi il contenuto del rapporto in parola. La relazione attesta di una collisione avvenuta fra l'automobile Volkswagen Golf targata (...) di proprietà di e condotta da (...), assicurata da (...) s.p.a., e il motociclo Ducati targato (...), condotto dall'odierno attore. Lo scontro fra i due veicoli, avvenuto in via (...) in Cislago, ha coinvolto una vettura BMW parcheggiata sul ciglio della strada, sulla quale il motociclo è andato a impattare dopo lo scontro con l'auto guidata da (...). La relazione riporta le dichiarazioni rese da due persone coinvolte nel sinistro: (...), passeggero dell'autovettura condotta da (...), e la stessa (...). Il primo ha dichiarato che l'impatto della moto sull'autovettura è avvenuto nel momento in cui quest'ultima stava svoltando a sinistra. La seconda ha fornito ulteriori e rilevanti precisazioni, sottolineando di aver intrapreso la manovra di svolta senza prestare attenzione, e di essersi vista quindi colpire dal motociclo; ha altresì sottolineato che la propria vettura, al momento della collisione, si trovata poco oltre la linea di mezzeria di via (...). La ricostruzione offerta da (...) ha trovato conferma nei rilievi eseguiti dagli operanti e negli schizzi planimetrici dagli stessi elaborati, i quali collocano il punto d'impatto poco dopo la linea di mezzeria della via (...), all'altezza dell'incrocio con via (...). Il verbalizzante ha dunque concluso accertando due violazioni del codice della strada, da parte di (...): l'omessa precedenza (art. 145 comma 2 del Codice appena citato); il cambiamento di corsia con manovra pericolosa (art. 154 co. 1 e co. 8 del Codice). Le emergenze probatorie sin qui compendiate, invero pacifiche ed incontestate dalle parti, danno conto della esclusiva responsabilità di (...) in ordine alla causazione del sinistro in parola. Le stesse infatti sono concordi nel dimostrare che esso è avvenuto al momento della svolta compiuta da (...) ed in ragione di detta manovra, compiuta dalla convenuta senza la dovuta prudenza ed attenzione. Per contro, dalle risultanze della relazione non emerge, fra le cause del sinistro, alcuna condotta riconducibile ad (...). Invero, la relazione ha accertato in capo a quest'ultimo una violazione del Codice della Strada, ritenendo eccessiva la velocità di approssimazione all'incrocio. Al riguardo devono tuttavia svolgersi due rilievi. In primo luogo, il rapporto, come peraltro rilevato dal Giudice di Pace nella sentenza di cui al doc. 2 attoreo, non fornisce gli elementi fattuali da cui desume tale accertamento, e pertanto non può ritenersi idoneo - anche nel presente giudizio - a provare dimostrare la violazione del codice della Strada imputata ad (...). Né tale violazione potrebbe desumersi dai danni, sicuramente ingenti, occorsi al motociclo e alla persona dell'attore. Infatti, per circostanza incontestata, il motociclo ha impattato contro un'autovettura in sosta, dopo l'impatto con la vettura di (...): tale secondo impatto ha ragionevolmente contribuito al prodursi delle conseguenze dannose. Inoltre, è in ogni caso dirimente osservare che, quale che fosse la velocità del motociclo, non vi è alcuna prova che la stessa abbia contribuito alla causazione del sinistro, il quale per contro risulta attendibilmente cagionato dalla manovra di (...). Pertanto, non sussistono gli estremi per l'applicazione dell'art. 2054 co. 2 c.c. La giurisprudenza ha chiarito che la presunzione di pari responsabilità prevista dall'art. 2054 co. 2 c.c. ha carattere sussidiario, dovendosi applicare solo nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro (e anche quando non sia possibile accertare il comportamento specifico che ha causato il danno: v. Cass., 26253/2007). Nel caso di specie, gli accertamenti effettuati consentono di accertare le dinamiche del sinistro e le responsabilità in ordine alla sua causazione: la presunzione dunque non può trovare applicazione. Parimenti, non si ravvisano gli estremi del concorso di colpa ex art. 1227 c.c., invocato da parte convenuta. Infatti, nessun elemento probatorio, come si è osservato, consente di ascrivere all'attore (neppure in parte) la causazione del sinistro. 2.2. Accertamento e quantificazione dei danni. In punto di accertamento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, sin d'ora è il caso di evidenziare che le conclusioni cui è giunto il CTU sono sostanzialmente condivisibili ed idonee ad essere poste a fondamento della decisione, in quanto raggiunta sulla scorta della visita medico legale del danneggiato e dell'esame di documenti tutti ritualmente versati in causa, le operazioni peritali si sono svolte nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e le valutazioni del CTU risultano supportate da regole scientifiche medico legali condivise dalla comunità scientifica sviluppate ed applicate secondo un percorso argomentativo immune da vizi logici. Il CTU ha accertato il danno biologico come segue (pag. 15 della relazione): - Danno temporaneo al 100 %: gg. 165; - Danno temporaneo al 75 %: gg 640; - Danno temporaneo al 50 %: gg. 290; - Danno biologico permanente: 40 %. Il ctu si è soffermato sul nesso causale fra danno biologico e sinistro, concludendo condivisibilmente che "sulla base dei criteri metodologici che regolano il rapporto causale in ambito medico-legale, risulta riconoscibile nella fattispecie la sussistenza del nesso di causalità materiale tra antecedente traumatico e lesività accertata, tra l'incidente e le plurime lesioni patite agli arti inferiori dall'(...), risultando in effetti pienamente soddisfatta la criteriologia medico-legale sotto il profilo cronologico, topografico, di efficienza quali-quantitativa del mezzo lesivo, di continuità sintomatologica, nonché di esclusione di altre cause preesistenti o sopravvenute" (pag. 13 della relazione). Per quanto attiene ai danni patrimoniali, CTU ha accertato e ritenuto congrue e pertinenti spese mediche per complessivi Euro 1.598,07, sostenute in relazione a: stampella, visita ortopedica, carrozzina, esame del sangue, noleggio Kinetec del luglio 2019, noleggio Kinetec del settembre 2019; noleggio carrozzina, noleggio deambulatore, cavigliera, tutore ginocchio, cavigliera aircast. Il ctu ha escluso la sussistenza di prevedibili spese future. Ha ritenuto non pertinenti invece le spese, pur documentate in atti, relative a: Busto C35, ecoaddome, certificato invalidità civile. Deve ora procedersi alla liquidazione del danno. Prendendo le mosse dal danno biologico, trattandosi di danno di non lieve entità, il danno va quantificato in via equitativa con applicazione dei parametri forniti dalle cd tabelle milanesi, come affermato dalla Corte di legittimità nella nota pronuncia Cass. civ., sez. 3, 30.06.2011, n. 14402. La liquidazione deve avvenire avuto riguardo ai valori attuali alla data della pronuncia (Cass. civ., sez. 3, 21.12.2015 n. 25615) e con riferimento all'età del danneggiato alla data di cessazione della IT accertata (ex multis: Cass. civ., sez. 3, 19.12.2014 n. 26897) e con la precisazione che l'adozione delle voci di danno non patrimoniale (biologico, morale e personalizzazione/esistenziale) risponde ad esigenze puramente descrittive, trattandosi di un unico danno da liquidare unitariamente. La liquidazione costituisce applicazione delle tabelle milanesi attualmente vigenti, da ultimo comunicate dall'Osservatorio della giurisprudenza del Tribunale di Milano nel 2021. Con riferimento ai valori indicati nella predette Tabelle - utilizzati dal giudicante come parametro di partenza per giungere ad una liquidazione equitativa del danno da perdita di chance- si osserva come, nel caso di specie si possa ancora fare applicazione delle tabelle elaborate da questo Tribunale comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell'integrità psico/fisica - criterio di liquidazione condiviso dalla Suprema Corte (Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2011 n. 28290). Infatti, pur tenendo conto dell'insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e dell'intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 C.d.A. come modificati dall'art. 1, comma 17, della legge 4 agosto 2017, n. 124 - la cui nuova rubrica ("danno non patrimoniale", sostituiva della precedente, "danno biologico"), ed il cui contenuto consentono di distinguere, secondo un'interpretazione letterale che rende inutile il ricorso agli ulteriori criteri interpretativi, definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale - nel caso in esame, alla luce dell'entità delle lesioni, della peculiarità delle stesse (come descritte nella relazione di CTU), delle allegazioni di parte attrice e delle dichiarazioni dei testi, è possibile valutare, con i criteri di cui alle richiamate tabelle, sia l'aspetto interiore del danno sofferto quanto quello dinamico-relazione. Nel caso di specie l'attore, nato il 16.5.1959, alla data di stabilizzazione dei postumi (avvenuta il 20.3.2019) aveva 59 anni. Ora, le tabelle milanesi attualmente vigenti, relative alle liquidazioni in valuta attuale del danno biologico permanente, fissano la liquidazione per un danno del 40% per una persona di 59 anni nella misura di Euro 227.409,00, in valuta attuale. L'importo appena indicato è inclusivo della m(...)razione per danno c.d. morale da sofferenza interiore. Tale m(...)razione trova giustificazione nel caso di specie nelle condivisibili conclusioni del ctu, il quale ha accertato una sofferenza pari a 2, su una scala da 1 a 5, e dunque apprezzabili ripercussioni sul piano morale. Venendo al danno da inabilità temporanea, esso dev'essere liquidato come segue: danno da inabilità temporanea assoluta pari a euro Euro 16.335,00; danno da inabilità temporanea al 75% pari a Euro 47.520,00; danno da inabilità temporanea al 50% pari a Euro 14.355,00. L'importo complessivo del danno da inabilità temporanea, comprensivo del danno c.d. morale e calcolato in valuta attuale, è pari a Euro 78.210,00. Conclusivamente, sommando la cifra relativa al danno inabilità temporanea all'ammontare del danno da invalidità permanente, si ottiene l'importo complessivo spettante alla parte attrice a titolo di risarcimento del danno alla salute, pari a Euro 305.619,00, già rivalutato ad oggi. In relazione al danno biologico così calcolato, non si ritiene di dover applicare la maggiorazione aggiuntiva correlata alla c.d. personalizzazione. Come noto, la giurisprudenza di legittimità riconosce un potere discrezionale al giudice di merito per quanto attiene alla c.d. personalizzazione, chiarendo che quest'ultima, legata alle irripetibili peculiarità del caso concreto, può essere riconosciuta solo ove sia dimostrata la sussistenza di particolari conseguenze dannose che esulano dal novero dei danni statisticamente connessi al fatto illecito (così Cass. n. 2788 del 2019). Invero parte attrice non ha dedotto né dimostrato conseguenze dannose specifiche che esulino dall'ordinario novero delle ripercussioni negative riconducibili al suo grado di compromissione dell'integrità psico-fisica. Non possono infatti considerarsi quali conseguenze peculiari ed "irripetibili" l'impossibilità di proseguire la pratica di alcune attività sportive, o l'impatto del ricovero ospedaliero sulla vita di relazione: tali conseguenze dannose, benché indubbiamente apprezzabili, non risultano quali eccezionali ed uniche, e pertanto il loro risarcimento viene assorbito con la liquidazione del punto di danno non patrimoniale appena calcolato. Sull'importo complessivo del danno biologico pari a Euro 305.619,00, devono essere riconosciuti alla parte attrice gli interessi moratori al tasso legale dalla sentenza al saldo. Non si ritiene di dover riconoscere gli interessi compensativi. L'applicazione di tali interessi, come chiarito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1111 del 2020) è facoltativa per il Giudice, che può non riconoscerli laddove il danneggiato ometta di dedurre, rispetto al mancato godimento dell'importo risarcitorio, conseguenze dannose specifiche, non risarcibili mediante la mera rivalutazione. Nel caso di specie la domanda attorea non rispetta, neppure sul piano dell'allegazione, tale requisito. Per quanto attiene ai danni patrimoniali, le spese già sostenute e ritenute congrue dal ctu, come si è detto, ammontano a Euro 1598,07: rivalutate dal 20.3.2016 ad oggi, le stesse ammontano a Euro 1.901,70. Anche su tale somma sono dovuti gli interessi moratori al s(...) legale dalla sentenza al saldo. Sommando i danni patrimoniali a quelli non patrimoniali, si ottiene il complessivo importo di euro 307.520,70 (già rivalutato ad oggi), oltre interessi moratori al saggio legale dalla sentenza al saldo, che spettano all'attore a titolo di risarcimento del danno. Orbene, deve a questo punto darsi atto che, per circostanza pacifica ed incontestata, parte convenuta (...) ha già versato a parte attrice, a titolo di risarcimento del danno biologico per il sinistro oggetto del presente giudizio, l'importo di Euro 206.000,00. Effettuando la differenza fra il danno accertato e liquidato in questa sede (pari a complessivi euro 307.520,70) e l'importo già complessivamente versato dalla convenuta a titolo di acconto, si ottiene l'importo di euro 101.520,70. (...) dev'essere condannata a versare in favore di parte attrice l'importo anzidetto, già rivalutato ad oggi, oltre interessi moratori al s(...) legale dalla sentenza al saldo. E' altresì incontestato che (...) abbia versato all'attore, a titolo di risarcimento delle spese mediche, l'importo di euro 6000,00. Detta somma tuttavia non dev'essere sottratta dal valore complessivo del danno accertato in questa sede, considerato che - a quanto si evince dal foglio di precisazione delle conclusioni telematicamente depositato da parte attrice - le spese mediche quantificate dall'attore in euro 1598,07 sono ulteriori e diverse rispetto a quelle che erano già state liquidate dalla compagnia assicurativa. 2.3. Spese di lite. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatoti: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ, sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie, i convenuti sono risultati integralmente soccombenti, e pertanto devono essere condannati in solido alla rifusione delle spese in favore dell'attore. Le spese si liquidano con applicazione del dm n. 55/2014. Segnatamente, si reputano congrui i parametri medi previsti per i giudizi avanti al Tribunale per lo scaglione di valore applicabile per le fasi introduttiva, di studio, istruttoria e decisionale, per complessivi Euro 14.103,00 per compenso. Spettano altresì all'attore Euro 1241,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria), oltre 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. Le spese di ctu devono essere poste definitivamente a carico dei convenuti in solido, al 50% a carico di (...) e per il restante 50% a carico di (...) s.p.a. Ad avviso di questo Giudice, non possono essere liquidate in favore dell'attore le spese legali per assistenza stragiudiziale e negoziazione assistita, documentate dalle note pro forma di cui ai doc. 24 e 25 attorei. Con riguardo alle attività di assistenza stragiudiziale, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che esse "hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per l'attività svolta da un legale nella fase pre-contenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri di domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle spese processuali vere e proprie" (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 24481 del 04/11/2020, Rv. 659763 - 02) Coerentemente con tale premessa, la Cassazione ha condivisibilmente subordinato la risarcibilità di tali spese alla prove che l'attività stragiudiziale abbia avuto in concreto utilità per evitare il giudizio o per assicurare una tutela più rapida risolvendo problemi tecnici di qualche complessità (Cass., sentenza n. 9548 del 13/04/2017), precisando altresì che la valutazione prognostica di utilità deve essere effettuata "ex ante", avuto riguardo a quello che poteva ragionevolmente presumersi essere l'esito del futuro giudizio e sulla base delle prove in possesso del danneggiato (Cass. n. 6422 del 2017). Al medesimo regime soggiacciono le spese legali sostenute per la negoziazione assistita prima del giudizio, risarcibili solo nell'ipotesi in cui le stesse siano state ex ante idonee ad una conclusione stragiudiziale. Orbene, nel caso di specie non vi è prova della idoneità dell'attività difensiva, in base ad una valutazione ex ante, ad una stragiudiziale definizione della controversia. Invero, la missiva di messa in mora del marzo 2016 (doc 3 attoreo) e le successive missive di quantificazione del danno di cui ai doc. 17 e 20 attorei, non forniscono alcuna motivazione in merito alle ragioni per le quali la responsabilità del sinistro sarebbe da ascriversi esclusivamente alla responsabilità di (...), e pertanto non risultano idonee a porre le basi per una soluzione conciliativa. A fronte della missiva di (...) di cui al doc. 22 attoreo, che ha ravvisato un concorso di colpa del 30% del danneggiato nel sinistro per cui è causa, la lettera di invito alla negoziazione assistita di cui al doc. 23 attoreo insiste in una richiesta risarcitoria piena, senza motivare le ragioni di tale posizione. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: 1) dichiara la contumacia di (...); 2) in accoglimento della domanda svolta da (...) nei confronti dei convenuti, e per l'effetto: 1.1) accerta la esclusiva responsabilità di (...) in relazione al sinistro del 20.3.2016; 1.2) condanna (...) s.p.a. al pagamento in favore dell'attore di euro 101.520,70, già rivalutati ad oggi, oltre interessi come indicati in motivazione, a titolo di risarcimento del danno. 3) rigetta la domanda di condanna svolta da (...) per la parte residua; 4) condanna in solido (...) s.p.a. e (...) al pagamento delle spese di lite in favore dell'attore, che si liquidano come segue: Euro 14.103,00 per compenso; Euro 1241,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria); 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali; CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. 5) pone le spese di CTU definitivamente a carico dei convenuti in solido, ripartendole nei rapporti interni come segue: per il 50 % a carico di (...) s.p.a., e per il residuo 50% a carico di (...). Sentenza provvisoriamente esecutiva quanto alle statuizioni di condanna ed emessa a Busto Arsizio, 15 aprile 2023 e sottoscritta con firma digitale certificata.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO SECONDA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Milton D'Ambra, in funzione di Giudice Unico, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di primo grado, in epigrafe rubricata, promossa con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2021 ad istanza di parte attrice a mezzo messaggio di p.e.c. all'indirizzo telematico di parte convenuta. PROMOSSA DA FALLIMENTO (...) S.P.A., (...), in persona del Curatore fallimentare autorizzato dal Giudice delegato con decreto del 7 novembre 2020, con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. CH.PI., che lo rappresenta e difende, come da procura alle liti allegata all'atto di citazione. PARTE ATTRICE CONTRO (...), (...), nato a T. (F.), il (...), residente a B. A., Via P. n. 6, con domicilio telematico eletto presso l'indirizzo di p.e.c. dell'Avv. LU.GR., che lo rappresenta e difende come da procura alle liti depositata unitamente alla comparsa di costituzione e risposta. PARTE CONVENUTA OGGETTO: Azione di responsabilità del Curatore fallimentare (art. 38, co. 2, L. Fall.). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione regolarmente notificato alla controparte in data 10 marzo 2021, il Fallimento attore conveniva in giudizio il Dott. (...) deducendo l'inadempimento del medesimo agli obblighi su di lui gravanti dalla data di nomina a Curatore del Fallimento (...) S.P.A. (9 giugno 2009) fino alla data di revoca disposta dal Tribunale (11 settembre 2015) e chiedendo la sua condanna al risarcimento del danno quantificato in complessivi Euro 1.335.013,59. A fondamento della domanda risarcitoria, il Fallimento attore, in persona del Curatore subentrato, deduceva due profili di responsabilità: - aver effettuato pagamenti in favore dei dipendenti e dell'INPS in assenza di loro formale insinuazione allo stato passivo; - aver omesso l'avvio della fase di liquidazione del patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare. Ciò premesso, chiedeva la condanna al risarcimento del danno, quantificato, quanto al primo profilo, in Euro (673.821,27 + 396.674,40) in relazione ai pagamenti effettuati in favore dei dipendenti (TFR, ferie, permessi, tredicesime e contributi ai fondi previdenziali) e in favore dell'INPS e, quanto al secondo profilo, in Euro 264.517,93 in relazione ai costi e alle spese maturati e sostenuti dal Fallimento in conseguenza dell'omesso avvio della fase di liquidazione dell'attivo per il pagamento di crediti aventi natura prededucibile (imposte, costi per l'assicurazione e spese condominiali gravanti sugli immobili). Si costituiva con comparsa tempestivamente depositata in data 3 giugno 2021 il Dott. (...) contestando gli addebiti formulati e chiedendo, in via principale, il rigetto della domanda risarcitoria e, in via subordinata, la riduzione della pretesa eccependo il concorso di colpa del Fallimento attore nella causazione del danno. All'udienza di prima comparizione e trattazione del 30 giugno 2021 veniva disposta la comparizione personale delle parti, per tentare la conciliazione. All'udienza di comparizione del 12 ottobre 2021 si procedeva ad interrogare liberamente il convenuto personalmente e, all'esito, veniva formulata alle parti una proposta conciliativa (pagamento della somma di Euro 85.000,00) che, in seguito, veniva accettata dalla parte convenuta ma respinta dal Fallimento attore. Assegnati alle parti i termini istruttori, all'udienza del 6 giugno 2022 venivano respinti tutti i richiesti capitoli di prova orale. Veniva, altresì, ordinato al Fallimento attore l'esibizione dei seguenti atti e documentati del Fascicolo fallimentare non già depositati (programma di liquidazione redatto dal Curatore convenuto; tutte le relazioni periodiche semestrali fino alla data di revoca; tutti rapporti informativi relativi all'esercizio provvisorio; verbale di rendiconto dell'esercizio provvisorio; decreto di proroga e chiusura dell'esercizio provvisorio; tutte le istanze di prelievo e le relative autorizzazioni del G.D.), oltre ad un prospetto riepilogativo delle maggiori imposte e spese maturate, anno per anno, in relazione a ciascuna delle masse immobiliari acquisite all'attivo fallimentare. All'udienza di esame della documentazione oggetto dell'ordine di esibizione, esaurita la trattazione ed istruzione della controversia, le parti venivano invitate a precisare le conclusioni e, previa assegnazione di termine per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa veniva trattenuta in decisione all'udienza cartolare del 30 novembre 2022. MOTIVI DELLA DECISIONE Giova, in primo luogo, richiamare i fatti relativi al periodo in cui il DOTT. (...) assumeva la carica di Curatore fallimentare del Fallimento (...) S.P.A. (4 giugno 2009 - 11 settembre 2015). La (...) S.P.A., società fondata a Gallarate nel 1949 e attiva nella produzione e nel commercio di elettrodomestici, anche nel mercato europeo e nordamericano, veniva dichiarata fallita, su istanza degli istituti di credito, con sentenza del 4 giugno 2009. Al momento della dichiarazione di fallimento, la società era nel pieno della sua attività di produzione e vendita, con ordini da evadere e 107 dipendenti (lo stato di insolvenza derivava essenzialmente da tensioni finanziarie, conseguenti anche alla crisi del sistema creditizio iniziata nell'agosto 2008, che avevano provocato carenza di liquidità e l'impossibilità per la società di provvedere con regolarità all'adempimento delle proprie obbligazioni). Per questa ragione, con la dichiarazione di fallimento il Tribunale autorizzava l'esercizio provvisorio, col deliberato fine di salvaguardare i livelli occupazionali e l'integrità dell'avviamento d'azienda e del marchio d'impresa (a seguito della fusione attuata il 18 settembre 2007, la società aveva incorporato altre società alla stessa collegate e, già dal 2005, aveva stabilito filiali in F., S., P. e negli Stati U.); scopo dell'esercizio provvisorio era, pertanto, rintracciare, tempestivamente, sul mercato la disponibilità di qualche operatore di settore disposto ad acquisire l'azienda nella sua integrità economico-giuridica, evitando così la vendita atomistica dei singoli cespiti. L'odierno convenuto era nominato Curatore fallimentare e, fra i primi atti della Curatela, vi era, pertanto, la richiesta della CIGS con sospensione integrale dell'attività lavorativa per tutti i prestatori di lavoro (c.d. CIGS a zero ore) e l'avvio dell'offerta pubblica di vendita dell'azienda. Già a poche settimane dalla dichiarazione di fallimento, in data 23 luglio 2009 perveniva, quindi, al Fallimento la proposta irrevocabile d'acquisto di ramo d'azienda da parte della (...) S.R.L. facente capo al noto (...); il ramo d'azienda oggetto della proposta di acquisto era costituito dalla giacenza di magazzino composto da merci (materie prime e semilavorati), dai beni mobili aziendali (macchinari, impianti di produzione ed attrezzature, con le relative licenze), dai rapporti commerciali derivanti da tutti gli ordini dei clienti successivi alla data della proposta, dal marchio "(...)", con ogni IP collegata, nonché dall'elenco dei clienti e dal relativo avviamento. Dal ramo d'azienda era escluso tutto il patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare; si trattava di due fabbricati e tre terreni a Gallarate che sarebbero stati suddivisi dal nominato Perito estimatore in n. 5 Lotti immobiliari, il più importante dei quali era rappresentato dall'opificio industriale di Via (...) nel quale avveniva la produzione industriale. Gli elementi essenziali della proposta irrevocabile d'acquisto (doc. 2 fasc. parte convenuta) erano i seguenti: - prezzo di acquisto pari ad Euro 850.000,00 con pagamento immediato di una caparra pari ad Euro 500.000,00; - impegno della proponente ad effettuare investimenti per Euro 1.500.000,00 nei tre anni successivi al 1 ottobre 2009, con integrale mantenimento del personale ed esercizio della produzione nello storico stabilimento industriale di Gallarate, da condurre in comodato d'uso gratuito. Tra le condizioni ritenute essenziali dal (...) per la conclusione del contratto di cessione d'azienda vi era quella, secondo cui sarebbero rimasti esclusivamente in capo alla Fallita tutti i debiti verso i prestatori di lavoro maturati fino alla data del trasferimento (TFR, retribuzioni, ratei di ferie, rol, ex festività, mensilità aggiuntive), secondo quanto espressamente previsto dall'art. 47, co. 5, L. n. 428 del 1990 (disposizione che, in parte qua, deroga alla disciplina di diritto comune di cui all'art. 2112 c.c. nel caso in cui il trasferimento d'azienda avvenga nell'ambito di procedure concorsuali). Ciascun rapporto di lavoro sarebbe stato, comunque, oggetto di un verbale di conciliazione individuale in sede protetta (art. 411 c.p.c.), sulla base di una previa intesa a livello collettivo (c.d. Accordo quadro) da concludere con le Organizzazioni Sindacali. La proposta era dichiarata irrevocabile fino al 30 luglio 2009. Sottoposta agli Organi della procedura, la medesima veniva autorizzata dal Comitato dei creditori e dal Giudice delegato in data 29 luglio 2009, venendo ritenuta dallo stesso Giudice delegato "di assoluta necessità stante l'assenza di ulteriori offerte convenienti" (doc. 3 fasc. parte convenuta); nel decreto con cui, ai sensi dell'art. 104 L. Fall., il Giudice delegato autorizzava il Curatore ad accettare la proposta veniva, in particolare, rilevato che il prezzo di acquisto era da ritenersi congruo rispetto ai valori di stima acquisita agli atti e che "con l'accettazione della proposta si otterrà di fatto la ripresa produttiva dell'impresa con evidenti vantaggi occupazionali per le maestranze alla luce anche della considerazione che, come da proposta, si eviteranno alla procedura i noti ed indubbi svantaggi derivanti dalla perdita definitiva, come sarebbe, dei posti di lavoro delle maestranze"; ancora, "appare pure congrua la proposta di comodato di 5 mila mq. del capannone della Fallita per tre anni dalla stipula del definitivo" (doc. 3 fasc. parte convenuta). In data 29 settembre 2009 il Curatore veniva autorizzato dal Giudice delegato e dal Comitato dei creditori a stipulare l'atto di cessione d'azienda e a sottoscrivere l'Accordo quadro con le OO.SS. Veniva, così, sottoscritto dal Fallimento cedente e dalla società cessionaria, da un lato, e dalle OO.SS. di categoria, dall'altro, l'Accordo quadro per consentire alla cessionaria di accedere, nelle more del triennio contemplato dal Piano industriale, al beneficio della CIGS prevista in caso di riorganizzazione aziendale (doc. 3 fasc. parte convenuta, All. B); l'art. 3 dell'Accordo quadro confermava la pattuizione relativa al mantenimento in capo al Fallimento cedente di tutto il debito maturato nei confronti dei prestatori di lavoro trasferiti alla cessionaria (...) S.R.L. ("le parti convengono che con effetto dal 01/10/2009 siano trasferiti a (...) S.R.L. tutti i lavoratori in forza alla data odierna, con mantenimento, in capo alla fallita, dei TFR maturati alla data di trasferimento, nonché dei ratei di ferie, rol, ex festività, mensilità aggiuntive, nonché di ogni qualsivoglia spettanza dovuta agli stessi in dipendenza del rapporto di lavoro con la (...) S.P.A. ai sensi del comma 5 dell'art. 47 della L. 29 dicembre 1990, n. 428"), mentre ai sensi del successivo art. 9 veniva previsto che i dipendenti avrebbero sottoscritto appositi verbali di conciliazione individuale ex art. 411 c.p.c., dal contenuto corrispondente alle intese raggiunte in sede di accordi sindacali in ordine al trasferimento d'azienda. Con contratto stipulato in data (...) a rogito Notaio G.F. in B. del G. (Rep. n. (...), Racc. n. (...)) veniva trasferito il ramo d'azienda per il prezzo pagato di Euro 850.000,00 con decorrenza dal 1 ottobre 2009; nell'art. 3a) era testualmente previsto che "i debiti e crediti di ogni specie maturati al 30 settembre 2009 relativi ad operazioni del ramo di azienda ceduto rimangono a carico ed a favore della cedente", mentre con l'art. 7 viene integrato all'atto di cessione il contenuto dell'Accordo quadro sottoscritto con le OO.SS.. Stante la previsione relativa al Piano industriale triennale con collegata pattuizione di comodato ad uso gratuito del compendio immobiliare industriale di Via (...) a Gallarate, l'esercizio provvisorio proseguiva. Così, successivamente alla stipula dell'atto di cessione d'azienda e alla sottoscrizione dell'Accordo quadro con le OO.SS., venivano conclusi in sede sindacale i verbali di conciliazione con i prestatori di lavoro, in esecuzione dei quali, nel semestre successivo, il Curatore convenuto provvedeva al pagamento del "debito verso dipendenti" (Euro 848.176,27), dei "debiti verso INAIL e INPS" (Euro 12.614,39) e dei "debiti verso fondi di previdenza complementare" (Euro 18.622,60); tanto emerge dallo Stato patrimoniale depositato unitamente alla Prima Relazione semestrale depositata dal Curatore in data 8 febbraio 2010 e sottoscritta dai membri del Comitato dei creditori il 4 febbraio 2010 (doc. 12 fasc. parte attrice). Con la Seconda Relazione semestrale del 30 luglio 2010 (doc. 13 fasc. parte attrice) veniva depositato un nuovo Stato patrimoniale aggiornato e si dava espressamente atto che nel semestre di riferimento era stato corrisposto il TFR a tutti i lavoratori dipendenti. Successivamente a tale data, il Curatore non depositava più alcuna Relazione semestrale e, nonostante il decorso del triennio 2009-2012, veniva omessa tutta l'attività di programmazione e attuazione relativa alla liquidazione dell'intero patrimonio immobiliare acquisito all'attivo fallimentare ed escluso dal perimetro del ramo d'azienda ceduto il 29 settembre 2009. Con decreto del 15 maggio 2015 il Tribunale convocava il Curatore convenuto avanti al Collegio per ottenere chiarimenti in ordine alle seguenti criticità riscontrate dal Giudice delegato (doc. 14 fasc. parte attrice): i) il mancato deposito del programma di liquidazione; ii) il mancato deposito delle Relazioni semestrali di cui all'art. 33, co. 5. L. Fall. per il periodo successivo al secondo semestre 2010; iii) la mancanza di informazioni in relazione alla sorte dell'immobile ove era esercitata l'attività dopo il termine del 31 dicembre 2012 (e più precisamente "se successivamente allo spirare del termine del 31.12.2012 fissato nel contratto di cessione d'azienda concluso con (...) srl, l'immobile concesso alla concessionaria in comodato gratuito sia stato riconsegnato al Curatore"); iv) la mancata effettuazione di riparti parziali a fronte dell'incasso di cospicue somme. Il Curatore compariva all'udienza del 20 maggio 2015 e forniva oralmente i chiarimenti richiesti dal Tribunale. Il 9 giugno 2015 il Curatore depositava una Relazione di aggiornamento (doc. 15 fasc. parte attrice) nella quale riepilogava il contenuto della prima e della seconda Relazione semestrale, dichiarando che: a) l'esercizio provvisorio doveva ritenersi di fatto concluso all'8 giugno 2010; b) non erano state depositate relazioni successive "poiché nulla è accaduto in relazione all'esercizio provvisorio"; c) l'esercizio provvisorio era rimasto in essere al fine di giustificare la presentazione di una domanda di accesso ad un bando per l'erogazione di fondi (per la quale, diversamente, non vi sarebbero stati i presupposti); d) le retribuzioni corrisposte per il mese di maggio 2009 (il mese antecedente alla dichiarazione di fallimento) erano pari ad Euro 80.614,90; e) era stata depositato, con separata istanza, il Rendiconto finale dell'esercizio provvisorio (istanza, tuttavia, non reperita, come rilevato anche dal Tribunale nel provvedimento di revoca dell'11 settembre 2015); f) era stato realizzato tutto l'attivo, ad esclusione degli immobili. In data 11 settembre 2015, il Tribunale revocava il DOTT. (...) dalla carica nominando quale nuovo Curatore il dott. (...) (doc. 17 fasc. parte attrice). In particolare, gli inadempimenti rilevati e sulla base dei quali era stata disposta la revoca erano i seguenti: a) mancato deposito del Programma di liquidazione; b) mancato esperimento di qualsiasi tentativo di vendita relativo al Compendio immobiliare della Fallita; c) mancato deposito delle Relazioni semestrali di cui all'art. 33, co. 5, L. Fall., a far data dal 30 luglio 2010, posto che "le sette relazioni di aggiornamento non hanno il contenuto, né rispettano i termini, di cui alla norma richiamata e non sono accompagnate dal conto della gestione"; d) mancato deposito dei Rendiconti semestrali o, comunque, del Rendiconto finale dell'esercizio provvisorio, secondo quanto previsto dall'art. 104, co. 5, L. Fall.; e) concessione "di fatto" in comodato gratuito alla società che ha acquistato l'azienda di una parte dell'insediamento produttivo di Via C. n. 98 a Gallarate e successivamente allo spirare del termine del 31 dicembre 2012. Il Curatore subentrato provvedeva, tra il 2016 e il 2019, alla liquidazione del patrimonio immobiliare acquisito all'attivo (doc. da 18 a 23 fasc. parte attrice) ricavando dalla vendita dei Lotti formati la complessiva somma di Euro 1.959.500,00. Una parte considerevole del ricavato derivante dalla vendita delle cinque masse immobiliari veniva, nondimeno, destinato al pagamento fuori riparto dei c.d. debiti di massa, rappresentati dalle imposte locali (IMU e TASI), dai premi assicurativi e dalle spese condominiali maturati dalla data di dichiarazione del fallimento e fino alla vendita, essendo tali crediti divenuti esigibili proprio a seguito del trasferimento della proprietà: il Curatore subentrato sosteneva, pertanto, costi per complessivi Euro 224.351,26 (doc. da 24 a 28 fasc. parte attrice). Provvedeva, pertanto, a predisporre il Rendiconto finalizzato al riparto finale delle residue disponibilità liquide pari a circa Euro 1.500.000,00. Nelle more chiedeva ed otteneva, in data 7 novembre 2020, l'autorizzazione di cui all'art. 25 n. 6) L. Fall. per procedere nei confronti dell'odierno convenuto mediante azione di responsabilità ai sensi dell'art. 38, co. 2, L. Fall.. Preliminarmente è opportuno precisare che la competenza a decidere la domanda di risarcimento dei danni causati dal curatore revocato al Fallimento spetta, in questo caso, al Tribunale in composizione monocratica. Per vero, la speciale azione risarcitoria di cui all'art. 38, co. 2, L. Fall. può essere esperita dal Curatore subentrato o in sede di contestazione del rendiconto, nell'ambito del procedimento disciplinato dall'art. 116, co. 4, L. Fall. che prevede la devoluzione al Collegio di tutte le questioni che sorgono a seguito dell'introduzione del giudizio di conto nei confronti del medesimo Curatore (e, pertanto, anche del danno cagionato con condotta negligente o in violazione degli obblighi imposti dalla legge e dalla natura dell'incarico) o in via ordinaria e previa autorizzazione a procedere del Giudice delegato attraverso l'introduzione di un giudizio di cognizione ordinario finalizzato all'accertamento della responsabilità (contrattuale) del Curatore revocato e alla conseguente condanna al risarcimento del danno cagionato (Cass. n. 18438 del 2011: "l'azione di responsabilità - che investe il merito della gestione e della condotta del curatore sotto il profilo del rispetto della legge e della diligenza nell'assolvimento dei doveri - è di norma proposta in sede di giudizio di rendiconto, non necessariamente limitato alla verifica di eventuali errori materiali, omissioni o improprietà dei criteri di conteggio adottati; tale sede non è esclusiva, data l'ammissibilità della scissione del controllo più propriamente contabile da quello gestionale"). La competenza spetta in entrambi casi al Tribunale del luogo in cui è dichiarato il fallimento, a prescindere dal valore della domanda (art. 24 L. Fall.) ma, mentre nel primo caso (azione di responsabilità proposta con la contestazione del rendiconto finale di gestione), il Tribunale giudica in composizione collegiale, secondo appunto quanto espressamente dispone l'art. 116, co. 4, L. Fall. nella parte in cui prevede che "il Collegio provvede in Camera di consiglio", in caso di giudizio ordinario di cognizione il Tribunale giudica in composizione monocratica, non essendo prevista dalla norma generale sulla composizione del Tribunale (art. 50-bis c.p.c.) la fattispecie de quo, che, per inciso, non è devoluta alle Sezioni specializzate in materia di impresa, né viene trattata col rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., operando in definitiva il criterio generale e residuale della composizione monocratica previsto dal successivo art. 50-ter c.p.c. (cfr., come esempi del primo tipo, Trib. Roma, Sez. fallimentare, 20 settembre 2016, n. 17223; Trib. Roma, Sez. fallimentare, 7 marzo 2012, n. 4759; cfr., come esempi del secondo tipo, Trib. Bari, Sez. II, 18 luglio 2018, n. 3154; Trib. Milano, Sez. II, 13 maggio 2011, n. 6453; Trib. Lecce, 1 ottobre 2008). Nel merito, la domanda è in parte fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono. L'art. 38, co. 1, L. Fall. prevede che "il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico"; nell'esercizio delle sue funzioni il Curatore assume la qualifica di Pubblico ufficiale (art. 30 L. Fall.). L'azione di responsabilità disciplinata dell'art. 38, co. 2, L. Fall. fa, pertanto, riferimento proprio alla condotta, attiva od omissiva, del Curatore durante l'espletamento del suo munus publicum, in forza del quale egli deve provvedere all'amministrazione del patrimonio fallimentare ed al compimento di tutti gli atti della procedura concorsuale che la legge attribuisce alla sua competenza, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. Può pertanto essere chiamato a rispondere del danno patrimoniale sofferto dal Fallimento, inteso come centro di imputazione degli interessi di tutti i creditori concorsuali, a causa delle condotte da lui poste in essere in violazione del dovere di diligenza, da intendere come diligenza di tipo professionale, secondo il paradigma normativo di cui all'art. 1176, co. 2, c.c.. Secondo l'orientamento giurisprudenziale ormai univoco, l'incarico conferito al Curatore dal Tribunale dà luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale, ai sensi dell'art. 1218 c.c., in virtù della natura del rapporto che appare del tutto equiparabile al mandato, venendo in rilievo obblighi specifici riconducibili a tale tipo contrattuale (Cass. n. 5044 del 2001). Ne deriva che, secondo i tradizionali criteri di riparto dell'onere probatorio, incombe sull'attore la prova dell'inadempimento da parte del precedente Curatore agli obblighi imposti dalla legge, del nesso causale tra tale condotta e le conseguenze pregiudizievoli che ne sono derivate, nonché del danno subito dal Fallimento (inteso nell'accezione testé indicata), mentre spetta al Curatore convenuto dimostrare che tale inadempimento non è a lui imputabile e che nella sua condotta non sono rinvenibili profili di negligenza (Cass. 5044 del 2001; Cass. n. 1507 del 2000; Cass. n. 8716 del 1996). Condotte poste in essere con negligenza o, comunque, prive del grado della diligenza richiesta dalla particolare natura professionale dell'incarico (artt. 1218 e 1176, co. 2, c.c.) integrano ipotesi di responsabilità per colpa generica; la violazione di norme di legge o di prescrizioni contenute nell'approvato Programma di liquidazione integrano, invece, ipotesi di colpa specifica (art. 38, co. 1, L. Fall.). Nel caso di specie, il Fallimento attore deduce a sostegno della sua domanda ipotesi del secondo tipo. Tra i doveri connessi all'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la vigilanza del Giudice delegato e del Comitato dei creditori, vi rientrano gli obblighi di informazione periodica mediante la predisposizione, il deposito e la pubblicazione di Rapporti riepilogativi sulla gestione della procedura concorsuale, da presentare ogni sei mesi dal deposito della Relazione particolareggiata iniziale (art. 33, co. 1 e 5, L. Fall.), il dovere di presentare un Rendiconto dell'attività svolta durante l'esercizio provvisorio con cadenza semestrale o, comunque, alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio (art. 104, co. 5, primo periodo, L. Fall.), il dovere di informare "senza indugio" il Giudice delegato ed il Comitato dei creditori su circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell'esercizio provvisorio (art. 104, co. 5, secondo periodo, L. Fall.), il dovere di pianificare la realizzazione dell'attivo fallimentare attraverso il deposito di un Programma di liquidazione da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori, entro il termine di centottanta giorni dalla dichiarazione di fallimento e con previsione di tempi certi entro il quale dovrà essere completata la realizzazione dell'attivo (art. 104-ter, co. da 1 a 3, L. Fall.), la presentazione al Giudice delegato, al momento del compimento della liquidazione dell'attivo e prima del riparto finale, nonché in ogni caso in cui cessi dalle funzioni, del Rendiconto finale di gestione, ossia dell'esposizione analitica delle operazioni contabili e delle attività di gestione della procedura (art. 116 L. Fall.). Una volta approvato, anche il Programma di liquidazione di cui all'art. 104-ter L. Fall. assurge esso stesso a parametro di giudizio sulla misura della diligenza richiesta al Curatore in ordine alle modalità e ai termini di attuazione degli atti di pianificazione e di indirizzo ivi previsti per la realizzazione, in termini economici, dell'attivo fallimentare; non a caso, l'art. 38, co. 1, L. Fall., menziona, accanto alla legge, i doveri derivanti dall'attuazione del Programma di liquidazione approvato, con la conseguenza che condotte deviate rispetto a quanto programmato vengono ad integrare precise (ed ulteriori) ipotesi di colpa specifica, al pari di quanto avviene in caso di violazione di un (altrettanto) preciso obbligo di legge. Prova indiretta della centralità del Programma di liquidazione si ha, invero, dal rinvio espresso all'art. 104-ter L. Fall. contenuto nell'art. 32, co. 1, L. Fall.: l'adempimento relativo alla predisposizione del Programma di liquidazione è dovere attribuito "personalmente" al Curatore e, per tale ragione, non è delegabile a terzi coadiutori nemmeno con l'autorizzazione del Comitato dei creditori. Sulla base della documentazione depositata dalle parti e della conseguente ricostruzione dei fatti è emerso che il convenuto DOTT. (...), nell'espletamento dell'incarico di Curatore del FALLIMENTO (...) S.P.A., si è reso responsabile di plurime violazione dei doveri impostigli dalla legge, con particolare riferimento alla fase di liquidazione dell'intero patrimonio immobiliare non ricompreso nel perimetro dell'azienda ceduta il 29 settembre 2009. E' circostanza pacifica (Comparsa conclusionale parte convenuta, pag. 14) e documentata (doc. 38 fasc. parte attrice; doc. da 12 e 15 fasc. parte convenuta) che il Curatore convenuto disponesse, già a partire dal mese di ottobre 2011, le Relazioni di stima di tutti e cinque i compendi immobiliari; anche la Perizia estimativa relativa al Lotto costituto dal capannone industriale di Via (...) era disponibile, tenuto conto che le variazioni al Piano di Governo del Territorio avevano visto l'interlocuzione del Perito estimatore tra il 2010 e il 2011 (doc. 8 e 9 fasc. parte convenuta) e che la richiesta del Certificato di Destinazione Urbanistica risaliva al 4 maggio 2011 (doc. 10 fasc. parte convenuta). Anche a voler concedere che fino al programmato anno di cessazione dell'esercizio provvisorio, cioè fino all'anno 2012, poteva avere senso procrastinare la vendita del Lotto principale formato dal capannone industriale di Via (...) (il contratto di cessione prevedeva, infatti, che il capannone industriale di Gallarate fosse concesso in comodato d'uso gratuito alla cessionaria, a fronte dell'obbligo di mantenere i livelli occupazionali e, soprattutto, la produzione degli elettrodomestici in Italia), risulta del tutto priva di ragione la scelta di omettere tout court, dall'anno 2012 in poi, non solo l'attività di vendita dei singoli cespiti ma anche la stessa attività di pianificazione ed indirizzo che si sarebbe dovuta compendiare in un Programma di liquidazione che non ha mai visto la sua genesi durante l'amministrazione del DOTT. (...) (sarà, solo in seguito, a partire dall'anno 2016, il Curatore subentrante a farsi carico dell'incombente di cui all'art. 104-ter L. Fall. e all'attuazione delle programmate vendite secondo la disciplina di cui all'art. 107 L. Fall.). Come anche evidenziato nel decreto di revoca del settembre 2015, il Curatore convenuto ha, pertanto, violato, in primo luogo, il dovere sancito dall'art. 104-ter L. Fall. di predisporre un Programma di liquidazione dei beni immobili da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori. L'omesso deposito dell'atto di pianificazione dell'attività liquidatoria trova, invero, riscontro all'esito dell'ordine di esibizione disposto all'udienza del 7 giugno 2022 (doc. 50 fasc. parte attrice). Innanzi all'omissione dell'atto di pianificazione generale, tutti i capitoli di prova richiesti da parte convenuta risultano irrilevanti ai fini della prova circa la non imputabilità dell'inadempimento oggettivo ovvero circa la sussistenza della diligenza professionale richiesta dall'incarico. Una volta acquisite agli atti le Relazioni di stima dei cinque beni immobili formanti l'attivo e tenuto conto della cessazione de facto dell'esercizio provvisorio, non vi era alcuna ragione per omettere la predisposizione dell'atto che costituisce il presupposto per l'avvio della necessaria attività di liquidazione del patrimonio immobiliare; da questo punto di vista, le difese di parte convenuta non colgono nel segno, laddove individuano, per vero genericamente, nella crisi del mercato immobiliare le ragioni dell'omesso avvio della fase liquidatoria. Tale aspetto, se mai avesse avuto un qualche rilievo circa il ritardo nelle vendite o nei ribassi applicati, è, invero, irrilevante avuto riguardo alla omissione tout court dell'atto di pianificazione a monte. Anzi, a ben vedere, la circostanza avrebbe potuto, semmai, avere un senso ove opportunamente evidenziata e rappresentata al Comitato dei creditori e al Giudice delegato; in tal caso, la sede per rappresentare le difficoltà relative all'allocazione sul mercato dei beni immobili sarebbe stato proprio quel Programma di liquidazione che, nella specie, è stato sic et sempliciter pretermesso. Tutti i capitoli di prova orale chiesti da parte convenuta mirano a dimostrare che già a partire dall'anno 2009 il Curatore aveva avuto una serie di incontri finalizzati alla cessione degli immobili restati fuori dal perimetro dell'azienda; tuttavia, tali incontri si appalesano del tutto inidonei a dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento contestato in assenza dell'approvazione dell'atto di pianificazione che, anzi, li presuppone; il caso di specie riguarda, infatti, non tanto un caso di ritardo nella vendita dei beni immobili, quanto piuttosto un caso di mancato avvio delle vendite medesime, in assenza di ragioni giustificatrici che dovevano essere rappresentate agli Organi della procedura. In questo periodo di totale inerzia del convenuto Curatore è persino mancata quell'attività minima di relazione al Giudice delegato, aggravato dalla circostanza che era pendente l'esercizio provvisorio, pur essendone venuti meno i presupposti; pertanto, accanto alla omessa predisposizione, deposito e pubblicazione delle Relazioni periodiche di cui all'art. 33, co. 5, L. Fall., si affianca l'omessa rendicontazione semestrale specificamente prevista dall'art. 104, co. 5, L. Fall. con riferimento all'esercizio provvisorio che de iure proseguiva anche oltre il 2012, nonostante de facto fossero emerse quelle "circostanze sopravvenute" che il Curatore avrebbe dovuto rappresentare "senza indugio" al Giudice delegato, affinché provvedesse in ordine alla cessazione del medesimo e, quindi, a dichiarare il nulla osta all'avvio della fase di liquidazione dei beni immobili non ricompresi nell'azienda ceduta. Il danno causato al Fallimento è consistito, oltre che nel ritardo per i creditori ad essere soddisfatti mediante la rapida e tempestiva distribuzione del ricavato, anche e soprattutto negli ingenti costi che sono gravati su ciascuna massa immobiliare in questo tempo di inerzia. Tali costi, configurando precisi debiti di massa aventi natura prededucibile (sostenuti dal Curatore subentrato dopo l'avvio e il perfezionamento delle vendite fallimentari), hanno eroso ingiustificatamente le disponibilità liquide utilmente distribuibili, non apparendo esimenti le ragioni poste dal Curatore convenuto a giustificazione dell'omessa liquidazione. Poiché la condotta alternativa lecita sarebbe stata quella di predisporre, già sul finire dell'anno 2011 il Programma di liquidazione da sottoporre all'approvazione del Comitato dei creditori e poiché la disposizione legislativa prevede testualmente che l'attuazione del Programma di liquidazione "non può eccedere due anni" (art. 104-ter, co. 3, L. Fall.), appare corretto ritenere che il danno cagionato sia costituito dai costi che nel biennio successivo (cioè dalla data di presumibile completa attuazione Programma di liquidazione fino alla data di revoca dall'incarico) hanno eroso il ricavato della vendita dei Lotti immobiliari formati. Ipotizzando, pertanto, che le difficoltà di allocazione dei beni immobili avrebbero comportato, comunque, un trasferimento dei medesimi non prima del biennio previsto dalla norma come termine massimo di attuazione degli atti di pianificazione ed indirizzo contenuti nel Programma di liquidazione, il risarcimento del danno può essere circoscritto a quel lasso di tempo ulteriore (in concreto, il successivo biennio antecedente la revoca) durante il quale sugli immobili sono maturate le maggiori imposte e i maggiori costi in concreto sopportati dal Curatore subentrato all'esito delle vendite. Non un periodo maggiore, in quanto non è stata fornita la prova, gravante su parte attrice, che la vendita sarebbe avvenuta in un periodo più ristretto; sul punto, anzi, vi è riscontro indiretto ed ex post circa le difficoltà oggettive, anche per il Curatore subentrato, ad allocare sul mercato i beni immobili (soprattutto il capannone industriale di Via C. trasferito nell'anno 2019). Non un periodo minore, però, in quanto le oggettive difficoltà di allocazione rappresentate da parte convenuta, avrebbero potuto assumere una qualche forma di rilevanza solo all'esito di quell'attività di pianificazione e di informazione agli Organi concorsuali che nella specie è del tutto mancata; mancando l'atto di pianificazione generale ed essendo state omesse le relazioni periodiche semestrali, è impossibile ipotizzare, secondo un giudizio prognostico ed ex ante, la probabile concessione di proroga di un termine che mancava in rerum natura. Il periodo biennale individuato è, del resto, il periodo contemplato dalla norma violata (art. 104-ter, co. 3, L. Fall.) ed è quello che maggiormente risulta aderente alle teorie sulla concezione normativa della colpa. Il danno risarcibile va, invero, ricavato attraverso quel giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento antidoveroso tenuto dal responsabile che era nelle condizioni di poter non assumere; anziché come una realtà psicologica (come implicitamente teorizzato da parte convenuta che ha richiesto di provare per testi le buone intenzioni del Curatore) la colpa va rintracciata nella violazione del dato normativo positivo che esprime il rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto e la norma giuridica (per quanto ben intenzionato il Curatore ha omesso scientemente di rispettare, primariamente, la previsione legale dell'art. 104-ter L. Fall.). Solo in questo modo si riesce ad accertare la responsabilità e a determinare il danno risarcibile cagionato in maniera unitaria e oggettiva, basata cioè sul rapporto di contraddizione tra la condotta tenuta e l'Ordinamento positivo. Ciò chiarito, il danno risarcibile è costituito dalle imposte comunali (IMU e TASI), dai premi dovuti per l'assicurazione sulla responsabilità civile e dalle spese condominiali maturati e divenuti esigibili in relazione a ciascuna delle cinque masse immobiliari, come crediti aventi natura prededucibile e, incassato il prezzo di vendita, aventi i presupposti per il loro pagamento fuori riparto (all'amministrazione finanziaria, all'assicuratore e al condominio), secondo il combinato disposto di cui agli artt. 111-bis e 111-ter L. Fall. (mediante prelievo dal ricavato della vendita relativa alla massa immobiliare alla quale ciascun "costo" in concreto afferisce). Pertanto, il danno subito può essere quantificato come segue, in relazione al biennio antecedente la data della revoca (per comodità probatoria, si considera il biennio solare 2014-2015) e in relazione a ciascuno dei seguenti Lotti immobiliari: 1- Lotto di G., Via C. n. 98; 2- Lotto di G., Corso S. n. 15; 3- Lotto di G., Lotto di G. ha dichiarato al Giudice delegato di aver corrisposto fino a quella data premi assicurativi sugli immobili per complessivi Euro 35.000,00 e spese condominiali per complessivi Euro 25.250,00. Considerato che il convenuto è restato in carica per sei anni, il costo medio annuale per premi assicurativi è pari ad Euro (35.000,00 / 6) = Euro 5.833,33 e il costo medio annuale per spese condominiali è pari ad Euro (25.250,00 / 6) = Euro 4.208,33. Tali importi trovano, peraltro, indiretto riscontro documentale, in quanto, da un lato, il premio assicurativo annuale già solo per il solo Lotto n. 1 ammontava ad Euro 10.100,00 durante gli anni (dal 2016) dell'amministrazione W. (doc. 52 fasc. parte attrice), mentre, dall'altro, sono depositate le istanze del medesimo Curatore subentrato per il pagamento delle spese condominiali gravanti sul Lotto n. 2 dal settembre 2013 all'agosto 2015 per complessivi Euro 10.175,65 (doc. 53 fasc. parte attrice). Il danno è, pertanto, determinato moltiplicando il costo medio annuale per ciascuno dei due anni già considerati per la determinazione del danno derivante da maggiori imposte: Euro (5.833,33 * 2) = Euro 11.666,66 per premi assicurativi ed Euro (4.208,33 * 2) = Euro 8.416,66 per spese condominiali. Complessivamente, quindi, l'inerzia ingiustificata del convenuto curatore ha determinato, nel biennio considerato, un danno risarcibile per maggiori imposte e maggiori costi per premi assicurativi e spese condominiali complessivamente determinato in Euro (147.330,87 + 11.666,66 + 8.416,66) = Euro 167.414,19. Poiché l'obbligazione di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito (non di valuta, bensì) di valore, sul capitale liquidato va riconosciuto il cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi, questi ultimi da liquidare applicando al capitale rivalutato anno per anno un saggio individuato in via equitativa (Cass. n. 1627 del 2022) che, nel caso di specie, viene individuato nell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) al netto dei tabacchi. Va, invece, rigettata la restante porzione della domanda di risarcimento del danno. In relazione ai pagamenti effettuati ai dipendenti e agli enti di previdenza obbligatoria e complementare non vi è stata violazione delle norme sull'accertamento dello stato passivo o sulla distribuzione del ricavato, posto che l'Accordo quadro sottoscritto con le OO.SS. di categoria e l'atto di cessione dell'azienda, entrambi conclusi in data 29 settembre 2009 giusta autorizzazione resa dal Giudice delegato e dal Comitato dei creditori, prevedevano espressamente che tra gli obblighi della Curatela vi fosse quello di provvedere al pagamento dei crediti vantati da tutti i prestatori di lavoro subordinato che risultavano ricompresi nel perimetro dell'azienda ceduta. Gli impegni negoziali assunti dagli Organi concorsuali in relazione all'adempimento, da parte del Fallimento in via esclusiva, di tutte le obbligazioni derivanti dai rapporti di lavoro hanno infatti generato debiti di massa ricadenti nell'ambito di applicazione della disciplina dei crediti prededucibili (art. 111-bis L. Fall.); la circostanza che tali crediti verso la massa fossero, del tutto casualmente, anche potenziali crediti concorsuali non muta il fatto che, al ricorrer dei presupposti di cui all'art. 111-bis, co. 4, L. Fall. (liquidità, esigibilità e certezza), essi potessero essere soddisfatti fuori riparto, ove l'attivo fosse stato, come nel caso di specie, presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti. Secondo l'originaria disposizione di cui all'art. 111 L. Fall., la prededuzione indicava una specifica modalità prioritaria di pagamento delle spese afferenti all'attività degli Organi fallimentari e dei debiti contratti dalla relativa amministrazione, inclusi quelli dell'esercizio provvisorio, mediante uno svincolo solutorio rispetto alla fase del riparto, posto che era essenzialmente il Giudice delegato a disporne il pagamento con decreto, individuatane la consistenza di crediti verso la massa (o debiti di massa). La sottrazione al regime del concorso e alla regola della par condicio, finì con l'evidenziare, peraltro, la difficoltà di conciliare una semplice nozione contabile di mero "costo della procedura" con il riconoscimento della medesima preferenza di pagamento anche per tutte le altre obbligazioni sorte sì dopo l'apertura del fallimento ma per effetto di "atti utili" o comunque di "condotte oggettivamente riferibili ai suoi organi", in relazione cioè alle attività funzionali alla liquidazione dei beni. In seguito, accertata la continuità della stessa crisi economico-finanziaria dapprima regolata attraverso l'istituto (abrogato) dell'amministrazione controllata, la prededuzione fu riconosciuta nel successivo fallimento anche quanto ai debiti contratti prima, sussistendo "l'identità delle cause del dissesto che ha dato luogo alle varie procedure, dovendo sussistere tra (esse) non solo un nesso di consecutività, ma anche di interdipendenza" (Cass. n. 8164 del 1999), premiandosi in tal modo la conservazione del valore economico nell'interesse dei creditori. Successivamente, la giurisprudenza ha esteso la prededuzione a quei concordati che avessero fatto della continuazione un elemento essenziale della proposta, cioè "oggetto dell'ammissione da parte del tribunale nonché dell'approvazione da parte dei creditori e dell'omologazione finale" (Cass. n. 7140 del 1996). Al di fuori delle ipotesi descritte, i debiti assunti autonomamente nel proprio interesse dal soggetto insolvente, prima dell'instaurazione del concorso ovvero anche dopo, nei limitati ambiti di amministrazione consentitagli, erano esclusi dal perimetro della prededuzione, conciliandosi rigorosamente la preferenzialità con i soli atti diretti a realizzare l'obiettivo della conduzione ottimale della procedura e del miglior soddisfacimento dei creditori, prerogativa di azione riservata alle competenze degli organi. Il quadro normativo di riferimento è mutato con le Riforme degli anni 2006 e 2007. L'art. 111-bis, co. 2, L. Fall., nella sua attuale formulazione (ad opera del D.Lgs. n. 5 del 2006 e del correttivo di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007), prevede che sono crediti prededucibili oltre a quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, anche quelli sorti "in occasione" o "in funzione" della procedura concorsuale. Al di fuori dei casi previsti dalla legge, la prededucibilità può, quindi, anche discendere o dalla riferibilità del debito ad atti degli organi della procedura (i crediti sorti "in occasione") o dalla strumentalità degli atti della procedura (i crediti sorti "in funzione"). La riscrittura dell'art. 111-bis L. Fall. ha, pertanto, ridefinito il contesto delle regole e si è compendiata "in una definizione espressa e per clausole generali" dei crediti prededucibili, con la conseguenza che la natura prededucibile di un credito vantato nei confronti della massa, promana (non tanto e) non solo da una ricognizione formale ed in senso stretto dei casi espressamente e tassativamente previsti dall'Ordinamento, bensì "da una particolare relazione rimessa ai due criteri cronologico o teleologico affidati all'interprete" (Cass. n. 18345 del 2022). In tutti questi casi, la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell'attività (nella quale il credito ha il suo titulus) agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente; mentre il privilegio, quale eccezione alla par condicio creditorum, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo (individuale o concorsuale), ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito "poiché ne suppone l'esistenza e lo segue" (Cass. n. 36755 del 2021; Cass. n. 5685 del 2015 sulla non retroattività della norma istitutiva), la prededuzione semmai può aggiungersi alle cause legittime di prelazione, nei rapporti interni alla categoria dei debiti di massa, in caso di insufficienza di attivo ovvero nel caso in cui sia necessario procedere ad una gradazione anche nella soddisfazione dei creditori prededucibili, in quanto essa "attribuisce una precedenza rispetto a tutti i creditori sull'intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perché nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finché esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione" (Cass. n. 15724 del 2019; Cass. n. 3020 del 2020; Cass. n. 10130 del 2021). Tralasciando - in quanto non rilevante in relazione alla concreta fattispecie - l'indagine riguardante il perimetro della prededuzione di fonte legale, occorre, a questo punto, approfondire un poco gli altri due parametri della "occasionalità" e "funzionalità", per evidenziare che, da un lato, il criterio dell'occasionalità presuppone che il credito sia sorto nel corso della procedura concorsuale (criterio temporale), mentre il criterio funzionale richiede che il debito sia stato contratto con una giustificazione finalistica collegata procedura concorsuale. Può, quindi, già affermarsi, con un certo grado di sicurezza, che nella categoria dei crediti prededucibili (cioè fra i "debiti di massa") vanno, senz'altro, inclusi i crediti sorti in conseguenza dell'attività gestionale della curatela fallimentare, ossia le obbligazioni conseguenti all'attività negoziale posta in essere dal Curatore in relazione all'amministrazione della massa attiva. Il criterio temporale ha assunto, nella giurisprudenza di legittimità, un connotato autonomo rispetto al criterio teleologico, per la rilevanza della congiunzione disgiuntiva nel testo della disposizione (Cass. n. 5098 del 2014; Cass. n. 10130 del 2021; Cass. n. 22670 del 2021). Il criterio temporale va, comunque, declinato, oltre che sul piano cronologico, anche rispetto all'imputazione del titolo dell'obbligazione (la causa debendi del credito prededucibile) ad una attività che deve necessariamente essere ricondotta agli Organi della procedura stessa (Cass. n. 1513 del 2014, secondo cui il criterio, per non ingenerare aporie, deve essere integrato con l'implicito elemento soggettivo menzionato, altrimenti apparendo esso "palesemente irragionevole in quanto porterebbe a considerare come prededucibili, per il solo fatto di essere sorti in occasione della procedura, i crediti conseguenti ad attività del debitore non funzionali ad esigenze della stessa"); pertanto, può affermarsi che, almeno tendenzialmente e secondo il criterio temporale, gli impegni assunti dagli Organi concorsuali, così come le obbligazioni geneticamente scaturenti dalla rispettiva attività, generano debiti di massa, in quanto "di per sé assorbono la funzionalità agli scopi della procedura cui accedono, quali costi gravanti sulla stessa in quanto intrinsecamente sostenibili in vista delle sue finalità concorsuali" (Cass. n. 18345 del 2022). Il criterio teleologico, dal canto suo, esprime, invece, un'attitudine di vantaggio per il ceto creditorio, potendo essere riferito anche a crediti maturati in capo a terzi, per prestazioni svolte anche prima dell'inizio della procedura e perciò al di fuori di un diretto controllo dei relativi Organi, ferma restando la necessaria relazione di inerenza allo scopo (concorsuale), più che al risultato, dell'iniziativa che genera il relativo debito di massa. Questa relazione di inerenza allo scopo è stata particolarmente esaminata con riguardo ai crediti sorti nell'ambito di procedure concorsuali in consecuzione (tipicamente nel caso in cui ad una domanda prenotativa di concordato consegua poi il fallimento della società proponente); riguardo ad essa si registra il superamento di un primo approccio c.d. utilitaristico, condotto in concreto, nella prospettiva di una verifica ex post sulla sussistenza della menzionata "attitudine di vantaggio per il ceto creditorio". Per contro, tale esame sul vantaggio, ha assunto - nella varietà delle formule definitorie - un sostanziale assestamento entro una qualità strumentale riconoscibile ex ante, non senza oscillazioni sulla rappresentazione più o meno presunta, e dunque automatica, nel nesso con il prosieguo concorsuale, specie se ad esito infausto. Ad ogni modo, la funzionalità può dirsi sussistente quando l'attività originante il credito sia ragionevolmente assunta, nella prospettazione delle circostanze ad essa coeve, quando è in grado di assecondare le utilità (patrimoniali, aziendali, negoziali) su cui può contare l'intera massa dei creditori, destinati a prendere posizione sulla proposta del debitore; ciò ne permette l'assimilazione ad una nozione di costo esterno sostenibile al pari di quelli prodotti dalle attività interne degli Organi concorsuali (Cass. n. 42093 del 2021; Cass. 18345 del 2022). Questi essendo i presupposti per il riconoscimento della natura di credito prededucibile, non può certo negarsi tale carattere ai crediti nascenti dall'accordo di cessione del ramo d'azienda concluso dal Curatore in data 29 settembre 2009 e dal collegato Accordo quadro con le OO.SS. di categoria sottoscritto dal Fallimento cedente e dalla società cessionaria del ramo d'azienda. La cessione del ramo d'azienda e le pattuizioni relative ai crediti nascenti dai rapporti di lavoro ricompresi nel ramo ceduto (artt. 3 e 9 dell'Accordo quadro; artt. 3 e 7 dell'atto di cessione d'azienda) è, senza dubbio, espressione di una scelta gestionale di tale organo, all'interno dell'attività di liquidazione della massa attiva autorizzata dal Comitato dei creditori e dal Giudice delegato, al fine di procurare un vantaggio immediato alla procedura (si vedano, a tal proposito, i rilievi del Giudice delegato di cui si è dato conto nelle premesse). Essa, a prescindere dalla bontà della scelta (ritenuta, in ogni caso, opportuna da tutti gli Organi della procedura chiamati ad esprimersi al riguardo), era evidentemente finalizzata alla tutela degli interessi della massa, con la conseguenza che le obbligazioni assunte dal Curatore, nell'ambito del relativo negozio, non possono che qualificarsi come debiti di massa. Infatti, ciò che conta ai fini del riconoscimento di tali obbligazioni come prededucibili è la loro fonte, rinvenibile, nel caso di specie, nella clausola negoziale che, nell'ambito della cessione del ramo d'azienda, prevedeva, con la struttura di un accollo liberatorio ad efficacia esterna (art. 1273, co. 1, c.c.), il pagamento di tutti i debiti relativi ai rapporti di lavoro dei prestatori inclusi nell'azienda ceduta. Il Curatore agiva nell'ambito delle sue potestà di amministratore della massa attiva; nell'ambito dell'attività di liquidazione di una componente dell'attivo fallimentare (il ramo d'azienda) assumeva, autorizzato dagli Organi della procedura ad accettare la proposta irrevocabile d'acquisto pervenuta da parte del (...), un'obbligazione negoziale nell'interesse di tutto il ceto creditorio, consentendo non solo il raggiungimento dell'obiettivo posto a base dell'autorizzazione alla conduzione dell'esercizio provvisorio (la salvaguardia dell'integrità aziendale e dell'avviamento, dei livelli di occupazione e del mantenimento della produzione in Italia) ma, altresì, la rapida monetizzazione dell'azienda acquisita all'attivo. Peraltro, clausole negoziali di questo tipo sono tipiche in quanto legislativamente previste dalla disciplina di settore relativa alla gestione dei rapporti di lavoro nel caso di trasferimento d'azienda quando l'impresa si trovi in stato di crisi o di insolvenza (art. 47, co. 5, L. n. 428 del 1990, nella parte in cui deroga alla disciplina di diritto comune di cui all'art. 2112 c.c.), in quanto ad essa si accompagna, come effettivamente avvenuto nel caso di specie, a livello di negoziazione collettiva, il contratto stipulato con le rappresentanze sindacali di categoria e, a livello individuale, la conciliazione in sede protetta di ciascun prestatore di lavoro ai sensi dell'art. 411 c.p.c. Di questi passaggi il Curatore da, peraltro, conto nelle due Relazioni semestrali successive al trasferimento d'azienda, rappresentando con correttezza, anche dal punto di vista contabile, i pagamenti che via via venivano eseguiti in favore dei dipendenti e degli enti previdenziali e, pertanto, l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla Curatela nell'ambito dell'attività di liquidazione del bene azienda. Non a caso, tra le cause di grave inadempimento rilevate dal Tribunale non vi è menzione a questa porzione dell'attività posta in essere dal convenuto che veniva revocato sostanzialmente per le omissioni relative alla liquidazione dei beni immobili fuori dal perimetro dell'azienda ceduta. Da questo punto di vista, allora, le uniche censure che si sarebbero potute muovere al Curatore sarebbero state quelle relative all'eventuale insussistenza dei presupposti per il pagamento fuori riparto dei singoli dipendenti; tuttavia, se da un lato, tali deduzioni non sono state allegate dal Fallimento attore (che rimprovera solo il mancato accertamento dei crediti con le modalità di cui al Capo V della Legge fallimentare), dall'altro, sussiste la prova della ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 111-bis, co. 4, L. Fall.: i crediti dei prestatori di lavoro, con la formalizzazione degli accordi sindacali nelle sedi protette previste dalle norme di riferimento, sono divenuti liquidi ed esigibili, in assenza di contestazioni. Il loro pagamento è avvenuto con prelievo dal prezzo ricavato dalla cessione dell'azienda e non risulta che alcuno dei creditori prededucibili sia rimasto insoddisfatto. Rispetto a questa porzione iniziale dell'attività posta in essere dal Curatore convenuto non c'è stata, pertanto, alcuna violazione a norme di legge, sicché i fatti costitutivi richiesti dalla speciale azione di cui all'art. 38 L. Fall. sono da ritenere insussistenti. Per inciso, anzi, la bontà di quell'operazione di cessione aziendale trova riscontro nel fatto che la produzione industriale, a distanza di oltre dieci anni e nel mezzo dei travagli della crisi industriale e della pandemia, tuttora prosegue per il tramite del cessionario (...) nello storico insediamento avviato a Gallarate nel lontano 1949. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo sulla base dei parametri ministeriali di cui al D.M. n. 55 del 2014 aggiornati al D.M. n. 147 del 2022 previsti per lo scaglione di riferimento scelto sulla base del criterio (non del disputatum, bensì) del decisum (Cass. n. 21256 del 2016); vengono liquidate tutte le fasi nei valori medi, ad eccezione della fase istruttoria liquidata al minimo stante la limitata attività, in relazione ad essa, in concreto espletata dalle parti. P.Q.M. il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione e difesa rigettata, così provvede: 1) ACCERTATO l'inadempimento del convenuto ai doveri del proprio ufficio di Curatore del Fallimento (...) S.P.A., DICHIARA il DOTT. (...) responsabile del danno derivante dal pagamento di maggiori imposte e maggiori costi e, per l'effetto, lo CONDANNA al pagamento in favore del FALLIMENTO (...) S.P.A., in persona del Curatore fallimentare, della somma di Euro 167.414,19 oltre al danno da svalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, e agli interessi legali sulla somma annualmente rivalutata, dalla data di proposizione della domanda giudiziale sino al soddisfo. 2) CONDANNA il convenuto DOTT. (...) al pagamento in favore della parte attrice FALLIMENTO (...) S.P.A., in persona del Curatore fallimentare, delle spese di lite che vengono liquidate in Euro (1.686,00 + 27,00) per spese documentate non imponibili (c.u. e spese forfettarie) ed Euro 11.268,00 per compenso professionale, oltre spese generali imponibili al 15%, c.p.a. ed i.v.a. (se dovuta, in quanto non detraibile dalla parte vittoriosa in forza del regime fiscale ad essa applicabile). Sentenza ope legis esecutiva. Così deciso in Busto Arsizio il 22 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 23 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 6052/2019 promossa da: (...) SRL (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. VI.LA. e dell'avv. UB.MA. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori PARTE ATTRICE contro (...) SPA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. DA.FE. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.r.l. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") ha convenuto in giudizio (...) S.p.A. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") esponendo: che era solita rifornirsi dalla convenuta degli erogatori (c.d. "tastini") e delle valvole per la realizzazione delle bombolette spray che produceva; che nel mese di marzo 2018 (...) le aveva proposto una nuova campionatura di valvole con i relativi erogatori, informandola che a breve quelli abitualmente commercializzati sarebbero stati "fuori produzione"; che, pertanto, in data 21.3.2018, aveva ordinato le nuove valvole come proposte in campionatura - modello NLF 1/3/25 - con i relativi nuovi erogatori modelli NLF; che, inaspettatamente, nel mese di maggio del 2018, (...) le aveva comunicato che gli erogatori ordinati non erano disponibili e le aveva proposto l'acquisto di erogatori di altra e diversa tipologia, fornendo rassicurazioni in ordine alla compatibilità di siffatti erogatori con le valvole precedentemente ordinate modello NLF 1/3/25; che già in tale occasione aveva riferito alla convenuta che i ritardi nella consegna degli erogatori e delle valvole stavano comportando uno stallo nella produzione e nell'evasione degli ordini, dal momento che le poche scorte rimaste non potevano garantire continuità di fabbricazione; che aveva effettuato una verifica con modalità manuale sui campioni degli erogatori nuovo modello e delle valvole già ordinate in data 21.3.2018, in quanto, trattandosi di pochi campioni, non era possibile il loro inserimento in linea sulla macchina per un assemblaggio "in automatico"; che, poiché la verifica aveva dato esito positivo, aveva autorizzato la consegna urgente dei nuovi erogatori proposti, stante il grave ritardo nel frattempo già accumulato; che solo in data 13.6.2018, allorquando era ormai completamente ferma nella produzione delle bombolette spray da oltre una settimana, la convenuta le aveva consegnato 30.000 erogatori; che, ricevuta la consegna, aveva verificato che alcuni degli erogatori risultavano ancora del primo modello indicato nell'ordine del 21.3.2018, successivamente sostituito dall'ordine del 22.5.2018; che, ad ogni modo, per riprendere la produzione, aveva collocato valvole e tastini sul macchinario preimpostato con l'automatismo in linea per il loro accoppiamento, che, tuttavia, non avveniva correttamente, cosicché, dopo vari tentativi, in data 18.6.2018, aveva richiesto l'intervento di un tecnico della società produttrice del macchinario, il quale, senza riuscire a risolvere la problematica, avendo riscontrato che il malfunzionamento era da imputare all'impossibilità di un perfetto inserimento in automatico, per mezzo della macchina, dei tastini nel corpo delle valvole; che siffatte problematiche e i ritardi accumulati erano stati denunciati immediatamente e nei giorni successivi alla (...); che, nel frattempo, con ordine del 2.5.2018, aveva già inoltrato altra richiesta per l'acquisto di analoghi erogatori e valvole per la produzione di un diverso modello di bombolette denominato "self-tinto"; che in data 5.6.2018, a seguito di alcune "non adattabilità" riscontrate sui primi elementi consegnati, aveva chiesto di poter annullare il secondo ordine alla (...), la quale, tuttavia, in data 6.6.2018 le aveva comunicato che non era possibile, in quanto gli erogatori e le valvole erano già in fase di produzione; che tale successivo ordine era stato evaso in data 26.6.2018, e che, anche in questo caso, dopo avere avviato la produzione delle bombolette "self-tinto", aveva riscontrato le stesse criticità di accoppiamento tra i tastini e le valvole; che dal 6.6.2018 fino al 13.6.2018, in quanto sprovvista di materiale da assemblare, era rimasta in completo stallo produttivo, lasciando inattive le operaie adibite alla produzione, mentre, dal 13.6.18, dopo la consegna dei tastini, stante il continuo blocco della macchina in fase di inserimento dei tastini nel corpo delle valvole, si era vista costretta a impiegare risorse e manodopera per verificare e provare la compatibilità dei tastini con le valvole, e, una volta verificata l'impossibilità di procedere con un accoppiamento in automatico, si era vista costretta a impiegare il personale perché provvedesse all'inserimento manuale dei tastini nel corpo delle valvole, accumulando inevitabilmente ulteriore ritardo; che dal 20.6.2018 al 25.7.2018, dopo l'intervento del tecnico, aveva ripreso, seppur in maniera parziale e rallentata, la produzione su macchina, impegnando una persona fissa al controllo visivo dell'assemblaggio, con il compito di provvedere alla sostituzione manuale quando l'inserimento automatico della valvola risultava incompatibile; che, tuttavia, in fase di verifica e di collaudo del prodotto finale, le dipendenti avevano constatato una serie di anomalie sulle bombolette esaminate (accoppiamenti malriusciti per valvole rovinate o per erogatori e valvole non conformi ed incompatibili tra loro; impossibilità di inserimento dei tastini in quanto le valvole rimanevano aperte; mancata erogazione da parte del tastino; un anomalo funzionamento del tastino nella fase di spruzzatura che impediva una corretta nebulizzazione e che macchiava le superfici); che solo in data 11.9.2018 erano state consegnate da altro fornitore nuovi erogatori e nuove valvole, così risolvendo definitivamente i problemi di produzione; che tra i mesi di giugno, luglio e settembre 2018, le bombolette prodotte con erogatori e valvole fornite da (...), nei modelli sia standard che self-tinto, erano state immesse sul mercato, e che, a seguito di numerose contestazioni e segnalazioni ricevute da parte dei vari rivenditori, i quali le avevano comunicato che avrebbero cambiato fornitore, si era trovava costretta a ritirare dal mercato 1.340 bombolette self-tinto, in quanto difettose e mal funzionanti, e aveva dovuto bloccare l'immissione su mercato di altre 1.070 bombolette self-tinto, mentre altre 300 erano state scartate in fase di collaudo, in quanto visibilmente difettose; che, anche successivamente, altri colorifici avevano contestato i difetti delle bombolette vendute agli acquirenti finali; che, nell'ambito della vendita intercorsa, era configurabile un'ipotesi di consegna di aliud pro alio o, comunque, un vizio o una mancanza di qualità rilevante ai sensi e per gli effetti degli artt. 1490 e 1497 c.c., per cui i contratti dovevano ritenersi risolti; che, inoltre, a causa del ritardo di quasi tre mesi nella consegna del materiale ordinato, era stata costretta ad interrompere la produzione, rimanendo in completo stallo per almeno quattro giorni consecutivi; che i vizi nella fornitura le avevano causato danni economici e all'immagine; che, in particolare, il danno emergente patito era pari ai costi sostenuti per l'intervento di un tecnico per regolare la macchina, per la manodopera inutilizzata per quattro giorni, per le ore in più lavorate dalle dipendenti impiegate a risolvere le problematiche riscontrate, oltre che per la produzione ed il consumo di maggior vernice e per lo svuotamento, l'analisi, il trasporto e lo smaltimento delle bombolette danneggiate e scartate in fase di test e delle vernici, nonché per il ritiro delle bombolette difettose nei vari colorifici; che aveva altresì subito un danno da lucro cessante, pari al mancato guadagno sulle bombolette non vendute, nonché al mancato guadagno discendente dalla perdita di clientela; che aveva, infine, patito un danno da perdita di immagine commerciale, compromessa a seguito della messa in commercio di prodotti difettosi. Ha chiesto, pertanto, di accertare e dichiarare l'intervenuta risoluzione del contratto di fornitura per grave inadempimento della (...) ai sensi dell'art. 1453 c.c. o, comunque, in subordine, per la sussistenza dei vizi contestati o per l'inidoneità all'uso della cosa venduta ex artt. 1490 e 1497 c.c., e di condannarla al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'inadempimento contrattuale della società venditrice, quantificabili in Euro 39.914,20, oltre a Euro 10.000 per la perdita dell'immagine commerciale. Si è costituita in giudizio la società (...), eccependo in via preliminare la decadenza dalla garanzia ex art. 1495 c.c. avendo l'attrice denunciato formalmente i pretesi vizi solo in data 5.12.2018, e chiedendo, nel merito, il rigetto di tutte le domande, in quanto infondate in fatto e in diritto, nonché, in via riconvenzionale, la condanna dell'attrice al pagamento della somma di Euro 11.106,42, oltre interessi e rivalutazione. In particolare, la convenuta ha dedotto: che la vendita aveva avuto ad oggetto campioni approvati di valvole ed erogatori; che l'attrice non aveva mai lamentato alcunché riguardo alle caratteristiche dei prodotti forniti, ma solo problemi di assemblaggio; che, quindi, le problematiche non erano da imputarsi ad un difetto di produzione delle valvole o degli erogatori, che erano stati verificati come perfettamente conformi nel corso della visita del 18.6.2018, ma alla macchina di posa degli erogatori, che non risultava centrata; che i danni non erano provati ed erano erroneamente quantificati; che, attesa l'infondatezza delle contestazioni avversarie, aveva diritto al pagamento delle tre fatture relative alla fornitura oggetto di causa, per un totale di Euro 11.106,42. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. 1. Sulle eccezioni preliminari di decadenza dalla garanzia e di prescrizione dell'azione Deve in via preliminare essere esaminata l'eccezione di decadenza dal diritto alla garanzia tempestivamente sollevata da parte della convenuta, la quale ha rilevato la tardività della denuncia dei vizi da parte dell'attrice, deducendo che la prima denuncia formale era stata effettuata in data 5.12.2018, ben oltre il termine di otto giorni dalla scoperta dei vizi prescritto dall'art. 1495 c.c. L'eccezione è infondata, in quanto dalla documentazione prodotta risulta che l'acquirente abbia denunziato le difformità del materiale consegnato nel termine di legge. Sul punto occorre innanzitutto osservare che, ai sensi dell'art. 1495 c.c., il termine di otto giorni per la denuncia decorre dalla scoperta dei vizi o delle difformità riscontrate, che si verifica nel momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva circa l'esistenza dei vizi (Cass. n. 8183/2002; Cass. n. 11046/2016). Al fine di conservare il diritto alla garanzia ex art. 1495 c.c. l'acquirente non è, tuttavia, tenuto a fare, nel termine stabilito, una denuncia analitica e specifica, con precisa indicazione dei vizi che presenta la cosa, potendo validamente limitarsi ad una denuncia generica e sommaria, che valga a mettere sull'avviso il venditore (da ultimo, Cass. n. 27488/2019; si tratta, comunque, di un orientamento costante: Cass. n. 5878/1993; Cass. n. 6234/2000; Cass. n. 25027/2015). La denuncia, inoltre, non richiede speciali formalità, ben potendo essere effettuata, in difetto di una espressa previsione di forma, con qualunque mezzo che, in concreto, si riveli idoneo a portare a conoscenza del venditore i vizi riscontrati e, quindi, anche con una telefonata (sul punto, ex multis, Cass. n. 5142/2003). Nel caso di specie, è pacifico che l'attrice abbia riscontrato le problematiche di cui si discorre il giorno stesso in cui le è stata consegnata la prima partita dei tastini ordinati, il 13.6.2018, giorno in cui ha iniziato la produzione utilizzando il macchinario che permetteva l'inserimento continuativo in linea dei tastini (erogatori) nel corpo delle valvole, riscontrando le problematiche sopra descritte; ebbene, proprio dalla mail del 18.6.2018, inviata dalla convenuta a distanza di soli cinque giorni dalla consegna e prodotta in giudizio proprio da quest'ultima (doc. 1, fascicolo di parte convenuta), si evince chiaramente che la non conformità degli erogatori era già stata segnalata dall'attrice il giorno stesso della consegna ("Per quanto riguarda la NCC (Non Conformità) da voi segnalata mercoledì 13 giugno con il vostro invio di foto del problema evidenziato sullo stelo dell'erogatore"), e che, quello stesso giorno, si era altresì tenuto un incontro tra le parti proprio al fine di verificare la sussistenza dei vizi lamentati da parte attrice e negati da parte convenuta, il che comprova la tempestività della denuncia. Non assume rilevanza, invece, né che la denuncia non fosse "formale", essendo sufficiente, come sopra esposto, che il compratore comunichi al venditore che il prodotto consegnato presenta delle problematiche, né che (...) avesse riscontrato la conformità della merce, circostanza, invero, del tutto neutra ai fini di stabilire la tempestività o meno della denuncia. Del pari, risulta infondata, oltre che inammissibile, in quanto tardiva, l'eccezione di prescrizione dell'azione, dovendosi ricordare che, come chiarito dalla Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite (n. 18672/2019), anche gli atti stragiudiziali valgono ad interrompere la prescrizione di un anno dalla data della consegna, per cui, considerando gli atti interruttivi del 5.12.2018 e del 13.5.2019 (docc. 24 e 25, fascicolo di parte attrice), alla data della notifica della domanda, avvenuta l'11.11.2019, l'azione non poteva ritenersi in alcun modo prescritta. 2. Sui vizi e difetti lamentati da (...) e sulle contrapposte domande delle parti di risoluzione del contratto e di pagamento del prezzo La domanda di parte attrice volta ad ottenere la risoluzione dei contratti di compravendita di cui agli ordini del 21.3.2018 e del 2.5.2018 è fondata e va accolta per le considerazioni di seguito esposte. Al riguardo occorre muovere dalle conclusioni cui è pervenuta la consulenza tecnica d'ufficio espletata in corso di causa, qui recepite, stante la coerenza logica interna delle argomentazioni, che, peraltro, sono state condivise da tutti i partecipanti alle operazioni peritali. In particolare, per quanto qui interessa, la consulenza d'ufficio depositata in data 10.1.2022 ha permesso di chiarire che: - in data 21.3.2018 (...) ha ordinato a (...) 150.000 valvole NLF 1/3/25, pescaggio 164 mm L., guarnizione neoprene, e 100.000 Erogatori per valvola NLF VO5.2720 + VO6.215 BC/NR; successivamente (...), previo accordo con (...), le ha consegnato gli erogatori modello NLF VO4.2730/150/215, circostanza che emergeva già dalla documentazione in atti (come emerge dalla documentazione in atti che, con ordine del 2.5.2018, (...) ha acquistato altre 50.000 valvole NLF 1/3/25 per le bombolette self-tinto); - "non sussistevano problematiche di imperfetto assemblaggio manuale tra le valvole modello NFL 1/3/25 e gli erogatori V04.2730/150/215", come, del resto, già riconosciuto da parte attrice; - l'impossibilità di un perfetto inserimento in automatico, per mezzo della macchina, comprovato dai testi escussi (...) e (...) (cfr. verbali di udienza del 23.2.2021 e dell'11.5.2021), è dipeso dal fatto che le valvole e gli erogatori consegnati richiedevano, per l'accoppiamento, una macchina con un maggior grado di precisione nella centratura; rispetto ai componenti della serie originaria NKF, che l'attrice fino a quel momento aveva acquistato, quelli della serie NLF si caratterizzano, infatti, per le dimensioni più piccole dei fori: il foro della gomma in neoprene "passa da 3,88 mm a 3,00 mm" e il foro di inserimento dell'erogatore nella valvola "passa da 4,16 mm a 3,3 mm"; "questa differenza, all'apparenza minima, è la causa dei problemi che si sono manifestati durante la produzione" (cfr. p. 10 della consulenza tecnica d'ufficio); - un diverso settaggio della macchina non avrebbe potuto, da solo, ovviare alla problematica di assemblaggio lamentata, non potendosi conseguire un risultato produttivo pari a quello che si otteneva con l'utilizzo dei componenti utilizzati prima di allora, ma solamente un buon risultato. Tali conclusioni permettono di affermare che la cosa venduta, quanto meno, non possedesse le qualità promesse, essenziali per l'acquirente. Ed invero, laddove il compratore acquisti dal fornitore abituale di erogatori e valvole di un determinato modello (NKF), con caratteristiche specifiche, funzionali al loro utilizzo per la produzione industriale, (e, quindi, impiegando necessariamente macchinari) altro e nuovo modello (quello NLF), peraltro per esigenze non già del cliente ma del fornitore stesso (il quale non avrebbe più prodotto i pezzi prima venduti), circostanza in alcun modo contestata da parte convenuta, il fornitore è tenuto a proporre e a consegnare un modello equipollente a quello precedentemente acquistato, o, laddove non venga più prodotto, quanto meno a specificare al cliente le caratteristiche che rendono il nuovo modello difforme dal precedente (nel caso di specie, le dimensioni), senza che a tale carenza possa ovviare l'invio della campionatura, in quanto, come avrebbe dovuto essere noto al fornitore, la campionatura non poteva essere testata sulla macchina utilizzata per la produzione. Nel caso di specie, invece, (...) non ha nemmeno mai indicato a (...) le difformità del prodotto venduto in sostituzione del precedente; ha, di conseguenza, consegnato erogatori e tastini che, per le diverse dimensioni che avevano rispetto ai precedenti, non potevano più essere accoppiati perfettamente sul tipo di macchinario della cliente, come tali inadatti per un loro assemblaggio in linea su quella macchina, tenuto conto che elementi così piccoli, per poter essere assemblati correttamente, devono necessariamente combaciare ed incastrarsi tra loro in maniera perfetta. Così ricostruita la vicenda contrattuale, risulta evidente che (...) abbia consegnato a (...) dei beni privi delle qualità promesse, che quest'ultima poteva lecitamente attendersi e che attenevano alla stessa funzionalità del prodotto, rilevanti ai sensi e per gli effetti dell'art. 1497 c.c.. Al riguardo, deve innanzitutto osservarsi che, nonostante la distinzione, in concreto, tra l'aliud pro alio datum e la mancanza di qualità non sia sempre agevole, in quanto la fattispecie contemplata dall'art. 1497 c.c. ricomprende anche le ipotesi in cui la qualità mancante, pur non essendo stata specificamente promessa dal venditore, assuma uno specifico rilievo caratterizzante, le inadempienze del venditore che si configurano come aliud pro alio sono quelle che, nella comune valutazione, assumono i caratteri di maggiore gravità, poiché la cosa consegnata appare radicalmente diversa da quella pattuita e tale da rendere il bene privo delle qualità minimali necessarie ad assolvere la sua funzione naturale o a quella assunta come essenziale dalle parti, e, quindi, totalmente inservibile, ragion per cui può apparire giustificato non applicare i termini di cui all'art. 1497 c.c., norma che risponde, invero, all'esigenza di assicurare la pronta contestazione di inesattezze nella prestazione del venditore, che la prolungata inerzia del compratore potrebbe far ritenere tollerate (per tutte, Cass. n. 3370/2004). Nel caso in esame, tuttavia, i beni consegnati non erano totalmente inservibili, atteso che, all'esito della taratura del macchinario e con l'ausilio dei controlli effettuati dagli operai impiegati sulla produzione, l'attrice è riuscita a produrre delle bombolette; tali beni, tuttavia, non avevano certamente le qualità promesse, in quanto non erano adatti ad essere adoperati con la macchina che l'acquirente aveva a disposizione, ma necessitavano di costanti interventi di controllo. Sul punto, vale la pena ricordare che possono essere promesse anche determinate qualità della cosa inerenti ad un uso della cosa da farsi in determinate condizioni, che obbligano il venditore laddove dedotte in contratto, espressamente ovvero anche implicitamente (cfr. Cass. n. 4657/1998; Cass. n. 5257/1978; Cass. n. 3133/1969; in ordine alla configurabilità della promessa implicita, v. anche Cass. n. 10728/2001; Cass. n. 508/1982); tale qualità promessa, espressamente ovvero implicitamente pattuita, assume, peraltro, per volontà dei contraenti, carattere di essenzialità di per sé incompatibile con la tollerabilità della sua mancanza, per cui tale mancanza comporta il diritto del compratore di ottenere la risoluzione del contratto (cfr. Cass. n. 3550/1995; Cass. n. 4923/1977; Cass. n. 556/1964). In questo senso, il fatto che i prodotti non presentassero vizi né singolarmente considerati, né assemblati manualmente tra loro, non è circostanza idonea ad escludere la garanzia di cui all'art. 1497 c.c., dovendosi qui ribadire che l'acquisto presupponeva la possibilità per l'acquirente di assemblare i prodotti con l'ausilio di un macchinario, come evidentemente noto al venditore, suo fornitore abituale; avendo quest'ultimo proposto e poi consegnato dei prodotti dal punto di vista dimensionale difformi da quelli che erano sempre stati ordinati in precedenza, senza, tuttavia, in alcun modo indicarlo all'attrice, lo stesso ha disatteso le sue richieste, consegnandole così un bene con caratteristiche diverse da quelle che, quanto meno implicitamente, aveva promesso (ossia che i prodotti avrebbero potuto sostituire i precedenti, essendo perfettamente fungibili), circostanza, quest'ultima, allegata da parte attrice e in alcun modo contestata, oltre che confortata dalla ricostruzione del c.t.u. (cfr. p. 8, dove si legge "le due aziende si sono relazionate allo scopo di definire i nuovi componenti, sostitutivi dei precedenti non più disponibili, da utilizzare per le bombolette"). L'affermazione, poi, secondo cui sarebbe stato sufficiente sostituire il tamburo della macchina per ovviare alla problematica, è stata fermamente esclusa dal c.t.u., il quale, peraltro d'accordo con i rispettivi consulenti di parte, ha concluso che "un diverso settaggio della macchina non avrebbe potuto, da solo, ovviare alla problematica di assemblaggio lamentata, per avere un risultato produttivo pari a quello che si otteneva con l'utilizzo dei componenti (valvole e tastini erogatori) utilizzati prima di allora, ma solamente un buon risultato come da report di intervento (...) del 19/06/2018" (p. 5 della relazione). In conclusione, essendo stata accertata nel caso di specie la mancanza della qualità promessa, certamente eccedente i limiti di tolleranza, deve essere pronunciata la risoluzione del contratto, con conseguente rigetto della domanda svolta in via riconvenzionale da parte convenuta di pagamento del prezzo della merce fornita. 3. Sulla domanda di risarcimento dei danni Quanto alla domanda dell'attrice volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei ritardi nella consegna della merce e delle riscontrata mancanza di qualità delle cose vendute, vale la pena ricordare in via generale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., il danneggiato ha diritto al risarcimento dei danni che siano conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento, comprensivi tanto della perdita subita, quanto del mancato guadagno, la cui delimitazione è determinata in base al giudizio ipotetico sulla differenza tra la situazione dannosa e quella che sarebbe stata se il fatto dannoso non si fosse verificato (ex multis, Cass. n. 18832/2016). A tal proposito, si rende necessario indagare l'esistenza di un duplice nesso di causalità: uno fra comportamento ed evento, per poter configurare una responsabilità, ed uno tra evento e danno, per delineare i confini di detta responsabilità ed imputare all'inadempimento le singole conseguenze dannose, che ne siano conseguenza diretta ed immediata (Cass. n. 9374/2006). Tali danni devono essere provati dal danneggiato: il criterio di riparto dell'onere di allegazione e prova dell'azione di risarcimento del danno contrattuale svolta in causa, infatti, è regolato dagli artt. 1218 e 2697 c.c. e dal principio della vicinanza della prova, in forza dei quali spetta a chi agisce in risarcimento allegare e provare la fonte legale o convenzionale dell'obbligazione che si allega totalmente o parzialmente inadempiuta, nonché allegare e provare il danno ed il nesso causale tra inadempimento totale o parziale e danno (cfr. Cass. SS.UU. n. 21678/2013; Cass. n. 18125/2013; Cass. n. 22361/2007). In particolare, quanto al danno da mancato guadagno, spetta al danneggiato provare che, ove l'altro contraente fosse stato adempiente, avrebbe con certezza o comunque ragionevolmente conseguito una corresponsione economica, che invece non ha conseguito a causa dell'inadempimento (Cass. n. 24632/2015; conf. Cass. n. 1752/2005). L'accertamento del danno patrimoniale da mancato guadagno richiede, quindi, la prova, anche indiziaria, dell'utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), il creditore avrebbe ottenuto se la prestazione fosse stata eseguita (Cass. n. 5613/2018; Cass. n. 25160/2018; Cass. n. 24632/2015; Cass. n. 7647/1994). L'onere di allegazione investe tanto il danno evento, quanto i danni conseguenza lamentati, dei quali deve essere specificata l'entità: le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria, infatti, non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, produttiva di danni nella sfera giuridica di chi agisce in giudizio, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e non, causate da tale condotta (cfr. Cass. n. 691/2012). A condizione che l'esistenza del danno sia comunque dimostrata, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, il danno è liquidato dal giudice in via equitativa, come disposto dall'art. 1226 c.c. (cfr. Cass. n. 3794/2008; Cass. n. 8615/2006; Cass. n. 5375/2003). Il potere discrezionale del Giudice di procedere a valutazione equitativa postula, tuttavia, la prova dell'incolpevole impossibilità o rilevante difficoltà di provare l'ammontare preciso del danno richiesto, da valutarsi con riguardo alla particolarità del caso e alle risultanze processuali, e non esonera affatto la parte istante dall'onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso al fine di consentire al Giudice la precisa determinazione del danno stesso, né tanto meno può essere volto a supplire l'inerzia probatoria della parte interessata. Sulla scorta dei principi di diritto appena enunciati e delle emergenze istruttorie, la domanda di risarcimento del danno svolta dall'attrice risulta solo in minima parte fondata e deve essere accolta per quanto di ragione. Quanto al danno emergente, reputa il Tribunale che occorra risarcire all'attrice unicamente la spesa di Euro 287,43 sostenuta per l'intervento del tecnico della società (...) s.r.l. del 19.6.2018, in quanto tale intervento è stato pacificamente volto a cercare di risolvere la situazione di stallo di produzione dovuta al non corretto assemblaggio dei tastini e delle valvole, sicché si tratta di un esborso causalmente riconducibile al difetto di qualità, comprovato anche nel quantum, in quanto documentato (doc. 28) e confermato dalla teste (...), segretaria di direzione della (...) (cfr. verbale di udienza dell'11.5.2021 e la risposta data sul capitolo 33). Non può essere, invece, riconosciuto innanzitutto il rimborso della spesa di Euro 4.394,64 sostenuta per l'acquisto di altri erogatori e valvole dal nuovo fornitore, (...) spa - (...), in sostituzione dei materiali forniti da (...). Ed invero, sebbene l'esborso risulti provato, non risulta che (...) abbia patito alcun danno, non avendo corrisposto alcunché a (...) per le valvole e gli erogatori viziati; se a (...) fosse, dunque, addebitato il costo sostenuto da (...) per pagare la merce in sostituzione, si verificherebbe un indebito arricchimento dell'attrice, che si troverebbe a non pagare nessuna fornitura. Ed invero, in esito all'inadempimento del debitore, il risarcimento deve porre il creditore nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non vi fosse stato: il risarcimento deve, pertanto, comprendere tutti i nocumenti subiti, senza però eccedere da essi, facendo ottenere al creditore indebiti vantaggi a fronte della situazione che si sarebbe cristallizzata con l'adempimento. Tanto si verificherebbe nel caso di specie nell'ipotesi in cui venisse riconosciuto il danno emergente lamentato. (...) avrebbe potuto lamentare il danno emergente costituito dalla maggiore spesa che si era trovata a sostenere presso il nuovo fornitore per reperire urgentemente sul mercato nuovi tastini ed erogatori; nulla è stato, tuttavia, dedotto sul punto. Gli stessi principi trovano applicazione con riferimento alle somme che sono state versate da (...) alle operaie dipendenti a titolo di retribuzione durante il forzato periodo di inattività, protrattosi per cinque giorni lavorativi, e dovuto, in tesi, al ritardo nelle consegne del materiale imputabile a (...): ed invero, le operaie sarebbero state retribuite da (...) anche nel caso in cui la produzione fosse stata avviata tempestivamente, per cui non risulta che sia stato sostenuto alcun esborso causalmente riconducibile al ritardo imputabile alla convenuta, che si atteggia, al contrario, quale fatto neutro rispetto alla retribuzione che è stata corrisposta in quei cinque giorni. In quest'ottica l'attrice, semmai, avrebbe potuto domandare il danno da mancato guadagno, laddove il ritardo accumulato non fosse stato recuperato, con conseguente ridotta produzione di bombolette, o, ancora, lamentare, se del caso, che, a causa di tale stallo nella produzione, era stata successivamente costretta ad assumere altro personale o a pagare degli straordinari al personale già assunto per velocizzare la produzione. Anche in questo caso, nulla di tutto ciò è stato dedotto. Per le medesime ragioni non sono risarcibili i costi sostenuti da (...) per retribuire il personale che si è occupato di controllare i tastini durante la produzione, di verificare in sede di collaudo gli accoppiamenti malriusciti e la non corretta nebulizzazione, nonché di provvedere alla verifica del buon funzionamento delle bombolette prodotte, allo svuotamento di quelle non funzionanti, al loro smaltimento e alla pulizia; ciò per l'assorbente ragione che, dalla stessa documentazione prodotta dall'attrice (cfr. doc. 30), non risulta in alcun modo comprovato che i dipendenti abbiano lavorato delle ore in più, effettuando degli straordinari, che soli avrebbero potuto essere riconosciuti quale danno emergente. In particolare, lo stesso c.t.u. ha indicato che nei giorni 14 e 15 giugno 2018 gli operai hanno svolto le operazioni di controllo e di inserimento manuale dei tastini per otto ore ciascuno il primo giorno e per cinque ore il successivo, per cui non risulta che sia stato svolto alcuno straordinario; lo stesso vale per lo svuotamento delle bombolette mal riuscite, per cui sono state impiegate nove giornate lavorative da otto ore ciascuna. Anche in relazione a tale richiesta, non risulta, quindi, alcuna diminuzione patrimoniale che avrebbe potuto essere evitata, e che, quindi, sia causalmente riconducibile all'inadempimento, in quanto l'attrice avrebbe corrisposto le medesime retribuzioni anche laddove la convenuta le avesse consegnato tastini ed erogatori adeguati. Con riferimento, invece, ai costi sostenuti per le prove effettuate e il consumo di maggior vernice da inserire nelle bombolette poi gettate e in quelle utilizzate per le prove, nonché per lo smaltimento delle bombolette, il danno non è provato sotto altro profilo, in quanto non vi è alcuna evidenza in atti della sussistenza e consistenza di tali danni: fermo restando quanto sarà esposto infra in ordine ai difetti delle bombolette confezionate, manca la prova, infatti, che le bombolette smaltite siano state 4.265 (non essendo chiara, nemmeno a livello di allegazione, la sorte di 1.055 bombolette self-tinto), né si può rimediare a tale carenza basandosi su quel passaggio della c.t.u. in cui si legge che "Nel corso delle operazioni peritali Parte attrice ha riferito che l'operazione svolta ha interessato circa 4.265 bombolette" (p. 15 consulenza in atti), trattandosi di allegazione in alcun modo verificata; non è stato dimostrato, poi, che effettivamente l'attrice abbia sostenuto dei costi per tale smaltimento, non risultando in atti alcuna fattura pagata nemmeno con riferimento a tutti quei prodotti che, per stessa ammissione dell'attrice, non sono stati trattenuti nel magazzino al fine di permettere le verifiche del c.t.u.. Passando ora ad esaminare il preteso danno da mancato guadagno, che riguarderebbe sia le bombolette modello "self-tinto", che altre bombolette tinte (...) standard, si osserva quanto segue. Allega parte attrice che, a fronte di una produzione di 3.765 pezzi di bombolette modello "self tinto", tra i mesi di ottobre e dicembre 2018, le erano state restituite 1.340 bombolette difettose, già consegnate ai clienti; 1.070 bombolette erano state, invece, bloccate poiché viziate, per cui risultavano ancora stoccate presso il suo magazzino, mentre ulteriori 300 bombolette erano risultate difettose in fase di test e quindi gettate; anche 500 bombolette tinte (...) standard, in quanto prodotte con difetti, erano state successivamente smaltite e gettate. Aveva, quindi, patito un danno per la mancata vendita di 2.710 bombolette self-tinto pari ad Euro 9.485,00, considerato il ricavo unitario di Euro 3,50 per pezzo venduto, e un danno per la mancata vendita di n. 500 bombolette tinte (...) standard pari ad Euro 3.650,00, considerato il ricavo unitario di Euro 7,30 per pezzo venduto. Ebbene, quanto alle bombolette tinte (...) standard, fermo restando che nemmeno sono stati prodotti gli ordini dei clienti relativi a tali bombolette, per cui il guadagno appare meramente ipotetico, basti osservare che il capitolo di prova formulato sul punto (cap. 51) non è stato ammesso in quanto valutativo e soprattutto generico, non essendo stati indicati i vizi che le bombolette presentavano, ma unicamente che le bombolette erano state "prodotte con difetti", per cui non era possibile stabilire se lo scarto di tali bombolette sia dipeso dal non corretto assemblaggio dei tastini e degli erogatori tra loro, verifica a maggior ragione necessaria se solo si consideri che, dalla documentazione prodotta dalla stessa attrice (doc. 29), si evince la sussistenza di un vizio (quello del tastino difettoso) che non è stato in alcun modo comprovato in questo giudizio, non essendo stato possibile stabilire se, anche a seguito dell'assemblaggio manuale che parte attrice tentò di effettuare durante la produzione, persistessero i difetti lamentati nel funzionamento delle bombolette spray assemblate. Sul punto, infatti, il c.t.u., nell'esaminare le bombolette indicate come campioni da parte attrice, ha evidenziato, concordemente con i c.t.p., che "la bomboletta "tinta (...)" presentava l'erogatore diverso dal modello V04.2730/150/215 e la bomboletta "metallo spray per esterni" presentava una guarnizione particolarmente danneggiata", per poi escludere che fosse possibile verificare se, anche a seguito dell'assemblaggio in parte manuale, effettuato durante la produzione, persistessero i difetti lamentati nel funzionamento delle bombolette spray assemblate (cfr. p. 13 della relazione). Quest'ultima osservazione vale anche con riferimento alle bombolette self-tinto: dalle bolle prodotte, infatti, risulta unicamente che le stesse siano state rese in quanto "difettose"; anche all'esito delle testimonianze rese, poi, non è stato dimostrato che i resi siano stati effettuati a causa di un difetto di qualità imputabile al venditore, come sopra descritto; al contrario, sempre dal doc. 29 citato, risulta che il difetto lamentato in questa fase, quando alcune bombolette erano già state confezionate (e, quindi, evidentemente, era stato superato il problema dell'imperfetto assemblaggio), era costituito da un difetto di spruzzatura del tastino, che non risulta comprovato nel presente giudizio nella sua sussistenza e nel suo nesso causale con la problematica qualitativa riscontrata, dovendosi anche qui ribadire che la c.t.u. non ha saputo dare risposta al quesito in ordine alla persistenza delle problematiche e dovendosi dare atto che, sempre in sede di operazioni peritali, è stato accertato che "l'iniettore utilizzato dai rivenditori di (...) non era compatibile con le valvole modello NFL 1/3/25". In conclusione, quindi, tenuto conto dell'esito della c.t.u., che ha chiarito che le valvole e gli erogatori in sé considerati non presentavano vizi, così come non presentavano problemi di compatibilità tra loro, deve escludersi che siano risarcibili tutti quei danni discendenti da altri pretesi difetti estetici e meccanici dei prodotti finiti, che si sono manifestati in una fase successiva della produzione, trattandosi di vizi non comprovati dall'attrice, come, invece, era suo onere, secondo quanto definitivamente chiarito da Cass. Sez. Un., 3.5.2019, n. 11748, e che, comunque, per come descritti, non appaiono in realtà attribuibili al difetto di qualità riscontrato, ma, con ogni probabilità, alle attività che sono state successivamente svolte dall'attrice. Ed invero, due tra i testi escussi di parte attrice hanno dichiarato che, durante la produzione con la macchina, una persona fissa controllava che i tastini fossero ben inseriti, usando anche il martello per "picchiare sul tastino perché entrasse" (cfr. dichiarazioni dei testi (...) e (...)); ebbene, atteso che il c.t.u. non ha riscontrato alcun vizio delle valvole e dei tastini in sé considerati, deve ritenersi che tale modo di procedere possa aver determinato difetti di funzionamento delle bombolette. Non può non rilevarsi, peraltro, che le sole contestazioni specifiche della clientela in atti (docc. 19 e 20, fascicolo di parte attrice) fanno riferimento, entrambe, ad una sostituzione della merce difettosa consegnata a ottobre-novembre 2018 (quella di cui si discute) con altra merce (deve ipotizzarsi prodotta con altre valvole, visto che ormai l'attrice era a conoscenza della problematica emersa), ad inizio 2019, sostituzione che, comunque, non era risultata soddisfacente per il cliente, per cui, a maggior ragione, manca la prova che i resi effettuati siano in rapporto causale diretto con la mancanza di qualità delle valvole e dei tastini forniti da (...). Tali constatazioni portano ad escludere altresì la risarcibilità del danno da perdita dei clienti indicati negli atti di parte attrice. Sul punto, più in generale, si rileva che un danno siffatto non può ritenersi conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del fornitore, dovendosi osservare che nelle relazioni commerciali non è affatto inusuale che alcune partite di merce presentino vizi e non per questo, se gli episodi sono adeguatamente gestiti lato commerciale, i rapporti si interrompono; non si può, quindi, presuntivamente ritenere che l'interruzione dei rapporti commerciali con determinati clienti sia da attribuire alla sola consegna di una partita di merce viziata (conclusione, come già sottolineato, da escludere anche solo leggendo le contestazioni, che fanno riferimento ad una ripetizione dei disagi dovuti alla consegna di merce viziata). Per le medesime ragioni anche il danno non patrimoniale richiesto dall'attrice per la lesione della sua immagine professionale non è dovuto. Al riguardo, si rileva che il danno non patrimoniale da lesione della reputazione, alla stregua degli altri danni da lesione di diritti fondamentali, resta un danno-conseguenza e, perciò, non coincide con la lesione dell'interesse e non sussiste in re ipsa; deve, pertanto, essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento, anche attraverso il ricorso a valutazioni prognostiche e a presunzioni sulla base di elementi obiettivi (cfr. da ultimo Cass. n. 9385/18), configurandosi, altrimenti, quale pena privata per un comportamento lesivo. Ebbene, nel caso di specie, non è stata fornita la prova che l'alterazione degli assetti relazionali di parte attrice ed il discredito sulla sua reputazione commerciale presso la clientela sia dipesa dai difetti accertati, per le considerazioni già esposte. In conclusione, deve essere riconosciuto all'attrice unicamente l'importo di Euro 287,43. Poiché la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno è un credito di valore, deve tenersi conto della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla decisione, nonché degli interessi compensativi maturati, anche d'ufficio (Cass. n. 2037/2019), che devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco di tempo compreso tra la data dell'esborso (1.9.2018) e la liquidazione. Su tali somme, corrispondenti all'intero danno risarcibile liquidato al creditore, sono altresì dovuti gli interessi al tasso legale sino al saldo, con decorrenza dalla data della presente pronuncia, coincidente con la trasformazione del debito di valore in debito di valuta. 4. Sulle spese di lite L'esito del giudizio, che vede accolte solo in parte le pretese attoree e rigettata la domanda riconvenzionale di parte convenuta, giustifica la compensazione delle spese di lite in ragione della metà; per il resto, le spese sono poste a carico di parte convenuta e sono liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 2022, guardando al valore dell'accolto. Devono, invece, essere poste a carico della parte soccombente le spese di CTU, già liquidate con separato decreto, in quanto la CTU è risultata necessaria per accertare i difetti della cosa venduta. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 6052/2019, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - accertata la mancanza delle qualità promesse e comunque essenziali per l'uso a cui era destinata la cosa venduta, dichiara l'intervenuta risoluzione dei contratti di vendita relativi agli ordini del 21.03.2018 e del 02.05.2018 intervenuti tra le parti; - condanna parte convenuta a corrispondere a parte attrice la somma di Euro 287,43, oltre rivalutazione ed interessi come meglio indicati in parte motiva; - rigetta le altre domande di parte attrice; - rigetta la domanda riconvenzionale svolta da parte convenuta; - compensa nella misura del 50% le spese di lite e condanna la convenuta alla rifusione in favore di dell'attrice del residuo 50%, che liquida, al netto della compensazione, in Euro 284,00 per spese ed Euro 2.539,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA (se dovuta) e CPA come per legge; - pone definitivamente a carico di parte convenuta le spese di CTU, già liquidate con separato decreto. Così deciso in Busto Arsizio l'1 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5550/2019 promossa da: C.P. (C.F. (...)) nata il (...) a B. A. e residente in G. (V.) alla G. G. n. 7, rappresentata e difesa dall'avv. Sa.An. (c.f. (...); fax (...); avv. (...)) in forza di procura in calce al presente atto ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv. Lu.Ca. (C.F.: (...); PEC: (...)) con studio in Busto Arsizio (VA), piazza (...). ATTORE contro (...) Società per azioni (attualmente (...) S.p.A.), con sede in S., Piazza Q. n. 8, C.F. (...), in persona del Dott. M.D., nato a N. il (...) (CF: (...)), in qualità di Direttore Legale e procuratore speciale - giusto atto di procura speciale ricevuto il (...) dal Notaio (...) - Rep. (...) Rac. (...), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al presente atto, dagli Avv.ti Lu.Zi. (Codice Fiscale (...), ed indirizzo PEC: (...)) e Fe.Ma. (Codice Fiscale (...), ed indirizzo PEC: (...)), entrambi del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliato presso lo Studio dei medesimi in Milano, Corso (...). CONVENUTO OGGETTO: Altri contratti bancari e controversie tra banche, etc ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con atto di citazione, ritualmente notificato in data 10.10.2019, (...) conveniva in giudizio la (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al fine di dichiarare, in via preliminare, quest'ultima tenuta a rendere conto del suo operato ai sensi dell'art. 1713 c.c. e nei modi e nelle forme dell'art. 263 c.p.c., nonché nel merito di dichiarare la nullità degli ordini di acquisto delle obbligazioni L., per carenza di forma scritta richiesta ad substantiam ex artt. 23, comma primo, TUF, 1325 e 1418 c.c., e per violazione degli obblighi di informazioni preliminari ex art. 67-quater del Codice del Consumo e, per l'effetto, condannare la convenuta al versamento, in favore dell'attrice, dell'intera somma investita, pari complessivamente a Euro 124.498,70, a titolo di restituzione dell'indebito, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). Ciò premesso, in via principale, l'attrice chiedeva altresì, in via subordinata, di accertare la responsabilità contrattuale della Banca per violazione delle regole di condotta e degli obblighi informativi (anche nella veste di Intermediario aderente al Consorzio (...)), e, più in dettaglio, per violazione dell'obbligo di astensione ed inadeguatezza delle operazioni di investimento ex artt. 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522/98, delle disposizioni del codice del consumo in tema di informativa precontrattuale e per violazione degli artt. 26 e 27 Regolamento Consob 11522/98, in tema di conflitto di interessi, su operazioni in contropartita diretta, e, per l'effetto, di dichiarare la risoluzione degli ordini di acquisto delle obbligazioni L. e di condannare la Banca al pagamento, in favore dell'attrice, entro 30 giorni, a titolo di risarcimento danni, dell'intera somma investita, pari ad Euro 124.498,70, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). Instava, da ultimo, in via alternativa e ulteriormente subordinata, per l'accertamento della responsabilità precontrattuale della Banca ai sensi degli artt. 1218, 1337, 1338 c.c., per omesse informazioni, e conseguente dichiarazione di risoluzione degli ordini di acquisto delle obbligazioni L. e, per l'effetto, per la condanna della Banca al versamento, nei confronti dell'Attrice, a titolo di risarcimento danni, dell'intera somma investita, pari ad Euro 124.498,70, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fallimento (ovvero alla diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia anche ex art. 1226 c.c.). A sostegno di siffatte domande, l'attrice deduceva in fatto quanto segue. - In data 24 aprile 2006, (...) apriva, per la prima volta in vita sua, un conto deposito titoli "a custodia ed amministrazione" presso la (...); tale rapporto veniva contraddistinto dal n. (...) conto corrente di riferimento n. (...); - successivamente all'apertura del predetto deposito, il Dott. (...), direttore dell'agenzia di Lonate Pozzolo, proponeva all'attrice di investire la maggior parte della liquidità presente sul proprio conto corrente in una delle obbligazioni presenti nel Listino "Obbligazioni a basso rischio/rendimento" a marchio (...), e precisamente nelle obbligazioni (...) FRN 09 (cod. isin (...)), prospettate come investimenti sicuri e privi di rischi; - persuasa l'attrice della solidità dell'investimento, in data 10 maggio 2006 la Banca acquistava pertanto, in nome e per conto della stessa (non fisicamente presente all'atto dell'operazione), l'ammontare nominale di obbligazioni (...)PLC 04/09 TV (Isin: (...)) pari a Euro 168.000, per un controvalore totale di Euro 169.764,48, corrispondente a ben oltre il 63% del portafoglio titoli posseduto da P.; l'anzidetto acquisto veniva, peraltro, effettuato in "contropartita diretta" con la Banca e, dunque, fuori mercato; - malgrado la preannunciata sicurezza dell'investimento, in data 15.09.2008, avveniva il default della (...) e la stessa veniva ammessa alla procedura concorsuale, denominata Chapter 11, con conseguente mancata restituzione del capitale investito e cessazione del percepimento degli interessi; circostanze di cui la Banca ometteva qualsivoglia comunicazione; - apprese solo successivamente tali informazioni dai notiziari pubblici, nella data del 12 luglio 2016, l'attrice, per il tramite della (...) S.r.l., richiedeva alla Banca la consegna della documentazione inerente all'acquisto del titolo (...)PLC 04/09 TV datato 10 maggio 2006, ai sensi dell'art. 119, comma quarto, del D.Lgs. n. 385 del 1993 e dell'art. 13 della L. n. 675; - ricevuta in data 14 settembre 2016 la documentazione richiesta, (...) veniva a sapere che l'investimento a lei intestato era stato completamente dismesso in data 31 gennaio 2012, nonché che le sue obbligazioni (...)PLC 04/09 TV erano state vendute, al prezzo di Euro 27,00, per un controvalore complessivo di Euro 45.265,78, senza tuttavia che quest'ultima avesse mai sottoscritto un ordine di vendita; - alla luce di siffatta scoperta, in data 11 ottobre 2016, l'attrice, per il tramite dell'anzidetta (...) S.r.l., inviava alla Banca una lettera di reclamo al fine di evidenziare le riscontrate omissioni e di denunciare la natura apocrifa delle sottoscrizioni di cui all'ordine di vendita del 31.01.2012; - tale reclamo, rimasto in fatto inevaso, veniva successivamente seguito da una lettera di convocazione innanzi all'(...) per le controversie finanziarie; anche tale tentativo si rivelava tuttavia infruttuoso. Regolarmente evocata in giudizio, si costituiva tempestivamente, in data 31.01.2020, la (...) Società per azioni (attualmente (...) S.p.A.), la quale, nel contestare integralmente le avverse domande, chiedeva, in via preliminare, di dichiarare l'inammissibilità, improponibilità, improcedibilità delle azioni risarcitorie e risolutorie per intervenuta prescrizione ai sensi degli artt. 2946 e 2947 c.c., ovvero, con riferimento anche alle domande di nullità, per assenza dei presupposti di legge, non essendo gli ordini di acquisto atti negoziali e pertanto non soggetti ai rimedi esperibili per i contratti, ovvero ancora per carenza dell'interesse ad agire e della legittimazione processuale dell'attrice, stante la conclusione del rapporto vigente inter partes in data 31.01.2012. Insisteva, da ultimo e in ogni caso, nel merito per il rigetto delle anzidette domande, stante l'infondatezza delle stesse in punto di fatto e diritto, ovvero, in via subordinata, in caso di accoglimento delle avverse pretese, per la compensazione tra quanto dovuto dalla Banca e quanto incamerato dall'attrice, a titolo di cedole, rimborsi, ricavato dalla vendita dei titoli (...) ed ulteriori somme derivanti dal rapporto di negoziazione inter partes, nonché per l'esclusione o per la limitazione del risarcimento del danno, alla luce della buona fede della Banca (quanto alla decorrenza degli interessi) e della natura di debito di valuta dell'eventuale debito discendente dalla risoluzione o invalidità del contratto de quo, in assenza della prova del maggior danno ai sensi dell'art. 1224, co. 2 c.c. In seno alla prima udienza di comparizione parti, su istanza delle stesse, venivano concessi i termini di cui all'art. 183, co. 6 c.p.c. Spirati i surriferiti termini, alla luce del disconoscimento, ad opera dell'attrice, delle sottoscrizioni di cui ai docc. 4 e 8 da quest'ultima prodotti e della correlata istanza di verificazione avanzata ex art. 216 c.p.c. da parte convenuta, veniva avviato procedimento incidentale di verificazione, previa nomina di consulente tecnico d'ufficio grafologo. Ritenuta, successivamente al deposito della consulenza, la causa matura per la decisione, il Tribunale disponeva rinvio per la precisazione delle conclusioni e assegnava consequenzialmente i termini, di cui all'art. 190 c.p.c., per memorie conclusionali e repliche, riservando la decisione in esito alla trasmissione delle medesime. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice, la domanda attorea è in parte prescritta ed in parte infondata. Devono anzitutto reputarsi prescritte le seguenti domande: di accertamento della responsabilità contrattuale e precontrattuale, di risoluzione degli ordini di acquisto dei titoli, di condanna al risarcimento del danno conseguente alla responsabilità contrattuale e precontrattuale, di condanna alla resa del conto ex art. 1713 c.c.. In punto di diritto, è necessario anzitutto premettere il condivisibile principio costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danno stesso si manifesta oggettivamente, avendo comunque riguardo all'epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile e non al dato soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto al risarcimento, potendo tale conoscenza essere colpevolmente ritardata dall'incuria del titolare del diritto (Cass., 25 gennaio 2018, n. 1889; Cass., 15 novembre 2016, n. 23236; Cass., 7 aprile 2016, n. 6747). Tale principio si fonda sull'esigenza, pure specificamente individuata dalla Suprema Corte, di non procrastinare, al di fuori delle eccezioni espressamente previste, l'inizio del decorso della prescrizione decennale rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere (Cass., 18 gennaio 2004, n. 1547). In punto di azione di risarcimento del danno e di accertamento della responsabilità dell'intermediario per l'acquisto di titoli obbligazionari, la giurisprudenza di merito oscilla nella individuazione del dies a quo della prescrizione. A fronte di un orientamento che la individua nella data di default o di sospensione dei pagamenti da parte dell'emittente (di recente, Corte appello L'Aquila sez. I, 18/10/2021, n.1559), diversa impostazione la ravvisa nella data di sottoscrizione degli ordini di acquisto dei titoli (Tribunale Arezzo, 01/10/2019, n.759 ; Tribunale di Teramo, 30/09/2015, n. 1296). Ad avviso di questo Giudice quest'ultimo orientamento merita condivisione, pur con alcuni adattamenti, per un triplice ordine di considerazioni. La prima attiene alla struttura dell'illecito, di natura contrattuale ed extracontrattuale. Dal primo esula la componente del danno, da accertarsi solo ai fini della determinazione dell'oggetto della prestazione risarcitoria. Il secondo si incentra sul danno-evento rappresentato dalla lesione della libertà all'autodeterminazione negoziale. Le due fattispecie di responsabilità, dunque, prescindono nella loro struttura dalla concreta verificazione di un danno al patrimonio, che costituisce piuttosto una conseguenza ulteriore e indiretta dell'illecito. Il dies a quo deve dunque essere ravvisato, per ciascuna delle due ipotesi, nel momento in cui risulta percepibile (in base allo standard di ordinaria diligenza) la natura illecita della condotta, e pertanto la violazione delle prescrizioni contrattuali o della libertà di autodeterminazione negoziale. In secondo luogo, tale momento non può essere ravvisato nella data in cui l'emittente ha dichiarato il default. Tale conclusione si impone non solo (come rilevato dalla sentenza prima citata) perché detto default esula dalla matrice strutturale della responsabilità invocata, ma anche e soprattutto perché ravvisare in quella data il dies a quo significherebbe esigere - ai fini della decorrenza della prescrizione - non la mera conoscibilità dell'inadempimento e della lesione all'autodeterminazione, ma la loro effettiva conoscenza. Tale conclusione contrasterebbe con la consolidata ratio della giurisprudenza di legittimità prima richiamata. In terzo ed ultimo luogo, deve osservarsi che proprio a partire dalla data di effettuazione degli ordinativi e di stipula del contratto quadro la parte attrice avrebbe potuto avvedersi dell'illecito contrattuale e precontrattuale. L'onere di diligenza gravante sull'attrice, che nel caso di specie avrebbe richiesto una tempestiva e continuativa auto-verifica della convenienza dell'affare concluso, non viene peraltro meno per la circostanza che parte convenuta (secondo le deduzioni attoree) abbia omesso di fornire informazioni rilevanti sui rischi e le caratteristiche dell'operazione finanziaria. Infatti, a prescindere da eventuali inadempimenti imputati alla parte convenuta (che in questa sede non vengono accertati, data la valenza assorbente della eccezione di prescrizione), residuava comunque la possibilità per la parte attrice di attivarsi autonomamente per la verifica delle implicazioni e della natura dell'investimento effettuato. Riconoscere in capo alla cliente tale onere non implica dunque esonerare la parte convenuta dagli obblighi informativi discendenti dalla legge, ma solo addebitare all'attrice un dovere minimo di approfondimento, dopo la stipula di un significativo investimento economico, per la verifica di eventuali incongruenze. La conclusione trae fondamento dunque dal generale principio di autoresponsabilità che permea la materia contrattuale e che giustifica altresì la sopra richiamata giurisprudenza relativa all'art. 2935 c.c. Orbene, venendo al caso di specie, il dies a quo della prescrizione dev'essere ravvisato al più tardi nella data del 10.5.2006, in cui è stato sottoscritto l'ordine di acquisto di cui al doc. 2 attoreo. Non può attribuirsi valenza interruttiva alla missiva di cui al doc. 1 attoreo, che non contiene alcun addebito di responsabilità e rappresenta una mera richiesta documentale. La prima missiva idonea alla costituzione in mora è il reclamo di cui al doc. 11 attoreo, risalente però alla data del 11.10.2016, in cui sia la prescrizione ordinaria decennale che quella quinquennale erano oramai spirate. Può adesso esaminarsi la domanda di accertamento della nullità dell'ordine di acquisto dei titoli, e la conseguente domanda di restituzione. Preliminarmente, deve rilevarsi l'ammissibilità della domanda in questione, considerata la natura negoziale dell'ordine di investimento, come tale passibile di autonoma declaratoria di nullità (ex multis Cassazione civile sez. I, 24/04/2018, n.10116). Sussiste inoltre l'interesse e la legittimazione attorea, posto che l'atto di citazione adduce la titolarità in capo all'attrice del diritto alla ripetizione delle somme in conseguenza della nullità . Le eccezioni di inammissibilità svolte da parte convenuta devono dunque essere rigettate. Tanto premesso, la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione è infondata, per le ragioni che seguono. Non può anzitutto ritenersi applicabile al caso di specie la nullità dell'art. 67 septies decies co. 4 D.Lgs. n. 206 del 2005, dovendo rilevarsi in via assorbente quanto segue. La disposizione appena citata presuppone la violazione di "obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione" delle caratteristiche del prodotto finanziario acquistato dal cliente. In punto di diritto, deve anzitutto richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale "anche l'obbligo dell'intermediario di tenersi informato sulla situazione del cliente, in quanto funzionale al dovere di curarne diligentemente e professionalmente gli interessi, permane attuale durante l'intera fase esecutiva del rapporto e si rinnova ogni qual volta la natura o l'entità della singola operazione lo richieda, per l'ovvia considerazione che la situazione del cliente non è statica bensì suscettibile di evolversi nel tempo" (SS.UU., n. 26725 del 2007). Tale assunto è stato arricchito da successivi interventi, i quali hanno fondato l'obbligo d'informazione di tipo continuativo non solo sulle norme primarie e regolamentari di settore, ma anche sugli artt. 1175 e 1375 cod. civ., che impongono il rispetto delle regole generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Facendo proprie tali considerazioni, la giurisprudenza di legittimità ha recentemente osservato "come sia determinante per l'investitore, sussistendo nel caso di specie anche uno specifico vincolo pattizio in tal senso, entrare tempestivamente in possesso delle informazioni su di un titolo, idonee non solo a far comprendere l'iniziale grado di rischio collegato all'investimento, ma che consentano anche di assumere provvidenziali scelte di cessione del titolo, atte ad impedire gravose perdite per l'investitore, in caso di svalutazione del titolo acquistato o deterioramento del patrimonio degli emittenti il titolo" (Cass. n 15936/2018). Ferma restando dunque la natura continuativa dell'obbligo gravante sull'intermediario, deve tuttavia precisarsi che la nullità prevista dalla disposizione in esame presuppone un difetto informativo genetico e coevo alla stipula del contratto. In altri termini, ai fini dell'applicazione 67 septies decies co. 4, deve appurarsi che già all'epoca della stipula del contratto l'intermediario potesse prevedere compiutamente i profili di rischio connessi al prodotto finanziario acquistato e che omettesse di informare il cliente a riguardo. Orbene, a quanto si evince dalla stessa relazione peritale depositata da parte attrice (doc 10 attoreo) i profili di rischio idonei a compromettere la adeguatezza dell'investimento si sono palesati a partire dalla seconda metà del 2007, oltre un anno dopo la stipula del contratto (andamento delle passività, livello di liquidità, indice di indebitamento, evoluzione del rischio, utile per azione: tutti indici che hanno assunto profili di rischiosità dopo l'agosto 2007, secondo la relazione). D'altro canto, non può sottacersi che il rating A+, mantenuto da parte delle maggiori agenzie Internazionali sino al default della B.D.affari emittente, esclude in radice la possibilità per la convenuta di avvedersi dei segnali del futuro tracollo e dunque di cogliere la reale entità del rischio, come correttamente rilevato da parte della giurisprudenza di merito in casi analoghi a quello in esame (Tribunale sez. I - Parma, 25/01/2017, n. 101; Tribunale - Vercelli, 12/06/2015, n. 369). Tanto premesso, deve osservarsi che all'esito del procedimento di verificazione il ctu ha accertato la natura apocrifa delle sottoscrizioni apposte in calce all'ordine di vendita dei titoli del 31.1.2012 (doc 4 attoreo) e del documento informativo di cui al doc. 8 attoreo. Orbene, al riguardo deve anzitutto darsi atto della condivisibilità delle conclusioni cui è giunto il ctu, in quanto sorrette da adeguata e coerente motivazione e giunte all'esito di un congruo iter di accertamento. Cionondimeno, la domanda attorea è comunque infondata, per le seguenti ragioni. Anzitutto, deve sottolinearsi che la domanda di accertamento della nullità svolta dall'attore, per come precisata nelle conclusioni dell'atto introduttivo e della memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c. (e confermata in sede di precisazione delle conclusioni) non ha ad oggetto l'ordine di vendita in questione, bensì del precedente ordine di acquisto. Dalla anzidetta natura negoziale degli ordini di acquisto deriva come si è detto la loro passibilità di autonoma declaratoria di nullità, e discende altresì la naturale conseguenza che la nullità dell'ordine di vendita del titolo non si riverbera di per sa sulla validità degli altri ordini che costituiscono esecuzione del contratto quadro. Pertanto, pienamente valido deve ritenersi l'ordine di acquisto dei titoli (doc 2 attoreo), di cui parte attrice lamenta la nullità ma non ha mai contestato la autenticità della sottoscrizione. Sotto altro profilo, la nullità dell'ordine di vendita in ogni caso non può condurre all'accoglimento della domanda restitutoria avanzata dall'attore, poiché detta domanda non ha ad oggetto i titoli che erano stati venduti bensì la somma di denaro spesa per acquistarli, e presuppone infatti la nullità (non dell'ordine di vendita, bensì) dell'ordine di acquisto. Non può del resto sottacersi che la domanda di restituzione, per come formulata dall'attore, è logicamente incompatibile con la lamentata nullità dell'ordine di vendita. Infatti, detta domanda ha ad oggetto la differenza fra il controvalore economico che i titoli avevano all'epoca dell'ordine di acquisto (maggio 2006) e il relativo controvalore all'epoca dell'ordine di vendita (gennaio 2012). Tale domanda dunque si fonda sul dato che parte attrice ha ricevuto un importo per la vendita dei titoli, e dunque presuppone che la vendita sia stata validamente effettuata e che la stessa sia efficace. Per le ragioni sopra indicate deve rigettarsi la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione. Si considerano assorbite tutte le questioni, ed eccezioni non espressamente esaminate nella presente motivazione. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ., sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie, all'esito del giudizio parte attrice è risultata soccombente rispetto alla domanda di nullità, onde la stessa va condannata (in relazione a tale domanda) a rifondere le spese di parte convenuta, non ravvisandosi gravi ed eccezionali motivi idonei a discostarsi dal principio di causalità della lite. Rispetto alle restanti domande, invece, deve ritenersi sussistente il presupposto per la compensazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 co. 2 c.p.c., in ragione del contrasto giurisprudenziale sussistente in relazione alla decorrenza della prescrizione. Pertanto, si ritiene di compensare le spese di lite nella misura del 50%, e di condannare parte attrice alla rifusione delle spese di lite in favore di parte convenuta per il restante 50%. Le spese si liquidano con applicazione del D.M. n. 55 del 2014, secondo parametri medi previsti per i giudizi avanti al Tribunale per lo scaglione di valore applicabile per le fasi introduttiva, di studio, decisionale. Non si procede a una autonoma liquidazione della fase istruttoria, considerato che l'istruttoria nel presente giudizio è stata circoscritta all'espletamento della ctu, i cui costi vengono posti a carico di parte attrice. L'importo a titolo di compenso (già dimidiato al 50%) è liquidato in Euro 4.216,5. Le spese di ctu devono infatti essere poste definitivamente a carico di parte attrice, in quanto soccombente. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: 1) rigetta la domanda di accertamento della nullità e di condanna alla restituzione, svolta da parte attrice nei confronti di parte convenuta; 2) dichiara prescritte le domande, svolte da parte attrice nei confronti di parte convenuta, di accertamento della responsabilità contrattuale e precontrattuale, di risoluzione degli ordini di acquisto dei titoli, di condanna al risarcimento del danno, di condanna alla resa del conto ex art. 1713 c.c.; 3) condanna altresì la parte attrice a rimborsare alla parte convenuta il 50% delle spese di lite, che si liquida come segue: Euro 4.216,5 per compenso, il 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, cpa e iva se e come dovute per legge. Compensa fra le parti le spese di lite per la parte residua. 4) pone definitivamente ed esclusivamente le spese di ctu in capo a parte attrice. Così deciso in Busto Arsizio il 30 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3793/2020 promossa da: (...) S.P.A. già (...) S.P.A. (C.F. (...) ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. PA.BO., dell'avv. GI.CA. e dell'avv. GI.GO. ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei difensori PARTE ATTRICE contro COMUNE DI CERRO MAGGIORE (C.F. (...)), in persona del Sindaco pro tempore, con il patrocinio dell'avv. AD.PI. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) s.p.a. (già (...) s.p.a.), in qualità di cessionaria dei crediti acquistati da (...) S.p.a., (...) S.p.a. e (...) S.p.a., ha convenuto in giudizio, dinnanzi all'intestato Tribunale, il Comune di Cerro Maggiore per sentirlo condannare al pagamento: della somma di Euro 14.647,06 per sorte capitale portata da alcune fatture che le erano state cedute, oltre interessi di mora da calcolarsi dalla scadenza delle singole fatture al saldo, ai sensi degli artt. 4 e 5, D.Lgs. n. 231 del 2002, nonché degli interessi anatocistici dal giorno della domanda sugli interessi scaduti e dovuti da almeno sei mesi da calcolarsi in base all'art. 1284 c.c.; della somma di Euro 920,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002, in ragione di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture sopra indicate; della somma di Euro 1.758,20 a titolo di interessi di mora maturati per il ritardato pagamento delle fatture cedute relative ad altre forniture, oltre agli ulteriori interessi anatocistici dalla domanda all'effettivo pagamento da calcolarsi in base al tasso previsto dall'art. 1284 c.c.; nonché della somma di Euro 18.880,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002, in ragione di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture sopra indicate. A sostegno delle sue pretese, (...) s.p.a. (d'ora in avanti, per brevità, "(...)") ha esposto: che (...) S.p.a., (...) S.p.a. e (...) S.p.a. le avevano ceduto pro soluto i crediti che vantavano nei confronti del Comune convenuto; che, in forza di tali cessioni di credito, regolarmente notificate al debitore, era creditrice nei confronti del Comune del residuo importo di Euro 14.647,06, a titolo di sorte capitale per il mancato pagamento delle fatture indicate nell'allegato prodotto sub doc. 3; che su tale somma andavano calcolati gli interessi ai sensi degli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 231 del 2002, pari, alla data del 30.7.2020 ad Euro 6.402,59, nonché gli interessi anatocistici dalla data della proposizione della domanda giudiziale sugli interessi scaduti da almeno sei mesi, nonché Euro 920,00 a titolo di risarcimento forfettario del danno di Euro 40,00 per ciascuna fattura non pagata; che risultava altresì creditrice dell'importo di Euro 1.758,20, dovuto a titolo di interessi di mora maturati per il ritardato pagamento da parte del Comune di Cerro Maggiore di altre fatture, specificamente riepilogate nel doc. 5, al quale andavano sommati gli interessi anatocistici dalla proposizione della domanda giudiziale, nonché dell'importo di Euro 18.880,00, a titolo di risarcimento forfettario del danno di Euro 40,00 per ciascuna delle fatture di cui sopra, non tempestivamente pagate. Nel costituirsi in giudizio il Comune di Cerro Maggiore ha chiesto il rigetto delle domande attoree, deducendo, in particolare: che il credito portato dalle fatture di cui all'elenco sub doc. 3 risultava estinto per effetto dell'integrale pagamento in favore dell'originario creditore, avvenuto prima delle rispettive cessioni; che, stante l'infondatezza della domanda relativa alla somma capitale, anche le ulteriori domande di condanna al pagamento degli interessi moratori e anatocistici sulle somme di cui al doc. 3 erano infondate; che anche le somme indicate nell'elenco prodotto sub docc. 4 e 5, richieste a titolo di interessi moratori sulle fatture cedute, non erano dovute, stante la tempestività del pagamento di quasi tutte le fatture elencate; che anche la richiesta di pagamento della somma di Euro 40 per ogni fattura asseritamente pagata in ritardo era infondata, tenuto conto che l'art. 6, D.Lgs. n. 231 del 2002, riconosceva un importo forfettario per il recupero e che, comunque, richiedere tale importo in relazione alle singole fatture, in relazione alle quali erano maturati interessi anche per pochi centesimi di Euro, configurava un abuso del diritto. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. All'esito dell'istruttoria documentale, il credito vantato da (...) è risultato fondato negli limiti che seguono. 1. Sul credito per sorte capitale Per quanto concerne il primo gruppo di fatture di cui all'elenco prodotto sub doc. 3, per complessivi Euro 14.647,06 in linea capitale, vale la pena premettere che (...) ha dimostrato la propria legittimazione attiva in relazione ai crediti vantati, avendo depositato in giudizio l'atto di conferimento del mandato alla gestione, al recupero e all'incasso dei crediti ceduti da (...) S.p.a. a (...) S.p.a., sua mandante, nonché l'atto di cessione dei crediti intervenuto con (...) S.p.a. il 29.6.2015, regolarmente notificato al debitore ceduto il 17.7.2015, e con (...) S.p.a. il 30.6.2017, anch'esso regolarmente notificato al debitore ceduto il 6.7.2017 (cfr. docc. 6 e 12, fascicolo di parte attrice). Ciò posto, l'eccezione sollevata dal Comune convenuto relativa all'inesistenza del credito portato dalle fatture di cui sopra, in quanto lo stesso si sarebbe integralmente estinto per intervenuto pagamento in data anteriore a quella della cessione dei crediti, merita accoglimento nei limiti qui di seguito esposti. Al riguardo, si osserva, in via di principio, che il debitore ceduto può sempre opporre al cessionario le eccezioni di inesistenza ab origine del credito, così come di estinzione dello stesso per intervenuto pagamento; ebbene, nel caso di specie, il Comune di Cerro Maggiore ha depositato documentazione attestante l'intervenuto pagamento di tutte le fatture elencate nel doc. 3, fascicolo di parte attrice. Sul punto, reputa il Tribunale che la documentazione prodotta, contrariamente a quanto sostenuto da parte attrice, fornisca adeguata prova degli avvenuti pagamenti, nelle date sopra indicate, da parte del Comune debitore, avendo quest'ultimo depositato non solo i mandati di pagamento relativi alle fatture in esame, la cui emissione, peraltro, è stata comunicata al creditore (v. Cass. n. 29776/2020), ma anche tutte le ricevute degli avvenuti pagamenti, da cui risulta l'esecuzione del mandato (documentazione ritenuta sufficiente, da ultimo, ex multis, anche da Corte appello Milano, sez. I, 11.4.2022, n. 1218; Corte appello Milano, sez. IV, 10.5.2022, n. 1531). Non può non rilevarsi, peraltro, che, nel caso in esame, l'attrice, a fronte di siffatta produzione, si è limitata a ribadire che il Comune non aveva dimostrato di avere pagato i crediti oggetto del giudizio, sicché, a fronte di una mera contestazione in ordine alla prova del fatto, senza che quest'ultimo sia stato oggetto di specifica contestazione, deve concludersi come il versamento della somma di denaro costituisca in realtà circostanza di fatto non contestata e, come tale, non necessitante di essere provata in giudizio, ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Ciò chiarito in ordine alla rilevanza della documentazione prodotta, quanto alle fatture riconducibili alla mandante (...), che, a sua volta, avrebbe acquistato i crediti da (...) in data 23.12.2014 per l'importo di Euro 14.504,46, come risulta dal mandato alla gestione e all'incasso, risulta che: - la fattura n. (...) del 23.5.2012, per Euro 1.173,00, è stata regolarmente pagata, come risulta dal mandato di pagamento n. (...) del 27.8.2012, eseguito in data 29.8.2012 (doc. 68, fascicolo di parte convenuta); - le fatture n. (...) per Euro 204,50, n. (...) per Euro 314,00, n. (...) per Euro 536,00 e n. (...) per Euro 170,50, tutte del 23.8.2012, sono state regolarmente pagate, come risulta dal mandato di pagamento n. (...) del 26.10.2012, eseguito in data 31.10.2012 (doc. 69); - le seguenti fatture riconducibili all'anno 2014 (n. (...) per Euro 53,18; n. (...) per Euro 37,97; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 36,80; n. (...) per Euro 46,31; n. (...) per Euro 47,04; n. (...) per Euro 48,13; n. (...) per Euro 59,60; n. (...) per Euro 111,14; n. (...) per Euro 112,28; n. (...) per Euro 121,30; n. (...) per Euro 244,82; n. (...) per Euro 313,98; n. (...) per Euro 484,32; n. (...) per Euro 568,68; n. (...) per Euro 635,52; n. (...) per Euro 863,02; n. (...) per Euro 8.233,34) sono state ritualmente pagate, come risulta dalla ricevuta di pagamento dell'ordine n. (...) del 26.11.2014 (doc. 70), che reca l'importo complessivo pari ad Euro 31.441,35, somma questa coincidente con quella indicata nell'avviso di pagamento del 31.12.2014, indirizzato all'originario creditore (doc. 3); - le fatture n. (...) dell'11.6.2014 per Euro 97,15 e n. (...) per Euro 62,76 risultano essere state pagate, rispettivamente, in data 11.9.2014 e in data 28.10.2014 (docc. 5 e 71). Anche le fatture riconducibili a (...), per l'importo rispettivamente di Euro 244,70 (fattura n. (...) dell'11.12.2015) e di Euro 39,34 (fattura n. (...) del 24.2.2015), risultano essere state pagate, la prima, con i mandati di pagamento n. (...) per Euro 197,13 e n. (...) per Euro 47,57 (docc. 6, 49 e 53), assolti con ordinativi univocamente riconducibili a tali mandati del 29.2.2016 e del 2.3.2016 (cfr. ricevute di pagamento di cui ai docc. 72 e 73), e, la seconda, con il mandato di pagamento n. (...) del 12.5.2015 (doc. 7), assolto con pagamento del 15.5.2015 (doc. 74). Con riguardo, infine, alle fatture riconducibili a (...), si rileva che la fattura n. (...) del 13.6.2017 per Euro 122,77 risulta essere stata pagata in data 8.8.2017, come da ordinativo del 4.8.2017, che fa riferimento al mandato di pagamento n. (...) del 4.8.2017, in cui è ricompresa la predetta fattura (cfr. doc. 75 e doc. 8), e che la fattura n. (...) del 1.6.2017 altro non è che una nota di credito, a favore del Comune, per Euro 43,88. Dalla documentazione prodotta, risulta, quindi, che il Comune convenuto abbia pagato tutte le fatture azionate in questo giudizio. L'attrice ha, tuttavia, eccepito che i pagamenti effettuati non libererebbero il Comune nei suoi confronti, in quanto intervenuti successivamente alla notifica delle cessioni. Al riguardo, il Tribunale osserva, quanto alle fatture riconducibili alla mandante (...) (che, a sua volta, avrebbe acquistato i crediti da (...) in data 23.12.2014), che i pagamenti sono stati tutti effettuati al più tardi in data 26.11.2014, sicché non vi è dubbio, a prescindere dalla data della notifica al debitore ceduto della cessione di cui sopra, mai indicata da parte attrice, che, all'epoca dei pagamenti, il creditore legittimato a ricevere il pagamento fosse ancora il creditore originario (...). Diversamente, per quanto riguarda le fatture riconducibili ad (...), deve rilevarsi che l'importo di Euro 244,70 di cui alla fattura n. (...) del 28.12.2015 è stato pagato ad (...) successivamente alla notifica della cessione, in data 17.7.2015, nonostante la stessa dovesse ritenersi ricompresa tra le fatture "emesse non oltre 24 mesi dopo la stipula" dell'atto di cessione, avvenuta il 29.6.2015. Lo stesso vale per la fattura riconducibile a (...), la n. (...) del 13.6.2017, per Euro 122,77, che risulta pagata alla creditrice originaria in data 8.8.2017, successivamente alla notifica della cessione, avvenuta il 6.7.2017, sebbene la stessa fosse ricompresa nelle fatture cedute (cfr. elenco allegato all'atto di cessione). Ne discende che i due pagamenti attestati dai mandati e dalle ricevute di cui sopra, quantunque abbiano avuto materialmente luogo, non consentono di ritenere il Comune di Cerro Maggiore liberato dalle proprie obbligazioni nei confronti della cessionaria, che ha titolo per domandare e ottenere il pagamento del credito acquistato. Ed invero, posto che, a mente dell'art. 1264 c.c., la cessione del credito è efficace nei confronti del ceduto a far data dalla notificazione o dalla relativa accettazione, proprio la notifica sovverte la presunzione semplice di buona fede del debitore ed impedisce che l'eventuale pagamento al cedente abbia efficacia liberatoria. In definitiva, detraendo dall'elenco delle fatture sub doc. 3, fascicolo di parte attrice, gli importi risultati estinti secondo le considerazioni che precedono, si ottiene che il credito residuo spettante a (...) è pari ad Euro 367,47 per sorte capitale. A tale somma devono essere aggiunti gli interessi moratori al tasso commerciale (art. 5, D.Lgs. n. 231 del 2002), dalla scadenza di ciascuna fattura al saldo effettivo, nonché, ai sensi dell'art. 1283 c.c., gli interessi prodotti dai predetti interessi moratori, scaduti da almeno sei mesi, con decorrenza dalla data di notifica della citazione al saldo effettivo e al tasso di cui all'art. 1284, comma 4, c.c. Va altresì riconosciuta, in favore di parte attrice, la somma di Euro 40,00 per ciascuna fattura dovuta ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2002, per un totale di Euro 80,00. 2. Sul credito a titolo di interessi di mora per il ritardato pagamento di altre fatture Quanto alla domanda di (...) di condanna di parte convenuta al pagamento delle somme portate dalle fatture prodotte sub doc. 4, emesse dalla stessa (...) nei confronti del Comune a fronte del ritardato pagamento di una serie di fatture che erano state cedute da (...) a (...), di cui (...) è mandataria, e da (...) e (...) a (...) stessa, per un totale di Euro 1.758,20, reputa il Tribunale che le eccezioni sollevate dal Comune convenuto meritino solo parziale accoglimento. Si precisa innanzitutto che, anche in questo caso, (...) ha legittimazione ad agire per il recupero dei crediti per interessi moratori maturati sulle fatture asseritamente pagate in ritardo dal Comune convenuto. Ed invero, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, che genericamente ha allegato che "la stragrande maggioranza delle fatture poste a fondamento dei presunti interessi che sarebbero maturati fuoriesce dall'elenco dei crediti ceduti da (...), (...) e (...) a favore di B.", senza indicare a quali fatture facesse riferimento nello specifico, dal controllo effettuato dalla scrivente le fatture in questione risultano tutte ricomprese negli elenchi allegati al mandato all'incasso e alle due cessioni di credito, ad eccezione delle fatture di (...) emesse successivamente alla data del 29.6.2015, che, tuttavia, risultano comunque essere state cedute a (...) in forza della clausola contenuta nell'atto secondo cui sarebbero state oggetto di cessione anche le fatture "emesse non oltre 24 mesi dopo la stipula" dell'atto di cessione (cfr. doc. 12, fascicolo di parte attrice). Il Comune ha poi eccepito di aver pagato puntualmente le fatture di cui ai tabulati allegati, rispettivamente, alle fatture n. (...) del 20.7.2015 dell'importo di Euro 601,47, n. (...) del 29.1.2016 dell'importo di Euro 243,17, n. (...) del 20.7.2016 dell'importo di Euro 313,61, n. (...) del 21.10.2016 per Euro 234,17, e n. (...) del 19.10.2017 per Euro 365,78 (cfr. doc. 4, fascicolo di parte attrice), producendo i relativi mandati di pagamento e le relative ricevute di pagamento. L'eccezione risulta fondata nei limiti di seguito esposti. Vale la pena premettere in linea generale che, ai sensi dell'art. 4 D.Lgs. n. 231 del 2002, applicabile anche alle transazioni commerciali concluse con le pubbliche amministrazioni, visto il disposto di cui all'art. 2 del medesimo decreto, gli interessi decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che sia necessaria la costituzione in mora; come chiarito anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 3 aprile 2008, nella causa C-306/06, poi, l'art. 3, n. 1, lett. c), ii), della direttiva 2000/35/CE (la cui formulazione è la medesima di quella della corrispondente norma della direttiva 2011/7/UE), deve essere interpretato nel senso che "esso richiede, affinché il pagamento mediante bonifico bancario escluda l'applicazione degli interessi moratori o ponga fine alla stessa, che la somma dovuta sia accreditata sul conto del creditore alla scadenza". Applicando tali principi al caso di specie e rilevato che il Comune non ha contestato il dies a quo di decorrenza degli interessi moratori, si osserva che, con riguardo alla fattura n. (...) del 20.7.2015 per Euro 601,47, il Comune ha depositato in atti i mandati di pagamento emessi in data 11.12.2014, per tutte le trentanove fatture elencate nel prospetto (cfr. mandati di pagamento n. (...) - (...) e (...) del 11.12.2014 prodotti sub docc. 10-12), e ricevute di bonifico da cui risulta che i pagamenti sono stati effettuati in data 15.12.2014 e accreditati in data 22.12.2014 (doc. 76), e, quindi, prima della scadenza delle fatture in questione, fissata per il 30.12.2014; nulla è, pertanto, dovuto a titolo di interessi moratori. Lo stesso vale per gli interessi di cui alla fattura n. (...) del 19.10.2017, per Euro 365,78, avendo il Comune prodotto i mandati di pagamento n. (...), (...) e (...) del 24.4.2017 (docc. 64 - 66) e n. (...) del 31.5.2017 (doc. 67), nonché la ricevuta dei bonifici, accreditati rispettivamente in data 27.4.2017 e 12.6.2017 (doc. 79), per cui risulta comprovata la piena tempestività dei pagamenti effettuati, atteso che le fatture di cui al riepilogo scadevano in data 2.5.2017, ad eccezione dell'ultima fattura indicata nel prospetto, pagata con mandato n. (...), che scadeva in data 19.6.2017 (dovendosi ritenere che erroneamente sia stata indicata la data 19.5 in quanto la fattura era stata emessa in data 19.4 e la scadenza, anche per tutte le altre fatture, era a due mesi dall'emissione). Diversamente, quanto alla fattura n. (...) del 20.7.2016, dell'importo di Euro 313,61, si rileva che il Comune ha depositato il mandato di pagamento n. (...) del 21.9.2015 (doc. 41, ma già doc. 29) e la relativa attestazione di pagamento (doc. 77 cit.); il pagamento, tuttavia, non risulta essere stato effettuato tempestivamente, atteso che tutte le fatture elencate nel prospetto scadevano il 29.9.2015 e che le somme sono state accreditate al creditore in data 28.12.2015, sicché devono essere riconosciuti gli interessi conteggiati nel prospetto prodotto da parte attrice (doc. 4 cit.). Lo stesso è a dirsi con riguardo alla fattura n. (...) del 21.10.2016, per l'importo di Euro 234,17: ed invero, dagli stessi mandati e ricevute di pagamento prodotti dal Comune (che comunque riguardano solo le fatture cedute da (...) e non anche quelle di (...)), si evince che i pagamenti sono avvenuti in ritardo rispetto alle date di scadenza delle fatture, secondo quanto indicato dalla parte attrice nei conteggi di cui al prospetto (rispettivamente, in data 8.2.2016 in relazione ai mandati di pagamento nn. (...) - (...) - (...) - (...) e (...) del 28.1.2016 di cui ai docc. 42 - 46; in data 8.3.2016, in relazione ai mandati nn. (...) - (...) - (...) -(...) - (...) - (...) e (...) del 29.2.2016 di cui ai docc. 47 - 53; in data 6.4.2016 in relazione ai mandati nn. 892 - 893 - 894 - 895 - 896 del 29.3.2016 di cui ai docc. 54 - 58; in data 13.4.2016 in relazione al mandato n. 953 del 4.4.2016 di cui al doc. 60; in data 2.12.2015 in relazione ai mandati n. 2940 - 2941 e 2943 del 20.11.2015, di cui ai docc. 61 - 63, cfr. docc. 78 e 77 cit.). Con riguardo, infine, alla fattura n. (...) del 29.1.2016 per Euro 243,17, si evidenzia che il Comune ha depositato i mandati di pagamento che attestano gli ordini di pagamento e le ricevute dei bonifici che comprovano l'effettuazione del pagamento nelle date di seguito indicate (cfr. mandati di pagamento nn. (...) - (...) - (...) - (...) e (...) del 23.6.2015 di cui ai doc. 13 -17, eseguiti in data 6.7.2015; nn. 1737 - 1738 - 1739 - 1740 e 1741 del 3.7.2015, di cui ai docc. 18 - 22, eseguiti in data 15.7.2015; nn. 2106 - 2107 - 2108 - 2109 - 2110 del 19.8.2015, di cui ai docc. 23 - 27, eseguiti in data 31.8.2015; nn. 2378 - 2379 - 2380 - 2381 - 2382 e 2383 del 21.9.2015, di cui ai docc. 28 - 33, eseguiti in data 5.10.2015; nn. 2654 - 2655 - 2656 - 2658 e 2659 del 22.10.2015, di cui ai docc. 34 -38, eseguiti in data 2.11.2015; n. 2942 del 20.11.2015, di cui al doc. 39, eseguito in data 2.12.2015 (doc. 77). Ebbene, dal raffronto tra la data di scadenza delle fatture di cui al riepilogo prodotto sub doc. 4, fascicolo di parte attrice, e le date di pagamento sopra indicate, si evince che: - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.6.2015, che sono state pagate con accredito del 6.7.2015 e non già del 5.8.2015, come indicato dall'attrice, secondo i calcoli effettuati, è dovuta la minore somma di Euro 29,62, a titolo di interessi di mora; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 30.7.2015, nulla è dovuto dal Comune in quanto tempestivamente pagate con accredito del 15.7.2015; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.8.2015, che sono state pagate con accredito del 31.8.2015 e non già del 10.9.2015, come indicato dall'attrice, secondo i calcoli effettuati, è dovuta a titolo di interessi la minore somma di Euro 7,87 (arrotondata per eccesso), a titolo di interessi di mora; - per quanto riguarda le fatture dei fornitori con scadenza al 29.9.2015, le stesse sono state pagate con accredito del 5.10.2015, per cui è dovuta la somma di Euro 47,20 correttamente indicata dall'attrice; - per quanto riguarda le fatture con scadenza al 30.10.2015, le stesse sono state pagate il 2.11.2015, per cui è dovuta a titolo di interessi la somma di Euro 13,02 correttamente indicata dall'attrice; - per quanto riguarda la fattura con scadenza al 30.11.2015, infine, la stessa è stata pagata il 2.12.2015 per cui è dovuta a titolo di interessi la somma di Euro 0,09 correttamente indicata dall'attrice; per un totale di Euro 97,80. Su tale importo, in quanto relativo ad interessi di mora dovuti da più di sei mesi, sono dovuti, ai sensi dell'art. 1283 c.c. gli interessi anatocistici nella misura prevista dall'art. 1284, comma 4, c.c., con decorrenza dalla data di notifica della citazione e fino al saldo. Non può essere, invece, riconosciuto in favore dell'attrice il risarcimento del danno relativo ai costi di recupero del credito previsto dall'art. 6 D.Lgs. n. 231 del 2002 nella misura di Euro 40,00 per ogni fattura pagata in ritardo tra quelle indicate nei prospetti riepilogativi prodotti sub doc. 4. Al riguardo vale la pena evidenziare che, ai sensi della citata disposizione, l'importo forfettario in questione è dovuto "quale risarcimento dei costi di recupero sostenuti dal creditore" (comma 2). Ed invero, secondo quanto meglio chiarito dai considerando 19 e 20 della direttiva 2011/7/UE, "il risarcimento sotto forma di importo forfettario dovrebbe mirare a limitare i costi amministrativi e i costi interni legati al recupero" e "oltre ad avere diritto al pagamento di un importo forfettario per coprire i costi interni legati al recupero, il creditore dovrebbe poter esigere anche il risarcimento delle restanti spese di recupero sostenute a causa del ritardo di pagamento del debitore". Come si vede, quindi, il risarcimento minimo di cui sopra presuppone che siano stati sostenuti dei costi di recupero degli importi pagati in ritardo (cfr., sui costi di recupero, sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 13 settembre 2018, ?eská poji??ovna, causa C-287/17). Nel caso di specie, tuttavia, non è stato nemmeno allegato che gli originari creditori abbiano sostenuto costi di recupero - di sollecito o anche solo amministrativi o interni -, né ciò si può presumere, anche guardando ai ritardi rilevati, tutti di pochi giorni e peraltro in buona parte erroneamente conteggiati; non può ritenersi, di conseguenza, che il diritto al risarcimento forfettario si sia trasferito alla cessionaria. 3. Sulla domanda svolta in via subordinata Anche la domanda di parte attrice ex art. 2041 c.c. svolta in via subordinata non può essere accolta, non essendo configurabile alcun arricchimento indebito nella fattispecie in esame, avendo parte convenuta pagato tempestivamente le fatture per cui le domande non sono state accolte in via principale o non essendo comunque dovuti i pagamenti richiesti da (...) per le ragioni di cui in narrativa. 4. Conclusioni e spese In conclusione, in parziale accoglimento delle domande proposte da (...), il Comune di Cerro Maggiore deve essere condannato a pagare, in favore di (...), la somma di Euro 367,47 per sorte capitale, oltre agli interessi moratori al tasso commerciale dalla scadenza al saldo effettivo, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione, nonché la somma di Euro 80,00 ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2002. Il Comune di Cerro Maggiore deve altresì essere condannato al pagamento della somma di Euro 645,58 a titolo di interessi moratori scaduti, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione. Quanto alle spese di lite, atteso il considerevole divario tra petitum e decisum, reputa il Tribunale che le stesse debbano essere compensate. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 3793/2020, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 367,47, oltre agli interessi moratori al tasso commerciale dalla scadenza delle singole fatture al saldo effettivo, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione; - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 80,00, ai sensi dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2002; - condanna il convenuto a pagare, in favore dell'attrice, la somma di Euro 645,58, oltre agli interessi anatocistici da calcolarsi come in motivazione; - rigetta, per il resto, le domande proposte da parte attrice; - compensa integralmente le spese di lite tra le parti. Così deciso in Busto Arsizio l'11 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023.

  • TRIBUNALE ORDINARIO di BUSTO ARSIZIO PRIMA SEZIONE CIVILE Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati: dott. Francesco Paganini - Presidente dott. Massimiliano Radici - Giudice dott. Maria Eugenia Pupa - Giudice Relatore ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. .../2021 posta in decisione all'udienza del 04/10/2022 e promossa da P.A., elettivamente domiciliato in ...presso lo studio degli avv.ti..., che lo rappresentano e difendono giusta procura allegata al ricorso; -RICORRENTE contro B.G., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, elettivamente domiciliata in ...presso lo studio dell'avv...., che la rappresenta e difende giusta procura allegata alla comparsa di costituzione; -RESISTENTE CON L'INTERVENTO OBBLIGATORIO DEL PUBBLICO MINISTERO OGGETTO: dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio Svolgimento del processo - Motivi della decisione La domanda di dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 21/07/1984 in ...è fondata e meritevole di accoglimento. Da quanto risulta, le parti vivono in stato di separazione fin dalla loro comparizione avanti il Presidente del Tribunale di Milano, avvenuta nel corso del giudizio di separazione (conclusosi con sentenza n. ... del 2014) e tra loro non vi è più stata riunione. Lo stato di separazione protrattosi per vari anni, l'esistenza del presente ricorso e l'inutilità dell'esperimento del tentativo di conciliazione dimostrano che l'unione materiale e spirituale tra i coniugi non può essere ricostituita. Premesso che nelle more processuali la figlia S. è divenuta economicamente autonoma e ha cessato dal luglio 2021 la convivenza con la madre presso la casa coniugale, a sua volta alienata con suddivisione tra le parti del ricavato, deve precisarsi che la controversia resta confinata alla disamina della domanda della resistente avente ad oggetto la determinazione di un assegno divorzile in suo favore. A tale proposito si osserva che deve accogliersi la domanda della resistente diretta a conseguire il riconoscimento di un assegno divorzile in suo favore, seppure in un importo inferiore a quello richiesto. Com'è noto, la recente sentenza n. 18287 dell'11/07/2018 ha adottato una linea interpretativa di totale rottura rispetto ai pregressi orientamenti: a) definitivo abbandono di entrambi i criteri (tenore di vita ed autosufficienza economica del richiedente) posti alla base dei contrapposti orientamenti del passato; b) superamento della struttura necessariamente bifasica del procedimento di determinazione dell'assegno divorzile, abbandonando così la distinzione fondata sulla natura attributiva o determinativa dei criteri richiamati dall'art. 5, comma 6, della legge sul divorzio; c) disconoscimento di una funzione meramente assistenziale all'assegno divorzile, a favore di una natura composita dello stesso, che alla funzione assistenziale unisce quella perequativa e compensativa; d) pariteticità dei criteri previsti all'art. 5, sesto comma, della L. n. 898 del 1970; e) abbandono di una concezione astratta del criterio di "adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi", a favore di una visione concreta, relativa allo specifico contesto coniugale; f) valutazione necessariamente complessiva dell'intera storia coniugale e prognosi futura, determinando l'assegno in base all'età e allo stato di salute dell'avente diritto, nonché alla durata del vincolo coniugale; g) valorizzazione del profilo perequativo - compensativo dell'assegno, accertando in maniera rigorosa il nesso causale esistente tra scelte endo-familiari e situazione del richiedente al momento di scioglimento del vincolo coniugale. Con tale pronuncia le Sezioni Unite hanno dunque abbandonato la prospettiva individualista fatta propria dalla Corte nella pronuncia n. 11504 del 2017, valorizzando il principio di solidarietà post coniugale nel pieno rispetto degli artt. 2 e 29 della Costituzione. Diretta conseguenza di tale impostazione è che, al fine di stabilire se ed eventualmente in che misura spetti l'assegno divorzile, il Giudice dovrà procedere secondo l'iter logico sopra delineato. In primo luogo, il Giudicante dovrà comparare, anche d'ufficio, le condizioni economico - patrimoniali delle parti e, qualora risulti che il richiedente è privo di mezzi adeguati o è oggettivamente impossibilitato a procurarseli, dovrà accertare rigorosamente le cause di questa sperequazione alla luce dei parametri indicati all'art. 5 sesto comma della Legge sul divorzio. In particolare, il Decidente dovrà valutare se ciò dipenda dal contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune, sacrificando le proprie aspettative personali e professionali in relazione alla sua età e alla durata del matrimonio. All'esito di tali valutazioni dovrà infine quantificare l'assegno divorzile, rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare né all'autosufficienza economica del richiedente, ma assicurando all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito come sopra indicato. A sostegno della sua opposizione, il ricorrente adduceva sia il miglioramento della condizione patrimoniale della B. derivante dall'incasso della somma di Euro 120.000 dalla vendita della casa coniugale, sia la piena capacità lavorativa della controparte, da anni impegnata in attività di lavoro non regolarizzate in qualità di colf idonee ad assicurarle il sostentamento; al contrario, la convenuta ha lamentato la riduzione della sua attività lavorativa con sostanziale dimezzamento delle sue entrate dalla somma mensile di Euro 800 dell'epoca della separazione a quello di Euro 400- 500 al mese e fatto presente come la sua parte del corrispettivo per la vendita della immobile non fosse neppure sufficiente all'acquisto di una nuova abitazione, mentre la controparte poteva contare sulla casa della convivente. Nel caso concreto, oltre a doversi considerare la lunga durata del rapporto matrimoniale, da cui sono nate due figlie, cui la convenuta ha prestato le sue cure genitoriali rinunziando alla sua attività professionale di gestione di un bar per dedicarsi a meno redditizie attività non stabilizzate (circostanza dedotta sin dal primo atto costitutivo e non contestata dal P.), deve osservarsi che, previa valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti basata sulle allegazioni documentali, persiste tra i due coniugi un rilevante divario tra le rispettive capacità reddituali; in effetti, se è vero che il P. ha subito il licenziamento per il superamento del periodo di comporto, percependo l'indennità Naspi di Euro 1.000, è pure vero che egli non si trova più costretto a fare fronte al mutuo della casa ed al finanziamento su di lui gravanti all'epoca della separazione e che egli può, comunque, contare sia sulla somma ricavata dalla vendita dell'abitazione coniugale, sia sul T.F.R., mentre la B. dovrà comunque utilizzare la sua parte del prezzo dell'alienazione immobiliare per l'acquisto di un appartamento o per sostenere un canone locativo potendo fare affidamento solo su introiti da lavori non regolarizzati, destinati fatalmente a ridursi con l'avanzare dell'età. Allo stesso tempo, tuttavia, non può neppure trascurarsi la circostanza dell'introito ad opera della convenuta di una somma superiore a Euro 41.000 derivante dall'acquisito di un biglietto del Superenalotto nel 2021; in effetti, pur avendo la resistente dichiarato come l'acquisto del biglietto sia stato effettuato dalle figlie (circostanza non provata), deve, altresì, rilevarsi come l'accredito sia stato eseguito sul conto della madre nonostante la figlia sia titolare di un proprio conto e come una parte della somma sia stata utilizzata per un investimento in favore non solo delle figlie ma della stessa madre. All'accoglimento della domanda relativa al riconoscimento di un assegno divorzile in favore della convenuta consegue la declaratoria dell'obbligo del P. di versare la quota del 40% del Trattamento di Fine Rapporto maturato nel periodo dal 21/07/1984 (data di celebrazione del matrimonio) sino alla data di cessazione degli effetti civili del matrimonio. Alla stregua di tali considerazioni appare equo porre a carico del P. un assegno divorzile pari all'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione, ossia Euro 150 come maggiorato dall'intervenuta rivalutazione, oltre l'ulteriore rivalutazione annua ISTAT dal gennaio 2024, da versarsi entro il giorno 10 di ogni mese. Alla stregua dell'accoglimento della domanda della convenuta diretta a conseguire la determinazione di un assegno divorzile, deve condannarsi il ricorrente a rifondere le spese di lite sostenute dalla resistente con il versamento diretto in favore dell'E., a condizione della definitiva ammissione della B. al beneficio del patrocinio a spese dello Stato ma senza la dimidiazione del 50% alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui "In tema di patrocinio a spese dello Stato, qualora risulti vittoriosa la parte ammessa al detto patrocinio, il giudice civile, diversamente da quello penale, non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato ex art. 133 del D.P.R. n. 115 del 2002 e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente, ai sensi degli artt. 82 e 130 del medesimo D.P.R., alla luce delle peculiarità che caratterizzano il sistema processualpenalistico di patrocinio a spese dello Stato e del fatto che, in caso contrario, si verificherebbe una disapplicazione del summenzionato art. 130. In tal modo, si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità" (Cass. sez. II, sentenza n. 19 del 3 gennaio 2020). P.Q.M. Il Tribunale di Busto Arsizio, così deliberando in via definitiva: 1) Dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 21/07/1984 in Rescaldina, ordinando l'annotazione della presente sentenza a margine dell'atto di matrimonio n. 34, parte II, serie A, anno 1984; 2) Pone a carico del ricorrente l'obbligo di corrispondere alla convenuta un assegno divorzile di Euro 150 così come incrementato dalla rivalutazione maturata fino alla presente sentenza, oltre la rivalutazione annua dal gennaio 2024, da versarsi entro il giorno 10 di ogni mese; 3) Dichiara il P. tenuto al versamento in favore della controparte della quota del 40% del Trattamento di Fine Rapporto maturato nel periodo dal 21/07/1984 (data di celebrazione del matrimonio) sino alla data di cessazione degli effetti civili del matrimonio; 4) Condanna il ricorrente a rifondere le spese di lite sostenute dalla resistente nell'importo di Euro 4.040 per compensi, oltre il rimborso spese forfetario al 15%, l'IVA ed il CPA, con il versamento in favore dell'E., a condizione della definitiva ammissione della resistente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Conclusione Così deciso in Busto Arsizio nella camera di consiglio del 4 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1743/2021 promossa da: G.C. S.R.L. (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliato presso lo studio dei difensori PARTE ATTRICE contro F.B. (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...) ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, G.C. s.r.l. ha convenuto, dinnanzi all'intestato Tribunale, F.B. per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 49.610,00, a titolo di corrispettivo residuo dei lavori svolti nell'immobile di proprietà di quest'ultima, oltre all'ulteriore importo di Euro 2.000,00, che era stato trattenuto a garanzia. A sostegno delle sue pretese l'attrice ha esposto: che in data 30.5.2013 aveva stipulato un contratto di appalto con la convenuta avente ad oggetto l'esecuzione delle opere necessarie alla "manutenzione straordinaria e modifiche interne con formazione di isolamento a tipo cappotto" dell'immobile sito a C.. M., in via A. Da G. n. 18; che il contratto prevedeva, a fronte dell'esecuzione dei lavori in questione, il pagamento del corrispettivo di Euro 115.000,00; che la committente aveva conferito incarico al professionista di sua fiducia per la progettazione e la direzione dei lavori, arch. M.B.; che, dopo aver ricevuto dei pagamenti parziali durante l'avanzamento dei lavori, in data 1.4.2016 aveva emesso la fattura n. (...) di Euro 7.810,00 per il saldo delle opere dell'area esterna, e, all'esito del collaudo eseguito in data 12.7.2016, un'altra fattura per Euro 41.800,00 a saldo delle opere interne; che, a distanza di oltre quattro anni, la committente non aveva corrisposto quanto dovuto, nonostante le sue reiterate richieste; che in sede di collaudo era già stato convenuto uno sconto di Euro 1.828,80 in quanto erano stati lamentati punti di ruggine sui cancelli e sulla recinzione, mentre, per il resto, tutte le opere erano state correttamente eseguite; che il direttore dei lavori aveva disposto nel corso dell'incontro una riduzione in via cautelativa della fattura di Euro 2.000,00 per la verifica della pavimentazione; che, tuttavia, alcun vizio era stato denunciato, sicché anche tale somma doveva essere restituita. Si è costituita in giudizio F.B., chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, di accertare l'inadempimento dell'attrice e condannarla a corrisponderle la somma di Euro 51.023,24, oltre IVA, a titolo di risarcimento dei danni patiti, somma opposta in compensazione, nella denegata ipotesi in cui fosse risultato un credito residuo dell'appaltatore. Ha dedotto, in particolare, che, a seguito dell'ultimazione dei lavori, e in particolare con mail del 3.5.2016, aveva contestato una serie di vizi e difetti nell'esecuzione delle opere, concordando con l'appaltatore un successivo intervento finalizzato alla rimozione e sistemazione dei vizi e difetti riscontrati; che, tuttavia, nonostante le numerose promesse in tal senso, non era stato eseguito alcun intervento, per cui aveva dato mandato ai suoi tecnici di fiducia di compiere una valutazione circa le problematiche insorte sull'immobile; che in data 14.2.2019 si era tenuto un sopralluogo alla presenza delle parti, dei tecnici e dei rispettivi legali per analizzare le problematiche emerse, e che, in occasione di tale sopralluogo, l'appaltatore aveva ammesso la presenza dei vizi riscontrati, riservandosi di concordare con la committenza l'esecuzione dei lavori necessari alla loro risoluzione; che, tuttavia, non avendo le parti trovato un accordo, si era vista costretta ad avviare un procedimento per accertamento tecnico preventivo, ancora in corso; che, sulla scorta della perizia di parte, l'ammontare complessivo delle opere necessarie a rimuovere le cause dei vizi riscontrati nell'immobile, non ancora emersi all'epoca del collaudo e comunque successivamente riconosciuti dall'appaltatore, ammontava complessivamente ad Euro 51.023,24, oltre IVA. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. Atteso che, a fronte della domanda di pagamento del corrispettivo residuo per le opere svolte proposta dall'appaltatore, la committente, senza contestare l'esecuzione delle opere o la debenza dell'importo richiesto a titolo di saldo nell'an o nel quantum, ha, tuttavia, eccepito, quale fatto estintivo della pretesa attorea, che le opere svolte presentavano vizi e difetti, in relazione ai quali vantava il diritto al risarcimento dei danni, stimati in Euro 51.023,24, oltre IVA, importo del quale ha domandato in via riconvenzionale la corresponsione, per ragioni di ordine logico pare opportuno innanzitutto esaminare tale ultima domanda, anche al fine di stabilire l'eventuale saldo residuo dovuto all'appaltatore. Al riguardo si rileva in via preliminare che l'eccezione di decadenza dalla garanzia per inosservanza dell'onere di denuncia dei vizi dell'opera realizzata dall'appaltatore, sollevata da parte attrice solo con la memoria di replica, risulta irrimediabilmente tardiva e, pertanto, inammissibile. Ed invero, come è noto, l'eccezione di decadenza (così come, del resto, quella di prescrizione) configura un'eccezione in senso stretto, con la conseguenza che la stessa, per poter essere esaminata, deve essere tempestivamente sollevata in maniera specifica e circostanziata, nei termini fissati dal codice di procedura civile, ossia, nel caso di specie, alla prima udienza, così come disposto dall'art. 183, comma 5, c.p.c., trattandosi di un'eccezione dell'attore che consegue alla domanda riconvenzionale del convenuto. Ciò posto, la domanda di risarcimento dei danni per i vizi e i difetti dei lavori risulta fondata nei limiti delle risultanze dell'accertamento tecnico preventivo disposto su richiesta della committente e diretto alla verifica dello stato dei luoghi e delle opere affette da vizi, al fine di individuare in modo analitico le cause dei difetti riscontrati, nonché le opere necessarie alla eliminazione dei vizi riscontrati e i relativi costi, con le precisazioni di cui si dirà infra. Al riguardo, si rileva che la relazione peritale acquisita nel presente giudizio ha riscontrato l'esecuzione non a regola d'arte di una serie di lavori tra quelli indicati nel ricorso e nella relazione tecnica di parte ricorrente, odierna convenuta. Più nel dettaglio, dalla relazione redatta dal c.t.u. sono emerse le seguenti problematiche: - tracce di umidità di condensa lungo la spalletta nord del serramento della cucina; - serramenti in parte forati in battuta per passaggio di elettrificazione; - tracce di umidità di risalita su muratura perimetrale e di spina lungo la scala di comunicazione tra il piano seminterrato e il piano terra; - tracce di umidità di condensa tra il serramento/botola di accesso per ispezione sottotetto; - evidenti muffe lungo le intersezioni tra le pareti divisorie degli ambienti soggiorno, camere e cucina; - evidenti tracce di umidità lungo le pareti di ingresso in corrispondenza del portoncino blindato; - percolazioni tramite la cappa della cucina sia nel pensile che sopra la struttura in legno truciolare rivestita in melamminico; - pavimento del locale soggiorno difficilmente trattabile con prodotto di pulizia e presenza di piastrelle non perfette nel locale bagno. Con riguardo alla riconducibilità all'esecuzione delle opere delle problematiche riscontrate, il c.t.u. ha evidenziato che: - il serramento in sé non presentava vizi strutturali, ma la posa non era avvenuta correttamente, in quanto l'impresa appaltatrice avrebbe dovuto applicare "una schiuma poliuretanica isolante, predisporre un giunto tra parete e telaio di lunghezza non superiore ai 2, effettuare una pulizia delle pareti per facilitare l'adeguata sigillatura con posa del prodotto sigillante a serpentina per un perfetto riempimento", attività, queste, che non risultavano eseguite; - anche il portoncino di ingresso, oltre a non essere dotato di serramentistica isolata, era stato montato in modo non corretto, così generando la sussistenza di un ponte termico nell'abitazione, che aveva determinato l'accertato percolamento di condensa sul chiavistello e in prossimità della parete di ingresso; - il cappotto termico presentava lungo le pareti esterne diversi spessori (a causa dello stato primario delle strutture e dei disallineamenti murari) e non era stato eseguito anche sulla parete in prossimità dell'unità di proprietà di terzi; ciò aveva influito negativamente sulle trasmittanze delle murature perimetrali; - la semplice rimozione dell'intonaco dei muri perimetrali era insufficiente a garantire il loro risanamento; - non era stato eseguito alcun accorgimento di natura coibentativa termica sull'intradosso del solaio e del soffitto del piano seminterrato, così come tra l'intersezione del soffitto del piano rialzato ed il solaio del sottotetto, che, invece, sarebbe stato necessario, in quanto le diverse temperature incidevano negativamente sulle strutture orizzontali di separazione tra i due ambienti; - la muratura perimetrale al piano seminterrato, così come il pianerottolo esterno, non erano stati adeguatamente isolati; - la cappa della cucina non era stata adeguatamente sigillata. La medesima relazione ha quantificato il costo degli interventi necessari all'eliminazione dei vizi e dei difetti accertati, così come elencati nel computo metrico di cui alla relazione, in complessivi Euro 37.602,60, oltre IVA. Le conclusioni della consulenza tecnica ritualmente acquisita nel presene giudizio sono condivise da questo Giudice, in quanto frutto dell'applicazione di criteri tecnici esenti da censure e sorretti da motivazione logica ed ampia, pur con le precisazioni di cui si dirà infra in ordine alle opere da eseguire per emendare i vizi. Si evidenzia, in particolare, che il consulente d'ufficio ha risposto in modo puntuale alle osservazioni dei consulenti di parte, sicché ci si può richiamare integralmente alle considerazioni già svolte dall'ausiliario, tenuto altresì conto del carattere prettamente tecnico delle questioni affrontate dagli esperti (cfr., sul punto, ex multis, Cass. n. 1815/2015; Cass. n. 282/2009; Cass. n. 8355/2007, secondo cui il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, non dovendosi necessariamente soffermare anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, le quali, risolvendosi in mere argomentazioni difensive, restano implicitamente disattese perché incompatibili). Richiamando, dunque, la consulenza in atti in ordine agli aspetti prettamente tecnici, occorre qui svolgere alcune brevi considerazioni in diritto. Si precisa innanzitutto che i vizi e difetti accertati dal c.t.u. sono pacificamente insorti successivamente alla data dell'accettazione dell'opera in data 12.7.2016, e, per come descritti, risultano in ogni caso non immediatamente rilevabili, sicché l'appaltatore, in relazione ai medesimi, non può dirsi liberato da garanzia per il solo fatto che l'opera sia stata consegnata e accettata, in quanto l'accettazione libera l'appaltatore esclusivamente dalla responsabilità per i vizi palesi e riconoscibili dal committente (Cass. n. 11/2019). Ciò chiarito, le risultanze della consulenza tecnica portano a ritenere responsabile l'appaltatore con riferimento ai vizi e difetti riscontrati nell'esecuzione delle opere. Al riguardo vale la pena osservare che l'appaltatore si è limitato a sostenere di avere pedissequamente svolto le opere che gli erano state commissionate con il contratto di appalto sulla base delle indicazioni del progettista e direttore dei lavori arch. M.B., presente settimanalmente in cantiere, e che, quindi, la responsabilità dei vizi riscontrati doveva essere imputata esclusivamente a quest'ultimo, il quale con tutta evidenza non aveva adeguatamente pianificato l'intervento di ristrutturazione (ad esempio, non prevedendo gli interventi di isolamento anche al piano seminterrato), e, successivamente, non aveva correttamente vigilato sull'esecuzione dei lavori. Tali assunti non possono essere condivisi. Al riguardo, vale la pena ricordare, con riguardo alla responsabilità dell'appaltatore, che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, la responsabilità per i vizi e difetti dell'opera va imputata di norma all'appaltatore, in considerazione dell'autonomia tecnica ed organizzativa di cui gode nell'esecuzione del contratto, e ciò anche laddove siano ravvisabili vizi o omissioni nel progetto predisposto dal committente o dal direttore dei lavori. In particolare, l'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e dal direttore dei lavori e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo (ex multis, Cass. n. 17819/2021; Cass. n. 1234/2016; Cass. n. 11798/2015; Cass. n. 19132/2011; Cass. n. 15782/2006). Nel caso di specie, quindi, l'appaltatore avrebbe dovuto fare presente alla committente che la progettazione delle opere era errata e che, eseguendole come da progetto e da contratto di appalto, non sarebbe stato raggiunto il risultato richiesto (ossia quello di isolare correttamente l'immobile), dovendosi qui evidenziare che l'appaltatore, con la stipula del contratto, assume un'obbligazione di risultato (ex multis, Cass. n.17819/2021 cit.). In applicazione di tali principi, si ravvisa quindi la responsabilità dell'appaltatrice, dovendosi desumere dalle risultanze della consulenza che la condotta colposa tenuta dalla società G.C. in sede esecutiva ha contribuito all'insorgenza dei vizi, in quanto le opere non sono state eseguite a regola d'arte. Quanto, poi, alla pretesa ingerenza del direttore dei lavori nell'esecuzione dei lavori, solo genericamente dedotta, la società convenuta non ha mai allegato, né tanto meno provato, che la committenza, dopo essere stata resa edotta di carenze ed errori, avesse richiesto di dare egualmente esecuzione al progetto; non può, quindi, affermarsi che l'appaltatore incaricato abbia operato come nudus minister, in quanto direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute, senza possibilità di iniziativa o vaglio critico. L'appaltatore non può dunque andare esente da responsabilità, senza con questo voler negare una eventuale corresponsabilità, in via solidale, del progettista e direttore dei lavori, che, tuttavia, non è oggetto del presente giudizio. Sotto quest'ultimo profilo si evidenzia che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, in caso di difetti di costruzione rispondono a titolo di concorso con l'appaltatore tutti quei soggetti, quali il progettista ed il direttore dei lavori che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell'opera, abbiano contribuito, per colpa professionale, alla determinazione dell'evento dannoso, costituito dall'insorgenza dei vizi in questione (Cass. n. 26552/2017; Cass. n. 17874/2013; Cass. n. 8016/2012). In particolare, con specifico riferimento al direttore dei lavori costituisce ius receptum il principio secondo il quale rientrano nelle obbligazioni facenti capo allo stesso "l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l'adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi; pertanto, non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e di riferirne al committente" (Cass. n. 10728/2008; Cass. n. 4366/2006; v. anche Cass. n. 7336/2019). Si tratta, tuttavia, di una responsabilità solidale, ai sensi dell'art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, come è noto, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (Cass. n. 20704/2021; Cass. n. 29218/2017). Ne discende che il committente ben può rivolgersi anche ad uno solo dei condebitori solidali per domandare il risarcimento per intero dei danni derivanti dai vizi nelle opere, fermo restando la possibilità del condebitore di agire, a sua volta, in regresso, nei limiti di cui all'art. 2055, comma 2, c.c. Ciò chiarito in ordine alla responsabilità dell'appaltatore, con riguardo al quantum debeatur si ritiene corretta e condivisibile la stima dei costi degli interventi di ripristino eseguita dal consulente tecnico in sede di ATP, in quanto fondata su criteri tecnici esenti da censure e congruamente motivata, fatto salvo per quanto si esporrà in ordine all'intervento di ventilazione meccanica controllata. In particolare, deve condividersi quanto rilevato dal c.t.u. in merito alla necessità di preventivare la sostituzione del portoncino di ingresso, essendo indispensabile un prodotto a taglio termico, e dei serramenti (in quanto, una volta eseguito lo smontaggio per metterli correttamente in posa, non può essere garantita, in fase di rimontaggio, la tenuta degli stessi), con la precisazione, in punto di diritto, che, sebbene il c.t.u. abbia rilevato che per avere certezza della posa errata dei serramenti occorrerà smontarli, ciò non inficia comunque la conclusione in ordine alla debenza delle somme, in quanto spettava all'appaltatore provare il suo esatto ed integrale adempimento rispetto alle obbligazioni assunte nel contratto di appalto, sicché rimangano a carico di quest'ultimo anche i danni da causa ignota. Si concorda, inoltre, con la quantificazione dei costi in ordine ai lavori che dovranno essere eseguiti nella cucina. Del pari, appare corretta la stima effettuata dal c.t.u. in ordine ai lavori da eseguire per procedere ad un corretto isolamento e risanamento dei muri, in modo da risolvere le problematiche di umidità e muffa riscontrate; si tratta, infatti, di interventi che risultano tutti necessari per la realizzazione a regola d'arte dell'opera e che, pertanto, dovevano essere inseriti nel progetto. Diversamente, non può addebitarsi all'appaltatore il costo dell'istallazione della ventilazione meccanica controllata, che, per quanto possa essere una soluzione che migliora la salubrità dell'ambiente, garantendo un ricambio d'aria "controllato", come tale consigliabile, non era prevista da capitolato, né può considerarsi un lavoro strettamente necessario per garantire l'esecuzione a regola d'arte dell'opera commissionata (a differenza degli interventi volti ad eliminare i ponti termici), fermo restando che, come evidenziato peraltro dallo stesso consulente della convenuta (cfr. p. 26 della relazione in atti), alla data di esecuzione dei lavori non vi era alcun obbligo normativo di prevederne l'istallazione. Non può, dunque, ritenersi che l'appaltatore debba corrispondere a titolo di risarcimento del danno per equivalente tale somma, peraltro nemmeno esattamente determinata dalla c.t.u.. In conclusione, in parziale accoglimento della domanda svolta in via riconvenzionale, si accerta qui che la convenuta vanta un credito, a titolo di risarcimento dai danni, nei confronti di G.C. s.r.l. pari ad Euro 22.602,60, oltre IVA. Trattandosi di credito risarcitorio, su tali somme spetta la rivalutazione, con decorrenza dal 30.1.2022, data di deposito della consulenza tecnica (dovendosi ritenere le somme espresse già in moneta attuale dal c.t.u.) e fino alla data della presente pronuncia, oltre ad interessi al tasso legale, sui singoli scaglioni via via rivalutati, con decorrenza dal 25.5.2021, data della notifica del ricorso per ATP e primo atto in cui sono stati denunciati i vizi poi riscontrati dal c.t.u., fino al saldo, per un totale di Euro 27.301,00, già comprensivo di IVA. A sua volta, G.C. ha diritto a percepire dalla convenuta la somma di Euro 51.610,00, a titolo di corrispettivo per le opere svolte. Al riguardo va solo evidenziato che, nell'ambito di un contratto di appalto, l'eccezione di inadempimento, formulata in considerazione di alcuni vizi ed incompletezze dei lavori, opera nei limiti del corrispondente importo, sicché non esclude che, per il residuo, il committente, una volta effettuata la parziale compensazione tra i reciproci crediti delle parti, sia tenuto a corrispondere il corrispettivo dovuto per i lavori esenti da vizi (Cass. n. 5869/2007). In base a tali rilievi, va, quindi, disposta la compensazione tra il residuo credito dell'appaltatore, pari a Euro 51.610,00 ed il credito risarcitorio della committente, pari ad Euro 27.301,00. Poiché il danno causato dall'inadempimento dell'appaltatore è inferiore al credito vantato da quest'ultimo, effettuata la compensazione dei rispettivi crediti, la committente deve essere condannata al pagamento in favore dell'appaltatore della residua somma di Euro 24.309,00. Su tale somma non sono dovuti interessi, in quanto, per i debiti di valuta, come quello che vanta l'appaltatore, l'attribuzione degli interessi non può prescindere da una specifica domanda dell'interessato (Cass. n. 2814/1995; Cass. n. 18292/2016), nel caso di specie assente. In considerazione dell'esito del giudizio, che vede una soccombenza reciproca delle parti, essendo stato accertato un credito dell'attrice nei confronti della convenuta, sia pure inferiore a quello domandato, ed essendo stata accolta la domanda risarcitoria svolta in via riconvenzionale per una minore parte dei danni lamentati, va disposta l'integrale compensazione delle spese di lite del presente giudizio e del procedimento di accertamento tecnico preventivo. In applicazione del medesimo principio, anche le spese di CTU sostenute in sede di ATP devono essere poste a carico di entrambe le parti nella misura del 50% ciascuna. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 1743/2021, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) accerta il diritto di G.C. s.r.l. a percepire da F.B., a titolo di residuo corrispettivo delle opere eseguite, la somma di Euro 51.610,00; 2) accerta la responsabilità contrattuale di G.C. s.r.l. per i vizi relativi all'immobile della convenuta di cui in parte motiva ed accerta il diritto di F.B. a percepire, a titolo di risarcimento danni, da G.C. s.r.l. la somma di Euro 27.301,00, IVA compresa; 3) operata la compensazione tra i crediti di cui al capo 1) ed al capo 2), condanna la convenuta al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 24.309,00; 4) compensa integralmente le spese di lite tra le parti, ivi comprese le spese relative al procedimento di accertamento tecnico preventivo; 5) pone le spese di c.t.u. sostenute in sede di ATP a carico di entrambe le parti attrice e convenuta nella misura del 50% ciascuna. Così deciso in Busto Arsizio, il 30 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 30 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1180/2020 promossa da: (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. EL.DA. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore PARTE ATTRICE contro (...) SRL (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. MA.GO. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA e contro (...) (C.F. (...) ), con il patrocinio dell'avv. BA.UB. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore TERZO CHIAMATO CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Si premette che il contenuto della presente sentenza si adeguerà alle norme di cui agli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. le quali dispongono che la motivazione debba limitarsi ad una concisa esposizione dei fatti decisivi e dei principi di diritto su cui la decisione è fondata, anche con esclusivo riferimento a precedenti conformi, ovvero mediante rinvio a contenuti specifici degli scritti difensivi o di altri atti di causa. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio dinnanzi all'intestato Tribunale la società (...) s.r.l., esponendo: che in data 24.1.2012 aveva acquistato dalla società costruttrice convenuta un appartamento nel complesso residenziale di nuova costruzione "Condominio (...)", sito a L., in via S. n. 48; che la venditrice, all'atto della stipula del contratto, aveva dichiarato di avere presentato al Comune di Legnano istanza per il rilascio del certificato di agibilità, assumendo a proprio carico ogni onere per il rilascio dello stesso, e garantendo altresì la conformità degli impianti esistenti nell'immobile alla normativa in materia di sicurezza vigente; che, tuttavia, alla data della domanda, il Comune di Legnano non aveva rilasciato il certificato di agibilità, né per l'appartamento acquistato dall'attore, né per il fabbricato condominiale, in ragione del fatto che la convenuta non aveva adempiuto a quanto richiesto dall'ente pubblico; che la venditrice non gli aveva neppure consegnato il certificato di conformità dell'impianto di adduzione del gas ed idrico-sanitario, nonostante fosse a ciò obbligata per legge; che essendo ormai conclamato l'inadempimento della convenuta, la stessa doveva essere condannata a corrispondergli tutte le somme che sarebbero risultate necessarie a provvedere in proprio, a mezzo di un professionista all'uopo incaricato, a quanto richiesto dal Comune ai fini del rilascio della licenza di abitabilità, nonché per il rilascio del certificato di conformità degli impianti di adduzione gas ed idrico-sanitario; che, invece, nell'eventualità in cui nel corso del giudizio fosse stata accertata l'inidoneità dell'immobile ad essere dichiarato agibile, la convenuta avrebbe dovuto essere condannata a risarcirgli il danno costituito dal minor valore di scambio dell'immobile compravenduto, in quanto privo di agibilità. Si è costituita in giudizio (...) s.r.l., eccependo l'improcedibilità della domanda per non essere stato esperito il procedimento di mediazione obbligatoria e deducendo, nel merito, che unico responsabile delle omissioni e dei ritardi lamentati dall'attore doveva ritenersi il direttore dei lavori geom. (...), del quale ha chiesto la chiamata in causa per essere dal medesimo manlevata in caso di accoglimento delle domande attoree, insistendo comunque per il rigetto delle domande nei suoi confronti in quanto infondate in fatto e in diritto. Con decreto del 26.6.2020 il giudice istruttore ha autorizzato la chiamata in causa del terzo (...). Nel costituirsi in giudizio il geom. (...) ha chiesto il rigetto della domanda di manleva svolta nei suoi confronti da parte convenuta, eccependo in via preliminare l'intervenuta prescrizione delle pretese e, nel merito, negando qualsivoglia addebito di responsabilità, in quanto spettava alla sola (...) fornire le certificazioni di cui trattasi, evidenziando che, in ogni caso, gli adempimenti necessari per completare le certificazioni oggetto di causa e ottenere, quindi, l'agibilità dell'immobile de quo, erano in corso di evasione. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa. Si chiarisce solamente che, in corso di causa, come attestato da tutte le parti, che chiedono concordemente dichiararsi cessata la materia del contendere (cfr. le conclusioni precisate da parte attrice e da parte convenuta, nonché la comparsa conclusionale del terzo chiamato, 3), l'attore ha ottenuto la consegna dei certificati di conformità degli impianti gas e idrico-sanitario e il Comune di Legnano ha rilasciato il certificato di agibilità dell'immobile. A tal proposito si osserva che, qualora sopravvenga, nel corso del processo, una situazione che elimini completamente e in tutti i suoi aspetti la posizione di contrasto tra le parti per il venire meno dell'interesse delle stesse alla naturale definizione del giudizio, si determina la cessazione della materia del contendere. Ebbene, nella presente causa, è pacifico che l'attore abbia ottenuto il bene che mirava a conseguire attraverso l'attività giurisdizionale, avendo acquisito i certificati di conformità dell'impianto di adduzione del gas ed idrico-sanitari ed essendo stato nel frattempo rilasciato dal Comune di Legnano il certificato di agibilità dell'immobile. Va, dunque, dichiarata cessata la materia del contendere con riferimento alle domande proposte dall'attore e, di conseguenza, con riguardo alla domanda di manleva svolta dalla società convenuta nei confronti del terzo chiamato. Anche nel caso di declaratoria di cessazione della materia del contendere, tuttavia, le spese giudiziarie devono essere liquidate dal giudice secondo il criterio della "soccombenza virtuale" (cfr., per tutte, Cass. n. 11962/2005; Cass. n. 14775/2004), in forza del quale la parte soccombente va identificata con quella che, lasciando insoddisfatta una pretesa riconosciuta fondata o azionando una pretesa poi riconosciuta infondata, abbia dato causa alla lite (cfr. Cass. n. 31955/2018; Cass. n. 6016/2017; Cass. n. 2719/2015). Ebbene, ai fini della decisione sulle spese processuali, la domanda svolta dall'attore nei confronti di (...) appariva fondata. Al riguardo basti osservare che è pacifico nel presente giudizio che, alla data della domanda, la convenuta, a distanza di ben otto anni dalla conclusione del contratto di compravendita, non avesse ancora ottenuto dal Comune di Legnano il certificato di agibilità dell'immobile. Come rilevato a più riprese anche dalla giurisprudenza di legittimità, "la consegna del certificato di abitabilità dell'immobile oggetto del contratto, ove questo sia un appartamento da adibire ad abitazione, pur non costituendo di per sé condizione di validità della compravendita, integra un'obbligazione incombente sul venditore ai sensi dell'art. 1477 c.c., attenendo ad un requisito essenziale della cosa venduta, in quanto incide sulla possibilità di adibirla legittimamente all'uso contrattualmente previsto; pertanto, il venditore-costruttore ha l'obbligo di consegnare all'acquirente dell'immobile il certificato, curandone la richiesta e sostenendo le spese necessarie al rilascio" (da ultimo Cass. n. 2438/2016; v. anche Cass. n. 23157/2013). Non vi è dubbio, pertanto, che la convenuta si fosse resa inadempiente alle obbligazioni assunte contrattualmente, peraltro espressamente richiamate nel contratto definitivo di compravendita. Del pari, risulta comprovato, in quanto non contestato, l'inadempimento dell'impresa venditrice-costruttrice con riguardo alla consegna dei certificati relativi agli impianti, in quanto la stessa, in qualità di committente delle imprese installatrici, avrebbe dovuto curarne la trasmissione all'acquirente. Né, ai fini di escludere l'inadempimento imputabile all'impresa costruttrice nei confronti della controparte contrattuale e la sua conseguente responsabilità, può assumere rilievo l'asserito inadempimento del direttore lavori alle obbligazioni a sua volta assunte nei confronti dell'impresa costruttrice, dovendosi ricordare che, ai sensi dell'art. 1228 c.c., il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si avvale dell'opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, fermo restando che, dalla documentazione in atti, risulta che anche la convenuta abbia concorso con il suo comportamento al ritardo, con particolare rifermento alla mancata tempestiva realizzazione di opere condominiali. In conclusione, quindi, la domanda attorea nei confronti dell'impresa venditrice avrebbe dovuto essere accolta, con la conseguenza che, in applicazione del principio di soccombenza virtuale, (...) è tenuta a rifondere all'attore le spese di lite. Diversamente, le spese di lite nella controversia tra l'attore e il terzo chiamato devono essere integralmente compensate. Al riguardo si osserva innanzitutto che la domanda svolta dall'attore ex art. 2043 c.c., contrariamente a quanto sostenuto dal terzo chiamato, era certamente ammissibile, ben potendo l'attore in prima udienza (cfr. note scritte del 12.12.2020) estendere la domanda principale al terzo evocato in giudizio in garanzia propria o impropria (ex multis, Cass. n. 6026/2001; Cass. n. 23308/2007). Il terzo chiamato, tuttavia, aveva tempestivamente eccepito, sia pure in maniera estremamente generica (ma cfr., sull'ammissibilità dell'eccezione, Cass. n. 20493/2015; Cass. n. 11843/2007; Cass. n. 2789/1999), la prescrizione delle pretese attoree. Tale eccezione, atteso il titolo di responsabilità fatto valere (art. 2043 c.c.), era fondata con riguardo all'obbligazione di consegnare i certificati degli impianti, sorta già alla data della conclusione del contratto di compravendita e non risultando in atti alcun atto interruttivo da parte dell'attore prima del termine di cinque anni. Quanto, invece, alla domanda relativa all'ottenimento del certificato di agibilità, si osserva che il termine di prescrizione non poteva dirsi decorso alla data della domanda, in quanto la pretesa poteva essere fatta valere dall'acquirente non già a partire dalla data di conclusione del contratto, ma, al più, dalla data in cui il Comune di Legnano si era pronunciato per la prima volta sulla pratica in corso (ossia il 29.4.2015, come si desume dal doc. 2, fascicolo di parte attrice), sicché l'atto di interruzione del 15.1.2020 indirizzato al geom. (...) (doc. 3, fascicolo di parte attrice) doveva ritenersi tempestivo. Ciò chiarito, nel merito, la domanda ex art. 2043 c.c. di parte attrice poteva dirsi fondata, atteso che la responsabilità extracontrattuale riferita al direttore dei lavori può dirsi riconducibile alla normativa di cui all'art. 2043 c.c. anche quale lesione di un diritto di credito, secondo la prospettazione per cui anche il terzo che ha ostacolato o reso impossibile l'adempimento di un obbligo può essere chiamato a rispondere, secondo lo schema della responsabilità extracontrattuale, atteso che l'inadempimento in esame è riconducibile ad una violazione di regole primarie (di ordine pubblico), stabilite per garantire l'interesse, di carattere generale, alla sicurezza dell'attività edificatoria, quindi la conservazione e la funzionalità degli edifici, allo scopo di preservare la sicurezza e l'incolumità delle persone (cfr. Cass. n. 21719/2019 che, con riguardo alla figura del subappaltatore, ha affermato il seguente principio di diritto: "La condotta negligente del subappaltatore, che integra inadempimento contrattuale nei confronti del subappaltante, ben può dar luogo a responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti del committente originario, in quanto idonea a ledere il diritto di quest'ultimo ad una corretta esecuzione del rapporto contrattuale di appalto, nonché a cagionare un pregiudizio ingiusto"). Ciò chiarito, si osserva che nella vicenda de qua è emersa una corresponsabilità del direttore dei lavori per non avere curato la pratica di ottenimento del certificato di agibilità: dalle comunicazioni del Comune, nonché da quanto accertato in sede di operazioni peritali, è emerso, infatti, che spettava al direttore dei lavori, quale rappresentante del committente in materia tecnica, interfacciarsi con il Comune inviandogli tutta la documentazione necessaria; a fronte delle richieste di integrazione del Comune, egli si sarebbe dovuto attivare secondo diligenza, come poi effettivamente ha fatto nelle more del giudizio, al fine di reperire la documentazione necessaria, se del caso anche sollecitando le imprese che dovevano rilasciare le certificazioni, nonché l'impresa appaltatrice, che doveva concludere i lavori. Al contrario, è emerso un sostanziale disinteresse per la pratica da parte del direttore dei lavori, il quale, pur avendo il compito di depositare la documentazione, mai ne ha sollecitato la trasmissione. Siffatta domanda dell'attore avrebbe potuto, quindi, essere accolta anche nei confronti del terzo chiamato. Atteso che l'attore aveva formulato due domande nei confronti del terzo chiamato, di cui una prescritta, e che, pertanto, si configura un'ipotesi di soccombenza reciproca, può pronunciarsi la compensazione integrale delle spese di lite tra l'attore e il terzo chiamato. Del pari, anche per quanto attiene ai rapporti tra la società convenuta e il terzo chiamato, le spese di lite devono essere integralmente compensate. Si evidenzia, infatti, che, ferma l'infondatezza dell'eccezione di prescrizione, atteso che la decorrenza del termine deve essere calcolata dalla data in cui (...) è stata diffidata dall'attore, e accertata la concorrente inerzia dei due soggetti nell'adempiere ai rispettivi obblighi per le ragioni già esposte, anche all'esito del comportamento tenuto in corso di causa da entrambe le parti, le quali hanno domandato concordemente al c.t.u. nominato per accertare le rispettive responsabilità di non proseguire nelle operazioni peritali (cfr. mail dei procuratori indirizzata al CTU in cui si legge: "Le chiedo, cortesemente, di valutare se far presente al Giudice l'intervenuta definizione sostanziale della vertenza, al solo fine di evitare, se possibile, ulteriori attività di consulenza, per contenere i costi di causa"), non è stata data prova di una diversa incidenza causale delle rispettive condotte negligenti. Sarebbe stato, quindi, corretto presumere una colpa uguale della convenuta e del terzo, in applicazione dell'art. 2055, comma 3, c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all'ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (così Cass. n. 29218/2017), per cui la domanda di manleva avrebbe potuto essere accolta solo nella misura del 50% (v. Cass. n. 3626/2017). Le spese di lite dovute dalla convenuta all'attore si liquidano come in dispositivo sulla base dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, aggiornati al D.M. n. 147 del 2022 (in quanto le memorie di replica sono state depositate successivamente all'entrata in vigore, cfr. art. 6, D.M. cit.) per le cause di valore indeterminato di complessità bassa, attesa la semplicità delle questioni in fatto e in diritto, con riduzione del 50% dei compensi per la fase istruttoria, tenuto conto dell'esigua attività istruttoria svolta, e per la fase decisionale, tenuto conto del tenore delle difese svolte in questa fase dall'attore. Quanto alle spese di c.t.u., reputa, invece, il Tribunale che le stesse debbano essere poste a carico di parte convenuta e del terzo chiamato, in quanto la c.t.u. aveva ad oggetto l'approfondimento delle questioni inerenti il certificato di agibilità, in relazione alla quale risultava una corresponsabilità delle parti. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 1180/2020, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: 1) dichiara cessata la materia del contendere; 2) condanna (...) s.r.l. alla rifusione a favore di (...) delle spese processuali, che liquida in Euro 559,23 per esborsi ed Euro 5.261,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA (se dovuta) e CPA come per legge; 3) compensa le spese di lite tra (...) e (...) e tra (...) s.r.l. e (...); 4) pone le spese di c.t.u., come liquidate con ordinanza del 25.5.2021, a carico di parte convenuta e del terzo chiamato in parti uguali. Così deciso in Busto Arsizio il 22 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 4914/2019 promossa da: (...) S.R.L., c. f. e p. iva (...), con sede in (...) P. via B. snc, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione dottor R.P., rappresentata ed assistita dall'avv. Pa.Pr. (cod. fisc. (...), fax (...)) presso il suo studio in Milano corso (...) ATTORE opponente contro (...) S.p.A. con sede legale in T., Piazza S. (...) n. 156 (C.F. (...) ) quale incorporante per fusione della (...) S.p.A. (C.F. (...) ), con sede legale in (...), Corso di P. R. n. 16, in persona del suo procuratore, Dott. (...), munito dei poteri di rappresentanza legale in forza di procura speciale del 26.11.2019 in autentica Notaio Dott. G.P. di (...) ai nn. (...) di rep./racc., rappresentata e difesa, giusta delega in calce al presente atto, dall'Avv. An.La. ((...)) del Foro di Milano con studio in Milano, Corso (...), presso il quale elegge domicilio. CONVENUTO opposto (...) S.r.l., (C.F. (...)), in persona del suo legale rappresentante Sig. (...), ed (...) S.p.A. (C.F. (...) ), in persona del suo legale rappresentante Sig. (...), entrambe con sede in (...), Via R. n. 7, rappresentate e difese dagli avvocati Lu.Ca. (C.F. (...)) e Cl.Ro. (C.F. (...)) ed elettivamente domiciliate presso l'intestato studio in Montecatini Terme, Corso (...). TERZO CHIAMATO OGGETTO: Vendita di cose mobili ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Svolgimento del processo e deduzioni delle parti. Con ricorso ex art. 633 c.p.c., (...) S.p.A., quale cessionaria del credito vantato da (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. nei confronti di (...) S.r.l. a titolo di corrispettivo per la fornitura di beni, domandava ingiungersi nei riguardi di quest'ultima società il pagamento della sorte di Euro 58.291,53 oltre interessi. Il credito trovava fondamento nelle fatture n. (...) (rimasta inevasa per l'importo di Euro 22.128,70) emessa da (...) s.p.a., e n. (...) (per Euro 36.162,33) emessa da (...) s.r.l. Con decreto ingiuntivo n. 1338-19 del 25.6.2019, tempestivamente notificato, il Tribunale di Busto Arsizio ingiungeva (...) S.r.l. il pagamento, nei confronti di (...) S.p.A., della somma di Euro 58.291,53 oltre interessi come da domanda. Con atto di citazione tempestivamente notificato, (...) S.r.l. proponeva opposizione avverso detto decreto, convenendo in giudizio (...) S.p.A. L'opponente eccepiva preliminarmente il difetto di legittimazione attiva (...) S.p.A., per mancata notificazione della cessione inerente al credito vantato da (...) s.p.a. per Euro 22.128,7. Nel merito, contestava l'intero credito azionato in ragione dei vizi della merce venduta da (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. , assumendo che i contratti in essere con (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. dovessero reputarsi risolti ai sensi dell'art. 1492 c.c. Precisava l'opponente, società produttrice di, di aver ordinato a (...) s.r.l. e (...) s.p.a., nei mesi di settembre e ottobre 2017, la consegna di un polimero in granuli (LDPE, low density polyethylene) (...) 2, destinata alla produzione composizioni polimeriche termoplastiche. Rilevava che, trattandosi di polimero senza additivi, i relativi granuli avrebbero dovuto essere trasparenti. Riferiva di aver ricevuto la consegna di circa 70 tonnellate di granuli fra tra l'8.9.2017 e il 2.11.2017. Precisava di aver immesso il materiale ricevuto nel processo di produzione nei primi giorni di novembre 2017, e di essersi avveduta in quella occasione di occasionali ed anomale fuoriuscite di granuli colorati dalla macchina predisposta al processo di lavorazione. Aggiungeva di aver provveduto nella prima settimana di dicembre 2017 alla apertura manuale dei sacchi contenenti i granuli consegnati, e di aver rilevato in quella occasione la presenza di granuli neri e blu/verde. Sottolineava l'opponente che detto vizio aveva determinato l'inquinamento dell'intera partita del prodotto, concretandosi nei seguenti danni: costo della manodopera addetta allo scarto del materiale inquinato nei silos per Euro 1611,00e perdita del valore economico relativa al materiale scartato per Euro 18.974,4, per un totale di Euro 20.585,4. L'opponente domandava dunque l'accertamento dei vizi e la declaratoria di compensazione del debito di (...) azionato in sede monitoria sino a concorrenza dell'importo pari a Euro 20.585,4 a titolo di risarcimento danni conseguenti ai vizi della cosa venduta, con conseguente revoca del decreto opposto. Domandava altresì la condanna di (...) s.p.a. e s.r.l. , di cui chiedeva la chiamata in causa, al ritiro della merce inquinata di cui asseriva di essere in possesso, ed infine la risoluzione dei contratti di vendita intercorsi con (...) s.p.a. e s.r.l. Il Giudice autorizzava la chiamata dei terzi indicati da parte opponente. Con comparsa di risposta si costituiva tempestivamente in giudizio (...) S.p.A. quale incorporante per fusione della (...) S.p.A., che rilevava la infondatezza dell'eccezione di difetto di legittimazione attiva, e contestava nel merito la fondatezza dell'opposizione, chiedendo la conferma del decreto opposto. Osservava in particolare la convenuta opposta che in data 12 aprile 2018 (...) comunicava ad (...) la cessione a suo favore da parte di (...) S.p.A. del credito residuo pari ad Euro 22.128,70 così come da fattura n. (...). Con comparsa di risposta si costituivano tempestivamente e congiuntamente le terze chiamate (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. Le terze chiamate eccepivano l'insussistenza dei vizi lamentati dall'attore opponente per le seguenti ragioni: i granuli, al momento del sopralluogo posto in essere dal personale delle terze chiamate presso la sede dell'opponente, erano contenuti in sacchi non sigillati; il prodotto di parte opponente costituiva una miscellanea composta anche da altri materiali; il materiale ordinato da (...) s.r.l. alle terze chiamate era materiale "off grade", per sua natura inidoneo a offrire le garanzie di trasparenza e qualità richieste dall'opponente. Eccepivano inoltre la decadenza e prescrizione ai sensi dell'art. 1495 c.c. e la propria carenza di legittimazione passiva. Domandavano quindi la conferma del decreto opposto e il rigetto dell'opposizione. Le terze chiamate chiedevano di essere autorizzate alla chiamata in causa della (...) S.p.a. Il Giudice rigettava l'istanza. Il Giudice ammetteva parzialmente le prove orali richieste dalle parti. Espletata l'istruttoria, fissava udienza di precisazione delle conclusioni e assegnava termini ex art. 190 c.p.c. 2. Decisione. Ad avviso di questo Giudice l'opposizione è parzialmente fondata, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione. 2.1 Questioni pregiudiziali e preliminari. Deve anzitutto rigettarsi l'eccezione pregiudiziale di difetto di legittimazione attiva svolta da parte opponente in relazione al credito vantato da (...) s.p.a. per Euro 22.128,7, fondata sulla mancata notificazione e accettazione della cessione da parte del debitore ceduto. Sul punto, deve rilevarsi che la notificazione della cessione, come a breve si dirà, risulta essere stata documentata da parte convenuta opposta ed essere avvenuta con la missiva del 12.4.2018 di cui al doc. 2 di parte opposta. Ad ogni modo anche a prescindere da tale circostanza, che verrà richiamata e valutata ai fini dell'esame nel merito delle doglianze di parte opponente, l'eccezione svolta da parte opponente risulta comunque infondata. Infatti, l'espresso tenore dell'art. 1264 co. 1 c.c. indica la notificazione o l'accettazione quale condizione di efficacia, e non già di perfezionamento, della cessione nei confronti del ceduto. La struttura bilaterale della cessione, quale negozio che si perfezione in virtù dell'incontro di consensi fra cedente e ceduto, preclude al consenso del ceduto un rilievo strutturale ai fini del perfezionamento della fattispecie traslativa, relegandolo di contro a requisito di efficacia. L'assunto è ampiamente condiviso dalla giurisprudenza, che è addivenute alle medesime conclusioni con riferimento al contratto di factoring. Fra le tante massime sul punto, può richiamarsi quella secondo la quale "il contratto di "factoring", anche dopo l'entrata in vigore della disciplina contenuta nella L. 21 febbraio 1991, n. 52, è una convenzione atipica - la cui disciplina, integrativa dell'autonomia negoziale, è contenuta negli artt. 1260 e seguenti del codice civile - attuata mediante la cessione, "pro solvendo" o "pro soluto", della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall'esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore ("factor"), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza se i crediti sono futuri o se, per adempiere all'obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione, ma in ogni caso derivante dal perfezionamento della cessione tra cedente (fornitore) e cessionario ("factor"), indipendentemente dalla volontà e dalla conoscenza del debitore ceduto" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2746 del 08/02/2007, Rv. 596387 - 01). Sussiste pertanto in capo al cessionario (...) s.p.a. la legittimazione ad azionare la pretesa creditoria in parola. E' altresì infondata l'eccezione di difetto di legittimazione passiva svolta da (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. Deve infatti osservarsi che la sussistenza di detta condizione dell'azione deve essere accertata avuto riguardo alle affermazioni della parte, e cioè nella fattispecie l'attrice, e alla coincidenza fra la persona convenuta in giudizio e il soggetto che la stessa assume essere obbligata nei suoi confronti. Tale valutazione prescinde dall'accertamento dell'effettiva fondatezza della pretesa azionata, che attiene al merito della controversia. Orbene, nel caso di specie le persone giuridiche chiamate in causa da parte opponente, sono i medesimi soggetti giuridici che l'opponente individua quale soggetti destinatari della domanda di accertamento dei vizi e di risoluzione del contratto. Pertanto l'eccezione dev'essere rigettata. Tale riflessione lascia impregiudicato il problema della proponibilità, da parte del debitore ceduto nei confronti del cedente e cessionario, di eccezioni e domande riguardanti il rapporto da cui il credito è sorto. Tale quesito, più propriamente attinente al merito dell'opposizione, e pertanto verrà esaminato nel paragrafo che segue. Parimenti, e da ultimo, deve rigettarsi l'eccezione preliminare di decadenza e prescrizioni mossa dalle parti terze chiamate. Quanto alla eccezione di decadenza, risulta dimostrata la tempestività della denuncia dei vizi ad opera di parte opponente, avvenuta nella medesima data in cui gli stessi sono stati scoperti ed in ogni caso prima del decorso del termine di otto giorni di cui all'art. 1495 c.c. In punto di diritto, deve richiamarsi il consolidato orientamento secondo il quale la denunzia non deve contenere indicazioni puntuali circa la natura e la causa dei vizi, essendo sufficiente a tal fine una generica iniziale indicazione degli stessi, salvo successive contestazioni e precisazioni circa la entità dei vizi riscontrati (ex multis Cass. 9184/2004; Cass. 6234/2000). Da tale precisazione si evince altresì che la "scoperta" del vizio, idonea a far decorrere il termine di decadenza di cui all'art. 1495 c.c., da un lato richiede la necessaria presa di coscienza del difetto del prodotto e della sua inidoneità a soddisfare i requisiti minimi di fruibilità intrinsechi alla sua natura, ma dall'altro non esige necessariamente la puntuale cognizione tecnica delle imperfezioni e delle conseguenze che ne derivino. Venendo al caso di specie, deve dunque appurarsi quando sia stata trasmessa la prima missiva di contestazione idonea a soddisfare i requisiti della "denuncia" ai sensi dell'art. 1495 c.c., e altresì quando possa ritenersi avvenuta la data di scoperta dei vizi. La prima missiva qualificabile alla stregua di denuncia è la mail datata 11.12.2017, di cui al doc. 6 di parte opponente. La comunicazione, trasmessa da un indirizzo email afferente al dominio della società opponente ad un indirizzo email avente dominio riferibile a (...) s.r.l., dà atto di un "inquinamento dei silos" in corso dovuto alle caratteristiche dei granuli. La comunicazione, pur priva di specifiche indicazioni tecniche in merito alla natura e alle dimensioni del problema, cionondimeno fornisce adeguata contezza della ragione per cui il materiale consegnato dalle terze chiamate presentasse difetti tali da renderlo inidoneo al normale utilizzo. Il teste di parte opponente (...) (consulente di (...) s.r.l. , nella quale ha svolto la mansione di dirigente sino al 2009), da ritenersi senza dubbio attendibile in ragione della intrinseca precisione e coerenza delle sue dichiarazioni, ha confermato di aver inviato detta missiva a (...) s.r.l., e ha precisato di aver trasmesso la comunicazione nella stessa data in cui era stato scoperto il vizio in questione (capitolo 3 di cui alla memoria n. 2 di parte opponente). Proprio alla luce delle dichiarazioni di detto teste deve ritenersi che la scoperta sia avvenuta in un momento successivo alla data della consegna, e precisamente proprio nella data di trasmissione della suddetta mail. Risulta dalla documentazione dimessa in atti, ed in particolare dal documento di trasporto relativo alla fattura n. (...) di cui al doc. 5 di parte opponente, che la consegna della relativa merce sia avvenuta il 27.10.2017; dal documento di trasporto relativo alla fattura n. (...), di cui al medesimo documento appena citato, risulta che la relativa consegna sia stata effettuata il 31.10.2017. E' pacifico ed incontestato tuttavia che la consegna dell'ultimo lotto di merce sia avvenuta il 2.11.2017. Se dunque risulta accertato che già a partire dal 2.11.2017 la parte opponente fosse entrata nella materiale disponibilità dell'intero lotto di merce, cionondimeno emerge altresì la prova che alla data di consegna della merce parte opponente non si era avveduta né poteva avvedersi del vizio. E' infatti incontestata e pacifica la circostanza, confermata anche dal teste (...), che il processo di produzione di parte opponente prevede che la lavorazione dei granuli (materiale consegnato dalle terze chiamate) avvenga in maniera del tutto automatizzata, attraverso un macchinario che procede dapprima alla rispettiva polverizzazione, per poi procedere all'invio del polimero polverizzato all'estrusore e alla successiva mescola funzionale alla realizzazione del prodotto finale. La procedura viene avviata, come chiarito anche dal teste (...), senza che vengano aperti i sacchi in cui originariamente risultano contenuti i granuli, i quali ancora sigillati vengono direttamente immessi nel sistema automatizzato. A quanto emerge dalla dichiarazioni del teste citato, risulta che la scoperta del vizio sia avvenuta dopo che, nella prima settimana del dicembre 2017, il personale della società opponente ha deciso di convertire il sistema a funzionamento manuale, provvedendo quindi alla materiale apertura dei sacchi e appurando che al loro interno erano presenti granuli neri e blu/verde di masterbach. Solo in quel momento, dunque, può ritenersi avvenuta la scoperta del vizio, che non è stata né poteva essere effettuata prima. Al riguardo, deve precisarsi che a quanto emerge dalle parole di (...), il personale aveva convertito la macchina in funzionamento manuale perché si era insospettita da "sbuffate" di colore scuro che provenivano dal macchinario; detti fenomeni tuttavia non giustificano di per sé la scoperta del vizio, posto che a quanto emerge dalle parole del teste le sbuffate sono riconducibili a una pluralità di cause diversificate (sia patologiche che fisiologiche) e non testimoniano di per sé la presenza di un vizio nei granuli. Dunque, deve ritenersi rispettato il termine decadenziale di cui all'art. 1495 c.c.. Parimenti infondata è l'eccezione di prescrizione fondata sulla medesima disposizione. Il termine prescrizionale di cui all'art. 1495 co. 3 c.c. infatti, come si evince dalla stessa disposizione appena citata, non si applica al caso di specie, considerato che la garanzia è fatta valere dalla società opponente in via di eccezione. 2.2 Pretesa creditoria avanzata da (...) s.p.a. Rapporto contrattuale fra parte opponente e parti terze chiamate. Onde esaminare nel merito le eccezioni e domande proposte nel presente giudizio, devono preliminarmente inquadrarsi la pretesa monitoria e il rapporto contrattuale da cui essa trae origine. La pretesa creditoria azionata oggetto del ricorso monitori risulta fondata sulle fatture n. (...) (rimasta inevasa per l'importo di Euro 22.128,70) emessa da (...) s.p.a., e n. (...) (per Euro 36.162,33) emessa da (...) s.r.l., di cui al doc. 5 di parte opponente. La titolarità in capo a (...) s.p.a. di detti crediti deriva dalla relativa cessione in forza di contratto di factoring, la quale risulta dalle missive di cui ai docc. 3 e 4 di parte terza chiamata. Il rapporto contrattuale da cui trae origine il credito, per circostanza incotnestata, è intercorso fra (...) s.r.l. da un lato, e (...) s.p.a., ed (...) s.r.l. dall'altro, e si è dipanato fra il 2015 e il 2017. In via preliminare è necessario soffermarsi sulla qualificazione giuridica di detto rapporto e delle prestazioni dedotte nel presente giudizio. Il problema, in particolare, investe l'alternativa fra contratto di compravendita, caratterizzato da efficacia istantanea, o contratto di somministrazione, connotato ontologicamente da prestazioni periodiche. Deve in altri termini chiarirsi se le prestazioni indicate nelle fatture azionate in sede monitoria costituiscono l'oggetto di uno o più singoli contratto di stipulati nei mesi di settembre-ottobre 2017, oppure se esse rappresentino una delle molteplici prestazioni periodiche implicate in un contratto di somministrazione complessivo, che abbraccia tutto il periodo (che per circostanza incontestata decorre dal 2015 al 2017) nel corso del quale si sono ripetute le consegne di merce ad opera delle parti terze chiamate ed in favore di parte opponente. La risposta al quesito incide sulla valutazione della domanda di risoluzione e delle domande restitutorie conseguenti. Infatti, ove si opti per la tesi del contratto a prestazioni periodiche, nell'applicazione dell'art. 1455 c.c. deve tenersi conto, ai fini della valutazione della gravità dell'inadempimento, del rapporto fra l'inadempimento accertato con riguardo alla singola prestazione e il totale ammontare delle prestazioni periodiche eseguite per tutta la durata del rapporto contrattuale, ovvero fra il 2015 e il 2017; al contrario, ove si aderisca alla tesi del contratto con effetti istantanei, la valutazione della gravità investirà un orizzonte temporaneo più circoscritto, riguardando esclusivamente le prestazioni oggetto della presente controversia. Altresì, per i contratti a prestazioni periodiche l'art. 1458 c.c. esclude la retroattività della risoluzione, che pertanto preclude l'ammissibilità della pretesa restitutoria con riferimento alle prestazioni già eseguite. La giurisprudenza di legittimità, in senso consolidato, individua la seguente linea di discrimine: "il contratto di somministrazione si distingue dalla vendita a consegne ripartite perché, nel primo caso, la periodicità o la continuità delle prestazioni si pongono come elementi essenziali del contratto stesso, in funzione di un fabbisogno del somministrato (ove non sia stata determinata l'entità della somministrazione), si che ogni singola prestazione è distinta ed autonoma rispetto alle altre, mentre la vendita a consegne ripartite è caratterizzata dalla unicità della prestazione, rispetto alla quale la ripartizione delle consegne attiene soltanto al momento esecutivo del rapporto" (Sez. 3 - , Ordinanza n. 33559 del 11/11/2021, Rv. 662757 - 01). In punto di fatto, è incontestato che il rapporto contrattuale fra parte opponente e le parti terze chiamate sia intercorso a partire dal 2015 sino al 2017. E' altresì incontestato che parte opponente abbia acquistato complessivamente dalle due società terze chiamate beni nell'anno 2015 per Euro 105.625,00, nell'anno 2016 per Euro 348.580,00 e nell'anno 2017 per Euro 272.610,00. Dal prospetto delle forniture di cui al doc. 3 di parte opponente, si evince peraltro che tutte le consegne attuate in questo arco temporale hanno avuto ad oggetto lo stesso materiale oggetto del presente giudizio, ovvero granuli "LDPE". Si evince altresì che la prestazione è avvenuta in misura periodica, con una media di una consegna ogni due o tre mesi, in base a quantitativi di volta in volta differenti corrispondenti al bisogno di parte opponente. E' inoltre incontestato e pacifico che parte opponente, in ragione dell'attività commerciale espletata (produzione di semilavorati funzionali alla realizzazione di film plastici), necessiti della periodica consegna del materiale in questione, fondamentale componente del processo produttivo. Come la stessa parte opponente deduce, la consegna era preceduta da un apposito ordinativo trasmesso dalla società opponente alle terze chiamate, in cui si indicava precipuamente di quanto materiale l'acquirente avesse bisogno. Ad avviso di questo Giudice, le informazioni appena compendiate depongono nel senso della qualificazione in termini di somministrazione. Sussiste infatti sia il requisito della periodicità delle prestazioni, sia l'elemento causale, rappresentato dal bisogno periodico del somministrato. Tale ultimo profilo vale in particolare ad escludere che l'intero rapporto contrattuale, decorso dal 2015 al 2017, possa qualificarsi in termini di vendita a consegne ripartite. In tal senso deve altresì osservarsi che i singoli ordinativi e fatture indicano di volta in volta il prezzo, che dunque veniva di volta in volta concordato, seppur in base a parametri unitari: tale rilievo induce a escludere che le singole dazioni di denaro possano configurarsi quale elementi frazionati di un'unica prestazione pecuniaria quantificata globalmente all'inizio del rapporto contrattuale. La qualificazione in termini di somministrazione, che come si dirà incide sulla domanda di risoluzione e sulle domande di restituzione, non ha invece implicazioni di rilievo rispetto alla domanda di accertamento dei vizi, dei danni conseguenti e alla correlata eccezione di compensazione. Infatti, l'art. 1570 c.c., secondo consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis Cass. n. 2842/1998) consente l'estensione alle prestazioni di somministrazione della disciplina della garanzia per vizi dettata in materia di compravendita. Pertanto può anticiparsi sin d'ora che, con riferimento a detto profilo, si riterrà applicabile la disciplina dettata dagli artt. 1495 ss. c.c. 2.3 Inquadramento e proponibilità delle domande ed eccezioni di parte opponente. Parte opponente non contesta il proprio inadempimento rispetto alle voci di credito azionate in sede monitoria, formulando per contro molteplici eccezioni attinenti al rapporto obbligatorio da cui il credito sorge. Eccepisce in primo luogo ai sensi dell'art. 1495 co. 3 c.c. la presenza di vizi, da cui fa discendere le conseguenti domande ed eccezioni: l'accertamento della pretesa insorgenza di una pretesa creditoria nei confronti delle società (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. (per l'importo di Euro 20.585,4, come si è detto) e l'eccezione di compensazione di detto credito risarcitorio con il credito azionato da (...) s.p.a. con ricorso monitorio; la domanda di risoluzione dei contratti di vendita con (...) s.p.a. ed (...) s.r.l.; la domanda di condanna al ritiro della merce inquinata e la domanda di accertamento della non debenza del relativo controvalore economico. Orbene, sia le parti terze chiamate che le parti convenuta opposta hanno rilevato, prima ancora che l'inesistenza dei vizi in parola, la improponibilità di dette eccezioni e domande nei loro rispettivi confronti. Occorre dunque preliminarmente interrogarsi sulla astratta proponibilità delle difese, domande ed eccezioni svolte da parte opponente. Ad avviso di questo Giudice, la difesa spiegata della parte convenuta opposta e dalle terze chiamate risulta infondata. Essa tuttavia induce ad una preliminare disamina e qualificazione delle doglianze di parte opponente, e pertanto merita approfondita valutazione. La giurisprudenza di legittimità, in piena continuità con il disposto normativo, ha da tempo acclarato la proponibilità, da parte del debitore ceduto nei confronti del cessionario, di eccezioni relative alla validità ed esistenza del rapporto da cui il credito è sorto, quand'anche attinenti alla esatta esecuzione della prestazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10833 del 11/05/2007, Rv. 597085 - 01). L'assunto appena evocato è stato in più occasioni ribadito anche con riferimento all'eccezione sollevata dal debitore ceduto nei confronti del cessionario ai sensi dell'art. 1495 co. 3 c.c. , ed anche in ipotesi di factoring. In particolare, la Suprema Corte ha precisato che "in materia di "factoring", nell'ipotesi in cui il credito oggetto di cessione derivi dalla compravendita di un bene mobile, la legittimazione passiva in ordine alla domanda di riduzione del prezzo, conseguente all'esistenza di vizi della cosa venduta, spetta alla società venditrice e non al "factor", atteso che quest'ultimo non è cessionario del contratto di compravendita ma soltanto del credito relativo al corrispettivo, e che il compratore (debitore ceduto) potrebbe solo opporre al "factor", ove fosse da questi convenuto in giudizio per il pagamento del debito, le eccezioni opponibili al cedente, ma non già agire direttamente contro il "factor" con azioni volte alla risoluzione o alla modifica di un contratto al quale costui è rimasto estraneo" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2869 del 13/02/2015 (Rv. 634396 - 01). Da quest'ultima massima deve trarsi spunto per chiarire e ripartire la legittimazione passiva del convenuto opposto e delle terze chiamate rispetto alle varie domande ed eccezioni mosse dall'opponente. Rispetto alla eccezione volta accertamento dei vizi, la legittimazione passiva sussiste in capo a tutti i soggetti appena menzionati, incluso il cessionario convenuto opposto, trattandosi per l'appunto di eccezione volta a paralizzare la pretesa creditoria. La domanda di risoluzione del contratto, invece, deve qualificarsi come diretta esclusivamente nei confronti di (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. , e non anche nei confronti di (...) s.p.a. Detta conclusione del resto trova conferma nelle conclusioni dell'atto di citazione in opposizione, che espressamente riferiscono alle società terze chiamate la domanda in questione. Alla medesima conclusione deve pervenirsi con riferimento alla domanda di condanna di (...) s.p.a. ed s.r.l. al ritiro della merce inquinata. La domanda di accertamento della non debenza della somma corrispondente al relativo controvalore economico, di cui di dirà in seguito, deve invece ritenersi diretta anche alla parte convenuta opposta, in quanto diretta a contestare la debenza della somma azionata in sede monitoria. L'eccezione di compensazione (qualificabile in termini di eccezione e non di domanda alla luce della espressa precisazione in tal senso fornita da parte opponente all'udienza del 14.1.2021) deve considerarsi rivolta esclusivamente nei confronti della parte convenuta opposta, unica ed attuale titolare (in seguito alla cessione) del credito azionato in sede monitoria e pertanto unica possibile destinataria di una domanda volta a paralizzare l'esazione del credito in questione. A tale parte deve ritenersi altresì rivolta la domanda, che funge da presupposto a quella di compensazione, volta all'accertamento dei danni conseguenti ai vizi. Proprio la proponibilità dell'eccezione di compensazione peraltro sollecita qualche riflessione aggiuntiva. In particolare, avendo riguardo al disposto dell'art. 1248 co. 2 c.c., deve appurarsi se i crediti siano sorti prima o dopo la notifica della cessione del credito nei confronti del debitore ceduto. Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che il credito risarcitorio vantato dall'opponente risulta essere sorto, come si dirà a breve, nei mesi fra novembre e dicembre 2017, quando è stato scoperto il vizio causativo del danno. Entrambe le cessioni del credito, sia quella relativa ai crediti vantati da Euro commerciale s.r.l. che quella relativa ai crediti di (...) s.p.a., risultano essere state notificate al debitore ceduto e non accettate da quest'ultimo. In particolare, la notifica relativa ai crediti di (...) s.p.a. risulta essere avvenuta con la missiva del 12.4.2018, di cui al doc. 16 di parte opponente. La data della notifica risulta posteriore all'epoca in cui è sorto il contro-credito risarcitorio, e pertanto nessun ostacolo si ravvisa alla proponibilità della domanda di compensazione ad opera di parte opponente. Con riferimento ai crediti vantati da (...) s.r.l., la relativa notifica risulta datata 3.10.2016 (come da missiva di cui all'allegato A di parte opponente), e pertanto in epoca anteriore all'epoca in cui sono sorti i crediti opposti in compensazione. Deve però precisarsi che, come chiaramente si evince dal tenore della missiva appena richiamata, la cessione ha avuto ad oggetto tutti i crediti sorti "da contratti già stipulati e che sorgeranno (...) sino al 1.10.2018": la cessione ha dunque avuto ad oggetto crediti futuri. Trova dunque applicazione la condivisibile massima secondo la quale "nel contratto di factoring avente ad oggetto crediti futuri, il debitore ceduto può opporre in compensazione al cessionario un proprio credito nei confronti del cedente sorto in epoca successiva alla notifica dell'atto di cessione, atteso che nella cessione di crediti futuri l'effetto traslativo si verifica nel momento in cui questi vengono ad esistenza e non invece anteriormente, all'epoca di stipulazione del contratto" (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 19341 del 03/08/2017, Rv. 645728 - 01). 2.4 Vizi e compensazione. Acclarata dunque la astratta proponibilità di tutte le difese, domande ed eccezioni mosse da parte opponente, può esaminarsi nel merito la relativa fondatezza, prendendo le mosse dalla doglianza relativa ai vizi della merce. Sul punto, sin d'ora si sottolinea che la motivazione terrà conto degli esiti della relazione della CTU depositata in seno al procedimento di cui all'art. 696 bis c.p.c. rg. 30316-2019 incardinato presso il Tribunale di Milano. Al riguardo, occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità ha più volte negato la sussistenza in capo al giudice del merito di preclusioni valutative concernenti le prove acquisite nei procedimenti d'istruzione preventiva, le quali, una volta superato il vaglio di ammissibilità e rilevanza ex art. 698 c.p.c., sono liberamente apprezzabili secondo il disposto dell'art. 116 c.p.c. (ex multis, Cass. 4139/2001). Orbene, nel caso di specie la relazione peritale depositata in seno al procedimento suddetto è ammissibile e rilevante, e pienamente utilizzabile ai fini della decisione. A quanto emerge dal relativo fascicolo, prodotto in questa sede da parte opponente, il procedimento in questione, avviato dall'odierna opponente, ha coinvolto tutte le parti costituite nel presente giudizio, e la relativa relazione peritale risulta pertanto ad esse opponibile. Deve altresì precisarsi che, come si evince dal ricorso ex art. 696 bis c.p.c. prodotto da parte opponente, il procedimenti in questione i vizi e difetti lamentati dall'odierna parte opponente in relazione alla merce dalle odierne terze chiamate fra il settembre e l'ottobre 2017, relativa (fra l'altro) alle fatture nn. (...) e (...). L'oggetto del procedimento coincide con quello del presente giudizio. E' inoltre opportuno evidenziare che le conclusioni cui è giunto il consulente sono sostanzialmente condivisibili ed idonee ad essere poste a fondamento della decisione, in quanto raggiunte sulla scorta di un congruo esame dei documenti ritualmente versati in causa; inoltre le operazioni peritali si sono svolte nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e le valutazioni del consulente risultano sviluppate ed applicate secondo un percorso argomentativo immune da vizi logici. Sin d'ora si sottolinea dunque che la motivazione terrà conto degli esiti della relazione peritale depositata in seno al procedimenti d'istruzione preventiva. La relazione in questione ha anzitutto appurato che il prodotto ordinato da (...) s.r.l. e consegnato dalle odierne terze chiamate si qualifica come "off grade". Ha altresì chiarito che il prodotto venduto "non sia conforme alla qualità richiesta de U.". Sul punto, ha in particolare precisato che la "merce è stata consegnata con la definizione di off grade, il quale indica un grado "fuori specifica" del polimero LDPE. Il CTU ha potuto constatare che la merce in effetti non è di grado 2 (M.) e quindi off grade come concordato e accettato dalle parti ma ha verificato anche che la merce era inquinata da grani di colorante estranei al polimero. Questa condizione nelle norme generalmente accettate non riguarda la qualità off grade ma un inquinamento estraneo al polimero stesso. Questo inquinamento ha prodotto nella fase di lavorazione del pellets LDPE una modifica sostanziale della colorazione" (pag. 4 della relazione). Ha da ultimo chiarito che "dai test condotti sull'impianto e ripetuti due volte risulta evidente che il prodotto LDPE fornito da (...) S.r.l. compromette la produzione di pellets LDPE additivato in uscita dall'estrusore. Il CTU non ha potuto determinare la modifica reologica e le caratteristiche chimico-fisiche del prodotto inquinato (temperatura di transizione vetrosa e Melt Flow Index) per la quantità troppo bassa di colorante nel pellets. Tuttavia è evidente la modifica della colorazione del prodotto finito (da bianco a grigio) che ne compromette la commercializzazione" (pag. 5 della relazione). Le risultanze della ctu attestano dunque che la natura off grade del prodotto ordinato, che pur può determinare alcune intrinseche difettosità ed imperfezioni del prodotto, cionondimeno non giustifica i vizi riscontrati nel caso concreto. Ha puntualmente motivato tale conclusione, replicando alle osservazioni dei consulenti di parte, e ha chiarito che la natura off grade del prodotto può giustificare fisiologicamente la presenza di polimeri "diversi da quelli acquistati" (in altri termini, può giustificare una alterazione delle proprietà endogena, afferente ai polimeri che compongono il materiale), mentre non è di per sé coerente con la presenza all'interno del prodotto di elementi inquinanti di fonte esterna, che sono stati rintracciati nel caso di specie. Ha infatti sottolineato che "la merce era inquinata da grani di colorante estranei al polimero" (pag. 4) e pertanto risultava viziata in quanto incongrua rispetto alle condizioni che un prodotto di questo genere, pur off grade, dovrebbe assicurare. La precisazione del consulente non trovano smentita nelle osservazioni del perito di parte terza chiamata e nelle dichiarazioni teste P. (teste di parte terza chiamata). Quanto alle osservazioni peritali di parte terza chiamata, compendiate nella relazione di cui al doc. 5 di parte terza chiamata (in particolare, cfr. pag. 3) e richiamate dal ctu nella propria relazione, esse si sostanziano nella definizione del prodotto "off grade" come esposto a impurità. Tale definizione non risulta propriamente in contrasto con quella fornita dal ctu, che si presenta però maggiormente specifica, in quanto inquadra il prodotto off grade come passibile di impurità (non di qualunque genere, bensì) di fonte esclusivamente endogena, correlate alla natura ed alla composizione chimica dei polimeri. La definizione offerta dal ctu risulta preferibile a quella indicata dal consulente di parte, sia sul piano contenutistico che metodologico. Sul piano contenutistico, la stessa risulta maggiormente puntuale, e maggiormente coerente con l'altra caratteristica fondamentale dei prodotti off grade, rappresentata (come chiarisce lo stesso consulente di parte terza chiamata, pag. 3 doc. cit.) dall'utilizzo di materie prime meno pregiate rispetto ai prodotti di prima qualità (c.d. "prime"). Sotto il profilo metodologico, a tale definizione il CTU è giunto con metodo logico-razionale condivisibile, tenendo conto della definizione offerta dati consulenti di parte, e ampliando le ricerche a più ampio raggio sulla letteratura scientifica esistente in materia. Il teste (...), dal canto suo, ha dichiarato che i granuli di colore scuro rinvenuti nei sacchi sono "normalmente presenti" nei materiali off grade. Anche a quest'ultima dichiarazione, prettamente generica, valutativa e non sorretta da alcuna motivazione, devono essere preferite le condivisibili riflessioni del ctu, per le medesime ragioni appena evocate. Il Ctu ha dunque concluso che la difettosità della merce è idonea a compromettere in misura significativa la produzione di (...) s.r.l. Sul punto ha chiarito che "sulla base di queste considerazioni, il CTU stabilisce, con una ragionevole certezza, che i granelli di colorante presenti nei pellets di LDEP non possono rientrare nella definizione accettata di off grade. La loro presenza, anche se in numero limitato rispetto alla massa di polimero, ha reso inutilizzabile il prodotto finale: tre soli granelli sono in grado di modificare sensibilmente il colore a 15-20 kg di prodotto finito" (pag. 5 della relazione). Le conclusioni cui è giunto il ctu risultano condivisibili, e pertanto meritano accoglimento in questa sede, per ragioni di carattere contenutistico e metodologico. Le prime attengono come si è detto alla chiarezza e compiutezza logico-razionale dell'iter espositivo. Le seconde afferiscono alla congruenza della metodologia adottata in relazione alla risposta al quesito, che fornisce particolare attendibilità alla conclusione raggiunta. In particolare il ctu ha dato atto di aver condotto le indagini su un numero senza dubbio congruo di merce (21 sacchi), scelta in base al condivisibile criterio casuale (pag. 4 della relazione). Ha peraltro dato atto che i sacchi in cui la merce era stata trovata erano sigillati e si trovavano in ambiente idoneo alla conservazione, circostanza che di per sé esclude la contaminazione della merce ad opera di fattori esogeni. Precisa inoltre di aver condotto test sull'impianto, peraltro ripetuti più volte, per appurare l'incidenza del vizio dei granuli sul prodotto realizzato da (...) s.r.l. Da ultimo, risponde puntualmente alle osservazioni dei consulenti di parte. Orbene, accogliendo le conclusioni cui è giunto il ctu, deve dunque ritenersi fondata l'eccezione svolta da parte opponente ai sensi dell'art. 1495 c.c.. Può adesso esaminarsi la domanda di accertamento dei danni-conseguenza e la conseguente eccezione di compensazione del contro-credito risarcitorio, svolte da parte opponente. Come si è accennato in precedenza, parte opponente adduce due voci di danno. La prima, del complessivo importo di Euro 18.974,4, attiene al valore del materiale prodotto non conforme e scartato dalla società opponente: il calcolo è effettuato moltiplicando il prezzo medio al kg del prodotto di (...) s.r.l. (euro 3,57), per il numero di kg di materiale scartati dalla società opponente (5.360 kg), e poi sottraendo dal risultato di detta moltiplicazione l'importo di Euro 160,8, corrispondente ai ricavi conseguiti da (...) in seguito alla vendita del materiale scartato in favore di società di rigenerazione. Ad avviso di questo Giudice tale voce di danno risulta provata e pertanto deve ritenersi accertata. Onde chiarire tale conclusione è necessario in primo dare atto della sussistenza del nesso causale fra il vizio della merce e il danno lamentato dall'opponente, che invero già emerge dalla citata relazione del ctu, ed è stato altresì confermato dal teste C.. In particolare è indicativa la proporzione numerica utilizzata dal ctu, secondo cui "tre soli granelli sono in grado di modificare sensibilmente il colore a 15-20 kg di prodotto finito", nonché quella istituita dal teste, secondo cui "un solo granulino crea una soffiata di materiale inquinato" e "con alcuni prodotti, un granulino inquinato può comportare l'inquinamento di 8 kg di prodotto finito". Come emerge dagli stralci appena riportati le dichiarazioni del teste (...), oltre a confermare la sussistenza del nesso causale accertato dal ctu, risultano coerenti anche dal punto di vista numerico con le conclusioni cui il ctu è giunto; tale dato, oltre a rafforzare l'attendibilità dell'accertamento sulla sussistenza del nesso causale, conferma l'attendibilità delle dichiarazioni del teste C.. Dalle dichiarazioni del teste (...) emerge altresì la prova della correttezza dei tre parametri di calcolo sui quali l'opponente fonda la presente voce di danno: il numero di kg di materiale scartato, confermato dal teste nella misura di 5.360 kg; il prezzo medio per kg del prodotto finito venduto da (...) s.r.l., confermato dal teste nella misura di Euro 3,57 ed in coerenza con le risultanze dell'inventario di cui al doc. 13quater di parte opponente; il prezzo ricavato dalla vendita dei beni a società di rigenerazioni, attestato dal teste nella misura indicate dalle fatture di ci ai doc. 13 bis e ter di parte opponente. A quest'ultimo riguardo deve osservarsi che la vendita del prodotto a società di rigenerazione risulta dalle fatture di cui ai doc. 13 bis e doc. 13 ter di parte opponente, che risalgono ai mesi di novembre e dicembre 2017 e fanno riferimento in causale alla rigenerazione di scarti di materiale plastico. Tali documenti pertanto, in aggiunta alle dichiarazioni del teste (...), contribuisce alla prova del danno lamentato dall'opponente. In conclusione deve ritenersi accertata la voce di danno pari ad Euro 18.974,4. Non vale a smentire tale conclusione la testimonianza di (...), teste delle parti terze chiamate, Direttore tecnico di una società operante nel gruppo di (...) s.p.a. ed s.r.l. Il teste, sentito a prova contraria sul punto, sul punto ha dichiarato di non essere a conoscenza di quanti kg di materiale siano stati oggetto di scarto e del rispettivo valore economico, né delle vendita del materiale a società di rigenerazione, limitandosi a valutare, con dichiarazione prettamente valutativa e generica, come eccessivo il quantitativo di materiale scartato indicato da parte opponente. La seconda voce di danno attiene invece al costo della manodopera impiegata da parte opponente per lo scarto materiale del materiale inquinato, quantificato come segue: Euro 179,00 al giorno per nove giorni, per l'importo totale di Euro 1611,00. Sul punto, il teste (...) ha dichiarato che la società opponente ha impiegato 2 operai per 10 ore al giorno per 9 giorni per svuotare il silos delle polveri ed il silos dei granuli ; e che il personale impiegato era fornito dalla cooperativa (...). Il teste ha dichiarato di aver personalmente assistito alle operazioni di scarto e risulta pertanto, anche sotto detto profilo, attendibile. La dichiarazione testimoniale risulta rafforzata dai seguenti documenti: la fattura di cui al doc. 28 di parte opponente, emessa (...) ed avente ad oggetto i servizi prestati nel dicembre 2017 presso il magazzino della società opponente; il contratto di servizi sottoscritto dal Consorzio di cui al doc. 28 di parte opponente, che attesta un costo orario della manodopera pari a Euro 17,9 (pari dunque a Euro 179 per dieci ore). Sebbene tale ultimo contratto non riporti la sottoscrizione di parte opponente, il teste (...) ha confermato che le condizioni economiche dei servizi resi dal Consorzio corrispondono a quelle indicate in detto contratto. Non decisiva, neppure in tal caso, risulta la testimonianza di (...), il quale, sentito a prova contraria sul punto, ha dichiarato di non essere a conoscenza di quante ore siano state impiegate dai lavoratori per la rimozione degli scarti, e di non aver assistito alle operazioni in questione, limitandosi (con dichiarazione generica e meramente valutativa) a valutare come "eccessive" le ore indicate da parte opponente. Anche tale voce di danno deve dunque ritenersi accertata. Pertanto risultano provati i danni lamentati dalla parte opponente nella misura complessiva di Euro 20.585,4. Deve dunque accogliersi l'eccezione di compensazione svolta nei confronti della convenuta opposta sino all'ammontare di detto importo. Orbene, il credito azionato e riconosciuto in sede monitoria ammonta complessivamente ad Euro 58.291,53. Da tale importo dev'essere detratta la somma oggetto di compensazione, pari come detto ad Euro 20.585,4. Quale esito di detta operazione si ottiene la somma di Euro 37.706,13, pari all'importo che - all'esito della compensazione - risulta ancora dovuto da parte opponente in favore di parte opposta. Pertanto il decreto ingiuntivo dev'essere revocato e parte opponente dev'essere condannata a rifondere in favore (...) s.p.a. la somma di Euro 37.706,13 iva inclusa, oltre interessi moratori al saggio legale dal 10.3.2018 (data di scadenza del pagamento indicata della fattura n. (...), la più recente azionata nel presente giudizio) al saldo effettivo. La condanna dev'essere disposta in favore di (...) s.p.a. in forza di pacifica ed incontestata successione nel diritto azionato da (...) s.p.a., ai sensi dell'art. 111 c.p.c. 2.3 Risoluzione e restituzioni. Possono adesso essere esaminate le ulteriori domande svolte da parte opponente. La prima riguarda l'accertamento della presenza, presso la disponibilità di parte opponente, di sacchi di materiale inquinato per un valore di Euro 37.705,63 iva compresa (per un totale di 26875 kg, moltiplicati per il valore di Euro 1,15 al kg oltre iva). La domanda è direttamente correlata alle successive domande di risoluzione del contratto e di restituzione del materiale. Tale domanda è fondata e merita accoglimento. Risulta in primo luogo accertato il prius logico di detta domanda, ovvero l'inutilizzabilità del materiale viziato consegnato dalle terze chiamate ai fini del processo produttivo dell'opponente. Di tale profilo ha dato adeguata contezza il ctu, negli stralci di relazione precedentemente richiamati. Parimenti risulta accertato il presupposto fattuale della domanda, ovvero la materiale presenza del materiale inquinato nelle quantità indicate. La circostanza è stata confermata dal teste (...). Il teste ha in particolare confermato, dichiarato di aver personalmente assistito al conteggio dei kg di materiale viziato, che nel capannone di (...) sito in (...) P. via B. sono presenti 26.875 kg di materiale acquistato con le fatture n. (...) da (...) spa e n. (...) da (...) srl. Inoltre, deve darsi atto che né la parte convenuta opposta, né le terze chiamate hanno puntualmente e tempestivamente contestato la quantità di kg di materiale viziato tutt'ora presenti nella disponibilità di parte opponente e il rispettivo valore economico, fatti che dunque si considerano (oltre che provati dalle dichiarazioni testimoniali sopra esposte) pacifici ai sensi dell'art. 115 c.p.c.. Devono adesso esaminarsi la domanda di risoluzione e le conseguenti domande di condanna delle terze chiamate al ritiro della merce viziata e di declaratoria della non debenza della somma di Euro 37.705,63. Le domande in questione risultano tutte infondate. La loro disamina richiede tuttavia alcune preliminari precisazioni. La prima riguarda l'ammissibilità della domanda di accertamento della non debenza dell'importo corrispondente alla merce viziata tutt'ora nella disponibilità di parte opponente. Essa invero è stata esplicitata da parte opponente per la prima volta nella memoria n. 1. Tuttavia non può reputarsi quale domanda nuova, bensì quale specificazione di domanda già formulata nell'atto introduttivo. Infatti detto atto contiene domande che implicano univocamente la domanda in questione, quali la domanda di risoluzione del contratto, la domanda volta alla restituzione della merce "inquinata" corrispondente al valore economico di Euro 37.705,63 iva compresa, e la domanda di accertamento della disponibilità in capo all'opponente di un quantitativo di merce viziata corrispondente al valore economico di Euro 37.705,63 iva compresa. Pertanto la domanda è ammissibile. Ulteriore chiarimento preliminare riguarda la qualificazione della domanda appena evocata e delle domande di condanna delle terze chiamate al ritiro della merce viziata. Entrambe le domande, in quanto poste dalla parte opponente quali conseguenze della risoluzione, devono essere qualificate come domande di restituzione. In particolare, la domanda volta al ritiro della merce viziata è esplicitamente finalizzata, secondo le deduzioni di parte opponente, alla relativa restituzione. La domanda di accertamento della non debenza del controvalore economico della merce viziata deve qualificarsi anch'essa come domanda restitutoria: posto che detto valore economico non è stato mai pagato dall'opponente (per circostanza pacifica ed incontestata), l'opponente si limita correttamente a richiederne la non debenza. Detta domanda non può qualificarsi come risarcitoria, poiché parte opponente non descrive la disponibilità della merce inquinata come un fatto pregiudizievole in sé (non deduce e non lamenta, ad esempio, eventuali costi di manutenzione o conservazione della merce), limitandosi a richiedere che la stessa venga restituita e che il controvalore economico sia considerato come non dovuto. Può dunque scrutinarsi il merito di dette domande, tenendo in considerazione la qualificazione giuridica del rapporto contrattuale in essere, ricondotto come si è detto al disposto dell'art. 1559 c.c. La domanda di risoluzione del contratto non può trovare accoglimento, considerato che da un lato parte terza chiamata ha fondatamente eccepito la scarsa gravità dell'inadempimento, e dall'altro parte opponente non ha dimostrato il superamento della soglia di gravità prevista dall'art. 1455 c.c.. Il complessivo rapporto di somministrazione, come si è detto, ha riguardato un complessivo controvalore economico superiore ai 600.000,00 Euro per tutte le prestazioni eseguite fra il 2015 e il 2017. Il valore complessivo della merce risultata viziata all'esito del presente giudizio invece ammonta a complessivi Euro 58.291,03 (dato dalla sommatoria del valore della merce scartata pari a kg 5360, e del valore della merce viziata tutt'ora nella disponibilità di parte opponente pari kg 26.875). Il rapporto numerico appena evocato induce alla conclusione che la merce risultata viziata rappresenta un quantitativo trascurabile rispetto alla complessiva somministrazione valutata nel suo insieme. D'altro canto, posto che la ctu riguarda esplicitamente le forniture oggetto del presente giudizio, non vi è prova che il vizio abbia riguardato anche in tutto o in parte le altre prestazioni eseguite nei mesi ed anni antecedenti. Pertanto, data la scarsa gravità dell'inadempimento ai sensi dell'art. 1455 c.c., la domanda di risoluzione dev'essere rigettata. Tale rigetto giustifica di per sé la reiezione delle domande di condanna al ritiro della merce inquinata e di accertamento della non debenza del valore corrispondente. In quanto domande restitutorie, infatti, il relativo accoglimento presuppone necessariamente l'accoglimento della domanda risolutoria. Sussistono ad ogni modo precipue ragioni che ne giustificano il rigetto. La prima, che riguarda entrambe le domande restitutorie, concerne l'art. 1458 c.c. che prevede la irretroattività della pronuncia risolutoria relativa ai contratti con prestazioni periodiche. Anche ove fosse accolta la domanda di risoluzione, dunque, in ogni caso non potrebbe darsi luogo alle restituzioni per le prestazioni già eseguite. La seconda, che propriamente riguarda la condanna al ritiro della merce, attiene all'inesistenza di qualsiasi fondamento giustificativo dell'obbligo, asseritamente gravante sulle terze chiamate, di ritirare la merce viziata. Parte opponente infatti non deduce e non prova il titolo giustificativo della pretesa. Si conferma pertanto la conclusione cui si è giunti all'esito del paragrafo che precede: il decreto ingiuntivo dev'essere revocato e parte opponente dev'essere condannata a rifondere in favore (...) s.p.a. la somma di Euro 37.706,13 iva inclusa, oltre interessi moratori al saggio legale dal 10.3.2018 (data di scadenza del pagamento indicata della fattura n. (...), la più recente azionata nel presente giudizio) al saldo effettivo. 2.4 Spese di lite. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza (...) Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ., sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie sussistono i presupposti della soccombenza reciproca fra tutte le parti in causa, che giustifica la integrale compensazione delle spese del presente procedimento e delle spese relative al procedimento per accertamento tecnico preventivo. Parte opponente ha visto infatti l'accoglimento della propria domanda di accertamento dei vizi e dei danni conseguenti, rivolta sia alla parte opposta che alle terze chiamate; tuttavia, la medesima parte ha visto il rigetto parziale dell'opposizione e delle domande di risoluzione e di restituzione. Invero, all'esito del presente giudizio parte opponente risulta condannata al pagamento di parte della somma azionata in sede monitoria. Cionondimeno, ella risulta vittoriosa nel procedimento di accertamento tecnico preventivo. Si ritiene dunque sussistere una complessiva situazione di soccombenza reciproca che giustifica la integrale compensazione delle spese. Le spese di ctu del procedimento di istruzione preventiva devono essere dunque poste a carico delle tre parti costituite nel presente giudizio, con suddivisione dei rapporti interni in tre parti eguali: 1/3 per per (...) s.r.l., 1/3 per (...) s.p.a., 1/3 per (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. In tale suddivisione, (...) s.p.a. ed (...) s.r.l. si considerano quale parte unitaria, in quanto costituite congiuntamente. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: accoglie parzialmente l'opposizione svolta da (...) S.r.l. avverso il decreto ingiuntivo n. 1338-19 del 25.6.2019, emesso dal Tribunale di Busto Arsizio; per l'effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; dichiara che il credito di (...) S.p.A. a carico di (...) S.r.l., a titolo di saldo dei corrispettivi dovuti per il contratto di somministrazione stipulato da (...) s.r.l. con (...) s.p.a. ed (...) s.r.l., è pari a Euro 37.706,13 iva inclusa, oltre interessi moratori come indicati in motivazione; accoglie la domanda di accertamento dei vizi e dei danni- conseguenza nell'importo di Euro 20.585,4, e l'eccezione di compensazione promossa da parte attrice opponente; accerta in accoglimento della domanda di accertamento di parte opponente, la presenza di materiale viziato per un valore di Euro 37.705,63 iva compresa ; rigetta ogni altra domanda ed eccezione svolta da parte opponente e dalle altre parti costituite nel presente giudizio; letti gli artt. 91 e ss c.p.c. e il D.M. 10 marzo 2014, n. 55, compensa integralmente fra le parti le spese di lite del presente giudizio e del giudizio di accertamento tecnico preventivo; pone in via definitiva le spese di ctu relativa al procedimento di accertamento tecnico preventivo a carico solidale di tutte le parti costituite nel presente giudizio, con ripartizione dei rapporti interni come indicata in motivazione. Così deciso in Busto Arsizio il 22 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE III CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 5547/2020 promossa da: (...) (C.F. (...)), con il patrocinio dell'avv. MA.CO. ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore PARTE ATTRICE contro (...) SPA (C.F. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. VA.ST. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE CONVENUTA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto dinnanzi all'intestato Tribunale l'istituto di credito (...) s.p.a. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della frode di cui era stato vittima nell'utilizzo dell'Home-banking collegato ai conti correnti n. (...) e n. (...), intrattenuti presso l'istituto convenuto. A sostegno delle sue pretese l'attore ha allegato: che era l'unico titolare del conto corrente n. (...) e cointestatario con la sorella (...) del conto corrente n. (...), entrambi aperti presso l'agenzia (...) sita a C.; che l'11.5.2020, alle ore 12.48, aveva ricevuto un SMS dal numero ufficiale di (...), identificato come (...), in coda ad altri messaggi inviati dall'istituto di credito in precedenza, con cui era stato informato di un tentativo di accesso non autorizzato al suo conto corrente ed era stato invitato ad accedere ad un pagina tramite il link indicato per effettuare le verifiche del caso; che, cliccando il link, era comparsa la normale schermata dell'home page della banca, con la richiesta di inserire le credenziali e il numero di telefono per poter essere contattato il giorno seguente da un addetto dell'istituto di credito; che, in effetti, il giorno dopo, verso le ore 12.30 circa, era stato contattato, tramite il numero verde ufficiale di (...) ((...)) da un presunto addetto, che, facendo riferimento al messaggio inviato il giorno prima, lo aveva informato che era stata richiesta l'esecuzione di un bonifico ordinario dal conto corrente n. (...) di Euro 4.900,00 in favore di tale (...) e di due bonifici istantanei ad esecuzione immediata dal conto corrente n. (...), per complessivi Euro 1.998,00, in favore di tale (...); che il presunto operatore gli aveva riferito che i bonifici erano stati bloccati, in quanto sospetti, e gli aveva chiesto di fornire i codici necessari per stornarli definitivamente; che, rassicurato dal fatto che la chiamata proveniva dal numero verde ufficiale della banca e dagli SMS ricevuti da (...), comparsi nella cronologia ufficiale dei messaggi di (...), aveva seguito le istruzioni; che, successivamente, alle ore 15,30 dello stesso giorno, era stato contattato telefonicamente dalla sua Agenzia di Cavaria, che gli aveva comunicato che era stata consumata una truffa a suo danno; che la Banca, pur avendo tempestivamente rilevato lo svolgimento della truffa, non aveva bloccato nessuno dei tre bonifici, neppure quello effettuato in via ordinaria, pur avendone il tempo; che, a seguito del reclamo, la banca aveva escluso ogni sua responsabilità; che, tuttavia, la convenuta non gli aveva mai inviato alcuna specifica personale informativa relativa alle misure da adottare in funzione anti-truffa, ma aveva sempre divulgato le informative esclusivamente tramite il sito, nell'area privata (...); che era stato, pertanto, violato il suo diritto ad una adeguata informativa; che, in considerazione della mancanza di informativa relativa alle misure da adottare in funzione anti-truffa, delle carenze nella sicurezza del sistema informatico, e, in ultimo, dell'inadeguata gestione della vicenda, per non avere bloccato immediatamente i bonifici, la banca doveva ritenersi responsabile dei danni causati, pari ad Euro 6.898,00. Si è costituita in giudizio la convenuta, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione attiva dell'attore con riferimento al conto corrente cointestato n. (...), e deducendo, nel merito, l'infondatezza della domanda attorea, della quale ha chiesto il rigetto. In particolare, la convenuta ha dedotto: che era dotata di un sistema di sicurezza definito di "autenticazione forte" (Strong Customer Authentication - SCA), ossia di una procedura per convalidare l'identificazione di un utente basata sull'uso di due o più elementi di autenticazione (c.d. autenticazione a due fattori), come tale immune da censure; che, in effetti, era stato possibile aggirarlo solo con l'involontaria, ma colpevole, collaborazione dell'attore, il quale aveva fornito ai truffatori i propri codici di identificazione e le OTP trasmesse di volta in volta da (...) per autorizzare le operazioni inserite; che, pertanto, i bonifici in questione erano stati effettuati non già a causa di falle del suo sistema di sicurezza, ma della condotta caratterizzata da colpa grave dello stesso attore; che aveva potuto correttamente provvedere al blocco delle operazioni in questione solo una volta ricevuto il disconoscimento delle operazioni predette da parte del cliente; che, al momento della conclusione del contratto, aveva avvisato l'attore di non rilasciare o comunicare informazioni riservate telefonicamente e che l'informativa anti-truffa era inoltre presente sul sito della banca "Home banking - sezione informativa privata". 1. Sull'eccezione di difetto di legittimazione attiva L'eccezione non merita accoglimento. Al riguardo deve osservarsi che, ai sensi dell'art. 1854 c.c., "nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto". La cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori e debitori solidali dei saldi del conto, fa, quindi, presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto, salva la prova contraria a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 5584/1981, Cass. n. 19305/2006, Cass. n. 28839/2008). Per effetto della sopra descritta contitolarità, il saldo attivo del conto rientra nella libera disponibilità di tutti i cointestatari ed il singolo intestatario è legittimato ad agire anche singolarmente a tutela delle somme depositate sul conto corrente, a prescindere dalla effettiva proprietà delle somme. Né, in senso contrario, possono invocarsi i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità citata dalla parte convenuta, che non risultano pertinenti, riguardando i rapporti interni tra i contitolari del conto. 2. Sulla responsabilità di (...) Ciò chiarito, nel merito la domanda è fondata e deve essere accolta nei limiti di seguito esposti. Vale la pena premettere che le operazioni contestate sono state effettuate in data 12.5.2020, sicché trovano applicazione, in relazione alla fattispecie in esame, le disposizioni di cui al D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, come modificato dal D.Lgs. n. 218 del 2017, di attuazione della direttiva 2015/2366/EU. Come noto, il D.Lgs. n. 11 del 2010 sancisce l'obbligo del prestatore del servizio di pagamento di assicurare che i dispostivi personalizzati forniti dai gestori non siano accessibili a soggetti diversi dal legittimo titolare e detta alcune disposizioni specificamente indirizzate a ripartire le responsabilità derivanti dall'utilizzazione del servizio stesso. In particolare, l'art. 8, comma 1, dispone che "Il prestatore di servizi di pagamento che emette uno strumento di pagamento ha l'obbligo di: (a) assicurare che le credenziali di sicurezza personalizzate non siano accessibili a soggetti diversi dall'utente abilitato a usare lo strumento di pagamento, fatti salvi gli obblighi posti in capo a quest'ultimo ai sensi dell'articolo 7 che sono: utilizzare lo strumento di pagamento in conformità con i termini che ne regolano l'emissione e l'uso e comunicare senza indugio al prestatore di servizi di pagamento, lo smarrimento, il furto, l'appropriazione indebita o l'uso non autorizzato dello strumento non appena ne viene a conoscenza. L'art. 10 prevede, inoltre, che, "qualora l'utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un'operazione di pagamento già eseguita, è onere del prestatore di servizi di pagamento provare che l'operazione di pagamento è stata autenticata, correttamente registrata e contabilizzata e che non ha subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per la sua esecuzione o di altri inconvenienti"; il comma 2 aggiunge che "quando l'utente di servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un''operazione di pagamento eseguita, l'utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l'operazione sia stata autorizzata dall'utente medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all'articolo 7. E' onere del prestatore di servizi di pagamento, compreso, se del caso, il prestatore di servizi di disposizione di ordine di pagamento, fornire la prova della frode, del dolo o della colpa grave dell'utente". L'art. 12, chiarisce, infine, che "Il pagatore non sopporta alcuna perdita se lo smarrimento, la sottrazione o l'appropriazione indebita dello strumento di pagamento non potevano essere notati dallo stesso prima di un pagamento, salvo il caso in cui abbia agito in modo fraudolento" (comma 2 ter); "negli altri casi, salvo se abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto a uno o più degli obblighi di cui all'articolo 7, con dolo o colpa grave, il pagatore può sopportare, per un importo comunque non superiore a Euro 50, la perdita relativa a operazioni di pagamento non autorizzate derivanti dall'utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto, smarrimento o appropriazione indebita" (comma 3); qualora, invece, il pagatore "abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto ad uno o più obblighi di cui all'articolo 7, con dolo o colpa grave, l'utente sopporta tutte le perdite derivanti da operazioni di pagamento non autorizzate e non si applica il limite di 50 Euro di cui al comma 3" (comma 4). La normativa in esame, quindi, prevede come regola generale una responsabilità dell'istituto di credito in caso di operazione non autorizzata dal cliente, a meno che questa non discenda dal dolo o dalla colpa grave del cliente stesso, con la precisazione che grava sull'operatore bancario l'onere di provare che l'illecita operatività ad opera di terzi, con riferimento alle disposizioni contestate, sia stata resa possibile dal dolo o dalla colpa grave del cliente. Ed invero, "in tema di responsabilità della banca in caso di operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema (il che rappresenta interesse degli stessi operatori), è del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore dei servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici di accesso al sistema da parte dei terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo" (Cass. n. 2950/2017; v. anche Cass. n. 10638/2016; Cass. n. 9158/2018 e, da ultimo, Cass. n. 26916/2020). Ciò costituisce, del resto, espressione del principio secondo cui l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al soggetto obbligato (art. 1218 c.c.) richiede la dimostrazione di eventi che si collochino al di là dello sforzo diligente richiesto al debitore (cfr. Cass. n. 2950/2017 cit.; Cass. n. 18045/2019), nel caso di specie di natura tecnica, da valutarsi con il parametro dell'accorto banchiere (Cass. n. 806/2016; Cass. n. 13777/2007). Spetta, pertanto, al prestatore del servizio fornire la prova tanto di avere adottato tutti i migliori accorgimenti della tecnica volti a scongiurare il rischio di impiego fraudolento degli strumenti di pagamento, quanto del comportamento fraudolento o gravemente colposo dell'utilizzatore, tale da escludere la sua responsabilità. Nel caso di specie, sotto il primo profilo (di cui all'art. 10, comma 1 e all'art. 10 bis, D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11), dalla stessa descrizione della truffa perpetrata si desume che l'istituto di credito fosse dotato di un'autenticazione c.d. "forte", come richiesto dalla normativa vigente, il che porta ad escludere qualsivoglia inadeguatezza del sistema di sicurezza adottato a tutela dell'integrità dei conti correnti intestati alla clientela; trattasi, infatti, di sistema di sicurezza rispondente ai parametri della normativa tecnica più aggiornata, rispetto ai quali non è possibile muovere censura alcuna. Quanto al secondo profilo, tralasciato nel caso di specie l'elemento soggettivo del dolo, invero mai prospettato dalle parti, deve ritenersi che l'istituto di credito non abbia adeguatamente provato l'allegata colpa grave del cliente, rinvenibile, in tesi, nell'avere prestato fede all'SMS inviato, fornendo le credenziali personali, per poi seguire le indicazioni che gli venivano fornite telefonicamente e condividere così con i truffatori i codici OTP generati dal sistema. A tal fine è opportuno ricostruire la dinamica della truffa oggetto di esame, dovendosi chiarire innanzitutto che, sulla scorta delle allegazioni dell'attore, non contestate e confermate dalla documentazione in atti, quest'ultimo ha subito una truffa di c.d. smishing, secondo la dinamica del c.d. sms spoofing, mista a c.d. vishing. Ed invero, l'attore ha riferito: di avere cliccato un link contenuto in un SMS proveniente da un numero riconducibile all'intermediario, che compariva nella cronologia ufficiale dei messaggi già ricevuti da (...), e che lo avvisava di un accesso non autorizzato sul suo conto; che una volta che si era aperta l'usuale schermata della Banca, aveva inserito le sue credenziali e il suo numero di telefono per poter essere contattato da un operatore; che il giorno dopo, ricevuta una chiamata dal numero verde della banca, aveva comunicato al finto operatore i tre codici che gli erano stati inviati sul telefono sempre dal medesimo numero ufficiale (...) riconducibile a (...), credendo così di stornare definitivamente i tre bonifici che erano stati asseritamente effettuati a suo nome. In verità, l'attore, cliccando il link indicato nell'SMS, ha fornito le sue credenziali personali ai truffatori, che lo hanno contattato il giorno dopo per autorizzare le operazioni di bonifico con i codici OTP inviatigli dall'istituto di credito sempre tramite SMS e che l'attore stesso ha condiviso con loro al telefono. Ebbene, tale truffa, per come descritta, rientra certamente tra quelle potenzialmente "sofisticate" (cfr., in proposito, Collegio di Coordinamento dell'ABF, decisione n. 22745/19, che ha annoverato il c.d. "sms spoofing" tra le truffe aggressive). Ed invero, ciò che deve qui essere sottolineato è che il messaggio c.d. civetta, come si evince per tabulas (cfr. docc. 2 e 3, fascicolo di parte attrice), è stato visualizzato dall'attore sul telefono in coda a precedenti messaggi provenienti effettivamente dal prestatore di servizi (...) e non già da un numero diverso e sconosciuto al cliente (come invece accaduto in altra occasione, cfr. doc. 4), elemento, questo, che ha determinato certamente nel cliente la convinzione che il messaggio fosse genuino. A ciò si aggiunga che, dal testo del messaggio, non si evincevano indici di evidente inattendibilità, quali, ad esempio, errori grammaticali o sintattici, tipici di una traduzione automatica del testo nella lingua italiana, piuttosto che incoerenze tra i riferimenti contenuti e il rapporto effettivamente intrattenuto dal destinatario, che avrebbero dovuto allertare l'utente avveduto. Peraltro, anche il link indicato, sebbene dall'indirizzo inusuale (circostanza che avrebbe potuto essere notata dal cliente), appariva comunque ricollegabile all'istituto di credito (nella parte in cui si concludeva con "bpm"). Non sono, inoltre, emersi indici di anomalia nella successiva fase di vishing, che dovevano essere allegati e comprovati dall'istituto di credito, tali da far emergere una colpa grave dell'attore, essendo incontestato che lo stesso sia stato contattato da un numero di telefono riconducibile all'istituto di credito ed essendo ragionevole che, a quel punto, lo stesso abbia comunicato al telefono (e quindi nell'immediato) al presunto addetto i codici che gli erano stati inviati via SMS, senza prestare particolare attenzione al fatto che i messaggi indicavano che i codici servivano per confermare i bonifici, rassicurato dall'addetto e da altro SMS ricevuto sempre dal numero della banca circa la bontà della procedura per lo storno. In conclusione, nel caso in esame, diversamente da altre ipotesi di phishing più comuni e ormai note alla clientela, anche senza particolari conoscenze informatiche, il meccanismo di aggressione utilizzato era certamente insidioso, in quanto particolarmente sofisticato e caratterizzato da un effetto sorpresa capace di spiazzare l'utilizzatore, grazie alla perfetta inserzione nell'ambiente informatico originale e nella correlata simulazione di un messaggio tale da indurre una persona di normale avvedutezza in errore sulla provenienza della richiesta e sulla plausibilità della stessa. Il messaggio, infatti, in quanto apparentemente proveniente dall'istituto di credito e avente ad oggetto una presunta intrusione nel conto corrente (e non già accrediti o altri vantaggi economici, che avrebbero potuto mettere in guardia il cliente), era particolarmente meritevole di fiducia e tale da non consentire il sorgere di legittimi sospetti sulla verifica richiesta. Non è, quindi, ravvisabile nella fattispecie in esame la colpa grave dell'attore, intesa quale negligenza inescusabile, non potendosi ritenere tale l'errore consistente nell'avere proceduto all'inserimento delle credenziali riservate in un form apparentemente dell'istituto di credito, o, ancora, nell'avere comunicato telefonicamente ad un preteso operatore i codici usa e getta, non suscettibili di essere mai richiesti da nessun operatore bancario che si interfacci con la clientela. A tale ultimo proposito si ricorda che se è pur vero che le tecniche del phishing, per poter funzionare, richiedono evidentemente la collaborazione, seppure inconsapevole, del cliente stesso, che deve riscontrare la mail o l'SMS fraudolento inserendo le proprie credenziali, gli elementi appena sopra evidenziati, unitamente considerati, portano a ritenere che il comportamento del cliente, pur imprudente, non possa definirsi gravemente colposo, non essendo sufficiente a tal fine riscontrare una condotta contraria ai presidi di attenzione normalmente richiesti ai consociati laddove utilizzino strumenti di pagamento, ma richiedendosi un comportamento abnorme e, in quanto tale, non scusabile. Né in senso contrario possono essere invocate dall'istituto di credito le campagne informative asseritamente proposte alla clientela in modo assiduo. Sul punto, oltre a doversi rilevare che parte convenuta si è limitata a produrre la schermata della home page del sito in cui era presente uno spazio dedicato al riconoscimento del phishing (cfr. doc. 7), non indirizzato personalmente al cliente e in ogni caso senza data, sicché non è dato comprendere quando lo stesso sia stato inserito, deve evidenziarsi che il messaggio in questione non era affatto specifico, non descrivendo, come invece le comunicazioni inviate successivamente ai fatti di causa (cfr. doc. 24, fascicolo di parte attrice), il meccanismo con cui vengono perpetrate le truffe più aggressive. Al riguardo, non può che osservarsi che tanto più i meccanismi di truffa sono sofisticati, tanto più, correlativamente, l'informativa dell'istituto di credito deve essere specifica e puntuale al fine di contrastare efficacemente le manovre truffaldine. Peraltro, tenuto conto che le truffe in esame si realizzano anche solo tramite l'utilizzo del cellulare, sarebbe stato opportuno, da parte dell'istituto di credito, avvisare la clientela tramite SMS e non solo utilizzando la schermata dell'home banking, che non sempre viene visualizzata con assiduità del cliente. In definitiva, alla stregua delle suesposte considerazioni, non risultano provati i profili di colpa grave in capo al cliente di cui all'art. 12, D.Lgs. n. 11 del 2010, ma semmai una negligenza tale da determinare una riduzione del risarcimento per la perdita subita per un importo di Euro 50,00 rispetto ad ogni operazione effettuata. Per completezza si precisa qui che l'istituto di credito, in ordine alla lamentata non corretta gestione della vicenda, pur avendo allegato che tutti e tre i bonifici erano istantanei, a fronte delle puntuali contestazioni dell'attore sul punto, non ha dimostrato che il bonifico di Euro 4.900,00 fosse anch'esso un bonifico istantaneo, e che, pertanto, come tale, non potesse essere bloccato entro le ore 17.30 del giorno di conferimento dell'ordine, tenuto altresì conto che era stata la filiale stessa ad aver riscontrato la truffa per poi avvisare il cliente. 3. Sugli interessi e sulle spese di lite In accoglimento della domanda proposta, l'istituto di credito (...) deve, quindi, essere condannato a rifondere all'attore la somma di Euro 6.748,00, oltre rivalutazione e interessi compensativi dalla data dell'addebito sul conto corrente fino alla data della presente pronuncia, da calcolare sul valore della somma via via rivalutata. A tale ultimo proposito si ricorda che gli interessi legali sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, anche da inadempimento contrattuale, decorrono di diritto e il giudice può attribuirli d'ufficio in assenza di una specifica domanda della parte, senza incorrere nel vizio di ultra petizione, quando questa abbia chiesto il risarcimento integrale del danno; tali interessi, avendo natura compensativa del mancato godimento della somma liquidata, concorrono con la rivalutazione monetaria, che tende alla reintegrazione del danneggiato nella situazione patrimoniale antecedente l'inadempimento e devono essere calcolati anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata nell'arco di tempo compreso tra l'evento dannoso e la liquidazione (per tutte, Cass. n. 2037/2019; v. anche Cass. n. 18299/2003; Cass. n. 5843/2010). Su tali somme, corrispondenti all'intero danno risarcibile liquidato al creditore, non sono dovuti interessi, in quanto, una volta trasformato il debito di valore in debito di valuta, l'attribuzione degli interessi non può prescindere da una specifica domanda dell'interessato (Cass. n. 2814/1995; Cass. n. 18292/2016), nel caso di specie assente. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, con riduzione del 30% dei compensi per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, tenuto conto della semplicità delle questioni in diritto e del valore dell'accolto, prossimo ai minimi dello scaglione di riferimento, e con riduzione del 50% dei compensi per la fase istruttoria, non essendosi proceduto ad attività istruttoria. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa n. 5547/2020, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - condanna (...) s.p.a. al pagamento, in favore di (...), della somma di Euro 6.748,00, oltre rivalutazione ed interessi compensativi nella misura legale sulla somma via via rivalutata annualmente dal 12.5.2020 alla data della presente sentenza; - condanna (...) s.p.a. a rifondere a (...) le spese di giudizio, liquidate in Euro 264,00 per esborsi ed Euro 3.065,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, IVA e CPA. Così deciso in Busto Arsizio il 14 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 14 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Angelo Farina ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2642 /2020 promossa da: INAIL L'ISTITUTO NAZIONALE per l'ASSICURAZIONE contro gli INFORTUNI sul LAVORO (I.N.A.I.L.), codice fiscale (...), con sede in Roma, via (...), in persona del Direttore Regionale della Lombardia, pro tempore", elettivamente domiciliato presso la propria sede istituzionale di Busto Arsizio, viale (...), rappresentato e difeso, dall'Avv. Pi.Pi. ((...) (Pec. (...)) ATTORE contro (...), nato il (...) a B. A., CF:(...), residente a B. A., via C. F. n.28, CONVENUTO CONTUMACE OGGETTO: Altre ipotesi di responsabilità Extracontrattuale non ricomprese nelle altre materie ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato l'INAIL conveniva in giudizio (...), residente in B. A. alla via C. F. n.28, per sentire condannare lo stesso, ai sensi degli artt. 2043 e 1916 c.c., e 142 D.Lgs. n. 209 del 2005, al pagamento in favore dell'INAIL della somma di Euro 28.427,24 oltre interessi compensativi e rivalutazione monetaria , in dipendenza dell'infortunio lavorativo subito subito da (...) in data 3 settembre 2013 in B. A. tra viale B. e via A.. Precisava l'Istituto che (...), in data 03 settembre 2013, alle ore 07.40 circa, si accingeva a raggiungere, a piedi, il posto di lavoro presso l'ufficio di (...) sito in B. A. alla via (...) n.9, e giunta all'incrocio tra viale B. e via A., mentre attraversava la strada sulle strisce pedonali a semaforo verde, veniva improvvisamente travolta da una bicicletta da corsa condotta da (...), il quale aveva attraversato l'incrocio a semaforo rosso, riportando "la frattura del collo chirurgico dell'omero destro. Adduceva l'attrice che su denuncia querela della danneggiata, si incardinava procedimento penale, innanzi il Giudice di pace di Busto Arsizio, avente RGNR 101/14 e R.G. GdP n.3/16 nei confronti del convenuto, imputato del reato di cui all'art.590 commi 1 e 3 c.p. Il procedimento veniva definito con la pronuncia della sentenza n.176/18, emessa in data 18/10/2018 e depositata il successivo 30/10/2018, di "non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato ascritto, in quanto estinto per intervenuto risarcimento del danno", avendo (...) ottenuto il risarcimento del danno da parte dell'Inail ed avendo avviato una causa civile per il risarcimento dei danni subiti. Inail assumeva di aver risarcito, con disposizione di liquidazione del 03.09.2013, in favore della danneggiata la complessiva somma di Euro 28.427,24. Alla prima udienza di comparizione parte attrice depositava atto di citazione ritualmente e tempestivamente notificato al contenuto, che veniva dichiarato contumace. Veniva espletata udienza di assunzione delle prove per testi, con i testi indicati da parte attrice. All'udienza del 19 maggio 2022, parte attrice precisava le proprie conclusioni. Il Giudicante ritenuta la causa matura per la decisione, assegnava termini ex art. 190 c.p.c. Tanto premesso, ad avviso di questo Giudice la domanda attorea merita accoglimento, per le ragioni che seguono. In punto di diritto, devono anzitutto chiarirsi i presupposti della domanda formulata dall'Inail ai sensi degli artt. 1916 c.c. e 142 D.Lgs. n. 209 del 2005, e alla luce di tale premessa perimetrarsi il novero delle eccezioni opponibili dal danneggiante convenuto in regresso. Un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ha enucleato i presupposti della surrogazione di cui all'art. 1916 c.c., che sono tre: che la vittima del fatto illecito (cioè l'assicurato) sia titolare di un credito risarcitorio nei confronti del responsabile; che l'assicuratore sociale abbia indennizzato il medesimo pregiudizio patito dalla vittima e non pregiudizi diversi; che l'assicuratore sociale abbia manifestato la volontà di surrogarsi (cfr. Cass.12 febbraio 2018, n. 3296). L'esercizio della surrogazione da parte dell'assicuratore comporta la perdita della titolarità del credito del danneggiato nei confronti del responsabile e l'acquisto dello stesso da parte dell'assicuratore (cfr., fra le tante, Cass. 15 luglio 2005, n. 15022 e successive conformi). L'Inail indennizza due tipi di danno: anzitutto quello biologico, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13, e quello patrimoniale. Segnatamente, il pregiudizio patrimoniale che l'assicuratore sociale è chiamato ad indennizzare può avere ad oggetto i seguenti profili: la riduzione della capacità di guadagno (che la legge, ai fini dell'assicurazione sociale, presume "juris et de jure" quando l'invalidità biologica sia superiore al 16 per cento e viene liquidata), la perdita del salario durante il periodo di assenza per malattia (che l'Inali indennizza col pagamento d'una indennità giornaliera pari al 60 per cento della retribuzione, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 68, comma 1) e le spese sanitarie (che l'Istituto è tenuto ad anticipare ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 86, e s.s. cit.), pregiudizi questi ultimi concreti e reali, da ravvisarsi, rispettivamente, nel lucro cessante da perdita della retribuzione e nel danno emergente relativo agli esborsi sostenuti dalla vittima per le cure mediche. Pertanto, se il soggetto infortunato a causa dell'incidente si è assentato dal lavoro e si è dovuto sottoporre a trattamenti medici ha acquisito un credito risarcitorio nei confronti del responsabile dell'illecito, credito che, per effetto della percezione dell'indennizzo, da parte dell'Inail, si trasferisce in capo a quest'ultimo, ai sensi dell'art. 1916 c.c.. Consegue che per le somme pagate a titolo di inabilità temporanea (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 68 cit.) e di anticipazione di spese di cura (art. 86, e s.s. D.P.R. cit.) l'Inail ha sempre diritto di surrogarsi, trattandosi di fatti costituenti danni civilisticamente rilevanti, dei quali la vittima ha diritto di essere risarcita (v. Cass. n. 3296/2018). In sintesi, la pretesa surrogatoria dell'assicuratore sociale è sempre soggetta a due limiti oggettivi, in quanto, per un verso, l'assicuratore sociale non può pretendere dal terzo responsabile più di quanto egli abbia pagato al beneficiario, e, per altro verso, l'assicuratore sociale non può pretendere dal terzo responsabile un importo maggiore del danno che quest'ultimo ha effettivamente causato alla vittima, stimato secondo le regole del diritto civile (vds, sul punto, di recente, Cass. civ. n. 26647/2019). Pertanto, nell'ipotesi in cui non tutto il pregiudizio sofferto dal lavoratore infortunato in occasione di un incidente risulti coperto dall'INAIL, per essere questi tenuto ed aver in effetti risarcito soltanto il danno da invalidità temporanea e permanente, le voci di pregiudizio estranee a tale copertura, ossia i pregiudizi non patrimoniali, non direttamente connessi ed assorbiti dal danno biologico (quali il danno morale in senso proprio e il danno da inabilità temporanea aredittuale), nonché lo stesso danno biologico se inferiore al 6% (stante la franchigia prevista dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13), devono essere ristorate direttamente alla vittima dell'incidente dal responsabile civile, senza possibilità di compensazione tra quanto per siffatte causali risulti ancora dovuto al danneggiato e quanto rimborsato, in sede surrogatoria, all'ente suddetto che abbia provveduto per tali diversi titoli di danno. Le voci di danno non comprese nella copertura assicurativa restano quindi liberamente azionabili dal dipendente danneggiato nei confronti del datore di lavoro o del terzo danneggiante. E' tuttavia possibile che i criteri di liquidazione del danno biologico a fini previdenziali conducano a risultati diversi da quelli desumibili dalle tabelle adottate in sede civilistica per la liquidazione del danno alla persona e, in siffatte evenienze, fermo restando che l'esercizio del diritto di surroga dell'ente previdenziale limita la pretesa risarcitoria azionabile dal danneggiato, privandolo della legittimazione ad agire in via risarcitoria fino a concorrenza dell'indennità corrisposta dall'INAIL, al danneggiato spetta tuttavia il c.d. danno differenziale, ossia quella parte del danno biologico e patrimoniale che, a seguito della liquidazione con criteri civilistici, dovesse risultare superiore a quanto liquidatogli complessivamente dall'istituto a titolo di indennizzo e che va determinato sottraendo dall'importo del danno complessivo, liquidato dal Giudice secondo i principi e i criteri di cui all'art. 1223 c.c., e s.s. e art. 2056 c.c., e s.s., quello delle corrispondenti prestazioni liquidate dall'INAIL, tenendo conto dei rispettivi valori come attualizzati alla data della decisione (si veda Cass. civ. n. 9112/2019). Secondo costante giurisprudenza di legittimità, inoltre, in tema di prova della congruità dell'indennità corrisposta dall'INAIL al lavoratore nel giudizio di regresso, poiché il predetto Istituto svolge la sua azione attraverso atti emanati a conclusione di procedimenti amministrativi, tali atti - come attestati dal direttore della sede erogatrice - sono assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento; pertanto, in difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge, e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del direttore della sede (cfr. Cass. civ. n. 1841/2015, n. 11617/2010, n. 21540/2007 e n. 13377/1999). Gli insegnamenti giurisprudenziali appena evocati si riflettono sul novero delle eccezioni opponibili dal danneggiante evocato in giudizio per l'azione di regresso esercitata dall'ente previdenziale. Anche rispetto a tale tematica la giurisprudenza di legittimità ha assunto orientamenti oramai consolidati. Con riguardo alla surroga esercitata dall'ente previdenziale, merita anzitutto un richiamo la recente pronuncia delle Sezioni Unite, che he ha sancito la natura di ordinaria successione a titolo particolare nel diritto controverso. Si allude alla massima secondo la quale "la surrogazione ex art. 1916 costituisce una peculiare forma di successione a titolo particolare nel diritto al risarcimento dell'infortunato, che si realizza nel momento in cui l'assicuratore abbia comunicato al terzo responsabile che l'infortunato è stato ammesso ad usufruire dell'assistenza e degli indennizzi previsti dalla legge, al contempo manifestando la volontà di avvalersi della surroga. Nella conseguente azione non ha pertanto rilievo il rapporto assicurativo di carattere pubblicistico concernente gli infortuni sul lavoro, ma soltanto la responsabilità aquiliana dell'autore dell'atto illecito, obbligato a risarcire il danneggiato o l'assicuratore che ne abbia anticipato l'indennizzo, sicché il responsabile non è legittimato ad opporre all'assicuratore eccezioni concernenti il contenuto del rapporto, salvo che esse incidano sulla misura del risarcimento del danno cui egli sarebbe tenuto nei confronti del danneggiato" (Cass. Sez. U., Sentenza n. 8620 del 29/04/2015, Rv. 635402 - 01). La natura di successione a titolo particolare nel diritto controverso, sancita con riferimento al generale diritto di surroga di cui all'art. 1916 c.c. , è stata condivisa e ribadita dalla giurisprudenza di legittimità anche con riguardo alla surroga di cui all'art. 14 L. n. 222 del 1984 (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 17966 del 23/06/2021) e a quella di cui all'art. 142 c.ass. (Cassazione civile sentenza, sez. VI, 18/10/2019, n.26647). Da tale excursus giurisprudenziale si trae la conclusione che, nelle ipotesi di esercizio del diritto di surroga da parte dell'ente previdenziale, il terzo responsabile (che sia il danneggiante oppure la compagnia assicurativa) può opporre all'ente previdenziale che agisce il surroga tutte le eccezioni inerenti al fatto generatore della responsabilità e del relativo credito risarcitorio, potendo dunque legittimamente opporre il concorso di colpa del danneggiato nella causazione del sinistro oppure l'intervenuto pagamento (o l'intervenuta estinzione per altra via) del credito risarcitorio nascente dal sinistro. Il responsabile civile non può invece formulare eccezioni inerenti al rapporto assicurativo pubblicistico che ha dato luogo alla prestazione previdenziale ed ai relativi presupposti. Venendo al caso di specie, si rende anzitutto necessario valutare la dinamica dell'incidente occorso in data 3.9.2013 a (...), e determinare l'ascrivibilità del medesimo alla esclusiva responsabilità del convenuto. Tale disamina si rende indispensabili per due concorrenti ragioni. La prima riguarda i già descritti presupposti della domanda formulata ai sensi degli artt. 1916 c.c. e 142 D.Lgs. n. 209 del 2005, e discende dalla necessità, al fine dell'accoglimento della domanda, di dimostrare l'effettiva sussistenza del credito risarcitorio in capo al soggetto danneggiato che è stato indennizzato dall'Inail. La seconda ragione che impone tale accertamento è l'inefficacia extra-penale della sentenza n. 176/2018 emessa dal Giudice di Pace di Busto Arsizio di cui al doc. 3 attoreo, che in relazione ai fatti per cui è causa statuisce non doversi procedere per intervenuto risarcimento dei danni ex art. 35 D.Lgs. n. 274 del 2000. Non può invero ritenersi che tale pronuncia dispieghi efficacia di giudicato nel presente giudizio quanto alla sussistenza o insussistenza della responsabilità dell'imputato in ordine al fatto ascrittogli. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha univocamente affermato la natura eccezionale delle disposizioni di cui agli artt. da 651 a 654 c.p.p., che a vario titolo prevedono l'efficacia extra-penale delle sentenze di assoluzione e condanna, osservando che "in tema di giudicato, la disposizione di cui all'art. 652 c.p.p., cosi come quelle degli art. 651, 653 e 654 dello stesso codice, costituisce un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile e non è, pertanto, applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Deriva da quanto precede, pertanto, che soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima), pronunciata in seguito a dibattimento, ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno, mentre le sentenze di non doversi procedere perché il reato è estinto per prescrizione o per amnistia non hanno alcuna efficacia extrapenale, a nulla rilevando che il giudice penale, per pronunciare la sentenza di proscioglimento, abbia dovuto accertare i fatti e valutarli giuridicamente. Deriva da quanto precede, pertanto, che, nel caso da ultimo indicato il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente e autonomamente rivalutare il fatto in contestazione" (Cassazione civile sez. III, 12/04/2017, n.9358). Alla luce di tale principio, resta dunque priva di efficacia extra-penale la sentenza emessa nel caso di specie, non rientrante in alcuna delle previsioni contenute agli artt. 651 ss. c.p.p. (sulla inidoneità al giudicato extra-penale delle sentenze di non doversi procedere, cfr. Cassazione civile sez. un., 26/01/2011, n.1768). Al Giudice civile compete dunque il compito di riesaminare compiutamente i fatti storici oggetto di causa. Nel caso di specie, le prove testimoniali assunte confermano pienamente la ricostruzione dei fatti offerta da parte attrice e la esclusiva responsabilità del convenuto. Con riferimento ai casi di investimento del pedone, la giurisprudenza di legittimità ha invero precisato che, onde appurare il concorso di colpa del danneggiato è decisivo appurare la disponibilità di strisce pedonali; se risulta che il pedone non ha attraversato in corrispondenza delle strisce, è in concorso ex art. 1227 c.c. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza n. 278/21) L'istruttoria ha permesso di accertare che l'attraversamento di (...) è avvenuto in corrispondenza delle strisce pedonali, con il semaforo verde. Di contro, la il velocipede guidato dal convenuto ha attraversato l'incrocio con il semaforo a luce rossa, e in quel frangente ha investito (...). Decisiva al riguardo è stata la testimonianza di (...), testimone oculare dell'incidente, che si stava recando a lavoro a piedi insieme a (...) nel giorno del sinistro. La teste ha confermato che, giunta all'incrocio tra viale B. e via A., (...) iniziava ad attraversarela strada attraverso le strisce pedonali, con il semaforo che proiettava luce verde per i pedoni, quando veniva improvvisamente travolta da una bicicletta da corsa condotta dal convenuto. La teste ha altresì confermato che il conveunto aveva attraversato l'incrocio a semaforo rosso, e che subito dopo il sinistro, unitamente al proprio marito, la stessa provvedeva ad accompagnare l'infortunata presso il Pronto Soccorso dell'ospedale di Busto Arsizio ove veniva diagnosticata "la frattura del collo chirurgico dell'omero destro, con prognosi iniziale di 30 giorni". I fatti immediatamente successivi al sinistro sono stati confermati dal teste (...), sopraggiunto subito dopo l'incidente, che ha accompagnato l'infortunata al Pronto soccorso unitamente a (...). Alla luce di quanto precede, risulta dunque confermata la piena ed esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto. L'attestazione dirigenziale di cui al doc. 4 attoreo comprova poi l'esborso dell'indennizzo a favore di (...) per la somma complessiva di Euro 28.427,24 a titolo di indennità temporanea, danno biologico permanente, rimborso del costo delle visite e certificazioni in relazione al sinistro per cui è causa. Sebbene non possa attribuirsi a tale documento il valore di piena prova ai sensi dell'art. 2700 c.p.c. quanto alla circostanza dell'avvenuto pagamento - circostanza che il Dirigente firmatario non attesta esser avvenuta in sua presenza - cionondimeno la provenienza del documento da un pubblico ufficiale conferisce al medesimo una apprezzabile valenza probatoria, sufficiente a dimostrare (in assenza di indici fattuali che depongano in senso contrario) il versamento dell'importo in favore di (...). In ogni caso la correttezza della quantificazione del danno effettuata da Inail non avrebbe potuto essere vagliata tramite CTU, la quale oltre ad essere superflua alla luce della valenza probatoria del giù citato doc. 4, sarebbe stata in ogni caso esplorativa, data la inesistenza agli atti di qualsiasi documento medico inerente le condizioni di salute della danneggiata (...) (sul punto, cfr. la recente pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 1 febbraio 2022 n. 3086, la quale ha ribadito la preclusione dei poteri istruttori del CTU rispetto ai fatti principali della domanda, come per l'appunto il danno). Si è già richiamato, del resto, il condivisibile assunto giurisprudenziale relativo alla presunzione di legittimità delle attestazioni e quantificazioni operate dall'ente assicuratore nella liquidazione dell'indennizzo; in assenza di indici , elementi di fatto o contestazioni che inducano a porre in dubbio la loro correttezza, le quantificazioni effettuate dall'Inail devono ritenersi corrette. Inoltre, risulta provata l'intenzione dell'ente assicuratore di surrogarsi alla vittima dell'incidente, attestata dalle diffide di cui al doc. 5 attoreo. Pertanto, in accoglimento della domanda attorea, il convenuto dev'essere condannato a rifondere all'attrice l'importo versato dall'Inail alla danneggiata (...), che - rivalutata dal 17/4/2019 (data riportata nella attestazione di pagamento di cui al doc. 4 attoreo) ad oggi - è pari ad Euro 31.355,25. Su tale somma sono dovuti gli interessi moratori al saggio legale dalla sentenza al saldo. Non si ritiene di dover riconoscere gli interessi compensativi. L'applicazione di tali interessi, come chiarito dalla più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 1111 del 2020) è facoltativa per il Giudice, che può non riconoscerli laddove il danneggiato ometta di dedurre, rispetto al mancato godimento dell'importo risarcitorio, conseguenze dannose specifiche, non risarcibili mediante la mera rivalutazione. Nel caso di specie la domanda attorea non rispetta, neppure sul piano dell'allegazione, tale requisito. Le spese sono decise a mente degli artt. 91 e ss. c.p.c. attualmente vigente, successiva alla novella del 2014: in forza di tali disposizioni, la parte che all'esito della decisione è soccombente deve rifondere le spese della parte vittoriosa, salva solo la soccombenza reciproca, la novità della questione trattata, il revirement della giurisprudenza su questioni decisive ovvero, come sancito dalla sentenza C. Cost. n. 77/2018, altre gravi ed eccezionali ragioni da esplicitarsi in motivazione. La disciplina delle spese si basa sul principio di causalità, in virtù del quale chi ha promosso un processo perso, o ha costretto altri a promuovere un processo per affermare il suo buon diritto, ne deve sopportare le conseguenze economiche, a prescindere dall'elemento soggettivo della colpa del soccombente o da profili sanzionatori: il principio di causalità risponde ad una funzione indennitaria o ripristinatoria, nel senso che la parte vittoriosa deve essere tenuta indenne delle spese sostenute per l'accertamento del suo buon diritto (o per l'accertamento dell'inesistenza del diritto altrui), pena la vanificazione del diritto di azione e di difesa in giudizio, di cui all'art. 24 Cost. (Cass. civ., sez. 3, 15.07.2008, n. 19456; conf.: Cass. civ., sez. 3, 20.02.2014, n. 4074). Nel caso di specie, all'esito del giudizio parte convenuta è risultata integralmente soccombente, onde la stessa va condannata a rifondere le spese di parte attrice, non ravvisandosi gravi ed eccezionali motivi idonei a discostarsi dal principio di causalità della lite. Le spese si liquidano con applicazione del D.M. n. 55 del 2014. Segnatamente, si reputano congrui i parametri medi previsti per i giudizi avanti al Tribunale per lo scaglione di valore applicabile per le fasi introduttiva, di studio, decisionale, e dei parametri minimi per la fase istruttoria (data la rinuncia alla concessione dei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c. e il mancato deposito di memorie istruttorie) per complessivi Euro 4.355,00 per compenso. Spettano altresì all'attore Euro 545,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria), oltre 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. P.Q.M. il Giudice, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: 1) accoglie la domanda svolta da parte attrice nei confronti di parte convenuta, e per l'effetto, accertata l'esclusiva responsabilità di (...) in relazione al sinistro del 3.9.2013, condanna parte convenuta al pagamento in favore di parte attrice dell'importo di Euro 31.355,25, rivalutato ad oggi, oltre interessi moratori al saggio legale dalla sentenza al saldo; 2) condanna parte convenuta alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte attrice, che si liquidano come segue: Euro 4.355,00 per compenso, Euro 545,00 per rimborso spese vive ex actis (c.u. e diritti di Cancelleria), 15% del compenso per rimborso forfetario spese generali, oltre CPA ed IVA, se e come dovuti per legge. Così deciso in Busto Arsizio il 21 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Francesca Capotorti ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di appello iscritta al n. r.g. 1464/2021 promossa da: (...) SRL (P.IVA. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio dell'avv. MA.CA. (C.F. (...) ) ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore PARTE APPELLANTE contro COMUNE DI SARONNO (C.F. (...) ), in persona del Sindaco pro tempore, con il patrocinio dell'avv. EL.MA. ed elettivamente domiciliato presso l'Avvocatura del Comune di Saronno PARTE APPELLATA MOTIVI DELLA DECISIONE Con atto di citazione ritualmente notificato, la società (...) S.p.a. aveva convenuto dinnanzi al Giudice di Pace di Busto Arsizio il Comune di Saronno per sentirlo condannare, ai sensi dell'art. 2051 c.c. ovvero ex art. 2043 c.c., al risarcimento dei danni patrimoniali patiti in conseguenza del sinistro avvenuto in data 28.3.2018 in viale E., quantificati in Euro 2.800,00, oltre interessi e rivalutazione. A sostegno delle sue pretese, la società attrice, premesso di essere proprietaria dell'autovettura (...), tg (...), aveva esposto che, in data 28.3.2018, verso l'1.30 di notte, il conducente (...), mentre stava percorrendo viale E. a velocità moderata, giunto nei pressi dell'imbocco autostradale, aveva urtato con entrambe le ruote di sinistra un'isola spartitraffico, non adeguatamente segnalata secondo le prescrizioni del Codice della strada. L'attrice aveva altresì allegato che, a causa dell'urto, l'autovettura di sua proprietà aveva subito danni ai cerchioni e ai pneumatici, quantificati in Euro 2.800,00, di cui aveva chiesto l'integrale risarcimento. Ciò premesso in fatto, l'attrice aveva dedotto che del sinistro doveva rispondere il Comune di Saronno, quale custode della strada, ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto il sinistro si era verificato a causa della mancata segnalazione dell'isola spartitraffico. Si era costituito il Comune di Saronno, deducendo, in particolare, che la causazione del sinistro era da attribuirsi esclusivamente alla condotta di guida negligente dell'attore, integrante l'esimente del caso fortuito; con riguardo al quantum debeatur, aveva, poi, evidenziato l'eccessività del risarcimento richiesto. Aveva chiesto, pertanto, il rigetto delle domande attoree, in quanto infondate in fatto e in diritto. Con sentenza n. 680/2020, pubblicata il 29.9.2020, il Giudice di Pace aveva solo parzialmente accolto la domanda attorea, condannando il Comune di Saronno a rifondere a parte attrice la somma di Euro 1.400.00, oltre rivalutazione ed interessi, avendo riscontrato un concorso di colpa del danneggiato ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. nella misura del 50%. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la società (...), deducendo che il giudice di Pace non aveva correttamente applicato i principi di cui agli artt. 2051 c.c. e 1227 c.c., in quanto la semplice negligenza della parte danneggiata non poteva ritenersi da sola sufficiente a ridurre la responsabilità del custode, essendo necessaria una condotta caratterizzata da imprevedibilità, anormalità ed eccezionalità, tenuto conto che la responsabilità del custode era da valutarsi ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non già sulla scorta dell'art. 2043 c.c.. Ha chiesto, pertanto, in riforma dell'impugnata sentenza, l'integrale accoglimento della domanda svolta in primo grado, con conferma della condanna alle spese di lite relative al procedimento di primo grado e con condanna del Comune convenuto alla refusione delle spese di lite del presente grado di giudizio. Si è costituito in giudizio il Comune di Saronno, ribadendo le difese già svolte in primo grado e chiedendo il rigetto dell'appello. Per quanto riguarda il completo svolgimento del processo, ai sensi del vigente art. 132 c.p.c., si fa rinvio agli atti delle parti e al verbale di causa L'appello è infondato e deve essere rigettato per le ragioni che seguono. Si chiarisce innanzitutto che l'accertamento compiuto dal giudice di primo grado in ordine alla dinamica del sinistro e ai danni residuati deve ritenersi coperto da giudicato, non essendo stato proposto appello incidentale da parte del Comune convenuto; del pari, risulta ormai definitivamente accertata la sussistenza della responsabilità del Comune convenuto. Ciò che è, invece, oggetto del presente giudizio è la sussunzione della condotta del conducente della vettura nell'ambito di applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c., quale fatto colposo del danneggiato che ha concorso a cagionare il danno; ed invero, secondo l'appellante la responsabilità per l'evento occorso doveva essere addebitata in via esclusiva all'amministrazione convenuta. Al riguardo, vale la pena premettere che correttamente il Giudice di Pace ha ricondotto la fattispecie prospettata dall'attore nell'atto introduttivo all'ambito di applicazione dell'art. 2051 c.c., relativo alla responsabilità per cose in custodia. Secondo l'orientamento consolidato della Suprema Corte, la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente, per l'applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo; del tutto irrilevante, per contro, è accertare se il custode sia stato o meno diligente nell'esercizio della vigilanza sulla cosa: il custode negligente, infatti, non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente se la cosa ha provocato danni a terzi (cfr., tra le prime, Cass. n. 5031/1998; v. anche Cass. n. 5808/2019; Cass. n. 30775/2017). E' in questo che la responsabilità speciale del custode differisce dalla regola generale in tema di responsabilità da fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c.. La responsabilità in questione si incentra, infatti, sulla relazione qualificata tra la res e il custode, che è considerato tale se ed in quanto esercita un potere effettivo sulla cosa, così da controllarla, ovvero ne ha la disponibilità giuridica e materiale, con conseguente potere-dovere di intervento su di essa (Cass. n. 22839/2017). Dalla natura oggettiva di siffatta responsabilità, discende che, affinché possa configurarsi in concreto, è richiesta unicamente la sussistenza del nesso di causalità diretto tra la cosa in custodia e il danno arrecato (principio, da ultimo, chiarito da Cass. n. 4161/2019). Tanto si traduce, sul piano processuale, in un riparto dell'onere della prova strutturato come segue: grava sul danneggiato l'onere di fornire la prova dell'evento dannoso e del nesso eziologico tra la res e il danno subito, ovvero che "l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa" (Cass. n. 7963/2012), senza dover dimostrare l'elemento soggettivo; ove sia assolto dal danneggiato tale onere, spetta poi al convenuto la prova liberatoria del caso fortuito, ovverosia la prova di un fattore interruttivo del nesso di causa ex art. 41 cpv c.p. che lega la cosa al danno (Cass. nn. 2480, 2481, 2482/2018; Cass. n. 2488/2018), dotato dei requisiti dell'autonomia, dell'eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità, idoneo a produrre autonomamente l'evento di danno e che può trovare origine in un evento naturale, così come nel fatto del terzo o nella condotta del danneggiato (cfr. Cass. n. 18075/2018; Cass. n. 17443/2019). Nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., quindi, tutto si gioca sul piano di un accertamento di tipo causale (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura "insidiosa" o la circostanza che l'insidia fosse o meno percepibile ed evitabile da parte del danneggiato, trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.. La condotta del danneggiato può quindi rilevare al fine di escludere la responsabilità del custode unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno; deve, pertanto, ritenersi che, ove il danno consegua alla interazione fra il modo di essere della cosa in custodia e l'agire umano, come nel caso della cosa di per sé statica ed inerte, in cui il concorso della condotta del danneggiato nella causazione dell'evento è elemento che necessariamente interviene nella serie causale, non basta ad escludere il nesso causale tra la cosa e il danno la condotta colposa del danneggiato, richiedendosi anche che la stessa si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità da parte del custode, che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa (così Cass. n. 4035/2021; v. anche Cass. n. 25837/2017; Cass. n. 26254/2020; Cass. n. 18100/2020). Ed invero, "la eterogeneità tra i concetti di negligenza della vittima e di imprevedibilità della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sè ad escludere la responsabilità del custode. Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest. L'esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento: (a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente; (b) che quella condotta non fosse prevedibile" ed evitabile, considerando la prospettiva del custode secondo una prognosi postuma, in quanto "eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata" (Cass. n. 25837/2017 cit.; v. anche Cass. n. 17443/2019; Cass. n. 9315/2019). Diversamente ragionando, del resto, si giungerebbe ad "ad una sorta di moderno paradosso di E., in quanto delle due l'una: ) se la condotta della vittima è prudente, essa è in grado di avvistare il pericolo ed evitarlo, ed alcun danno potrebbe mai verificarsi, sicché in questo caso la responsabilità del custode mai potrebbe sorgere;-) se la condotta della vittima è imprudente, tale imprudenza escluderebbe di per sé la responsabilità del custode, la quale anche in questo caso mai potrebbe sorgere" (così Cass. n. 25837/2017; negli stessi termini, Cass. n. 26254/2020; n. 18100/2020). Tale argomentazione appare convincente, sicché deve ritenersi che la prova liberatoria prevista dall'art. 2051 c.c. sia raggiunta ove risulti provato non solo il carattere colposo della condotta tenuta dal danneggiato, ma altresì la sua imprevedibilità e inevitabilità da parte del custode. In questo senso, la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all'art. 2051 c.c., in quanto il custode è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Cass. n. 13222/2016). Ciò non significa che tale condotta, ancorché non integrante il fortuito atto ad escludere il nesso di causa tra la cosa e il danno, non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma ciò deve avvenire non all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227 c.c., comma 1), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l'attore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227 c.c., comma 2), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte (sempre Cass. n. 4035/2021; v. anche Cass. n. 9315/2019, secondo cui, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. è richiesta una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno). Trattasi di un'ipotesi in cui persiste il nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso, poiché la cosa oggetto di custodia, pur nell'interazione con la condotta umana, ha avuto una qualificata capacità eziologica rispetto all'evento; il fatto del danneggiato, dunque, pur non presentando un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso, si affianca ad esso come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. In questo caso il comportamento colposo del danneggiato non raggiunge un grado tale da costituire causa esclusiva del danno stesso, ma un livello più basso, senza che vi sia ragione per escludere l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c. con riferimento all'art. 2051 c.c. In conclusione, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. n. 34886/2021; v ord. n. 2345/2019 e n. 9315/2019; ord. nn. 2480, 2481, 2482 e 2483/2018 cit.). Ciò chiarito in via di principio, reputa il Tribunale che il Giudice di Pace abbia fatto corretta applicazione dei principi appena esposti nel ritenere che il comportamento del conducente, il quale, nonostante la presenza delle strisce zebrate antistanti l'isola spartitraffico, le aveva invase, incorrendo subito dopo nell'isola rialzata, configurasse, quanto meno, un concorso di colpa nella misura del 50%, con conseguente diminuzione, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., del risarcimento del danno. Al riguardo, deve innanzitutto osservarsi che, in base alle allegazioni di parte attrice circa la dinamica dell'incidente, guardando alle fotografie prodotte in primo grado (cfr. docc. 2 e 6, fascicolo di parte attrice; doc. 2, fascicolo di parte convenuta), la condotta tenuta dal conducente del veicolo (...) deve ritenersi colposa. Ed invero, risulta dagli atti che il conducente, pur avendo a disposizione due corsie di marcia libere al momento del sinistro (circostanza non contestata, che si evince anche dall'assenza di testimoni che abbiano assistito al sinistro), in un tratto di strada illuminato da un lampione, abbia urtato con la ruota anteriore e posteriore di sinistra un'isola spartitraffico posizionata all'esterno della carreggiata, piuttosto ingombrante, sopraelevata rispetto alla sede stradale e in nessun modo sporgente su di essa, delimitata da una linea segnaletica orizzontale di colore bianco e preceduta da adeguata segnaletica orizzontale (c.d. zebratura). Tali elementi consentono di concludere per il carattere colposo della condotta tenuta dal conducente della vettura: che un conducente mantenga la propria destra alla guida, rimanendo all'interno della carreggiata e non già percorrendo la strada al di là della linea continua, invadendo la c.d. zebratura dalla quale è escluso il traffico (come si evince dal fatto che l'urto sia stato frontale, interessando entrambe le ruote, e non già trasversale), non appare di certo un comportamento inesigibile. Si tratta, al contrario, di una condotta rientrante nei più elementari doveri di diligenza del conducente, il quale, in una situazione come quella descritta, deve essere in grado di evitare l'ostacolo. In conclusione, quindi, l'imperfetta segnalazione dell'isola spartitraffico può avere, al più, concorso a causare l'evento di danno insieme alla condotta gravemente negligente del conducente, che ha violato plurime prescrizioni del Codice della strada ed, in particolare, l'art. 141, comma 2 ("Il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l'arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile"), l'art. 143, comma 1 ("i veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera"), e l'art. 146, comma 1 ("l'utente della strada è tenuto ad osservare i comportamenti imposti dalla segnaletica stradale e dagli agenti del traffico a norma degli articoli da 38 a 43 e delle relative norme del regolamento del Codice della Strada") in combinato disposto con l'art. 40. Ciò chiarito in ordine al carattere colposo della condotta tenuta dal conducente, si ribadisce qui che, ai fini dell'applicazione dell'art. 1227, comma 1, c.c. a nulla rileva che tale condotta potesse essere, secondo quanto statuito dal giudice di primo grado, concretamente prevedibile da parte del Comune convenuto. Il giudice di prime cure, infatti, non ha escluso la responsabilità del Comune ex art. 2051 c.c., ritenendo sussistente il caso fortuito, come tale atto ad elidere il nesso di causa tra la cosa e l'evento, ma si è limitato ad evidenziare che la condotta colposa del conducente aveva contribuito a causare l'evento nella misura del 50%, con una valutazione, anche con riguardo alla percentuale attribuita alla condotta, corretta, per tutte le ragioni sopra esposte. L'appello deve, pertanto, essere rigettato. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in applicazione dei parametri medi di cui al D.M. n. 55 del 2014, guardando al valore della domanda, con esclusione dei compensi per la fase istruttoria, non essendosi proceduto ad attività istruttoria. Visto il rigetto integrale dell'appello, parte appellante è inoltre tenuta a versare all'erario una somma pari all'importo del contributo unificato già versato, come previsto dall'art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo unico in materia di spese di giustizia) ai sensi del quale "Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso". P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando in grado di appello nella causa n. 1464/2021, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - rigetta l'appello della società (...) s.r.l. avverso la sentenza n. 680/2020 emessa dal Giudice di Pace di Busto Arsizio e depositata in data 29.9.2020; - condanna parte appellante alla rifusione, in favore di parte appellata, delle spese del secondo grado del giudizio, che si liquidano in Euro 1.620,00 per compensi professionali, oltre spese generali forfetarie al 15%, IVA (se dovuta) e CPA come per legge; - dà atto dell'obbligo di parte appellante di versare all'erario una somma pari all'importo del contributo unificato già versato ex art. 13 co. 1/quater D.P.R. n. 115 del 2002. Così deciso in Busto Arsizio il 12 settembre 2022. Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI BUSTO ARSIZIO SEZIONE terza CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesco Paganini, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I grado iscritta al n. 4316/2019 del Ruolo Generale promossa da: (...) (c.f. (...)), con il patrocinio dell'avv. (...); ATTORE contro CONDOMINIO (...) (c.f. (...)), in persona dell'amministratore pro tempore, con il patrocinio dell'avv. (...); CONVENUTO Conclusioni delle parti Per parte attrice: "Piaccia al Tribunale di Busto Arsizio, contrariis rejectis, premessa ogni e più opportuna declaratoria del caso e di legge, salvo ed impregiudicato ogni altro diritto e miglior pronuncia, così provvedere: nel merito - accertato e dichiarato che la linea di confine tra il fondo di proprietà del Signor (...) censito al NCEU al Foglio 3, mappale (...), sub. 2 e le parti comuni condominiali censite al NCEU al Foglio 3, mappale (...), sub. 3 è quella individuata e descritta dal CTU, Geometra (...), e come meglio identificata nella scheda catastale NCUE allegata all'atto di proprietà dei Signori (...); - accertato e dichiarato che, a seguito della verifica degli esatti confini, una porzione del fondo censito al NCEU al Foglio 3, mappale 788, sub. 2 è stata ricompresa, tramite staccionata/recinto, nel passaggio comune e nella rampa di accesso ai box del condominio convenuto; - condannare il Condominio (...) e i Signori condomini (...) al rilascio delle porzioni di terreno occupate senza titolo e a ripristinare i corretti confini a loro cure e spese mediante demolizione e ricostruzione della recinzione esistente e della rimozione e posa delle piastrelle; - condannare il Condominio (...) e i Signori condomini (...) a risarcire al Signor (...) per l'illegittima occupazione del fondo di sua pertinenza la somma di Euro 2.500,00 o altra minore o maggiore somme che verrà ritenuta di giustizia; - il tutto oltre interessi dal dovuto al saldo; - con vittoria di spese e competenze, anche di CTU" Per parte convenuta: "Voglia l'Ill.mo Giudicante In via principale, nel merito: - rigettare le domande svolte da parte attrice in quanto infondate, in fatto e in diritto, per i motivi esposti in atti; - condannare l'attrice alla rifusione delle competenze versate a favore del consulente di parte nominato nella misura di euro 2.402,40 (Doc. 7 fattura competenze Arch. (...)); Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio". Motivi della decisione Il sig. (...) è proprietario dell'unità immobiliare consistente in civile abitazione identificata al NCEU del Comune di Arconate al Foglio 3, mappale (...), sub. 2, alla quale accede un'area pertinenziale parimenti di proprietà esclusiva del sig. (...), nonché dell'unità immobiliare adibita ad autorimessa censita al NCEU di detto Comune al Foglio 3, mappale (...), sub. 11, entrambe parte del Condominio (...), sito in via (...) ad Arconate (MI). Con atto di citazione ritualmente notificato, egli ha convenuto in giudizio il Condominio lamentando la difformità tra lo stato di fatto dei confini che delimitano materialmente le predette unità immobiliari, rispetto a quelli risultanti dalla documentazione catastale. Tale difformità, da individuarsi nell'arretramento delle recinzioni esistenti in concreto rispetto ai confini "di diritto" risultanti dai documenti catastali, avrebbe determinato la riduzione di fatto della superficie fruibile dall'attore, con pregiudizio delle sue prerogative di proprietario esclusivo delle unità immobiliari indicate. Per tali ragioni, egli ha domandato che venissero accertati gli esatti confini tra il fondo di sua proprietà esclusiva e le parti comuni condominiali, che fossero ripristinati i confini corretti a cura e spese del Condominio e che quest'ultimo fosse condannato al pagamento di Euro 2.500,00 per l'illegittima occupazione delle aree appartenenti in via esclusiva all'attore. Si è costituito in giudizio il Condominio (...), in persona dell'amministratore pro tempore sig. (...), contestando le pretese avversarie ed instando per il rigetto delle domande attoree. Dopo la concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. e depositate le relative memorie, all'udienza dell'08-07-2020 il Giudice ordinava all'attore di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, atteso il litisconsorzio necessario tra essi sussistente. All'udienza del 10-02-2021, stante la mancata costituzione in giudizio dei condomini citati, ne veniva dichiarata la contumacia ed era disposta CTU, con incarico al perito di tentare preliminarmente la conciliazione delle parti e, in caso di esito negativo del tentativo, di determinare l'esatto tracciato dei confini tra la proprietà esclusiva dell'attore rispetto alle parti comuni condominiali. Depositato l'elaborato peritale, in data 04-05-2022 le parti precisavano le conclusioni e la causa era trattenuta in decisione, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. Il sig. (...) è proprietario delle unità immobiliari identificate nel Catasto Fabbricati del Comune di Arconate al Foglio 3, mappale (...), rispettivamente al subalterno 2, P.T., S1, Cat. A/3, cl. 4, vani 6, superficie catastale 113 m2, rendita catastale Euro 418,33, ed al subalterno 11, P.S1, Cat. C/6, cl. 4, m2 17, superficie catastale m2 20, rendita catastale Euro 37,75, facenti parte del Condominio (...); stante l'incertezza dei confini tra la porzione immobiliare di cui al subalterno n. 2 e le parti comuni condominiali, egli ha adito l'intestato Tribunale chiedendone l'accertamento giudiziale. L'azione di regolamento di confini si configura come una vindicatio incertae partis, nella quale incombe su entrambe le parti l'onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all'individuazione dell'esatta linea di confine. Il giudice, quanto agli elementi di -prova utilizzabili, dispone di poteri più ampi di quelli normalmente spettanti nelle controversie di rivendica e di accertamento della proprietà, essendo svincolato dall'osservanza del principio "actore non probante reus absolvitur", poiché, come detto, l'onere di indicare gli elementi utili grava su entrambe le parti; il Giudice dispone, altresì, della facoltà di scegliere gli elementi ritenuti decisivi o di avvalersi di più elementi concordanti, senza che sia prestabilita alcuna graduatoria d'importanza tra gli stessi, salvo che per il carattere di sussidiarietà esplicitamente attribuito alle risultanze delle mappe catastali (Cass. Civ. 20/04/2020, n. 7944; Cass. Civ. 24/04/2018, n. 10062) e potendo, infine, avvalersi anche di C.T.U. per la descrizione dello stato dei luoghi e per la trasposizione nella realtà dei confini catastali. Ai fini di detta determinazione non potrà tuttavia prescindersi dall'esame dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, né, trattandosi di lotti separati di un appezzamento in origine unico, dalle misure risultanti dalle planimetrie allegate agli atti di vendita e dai tipi di frazionamento in essi richiamati. In ogni caso, il giudice è tenuto ad accertare se sussista nei titoli l'univocità relativa al confine e se essi forniscano elementi anche indiretti atti a consentire l'eliminazione della denunciata incertezza. Alla luce della giurisprudenza richiamata, ai fini dell'esatta analisi del merito della vicenda oggetto del presente procedimento, può farsi riferimento alla relazione peritale redatta dal C.T.U. geom. (...), la cui indagine è stata correttamente condotta a partire dall'esame del titolo di acquisto della proprietà dell'attore ed è pervenuta a conclusioni che appaiono pienamente condivisibili, in quanto immuni da errori e vizi logici e basate su un attento ed obiettivo esame della documentazione in atti, nonché sui rilievi effettuati presso i luoghi di causa. Il consulente, esaminata la produzione documentale delle parti, ha appurato che: "(...) gli esatti confini di proprietà esclusiva dell'attore (...), rispetto alla limitrofa proprietà cortilizia condominiale, sono quelli che il C. T.U. ha ricostruito sulla base dell'unico documento utilizzabile in tal senso e cioè la planimetria catastale NCEU (n. MI0494085 del 27.06.2005) citata ed allegata in atto proprietà; da dette verifiche è emerso che in loco l'area materialmente ad oggi delimitata da recinzione in paletti e rete ed utilizzata dal sig. (...) risulta - di fatto - con forma e dimensioni leggermente inferiori a quelle compravendute e quindi raffigurate sul grafico de quo (...)". L'ausiliare del Giudice ha dunque riscontrato un'effettiva difformità tra i confini risultanti dall'atto di acquisto dell'immobile di proprietà dell'attore (ovvero quanto acquistato 'in diritto') e quelli tracciati materialmente in loco. In dettaglio, fatti salvi i dovuti margini di tolleranza, il geom. (...) ha riscontrato che il confine posto sul "(...) lato est (...) si presenta arretrato di cm. 50 rispetto a quanto avrebbe dovuto essere (e pertanto a quanto alienato all'attore m2 1,75 circa in meno) (...)" e che il confine delimitante il "(...) lato ovest (...) presenta sul posto uno 'smusso' molto più accentuato rispetto a quanto previsto sempre nel grafico catastale e quindi a quanto compravenduto dall'attore, con minor superficie sempre a discapito dello stesso (m2 1,60 circa) (...)". Nessuna discordanza è stata invece accertata rispetto ai confini posti sul versante nord e sul versante sud della proprietà attorea. Il raffronto tra lo stato di diritto e lo stato di fatto dei luoghi è stato inoltre chiaramente trasposto in immagini nel grafico elaborato dal C.T.U. allegato alla perizia. Viste le conclusioni del geom. (...), non sussistono dubbi in merito alla fondatezza in parte qua della domanda formulata dall'attore, che appare meritevole di accoglimento. Va perciò accertato e dichiarato che la linea di demarcazione tra l'unità immobiliare appartenente in via esclusiva al sig. (...), distinta nel Catasto Fabbricati del Comune di Arconate al Foglio 3, mappale (...), al subalterno 2, P.T., S1, Cat. A/3, cl. 4, vani 6, superficie catastale 113 m2, rendita catastale Euro 418,33, e le parti comuni condominiali è quella identificato nel suddetto elaborato grafico peritale, ovvero: - quanto al lato ovest, il confine coincide con la linea spezzata formata dai segmenti consecutivi C-C'-D'-D, e non con il segmento C-D che fotografa il confine esistente; - quanto al lato est, il confine coincide con i segmenti B-B'-A'-A, anziché con il segmento A-B, che identifica il limite attualmente in essere di fatto; - quanto ai lati nord e sud, sono invece confermati i confini esistenti. Va conseguentemente accolta anche la domanda attorea di condanna del Condominio (...) al rilascio della porzione di terreno occupata senza titolo, nonché al ripristino a cura e spese del Condominio stesso della corretta linea di confine come sopra rideterminata, mediante demolizione e ricostruzione della recinzione e mediante rimozione e posa delle piastrelle. Così fissata la linea di confine, risulta evidente come, fino ad oggi, il Condominio (...) abbia occupato senza averne titolo la porzione di terreno di proprietà esclusiva della parte attrice identificata dal C.T.U.; per tale motivo, il sig. (...) ha anche domandato la condanna del convenuto a pagare Euro 2.500,00 a titolo di indennità per l'occupazione senza titolo della ridetta particella di terreno. Occorre perciò procedere all'esame del profilo della pretesa risarcitoria avanzata dall'attore. Al riguardo, in punto di diritto deve aderirsi al condivisibile e recente orientamento giurisprudenziale che esclude che possa riconoscersi al pregiudizio da occupazione sine titulo la natura di danno in re ipsa e che, per converso, onera il danneggiato di dare prova del danno medesimo (ex multis, Cass. Civ. 23/11/2021, n. 36251 e Cass. Civ. 24/04/2019, n. 11203), con la precisazione, tuttavia, che tale prova può essere fornita anche in via presuntiva. Il richiamo è alla massima oramai consolidata secondo la quale "nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario discende dalla menomazione della facoltà di godimento anche indiretta del bene e ben può essere apprezzato sul piano presuntivo " (Cass. Civ. 05/10/2020, n. 21272). La sentenza di legittimità richiamata dall'attore, la quale, contrariamente alla giurisprudenza testé menzionata, reputa configurabile il danno in re ipsa per il semplice fatto della perdita subita dal soggetto privato del possesso, non pare pertinente nel caso di specie. Essa, infatti, presuppone che il soggetto deprivato del godimento del bene non ne abbia "potuto trarre l'utilità normalmente ricavabile in relazione alla natura naturalmente fruttifera dello stesso" (Cass. Civ. 10/10/2018, n. 24948), con ciò sottintendendo che il bene sia intrinsecamente idoneo, anche per via delle dimensioni, a produrre un reddito o un'utilità, eventualmente anche nella prospettiva di concessione a terzi in godimento separato e a fronte di corrispettivo. Orbene, nel caso di specie la superficie sottratta alla disponibilità dell'attore possiede un'estensione estremamente ridotta, quantificata dal C.T.U. in complessivi m2 3,35 (m2 1,75 sul lato est e m2 1,60 sul lato ovest) ed afferisce all'area esterna pertinenziale adibita a giardino privato: essa, dunque, di per sé sola non avrebbe potuto certamente essere considerata avere natura fruttifera, né è pensabile una sua autonoma utilità separatamente dal resto dell'immobile al quale le stessa accede. Senza trascurare che lo spostamento della linea di confine di soli pochi centimetri non può avere cagionato una compromissione significativa e tangibile delle prerogative proprietarie, avendo determinato una alterazione quasi impercettibile della conformazione dell'area esterna all'abitazione dell'attore, tale da non averne compromesso la destinazione d'uso sua propria. Oltre a tali considerazioni, si osserva che parte attrice si è limitata a domandare la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 2.500,00 a titolo di indennità di occupazione senza titolo della porzione di terreno per cui è causa, senza tuttavia avere contestualmente allegato in atti di aver sofferto un danno riconducibile a tale occupazione, senza avere spiegato in che cosa tale danno consisterebbe e senza avere offerto alcuna indicazione atta a chiarire i criteri utilizzati dalla parte per giungere alla quantificazione nella misura poc'anzi ricordata. Pertanto, nel caso in esame non ricorrono elementi atti a provare, neppure in via presuntiva, l'an ed il quantum del danno lamentato dall'attore, di talché la domanda di condanna del Condominio al pagamento di Euro 2.500,00 a titolo di indennità di occupazione non può trovare accoglimento. In ragione della soccombenza di parte convenuta rispetto all'azione di regolamento di confini, il Condominio (...) convenuto ed i singoli condomini chiamati in causa vanno condannati in solido al pagamento delle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo secondo i valori medi di cui al d.m. n. 55/2014, nonché al rimborso delle spese di mediazione documentate. Parimenti a carico della parte convenuta e dei terzi chiamati, in solido tra loro, sono le spese della consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così provvede: accoglie la domanda di parte attrice e, per l'effetto, accerta e dichiara che l'esatto confine di proprietà tra l'unità immobiliare appartenente in via esclusiva al sig. (...), distinta nel Catasto Fabbricati del Comune di Arconate al Foglio 3, mappale (...), al subalterno 2, P.T., S1, Cat. A/3, cl. 4, vani 6, superficie catastale 113 m2, rendita catastale Euro 418,33, e le parti condominiali comuni è identificato nell'elaborato grafico allegato alla C.T.U. del geom. (...) ed è coincidente sul lato ovest con la linea spezzata formata dai segmenti consecutivi C-C'-D'-D ed è coincidente sul lato est con i segmenti B-B'-A'-A; conferma nel resto i confini esistenti; condanna parte convenuta a provvedere a propria cura e spese all'immediato ripristino dell'esatto confine, tramite demolizione e ricostruzione della recinzione e mediante rimozione e nuova posa delle piastrelle esistenti; condanna parte convenuta a rifondere all'attore le spese di lite, che liquida in Euro 125,00 per esborsi ed in Euro 2.430,00 per compensi, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, nonché oltre alle spese di mediazione documentate; pone le spese di C.T.U., liquidate con separato decreto, definitivamente a carico di parte convenuta. Busto Arsizio, 29 luglio 2022.

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