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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 198 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma. De. e Sa. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Azienda Ospedaliero Un. di Ca., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliata in Cagliari presso gli uffici della medesima, via (...); Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pa. e Fl. Is., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della determinazione dell'Assessorato degli Affari Generali, Personale e Riforma della Regione n. -OMISSIS-, avente ad oggetto l'accertamento dei requisiti psico-fisici, approvazione elenco ammessi al corso di formazione degli agenti del corpo forestale, nella parte in cui non ricomprende il nome del ricorrente nel relativo elenco e lo include in quello - non conosciuto - degli inidonei, nonché, ove adottato, del provvedimento di esclusione del ricorrente; - del giudizio finale della Commissione medica dell'Azienda Ospedaliera Un. di Ca. del -OMISSIS-, recante giudizio di inidoneità alla prova medica; - nonché di tutti gli altri atti presupposti, inerenti e consequenziali, anche se non conosciuti, compresi gli eventuali verbali della Commissione Medica e il giudizio analitico; e per la condanna ex art. 30 c.p.a. dell'Amministrazione al risarcimento in forma specifica del danno subito dal ricorrente ordinando l'ammissione con riserva dello stesso al corso di formazione, avente una durata di 3 mesi o, in subordine, ordinando la verificazione ex artt. 19 e 66 c.p.a., ovvero consulenza tecnica d'ufficio ex art. 67 c.p.a, nonché, ove occorra e, comunque in via subordinata, al risarcimento del danno per perdita di chance e delle relative somme, con interessi e rivalutazione, come per legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliero Un. di Ca. e della Regione Autonoma della Sardegna; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente ha partecipato al Concorso pubblico per esami per il reclutamento a tempo pieno e indeterminato n. 78 unità di personale da inquadrare nell'area A - Livello retributivo A1 - Agente del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Autonoma della Sardegna, indetto con Determinazione n. 1894, prot. n. 34817, del 19 ottobre 2021. Dopo aver superato le prove di selezione (scritta e orale/pratica), ai sensi dell'art. 2 del bando, lett. m) disciplinante l'accertamento dei requisiti psico-fisici previsti dall'art. 12, comma 3, della L.R. 5 novembre 1985, n. 26, veniva sottoposto, ai fini dell'accertamento dei requisiti psico-fisici, ad un esame clinico generale e a prove strumentali e di laboratorio presso l'Azienda Ospedaliero Un. di Ca. (S.C. di Medicina del Lavoro), all'esito della quale, in data -OMISSIS-, veniva giudicato non idoneo dalla Commissione Medica, con la seguente motivazione: "ipotiroidismo e pancolite in trattamento Ministero dell'Interno D.M. 30/06/2003 n° 198 Capo II Tabella 1 punto 12 e 13b e punto 6.b.". Il ricorrente produceva in giudizio apposita documentazione medica attestante la totale assenza di pregiudizio sulla sua idoneità al lavoro a causa della riscontrata patologia. La relazione integrativa prodotta dall'Amministrazione confermava, invece, il giudizio di inidoneità del ricorrente in ragione esclusiva dell'accertata sussistenza di una condizione clinica riconducibile a diverse cause di esclusione previste dalla lex specialis. In particolare: - quanto all'ipotiroidismo alle "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12"; - quanto alla pregressa tiroidectomia per carcinoma papillare alla tiroide al punto 13.b, Tabella 1, del DM 30/06/2003 n. 198; - quanto al quadro di Pancolite ulcerosa al punto 6.b, Tabella 1, del DM 30/06/2003 n. 198. Con decreto presidenziale n. 57 del 17 marzo 2023, confermato con ordinanza collegiale n. 85 del 13 aprile 2023, l'istanza cautelare è stata accolta ai fini dell'ammissione con riserva del ricorrente al corso di formazione di cui all'art. 13 del bando di concorso, nonché agli esami tecnico-pratici da sostenere al termine del corso di formazione. Poiché nella documentazione medica versata in giudizio dal ricorrente - come detto - veniva certificata l'assenza di alcuna conseguenza di tali patologie sulla sua idoneità lavorativa, sicché le stesse non potrebbero rappresentare causa ostativa e di inidoneità psico-fisica all'impiego nel profilo oggetto della procedura concorsuale in questione, il Tribunale - con ordinanza n. 912 del 4 dicembre 2023 - riteneva opportuno disporre apposita verificazione, ai sensi degli art. 19 e 66 cod. proc. amm., finalizzata ad accertare: -- se la riscontrata alterata funzione delle ghiandole endocrine sia, alla luce della condizione clinica del ricorrente, riconducibile alle sindromi declinate al Capo II Tabella 1 punto 12 del D.M. 30.6.2003, n. 198; - se sussistano i presupposti per qualificare la neoplasia benigna dotata delle caratteristiche di cui al punto 13 b della predetta Tabella I; -se le riscontrate infermità all'apparato digerente del ricorrente siano idonee a produrre disturbi funzionali ai sensi della lett. 6.b della predetta Tabella. - se, nel complesso, tale riscontrata condizione possa comportare limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato. Riteneva, a tal fine, di avvalersi della collaborazione delle Autorità sanitarie operanti presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale dell'Ospedale Mi. di Ca. e, in particolare, di un Collegio composto da due ufficiali medici, uno dei quali specialista della materia (rispettivamente Gastroentero ed Endocrino), che, previa acquisizione del giudizio reso dalla commissione medico legale, dei test strumentali sostenuti da parte ricorrente e delle connesse regole tecniche previste dall'Amministrazione intimata, accertasse la sussistenza e la consistenza della ragione di non idoneità ritenuta dalla predetta Amministrazione a fondamento del provvedimento impugnato. Con nota dell'11 dicembre 2023 il Direttore del Dipartimento Militare di Medicina Legale dell'Ospedale Mi. di Ca. comunicava di non poter assolvere all'incombente istruttorio "a causa dell'assenza di un Medico Specialista in Endocrinologia e Gastroenterologia". Alla luce di tale comunicazione, ai fini dello svolgimento del predetto accertamento sanitario, si rendeva dunque necessario integrare l'incaricato Collegio Medico Legale con un Medico Specialista in Endocrinologia e in Gastroenterologia. Per quanto sopra il Collegio con ordinanza n. 26 del 19 gennaio 2024, disponeva di individuare nel Direttore del Dipartimento di Endocrinologia e di Gastroenterologia dell'Azienda Ospedaliera Br. gli specialisti ritenuti idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella predetta ordinanza. Con nota -OMISSIS-2024 del Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu veniva nominato il dott. Pa. Us., Medico Specialista in Gastroenterologia. Non veniva invece nominato lo specialista in Endocrinologia. Il giorno 8 marzo 2024, alla presenza dello Specialista in Gastroenterologia incaricato, si svolgeva la valutazione medico legale del ricorrente. All'esito, quanto alla malattia infiammatoria cronica intestinale (Pancolite ulcerosa Mayo 3) si affermava che la stessa "è in totale remissione bioumorale e clinica, grazie al trattamento farmacologico e allo stato attuale NON produce disturbi funzionali. Tale riscontrata condizione NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, ma potrebbe determinare in futuro assenza dal servizio per malattie e/o limitarne l'impiego con riqualificazione a lavoro d'ufficio". Le riscontrate infermità all'apparato digerente del ricorrente sono state dunque ritenute inidonee a produrre disturbi funzionali ai sensi della lett. 6.b della predetta Tabella, restando dunque superato uno dei motivi che aveva condotto al giudizio di inidoneità della Commissione Medica concorsuale. Quanto alla patologia tiroidea il Collegio rilevava che la valutazione era stata espressa senza la presenza di un Medico Specialista in Endocrinologia, come richiesto dal Tribunale col menzionato provvedimento ordinatorio n. 912/2023. Il Collegio riteneva quindi di individuare nel Direttore del Dipartimento di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Br. lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella predetta ordinanza, demandando al Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Br. l'adozione dei provvedimenti di competenza; Con nota n. -OMISSIS- 2024 (depositata in relazione ad ana ricorso, RG n. 152/2023) il Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu comunicava che presso detta Azienda non era presente alcun Medico Specialista in Endocrinologia che potesse far parte del Collegio Medico Legale di cui sopra. La causa veniva quindi iscritta nuovamente al ruolo dell'udienza camerale per l'adozione di un provvedimento integrativo del precedente ordine istruttorio. In relazione a quanto sopra il Collegio, con ordinanza n. 338 del 26 aprile 2024, individuava nel Direttore del Servizio di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Sa. lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico sopra descritto. Con nota del 6 maggio 2024 il Direttore Generale dell'AOU di Sa. nominava il Dott. Ma. Ca. Pa., Direttore della SC Endocrinologia e malattie della nutrizione e del ricambio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Sa., quale verificatore per l'espletamento dell'incarico in questione. All'esito della visita collegiale in data 23 maggio 2024 veniva depositata agli atti la relazione di verificazione. Alla pubblica udienza del 29 maggio 2024, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione. DIRITTO Il ricorso merita accoglimento. Il quadro clinico del ricorrente, quanto alla patologia tiroidea, è descritto nella Relazione Endocrino-Oncologica a firma del dott. Gi. Pi. resa in data 8 marzo 2023: "Si certifica, su richiesta dell'interessato, che il paziente è sotto la mia cura dal 2011, per una diagnosi inziale di Ipotiroidismo da Tiroidite Autoimmune con piccolo nodulo di 7 mm del lobo tiroideo destro. Nel 2018, a seguito di una modifica morfologica e dimensionale (11 mm), tale lesione veniva sottoposta ad agobiopsia ecoguidata con riscontro di Carcinoma Papillare della Tiroide (C1607/2018). Per tale ragione veniva indirizzato ad intervento di Tiroidectomia Totale con istologico (n. 9911/2018) compatibile per carcinoma papillare multicentrico, variante a cellule alte, con nodulo prevalente del lobo destro (BRAF V600E positivo) in tiroidite cronica linfocitaria (TNM: pT1b(m), N0). Come da protocollo in questi casi eseguiva successiva terapia radioablativa c/o centro di Medicina Nucleare. Nel 2020 eseguiva controllo di follow-up con riscontro di indosabilità dei marcatori tumorali ematici, ecografia del collo negativa e scintigrafia totale corporea negativa per persistenza di malattia tumorale tiroidea. Anche i controlli ematochimici ed ecografici del collo nel 2021 e 2022 sono risultati negativi. Al momento il paziente risulta pertanto libero da malattia ed è definibile come soggetto curato radicalmente. Assume regolarmente la terapia ormonale sostitutiva. Sulla base di quanto in mio possesso il paziente non mostra alcuna controindicazione endocrino-oncologica a qualsivoglia attività lavorativa". Quanto sopra ha trovato pieno riscontro nelle conclusioni della Commissione Medica incaricata dal Tribunale della verificazione istruttoria. Quest'ultima ha infatti precisato che "La riscontrata Tiroidectomia totale per Carcinoma Papillare della Tiroide è SI ascrivibile al novero delle Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine" sottolineando tuttavia che "il buon compenso metabolico-bioumorale degli ormoni tiroidei è ottenuto grazie all'assunzione di terapia farmacologica sostitutiva (levotiroxina) che il candidato dovrà necessariamnete assumere a vita". Nel caso di specie, dunque, la patologia è stata trattata con adeguate terapie e la stessa deve ritenersi ormai sostanzialmente superata consentendo senz'altro al ricorrente, grazie all'assunzione regolare della terapia ormonale sostitutiva, il suo inserimento nel mondo del lavoro. Sul punto il dott. Gi. Pi., Specialista in Endocrinologia, precisa nel suo certificato dell'8 marzo 2023 che "Al momento il paziente risulta pertanto libero da malattia ed è definibile come soggetto curato radicalmente" e che "il paziente non mostra alcuna controindicazione endocrino-oncologica a qualsivoglia attività lavorativa". La stessa Commissione Medica di verificazione, nella relazione da ultimo depositata, precisa che "La riscontrata funzionalità tiroidea NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente del Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, stante la necessaria assunzione continuativa della terapia ormonale sostitutiva prescritta". Pertanto, seppur astrattamente riconducibile alle sindromi declinate al Capo II Tabella 1 punto 12 del D.M. 30.6.2003, n. 198, la patologia sofferta dal ricorrente non conduce ex se al giudizio di inidoneità adottato dalla Commissione concorsuale, dovendosi secondo il Collegio privilegiare l'interpretazione del quadro normativo vigente in termini funzionali, ossia nel senso che solo laddove sussista una possibile incidenza negativa sul servizio da svolgere o sulla salute dell'interessato le patologie menzionate nel decreto ministeriale possano assumere un automatico rilievo escludente nelle procedure concorsuali cui si riferiscono, non essendo cioè a tal fine sufficiente una mera alterazione della funzione delle ghiandole endocrine. Vi è un ulteriore profilo da esaminare. La Commissione Medica concorsuale ha richiamato, a fondamento del giudizio di inidoneità, anche il punto 13.b della Tabella 1 del DM 198/2003. Recita testualmente il punto 13 citato: "13. Neoplasie: a) i tumori maligni (ad evoluzione incerta o sfavorevole); b) i tumori benigni ed i loro esiti quando per sede, volume, estensione o numero siano deturpanti o producano alterazioni strutturali o funzionali". Orbene, la Commissione Medica di verificazione ha precisato che "La riscontrata tiroidectomia totale per Carcinoma Papillare della Tiroide NON è in pieno ascrivibile al novero dei "tumori benigni ed i loro esiti quando per sede, volume, estensione o numero siano deturpanti o producano alterazioni strutturali o funzionali" in quanto trattasi di neoplasia maligna (DTC) completamente eradicata chirurgicamente con completa asportazione della ghiandola tiroidea". Ha dunque ricondotto la classificazione della patologia in questione, escludendo il riferimento al punto 13 a della Tabella 1 (tumori maligni ad evoluzione incerta o sfavorevole, cui non è riconducibile il tumore alla tiroide), al pertinente punto 12 della Tabella 1 del DM 198/2003, in quanto patologia determinante alterazione funzionale dell'apparato endocrino. Si è però già rilevato sul punto che l'alterazione funzionale dell'apparato endocrino assume rilievo escludente dalle procedure concorsuali solo laddove connotata da un'incidenza negativa sul servizio da svolgere o sulla salute dell'interessato, circostanza neppure adombrata - ed anzi specificamente esclusa - dai verificatori. Quanto alla malattia infiammatoria cronica intestinale (Pancolite ulcerosa Mayo 3) la relazione conclusiva ha confermato che la stessa "è in totale remissione bioumorale e clinica, grazie al trattamento farmacologico e allo stato attuale NON produce disturbi funzionali" come già valutato nella visita dell'8 marzo 2024 alla presenza dello specialista in Gastroenterologia dott. Pa. Us.). Resta dunque confermato il giudizio per il quale "Tale riscontrata condizione NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, ma potrebbe determinare in futuro assenza dal servizio per malattie e/o limitarne l'impiego con riqualificazione a lavoro d'ufficio". Resta dunque superato l'altro motivo che aveva condotto al giudizio di inidoneità della Commissione Medica concorsuale. Pertanto, per quanto emerso in sede di verificazione, il giudizio della Commissione originariamente preposta all'accertamento dei requisiti di idoneità deve ritenersi viziato per erroneità . Il Tribunale, invero, ben conosce - e condivide - il consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la tendenziale irripetibilità dei giudizi medico - legali espressi dalle commissioni mediche concorsuali, sia in omaggio al principio della par condicio dei concorrenti e sia in considerazione del fatto notorio che il tempo trascorso tra l'esame medico in sede di concorso e la rivalutazione fatta in altra sede, ivi compresa quella giurisdizionale, può comportare una modifica della situazione oggetto di valutazione. Ciò non toglie tuttavia che, fermo restando il principio della discrezionalità tecnica che caratterizza le valutazioni medico - legali, il che le sottrae al sindacato di legittimità, salve le ipotesi di manifesta arbitrarietà e illogicità, non possono esistere atti o valutazioni dell'amministrazione che, come tali, siano sottratte al controllo giurisdizionale, pena la violazione del principio fondamentale posto dall'art. 113 Cost. Deve pertanto ammettersi che anche nel caso delle valutazioni medico - legali svolte dalle commissioni mediche dell'amministrazione possano esistere ambiti di sindacabilità soprattutto in alcuni - sia pur limitati - casi in cui ciò che viene contestato è la stessa sussistenza o il carattere più o meno rilevante, in relazione alle prescrizioni della procedura concorsuale, della patologia riscontrata dalla competente commissione: in questi casi non dare ingresso al mezzo istruttorio della verificazione significherebbe escludere in radice la sindacabilità dell'atto o della valutazione, il che, come si è detto, non è ammissibile. Nel caso di specie il Tribunale ha deciso di dover ricorrere alla verificazione non già per una mera rivalutazione del giudizio medico formulato dalla commissione, quanto piuttosto per accertare l'effettiva rilevanza della patologia riscontrata sulla prestazione del servizio cui il concorso era finalizzata, questa essendo in definitiva la contestazione fatta dal ricorrente, contestazione affidata ad una non irrilevante documentazione medica. Infatti la Tabella 1, punto 12, D.M. 30 giugno 2003 richiede che "Le sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine", come inteso nell'interpretazione del Tribunale, abbia conseguenze sul piano della funzionalità e l'accertamento disposto con la verificazione era teso ad accertare se sussistesse la limitazione funzionale, aspetto che non era stato valutato dalla commissione medica concorsuale. Ne deriva che, come rilevato da parte ricorrente, l'atto di esclusione gravato risulta inficiato da difetto dei presupposti e, dunque, dev'essere annullato. In definitiva non resta al Collegio che accogliere il ricorso principale disponendo per l'effetto, nei limiti di interesse, l'annullamento degli atti impugnati, con conseguente definitiva ammissione del ricorrente alle ulteriori fasi della procedura. Le spese di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla per quanto di interesse gli atti di esclusione impugnati e il presupposto giudizio di inidoneità . Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Tito Aru - Presidente, Estensore Antonio Plaisant - Consigliere Jessica Bonetto - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 152 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gi. Ta., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del medesimo legale, via (...); contro Azienda Ospedaliero Universitaria di Ca., rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliata in Cagliari presso gli uffici della medesima, via (...); Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pa. e Fl. Is., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento, per quanto riguarda il ricorso introduttivo: del provvedimento di accertata "non idoneità " in data -OMISSIS- formulato dalla Commissione medica presso l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Ca. (S.C. di Medicina del Lavoro) nel "Giudizio finale" del -OMISSIS-, con il quale la citata Commissione ha giudicato il ricorrente non idoneo al superamento del concorso pubblico per esami per il reclutamento a tempo pieno e indeterminato di n. 78 unità di personale da inquadrare nell'area A - livello retributivo A1 - Agente del corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Autonoma della Sardegna, di cui al bando approvato con determinazione n. 1894 del 19 ottobre 2021, con la seguente motivazione: "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell''interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12", nonché - per quanto di ragione - degli atti e degli accertamenti medici della medesima commissione; - di tutti gli altri atti presupposti, consequenziali o, comunque, connessi, non conosciuti, ivi compreso - se esistente - il provvedimento motivato della Direzione Generale del personale e riforma della Regione che ha preso atto del detto giudizio, al fine di escludere l'esponente dalla procedura concorsuale; nonché le graduatorie di merito e degli idonei ove modificate a seguito del giudizio di non idoneità oggi impugnato (tutti atti non conosciuti). Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 27 marzo 2023: per l'annullamento previa sospensiva - della Determinazione RAS Direzione generale del personale e riforma della Regione - Servizio Concorsi, -OMISSIS- avente ad oggetto: "Concorso pubblico per esami per il reclutamento a tempo pieno e indeterminato di n. 78 unità di personale da inquadrare nell''area A - livello retributivo A1 - Agente del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione autonoma della Sardegna. Accertamento dei requisiti psico-fisici. Approvazione elenco ammessi al corso di formazione" e dei suoi Allegati 1 e 2 contenenti rispettivamente l'Elenco dei Candidati ammessi al Corso di formazione e l'elenco dei candidati esclusi dalla graduatoria di merito degli idonei. Per quanto riguarda i motivi aggiunti depositati il 31 ottobre 2023: per l'annullamento per quanto di ragione, quale atto consequenziale, della graduatoria allegata alla determinazione n. -OMISSIS- della Direzione Generale del personale e Riforma della regione - Servizio Concorsi, nonché della medesima determinazione. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Ca. e della Regione Autonoma della Sardegna; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2024 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Il ricorrente ha partecipato al Concorso pubblico per esami per il reclutamento a tempo pieno e indeterminato n. 78 unità di personale da inquadrare nell'area A - Livello retributivo A1 - Agente del Corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Autonoma della Sardegna, indetto con Determinazione n. 1894, prot. n. 34817, del 19 ottobre 2021. Dopo aver superato le prove di selezione (scritta e orale/pratica), ai sensi dell'art. 2 del bando, lett. m) disciplinante l'accertamento dei requisiti psico-fisici previsti dall'art. 12, comma 3, della L.R. 5 novembre 1985, n. 26, veniva sottoposto, ai fini dell'accertamento dei requisiti psico-fisici, ad un esame clinico generale e a prove strumentali e di laboratorio presso l'Azienda Ospedaliero Universitaria di Ca. (S.C. di Medicina del Lavoro), all'esito della quale, in data -OMISSIS-, veniva giudicato non idoneo dalla Commissione Medica, con la seguente motivazione: "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12"; Il ricorrente produceva in giudizio apposita documentazione medica attestante la totale assenza di pregiudizio sulla sua idoneità al lavoro a causa della riscontrata patologia, peraltro lieve e in evoluzione favorevole. La relazione integrativa prodotta dall'Amministrazione confermava, invece, il giudizio di inidoneità del ricorrente in ragione esclusiva dell'accertata sussistenza di una condizione clinica (Ipertiroidismo in Morbo di Basedow) riconducibile alle "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12". Poiché nella documentazione medica versata in giudizio dal ricorrente veniva certificata l'assenza di alcuna conseguenza di tale patologia sulla sua idoneità lavorativa, sicché la stessa non potrebbe rappresentare causa ostativa e di inidoneità psico-fisica all'impiego nel profilo oggetto della procedura concorsuale in questione, il Tribunale - con ordinanza n. 240 del 28 marzo 2024 - riteneva opportuno disporre apposita verificazione, ai sensi degli art. 19 e 66 cod. proc. amm., finalizzata ad accertare: - se la riscontrata condizione clinica del ricorrente (Ipertiroidismo in Morbo di Basedow), riconducibile alle "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12" potesse comportare limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato; Riteneva, a tal fine, di avvalersi della collaborazione delle Autorità sanitarie operanti presso il Dipartimento Militare di Medicina Legale dell'Ospedale Militare di Cagliari e, in particolare, di un Collegio composto da due ufficiali medici, uno dei quali specialista della materia (Endocrino), che, previa acquisizione del giudizio reso dalla commissione medico legale, dei test strumentali sostenuti da parte ricorrente e delle connesse regole tecniche previste dall'Amministrazione intimata, accertasse la sussistenza e la consistenza della ragione di non idoneità ritenuta dalla predetta Amministrazione a fondamento del provvedimento impugnato. Il Collegio riteneva quindi di individuare nel Direttore del Dipartimento di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Brotzu lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella predetta ordinanza, demandando al Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera Brotzu l'adozione dei provvedimenti di competenza; Con nota n. -OMISSIS-2024 il Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu comunicava che presso detta Azienda non era presente alcun Medico Specialista in Endocrinologia che potesse far parte del Collegio Medico Legale di cui sopra. La causa è stata quindi iscritta nuovamente al ruolo dell'udienza camerale per l'adozione di un provvedimento integrativo del precedente ordine istruttorio. In relazione a quanto sopra il Collegio, preso atto della menzionata nota -OMISSIS-2024 del Direttore Sanitario dell'ARNAS G. Brotzu, con ordinanza n. 337 del 26 aprile 2024 individuava nel Direttore del Servizio di Endocrinologia dell'Azienda Ospedaliera Universitaria di Sa. lo specialista ritenuto idoneo all'espletamento dell'incarico descritto nella presente ordinanza. Con nota del 6 maggio 2024 il Direttore Generale dell'AOU di Sa. nominava il Dott. Ma. Ca. Pa., Direttore della SC Endocrinologia e malattie della nutrizione e del ricambio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Sa., quale verificatore per l'espletamento dell'incarico in questione. All'esito della visita collegiale in data 22 maggio 2024 veniva depositata agli atti la relazione di verificazione. Alla pubblica udienza del 29 maggio 2024, sentiti i difensori delle parti, la causa è stata posta in decisione. DIRITTO E' incontestato che al ricorrente sia stato a suo tempo diagnosticato (vedi referto della visita endocrinologica del 23 dicembre 2022) "ipertiroidismo da morbo di Basedow in trattamento con Tapazole in lieve miglioramento". In sede di accertamento del possesso dei requisiti psico-fisici richiesti per il reclutamento ad Agente del Corpo Forestale la Commissione medica concorsuale l'ha escluso dalla procedura selettiva ritenendo che tale condizione clinica fosse riconducibile al punto 12, Tabella 1, D.M. 30 giugno 2003 n. 298 che indica, appunto, tra le cause di non idoneità per l'ammissione ai concorsi pubblici per l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato (applicabile al caso di specie) "Le sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole Endocrine". Nel contestare tale provvedimento escludente il ricorrente ha versato agli atti certificazioni specialistiche (in particolare, certificato dott. Marco Orrù del 27 febbraio 2023) attestanti che l'ipertiroidismo sofferto "non compromette assolutamente l'idoneità al lavoro, sia esso di tipo fisico e/o di tipo intellettuale... l'unica raccomandazione che faccio al mio assistito è quella di sottoporsi a controlli ematici e a dosaggio degli ormoni tiroidei ogni 8/12 mesi, consiglio che dispenso comunque a tutti i miei assistiti anche da quelli esenti da tale condizione". In definitiva, nell'assunto del ricorrente, la situazione sanitaria in cui egli versava al momento dell'espletamento della visita medica non comportava alcun effetto negativo sulla sua prestanza fisica e psichica, e non era affatto preclusiva allo svolgimento dei compiti di servizio riconnessi alle mansioni di Agente del corpo forestale e di vigilanza ambientale della Regione Autonoma della Sardegna. Condividendo l'interpretazione del quadro normativo vigente in termini funzionali, ossia nel senso che solo laddove sussista una possibile incidenza negativa sul servizio da svolgere o sulla salute dell'interessato le patologie menzionate nel precitato DM 298/2003 possano assumere un automatico rilievo escludente nelle procedure concorsuali cui si riferiscono, non essendo a tal fine sufficiente una mera alterazione della funzione delle ghiandole endocrine, il Tribunale, dapprima con decreto presidenziale n. 33 del 6 marzo 2023, confermato con ordinanza collegiale n. 63 del 30 marzo 2023 ha ammesso con riserva il ricorrente al corso di formazione di cui all'art. 13 del bando di concorso, nonché agli esami tecnico-pratici da sostenere al termine del corso di formazione; poi, con ordinanza n. 240 del 28 marzo 2024, ha disposto verificazione finalizzata ad accertare "se la riscontrata condizione clinica del ricorrente (Ipertiroidismo in Morbo di Basedow), riconducibile alle "Sindromi dipendenti da alterata funzione delle ghiandole endocrine. Ministero dell'interno DM 30/06/2003 n. 198. Capo II Tabella 1 punto 12" possa comportare limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato". L'esito dell'accertamento, svolto da una Commissione medica comprendente, in qualità di medico specialista, il Direttore della SC Endocrinologia e malattie della nutrizione e del ricambio dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Sa., è stato il seguente: "la diagnosi ipertiroidismo da morbo di Basedow, motivo della NON idoneità oggetto del ricorso in verificazione, è attualmente modificata nella diagnosi di "Morbo di Basedow in remissione clinica con evoluzione in ipotiroidismo ben compensato dalla terapia ormonale sostitutiva. Pertanto si può affermare che le attuali condizioni della ghiandola tiroide del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- NON comportano, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente del Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, stante la necessaria assunzione continuativa della terapia ormonale sostitutiva prescritta". La Commissione medica, dunque, nel rispondere al quesito del Tribunale, con riferimento alla Tabella 1, punto 12 del DM 30/06/2003 n. 198, affermava che "La riscontrata funzionalità tiroidea NON comporta, allo stato attuale, limitazioni allo svolgimento delle ordinarie attività di servizio afferenti al profilo di Agente del Corpo Forestale oppure rischi per la salute del candidato, stante la necessaria assunzione continuativa della terapia ormonale sostitutiva prescritta". Resta dunque superato il motivo che aveva condotto al giudizio di inidoneità della Commissione Medica concorsuale. Pertanto, per quanto emerso in sede di verificazione, il giudizio della Commissione originariamente preposta all'accertamento dei requisiti di idoneità deve ritenersi viziato per erroneità . Il Tribunale, invero, ben conosce - e condivide - il consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la tendenziale irripetibilità dei giudizi medico - legali espressi dalle commissioni mediche concorsuali, sia in omaggio al principio della par condicio dei concorrenti e sia in considerazione del fatto notorio che il tempo trascorso tra l'esame medico in sede di concorso e la rivalutazione fatta in altra sede, ivi compresa quella giurisdizionale, può comportare una modifica della situazione oggetto di valutazione. Ciò non toglie tuttavia che, fermo restando il principio della discrezionalità tecnica che caratterizza le valutazioni medico - legali, il che le sottrae al sindacato di legittimità, salve le ipotesi di manifesta arbitrarietà e illogicità, non possono esistere atti o valutazioni dell'amministrazione che, come tali, siano sottratte al controllo giurisdizionale, pena la violazione del principio fondamentale posto dall'art. 113 Cost. Deve pertanto ammettersi che anche nel caso delle valutazioni medico - legali svolte dalle commissioni mediche dell'amministrazione possano esistere ambiti di sindacabilità soprattutto in alcuni - sia pur limitati - casi in cui ciò che viene contestato è la stessa sussistenza o il carattere più o meno rilevante, in relazione alle prescrizioni della procedura concorsuale, della patologia riscontrata dalla competente commissione: in questi casi non dare ingresso al mezzo istruttorio della verificazione significherebbe escludere in radice la sindacabilità dell'atto o della valutazione, il che, come si è detto, non è ammissibile. Nel caso di specie il Tribunale ha deciso di dover ricorrere alla verificazione non già per una mera rivalutazione del giudizio medico formulato dalla commissione, quanto piuttosto per accertare l'effettiva rilevanza della patologia riscontrata sulla prestazione del servizio cui il concorso era finalizzata, questa essendo in definitiva la contestazione fatta dal ricorrente, contestazione affidata ad una non irrilevante documentazione medica. Infatti la Tabella 1, punto 12, D.m. 30 giugno 2003, come inteso nell'interpretazione del Tribunale, richiede ai fini dell'esclusione dalla procedura concorsuale che la sindrome dipendente da alterata funzione delle ghiandole endocrine abbia conseguenze sul piano della funzionalità, e l'accertamento disposto con la verificazione era teso proprio ad accertare se sussistesse la limitazione funzionale, aspetto che non era stato valutato dalla commissione medica concorsuale. Ne deriva che, come accertato in sede di verificazione, l'atto di esclusione gravato risulta inficiato da difetto dei presupposti e, dunque, dev'essere annullato. In definitiva non resta al Collegio che accogliere il ricorso principale disponendo per l'effetto l'annullamento degli atti impugnati, per quanto di interesse del ricorrente, con conseguente definitiva ammissione del medesimo alle ulteriori fasi della procedura. Le spese di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, annulla per quanto di interesse gli atti di esclusione impugnati e il presupposto giudizio di inidoneità . Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all'articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Tito Aru - Presidente, Estensore Antonio Plaisant - Consigliere Jessica Bonetto - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 475 del 2020, proposto da An. Lo., Ba. Of. Bi. di Lo. An. e C Sas, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Az., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Re. Ma. in Cagliari, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore; Comando di Polizia Locale del Comune di (omissis). sul ricorso numero di registro generale 682 del 2020, proposto da Of. Bi. di Lo. An. e C. S.a.s., An. Lo., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Lu. Az., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Re. Ma. in Cagliari, via (...); contro Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato En. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Suape dell'Unione di Comuni (omissis), non costituito in giudizio. per l'annullamento quanto al ricorso n. 475 del 2020: - dell'ordinanza di demolizione nr. 65 del 2020, emessa dall'Ufficio Tecnico del Comune di (omissis) in data 27.5.2020, con la quale si ordina al ricorrente di demolire le opere realizzate in difformità dal provvedimento unico nr. 74 del 12.9.2019; - del verbale di sopraluogo 26.2.2020 della Polizia Locale di Ossi. - ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, anche ove non direttamente conosciuto. quanto al ricorso n. 682 del 2020: per l'annullamento - del silenzio diniego opposto dal Comune di (omissis), Ufficio Tecnico, compiutosi in data 28.8.2020, relativamente all'istanza di accertamento in conformità D.U.A.P.E. n° 0914.186312 presentata dall'odierno ricorrente in data 29.6.2020. - del silenzio diniego opposto dal Comune di (omissis), Ufficio Tecnico, relativamente all'integrazione documentale sulla predetta istanza presentata dall'odierno ricorrente in data 28.7.2020. - della nota 6.8.2020 con la quale il Comune di (omissis), in persona della Responsabile Area Tecnica, riscontrava la suddetta pratica, rilevando la necessità della autorizzazione di cui all'art. 21 del dlgs 42 del 2004. - ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, anche ove non direttamente conosciuto. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2023 il dott. Roberto Montixi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Il An. Lo., nella sua qualità di legale rappresentante della ditta Ba. Of. Bi. di Lo. An. & C. S.A.S espone di aver rilevato l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, posto all'ingresso dell'abitato di (omissis), intestata alla SAS Ba. Of. Bi. di Ma. Fr. & C. 2. Rappresenta il ricorrente che, con provvedimento unico nr. 74 del 12.9.2019, il SUAPE dell'Unione dei Comuni (omissis), alla quale partecipa anche il Comune di (omissis), assentiva, a favore del proprio dante causa, l'istanza di "autorizzazione di occupazione del suolo pubblico con gazebo" insistente sullo spazio pubblico antistante il predetto locale di somministrazione. 3. Precisa il ricorrente che tale provvedimento costituiva, al contempo, titolo per l'occupazione di area demaniale e titolo edilizio per la realizzazione del gazebo, quale opera precaria ed amovibile. 4. Sulla base di tale provvedimento autorizzatorio, nel dicembre del 2019, veniva realizzato il gazebo. 5. Successivamente, espone il ricorrente di essersi determinato a cedere la gestione dell'attività alla ditta individuale "Of. Bi. Le. & Fa. di An. Pa.", la quale, in data 20.2.2020, provvedeva ad inoltrare apposita DUA al SUAPE suddetto per il subentro nell'attività e nell'occupazione del suolo pubblico. 6. Sennonché, in data 26.2.2020, personale della Polizia Locale di Ossi si recava presso il locale in questione al fine di eseguire un sopralluogo di verifica dell'attività in subentro, ed in tale occasione constatava la difformità della struttura realizzata rispetto alle tavole progettuali allegate all'istanza del 7.8.2019 dall'originario titolare della struttura, sig. Ma., per la realizzazione dell'opera. 7. A seguito di tali accertamenti, il Comando Polizia Locale del Comune di (omissis) notificava al titolare della ditta cessionaria dell'attività, sig. Pa., ed all'odierno ricorrente la comunicazione di avvio del procedimento di decadenza dalla concessione di suolo pubblico. 8. Al contempo, l'Ufficio Tecnico del medesimo Comune notificava, in data 30.5.2020, al ricorrente l'Ordinanza nr. 65 del 2020 con la quale veniva intimata la demolizione delle opere realizzate in difformità dal provvedimento unico nr. 74 del 12.9.2019. 9. Avverso tale provvedimento ingiunzionale e gli atti correlati è insorta parte ricorrente con ricorso contraddistinto dal N.R.G. 475/2020 recante quattro motivi di gravame. 9.1. Con il primo motivo di ricorso il sig. Lo. deduce violazione art. 3 dello Statuto della Regione Autonoma della Sardegna e Legge Costituzionale nr. 3 del 1948 e ss.mm.ii. Mancata applicazione degli artt. 5 e 6 della L.R.23\85 e ss.mm.ii. Errata applicazione dell'art. 31 D.P.R. 380 del 2001. Eccesso di potere. Contraddittorietà con regolamento comunale delle strutture precarie (Delibera C.C. 74 del 7.10.2013.) Travisamento della situazione di fatto. Carenza dei presupposti. Difetto di istruttoria. Motivazione carente, generica, illogica e contraddittoria. 9.1.1. Il ricorrente si duole del fatto che l'Ordinanza impugnata sarebbe illegittima laddove rileva che l'opera realizzata sarebbe difforme rispetto alla tipologia progettuale a suo tempo presentata e in relazione alla quale è poi stato adottato il Provvedimento Unico n° 74 del 12.9.2019. In particolare, mancherebbe in tale provvedimento ingiunzionale un raffronto tra lo stato di fatto ed il progetto iniziale, corredato dall'indicazione dei materiali e delle partizioni indicate nel progetto iniziale e di quelli riscontrati, invece, nella realizzazione finale. Precisa il ricorrente che, essendo gli elaborati tecnici allegati all'istanza ridotti all'essenziale, dato che l'opera si presentava come un gazebo amovibile senza stabile collegamento al suolo, la pratica edilizia mancava di una vera e propria relazione architettonica, comprendente anche la descrizione dei materiali che si sarebbero impiegati. Per tale motivo, la conformità dell'intervento eseguito avrebbe dovuto essere vagliata alla luce delle prescrizioni contenute nel pertinente regolamento comunale in materia che il ricorrente assume essere stato scrupolosamente osservato. In ogni caso, sottolinea il ricorrente come l'Ordinanza di demolizione si rivelerebbe sproporzionata atteso che, da un lato, le contestazioni si rivelavano generiche e infondate e dall'altro, non avrebbero integrato la fattispecie di variazione essenziale. 9.2. Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 12 e 21 del d.lgs. 42 del 2004, oltre a eccesso di potere, carenza d'istruttoria, travisamento della situazione di fatto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione. 9.2.1. Rappresenta parte ricorrente come l'Ordinanza di demolizione si rivelerebbe illegittima anche perché scaturita dalla erronea applicazione della normativa in materia di tutela paesaggistica e storico-culturale. Ciò in ragione del fatto che una delle contestazioni mosse in tale atto riguardava l'assenza della ritenuta necessaria autorizzazione della Soprintendenza BAAPS, in quanto il gazebo risultava realizzato nell'area di pertinenza del complesso denominato "Sa fu. No.", tutelato ai sensi dell'art. 10 comma 4 lett. g del D.Lgs 42/2004. A tale proposito, evidenzia parte ricorrente di aver ottenuto il titolo edilizio in esito ad una conferenza di servizi alla quale, tuttavia, non aveva partecipato, né era stato invitato, alcun ente deputato alla tutela dei suddetti beni, da ciò desumendosi che il responsabile del SUAPE avesse ritenuto che non vi fosse alcun bene da tutelare. Pertanto, il provvedimento di demolizione, laddove rileva la necessità di tale autorizzazione, si rivelerebbe contraddittorio. In ogni caso, detta autorizzazione non sarebbe prescritta in quanto l'art. 21 del Codice sui beni culturali prevede la necessità del nulla osta in caso di lavori "sul" bene culturale (sia anche una piazza o una via) e non "vicino" ad un bene culturale. 9.2.2. Ulteriormente, osserva il ricorrente che, nelle more, l'art. 10 c.5 del D.L. 16.7.2020, n° 76, conv. nella Legge 120/2020 avrebbe abolito la necessità di alcuna autorizzazione per l'apposizione di strutture amovibili nelle vie o piazze di cui alla lettera "g" dell'art. 10 del Codice. 9.3. Con un terzo ordine di doglianze il ricorrente eccepisce il vizio di eccesso di potere, contraddittorietà con regolamento comunale delle strutture precarie, travisamento e falsa applicazione dell'art. 4 di detto regolamento, carenza di motivazione. 9.3.1. L'Ordinanza in questione, laddove contesta la compatibilità dell'intervento con l'ambiente circostante e con le caratteristiche della zona e del paesaggio, traviserebbe il contenuto del richiamato regolamento Comunale, approvato con delibera del Consiglio n° 74 del 7.10.2013 che, sul punto, non si riferirebbe alle strutture ordinariamente ammesse, come il gazebo in questione, ma alle altre strutture che, essendo necessariamente costruite con materiali diversi da quelli ordinariamente contemplati dal comma 1, dovevano essere "realizzate con materiale ritenuto compatibile con l'ambiente circostante e con le caratteristiche della zona e del paesaggio". 9.3.2. In ogni caso, osserva l'esponente, pur ammettendo che il testo fosse stato quello erroneamente inteso dall'Ufficio, non verrebbe in alcun modo spiegato come mai le poche variazioni dell'opera non potessero essere compatibili con l'ambiente circostante, al punto tale da farne ordinare la demolizione. 9.4. Con il quarto motivo di gravame, infine, viene dedotto il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà ' con il Provvedimento Unico SUAPE COROS 74\2019, la violazione e mancata applicazione della Legge Regionale n° 24 del 2016; la violazione del procedimento e dell'art. 31 della medesima legge, nonché illogicità e contraddittorietà della motivazione. 9.4.1. Censura parte ricorrente il fatto che l'Ufficio Tecnico dell'Amministrazione resistente abbia tenuto una condotta contraddittoria e viziante in quanto avrebbe dovuto rappresentare durante la conferenza che, a proprio giudizio, era necessaria l'autorizzazione della Soprintendenza e che questa, invece, non era stata convocata, né che il richiedente aveva allegato alcuna autorizzazione; al contrario, l'Ufficio Tecnico ha consentito che la Conferenza si concludesse con esito positivo salvo poi attivarsi nel richiedere la demolizione dell'opera in quanto priva di autorizzazione ex art. 21 D.Lgs 42/2004. 10. A seguito della ricezione del provvedimento ingiunzionale -e pur ritenendo che le difformità contestate non costituissero variazioni essenziali rispetto al progetto- il sig. Lo. espone di aver presentato, in data 29 giugno 2020, sul Portale SUAPE istanza di sanatoria ex art. 16 L.R. 23\85; 11. In data 6 agosto 2020, l'Ufficio Tecnico del Comune, tuttavia, segnalava che la pratica era carente di preventiva autorizzazione ai sensi dell'art. 21 del D.lgs. 22.1.2004, n° 42 e comunicava l'impossibilità di procedere con l'emissione del permesso di costruire in accertamento di conformità fino alla presentazione della documentazione in questione. 12. La Soprintendenza BAAPS di Sassari, in data 19.8.2020, inoltre, comunicava che "Sa Fo. NO.", complesso prospiciente il locale ove è posto il gazebo, è tutelata ai sensi dell'art. 10 d.lgs. 42\2004; 13. Avverso la nota dell'Ufficio Tecnico Comunale, ed il silenzio diniego frapposto dall'amministrazione resistente all'istanza di accertamento di conformità, il sig. Lo. proponeva un ulteriore ricorso (nrg 682/2020), recante, nella sostanza, i medesimi profili di doglianza già proposti con il gravame rivolto avverso l'Ordinanza di demolizione. 13.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 5, 6 e 16 della Legge Regionale n. 23\85 e s.m.i. Violazione e falsa applicazione dell'art. 31 del dpr 380 del 2001. Eccesso di potere. Contraddittorietà con il Regolamento comunale delle strutture precarie. Travisamento della situazione di fatto. Carenza dei presupposti. 13.1.1. Parte ricorrente deduce l'illegittimità dell'operato dell'amministrazione comunale laddove ritiene la non sanabilità delle presunte difformità rilevate nel corso degli accertamenti condotti. Tali difformità, nell'ordinanza di demolizione, sarebbero state erroneamente definite come "essenziali", mentre l'opera eseguita doveva ritenersi sanabile atteso che essa risultava rispettosa dei canoni delle leggi e dei regolamenti vigenti sia all'epoca della presentazione dell'istanza che al momento della costruzione, ed in particolare era coerente con le disposizioni contenute nel regolamento in materia di gazebo e verande pertinenti ai locali pubblici in Comune di (omissis), approvato con delibera di CC nr. 74 del 7.10.2013. Sottolinea il ricorrente come non sia dato comprendere perché, a giudizio dell'Ufficio redigente l'atto, non possa essere rilasciato il richiesto titolo in sanatoria, dato che i materiali utilizzati erano conformi a detto regolamento e che il ricorrente aveva allegato alla pratica un ulteriore elaborato con il quale chiedeva di poter modificare il manufatto, sostituendo i pannelli laterali con altri che, nell'aspetto, erano quanto più simili possibile a quelli illustrati nel "rendering" del progetto originario; In tale motivo, il ricorrente ribadisce i profili di doglianza già rappresentati nel primo motivo di gravame rivolto avverso l'ordinanza di demolizione. 13.2. Con il secondo profilo di gravame, parte ricorrente deduce il vizio di eccesso di potere, contraddittorietà con il già citato regolamento comunale delle strutture precarie, travisamento e falsa applicazione dell'art. 4 di detto regolamento, riproponendo gli argomenti di censura illustrati nel terzo motivo di ricorso proposto avverso l'Ordinanza di demolizione. 13.3. Con il terzo motivo di gravame viene dedotto eccesso di potere per contraddittorietà con il Provvedimento Unico SUAPE COROS 74\2019. violazione e mancata applicazione della Legge Regionale 24 del 2016; violazione del procedimento e dell'art. 31 della medesima legge, oltre a eccesso di potere per contraddittorietà con l'Allegato "a" alla Delib. della G.R. 11/14 del 28.02.2017. 13.3.1. Parte ricorrente si duole del fatto che l'Amministrazione Comunale abbia ritenuto necessario, per l'espletamento della pratica inerente all'istanza di accertamento di conformità, l'acquisizione della autorizzazione ex art. 21 d.lgs. 42\04. Sottolinea l'esponente come, in primo luogo, i rilievi dell'Ufficio Tecnico contrastino con la fase procedimentale (e con il provvedimento unico esitato da tale fase) espletata dai ricorrenti (o danti causa) di fronte al SUAPE per l'ottenimento dell'originario P.U. 74\2019. Ribadisce, anche in tale gravame, che tale provvedimento Unico sia stato favorevolmente licenziato senza che fosse convocata la Soprintendenza (ai fini dell'ipotizzata autorizzazione ex art. 21 del codice Urbani) e che l'Ufficio Tecnico, pur deputato alle verifiche della trasformazione del territorio, non abbia rappresentato, durante la conferenza, che a suo giudizio era necessaria l'autorizzazione in questione, consentendo, invece, la conclusione dei lavori con esito positivo, salvo poi contestare al ricorrente di aver realizzato l'opera senza tale autorizzazione. In tal modo tuttavia l'Ufficio Tecnico del Comune di (omissis) avrebbe agito in modo contraddittorio in quanto, da un lato, avrebbe consentito il rilascio del provvedimento unico\permesso di costruire senza alcuna autorizzazione ex art. 21 e, dall'altro, avrebbe preteso detta autorizzazione in allegato alla pratica di accertamento di conformità relativa alla medesima opera. 13.4. Con il quarto e ultimo motivo di gravame viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 12 e 21 d.lgs. 42 del 2004, oltre a eccesso di potere, carenza di istruttoria, violazione del comma 5 dell'articolo 10 del decreto-legge 16.7.2020, n. 76 (c.d. "decreto semplificazioni") convertito in legge 11.9.2020, n. 120. Eccesso di potere. travisamento della situazione di fatto. Carenza dei presupposti. Parzialità dell'atto. 13.4.1. Rappresenta il ricorrente che l'operato dell'amministrazione Comunale sarebbe inficiato da un vizio di imparzialità atteso che non risulterebbe che detta autorizzazione sia mai stata chiesta nell'abitato di (omissis), nemmeno per i locali situati nel centro matrice. 13.4.2. Ulteriormente, la ricorrente sottolinea che l'area nella quale insiste il manufatto è collocato al di fuori del centro storico e dunque non ricadrebbe nell'ambito del comma 4, lettera g. dell'art. 10 del Decreto Lgs 42/04. Inoltre, il sito non sarebbe stato sottoposto, ai sensi dall'art. 39 c. 2 lett. A del DPCM 171/2014 a verifica dell'interesse culturale, né sarebbe stata espletata la procedura di cui all'art. 12 del medesimo Codice Urbani, dovendo escludersi che la via o piazza ove sorge il manufatto possa rientrare nelle previsioni della più volte citata lettera "g" dell'art. 10. Ed è pertanto ugualmente escluso che per effettuare interventi su tale area sia necessaria l'autorizzazione in discorso. In ogni caso, la rilevanza culturale e storica riguarderebbe non la via interessata dall'intervento ma la fontana posta nelle immediate vicinanze del locale in questione, pertanto sarebbe inappropriato il richiamo operato all'art. 10. 13.4.3. Parte ricorrente evidenzia, altresì, che l'art. 10 c.5 del DL 16.7.2020 n. 76 ("decreto semplificazioni", convertito in l.120\2020) ha abolito la necessità di alcuna autorizzazione per l'apposizione di strutture amovibili (quali il gazebo de quo) nelle vie o piazze di cui alla lettera "g" dell'art. 10 del Codice. 13.4.4. Conclude sottolineando, sul punto, che l'orientamento interpretativo dell'Ufficio Comunale sarebbe illegittimo in quanto non sarebbe rinvenibile alcuna norma nell'ordinamento che precluda di effettuare lavori senza autorizzazione (non su beni culturali, ma) nei pressi di beni culturali. Ciò in quanto il dettato stesso dell'art. 21, delimiterebbe la necessità di dotarsi di autorizzazione per i soli lavori e interventi che possano incidere in via diretta sul bene culturale. 14. Si è costituita l'Amministrazione Comunale nel ricorso nrg 682/2020 instando per la reiezione del gravame. 15. In vista dell'udienza di merito le parti hanno depositato documenti e memorie. 16. Entrambi i ricorsi venivano trattenuti in decisione all'udienza del 25 ottobre 2023. DIRITTO 1. In via preliminare, stante l'evidente connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi sottoposti all'odierno scrutinio, il Collegio ritiene opportuno disporre la riunione degli stessi, ai sensi dell'art. 70 cpa, ai fini della loro trattazione congiunta. La sostanziale omogeneità delle censure formulate nei due ricorsi rivolti, rispettivamente, nei confronti dell'Ordinanza di demolizione del gazebo e nell'arresto procedimentale correlato alla istanza per accertamento di conformità, sebbene recanti un ordine di trattazione parzialmente differente, rendono opportuno, ai fini di una maggiore linearità e snellezza espositiva, lo scrutinio congiunto dei gravami. 2. Con riguardo al primo motivo posto a supporto di entrambi i ricorsi parte ricorrente contesta l'esistenza di una reale difformità tra lo stato di fatto e quello di progetto, evidenziando come il manufatto abbia rispettato il regolamento Comunale vigente per l'installazione delle strutture precarie e ciò renderebbe illegittima sia l'Ordinanza di demolizione sia il diniego frapposto all'istanza di accertamento di conformità . 2.1. Il motivo è infondato. 2.1.1. La documentazione versata in giudizio evidenzia come la realizzazione e installazione del gazebo in questione si discosti in maniera sostanziale dai dati ed elaborati progettuali che hanno accompagnato la predisposizione del Modello Allegato F-13 inerente alla comunicazione di inizio dei lavori per interventi di edilizia libera. Occorre osservare che nel riquadro 3 "ulteriori profili di conformità " veniva dichiarato che "sull'area e sull'immobile oggetto d'intervento non sussiste alcun vincolo" e che, nella parte relativa alle asseverazioni tecniche veniva dichiarato che il manufatto "sarà realizzato come presentato nella simulazione di progetto". Nella Tavola 1 degli elaborati grafici, denominata "verifica struttura esterna concordata con la Soprintendenza ai beni paesaggistici" viene rappresentata la simulazione realizzativa del manufatto e il suo inserimento accanto all'area di insistenza del Complesso culturale "Sa fu. No.". Nel corso del sopralluogo condotto dal Corpo della Polizia Municipale sono emerse le difformità realizzative di agevole riscontrabilità (in particolare, avuto riguardo alla conformazione delle vetrate esterne e all'altezza del manufatto). Tale difformità è, d'altro canto, oggetto di riconoscimento da parte dello stesso ricorrente che si è attivato -successivamente alla notifica dell'Ordinanza- proponendo istanza per accertamento di conformità ex art. 16 della Legge Regionale 23/85. In definitiva, risulta corretto l'operato dell'amministrazione che, da un lato, ha rilevato, in occasione delle verifiche condotta sulla DUA del 20 febbraio 2020, la difformità tra quanto progettualmente proposto all'epoca della presentazione della prima DUA del 6 agosto 2019 intestata al Ba. Of. Bi. di Ma. Fr. e C. e quanto poi concretamente realizzato e, dall'altro, atteso che l'area su cui insiste tale gazebo è immediatamente prospiciente il bene culturale "Sa fo. NO.", ha rilevato l'esigenza del coinvolgimento della Soprintendenza ai fini del rilascio della necessaria autorizzazione. 2.1.2. Non colgono nel segno le considerazioni di parte ricorrente che afferma come la conformità dell'opera vada vagliata alla sola stregua del vigente regolamento comunale per il posizionamento delle strutture precarie, approvato dal Consiglio Comunale di (omissis) con Deliberazione Consiliare del 7 ottobre 2013, n° 74. Infatti, pur in assenza di una relazione architettonica riguardante l'intervento, ciò che assume rilevanza -anche in considerazione della particolare ubicazione della struttura di cui trattasi- è la verifica della stretta coerenza tra il realizzato e quanto indicato in progetto, soprattutto ove tale progetto sia stato concordato con la Soprintendenza. In particolare, proprio l'insistenza del "dehor" nelle immediate vicinanze del bene culturale rendeva particolarmente stringente l'osservanza delle caratteristiche d'impatto (anche visivo) del manufatto rispetto al bene culturale. In un simile contesto non può di certo assumere alcun rilievo ai fini del vaglio sull'odierno operato del Comune la circostanza della mancata acquisizione della formale autorizzazione da parte della Soprintendenza in fase di rilascio dell'Autorizzazione Unica del 2019. Il Comune ha, in prima battuta, rilevato la difformità tra lo stato di fatto e quello di progetto dell'installazione e, in tale occasione, ha riscontrato anche l'oggettivo mancato rispetto delle prescrizioni concordate, seppur in sede informale, con l'amministrazione competente in materia di tutela del bene. Tanto legittimava l'amministrazione ad attivare l'iter sanzionatorio e a operare un nuovo vaglio in merito alla necessità di coinvolgere il predetto Organo tutorio. 2.1.3. D'altronde, osserva il Collegio che, per giurisprudenza consolidata, i gazebo vanno considerati come manufatti idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, V, 1 dicembre 2003, n. 7822; sez. VI, sent. 6382 del 12 dicembre 2012; T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 18.07.2019, n. 3965). L'immediata vicinanza del Gazebo in questione sul bene culturale in questione, dunque, giustificava pienamente la contestazione avanzata dal Comune in merito all'assenza del necessario preventivo parere della Soprintendenza. 2.1.4. In definitiva, sul punto, atteso che la Soprintendenza archeologica, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro ha attestato con nota del 19 agosto 2020 prot. 7993 che "il complesso denominato "Sa fo. NO." è un bene culturale sottoposto alla disciplina di tutela ai sensi dell'art. 10 del Codice dei beni culturali e del Paesaggio", e che il Gazebo posto nelle immediate vicinanze di tale complesso è stato realizzato con modalità difformi da quelle progettate e concordate con la predetta Soprintendenza all'epoca della presentazione della DUA cui ha fatto seguito il rilascio del provvedimento autorizzativo 74/2019, risulta infondato il motivo di censura laddove contesta l'esistenza di siffatte difformità e la derubricabilità di siffatte difformità che, invece, l'Amministrazione ha correttamente qualificato quali varianti essenziali. Parimenti, in tale contesto, la possibilità di ottenere la sanatoria presuppone il previo conseguimento dell'autorizzazione ai sensi dell'art. 21 del D.Lgs 42/2004, in base a quanto prescritto dall'art. 23 del medesimo codice dei beni culturali. Dalla stessa mail inoltrata dal ricorrente alla Soprintendenza recante la data del 14 settembre 2020 a firma del Geometra Masia, si dà atto di come tale autorizzazione non sia stata richiesta (cfr allegato n° 21 delle produzioni del 12.9.2023 del ricorrente nel ricorso NRG 682/2020). Pertanto, anche considerato che non risultano agli atti ulteriori iniziative da parte del ricorrente volte al conseguimento di tale autorizzazione o a far emergere eventuali inerzie da parte degli uffici preposti, non risulta di certo censurabile la posizione assunta dall'amministrazione comunale con la nota del 6 agosto 2020 in merito all'impossibilità di dare ulteriore corso all'istanza per accertamento di conformità . 2.2. Con riguardo al secondo e quarto motivo di gravame rivolto all'ordinanza di demolizione (riprodotto nel IV e III° motivo di ricorso avverso il diniego all'accertamento di conformità e che, stante l'omogeneità contenutistica, possono essere scrutinati congiuntamente) parte ricorrente si duole dell'operato contraddittorio dell'Amministrazione che avrebbe dapprima ritenuto non necessario il coinvolgimento della Soprintendenza salvo voi contestare al ricorrente la mancata acquisizione della relativa autorizzazione, della impropria applicazione del disposto dell'art. 21 del codice dei beni culturali, in quanto l'intervento in questione non insisterebbe direttamente sul bene culturale ma solo nelle sue vicinanze e, infine, della mancata applicazione del Decreto legge 16 luglio 2020, convertito in legge 120/2020 che avrebbe escluso in radice la necessità di una simile autorizzazione per l'apposizione di strutture amovibili nelle vie o piazze di cui alla lettera "g" dell'art. 10 del Codice dei beni culturali. 2.2.1. Anche tale motivo non è suscettibile di apprezzamento. Ha già osservato il Collegio come la riscontrata difformità tra la struttura realizzata e oggetto del provvedimento ingiunzionale e quella di cui al progetto allegato in sede di DUA del 2019 rappresenti ex sé titolo per l'attivazione del provvedimento repressivo sanzionatorio attivato dall'amministrazione comunale; né l'eventuale carenza formale nell'iter procedimentale, correlata alla mancata acquisizione da parte del SUAPE dell'autorizzazione della soprintendenza preclude all'amministrazione di operare, all'atto dell'istruttoria della nuova DUA presentata, un vaglio sulla completezza documentale. In merito la giurisprudenza ha osservato che "La preventiva autorizzazione della Soprintendenza è un adempimento obbligatorio, indipendentemente dalla natura dell'intervento edilizio. Il già evocato art. 21 comma 4 del D.Lgs. n. 42 del 2004, nel regolare tutte le ipotesi non rientranti nella casistica precedente, impone di acquisire il titolo autorizzatorio dell'autorità statale per "l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali": da tale disposizione si evince univocamente che il profilo paesaggistico conserva la propria autonomia rispetto alla vicenda edilizia, e prescinde totalmente dal regime delineato per quest'ultima e dalla necessità di ottenere preventivamente un titolo abilitativo o di depositare una dichiarazione (S., CILA o CIL). Su tale conclusione non può certamente interferire un provvedimento amministrativo adottato per la standardizzazione delle procedure, essendo del tutto evidente che un'omissione nell'elenco dei documenti da allegare non può depotenziare il livello di tutela del bene culturale, afferendo il vincolo a un valore costituzionalmente tutelato (cfr. art. 9 Carta costituzionale)." (T.A.R. Emilia-Romagna Bologna Sez. II, Sent., 31-08-2021, n. 771.) 2.2.2. Peraltro, come parimenti evidenziato, l'insistenza del manufatto in un'area "sensibile" per via della presenza del bene culturale "Sa fu. No." era ben presente in capo al dante causa dell'odierno ricorrente atteso che prima della presentazione del progetto era intercorsa l'informale interlocuzione con la Soprintendenza all'esito della quale erano state concordate le caratteristiche tipologiche dell'installazione. Appare, sotto tale profilo, di non scarso rilievo il contenuto della documentazione inerente allo scambio di email nelle quali si fa riferimento all'esigenza di attenuare l'impatto dell'intervento utilizzando precauzioni a "tutela del bene storico". In tale contesto si evidenzia che "la struttura sarà il più possibile leggera, in riferimento alle sezioni degli elementi orizzontali e verticali" (laddove proprio uno degli elementi di difformità riscontrati rispetto al rendering progettuale è legato a tali elementi afferenti alla struttura esterna). 2.2.3. Non appaiono condivisibili neppure le considerazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per il necessario conseguimento dell'autorizzazione ex art. 21 del Codice Urbani. Infatti, atteso che come sopra evidenziato la soprintendenza ha attestato che il complesso "Sa fo. NO." è bene culturale tutelato, ne discende che l'intervento edilizio in parola, in quanto posto nelle immediate vicinanze del manufatto (e dunque idoneo ad impattare sulla sua visibilità e dunque sulla sua fruizione), abiliti l'ente preposto alla sua tutela al rilascio nei conseguenti nulla osta e all'adozione delle prescrizioni utili a contemperare gli interessi coinvolti. D'altronde, e a ben vedere, ciò che è avvenuto nella interlocuzione che ha condotto alla predisposizione del progetto del 2019 ed alla illustrazione dell'intervento nel "rendering" di cui alla Tavola 1, concordata con la Soprintendenza è proprio questo: trovare una soluzione costruttiva che minimizzasse l'impatto visivo del gazebo e che, pertanto, non incidesse oltremodo sul bene culturale viciniore. Il tutto con l'obiettivo di far sì che la misura limitativa dell'altrui sfera giuridica (nella specie, delle facoltà proprietarie dei soggetti incisi dall'imposizione del vincolo) sia, oltre che idonea a conseguire l'obiettivo di tutela prefissato, al contempo necessaria (non sussistendo misure alternative meno restrittive), nonché sostenibile per il destinatario, non elidendo il contenuto essenziale del diritto o della libertà all'uopo limitate (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 26 giugno 2019, n. 4403). 2.2.4. Non condivide dunque il Collegio la lettura data dal ricorrente all'art. 10 del codice dei beni culturali laddove, nella sostanza, esclude qualsiasi coinvolgimento degli organi posti a tutela dei beni culturali laddove gli interventi edilizi non riguardino i beni stessi ma strutture poste nelle immediate vicinanze. Infatti, è evidente che una siffatta interpretazione giungerebbe a estromettere gli Organi preposti alla tutela di tali beni dall'avere voce in capitolo rispetto ad iniziative edilizie che potrebbero concretarsi nel completo "oscuramento" del bene o comunque nel pregiudicarne in maniera anche importante e financo irreversibile la fruizione collettiva e la visibilità . Va rammentato che il manufatto in questione, in quanto edificato nei primi del novecento è da ritenersi appartenente al demanio culturale e vincolato ope legis, anche a prescindere dal tema della verifica, formalmente compiuta, circa la rilevanza storico-artistica del cespite, atteso che "per gli edifici pubblici edificati da autore non più vivente e da oltre settanta anni (termine elevato con L. n. 106 del 2011) - quale quello di cui si discorre, vige la presunzione di rilevanza quali beni culturali, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.10 e 12 del D.Lgs. n. 42 del 2004, fino all'eventuale verifica di rilevanza culturale, demandata agli uffici del Ministero della Cultura, anche ad istanza dei privati interessati. In assenza di siffatta verifica, ovvero nelle more della stessa, il bene risalente, se appartenente agli enti pubblici, giusto il riferimento all'art. 10, comma 1, si presume assoggettato al Codice dei Beni Culturali ed alla relativa tutela. La giurisprudenza ha precisato che, "dalle disposizioni di cui agli articoli 10, comma 1, e 12, commi 1, 2, 4 e 10, lette in raccordo tra di loro, emerge una presunzione relativa, provvisoria e temporanea, di "qualità culturale" del bene... dal che consegue la soggezione, in via cautelare e temporanea, del bene, alla disciplina di tutela dettata per i beni culturali, (....)L'art. 12 del codice ha previsto cioè una "misura di salvaguardia" (così Cons. Stato, n. 3361/2008 cit.) sui beni immobili suddetti, sulla base dell'appartenenza soggettiva e per il carattere risalente del bene, indipendentemente da una (prima) determinazione esplicita dell'organo statale competente sull'interesse storico-artistico del bene, apprezzamento che formerà oggetto della verifica d'interesse culturale di cui al citato art. 12 D.Lgs. n. 42 del 2004....." (v., in senso conforme, Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, 1.4.2019, n. 306; Consiglio di Stato, 16.7.2015, n. 3560; Tar Roma, 30 ottobre 2018, n. 10465; T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 05.05.2023, n. 7654). 2.2.5. D'altronde, osserva il Collegio come, atteso che l'art. 10 comma 4 lettera g) annovera tra i beni culturali oggetto di tutela "le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico" è evidente che l'area su cui insiste il complesso Fo. NO., sia conseguentemente suscettibile di tutela. Traguardata in una più ampia ottica va osservato come l'area immediatamente addossata al complesso culturale in questione pur non essendo formalmente assoggettato al vincolo indiretto di cui all'art 45 d.lgs 42/2004, ben possa (e debba) essere oggetto del vaglio della soprintendenza allorquando la stessa sia interessata da installazioni quali quella in questione. Anche sotto tale profilo si è osservato che "sono oggetto di tutela non solo gli immobili considerati nella loro struttura edilizia, ma anche le cose che, costituendone pertinenza, contribuiscono a salvaguardare l'interesse storico ed artistico del bene al fine di garantire "un'adeguata protezione dell'immobile di interesse culturale considerato nel suo complesso, sebbene debba tenersi conto della possibilità di imposizione dei vincoli di tutela indiretta di cui all'articolo 45 del D.Lv. 42\2004 (già previsti dall'articolo 21 legge 1089\39)."(Cass. Sez. III n. 45149 del 11 novembre 2015.) 2.2.6. Anche il riferimento alla normativa medio tempore introdotta dal Decreto legge 16 luglio 2020 n° 76 non appare militare nel senso prospettato da parte ricorrente. La norma, infatti, dopo aver precisato che "Non è subordinata alle autorizzazioni di cui agli articoli 21, 106, comma 2-bis, e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la posa in opera di elementi o strutture amovibili sulle aree di cui all'articolo 10, comma 4, lettera g), del medesimo Codice," chiarisce che tale esenzione non opera "per le pubbliche piazze, le vie o gli spazi aperti urbani adiacenti a siti archeologici o ad altri beni di particolare valore storico o artistico." Come evidenziato, nel caso di specie, l'installazione in questione è attigua al bene culturale e pertanto non è esentata dall'ottenimento della prescritta autorizzazione da parte dell'organo di tutela. Né può condividersi l'assunto di parte ricorrente secondo il quale al di fuori del centro storico l'autorizzazione non sarebbe richiesta. Infatti, oltre al dato letterale che non fa riferimento alla localizzazione nel centro storico, ciò che assume rilievo è l'immediata adiacenza rispetto al bene di particolare valore storico o artistico che determina, come visto, il necessario coinvolgimento della Soprintendenza. In conclusione, anche i suindicati motivi di doglianza sono infondati. 3. La reiezione dei sopra scrutinati motivi di ricorso unitamente alla natura plurimotivata del provvedimento di demolizione consentono l'assorbimento del motivo rubricato sub n° 3 nel ricorso nrg n° 475/2020 ed in quello contraddistinto con il n° 2 nel ricorso nrg n° 682/2020, atteso che è possibile evocare l'insegnamento della giurisprudenza secondo cui, nel caso in cui il provvedimento amministrativo sia sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, è sufficiente a sorreggere la legittimità dell'atto la fondatezza anche di una sola di esse; un atto amministrativo plurimotivato resiste all'annullamento in sede giurisdizionale se risulta sussistente anche una sola delle ragioni che lo sorreggono (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 27/09/2021, n. 6470; Consiglio di Stato sez. IV, 30/08/2021, n. 6115; Tar Lazio, sez. V bis, 08/07/2022, n. 9418). Pertanto, "nell'ambito di un giudizio amministrativo, in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente il riscontro della legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell'intero ricorso in considerazione del fatto che anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata" (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 18 febbraio 2021, n. 1468; sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2366; sez. V, 12 marzo 2020, n. 1762, e più di recente Cons. Stato Sez. IV, Sent., 31-07-2023, n. 7405)". 4. Conclusivamente, tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso, i ricorsi nrg. 472/2020 e nrg. 682/2020, siccome riuniti, si rivelano infondati e pertanto, meritevoli di reiezione. 5. La particolarità delle questioni sottoposte al Collegio giustificano l'integrale compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna Sezione Seconda, previa riunione dei ricorsi indicati in epigrafe e definitivamente pronunciando sugli stessi, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lensi - Presidente Gabriele Serra - Referendario Roberto Montixi - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 488 del 2023, proposto da Ma. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG 98825645CD, 988588498C, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Le., Gu. Ri., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di Sassari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ru., Si. Pa., Ma. Id. Ri., Al. Se., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento - della Determinazione n. 2078 del 14.6.2023 con la quale il Dirigente del Settore Contratti Pubblici del Comune di Sassari ha indetto una procedura di scelta del contraente dell''Appalto Specifico per l''affidamento, tramite Accordo Quadro con un solo operatore economico per lotto, del Servizio di pulizia per gli immobili in uso, a qualsiasi titolo, dal Comune di Sassari suddiviso in due lotti funzionali (lotto 1 uffici CIG 98825645CD e lotto 2 Altri Immobili CIG 988588498C) per il periodo agosto 2023 - luglio 2027 ai sensi degli artt. 54, 55, 61 D.Lgs. n. 50/2016 - di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, in particolare: del bando di gara e degli allegati al medesimo. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sassari; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2023 il dott. Gabriele Serra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Parte ricorrente ha esposto di essere risultata vincitrice della selezione in base alla quale ha stipulato la Convenzione Lotto 6 - Rep. n. 20 - Prot. n. 2939 del 9.4.2021 con la Centrale Regionale di Committenza della Regione Sardegna, con scadenza 8.4.2024. Pur avendo comunicato al Comune di Sassari la circostanza e invitato lo stesso ad aderire alla convenzione per la pulizia dei propri uffici, il Comune ha - con la Determinazione n. 2078 del 14.6.2023 - oggi impugnata - bandito Appalto Specifico da aggiudicare secondo il criterio dell'offerta più vantaggiosa. 2. Avverso tale atto la ricorrente ha dedotto: - I Violazione di legge (art. 26 L. 488/1999 - art. 9 comma 3 bis D.L. 66/2014), in quanto il Comune ha l'obbligo di aderire alla convenzione stipulata dalla ricorrente con la Centrale regionale, poiché non sussistono gli elementi specializzanti che giustificano la scelta dell'ente di bandire una propria gara autonoma, né la motivata urgenza. - II Carenza di motivazione, difetto di istruttoria, poiché, in termini strettamente connessi alla censura precedente, la motivazione circa gli elementi specializzanti resa dal Comune ("non perfetta sovrapponibilità fra le prestazioni oggetto della Convenzione Cat (in termini di aree Omogenee e di tipologia di immobili) con quelle necessarie alla Stazione Appaltante, al non aggiornamento dei CAM (Criteri Ambientali Minimi) e delle tabelle retributive del CCNL di riferimento utilizzate per determinare il costo della mano d'opera") è illegittima. Infatti, le uniche aree non presenti nella Convenzione RAS sono quelle relative alle c.d. "Aree Fieristiche/Mercatali", relative al servizio da eseguire presso il Mercato Civico, che hanno una superficie pari a 1.388,00 mq su un totale derivante dalla somma dei due lotti pari a 50.956,65 mq., per una differenza pari a circa il 2,7%. Per cui, non vi sarebbe stata alcuna difficoltà ad inserirle con idonea integrazione nell'eventuale Piano dettagliato degli Interventi previsto per l'attivazione della Convenzione come fatto da altri enti per rispondere alle loro particolari esigenze, adattandolo così alle necessità specifiche del Comune. Quanto ai CAM, la ricorrente li ha rispettati in fase di redazione del Progetto tecnico della convenzione-quadro e, negli anni successivi all'aggiudicazione, si è adeguata alle modifiche prescritte dai D.M., mantenendo valide le certificazioni aziendali, fra cui la ISO 14001:2015 (Certificazione per i Sistemi Ambientali), in corso di validità e con scadenza a maggio 2025. In merito alle tabelle retributive, la Determina n. 296/2023 della R.A.S. relativa alla revisione prezzi, atto pubblico, contiene anche la tabella ministeriale relativa al costo manodopera, che risulta quindi perfettamente aggiornata. 3. Resiste il Comune di Sassari, che ha richiesto il rigetto del ricorso siccome infondato, ritenendo, in primo luogo, di non essere, già in astratto, obbligata ad aderire alla convenzione stipulata dalla ricorrente con la Regione; e comunque, in concreto, di aver congruamente motivato in ordine all'urgenza e alle specificità dell'appalto che giustificano l'indizione della gara autonoma, valorizzando in particolare la frequenza dell'attività e anche in parte la diversità dei locali, che sono caratteristiche essenziali del servizio ai sensi dell'art. 1, commi 507 e 510 della L. n. 208/2015 e del D.M. 28 novembre 2017. 4. Con ordinanza cautelare n. 208 del 4.8.2023 è stata disposta la sollecita fissazione dell'udienza di merito e, contestualmente, respinta l'istanza del Comune di ordinare l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti che hanno presentato offerta e quindi partecipato alla gara bandita, "in quanto, pur se contestata la stessa possibilità di indizione della gara, la mera partecipazione non fonda la titolarità di una situazione giuridica soggettiva rilevante ex ante, che ne determina la situazione di soggetti controinteressati nei cui confronti deve essere integrato il contraddittorio, ma è solo l'eventuale e successiva aggiudicazione in favore di uno di essi a far sorgere una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento e, di converso, la posizione di controinteressato dell'aggiudicatario; ". 5. All'udienza pubblica del 25.10.2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. La questione giuridica all'esame del Collegio attiene alla sussistenza o meno dell'obbligo del Comune di Sassari di aderire alla convenzione quadro CAT Sardegna per i servizi di pulizia, sanificazione e servizi ausiliari per tutte le amministrazioni ed enti della regione - Lotto 6 (Enti locali aventi sede nel territorio della Provincia di Sassari e l'Università degli Studi di Sassari), della quale è affidataria la ricorrente, per l'espletamento del servizio di pulizia ed igiene degli uffici ed altri immobili del Comune, che è stato invece oggetto di apposita procedura di gara. Orbene, stante le caratteristiche del servizio richiesto dal Comune di Sassari ed alla luce delle condizioni dell'appalto, che è stato bandito tramite Sistema Dinamico di Acquisizione (SDAPA) attraverso la piattaforma elettronica Consip - Acquisti in rete della PA, deve ritenersi infondato il ricorso. 7. A ben vedere, nella stessa giurisprudenza citata dalla parte ricorrente e su cui si fonda il ricorso, si annida la non condivisibilità della prospettazione attorea nel caso concreto. Il Consiglio di Stato, con la sentenza Sez. V, 10 maggio 2022, n. 3650 ha ricostruito il quadro normativo applicabile alla fattispecie nei seguenti termini: "L'art. 9, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014 stabilisce che: "Ferma restando quanto previsto all'articolo 1, commi 449, 450 e 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, all'articolo 2, comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, all'articolo 1, comma 7, all'art. 4, comma 3-quater e all'articolo 15, comma 13, lettera d) del decreto - legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze... sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche... nonché le regioni, gli enti regionali, gli enti locali di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 per lo svolgimento delle relative procedure". Il comma 3 bis stabilisce che: "Le amministrazioni pubbliche obbligate a ricorrere a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori ai sensi del comma 3 possono procedere, qualora non siano disponibili i relativi contratti di Consip S.p.A. o dei soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 in caso di motivata urgenza, allo svolgimento di autonome procedure di acquisto dirette alla stipula di contratti aventi durata e misura strettamente necessaria". Ai sensi dell'art. 1, comma 510, della legge n. 208 del 2015, "Le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulata da Consip S.p.A., ovvero dalle centrali di committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall'organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell'amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali". Con l'art. 9 del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazione, con legge 23 giugno 2014, n. 89, è stata introdotta la figura dei 'soggetti aggregatori" per l'acquisizione di beni e servizi. Le nuove disposizioni prevedono che possono fare parte dell'Elenco dei soggetti aggregatori, in primis, Consip ed una centrale di committenza per ciascuna regione 'qualora costituita ai sensi dell'articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 206'. L'art. 9, comma 3, del d.lgs. n. 66 del 2014 stabilisce che, entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base delle analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori, devono essere individuate alcune categorie di beni e di servizi (nonché le relative soglie), in relazione alle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, nonché le regioni, gli enti regionali, i loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale, debbono necessariamente ricorrere a CONSIP, oppure agli altri soggetti aggregatori operanti sul rispettivo territorio di riferimento, e ciò ai fini dello svolgimento delle relative procedure. Dall'esame delle disposizioni citate si rileva che la qualifica di soggetto aggregatore è riservata, oltre che a Consip e alle centrali di committenza regionali, ai soggetti istituiti dagli enti locali nell'ambito delle unioni di comuni, delle Province o mediante accordo consortile tra Comuni e, pertanto, da soggetti pubblici che costituiscono forme di aggregazione tra loro al fine di unificare e centralizzare la domanda di forniture, dovendosi, di contro, escludere da tale ambito i soggetti privati o che includono nella loro compagine enti pubblici e privati. Per le categorie di beni e servizi individuate dal Tavolo dei soggetti aggregatori, non sarà consentita l'indizione di autonome procedure da parte delle amministrazioni statali centrali e periferiche e delle regioni, degli enti regionali, nonché loro consorzi e associazioni, e degli enti del servizio sanitario nazionale". Di poi ha illustrato le finalità della disciplina in esame: "Le finalità perseguite sono il superamento della frammentazione delle stazioni appaltanti e l'eliminazione dell'inefficienza nella gestione delle procedure di gara, nell'ottica della razionalizzazione e del risparmio in termini di denaro pubblico, attraverso la riduzione del numero dei soggetti abilitati a bandire gare pubbliche. La centralizzazione delle procedure di approvvigionamento comporta anche l'annullamento dell'asimmetria informativa che si crea tra le stazioni appaltanti e le imprese appaltatrici, probabilmente derivante da un insieme di fattori inerenti alla qualità delle stesse stazioni appaltanti o alla maggiore o minore cadenza temporale in cui un soggetto aggregatore procede all'espletamento di procedure di gara". In ultimo - e il profilo è centrale nella nostra controversia - ha chiarito la portata della deroga all'obbligo di adesione alle convenzioni aperte da parte delle stazioni appaltanti, evidenziandone la stretta connessione, anche alla luce della giurisprudenza già maturata sul tema (tra cui quella richiamata dal Comune resistente), con il profilo della convenienza economica per la stazione appaltante: "Secondo l'art. 1, comma 510, l. n. 208 del 2015, infatti, la deroga alla convenzione potrebbe essere disposta soltanto per ragioni che attengono strettamente alle caratteristiche della prestazione essenziale, oggetto del servizio. (...) Come, invero, statuito da questa Sezione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1937) con riferimento alle gare Consip, di norma si rinvengono in sede di centralizzazione le migliori possibili condizioni di offerta da porre a disposizione delle amministrazioni, essendo consentito solo in via eccezionale e motivata alle stesse di procedere in modo autonomo, a condizione che possano dimostrare di aver ricercato e conseguito condizioni migliorative rispetto a quelle contenute nelle convenzioni- quadro, non essendo consentito alle singole amministrazioni travalicare le regole legali che sottendono al richiamato rapporto fra regola ed eccezione. (...). Secondo l'indirizzo condiviso della giurisprudenza di questo Consiglio, data la premessa secondo cui proprio ragioni di razionalizzazione della spesa devono spingere verso l'acquisizione di servizi e forniture, mediante convenzioni quadro, predisposte da soggetti aggregatori (Cons. Stato, Sez. V, n. 2914 del 2015), l'obbligo di adesione alle stesse può recedere solo quando l'amministrazione profili, nella motivazione del provvedimento di deroga, elementi 'specializzantà che interferiscono con il contenuto dell'obbligazione e con le conseguenti prestazioni incombenti sul soggetto affidatario, derivandone che l'accordo derogato non risulti suscettibile di concreto adattamento alle esigenze proprie del servizio nel concreto richiesto". Nella vicenda sottoposta al suo esame, il Consiglio di Stato ha poi concluso che "Nella fattispecie, tali elementi 'specializzantà non sono stati posti in evidenza dalla stazione appaltante, anche in sede di comparazione delle offerte presentate dal Consorzio Nazionale Servizi alla Città Metropolitana di Firenze e del Consorzio Leonardo Servizi al Comune di Lucca, per l'affidamento del servizio di pulizia e sanificazione giornaliera e periodica, degli uffici, degli altri locali e competenze comunali e delle pertinenze stradali". 8. A differenti conclusioni deve invece giungersi nel caso che occupa, risultando ed essendo stati evidenziati dalla stazione appaltante elementi specializzanti che imporrebbero un adeguamento delle condizioni stabilite nella convenzione di cui è affidataria la ricorrente tale da rendere meno conveniente, sul piano economico, l'adesione alla stessa rispetto alla gara autonoma bandita dal Comune, alla luce delle specifiche condizioni in essa previste. 9. In relazione al primo profilo, i.e. gli elementi specializzanti, come visto l'art. 1, comma 510, della legge n. 208 del 2015 fa riferimento alla diversità di caratteristiche essenziali delle prestazioni oggetto della convenzione rispetto a quelle della gara autonoma che l'amministrazione intende bandire. Ebbene, nel caso di specie, il Comune ha esplicitato come le proprie esigenze differiscano rispetto alla convenzione aperta sotto due profili: - il primo, relativo alla presenza di una area omogenea nuova, l'Area Fiere e Mercati, non presente nella convenzione aperta del CAT Sardegna, in quanto il servizio è da espletarsi anche presso il mercato civico di Sassari; - il secondo, relativo alla previsione di frequenze di svolgimento del servizio di pulizia assai maggiori di quelle previste nella convenzione. Sotto questo secondo profilo, Comune ha offerto piena prova dell'assunto in questione, ciò risultando dalle tabelle prodotte in giudizio relative alla convenzione aperta e alla gara bandita dal Comune (docs. 2 quater e 3 quater, nonché doc. 4 di raffronto). Le circostanze sono, in fatto, peraltro incontestate, laddove la ricorrente eccepisce che si tratti di aspetti marginali (evidenziando in particolare che l'area aggiunta è pari solo al 2,7% del totale), per cui sarebbe stato ben doveroso per il Comune aderire alla convenzione aperta e poi concordare "l'inserimento (secondo i costi orari predeterminati) nell'eventuale Piano dettagliato degli Interventi previsto per l'attivazione della Convenzione, come fatto da altri enti per rispondere alle loro particolari esigenze, adattandolo così alle necessità specifiche del Comune" (p. 3 memoria). La tesi non è però fondata per due ordini di ragioni. 10. In primo luogo, tali elementi specializzanti, come dedotto dal Comune, sono indicati nel D.M. 28.11.2017 come "caratteristiche essenziali" del Servizio di pulizia nell'ambito dell'atto regolamentare avente proprio ad oggetto la "Definizione delle caratteristiche essenziali delle prestazioni principali costituenti oggetto delle convenzioni stipulate da Consip S.p.a.", il quale infatti individua come caratteristiche essenziali del Servizio di Pulizia "1) Frequenza delle attività di pulizia; 2) Destinazione d'uso della superficie" (cfr. doc. 5 Comune pag. 16). Esse rappresentano dunque, ex lege, proprio l'elemento normativo ritenuto rilevante dall'art. 1 comma 510 cit. per abilitare l'ente alla deroga rispetto all'adesione alla convenzione aperta. 11. Ma, vieppiù, anche sotto il profilo teleologico e della ratio legis, come sopra ben esposta nella giurisprudenza richiamata, si coglie la specialità di tali elementi e la non condivisibilità della tesi attorea circa la necessità di adesione e poi successiva integrazione della convenzione aperta. Invero, come dimostrato sul punto dal Comune, "tale adattamento si sostanzia nel pagare, in aggiunta al prezzo di riferimento al metro quadrato previsto per area omogenea nella Convenzione, le prestazioni integrative necessarie per conseguire l'adattamento richiesto e, dunque, applicando per ciascuna di esse l'Elenco Prezzi allegato alla Convenzione; analogamente si sarebbe dovuto fare per le prestazioni da rendere nell'Area omogenea Fieristica Mercatale, area che, come detto, non prevista nella Convenzione citata" (p. 3 memoria). Tuttavia, il Comune di Sassari ha dimostrato di aver previsto, quali condizioni contrattuali, le medesime previste nella convenzione aperta, avendone utilizzato i medesimi parametri prezzo-qualità, come si evince dal bando di indizione della procedura e dalla motivazione che lo sorregge, che evidenzia proprio il "rispetto dei parametri di prezzo desunti dalla predetta Convenzione Cat Sardegna" e la scelta di "sondare il mercato attraverso lo strumento messo a disposizione da Consip SPA denominato "Sistema Dinamico di Acquisizione della Pubblica Amministrazione" (SDAPA) al fine di verificare la presenza di migliori condizioni economiche e qualitative" (p. 5), svolgendo peraltro una ampia motivazione in ordine alle verifiche condotte dall'ente (ad esempio del tutto mancate nel caso esaminato dalla sentenza del Consiglio di Stato citata dalla ricorrente) in ordine alle convenzioni aperte esistenti e verificata e motivata la non utilizzabilità delle stesse (pp. 3-5, ove risultano esaminate la Convenzione Consip "Facility Management 4", l'Accordo quadro per l'affidamento di servizi di Facility Management Grandi Immobili Lotto 18, stipulato da Consip S.p.A., l'Accordo Quadro per l'affidamento dei servizi di pulizia uffici, Università e Enti di Ricerca - ID 2076 e infine la Convenzione denominata "Convenzioni quadro per l'affidamento del servizio di pulizia, sanificazione e servizi ausiliari per tutte le amministrazioni ed enti della regione Sardegna "stipulata da Sardegna CAT per il "Lotto 6 - Enti locali di cui alla legge regionale n. 5/2017, articolo 2, comma 2, lettera b) aventi sede nel territorio della Provincia di Sassari e l'Università degli Studi di Sassari - CIG 7322950183). Se così è, risulta allora fondata e provata la tesi comunale per cui, posto l'utilizzo di tali parametri di prezzo nella gara bandita dal Comune, risulterebbe antieconomico per lo stesso aderire alla convenzione aperta e poi integrarla, in quanto "il bando del Comune di Sassari ha posto a base di gara i medesimi prezzi previsti nella Convenzione CAT Sardegna, e ciò sia per quanto attiene al prezzo unitario al metro quadro per Aree Omogenee, sia per quanto riguarda le singole prestazioni aggiuntive dell'Elenco prezzi, sicché, anche con ribassi percentuali ridottissimi, anche in decimi o centesimi, vi sarebbe comunque un risparmio di spesa rispetto a quanto previsto nella citata Convenzione aperta" o, comunque, "nel caso in cui venisse proposto in gara un ribasso pari allo 0%, il Comune avrà ottenuto agli stessi prezzi previsti dalla Convenzione CAT una prestazione di valore maggiore e dunque un indubitabile vantaggio in termini di qualità del servizio" in quanto "i prezzi unitari posti a base di gara per le Aree omogenee sono riferiti ad attività che prevedono livelli di frequenza degli interventi di pulizia ben superiori a quelli previsti nella Convenzione CAT Sardegna" (p. 3 memoria). Tali assunti sono condivisibili e logici e non risultano specificamente smentiti dalla parte ricorrente, dimostrandosi così come gli elementi specializzanti, incontestati, nel caso di specie, anche a non volerli considerare di per sé rilevanti ai fini dell'attivazione della deroga - trattandosi comunque di caratteristiche essenziali del servizio ai sensi del DM 28.11.2017 - si colorano di particolare rilevanza in ordine al risparmio di spesa che il Comune può conseguire dall'attivazione di una gara autonoma in luogo dell'adesione alla convenzione aperta, in quanto tale adesione non potrebbe avvenire puramente e semplicemente, ma solo previa integrazione con inevitabile aumento dei costi. E, così, appare altresì rispettata la ratio alla base dell'obbligo di adesione alle convenzioni aperte e della possibilità di deroga ad esso, con possibilità di bandire una gara autonoma, a condizioni non difformi da quelle della convenzione. 12. Sulla base delle superiori argomentazioni, il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato. Le spese del giudizio, stante la particolarità delle questioni giuridiche trattate, possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Lensi - Presidente Antonio Plaisant - Consigliere Gabriele Serra - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 793 del 2022, proposto dalle società -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Fr. Co. Or. e Ma. Si. Ch., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Fl. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso il suo studio in Cagliari, via (...); per l'annullamento della "Ordinanza di demolizione - rimozione opere e rimessione in pristino" n. 90 del 23/09/2022, a firma del Responsabile del Settore Edilizia Privata, Urbanistica, Grandi Opere e Ambiente del Comune di -OMISSIS-, notificata il 27 settembre 2022, e di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2023 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Le società -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, odierne ricorrenti, hanno impugnato l'ordinanza indicata in oggetto, con la quale il Comune di -OMISSIS- ordina la demolizione di opere abusive e il ripristino dello stato dei luoghi su un'area situata in località di -OMISSIS-, nel territorio del Comune di -OMISSIS-, distinta in catasto terreni al -OMISSIS-, di proprietà della società -OMISSIS- e gestiti dalla società -OMISSIS- 1.1. L'ordinanza è stata adottata a seguito di un sopralluogo effettuato in data 15 febbraio 2022 dall'Ufficio Circondariale Marittimo della Guardia Costiera di -OMISSIS- e dall'Ufficio Tecnico del Comune di -OMISSIS-, i cui esiti (con la relativa documentazione fotografica) sono riportati nella relazione prot. n. 2864 del 16.2.2022. In particolare, si evidenzia nell'ordinanza impugnata che: - gli interventi in oggetto insistono su aree sottoposte a vincoli come riportato nella citata relazione di sopralluogo e risultano in contrasto con le seguenti normative: d.P.R. n. 380/2001; d.lgs. n. 42/2004 (art. 142: "Aree tutelate per legge"); P.P.R. (art. 29: "Aree tutelate di rilevanza comunitaria); Direttiva 92/43/CEE (Rete Natura 2000); R.D.L. n. 3267/1923 (art. 1: "Vincolo idrogeologico"); legge n. 183/1989 e NTA PAI ("Pericolo Frana PAI, Rev. 42, Hg4"); - le opere in contestazione, stante la loro consistenza, sono di natura mista inquadrabili come "interventi di nuova costruzione e manutenzione straordinaria", riconducibili alla definizione di cui all'art. 3, lett. b) ed e), del d.P.R. n. 380/2001, quali roulotte, pergolati, recinzioni, pavimentazioni, spianamenti, aiuole e bordure con specie alloctone, reti di adduzione idrica ed elettrica sottotraccia e non, con la presenza di pozzetti di ispezione in calcestruzzo; - sono state oggetto di accertamento le seguenti opere: roulotte con copertura in rete sintetica, pergolati in legno con copertura in canne, terrapieno con aiuole e pavimentazione in blocchi di pietra calcarea e recinzione metallica; struttura con copertura in canne, teli plastici e rete sintetica laterale; roulotte; prefabbricato, pergolato in legno, pavimentazione con lastre in materiale cementizio, staccionata in legno e terrapieni, predisposizione di gradinata per discesa a mare; roulotte con copertura in telo plastico, pergolato in legno con copertura in rete sintetica, lavabo in materiale plastico; roulotte, pergolato in legno con copertura in canne, terrapieno con aiuole e bordure, staccionata in legno; spianamenti con predisposizioni impiantistiche; impianti elettrici e idrici sotto traccia con pozzetti in cls; - le opere sono state eseguite in assenza di titolo abilitativo, pertanto in violazione dell'art. 3 della l.r. 11.10.1985, n. 23, sicché sono soggette alle sanzioni previste dall'art 6 della stessa l.r. n. 23/1985. 1.2. Le ricorrenti premettono che l'area in questione, già di proprietà della società -OMISSIS- (che ha gestito la struttura sino all'anno 2017, richiedendo e ottenendo dai vari Enti competenti tutte le autorizzazioni e i titoli necessari per l'esercizio dell'attività ), è ora di proprietà della -OMISSIS- ed è nel legittimo possesso e nella disponibilità della società -OMISSIS-, in forza di contratto stipulato in data 20 gennaio 2017. Ciò premesso, le ricorrenti sostengono che nella vicenda in esame non è stata violata né la normativa edilizia né quella di tutela paesaggistica e ambientale e affidano il ricorso ai seguenti motivi. 1) "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della L.R. 11.10.1985, n° 23 e ss.mm.ii. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, erroneità dei presupposti, difetto e/o insufficienza di motivazione, contraddittorietà con precedenti determinazioni e arbitrarietà dell'azione amministrativa". L'area attrezzata a parcheggio in questione sarebbe dotata di tutti i titoli autorizzativi, edilizi e paesaggistici richiesti, e tutti i manufatti contestati sarebbero stati realizzati in conformità all'art. 3 della l.r. n. 23/1985, al Codice dei Beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004) e al Testo Unico dell'Edilizia (d.P.R. n. 380/2001); inoltre, l'attività imprenditoriale che vi viene svolta sarebbe munita di tutti i necessari titoli abilitativi richiesti dalla legislazione vigente. In primo luogo, sotto il profilo della conformità alle previsioni urbanistiche, le ricorrenti deducono che: - la destinazione urbanistica dei terreni nei quali ricade l'area in questione (zona H sottozona H1b del PUC) consente lo sfruttamento commerciale delle superfici in essa comprese; - l'art. 19 delle N.T.A. del PUC di -OMISSIS-, nel disciplinare le Zone H di Salvaguardia, descrive la Sottozona H1b, in particolare, come vocata alla "Salvaguardia paesaggistica, ambientale con fruizione turistica balneare e culturale al fine di non alterare lo stato dei luoghi", ed espressamente consente la realizzazione di: "e) opere di accesso al mare (strade carrabili e pedonali con relative aree di sosta attrezzate, belvederi etc.) e di supporto della balneazione, strutture leggere per le funzioni di spogliatoio, di ristorazione, di ricovero di attrezzature da spiaggia, posti di pronto soccorso e servizi igienici, indispensabili per la funzione turistica e la valorizzazione degli ambiti marini"; - i manufatti censiti al momento del sopralluogo si inquadrerebbero proprio nel contesto di tali previsioni pianificatorie e sarebbero stati realizzati per consentire lo sfruttamento del flusso turistico particolarmente intenso nell'areale della costiera di -OMISSIS-, soprattutto nei mesi estivi. In secondo luogo, le opere sarebbero munite dei necessari titoli autorizzativi edilizi e paesaggistici, ossia: - concessione per l'esecuzione di opere del 15.4.1993, prot. n. 2596 (corredata da allegata planimetria dell'area di intervento), in virtù della quale l'area in questione - -OMISSIS- - è adibita (da quasi trent'anni) ad area attrezzata a parcheggio (per la sosta di auto, camper, e roulotte); - autorizzazione ex art. 7 della l. n. 1479/1939, in data 29.3.1999 (prot. n. 1326), dell'Ufficio Tutela del Paesaggio della Regione, per i lavori relativi all'area attrezzata per parcheggi e percorsi pedonali, nella quale si rileva che "l'intervento proposto è sotto il profilo paesistico ammissibile in quanto non altera negativamente la percezione, la naturalità, l'energia e la profondità del quadro paesistico interessato, che abbraccia la distesa costiera e l'immediato entroterra"; - parere del Direttore Generale del Servizio di Vigilanza in Materia Edilizia dell'Assessorato degli Enti Locali, Finanza ed Urbanistica della Regione del 28.10.1999, secondo cui "se per la stessa area non vengono realizzate opere che comportino modifiche o trasformazioni urbanistiche del territorio (quali movimenti terra, opere edilizie, cementizie ecc.) (...) non è necessaria la concessione edilizia"; - approvazione ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. n. 357/1997 con determinazione n. 979/V del 7.5.2001 del Direttore Generale dell'Assessorato della Difesa dell'Ambiente della Regione (essendo l'area classificata quale "Sito di Importanza Comunitaria"), per il progetto di "valorizzazione turistico ambientale in località "-OMISSIS-", "-OMISSIS-", "-OMISSIS-"; - autorizzazione n. 15/93, rilasciata in data 9.7.1993, della Capitaneria di Porto del Compartimento Marittimo di Porto Torres, ai sensi dell'art. 55 del Codice della Navigazione; - autorizzazioni per il ripristino della rete idrica e dei cavidotti idrici ed elettrici, n. 52/A/99, prot. n. 3954, e n. 58/A/99, prot. n. 11893, dell'Ufficio Tecnico del Comune di -OMISSIS- in data 18.5.1999; - comunicazione in data 21.10.2017, tramite lo sportello SUAPE del Comune di -OMISSIS- (con pratica "a zero giorni"), relativa alla manutenzione di tutti gli impianti esistenti da decenni riguardanti l'area censita catastalmente al -OMISSIS-: "viabilità (eliminazione delle buche e livellamento); recinzioni di delimitazione della pista di accesso al mare; controllo degli impianti elettrici con risistemazione delle torrette di allaccio da parte dei camper; eliminazione delle buche e dislivelli nelle aree di parcheggio e sosta camper; "ottimizzazione" degli spazi di sosta con migliore distribuzione del verde; sostituzione canne di copertura aree di sosta auto e pali di sostegno delle stesse deteriorati dal tempo"; - autorizzazione dell'Ufficio Tutela del Paesaggio della Regione, prot. n. 2712 del 28.5.1999, per la sistemazione della pista esistente e la realizzazione di ombreggi nelle zone destinate a parcheggi (pergolati); - autorizzazione dell'Ufficio Tutela del Paesaggio, prot. n. 2274 del 13.4.2000, per le discese (o scalinate) a mare, unitamente al recupero e restauro di un fortino militare, alla sistemazione di una pista per escursioni a cavallo, alla realizzazione di servizi igienici e di impianto di sollevamento e trattamento liquami, alla posa in opera di due gazebo e di aste per bandiere; provvedimento con cui l'UTP ha anche prescritto che l'impianto di trattamento dei reflui fosse installato completamente interrato e che i pozzetti fossero completamente interrati; - concessione in sanatoria n. 46 dell'8.10.2001, prot. 9901, a seguito di domanda di accertamento di conformità presentata in data 9.7.2001, per le opere realizzate in Località -OMISSIS- e consistenti "in un gazebo, 5 aste porta bandiere, riporto di terreno, e n. due aree di sosta"; - autorizzazione ad eseguire i lavori n. 139/2003, prot. n. 5830 del 5.11.2003, dell'Ufficio Edilizia privata del Comune, per la pavimentazione e la realizzazione di ombreggi (pergolati) in Località -OMISSIS-; - autorizzazione in data 25.1.2010, prot. n. 2015/850, ex art. 151 del d.lgs. 28.10.1999, n. 490 del Comune di -OMISSIS-, Ufficio Tecnico - Servizio Urbanistico, per la realizzazione di una pista tagliafuoco e relativi impianti idrici e di accumulo idrico in prevenzione incendi in Località "-OMISSIS-", Zona Urbanistica H1b. In terzo luogo, le ricorrenti aggiungono che, con riferimento all'area in questione, anche questo Tribunale si è ripetutamente espresso positivamente sulla legittimità dei vari titoli e autorizzazioni rilasciate dall'Ufficio Tutela del Paesaggio (sentenze nn. 23, 24, 25 e 26 del 26.1.2001). 2) "Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. e.5, del D.P.R. n. 380 /2001 e ss.mm.ii.; Violazione e/o falsa applicazione della L.R. 13 ottobre 2022 n. 17 nonché del Glossario di edilizia libera e del D.P.R. 31/2017. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, insussistenza dei presupposti e arbitrarietà dell'azione amministrativa". Le ricorrenti deducono che l'attività imprenditoriale svolta nell'area è conforme alle previsioni urbanistiche dello strumento di pianificazione vigente e che ai fini del suo esercizio sono stati ottenuti tutti i titoli abilitativi necessari. Anzitutto, le esponenti rilevano che una parte del mappale è stato destinato ad area attrezzata di supporto alla balneazione (sosta sia per camper, sia per auto) e pertanto ha, quale destinazione d'uso, proprio quella di consentire il parcheggio per n. 400 auto e per n. 100 camper. Quanto ai titoli abilitativi conseguiti, poi, deducono che: - in data 22.5.1999 è stata rilasciata la licenza di parcheggio custodito a pagamento, prot. n. 285, del Settore della Polizia Amministrativa del Comune; - sempre con riferimento all'attività di area attrezzata per camper e sosta auto, è stata presentata allo Sportello S.U.A.P. del Comune apposita D.U.A.A.P. prot. n. 546 del 15.11.2009, vidimata in data 16.1.2009 (mentre in precedenza venivano depositate dichiarazioni annuali di inizio attività ai sensi dell'art. 19 della l. n. 241/1990); - durante il periodo invernale e, comunque, dal 1° novembre al 1° aprile dell'anno successivo vengono disattivati i servizi dell'area (elettricità, acqua), fruibili nel periodo estivo dagli utenti del camper service mediante allacci provvisori, ed è consentito unicamente ad alcuni proprietari o possessori di camper e/o di roulotte il rimessaggio invernale gratuito del proprio mezzo (attività consentita in uno spazio privato ad uso pubblico, considerato peraltro che l'attività di rimessa di autoveicoli, ai sensi del d.P.R. n. 480/2001, è espressamente indicata e prevista nel modello B14 allegato alla D.U.A.A.P.); - con D.U.A.A.P. presentata tramite sportello S.U.A.P.E. del Comune (pratica "a zero giorni" recepita con codice S.U.A.P.E. n. 1238 del 2.4.2017) è stato comunicato che in parte della gestione dell'area (all'interno dell'area identificata nel Catasto terreni al -OMISSIS-) era subentrata la società -OMISSIS-; - con D.U.A.A.P. presentata tramite sportello S.U.A.P.E. del Comune (pratica "a zero giorni" recepita con codice S.U.A.P.E. n. 1275 del 20.4.2017) è stato comunicato che l'attività di sosta camper e di parcheggio per auto sarebbe stata gestita dalla società -OMISSIS-, così come specificato nell'allegato modulo C4 di variazione attività . In ogni caso, sostengono le ricorrenti, la presenza delle roulotte sarebbe consentita in edilizia libera, a norma dell'art. 3, comma 1, lett. e), punto 5, del d.P.R. n. 380/2001, dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. 25.11.2016, n. 222, Tab. A, Sez. II - Edilizia - attività 16 e del Glossario edilizia libera, trattandosi di roulotte ricomprese in una struttura ricettiva all'aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzata sotto il profilo urbanistico, edilizio e paesaggistico. Quanto alle singole opere contestate (posizionamento di roulotte; la realizzazione di pergolati ed elementi ombreggianti; presenza di spianamenti e predisposizioni impiantistiche e di impianti interrati, idrici ed elettrici; presenza di scalinate di discesa a mare; presenza di staccionate in legno e terrapieni), le ricorrenti soggiungono che: - il posizionamento di roulotte nell'area sarebbe conforme alla destinazione urbanistica impressa all'area (area per sosta attrezzata); - anche la realizzazione di pergolati ed elementi ombreggianti sarebbe conforme alla destinazione urbanistica impressa all'area, in quanto si tratterebbe di interventi descritti al punto A17 dell'allegato A al d.P.R. n. 31/2017, che definisce come opere escluse da autorizzazione paesaggistica "le installazioni esterne poste a corredo di attività economiche (...) attività turistico-ricettive, costituite da elementi amovibili quali (...) elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, prive di parti in muratura o stabilmente ancorate al suolo"; - quanto agli spianamenti con predisposizioni impiantistiche e alla presenza di impianti interrati (idrici ed elettrici), la loro irrilevanza emergerebbe dal contenuto del decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, emesso in data 15 marzo 1995 dal G.I.P. dell'Ufficio della Pretura Circondariale di -OMISSIS-, a seguito della richiesta di archiviazione del P.M., sul procedimento penale che era stato attivato con riguardo alle opere in questione; nel corso degli anni, peraltro, sono state chieste e ottenute le autorizzazioni necessarie, secondo le normative vigenti, anche per il ripristino della rete idrica e dei cavidotti idrici ed elettrici; inoltre, l'attività di installazione e di manutenzione ordinaria dei manufatti e degli impianti è consentita quale attività di edilizia libera, sia dalla normativa nazionale sia da quella regionale; - con riguardo alla presenza di scalinate di discesa a mare, l'unica scalinata esistente nell'area sarebbe ricompresa in quanto autorizzato dall'Ufficio Tutela del Paesaggio della Regione con provvedimento prot. 2274 del 13.4.2000, la cui legittimità è stata confermata da questo Tribunale con la sentenza n. -OMISSIS-, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. -OMISSIS-; - con riferimento alla presenza di staccionata in legno e terrapieni, non sarebbe necessario un titolo edilizio, trattandosi di intervento di trasformazione dal quale non deriverebbe un'apprezzabile alterazione ambientale, estetica e funzionale; i terrapieni, peraltro, sono contemplati al n. 13 dell'Allegato A al d.P.R. n. 31/2017 e possono rientrare tra gli interventi di edilizia libera. 3) "Violazione e/o falsa applicazione degli art. 3, 6 e 14 della L.R. n. 11.10.1985, n° 23 e ss.mm.ii.; Eccesso di potere per difetto di istruttoria, e carenza di motivazione". In subordine, le ricorrenti lamentano che mancherebbe nell'ordinanza gravata la rigorosa e analitica individuazione di ciascuna opera, o parte di opera, abusiva, la corretta qualificazione secondo le differenti tipologie e l'applicazione delle conseguenti sanzioni, al fine di consentire al destinatario, per ciascun abuso, di adeguarsi spontaneamente, chiedere la sanatoria ovvero ricorrere in sede giurisdizionale contestando l'operato dell'Amministrazione. Il provvedimento impugnato, al contrario, conterrebbe solo una descrizione sommaria dei manufatti e la generica affermazione che tali opere sarebbero state realizzate in carenza e/o violazione dei titoli edilizi e delle autorizzazioni paesaggistiche richiesti. Né la richiamata relazione di sopralluogo sarebbe idonea a sopperire a tale carenza. Inoltre, l'ordinanza contestata assoggetta a demolizione tutte le opere e manufatti indicati in modo indistinto e acritico, senza considerare che le opere e manufatti soggetti ad autorizzazione edilizia potrebbero essere sanzionati con la sola sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 14 della legge regionale n. 23/1985. 4) "Violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 183/1989 e delle N.T.A. del PAI come modificate dall'art. 31, c. 2 lett. c, della Delibera del Comitato Istituzionale dell'Autorità di Bacino n. 1 del 3/10/2019; Eccesso di potere per difetto di istruttoria, e carenza di motivazione". Sarebbe del tutto generico il richiamo al vincolo idrogeologico e/o da pericolosità da frana quale giustificazione dell'ordinanza di demolizione. Ciò in quanto, nel provvedimento gravato, si afferma che l'area ricade in "fascia di alta pericolosità da frana", individuata con la sigla Hg4, senza tuttavia indicare specificamente i singoli manufatti che ricadrebbero nella fascia di pericolosità, e quindi quali di essi siano ammissibili a sanatoria e quali eventualmente non lo siano per la presenza del citato vincolo di alta pericolosità da frana, nonostante la relativa vastità del compendio considerato e la differente giacitura delle varie porzioni di terreno rendano incongrua l'assenza di qualsivoglia distinzione al riguardo. Soggiungono, al riguardo, le ricorrenti che le opere presenti nell'area attrezzata per cui è causa e le tipologie di interventi correnti sarebbero comunque consentite dalle vigenti disposizioni di legge e regolamento. 1.3. Si è costituito per resistere al ricorso il Comune intimato. 1.4. Alla camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2022 il Collegio ha respinto l'istanza cautelare. 1.5. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle rispettive posizioni. 1.6. Alla pubblica udienza del giorno 24 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione. 2. Il ricorso è infondato, per le ragioni che di seguito si espongono. 2.1. Anzitutto, occorre evidenziare che l'assunto di parte ricorrente, secondo cui l'area in questione è adibita da quasi trent'anni ad area attrezzata a parcheggio (per la sosta di auto, camper e roulotte) in virtù di concessione per l'esecuzione di opere del 1993 è smentita dalla documentazione depositata dal Comune. Invero, le foto satellitari tratte da Go. Ea. (docc. 4-8 del Comune) dimostrano che l'area oggetto dell'ordinanza di demolizione, situata all'estremo sud della spiaggia di -OMISSIS-, fino al 2021 era completamente inedificata, economicamente inutilizzata e libera da cose, e che solo negli anni 2021/2022 i ricorrenti hanno posizionato le roulotte e realizzato i manufatti contestati (cfr. foto sub doc. 5 del Comune, relativa all'aprile 2022). Ne consegue che tutti i titoli autorizzativi evocati dalle ricorrenti in ricorso non possono che essere riferiti ad altre due aree, anch'esse di loro proprietà, poste rispettivamente a nord e ad est della spiaggia di -OMISSIS- (visibili anch'esse nelle foto satellitari sub docc. 6-8 del Comune) adibite sul finire del secolo scorso ad aree sosta/parcheggio. Ciò, del resto, trova conferma anche negli elaborati progettuali allegati ai provvedimenti depositati da controparte sub docc. 24 (autorizzazione del 13 aprile 2000 dell'Ufficio Tutela del Paesaggio della Regione) e 25 (concessione in sanatoria in data 8.10.2001), nei quali la zona a sud in questione risulta estranea agli interventi autorizzati e addirittura "fuori progetto". Nello stesso senso milita, inoltre, la sentenza di questo Tribunale n. -OMISSIS- (per vero, richiamata dalle stesse ricorrenti), con la quale è stata annullata l'ordinanza di demolizione adottata all'epoca dal Comune sul presupposto che fossero state realizzate, nella zona sud per cui è contenzioso, opere di movimento terra funzionali alla realizzazione di una ulteriore terza area parcheggio, non autorizzata. La sentenza in parola, infatti, proprio con riferimento all'area posta a sud della spiaggia di -OMISSIS-, chiarisce che "la zona di parcheggio contestata (...) non esiste, come zona sosta, nei programmi costruttivi della -OMISSIS-, trattandosi in realtà, anche in questo caso, della temporanea risultante dei lavori (ancora in corso d'opera) di decespugliamento e pulizia". Peraltro, come efficacemente dedotto dalla difesa comunale, anche a voler ipotizzare che i titoli assentivi rilasciati negli anni novanta e nei primi anni duemila per la realizzazione dell'area parcheggio si riferissero anche alla zona sud, tali titoli sarebbero certamente decaduti in conseguenza della mancata realizzazione di opere per oltre vent'anni, di guisa che non avrebbero mai potuto legittimare la realizzazione delle opere abusive contestate con l'ordinanza impugnata. 2.2. Alle considerazioni appena esposte, che già di per sé rivestono carattere dirimente ai fini della reiezione del gravame, il Collegio ritiene comunque utile aggiungere i seguenti ulteriori rilievi. 2.2.1. In primo luogo, il fatto che la destinazione urbanistica dell'area sia astrattamente compatibile con lo svolgimento dell'attività di area attrezzata a parcheggio non ha alcun rilievo, giacché, come appena visto, l'area de qua non è stata oggetto di titolo assentivi di sorta ed è rimasta priva di interventi antropici fino al 2021. 2.2.2. Parimenti irrilevante è la circostanza che la ricorrente, nel 1999, avesse richiesto e ottenuto le autorizzazioni per il "ripristino della rete idrica e dei cavidotti idrici ed elettrici", poiché anche tali titoli, per quanto detto sopra, non possono che riferirsi alle opere eseguite nelle aree parcheggio autorizzate a nord e a est della spiaggia di -OMISSIS-. Non vi è prova, agli atti di causa, che le opere in contestazione esistessero prima del 2021/2022, sicché anche i richiami di parte ricorrente all'attività di manutenzione ordinaria dei manufatti e degli impianti risultano inconferenti. 2.2.3. Contrariamente a quanto dedotto dalle ricorrenti, dunque, nell'area de qua non risulta ammesso né autorizzato in alcun modo lo svolgimento di attività di parcheggio auto/camper. In ogni caso, alle roulotte permanentemente installate nell'area di sosta non potrebbe nemmeno applicarsi il regime previsto per le "strutture ricettive all'aperto", perché le aree di sosta non sono sussumibili nella definizione di struttura ricettiva all'aperto rinvenibile nella normativa in materia (v., in particolare, l'art. 15 della l.r. n. 16/2017). 2.2.4. Quanto alla installazione di pergolati in legno e altri elementi ombreggianti, si tratta di manufatti posti a corredo di opere abusive (le roulotte), dei quali dunque il Comune ha correttamente ordinato la rimozione. 2.2.5. Analoga sorte, d'altra parte, seguono i non autorizzati spianamenti, movimenti terra e terrapieni, in quanto l'intervento consistente in lavori di movimento terra e livellamento del terreno, comportanti una modifica della conformazione dell'area, integra una trasformazione urbanistica e determina una alterazione permanente dell'assetto del territorio, da qualificarsi, in quanto tale, come intervento di nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 380/2001, subordinato al previo rilascio del permesso di costruire in forza dell'art. 10, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 380/2001 (ex multis, T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 912/2021; nello stesso senso, T.A.R. Campania - Napoli, n. 3874/2020). 2.2.6. Ad analoga conclusione deve pervenirsi, poi: - per gli impianti interrati idrici ed elettrici, poiché non risulta, come già detto supra, che parte ricorrente abbia mai presentato alcun progetto per la realizzazione di tali interventi né che abbia mai conseguito alcun titolo, considerato che i titoli del 2010 menzionati nel ricorso non possono riferirsi ad opere inesistenti prima del 2021/2022; - per la scalinata di discesa al mare, che non può trovare legittimazione in alcun titolo, essendo stata realizzata anch'essa soltanto nel corso del 2021/2022; - per le staccionate in legno, giacché le foto depositate in giudizio (v. doc. 3f del Comune, allegato alla Relazione di sopralluogo) ne evidenziano la finalità di delimitare abusivamente degli appezzamenti simili a "giardinetti" privati, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente. 2.3. Sotto diverso profilo, la censura con cui viene contestata la eccessiva genericità nella individuazione delle opere abusive non ha alcun pregio, in quanto l'ordinanza impugnata, siccome integrata dalla relazione di sopralluogo e dalle foto alla stessa allegate, fornisce una descrizione precisa e dettagliata di tutte le opere contestate. Del resto, l'ordine di demolizione di un abuso edilizio può essere motivato anche per relationem, facendo esplicito riferimento al verbale di sopralluogo e accertamento dell'abuso, senza che sia necessaria l'indicazione delle opere realizzate in difformità dal titolo in maniera minuziosa e particolarmente dettagliata (T.A.R. Campania - Napoli, n. 6856/2021 e T.A.R. Sicilia - Catania, n. 311/2021; v. anche T.A.R. Lazio - Roma, n. 3897/2022). 2.4. Con riguardo, infine, all'ultimo motivo, è sufficiente rilevare che gli atti impugnati, diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, individuano con chiarezza l'area che ricade nella fascia di alta pericolosità idraulica Hg4, identificandola con l'intero lotto sud in cui insistono tutte le opere oggetto dell'ordinanza di demolizione (v., in particolare, le due tavole raffigurate a pag. 3 della Relazione di sopralluogo, sub doc. 2 del Comune; v. anche le mappe PAI sub doc. 14 del Comune). Né, d'altra parte, può dirsi - per quanto sopra rilevato - che le opere in contestazione corrispondano a "opere di manutenzione ordinaria degli edifici", sicché non risultano applicabili nella fattispecie previsioni contenute nelle N.T.A. del Piano Stralcio del PAI che possano legittimarne la realizzazione in zona Hg4. 2.5. In definitiva, il ricorso va respinto. 2.6. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiarità della vicenda nel suo complessivo sviluppo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle ricorrenti. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati: Marco Buricelli - Presidente Tito Aru - Consigliere Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 653 del 2017, proposto da Ma. Pi., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Vi., Gi. De. e Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell'avv. Ma. Vi. in Cagliari, Piazza (...); contro INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - Direzione Provinciale di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati La. Fu. e St. So., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell'avv. La. Fu. in Cagliari, via (...); Ministero della Difesa, non costituito in giudizio; per l'accertamento dell'illegittimità delle trattenute sul TFR del ricorrente, effettuate dall'INPS in applicazione dell'art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 1032 del 1973; e per la condanna dell'Istituto resistente al pagamento delle somme relative. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Dato atto che in data 4 luglio 2022 il ricorso è stato assegnato al magistrato relatore in vista dell'udienza per la discussione nel merito, fissata per il 20 ottobre 2022; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 ottobre 2022, tenutasi da remoto, il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con l'odierno ricorso il sig. Ma. Pi., ex dipendente dell'Arma dei Carabinieri attualmente in quiescenza, chiede che venga accertata l'illegittimità delle trattenute effettuate dall'INPS nei suoi confronti, in applicazione dell'art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 1032 del 1973, sul TFR a lui spettante, instando altresì per la condanna dell'Istituto previdenziale resistente al pagamento delle relative somme. 2. Deduce in fatto il ricorrente che: - nel 1992, dopo aver subito la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari da parte dell'Amministrazione, è stato licenziato; - il licenziamento disciplinare, impugnato in sede giurisdizionale dall'interessato, è stato annullato con sentenza del Consiglio di Stato n. 5959/2002; - il ricorrente ha quindi intrapreso una serie di azioni giudiziarie volte ad ottenere l'esecuzione del dictum giudiziale e il conseguente riconoscimento dell'anzianità di servizio maturata con l'integrale pagamento delle retribuzioni non versate; - a seguito della proposizione del ricorso per ottemperanza l'Amministrazione ha reimmesso in servizio il ricorrente, inquadrandolo con il grado a lui spettante e ricostruendone la carriera, così come da sentenza del Consiglio di Stato n. 2392/2004; - nell'ambito di un successivo giudizio di ottemperanza attivato dal ricorrente il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5292/2006, ha nominato un commissario ad acta per determinare esattamente le somme dovute all'interessato a titolo di retribuzioni non percepite per l'intero periodo di interruzione del rapporto di lavoro; - in data 29.1.2016 il ricorrente è andato in pensione, quindi l'INPS, ai fini del calcolo della somma da liquidare, ha provveduto a detrarre la somma capitale di Euro 3.809,00, in quanto già liquidata nel 1992 subito dopo il licenziamento (somma, questa, non contestata dal ricorrente), e ad applicare un'ulteriore trattenuta di Euro 5.852,75 a titolo di interessi che sarebbero maturati sulle somme già corrisposte a titolo di TFR, in applicazione del disposto di cui all'art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 1032/1973. 3. Il ricorrente censura il descritto modus operandi dell'Amministrazione in quanto, a suo dire, il citato art. 4, comma 1, del d.P.R. n. 1032/1973 non sarebbe applicabile al caso in esame. Secondo la prospettazione attorea, infatti, la sentenza del giudice amministrativo avrebbe rimosso dall'ordinamento con effetti retroattivi il provvedimento illegittimo che aveva disposto il collocamento a riposo del ricorrente, in guisa tale che l'interruzione del rapporto di lavoro si sarebbe verificata in fatto ma non in diritto, con la conseguenza che il rapporto di lavoro in questione andrebbe inteso in senso unitario, senza alcuna soluzione di continuità . In quest'ottica non solo non potrebbe trovare applicazione la norma surrichiamata, ma nemmeno sarebbe applicabile l'art. 2033 c.c., in quanto il ricorrente ha percepito le somme a titolo di TFR in buona fede e l'Amministrazione non ne ha mai chiesto la ripetizione. 4. Si è costituito per resistere al ricorso l'intimato INPS, deducendo che: - l'Istituto ha inquadrato la fattispecie in esame non quale riassunzione in servizio ma come reintegra parificabile alla revoca del provvedimento di cessazione dal servizio con effetti ex tunc, provvedendo dunque alla messa a rimborso dell'intera somma precedentemente calcolata a titolo di interessi composti e all'inserimento come posta passiva della somma per interessi semplici dalla data di corresponsione della somma capitale fino alla nuova liquidazione della prestazione; - non si configurerebbe alcun pagamento indebito da parte dell'INPS, in quanto all'epoca l'istituto ha pagato correttamente in esito alla cessazione dal servizio per licenziamento; l'annullamento del licenziamento ha travolto in radice tale obbligazione, rendendo il pagamento eseguito sine titulo, ma non sarebbe corretto invocare la norma ex art. 2033 c.c. e la relativa regolamentazione degli interessi, né sarebbe configurabile alcun onere in capo all'Amministrazione di ripetizione espressa delle somme; - il ricorrente, all'atto dell'impugnazione del licenziamento, era consapevole di detenere somme probabilmente pagate sine titulo, sicché non vi sarebbe alcuna buona fede da tutelare, e d'altra parte l'INPS, estraneo al rapporto impiego, non aveva alcun titolo per contestare la bontà del pagamento effettuato; in ogni caso, anche dopo la sentenza di annullamento, il sig. Piredda ha continuato a trattenere la somma de qua nella consapevolezza dell'obbligo di restituzione; - l'art. 4 del d.P.R. n. 1032/1973, pur non direttamente applicabile alla fattispecie, sarebbe espressione di un principio generale, fatto proprio dall'Istituto nella prassi applicativa, secondo cui, quando si opti per la riliquidazione della intera indennità, deve necessariamente tenersi conto (quantomeno) della naturale fecondità del denaro in relazione alla somma corrisposta all'assicurato; - in altri termini, la somma di denaro corrisposta al ricorrente e mai da lui restituita deve considerarsi naturalmente fruttifera e produttiva di interessi, con la conseguenza che anche questi devono essere addebitati - sia pure nella misura di interessi semplici - e che gli interessi maturano dalla data del reintegro in servizio, configurandosi in capo all'interessato la piena consapevolezza dell'obbligo di restituzione. L'INPS, quindi, conclude per il rigetto del ricorso, con l'accertamento della correttezza della nuova liquidazione intercorsa nel 2017, in subordine chiedendo che venga accertato l'obbligo della debenza di interessi semplici dalla data di pubblicazione della sentenza che ha disposto l'annullamento del licenziamento. 5. Alla pubblica udienza del giorno 20 ottobre 2022, tenutasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è infondato. Al riguardo è sufficiente osservare quanto segue, secondo le modalità redazionali semplificate di cui all'art. 74 c.pa. 7. L'art. 4 (rubricato "Riliquidazione e supplemento dell'indennità ") del d.P.R. n. 1032/1973, al comma 1, prevede che "Al dipendente statale, che abbia conseguito il diritto all'indennità di buonuscita e venga riassunto, spetta la riliquidazione dell'indennità per il complessivo servizio prestato, purché il nuovo servizio sia durato almeno due anni continuativi. La riliquidazione viene effettuata sull'ultima base contributiva. Dal nuovo importo viene detratto quello dell'indennità già conferita e dei relativi interessi composti al saggio annuo del 4,25 per cento per il periodo, computato in anni interi per difetto, intercorrente tra la prima attribuzione e quella definitiva". 8. Come chiarito dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio, la norma di cui al citato art. 4 del d.P.R. n. 1032/1973 è applicabile in via analogica anche alla fattispecie in esame, ossia quella del venir meno della spettanza della buonuscita per fatto giurisdizionale di accoglimento di un ricorso, e chiarisce che la riassunzione in servizio o comunque il differimento della data di cessazione dall'attività, comporta il beneficio del calcolo dell'indennità di fine rapporto sul complesso dei servizi prestati come se non ci fosse stata alcuna soluzione di continuità, precisando tuttavia anche che sulla somma corrisposta all'atto della prima cessazione dal servizio vanno calcolati, a vantaggio dell'Amministrazione, interessi (corrispettivi) nella misura del 4,25% (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III-ter, n. 5700/2008; v. anche T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III, n. 7884/2003). In altri termini, in una situazione come quella creatasi nella fattispecie la base di calcolo non può che essere quindi computata tenendo conto dell'intero servizio prestato e dell'ultima retribuzione percepita, ma la precedente indennità già percepita deve essere trattenuta dal calcolo del nuovo TFS lordo e devono essere computati gli interessi passivi (cfr. T.A.R. Sardegna, n. 248/2021; cfr. anche C.d.S. n. 4142/2002, che ha evidenziato che "la pregressa percezione dell'indennità e la successiva riassunzione in servizio inducono a ritenere applicabile, ad onta dell'intervenuta revoca del primo provvedimento di collocamento a riposo, la disposizione speciale e di favore dell'art. 4, d.P.R. 1032/73"). 9. Ciò posto, deve concludersi che l'attività posta in essere dall'Amministrazione, nella vicenda di cui è causa, come sopra descritta, si pone in linea con il quadro normativo ed ermeneutico sopra delineato e resiste, dunque, alle censure dedotte. 10. In definitiva, il ricorso va respinto siccome infondato. 11. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022, tenutasi da remoto, con l'intervento dei magistrati: Tito Aru - Presidente FF Antonio Plaisant - Consigliere Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 914 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Ra. A. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno - Questura Cagliari, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Cagliari, via (...); per l'annullamento del decreto prot. 1662/2016/Cat6F/Decreti, del 28.7.2017, notificato in data 10.8.2017, con cui il Questore di Cagliari negava al ricorrente il rilascio (rinnovo) della licenza di porto di fucile per uso caccia. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e della Questura di Cagliari; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Dato atto che in data 4 luglio 2022 il ricorso è stato assegnato al magistrato relatore in vista dell'udienza per la discussione nel merito, fissata per il 20 ottobre 2022; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 ottobre 2022, tenutasi da remoto, il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente, premesso di aver chiesto al Questore di Cagliari il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso di caccia, ha impugnato il decreto indicato in epigrafe, con cui il Questore ha respinto l'istanza. 2. Il gravato diniego questorile si fonda sul presupposto che il ricorrente, con sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS-, è stato condannato a quattro mesi di reclusione per il reato di -OMISSIS- (art. -OMISSIS- c.p.) - in relazione al quale è stata concessa la riabilitazione con ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di -OMISSIS- - e che tale condanna per reati contro la persona è espressamente indicata, all'art. 43, primo comma, lettera a), del R.D. n. 773/1931 (Testo Unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza - TULPS), quale fatto ostativo al rilascio di licenze di porto d'armi. 3. Il ricorso è affidato al seguente unico motivo: - eccesso di potere per contradditorietà, violazione di legge, carenza di motivazione. Il ricorrente lamenta la contraddittorietà dell'agere dell'Amministrazione in quanto: - la Questura, successivamente all'ottenimento della riabilitazione da parte dell'interessato, aveva concesso allo stesso la licenza di porto d'armi annuale nel 2006 (titolo poi rinnovato per altri cinque anni, fino al 2012, e successivamente non rinnovato in quanto non richiesto); - il rinnovo poi richiesto nel 2016 veniva negato con il provvedimento impugnato, pur non essendo sopravvenuta alcuna ulteriore circostanza ostativa. Soggiunge il ricorrente che il provvedimento gravato sarebbe ulteriormente viziato sotto il profilo della carenza di motivazione: il Questore, a suo dire, non avrebbe potuto applicare automaticamente l'art. 43, comma 1, del R.D. n. 773/1931, ma avrebbe dovuto tener conto della avvenuta riabilitazione, del fatto che dal 2006 al 2012 l'interessato aveva ottenuto la licenza, del carattere risalente dei fatti per i quali era stato condannato (avvenuti circa 30 anni prima) e della mancata commissione di ulteriori reati. A sostegno delle proprie tesi il ricorrente richiama l'orientamento pretorio secondo il quale "in caso di condanne risalenti nel tempo, per le quali è stata ottenuta la riabilitazione, il suindicato art. 43, comma 1, R.D. n. 773/1931 non può essere applicato in modo automatico, "occorrendo piuttosto procedere ad una concreta prognosi che tenga conto", oltre che delle remote condanne, come nella specie risalenti ad oltre 40 anni fa, per uno dei reati indicati nella norma in commento, anche "della condotta tenuta dall'interessato nell'ampio lasso di tempo successivo alle condanne" e dei "fatti sintomatici della pericolosità effettiva ed attuale" del richiedente e/o di "ogni altro elemento utile a lumeggiarne la personalità, compresa la riabilitazione", tenuto pure conto del fondamentale principio dell'obbligo di motivazione, sancito dall'art. 3 L. n. 241/1990" (T.A.R. Basilicata - Potenza, Sez. I, n. 561/2017). 4. Si è costituito il Ministero intimato, chiedendo la reiezione del ricorso. La difesa erariale, in particolare, evidenzia che la decisione gravata - adottata in epoca antecedente alla modifica del secondo comma dell'art. 43 del TULPS (introdotta, a decorrere dal 14 settembre 2018, dall'art. 3, comma 1, lettera e), del D.lgs. 10 agosto 2018, n. 104) - ha natura vincolata, scaturendo dalla piana applicazione del primo comma dell'art. 43 TULPS, il quale, in presenza di una condanna per reati contro la persona, esclude che possa essere concesso il porto d'armi. Tale interpretazione rigorosa, aggiunge l'Avvocatura, trova conferma in due pareri del Consiglio di Stato (i pareri della Prima Sezione Consultiva del 16 luglio 2014 e del 6 luglio 2016). 5. Alla pubblica udienza del giorno 20 ottobre 2022, tenutasi in modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è infondato. Al riguardo il Collegio osserva quanto segue. 6.1. Occorre innanzitutto ripercorrere brevemente il quadro normativo ed ermeneutico che ha riguardato, in particolare, gli effetti di una condanna per uno dei reati ostativi previsti dall'art. 43, comma 1, del T.U.L.P.S. ai fini del rilascio e/o rinnovo della licenza d'armi da parte dell'Amministrazione, con specifico riferimento all'ipotesi in cui, per tale condanna, sia intervenuta una successiva riabilitazione. Sul punto vi è da dire che la precedente formulazione dell'art. 43 cit. (anteriore alla novella legislativa di cui al d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104, sui cui effetti si tornerà più avanti) attribuiva valore automaticamente ostativo alla sussistenza di una condanna per uno dei reati menzionati nel primo comma, senza alcun riferimento alla possibile rilevanza dell'intervenuta riabilitazione della stessa. In ciò, pertanto, la norma si distingueva rispetto a quanto previsto dall'art. 11 dello stesso TULPS per le autorizzazioni di polizia in generale, ai sensi del quale, "Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate... a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione". Ciò ha consentito il formarsi di due diversi orientamenti in seno alla giurisprudenza amministrativa circa la possibilità o meno di attribuire rilevanza all'intervenuta riabilitazione a fronte di istanze di rilascio o rinnovo di licenza d'armi, ai sensi dell'art. 43 T.U.L.P.S. Un primo orientamento (cfr. su tutte, C.d.S., Sez. III, 4 marzo 2015, n. 1072) ha accolto un'interpretazione estensiva che consente di attribuire rilevanza all'intervenuta riabilitazione, nel senso di far venir meno l'effetto direttamente e necessariamente ostativo dell'intervenuta condanna - con il conseguente potere-dovere di una motivata determinazione sulla complessiva situazione dell'interessato - anche rispetto ai reati menzionati nell'art. 43, comma 1, ai fini del rilascio e/o rinnovo di licenza d'armi. Il diverso e più restrittivo orientamento che, invece, negava la possibilità di dare rilevanza all'intervenuta riabilitazione si è in seguito imposto in sede consultiva (cfr. C.d.S., sez. I, 11 luglio 2016, n. 1620) e nella giurisprudenza prevalente (ex multis, C.d.S., Sez. III, 18 maggio 2016, n. 2019; 31 maggio 2016, n. 2312; 20 ottobre 2016, n. 4391; 9 novembre 2016, n. 4656; 9 novembre 2016, n. 4660; 10 novembre, n. 4664). In particolare, tale orientamento ha fatto leva sulla netta diversità dell'ambito di applicazione degli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., evidenziando che "tale diversità giustifica pienamente la scelta del legislatore di attribuire rilevanza alla riabilitazione solo quando si applicano le regole generali sulle "autorizzazioni di polizia" (di cui all'art. 11 e per i casi ivi previsti dal comma 1, lettera a), e non anche quando si applicano le regole speciali sulla "licenza di portare armi"" (C.d.S., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 4664, cit.). E questo in quanto nello specifico settore riguardante la licenza di porto d'armi non è in sé in discussione la possibilità di svolgere o meno una attività lavorativa (come avviene con riferimento invece alle più generali e diversificate autorizzazioni di polizia ex art. 11 cit.), ma sono coinvolti particolari valori concernenti la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica. Come ha rilevato la Corte Costituzionale (con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 440, par. 7, che ha condiviso quanto già affermato con la precedente sentenza n. 24 del 1981), il potere di rilasciare le licenze per porto d'armi "costituisce una deroga al divieto sancito dall'art. 699 del codice penale e dall'art. 4, primo comma, della legge n. 110 del 1975": "il porto d'armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, eccezione al normale divieto di portare le armi e che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il'buon usò delle armi stesse" (C.d.S., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 4664, cit.). Sono poi intervenute una serie di modifiche normative che hanno inciso sulla materia in questione. Dapprima sono intervenute alcune riforme del sistema penale che, nel consentire al giudice penale di non disporre la condanna anche per un reato di per sé 'ostativò al rilascio del titolo di porto d'armi, hanno notevolmente inciso sull'ambito effettivo di applicazione dell'art. 43, primo comma, del T.U.L.P.S. (C.d.S., Sez. III, 10 novembre 2016, n. 4664; id. 7 giugno 2018, n. 3435). Il rilievo dei 'reati ostativà individuati dall'art. 43 T.U.L.P.S. si è invero ridotto, da un lato, a seguito dell'entrata in vigore degli artt. 53 e 57 della l. n. 689 del 1981, per i quali il giudice penale - anche quando si tratti di uno dei 'reati ostativà - può disporre la condanna al pagamento della pena pecuniaria, in luogo della reclusione e, dall'altro, a seguito dell'introduzione dell'art. 131 bis c.p., relativo alla "Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto", con cui si è previsto un ulteriore istituto che consente al giudice penale di non disporre la condanna, sia pure per un reato di per sé 'ostativò ai sensi dell'art. 43, primo comma, del T.U.L.P.S. Pertanto, come rilevato dalla giurisprudenza, "si può ora ravvisare un quadro normativo che - nel valorizzare i principi di proporzionalità e di offensività - rileva anche sull'ambito dei poteri dell'Autorità amministrativa, con la conseguente attribuzione di poteri discrezionali, in presenza di reati considerati 'ostativà dal medesimo art. 43, primo comma, ma che non conducano alla condanna a pena detentiva, malgrado l'accertamento della relativa responsabilità " (C.d.S., Sez. III, 7 giugno 2018, n. 3435, cit.; 3 maggio 2016, n. 1698 e n. 1696; 18 maggio 2016, n. 2019). Nell'ambito del quadro sin qui delineato, in cui restava comunque fermo l'orientamento prevalente che sosteneva l'irrilevanza - a fronte di condanna a pena detentiva per uno dei reati previsti dall'art. 43, comma 1 - dell'intervenuta pronuncia di riabilitazione, si è inserita l'ultima modifica disposta dal già citato d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104, che ha inciso direttamente sulla formulazione della norma in questione. In particolare, per effetto di tale riforma, il secondo comma dell'art. 43 oggi prevede che "la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione, ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi". La successiva giurisprudenza ha recepito tale mutamento normativo, chiarendo, da ultimo, che "l'art. 43, comma 2, T.U.L.P.S attualmente in vigore (come modificato dall'art. 3, comma 1, lett. e, d.lgs. n. 104 del 2018), infatti, prevede che l'Amministrazione competente al rilascio o rinnovo del porto d'armi "può ", e non più "deve", rifiutarlo ai soggetti condannati per i delitti di cui al primo comma per i quali sia intervenuto il beneficio della riabilitazione, così configurando come discrezionale (e non più vincolata) la valutazione rimessa all'Autorità di pubblica sicurezza. Con la conseguenza che in una situazione (...) in cui le condanne penali risultino superate dalla concessione del beneficio della riabilitazione, l'Amministrazione dovrà procedere a considerare se la situazione complessiva del richiedente sia favorevolmente apprezzabile per l'assenza di ulteriori condanne e recidive, per la risalenza nel tempo delle condanne riportate, per l'esistenza di rinnovi pregressi del titolo e, più in generale, per la "buona condotta" tenuta negli anni" (C.d.S., Sez. III, 19 novembre 2019, n. 7901). Alla luce dell'evoluzione del quadro normativo ed ermeneutico sin qui delineato, è ora possibile procedere alla disamina della fattispecie concreta. 6.2. Come detto sopra, il provvedimento questorile impugnato è antecedente alla modifica del secondo comma dell'art. 43 del R.D. n. 773/1931, introdotta, a decorrere dal 14 settembre 2018, dall'art. 3, comma 1, lettera e), del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 104. 6.3. Si è visto che per effetto di tale riforma il secondo comma dell'art. 43, oggi, prevede che "la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione, ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi". 6.4. Si è anche osservato, al riguardo, che l'art. 43, comma 2, T.U.L.P.S attualmente in vigore, nel prevedere che l'Amministrazione competente al rilascio o rinnovo del porto d'armi "può ", e non più "deve", rifiutarlo ai soggetti condannati per i delitti di cui al primo comma per i quali sia intervenuto il beneficio della riabilitazione, configura dunque come discrezionale (e non più vincolata) la valutazione rimessa all'Autorità di pubblica sicurezza. 6.5. Orbene, nella fattispecie di cui è causa, come già rilevato, il Questore ha rigettato l'istanza del ricorrente in un momento in cui la formulazione dell'art. 43 cit. non faceva alcun riferimento all'intervenuta pronuncia di riabilitazione ed in cui l'orientamento ermeneutico era essenzialmente nel senso di escludere qualsiasi rilevanza alla suddetta circostanza (C.d.S., Sez. III, n. 7394/2022). Conseguentemente, il diniego impugnato deve ritenersi corretto, in quanto pienamente in linea con il quadro normativo ed ermeneutico vigente al momento della sua adozione. Come chiarito dalla giurisprudenza condivisa dal Collegio, infatti, la modifica legislativa del 2018 ha segnato un elemento di novità rispetto al passato e non può dirsi il risultato di un processo, per così dire, di interpretazione autentica di principi già consolidati, posto che, come visto, l'orientamento ermeneutico prevalso era nel senso opposto a quello che, da ultimo, risulta accolto dal legislatore (C.d.S., Sez. III, n. 7394/2022). 6.6. Né, infine, alcun rilievo può assumere, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, la circostanza che in passato l'istante aveva ottenuto la licenza (poi rinnovata per alcuni anni), atteso che nella fattispecie, giova ribadirlo, il quadro normativo ed ermeneutico vigente al momento della decisione non poteva condurre ad un esito differente dal diniego della domanda. Resta fermo, in ogni caso, che l'interessato potrà presentare all'Amministrazione una nuova istanza alla luce del mutato quadro normativo e del conseguente adeguamento interpretativo. 6.7. In definitiva, il ricorso va respinto. 6.8. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, tenuto conto della peculiarità della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022, svoltasi in modalità da remoto, con l'intervento dei magistrati: Tito Aru - Presidente FF Antonio Plaisant - Consigliere Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 206 del 2022, proposto da: Il Qu. El. Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Va. La. e Ro. Uz., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro - Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ro. Mu. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; - Comune di (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Ma., Va. Pa. Cu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Ma. An. Al., non costituita in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: - del Comitato (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Ca. Au. Me. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: A) della determinazione regionale n. 235 emessa in data 3 marzo 2022, in pari data notificata alla ricorrente ed avente ad oggetto "Pratica nr. 10111500962-06102021-1126.375480 - Casa per ferie "Rifugio di mare" - Provvedimento interdittivo- art. 21 nonies L. 7.08.1990, n. 241", con la quale veniva ordinata la cessazione degli effetti della comunicazione di avvio di attività relativa alla Casa per ferie "Rifugio di mare", per l'effetto vietata la prosecuzione dell'attività e ordinata "la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla ricezione del presente provvedimento interdittivo"; B) degli atti emessi dall'Assessorato Regionale del Turismo, Artigianato e Commercio ad essa presupposti, fra i quali: a) la richiesta di integrazioni in data 26.10.2021; b) il preavviso di rigetto prot. 17944 del 3.12.2021; c) la proposta di provvedimento interdittivo prot. 533 del 2.1.2022; d) la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/90 per l'annullamento degli effetti ai sensi dell'art. 21-nonies legge 241/90 in data 4.2.2022; C) di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e conseguente, ancorché allo stato non conosciuto dalla ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati. Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna e del Comune di (omissis). Visto l'atto d'intervento ad opponendum del Comitato (omissis). Visti tutti gli atti della causa. Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con avviso n. 2017/9939/DSP l'Agenzia del Demanio aveva indetto una gara per l'affidamento in concessione/locazione gratuita di trenta immobili statali collocati in corrispondenza di percorsi storico religiosi o ciclo pedonali, tra cui la Postazione antiaerea situata in loc. (omissis) (oggetto specifico della presente controversia), compendio militare costituito da alcuni manufatti collocati su un'area di circa otto ettari all'interno del Parco Regionale di Porto Conte, in Comune di (omissis), nell'ambito di un Sito di interesse comunitario e sottoposto a protezione speciale, in zona classificata dal vigente Piano regolatore comunale in parte "H3" (Salvaguardia assoluta ed ecologica) e in parte "G2" (Parchi urbani e comprensoriali). Obiettivo dichiarato della procedura era quello di promuovere la realizzazione di circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell'offerta turistica nazionale, secondo quanto previsto dall'art. 11, comma 3, del d.l. n. 83/2014, convertito dalla legge n. 106/2014), a mente del quale: "per favorire la realizzazione di percorsi pedonali, ciclabili, equestri, mototuristici, fluviali e ferroviari, le case cantoniere, i caselli e le stazioni ferroviarie o marittime, le fortificazioni e i fari, nonchè ulteriori immobili di appartenenza pubblica non utilizzati o non utilizzabili a scopi istituzionali, possono essere concessi in uso gratuito, con acquisizione delle eventuali migliorie, senza corresponsione di alcun corrispettivo al momento della restituzione del bene, mediante procedura ad evidenza pubblica nella quale sia riconosciuta adeguata rilevanza agli elementi di sostenibilità ambientale, efficienza energetica e valutazione dell'opportunità turistica, a imprese, cooperative e associazioni, costituite in prevalenza da soggetti fino a quaranta anni, con oneri di manutenzione straordinaria a carico del concessionario. Il termine di durata della concessione non può essere superiore a nove anni, rinnovabili per altri nove anni, tenendo in considerazione le spese di investimento sostenute". In quest'ottica il bando precisava, altresì, che "si intendono avviare azioni congiunte volte al recupero di immobili pubblici riconducibili sia al patrimonio minore sia al patrimonio culturale di pregio, legate al tema del turismo lento, per la scoperta di territori attraverso una mobilità dolce lungo itinerari di livello interregionale e/o regionale. Gli obiettivi del progetto sono orientati al potenziamento dell'offerta turistico-culturale e alla messa a rete di siti di interesse storico e paesaggistico presenti sul territorio, con particolare attenzione alle destinazioni minori. Nell'ottica di favorire la valorizzazione territoriale delle risorse culturali e paesaggistiche, nonché promuovere la mobilità dolce e il turismo sostenibile, gli immobili che sono stati inseriti nel progetto saranno riutilizzati attraverso l'insediamento di nuovi usi che, oltre a caratterizzarsi per la vocazione turistico ricettiva, saranno, altresì, finalizzati a supportare il camminatore, pellegrino e ciclista nella fruizione dei cammini e dei percorsi". All'esito della procedura selettiva, con determinazione 2 marzo 2018, n. 27/2018, la Postazione antiaerea di (omissis) era stata aggiudicata a Il Qu. El. Società Cooperativa (da qui in poi soltanto "Il Qu. El." ovvero "Cooperativa"), cooperativa di produzione e lavoro iscritta nel relativo Albo, alla Sezione dedicata alle cooperative a mutualità prevalente, ai sensi degli artt. 2512 e ss. c.c., che in data 2 agosto 2018 aveva sottoscritto con l'Agenzia del Demanio il conseguente contratto di concessione novennale, recante la descrizione del progetto gestionale e degli interventi di riqualificazione che il concessionario si impegnava a eseguire, nel rispetto di prescrizioni e autorizzazioni che avrebbe, poi, ricevuto dagli enti pubblici preposti alla salvaguardia e tutela del bene. Con provvedimento unico 28 ottobre 2020, n. 2749, a conclusione della prevista conferenza di servizi, il SUAP del Comune di (omissis) aveva autorizzato la Cooperativa alla realizzazione del relativo progetto, che implicava, in sintesi, il restauro dei corpi di fabbrica, la realizzazione di un percorso espositivo da offrire ai visitatori, il recupero della caserma principale ai fini della sua destinazione a struttura ricettiva e punto di ristoro, nonché la realizzazione di una vasca all'interno di una delle preesistenti cisterne. A seguito di verifiche in contraddittorio, con nota 22 luglio 2021, n. 11068, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro (da qui in poi soltanto "Soprintendenza"), nel valutare positivamente l'intervento in atto, aveva impartito al concessionario ulteriori prescrizioni ritenute necessarie per assicurare il rispetto delle caratteristiche architettoniche e paesaggistiche del Sito. Pertanto, pur avendo nel frattempo completato i lavori già autorizzati, la Cooperativa aveva formulato al Comune di (omissis) una richiesta di variante non sostanziale in conformità ai predetti rilievi della Soprintendenza, che il Dirigente del SUAPE aveva, poi, autorizzato con provvedimento unico 19 agosto 2021, n. 3173, a seguito di una conferenza di servizi in cui erano stati acquisiti i pareri di tutti gli enti coinvolti. Completati i lavori in variante, la Cooperativa aveva stipulato apposite intese con l'Ente Parco di Porto Conte e con il Comune di (omissis) aventi a oggetto la gestione del Sito e le prestazioni da offrire al pubblico, prevedendo, fra l'altro, che l'accesso al Sito e il soggiorno presso la foresteria, concessi ai soli visitatori del Parco, sarebbero stati gratuiti per i residenti ad Alghero e le persone svantaggiate, mentre i visitatori esterni avrebbero dovuto pagare un biglietto d'ingresso. Terminato il complesso iter burocratico, in data 6 ottobre 2021 la Cooperativa ha presentato allo sportello SUAPE del Comune di (omissis) la dichiarazione di inizio dell'attività da svolgere nel Compendio, consistente nell'organizzazione di visite guidate e nella gestione del punto di ristoro con annessa struttura alloggiativa. Con nota depositata al SUAPE di Alghero in data 26 ottobre 2021 il Responsabile dell'Ufficio territoriale di Sassari del Servizio Osservatorio, Ricerca e Sviluppo dell'Assessorato del Turismo della Regione Sardegna (da qui in poi soltanto "Servizio Regionale") ha chiesto il deposito, da parte della Cooperativa, di ulteriore documentazione comprovante il possesso dei requisiti necessari allo svolgimento di tale attività, evidenziando che: "In riferimento alla pratica specificata in oggetto... è emersa una causa ostativa che, se accertata, precluderebbe la prosecuzione dell'attività di struttura ricettiva extra alberghiera "casa per ferie", dovuta al difetto del requisito soggettivo del gestore dell'esercente la struttura, la Cooperativa Il Qu. El., nonché di quello funzionale" e ciò in ritenuta applicazione dell'art. 16, comma 5, della L.R. n. 16/2017 ("Definizione delle strutture ricettive extra-alberghiere e istituzione del registro regionale"), secondo cui le "case per ferie" sono organizzate e "gestite da enti pubblici, associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro" e da enti o aziende "esclusivamente per il soggiorno dei dipendenti e relativi familiari, o per i dipendenti e i familiari di altre aziende o di assistiti di altri enti, sulla base di un'apposita convenzione", mentre "Dall'analisi della documentazione non emerge che il richiedente, società Cooperativa "Il Qu. El." abbia il citato requisito soggettivo, in quanto non è una "organizzazione operante senza scopo di lucro" ma una cooperativa, che svolge attività imprenditoriale come previsto dall'art. 2511 e segg. del Codice civile". A fondamento di tali assunti il Responsabile del Servizio Regionale allegava un articolo tratto dal sito web "notaiocolangeli.it", secondo cui "Le società cooperative sono caratterizzate dalle finalità mutualistiche. A differenza delle altre società, infatti, il loro scopo principale non è la divisione degli utili. I soci traggono vantaggio dalla partecipazione alla società solo per le opportunità di lavoro che ne derivano (cooperative di produzione e lavoro),.... In seguito alla riforma, le cooperative si dividono in due categorie, quelle a mutualità prevalente e quelle che non hanno questa caratteristica. Le agevolazioni fiscali sono riservate esclusivamente alle cooperative a mutualità prevalente. Tutte le società devono avere uno scopo di lucro, altrimenti non avremmo una società ma un ente di tipo associativo. Lo scopo di lucro, però, può manifestarsi in due modi diversi: soggettivo e oggettivo. È così possibile distinguere le cosiddette società lucrative (società di persone e società di capitali) dalle società cooperative. Le società lucrative perseguono uno scopo di lucro soggettivo, che consiste nella produzione di utili da distribuire ai soci. Le società cooperative, invece, perseguono un lucro solo in senso oggettivo, perché i soci non traggono un vantaggio dalla distribuzione di utili, ma dalla possibilità loro offerta di... reperire occasioni di lavoro (cooperative di produzione e lavoro) a condizioni più favorevoli di quelle di mercato. È questo il cosiddetto scopo mutualistico, che rappresenta la principale caratteristica della cooperativa", mentre "...gli enti o le organizzazioni senza scopo di lucro sono organismi privati molto diversi fra loro (associazioni, comitati, fondazioni ecc.) unificati dal divieto fissato per statuto di distribuire i profitti ai membri che ne fanno parte o ai dipendenti, e dall'obbligo di reinvestirli completamente nell'attività svolta. Operano soprattutto nei campi dell'assistenza sociale, della cultura, della sanità e della cooperazione internazionale". Inoltre il Responsabile del Servizio Regionale ha evidenziato che "...Dall'esame del regolamento allegato, emerge che i servizi sono destinati all'accoglienza di "turisti e visitatori", ritenendo, per questo, che la Cooperativa fosse sprovvista anche del requisito funzionale prescritto dall'art. 16, comma 5, della citata legge regionale e, su tali presupposti, ha chiesto alla Cooperativa "di integrare la pratica al fine di attestare il possesso dei due requisiti appena descritti, oltreché di rettificare il modulo B¬ 10 specificando "l'Ente o l'azienda di riferimento". Con nota del 9 novembre 2021 la Cooperativa si è opposta a tale ricostruzione, sviluppando articolate controdeduzioni. Con nota 3 dicembre 2021, n. 17944, il Responsabile del Servizio Regionale ha notificato alla Cooperativa un "preavviso di rigetto ex articolo 10bis, legge n. 241/1990 (art. 10.2.3 Direttive SUAPE allegato A alla Delib. G.R. n. 49/19 del 5.12.2019)", con cui ha ulteriormente sviluppato le proprie considerazioni ostative allo svolgimento dell'attività gestionale da parte della Cooperativa, osservando, in particolare, che "...a seguito delle verifiche effettuate ai sensi dell'art. 18, comma 4, della legge regionale n. 16/2017,.... lo scrivente Servizio ritiene di confermare il proprio convincimento secondo il quale la Cooperativa in argomento non rientra tra le tipologie legittimate a gestire le case per ferie o le foresterie dall'art. 16, comma 5, L.r. 16/2017.... deve trattarsi di associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro per il conseguimento di finalità assistenziali, culturali, religiose, ricreative, sociali o sportive. Queste tipologie sono quelle contemplate dal "Codice del Terzo Settore", di cui al D.lvo 3.07.2017, n. 117, il cui articolo 4, 1° comma, testualmente recita: "Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore...Ne deriva che la forma societaria della Cooperativa, regolata dagli artt. 2511 e segg. del Codice civile, non rientri nella tipologia di "associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro" prevista dal citato comma 5"; a conforto di tale impostazione il Responsabile del Servizio ha richiamato alcune pronunce della Corte di Cassazione, in particolare la sentenza n. 25478/2019, relative ai presupposti per il riconoscimento, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2545 terdecies cod. civ), della qualità di imprenditore commerciale in capo a soggetti da parte dei quali, nonostante la diversa veste formale, emerga lo svolgimento di "una obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest'ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in una società cooperativa", nonché altre pronunce secondo cui "lo scopo mutualistico proprio delle cooperative può avere gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta mutualità pura, caratterizzata dall'assenza di qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità spuria che, con l'attenuazione del fine mutualistico, consente una maggiore dinamicità operativa anche nei confronti di terzi non soci, conciliando cosi il fine mutualistico con un'attività commerciale e con la conseguente possibilità per la cooperativa di cedere beni o servizi a terzi a fini di lucro". Inoltre il Responsabile dello stesso Servizio Regionale ha ritenuto nel caso in esame insussistente il "fine teleologico previsto dal comma 5 citato, ossia "il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale...atteso che con la gestione della struttura, si intende consentire la sua fruizione da parte di turisti e quindi vi è uno scopo commerciale che sicuramente risponde a finalità di interesse pubblico, queste ultime sottostanti alla concessione della struttura, ma che non sono coincidenti con la specifiche finalità sopra descritte", ciò con esplicito riferimento all'art. 16, comma 5, della L.R. n. 16/2017, che "riprende la definizione di case per ferie di cui al previgente art. 2, comma 1, L.r. 27/1998 ma introduce la fattispecie "foresteria" (pag. 2, nota 1). In data 13 dicembre 2021 la Cooperativa ha presentato ulteriori controdeduzioni. Con nota del 12 gennaio 20220 il Responsabile del Servizio Regionale ha depositato al SUAPE del Comune di (omissis) una richiesta di provvedimento interdittivo dell'attività d'interesse della Cooperativa, implicante archiviazione con esito negativo della relativa pratica SUAPE, richiamando la complessiva impostazione sopra descritta e precisando che "il fine necessario sopra menzionato ossia l'esclusivo soggiorno dei dipendenti e relativi familiari, o per i dipendenti e i familiari di altre aziende o di assistiti di altri enti, sulla base di un'apposita convenzione, verrebbe soddisfatto dalla fruizione della struttura "da parte dei turisti" (pag. 5). Con nota del 18 gennaio 2022 il Responsabile del Servizio Sviluppo economico Attività produttive e Strutture ricettive del Comune di (omissis), "preso atto dei contenuti della citata richiesta e ritenuti non condivisibili, nonché espressi al di fuori delle competenze attribuite dalla L.R. n. 16/2017 e con modalità difformi dalle procedure dettate dalle Direttive in materia di SUAPE", ha confermato il proprio parere, viceversa, favorevole all'esercizio dell'attività, chiedendo al SUAPE di "astenersi dall'emettere un provvedimento interdittivo" e contestualmente invitando "l'Assessorato regionale competente in materia di turismo, a chiarire dettagliatamente le caratteristiche, i requisiti, le modalità strutturali e di esercizio delle strutture organizzate per l'esercizio dell'attività ricettiva ai fini della loro apertura e gestione, proponendo, alla Giunta regionale l'emanazione delle direttive di attuazione di cui alla citata legge L.R. n. 16/2017". Su tali presupposti in data 18 dicembre 2021 il Direttore del SUAPE del Comune di (omissis), "VISTE le risultanze delle verifiche compiute nei termini previsti dagli enti terzi titolari di endoprocedimento nonché gli atti conseguenti alle verifiche istruttorie; PRESO ATTO, in particolare, della nota Prot. 533 del 12/01/2022, formulata dalla Regione Autonoma Sardegna, Assessorato del Turismo,...Servizio Osservatorio Ricerca e Sviluppo, contenente proposta di provvedimento interdittivo; RICHIAMATA la nota del 18/01/2022 del Servizio Sviluppo economico/Attività Produttive - Ufficio Strutture Ricettive del Comune di (omissis), espressa in qualità di titolare degli endoprocedimenti relativi ai profili di esercizio dell'attività ", ha definitivamente escluso l'adozione di provvedimenti interdittivi. Con nota del 4 febbraio 2022 il Responsabile del Servizio Regionale ha comunicato alla Cooperativa, al Servizio SUAPE del Comune di (omissis) e alla sig.ra Ma. An. Al. (la quale, in data 24 gennaio 2022, aveva inviato alla Regione una PEC presentandosi come portavoce dei comitati e dei privati cittadini contrari all'intervento proposto dalla Cooperativa) l'avvio di un procedimento finalizzato all'annullamento in autotutela degli effetti della comunicazione di inizio attività presentata dalla Cooperativa, causa la "mancata adozione della proposta prescrittiva da parte del SUAPE di Alghero", invitando contestualmente "tutti i soggetti, portatori di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dall'attuazione del provvedimento a intervenire nel procedimento...". A fronte di successive richieste di chiarimento, formulate dal Comune e dalla Cooperativa in ordine al tipo di provvedimento in autotutela preannunciato, all'amministrazione competente, alle sottese ragioni di interesse pubblico e ai nominativi dei soggetti che si erano opposti allo svolgimento dell'attività - il Responsabile del Servizio Regionale, senza dare riscontro a tali richieste, ha adottato la determinazione 3 marzo 2022, n. 235, con la quale, sulla base delle ragioni già esposte nel corso del procedimento, ha disposto "la cessazione degli effetti della comunicazione di avvio di attività di "Casa per ferie" - "Rifugio di mare" di cui alla pratica n. 10111500962-06102021- 1126.375480, ai sensi dell'art. 21-nonies della legge 241/1990, in quanto difettano i presupposti di diritto e di fatto per il suo esercizio, ai sensi dell'art. 16, co. 5, L.r. 16 /2017, considerato che risulta sussistere l'interesse pubblico qualificato alla adozione del presente provvedimento interdittivo" e per l'effetto vietava "la prosecuzione dell'attività di cui all'art. 1", ordinando "la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, nel termine di 30 giorni decorrenti dalla ricezione del presente provvedimento interdittivo". Salvo, poi, inviare alla Cooperativa interessata, in data 4 marzo 2022, comunicazione del fatto che "In risposta alla nota in oggetto, in allegato alla presente, si inoltra la richiesta di intervento, proveniente dalla portavoce di diversi comitati ambientalistici del 24.01.2022 (ns. prot. n. 1533 del 25.01.22), erroneamente non allegata alla nostra precedente nota, prot. n. 2766 del 11/02/2022. Per quanto riguarda la natura e gli effetti del procedimento in argomento, ex art. 21 nonies, L. 7,08,1990, n. 241, si rinvia al contenuto della Sentenza n. 15 del 29.07.2011 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato...". Con il ricorso ora all'esame del Collegio, notificato in data 23 marzo 2022, Il Qu. El. ha chiesto l'annullamento di tali esiti procedimentali, sulla base di censure che saranno fra breve esaminate. Si è costituita in giudizio la Regione Sardegna, chiedendo la reiezione del ricorso. È intervenuto in giudizio il Comitato spontaneo di azione, protezione e sostenibilità ambientale (omissis), opponendosi all'accoglimento del gravame. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), condividendo le domande di parte ricorrente e chiedendo l'estromissione dal giudizio del sopra descritto Comitato, per difetto di legittimazione. Con ordinanza di questa Sezione 13 aprile 2022, n. 95, l'istanza cautelare proposta in ricorso è stata accolta. È seguito lo scambio di memorie con cui le parti hanno ulteriormente argomentato le rispettive tesi. Alla pubblica udienza del 22 novembre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO Con il primo, il quarto e il quinto motivo, tra loro connessi, parte ricorrente deduce l'incompetenza del Servizio Regionale a incidere sugli effetti della dichiarazione di inizio attività depositata al SUAPE da parte della Cooperativa, essendo il Dirigente dello stesso SUAPE l'unico organo deputato a definire la procedura di verifica sul possesso dei requisiti per lo svolgimento dell'attività ricettiva, essendo tale potere stato assegnato ai Comuni dall'art. 31, comma 3, lettera b), della L.R. 12 giugno 2006 n. 9, mentre l'unica funzione spettante al Servizio Regionale riguarderebbe la classificazione (da una a tre stelle) da attribuire alla struttura ricettiva, secondo quanto previsto dagli artt. 17 e 18 della L.R. 28 luglio 2017, n. 16. Tale prospettazione è fondata. Giova preliminarmente evidenziare che la L.R. n. 16/2017, nel riformare parzialmente i procedimenti amministrativi aventi a oggetto lo svolgimento di attività turistico-ricettive, in sintesi: - ha individuato tre diverse categorie generali di "strutture ricettive" ("alberghiere", "all'aria aperta, "extralberghiere": art. 13) e, nell'ambito di queste, diverse tipologie di strutture (artt. 14 - 16), collocando, per quanto ora di specifico interesse, nell'ambito della categoria "strutture extralberghiere" la tipologia "case per ferie", che l'art. 16, comma 5, definisce espressamente nei seguenti termini: "Sono "case per ferie" le strutture ricettive attrezzate per il soggiorno a fini turistici di persone o di gruppi, anche autogestiti, nelle quali sono prestati servizi ricettivi essenziali, organizzate e gestite da enti pubblici, associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro per il conseguimento di finalità assistenziali, culturali, religiose, ricreative, sociali o sportive, e da enti o aziende, esclusivamente per il soggiorno dei dipendenti e relativi familiari, o per i dipendenti e i familiari di altre aziende o di assistiti di altri enti, sulla base di un'apposita convenzione, per il perseguimento delle predette finalità ; la disciplina delle case per ferie si applica ai complessi ricettivi che assumono la denominazione di pensionati universitari, case della giovane, case religiose di ospitalità, foresterie, centri di vacanza per minori e centri di vacanza per anziani"; - ha delineato, all'art. 17, una distinta procedura di classificazione delle strutture "in base ai requisiti posseduti", prevedendo per le "strutture ricettive extralberghiere" un range da una a tre stelle, il che nel caso delle "case per ferie" comporterebbe l'applicazione dei parametri soggettivi sopra descritti; - ha assegnato alla Regione, all'art. 18, comma 4, il compito di verificare la "rispondenza dei requisiti agli standard di classificazione vigenti al fine di garantire l'omogeneità nel territorio regionale della classifica degli esercizi ricettivi". Si deve, inoltre, tenere conto che la L.R. n. 16/2017 non ha totalmente sostituito la preesistente disciplina regionale sulla materia ora in esame, avendo mantenuto in vigore, per quanto ora di specifico interesse, gli artt. 31, comma 3, della L.R. 12 giugno 2006, n. 9 e 3, comma 4, della L.R. 12 agosto 1998, n. 27, che tuttora disciplinano il distinto (e presupposto rispetto a quello di classificazione della struttura) procedimento di autorizzazione allo svolgimento dell'attività ricettiva, riservandolo ai comuni (da ultimo, specificamente, al SUAPE), senza alcuna competenza regionale residua. Si deve, pertanto, tener distinta, evitando indebite "sovrapposizioni di piani", la disciplina del procedimento di autorizzazione allo svolgimento dell'attività ricettiva, attribuito esclusivamente al Comune, dal procedimento di classificazione della struttura ricettiva, suddiviso tra Regione e Comune, il che emerge con assoluta chiarezza dalla lettura delle norme sopra citate, in particolare: - quanto al procedimento di autorizzazione e verifica dei requisiti per lo svolgimento dell'attività di gestione della struttura ricettiva, l'art. 31, comma 3, della L.R. n. 9/2006, statuisce che "3. Sono attribuiti ai comuni: a) la vigilanza sul corretto esercizio delle attività professionali e non professionali di interesse turistico; b) il rilascio e la revoca delle autorizzazioni in materia di apertura, trasferimento e chiusura degli esercizi ricettivi..." (norma, questa, sopravvissuta all'entrata in vigore della L.R. n. 16/2017, giacché l'art. 49, comma 1, di quest'ultima ha decretato l'abrogazione del solo comma 3 dell'art. 31 della L.R. n. 9/2006, facendo salvo il comma 3 sopra richiamato), così come l'art. 3, comma 4, della L.R. n. 27/1998 ribadisce che "4. L'esercizio dell'attività ricettiva nelle case per ferie è soggetto ad autorizzazione rilasciata dal Comune..." (norma, questa, parimenti sopravvissuta all'entrata in vigore della L.R. n. 16/2017, giacché il dianzi citato art. 49 di quest'ultima decreta l'abrogazione della L.R. n. 27/1998 solo nella parti in cui si riveli "incompatibile" con la nuova disciplina dettata dalla L.R. n. 16/2017, la quale, però, nulla ha aggiunto sulla distribuzione delle competenze relative alla procedura di autorizzazione allo svolgimento dell'attività ricettiva); - quanto al procedimento di classificazione della struttura, la relativa competenza è distribuita tra Comune e Regione dall'art. 18 della L.R. n. 16/2017, a mente del quale, sulla base della dichiarazione presentata dall'interessato al SUAPE, "4. Il comune verifica la completezza e la coerenza della documentazione presentata. L'Assessorato regionale competente in materia di turismo verifica la rispondenza dei requisiti agli standard di classificazione vigenti, al fine di garantire l'omogeneità nel territorio regionale della classifica degli esercizi ricettivi". Su tali presupposti diviene, allora, evidente come il Servizio Regionale, coinvolto nella complessiva procedura SUAPE ai soli fini della classificazione della struttura, abbia indebitamente "interagito" sulla distinta questione -attribuita al solo Comune- dei requisiti per lo svolgimento dell'attività ricettiva da parte della Cooperativa. Né può condividersi l'assunto difensivo della Regione secondo cui una competenza della stessa in subiecta materia emergerebbe, comunque, per effetto della "relazione logica" esistente tra procedura di autorizzazione dell'attività (a monte) e procedura di classificazione della struttura (a valle), non avendo senso quest'ultima ove riferita a una struttura, nel caso specifico una "casa per ferie", gestita da soggetto, per ipotesi, illegittimamente autorizzato allo svolgimento della relativa attività benché privo dei necessari requisiti soggettivi. Questa tesi, infatti, per un verso, sovrappone indebitamente profili decisionali diversi e attribuiti a due soggetti ugualmente diversi (Regione e Comune), ponendosi in conflitto con i principi di tipicità delle competenze e di celere definizione procedimentale, per altro verso, trova smentita nella disciplina normativa sul procedimento di classificazione, la quale stabilisce che il relativo punteggio è attribuito alla struttura ricettiva (in un range da una a tre stelle) mediante comparazione oggettiva tra le dotazioni offerte dalla stessa e gli standard descritti dall'Allegato A/1 della L.R. 12 agosto 1998, n. 27 (norma tuttora in vigore a causa della mancata adozione delle direttive di cui all'art. 24 della L.R. n. 16/2017, considerato che l'art. 49, comma 3, della stessa L.R. n. 16/2017 dispone l'abrogazione dell'intera legge n. 27/1998 solo "A decorrere dalla data di emanazione delle direttive di attuazione di cui all'articolo 24..."). Pertanto la procedura di classificazione ha a oggetto esclusivamente la struttura ricettiva (e non il suo gestore) e può sfociare soltanto in una valutazione del livello qualitativo della stessa (e non, invece, in un "esito escludente", quale il divieto di prosecuzione dell'attività ), il che trova definitiva conferma all'art. 18, comma 5, della L.R. n. 16/2017, secondo cui il possibile risultato negativo della procedura di classificazione consiste, per l'appunto, nel fatto che "Il comune competente per territorio procede alla rettifica della classificazione quando, a seguito di accertamento d'ufficio, risulta che la struttura ricettiva possiede requisiti di qualificazione inferiori rispetto a quelli attestati nell'autodichiarazione di cui al comma 1". Parimenti infondato è, infine, l'ulteriore assunto difensivo secondo cui la Regione risulterebbe, comunque, titolata a intervenire sugli esiti del procedimento di autorizzazione allo svolgimento dell'attività ricettiva in veste di ente titolare di funzioni di controllo e vigilanza sul corretto svolgimento del settore turistico-ricettivo, ai sensi degli artt. 25 e 26 della L.R. n. 16/2017. In primo luogo perché l'esercizio di tali funzioni non può ovviamente tradursi in atti capaci di sovrapporsi alle competenze attribuite al Comune, perché ciò equivarrebbe a introdurre surrettiziamente un controllo amministrativo di legittimità, notoriamente e da tempo espunto dal sistema perché contrastante con il fondamentale principio di sussidiarietà . In secondo luogo perché i rilievi e le contestazioni mosse dal Servizio Regionale ben avrebbero potuto (e dovuto) essere, comunque, "veicolate" all'interno del procedimento unico SUAPE, nel rispetto dei tempi e delle modalità propri dello stesso, il che non è avvenuto. Con il secondo, il terzo e il sesto motivo, tra loro connessi, si contestano gli assunti motivazionali della Regione secondo cui la Cooperativa non sarebbe in possesso dei requisiti richiesti per la gestione di una "casa per ferie" dall'art. 16, comma 5, della L.R. n. 16/2017, in conformità ai generali principi dettati dall'art. del d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79. Nel richiamare, sul punto, quanto già esposto in narrativa, è ora sufficiente ricordare come, secondo il Servizio Regionale, nel caso di specie difetterebbero: - in primo luogo, il requisito soggettivo, avendo Il Qu. El. veste giuridica di società cooperativa di produzione e lavoro a mutualità prevalente, cioè una finalità -oltre che compatibile con uno scopo lucrativo, come tale non riconducibile alle finalità (viceversa non lucrative) indicate dall'art. 4 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del terzo settore)- di natura sostanzialmente imprenditoriale, in quanto indirizzata verso l'obiettivo del pareggio di bilancio, come tale incompatibile con la sopra descritta disciplina regionale sulla gestione delle "case per ferie"; - in secondo luogo, il requisito funzionale, posto che la Cooperativa intende offrire il soggiorno a soggetti diversi dai propri associati, cioè a tutti i visitatori del Parco di Porto Conte, dietro pagamento di un biglietto d'ingresso. Parte ricorrente contesta tali assunti sulla base di un'opposta lettura della disciplina vigente in subiecta materia, che il Collegio condivide. Si riporta, innanzitutto, il testo dell'art. 16, comma 5, della L.R. n. 16/2017, a mente del quale le "case per ferie" possono essere "organizzate e gestite da enti pubblici, associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro per il conseguimento di finalità assistenziali, culturali, religiose, ricreative, sociali o sportive, e da enti o aziende, esclusivamente per il soggiorno dei dipendenti e relativi familiari, o per i dipendenti e i familiari di altre aziende o di assistiti di altri enti, sulla base di un'apposita convenzione, per il perseguimento delle predette finalità ...". Tale previsione normativa, pur essendo entrata in vigore successivamente rispetto al d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, con cui era stato approvato il Codice del Terzo Settore, non contiene alcuna previsione che vieti la gestione di una "casa per ferie" da parte di soggetti giuridici non appartenenti al Terzo Settore, per cui deve escludersi una diretta incidenza riduttiva del relativo Codice, fermo restando, peraltro, che Il Qu. El. -quale cooperativa sociale a mutualità prevalente- ben potrebbe acquisire la qualifica di "impresa sociale", ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1 del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, e in tale veste rientrare fra gli Enti del Terzo Settore, ai sensi dell'art. 4 del relativo Codice, il quale, non a caso, include espressamente nel proprio ambito applicativo "le imprese sociali incluse le cooperative sociali". Fatta questa premessa, è, comunque, dirimente verificare se in capo alla Cooperativa in esame sia riscontrabile o meno quello "scopo di lucro" che l'art. 16 della L.R. n. 16/2017 considera, invece, effettivamente ostativo alla gestione di una "casa per ferie". A giudizio del Collegio tale eventualità deve essere esclusa. Non può infatti, attribuirsi scopo di lucro in senso proprio a un soggetto, come Il Qu. El., che ha veste giuridica di società cooperativa di produzione e lavoro a mutualità prevalente. Innanzitutto perché il codice civile distingue espressamente le società lucrative da quelle mutualistiche, disciplinando queste ultime in termini differenti proprio in ragione della loro particolare funzione "mutuamente assistenziale", il che vale, in modo particolare, per le cooperative "a mutualità prevalente", come la ricorrente (artt. 2512-2514 c.c.), per cui, alla luce di tale articolata disciplina normativa, non può considerarsi in senso proprio lucrativo il fine perseguito da una cooperativa che attribuisca ai propri soci -non già veri e propri dividendi, bensì - i meri ristorni proporzionali alla quantità e qualità degli scambi mutualistici operati nei limiti di legge, il che, nel caso in esame, non è neppure contestato; in altre parole, dunque, come esattamente osserva la difesa della ricorrente, "è estranea alla definizione di "ente con scopo di lucro" la nozione di "lucro oggettivo", identificata dal Servizio Regionale nella "proporzionalità tra costi e ricavi", rilevando per i fini che qui interessano solo ipotesi che configurano un lucro soggettivo". In secondo luogo perché il Qu. El. aggiunge alle caratteristiche sin qui descritte l'ulteriore veste di "cooperativa sociale", impegnata per statuto al perseguimento (anche) di obiettivi di interesse generale, il che comporta l'applicazione della speciale disciplina dettata dalla legge 8 novembre 1991, n. 381 e, come detto, potenzialmente riconduce la Cooperativa stessa al novero delle imprese sociali. Orbene, nel vano tentativo di superare tali dati oggettivi e indiscutibili, la Regione concentra l'attenzione soprattutto sul fatto che Il Qu. El. agisce perseguendo l'obiettivo del pareggio di bilancio, in particolare chiedendo il pagamento di un corrispettivo ai visitatori del Parco soggiornanti nella struttura, ma tale rilievo è inconferente rispetto all'oggetto specifico della presente controversia. È pacifico, infatti, che -in presenza di uno scopo mutualistico, il quale, come detto, non può, per definizione, considerarsi lucrativo in senso proprio- quest'ultimo non può essere desunto dal mero perseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio, che a tutto voler concedere può implicare l'assoggettamento allo statuto dell'imprenditore commerciale, fermo restando, però, che tale condizione non è ostativa alla gestione di una "casa per ferie" dalla disciplina normativa richiamata dalla Regione, la quale limita il divieto ai soli soggetti che perseguano uno scopo di lucro. Da ciò discende, altresì, l'irrilevanza nel caso specifico delle pronunce giurisprudenziali indicate dalla Regione, le quali fanno leva sull'obiettivo del pareggio di bilancio per estendere l'applicabilità soggettiva dello statuto dell'imprenditore commerciale (con particolare riferimento all'assoggettabilità al fallimento), ma non sostengono affatto -come, invece, apoditticamente, la Regione- che ciò comporti una "equiparazione a tutto tondo" tra scopo mutualistico perseguito dalle cooperative e scopo lucrativo in senso proprio, restando intatte e decisive le descritte differenze tra le due fattispecie. Ciò chiarito, resta da esaminare l'ulteriore assunto regionale secondo cui in capo alla Cooperativa difetterebbe, altresì, il "requisito funzionale" richiesto dall'art. 16 della L.R. n. 16/2017, vale a dire il "conseguimento di finalità assistenziali, culturali, religiose, ricreative, sociali o sportive", sempre in relazione al fatto che la stessa Cooperativa propone il servizio alloggiativo, dietro pagamento di un corrispettivo, a soggetti estranei alla propria compagine sociale. Tale assunto è, però, privo di fondamento, ove solo si consideri che la rilevanza sociale e culturale (in generale, collettiva) dell'attività svolta non presuppone necessariamente la gratuità della prestazione offerta -condizione, questa, peraltro, soddisfatta in relazione al previsto ingresso gratuito dei cittadini di Alghero e dei portatori di handicap, come da apposita convenzione stipulata tra Cooperativa e Comune (vedi narrativa)- tanto è vero che la disciplina regionale di riferimento sulla gestione delle "case per ferie" non la richiede affatto. Così come la stessa disciplina regionale impone di riservare il soggiorno a "dipendenti e familiari" solo nei casi in cui la struttura alloggiativa sia gestita da "enti o aziende", mentre non estende tale requisito alle diverse ipotesi in cui la gestione sia operata da "associazioni, enti od organizzazioni operanti senza scopo di lucro per il conseguimento di finalità assistenziali, culturali, religiose, ricreative, sociali o sportive", come nel caso di specie, il che, a ben vedere, è addirittura ovvio, posto che se il soggiorno fosse riservato ai soci della cooperativa non si vede in che modo l'attività della stessa potrebbe assumere quel "rilievo collettivo" che la norma ritiene indispensabile. Del resto è di tutta evidenza come il perseguimento di obiettivi di rilevanza generale non sia concettualmente incompatibile con il pagamento di un biglietto di accesso al parco o al museo richiesto ai terzi visitatori, trattandosi di modulo gestionale universalmente riconosciuto e spesso persino indispensabile per evitare il fallimento economico dell'iniziativa e assicurare la corretta gestione della struttura. Così come non va dimenticato che l'affidamento in concessione del Compendio di cui ora si discute è avvenuto sulla base di apposita procedura a evidenza pubblica indetta dall'Agenzia del Demanio, in seno alla quale -senza che fossero stati esclusi profili di corrispettività economica- erano enunciate le positive "ricadute pubblicistiche" connesse alle prestazioni offerte al pubblico dal concessionario (si veda, sul punto, il contenuto del bando, richiamato in sintesi all'inizio della parte in narrativa). Con il settimo e l'ottavo motivo la Cooperativa contesta l'ulteriore profilo motivazionale posto a base dei provvedimenti impugnati, secondo cui l'intervento regionale sarebbe stato necessario per scongiurare la violazione del canone di libera concorrenza e della relativa Direttiva 2008/122/CE, in relazione al pregiudizio imprenditoriale che le strutture alberghiere concorrenti subirebbero in conseguenza dell'indebito esercizio a fini commerciali di un'attività ricettiva erroneamente dichiarata senza scopo di lucro, peraltro svolta utilizzando un immobile accatastato in categoria "B1" ("Caserma"), anziché "D2" ("Alberghi e Pensioni") e, come tale, indebitamente esente dal rispetto della disciplina urbanistica e paesaggistica di riferimento. Sul punto la ricorrente deduce articolate censure di "Violazione della L.R. n. 16/2017, falsa interpretazione della Direttiva n. 2008/122/CE; falsa applicazione dell'art. 5 del d.lgs. n. 79/2011, violazione dell'art. 117 Costituzione, illogicità e contraddittorietà della motivazione, eccesso di potere per sviamento, violazione del d.p.r. 1 dicembre 1949, n. 1142, irrilevanza della categoria catastale", che il Collegio condivide nei termini di seguito esposti. In disparte il fatto che la Regione non dispone di competenze finalizzate alla tutela della concorrenza, materia tipicamente statale, e che la Direttiva comunitaria richiamata attiene alla tutela dei consumatori, categoria evidentemente non comprendente gli operatori turistici professionali che la Regione sostiene di tutelare, peraltro senza alcun riferimento a specifici operatori che risulterebbero potenzialmente pregiudicati, è dirimente il fatto che, come già si è osservato, la Cooperativa svolge la propria attività senza uno scopo lucrativo in senso proprio, limitandosi a legittimi obiettivi di pareggio del bilancio, per cui tale attività, per definizione, non comporta alcuna violazione delle regole concorrenziali ai danni degli operatori turistici professionali. Quanto, infine, alla categoria catastale della struttura alloggiativa -in disparte, anche in questo caso, l'incompetenza della Regione sul relativo profilo- il relativo assunto motivazionale trova smentita nel noto principio secondo cui alle risultanze catastali l'ordinamento attribuisce funzione meramente dichiarativa, non potendo le stesse (tranne che per gli aspetti tributari, nel caso specifico non in discussione) incidere sul regime edilizio e paesaggistico dell'immobile, tanto è vero che la stessa Cooperativa, prima di iniziare l'attività ricettiva, ha dovuto sottoporsi a un articolato iter autorizzativo che ha coinvolto l'Agenzia del Demanio, la Soprintendenza e il Comune di (omissis), ciascuno in relazione ai rispettivi ambiti di competenza. Per quanto esposto il ricorso è fondato e deve trovare accoglimento, con il conseguente annullamento degli atti impugnati. Le spese processuali seguono la soccombenza nei rapporti tra la Regione Sardegna e la Cooperativa Il Qu. El., mentre sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle stesse nei confronti delle altre parti del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati. Condanna la Regione Sardegna alla rifusione delle spese di lite in favore della Cooperativa il Qu. El., liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge e al contributo unificato. Compensa le spese processuali nei confronti delle altre parti del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Marco Lensi - Presidente Antonio Plaisant - Consigliere, Estensore Gabriele Serra - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 737 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ri. Sc., rappresentato e difeso dagli avvocati Pa. Ba. e Fr. Er., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Università degli Studi di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Cagliari, via (...); nei confronti Di. An. Ga. Re. Re., rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento, per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento n. 600/2021 del 9 giugno 2021, a firma del Magnifico Rettore, pubblicato sul sito dell'Ateneo in data 10 giugno 2021 e conosciuto in pari data, con il quale sono stati approvati gli atti della procedura selettiva libera di chiamata di un Professore Ordinario, presso il Dipartimento di Matematica e Informatica per il settore concorsuale 01/B1 - Informatica (profilo SSD INF/01), di cui al D.R. n. 1283/2020; - di tutti gli atti presupposti, preparatori, consequenziali e comunque connessi e, in particolare, dei seguenti ulteriori atti: - tutti gli atti concernenti i lavori della Commissione giudicatrice tra cui, in particolare, i verbali di n. 3 sedute rispettivamente dell'8 marzo 2021, 29 aprile 2021 e 1° giugno 2020 (in effetti 1° giugno 2021) nonché la Relazione finale (priva di data); - la nota PEC del 18 giugno 2021, a firma del Responsabile del Procedimento, con la quale veniva comunicata al ricorrente l'approvazione degli atti relativi alla procedura concorsuale; - il verbale del Consiglio di Dipartimento relativo alla seduta del 29.7.2021, con cui è stata votata e approvata la chiamata a vincitore del Prof. Re. Re.; nonché, "per quanto eventualmente occorrer possa": - il vigente Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia dell'Università degli Studi di Cagliari ai sensi delle disposizioni della legge n. 240/2010 e ss.mm.ii.; - il bando emanato con D.R. n. 1283 del 14.12.2020, pubblicato sulla G.U. n. 97 del 15.12.2020, con il quale è stata indetta la procedura selettiva in questione; - il D.R. n. 90 del 4.2.2021, pubblicato sul sito Internet della medesima Università in data 4.2.2021, con il quale è stata nominata la Commissione giudicatrice; e per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 25.2.2022, per l'annullamento: - del D.R. n. 113/2022 del 31.1.2022, con il quale il prof. Re. Re. è stato nominato professore ordinario per il Settore Concorsuale 01/B1 - Informatica - SSD INF/01 presso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell'Università degli Studi di Cagliari, con effetti giuridici ed economici a far data dalla effettiva presa di servizio; - di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Università degli Studi di Cagliari e di Di. An. Ga. Re. Re.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2022 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Il ricorrente, Professore associato presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Università di Cagliari dall'ottobre 2001, premesso di aver partecipato alla procedura selettiva libera di chiamata di un professore Ordinario, presso il Dipartimento di Matematica e informatica per il settore concorsuale 01/B1 - Informatica (profilo SSD INF/01), e di essersi classificato al secondo posto dietro il prof. Di. An. Ga. Re. Re., odierno controinteressato, ha impugnato il decreto rettorale n. 600/2021 del 9 giugno 2021, di approvazione degli atti della procedura e gli ulteriori atti indicati in epigrafe (tra cui, in particolare, il Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia dell'Università degli Studi di Cagliari, il bando con cui è stata indetta la procedura selettiva in questione, il decreto di nomina della Commissione giudicatrice, gli atti concernenti i lavori della Commissione e il verbale del Consiglio di Dipartimento relativo alla seduta in cui è stata votata e approvata la chiamata a vincitore del prof. Re. Re.), lamentando che la procedura in questione sarebbe affetta da molteplici profili di illegittimità, da incongruenze ed errori, compiuti nella individuazione ed applicazione dei criteri di valutazione dei titoli presentati dai candidati, nonché nella redazione dei processi verbali inerenti allo svolgimento della procedura, che avrebbero inficiato il complessivo operato valutativo della Commissione giudicatrice e, di conseguenza, la graduatoria finale. La Commissione, a dire del ricorrente, non avrebbe sostanzialmente adempiuto a due disposizioni del Regolamento di Ateneo, introdotte dagli organi di governo dell'Università di Cagliari in ottemperanza alla sentenza di questo T.A.R. n. 527/2020 (che ha riconosciuto l'illegittimità in parte qua delle norme regolamentari de quibus) che prevedono: i) la definizione, a termini di regolamento (e, quindi, di bando di concorso), dei criteri generali di valutazione dei candidati, in guisa tale da non consentire alla Commissione di integrarli o modificarli ma solo, eventualmente, di specificarli e/o dettagliarli; ii) la necessità di ponderare la valutazione espressa su ciascun aspetto specifico dei singoli parametri valutativi presi in considerazione per ogni candidato, al fine di costruire il giudizio complessivo. La Commissione, in quest'ottica, sarebbe incorsa nuovamente e pervicacemente nelle violazioni già rilevate da questo Tribunale, con la citata sentenza n. 527/2020, in relazione ad una controversia analoga a quella odierna. 2. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi. 1) Eccesso di potere (per sviamento e disparità di trattamento) e violazione di legge (con particolare riguardo sia all'art. 9 del vigente "Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia dell'Università di Cagliari ai sensi delle disposizioni di legge n. 240/2010 - articoli 5 e 9", in combinato disposto con l'art. 5, punto 2, lett. i, dello stesso Regolamento, sia all'art. 8 del bando relativo alle procedure selettive libere di chiamata) per avere introdotto e utilizzato un criterio di valutazione non previsto nell'elenco dei criteri predeterminati. Deduce il ricorrente che la Commissione avrebbe illegittimamente utilizzato un criterio di valutazione non previsto nell'elenco dei criteri predeterminati dal Regolamento di Ateneo e/o dall'Avviso pubblico, così favorendo il controinteressato. In particolare, il ricorrente deduce che la Commissione, nel procedere alla valutazione delle pubblicazioni scientifiche dei due candidati, ha introdotto il parametro secondo cui: "La Commissione per la valutazione delle pubblicazioni si avvarrà anche dei seguenti indicatori, il cui uso è consolidato a livello internazionale: • numero complessivo di lavori su banche dati internazionali riconosciute per l'abilitazione scientifica nazionale; • indice di Hirsch; • numero totale delle citazioni, escludendo le autocitazioni". In tal modo, secondo il ricorrente, l'Amministrazione avrebbe violato le previsioni del Regolamento e del bando che non consentono alla Commissione di individuare nuovi, ulteriori parametri di valutazione ma - al più - di dettagliare quelli tassativamente già indicati allo scopo. Il ricorrente, inoltre, lamenta che la Commissione, in violazione delle previsioni del bando, ha operato le sue valutazioni anche con riguardo alla "produzione complessiva" di lavori scientifici presentati nel tempo dai candidati, anziché limitarsi all'esame delle sole dodici pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati in allegato alla domanda di partecipazione, in tal modo estendendo il giudizio ad elementi diversi e ulteriori rispetto a quelli allegati alla domanda e dunque insuscettibili di alcuna considerazione comparativa, che avrebbero consentito al controinteressato di ottenere una valutazione "eccellente" idonea ad attribuirgli un illegittimo vantaggio competitivo. 2) Eccesso di potere (per travisamento ed erronea e carente valutazione) e violazione di legge (con particolare riguardo sia all'art. 9 del vigente "Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia dell'Università di Cagliari ai sensi delle disposizioni di legge n. 240/2010 - articoli 5 e 9", in combinato disposto con l'art. 5, punto 2, lett. i, dello stesso Regolamento, sia all'art. 8 del bando relativo alle procedure selettive libere di chiamata) per avere utilizzato un criterio di valutazione non previsto nell'elenco dei criteri predeterminati e per l'errata e/o omessa valutazione dei titoli scientifici dei candidati. Il ricorrente lamenta che la Commissione avrebbe commesso una serie di errori materiali od omissioni nella valutazione dei titoli scientifici dei candidati, anche utilizzando un criterio di valutazione degli stessi titoli non previsto nell'elenco dei criteri predeterminati dal Regolamento di Ateneo e/o dall'Avviso pubblico e neppure specificato dalla Commissione nel corso della prima seduta, così favorendo il controinteressato. In particolare, il ricorrente lamenta che in relazione al criterio di valutazione concernente il "conseguimento di premi e riconoscimenti per l'attività scientifica" la Commissione avrebbe erroneamente espresso il giudizio "Non risultano premi per lavori scientifici presentati a conferenze o riviste", nonostante nel curriculum allegato dall'interessato alla domanda di partecipazione fosse riportato il conseguimento di quattro premi per attività di ricerca della Regione Sardegna, dell'ammontare di diecimila euro ciascuno. Inoltre, l'illegittimità del giudizio in parola si sostanzierebbe anche: i) nell'aver utilizzato il criterio più restrittivo, ma non previsto e quindi inutilizzabile, volto a limitare l'ambito dei premi conseguiti ai soli "lavori scientifici" anziché all'intera "attività scientifica" - dizione, questa, più ampia e complessa al cui interno sono riconducibili come mero sottoinsieme i lavori scientifici - come previsto dal bando e come deciso dalla Commissione nel corso della prima seduta; ii) nell'aver utilizzato il criterio più restrittivo, parimenti non previsto e quindi inutilizzabile, volto a circoscrivere il parametro valutativo alle sole "conferenze o riviste", mai menzionate né dal bando né dalla Commissione nel corso della prima seduta. Lamenta, ancora, il ricorrente, che la Commissione, in relazione al criterio concernente la "partecipazione in qualità di relatore a congressi e convegni nazionali e internazionali", avrebbe erroneamente ritenuto che "il candidato non dichiara nel curriculum le partecipazioni a congressi" nonostante l'espressa indicazione nel curriculum di quattro comunicazioni a congressi internazionali e due comunicazioni a congressi nazionali. Sotto ulteriore profilo la Commissione, con riguardo al parametro "attività gestionale", avrebbe erroneamente attribuito al controinteressato il ruolo di "coordinatore e cofondatore del nuovo corso di Laurea in Informatica Applicata e Data Analytics, approvato nel 2020 dall'Università di Cagliari", senza tuttavia considerare che, trattandosi di corso di nuova istituzione, non era prevista la figura del coordinatore del corso ma la sola presenza di un comitato promotore, e che quindi il controinteressato, all'atto della presentazione della domanda, era membro del comitato promotore ma non poteva essere coordinatore dello stesso (carica, quest'ultima, invero formalizzata nei suoi riguardi solo con decreto rettorale del 17 giugno 2021). Secondo la prospettazione di parte ricorrente il titolo in questione, erroneamente attribuito al controinteressato, sarebbe di gran lunga il più rilevante tra i titoli organizzativi dello stesso, senza il quale i punteggi da esso conseguiti sarebbero stati decisamente inferiori, a tutto vantaggio del ricorrente. 3) Eccesso di potere per carenza e/o erroneità di ponderazione complessiva della valutazione dei candidati alla luce dei criteri stabiliti. A dire del ricorrente la Commissione avrebbe omesso di specificare in che modo il metodo di ponderazione dei criteri di valutazione sia stato applicato nella definizione della graduatoria finale, così incorrendo in un difetto di analisi e in una erronea valutazione. In altri termini, la Commissione avrebbe omesso del tutto il riferimento puntuale ai pesi attribuiti a ciascun criterio generale di valutazione per ciascun candidato, limitandosi a richiamare una mera frase di stile ("... tenendo conto del peso attribuito...") che non consente di comprendere come, in concreto, la valutazione finale dei singoli candidati sia stata effettuata. Secondo il ricorrente la valutazione comparativa tra i due candidati alla procedura selettiva (ricorrente e controinteressato) si sarebbe di fatto conclusa con una parità di punteggio, sicché l'accoglimento anche di un solo motivo di ricorso, da cui non potrebbe che discendere una rivalutazione al rialzo dei titoli del ricorrente, porterebbe quest'ultimo a conseguire il preteso bene della vita. Sotto diverso profilo, il ricorrente lamenta di non avere ricevuto alcuna comunicazione personale riguardo alla pubblicazione del decreto rettorale di approvazione degli atti (da lui poi conosciuto soltanto attraverso la consultazione del sito web dell'Ateneo), e ciò comproverebbe l'atteggiamento superficiale con cui tutta la procedura selettiva sarebbe stata gestita, con grave danno per l'interessato. 3. Si sono costituiti il Ministero intimato e il controinteressato per resistere al ricorso. 4. Alla camera di consiglio del giorno 3 novembre 2021 la Sezione, con l'accordo delle parti, ha rinviato al merito la trattazione della causa. 5. Con motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato il decreto rettorale n. 113/2022 del 31.1.2022, con il quale il controinteressato è stato nominato professore ordinario per il Settore Concorsuale 01/B1 - Informatica - SSD INF/01 presso il Dipartimento di Matematica e Informatica dell'Università degli Studi di Cagliari, con effetti giuridici ed economici a far data dalla effettiva presa di servizio. I motivi aggiunti sono affidati alle seguenti censure. 1) Violazione di legge (con particolare riguardo all'art. 18, comma 1, della l. n. 240/2010 in combinato disposto con l'art. 11, punto 2, del vigente "Regolamento per la disciplina del procedimento di chiamata dei professori di ruolo di prima e seconda fascia dell'Università di Cagliari ai sensi delle disposizioni di legge n. 240/2010"). Lamenta il ricorrente che l'impugnato D.R. n. 113/2022 è stato emanato senza che fosse stata adottata la necessaria e propedeutica delibera di approvazione della chiamata del controinteressato a professore ordinario da parte del competente Consiglio di Amministrazione dell'Università, limitandosi il decreto rettorale a dare atto nella propria narrativa che la suddetta delibera era "nelle more". In altri termini, il controinteressato avrebbe preso servizio senza che la normale procedura stabilita dalla normativa di settore sia stata rispettata. 2) Illegittimità derivata per gli stessi motivi già dedotti con il ricorso principale. 6. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno ribadito le proprie difese con memorie e repliche. La difesa erariale, inoltre, ha eccepito l'inammissibilità dei motivi aggiunti per mancata notifica degli stessi presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato, costituita in giudizio per conto dell'Università . 7. Alla pubblica udienza del giorno 4 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 8. Si può prescindere dall'esame delle eccezioni processuali in quanto il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti sono infondati nel merito. Di seguito le motivazioni della sentenza, rese nella modalità redazionale semplificata di cui all'art. 74 c.p.a. 8.1. Principiando dal ricorso introduttivo, quanto al primo motivo, concernente la valutazione delle pubblicazioni scientifiche dei candidati, occorre considerare che le dodici pubblicazioni indicate dal ricorrente e dal controinteressato nell'elenco allegato alla domanda di partecipazione sono state valutate dalla Commissione esclusivamente sulla base dei quattro criteri stabiliti dall'art. 8 dell'avviso pubblico e dall'art. 9 del Regolamento (ossia: coerenza con le tematiche del settore concorsuale; apporto individuale nei lavori in collaborazione; qualità della produzione scientifica; collocazione editoriale dei prodotti scientifici). In relazione a ciascuno dei richiamati criteri, infatti, la Commissione ha espresso il relativo giudizio (v. allegato B al verbale della seconda seduta del 29 aprile 2021, sub doc. 4 del ricorrente). Orbene, coerentemente con i giudizi riportati dai due candidati in relazione ai quattro criteri in questione il controinteressato, per le dodici pubblicazioni scientifiche prese in esame, ha ottenuto una valutazione complessivamente più elevata rispetto al ricorrente: il primo, infatti, ha avuto la valutazione "massima" per tutti e quattro i criteri di valutazione (totale coerenza; paritetico; eccellente; eccellente), mentre il secondo ha ottenuto tre valutazioni massime ed una leggermente più bassa (totale coerenza; paritetico; ottima; eccellente). Ciò posto, la circostanza che la Commissione, dopo avere concluso le valutazioni delle dodici pubblicazioni presentate dai due candidati, abbia espresso un giudizio ulteriore concernente la produzione complessiva di pubblicazioni degli stessi, sulla base dei parametri bibliometrici ("indicatori") richiamati nel verbale, non può avere alcuna rilevanza in favore del ricorrente, perché anche prescindendo da quest'ultima attività valutativa posta in essere dalla Commissione, fatta oggetto di contestazione da parte ricorrente, la valutazione assegnata al controinteressato rimane comunque più elevata rispetto a quella conseguita dal ricorrente; né quest'ultimo ha fornito elementi utili a dimostrare il contrario. La censura, pertanto, va respinta. 8.2. Con riguardo al secondo motivo, concernente la valutazione dei titoli scientifici e dell'attività gestionale dei candidati, osserva il Collegio, in primo luogo, che non può ritenersi erronea la decisione della Commissione di non riconoscere i "quattro premi per attività di ricerca dalla Regione Autonoma della Sardegna dell'ammontare di Euro 10.000,00 ciascuno" indicati dal ricorrente nel proprio curriculum. Vengono in rilievo, infatti, alcuni contributi concessi al ricorrente, per la realizzazione di progetti di ricerca, indipendentemente dai risultati della stessa, che come tali non possono essere equiparati ai premi valutabili ai fini del criterio in questione. Questi ultimi, infatti, a differenza dei primi, presuppongono la valutazione positiva (estrinsecantesi, appunto, nel riconoscimento del premio) dei risultati raggiunti all'esito di una attività di ricerca. In secondo luogo, non può ritenersi erronea nemmeno la mancata valutazione a favore del ricorrente, ad opera della Commissione, delle "4 comunicazioni a congressi internazionali e 2 comunicazioni a congressi nazionali" indicate nel curriculum dell'interessato. Come efficacemente dedotto dalla difesa del controinteressato, infatti, le "comunicazioni" in questione non sono equiparabili alla partecipazione a congressi, trattandosi piuttosto di articoli scientifici trasmessi ad un convegno o congresso (c.d. "comunication papers"), significativamente inseriti dal ricorrente, all'interno del proprio curriculum (alle pagg. 14 e 15), nella parte dedicata alle pubblicazioni scientifiche. Sotto ulteriore profilo, resiste alle censure dedotte anche la valutazione operata dalla Commissione, in relazione al criterio della "Attività gestionale", con riguardo al ruolo di "coordinatore e co-fondatore del nuovo corso di Laurea in Informatica Applicata e Data Analytics, approvato nel 2020 dall'Università di Cagliari" dichiarato dal controinteressato nel proprio curriculum. Invero, con riferimento al macro-criterio in questione, la Commissione ha precisato, nel corso della prima seduta dell'8.3.2021 (v. doc. 3 del ricorrente), che avrebbe preso in considerazione "gli incarichi di gestione e impegni assunti in organi collegiali o commissioni presso atenei o istituti di ricerca" e la "comprovata capacità di coordinare o dirigere un gruppo di ricerca, la capacità di attrarre finanziamenti competitivi almeno in qualità di responsabile e la capacità di promuovere attività di trasferimento tecnologico". Non era dunque precluso alla Commissione, nella fattispecie, di valutare, oltre all'attività di Coordinatore di un corso di laurea già attivato, ulteriori attività di coordinamento e gestione come quella svolta dal controinteressato con riguardo ad un corso di laurea in fase di attivazione. Le censure, pertanto, vanno respinte. 8.3. Passando al terzo motivo, giova preliminarmente richiamare la giurisprudenza, condivisa dal Collegio, secondo cui il giudizio finale della commissione di concorso per la copertura di posti di professore universitario è frutto di una valutazione comparativa complessiva tra i candidati incompatibile non soltanto con l'attribuzione di punteggi globali, ma anche di punteggi riferiti ai singoli parametri: il giudizio finale della Commissione, infatti, non è frutto di una addizione numerica o meccanica di fattori, ma di una valutazione complessiva di tutta l'attività del candidato e del suo curriculum, alla luce dei singoli e specifici parametri indicati dal bando, apparendo evidente che in questo tipo di procedure - in cui i candidati presentano in genere tutti curricula ricchi di elementi pregevoli - la distinzione deriva da una valutazione complessiva degli aspetti qualitativi che diviene incensurabile laddove non trasmodi in giudizi incoerenti, contraddittori o espressione di irragionevolezza o disparità evidente di trattamento (T.A.R. Lazio - Roma, Sez. III, n. 10106 del 4 ottobre 2021). Ha chiarito, ancora, la giurisprudenza che la normativa in materia va intesa alla luce della finalità assegnata alla valutazione comparativa, consistente in un raffronto, attraverso la valutazione dei titoli e delle pubblicazioni, della personalità scientifica dei vari candidati, dei quali va ricostruito il profilo complessivo risultante dalla confluenza degli elementi che lo compongono, da apprezzare in tale quadro non isolatamente, ma in quanto correlati nell'insieme secondo il peso che assumono in una interazione di sintesi oggetto di un motivato giudizio unitario; la valutazione specifica dei titoli deve, dunque, essere svolta, ma non con dettaglio tale da instaurare una valutazione comparativa puntuale di ciascun candidato rispetto agli altri per ciascuno dei titoli, poiché, diversamente, si perderebbe la contestualità sintetica della valutazione globale, risultando perciò necessario e sufficiente che i detti titoli siano stati acquisiti al procedimento e vi risultino considerati nel quadro della detta valutazione. Diversamente opinando, ossia ritenendo che sia necessaria una valutazione comparativa analitica di ogni singolo titolo/attività e di ogni singola pubblicazione, di cui ciascuna da valutare comparativamente alla stregua di ciascuno dei criteri di valutazione, si perverrebbe ad un irragionevole esito di pratica ingestibilità delle procedure valutative in questione (C.d.S., Sez. VI, n. 1496/2019). 8.3.1. Ciò posto, l'operato della Commissione risulta immune dalle censure dedotte, atteso che: - l'avviso pubblico ha previsto tre criteri generali di valutazione, ossia le pubblicazioni scientifiche, i titoli scientifici e didattici e l'attività gestionale; - la Commissione, nel corso della prima seduta dell'8.3.2021, ha così definito il peso attribuito a tali criteri: i) valutazione delle pubblicazioni scientifiche: 60; ii) valutazione dei titoli scientifici e didattici: 30; iii) valutazione degli incarichi gestionali: 10; - il controinteressato ha ottenuto giudizi complessivamente migliori del ricorrente nei primi due criteri, che pesavano complessivamente il 90%, mentre il ricorrente ha ricevuto una valutazione migliore solo nel terzo criterio di valutazione, con peso pari al 10% (v. allegato B al verbale della seconda seduta); - la valutazione finale, secondo cui la Commissione, "sulla base dei giudizi espressi nella riunione precedente, tenuto conto del peso attribuito durante la prima riunione ai criteri di valutazione", ha collocato al primo posto il controinteressato è quindi tutt'altro che irragionevole, né può dirsi che la stessa sia viziata da travisamento. Emerge, infatti, dagli atti di causa che la Commissione, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, ha tenuto conto, con adeguato apparato motivazionale, dei titoli e delle pubblicazioni, considerati nel loro complesso e ritenuti significativi ai fini della valutazione dell'attività svolta dai due candidati, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, e ai fini del vaglio della loro personalità scientifica, legandosi peraltro i giudizi espressi sugli stessi in modo coerente con l'esito della valutazione finale, né mancando un approccio metodologico comparativo, immanente nella formulazione dei giudizi medesimi in forma graduata e nella valutazione finale espressa dai commissari. Le censure, pertanto, vanno respinte. 8.4. Passando al ricorso per motivi aggiunti, con riguardo al primo motivo è sufficiente osservare che il Consiglio di Amministrazione, in data 31 gennaio 2022, ha approvato la richiesta di chiamata del controinteressato avanzata dal Consiglio di Dipartimento di Matematica e informatica. La doglianza, pertanto, va respinta. 8.5. Le censure di invalidità derivata, infine, sono infondate per le ragioni già esposte sopra, trattandosi delle medesime doglianze già dedotte con il ricorso introduttivo. 8.6. In definitiva, il ricorso e i motivi aggiunti vanno respinti. 8.7. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere compensate tra le parti, tenuto conto dello sviluppo complessivo della vicenda. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Dante D'Alessio - Presidente Tito Aru - Consigliere Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 671 del 2022, proposto da: St. An., rappresentata e difesa dagli avvocati Se. Ch. e Al. Ap., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Cagliari presso lo studio dell'avv. Se. Ch., via (…); contro Ministero dell'Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Cagliari, domiciliato in Cagliari presso gli uffici della medesima, via (…); Istituto Comprensivo Sa. Sp. De Am., non costituito in giudizio; per l'annullamento del Regolamento riunioni organi collegiali e attività funzionali in modalità telematica/remoto Prot. n. 0012179, del 23 agosto 2022, adottato dal Consiglio di istituto dell'Ente scolastico:  Istituto comprensivo Sa. Sp. De Am. di Cagliari, avente ad oggetto lo svolgimento, in modalità telematica, delle riunioni e delle attività degli organi collegiali e delle attività funzionali all'insegnamento dell'I.C. Sa. - Sp. - De Am. di Cagliari e nello specifico, dell'art. 3 del suddetto regolamento rubricato "Requisiti Tecnici Minimi", nonché di ogni atto e provvedimento preordinato, presupposto, conseguente o comunque connesso o consequenziale a quello impugnato in via principale e/o che con lo stesso possa comunque considerarsi in rapporto di correlazione, ivi compresi i pareri, le proposte o le valutazioni che possano avere condotto all'adozione e/o formazione del provvedimento medesimo, oltre all' accertamento e la declaratoria del diritto della ricorrente alla disconnessione, ovvero, all'equo bilanciamento della vita lavorativa con la vita familiare, mediante principi organizzativi delle riunioni da remoto con strumenti tecnologici, fuori dall'orario delle lezioni e della presenza del docente in istituto, che coinvolgano le parti sociali e, quindi, le rappresentanze sindacali, anche decentrate con condanna dell'amministrazione scolastica resistente alla consegna dei documenti richiesti, con formale istanza accesso agli atti, dalla professoressa An., e alla stessa non consegnati, in aperta violazione dei principi di legge della trasparenza dell'attività della P.A. scolastica, consistenti nella: - Proposta di delibera relativa al punto 4 della circolare n. 298 del 24 giugno 2022 - Aggiornamento Regolamento d'Istituto esame proposta regolamento riunioni collegiali; - Lettera di trasmissione della suindicata proposta, indirizzata al Consiglio d'Istituto, con indicazione del protocollo; - Eventuali determinazioni assunte nel merito, da parte del Consigli d'Istituto sia positive che negative rispetto alla proposta del collegio dei docenti." e con ulteriore condanna delle Amministrazioni resistenti, ciascuna per quanto di propria competenza - a rideterminare le modalità di svolgimento delle riunioni da remoto degli organi collegiali dell'Istituto Comprensivo in epigrafe, con coinvolgimento di tutte le parti sociali e l'utilizzo dello strumento della contrattazione integrativa nel pieno rispetto dei principi di conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare (diritto alla disconnessione). Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Istruzione; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2022 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Con il ricorso in esame la professoressa St. An., docente di ruolo presso l'Istituto Comprensivo Sa. Sp. De Am. di Cagliari, ha impugnato il "Regolamento riunioni organi collegiali e attività funzionali in modalità telematica/remoto" adottato dal Consiglio di istituto dell'Ente scolastico di appartenenza il 7 luglio 2022 e pubblicato con Prot. n. 0012179, del 23 agosto 2022. Lamenta in particolare la ricorrente che la predetta regolamentazione scolastica sarebbe lesiva delle sue prerogative "sia come docente facente parte del collegio dei docenti, sia come insegnante, per le comunicazioni e i colloqui con i genitori degli alunni, sia come insegnante che intendesse eventualmente partecipare alle riunioni delle RSU o a qualsivoglia riunione in cui sia richiesta la presenza degli insegnanti relativamente alle "altre riunioni disciplinate dalle disposizioni normative vigenti" genericamente indicate (di modo da ricomprendere qualsiasi riunione per cui esista una normativa vigente che la preveda), all'art. 1, comma 2° del Regolamento in questione". L'impugnazione, affidata a censure procedimentali e sostanziali sollevate nei confronti del provvedimento impugnato, si concludeva con la richiesta, previa sospensione, di annullamento, con vittoria delle spese di giudizio. Per resistere al ricorso si è costituita l'amministrazione scolastica che ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, concludendo comunque nel merito per il rigetto dell'impugnazione, con vittoria delle spese. All'udienza camerale del 23 novembre 2022, fissata per l'esame dell'istanza cautelare di sospensione, avvertite le parti della possibile definizione del giudizio con sentenza definitiva resa in forma semplificata, la causa è stata posta in decisione. Il ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito. Come noto, in forza del combinato disposto degli artt. 5, comma 2, e 63 del d.lgs. n. 165/2001 (T.U. sul Pubblico Impiego), le uniche controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del medesimo T.U. (c.d. pubblico impiego privatizzato) che restano devolute alla giurisdizione amministrativa sono quelle concernenti "le procedure concorsuali" (art. 63, comma 4) ovvero quelle aventi ad oggetto comunque l'esercizio di poteri autoritativi pubblicistici preordinati all'adozione dei c.d. atti di macro-organizzazione, ossia quegli atti che"definiscono... le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive" (art. 2, co. 1, T.U. cit.)". Sul punto è diffuso l'indirizzo giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 28 novembre 2013, n. 5684; Sez. V, 16 gennaio 2012, n. 138; Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6705), per il quale ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego privatizzato occorre distinguere tra gli atti di macro - organizzazione (concernenti come detto le linee fondamentali di organizzazione degli uffici ed i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali, nonché le modalità di copertura del fabbisogno di personale), assoggettati a principi e regole pubblicistiche e affidati alla giurisdizione del giudice amministrativo, e gli atti di micro - organizzazione, con cui si dispone l'organizzazione dei singoli uffici e la gestione in concreto dei rapporti di lavoro, regolati, invece, dalla disciplina privatistica. Per questi ultimi resta dunque ferma la giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, in ragione del fatto che ogni determinazione organizzativa degli uffici e ogni misura inerente alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti "con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro" (cfr. art. 5, comma 2, T.U.), cui si frappongono i diritti soggettivi del lavoratore. Orbene, non vi è dubbio che il regolamento impugnato nella presente controversia, con il quale si disciplinano, come detto, le riunioni degli organi collegiali e attività funzionali in modalità telematica/da remoto dell'Istituto Comprensivo Sa. Sp. De Am. di Cagliari, configuri - anche alla luce dell'orientamento sopra riportato - un atto di micro-organizzazione, adottato nell'esercizio di poteri privatistici dall'Ente scolastico, e si collochi "al di sotto della soglia" di configurazione degli uffici pubblici sotto il profilo organizzativo, con una incidenza diretta, quindi, sulla gestione concreta del rapporto di lavoro. Quanto sopra, del resto, è confermato dallo stesso tenore dell'atto impugnatorio, che a ben vedere lamenta la (ritenuta) violazione di diritti soggettivi del lavoratore derivanti dai CCNL vigenti o dalla legge stessa di settore. Restano dunque insussistenti i presupposti sopra ricordati per radicare la giurisdizione generale di legittimità del G.A., non venendo in rilievo interessi legittimi della ricorrente correlati all'adozione di determinazioni espressive di un potere pubblicistico di macro-organizzazione, così come sopra delineato. In conclusione, per le considerazioni svolte, il ricorso in esame va dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il che comporta la rimessione davanti al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, innanzi al quale il giudizio potrà proseguire in base al principio della translatio iudicii (cfr. Cass. Civ. SS.UU., 22 febbraio 2007, n. 4109; Corte Cost.12 marzo 2007, n.77; Cons. Stato, sez. V, 19 novembre 2018, n. 6539), recepito dal legislatore e disciplinato dall'art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e codificato nel codice del processo amministrativo all'art. 11, il quale consente che, allorquando il giudice amministrativo declini la propria giurisdizione, affermando quella di altro giudice, "ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato". Sussistono nondimeno ragioni eccezionali, avuto riguardo anche alla natura della controversia, per disporre tra le parti l'integrale compensazione delle spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, indicando il giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro come giudice munito di giurisdizione sulla presente controversia e, per l'effetto, rimette le parti davanti al giudice ordinario medesimo ai sensi dell'art. 11 c.p.a.. Compensa le spese del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 23 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Marco Buricelli - Presidente Tito Aru - Consigliere, Estensore Oscar Marongiu - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 528 del 2016, proposto da Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Mu., con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, via (...); contro Unione dei Comuni del (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ba., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento prot. n° 230 del 15 aprile 2016, con il quale l'Unione dei Comuni del (omissis) ha rigettato l'istanza della Co. S.r.l. di revisione del prezzo del contratto d'appalto per il servizio di raccolta integrata dei rifiuti solidi urbani e servizi connessi, rep. n° 1 del 17 aprile 2014, nonché di ogni altro atto presupposto, conseguenziale o, comunque, connesso e, segnatamente: - della nota della medesima Unione dei Comuni prot. n° 459 del 25 maggio 2016; - della relazione del Responsabile del Servizio Tecnico dell'Unione dei Comuni del (omissis) prot. n° 398 del 24 dicembre 2015; - di tutti gli altri provvedimenti e/o atti, anche non conosciuti, con i quali l'Unione dei Comuni del (omissis) ha negato alla società Co. il compenso revisionale; - del provvedimento, se esistente, e, comunque implicito, col quale la stessa Unione ha respinto la richiesta della società Co. di ottenere l'adeguamento del corrispettivo per le maggiori utenze TARI; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Unione dei Comuni del (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2022 il dott. Gabriele Serra e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Parte ricorrente ha esposto che, a seguito di diversi contenziosi giudiziari, era stata aggiudicataria della gara per l'affidamento dei servizi di raccolta integrata dei rifiuti solidi urbani e servizi nei Comuni di (omissis) ed altri, indetta dall'Unione dei Comuni del (omissis), con contratto stipulato in data 17 aprile 2014 col rep. n. 1/2014. Tale stipulazione era intervenuta solo a distanza di due anni dalla presentazione dell'offerta in sede di gara, in quanto la gara era stata originariamente disposta in favore della società Ek. Ma., ma era stata annullata in autotutela a seguito del ricorso proposto davanti al T.A.R. Sardegna dalla ditta Po., classificatasi al secondo posto, ed alla quale, quindi, l'appalto era stato aggiudicato. A sua volta, tale aggiudicazione era stata impugnata dalla odierna ricorrente davanti al T.A.R. Sardegna, il quale, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato, ha accolto il ricorso della società Co.. Anche in forza di quanto disposto dall'art. 3 del contratto allora, proprio previsto in considerazione del tempo trascorso tra la presentazione delle offerte e l'inizio del servizio, la ricorrente ha formulato istanza di pagamento del compenso revisionale all'Unione dei Comuni. 2. Con il provvedimento impugnato, l'Unione resistente ha rigettato l'istanza, anche sulla base di un parere legale, in quanto, in merito alla revisione del compenso, ha ritenuto che la prescrizione contenuta all'art. 3 del contratto d'appalto stipulato con la società Co. fosse nulla perché non prevista nello schema di contratto "approvato come Schema dalla Stazione appaltante e posto a base degli atti di gara"; circa l'adeguamento del canone per le utenze, gli artt. 11 e 14 del Capitolato speciale prevedevano un adeguamento del corrispettivo solo se l'aumento delle utenze fosse stato superiore del 20% rispetto a quelle indicate in sede di gara, mentre le utenze aggiuntive segnalate dalla società Co. erano solo in n. 22 e, quindi, pari ad un aumento del 0,28%. 3. Avverso tale atto la ricorrente, premessa la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ha dedotto, in diritto: - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, eccesso di potere per difetto di istruttoria, falsità del presupposto, travisamento dei fatti e sviamento, in quanto è errata la ricostruzione dell'Unione, non esistendo alcuno schema di contratto facente parte degli atti di gara diverso dal contratto stipulato dalla ricorrente, per cui non vi sarebbe l'illegittima rinegoziazione dell'appalto rispetto agli atti di gara sulla base dei quali gli operatori hanno presentato l'offerta. Lo schema di contratto esiste, ma non era inserito tra gli atti di gara, essendo stato predisposto solo con l'aggiudicazione dell'appalto alla società Co., dal che deriva l'assenza di lesione della par condicio dei concorrenti; - Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 115 del d.lgs. n° 163 del 2006, violazione del principio che impone la valutazione e la comparazione degli interessi del privato, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti, falsità del presupposto, illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà e sviamento, in quanto, quand'anche applicabile l'art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, spetterebbe comunque la revisione del compenso, poiché, se è vero che la revisione prezzi deve essere calcolata sulla base dell'indice FOI, mentre la ricorrente l'ha richiesta, come da art. 3 del contratto, anche in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell'offerta, sulla base delle Tabelle Ministeriali FISE, non è meno vero che la norma preveda la deroga all'indice F.O.I. qualora si verifichino circostanze eccezionali, rappresentate, nel nostro caso, dal lunghissimo tempo trascorso dalla presentazione dell'offerta (luglio 2012) alla stipulazione del contratto (aprile 2014) per via dei contenziosi giudiziari vinti da Co.. Ciò era peraltro suggerito dal Responsabile Tecnico dell'Unione, il cui parere è stato immotivatamente disatteso. In ogni caso, spetta la revisione prezzi almeno secondo l'indice medio FOI, oltre interessi ex D.lgs. n. 231/2002; - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, falsità del presupposto, travisamento dei fatti, e sviamento, in quanto, in merito all'adeguamento delle utenze, le richiamate prescrizioni del Capitolato di gara si riferivano solo alle variazioni delle utenze verificatesi durante il periodo di esecuzione del contratto, laddove la società Co. sta chiedendo l'adeguamento del canone per la variazione delle utenze nel periodo che precede la data di avvio del servizio e cioè quella decorrente dalla data di presentazione della domanda di partecipazione, fino, appunto, all'avvio del servizio medesimo. 4. Resiste l'Unione dei Comuni del (omissis), che ha richiesto la declaratoria di improcedibilità per difetto di interesse sopravvenuto, nonché comunque il rigetto del ricorso siccome infondato, eccependo che: - l'Amministrazione, con determinazione n. 137/2021, ha liquidato per l'appalto in esame, sulla base dell'indice FOI, il dovuto compenso revisionale per gli anni 2015 - 2021, pari a Euro 61.073, somma comprensiva di interessi di mora; la mancata impugnazione della citata determinazione rappresenta una sostanziale acquiescenza da parte di Co. a quei calcoli e al detto computo che determina l'improcedibilità del ricorso per carenza di interesse; - è, in ogni caso, irrilevante che lo schema di contratto fosse allegato alla determinazione a contrarre, essendo sufficiente che lo stesso, per essere vincolante e superare il contratto poi effettivamente stipulato in violazione di esso, fosse allegato all'aggiudicazione, perciò precedesse il contratto; - dunque, il meccanismo di sostituzione automatica ai sensi degli artt. 1419 co. 2 e 1339 c.civ., non può valere per il solo operatore economico nel caso di mancata previsione del meccanismo revisionale, ma anche quando, come nel caso in esame, delle clausole illecite determinino un meccanismo revisionale distorsivo che vada oltre l'indice F.O.I.; - l'aumento del costo del personale a fronte di modifiche dei contratti collettivi non è un accadimento eccezionale, ma assolutamente programmabile e predeterminabile che l'operatore economico deve considerare e porre alla base della propria offerta; - l'indice F.O.I. è altresì richiamato dall'art. 11 del Capitolato d'appalto, anch'esso dunque violato dal contratto stipulato. 5. All'udienza pubblica del 26.10.2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 6. Preliminarmente, deve essere respinta l'eccezione di improcedibilità del ricorso per asserita acquiescenza alla determinazione con cui sono state liquidate le somme dovute a titolo di compenso revisionale sulla base dell'indice F.O.I. in favore della ricorrente, in quanto l'omessa impugnativa di tale determinazione non determina il venir meno dell'interesse all'accoglimento del ricorso, posto che la ricorrente ha domandato il riconoscimento del diritto alla revisione prezzi proprio in misura superiore all'indice F.O.I. D'altronde, è noto che "l'acquiescenza presuppone un comportamento chiaro, univoco e concludente, imputabile al ricorrente, dal quale possa evincersi, senza un ragionevole dubbio, la sua volontà di accettare gli effetti delle determinazioni sfavorevoli" (T.A.R. Roma, (Lazio) sez. III, 25/01/2007, n. 563), mentre nel caso di specie, oltre a quanto già rilevato, la ricorrente ha espressamente accettato le somme a titolo di acconto e non di saldo. L'eccezione va dunque disattesa. 7. Nel merito, la controversia involge, in sostanza, la validità dell'art. 3 del contratto stipulato tra le parti, che, premesso l'ammontare dell'appalto, "salvo quanto previsto riguardo gli eventuali adeguamenti del canone, da riconoscere all'Appaltatore, di cui al presente contratti (a solo titolo esemplificativo e non esaustivo: maggiori utenze (...)", prevede l'adeguamento del canone non solo in riferimento all'indice FOI, ma anche "in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell'offerta (come da Tabelle pubblicate dal Ministero del Lavoro - Novembre 2010)" (doc. 3 Unione). In tesi di parte resistente tale previsione contrattuale sarebbe nulla, in quanto contrastante con lo schema di contratto allegato all'aggiudicazione, che riprendeva il contenuto dell'art. 11 del Capitolato e limitava la revisione prezzi entro il limite di cui all'indice FOI; di tal che il contratto stipulato sarebbe nullo in parte qua, per contrasto anche con quanto previsto dall'art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile, che prevede inderogabilmente la previsione di una clausola di revisione prezzi nel limite massimo dell'indice FOI, salva la ricorrenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, che l'ente ritiene non ricorrenti nel caso di specie, nonché perché, in tal guisa, il contratto avrebbe sostanzialmente rinegoziato le condizioni poste a base della gara. Per una completa comprensione del thema decidendum, vale evidenziare che la ricorrente, a tale difesa, replica che "nella fattispecie non si discorre dell'adeguamento prezzi annuale (che è un evento fisiologico di ogni contratto d'appalto), bensì della determinazione del corrispettivo di base, che, in seguito ad una situazione patologica (la stipulazione del contratto a distanza di due anni dalla gara) non era più coerente, già al momento dell'avvio del servizio, con i costi del servizio messo in gara (perché, nelle more, era aumentato il numero di utenti da servire ed era aumentato, altresì, il costo del lavoro)", risultando perciò inconferenti le considerazioni in merito all'insuperabilità dell'indice FOI. La domanda della parte ricorrente è da considerarsi dunque così circostanziata: "la società Co. ha diritto a che il corrispettivo pattuito sia adeguato, a far data dall'avvio del servizio (e, quindi, dal giugno 2014), sulla base del maggior del costo del lavoro intervenuto tra il 2012 ed il 2014 (ricavabile dalle tabelle ministeriali FISE) e sulla base delle maggiori utenze attivate nel periodo ricompreso tra la data di presentazione delle offerte e l'avvio del servizio (sempre tra il 2012 ed il 2014). Il compenso così determinato doveva, poi, essere adeguato annualmente sulla base dell'indice FOI" (p. 2 memoria di replica). 8. Così descritti i termini della questione, ad avviso del Collegio si rileva come la clausola contrattuale di cui all'art. 3, che fonda l'odierna pretesa della ricorrente, non riguardi, almeno per quanto è controverso tra le parti (pacifica la spettanza della revisione sulla base dell'indice FOI, già liquidata), il diritto alla revisione del prezzo annuale, per cui è obbligatorio l'inserimento della clausola di revisione e per cui è sancito dal legislatore il limite dell'indice FOI; invero, la ricorrente pone a fondamento della pretesa quella parte dell'art. 3 in cui è riconosciuto, ulteriormente, il diritto alla revisione del prezzo per il maggior costo del personale e per le maggiori utenze intervenute non già dalla stipulazione del contratto in poi, nel corso dello svolgimento del servizio annualmente, bensì nelle more della stipula del contratto rispetto allo svolgimento della gara. E ciò in quanto il contratto, che tale possibilità ha previsto in senso innovativo rispetto allo schema allegato all'aggiudicazione, è stato stipulato decorsi circa due anni proprio dall'aggiudicazione. 9. Se così è, ritiene il Collegio che non colgano nel segno le difese spiegate dalla parte resistente in merito all'insuperabilità dell'indice FOI, in quanto non pertinenti rispetto al titolo posto a fondamento della pretesa. Nell'art. 3 del contratto stipulato tra le parti, conformemente a quanto previsto dallo schema e dall'art. 11 del Capitolato, è infatti inserita una clausola di revisione prezzi relativa all'adeguamento che investe il compenso durante l'esecuzione del contratto pluriennale, la quale è riferita all'indice FOI ed è senz'altro valida ed infatti l'Unione dei Comuni ne ha disposto il pagamento. Ma, in ciò si invera la controversia, l'art. 3 del contratto, alla luce del tempo trascorso dall'aggiudicazione (e dunque dalla predisposizione dello schema di contratto), ha previsto una ulteriore clausola, che prevede la necessità di adeguare il compenso stante l'aumento del costo del personale e delle utenze non pro futuro in corso di esecuzione del contratto, il cui ammontare non può superare l'indice FOI, bensì prima della stipula del contratto, rispetto a quanto oggetto di offerta in sede di gara. 10. Ciò che deve dunque essere valutato è se tale attività negoziale posta in essere dalle parti dopo l'aggiudicazione si ponga in senso innovativo, quale rinegoziazione, pure eccepita dall'amministrazione come non consentita, rispetto a quanto oggetto della gara, risultando perciò un contratto modificato inammissibilmente, poiché sarebbe dovuto essere posto a base di una nuova gara. La questione giuridica è, perciò, quella inerente alla portata e ai limiti del principio di immodificabilità delle clausole contenute nella legge di gara e, segnatamente, se sia possibile "rinegoziare" (rectius: "negoziare"), ed eventualmente entro che limiti, il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l'aggiudicazione e il contratto. 11. In merito, si registrano in giurisprudenza orientamenti contrastanti. 11.1. Secondo una prima impostazione, manifestatasi proprio in una vicenda analoga a quella che occupa, nella quale un'impresa - essendo decorso un apprezzabile lasso di tempo tra l'espletamento della gara, l'aggiudicazione e la stipulazione del contratto, anche in quel caso a causa di un lungo contenzioso - sosteneva che l'Amministrazione avrebbe dovuto adeguare il prezzo dedotto in contratto in considerazione dell'aumento dei costi di produzione registratosi tra la presentazione dell'offerta e la sottoscrizione dell'accordo, tale possibilità deve essere esclusa. In tal senso, la giurisprudenza ha rilevato che "l'istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall'impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, ossia in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile nè ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso. E così come nel corso del rapporto contrattuale l'impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall'istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l'evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l'impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta" (T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 marzo 2022, n. 239; in termini anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10.06.2022, n. 1343, richiamata dall'amministrazione in sede di discussione orale). La tesi dunque esclude l'ammissibilità dell'applicazione analogica dell'istituto previsto dall'art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile all'odierno giudizio, ed oggi disciplinato dall'art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, ad un momento antecedente alla stipulazione del contratto, perché lo spazio che precede la stipulazione sarebbe già pienamente regolato dai principi dell'evidenza pubblica e della "par condicio" tra concorrenti, nonché dell'immodificabilità dell'offerta, i quali non consentono alcun cambiamento dell'oggetto dell'appalto o del contenuto della proposta del privato (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27 novembre 2017, n. 11732). 11.2. Altra tesi, anche recentemente sostenuta in giurisprudenza, ha ritenuto, al contrario, valorizzando la ratio dell'istituto in esame, che esso "sia ascrivibile, nel suo complesso, sia all'esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali sia a quella di evitare (in un contesto in cui l'appello al mercato è la regola) vere e proprie forme di diseconomia procedimentale". In tal senso, si è ricordato che la legislazione in materia di appalti pubblici è sì ispirata al rispetto del principio di concorrenza, ma anche informata ai criteri di efficacia ed economicità, e anche come sia irragionevole "ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggano", vieppiù nella particolare ipotesi in cui l'impresa sia rimasta "vittima" delle sopravvenienze. Rispetto alla necessità di intervenuta stipulazione del contratto, tale tesi ha evidenziato come tale momento sarebbe dirimente ai fini del riparto di giurisdizione "quale elemento cardine di passaggio dalla fase pubblicistica a quella privatistica", ma non rivestirebbe analoga importanza se si guarda "alla realtà economica dell'appalto, che presenta invece una sua fisiologica continuità ", come dimostrato, da un lato, dal fatto che può essere richiesta l'esecuzione anticipata prima della sottoscrizione dell'accordo e, dall'altro, che anche nella fase successiva la natura pubblica dell'appaltante può giustificare ipotesi speciali di caducazione del rapporto, come la risoluzione a seguito dell'emissione di un'interdittiva antimafia a carico dell'impresa. Sotto altro profilo, si è poi rilevato che "la scelta dell'amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l'accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all'amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell'aggiudicatario" (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667). Nello stesso senso, altra giurisprudenza, anch'essa occupatasi di vicenda nella quale si erano succeduti annullamenti dell'aggiudicazione e ricorsi giurisdizionali, ha, in termini generali, ricordato che "il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto. Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, ha chiarito che il principio di parità di trattamento e l'obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l'aggiudicazione di un appalto pubblico, l'amministrazione aggiudicatrice e l'aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell'appalto iniziale. Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l'effetto: a) di estendere l'appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l'equilibrio economico contrattuale in favore dell'aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l'aggiudicazione dell'appalto, nel senso che, "se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un'altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi". Su tali basi, e richiamando l'istituto di cui all'art. 106 del vigente Codice dei Contratti, tale tesi ha ritenuto che tale complesso di principi e regole trovi applicazione "anche al caso di specie ancorché le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche deliberate dalla Regione siano intervenute nella fase fra la aggiudicazione e la stipula del contratto. In primo luogo perché essendo stata causata la considerevole dilatazione della durata di tale fase dal contenzioso instaurato da Mobit deve trovare applicazione il generale principio secondo cui i tempi del giudizio non devono di per sé incidere sul rapporto controverso, non potendosi ammettere che la instaurazione di lunghi contenziosi possa assumere (anche in via indiretta ed involontaria) connotati strumentali che vadano oltre la reintegrazione delle posizioni soggettive lese. In secondo luogo, militano a favore della soluzione accolta anche i principi di buona amministrazione ed economia delle risorse pubbliche: la indizione di una gara per l'affidamento della concessione di trasporto pubblico locale costituisce un impegno straordinario per l'amministrazione oltre a rispondere ad esigenze essenziali della collettività . Per questo i suoi esiti non possono essere vanificati in ragione di qualunque sopravvenienza che imponga una revisione delle condizioni contrattuali originariamente fissate, dovendosi pervenire alla sua reiterazione, così come in fase di esecuzione del contratto, solo se le modifiche assumano carattere essenziale" (T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228). 12. Ad avviso del Collegio, tale seconda tesi merita condivisione e può ben trovare applicazione al caso che occupa. In uno con tutte le motivazioni già ampiamente illustrate nei precedenti richiamati, il Collegio condivide altresì gli assunti dottrinali favorevoli a questa seconda impostazione ermeneutica, che richiamano, da un lato, la correttezza del ricorso all'analogia essendovene tutti presupposti, di cui all'art. 12 disp. prel. c.c., quali la lacuna dell'ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l'aggiudicazione e la stipulazione del contratto e l'"eadem ratio"; dall'altro, la corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell'amministrazione (richiamato dall'art. 30, comma 1, del codice dei contratti pubblici), perché scongiura una riedizione della procedura, che diversamente s'imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non "essenziale", delle condizioni. Nondimeno, appare condivisibile il richiamo già svolto dalla giurisprudenza sopra esposta all'impostazione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che nella sua impostazione si riferisce sempre al momento dell'aggiudicazione, ammettendo come visto le modifiche non sostanziali, valorizzando dunque la tipologia e non il momento in cui intervengono. 13. Su tali basi allora, deve ritenersi che, in senso contrario a quanto dedotto dal Comune, anche negli atti impugnati, la clausola di cui all'art. 3 del contratto stipulato tra le parti, nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l'appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell'offerta e la stipulazione del contratto stesso, in relazione all'aumento del costo del personale e del numero delle utenze nelle more intervenuto (prima della stipulazione del contratto), non possa essere considerata nulla. 14. Conseguentemente, gli atti impugnati devono essere annullati, siccome illegittimi nella parte in cui hanno ritenuto nulla la clausola contrattuale su cui era fondata la pretesa della parte ricorrente. Pretesa della ricorrente che è dunque fondata con riferimento all'adeguamento del compenso in relazione al periodo intercorso tra la presentazione dell'offerta e la stipulazione del contratto, relativamente al costo del personale, sulla base delle Tabelle FISE allegate al relativo CCNL e in relazione al numero delle utenze variato in aumento pari a 22 unità . Su tale somma sono poi dovuti gli interessi calcolati al tasso commerciale ai sensi del D.lgs. n. 231/2002. In merito alla quantificazione della somma spettante alla ricorrente stessa, posto anche che è pacifico in causa che sia stata già versata una parte dell'adeguamento del compenso sulla base dell'indice FOI, il Collegio, ai sensi dell'art. 34, comma 4 cod. proc. amm., assegna all'amministrazione il termine di giorni 60 dalla comunicazione della presente sentenza, per formulare la propria proposta in ordine al pagamento della residua somma di denaro, sulla base dei criteri indicati nella superiore parte motiva. 15. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto devono essere annullati gli atti impugnati, nei sensi e limiti di cui in motivazione. Le spese del giudizio, stante la complessità giuridica delle questioni trattate e la presenza di orientamenti giurisprudenziali discordanti, devono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi e limiti di cui in parte motiva, e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati. Condanna, ai sensi dell'art. 34, comma 4 cod. proc. amm., l'amministrazione a formulare una proposta per il pagamento della somma di denaro dovuta alla ricorrente, sulla base dei criteri di cui in parte motiva, entro il termine di giorni 60 dalla comunicazione della presente sentenza. Spese del giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Marco Lensi - Presidente Antonio Plaisant - Consigliere Gabriele Serra - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 549 del 2021, proposto da Va. Fr., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Co. Or. e Gi. St., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ba. e St. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento: - del Piano Urbanistico Comunale di (omissis), adottato con deliberazione del Consiglio Comunale di (omissis) n. 21 del 30.3.2021 e dei relativi allegati ed elaborati, ivi compresi: Norme Tecniche di Attuazione (in breve N.T.A.); Regolamento Edilizio (in breve R.E.), con richiesta di annullamento in toto o nella parte de qua; - del provvedimento del Comune di (omissis) - Settore Tecnico - Servizio Edilizia Privata di cui alla nota Prot. 13628/2021 del 7.6.2021, notificata via PEC in data 8.6.2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 marzo 2022 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La sig.ra Fr., odierna ricorrente, è proprietaria di un immobile adibito ad abitazione sito nel Comune di (omissis), località (omissis), all'interno della "Comunione (omissis)", distinta in Catasto al Foglio (omissis), mappale (omissis). 2. Il comparto, costituito dalla lottizzazione (omissis), è classificato nel Piano di Fabbricazione comunale vigente quale zona omogenea "F - turistica", regolamentata secondo specifico studio di disciplina. 3. Il Comune, con la deliberazione di Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021, ha adottato il nuovo PUC, che apporta modifiche alla normativa delle zone "F - Turistiche". La sig.ra Fr. ha presentato in data 22.4.2021 al Comune di (omissis) una DUA (Dichiarazione autocertificativa unica) con cui ha domandato il rilascio del titolo edilizio abilitativo per la realizzazione di opere pertinenziali di un immobile a uso residenziale, consistenti nella realizzazione di una piscina interrata. 4. Il Comune ha risposto con nota del 7.6.2021, con cui, ai sensi dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, è stata "sospesa ogni determinazione in quanto l'intervento e` in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico recentemente adottato". 4.1. In particolare, il Comune ha evidenziato che: - "in primo luogo [...] il piano urbanistico comunale di cui si allega lo stralcio e` stato revocato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 26 del 11.09.2020. Di contro, non risultano allegati agli atti gli stralci relativi al vigente Programma di Fabbricazione e al Piano Urbanistico Comunale, con l'indicazione puntuale del lotto in argomento necessario ai fini delle valutazioni di competenza"; - "inoltre, l'elaborato grafico Tavola 2 "Stato di fatto" e` privo di qualsiasi riferimento inerente le distanze del fabbricato dai confini, dalla strada e dagli altri edifici limitrofi nonché di un raffronto puntuale tra lo stato assentito e lo stato di fatto. Infatti, dalla disamina degli elaborati grafico-descrittivi allegati alla C.E. n. 70/ 1981, con particolare attenzione alla Tav. 4, e` emerso che la piscina fu autorizzata contestualmente alla realizzazione del fabbricato sebbene tra gli allegati alla DUA in disquisizione non se ne faccia riferimento. La proponente dovrà, pertanto, allegare un elaborato grafico - descrittivo recante la sovrapposizione tra lo stato di fatto e lo stato di progetto evidenziando puntualmente tutte le eventuali difformità riscontrate"; - "ad ogni buon conto, si rappresenta che la normativa di dettaglio per la sottozona (omissis), all'interno del quale e` classificato l'immobile in argomento, e` stabilita dall'art. 168 delle Norme Tecniche di Attuazione allegate al PUC avente ad oggetto "Comparti di Riqualificazione Zone F2". Rientrano in questa sottozona tutti gli insediamenti realizzati con il rilascio, da parte dell'amministrazione comunale, di titoli edilizi diretti in assenza della contestuale realizzazione di idonee opere di urbanizzazione primaria, sulla base di semplici planivolumetrici redatti prima dell'entrata in vigore della cosiddetta legge ponte (L n. 765/1967), fra cui, in particolare, le cosiddette "Comunioni" compresa quella di Is Morus de quo. Per tali ambiti si rende prioritaria la riqualificazione paesaggistica e funzionale con la predisposizione di un piano di razionalizzazione e di riqualificazione, esteso all'intero comparto come individuato dal PUC, di iniziativa pubblica o privata per il progressivo recupero della legittimità delle lottizzazioni di fatto"; - "dispone, pertanto, il comma 9 del sopracitato articolo 168 che in assenza del piano di riqualificazione, nel rispetto del PPR e delle altre norme di riferimento regionali, con la specifica finalità di completare le aree sotto il profilo delle necessita` urbanizzative primarie e secondarie sono ammesse esclusivamente le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, di adeguamento tecnologico igienico e funzionale, di restauro e risanamento conservativo su immobili realizzati legittimamente o per i quali sia stata ottenuta una concessione edilizia in sanatoria ai sensi della LR n. 23/85". 5. Con l'odierno ricorso la sig.ra Fr. impugna: - il PUC adottato dal Comune di (omissis) con deliberazione del Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021 e i relativi allegati ed elaborati, tra cui le Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) e il Regolamento edilizio, in quanto le nuove previsioni pianificatorie, a suo dire, ledono gravemente i suoi diritti e interessi sia per la disciplina urbanistica, generale e particolare, che si vuole imprimere alla zona urbanistica, sia per i gravosi oneri che si intendono porre a carico dei privati, sia per effetto dell'entrata in vigore delle misure di salvaguardia previste dall'art. 12 del d.P.R. n. 380/2001, che non consentono alla ricorrente interventi eccedenti la manutenzione straordinaria e, nella fascia dei 300 metri dal mare, interventi che non siano finalizzati "al restauro, demolizione senza ricostruzione, e/o recupero di edifici preesistenti dotati di legittimo atto abilitativo"; - il "parere sospensivo" espresso con la nota comunale del 7.6.2021, sia per illegittimità derivata da quella dello strumento urbanistico generale in itinere, sia per illegittimità diretta, dato che l'intervento edificatorio richiesto ricadrebbe nella nozione di "intervento pertinenziale" al di sotto della soglia critica (ossia non comportante la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale) di cui all'art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R. n. 380 del 2001, e di cui all'art. 10-bis, comma 1, lett. c) della L.R. n. 23/2985, in forza del quale un intervento quale quello di cui trattasi sarebbe sempre ammissibile, da un punto di vista edilizio - urbanistico e paesistico, ai sensi dell'art. 52 delle N.T.A. del P.P.R. 5.1. Il ricorso è affidato ai seguenti motivi. 1) Travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, carenza di motivazione; contraddittorietà ; violazione dell'art. 11 delle preleggi; violazione dell'art. 27 Cost. La ricorrente deduce che: - la classificazione data dallo strumento urbanistico adottato (art. 165 delle NTA del PUC) al comparto della Comunione Pineta (omissis) come "sottozona (omissis), comparto (omissis)" sarebbe illegittima per travisamento dei fatti conseguente a un difetto di istruttoria e viziata anche nella motivazione, in quanto l'insediamento in questione, in origine denominato semplicemente (omissis), fu realizzato negli anni '50 in base a un vero e proprio progetto di lottizzazione promosso dalla società Sa. Im. S.p.A. (SA.), la cui legittimità deve essere valutata tenendo conto della disciplina urbanistica vigente all'epoca in cui l'operazione immobiliare è stata realizzata e non secondo la normativa attualmente in vigore, che non può avere effetto retroattivo; - il Comune, in considerazione dell'esistenza di varie opere di urbanizzazione nel comparto edilizio considerato (viabilità primaria e secondaria, asfalto della viabilità primaria, illuminazione della rete stradale primaria e secondaria, rete idrica realizzata sotto la rete stradale, rete elettrica realizzata lungo la rete stradale, rete telefonica realizzata lungo la rete stradale, impianti sportivi di calcio, calcetto, pallavolo, pallacanestro, bocce e tennis - n. 5 campi - realizzati in una delle zone verdi comuni), in sede di adozione del PUC avrebbe dovuto compiere una adeguata istruttoria allo scopo di verificare la congruità, o meno, delle opere presenti in rapporto alla misura degli standard ritenuta applicabile, anziché ritenerle a priori insufficienti; - le decisioni comunali sarebbero contraddittorie, in quanto il Comune da un lato ha preso atto (art. 168, comma 5, delle NTA del PUC) della circostanza che l'area ha le caratteristiche insediative della zona (omissis) (pur essendo stata poi classificata come zona (omissis)) e, quindi, è caratterizzata da un assetto urbanistico ormai legittimamente consolidato e da una relativa densità antropica, dall'altro ha imposto la necessità di una pianificazione attuativa estesa all'intero comparto; - il PUC sarebbe illegittimo anche perché la pianificazione urbanistica attuativa da esso prevista presupporrebbe l'illegittimità e/o l'irregolarità degli insediamenti ricadenti nelle porzioni di territorio censite nelle sottozone (omissis) dello strumento urbanistico adottato, mentre, a detta della ricorrente, l'insediamento denominato "Comunione (omissis)" sarebbe stato realizzato del tutto legittimamente e la trasformazione edilizia del territorio sarebbe regolare. 2) Con riguardo agli interventi ammessi nella fascia dei 300 m dalla battigia: violazione dell'art. 11 delle preleggi; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001. La ricorrente censura sotto più profili l'art. 159, comma 11, delle NTA del PUC, il quale stabilisce che "Non e` consentito alcun intervento edilizio nell'ambito della fascia dei 300 m dal mare che non sia finalizzato al restauro, demolizione senza ricostruzione, e/o recupero di edifici preesistenti dotati di legittimo atto abilitativo". Secondo la ricorrente, infatti, la previsione in parola sarebbe illegittima in quanto: - violerebbe l'art. 12 del P.P.R. della Regione Sardegna, a tenore del quale "Negli ambiti di paesaggio, salva l'applicazione di diverse disposizioni previste dal presente P.P.R., sono in tutti i casi ammessi: a) gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico, di ristrutturazione e restauro che non alterino lo stato dei luoghi, il profilo esteriore, la volumetria degli edifici, la destinazione d'uso ed il numero delle unita` immobiliari; e` consentita la realizzazione di eventuali volumi tecnici di modesta entità, strettamente funzionali alle opere e comunque tali da non alterare lo stato dei luoghi; b) gli interventi di cui alle lettere b), c), d) e), f), g), h), l), m), n) e p) dell'art. 13 della L.R. 11 ottobre 1985, n. 23, integrato dall'art. 1 della L.R. n. 5 del 2003"; - violerebbe l'art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, secondo cui sono ammessi gli interventi di ristrutturazione (sia pure con limiti) anche nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l'edificazione; - il divieto imposto non sarebbe proporzionato né ragionevole, poiché impone l'onere di una preventiva pianificazione attuativa estesa all'intero comparto anche in relazione a interventi edilizi limitati, astrattamente consentiti dall'art. 3, comma 1, lettere a), b) c) e d) del d.P.R. n. 380/2001; - il PUC adottato - nonostante dagli artt. 89, 90 e 158 delle NTA si ricavi che gli obiettivi per le zone (omissis) sono la riqualificazione architettonica, paesaggistica ed ambientale - non terrebbe conto del fatto che le ristrutturazioni meglio consentono di riqualificare, anche dal punto di vista paesaggistico, l'esistente rispetto a quanto sia possibile fare con una semplice manutenzione ordinaria e/o straordinaria; sotto tale profilo, quindi, emergerebbero profili di contraddittorietà nel PUC tra scopi perseguiti e strumenti individuati; - i divieti in questione contrasterebbero con l'art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, con l'art. 28 della L. n. 1150/1942 e implicherebbero una violazione del diritto di proprietà (come riconosciuto e garantito dall'art. 42 Cost. e dall'art. 832 c.c.), dato che le modifiche della disciplina urbanistica non possono riguardare, in ogni caso, né gli interventi per i quali vi sia già stato l'inizio dei lavori né gli interventi ormai completati da decenni; - l'esclusione degli interventi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria si porrebbe in contrasto con l'art. 39, comma 1, della L.R. Sardegna 23 aprile 2015, n. 8 ("Rinnovo del patrimonio edilizio con interventi di demolizione e ricostruzione"), secondo cui "La Regione promuove il rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di integrale demolizione e successiva ricostruzione degli edifici esistenti che necessitino di essere adeguati in relazione ai requisiti qualitativi, architettonici, energetici, tecnologici, di sicurezza strutturale e per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche"; - violerebbe l'art. 30 della L.R. Sardegna 18 gennaio 2021, n. 1 ("Disposizioni per il riuso, la riqualificazione ed il recupero del patrimonio edilizio esistente ed in materia di governo del territorio. Misure straordinarie urgenti e modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985 e n. 16 del 2017"), che così dispone: "Gli articoli della presente legge, trattandosi di disposizioni straordinarie per il sostegno dell'economia mediante il rilancio del settore edilizio coniugate con la riqualificazione, la razionalizzazione ed il miglioramento della qualità architettonica e abitativa, della sicurezza strutturale, della compatibilità paesaggistica e dell'efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente nel territorio regionale, anche attraverso la semplificazione delle procedure, sono cogenti e di immediata applicazione e prevalgono sugli atti di pianificazione, anche settoriale, sugli strumenti urbanistici generali e attuativi e sulle altre vigenti disposizioni normative regionali"; - l'esclusione degli interventi di ristrutturazione, di restauro e di risanamento conservativo sarebbe, inoltre, in contrasto con gli artt. 119 ss. del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77, da ultimo introdotte dall'art. 33 del D.L. 31 maggio 2021, n. 77, in tema di incentivi per l'efficienza energetica e la rigenerazione urbana. 3) Illegittimità dell'obbligo di adottare piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale, per violazione degli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942 e dell'art. 30 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 25 della L.R. n. 45/1989 e dell'art. 12 del d.P.R. n. 380/2001; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 834 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 11 delle preleggi; dell'art. 23 Cost.; eccesso di potere per illogicità e manifesta ingiustizia; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 97 Cost. e dell'art. 1 della l. n. 241/1990. La ricorrente contesta gli artt. 159, 162, 164, 165, 167 e 168, 9 e 209 delle NTA del PUC adottato, in quanto a suo dire, con riferimento alle sottozone (omissis), imporrebbero l'obbligo della adozione di piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo senza distinguere in alcun modo tra aree già lottizzate e urbanizzate e aree ancora da trasformare. Deduce al riguardo la ricorrente che la previsione dell'obbligo di un preventivo piano attuativo avrebbe senso logico e giuridico solo per le aree ancora da trasformare urbanisticamente, ma non con riguardo al comparto (omissis) della "Comunione (omissis)", dato che l'intervento immobiliare in questione risale agli anni '50. La prescrizione in parola, inoltre, comporterebbe un'inammissibile ingerenza nelle proprietà private legittimamente edificate anteriormente all'entrata in vigore della norma, addossando ai privati obblighi e oneri non giustificati, non indennizzati e non previsti da alcuna disposizione di legge. Sotto diverso profilo, nonostante le opere di urbanizzazione e infrastrutturazione che insistono nel comparto edificatorio della "Comunione (omissis)" siano state già realizzate in conformità alle norme tecniche e con le caratteristiche previste dalle disposizioni vigenti all'epoca dei fatti, l'obbligo introdotto dal PUC adottato, di previa adozione di un piano attuativo per adeguare le urbanizzazioni e/o gli standard urbanistici prima di qualsiasi ulteriore intervento edilizio negli immobili esistenti, costringerebbe il privato a progettare tali opere rispettando le norme, urbanistiche, edilizie e tecniche oggi in vigore e, quindi, a stravolgere completamente l'insediamento. 4) Sull'efficacia temporale dei piani attuativi: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942; violazione dell'art. 25 Cost. La ricorrente censura gli artt. 9, 11, 17, 162, 164, 165, 167 e 168 delle NTA, nella parte in cui introducono un termine di scadenza dell'efficacia urbanistica dei piani di lottizzazione e/o degli altri piani attuativi, fissandolo per analogia al termine decennale che la legislazione nazionale vigente prevede per la validità del c.d. piano particolareggiato (disciplinato dall'art. 17 della l. n. 1150/1942). Tali norme si porrebbero in contrasto con gli artt. 16, 17 e 28 della l. n. 1150/1942, i quali individuano la scadenza dei piani attuativi in relazione al solo termine per l'esecuzione del piano attuativo e/o della convenzione di lottizzazione, ma non prevedono alcuna scadenza, anzi fanno espressamente salva la disciplina urbanistica ed edilizia impressa con detti strumenti urbanistici di c.d. terzo livello, che necessariamente resta in vigore a tempo indeterminato (al pari degli strumenti urbanistici generali cui accede) sino a quando non si proceda ad adottare una nuova disciplina urbanistica dell'intero territorio comunale. Quest'ultima, peraltro, pur nella discrezionalità che caratterizza la potestà urbanistica pianificatoria dell'Amministrazione comunale sul proprio territorio, non può porsi in aperta incoerenza con la situazione di fatto esistente e richiede, comunque, quando lo imponga la situazione del singolo compendio interessato dalla specifica previsione, una puntuale e congrua motivazione, al momento invece inesistente (cfr. T.A.R. Liguria - Genova, Sez. I, n. 1090/2016). Soggiunge la ricorrente che la previsione dell'impossibilità di effettuare interventi edilizi diversi dalla manutenzione ordinaria e straordinaria sarebbe del pari radicalmente illegittima in quanto assimilabile a una sanzione, che pero`, qualora comminata in difetto dei presupposti di legge (come accadrebbe nel caso di specie), sarebbe in contrasto con l'art. 25 Cost. 5) Sulla limitazione degli interventi in difetto di piano di riqualificazione: violazione dell'art. 12 delle NTA del PPR della Regione Sardegna; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 28 e dell'art. 30 della l. n. 1150/1942; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12 e 15, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 25 della L.R. n. 45/1989; violazione dell'art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001; violazione del diritto di proprietà e quindi dell'art. 42 Cost. e dell'art. 832 cod. civ.; violazione dell'art. 39 della L.R. n. 8/2015; violazione dell'art. 30 della L.R. n. 1/2021. Con il quinto motivo la ricorrente censura gli artt. 162, comma 12-a, 165, comma 7, 167, comma 6, 167-a, comma 5 e 168, comma 9, delle NTA nella parte in cui subordinano la possibilità di procedere a interventi edilizi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria alla previa adozione di un piano attuativo, sia esso il piano di riqualificazione paesaggistica sia altro piano attuativo. Le previsioni in parola, a dire della ricorrente, violerebbero le fonti normative di rango primario, nazionali e regionali (art. 12 delle NTA del P.P.R. Regione Sardegna; art. 9, comma 2, art. 12, art. 15 e art. 30 del d.P.R. n. 380/2001; art. 28 della l. n. 1150/1942; art. 42 Cost. e art. 832 c. c.; art. 39 della L.R. Sardegna n. 8/2015; art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; artt. 119 ss. del D.L. n. 34/2020, da ultimo introdotte dall'art. 33 del D.L. n. 77/2021), che danno facoltà alla parte interessata di compiere, alle condizioni ivi previste, le attività edilizie in questione. Il contestato divieto sarebbe inoltre irragionevole e sproporzionato, in quanto fa gravare l'onere di una pianificazione attuativa estesa all'intero comparto su un privato che vuole semplicemente ristrutturare la propria casa, nonché contraddittorio, considerato che il medesimo PUC in itinere, agli artt. 89, 90 e 158 delle NTA, individua tra gli obiettivi relativi alle zone (omissis) la riqualificazione architettonica, paesaggistica e ambientale, ma nel contempo vieta di fatto ogni intervento edilizio che consenta di attuare tale riqualificazione, al di là del mero mantenimento dell'esistente. 6) Sulle misure di salvaguardia improprie a tempo indeterminato: violazione dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001. La ricorrente censura gli artt. 162, comma12-a, 165, comma 7, 167, comma 6, 167-a, comma 5, e 168, comma 9, delle NTA del PUC in quanto a suo dire - subordinando la possibilità di procedere a interventi edilizi eccedenti la manutenzione ordinaria e straordinaria alla previa adozione di un piano attuativo, sia esso il piano di riqualificazione paesaggistica sia altro piano attuativo - introdurrebbero illegittimamente una misura di salvaguardia che, anziché comportare, ai sensi dell'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, la temporanea sospensione della domanda di permesso di costruire, ne determinerebbe di fatto la sospensione a tempo indefinito. Peraltro, soggiunge la ricorrente, dal 2014 a oggi la pianificazione urbanistica sarebbe regolamentata dalle misure di salvaguardia al di fuori di ogni controllo e di ogni tollerabile limite temporale, per effetto della copiosa attività deliberativa del Consiglio comunale di (omissis) tradottasi nella successione nel tempo di vari PUC adottati, annullati e poi riapprovati. 7) Eccessiva stratificazione dei livelli di pianificazione: violazione dell'art. 97 Cost. e dell'art. 1 della l. n. 241/1990; violazione dell'art. 4 della l. n. 1150/1942, dell'art. 3 della L.R. Sardegna n. 45/1989 e del principio di tipicità degli strumenti urbanistici. La ricorrente lamenta che gli artt. 11, 12, 13, 162 e 163 delle NTA prevedono una eccessiva stratificazione di strumenti urbanistici, in contrasto con l'esigenza di chiarezza e trasparenza e con il principio di tipicità degli strumenti urbanistici di cui all'art. 4 della l. n. 1150/1942 e all'art. 3 della L.R. Sardegna n. 45/1989. Tale eccessiva stratificazione nella pianificazione, secondo la ricorrente, sarebbe un chiaro sintomo della consapevolezza in capo all'Ente della inadeguatezza del PUC, per difetto dei requisiti necessari per assolvere la funzione di indirizzo allo sviluppo urbanistico nel rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza e certezza dei rapporti giuridici, a tutela dei privati che entrano in contatto con la pubblica Amministrazione, e tale inadeguatezza costituirebbe il frutto di una adozione frettolosa, nel difetto di una adeguata attività istruttoria e di una piena conoscenza delle complesse realtà del territorio comunale. Ciò troverebbe conferma nella classificazione - asseritamente frettolosa - della "Comunione (omissis)" nelle Sottozone (omissis), in base all'assunto - che a dire della ricorrente sarebbe errato in quanto non supportato da reali riscontri fattuali, nonché apodittico, perché non sostenuto da alcuna adeguata motivazione - secondo cui il comparto in questione difetterebbe di spazi collettivi e/o di standard in misura adeguata all'insediamento (assunto da cui il Comune avrebbe tratto l'infondata presunzione di illegittimità dell'insediamento de quo). 8) Illegittimità dei piani di riqualificazione paesaggistica quali piani attuativi; violazione del principio di tipicità degli strumenti urbanistici di cui all'art. 4 della l. n. 1150/1942 e agli artt. 3 e 21 della L.R. n. 45/1989. La ricorrente censura gli artt. 11, 159, comma 3, 162, 164, 165, 167 e 168 delle NTA e l'art. 8, comma 2, lett. l, del Regolamento Edilizio adottato nella parte in cui affermano e/o presuppongono che il piano di riqualificazione paesaggistica costituisca un piano urbanistico attuativo. Deduce la ricorrente che, in ossequio al principio generale di tipicità degli strumenti urbanistici, non compete al P.P.R. e/o al Comune di (omissis) la creazione di nuovi strumenti urbanistici attuativi; tali piani di riqualificazione paesaggistica, semmai, costituiscono dei meri progetti d'intervento, che devono e possono essere attuati solo attraverso l'utilizzo degli strumenti urbanistici previsti dalla normativa regionale e nazionale vigente (art. 21 della L.R. Sardegna n. 45/1989, L.R. n. 23/1985, L. n. 1150/1942) o attraverso altri strumenti espressamente previsti dalla normativa vigente quali, ad esempio, gli accordi di programma ex artt. 28 e 28-bis della L.R. Sardegna n. 45/1989, l'art. 15 della l. n. 241/1990, l'art. 34 del d.lgs. n. 267/2000 e/o i piani integrati di cui alla L.R. Sardegna n. 14/1996 e/o alla L.R. Sardegna n. 16/1994. 9) Illegittimità di singole prescrizioni per la redazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale; violazione del principio di gerarchia delle fonti, di cui all'art 1 delle preleggi come integrato dalla Costituzione; violazione dell'art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; violazione della L.R. Sardegna n. 8/2015. La ricorrente, in subordine rispetto alle censure dedotte avverso la previsione dell'obbligo di presentare un piano di riqualificazione paesaggistica e/o altro piano attuativo per le Sottozone (omissis), contesta: - l'art. 162, comma 3, delle NTA, nella parte in cui sanziona i privati che non addivengano al convenzionamento nel termine di cinque anni fissato al comma 1 del medesimo articolo, negando agli interessati l'eventuale aumento di volumetria previsto dal PUC o concedibile in relazione alla normativa regionale sovraordinata (P.P.R.); - lo stesso art. 162, comma 3, nella parte in cui nega in modo espresso la facoltà di eseguire interventi differenti da quelli espressamente richiamati nello stesso comma "anche se previsti e ammessi da norme sovraordinate", nonché il comma 12, lett. e), del medesimo articolo laddove stabilisce che "sono vietati altri interventi, anche se previsti e ammessi da norme sovraordinate", e altresì gli artt. 164, comma 6, 167-a, comma 5, 168, comma 9, delle NTA, ai sensi dei quali nelle sottozone (omissis), in difetto di piano di riqualificazione paesaggistica, sono consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; - l'art. 6, punti 21 e 22, l'art. 92, sub 3, e l'art. 118, sub 3 e 4, del Regolamento Edilizio, nella parte in cui introducono il generale divieto di utilizzo dei piani interrati e seminterrati ad uso abitazione, uffici o a qualsiasi altro uso che comporti la permanenza, anche solo diurna, di persone; - l'art. 1, punto 42, n. 3, l'art. 6, punto 23, l'art. 117, punto 5, l'art. 128 e l'art. 143 del Regolamento Edilizio, nella parte in cui fissano il generale divieto di utilizzo a scopo abitativo dei sottotetti. Tali prescrizioni, secondo la prospettazione attorea, sarebbero illegittime in quanto: - il PUC ed il Regolamento Edilizio, in ossequio al principio di gerarchia delle fonti, non possono derogare alle norme sovraordinate (art. 30 della L.R. Sardegna n. 1/2021; artt. 30, 32, 32-bis e 33 della L.R. Sardegna n. 8/2015); - viene imposto ai privati un obbligo che non ha fondamento nella legge e quindi viola l'art. 23 Cost.; - viene richiesta ai privati una prestazione quasi impossibile, tanto più in considerazione dell'esiguo termine di cinque anni per adempiere, senza che ciò risponda ad alcuna metodologia di pianificazione del territorio; - vengono violate le disposizioni della l.r. n. 8/2015 e, in particolare: l'art. 30, che consente gli interventi di incremento volumetrico del patrimonio edilizio esistente (per la parte al di fuori della fascia dei 300 m dalla battigia); l'art. 32, il quale consente gli interventi di recupero dei sottotetti; l'art. 32-bis, che consente gli interventi di recupero dei seminterrati, dei piani pilotis e dei locali al piano terra; l'art. 33, che consente il riuso degli spazi di grande altezza. 10) Sui piani di riqualificazione e la dichiarazione di pubblica utilità : violazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 834 c.c. La ricorrente censura l'art. 162, comma 4, delle NTA del PUC adottato nella parte in cui afferma che l'approvazione dei Piani di riqualificazione paesaggistica equivarrebbe a dichiarazione di pubblica utilità delle opere ivi previste. Tale previsione sarebbe illegittima in quanto, per un verso, si può procedere a espropriazione per pubblica utilità solo nei casi e nelle forme previste dalla legge (art. 42 Cost., art. 834 c.c.) e, per altro verso, nessuna norma di legge prevede piani di riqualificazione paesaggistica cui consegua la dichiarazione di pubblica utilità . 11) Sull'iniziativa della pianificazione attuativa: violazione degli artt. 14 e 28 della l. n. 1150/1942; violazione dell'art. 13 del d.lgs. n. 267/2000; violazione degli artt. 27, 31 e 32 del d.P.R. n. 380/2001; violazione degli artt. 6 e 7 della L.R. Sardegna n. 23/1985. La ricorrente censura l'art. 162, commi 1 e 8, delle NTA del PUC nella parte in cui lascia "prioritariamente alla iniziativa privata" l'attivazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di altro piano attuativo, la verifica della liceità dell'edificato e della infrastrutturazione esistente e l'accertamento degli abusi. Tale previsione contrasterebbe con la normativa statale e regionale che attribuisce ai Comuni le competenze in materia di pianificazione urbanistica e in materia di accertamento e repressione degli abusi. Deduce al riguardo la ricorrente che il soggetto principale cui è delegata la redazione dei piani attuativi, l'esecuzione delle opere di urbanizzazione e i compiti di vigilanza è sempre l'Amministrazione comunale, che ha l'obbligo di realizzarle anche nelle ipotesi in cui le stesse non vengano realizzate dal privato che ne abbia, eventualmente, assunto in convenzione il relativo onere. 12) Sull'eliminazione degli incroci a raso: difetto di competenza; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 98 e 99 del d.lgs. n. 112/1998. Con il dodicesimo motivo la ricorrente, in subordine rispetto al motivo di impugnazione con cui contesta le previsioni del PUC che prevedono in capo ai privati l'obbligo di presentare un "piano di riqualificazione paesaggistica" e/o altro piano attuativo, censura l'art. 162 comma 8, lett. d), l'art. 164, comma 6, lett. g), l'art. 165, comma 5, lett. c), l'art. 167 comma 2, lett. f), e l'art. 168, comma 2, lett. d), delle NTA, nella parte in cui impongono ai privati di procedere all'eliminazione delle intersezioni a raso con la SS 195. Tale adeguamento, infatti, secondo la ricorrente, non può essere posto a carico dei privati in quanto: - interessa una strada statale che non costituisce un'opera di urbanizzazione primaria ex art. 16 del d.P.R. n. 380/2001, con oneri a carico dei lottizzanti; - ogni opera di trasformazione viaria è di competenza dello Stato quale proprietario e/o dell'ANAS S.p.A. quale gestore delle strade statali, in forza dell'art. 98 del d.lgs. n. 112/1998, sicché il Comune di (omissis) difetterebbe competenza, come risulta dall'art. 99 dello stesso d.lgs. n. 112/1998; - gli interventi in questione sarebbero virtualmente inattuabili da parte del privato a causa della necessità di coinvolgere centinaia di proprietari, per la impossibilità per i medesimi di impegnare le aree laterali rispetto alla strada SS 195 e perché nella maggior parte dei casi tali aree appartengono a soggetti non inclusi nella Comunione e/o nel comparto abitativo de quo. 13) Sulla trasformazione delle seconde case: violazione dell'art. 15 del d.P.R. n. 380/2001; violazione dell'art. 28 della L. n. 1150/1942; violazione del diritto di proprietà e quindi violazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 832 cod. civ.; violazione dell'art. 11 delle preleggi. La ricorrente censura l'art. 167, comma 2, lett. h), e l'art. 168, comma 2, lett. e) ed f), delle NTA, nella parte in cui stabiliscono che i piani attuativi per le sottozone (omissis) devono prevedere la trasformazione delle seconde case in strutture ricettive e/o in servizi connessi con le attività turistiche. Tali disposizioni si porrebbero in contrasto con l'art. 15 del d.P.R. n. 380/2001, con l'art. 28 della L. n. 1150/1942; con l'art. 42 Cost. e con l'art. 832 c.c. e con il principio per cui le modifiche della disciplina urbanistica non possono riguardare gli interventi c.d. esauriti, ossia gli interventi edilizi per cui vi sia stato l'inizio dei lavori (che per tale motivo possono continuare a fondarsi sul titolo edilizio già ottenuto e attivato) e, a maggior ragione, quelli già completati da decenni. Deduce la ricorrente che il Comune non può imporre una tale conversione, ostandovi la necessità di tutelare i diritti acquisiti dai privati che non possono essere rimessi in discussione introducendo una norma di rango secondario e/o di natura regolamentare con pretesa di retroattività . 14) Sul collaudo delle opere di urbanizzazione: eccesso di potere nella forma sintomatica dello sviamento di potere. La ricorrente censura l'art. 164, comma 4, delle NTA nella parte in cui, per le sottozone (omissis), consente le sole opere di manutenzione ordinaria, qualora le opere di urbanizzazione non siano state collaudate, senza distinguere il caso delle opere che non è stato possibile collaudare per responsabilità del lottizzante, dal caso in cui non si è proceduto per fatto imputabile all'Amministrazione comunale e/o perché si tratta di insediamenti consolidati o, ancora perché la normativa vigente al momento della realizzazione non ne prevedeva la cessione. La previsione in parola, nella parte in cui impone tale limitazione anche in assenza di responsabilità in capo ai lottizzanti, sarebbe illegittima per eccesso di potere nella forma sintomatica dello sviamento, in quanto manderebbe esente il Comune di (omissis) dalle proprie responsabilità tra cui, ad esempio, quella di aver fatto decorrere il termine di prescrizione a favore dei lottizzanti eventualmente inadempienti. Inoltre, la limitazione degli interventi ammissibili alla sola manutenzione ordinaria non sarebbe giustificata da effettive necessità paesaggistiche, in quanto le stesse NTA, all'art 35, stabiliscono che, ai sensi dell'art. 149 del d.lgs. n. 42/2004, sono ammessi gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici. Aggiunge la ricorrente che il limite in questione non appare fondato su esigenze urbanistiche attuali, considerato che la manutenzione straordinaria, il restauro, il risanamento conservativo e anche la ristrutturazione non incidono di regola sul carico urbanistico. 15) Sugli oneri di urbanizzazione: violazione dell'art. 28, comma 5, della l. n. 1150/1942; violazione dell'art. 35 della L.R. Sardegna n. 45/1989; violazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 834 cod. civ.; violazione dell'art. 23 Cost. La ricorrente censura: - l'art. 16, comma 1, lett. a), delle NTA, nella parte in cui, con riferimento ai piani attuativi di iniziativa privata, prevede in capo ai privati lottizzanti l'assunzione della totalità degli oneri per le opere di urbanizzazione secondaria e la cessione delle aree; - l'art. 26 delle NTA, nella parte in cui consente al Comune un "utilizzo diverso" (sia pure di pubblico interesse) delle aree cedute per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria; - l'art 168, comma 6, delle NTA, nella parte in cui impone ai privati, con riferimento alle sottozone (omissis), di assumere, in sede di pianificazione attuativa, l'obbligo di gestione per venti anni delle aree cedute per servizi. Le previsioni richiamate sarebbero illegittime: - per violazione degli artt. 16 e 28 della l. n. 1150/1942, i quali prevedono che le opere di urbanizzazione secondaria sono poste solo parzialmente a carico dei lottizzanti e sono cedute con vincolo di destinazione: da ciò consegue, infatti, che il Comune di (omissis) può acquisire le aree per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria solo quando vi è la necessità di procedere in tal senso, e deve assumere l'onere della loro gestione, mentre la possibilità di un diverso utilizzo delle aree cedute o comunque acquistate dal Comune per le urbanizzazioni implica la non necessità di ulteriori opere di urbanizzazioni, con il conseguente venir meno della causa giuridica di tale acquisizione; - per violazione dell'art. 42 Cost. e dell'art. 834 c.c., in quanto l'imposizione di cessioni non necessarie per le opere di urbanizzazione configurerebbe una espropriazione per pubblica utilità al di fuori dei casi previsti dalla legge; - per violazione dell'art. 23 Cost., nella misura in cui gravano i privati di prestazioni in difetto (per quanto riguarda gli oneri di gestione) e/o in eccesso (per quanto riguarda le cessioni) rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente. 16) Sul divieto delle seconde case: eccesso di potere e difetto di motivazione; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990; violazione dell'art. 11 delle preleggi. La ricorrente deduce l'illegittimità per eccesso di potere e difetto di motivazione e, quindi, per violazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990 dell'art. 160 delle NTA, nella parte in cui consente nuovi interventi edificatori solo ad uso residenziale - turistico - ricettivo quali le strutture ricettive extralberghiere, i Residence, le Domos, le "Case e appartamenti per le vacanze" e i servizi strettamente connessi alla residenza, implicitamente escludendo la possibilità di nuovi interventi edilizi residenziali tout court. Secondo la ricorrente tali limitazioni, imponendo una modifica alla normativa urbanistica ed edilizia riferita ad un insediamento già attuato e completo, potrebbe essere imposta solo a fronte di una puntuale, congrua e valida motivazione - non rinvenibile nel PUC adottato - che giustifichi la compressione delle aspettative dei privati al mantenimento della disciplina urbanistica consolidatasi in oltre 70 anni. Sotto questo profilo la contestata scelta comunale contrasterebbe con il fondamentale principio, espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 295/2005; T.A.R. Liguria, Sez. I, n. 1090/2016), per cui una scelta di Piano Regolatore Generale può essere considerata illogica quando attribuisce ex novo una destinazione in aperta incoerenza con la situazione di fatto e con la destinazione urbanistica precedentemente attribuita. 17) Violazione dell'art. 20, comma 3, della L.R. Sardegna n. 45/1989; eccesso di potere per contraddittorietà e difetto d'istruttoria e di motivazione. La ricorrente deduce l'illegittimità della deliberazione del Consiglio comunale n. 21 del 30.3.2021, di adozione del PUC, per violazione dell'art. 20, comma 3, della L.R. n. 45/1989, nonché per eccesso di potere nelle forme sintomatiche della contraddittorietà e del difetto d'istruzione e di motivazione, per aver proceduto all'adozione dello strumento urbanistico generale senza svolgere alcuna indagine concreta e senza dare atto delle risultanze dello studio affidato al geo dott. Pani e, quindi, senza verificare, o quantomeno motivare, l'attualità dello studio idrogeologico allegato al PUC adottato nel 2014, cui a dire della ricorrente si è rinviato acriticamente. Tale modus operandi, peraltro, colliderebbe con le affermazioni contenute nella stessa delibera, secondo cui "dall'esame di tutte le osservazioni, sia dei privati che della Regione, e` emersa la necessita` di sostanziali revisioni al Piano Urbanistico, mediante complesse attività di indagine e verifica" e "con determinazione n. 586 del 9.10.2019 venne conferito il servizio dello studio ex art. 8 comma 2 ter NTA del PAI attinente area PPCM e supporto riordino delle conoscenze per il settore ambientale e paesaggistico del Piano Urbanistico Comunale al Dott. Geol. Fa. Al. Pa.". Sotto diverso profilo il Comune avrebbe violato l'art. 20, commi 1 e 3, della L.R. n. 45/1989 nella pretesa di eludere gli oneri di avvio del processo di VAS del PUC, così come l'elaborazione dello studio comunale di assetto idrogeologico, ai sensi degli artt. 8 e 37 delle Norme tecniche di attuazione del Piano di assetto idrogeologico (PAI), facendo riferimento al precedente strumento urbanistico ormai scaduto e privo di effetti giuridici e validità . 18) Violazione dell'art. 97 Cost. La ricorrente si duole della circostanza - lamentata da due consiglieri comunali di minoranza - che l'ordine del giorno per la seduta consiliare del 30.3.2021, relativo alla adozione del PUC, è stato comunicato ai consiglieri comunali solo cinque giorni prima e che tutti gli elaborati del PUC sono stati messi a loro disposizione nello stesso termine. Tale termine di convocazione, seppur formalmente rispettoso delle disposizioni regolamentari, nella sostanza violerebbe i principi di buona e imparziale amministrazione di cui all'art. 97 Cost., i quali impongono che ogni provvedimento amministrativo venga adottato a seguito di una congrua istruttoria, essendo evidente, secondo la ricorrente, che in un lasso di tempo cosi` breve nessuno sarebbe in grado di compiere un esame adeguato di un atto complesso quale è il PUC, considerata la quantità e la difficoltà tecnica degli elaborati da esaminare, peraltro in concomitanza con l'esame del bilancio. 19) Violazione dell'art. 23 del Regolamento del Consiglio Comunale. La ricorrente lamenta che il Consiglio Comunale avrebbe violato la metodologia che la stessa assemblea aveva deliberato di adottare e alla quale, pertanto, si era autovincolata, con conseguente violazione dell'art. 23 del Regolamento consiliare da cui discenderebbe anche l'illegittimità dello strumento urbanistico generale adottato. In particolare, la ricorrente deduce che il Consiglio comunale ha omesso la votazione punto per punto ed è passato direttamente alla votazione zona per zona, per poi passare ad approvare gli emendamenti di singoli articoli, peraltro senza calarli nel contesto dell'intero articolo e della zona interessata dagli stessi, con la conseguente modifica delle norme relative alle singole zone e la vanificazione dell'approvazione zona per zona già intervenuta. Secondo la ricorrente le zone interessate dagli emendamenti, a quel punto, avrebbero dovuto essere riapprovate separatamente con il testo emendato e, parimenti, anche i singoli articoli avrebbero dovuto essere approvati nel testo emendato, ma ciò non è avvenuto. 20) Sul provvedimento di sospensione della pratica edilizia presentata: illegittimità derivata. La ricorrente deduce l'illegittimità in via derivata (in conseguenza dell'illegittimità degli artt. 159 e 168 delle NTA, ai sensi dei quali il Comune ha ritenuto applicabili le misure di salvaguardia ex art. 12 del d.P.R. n. 380/2001) del provvedimento di cui alla nota del 7.6.2021, di sospensione della pratica edilizia presentata dall'interessata con riguardo alla realizzazione di una piscina pertinenziale. 21) Sul provvedimento di sospensione della pratica edilizia presentata: illegittimità diretta; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, lett. e.6), del d.P.R. n. 380/2001; violazione dell'art. 97 Cost.; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. La ricorrente censura in via diretta il provvedimento di cui alla nota del 7.6.2021, per i profili già esposti nei precedenti motivi di ricorso nn. II e V, in quanto a suo dire gli interventi di ristrutturazione e comunque gli interventi oggetto della DUA "sospesa" sarebbero immediatamente realizzabili anche nella fascia dei 300 metri dal mare, pur in difetto dei piani attuativi in presenza di un fabbricato legittimamente realizzato quale è quello della ricorrente, che peraltro si trova a oltre 400 metri dal mare. Il gravato provvedimento di sospensione della pratica edilizia sarebbe inoltre illegittimo perché sarebbe irragionevole e contrario al principio di proporzionalità far ricadere su un privato che intenda semplicemente ristrutturare la propria casa, realizzando una piscina pertinenziale, l'onere di una pianificazione attuativa estesa all'intero comparto. Si tratterebbe di interventi edificatori sussumibili nella categoria del "restauro e risanamento conservativo" di cui all'art. 3, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 (come modificato dall'art. 65-bis della l. n. 96 del 2017) anziché nella categoria di cui alla successiva lettera d) della stessa disposizione. E tali categorie di interventi edilizi sono sempre ammissibili, anche ai sensi degli artt. 12 e 15 delle N.T.A. del P.P.R. Sardegna. L'intervento edilizio consistente nella creazione di una piccola piscina interrata, come quello di cui è causa, da realizzare nel cortile dell'immobile a uso abitativo di proprietà della ricorrente, in una posizione comunque non visibile dallo spazio pubblico, darebbe dunque origine a un manufatto sussumibile sia tra le pertinenze civilistiche (ex art. 817 c.c.), sia tra le c.d. "pertinenze urbanistiche" (in quanto "intimamente correlato" all'edificio principale, "preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio", "sfornito di un autonomo valore di mercato" e insuscettibile di incidere sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume"). In altri termini, secondo la ricorrente, nulla osterebbe, né da un punto di vista edilizio e urbanistico, né da un punto di vista paesaggistico, alla realizzazione della piccola piscina in questione, quale pertinenza dell'immobile descritto, essendo ricadente internamente al lotto e non visibile da punti di vista pubblici. Sarebbero peraltro inconferenti le presunte mancanze di documentazione evidenziate nella nota gravata, in quanto gli stralci degli strumenti urbanistici precedenti sono già nella disponibilità dell'Amministrazione procedente. Sotto diverso profilo, le ulteriori presunte carenze progettuali addotte a motivo dell'emissione dell'impugnato "parere sospensivo" sarebbero inesatte, tendenziose e defatigatorie, così come la pretesa presentazione di un ulteriore "elaborato grafico- descrittivo recante la sovrapposizione tra lo stato di fatto e lo stato di progetto evidenziando puntualmente tutte le eventuali difformità riscontrate", dato che l'inquadramento della piccola piscina pertinenziale nel lotto sarebbe perfettamente ricostruibile sulla base degli elaborati grafici già presenti, e che - come rilevato dalla stessa Amministrazione comunale procedente - la scelta di realizzare la piscina pertinenziale non costituisce neppure una innovazione in senso proprio, giacché il manufatto in questione era già previsto nel titolo edificatorio originario in base al quale è stato costruito il villino adibito ad abitazione all'interno della "Comunione (omissis)". 6. Si è costituito il Comune intimato, il quale ha eccepito l'inammissibilità del ricorso (poiché l'impugnazione riguarda il PUC adottato e, quindi, non ancora consolidato - né efficace - nelle scelte definitive, che avverranno solo con l'approvazione definitiva), oltre a resistere nel merito. 7. Alla camera di consiglio del giorno 29 luglio 2021 la Sezione, con l'accordo delle parti, ha rinviato al merito la discussione della causa. 8. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno ribadito le proprie difese con memorie e repliche. 9. Alla pubblica udienza del giorno 16 marzo 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. 10. Il ricorso è infondato. Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue. 11. In via preliminare, occorre ricordare i principi che presiedono all'attività di pianificazione territoriale, come anche da ultimo ripresi dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. II, 2 dicembre 2020, n. 7636) e già condivisi da questo Tribunale (T.A.R. Sardegna, Sez. II, 30 aprile 2021, n. 322): - l'esercizio della funzione pianificatoria (quale è quella sottesa all'adozione degli atti impugnati) si caratterizza per l'ampio margine di discrezionalità attribuito all'Amministrazione, con possibilità di censurare le scelte effettuate solo quando queste si presentino come manifestamente illogiche o contraddittorie (Cons. Stato, Ad. Plen, 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 20 giugno 2012, n. 3571); - in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l'Amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell'individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l'uso del proprio territorio (e anche nel rivedere le proprie, precedenti previsioni urbanistiche), valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico; tali scelte, peraltro, non richiedono una particolare motivazione, conformemente - del resto - all'amplissima previsione di cui al comma 2 dell'art. 3 della l. n. 241 del 1990 (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 2017, n. 2403; Cons. Stato, Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4867); - ne consegue che in vista dell'adozione di atti di pianificazione incombe sull'Amministrazione solo l'onere di valutare in modo adeguato il complesso delle circostanze e dei presupposti sottesi all'esercizio del relativo potere, attraverso un iter logico e procedurale scevro da profili di irragionevolezza e abnormità ; occorre dunque tener conto della congruenza delle scelte con le linee di sviluppo del territorio illustrate nella relazione tecnica e nei documenti accompagnatori, rispetto alla quale l'onere motivazionale degli strumenti di piano si attenua risolvendosi nella mera indicazione della congruità con le direttrici di sviluppo del territorio esposte nella relazione tecnica o, più in generale, nei documenti che accompagnano la predisposizione del piano stesso (T.A.R. Sardegna - Cagliari, Sez. II, n. 499/2022); - la scelta, compiuta in sede di pianificazione generale, di imprimere una particolare destinazione urbanistica ad una zona, non necessita di particolare motivazione, in quanto essa trova giustificazione nei criteri generali di ordine tecnico-discrezionale seguiti nella impostazione del piano, salvo che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni (cfr., ex pluribus, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854); - le evenienze generatrici di affidamento "qualificato", sulla scia della giurisprudenza ormai consolidata, sono ravvisabili nell'esistenza di convenzioni di lottizzazione, di accordi di diritto privato intercorsi tra Comune e proprietari, di giudicati di annullamento di dinieghi di concessioni edilizie, o di silenzio-rifiuto su domanda di concessione, in mancanza dei quali non è configurabile un'aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria non peggiorativa di quella pregressa, ma solo un'aspettativa generica, analoga a quella di qualunque altro proprietario di aree che aspiri all'utilizzazione più proficua dell'immobile, posizione cedevole rispetto alle scelte urbanistiche dell'Amministrazione, in relazione alla quale non può essere invocato il difetto di motivazione, a ciò ostando la natura generale dell'atto e i criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 17 febbraio 2012, n. 854 cit.; Sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104); - non grava quindi sull'Amministrazione l'onere di motivare ulteriormente le statuizioni relative a ciascuna posizione individuale: laddove, infatti, si opinasse in tal senso, l'attività di pianificazione perderebbe il suo carattere di generalità e si tradurrebbe nella sommatoria di un numero inestricabile di situazioni puntuali (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 1461 del 28.2.2020 n. 1461). Le scelte effettuate dalla p.a. in sede di formazione ed approvazione dello strumento urbanistico generale sono dunque accompagnate da un'amplissima valutazione discrezionale per cui, nel merito, appaiono insindacabili e sono per ciò stesso attaccabili solo per errori di fatto, abnormità e irrazionalità delle stesse; in ragione di tale discrezionalità, l'Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate nella sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l'impostazione del piano (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 704 del 14.10.2020; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 30 marzo 2020, n. 255; T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 20.12.2018, n. 1231; Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.5.2012, n. 2952). Oltretutto, in materia urbanistica, non opera il principio del divieto di reformatio in pejus, in quanto in tale materia, come visto, l'Amministrazione gode di un'ampia discrezionalità nell'effettuazione delle proprie scelte, che relega l'interesse dei privati alla conferma della previgente disciplina ad interesse di mero fatto non tutelabile in sede giurisdizionale (Cons. Stato, Sez. IV, 24 marzo 2017, n. 1326). La giurisprudenza ha, altresì, evidenziato che all'interno della pianificazione urbanistica devono trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi (così, Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656). E ciò in quanto l'urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli Enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, per cui l'esercizio dei poteri di pianificazione territoriale ben può tenere conto delle esigenze legate alla tutela di interessi costituzionalmente primari, tra i quali rientrano quelli contemplati dall'articolo 9 della Costituzione. In tale contesto, spetta all'Ente esponenziale effettuare una mediazione tra i predetti valori e gli altri interessi coinvolti, quali quelli della produzione o delle attività antropiche più in generale, che comunque non possono ritenersi equiordinati in via assoluta (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710; 22 febbraio 2017, n. 821; 13 ottobre 2015, n. 4716). 12. Ciò premesso in diritto, occorre tener presente in punto di fatto, ancora in via preliminare, che la "Comunione Is Morus", come efficacemente rappresentato dalla difesa comunale, risulta sorta in assenza di piano attuativo e non è provvista delle necessarie urbanizzazioni primarie. Ciò, in particolare, trova riscontro nelle sentenze di questo Tribunale, Sez. II, n. 664/2013 e 908/2013 (confermate dalle sentenze del Consiglio di Stato n. 6802/2020 e n. 6814/2020), nelle quali si è rilevato che: - si tratta di una "comunione immobiliare in gran parte edificata e parzialmente dotata di opere di urbanizzazione"; "tale edificazione è avvenuta sulla base di concessioni dirette rilasciate negli anni scorsi dal Comune di (omissis) che, incomprensibilmente, senza porsi il problema del dimensionamento delle opere di urbanizzazione esistenti, ha consentito l'edificazione di circa 150 fabbricati residenziali"; - "non può ulteriormente tollerarsi [...] l'ulteriore edificazione di unità immobiliari in assenza - e tale circostanza è incontestata tra le parti - di un'adeguata rete di raccolta dei liquami fognari con idoneo impianto di depurazione"; - tale "situazione di fatto" si è determinata "per effetto dell'incontrollato rilascio, da parte dell'amministrazione comunale, di titoli edilizi diretti in assenza della contestuale realizzazione di idonee opere di urbanizzazione primaria, prima fra tutte la citata rete fognaria"; - è evidente la "clamorosa carenza nell'ambito della comunione immobiliare "(omissis)" (ex S.A.I.A.) di un'opera di urbanizzazione (la rete fognaria) che, avuto anche riguardo alla delicatezza e al particolare pregio ambientale del sito, avrebbe dovuto costituire conditio sine qua non per l'attuazione della lottizzazione da parte della Sa. Im. Alberghiera S.p.A."; - "in presenza della descritta situazione di fatto, determinatasi per effetto del consistente sviluppo edificatorio della zona, l'amministrazione comunale di (omissis), che l'ha consentito, non può limitarsi a pretendere che i proprietari dei residui lotti non edificati - verosimilmente nel disinteresse di coloro che hanno già edificato - propongano dei piani attuativi estesi a tutta la comunione immobiliare, ma dovrà anche farsi parte attiva nella soluzione del problema del progressivo recupero della legittimità della lottizzazione, se del caso anche attraverso la predisposizione di piani attuativi ad iniziativa pubblica, per realizzare una primaria e ormai imprescindibile opera di urbanizzazione, verificando nell'occasione, se del caso ponendovi rimedio, l'adeguatezza e l'idoneità delle altre opere di urbanizzazione già esistenti". 13. Da quanto appena esposto emerge fin da subito la correttezza della scelta comunale di inserire il compendio in questione nella sottozona "(omissis) - Insediamenti turistici spontanei ante Legge ponte" del PUC, che viene così descritta nell'art. 165 delle NTA del Piano: "1. Rientrano in questa sottozona gli insediamenti realizzati sulla base di semplici planovolumetrici redatti prima dell'entrata in vigore della Legge ponte (L n. 765/1967), fra cui, in particolare, le cosiddette "Comunioni", insediate prevalentemente nella zona di (omissis). In linea di massima corrispondono alle sottozone Fb del PdF. 2. L'edificazione in questi Comparti è avvenuta senza piano attuativo e con concessione diretta sui lotti derivati da un semplice frazionamento, con indici e normativa simili a una zona (omissis). 3. Tali insediamenti di solito realizzati con opere di urbanizzazione generalmente insufficienti o non collaudate dovranno essere oggetto di interventi di riqualificazione e di completamento delle urbanizzazioni e dei servizi pubblici nonché di riconversione ove possibile dell'edificato all'uso turistico ricettivo". 14. Al riguardo, è stato affermato in giurisprudenza che in una qualsiasi zona, fortemente urbanizzata, in cui la funzione pianificatoria sia stata sinora completamente negletta, si pone con maggiore urgenza la necessità di un intervento programmatorio dell'Amministrazione comunale, onde procedere alla verifica della conformità delle opere d'urbanizzazione primaria alle esigenze della popolazione già residente, nonché di realizzare le opere d'urbanizzazione secondaria ancora compatibili con la già avvenuta edificazione spontanea, reperendo le aree a ciò necessarie sia tra i lotti ancora inedificati, sia tra quelli, abusivamente edificati, per i quali non sia stata o non possa essere concessa la sanatoria delle opere edilizie realizzate (così T.A.R. Napoli, Sez. II, n. 19364 del 7.11.2008). La giurisprudenza, inoltre, ha evidenziato la necessità dello strumento attuativo anche in presenza di zone parzialmente urbanizzate, che sono comunque esposte al rischio di compromissione dei valori urbanistici e nelle quali la pianificazione di dettaglio può conseguire l'effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5488 del 7.1.2014; cfr. Cass. pen., Sez. III, 19 settembre 2008, n. 35880) e ha ribadito che anche in presenza di una zona (in tesi) già urbanizzata, la necessità dello strumento attuativo è esclusa solo nei casi in cui la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standard minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione) (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7843 del 9.12.2020). In altri termini, non è sufficiente un qualunque stadio di urbanizzazione, anche di fatto, per eludere l'obbligo della previa redazione dello strumento attuativo (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3119 del 19.6.2014). 15. Nel quadro fattuale così delineato, e alla luce dei richiamati orientamenti giurisprudenziali elaborati in materia, non può dunque ritenersi illogica né viziata da travisamento la scelta operata dal Comune, nel gravato PUC, di prevedere che la zona venga disciplinata mediante un piano attuativo a iniziativa dei privati o, in caso di inerzia degli stessi, da altro piano approvato d'ufficio, al fine precipuo di realizzare le urbanizzazioni mancanti, adeguare quelle esistenti e favorire le cessioni secundum legem, in guisa tale da conformare l'area alle prescrizioni di cui all'art. 28 della Legge n. 1150/1942. In quest'ottica, è quindi agevole cogliere la ratio sottesa alle previsioni contenute: - nell'art. 168, comma 2, delle NTA, secondo cui "Per tali ambiti si rende prioritaria la riqualificazione paesaggistica e funzionale con la predisposizione di un piano di razionalizzazione e di riqualificazione, esteso all'intero comparto come individuato dal PUC, di iniziativa pubblica o privata per il progressivo recupero della legittimità delle lottizzazioni di fatto..."; - nell'art. 162, nel quale si prevede, al comma 1, che i piani in questione dovranno essere convenzionati (se di iniziativa privata) entro il termine di cinque anni dall'approvazione definitiva del PUC, decorso il quale sarà l'Amministrazione a predisporre d'ufficio i piani di riqualificazione (comma 3). 16. Ciò posto, e passando sinteticamente al merito delle singole censure, non ha pregio il primo motivo, in quanto, come già rilevato supra, al punto 13, la scelta comunale di inquadrare il comparto in questione come zona (omissis) è del tutto coerente con le caratteristiche e la situazione di fatto dell'area, siccome sopra descritte al punto 12. 17. Il secondo motivo, concernente gli interventi realizzabili in zona (omissis) nella fascia entro i 300 m dalla battigia, è inammissibile per carenza di interesse, in quanto il lotto della ricorrente (come attestato nella relazione paesaggistica di progetto - doc. 9 del Comune), non ricade in tale fascia e, pertanto, non risente degli effetti della norma contestata. 18. Il terzo motivo è infondato perché, contrariamente a quanto dedotto da parte ricorrente, l'obbligo della adozione di piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo, come rilevato sopra, è coerente con la situazione di fatto in cui versa il compendio di cui è causa e con l'esigenza di dare soluzione al "problema del progressivo recupero della legittimità della lottizzazione", già evidenziato da questo Tribunale nelle pronunce sopra richiamate n. 664/2013 e n. 908/2013. 19. Il quarto motivo, concernente l'efficacia temporale dei piani attuativi, è inammissibile per carenza di interesse attuale e concreto, posto che la "Comunione Is Morus", come già rilevato sopra, non è dotata di piani attuativi scaduti per effetto del termine decennale di durata fissato dal PUC. 20. Il quinto e il sesto motivo, con cui parte ricorrente contesta, rispettivamente, la limitazione degli interventi ammessi in difetto di un piano di riqualificazione e le misure di salvaguardia asseritamente a tempo indeterminato, sono infondati in quanto le previsioni in questione, oltre ad essere coerenti con lo stato dei luoghi della "Comunione Is Morus", mirano ad assicurare che gli interventi di ristrutturazione edilizia vengano realizzati in presenza delle necessarie opere di urbanizzazione primaria (previa approvazione dei piani attuativi necessari per la riqualificazione). 21. Il settimo motivo, riferito alla presunta "eccessiva stratificazione di strumenti urbanistici", è inammissibile sia per genericità sia perché le censure sono formulate in termini meramente ipotetici ed eventuali, sicché risultano inidonee ad evidenziare la concreta lesività delle disposizioni contestate. 22. L'ottavo motivo, concernente l'asserita violazione del principio di tipicità degli strumenti urbanistici, è inammissibile per carenza d'interesse, perché la ricorrente non dimostra in quali termini le previsioni contestate (nell'equiparare i piani di riqualificazione ai piani attuativi) risulterebbero immediatamente e concretamente lesive nei suoi confronti. 23. Parimenti è inammissibile il nono motivo, con cui vengono contestate singole prescrizioni per la redazione dei piani di riqualificazione paesaggistica e/o di un piano attuativo in generale, posto che la ricorrente non ha dimostrato di essere lesa concretamente dalle disposizioni oggetto di censura. 24. Anche il decimo motivo, diretto a censurare la previsione (art. 162, comma 4, delle NTA) secondo cui "L'approvazione dei Piani di riqualificazione di iniziativa Comunale equivale a dichiarazione di pubblica utilità relativamente alle aree per servizi e comunque a tutte le cessioni in essi individuate", è inammissibile per carenza di interesse, perché le doglianze sono formulate in astratto, senza che la ricorrente dimostri di subire alcuna lesione concreta e attuale dalla disposizione impugnata. 25. L'undicesimo motivo, con cui la ricorrente si duole del fatto che i piani di riqualificazione sono prioritariamente di iniziativa privata, è infondato (a prescindere da ogni indagine circa la sua eventuale inammissibilità per carenza d'interesse), poiché le previsioni contestate si limitano a concedere ai privati una mera facoltà, senza che venga ad esse imposto alcun obbligo, e ciò non contrasta con alcuna disposizione di legge. 26. Il dodicesimo motivo, concernente le disposizioni che fanno carico ai privati di procedere alla eliminazione degli incroci a raso con la SS 195, è inammissibile per carenza d'interesse, in quanto le previsioni in parola vanno interpretate, correttamente, nel senso che l'onere dei privati circa la messa in sicurezza degli accessi dalla "Comunione Is Morus" alla strada statale antistante riguarda solo le porzioni di proprietà privata - tenuto conto, peraltro, che ai sensi dell'art. 162, comma 8, lett. d) delle NTA, i nuovi accessi andranno a innestarsi con "la prevista "viabilità di servizio" parallela alla strada statale" - e in quest'ottica le previsioni in questione non arrecano alcuna lesione alla ricorrente. 27. Il tredicesimo motivo, concernente la trasformazione delle seconde case in strutture ricettive o servizi connessi con le attività turistiche, si fonda su una errata interpretazione della norma di cui all'art. 168, comma 2, lett. e) ed f), delle NTA, e perciò è infondato, in quanto altra norma delle NTA (art. 163) chiarisce che la trasformazione in strutture ricettive costituisce una priorità e non un obbligo per i proprietari (e ciò in linea, del resto, con quanto previsto dall'art. 90 delle NTA del P.P.R.). 28. Il quattordicesimo motivo è inammissibile per carenza d'interesse concreto e attuale perché riguarda previsioni dedicate alle sottozone (omissis), mentre la proprietà della ricorrente e la "Comunione Is Morus" nel suo complesso ricadono in zona (omissis), sicché non vengono attinte dalla disciplina contestata. 29. Il quindicesimo motivo, concernente la disciplina sugli oneri di urbanizzazione contenuta negli artt. 16, 26 e 168 delle NTA, è inammissibile per carenza d'interesse, tenuto conto - come peraltro evidenziato dalla difesa comunale - che: - l'art. 16, comma 1, lett. a), si limita a prevedere "la concessione e il trasferimento gratuito al Comune delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre alle altre cessioni eventualmente previste dalle presenti NTA", senza specificare chi debba realizzare le urbanizzazioni secondarie; - l'art. 26 chiarisce che le aree di cessione avranno una destinazione coerente con l'art. 6 del c.d. "Decreto Floris", che disciplina gli standard urbanistici; - l'art. 168, comma 6, si limita ad anticipare disposizioni che il Comune intende inserire nelle convenzioni da stipulare all'esito dell'approvazione dei piani di riqualificazione. 30. Il sedicesimo motivo, concernente le previsioni che escludono la possibilità di nuovi interventi edilizi residenziali, è infondato in quanto attiene a scelte rimesse alla sfera discrezionale dell'Amministrazione, in questa sede non sindacabili in quanto non manifestamente irragionevoli né viziate da travisamento. Al riguardo, come già osservato sopra, la giurisprudenza ha chiarito che nella formazione dello strumento urbanistico e nelle scelte che presiedono all'approvazione di varianti generali, l'Amministrazione vanta di regola un'ampia potestà discrezionale per cui, salva l'esistenza di un piano attuativo approvato e convenzionato, nessun affidamento deriva dalla diversa destinazione pregressa della medesima area: l'autorità pianificatoria può anche apportare modificazioni "peggiorative" rispetto agli interessi del proprietario, in capo al quale è configurabile nulla più che una generica aspettativa al mantenimento della destinazione urbanistica gradita (T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, n. 263 del 5.3.2018). Peraltro, nella fattispecie la scelta comunale è coerente con gli indirizzi posti per gli insediamenti turistici dall'art. 90 del P.P.R., secondo cui "I Comuni, nell'adeguamento degli strumenti urbanistici al P.P.R., si attengono ai seguenti indirizzi: a. prevedere lo sviluppo della potenzialità turistica del territorio attraverso l'utilizzo degli insediamenti esistenti quali centri urbani, paesi, frazioni e agglomerati, insediamenti sparsi del territorio rurale e grandi complessi dei territorio minerario". 31. Il diciassettesimo motivo, concernente l'asserita mancata elaborazione di un nuovo studio di assetto idrogeologico o comunque l'omessa valutazione circa l'attualità dello studio idrogeologico allegato al PUC adottato nel 2014, non coglie nel segno alla luce del tenore testuale della norma di cui all'art. 20, comma 1, della L.R. n. 45/1989 (come sostituito dall'art. 23, comma 1, della L.R. 11 gennaio 2019, n. 1), invocata dalla ricorrente. Tale norma, invero, stabilisce che "Entro centoventi giorni dall'entrata in vigore della Legge di semplificazione 2018, i comuni, singoli o associati, deliberano l'avvio del procedimento per la formazione del PUC. Contestualmente i comuni, singoli o associati, comunicano all'autorità competente in materia ambientale l'avvio del processo di VAS del PUC e, laddove non si sia ancora dato corso, avviano l'elaborazione dello Studio comunale di assetto idrogeologico ai sensi degli articoli 8 e 37 delle Norme tecniche di attuazione del Piano di assetto idrogeologico (PAI)". Orbene, dalla semplice lettura della disposizione in parola emerge che l'avvio della elaborazione dello "Studio comunale di assetto idrogeologico" è imposto ai comuni "laddove non si sia ancora dato corso". Nel caso di specie, quindi, lo studio in questione non è necessario, poiché uno studio ana era stato già approvato pochi anni prima (nel 2014). 32. Il diciottesimo motivo, concernente il termine di convocazione dell'adunanza consiliare, non ha alcun pregio perché la tempistica prevista dal Regolamento consiliare è stata pienamente rispettata, come del resto riconosciuto dagli stessi ricorrenti. Né alcun rilievo può assumere la circostanza che nella stessa adunanza dedicata all'esame del PUC era previsto anche l'esame del bilancio. 33. Il diciannovesimo motivo, concernente l'asserita violazione della metodologia adottata per la votazione del piano, non merita accoglimento in quanto dalla delibera consiliare n. 21 del 30.3.2021 risulta che la votazione del PUC è avvenuta nel sostanziale rispetto di quanto previsto dall'art. 23 del Regolamento del Consiglio comunale. Tale norma, infatti, così stabilisce: "2. Nel caso si tratti di proposta composta da diversi articoli, o capitoli o voci, il Consiglio, qualora un Consigliere lo richieda, procede alla votazione dei singoli articoli, capitoli, voci. 3. Ogni Consigliere ha diritto in ogni momento di proporre emendamenti che vengono discussi secondo l'ordine di presentazione. Prima si procede alla votazione degli emendamenti soppressivi; seguono i modificativi, infine gli aggiuntivi. Gli emendamenti ad un emendamento sono votati prima dello stesso punto. Gli emendamenti dei singoli Consiglieri sono votati prima di quelli delle Commissioni. 4. Qualora si sia proceduto alla votazione per articoli, capitolo o voci, la proposta viene successivamente sottoposta a votazione nella sua globalità ". Nella fattispecie risulta documentalmente che il voto è stato espresso prima sulle singole zone (v. pagg. 21-51 della delibera), quindi sugli emendamenti (v. pagg. 53-90 della delibera), infine sul piano nel suo complesso (v. pag. 91 della delibera), quindi la procedura prevista è stata sostanzialmente rispettata. 34. Dall'infondatezza dei motivi che precedono consegue l'infondatezza del ventesimo motivo, con il quale la ricorrente deduce l'illegittimità in via derivata del provvedimento di sospensione della pratica edilizia concernente la realizzazione della piscina interrata. 35. Il ventunesimo motivo, con il quale la ricorrente sostiene che la realizzazione della piscina sarebbe compatibile con la normativa edilizia regionale e nazionale, non merita accoglimento, poiché all'ammissibilità di tale intervento ostano, per un verso, le previsioni del piano adottato (e in particolare, come visto sopra, l'art. 168, comma 9, delle NTA), in assenza della previa approvazione di un piano attuativo di riordino dell'area, nonché, per altro verso, la disciplina delle misure di salvaguardia di cui all'art. 12, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, a tenore del quale "In caso di contrasto dell'intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda". In ragione di ciò, quindi, il Comune altro non poteva fare se non sospendere la pratica edilizia in questione. 36. In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso va in parte respinto e in parte va dichiarato inammissibile, nei sensi sopra esposti. 37. Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, tenuto conto del complesso della vicenda e della particolarità delle questioni. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Dante D'Alessio - Presidente Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore Gabriele Serra - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 949 del 2021, proposto da P.R. Mo. Se. S.r.l. ed altri, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Ni. No. e Fe. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell'avv. Ni. No. in Cagliari, via (...); contro ARST - Azienda Regionale Sarda Trasposti S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Vi. e Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico presso lo studio dell'avv. Ma. Vi. in Cagliari, Piazza (...); nei confronti Pa. Se. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ra. Bi., Ca. Co. La Gr., Pa. Pi. ed El. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; It. S.r.l., non costituita in giudizio; per l'annullamento: - della nota prot. n. 21847 del 10.11.2021 a firma dell'Amministratore Unico, avente ad oggetto "Vs. nota del 09.11.2021 - Richiesta proroga del termine per la sottoscrizione del contratto", nella parte in cui l'Amministrazione intimata ha concesso all'aggiudicatario la proroga del termine per la sottoscrizione del contratto fino al 3.12.2021, conosciuta a seguito di accesso in data 15.11.2021; - della nota prot. n. 20763 del 26.10.2021 a firma dell'Amministratore Unico, avente ad oggetto "Vs. nota del 23.10.2021", nella parte in cui l'Amministrazione intimata ha concesso all'aggiudicatario un termine per provvedere all'adeguamento delle strutture, conosciuta a seguito di accesso in data 15.11.2021; - della nota prot. n. 20477 del 22.10.2021 a firma del Direttore Centrale, avente ad oggetto "Comunicazione esito sopralluoghi del 08.10.2021", nella parte in cui l'Amministrazione intimata ha concesso all'aggiudicatario un termine per provvedere all'adeguamento delle strutture, conosciuta a seguito di accesso in data 15.11.2021; - della nota prot. n. 16335 del 3.9.2021 a firma del Direttore Centrale, avente ad oggetto "Comunicazione esito sopralluoghi e riscontro Vs. nota del 09.08.2021 prot. ARST 14906", nella parte in cui l'Amministrazione intimata ha concesso all'aggiudicatario un termine per provvedere all'adeguamento delle strutture, conosciuta a seguito di accesso in data 15.11.2021; - "ove occorrer possa", del diniego tacito opposto da ARST S.p.A. all'atto di significazione e diffida alla revoca e contestuale aggiudicazione al secondo classificato trasmesso via PEC in data 17.11.2021; - di ogni ulteriore atto presupposto, conseguente o comunque collegato, e di qualsiasi altro atto medio tempore adottato; nonché per la declaratoria: - di inefficacia del contratto che verrà medio tempore eventualmente stipulato; - del diritto della ricorrente ad ottenere l'aggiudicazione della gara con consequenziale sottoscrizione dell'accordo quadro ovvero il subentro nel medesimo, salva espressa riserva di separata azione risarcitoria per tutti i danni che dovessero derivare in caso di esecuzione, anche solo parziale, dell'appalto in questione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di ARST - Azienda Regionale Sarda Trasposti S.p.A. e di Pa. Se. S.r.l.; Visto il ricorso incidentale presentato da Pa. Se. S.r.l.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2022 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Le odierne ricorrenti hanno partecipato in RTI costituendo (P.R. Mo. Se. S.r.l. in qualità di mandataria, Pi. Ro. S.r.l. e Of. Ca. Gi. S.r.l. in qualità di mandanti) alla procedura aperta indetta dall'ARST S.p.A. ai sensi dell'art. 123, comma 1, e dell'art. 60 del d.lgs. n. 50/2016 mediante accordo quadro con un unico operatore economico, ex art. 54 del d.lgs. n. 50/2016, per l'affidamento del servizio di manutenzione elettromeccanica autobus di tipologia Me. Ci. e Sc./ Ir., comprensivo della fornitura di ricambi e lubrificanti, suddivisa in due lotti, per la durata di due anni e ripetibile per un ulteriore anno ai sensi dell'art. 125, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 50/2016, da aggiudicarsi col criterio del minor prezzo. 1.1. Secondo le previsioni del disciplinare e del capitolato, dopo la conclusione della fase di aggiudicazione e di verifica dei requisiti autocertificati per partecipare alla gara, e prima di sottoscrivere il contratto d'appalto, l'aggiudicataria aveva obbligo di indicare le c.d. "officine fiduciarie" (cioè officine gestite da altri soggetti, con i quali l'offerente avesse sottoscritto appositi contratti di collaborazione) presso le quali si sarebbero svolte le attività oggetto dell'appalto (oltre ad eventuali officine proprie, in aggiunta o in sostituzione di quelle fiduciarie, di cui la lex specialis non faceva comunque menzione). 1.2. Con riguardo al lotto n. 2, avente ad oggetto la manutenzione elettromeccanica e la fornitura di ricambi e lubrificanti per gli autobus Sc./Ir., la gara è stata aggiudicata al costituendo RTI Pa. Se. S.r.l. - It. S.r.l. (che ha conseguito 100 punti) all'importo complessivo per la durata biennale di Euro 6.803.264,00 oltre IVA, mentre il RTI P.R. Mo. Se. S.r.l. - Of. Ca. Gi. S.r.l. - Pi. Ro. S.r.l. è arrivato secondo (con 22,25 punti). 2. Con l'odierno ricorso le ricorrenti impugnano gli atti indicati in epigrafe, tra cui, in particolare, la nota con cui l'ARST ha concesso all'aggiudicatario la proroga del termine per la sottoscrizione del contratto, le note con cui l'ARST ha concesso all'aggiudicatario un termine per provvedere all'adeguamento delle strutture, nonché il diniego tacito sull'atto di "significazione e diffida alla revoca e contestuale aggiudicazione al secondo classificato" trasmesso alla stazione appaltante dalle interessate. 2.1. Con un unico, articolato motivo, le ricorrenti deducono le seguenti censure: violazione e falsa applicazione degli artt. 3.2 e 9 del Disciplinare di gara e dell'art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50/2016; violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione dell'art. 80, comma 5, del d.lgs. n. 50/2016; eccesso di potere per violazione della disciplina di gara sui controlli post aggiudicazione, violazione delle norme in materia di concorrenza e partecipazione alle gare pubbliche, disparità di trattamento, manifesta illogicità e irragionevolezza; violazione e falsa applicazione dell'art. 97 Cost. In estrema sintesi, le ricorrenti lamentano che: A) nonostante i molteplici rinvii accordati nei mesi dall'ARST, l'RTI aggiudicatario non possiederebbe un'adeguata rete di officine per l'esecuzione del servizio di manutenzione, in quanto le strutture ubicate in (omissis), (omissis) ed (omissis) (nelle quali il RTI controinteressato, secondo quanto dallo stesso dichiarato, dovrebbe svolgere in proprio il servizio oggetto della gara in misura pari al 60%, avvalendosi per il restante 40% del subappalto) sono risultate, a seguito dei plurimi controlli effettuati dall'Amministrazione (in particolare, all'esito dei sopralluoghi del 7.7.2021 e dell'8.10.2021), assolutamente non idonee sotto il profilo tecnico e operativo allo svolgimento del servizio, e nonostante ciò l'Amministrazione ha concesso più volte al RTI aggiudicatario un termine per adeguare le strutture; l'ARST invece, secondo le ricorrenti, avrebbe dovuto escludere il RTI controinteressato e revocare l'aggiudicazione già disposta in suo favore per mancanza dei requisiti di capacità tecnico-professionale dichiarati in sede di offerta; B) le proroghe e i rinvii concessi dall'ARST, affinché il RTI aggiudicatario possa procurarsi le sedi necessarie all'esecuzione del servizio, a fronte delle carenze riscontrate nella fase di verifica dei requisiti, sarebbero gravemente illegittime per violazione degli obblighi posti dalla lex specialis (art. 9 del disciplinare di gara, ai sensi del quale "In caso di esito negativo delle verifiche, la stazione appaltante procederà alla revoca dell'aggiudicazione, alla segnalazione all'ANAC nonché all'incameramento della garanzia provvisoria. La stazione appaltante procederà, pertanto, allo scorrimento della graduatoria e all'affidamento al Concorrente secondo in graduatoria, procedendo altresì alle verifiche nei termini sopra indicati") e dall'art. 32 del d.lgs. n. 50/2016, così come parimenti illegittimo in via derivata sarebbe il silenzio diniego opposto all'atto di significazione inviato dalle ricorrenti in data 17.11.2021; C) l'ARST non ha indicato le ragioni giuridiche che hanno determinato le sue decisioni, in violazione dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui all'art. 3 della l. n. 241/1990; inoltre l'Amministrazione, rinviando di volta in volta la stipulazione del contratto, avrebbe pregiudicato l'interesse pubblico alla sollecita esecuzione del contratto e al regolare avvio del servizio senza valida motivazione; del resto, il bando prevede un termine decadenziale breve di 10 giorni, dalla relativa richiesta da parte dell'ente appaltante, per la produzione dei contratti con le officine fiduciarie (v. art. 9 del disciplinare di gara), e tale previsione - a dire delle ricorrenti - induce a ritenere che, a fortiori, la medesima decadenza debba scaturire ove nel medesimo termine di 10 giorni dalla richiesta l'aggiudicataria non dimostri di disporre di proprie sedi pronte e idonee ad operare; sotto diverso profilo, l'Amministrazione avrebbe anche leso la regola della leale concorrenza e del divieto di disparità di trattamento tra gli operatori economici, in quanto, con i continui rinvii avrebbe messo l'aggiudicatario in condizione di procurarsi a posteriori la capacità tecnico-professionale che avrebbe dovuto possedere fin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione alla gara (cfr. art. 3.2, punto 5, del disciplinare), così pregiudicando anche l'interesse del RTI delle ricorrenti, secondo classificato (che dispone da tempo - e comunque fin dal momento della presentazione della domanda di partecipazione alla selezione - di numerose unità operative su tutto il territorio regionale), allo scorrimento della graduatoria; D) le proroghe concesse da ARST sarebbero illegittime anche perché la presentazione di dichiarazioni non veritiere - in cui sarebbe incorso il RTI aggiudicatario, avendo dichiarato di possedere strutture adeguate mentre in realtà avrebbe la disponibilità di un centro smistamento birra, di un deposito per arredamenti e di una piccola officina per veicoli leggeri - costituisce motivo di esclusione dalla gara ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. f-bis), del d.lgs. n. 50/2016. 3. Si è costituita l'intimata ARST, la quale, sulla base dell'assunto secondo cui il presente giudizio non riguarda la procedura di affidamento ma la fase esecutiva dell'appalto, ha eccepito la carenza d'interesse delle ricorrenti a ingerirsi nella vicenda esecutiva in corso e, d'altro lato, il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, oltre a chiedere la reiezione del ricorso nel merito. 4. Si è costituita, per il RTI controinteressato, Pa. Se. S.r.l., la quale, oltre a resistere al gravame, ha proposto ricorso incidentale, chiedendo l'esclusione delle ricorrenti dalla gara e la conseguente inammissibilità del ricorso principale sulla base dei seguenti motivi: 1) violazione e/o erronea applicazione del disciplinare di gara e dell'art. 48, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016; mancata indicazione delle quote di esecuzione assegnate a ciascuna impresa partecipante al RTI; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta: il RTI composto dalle ricorrenti avrebbe dovuto essere escluso dalla gara in quanto nessuna di esse ha precisato la quota di esecuzione che, in caso di aggiudicazione, verrebbe svolta da ciascuna e ciò costituirebbe una carenza essenziale, non sanabile nemmeno per mezzo del soccorso istruttorio perché suscettibile di impedire l'individuazione certa del contenuto dell'offerta; 2) violazione e/o erronea applicazione del disciplinare di gara e dell'art. 105, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 50/2016; violazione della disciplina in materia di subappalto; eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e ingiustizia manifesta: il RTI delle ricorrenti avrebbe dovuto essere escluso anche perché, secondo la prospettazione della ricorrente incidentale, avendo dichiarato di non voler ricorrere al subappalto non potrebbe giovarsi di alcuna delle strutture indicate come officine fiduciarie e, conseguentemente, non sarebbe in grado di soddisfare le esigenze "di copertura zone" manifestate dall'ARST con le tabelle contenute nel capitolato. 5. Alla camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2022 la causa è stata rinviata al merito su accordo delle parti. 6. In data 29.3.2022 l'ARST e il RTI aggiudicatario hanno stipulato il contratto (Accordo Quadro). 7. In vista dell'udienza di discussione le parti hanno ribadito le proprie difese con memorie e repliche. Le ricorrenti, inoltre, hanno eccepito l'inammissibilità del ricorso incidentale per indeterminatezza degli elementi essenziali. La controinteressata ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, la tardività del ricorso (poiché il gravame sarebbe sorretto da una causa petendi riferita alla carenza di requisiti per la partecipazione) e l'inammissibilità per mancanza d'interesse (in conseguenza della mancata impugnazione del provvedimento di aggiudicazione). 8. Alla pubblica udienza del giorno 20 aprile 2022 la causa è passata in decisione. 9. Preliminarmente va esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da ARST e dalla controinteressata in quanto l'odierno giudizio non riguarderebbe la procedura di affidamento ma la fase esecutiva dell'appalto. Al riguardo, è sufficiente osservare che le ricorrenti, nella sostanza, mirano alla esclusione del RTI aggiudicatario e al conseguente scorrimento in loro favore della graduatoria. Le doglianze non si appuntano sulla inadempienza di una obbligazione attinente alla fase esecutiva dell'appalto, ma sul mancato assolvimento delle prescrizioni indispensabili per la stipula dell'appalto e l'assunzione dei servizi oggetto dello stesso, ossia su una violazione che avrebbe dovuto condurre alla revoca dell'aggiudicazione ai sensi dell'art. 9 del disciplinare. L'odierna controversia, dunque, ricade nell'ambito della giurisdizione amministrativa, atteso che, dal punto di vista sistematico, vanno reputate controversie "relative a procedure di affidamento" ad evidenza pubblica ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 (primo inciso), c.p.a., perciò riservate alla giurisdizione esclusiva del g.a., quelle che attengono ad atti che, pur collocandosi dopo l'aggiudicazione, riguardano comunque la procedura di affidamento, nel senso che ne determinano le sorti o incidono sull'individuazione del contraente e comunque sono originate dall'adozione o dalla caducazione di provvedimenti amministrativi concernenti il procedimento di scelta del contraente (C.d.S., Sez. V, n. 7217/2021). Tra questi atti, infatti, rientra anche il provvedimento di "decadenza" dall'aggiudicazione (detto anche di "revoca" dell'aggiudicazione o di "esclusione" dell'operatore economico, anche se sopravvenuto all'espletamento della gara) adottato nei confronti dell'aggiudicatario per inottemperanza ad obblighi di allegazione documentale preordinati alla stipulazione del contratto (cfr. C.d.S., Sez. V, n. 5354/2019 e n. 5498/2019) o per mancata attuazione di altri adempimenti condizionanti comunque la stipulazione del contratto, quali appunto quelli concernenti il possesso dei c.d. requisiti di esecuzione (C.d.S., Sez. V, n. 722/2022). In altri termini, l'intervenuta aggiudicazione non sottrae la relativa sub-fase (di accertamento degli adempimenti condizionanti la stipula del contratto) alla fase pubblicistica (e, di conserva, alla giurisdizione amministrativa), trattandosi di fase ancora esposta all'esercizio di poteri autoritativi di controllo e di eventuale autotutela della stazione appaltante (C.d.S., Sez. V, n. 5498/2019; cfr. anche T.A.R. Sardegna, Sez. I, n. 175/2022). L'eccezione, pertanto, va respinta. 10. Ciò chiarito in punto di giurisdizione, si può prescindere dall'esame delle ulteriori eccezioni processuali in quanto il ricorso principale è infondato nel merito; conseguentemente, il ricorso incidentale è improcedibile, come verrà meglio precisato successivamente. Di seguito le motivazioni della sentenza, rese nella modalità redazionale semplificata di cui agli artt. 120, comma 6, e 74 c.p.a. 10.1. Al riguardo, con riferimento al ricorso principale, osserva il Collegio che: - la lex specialis non imponeva ai concorrenti di possedere le officine già al momento della gara, ma prescriveva di impegnarsi a metterle a disposizione soltanto in caso (e a seguito) di aggiudicazione, quindi dopo la conclusione della procedura; - ciò può agevolmente desumersi dal disposto di cui all'art. 3.2, punto 5, del disciplinare, che richiedeva un "impegno, in caso di aggiudicazione, ad avere adeguata rete di officine fiduciarie per l'esecuzione del servizio di manutenzione, così come prescritto all'art. 7.3 del Capitolato d'Appalto", nonché dallo stesso art. 7.3 del Capitolato, secondo il quale "Al fine di espletare le prestazioni oggetto del presente Capitolato, il Fornitore" (ossia l'aggiudicatario) "deve avvalersi di un numero di Officine Fiduciarie..."; - alla luce delle richiamate previsioni, dunque, è evidente che la disponibilità attuale delle officine fiduciarie (così come di quelle gestite in proprio, seppure non menzionate nel disciplinare e nel capitolato) non rientrava tra i requisiti di capacità tecnico-professionale richiesti ai concorrenti, dovendo essere qualificata invece come requisito di esecuzione; - nel rispetto delle disposizioni citate il RTI controinteressato ha dichiarato nel DGUE che "In caso di aggiudicazione l'RTI costituendo si impegna ad avere adeguata rete di officine fiduciarie per l'esecuzione del servizio di manutenzione così come prescritto dall'art. 7.3 del capitolato"; - il RTI controinteressato, peraltro, ha tempestivamente (in data 7.5.2021) assolto l'obbligo imposto dall'art. 9.1 del disciplinare di gara, secondo il quale, ai fini della stipula del contratto e a pena di revoca dell'aggiudicazione, l'aggiudicatario doveva indicare, entro 30 giorni dalla data di ricevimento della relativa richiesta, la rete di officine fiduciarie per l'esecuzione del servizio di manutenzione, altresì presentando copia degli accordi di servizio manutentivo stipulati con tali officine; - contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la richiamata previsione contenuta nell'art. 9.1 del disciplinare, espressamente riferita alle officine fiduciarie, non può ritenersi applicabile anche alle sedi operative dell'appaltatore, venendo in rilievo un obbligo previsto a pena di decadenza dall'aggiudicazione che, come tale, deve essere interpretato in termini tassativi e restrittivi; - la circostanza, dunque, che le sedi operative di (omissis), (omissis) e (omissis), al momento dei primi sopralluoghi di ARST, non fossero ancora idonee allo svolgimento dell'attività oggetto dell'appalto, non si pone in contrasto con le citate previsioni della lex specialis e, conseguentemente, non può condurre ex se alla revoca dell'aggiudicazione, come preteso da parte ricorrente; di contro, le sedi operative in questione sono state oggetto di espressa considerazione nell'Accordo Quadro sottoscritto tra l'ARST e la società Pa. Se. S.r.l., nel quale testualmente si prevede che "l'efficacia del presente contratto è assolutamente subordinata alla trasmissione della suddetta documentazione" concernente, per l'appunto, le sedi operative di cui è causa che, come visto sopra, esulano dall'ambito di applicazione dell'art. 9.1 del disciplinare; - per quanto sopra esposto, le censure sono tutte infondate e il ricorso principale va conseguentemente respinto. 10.2. Una volta esaminato e ritenuto infondato il ricorso principale, in applicazione del principio della c.d. ragione più liquida, il ricorso incidentale proposto dalla controinteressata diviene inevitabilmente improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ai sensi degli articoli 42, comma 1, e 35, comma 1, lett. c), c.p.a., essendo evidente che l'interesse della aggiudicataria a proporre ricorso incidentale, al fine di contestare la mancata esclusione dalla gara delle ricorrenti principali, viene radicalmente meno qualora il ricorso proposto da queste ultime venga respinto, dal momento che, in tal caso, l'aggiudicataria conserva il bene della vita ottenuto (id est: l'aggiudicazione). Del resto, se è vero che le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea 4 luglio 2013, Fastweb (causa c-100/12), 5 aprile 2016 Puligienica (causa c-689/13) e 5 settembre 2019 Lombardi (causa c-333/18) hanno affermato la necessità di esaminare sempre il ricorso principale, anche in caso di accoglimento del ricorso incidentale escludente e a prescindere dal numero dei partecipanti alla gara e dalla natura dei vizi dedotti, è anche vero, tuttavia, che nessuna pronuncia del giudice europeo, né del giudice nazionale, ha mai affermato la necessità di esaminare comunque il ricorso incidentale escludente proposto dall'aggiudicataria, qualora, secondo il principio della ragione più liquida, il ricorso principale sia già stato esaminato e sia stato dichiarato infondato (C.d.S., Sez. IV, n. 3094/2021). Pertanto, il ricorso incidentale va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse. 10.3. In definitiva, il ricorso principale deve essere respinto e il ricorso incidentale deve essere dichiarato improcedibile. 11. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono il criterio della soccombenza, come di norma; nulla deve disporsi, peraltro, nei confronti della parte non costituita. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto: - respinge il ricorso principale; - dichiara improcedibile il ricorso incidentale. Condanna in solido le ricorrenti alla rifusione delle spese processuali, liquidandole complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), di cui Euro 1.500,00 in favore della resistente ARST ed Euro 1500,00 in favore della controinteressata Pa. Se. S.r.l., oltre accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Dante D'Alessio - Presidente Tito Aru - Consigliere Oscar Marongiu - Consigliere, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 105 del 2022, proposto da: Sa. Lo., Ditta Individuale Sa. Lo., rappresentati e difesi dagli avvocati Ma. Ba. e St. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Argea Sardegna, rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Cu. e Ma. Fi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello stato di Cagliari, ivi domiciliataria ex lege in via (...); per l'annullamento: - del silenzio serbato da AGEA e ARGEA sulla domanda unica di pagamento presentata in data 21.05.2018 con n. 80269131597 (doc. 1) e sulla domanda unica di pagamento presentata in data 8.05.2019 con n. 90263476872 (doc. 2), nonché sulla istanza/diffida di riavvio e conclusione del procedimento di cui alle domande n. 80269131597 del 21.05.2018 e n. 90263476872 del 8.05.2019 presentata in data 22.10.2021 (doc. 3); e per la condanna: - di AGEA e ARGEA, ognuna per le proprie competenze e attribuzioni, ai sensi dell'art. 31 del C.P.A., a provvedere entro un termine non superiore a trenta giorni (dalla comunicazione o notificazione della sentenza) all'adozione degli atti di propria competenza e, in difetto, per la contestuale nomina di un Commissario ad acta che vi provveda in caso di ulteriore inadempienza. Visti il ricorso e i relativi allegati. Visti gli atti di costituzione in giudizio di Argea Sardegna e di Agea - Agenzia per Le Erogazioni in Agricoltura. Visti tutti gli atti della causa. Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2022 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale. Con il ricorso in epigrafe descritto la sig.ra Sa. Lo., titolare di un'azienda di allevamento di bovini operante in vari comuni sardi, ha chiesto accertarsi l'illegittimità del silenzio serbato dalle amministrazioni competenti sulle proprie domande di contributo, relative alle annualità 2018 e 2019. Espone, infatti, la ricorrente: - di avere presentato le suddette domande, rispettivamente, in data 21 maggio 2018 e 8 maggio 2019; - di avere ricevuto la nota 8 novembre 2021, n. 72412, con cui ARGEA Sardegna le ha comunicato che le domande in questione di contributo esulano dalle sue competenze per rientrare in quelle residue di AGEA; - di avere ricevuto la nota 2 novembre 2021, n. 72877, con cui AGEA le ha chiesto l'invio di ulteriore documentazione volta a dimostrare il possesso dei requisiti (numero di capi di bestiame per superficie del pascolo) richiesti ai fini dell'emanazione del contributo; - di avere ottemperato a tale richiesta con nota dell'11 novembre 2021, trasmettendo ad AGEA gli estratti dei "Registri BDN Lista capi al pascolo"; - di avere successivamente ricevuto, la nota 25 novembre 2021, n. 79989 (doc. 10) con cui AGEA, pur senza concludere formalmente il procedimento, ha contestato che la richiedente non sarebbe stata titolare dell'azienda a decorrere dall'1 settembre 2018, per cui non sarebbe ammissibile a contributo per il periodo successivo; - di avere, allora, inviato ad AGEA la nota 9 dicembre 2021 (doc. 11), con cui evidenziava di essere sempre rimasta titolare dell'azienda, mentre era stata un'erronea comunicazione dell'Azienda Sanitaria Locale di Lanusei a far risultare il subentro (in realtà mai avvenuto) di un terzo soggetto, errore poi corretto con il necessario aggiornamento dei registri; - di non avere, poi, ricevuto ulteriori riscontri da parte di nessuna delle amministrazioni resistenti. Su tali presupposti la ricorrente chiede accertarsi l'illegittimità del silenzio serbato dalle controparti e la condanna delle stesse a decidere sulle sue istanze con provvedimento espresso e motivato, se del caso preceduto da preavviso di diniego, evidenziando che, secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento, in particolare dall'art. 7 del Regolamento CE n. 1306/2013, il termine di conclusione del procedimento è infruttuosamente scaduto, rispettivamente, in data 30 giugno 2019 (per la prima domanda) e in data 30 giugno 2020 (per la seconda domanda). Il ricorso introduttivo è stato notificato sia ad AGEA - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura sia ad ARGEA Sardegna - Agenzia Regionale per il Sostegno all'Agricoltura, vista l'obiettiva incertezza esistente al riparto tra le due agenzie delle funzioni di Organismo pagatore sulle domande di aiuto presentate prima dell'anno 2020. Si è costituita in giudizio ARGEA, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva alla luce di un accordo intervenuto con AGEA in data 14 ottobre 2020, in base al quale le domande precedenti al 2020 e relative a contributi ricadenti sul FEAGA (Fondo Europeo Agricolo di Garanzia), come quelle ora in esame, sono rimaste nella competenza di AGEA, a differenza delle domande relative a misure ricadenti sul FEASR, sulle quali (soltanto) ARGEA è subentrata ad AGEA senza limiti temporali. La difesa di parte ricorrente ha condiviso tale prospettazione. Considerata l'incertezza e rilevanza della questione, con ordinanza 14 maggio 2022, n. 318, il Collegio ha ritenuto opportuno acquisire chiarimenti anche da parte di AGEA, per verificare se quest'ultima concorda con la prospettazione delle altre parti oppure se ne discostasse e in base a quali ragioni, rinviando la trattazione della causa alla camera di consiglio del 29 giugno 2022. Con nota del 23 maggio 2022, inviata alla difesa erariale e da questa versata agli atti del giudizio, il Direttore Generale di AGEA ha comunicato quanto segue: "In riscontro alla nota prot. 40161 del 18.5.2022, si rappresenta quanto segue, allo scopo di consentire la costituzione e la difesa di Agea nel giudizio di cui si tratta. In via preliminare, tenuto anche conto dell'ordinanza istruttoria con la quale l'adito TAR ha disposto vengano forniti chiarimenti riguardo la ripartizione delle competenze tra AGEA e ARGEA successivamente alla sottoscrizione dell'accordo siglato tra gli O.P. in data 14, si osserva che con il citato accordo si è inteso regolamentare il passaggio ad Argea delle competenze nella gestione delle domande di pagamento, autorizzazione, liquidazione degli aiuti nonché nelle risposte alle istanze dei beneficiari e/o dei difensori da questi incaricati in materia di pagamenti per i settori FEAGA e FEARS presentate dalle aziende agricole che operano nel territorio della Regione Sardegna. Per ciò che concerne il settore FEAGA, nel quale sono ricomprese le domande di aiuto oggetto della causa di cui si discute, l'art. 7 del citato accordo, che si invia in allegato, riconosce espressamente la competenza di Agea a condurre l'istruttoria e i successivi pagamenti fino all'annualità 2020, incluse le eventuali domande di modifica presentate per lo stesso anno dopo il 15 ottobre 2020. Posto quanto precede, sulla base delle informazioni fornite dal competente Ufficio operativo con riferimento ai fatti della controversia, si rappresenta quanto segue. In data 22.10.2021 (all. 1) veniva inoltrata da parte dello studio legale Po. e Ba. una generica diffida alla conclusione del procedimento relativo alla DU 2018 presentata dalla signora Sa. Lo. sulla scorta delle considerazioni che il CAA mandatario Coldiretti aveva rilevato "COME RISULTA DAL SIAN la presenza di anomalie Man che non trovavano riscontro nella BDN da loro consultata". Si affermava pertanto che non vi erano motivi ostativi al pagamento A tale richiesta veniva data riscontro con nota prot. AGEA.2021.11.02.0072877 (all.2) con la quale si faceva osservare che:" il procedimento amministrativo della Domanda Unica si svolge interamente sul sistema informativo SIAN di cui al D.lgs. 30 aprile 1998 n. 173, accessibile ai beneficiari in qualità di utenti qualificati tramite Spid/CIE o con CNS con certificato digitale di autentificazione o per il tramite del CAA cui hanno conferito mandato. La presentazione della domanda, i controlli, l'istruttoria, la partecipazione e l'accesso agli interessati, il pagamento, il diniego totale o parziale all'esito dell'istruttoria, avvengono attraverso un flusso di dati e di informazioni nell'ambito del Sian. Le evidenze digitali messe a disposizione dell'istante o del CAA mandatario attraverso il suddetto portale danno conto dell'intero procedimento, scandito dai termini dettati dalla normativa comunitaria di riferimento dall'avvio alla conclusione. Ciò posto, un distinto provvedimento di conclusione del procedimento non potrebbe che riportare gli esiti dei controlli già consultabili a sistema. Nel fare presente che non risultano trasmesse dal CAA della Sig.ra Locci evidenze documentali ulteriori rispetto ai dati provenienti da interscambio con BDN atte a provare il mantenimento delle superfici, al fine di valutare eventuale ricalcolo degli esiti in presenza di errori, si chiede di voler trasmettere le evidenze relative agli allevamenti detenuti, alle movimentazioni verso le superfici detenute e al rispetto del carico UBA/annuo." Con successiva nota acquisita con prot. AGEA.2021.11.11.0075527 (all.3) il medesimo studio trasmetteva i registri di pascolo e di stalla della società odierna ricorrente e ritenendo le superfici correttamente mantenute diffidava l'Agenzia al pagamento delle domande uniche 2018 e 2019. L'Agenzia riscontava la diffida con nota AGEA-2021-0079989 in data 25.11.2021 (All.4) facendo presente i motivi per cui parti delle superfici per entrambi le annualità non risultavano mantenute con parziale ammissibilità delle domande e facendo presente che non si ravvisavano motivi per effettuare ricalcoli delle domande 2018 e 2019 (diniego motivato). Orbene ai sensi dell'art 4 del Decreto Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali del 7 giugno 2018 n. 5465- Disposizioni nazionali di applicazione del regolamento (UE) n. 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013: "Il pascolamento è attività agricola ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera c), trattino i) del regolamento (UE) n. 1307/2013, se conforme ai seguenti requisiti: a) è esercitato con uno o più turni annuali di durata complessiva di almeno sessanta giorni; b) è esercitato con una densità di bestiame, riferita all'anno di presentazione della domanda, non inferiore a 0,2 unità di bovino adulto (UBA) per ettaro. 4. Il rapporto UBA per ettaro, di cui al comma 3, lettera b) è calcolato considerando, al numeratore, il numero medio annuo di UBA corrispondenti agli animali detenuti dal richiedente e appartenenti a codici di allevamento intestati al medesimo, registrati al pascolo nell'ambito della Banca Dati Nazionale (BDN) delle anagrafi zootecniche, e, al denominatore, la superficie aziendale complessiva di prato permanente, esclusa quella su cui il produttore dichiara di esercitare pratiche agronomiche diverse dal pascolamento.". Dunque, ai fini del calcolo del mantenimento si tiene conto del numero medio annuo di UBA corrispondenti agli animali DETENUTI dal richiedente e appartenenti a codici di allevamento intestati al medesimo, registrati al pascolo nell'ambito della Banca Dati Nazionale (BDN). Dalla BDN risultava che la Sig.ra Sa. Lo. proprietaria dell'allevamento 013OG112 a far data dal 16.02.2018 ad oggi. La stessa risultava, altresì, detentrice e responsabile dello stesso allevamento dal 16.02.2018 al 02.09.2018. A far data dal 01.09.2018 detentore dell'allevamento 013OG112 risulta essere il sig. Langiu Graziano. I giorni medi di pascolamento per ognuno dei pascoli considerati sono erano 122 ed il rapporto UBA/ha ben inferiore allo 0,2 richiesto dalla normativa nazionale. Pertanto, risultavano i dati di mantenimento rilevati dal Sian e sui quali era stato definito il procedimento con i pagamenti parziali risultavano essere corretti. Nell'annualità 2019 la sig.ra Locci non risulta detentrice di alcun allevamento. Si faceva presente che tutte le evenienze erano a conoscenza del CAA mandatario nella misura in cui lo stesso risulta delegato al compimento della registrazione degli eventi relativi all'azienda in BDN (all. 5- 6). Dunque a questo punto lo Studio legale, forte delle attestazioni del CAA mandatario che aveva asserito che le anomalie risultanti dal SIAN non trovavano riscontro nella BDN da loro consultata e che non vi erano motivi ostativi al pagamento" e a distanza di oltre due anni dalla definizione del procedimento di accesso alla riserva nazionale che si era concluso con assegnazione dei titoli consultabili sul registro pubblico presente sul sito Agea, dalla definizione delle domande con il pagamento delle superfici accertate, con nota del 10.12.2021 (all.7), diffidava l'Agenzia al pagamento considerato che "era solo a causa di una errata comunicazione dal parte della ASSL di Lanusei che la BDN riportava il subentro nella detenzione del sig. Langiu a decorrere dal 1.09.2018. A tale richiesta l'Agenzia non dava riscontro considerato che i motivi del diniego già palesi dalla consultazione dei dati dal Sian erano stati ennesimamente esposti e che nessuna attività o ricalcolo può essere richiesta all'Agenzia, a tre anni di distanza dalla presentazione delle domande sulla scorta di un "errore" in BDN, facilmente riscontrabile riconoscibile e modificabile in termini congrui dall'istante e dal CAA mandatario. AGEA non può essere chiamata in causa per l'incompetenza e l'inefficienza dei soggetti chiamati ad assistere i produttori e che da essi ricevono mandato, visto l'errore avrebbe potuto essere rilevato dalle evidenze digitali presenti sul SIAN ma anche da consultazione diretta della BDN. Si evidenzia, infatti, che i produttori conferiscono ai C.A.A., ossia ai Centri di Assistenza Agricola (abilitati ad operare secondo le norme di settore) un mandato di patrocinio in forza del quale il soggetto mandatario agisce per conto della società agricola per la presentazione della domanda di pagamento e per la ricezione degli esiti, secondo le modalità informatico-telematiche previste. I rapporti tra società agricola mandante ed il centro di Assistenza mandatario, che diviene anche domiciliatario di qualsiasi comunicazione informatico-telematica contenuta nel fascicolo aziendale gestito per conto dell'impresa agricola, sono disciplinate dalle norme in materia di mandato, integrate con quelle di settore, che disciplinano detti rapporti (art. 3 bis del d.lgs. 27 maggio 1999 n. 165; decreto MIPAF 27 marzo 2008). Dunque, il C.A.A. è onerato da obblighi di informazione e di trasparenza e deve adempiere con diligenza all'incarico ricevuto, salvaguardando la posizione e gli interessi del produttore, fornendo adeguata consulenza al fine di garantire il buon fine della domanda di pagamento. Dunque AGEA può essere chiamata a rivedere le proprie istruttorie a causa di "presunti errori di distrazione" commessi dagli operatori della ASL o dei CAA nell'inserire e/o trattare i dati detentivi delle aziende. Si ribadisce che il procedimento amministrativo della Domanda Unica si svolge interamente sul Sistema informativo SIAN di cui al D.lgs. 30 aprile 1998 n. 173. La presentazione della Domanda Unica, i controlli, l'istruttoria, la partecipazione e l'accesso agli interessati, il pagamento, il diniego totale o parziale all'esito dell'istruttoria, avvengono attraverso un flusso di dati e di informazioni nell'ambito del SIAN che racchiude la totalità delle informazioni certificate afferenti ciascuna azienda agricola: consistenza aziendale, colture prodotte, numero dei capi di bestiame detenuti, superfici e riferimenti catastali, titoli di conduzione, EFA, strutture aziendali, ecc. Gli esiti del procedimento sono le evidenze digitali consultabili sul SIAN che non sono modificabili "sine die" come vorrebbe la ricorrente. Il rispetto dei termini previsti dai Regolamenti UE e dei termini istruttori definiti dall'OP per garantire il rispetto dei primi, è necessario ed imprescindibile alla luce del fatto che l'esecuzione dei pagamenti fuori termine (eseguiti oltre il 30 giugno dell'anno successivo a quello di presentazione della domanda unica) determina il mancato rimborso da parte della Commissione europea con la conseguenza che gli stessi rimangono a carico dello Stato membro con conseguenti responsabilità per danno erariale. Si coglie l'occasione, infine, per ricordare che le norme generali sul procedimento di cui alla legge n. 241/1990 e ai regolamenti interni di attuazione adottati dai vari enti, trovano applicazione solo in mancanza di norme specifiche che disciplinino i singoli procedimenti (Cons.Stato Sez. III, 9/5/2019, n. 3027).Il paradigma procedimentale seguito nel caso in esame trova la sua disciplina non nelle norme generali sul procedimento invocate da parte ricorrente, ma nelle specifiche norme europee e interne di attuazione che regolano il procedimento di "pagamento diretto" agli agricoltori nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune; nello specifico, il Regolamento UE del Consiglio n. 1307/2013 del 17 dicembre 2013 e, per quanto riguarda "le condizioni per il rifiuto o la revoca di pagamenti, nonché le sanzioni amministrative applicabili ai pagamenti diretti", il Regolamento UE 640/2014 della Commissione dell'11 marzo2014 e i decreti applicativi del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, (Cons. Stato, Sez. III, 23/12/2019, n. 8741).Le norme attuative dei Regolamenti europei, adottate con i decreti ministeriali, prevedono tra l'altro, una serie di oneri documentali a carico dei richiedenti i pagamenti diretti, sia al momento della domanda unica, sia in fase successiva di aggiornamento dei dati. Ulteriori oneri possono scaturire dalla regolamentazione emanata dall'Organismo di coordinamento e dagli organismi pagatori che ai sensi dell'art. 7, paragrafo 6, del Regolamento UE 1306/2013 gestiscono e provvedono ai controlli delle operazioni connesse all'intervento pubblico di cui sono responsabili La partecipazione al procedimento si realizza in tali forme, attraverso l'osservanza degli oneri dichiarativi, documentali e di aggiornamento, che consentono alle aziende di contribuire all'istruttoria e al buon esito delle domande, che vengono esaminate sulla base delle informazioni fornite, salvo i controlli successivi ai fini dell'adeguamento del pagamento alla situazione reale (artt. 15 ss. Regolamento UE 640/2014; cfr. Cons. Stato, sez. III, 23/12/2019, n. 8741). Nel presentare le domande i beneficiari dichiarano: -di essere a conoscenza delle disposizioni e norme comunitarie e nazionali che disciplinano l'ammissibilità e la corresponsione degli aiuti richiesti con la presente domanda; - di aver preso atto delle condizioni e delle modalità che regolano l'ammissibilità e la corresponsione del pagamento dei premi previsti dal Reg. (UE) n. 1307/2013; -[:..]; - di aver preso atto delle condizioni e delle modalità che regolano l'ammissibilità delle superfici e, in particolare, delle condizioni di mantenimento che ne specificano l'attitudine agricola; - di essere a conoscenza degli effetti sanzionatori per le affermazioni non rispondenti al vero anche in relazione alla perdita degli aiuti previsti dalla normativa comunitaria e nazionale in materia; - di essere a conoscenza delle disposizioni previste dalla legge 898/86 e successive modifiche e integrazioni riguardanti, tra l'altro, sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari nel settore agricolo. Gli stessi beneficiari altresì sempre in domanda: PRENDONO ATTO che: l'Organismo pagatore AGEA, responsabile del procedimento amministrativo della presente domanda di pagamento, comunica lo stato della pratica, adottando le misure idonee per consentirne la consultazione a distanza (ai sensi dell'art. 3 bis della Legge n. 241/90 -uso della telematica- e dell'art. 34 della Legge n. 69/2009 -servizi informatici-per le relazioni fra pubbliche amministrazioni e utenti). Sulla base delle considerazioni sopra svolte, codesta Avvocatura vorrà assumere le iniziative più adeguate ad assicurare la tutela degli interessi dell'Agenzia". Con memoria del 13 giugno 2022, la difesa di parte ricorrente ha insistito per la condanna di AGEA alla definizione delle domande oggetto del presente giudizio mediante l'adozione di un provvedimento espresso, richiamando, sul punto, alcuni precedenti conformi di questa Sezione. La difesa erariale, con memoria di replica del 18 giugno 2022, ha, invece, ribadito la prospettazione leggibile nella memoria inviata da AGEA, secondo cui il procedimento dovrebbe considerarsi già concluso, con esito negativo, per effetto dei "passaggi informatici" sul SIAN sopra descritti, nonché per effetto delle comunicazioni scritte intervenute tra le parti nel corso del 2021. Con note finali di udienza ARGEA ha ribadito la propria richiesta di estromissione dal giudizio per difetto di legittimazione passiva. All'esito della camera di consiglio del 29 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione. Preliminarmente deve essere dichiarato il difetto di legittimazione passiva di ARGEA, in quanto la presente controversia, avendo a oggetto domande di contributo relative agli anni 2018 e 2019 ricadenti sul c.d. FEAGA, sono effettivamente rimaste nella competenza gestionale di AGEA anche alla luce dell'Accordo stipulato tra le due Agenzie in data 14 ottobre 2020 (vedi doc. 6 prodotto dalla difesa di ARGEA). Nel merito il ricorso merita accoglimento, non vedendo il Collegio motivi per discostarsi dall'orientamento già assunto con sentenze 5 febbraio 2022, nn. 60-66 -richiamate nelle difese di parte ricorrente e, per quanto consta, non riformate dal Consiglio di Stato- secondo cui, sia pure nel contesto di una complessiva informatizzazione del procedimento di gestione delle domande di contributo, non è dato ravvisare alcuna disposizione normativa, nazionale o comunitaria, che consenta ad AGEA, una vola ricevuta la domanda di contributo, di prescindere dall'adozione del provvedimento finale, preceduto, se del caso, da preavviso di diniego. Non autorizzano una deroga così profonda ai consolidati canoni procedimentali, infatti, gli artt. 7 e 35 del Regolamento UE n. 640/2014 (come può evincersi dal loro tenore testuale, cui si fa rinvio) e quest'ultima disposizione, semmai, depone in senso opposto, stabilendo che un'eventuale irregolarità a carico del richiedente debba essere accertata in termini di gravità, entità e durata, il che implica una valutazione discrezionale dell'Amministrazione, cui dovrà necessariamente corrispondere una motivazione esaustiva dell'eventuale provvedimento conclusivo di reiezione, totale o parziale, della domanda di contributo. Pertanto, alla luce di tale quadro normativo di riferimento, non è consentita ad AGEA una completa "obliterazione" di quei meccanismi di garanzia procedimentale e sostanziale che soltanto la motivazione e il contradddittorio posti a base di un espresso provvedimento di rigetto sono in grado di assicurare. In questa direzione depongono, altresì, le Istruzioni Operative 22 dicembre 2020, n. 115, approvate dalla stessa AGEA (doc. 12 di parte ricorrente), espressamente dichiarate applicabili a partire dalla Campagna 2015 (vedi l'espressione finale in "Oggetto", a pag. 1), ove sono previsti i seguenti adempimenti procedimentali: "- la notifica all'interessato di una comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della sua domanda, contenente "a) le specifiche dei controlli effettuati; b) le inesattezze riscontrate nella superficie ammissibile; c) le inesattezze riscontrate sugli allevamenti o animali richiesti a premio; d) le irregolarità e la mancanza degli altri requisiti di eleggibilità ; e) la mancanza del requisito di "agricoltore in Pag. 3 attività " ai sensi dell'art. 7 del Reg. (UE) n. 1307/2013; f) le ragioni delle riduzioni e decurtazioni del premio rispetto agli importi richiesti" (art. 4); - la comunicazione di tale preavviso alla PEC del richiedente (art. 4.2.); - la possibilità per quest'ultimo di avanzare istanza di riesame, i cui esiti "saranno resi noti all'interessato con la comunicazione di chiusura del procedimento amministrativo" e che "deve essere presentata entro il termine perentorio indicato nella Comunicazione, nel rispetto dell'art. 10 bis della Legge n. 241/90 e successive modificazioni, pena il mancato esame. Gli esiti della valutazione dell'eventuale riesame saranno resi noti all'interessato con la comunicazione di chiusura del procedimento amministrativo" (art. 4.3.2); - il fatto che "Scaduto il termine perentorio indicato nella Comunicazione, in assenza di istanza di riesame, l'esito del procedimento istruttorio si considera accettato e la Comunicazione costituisce provvedimento definitivo e notifica di chiusura del procedimento ai sensi e per gli effetti della Legge n. 241/90 e s.m.i." (4.3.3.). AGEA si è, dunque, "autovincolata" al rispetto di tali regole procedimentali, dettate nel solco delle prescrizioni generali contenute nel sopra citato articolo 35 e finalizzate ad assicurare al richiedente la possibilità di conoscere preventivamente le (compiute) motivazioni del previsto diniego e di contrapporvi controdeduzioni che l'Amministrazione ha il dovere di esaminare e riscontrare espressamente. Tanto è vero che, come allega la difesa di parte ricorrente, senza incontrare specifica smentita, "AGEA ha chiuso i procedimenti relativi a domande di pagamento del tutto analoghe a quella di cui è causa (doc. 13) mediante provvedimenti espressi e dotati di tutti i necessari "crismi" (seppur mai comunicati ai destinatari e infondati nel merito, come accertato dal Codesto Eccellentissimo Tribunale - doc. 14). Parimenti, ha recentissimamente definito mediante provvedimenti espressi (doc. 18) ulteriori procedimenti analoghi al presente, a seguito di ricorsi per silenzio e relativa ottemperanza proposti nanti Codesto Tribunale (doc. 19)": così, testualmente, le memorie conclusive di parte ricorrente. Nel caso in esame, invece, la stessa Agenzia non ha seguito tale modus operandi, limitandosi a inserire nel S.I.A.N. una "Tabella" riassuntiva e generica delle irregolarità riscontrate, certamente non equiparabile alla comunicazione di cui all'art. 10 bis della legge n. 241/1990, e tanto meno ha rispettato il complesso delle regole procedimentali dettate nelle sopra descritte Istruzioni Operative. Né, infine, può attribuirsi veste di provvedimento conclusivo espresso ad alcuna delle note scritte inviate da AGEA alla ricorrente nel corso del 2021, come sostiene la difesa erariale, in quanto dette note si inseriscono nell'ambito di un "carteggio" tra le parti di carattere sostanzialmente informale e non preceduto da idoneo preavviso di diniego, tanto è vero la stessa AGEA, con nota 25 novembre 2021, n. 79989, si è limitata a ribadire le risultanze ostative del SIAN e non ha, poi, dato riscontro alla successiva nota 9 dicembre 2021 con cui la ricorrente le aveva fornito i chiarimenti necessari, allegando un'attestazione ricevuta dall'ATS; è evidente, infatti, come, in tal modo, il confronto procedimentale sia risultato incompleto e non abbia consentito uno svolgimento fisiologico e sufficientemente comprensibile dell'iter procedimentale richiesto dalla sopra descritta normativa di riferimento. Pertanto il ricorso merita accoglimento, con la conseguente condanna di AGEA a dare riscontro, entro 45 giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, all'istanza di contributo presentata da parte ricorrente con le seguenti modalità alternative: - accogliere integralmente l'istanza stessa oppure comunicare all'interessato un atto di preavviso di rigetto, rispettoso dei contenuti e delle modalità prescritti nelle citate Istruzioni Operative n. 115/2020, adeguatamente motivato sulla base di tutte le risultanze procedimentali sin qui maturate, il quale assumerà automaticamente le vesti di provvedimento conclusivo del procedimento in assenza di controdeduzioni tempestivamente proposte dall'interessato (secondo quanto previsto dall'art. 4.3.3 delle Istruzioni Operative), mentre in caso di presentazione delle stesse sarà onere di Agea l'adozione di un ulteriore provvedimento, espresso e motivato, di conclusione del procedimento. Ritiene, altresì, il Collegio di nominare sin d'ora quale commissario ad acta, per il caso di perdurante inadempimento, il Dirigente della Direzione generale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali competente nella materia oggetto del presente giudizio, con facoltà di delega ad altro funzionario; il Commissario ad acta, una volta decorso infruttuosamente il sopra citato temine di giorni 45 assegnato ad AGEA, porrà in essere gli atti necessari all'esecuzione del giudicato entro l'ulteriore termine di giorni 30 decorrente dalla comunicazione, a cura di parte ricorrente, della scadenza del termine assegnato ad AGEA; a tal fine il Commissario dovrà provvedere sia all'allocazione della somma in bilancio laddove manchi apposito stanziamento, sia all'espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, con la precisazione che l'esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all'esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento. Si procede sin d'ora alla liquidazione in euro 1500,00 (millecinquecento/00) della somma da corrispondere a favore del Commissario ad acta, che sarà posta a carico dell'intimata AGEA ove il protrarsi dell'inerzia renda necessaria l'attività del Commissario medesimo. Le spese di lite seguono la soccombenza nei confronti di AGEA, come da dispositivo, mentre possono essere compensate nei confronti di ARGEA. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Seconda, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l'effetto, condanna A.G.E.A. - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura a pronunciarsi sull'istanza del ricorrente nei termini specificati in motivazione. Nomina quale Commissario ad acta, per l'eventualità di un perdurante inadempimento, il Dirigente della Direzione generale del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali competente nella materia oggetto del presente giudizio, con facoltà di delega ad altro funzionario dell'Ufficio, liquidando in favore dello stesso Commissario il compenso, posto a carico di A.G.E.A., di euro 1500,00 (millecinquecento/00) per l'ipotesi in cui si renda necessario il suo intervento. Condanna la stessa A.G.E.A. alla rifusione delle spese processuali in favore del ricorrente, liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre ad accessori di legge e rimborso del contributo unificato. Compensa le spese di lite nei confronti di A.R.G.E.A.. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 29 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Marco Lensi - Presidente Antonio Plaisant - Consigliere, Estensore Gabriele Serra - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 690 del 2021, proposto da: Mi. Ga. e Pi. Me., rappresentati e difesi dall'avvocato Gi. Ni. Mu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ni. Ib., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Cagliari presso lo studio del medesimo legale, via (…); per l'annullamento - del provvedimento unico 29 del 2 luglio 2021 prot. n. 4890 del 2 luglio 2021, notificato al ricorrente in pari data tramite la Piattaforma SUAPE, avente ad oggetto "DINIEGO DEFINITIVO per interventi di restauro e risanamento conservativo - interventi di restauro con demolizione e ricostruzione volto alla ricostruzione di edifici la cui preesistenza è desumibile da cartografia storica, dal catasto o da specifico repertorio fotografico, anche se gli elementi fondamentali dell'edificio (solai e copertura) sono fisicamente venuti meno nel tempo - interventi di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente (ante 1967) e realizzazione di opere di pavimentazione, di finitura di spazi esterni e muri esterni - NON ACCOGLIMENTO delle osservazioni ex art. 10 bis della L. 241/90 presentate dai ricorrenti avverso il Provvedimento del Responsabile del SUAPE facente funzioni n. 12 del 14.04.2021 (doc.2), permanendo le ragioni ostative alla realizzazione dell'intervento - Rif. Codice SUAPE prot.8924 del 09/12/2020"; - previo, ove occorra, l'annullamento o disapplicazione delle norme di attuazione del P.U.C. del Comune di (omissis) nella parte in cui, all'art. 20, determina il numero massimo di unità abitative per ciascuna unità edilizia (pag.65) e impedisce la realizzazione di nuove e ulteriori unità abitative in zona C ad espansione residenziale (articolo richiamato dall'ufficio tecnico per emettere parere negativo alla realizzazione dell'intervento richiesto). - di ogni altro atto presupposto, connesso e comunque consequenziale, ancorché di data e tenore sconosciuto, che incida sfavorevolmente sulla posizione giuridica del ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2022 il dott. Tito Aru e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO In data 27 gennaio 2016 signori Ga. Mi. e Me. Pi. stipulavano con i sig.ri Pe. Al. e Pe. Ge. Ma. Ma., con scrittura privata registrata dall'Agenzia delle Entrate di Oristano al n. 926, Serie III, in data 13 settembre 2016, un contratto preliminare di compravendita con permuta di terreni edificabili zona C3-6 del Comune di (omissis). 1.1 Tale contratto è stato poi integrato, sempre in data 27 gennaio, con una autocertificazione dei promissari venditori accettata dai promissari acquirenti. 1.2. Con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, in data 16 settembre 2016, i signori Pe. dichiaravano poi di aver autorizzato anticipatamente la trascrizione del contratto preliminare di compravendita dei terreni in permuta e la conseguente perdita del possesso dei medesimi. In data 5 dicembre 2020 i promissari acquirenti presentavano all'ufficio Suape del Comune di (omissis) la pratica edilizia prot. n. 8924 del 9 dicembre 2020 per intervento di restauro volto alla ricostruzione di un rudere sito in Corso (omissis) nel terreno identificato al catasto nel foglio 3, mappale 1144, facente parte del lotto oggetto del preliminare sopracitato. In data 11 dicembre 2020, l'ufficio Suape comunicava l'avvio del procedimento. Detto procedimento veniva tuttavia sospeso dallo stesso ufficio comunale a seguito del ricevimento della nota del 12 febbraio 2021 della sig.ra Fr. Me. recante il disconoscimento delle firme apposte nella documentazione allegata dai ricorrenti alla pratica edilizia presentata. In particolare la sig.ra Fr. Me., in qualità di amministratrice di sostegno della madre Pe. Ge. Ma. Ma. dal 2019, denunciava che le firme apposte dalla madre alla procura del tecnico incaricato dai coniugi Ga.-Me. - ma anche quella apposta dal sig. Pe. Al., anche lui affetto da diverso tempo da problemi di salute psicofisici - erano sicuramente false. La vicenda veniva anche segnalata dal Comune di (omissis) alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Oristano, ove pende ancora il relativo procedimento. In relazione a quanto sopra, in data 15 febbraio 2021, prot. 1302, l'ufficio comunale comunicava ai richiedenti e agli enti terzi coinvolti la sospensione del procedimento. Con nota del 25 febbraio 2021 lo Studio Legale Ma. Al., per conto dei ricorrenti, faceva pervenire al Comune di (omissis) le repliche al provvedimento di sospensione allegando altresì l'appendice al preliminare di compravendita del 27 gennaio 2016 con cui si sarebbe statuita la cessione volontaria della proprietà dei terreni in favore dei ricorrenti. All'esito dell'istruttoria esperita, tuttavia, in data 14 aprile 2021, l'Ufficio SUAPE adottava la determinazione di improcedibilità della pratica inoltrata al Suape dai sig.ri Ga. Mi. e Me. Pi. in data 9 dicembre 2021 prot. n. 8924 con il provvedimento unico n. 12 del 14 aprile 2021 per la carenza del titolo di legittimazione. In data 2 luglio 2021, ricevute e analizzate le ulteriori osservazioni pervenute dai ricorrenti, l'Ufficio SUAPE adottava il provvedimento unico n. 29 col quale, ritenute comunque non superate nel merito le ragioni ostative alla realizzazione dell'intervento proposto dai ricorrenti emerse in corso di istruttoria (parere sfavorevole dell'Ufficio Tecnico Comunale del 25 giugno 2021), negava l'autorizzazione ai lavori. In particolare nel suddetto parere negativo l'Ufficio Tecnico dava atto che: - non era stata modificata la destinazione degli ambienti che risultavano essere prettamente residenziali (cucina, soggiorno, camera); - non era stata presentata idonea documentazione che certificasse la pattuizione, per le opere diverse dalla lottizzazione previste nella pratica SUAPE e/o atto di consenso/assenso specifico da parte dei sig.ri. Pe. (promissari venditori) per la realizzazione dei lavori edili (casa di civile abitazione diverse dalla lottizzazione trattate nel preliminare di compravendita). Avverso il sopracitato provvedimento i signori Ga./Me. hanno presentato il ricorso in esame affidato ai seguenti motivi: 1) Difetto di motivazione - Violazione del principio di legalità: con riguardo alla dichiarazione di improcedibilità dell'istanza edilizia in relazione alla nota della signora Fr. Me. che non vanterebbe alcun titolo sui beni oggetto della domanda dei ricorrenti; 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 11 del d.p.r. n. 380 del 2001: in quanto in qualità di promissari acquirenti, sulla base del contenuto del contratto preliminare come successivamente integrato dalle stesse parti, i ricorrenti erano senz'altro legittimati a presentare la domanda edilizia; 3) Falsa applicazione delle norme del Piano Urbanistico Comunale del Comune di (omissis): in quanto, come ricavabile dalle colorazioni delle schede del P.U.C., ante 1967 gli immobili di proprietà dei ricorrenti avrebbero avuto una connotazione urbanistica residenziale ben precisa e determinata; 4) Illegittimità delle norme di attuazione del P.U.C-art 20 - del Comune di (omissis) - Incompetenza o carenza di potere - Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erroneità sui presupposti: in quanto la richiamata normativa comunale, seppur idonea a impedire, di fatto, l'edificazione di nuove costruzioni, non potrebbe intendersi limitare o negare il permesso a demolire e ricostruire immobili ad uso residenziale già esistenti, con tale destinazione, ante 1967. Concludevano quindi i ricorrenti chiedendo, previa sospensione, l'annullamento dei provvedimenti impugnati, con favore delle spese. Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di (omissis) che, con difese scritte, ne ha chiesto il rigetto, vinte le spese. Alla camera di consiglio del 6 ottobre 2021 l'esame dell'istanza cautelare è stato abbinato al merito. In vista dell'udienza di trattazione le parti hanno depositato memorie con le quali hanno insistito nelle rispettive conclusioni. Alla pubblica udienza dell'8 giugno 2022 la causa è stata posta in decisione. DIRITTO La prima questione da esaminare riguarda la legittimazione degli odierni ricorrenti alla presentazione dell'istanza edilizia sfociata, dopo un primo provvedimento di improcedibilità della stessa, nel provvedimento di diniego oggetto di gravame. 1.1 La legittimazione, nella loro prospettazione, si fonderebbe sull'art. 11 D.P.R. n. 380/2001 il quale dispone espressamente che "Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo". Tale disposizione, invero, secondo la corrente interpretazione, estende il novero dei soggetti legittimati a chiedere il titolo edilizio a tutti coloro che hanno con l'immobile una relazione giuridica qualificata, comprendendo tra i legittimati all'istanza di concessione i detentori di un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria, tra cui il preliminare di acquisto, perché questo consente di ottenere la titolarità del bene con sentenza ex art. 2932 c.c. Come esposto in narrativa signori Mi. Ga. e Me. Pi., in data 27 gennaio 2016, avevano sottoscritto con i sig.ri Pe. Al. e Pe. Ge. Ma. Ma. un contratto preliminare di compravendita in permuta di terreni edificabili con scrittura privata, successivamente integrato con una autocertificazione. La pratica edilizia prot. n. 8924 del 9 dicembre 2020 presentata dai promissari acquirenti all'ufficio Suape del Comune di (omissis) concerneva un intervento di restauro volto alla ricostruzione di un rudere sito in Corso (omissis) nel terreno identificato al catasto nel foglio 3, mappale 1144, facente parte del lotto oggetto del preliminare sopracitato. 3.1 Come noto il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria 4. Al fine di verificare il perimetro della legittimazione dei ricorrenti quali aventi titolo alla richiesta del titolo edilizio in questione occorre, quindi, prendere le mosse dal contenuto del contratto preliminare di cui sopra. 4.1. L'oggetto del contratto preliminare emerge con chiarezza dalla sua lettura: la parte promittente venditrice si impegnava a trasferire agli odierni ricorrenti i terreni indicati al "solo fine di permuta con un lotto di terreno di mq 500 (cinquecento/00) da individuare nella bozza di lottizzazione che verrà allegata al rogito notarile definitivo". Si precisava infatti che "su detto terreno il promissario acquirente intende, con la presentazione di apposito progetto presso l'ufficio tecnico del Comune di (omissis) realizzare una nuova lottizzazione e conseguente urbanizzazione della stessa". Che la causa in concreto dell'accordo negoziale fosse quella sopra ricordata (promessa di vendita di terreni al fine di realizzare una lottizzazione con permuta di un lotto di 500 mq) è confermato dalla successiva clausola contrattuale, per la quale "in caso di diniego da parte di uno degli enti preposti al rilascio delle previste autorizzazioni al realizzo della lottizzazione e conseguentemente a quelle edilizie per la costruzione delle singole unità abitative, il promissario acquirente sarà libero e senza incorrere in nessun tipo di penale...". Con un'ulteriore clausola contrattuale si precisava che "il promissario acquirente si obbliga a presentare al competente organo Regionale e al Comune, successivamente alla data di stipula del contratto notarile definitivo di vendita, tutta la documentazione necessaria per ottenere la concessione al realizzo della lottizzazione del complesso residenziale". Si prevedeva quindi che la stipula del contratto definitivo dovesse intervenire entro il termine di 4 mesi dalla consegna del terreno. Dal ricordato contenuto di sintesi del preliminare in questione è evidente che esso costituiva titolo, per i promissari acquirenti, unicamente per la presentazione della richiesta per la realizzazione della lottizzazione del complesso residenziale, non valendo dunque detto atto negoziale ad attribuire alcuna legittimazione alla richiesta edilizia che qui occupa. 8.1. Da esso risulta infatti in modo inequivocabile la volontà dei proprietari di consentire ai promissari acquirenti di richiedere solo un ben determinato titolo edilizio, ossia quello necessario alla realizzazione della lottizzazione. Occorre a questo punto verificare il contenuto dell'attestazione in autocertificazione dei promittenti venditori in data 27 gennaio 2016, accettata dai promissari acquirenti, qualificata come integrazione con valore novativo del predetto preliminare. Con tale atto i signori Pe. dichiaravano: "Di NON essere, per espressa volontà più titolari della proprietà e del possesso degli immobili di cui al compromesso di vendita in premessa indicato in quanto già volontariamente concessa ai sigg. Ga. Mi. e Me. Pi.; Di acconsentire, senza limitazione alcuna, affinché i sigg. Ga. Mi. e Me. Pi., titolari per gli atti richiamati di diritto reale non revocabile, di presentare agli Enti Amministrativi preposti, tutte le richieste di autorizzazione edilizia sia quelle a carattere privato che quelle specifiche per la lottizzazione del comparto C36 e di disporre dei beni senza limitazioni e/o vincoli di sorta; Di obbligarsi personalmente e/o a far adempiere eventuali procuratori nominati a presenziare e sottoscrivere il rogito notarile di vendita definitivo nanti al Notaio Pa. De....; Di accettare, se eventualmente proposto dai sig.ri Ga./Me. la somma di Euro 30.000,00 cadauno...in sostituzione ai lotti di terreno promessi in permuta. Detta somma potrà essere pagata entro cinque anni dalla stipula del rogito notarile definitivo senza aggiunta di interessi". Sostengono i ricorrenti che tale atto vale a fondare la loro legittimazione alla richiesta del titolo edilizio per cui è causa. Il Collegio non condivide tali conclusioni. Esso, infatti, al di là di talune imprecisioni tecniche nel testo del documento, deve essere necessariamente letto alla luce di quanto statuito nel preliminare al quale si riferisce. Orbene, in primo luogo con l'obbligazione preliminare i promissari venditori non trasferiscono ma promettono di trasferire la proprietà ai promissari acquirenti con la stipula dell'atto di vendita definitivo, che sarebbe dovuta avvenire entro quattro mesi dalla data di consegna del terreno (e non è chiaro neppure se tale atto sia stato stipulato). Detta obbligazione, a ben vedere, resta ferma anche dopo l'atto integrativo, che anzi la conferma indicando anche il Notaio presso il quale l'atto definitivo si sarebbe dovuto stipulare. In secondo luogo resta confermata anche la causa in concreto della compravendita con permuta, ossia la cessione dei terreni in cambio della presentazione da parte dei promissari acquirenti di un piano di lottizzazione con la previsione, quale corrispettivo, di un lotto di 500 mq (o, eventualmente, per quanto stabilito dall'integrazione, dell'importo di complessivo di 30.000,00 euro). Pertanto, con il predetto atto integrativo, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti nell'ultima memoria, non è affatto venuta meno la connessione tra contratto preliminare e attività di lottizzazione. Se questo è il contenuto dell'accordo contrattuale, è evidente che il perimetro della legittimazione dei promissari acquirenti resta confinato alla presentazione al Comune alle richieste di autorizzazione funzionali alla realizzazione della lottizzazione. E' dunque evidente che sig.ri Me. e Ga., a prescindere dalla questione riguardante l'autenticità delle firme dei promissari venditori ed a prescindere pure dalle altre ragioni ostative di natura edilizia indicate nel provvedimento impugnato, non avevano alcun titolo, e dunque alcuna legittimazione, come ha ritenuto il Comune di (omissis), a chiedere di essere autorizzati alla realizzazione di opere che esulavano da quanto convenuto tra la parti nel preliminare di compravendita in permuta, e in particolare alla richiesta di autorizzazione ad un intervento di restauro volto alla ricostruzione di un rudere con finalità residenziali. E non è affatto irrilevante, risultando anzi decisiva in senso contrario, la circostanza che, nella vicenda in causa, i promittenti venditori, a differenza che in altra pratica conclusasi con il rilascio del titolo unico del 5 luglio 2019, non abbiano prestato un assenso specifico all'esecuzione del diverso intervento progettato dai ricorrenti, trattandosi piuttosto della conferma dei limiti dell'impegno dell'accordo preliminare. A quanto sopra segue, quindi, l'infondatezza del ricorso in esame. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna i ricorrenti al pagamento di complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento//00) in favore del Comune di (omissis) per le spese e competenze del presente giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati: Dante D'Alessio - Presidente Tito Aru - Consigliere, Estensore Oscar Marongiu - Consigliere

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