Sentenze recenti Tribunale Campobasso

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 245 del 2024, proposto dai sigg.ri Ca. Mi. ed altri, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero dell'Agricoltura, Sovranità Alimentare e delle Foreste, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); A.R.S.A.R.P. (Agenzia Regionale per lo sviluppo agricolo, rurale e della pesca), non costituita in giudizio; nei confronti della ditta individuale Pe. Ar., non costituito in giudizio; per l'annullamento della Determinazione del Direttore del Servizio Tutela e Valorizzazione della Montagna e delle Foreste, Biodiversità agricola e Gestione fito-sanitaria presso il Coordinamento Area Seconda della Regione Molise n. 2946 del 30.05.2024, avente ad oggetto: "Regolamento UE n. 2115/21 art. 71 PSP 2023/2027 approvato con Decisione di esecuzione della Commissione in data 2.12.2022. Complemento dello sviluppo rurale per la Regione Molise (SCR) 20232027 (DGR57 del 08.03.2023). SRB01 sostegno zone con svantaggi naturali di montagna. Bando Pubblico sotto condizione concernente le procedure per la presentazione e l'istruttoria delle domande di sostegno per l'annualità 2024" pubblicata all'Albo pretorio regionale in data 31.05.2024; - del bando allegato alla suddetta Determinazione, ad oggetto: "SRB01 - Sostegno zone con svantaggi naturali montagna (art. 71 Reg. UE 2115/2021). Bando attuativo per la presentazione delle domande - anno 2024"; - nonché di tutti gli atti preordinati, consequenziali, o comunque connessi. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Molise e del Ministero dell'Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste; Visti tutti gli atti di causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 il dott. Roberto Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.I ricorrenti sono tutti imprenditori agricoli operanti nella Regione Molise. Fino al 2023 gli stessi hanno avuto accesso all'indennità compensativa per le aree montane (misura SRB01), cumulativamente con quella per l'agricoltura integrata (misura SRA01) o quella per l'agricoltura biologica (misura SRB 29.1 e 29.2). Dette misure si situano tutte nell'ambito della programmazione degli interventi a sostegno del comparto agricolo previsti dal "Completamento programmazione per lo sviluppo rurale" C.S.R. 2023 - 2027 approvato con delibera della Giunta Regionale n. 57 dell'8 marzo 2023, emesso in adesione alle misure di sostegno di cui al Piano Strategico Nazionale della Politica Agricola Comune 2023-2027 attuativo della programmazione europea di Politica Agricola Comune (P.A.C.). Il bando oggetto dell'odierna impugnazione, attuativo dello specifico intervento SRB01 Sostegno zone con svantaggi naturali di montagna") per l'annualità 2024, approvato con la Determinazione Dirigenziale n. 2946 del 30-05-2024, ha tuttavia escluso la precedente cumulabilità delle misure in disamina, ora stabilendo, all'art. 7, co. 2, lett. g), l'irricevibilità delle domande per l'accesso alla su indicata indennità per l'intervento SRB01 qualora presentate da aziende che avessero già in corso una domanda attiva sugli interventi SRA 01 o SRA 29. 2. Ne è conseguita la proposizione del ricorso in epigrafe, con il quale gli interessati hanno impugnato il prefato bando allegando la portata immediatamente escludente della clausola di cui al suo art. 7 comma 2 lett. g), e affidandosi, avverso di essa, ai seguenti motivi di censura: "I. Violazione ed errata applicazione del Regolamento UE n. 2115/21 art. 71 - psp 2023/2027 approvato con decisione di esecuzione della Commissione Europea in data 2.12.2022; violazione ed errata applicazione del piano strategico nazionale della pac 2023-2027 (psnp 2023-2027); violazione ed errata applicazione del complemento di programmazione per lo sviluppo rurale (csr) 2023-2027 della Regione Molise approvato con deliberazione della giunta regionale n. 57 del 08-03-2023; incompetenza; 2. Violazione ed errata applicazione dell'art. 3 della l. 241/90: difetto di motivazione e di istruttoria - difetto dei presupposti di fatto e di diritto; violazione ed errata applicazione dei principi di cui all'art. 1 della l. 241/90, segnatamente dei principi di economicità e proporzionalità ; eccesso di potere per sviamento dal fine pubblico perseguito; 3. Violazione ed errata applicazione dell'art. 12 della l. 241/90; violazione del legittimo affidamento incolpevole; contraddittorietà tra più atti della stessa p.a.; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifeste - ingiustizia manifesta". 3. L'Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita in giudizio nell'interesse della Regione Molise e del Ministero intimato, eccependo, preliminarmente, l'estraneità dell'Amministrazione statale alla controversia e chiedendo, pertanto, la sua estromissione dal giudizio; la difesa pubblica ha dedotto, inoltre, l'inammissibilità del ricorso, oltre che l'incompletezza del contraddittorio, del quale ha chiesto venisse disposta l'integrazione; infine, nel merito, ha concluso per il rigetto del ricorso. 4. Alla camera di consiglio del 18.09.2024, sentite le rispettive difese, la causa è stata trattenuta in decisione previo avviso della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.. 5. Il Collegio rileva che sussistono i presupposti per l'immediata definizione integrale del giudizio in applicazione dell'articolo appena citato: ciò a maggior ragione per il fatto che sulla medesima vicenda il Tribunale si è già pronunciato con la recente sentenza n. 284/2024, dalle cui conclusioni non vi sono ragioni per discostarsi (decisione che verrà più volte richiamata nel prosieguo). 6. Preliminarmente, in accoglimento della richiesta della difesa erariale, il Collegio deve estromettere dal presente giudizio il costituito Ministero dell'Agricoltura, Sovranità Alimentare e delle Foreste. Come si evince dagli atti di causa, non emerge difatti alcuna particolare censura avverso atti o comportamenti a questo ascrivibili, sicché il medesimo risulta carente di legittimazione passiva rispetto al processo. 7. Non colgono invece nel segno le altre eccezioni in rito prospettate dalla difesa pubblica. 7.1 Con un primo rilievo la Regione ha dedotto l'inammissibilità del gravame -se ben s'intende l'eccezione- sul presupposto che i ricorrenti avrebbero considerato la Delibera di Giunta Regionale n. 57/2023 come parametro di valutazione per affermare l'illegittimità del bando impugnato, laddove la citata delibera di Giunta avrebbe invece avuto natura meramente endoprocedimentale, e pertanto sarebbe stata priva dell'attitudine a dettare le regole della futura attività amministrativa (e segnatamente degli atti impugnati). Benché la Regione mediante la menzionata delibera avesse approvato il predetto PSR, quest'ultimo sarebbe stato definitivamente adottato solo mediante la successiva delibera di Consiglio Regionale n. 46 del 30.7.2024, non contestata dai ricorrenti e comunque successiva alla stessa determina di approvazione del bando n. 2946/2024 impugnata con il ricorso. Di qui l'affermazione dell'asserita inammissibilità del gravame. L'eccezione non ha pregio. 7.2. Indipendentemente da quanto sostenuto dalla difesa erariale, tutti gli atti impugnati del procedimento, e segnatamente la determinazione di approvazione del bando (n. 2946/2024), oltre che il bando stesso, contenevano un espresso richiamo al P.S.R. approvato con la citata delibera giuntale n. 57/2023. Quest'ultima, dunque, è stata dalla stessa Amministrazione considerata come un atto già dotato di una sua autonoma efficacia, e individuata, in sostanza, quale atto presupposto al bando, e, pertanto, quale parametro di riferimento delle disposizioni ivi contenute. Questa constatazione, di immediata evidenza, già esclude di poter apprezzare favorevolmente il rilievo. Il Collegio aggiunge poi che la difesa regionale, nel sollevare la propria eccezione, non ha indicato che l'atto consiliare avesse apportato innovazioni di sorta alla predetta delibera di giunta, rispetto alla quale si presentava come mera presa d'atto. Senza dire, infine, che il ricorso in esame, lungi dall'essere stato proposto avverso la delibera di Giunta Regionale n. 57/2023 (in tesi, ex se inefficace), si è richiamato ai contenuti del relativo P.S.R. unicamente per supportare alcune delle proprie censure avverso il bando in epigrafe. Ne consegue che quanto dedotto dalla difesa regionale per argomentare la propria eccezione non potrebbe in alcun modo portare a una conclusione di inammissibilità della presente impugnativa. 7.3 Parimenti infondata è l'eccezione della difesa dell'Amministrazione di non integrità del contraddittorio processuale, che si vorrebbe vedere integrato, al di là dell'unico soggetto individuato nel ricorso, nei confronti di -supposti- ulteriori controinteressati. 7.4 Per disattendere l'eccezione è sufficiente notare che alla data della proposizione del ricorso la procedura della Regione era stata appena avviata, e pertanto mancava una graduatoria già formata, la quale sarebbe stata invece necessaria a permettere la maturazione -e quindi la configurabilità - di posizioni d'interesse legittimo confliggenti con quella fatta valere in giudizio dai ricorrenti. In proposito, d'altra parte, con considerazioni pienamente estensibili, mutatis mutandis, alla fattispecie odierna, la recente giurisprudenza ha confermato il principio tradizionale per cui, "Al cospetto di un provvedimento di esclusione da una procedura concorsuale, impugnato prima della formazione della graduatoria e dell'individuazione dei soggetti beneficiari, non è ravvisabile la qualità di controinteressati in capo ai candidati ammessi, posto che essi non sono portatori di un interesse tutelabile a confrontarsi con una platea più ristretta di candidati, laddove, invece, sussiste un interesse pubblico alla più ampia partecipazione alla procedura selettiva in vista della più efficace selezione dei migliori concorrenti che, ove il provvedimento di esclusione sia illegittimo, è sacrificato assieme a quello del candidato escluso" (T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, n. 2855/2024; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, n. 160/2024; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. IV, n. 3857/2023). 8. Una volta superate le eccezioni preliminari sollevate dall'Amministrazione, è ora subito possibile affrontare le questioni di merito poste dal ricorso, il quale si manifesta meritevole di accoglimento già per l'assorbente fondatezza del suo primo motivo. Il mezzo concerne l'illegittimità delle previsioni del bando recanti l'incompatibilità delle misure di ausilio finanziario dianzi già citate, e pertanto investe in particolare, in primo luogo, il suo art. 7, comma 2 lett. g): disposizione che, nel prevedere, tra le "condizioni di ammissibilità " per l'accesso all'intervento SRB01, quella di "non avere una domanda attiva di sostegno o conferma nell'ambito degli interventi SRA01 e SRA09 previsto nel CSR Molise 2023-2027. In caso di presenza di rilascio multiplo la domanda relativa alle condizioni del presente bando sarà resa non ricevibile", risulta porsi, illogicamente e senza congrua motivazione, in contrasto con i contenuti del C.S.R. Molise, strumento programmatorio che sancisce infatti, al punto 5.8, il principio della cumulabilità delle misure in disamina. 8.1 Il Tribunale, seguendo l'impostazione già utilizzata in occasione della propria sentenza n. 284/2024, reputa opportuno effettuare un richiamo introduttivo alle previsioni dello strumento programmatorio che si colloca "a monte" del bando impugnato e della delibera che lo ha approvato. La determinazione Dirigenziale n. 2946 del 30-05-2024 in epigrafe, avente ad oggetto "Regolamento Ue N. 2115/21 Art. 71 - Psp 2023/2027 approvato con Decisione di esecuzione della Commissione in data 2.12.2022. Complemento dello Sviluppo Rurale per la Regione Molise (CSR) 20232027 (Dgr 57 del 08-03- 2023). SRB01 Sostegno zone con svantaggi naturali montagna - Bando Pubblico sotto condizione concernente le procedure per la presentazione e l'istruttoria delle domande di sostegno per l'annualità 2024", a firma del Direttore coordinamento area seconda della Regione Molise, e pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Molise n. 27 del 15.06.2024, costituisce infatti attuazione, unitamente all'allegato bando attuativo riferito all'intervento SRB01 "Sostegno zone con svantaggi naturali di montagna", del Complemento di programmazione per lo Sviluppo Rurale (C.S.R. 2023¬ 2027), che costituisce l'atto di programmazione del Piano di sviluppo rurale 2023-2027 (con una dotazione finanziaria complessiva pari ad Euro 157.712.920,81). Quest'ultimo provvedimento è stato redatto e deliberato in conformità al Regolamento (UE) 2021/2115 del Parlamento europeo e del Consiglio del 2 dicembre 2021, recante norme sul sostegno ai piani strategici che gli Stati membri devono redigere nell'ambito della politica agricola comune (piani strategici della PAC) e che sono finanziati dal Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), coerentemente con quanto previsto dal Piano Strategico della PAC (PSP) 2023-2027 per l'Italia, approvato dalla Commissione Europea DG Agri, in data 2 dicembre 2022 con la decisione C (2022) 8645. All'interno del C.S.R. 2023-2027 è presente, tra le altre, la scheda 5.8 relativa all'intervento denominato "SRB01 - sostegno zone con svantaggi naturali montagna", quello che forma oggetto dell'odierno giudizio. Secondo quanto riportato nella suindicata scheda 5.8 per l'intervento SRB01 (cfr. allegato 1a alla memoria depositata dai ricorrenti in data 31.08.2024), l'indennità compensativa per le aree montane risponde a fabbisogni regionali multipli, che vanno "dal contrasto al fenomeno di erosione del capitale umano e delle attività economiche nelle zone montane al mantenimento e valorizzazione della biodiversità e delle risorse naturali", al fine di porre "un freno al trend di riduzione dei capi zootecnici lasciando lo spazio per l'attivazione di un fenomeno di controtendenza che oltre al mantenimento delle aziende agricole ha portato anche ad un aumento dei giovani ed ha consentito il mantenimento degli animali al pascolo salvaguardando la pratica del pascolamento e la biodiversità dei pascoli". Ora, decisivo ai fini della definizione della presente vicenda in senso favorevole alle doglianze proposte risulta l'inciso, contenuto nel C.S.R., il quale, con riferimento all'interazione della misura SRB01 con gli altri interventi di sostegno al comparto agricolo ivi previsti, ha espressamente affermato il principio della cumulabilità della misura in disamina sia con quella a sostegno dell'agricoltura biologica (SRA29), sia con la misura a sostegno dell'agricoltura integrata (SRA01). Si legge infatti nella scheda appena richiamata: "Condizioni migliorative vanno ricercate attraverso la combinazione con altri interventi quali quelli di lotta integrata, estensivizzazione dei pascoli e del biologico che sono compatibili con il presente". 8.2 Per converso, con la Determina dirigenziale n. 2946 del 30.05.2024 concernente l'intervento SRB01 - "Sostegno zone con svantaggi naturali di montagna" l'Amministrazione regionale, pur richiamandosi espressamente alla già citata delibera di approvazione del CSR (n. 57/2023), ha innovativamente stabilito che "per l'annualità 2024 la dotazione finanziaria è inferiore e pertanto si è ritenuto opportuno procedere con una restrizione delle possibilità previste nella scheda dell'intervento SRB01 di cui al CSRM 2023-2027 inserendo la non compatibilità del presente intervento SRB01 annualità 2024, con gli interventi SR/I 01 e SR/I 29 al fine di evitare rischi di sovra-compensazione dei premi e salvaguardare quelle aziende che vedono nell'intervento SRB 01 unico strumento di sostegno evitando riduzioni dei premi conseguenti ad una richiesta maggiore delle disponibilità finanziarie previste". E così, analogamente, il bando pubblico allegato alla determina dirigenziale ha ribadito, a pag. 4, che "per l'annualità 2024, tale intervento non è compatibile con gli interventi SRA 01 e SRA 29 del CSR Molise al fine di evitare sia effetti di sovra-compensazione dei premi con indebiti arricchimenti, sia una riduzione del premio conseguente a richieste maggiori della dotazione finanziaria del bando che si ripercuoterebbero su tutti i beneficiari con impatto maggiore su quelli che vedono l'intervento SRB 01 quale unico aiuto. Una condizione restrittiva rispetto alla scheda dell'intervento, ma necessaria in relazione alla ridotta dotazione finanziaria rispetto all'annualità precedente. La presenza di domanda attiva negli interventi SRA 01 e SRA 29 rende irricevibile quella rilasciata nel presente bando". L'art. 7 del bando, rubricato "condizioni di ammissibilità ", ha quindi previsto, al comma 2, lett. g), tra i requisiti di accesso al beneficio in parola, quello di "non avere una domanda attiva di sostegno o conferma nell'ambito degli interventi SRA 01 e SRA 29 previsto nel CSR Molise 2023-2027. In caso di presenza di rilascio multiplo la domanda relativa alle condizioni del presente bando sarà resa non ricevibile". 8.3 Tutto ciò premesso, il contrasto netto immediatamente rilevabile tra il principio della cumulabilità delle misure a sostegno del comparto agricolo previste dal C.S.R. Molise 2023-2027, compatibilità riconosciuta appunto da tale strumento programmatorio, e le previsioni contenute nel bando attuativo in questa sede impugnato, che invece escludono detta compatibilità, costituisce già di per sé indice della illegittimità delle suindicate disposizioni del bando, che, come detto, dovrebbe configurarsi quale coerente atto di attuazione del C.S.R. Molise. E il rilievo dell'evidenza del contrasto fin qui descritto consente di superare agevolmente l'obiezione formulata sul punto dalla difesa regionale, nella parte in cui la stessa ha affermato che il bando impugnato in nulla avrebbe innovato rispetto alle disposizioni programmatorie di riferimento, e si sarebbe invece limitato a introdurre "disposizioni attuative delle linee di programmazione generale di cui al CSR, precisandole e adeguandole alle fattispecie concrete su cui intervenire" (pag. 14 della memoria). 8.4 La limitazione illegittimamente disposta dal suddetto articolo 7 comma 2 del bando si correla, come condivisibilmente sottolineatosi nello stesso primo motivo di ricorso, all'illegittimità della correlata previsione del successivo art. 13, co. 7 del bando, nella parte vi è stato stabilito che "Con il rilascio della domanda il beneficiario dichiara di non avere domande attive nell'ambito degli interventi SRA 01 e SRA 29, accetta tutti gli impegni e le condizioni previste dal presente bando e certifica le informazioni riportate in domanda rinunciando a qualsiasi azione di rivalsa verso la regione in relazione ad errori o altre condizioni che determinano il mancato pagamento totale o parziale della stessa o relative ad esperienze e condizioni passate non più vigenti". La disposizione, difatti, ha fissato una norma di corollario anch'essa illegittimamente pregiudizievole per i ricorrenti, inducendo illegittimamente gli interessati a rinunciare a priori alla possibilità del cumulo tra i benefici complementari, nonostante ciò non fosse affatto conforme ai contenuti degli atti programmatici a monte del bando. Nel contempo, mediante la locuzione "rinunciando a qualsiasi azione di rivalsa verso la regione...", la norma ha imposto altresì un'ingiustificabile e quindi illegittimo sacrificio del diritto alla tutela giurisdizionale degli interessati, pur a fronte di una clausola avente natura immediatamente escludente nei loro confronti. 8.5 In aggiunta al contrasto già acclarato tra la previsione dello strumento programmatorio e la clausola di cui all'art. 7 comma 2 lett. g) del bando, è inoltre possibile affermare l'illegittimità della clausola in esame (come dal Tribunale rilevato con la propria citata sentenza n. 284/2024) "anche per il fatto che, come sta di seguito per osservarsi, la disposizione escludente la cumulabilità delle misure in discorso appare illogica e priva di una congrua motivazione, essendo scaturita da un iter istruttorio inidoneo a giustificare la scelta di disattendere il principio, fin qui invalso, della compatibilità delle misure a sostegno del comparto agricolo indicato dal C.S.R. Molise 2023-2027. La motivazione del provvedimento impugnato è manifestamente illogica e carente, in primo luogo, nella parte in cui vi si afferma che la compatibilità tra l'intervento SRB01 e gli interventi SRA 01 e SRA 02 deve essere preclusa "al fine di evitare... effetti di sovra-compensazione dei premi con indebiti arricchimenti". Ed invero, la misura compensativa per le aree montane, come si rileva dalla "scheda di intervento" del C.S.R. sopra richiamata, risponde ai fabbisogni regionali di contrasto al fenomeno dell'erosione del capitale umano e delle attività economiche nelle zone montane, ed è, pertanto, volta a compensare, con cadenza annuale, i maggiori costi per l'agricoltura esercitata in aree geomorfologicamente svantaggiate. Su un piano ben distinto, invece, la misura SRA01, finalizzata al sostegno dell'agricoltura integrata (SRA01), e l'intervento SRA29, a sostegno dell'agricoltura biologica, mirano a supportare l'impegno economico di singole imprese, ovunque attive, che sia connesso allo svolgimento di particolari e rigorosi regimi colturali (secondo gli onerosi protocolli, appunto, dell'agricoltura integrata o dell'agricoltura biologica), i quali richiedono un protratto impegno dell'impresa aderente per un periodo di tempo prolungato (5 anni). Da tanto consegue che si rivela allora subito del tutto illogico e irragionevole pretendere di giustificare l'incompatibilità delle misure in disamina -introdotta ora ex abrupto- con la necessità di evitare "indebiti arricchimenti" in capo ai rispettivi beneficiari: trattasi, infatti, di interventi a sostegno del comparto agricolo con finalità del tutto eterogenee, di cui, oltretutto, le imprese agricole molisane hanno beneficiato cumulativamente, quando ne avevano tutti i requisiti, fino al 2023, in conformità al principio della loro cumulabilità, affermato dallo strumento programmatorio. D'altronde, i bandi attuativi da ultimo pubblicati relativamente agli interventi SRA01 e SRA29 hanno espressamente ribadito la cumulabilità dei citati interventi con la misura SRB01 (cfr. all. 4 e 5 alla memoria depositata nell'interesse delle parti ricorrenti in data 31.08.2024). Sicché tale profilo di contraddittorietà tra più atti della medesima Amministrazione costituisce un ulteriore vizio che attesta l'illegittimità censurata dal ricorso oggetto di disamina" (T.A.R. Molise, n. 284/2024). 8.6 Il Tribunale, ribadendo ai fini del presente giudizio le conclusioni della decisione appena richiamata, non può qui che confermare anche l'illogicità della ulteriore motivazione data alla clausola introduttiva dell'incompatibilità tra l'intervento SRB01 e gli interventi SRA 01 e SRA 29 del C.S.R. Molise, lì dove l'Amministrazione ha fatto riferimento alla "ridotta dotazione finanziaria rispetto all'annualità precedente". 8.6.1 Invero, è stato lo stesso bando impugnato a fissare, all'articolo 12, in 3,5 milioni di euro la dotazione finanziaria per l'intervento SRB01, mentre il punto 5.8 del CSR 2023-2027 Molise aveva previsto, al paragrafo rubricato "Finalità e descrizione generale", che "La dotazione finanziaria annuale è quindi fissata a 5,6 MIO di euro. Considerando un periodo di 5 anni relativo alla durata del programma la dotazione complessiva dell'intervento è pari a 28 MIO di euro". 8.6.2 Tanto premesso, il Collegio osserva che non risultano in alcun modo esplicitate, nel provvedimento gravato, le cause che avrebbero determinato la improvvisa riduzione della dotazione finanziaria destinata all'intervento SRB01 per l'anno 2024, sulla base della quale si è inteso giustificare la disposizione recante l'incompatibilità tra la predetta misura e gli interventi SRA 01 e SRA 29. Né in proposito potrebbero valere, a favore dell'Amministrazione, gli elementi di maggior dettaglio illustrati dalla difesa regionale nella memoria del 13.9.2024 per giustificare la sua opzione in favore della non cumulabilità dell'intervento SRB01 con gli interventi SRA01 e SRA29. Le giustificazioni addotte dalla difesa erariale non risultano documentate, né, soprattutto, gli atti impugnati fanno di esse menzione alcuna: pertanto una loro ipotetica presa in considerazione ai fini dello scrutinio di legittimità dell'atto impugnato contrasterebbe con il divieto di motivazione postuma, in sede giudiziale, dei provvedimenti amministrativi (per tutte, cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3666/2021). 8.6.3 Il bando impugnato prevede, dunque, una riduzione della dotazione finanziaria per l'intervento SRB01, e su tale base introduce una radicale incompatibilità tra gli interventi a sostegno del comparto agricolo, senza però indicare per quali ragioni ed in che misura vi sarebbe stata una restrizione della dotazione finanziaria appostata per l'intervento SRB01. E, soprattutto, senza curarsi del fatto che il primo intervento e gli altri due hanno finalità ben distinte; senza valutare la praticabilità di alcuna soluzione alternativa a quella della drastica incompatibilità assoluta tra gli interventi in questione; e senza nemmeno tenere in debita considerazione la consequenziale frustrazione dei diversi obiettivi di pubblico interesse sottesi alla approvazione del C.S.R. e alla piena operatività di ciascuna delle distinte misure ivi previste. 8.6.4. E' poi appena il caso di aggiungere che, dato, appunto, che gli interventi in disamina perseguono dei differenti obiettivi di sostegno del comparto agricolo, e che il C.S.R. sancisce il principio della compatibilità degli interventi in disamina, le criticità finanziarie adombrate dai provvedimenti impugnati avrebbero comunque ben potuto essere affrontate senza rinnegare in radice la cumulabilità di principio degli interventi, bensì introducendo, anche con riguardo al caso di cumulo, delle idonee riduzioni percentuali o progressive dei contributi, piuttosto che negare tout court l'accesso alle misure a sostegno del comparto agricolo e ai correlati benefici economici (già adesso, del resto, l'art. 12 del bando, rubricato "Dotazione Finanziaria", prevede, al comma 2, che: "Laddove il valore dei premi richiesti dovesse superare la dotazione finanziaria del bando, si procederà ad una riduzione lineare del premio per tutti gli ammessi proquota"). Queste ultime osservazioni consentono di richiamare, anche in questo caso, la conclusione alla quale sul punto è pervenuta la sentenza n. 284/2024: "In definitiva, la penuria di mezzi finanziari genericamente addotta dall'Amministrazione avrebbe in ogni caso richiesto, da parte di questa, nel doveroso rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, una risposta che non andasse a sacrificare aprioristicamente e unilateralmente, oltre che senza congrua motivazione, finalità di pubblico interesse sottese all'approvazione del C.S.R., né ledesse le legittime aspettative dei ricorrenti, i quali, va ribadito, hanno dichiarato -senza contestazione ex adverso- di aver percepito, fino al 2023, la misura a sostegno delle zone svantaggiate, cumulativamente a quella prevista per il sostegno dell'agricoltura integrata (SRA01) o dell'agricoltura biologica (SRA29), in conformità al principio della cumulabilità di tali interventi di sostegno del comparto agricolo sancito dal C.S.R. Molise". 8.7. In definitiva, pertanto, la complessiva motivazione addotta dall'Amministrazione regionale per giustificare la nuova clausola di irricevibilità delle domande volte all'accesso all'intervento SRB01 da parte delle imprese aventi anche una "domanda attiva di sostegno o conferma nell'ambito degli interventi SRA01 e SRA29" risulta, praticamente sotto ogni profilo, carente di motivazione, manifestamente illogica e sproporzionata. 9. Coglie però nel segno anche la correlata censura, contenuta già nel primo motivo di ricorso, ma approfondita nel terzo, afferente la lesione degli affidamenti che gli imprenditori ricorrenti avevano ormai riposto sulla cumulabilità dei finanziamenti in discussione, poiché già prevista nei bandi ai quali essi avevano da poco partecipato per l'accesso agli interventi SRA 01 e SRA 29 avanzando domande che erano state proposte, per l'appunto, confidando sul presupposto, allora scontato, della loro compatibilità con l'intervento SRB01 oggetto, invece, della attuale controversia. 9.1 E deve aggiungersi che in materia di finanziamenti, come puntualmente sottolineato dagli odierni ricorrenti, un simile affidamento rinviene riconoscimento anche nell'art. 12 della L. n. 241/1990, nella parte in cui, al suo comma 1, questo prevede la trasparente predeterminazione, "da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi". L'effettività di tale previsione normativa risulta poi vieppiù garantita, a tutela dei destinatari, dal disposto del secondo comma dello stesso articolo 12, lì dove si prevede che i predetti criteri predeterminati debbano "risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1". L'acclarato contrasto tra il bando e gli atti ad esso presupposti, i quali contenevano, per l'appunto, la predeterminazione dei criteri della materia senza indicare in alcun modo l'incompatibilità inserita, invece, solo da ultimo ed ex abrupto dall'Amministrazione regionale, consente quindi di ritenere fondato anche l'ulteriore profilo d'illegittimità appena esaminato. 10.1 In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, la fondatezza delle censure esaminate comporta che il ricorso debba essere accolto, assorbite le residue doglianze, con il conseguente annullamento del bando attuativo dell'intervento SRB01 per l'annualità 2024, approvato con la determinazione dirigenziale n. 2946 del 30.05.2024, nella parte in cui è stata illegittimamente esclusa la compatibilità di tale misura con gli interventi SRA01 e SRA29 del C.S.R. Molise, disponendosi altresì, all'art. 7 del citato bando, al punto 2 lett. g), quale requisito di ammissibilità della domanda di accesso alla misura SRB01, quello di " non avere una domanda attiva di sostegno o conferma nell'ambito degli interventi SRA01 e SRA09 previsto nel CSR Molise 2023-2027. In caso di presenza di rilascio multiplo la domanda relativa alle condizioni del presente bando sarà resa non ricevibile". Ai fini di conformazione della futura azione amministrativa alla presente decisione, e in aderenza al principio di retroattività delle pronunce costitutive favorevoli alla parte ricorrente, si precisa che l'Amministrazione dovrà porre i ricorrenti in una condizione tale da consentire loro la presentazione delle domande di partecipazione al bando impugnato, attuativo dell'intervento SRB01 per l'annualità 2024. 11. La novità e complessità delle questioni oggetto del giudizio induce a ravvisare le eccezionali ragioni previste dalla legge perché le spese processuali vadano compensate tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, previa estromissione dal giudizio del Ministero dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il bando attuativo dell'intervento SRB01 per l'annualità 2024, approvato con la determinazione dirigenziale n. 2946 del 30.05.2024, limitatamente alla parte in cui l'Amministrazione ha escluso la compatibilità di tale misura con gli interventi SRA01 e SRA29 del C.S.R. Molise, e ha altresì disposto, all'art. 7 del bando, quale requisito di ammissibilità della domanda di accesso alla misura SRB01, quello del " non avere una domanda attiva di sostegno o conferma nell'ambito degli interventi SRA01 e SRA09 previsto nel CSR Molise 2023-2027. In caso di presenza di rilascio multiplo la domanda relativa alle condizioni del presente bando sarà resa non ricevibile". Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari - Referendario, Estensore Sergio Occhionero - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 27 del 2020, proposto dal sig. Um. Sa. Pi., rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Co. e Gu. Pe., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registri di Giustizia; contro Finmolise s.p.a. - Finanziaria Regionale per lo Sviluppo del Molise, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. De Ru. e Ma. Lu., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; Regione Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...). per l'annullamento del Bando pubblicato in data 14 novembre 2019 per la vendita di immobile di proprietà della Società Finmolise s.p.a.,e destinato all'attività artigianale industriale; nonché per la condanna della stessa società al risarcimento dei danni subiti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Finmolise s.p.a. e della Regione Molise; Visti tutti gli atti di causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 il dott. Roberto Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Visto l'art. 73 del cod. proc. amm. Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.Viene alla decisione del Collegio il ricorso proposto dall'imprenditore sig. Um. Sa. Pi. per l'annullamento del bando con il quale la società pubblica regionale Finmolise s.p.a. ha indetto la procedura di vendita di un immobile ad uso produttivo, sito in (omissis) Zona Industriale. 2. Il ricorrente, imprenditore operante nel settore caseario, è stato socio della società "Pr. Ve. sas", la quale, nell'anno 2004, a seguito di un bando indetto dalla stessa Fimolise aveva acquisito in leasing un capannone industriale limitrofo a quello oggetto della presente causa, nel quale era stata ubicata l'attività di produzione di latticini ancora oggi svolta, nello stesso capannone, dal ricorrente. 2.1 La società si era resa difatti inadempiente al pagamento dei canoni locativi, al punto di indurre la concedente a chiedere la risoluzione del contratto e, infine, ad agire per il rilascio del capannone, che poi era stato alienato nell'ambito di una procedura di esecuzione immobiliare definitasi con l'acquisto dello stesso capannone da parte dell'odierno ricorrente, il quale, in tal modo, aveva continuato, come imprenditore individuale, l'attività già svolta dalla società esecutata. 3. Nel contempo, un'altra società, denominata "Pr. Ve. srl", aveva a sua volta ottenuto in leasing il capannone limitrofo e di più modeste dimensioni, allora adibito, a quanto sostiene il ricorrente, ad un'attività di produzione di caseari stagionati. Più precisamente, il sig. Pincieri ha esposto in corso di causa che questo secondo capannone sarebbe stato adibito a "cabina di stagionatura" per le produzioni casearie realizzate nel più ampio locale già utilizzato dalla "Pr. Ve. sas", ed oggi in capo alla sua impresa individuale. Anche questo secondo contratto di leasing non veniva adempiuto dalla società conduttrice: e anche in tale caso la Finmolise aveva agito sia per la risoluzione del relativo contratto, sia per il rilascio dell'immobile. Una volta ritornatane in possesso, infine, la Finmolise, mediante il bando impugnato ha posto in vendita il capannone. 4. Avverso tale bando è insorto allora il ricorrente dinanzi a questo T.A.R. lamentandone l'illegittimità sotto diversi profili, e segnatamente deducendo i seguenti tre motivi di gravame: "1) Nullità della indizione del bando, ex art. 31 c.p.a. e 21 septies della l.241/90 per carenza assoluta di potere e di attribuzione, nonché per violazione dell'interesse legittimo oppositivo in relazione a mancanza del presupposto di "rustico modulare disponibile" e per inesistenza del "rustico modulare" costituendo il bene posto in vendita, parte integrante dell'impresa e dell'azienda del ricorrente; mancanza di motivazione, sviamento dell'interesse pubblico. violazione di legge: art. 2555 c.c.; 670 c.c. violazione l.124/2017 in specie artt. 136 c. 1 art. 139; violazione art. 41 Cost. sulla libertà di iniziativa economica.; 2) Motivo Subordinato; 3) Violazione dello statuto della Finmolise s.p.a. in specie art. 5.4. violazione l. 124/2017, in specie art. 1 commi 136 -137- 138 - 139". 4.1 Si sono costituite in giudizio in resistenza al ricorso la Finmolise s.p.a. e la Regione Molise. La prima ha opposto l'infondatezza nel merito del ricorso, mentre la seconda ha eccepito l'insussistenza della propria legittimazione passiva, stante l'autonoma personalità giuridica della suddetta società . 4.2 All'esito della camera di consiglio del 26.2.2020 l'istanza cautelare formulata in via incidentale nel ricorso è stata respinta in ragione della carenza di un apprezzabile periculum in mora. 4.3 Nel prosieguo, a causa del decesso del procuratore costituito del ricorrente il processo è stato interrotto con ordinanza n. 117/2022, e successivamente riassunto a seguito della costituzione in giudizio dei nuovi difensori della parte. In vista dell'udienza pubblica fissata per il 7.2.2024 i procuratori appena subentrati ne hanno chiesto il rinvio, rappresentando di essere ancora in attesa degli esiti di un'istanza di accesso nel frattempo proposta, dalla quale ritenevano di poter trarre argomenti per l'eventuale proposizione di un atto di motivi aggiunti. La causa è stata quindi rinviata all'odierna udienza del 18.9.2024. Nell'approssimarsi di quest'ultima parte ricorrente, oltre ad insistere per l'accoglimento del ricorso, ha chiesto al Tribunale di disporre un'istruttoria finalizzata a verificare la natura di "rustico modulare" del capannone oggetto di controversia. 4.4 Nel corso dell'udienza il Collegio ha dato avviso alle parti, come previsto dall'art. 73 del cod. proc. amm., del rilievo d'ufficio della possibile inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione. Le parti, dal canto loro, preso atto del rilievo, si sono comunque riportate alle loro rispettive conclusioni, e pertanto la causa è stata trattenuta in decisione. 5. Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione. 5.1 Il ricorrente allega che il capannone oggetto del bando di vendita costituirebbe una componente di un unitario complesso aziendale, dovendosi ritenere inscindibilmente connesso all'attività di produzione della propria impresa individuale, ubicata nel più ampio capannone da egli stesso recentemente acquisito in sede di esecuzione immobiliare a seguito delle vicende già riferite. Più precisamente, parte ricorrente sostiene che la Finmolise non avrebbe, in realtà, la disponibilità del bene alienando, poiché lo stesso farebbe parte dell'anzidetto più ampio complesso aziendale, il cui capannone principale era ormai tornato nella propria disponibilità . In proposito, nell'atto introduttivo (pag. 9) il Pincieri ha richiamato una propria comunicazione nella quale aveva chiesto alla Regione e alla Finmolise di non alienare, appunto, il bene, al fine di "preservare e rispettare il regime ed il legame del detto capannone alla filiera produttiva da sé organizzata (ed ora riorganizzata) per la produzione e trasformazione del latte e di confermare la destinazione del bene alla funzione unitaria della filiera produttiva". Ebbene, le censure poste così a base del ricorso integrano una doglianza di fondo ascrivibile alla lesione di un preteso diritto soggettivo derivante dall'allegata appartenenza del capannone ad un complesso aziendale, a dire del ricorrente, unitario: complesso di beni che sarebbe stato costituito, per l'appunto, da un manufatto di maggiori dimensioni, oggi di proprietà e nella disponibilità del ricorrente, e dal capannone minore oggetto, invece, della contestata procedura di alienazione. Nella sua ricostruzione delle vicende di causa, il ricorrente ha attinto il presupposto dell'unitarietà del complesso aziendale dalle previsioni di cui all'art. 2555 del c.c. (pag. 5 del ricorso): detta norma, difatti, definisce l'azienda come "il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio di un'impresa". 5.2. Il Tribunale, lungi dal voler prendere posizione sulla fondatezza di questa impostazione, reputa di tutta evidenza che la vicenda fuoriesca dalla propria cognizione, rientrando invece nella giurisdizione del Giudice ordinario. 5.3. Il "petitum sostanziale" del presente giudizio è costituito, difatti, da una domanda di tutela di un preteso diritto soggettivo che viene correlato alla qualità d'imprenditore individuale del ricorrente e alla pretesa natura "aziendale" del bene oggetto di controversia. E costituisce orientamento ormai consolidato, dal quale il Collegio non vede alcuna ragione per discostarsi, quello secondo cui "la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto "petitum sostanziale", il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto sulla base della "causa petendi", ovvero dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione, indagando sull'effettiva natura della controversia, in relazione alle caratteristiche del particolare rapporto fatto valere in giudizio ed alla consistenza delle situazioni giuridiche soggettive su cui esso si articola e si svolge. L'applicazione del criterio del petitum sostanziale comporta quindi la devoluzione della controversia alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo oppure del giudice ordinario in relazione alla qualificazione della natura della situazione giuridica soggettiva di cui si chiede la tutela (tra le più recenti cfr. TAR Marche, n. 413/2024 che richiama Cons. St., Sez. III, n. 3896/2023; Cass. Civ., Sez. Un., n. 156/2020; Tar Campania, Napoli, Sez. V, n. 2353/2019). D'altro canto, se davvero la società resistente non avesse una piena disponibilità giuridica iure civili del bene alienando, e stesse dunque vendendo un diritto di pertinenza in una certa misura "altrui", gli atti impugnati, in tal caso, non sarebbero certo suscettibili di degradare la posizione vantata dal Pincieri, poiché il bando, non costituendo esercizio di potestà pubbliche, non potrebbe in alcun modo sacrificare un preesistente diritto soggettivo. Sicché anche sotto tale profilo la cognizione della controversia non potrebbe che ascriversi alla giurisdizione del Giudice ordinario. A questa conclusione si perviene difatti agevolmente seguendo i principi più volte espressi dalle SS.UU. della Corte di Cassazione, che in sede regolatoria della giurisdizione hanno precisato: "Ogni qual volta la "causa petendi", in funzione della quale viene identificato il "petitum" sostanziale, sia ricollegabile a una situazione soggettiva di diritto perfetto (non suscettibile di essere degradato a interesse legittimo), la giurisdizione non spetta al g.a., quale giudice degli interessi legittimi, bensì al g.o., quale giudice naturale dei diritti" (Cassazione civile sez. un., 01/07/2004, n. 12087). 5.4 Per completezza espositiva, può aggiungersi che in analoghe vicende concernenti la contestazione di provvedimenti incidenti su beni di cui l'Amministrazione intendeva disporre, e dei quali, tuttavia, era controversa l'appartenenza, è stata affermata la sussistenza della giurisdizione ordinaria in base alle argomentazioni che seguono: "La controversia tra privato e P.A., concernente la proprietà di un immobile, sia quando se ne debba accertare la natura demaniale, sia quando si contesti il potere dell'Amministrazione di modificarla, è devoluta alla giurisdizione del G.O., a nulla rilevando che le doglianze del privato siano dirette ad impugnare i relativi provvedimenti, oppure a denunciare i vizi procedurali per carenza e incompletezza dell'attività istruttoria o errori di valutazione (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, n. 640/2020; e cfr. anche Consiglio di Stato sez. VI, n. 4110/2010). A non diverse conclusioni, mutatis mutandis, deve quindi pervenirsi anche rispetto all'odierna vicenda, nella quale l'impugnazione del bando in epigrafe ha costituito per il ricorrente l'occasione per cercare di ottenere una statuizione di riconoscimento della pretesa natura indisponibile dell'immobile oggetto di vendita discendente -in tesi- dalla sua reclamata afferenza ad un complesso aziendale a lui riconducibile. 5.5 Il ricorrente, per dimostrare che la società Finmolise non ha l'effettiva disponibilità del bene che intenderebbe alienare, dovrà dunque far valere le proprie doglianze innanzi al Giudice ordinario. 6. Per le ragioni esposte il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario, innanzi al quale il giudizio andrà riassunto, con salvezza degli effetti della domanda, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, così come previsto dall'art. 11 cod. proc. amm.. Le spese seguono la soccombenza, sono quindi poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo in favore del Giudice ordinario, innanzi al quale andrà riassunto entro tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, con salvezza degli effetti della domanda. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle resistenti, liquidandone l'ammontare in Euro 2.000 oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari - Referendario, Estensore Sergio Occhionero - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 290 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa Sociale "Vi. Ba.", in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 291 del 2021, proposto dal Ce. per i Se. So. Società Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 292 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa La Va., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; sul ricorso numero di registro generale 293 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa Sociale Na., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 294 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa Sociale a R.L. Sa. Ma., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 295 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa Sociale S.C.., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 296 del 2021, proposto dalla società S.C.. Acli Coop. Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 297 del 2021, proposto dalla Societá Cooperativa Sociale S.C.., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Società Coop. Sociale Ce. per i Se. So. Soc. Coop. Sociale, non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 298 del 2021, proposto dalla Società Cooperativa Se. per i Se. So., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma. Ze., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; contro Regione Molise, Ministero della Salute, Commissario e sub commissario ad acta per la Sanità della Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, alla via (...); nonchè Azienda Sanitaria Regionale del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ca. Ro., con domicilio digitale come da pec estratta dal Registro di Giustizia; nei confronti della Societá Cooperativa Sociale S.C.., non costituita in giudizio; per l'annullamento, quanto a tutti i ricorsi: della nota della Struttura Commissariale per la sanità della Regione Molise prot. n. 54371/2021, avente ad oggetto "autorizzazione provvisoria delle attività sanitarie afferenti alla macroarea della riabilitazione e dell''assistenza socio sanitaria per le strutture sanitarie private accreditate della regione Molise -anno 2021"; di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o connessi, inclusi, ove occorra: i) la comunicazione dell'Asrem, U.O.C. Programmazione e Controllo, con la quale è stata trasmessa alle ricorrenti la nota impugnata in via principale; ii) la nota Asrem prot. 41658/2021, di contenuto sconosciuto; Visti tutti i ricorsi ed i loro relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti gli artt. 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti di causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 settembre 2024 il dott. Roberto Ferrari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Mediante i ricorsi in esame le strutture sanitarie in epigrafe hanno impugnano la nota prot. n. 54371/2021 della Struttura Commissariale per la sanità della Regione Molise, avente ad oggetto la "autorizzazione provvisoria delle attività sanitarie afferenti alla macroarea della riabilitazione e dell'assistenza socio sanitaria per le strutture sanitarie private accreditate della regione Molise -anno 2021". Con detta nota, nella sua parte impugnata, la Regione aveva comunicato, in particolare, "Ai Centri privati accreditati convenzionati ASREM per prestazioni di riabilitazione ex art. 26 ed assistenza socio sanitaria e riabilitativa psichiatriche", che, "nelle more della emanazione degli appositi decreti commissariali di fissazione dei tetti di spesa e dell'approvazione dello schema contrattuale di budget, valevole per l'annualità 2021, si dispone, in ordine ai rapporti con le Strutture Sanitarie Private Accreditate della Regione, di procedere in continuità ed ai sensi di quanto previsto dal DCA 41 del 25/06/2020". Con il che l'Ente regionale aveva conseguentemente autorizzato l'ASREM, destinataria principale della stessa comunicazione, "a liquidare, in via provvisoria, le prestazioni sanitarie fatturate dalle Strutture Sanitarie Private Accreditate della Regione entro il termine del 90% dei tetti di spesa fissati dal DCA n. 41 del 25/06/2020, su base mensile, fatto salvo l'adeguamento a eventuali successive disposizioni" 2. I centri sopra indicati erano inizialmente insorti avverso la detta nota proponendo identici ricorsi straordinari innanzi al Capo dello Stato, nei quali avevano veicolato un'unica e articolata censura così rubricata: "1. Violazione ed errata applicazione dell'art. 21 septies della l. 241/90: nullità per violazione e/o elusione del giudicato; violazione ed errata applicazione della l.r. 30/2002 e del regolamento regionale attuativo n. 1/2004; violazione ed errata applicazione dell'art. 8 quinquies e ss. d.lgs. 502/92; violazione ed errata applicazione dell'art. 3 della l. 241/90: difetto di motivazione e di istruttoria; violazione ed errata applicazione degli artt. 3, 24, 32, e 97 Cost. e dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a.; eccesso di potere: difetto dei presupposti di fatto e di diritto; contraddittorietà tra più atti della stessa p.a.; ingiustizia manifesta; disparità di trattamento". 2.1 A seguito dell'opposizione formalizzata dalle Amministrazioni intimate, i loro ricorsi sono stati poi tempestivamente trasposti innanzi a questo Tribunale ai sensi dell'art. 48 cod. proc. amm.. 2.2 Le Amministrazioni evocate in giudizio vi si sono costituite. La difesa dell'A.S.RE.M, in particolare, già con la memoria di costituzione, ma in maniera più incisiva nella memoria di merito, ha eccepito che le disposizioni contenute nella nota impugnata non avrebbero potuto riguardare le strutture ricorrenti, i cui gravami sarebbero quindi mancati dell'indefettibile presupposto processuale dell'interesse ad agire. 2.3 Con le ordinanze presidenziali del 6.5.2024 (dalla n. 16 alla n. 24), rese ai sensi degli artt. 65 cod.proc.amm e 8 disp. att. del cod. proc. amm., il Tribunale ha disposto che le ricorrenti facessero pervenire, ai fini della prosecuzione dei singoli giudizi, una tempestiva dichiarazione di eventuale permanenza dell'interesse alla decisione della causa. Quest'ultima è stata indi resa da tutte le strutture sanitarie, sicché per i ricorsi è stata fissata l'udienza pubblica di discussione del 18.9.2024. 2.4 Nell'approssimarsi dell'udienza le parti hanno depositato rispettive memorie e scritti di replica. Le Amministrazioni, richiamandosi anche ad un'esplicita nota interpretativa resa dall'A.S.Re.M. nel mese di luglio del 2022 (di cui a breve si dirà ), hanno ribadito l'assunto che le strutture ricorrenti dovevano ritenersi estranee alla portata applicativa della nota gravata, tanto che le loro spettanze relative all'anno 2021 - oggetto di contestazione nel presente giudizio - erano state medio tempore regolarmente pagate. 2.5 Nelle rispettive memorie di replica le strutture ricorrenti hanno insistito affinché il Tribunale emettesse, comunque, una pronuncia di merito, eventualmente anche in termini di decisione interpretativa di rigetto dei ricorsi, onde chiarire definitivamente la loro estraneità rispetto all'ambito di applicazione del provvedimento impugnato. In ogni caso, attesa la tardività dei chiarimenti amministrativi ottenuti, forniti solo in corso di causa, le ricorrenti hanno concluso per la condanna alle spese delle Amministrazioni resistenti, sottolineando di essere state indotte ad introdurre i loro rispettivi giudizi proprio a causa dell'incertezza ingenerata dalla nota impugnata circa il suo effettivo ambito soggettivo di applicazione. Dal canto loro, la Regione e l'ASREM, ribadendo che la nota stessa non sarebbe stata in alcun modo riferibile alle ricorrenti, hanno concluso per l'inammissibilità dei ricorsi per carenza d'interesse, chiedendo altresì la condanna alle spese di giudizio a carico delle strutture istanti. 2.6 All'udienza pubblica del 18.9.2024, sentite le parti, i ricorsi sono stati posti infine in decisione. 3. Preliminarmente il Tribunale dispone la riunione degli intestati giudizi, reputando ampiamente soddisfatti i requisiti di connessione oggettiva e parzialmente soggettiva previsti dall'art. 70 cod. proc. amm.. 4. Tanto premesso, i ricorsi riuniti devono essere dichiarati improcedibili per un difetto d'interesse (quantomeno) sopravvenuto in corso di causa. 4.1 Giova ricordare che la nota commissariale in questa sede impugnata aveva disposto per l'anno 2021 l'autorizzazione provvisoria in favore delle strutture sanitarie accreditate operanti in Molise, appartenenti alla "macroarea della riabilitazione e dell'assistenza socio sanitaria", a proseguire (in attesa della contrattualizzazione annuale) nell'espletamento delle attività previste nei precedenti contratti, regolandone altresì in via provvisoria la remunerazione. 4.2. Ciò posto, non risulta controverso che l'attività svolta dai Centri di Riabilitazione Psichiatrica (C.R.P.), species alla quale appartengono tutte le odierne ricorrenti, rientri concettualmente nel più ampio genus della riabilitazione e dell'assistenza socio sanitaria, cui si è riferito il provvedimento commissariale oggetto di contestazione. Quest'ultima macroarea, quantomeno prima facie, poteva allora ben presentarsi coinvolta nella sua interezza dalle disposizioni contenute nella nota impugnata, le quali definivano le prestazioni erogabili in regime di accreditamento per la riabilitazione e assistenza socio sanitaria senza contemplare deroghe espresse, e determinavano le percentuali di pagamento parziale delle strutture in funzione dei budget annuali da definire nel corso dell'anno. 4.3 Non può allora essere recepita la tesi difensiva con la quale l'A.S.RE.M, nella sua memoria di merito, si è spesa nel sostenere che la nota oggetto di gravame sarebbe stata ben chiara già ab origine nel non coinvolgere le strutture ricorrenti, il che avrebbe reso i presenti ricorsi inammissibili per carenza d'interesse fin dalla loro proposizione (in particolare, la difesa dell'Azienda ha affermato che "nella Regione Molise l'attività terapeutica socio-riabilitativa prestata dagli enti che gestiscono le CRP (e, quindi, anche dalla ricorrente), pur rientrando tra le attività di Assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali previste dall'art. 33 del DPCM 12 gennaio 2017, non è e non è mai stata inclusa, ai fini della fissazione dei relativi tetti di spesa, nella macroarea della riabilitazione e dell'assistenza socio-sanitaria"). A conferma, del resto, della equivocità della situazione creatasi con l'avvento della nota impugnata vale ricordare come il testo della medesima sia stato a suo tempo trasmesso anche ai soggetti ricorrenti, "per opportuna conoscenza", proprio dagli uffici dirigenziali dell'Azienda Sanitaria Regionale del Molise. 4.4 L'evoluzione dei rapporti inter partes verificatasi nelle more del giudizio ha confermato, tuttavia, che effettivamente la nota in epigrafe non era intesa a valere anche per i soggetti ricorrenti: e su questa base il Tribunale può quindi già avviarsi a pervenire a una declaratoria di improcedibilità dei ricorsi. Come ricordato anche dall'ASREM, in ragione di quanto previsto dall'art. 11 comma 1 della L.R. del Molise n. 30/2002 le peculiari attività dei Centri ricorrenti, che si rivolgono alla promozione e alla tutela della salute mentale, sono finanziate "con uno stanziamento di norma non inferiore al 5% del Fondo sanitario regionale, o in ogni caso commisurato alle risorse esistenti ed agli obiettivi di piano di ogni A.S.L.". Più nel dettaglio, il Regolamento regionale attuativo n. 1/2004, che ha disciplinato le modalità di erogazione delle attività svolte dai CRP, prevede (art. 19.1) che la loro remunerazione avvenga mediante rette parametrate sui singoli giorni di ricovero degli assistiti, pagate mensilmente dal Servizio Sanitario, e segnatamente dall'ASL. Il 90 % di queste rette deve essere poi corrisposto entro il quinto giorno di ogni mese, a titolo di anticipazione, mentre il restante 10% va erogato entro i successivi sessanta giorni. E tali regole speciali integrano il nucleo della disciplina speciale che, pur nel quadro della "macroarea della riabilitazione e dell'assistenza socio sanitaria", si rende applicabile alle strutture ricorrenti. 4.5 Come si è già notato, però, il testo della laconica nota impugnata non faceva affatto trasparire che la Regione avesse inteso sottrarre la remunerazione delle odierne ricorrenti all'applicazione del più generale sistema dei budget. 4.6. Ed è stato solo ben dopo la proposizione degli originari ricorsi straordinari, e la loro trasposizione innanzi al Tribunale, che l'A.S.Re.M., a mezzo della comunicazione prot. n. 71774/2022 del 7.7.2022 (doc. n. 9 depositato dalla Regione il 5.7.2024), ha finalmente chiarito che la nota impugnata, in ragione della disciplina normativa vigente, non si era riferita ai Centri di recupero psichiatrico (CRP), ossia alla categoria d'appartenenza delle strutture oggi ricorrenti. E, del pari, soltanto in pendenza di questo giudizio l'Amministrazione ha provveduto alla remunerazione di quanto spettante ai CPR ricorrenti, per le prestazioni da loro erogate nell'anno in rilievo, il 2021, facendo applicazione della loro specifica disciplina di pertinenza, e ha reso così tangibile, a quel punto, la oggettiva carenza di un loro interesse alla decisione di merito del giudizio, confermata dalla trasparente ammissione del loro scritto di replica (pag. 2) del "corretto adempimento da parte dell'azienda sanitaria dell'accordo contrattuale... nei confronti della ricorrente". 5. Alla luce di quanto emerso in corso di causa, i ricorsi non possono allora essere giudicati che improcedibili per sopravvenuta carenza d'interesse. Il Collegio deve infatti evidenziare che oggettivamente, in forza delle sopravvenienze medio tempore intervenute, e sopra descritte, le ricorrenti non risultano avere più interesse alla decisione di merito della controversia. A seguito dell'interpretazione amministrativa fornita dall'A.S.Re.M. con la citata nota prot. n. 71774/2022, dell'avvenuta satisfattiva retribuzione delle ricorrenti per l'anno per cui è causa, e delle convergenti considerazioni svolte da tutte le difese delle parti in causa, risultano invero complessivamente integrati in modo pieno i presupposti per la declaratoria in rito di sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), cod.proc.amm.. 5.1. Né la conclusione cui il Collegio è pervenuto può trovare ostacolo nell'assenza di un'espressa e conforme dichiarazione di sopravvenuta carenza d'interesse promanante dalle ricorrenti (che nelle loro memorie hanno invece chiesto al Tribunale di valutare la possibilità di emettere una sentenza di merito, da rendersi anche a soli fini interpretativi). Il venir meno delle condizioni dell'azione, e segnatamente dell'interesse al ricorso, è difatti rilevabile d'ufficio dal Giudice, per consolidato principio generale, in ogni stato e grado del processo ("Ai sensi dell'art. 35 comma 1, c. proc. amm. l'accertamento sull'interesse alla decisione può essere compiuto dal giudice in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio, e quindi a prescindere da ogni eccezione sollevata dalle parti": Consiglio di Stato sez. III, n. 4039/2013), giacché dette condizioni costituiscono i fattori ai quali l'ordinamento subordina l'esercizio dei poteri giurisdizionali (TAR Emilia Romagna, sez. Parma, n. 48/2020). E, come si è visto, l'interesse delle ricorrenti, in ragione delle sopravvenienze richiamate, è oggettivamente venuto meno (quantomeno) in corso di causa: il che appunto basta, al Collegio, per riscontrare le condizioni per dichiarare l'improcedibilità dei ricorsi per sopravvenuto difetto d'interesse. 6. La conclusione in punto di mero rito del giudizio, unita al complessivo comportamento processuale di sostanziale convergenza delle parti, induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese di lite tra tutte le parti in causa. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa loro riunione, li dichiara improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse. Compensa integralmente le spese tra tutte le parti in causa. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari - Referendario, Estensore Sergio Occhionero - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 98 del 2021, proposto dalla società Fr. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato El. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro - la Regione Molise, il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo finanziario del settore sanitario della Regione Molise, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); - l'Azienda Sanitaria Regionale del Molise - A.S.Re.M., non costituita in giudizio; nei confronti della R.S. Sa. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sa. Di Pa. e Ca. Ve., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; per l'annullamento del provvedimento n. 19703 del 4.02.2021, con il quale il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo finanziario del settore sanitario della Regione Molise ha dichiarato l'impossibilità di accoglimento della istanza di accreditamento istituzionale presentata dalla ricorrente in data 3 gennaio 2017, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente; e per la condanna al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale è stata valutata l'istanza di accreditamento della ricorrente. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle intimate Amministrazioni e della controinteressata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2024 il dott. Luigi Lalla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. La Fr. s.r.l. gestisce la residenza protetta per anziani "Villa le Gi." con sede in (omissis), ed è autorizzata all'esercizio dell'attività sanitaria di cui trattasi per 50 posti letto ai sensi dell'art. 8 della legge regionale n. 18 del 2008, giusta Determina del Direttore Generale per la Salute della Regione Molise n. 244 del 6 dicembre 2016. Una volta così autorizzata, il 4 gennaio 2017 l'interessata ha avanzato all'Amministrazione regionale una domanda di accreditamento istituzionale ai sensi della L.R. Molise n. 18/2008. 1.1. La società ha poi sollecitato ulteriormente l'Amministrazione, con la comunicazione del 28 maggio 2018, perché provvedesse sulla sua istanza. Ma con la nota n. 1375157 del 30 ottobre 2018 la Struttura Commissariale comunica all'istante "l'impossibilità di rilasciare accreditamenti al di fuori della Programmazione Sanitaria Regionale prevista dal POS 2015-2021, riservandosi tale possibilità nella futura programmazione sanitaria regionale 2019-2021" (cfr. all. n. 5 alla produzione della difesa erariale dell'11 aprile 2024). La società con la nota del 21 ottobre 2019 ha poi sollecitato nuovamente l'Amministrazione per vedersi riconoscere l'accreditamento istituzionale in precedenza richiesto. Nuovamente la Struttura Commissariale ha fornito però riscontro negativo con la nota 137309 dell'8 novembre 2019, rappresentando l'impossibilità, allo stato attuale, del rilascio dei provvedimenti di accreditamento istituzionale per la mancata costituzione dell'Organismo Tecnicamente Accreditante (OTA), organo competente alla verifica dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi all'uopo richiesti, con l'avvertenza che l'istanza sarebbe stata successivamente valutata tenuto conto, in particolare, della programmazione sanitaria stabilita dal redigendo Programma Operativo 2019-2021. Con diffida inoltrata in data 11 dicembre 2019 l'interessata ha diffidato allora l'Amministrazione a concludere il procedimento di nomina dell'OTA, presentando contestualmente una formale istanza di accesso agli atti ex art. 22 della legge n. 241/1990, anche in relazione agli atti con i quali si era eventualmente proceduto medio tempore all'accreditamento e convenzionamento di strutture sanitarie diverse dall'istante a partire dal 2012. La Struttura Commissariale, con la nota di risposta n. 105307 del 2 luglio 2020, ha comunicato l'impossibilità di evadere la richiesta di accesso agli atti per la sua genericità e la mancata esplicitazione delle ragioni sottese alla richiesta ostensiva, contestualmente osservando, da un lato, che tutti gli atti relativi all'accreditamento delle strutture socio-sanitarie della Regione Molise erano comunque disponibili sul sito web della Regione stessa, e, dall'altro, che medio tempore si era provveduto all'individuazione dell'OTA (cfr. all. n. 9 alla produzione della difesa erariale dell'11 aprile 2024). 2. La società, insoddisfatta di siffatto riscontro, ha proposto indi ricorso contro il silenzio serbato dall'Amministrazione, così incardinando il giudizio n. r.g. 71 del 2020, che veniva prontamente deciso da questo Tribunale, in parziale accoglimento del gravame, con la sentenza n. 302 del 9 novembre 2020. Il T.A.R. reputava improcedibile la parte di ricorso concernente l'accesso agli atti per l'omessa impugnativa da parte della ricorrente della nota n. 105307 del 2 luglio 2020, con la quale il Servizio Autorizzazione e Accreditamento della Direzione Generale della Salute della Regione aveva fornito riscontro alla richiesta di accesso agli atti n. 4276/20 dichiarandone l'inammissibilità . In quella sede veniva, invece, parzialmente accolta la domanda rivolta alla declaratoria dell'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione regionale, risultando "pacifico tra le parti che l'Amministrazione non ha concluso il procedimento, adottando invece meri atti soprassessori ed essendo spirato pacificamente il termine per provvedere in via definitiva ex art. 17 Legge regionale n. 18/2008" (cfr. T.A.R. Molise, sentenza n. 302 del 2020): sicché il Tribunale addiveniva alla seguente condanna dell'Amministrazione all'adozione di un provvedimento espresso sull'istanza della ricorrente entro il termine di sessanta giorni. Spirato il termine di sessanta giorni fissato dalla citata sentenza, l'interessata instava quindi per la nomina di un commissario ad acta che agisse in sostituzione dell'Amministrazione inadempiente. 3. Ma prima che questo Tribunale si pronunciasse su tale istanza di nomina, la Struttura Commissariale -in esecuzione della citata sentenza- adottava il provvedimento n. 19703 del 4 febbraio 2021, con il quale dichiarava espressamente "l'impossibilità di accoglimento dell'istanza formulata in favore della Residenza Protetta "Villa Le Gi.", per mancanza, ai sensi dell'art. 8 quater del D.Lgs. n. 502/1992 e dell'art. 16 della L.R. n. 18/2008, delle condizioni per il rilascio dell'accreditamento istituzionale" (cfr. all. n. 10 alla produzione ricorrente del 31 marzo 2021). Alla luce dell'avvento di tale determinazione, questo T.A.R., con l'ordinanza n. 86 del 12 marzo 2021, dichiarava allora l'improcedibile l'istanza di nomina di un commissario ad acta, svolgendo al riguardo le seguenti considerazioni: "Rilevato che la Struttura commissariale, da ultimo, con nota prot. n. 19703 del 4 febbraio 2021 ha dichiarato "l'impossibilità di accoglimento dell'istanza" di accreditamento proposta dalla ricorrente, per le ragioni ivi specificamente rappresentate; Ritenuto che, stante il sopravvenuto formale riscontro fornito dalla Struttura commissariale sull'istanza di accreditamento della ricorrente, il relativo procedimento si è ormai concluso con provvedimento espresso (ancorché negativo), e, di conseguenza, l'istanza per la nomina di un commissario ad acta formulata ai sensi dell'art. 117, comma 3, cod. proc. amm. risulta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse; Osservato, infatti, che la nota del 4 febbraio 2021 ha contenuto dispositivo significativamente diverso dalle precedenti, già qualificate da questo Tribunale di natura soprassessoria, ed è idonea a concludere il procedimento, manifestando una determinazione definitiva dell'Amministrazione da cui promana" (cfr. ordinanza n. 86 del 2021). 4. L'interessata ha quindi proposto la presente impugnativa contro la determinazione amministrativa n. 19703 del 4 febbraio 2021 da ultimo richiamata, affidandosi ai motivi di ricorso così rubricati: I- "VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2, 3, 32, 41 E 97 COSTITUZIONE. VIOLAZIONE DEGLI ART. 2, 2 bis e 3 DELLA L. 241/90 E S.M.I. SVIAMENTO DI POTERE. DIFETTO DI ISTRUTTORIA. DIFETTO ASSOLUTO DI MOTIVAZIONE. INGIUSTIZIA MANIFESTA. DISPARITA' DI TRATTAMENTO. VIOLAZIONE E FALSA 6 APPLICAZIONE DEL D. LGS. N. 502/1992 E S.M.I. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA L.R. MOLISE N. 18/2008"; II- "STESSA CENSURA SOTTO DIVERSO PROFILO. ARBITRARIETA'. CONTRADDITTORIETA'. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ART. 8 QUATER DEL D. LGS. N. 502/92 E DELL'ART. 16 DELLA L.R. MOLISE N. 18/2008". III- "IN VIA SUBORDINATA, NULLITA' PER ELUSIONE DEL GIUDICATO DI CUI ALLA SENTENZA N. 302/2020 DELLA PRIMA SEZIONE DEL T.A.R. MOLISE". Con lo stesso ricorso la ricorrente ha proposto anche una domanda di risarcimento del danno ex art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, correlata al ritardo con il quale l'Amministrazione aveva concluso il proprio procedimento in asserita violazione della tempistica stabilita dalla legge regionale n. 18 del 2008. In particolare, la domanda risarcitoria è stata riferita alle seguenti conseguenze dannose: - al danno emergente derivante dalle spese sostenute dalla società sia per gli investimenti necessari all'adeguamento strutturale dell'edificio destinato all'attività in questione (documentate nella somma di 88.346,29), sia per gli esborsi legali affrontati per l'istaurazione del precedente giudizio avverso il silenzio n. r.g. 71/2020), il tutto per la complessiva somma stimata in Euro 94.346,29 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali; - al lucro cessante dovuto alla impossibilità di ottenere il rimborso delle prestazioni già effettuate, quantificato dalla ricorrente nella misura stimata di Euro 705.600,00. Si sarebbe trattato, in tesi, di un complessivo danno da comportamento da ascriversi alla Struttura Commissariale, e solo eventualmente e parzialmente al Ministero della Salute e al Ministero dell'Economia e delle Finanze, per l'eventuale loro ritardo nelle sequenze procedimentali di loro rispettiva competenza. A sostegno delle proprie ragioni, la ricorrente ha dedotto anche una disparità di trattamento evincibile dall'opposto epi, favorevole, del procedimento di accreditamento attivato dalla società R.S. Sa. s.r.l., che è stata contestualmente evocata in giudizio in quanto identificata come controinteressata. 5. In resistenza al ricorso si è costituita per le Amministrazioni in epigrafe l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, la quale ha eccepito il difetto di legittimazione passiva della Regione Molise chiedendone l'estromissione, nonché l'infondatezza complessiva del gravame. Resisteva al ricorso anche la R.S. Sa. s.r.l., la quale eccepiva l'irricevibilità, l'improcedibilità, l'inammissibilità e l'infondatezza del gravame, ma in primo luogo il proprio difetto di legittimazione passiva, assumendo di non rivestire la qualifica di controinteressato. Sicché anch'essa chiedeva l'estromissione dal giudizio. 6. Nel corso del processo sono state depositate ulteriori memorie e documenti. In particolare, la parte ricorrente ha dato atto da ultimo dell'adozione del D.C.A. n. 42 del 22 marzo 2024, con il quale essa ha ottenuto l'accreditamento istituzionale per 30 posti letto (cfr. allegato alla produzione ricorrente dell'11 aprile 2024). La stessa società, infine, con la richiesta di passaggio in decisione depositata il 17 maggio 2024 ha osservato che il sopravvenire del provvedimento favorevole appena detto avrebbe comportato una cessazione della materia del contendere rispetto alla domanda di annullamento del provvedimento amministrativo impugnato con il ricorso; e tuttavia essa allegava di avere residuo interesse alla pronuncia sulla domanda risarcitoria formulata ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 241 del 1990 per il danno patito in considerazione del ritardo con il quale con il quale l'Amministrazione aveva concluso il proprio (precedente) procedimento. 7. All'udienza pubblica del 22 maggio 2024 il Collegio ha rilevato d'ufficio, ai sensi dell'art. 73 cod. proc. amm., la verosimile tardività della domanda risarcitoria in relazione ai termini prescritti dall'art. 30, comma 2, 3 e 4 del cod. proc. amm.. La causa è stata indi trattenuta in decisione. 8. In limine litis vanno scrutinate le due eccezioni di difetto di legittimazione passiva avanzate rispettivamente dalla Regione Molise e dalla R.S. Sa. s.r.l.. 8.1. Come correttamente eccepito dalla Regione in sede di costituzione in giudizio, la stessa risulta sprovvista della necessaria legittimazione passiva al ricorso, poiché la relazione intercorrente tra la Regione e il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario non va qualificata come interorganica, ma come intersoggettiva: sicché gli atti del Commissario non si imputano all'Ente regionale, che è privo di legittimazione passiva ad interloquire sugli atti commissariali (cfr. Cons. Stato, Ad.Pl. n. 8/2018). Al riguardo vanno in questa sede ribaditi i principi già espressi sul tema da questo stesso Tribunale -peraltro, in una controversia attivata dalla medesima parte odierna ricorrente-, il quale ha già chiarito che quanto segue: "occorre distinguere il caso in cui il commissario venga nominato per sostituirsi nell'esercizio di una competenza generale, in luogo di un organo di cui difetti radicalmente il funzionamento, da quello in cui - come nel caso di specie - egli, su impulso di un organo avente funzione di vigilanza, sia incaricato di provvedere all'adozione di una specifica attività . Nella prima ipotesi, quando cioè il commissario è nominato per consentire lo svolgimento delle funzioni dell'ente, senza l'indicazione degli specifici atti che deve emanare, il provvedimento da lui adottato va qualificato come atto di un organo dell'ente stesso, sia pure straordinario (e quindi può anche essere rimosso dallo stesso ente nella via dell'autotutela); quando invece - come nel caso all'esame del Collegio - egli è nominato per l'adozione di un atto specifico o l'attuazione di uno specifico piano, la relazione che si stabilisce fra il commissario e l'ente sostituito è di natura intersoggettiva e non interorganica (tanto che si ritiene che le determinazioni del commissario possano essere impugnate dall'ente sostituito innanzi al G. A.). Al Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del settore sanitario la legge affida poteri straordinari di gestione appunto ad acta, per l'attuazione di uno specifico piano di rientro dai disavanzi, ma non sul sistema sanitario regionale nel suo complesso, che resta di competenza della Regione (Cons. Stato Sez. III, Sent., 28 ottobre 2013, n. 5174); così che il rapporto che si instaura tra la struttura commissariale e la Regione sostituita acquisisce la caratura di un rapporto intersoggettivo e non interorganico." (cfr. T.A.R. Molise, ordinanza n. 209 del 23 luglio 2020). Ne consegue che, in accoglimento dell'eccezione avanzata dalla difesa erariale, la Regione Molise deve essere estromessa dal presente giudizio per difetto di legittimazione passiva. 8.2. Va parimenti estromessa, in accoglimento dell'eccezione all'uopo avanzata, la parte R.S. Sa. s.r.l., la quale non riveste effettivamente una posizione di interesse contrario all'accoglimento del ricorso, e pertanto qualità di controinteressata, dal momento che il presente gravame non investe affatto gli atti regionali che ne hanno disposto a suo tempo l'accreditamento. Infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa, "Per controinteressato s'intende il soggetto, contemplato o individuabile nell'atto impugnato, che ha un interesse sostanziale antitetico a quello del ricorrente" Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 21/10/2021, n. 891; "La figura del controinteressato in senso formale, peculiare del processo amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l'atto sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità si riferisca direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura non è ravvisabile nei riguardi dell'atto generale, atteso che esso non riguarda specifici destinatari, che sia a priori che a posteriori non sono individuabili" (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6153). Pertanto, non assumendo la R.S. Sa. s.r.l. la posizione di controinteressata, anche la medesima va estromessa dal presente giudizio. 9. Proseguendo la disamina dell'impugnativa va subito rilevato che il ricorso, nella parte in cui ha domandato l'annullamento del provvedimento n. 19703 del 4 febbraio 2021, risulta improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. Il provvedimento impugnato, invero, risulta essere stato definitivamente superato dalle determinazioni amministrative da ultimo intervenute: rileva, infatti, il nuovo corso dell'azione amministrativa culminato nell'adozione del D.C.A. n. 42 del 22 marzo 2024, recante finalmente l'accreditamento istituzionale della Fr. s.r.l., provvedimento il cui avvento ha indotto la stessa ricorrente a dichiarare conclusivamente la cessazione della materia del contendere con riguardo alla propria domanda di annullamento. Non è superfluo rimarcare, però, che il nuovo provvedimento di accreditamento è stato concesso dall'Amministrazione con limitato riferimento ad un modulo di 30 posti, rispetto ai 50 posti agognati dall'interessata. Un simile dato numerico, denotando una soddisfazione soltanto parziale della pretesa inizialmente avanzata dalla Fr. s.r.l., osta a una declaratoria della cessazione della relativa materia del contendere, conclusione per la quale l'art. 34, comma 5, cod. proc. amm. richiede che la pretesa di parte sia stata invece "pienamente soddisfatta". Nondimeno, l'oggettiva circostanza dell'adozione del provvedimento favorevole di accreditamento manifesta, come attestano le conclusioni rassegnate dalla stessa ricorrente, la sopravvenuta carenza di interesse, da parte sua, alla decisione della parte caducatoria del gravame. Al Collegio non resta, pertanto, che definire questa parte della controversia con la pertinente pronuncia in rito ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c) del cod. proc. amm.. 10. Resta da esaminare, a questo punto, la parte di ricorso con la quale la ricorrente ha formulato la propria richiesta di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 241 del 1990. Si rammenta che il Tribunale ha rilevato d'ufficio, in udienza, ai sensi dell'art. 73 cod. proc. amm., la possibile tardività della relativa domanda risarcitoria (peraltro, anche la parte R.S. Sa. s.r.l. ha eccepito nel costituirsi in giudizio l'irricevibilità del ricorso). 10.1. Ora, la circostanza che all'udienza la parte ricorrente non fosse presente non esclude che il Collegio possa portare a conseguenza il rilievo d'ufficio appena detto. In proposito vale infatti il condivisibile orientamento del Consiglio di Stato di seguito esposto: "questo Giudice ritiene di potere porre a fondamento della propria decisione la questione rilevata d'ufficio di cui sopra nel momento in cui di questa possibilità si è dato atto a verbale, anche se in concreto nessuna delle parti era presente all'udienza in cui ciò è avvenuto. In tal senso, depongono due argomenti, l'uno letterale e l'altro logico.... Sotto il profilo letterale, la norma dell'art. 73 comma 3 c.p.a. prevede che una questione siffatta sia semplicemente indicata in udienza dal Giudice, e che di ciò si dia atto a verbale, senza altre formalità . La necessità di darne avviso alle parti con ordinanza e di dar loro un termine per dedurre in proposito è prevista solo per la diversa ipotesi in cui la questione stessa sia rilevata dopo il passaggio in decisione, e non è evidentemente possibile estendere questa formalità, che comporta un apprezzabile aggravio dei tempi del processo, a casi non previsti.... Sotto il profilo sistematico, l'avviso di cui all'art. 73 comma 3 c.p.a. ha lo scopo di evitare, per così dire, la sorpresa processuale, ovvero la situazione in cui la parte veda decidere la controversia in modo per essa imprevedibile, perdendo quindi senza propria colpa la possibilità di far valere il proprio punto di vista in proposito. Si deve però rilevare che questa logica non sussiste nel momento in cui la parte, ritualmente avvisata, non si presenti all'udienza, accettando quindi il rischio che un avviso siffatto venga pronunciato in sua assenza" (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2022, n. 10348). 10.2. Ebbene, il ricorso, nella parte in cui veicolante la domanda risarcitoria proposta ai sensi dell'art. 2 bis della legge n. 241/90, risulta effettivamente irricevibile per tardività rispetto ai termini di cui all'art. 30, comma 2, 3 e 4 del cod. proc. amm.. Il perimetro dell'azione risarcitoria sottoposta all'odierno esame del Collegio va infatti circoscritto alla sola pretesa al risarcimento del danno da ritardo, la quale è stata incentrata sull'assunto di parte ricorrente per il quale l'interessata "avrebbe dovuto ottenere una pronuncia sulla propria istanza di accreditamento sin da quando detta istanza fu avanzata (4.01.2017)" (cfr. pag. 17 del ricorso), mentre il procedimento "è giunto ad una formale (negativa) conclusione con grave ritardo rispetto alla tempistica imposta dalla normativa regionale di riferimento, come già questo Tribunale ha sancito nella sentenza n. 302/2020" (cfr. pag. 17 del ricorso). Nella prospettiva della stessa società, del resto, "a ben guardare, la nuova nota commissariale altro non è che l'ennesima "scusa" per non valutare l'istanza della ricorrente, in palese elusione del dictum sopra riportato" (cfr. pag. 15 del ricorso), e "l'avvio del procedimento di valutazione della struttura ricorrente, continua ad essere negato del tutto illegittimamente sulla base di motivazioni pretestuose e che dimostrano il carattere meramente dilatorio delle risposte del Commissario ad acta" (cfr. pag. 18 del ricorso). L'azione risarcitoria in questa sede attivata è stata pertanto univocamente costruita, alla luce di quanto sopra illustrato, come domanda di risarcimento del danno da ritardo, come confermano le conclusioni ricorsuali della stessa ricorrente secondo cui "Le somme indicate potranno, dunque, riconoscersi ex art. 2 bis della L. n. 241/90 per il ritardo della Struttura Commissariale nell'avvio (e nella conclusione) dell'iter finalizzato alla valutazione dell'istanza della ricorrente, iter per la verità mai avviato ma direttamente concluso con una "impossibilità " a procedere avvenuta dopo ben quattro anni dalla richiesta svolta dalla Fr. s.r.l. e dopo solleciti, diffide e contenziosi" (cfr. pag. 21 del ricorso). Tale configurazione della domanda di parte risulta infine ribadita dalla memoria della stessa parte del 22 aprile 2024, la quale ha concluso come segue: "La sopravvenuta adozione del provvedimento favorevole potrebbe ritenersi foriera di una parziale cessazione della materia del contendere, con riferimento, appunto, alla domanda di annullamento della nota-provvedimento del Commissario ad acta con la quale era stata manifestata l'impossibilità di accoglimento della istanza di accreditamento istituzionale formulata dalla ricorrente nel 2017, evidentemente superata dall'accoglimento della stessa. Resta fermo, tuttavia, l'interesse della ricorrente ad una pronuncia sulla domanda risarcitoria formulata, domanda che, proprio alla luce dell'intervenuto accoglimento dell'istanza di accreditamento, si appalesa come certamente fondata. La ricorrente, infatti, avrebbe dovuto ottenere una pronuncia sulla propria istanza di accreditamento sin da quando detta istanza fu avanzata, vale a dire dal 04.01.2017" (cfr. pag. 3 della memoria del 22 aprile 2024). 10.3. Ciò posto, l'art. 2 bis della legge n. 241 del 1990, al comma 1, recita: "Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento". Ma l'art. 30 del cod. proc. amm. subordina una siffatta azione risarcitoria a particolari termini di decadenza, dettando le seguenti disposizioni. - "Può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, può essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica" (cfr. art. 30, comma 2, cod.proc.amm.); - "La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti" (cfr. art. 30, comma 3, cod.proc.amm.); - "Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere" (cfr. art. 30, comma 4, cod.proc. amm.). 10.4. In base alle suesposte regole la pretesa risarcitoria de qua risulta allora tardivamente proposta, in quanto introdotta quando era ormai spirato il termine di centoventi giorni di cui all'art. 30, comma 3, cod.proc.amm., il quale nel concreto aveva cominciato a decorrere, giusta il seguente comma 4 dell'articolo, dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere. 10.5. Nel pregresso contenzioso relativo al caso di specie questo Tribunale ha già avuto modo di rilevare come fosse "pacifico tra le parti che l'Amministrazione non ha concluso il procedimento, adottando invece meri atti soprassessori ed essendo spirato pacificamente il termine per provvedere in via definitiva ex art. 17 Legge regionale n. 18/2008" (cfr. T.A.R. Molise, sentenza n. 302 del 9 novembre 2020). Ed è proprio dallo spirare del termine per provvedere ex art. 17 della legge regionale n. 18 del 2008 che ha già avuto avvio, a suo tempo, il decorso del termine da osservare per la proposizione della domanda di condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 30, comma 4, cod. proc.amm.. Sul tema del termine per provvedere da rispettarsi nella vicenda occorre però qui un maggior approfondimento. Non guasta allora ricordare che la procedura per l'accreditamento istituzionale delineata dall'art. 17 della citata L.R. n. 18/2008 è la seguente: a) "Le strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, autorizzate ai sensi degli articoli 7 ed 8, che intendono chiedere l'accreditamento istituzionale di cui all'art. 15, inoltrano la relativa domanda alla competente struttura della Regione, secondo le modalità di cui all'art. 16, comma 2, lettera c)" (art. 17 cit., comma 1); b) "L'accreditamento istituzionale è rilasciato dalla Regione alle strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, che ne facciano richiesta, previa verifica positiva, effettuata dal C.R.A.S.S. o dall'organo competente istituito da apposito provvedimento di giunta regionale, circa la rispondenza ai requisiti generali e specifici di cui all'art. 16, comma 1, lettere a), b) e c)" (art. 17 cit., comma 2); c) "In caso di esito negativo della valutazione di cui all'art. 16, comma 1, lettera a), la struttura competente della Regione comunica l'esito alla giunta regionale nel termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda medesima" (cfr. art. 17 cit., comma 3); d) "In caso di esito positivo della valutazione di cui all'art. 16, comma 1, lettera a), il C.R.A.S.S. avvalendosi del G.A.R., o l'organo competente istituito da apposito provvedimento di giunta regionale effettua, nel termine di dodici mesi dal ricevimento della richiesta di cui al comma 1, apposito sopralluogo presso la struttura da accreditare" (cfr. art. 17 cit., comma 4); e) "Qualora nel sopralluogo sia stata rilevata una parziale insussistenza dei requisiti richiesti, sono comunicati al richiedente le prescrizioni ed il termine entro il quale è tenuto ad adeguarvisi. Trascorso detto termine il G.A.R. effettua un ulteriore sopralluogo, da ultimarsi nel termine dei successivi trenta giorni" (cfr. art. 17 cit., comma 5); f) "Entro trenta giorni dalla data in cui si è completato il sopralluogo di cui al comma 4, o l'ulteriore sopralluogo di cui al comma 5, il C.R.A.S.S., o l'organo competente istituito da apposito provvedimento di giunta regionale, comunica alla struttura competente della Regione la propria valutazione tecnica in merito alla richiesta di accreditamento" (cfr. art. 17 cit., comma 6); g) "L'accreditamento è disposto o negato con deliberazione della giunta regionale entro trenta giorni dal ricevimento delle valutazioni di cui al comma 6" (cfr. art. 17 cit., comma 7); h) "L'accreditamento può essere rilasciato anche con prescrizioni. In tal caso il provvedimento stabilisce il termine entro il quale si provvede ad una nuova verifica" (cfr. art. 17 cit., comma 8); i) "I soggetti accreditati, con cadenza triennale, ed almeno sei mesi prima della scadenza del triennio, inviano alla competente struttura della Regione una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà concernente la permanenza del possesso dei requisiti. La domanda di rinnovo dell'accreditamento si intende accolta con la conferma della precedente classificazione qualora entro centottanta giorni dalla presentazione della domanda stessa non venga comunicato all'interessato il provvedimento di diniego o variazione circa la qualità e quantità di prestazioni erogabili, nel rispetto degli indirizzi della programmazione regionale" (cfr. art. 17 cit., comma 9). Ebbene, dalle disposizioni appena richiamate si evince che il termine di conclusione del procedimento di cui si tratta è diverso a seconda dell'esito positivo o negativo delle valutazioni di cui all'art. 16, comma 1, lett. a) della medesima L.R. n. 18/2008, regola la quale dispone a sua volta che: "L'accreditamento viene concesso ai soggetti già in possesso dell'autorizzazione all'esercizio subordinatamente alla sussistenza delle seguenti condizioni: a) coerenza delle funzioni svolte con gli indirizzi della programmazione regionale" (art. 16, comma 1, lett. a, L.R. n. 18/2008). Nel primo caso, ossia quando la citata valutazione sia risultata positiva, il comma 4 dell'art. 17 cit. riconosce il termine di ulteriori dodici mesi per l'espletamento del sopralluogo in loco, l'esito del quale viene indi tempestivamente comunicato alla Struttura regionale competente: dopo di che, "L'accreditamento è disposto o negato con deliberazione della giunta regionale entro trenta giorni dal ricevimento delle valutazioni di cui al comma 6" (cfr. art. 17 cit., comma 7). Nel secondo caso, vale a dire quando la citata valutazione sia risultata invece negativa, "la struttura competente della Regione comunica l'esito alla giunta regionale nel termine di trenta giorni dal ricevimento della domanda medesima" (cfr. art. 17 cit., comma 3), in modo da consentire alla Giunta Regionale di determinarsi conclusivamente sull'istanza entro il termine che, in applicazione analogica dell'art. 17 comma 7 citato, deve essere individuato in ulteriori trenta giorni (del resto la regola generale di cui all'art. 2, comma 2, della legge n. 241 del 1990, dispone che: "Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni"). In conclusione: - se la valutazione più volte detta è positiva, il termine massimo di conclusione del procedimento risulta essere di dodici mesi e sessanta giorni a far data dalla presentazione dell'istanza; - se, di contro, l'esito della citata valutazione risulta essere negativo, il termine di conclusione del procedimento è di complessivi sessanta giorni dalla proposizione della domanda. 10.6. Tornando alla specifica vicenda all'odierno esame del Collegio, la domanda di accreditamento di parte ricorrente è stata proposta in data 4 gennaio 2017 (cfr. all. n. 4 della produzione della difesa erariale dell'11 aprile 2024), mentre il ricorso è stato notificato in data 31 marzo 2021: ossia a distanza di quattro anni e poco meno di tre mesi. Nel caso di specie, non avendo avuto esito positivo le valutazioni di cui al citato art. 16, comma 1, lett. a) della L.R. n. 18/2008, il termine di conclusione del procedimento va individuato, in coerenza con quanto sopra illustrato, nel decorso di sessanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza da parte della struttura interessata (cfr. il citato art. 17, commi 3 e 6 della L.R. n. 18 del 2008). Applicando, quindi, la regola dell'art. 30, comma 4, cod.proc.amm., in base alla quale il termine di centoventi giorni per la proposizione della domanda risarcitoria decorre comunque dopo un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, risulta evidente la tardività della domanda di risarcimento del danno da ritardo nella conclusione del procedimento di accreditamento de quo. Siffatto termine da rispettare era difatti da tempo spirato al tempo della notificazione del ricorso, come già osservato avvenuta a distanza di quattro anni e poco meno di tre mesi dalla data di proposizione dell'istanza: infatti, il termine di centoventi giorni per la proposizione della domanda risarcitoria ha cominciato a decorrere, ai sensi dell'art. 30, comma 4, cod.proc.amm., dopo un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento (da individuare, nei termini dianzi esposti, in sessanta giorni dalla presentazione della domanda di accreditamento). Non resta, allora, al Collegio che rilevare l'irricevibilità per tardività della domanda risarcitoria in esame. 11. Conclusivamente, quindi, previa estromissione della Regione Molise e della R.S. Sa. s.r.l., il ricorso introduttivo va dichiarato: - improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse nella parte in cui ha veicolato la domanda di annullamento; - irricevibile per tardività nella parte in cui ha avanzato la domanda di risarcimento del danno da ritardo ex art. 2 bis della legge n. 241 del 1990. 12. Le spese processuali, sussistendone le eccezionali ragioni di legge, possono essere compensate tra tutte le parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, e una volta estromesse per difetto di legittimazione la Regione Molise e la R.S. Sa. s.r.l. così provvede: - dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso nella parte in cui recante la domanda di annullamento del provvedimento impugnato; - dichiara irricevibile la restante parte del ricorso, veicolante la domanda di risarcimento del danno da ritardo ex art. 2 bis della legge n. 241 del 1990. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari, Referendario Luigi Lalla - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 342 del 2020, proposto dalla società "Ce. di Ch. Am. Oc. Dr. Fr. La." s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro la Regione Molise, il Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Conferenza Permanente Stato Regioni e Province Autonome, il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Molise, il sub Commissario ad acta, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti dell'A.S.Re.M. (Azienda Sanitaria Regionale per il Molise) e della società Ge. Me. s.r.l. unip., entrambe non costituite in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 344 del 2020, proposto dalla società "Istituto Of. Pe." s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro la Regione Molise, il Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Conferenza Permanente Stato Regioni e Province Autonome, il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Molise, il sub Commissario ad acta, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti dell'A.S.Re.M. (Azienda Sanitaria Regionale per il Molise) e della società Ge. Me. s.r.l. unip., entrambe non costituite in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 351 del 2020, proposto dalla Ca. di Cu. "Vi. Es." s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro la Regione Molise, il Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Conferenza Permanente Stato Regioni e Province Autonome, il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Molise, il sub Commissario ad acta, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti dell'A.S.Re.M. (Azienda Sanitaria Regionale per il Molise) e della società Ge. Me. s.r.l. unip., entrambe non costituite in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 353 del 2020, proposto dalla Ca. di Cu. "Vi. Ma." s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro la Regione Molise, il Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Conferenza Permanente Stato Regioni e Province Autonome, il Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della Regione Molise, il sub Commissario ad acta, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti dell'A.S.Re.M. (Azienda Sanitaria Regionale per il Molise) e della società Ge. Me. s.r.l. unip., entrambe non costituite in giudizio; per l'annullamento tutti i ricorsi: - del D.C.A. n. 56 del 30.09.2020, avente ad oggetto la "Definizione dei limiti massimi di finanziamento per le prestazioni sanitarie di assistenza ospedaliera e specialistica ambulatoriale erogate dagli operatori privati accreditati, acquistabili dal Sistema Sanitario Regionale per l'anno 2020"; - del D.C.A. n. 60 dell'8.10.2020, avente ad oggetto "Approvazione dello Schema di contratto per l'acquisto delle strutture private operanti in regime di accreditamento di prestazioni sanitarie di assistenza ospedaliera e specialistica ambulatoriale per l'anno 2020"; - nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o comunque connessi. Visti i ricorsi e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2024 il dott. Luigi Lalla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Vengono all'odierno esame del Collegio alcune delle cause intraprese (sulla base di censure del tutto analoghe) dalle Strutture sanitarie regionali autorizzate e accreditate ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, e contrattualizzate dall'Azienda Sanitaria Regionale del Molise (A.S.RE.M.), contro le determinazioni programmatorie del Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro dal disavanzo finanziario nel settore sanitario della Regione Molise con riferimento all'imposizione dei tetti di spesa per l'acquisto di prestazioni sanitarie sul mercato degli operatori privati per l'anno 2020. 2. Va rammentato che in base agli accordi relativi al triennio 2016-2018, l'A.S.RE.M. ha acquistato dalle strutture sanitarie accreditate in questione delle prestazioni sanitarie per un budget complessivo, ripartito in specifiche voci e correlativi tetti di spesa. La programmazione 2016-2018 si caratterizzava -senza qui entrare nel dettaglio delle previsioni- per la non sottoposizione a un invalicabile tetto di spesa delle prestazioni rese in favore dei pazienti extraregionali, siccome regolate da una clausola (ex artt. 4 e 6) che condizionava però la loro remunerazione all'effettivo conseguimento della relativa compensazione finanziaria in sede interregionale. 3. Alla scadenza del precedente contratto, l'A.S.RE.M. con comunicazione n. 98198 del 24.12.2018, pur con l'avvertimento che il budget complessivo annuale avrebbe potuto subire variazioni- ha provveduto alla proroga della precedente disciplina, autorizzando "in via provvisoria e fino all'adozione dei nuovi provvedimenti di fissazione dei tetti di spesa ed alla stipula degli accordi contrattuali per l'anno 2018, un volume di prestazioni mensili del valore pari ad 1/12 del limite di spesa dei contratti stipulati sulla base dei tetti di spesa indicati con D.C.A. n. 37 del 28/06/2017 e secondo le modalità di erogazione previste per la scorsa annualità ". 4. Nel 2020, tuttavia, il Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Molise, nell'espletamento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, decideva di modificare il descritto assetto regolatorio e negoziale, intraprendendo una politica di revisione degli equilibri contrattuali con l'apposizione di tetti di spesa rigidamente invalicabili. Questa definizione, ora non più superabile, della consistenza delle diverse tipologie di prestazioni in acquisto perseguiva il risanamento economico attraverso la soppressione degli onerosi esborsi "extra budget". Conseguentemente l'A.S.RE.M. ha sostituito al precedente accordo 2016-2018 dei nuovi schemi contrattuali, conformati alla nuova impostazione programmatoria commissariale. Le strutture private accreditate, vedendo di conseguenza contrarsi l'ambito delle loro prestazioni remunerabili, hanno allora impugnato le relative determinazioni regolatorie di volta in volta susseguitesi, agendo in giudizio ai fini della conservazione dello status quo ante. Nel dettaglio, la nuova impostazione regolatoria commissariale è stata attuata mediante: - la previsione di un budget leggermente ridotto e invalicabile; - la sottoposizione, quindi, anche delle prestazioni per l'utenza extraregionale ad un tetto massimo invalicabile; - l'eliminazione dello specifico budget precedentemente previsto per le prestazioni "integrative". 5. Con riguardo alla disciplina da applicare per le prestazioni dell'anno 2019, il Commissario ad acta adottava (ora per allora) il decreto n. 10 del 5.02.2020, avente appunto ad oggetto la "Definizione dei limiti massimi di finanziamento per le prestazioni sanitarie di assistenza ospedaliera e specialistica ambulatoriale erogate dagli operatori privati accreditati, acquistabili dal Sistema Sanitario Regionale per l'anno 2019", unitamente al decreto n. 11 dello stesso giorno, recante "Approvazione dello schema di contratto per l'acquisto dalle strutture private operanti in regime di accreditamento di prestazioni sanitarie di assistenza ospedaliera e specialistica ambulatoriale per l'anno 2019". Tali provvedimenti commissariali, a suo tempo impugnati anche dalle strutture ricorrenti, sono stati annullati dal T.A.R. Molise con le sentenze n. 85 del 2021 (confermata dal Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 4381 del 30 maggio 2022); n. 93 del 2021 (confermata dal Consiglio di Stato, sez. III, con sentenza n. 4377 del 30 maggio 2022) n. 94 del 2021 (confermata in appello con la sentenza n. 4370 del 30 maggio 2022); n. 95 del 2021 (confermata in appello con sentenza n. 4375 del 30 maggio 2022). L'annullamento dei decreti commissariali nn. 10 e 11 del 5.02.2020 è dipeso principalmente dalla carente istruttoria e dalla tardività dell'avvento della nuova disciplina dei tetti di spesa, introdotti ad esercizio 2019 ormai chiuso e pertanto in via completamente retroattiva. 6. Per le prestazioni sanitarie del successivo anno 2020 sono stati assunti dei decreti commissariali dai contenuti analoghi a quelli dei decreti nn. 10 e 11/2020, e segnatamente il n. 56 del 30.9.2020 e il n. 60 del 8.10.2020, anch'essi impugnati dalle odierne ricorrenti, che hanno proposto i relativi nuovi gravami sulla base dei seguenti motivi di ricorso: I- "VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA LEGGE 241/90: PER MANCATA PARTECIPAZIONE DELLA RICORRENTE AL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO"; II- "ILLEGITTIMITA' DEGLI ATTI IMPUGNATI PER ECCESSO DI POTERE CARENZA DI ISTRUTTORIA, ERRONEITA' DEI PRESUPPOSTI, CARENZA DI MOTIVAZIONE. CONTRADDITTORIETA' RISPETTO A PRECEDENTI MANIFESTAZIONI DI VOLONTA' RESE DALLA STESSA P.A. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ACCORDO CONTRATTUALE DI BUDGET. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 8 QUINQUIES DEL D.LGS. 502/92. VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI AFFIDAMENTO, DI BUONA FEDE E DI LEALTA' NEI RAPPORTI TRA PRIVATI E P.A., DEL PRINCIPIO DI CERTEZZA DEI RAPPORTI GIURIDICI, DI BUON ANDAMENTO DELL'AZIONE AMMINISTRATIVA CHE IMPLICA L'IMPARZIALITÀ, LA PROPORZIONALITÀ E LA RAGIONEVOLEZZA E LA PIANIFICAZIONE PREVENTIVA DELLA SPESA SANITARIA. L'ILLEGITTIMITÀ DEGLI ATTI IMPUGNATI PER LA PORTATA RETROATTIVA"; III- "ILLEGITTIMITA' DEGLI ATTI IMPUGNATI PER ECCESSO DI POTERE PER CARENA DI ISTRUTTORIA, ERRONEITA' DEI PRESUPOPSTI, ILLOGICITA', IRRAGIONEVOLEZZA. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 8-QUATER DEL D.LGS. 502/1992"; IV- "ILLEGITTIMITA' DEGLI ATTI IMPUGNATI PER ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA', IRRAGIONEVOLZZA IN RAGIONE DI QUANTO STABILITO DAGLI STRUMENTI DI PROGRAMMAZIONE REGIONALE". 7. Nella sostanza, le ricorrenti si sono dolute del fatto che la Struttura commissariale, trascurando l'effettivo fabbisogno sanitario e la relativa domanda storica, abbia: - violato i diritti partecipativi degli operatori interessati, nonché il loro affidamento; - assegnato un budget complessivamente ridotto, nonostante si trattasse del periodo relativo all'emergenza pandemica da Covid-19; - modificato l'assetto negoziale rispetto al 2018 introducendo un limite di spesa invalicabile per le prestazioni erogate in favore di pazienti extra regionali, con la conseguente indebita locupletazione da parte della Regione Molise (che ne avrebbe tratto comunque un utile, continuando a riportare in sede di compensazione interregionale le voci di costo sostenute per le cure dei pazienti di altre Regioni somministrate al di là del tetto di spesa fissato, pur senza riconoscerne la remunerazione alle strutture sanitarie erogatrici); - in alcuni casi, mancato di riproporre alcune specifiche voci di budget per "prestazioni integrative". 7.1. Le istanze di sospensiva contestualmente proposte dalle ricorrenti sono state respinte da questo Tribunale con le ordinanze cautelari adottate nei rispettivi giudizi (in particolare, le ordinanze nn. 16, 17, 18 e 25 del 16.01.2021). 8. Le Amministrazioni intimate, costituitesi in giudizio in resistenza alle impugnative, dopo aver sollevato svariate eccezioni di inammissibilità ne hanno dedotto anche l'infondatezza nel merito. 9. Le varie parti costituite hanno depositato nel prosieguo plurime e articolate memorie, insieme a cospicue produzioni documentali. In particolare l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, con la produzione in giudizio del 7.03.2024, ha depositato le copie dei contratti di budget per l'anno 2020 sottoscritti individualmente da ciascuna ricorrente, con i quali le stesse avrebbero accettato anche la clausola di salvaguardia di cui all'art. 12 delle singole convenzioni, implicante tuttavia la rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese avverso i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili. Se ne è così dedotta l'improcedibilità del gravame per tutti i rispettivi giudizi. Da ultimo, le ricorrenti hanno avanzato un'istanza di rinvio della trattazione delle cause prevista per l'udienza pubblica del 24.04.2024, motivata con l'esigenza di attendere l'esito dei giudizi di appello proposti innanzi al Consiglio di Stato con riguardo alle sentenze emesse da questo T.A.R. nel 2023 sui ricorsi impugnatori dei D.C.A. di imposizione dei tetti di spesa per la successiva annualità del 2021 (decreti di contenuto sostanzialmente ana a quelli all'odierno esame del Collegio). 10. Le argomentate posizioni delle parti sono state da ultimo precisate in vista dell'udienza pubblica del 24 aprile 2024, al cui esito, dopo la discussione, la causa è passata in decisione. 11. Il Collegio, in via preliminare, confermata l'insussistenza di ragioni idonee a giustificare la concessione dell'invocato rinvio delle cause in esame poiché questo è subordinato, dal comma 1 bis dell'art. 73 cod.proc.amm., all'esistenza di "casi eccezionali", nella fattispecie chiaramente non configurabili, ritiene opportuno disporre la riunione dei ricorsi ai sensi dell'art. 70 cod.proc.amm., ravvisandone i presupposti di connessione oggettiva in quanto tali gravami investono i medesimi atti e pongono le medesime questioni di diritto. 12. Tutti i ricorsi sono improcedibili per la sopravvenuta acquiescenza prestata dalle ricorrenti in corso di giudizio agli atti impugnati. 12.1. Difatti, le strutture ricorrenti hanno manifestato la propria acquiescenza in occasione della sottoscrizione dei rispettivi contratti di budget per l'anno 2020, tutti recanti, all'art. 12, apposite "clausole di salvaguardia" implicanti un'accettazione espressa degli atti amministrativi in questa sede gravati, con annessa rinuncia alle azioni giurisdizionali già intraprese avverso gli stessi. 12.2. In particolare, dalla produzione della difesa erariale del 7.03.2024 si desume che: a) per il Ce. di Ch. Am. Oc. Dr. Fr. La., il legale rappresentante p.t. risulta avere sottoscritto il contratto per gli acquisti relativi al 2020 in data 9.05.2022 (cfr. "All.1-ct1761-2020ContrattoLAURELLI.pdf" allegato nel giudizio n. r.g. 342/2020); b) per l'Istituto Of. Pe. s.r.l., il legale rappresentante p.t. risulta avere sottoscritto il contratto per gli acquisti relativi al 2020 in data 19.05.2022 (cfr. "All.1-ct1764-2020CONTRATTOISTITUTOOFTALICOPENTRO." allegato nel giudizio n. r.g. 344/2020); c) per la Ca. di Cu. "Vi. Es." s.r.l., il legale rappresentante p.t. risulta avere sottoscritto il contratto per gli acquisti relativi al 2020 in data 25.10.2023 (cfr. "All.1-ct1784-2020ContrattoVi..pdf" allegato nel giudizio n. r.g. 351/2020; d) per la Ca. di Cu. "Vi. Ma." s.r.l., il legale rappresentante p.t. risulta avere sottoscritto il contratto per gli acquisti relativi al 2020 in data 30.05.2023 (cfr. "All.1-ct1762-2020ContrattoVI..pdf" allegato nel giudizio n. r.g. 353/2020). 12.3. La menzionata clausola di salvaguardia presente nei relativi contratti ha il seguente tenore: "1. Con la sottoscrizione del presente contratto la struttura accetta espressamente, completamente ed incondizionatamente il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, di determinazione delle tariffe e ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto, modificativo o integrativo, anche qualora intervenuto successivamente alla sottoscrizione del presente in quanto atti che determinano il contenuto del contratto. 2. In considerazione dell'accettazione dei provvedimenti indicati sub comma 1 (ossia i provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, delle tariffe ed ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto) con la sottoscrizione del presente contratto, la struttura privata rinuncia alle azioni e impugnazioni già intraprese avverso i predetti provvedimenti ovvero ai contenziosi instaurabili contro i provvedimenti già adottati e conoscibili. 3. In caso di emanazione di norme legislative incidenti sul contenuto del contratto stipulato, lo stesso deve ritenersi automaticamente modificato ed integrato. fatti salvi gli effetti prodotti" (così l'art. 12 dei contratti sottoscritti medio tempore). 12.4. Di conseguenza le strutture sanitarie ricorrenti, sottoscrivendo i relativi contratti, hanno incondizionatamente accettato, ai sensi della "clausola di salvaguardia" ivi prevista, il contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa e delle tariffe, nonché di ogni altro atto agli stessi collegato o presupposto, in quanto atti che definiscono la disciplina del contratto, addivenendo anche a contestuale rinuncia alle "azioni e impugnazioni già intraprese" avverso gli atti medesimi. 12.5. Ora, le impugnative in esame, come, naturalmente, i D.C.A. così impugnati, sono precedenti alla sottoscrizione da parte delle ricorrenti dei rispettivi contratti per l'acquisto delle prestazioni relative al 2020. Ne consegue che l'accettazione da parte dei privati delle relative condizioni -tra cui, in particolare, quella riflettente la clausola di salvaguardia- non può non determinare l'improcedibilità dei loro precedenti gravami per intervenuta acquiescenza, rientrando in pieno tale vicenda nella fattispecie della rinuncia alle azioni già intraprese di cui all'art. 12, comma 2, dei nuovi testi contrattuali. Difatti, il contratto di budget sottoscritto dalle ricorrenti nelle more processuali è la fedele riproduzione dello schema approvato con il D.C.A. n. 60 del 2020, e i contenuti contrattuali sono univocamente riferibili alle determinazioni di cui al D.C.A. n. 56 del 2020 parimenti qui citato in epigrafe, decreto peraltro richiamato nelle stesse premesse contrattuali formanti - ai sensi dell'art. 1 dei contratti- "parte integrante e sostanziale" dei contratti medesimi. Del resto, in base all'incipit dell'art. 4, comma 1, "il Committente... acquista dall'Erogatore le prestazioni descritte nella tabella riportata all'art. 2 del presente schema che con l'applicazione delle tariffe vigenti, al momento della sottoscrizione del presente contratto, (cioè quelle stabilite con decorrenza 1° gennaio 2020 dal D.C.A. n. 56/2020 gravato), richiamate in premessa...determinano il valore del contratto (budget)". Da questi richiami si desume, dunque, che i decreti commissariali impugnati, e particolarmente quello n. 56/2020, hanno costituito un presupposto fondamentale dei menzionati contratti, in quanto hanno contribuito a definire un loro elemento essenziale, quello del valore/corrispettivo delle prestazioni che venivano contrattualmente acquistate dall'A.S.Re.M.. 12.6. Su queste basi, deve allora ritenersi che la controversia oggi all'esame rientri senz'altro nell'ambito di applicazione delle previsioni delle clausole di salvaguardia dell'art. 12 dei contratti di budget, in quanto le odierne impugnative ricadono appieno nel novero delle impugnazioni "già intraprese" (cfr. il comma 2 di tale articolo) avverso il "contenuto e gli effetti dei provvedimenti di determinazione dei tetti di spesa, di determinazione delle tariffe...che determinano il contenuto del contratto" (cfr. comma 1). Impugnazioni che hanno così formato oggetto, pertanto, di rinuncia contrattuale espressa, integrale e incondizionata. 13. Le conclusioni derivanti dall'interpretazione logico-letterale delle riferite previsioni contrattuali sono corroborate dalla loro interpretazione funzionale, dal momento che le clausole di salvaguardia sono funzionalizzate proprio ad arginare il proliferare dei contenziosi e porre termine a quelli già insorti. In definitiva, nella fattispecie in scrutinio viene in rilievo lo schema tipico dell'acquiescenza, in quanto le strutture ricorrenti, con la sottoscrizione dei rispettivi contratti, e l'approvazione specifica anche del loro art. 12, compiuta ai sensi degli artt. 1341 e 1342 del cod.civ., hanno mostrato in maniera inequivocabile, attraverso manifestazioni espresse, la loro intenzione di rinunciare, sul piano sostanziale, alla posizione giuridica (asseritamente) lesa dal provvedimento, e, sul piano processuale, al loro correlativo diritto a ricorrere. 13.1. La legittimità generale delle clausole di salvaguardia è, del resto, riconosciuta da un costante insegnamento giurisprudenziale (cfr. ex plurimis Cons. St., III, nn. 7479/2019, 2075/2019, 787/2019, 5039/2018; 4936/2018, n. 138/2018). E' stato, invero, condivisibilmente evidenziato che gli operatori privati - in quanto impegnati, insieme alle strutture pubbliche, a garantire l'essenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute - non possono considerarsi estranei ai vincoli oggettivi e agli stati di necessità propri del piano di rientro, al cui rispetto la Regione è obbligata. Chi intenda operare nell'ambito della sanità pubblica deve difatti accettare i limiti cui la stessa è astretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore, quale i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. In alternativa, agli operatori resta pur sempre, come già anticipato, la scelta di agire quali privati nel privato (cfr. ex multis Cons. St., III, n. 3744/2022; id., III, n. 8879/2019). La legittimità delle clausole di salvaguardia è stata più volte riconosciuta anche sotto il profilo che dette pattuizioni sono essenzialmente funzionali alla tutela stessa del diritto alla salute quale bene superiore costituzionalmente garantito, e, per converso, nient'affatto foriere di una indebita compressione del diritto di agire in giudizio dell'operatore privato, il quale ben può valutare il proprio interesse a coltivare il contenzioso in atto e, quindi, a non sottoscrivere il contratto munito della clausola in discussione; fermo restando, infine, che, anche sottoscrivendo la clausola, il privato manterrebbe intatto il proprio diritto d'azione in giudizio, costituzionalmente garantito, in relazione alle sopravvenienze (cfr. ex multis Cons. St., II, n. 8676/2021; id. III, n. 6662/2019; III, 10 maggio 2023, n. 4715). La manifestazione di volontà abdicativa che si esprime nell'adesione al contratto che contempli le clausole in questione costituisce, quindi, il frutto di una valutazione di convenienza della parte privata che, sebbene di fatto non integralmente "libera", non si presenta però certo connotata da profili di condizionamento trasmodanti i fisiologici limiti che si manifestano anche nei rapporti tra privati (dotati, eventualmente, di non identica forza contrattuale) (cfr. Cons. St., III, n. 8318/2019). D'altra parte, le clausole di salvaguardia possono essere reputate meramente ricognitive dell'effetto preclusivo/rinunciatorio dell'iniziativa impugnatoria che normalmente si produce, per generale opinione giurisprudenziale, nei casi in cui il soggetto pregiudicato da un dato provvedimento ponga in essere atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, che dimostrino la sua chiara e incondizionata volontà di accettarne comunque gli effetti e l'operatività (cfr. ex multis Cons. St., III, n. 8318/2019; id., nn. 6279/2021, 5529/2020, 2075/2019, 5039/2018, 4936/2018, 3617/2017). Non vi è dubbio, infatti, che l'assenso alla stipulazione di un accordo - che, come nella specie, assuma a suo inequivocabile presupposto un provvedimento ipoteticamente lesivo - si atteggi quale comportamento univocamente indicativo della volontà del privato stipulante di accettarne gli effetti, tanto da acquisire i diritti ed assumere gli obblighi, in maniera ugualmente volontaria, che si riconnettono e sono funzionali all'esecuzione della prestazione alle condizioni economiche predeterminate dall'Amministrazione nell'esercizio del suo potere programmatorio in materia sanitaria (cfr. Cons. St., III, n. 4157/2022). In tutti questi casi viene in rilievo un prevalente interesse pubblico, munito di valore costituzionale, che si riporta al valore del pur difficile equilibrio tra la preservazione del diritto alla salute, nel suo nucleo irriducibile, e le esigenze di contenimento della spesa nel settore della sanità pubblica in una fase sfavorevole del ciclo economico (art. 81 Cost., come sostituito dalla l. cost. n. 1/2012). La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha peraltro riconosciuto che il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale può ben essere limitato in presenza di un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente sul principio di cui all'art. 24 Cost. (cfr. C. Cost. n. 238/2014), quali quelli del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, e, in un periodo di stringenti restrizioni finanziarie, del controllo della spesa sanitaria, che costituisce una condicio sine qua non al fine di garantire la tutela dell'essenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute alla popolazione. 13.2. Inoltre, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente qualificato come "legittimo (...) l'inserimento nei contratti di clausole che contemplino l'accettazione incondizionata dei tetti di spesa fissati e delle tariffe, nonché la relativa rinuncia alle azioni, dovendosi necessariamente evitare che il rispetto dei vincoli finanziari, attuato con la sottoscrizione di accordi compatibili con le risorse disponibili, rimanga esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti" (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, sentenze n. 518 del 7 marzo 2019 e n. 440 del 6 marzo 2020; Consiglio di Stato, Sez. III, sentenze nn. 3617 del 21 luglio 2017 e n. 836 del 22 febbraio 2017). E anche il Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che, in ipotesi analoghe a quella in esame, viene in rilievo lo schema tipico dell'acquiescenza, in quanto il soggetto privato aderente in maniera inequivocabile, attraverso manifestazioni espresse, manifesta così la sua intenzione di rinunciare, sul piano sostanziale, alla posizione giuridica (asseritamente) lesa dal provvedimento, rinunciando altresì, sul piano processuale, al proprio diritto a ricorrere (Consiglio di Stato, Sez. III, 10 maggio 2023, n. 4715). Né, secondo la giurisprudenza amministrativa, può essere negata l'esistenza, in una Regione sottoposta a Piano di Rientro, di un interesse pubblico prevalente a prevedere, nella contrattazione con gli operatori privati, una tale tipologia di clausola, che risponde alla duplice finalità di garantire il necessario contenimento della spesa sanitaria nelle Regioni che presentino un deficit economico -finanziario, e di evitare che il rispetto dei vincoli finanziari, attuato con la sottoscrizione di accordi contrattuali compatibili con le risorse regionali disponibili, possa essere esposto a iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti dalla Regione. D'altra parte, "chi intende operare nell'ambito della sanità pubblica deve pur accettare i limiti in cui la stessa sanità pubblica è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, persino in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore rango quali i livelli essenziali relativi al diritto alla salute. Le strutture private, che operano e cooperano in regime di accreditamento all'erogazione del servizio sanitario, non possono ignorare questa fondamentale esigenza pubblica, di preminente valore costituzionale perché implicante un difficile equilibrio tra la preservazione del diritto alla salute (art. 32 Cost.), nel suo nucleo irriducibile, e le esigenze di contenimento della spesa nel settore della sanità pubblica in una fase sfavorevole del ciclo economico (art. 81 Cost., come sostituito dalla l. cost. n. 1 del 2012). Tale esigenza pubblica è sottesa alla previsione sia di stringenti tetti di spesa che, parimenti, delle clausole di salvaguardia con le quali le Regioni sottoposte a piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario tendono a favorire - non già ad imporre - la rinuncia ai relativi contenziosi da parte delle strutture accreditate" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 21 luglio 2017, n. 3617; si veda anche, più di recente, Sez. III, 24 settembre 2020 n. 5559). La parte pubblica, infatti, in difetto di una valida e incondizionata accettazione della clausola di salvaguardia non avrebbe interesse alla conclusione del singolo contratto, non potendo essa programmare efficacemente la spesa sanitaria nella permanenza e continuo rischio di contestazioni giudiziali sui tetti di spesa. 13.3. Né può condividersi l'assunto, proposto in udienza dalle ricorrenti, secondo il quale la "clausola di salvaguardia" non si applicherebbe al caso di specie. Nel contratto da loro firmato era chiaramente indicato il budget assegnato a ciascuna struttura: sicché le medesime, se l'avessero ritenuto non congruo o comunque non coerente, avrebbero potuto non sottoscrivere il contratto, ed eventualmente far valere in giudizio le proprie ragioni. Invece, acconsentendo alla stipulazione del contratto ne hanno accettato gli effetti (anche ove per qualche aspetto eventualmente pregiudizievoli). Conseguentemente, le ricorrenti non possono, una volta accettati gli effetti della quantificazione del budget di loro pertinenza, pretendere di poter nondimeno proseguire l'impugnativa di atti che ne costituivano il presupposto e definivano il contenuto. Ammettere una simile possibilità significherebbe rimettere in discussione, per altra via, lo stesso budget che si è dichiarato di voler accettare, frustrando integralmente gli effetti giuridici della clausola di salvaguardia e svuotandola di ogni utilità . Né, del resto, rileverebbero eventuali riserve apposte all'atto della sottoscrizione del contratto (nel caso di specie, peraltro, non risultanti): in proposito, il Consiglio di Stato ha chiarito che la formulazione, da parte delle strutture sanitarie, di dichiarazioni di riserva con le quali si afferma di sottoscrivere i contratti al solo scopo di non incorrere nella sospensione del rapporto di accreditamento, ma riservandosi tuttavia ogni più ampia tutela, se non contemplata nello stesso modello contrattuale, non è idonea a impedire la formazione dell'accordo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 10 maggio 2023, n. 4715). 13.4. Non è superfluo ribadire, infine, su di un piano generale, che la clausola di salvaguardia non influisce negativamente sulla libera formazione della volontà negoziale delle strutture sanitarie, in quanto queste ultime possono liberamente optare per l'accettazione delle condizioni contrattuali che la contemplano o per la rinuncia alla stipulazione. A tale stregua, le valutazioni che le strutture sanitarie sono chiamate a fare non differiscono dalle valutazioni di convenienza che ciascun contraente compie per decidere se sottoscrivere o meno pressoché qualunque accordo negoziale (cfr. in tal senso ex multis Cons. St., III, n. 3744/2022; T.A.R. Molise, sentenza n. 141 del 2.05.2023). Ben si può quindi dire che l'adesione volontaria delle strutture ricorrenti agli accordi di budget, alla cui stipula esse non erano affatto costrette, ha suggellato la priorità dell'esigenza di contenimento della spesa pubblica, funzionale alla continuità dell'erogazione delle prestazioni sanitarie. Le strutture ricorrenti, infatti, qualora avessero ritenuto insostenibili i tetti di spesa stabiliti con i D.C.A. impugnati, avrebbero potuto allora ben scegliere di operare in regime di libera concorrenza, accettando il rischio d'impresa connesso alle normali dinamiche competitive del mercato, in luogo di optare per un regime protetto da riserva e sostenuta dal finanziamento pubblico. 14. In conclusione, i ricorsi vanno dunque ritenuti improcedibili a motivo della ricomprensione della controversia in esame entro l'ambito applicativo della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 12 dei contratti di budget per il 2020, per avere le strutture ricorrenti oggettivamente manifestato, con la sottoscrizione in corso di giudizio di tali contratti, la loro intenzione di rinunciare, sul piano sostanziale, alla posizione giuridica (potenzialmente) incisa dai provvedimenti in questa sede già impugnati, e, sul piano processuale, al loro relativo diritto a ricorrere. 15. La radice pattizia e la natura sopravvenuta della causa che impone la definizione in rito della controversia giustifica, infine, l'integrale compensazione delle spese di lite inter partes. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li dichiara, previa loro riunione, tutti improcedibili. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari - Referendario Luigi Lalla - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 191 del 2020, proposto dal Consiglio Regionale dell'Ordine degli Psicologi del Molise, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Ia., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; contro l'Azienda Sanitaria della Regione Molise -A.S.Re.M., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registro di Giustizia; per l'annullamento - della Deliberazione n. 206 del 5.05.2020, con la quale il Direttore Generale dell'A.S.Re.M. ha indetto una procedura comparativa per il conferimento di incarichi ai sensi dell'art. 15-octies del D.Lgs. n. 502 del 30/12/1992 e ss.mm.ii.; - dell'allegato avviso pubblico, pubblicato sul BURM n. 49 del 20.05.2020, avente ad oggetto "avviso pubblico per soli titoli per il conferimento di incarichi -ai sensi dell'art. 15-octies d.lgs. 502/92 s.m.i.- finalizzati alla realizzazione del progetto promozione salute mentale nelle scuole superiori di primo grado - DCA 97/2019", nella parte in cui ha limitato la partecipazione dei propri iscritti in relazione al profilo di psico; - nonché di ogni atto preparatorio, presupposto, inerente, conseguente e/o comunque connesso lesivo della posizione dell'Ordine ricorrente e dei suoi iscritti. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Azienda Sanitaria Regione Molise; Vista la dichiarazione del 16.01.2024, con la quale parte ricorrente ha dichiarato di non aver più interesse al ricorso; Visti gli artt. 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2024 il dott. Luigi Lalla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con la Deliberazione n. 206 del 5.05.2020 il Direttore Generale dell'A.S.Re.M. ha approvato e pubblicato un avviso pubblico per soli titoli per il conferimento di incarichi ai sensi dell'art. 15-octies D.Lgs. n. 502 del 1992, per la realizzazione del progetto di cui al D.C.A. n. 97/2019 relativo alla "promozione salute mentale nelle scuole superiori di primo grado". 2. Sennonché, nell'avviso pubblico, con riferimento al profilo di psico, tra i requisiti specifici di ammissione alla procedura è stato prescritto anche quello del "possesso di Esperienza documentata in programmi di promozione della salute mentale nelle scuole in accordo con le raccomandazioni del Ministero della Salute e/o dell'Istituto Superiore della Sanità, basati sui seguenti Manuali di lavoro scaricabili gratuitamente on line dai seguenti link: e1) http://old.iss.it/binary/publ/cont/dispensa_scuola_15_1.pdf; e2) http://www.ccm-network.it/documenti_Ccm/prg_area5/2005 manualescuola-depressione" (requisito delineato al n. 6 dell'elenco dei requisiti generali e specifici previsti dall'avviso pubblico, dopo il punto "idoneità fisica all'impiego"). 3. Contro tale avviso pubblico, il Consiglio dell'Ordine degli Psicologi del Molise ha proposto allora la presente impugnazione, affidata ai seguenti motivi di ricorso: I- "PRELIMINARMENTE: SULLA LEGITTIMAZIONE ATTIVA DEGLI ORDINI PROFESSIONALI"; II- "VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE ARTT. 2 E 3 L. 56/1989 E 1, 2 E 6 D.M. 24/07/2006, NONCHÉ ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO NELLE FIGURE SINTOMATICHE DELL'IRRAGIONEVOLEZZA, DISPARITÀ DI TRATTAMENTO, ILLOGICITÀ, CONTRADDITTORIETÀ, ARBITRARIETÀ, INSUFFICIENZA DI MOTIVAZIONE E PERPLESSITÀ MANIFESTA.ILLOGICITÀ E MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA DEL BANDO. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEI PRINCIPI DI FAVOR PARTECIPATIONIS, MASSIMA PARTECIPAZIONE ALLE PROCEDURE DI SELEZIONE O CONCORSO, TRASPARENZA"; III- "SULLA ILLEGITTIMITÀ DEI REQUISITI SPECIFICI PREVISTI DALL'AVVISO. ILLOGICITÀ E MANIFESTA IRRAGIONEVOLEZZA DEL BANDO. ECCESSO DI POTERE SOTTO DIVERSI PROFLI"; IV- "ILLEGITTIMITÀ DELLE PREVISIONE DEL BANDO INERENTE LA POSSIBILITÀ DI ATTINGERE DALLA GRADUATORIA PER DUE ANNI E CON RIFERIMENTO AD ALTRE LINEE PROGETTUALI PER IL CONFERIMENTO DI INCARICHI". In estrema sintesi il Consiglio dell'Ordine degli Psicologi, premessa la propria legittimazione al ricorso, ha contestato i criteri di accesso alla selezione nella misura in cui essi avrebbero irrimediabilmente limitato, senza alcuna giustificata motivazione, la possibilità degli iscritti di partecipare alla procedura selettiva di cui si discute. Il provvedimento sarebbe stato altresì illegittimo nella parte in cui prevedeva che la relativa graduatoria avrebbe avuto durata biennale, con l'espressa finalità di attingervi professionisti ove l'Amministrazione avesse inteso attivare ulteriori progetti similari. 4. In resistenza al ricorso si è costituita l'A.S.Re.M., la quale ha eccepito: - il difetto di legittimazione al gravame da parte del Consiglio Regionale dell'Ordine degli Psicologi del Molise, in tesi non legittimato all'impugnazione dei requisiti di ammissione ai concorsi; - il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, venendo in rilievo una selezione per il conferimento di semplici incarichi professionali a termine, e non la costituzione di rapporti di pubblico impiego contrattualizzato; - l'infondatezza nel merito dei motivi di ricorso, trattandosi di selezione per lo specifico reclutamento di n. 2 psicologi da adibire ad una particolare linea progettuale, rispetto alla quale il requisito richiesto, e contestato dalla ricorrente, sarebbe stato del tutto congruo, se non proprio necessitato. 5. La domanda di sospensione interinale degli effetti del provvedimento impugnato è stata rigettata da questo Tribunale con l'ordinanza cautelare n. 191 del 10.09.2020 sulla seguente motivazione: "Rilevato che il ricorso, ad un primo esame proprio di questa fase, non appare dotato dei prescritti requisiti di fumus, atteso che il requisito di ammissione previsto dal bando oggetto della presente contestazione (l'aver già svolto progetti in cui sono stati utilizzati specifici manuali di lavoro raccomandati dal Ministero della Salute e dall'Istituto Superiore della Sanità ), non appare incoerente rispetto all'incarico da conferire, tenuto conto altresì che rientra nella discrezionalità amministrativa individuare i requisiti ritenuti necessari per lo svolgimento di specifici progetti". 6. La parte ricorrente, infine, con la dichiarazione del 17.01.2024 ha da ultimo dedotto la propria sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, "stante la cessazione di validità della graduatoria impugnata" (cfr. la dichiarazione depositata agli atti del giudizio il 17.01.2024), producendo contestualmente la dichiarazione personale in tale senso del Presidente pro tempore del Consiglio dell'Ordine degli Psicologi del Molise. 7. Con la memoria di replica del 30.01.2024 la difesa dell'A.S.Re.M., "preso atto della rinuncia agli atti del giudizio del ricorrente" (cfr. la memoria di replica citata), ha però insistito per la liquidazione in proprio favore delle spese del giudizio. 8. All'udienza pubblica del 21.02.2024, udita la parte ricorrente ribadire la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, e la difesa dell'A.S.Re.M. insistere per il favore delle spese, la causa è stata infine trattenuta in decisione. 9. Il ricorso, per quanto ammissibile, va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. 9.1. In via preliminare il Collegio rileva che l'eccezione di difetto di giurisdizione della resistente va respinta, dovendosi riconoscere natura concorsuale alla procedura di selezione in questione. Deve quindi trovare applicazione il disposto di cui all'articolo 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001 che devolve espressamente alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Come già rilevato da questo Tribunale in casi analoghi (cfr. T.A.R. Molise, 18 maggio 2020 n. 143; 8 febbraio 2019 n. 47; 9 ottobre 2019 n. 455): "nella nozione di 'assunzione di dipendenti pubblicà, come elaborata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (in particolare, da C.d.S., Sez. IV, n. 1176 del 15 marzo 2017; idem n. 1549 del 2017; idem n. 2426 del 2016), di cui all'art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, debbono ritenersi incluse non soltanto le procedure concorsuali volte all'assunzione di lavoratori subordinati, ma anche quelle aventi specificamente a oggetto il conferimento di incarichi ex art. 7, comma 6, del medesimo d.lgs. n. 165/2001, o di incarichi similari, assegnati a esperti qualificati mediante contratti di lavoro parasubordinato o autonomo, di natura occasionale, o coordinata e continuativa, per far fronte alle medesime esigenze cui ordinariamente sono preordinati i lavoratori subordinati della pubblica Amministrazione. La giurisdizione amministrativa, infatti, va affermata ogni qualvolta la controversia riguardi una procedura concorsuale o selettiva indetta da un'Amministrazione pubblica per la scelta e il reclutamento di qualificati collaboratori, quale che sia la tipologia dell'instaurando rapporto lavorativo, a condizione che si svolga una procedura comparativa e sia redatta infine una graduatoria di merito. Il requisito della concorsualità, quindi, sussiste in forza della natura comparativa della selezione, anche in considerazione del fatto che la valutazione dei titoli e la relativa attribuzione di punteggi ai concorrenti - come nel caso di specie - avvengono sulla base di un apprezzamento discrezionale della commissione selettiva, apprezzamento che consente di qualificare la posizione soggettiva di cui si chiede la tutela non come diritto ma come interesse legittimo (cfr.: T.a.r. Friuli Venezia Giulia, 13 settembre 2018, n. 287)". D'altra parte, l'attinenza dell'incarico alle esigenze proprie della Regione e la procedimentalizzazione della fase di individuazione del soggetto incaricato, mediante l'espletamento di una procedura selettiva di tipo comparativo, costituiscono chiari indici della manifestazione del potere organizzatorio dell'Amministrazione: sicché la giurisdizione del G.A., anche indipendentemente dal disposto dell'art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165/2001, troverebbe comunque base nel generale criterio di riparto della giurisdizione impostato sulla differenziazione tra interessi legittimi (nella specie fatti valere) e diritti soggettivi. Alla luce di quanto esposto va pertanto riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia. 9.2. Va respinta, altresì, l'eccezione di inammissibilità per difetto di legittimazione attiva al ricorso, ben potendo il Consiglio dell'Ordine ricorrente reputarsi legittimato all'impugnazione di un atto di avvio di una procedura selettiva di natura concorsuale recante requisiti di ammissione limitativi della più ampia partecipazione degli iscritti al relativo ordine professionale. D'altra parte, gli ordini professionali hanno, per consolidata giurisprudenza, legittimazione a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria di soggetti di cui abbiano la rappresentanza istituzionale ove sia in questione la violazione di norme poste a tutela della professione stessa, o allorché si tratti comunque di conseguire determinati vantaggi - sia pure di carattere strumentale - giuridicamente riferibili all'intera categoria degli iscritti. 10. Il ricorso, ancorché ammissibile, è però effettivamente improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse. 10.1. La parte ricorrente ha rappresentato, difatti, di non avere più interesse alla sua decisione: onde al Collegio non resta che definire il giudizio con la pertinente pronuncia in rito. Sino al momento in cui la causa è trattenuta per la decisione, invero, il ricorrente ha la piena disponibilità dell'azione, e, quindi, può rinunciare al ricorso, o, comunque, può dichiarare di avere perduto ogni interesse alla decisione, con la conseguenza che in tal caso il Giudice amministrativo, non avendo il potere di procedere d'ufficio, né quello di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell'interesse ad agire, è tenuto, in ossequio al principio dispositivo, alla declaratoria dell'improcedibilità del ricorso (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 settembre 2016, n. 3848, T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VIII, n. 3066 del 7 maggio 2021). Conclusivamente, quindi, il ricorso va dichiarato improcedibile. 11. Siffatta declaratoria in rito non preclude tuttavia al Collegio una sommaria delibazione del merito della pretesa azionata al limitato fine della pronuncia sulle spese secondo il criterio della cd. soccombenza virtuale (cfr., tra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2018, n. 400; id. sez. IV, 6 febbraio 2017, n. 492; id. sez. V, 17 maggio 2013, n. 2684; id. sez. III, 7 gennaio 2013, n. 15). Ebbene, il Collegio ritiene che la sicura infondatezza nel merito del gravame giustifichi l'imputazione delle spese di lite a carico del ricorrente. 11.1. Come ben osservato dall'Amministrazione nelle proprie difese, e già rilevato da questo Tribunale in sede cautelare, il requisito di ammissione previsto dal bando oggetto della presente contestazione non appare invero affatto incoerente rispetto all'incarico da conferire. Si trattava infatti di documentare di aver maturato una precedente specifica esperienza, consistente nell'aver già preso parte a programmi specifici di promozione della salute mentale nelle scuole, segnatamente coerenti con una certa metodologia di lavoro, conforme alle raccomandazioni del Ministero della Salute e dell'Istituto Superiore della Sanità e identificata attraverso il riferimento a particolari manuali di lavoro. Tenuto conto, allora, che rientra pur sempre nella discrezionalità amministrativa individuare i requisiti ritenuti necessari per lo svolgimento di specifici progetti, le doglianze avanzate con la presente impugnativa non risultano fondate, in quanto omettono di farsi carico della specificità dell'incarico posto a bando, che l'Amministrazione ha inteso conferire non genericamente agli psicologi, ma agli psicologi che avessero maturato una particolare pregressa esperienza nell'espletamento di programmi specifici. In tal senso è di ulteriore conforto la giurisprudenza richiamata dalla difesa dell'A.S.Re.M., secondo la quale "E' generalmente riconosciuta, in capo alle pubbliche amministrazioni, un'ampia discrezionalità nell'individuazione dei requisiti di partecipazione e dei titoli valutabili nell'ambito di una procedura selettiva purché, detta scelta, sia finalizzata alla migliore cura dell'interesse pubblico e non palesemente arbitraria o illogica (sul punto, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 75; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8239). In particolare, si reputano legittime la fissazione di requisiti o la valutabilità di determinati titoli coerenti con la professionalità che i vincitori della selezione saranno chiamati a ricoprire (Cons. Stato, Sez. V, 24 settembre 2003, n. 5457). Non appare illogico o del tutto arbitrario che l'amministrazione resistente abbia ritenuto di valutare solo le pregresse esperienze professionali perfettamente omogenee rispetto all'incarico da ricoprire. Con la procedura concorsuale sopraindicata, infatti, l'amministrazione resistente ha inteso selezionare una figura dotata di specifiche professionalità, con particolare riferimento alle capacità ... in ambito scolastico, escludendo esperienze professionali disomogenee" (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 12 dicembre 2018, n. 2626). 11.2. Priva di consistenza risulta, infine, anche la censura appuntatasi sulla scelta amministrativa di estendere la validità della graduatoria ad un periodo biennale, essendosi l'Amministrazione del tutto legittimamente riservata di attingervi ove avesse inteso promuovere ulteriori progetti dello stesso tipo entro un arco temporale del tutto congruo. 12. Per quanto tutto sopra esposto, il Tribunale deve quindi dichiarare il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse ai sensi dell'art. 35, comma 1, lett. c), del cod. proc. amm., con la condanna del ricorrente, in quanto virtualmente soccombente, al rimborso alla parte resistente delle spese di lite, che si liquidano nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio a favore dell'A.S.Re.M., liquidandole in Euro 1.000,00, oltre accessori di legge qualora dovuti, da distrarsi in favore dell'avvocato dichiaratosi antistatario. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Roberto Ferrari - Referendario Luigi Lalla - Referendario, Estensore

  • TRIBUNALE DI CAMPOBASSO SENTENZA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il giudice del lavoro dott.ssa Laura Scarlatelli ha pronunciato all'esito della udienza ex art.127 ter cpc del 26.3.24 la seguente SENTENZA nella causa n.1903/22 tra: (...) in persona del legale rappresentante pro tempore, (...) difesa dagli avv.ti L.Du. e P. Tr. e (...) in persona del legale rapp.te p.t., difeso da avv.ti A. Te. e U. Nu. Oggetto: opposizione avviso di addebito Conclusioni delle parti: come da note MOTIVI DELLA DECISIONE Con l'avviso opposto (...) ha richiesto alla società opponente la somma di Euro 181.107,37 per le seguenti violazioni: a) l'errata applicazione del CCNL ed il conseguente errato inquadramento contrattuale e dei livelli contributivi; b) ore non registrate sul Libro Unico del Lavoro; c) ore di lavoro supplementare e straordinario effettuate e non registrate ai lavoratori; d) mancata erogazione della quattordicesima mensilità e relativi contributi; e) revoca delle agevolazioni contributive; nel periodo dall'1.04.2016 al 31.08.2021 come da verbale unico di accertamento del 24.2.22. La opponente impugna l'avviso eccependo: - che il c.c.n.l. (...) non sia minoritario, - che tutti i dipendenti avevano effettuato prestazioni lavorative in stretta correlazione con gli accordi al riguardo intervenuti con l'azienda, con i contratti individuali di lavoro e con gli Unilav, - che la 14ma mensilità non era prevista dal c.c.n.l. (...) (...) replica diffusamente evidenziando ed analizzando i singoli punti dell'accertamento eseguito e presupposto all'avviso impugnato. Occorre premettere che l'opposizione all'avviso di addebito dà origine ad un ordinario giudizio di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio e, segnatamente, al rapporto contributivo con la conseguenza che l'accertamento di tale rapporto e delle sue caratteristiche deve avvenire secondo le ordinarie regole relative alla ripartizione dell'onere della prova, alla stregua delle quali grava sull'ente previdenziale l'onere di provare i fatti costitutivi dell'obbligo contributivo e sulla controparte l'onere di contestare tali fatti ("in tema di riparto dell'onere della prova ai sensi dell'art. 2697 c.c. l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo; ne consegue che nel giudizio promosso da una società per l'accertamento dell'insussistenza dell'obbligo contributivo preteso (...) sulla base di verbale ispettivo incombe sull'Istituto previdenziale la prova dei fatti costitutivi del credito preteso, rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria" cfr. tra le tante, Cass. 6/9/2012 n. 14965 e Cass., 10/11/2010, n. 22682). Al contempo, sul valore probatorio del verbale ispettivo posto a base dell'avviso, deve ricordarsi che "in ordine all'efficacia probatoria dei verbali ispettivi deve rilevarsi che l'esclusione di un'efficacia diretta fino a querela di falso del contenuto intrinseco delle dichiarazioni rese agli ispettori dai lavoratori non implica che le stesse siano prive di qualsivoglia efficacia probatoria in difetto di una loro conferma in giudizio; ove le dichiarazioni dei lavoratori siano univoche infatti il giudice può ben ritenere superflua l'escussione dei lavoratori in giudizio mediante prova testimoniale tanto più se il datore di lavoro non alleghi e dimostri eventuali contraddizioni delle dichiarazioni rese agli ispettori in grado di inficiarne l'attendibilità" (Corte di Cassazione sez. lav. 14 maggio 2014, n. 10427). Nel caso di specie il complesso dei documenti prodotti (...) (ed il loro contenuto, come si dirà infra) e la estrema genericità delle contestazioni addotte dalla società opponente (che ha articolato solo richiesta di prova contraria laddove ammessa quella (...) e non prova diretta) depongono per l'assolvimento dell'onere probatorio in capo (...) e, quindi, per il rigetto della opposizione. Quanto alla applicazione (che rileva ai fini del minimale contributivo, del diverso inquadramento, della erogazione della 14ma mensilità) del CCNL ANPIT - CISAL rispetto al CCNL stipulato dalle Organizzazioni datoriali e sindacali di categoria comparativamente più rappresentative ((...) e (...)(...), (...) e (...) si richiama quanto già espresso da questo GL in analoga controversia (citata dalla difesa (...): laddove per la medesima categoria vi sia una pluralità di contratti collettivi nazionali è necessario individuare il cd. contratto leader (cfr. Cassazione nn. 8446/20, 12166/19, 17983/21 ex plurimis) con onere a carico (...) che pretende di applicare (nel caso in esame) il CCNL Confcommercio, espressamente richiamato nel verbale ispettivo ("Tenuto conto dell'attività d'impresa svolta dalla Società "(...) il contratto maggioritario e, in quanto tale, da considerare per la determinazione della base imponibile contributiva è il CCNL Commercio - Confcommercio vale a dire il contratto per i dipendenti da aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi stipulato dalle organizzazioni sindacali (...) e UIL" ......come emerge dalle sentenze della S.C. testè citate, la prova gravante (...) può essere offerta direttamente in giudizio. In base alle sentenze della S.C. pronunciate sulla questione de qua per stabilire la maggiore o minore rappresentatività non si deve considerare il CCNL bensì le parti sociali, sia dal lato datoriale sia dal lato lavoratori (l'art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 stabilisce: "L'articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338r convertitor con modificazioni dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389r si interpreta nel senso che in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria") e gli indici rivelatori della maggiore rappresentatività sono: 1) la consistenza numerica delle OOSS, 2) ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; 3) la partecipazione alla formazione e stipulazione di contratti collettivi di lavoro; 4) la partecipazione alla risoluzione di vertenze individuali, plurime e collettive di lavoro. Il contratto collettivo CCNL ANPIT-CISAL non rientra nei contratti stipulati dalle OOSS maggiormente rappresentative poiché la valutazione della maggiore rappresentatività deve riguardare ambedue le parti sociali, quindi non solo la CISAL anche la ANPIT (cui è iscritta la società ricorrente) che non è indicata per la categoria dei datori nel documento della Presidenza del Consiglio dell'8.8.13, mentre è indicata la Confcommercio con riferimento ai datori di lavoro per la categoria del commercio; lo stesso dicasi per il D.M. del Ministero del lavoro del 15.07.2014 n.14280 che annovera la CISAL tra le OO.SS. maggiormente rappresentative per la categoria dei lavoratori ma non cita (tra le OO.SS. dei datori) la ANPIT con riferimento ad alcun settore lavorativo e per il documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 29.08.2017 (in vista del rinnovo dei componenti del CNEL per il quinquennio 2017-2022) laddove ancora una volta tra le OO.SS. dei lavoratori è inserita la CISAL, mentre per le imprese è presente la Confcommercio e non l'ANPIT. Quindi dovendosi tenere conto della maggiore rappresentatività delle OO.SS. da ambo i lati contrattuali è evidente come il CCNL 30/03/2015 per i dipendenti da aziende del terziario distribuzione e servizi applicato nel verbale impugnato sia maggiormente rappresentativo del CCNL ANPIT-CISAL invocato dalla ricorrente vedendo il primo come OO.SS. datoriale la (...) e come organizzazione dei lavoratori la FILCAMS-CGIL, la FISASCAT-CISL e la (...), quella datoriale rappresentativa del 97,23% delle Aziende del Settore e quelle dei lavoratori rappresentative del 95,04% dei lavoratori del settore (cfr. database CNEL (...)) pari a 396.858 Aziende e 2.396.370 lavoratori del settore. Gli inquadramenti che ne sono derivati sono stati individuati dagli ispettori tenuto conto delle mansioni riportate nei contratti individuali, incasellate poi nella classificazione di cui all'art. 111 del CCNL Confcommercio. In ordine alla presenza di numerose ore non registrate sul LUL non retribuite e non assoggettate a contribuzione la società avrebbe dovuto allegare (trattandosi di condotta omissiva accertata sulla documentazione di formazione datoriale) la documentazione giustificativa delle assenze, mentre si è limitata ad affermare genericamente che i dipendenti avevano lavorato in base a presunti accordi con l'azienda (accordi non prodotti e che, peraltro, non avrebbero alcun valore ai fini del minimale). Quanto alle ore di lavoro supplementare e straordinario non registrate e non retribuite, le stesse risultano dalle concordi ed univoche dichiarazioni rilasciate dai lavoratori messe a confronto con i contratti individuali e modelli UNILAV, tenuto conto della circostanza che l'orario di lavoro a tempo pieno previsto dal CCNL è pari a 40 ore settimanali. L'omissione contributiva (ai fini del minimale) per la 14A mensilità anni 2019-2021 deriva in automatico dalla applicazione del CCNL Confcommercio. La revoca delle agevolazioni contributive indebitamente fruite dalla opponente è conseguenza diretta della irregolarità contributiva riscontrata. Le spese di lite seguono la soccombenza. P.Q.M. rigetta l'opposizione e condanna l'opponente al pagamento delle spese di lite in favore (...) liquidate in euro 4.201,00 oltre iva, cpa e rimb. forf. 15%. Campobasso 10 aprile 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE di CAMPOBASSO SEZIONE PENALE Dott. Tommaso Barbara con la presenza del P.M., V.P.O. dott.ssa Antonella CIRELLI e con l'assistenza del Cancelliere, dott.ssa Assunta MORELLI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo, grado contro Fr.El., nata a C. l'(...), domiciliata a R., presso il Ministero dell'Interno- Servizio centrale protezione- presente in videoconferenza; assistita e difesa, di fiducia, dall'avv. Na.Ge. del Foro di Campobasso, presente; IMPUTATA Del reato p. e p. dagli artt. 3 e 7 D.L. n. 4 del 2019. poiché, ottenuto il beneficio di cui all'articolo 5 del medesimo D.L... c.d. reddito di cittadinanza successivamente, ometteva informazioni dovute: segnatamente, a seguito dell'applicazione nei suoi confronti della misura cautelare in carcere nell'ambito del p.p.693/2018-21, con ingresso nella Casa Circondariale di Frosinone in data 20.5.2020, non provvedeva, così come previsto per Legge, ad effettuare alcuna comunicazione circa il sopravvenuto stato detentivo, in modo tale da potere continuare a percepire regolarmente il predetto strumento di sostegno da parte dell'ente previdenziale SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 23.2.2023 il G.u.p. in sede disponeva il rinvio a giudizio nei confronti di Fr.El. per il reato indicato in epigrafe, fissando per la celebrazione del dibattimento, dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, l'udienza del 19.5.2023. L'udienza del 19.5.2023 veniva differita, atteso il legittimo impedimento del difensore dell'imputata, al 14.7.2023, allorquando il Giudice, verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale, invitando le parti a formulare le rispettive richieste di prova; indi, ammesse le prove richieste, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, il Giudice rinviava il processo all'udienza del 15.12.2023. All'udienza del 15.12.2023, le parti procedevano all'escussione del teste L.L.; all'esito, il Giudice, acquisita la documentazione prodotta dalla Pubblica Accusa, rinviava il processo, per l'esame dell'imputata e la discussione, all'udienza del 22.3.2024. In tale data, si procedeva all'esame dell'imputata, la quale prestava il consenso alla propria escussione; indi, dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale e rigettata l'istanza di rinvio della difesa tecnica dell'imputata, le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e il Giudice decideva come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Si impone una sentenza di assoluzione nei confronti di Fr.El., perché il fatto ascrittole in imputazione non sussiste. Invero, l'odierna vicenda processuale trae origine dall'omessa comunicazione, da parte della prevenuta, di una variazione rilevante ai fini della revoca del reddito di cittadinanza, consistente nel suo sopravvenuto stato detentivo, scaturito dall'emissione dell'ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere, emessa in data 20.5.2020, nell'ambito del procedimento n. 693/2018 R.G.N.R. di Campobasso, in cui la F. risultava indagata. Tali circostanze venivano confermate dal teste di P.G., L.L., il quale, all'udienza del 15.12.2023, esponeva che "In seguito a segnalazione della Compagnia Carabinieri di Bojano, è risultato, che la signora F., percettore di Reddito di Cittadinanza, era stata colpita da un'ordinanza di custodia cautelare nell'ambito del procedimento penale 693 del 2018 - 2021 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Campobasso ed era detenuta dal 20 maggio 2020 presso la casa circondariale femminile Stefanini di Rebibbia a Roma. A seguito di questa segnalazione, riscontrammo che la signora F. aveva fatto domanda di Reddito di Cittadinanza nel precedente 31 marzo 2020 e aveva cominciato a percepire la stessa indennità precisamente dal 15 aprile 2020, quindi un mese prima che venisse sottoposta a reclusione. Questa percezione è continuata ad avvenire, nonostante la signora fosse reclusa, per tutto l'anno 2020 e poi l'Inps ha provveduto a sospendere in quanto non era stata presentata la nuova DSU nell'anno successivo. Tanto avrebbe dovuto comunicare la signora F., tramite un suo familiare o un suo patronato, all'Inps per sospendere o meglio per rideterminare la quota del Reddito di Cittadinanza in quanto sottoposta a stato di detenzione. Questo non è avvenuto e noi abbiamo provveduto a fare la segnalazione alla Procura." (v. pag. 4 del verbale di stenotipia). Tanto premesso, appare opportuno verificare, in via preliminare, se il delitto per cui è giudizio sia tuttora vigente nel nostro sistema ordinamentale. Ebbene, a parere dello scrivente giudice, non si è verificato alcun effetto abolitivo della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 7 del D.L. n. 4 del 2019, in virtù delle seguenti considerazioni in diritto. Invero, come è noto, la legge di Bilancio 2023 (art. 1, co. 318 L. 29 dicembre 2022, n. 197) ha disposto quanto segue: "a decorrere dal 1 gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati"; tuttavia, nell'arco di tempo intercorso fra l'entrata in vigore della menzionata Legge di Bilancio e il prodursi dell'effetto caducatorio della previgente menzionata fonte del diritto, il beneficio del reddito di cittadinanza è stato elargito ai precedenti titolari del diritto, ma è anche stato concesso ex novo a coloro che, nel frattempo, avendone titolo, ne hanno fatto domanda. Del resto, intenzione del legislatore era quella di sostituire, abolendolo, l'istituto del reddito di cittadinanza con altro beneficio fondato su differenti presupposti e non quello di privare gli aventi diritto del correlativo beneficio. Infatti, con D.L. n. 48 del 4 maggio 2023 (entrato in vigore il giorno appresso, quindi prima dell'abrogazione del D.L. n. 4 del 2019, e convertito con modificazioni in L. n. 85 del 7 luglio 2023, priva di vacatio anch'essa) è stato introdotto il c.d. "assegno d'inclusione" a far data dal primo gennaio 2024, espressamente statuendo, al terzo comma dell'art. 13 (rubricato "disposizioni transitorie, finali e finanziarie") quanto segue: "Al beneficio di cui all'articolo 1 del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023". In virtù di tanto, ferma l'abrogazione della fonte del diritto, è stato espressamente e tempestivamente evitato il verificarsi dell'effetto abolitivo del delitto di cui all'editto accusatorio. Sul punto, sebbene in obiter, si era già espressa la Suprema Corte di Cassazione, sia a Sezioni Unite, con la sentenza n. 49686 del 13.7.2023, dove si è affermato che: "... è opportuno dar conto del fatto che l'art. 1, comma 318, L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l'art. 7 D.L. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal primo gennaio 2024. La fattispecie incriminatrice è, perciò, tutt'ora in vigore. Il legislatore, peraltro, nell'introdurre il cd. "assegno di inclusione" (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall'art. 1, comma 1, D.L. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85, "quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro"), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 7 D.L. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023" (Cfr., anche, Cass. Sez. 3, n. 38836 del 2023). Siffatta impostazione è stata, successivamente, confermata dalla recentissima sentenza della sezione III della Corte di Cassazione (n. 5163 del 2024), in cui si è ribadito che "La citata legge di Bilancio per il 2023 che ha disposto l'abrogazione dell'intera disciplina del c.d. reddito di cittadinanza, comprese le disposizioni penali incriminatrici, è infatti da tempo entrata in vigore e non viene quindi in rilievo il tema della vacatio legis. Per contro, tale legge ha espressamente ed intenzionalmente disposto che l'effetto abrogativo della citata disciplina decorra soltanto dal 1 gennaio 2024, sicché, al momento della pronuncia impugnata, il reato ascritto all'imputato non poteva certamente dirsi abrogato, essendo ben possibile che, prima dell'indicata data, il legislatore potesse Intervenire per modificare la previsione di cui si discute, la quale, proprio con riguardo all'abrogazione anche delle disposizioni penali, era stata in dottrina ritenuta frutto di una mera "svista" E' quanto in effetti accaduto ... con il D.L. 4 maggio 2023, n. 48, recante misure urgenti per l'inclusione e l'accesso al mondo del lavoro, conv., con modiff, dalla L. 3 luglio 2023, n. 85. Dopo aver riproposto, all'art. 8, commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse comunicazioni concernenti l'ottenimento o il mantenimento del nuovi benefici economici previsti dagli artt. 3 e 12 della legge, previsioni sostanzialmente identiche a quelle già contenute nell'art. 7, commi 1 e 2, D.L. n. 4 del 2019 con riguardo al reddito di cittadinanza, l'art. 13, comma 3, D.L. n. 48 del 2023, collocato tra le disposizioni transitorie e finali, statuisce che al beneficio di cui all'articolo 1 del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cul all'articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. È evidente, pertanto, che coordinandosi con la prevista abrogazione della disciplina del reddito di cittadinanza a far tempo dai 1gennaio 2024, la sopravenuta disposizione richiamata in motivazione anche dalla citata decisione delle Sezioni unite n. 49686/2023, sub (...), che ne ha sostanzialmente tratto analoghe conclusioni fa salva l'applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina. La previsione sostanzialmente deroga al principio di retroattività della lex mitior altrimenti conseguente, ex art. 2 cod. pen., alla prevista abrogazione dell'art. 7 D.L. n. 4 del 2019, ma questa deroga che, come noto, sul piano del rispetto delle garanzie, costituzionali è suscettibile d'essere valutata esclusivamente con riguardo di principi ricavabili dall'art. 3 Cost. e, ove non contrasto con questi, è altresì rispettosa della disciplina ricavabile dalle convenzioni internazionali (cfr. per tutte, Corte cost., sent. n. 236 del 22 luglio 2011) non presta il fianco a censure, essendo indubbiamente sorretta da una del tutto ragionevole giustificazione. Ed invero, essa semplicemente assicura tutela penale all'erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 1 gennaio 2024 e con la nuova incriminazione di cui all'art. 8 D.L. n. 48 del 2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza, continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e dì omessa comunicazione volte all'ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche". Orbene, fatte queste premesse in ordine all'attuale vigenza del delitto per cui è giudizio, giova ricordare che l'art. 7 del D.L. n. 4 del 2019 stabilisce che: "salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni". Il comma 2 della medesima disposizione, poi, prevede che: "L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni". Ciò posto, dalla mera lettura dell'art. 7 co. 2 e, in generale, dall'esame di tutto rimpianto normativo del D.L. n. 4 del 2019, si può constatare l'assenza di una norma specifica che preveda, in casi analoghi a quello per cui è giudizio, un onere informativo da parte del percettore del reddito di cittadinanza nei confronti dell'INPS. Tanto si ricava, in primo luogo, dall'artt. 3 commi 8, 9 e 11, i quali attengono esclusivamente agli obblighi informativi relativi alle variazioni incidenti sul patrimonio mobiliare e immobiliare nonché sulla condizione occupazionale del nucleo familiare del beneficiario. Inoltre, l'art. 7 ter del D.L. n. 4 del 2019 statuisce, al comma 1, che: "Nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell'arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3, l'erogazione del beneficio di cui all'articolo 1 è sospesa ..." e al secondo comma che : "I provvedimenti di sospensione di cui al comma 1 sono adottati con effetto non retroattivo dal giudice che ha emesso la misura cautelare ...". Infine, il comma 4 della medesima disposizione statuisce che i provvedimenti di sospensione di cui al comma 1 debbano essere comunicati, entro il termine di 15 giorni, dall'autorità giudiziaria procedente all'INPS, con la conseguenza che nessun obbligo comunicativo poteva ritenersi sussistente nei confronti dell'odierna imputata. Ne discende, allora, che, sulla scorta delle considerazioni appena esposte, non sussisteva alcun onere informativo a carico di Fr.El. in ordine alla sua sopravvenuta sottoposizione alla misura cautelare, della custodia in carcere, ragion per cui la stessa deve essere mandata assolta dal delitto ascrittole, perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata nel termine ordinario di legge. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p.; assolve Fr.El. dal ascrittole in rubrica, perché il fatto non sussiste. Motivazione riservata nel termine ordinario di legge. Così deciso in Campobasso il 22 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CAMPOBASSO SEZIONE PENALE composto dai seguenti magistrati: Dott. Salvatore Casiello - Presidente Dott.ssa Federica Adele Dei Santi - Giudice Dott. Tommaso Barbara - Giudice relatore con la del P.M., dott. Francesco SANTOSUOSSO, e con l'assistenza del Cancelliere, dott.ssa Adriana TEMPESTA, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro: Vi.Ta., nato a C. il (...), ivi residente in via F. n. 93, ove ha dichiarato domicilio; libero, assente; assistito e difeso, di fiducia, dall'avv. Si.To., del foro di Campobasso - presente; IMPUTATO Capo A) Del delitto p. e p. dall'art. 219, co. 2 n. 1, art. 223 comma 1, in rel. all'art. 216, comma 1, n. 1, ss.mm.ii. perché nella sua qualità di socia e, quindi, di amministratore unico oltre che gestore di fatto della società "Qu. srl", allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurare a sé o ad altri ingiusto profitto, distraeva beni della società e/o il valore dei predetti per un ammontare complessivo pari a Euro 58.447,42 e, in particolare, distraeva le seguenti somme sottraendole alla curatela Fallimentare: - Euro 3.184,00 corrispondente al valore della merce acquistata nell'anno 2016; - Euro 55.263,42 corrispondente al valore della merce acquistata nell'anno 2017; Con l'aggravante di aver commesso più fatti tra quelli previsti dall'art. 216. In Campobasso commesso fino al 03.12.2018 (data della sentenza dichiarativa di fallimento). Capo B) Del delitto p. e p. dall'art. 81 cpv c.p., art. 219, co. 2 nr.1, art. 223 comma 1, in rel. all'art. 216, comma 1, 2, del R.D. n. 267 del 1942 e ss.mm.ii. perché, con più azioni ovvero omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso, comune a quello di cui al capo A), nella sua qualità di socia e, quindi, di amministratore unico oltre che gestore di fatto della società "Qu. srl", con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, distruggeva, sottraeva i libri e le scritture contabili obbligatorie di cui all'art. 2214 ss. Codice Civile e, comunque, teneva la predetta documentazione in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita. Con l'aggravante di aver commesso più fatti tra quelli previsti dall'art. 216. In Campobasso commesso fino al 03.12.2018 (data della sentenza dichiarativa di fallimento). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 6.10.2021, il G.U.P. del Tribunale di Campobasso, su richiesta del P.M., disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato per i reati indicati in epigrafe, fissando per la celebrazione del dibattimento dinanzi all'intestato Tribunale, in composizione collegiale, l'udienza del 26.1.2022. All'udienza del 26.1.2022, il Tribunale, controllata la regolare instaurazione del contraddittorio tra le parti, dichiarava aperto il dibattimento, provvedeva come da ordinanza riportata a verbale sulle richieste istruttorie delle parti e rinviava il processo, per il prosieguo, all'udienza dell'8.6.2022. All'udienza dell'8.6.2022, le parti procedevano all'escussione del teste Mo.Lu.; indi, acquisita, su consenso delle parti, la documentazione prodotta dal P.M. (relazione ex art. 33 L.F. a firma di Mo.Lu.), il processo veniva aggiornato all'udienza del 9.11.2022 per il prosieguo dell'attività istruttoria. In tale data, il Tribunale, preliminarmente, disponeva la rinnovazione degli atti del dibattimento, essendo intervenuto mutamento nella composizione soggettiva dell'organo giudicante; dopodiché, in assenza di richieste di parte e confermati gli atti precedentemente compiuti dal diverso collegio giudicante, l'istruttoria proseguiva con l'escussione dei testi Sa.Mi., Ca.An. e Mo.An.; all'esito, acquisita la documentazione prodotta dal P.M. e preso atto della rinuncia di quest'ultimo all'escussione del teste Sa.Vi., nulla osservando la difesa, il processo veniva aggiornato, per il prosieguo, all'udienza del 15.3.2023. All'udienza del 15.3.2023, il Tribunale, preliminarmente, disponeva la rinnovazione degli atti del dibattimento, essendo intervenuto mutamento nella composizione soggettiva dell'organo giudicante; dopodiché, in assenza di richieste di parte e confermati gli atti precedentemente compiuti dal diverso collegio giudicante, deponeva in dibattimento il teste Ta.Ro.; all'esito, acquisita, nulla opponendo la difesa, la documentazione prodotta dal P.M. e preso atto dell'assenza ingiustificata dei testi residui della Pubblica Accusa, nei cui confronti veniva comminata l'ammenda di Euro 300,00, il processo veniva aggiornato all'udienza del 14.6.2023, per il completamento dell'attività istruttoria. L'udienza del 14.6.2023 veniva rinviata, attesa l'assenza dei testi della Pubblica Accusa, all'11.10.2023, allorquando le parti procedevano all'escussione del De.An.; dopodiché, stante l'assenza del teste residuo del P.M., ne cui confronti veniva disposto l'accompagmanento coatto, il processo veniva rinviato all'udienza del 20.12.2023. In tale data, le parti procedevano all'escussione della teste Ke.Su.; indi, acquisita, nulla opponendo la difesa, la documentazione prodotta dalla Pubblica accusa, il Tribunale, su richiesta del P.M., disponeva procedersi all'audizione, ex art. 195 c.p.p., di Gi.Fa., ex coniuge di Ke.Su.; all'esito, dato atto che non si procedeva all'esame dell'imputato poiché assente, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e rinviava il processo, per la discussione, all'udienza del 13.3.2024. All'odierna udienza, le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e il Tribunale decideva come da dispositivo, fissando, ex art. 544 co. 3 c.p.p., il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Non vi sono dubbi sulla sussistenza della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli in imputazione. Invero, a Vi.Ta. si contesta, al capo A) della rubrica, di aver, in qualità di socio, amministratore unico e gestore di fatto della società Qu. s.r.l. distratto beni della società, o comunque il corrispondente valore economico, per un ammontare complessivo pari ad Euro 58.447,42. Quanto al capo B) dell'imputazione, invece, il prevenuto viene accusato di avere, nella qualità sopra indicata, distrutto e/o sottratto le scritture contabili obbligatorie per legge e, in ogni caso, di averle tenute in modo tale da non rendere più possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della Qu. s.r.l. Ciò posto, al fine di una migliore comprensione della vicenda, occorre partire dalle dichiarazioni rese dalla curatrice fallimentare, Mo.Lu., all'udienza dell'8.6.2022. La stessa, nel corso della sua escussione, ha esposto che, al momento della dichiarazione di fallimento della Qu. s.r.l., l'amministratore unico della società era l'odierno imputato, il quale figurava altresì quale unico socio della stessa. Aggiungeva di non essere stata in grado di esaminare le scritture contabili della società dal momento che non erano state depositate dal V., il quale, peraltro, non si era mai presentato presso il curatore per l'audizione, nonostante avesse ricevuto ritualmente plurimi avvisi di convocazione. La teste, inoltre, dichiarava di aver reperito esclusivamente un bilancio relativo all'anno antecedente all'acquisto delle quote sociali da parte dell'odierno imputato, avvenuto nell'anno 2016, e di non essere stata in grado di ricostruire la situazione patrimoniale della società e l'inventario dei beni della stessa, non avendo trovato la sede della Qu. s.r.l. all'indirizzo risultante dalla visura camerale. Il teste di P.G., Sa.Mi., esponeva quanto segue: "Se non ricordo male, nel 2019 venimmo incaricati dalla Procura a svolgere accertamenti circa il fallimento della Q. insieme al collega Sa.Vi., l'altro collega Sa.Vi.. Premetto che la società si occupava di... l'oggetto sociale era il commercio all'ingrosso, e non, di prodotti alimentari, bevande etc. La stessa era stata fondata da un rumeno, A.M., un nome del genere, e poi alla sua morte, avvenuta del 2016 se non ricordo male, è passata per successione alla moglie la quale, contestualmente, l'ha venduta a T.V.. Nel 2018, a fine 2018, vi è stato il fallimento della società. Venimmo incaricati a svolgere gli accertamenti, però, sentendo la curatela etc., non era stato possibile acquisire nessuna documentazione. Quindi tramite le nostre Banchi Dati vedemmo chi era il vecchio depositario delle scritture contabili, che era la signora M. della provincia di Isernia, pertanto ci recammo presso di lei per vedere se era ancora in possesso di documentazione o meno. La stessa ci esibì un verbale di consegna documentazione - che riportava la stessa data in cui era avvenuto il passaggio di proprietà tra la moglie del defunto A. con il V. - con il quale venivano consegnate tutte le scritture contabili etc. F. altri accertamenti tramite le nostre Banche Dati per vedere se potevamo ricostruire il volume di affari della società in quanto, da quando era passata nelle mani del T., non erano state presentate dichiarazioni, la documentazione non era stata né reperita e né esibita alla curatela. Però, oltre ad alcune società che si erano insinuate nel passivo della fallita, non riuscimmo a individuare nessun altro tipo di rapporto" (v. pag. 4 e 5 del verbale stenotipico dell'udienza del 9.11.2022). Il teste Ca.An. dichiarava di vantare un credito commerciale nei confronti della Qu. s.r.l. per due forniture di olio, la prima eseguita a giugno 2017 e la seconda trenta giorni dopo, del valore di 5.000,00 euro circa ciascuna (cfr. fattura n. (...) del 6.6.2017 e n. (...) dell'11.7.2017, riportate a pag. 87 e 88 della produzione documentale del P.M del 9.11.2022), le quali non erano state pagate dalla società amministrata dall'odierno imputato. Mo.An., nel corso della sua escussione, esponeva di essere stata depositaria delle scritture contabili della Qu. s.r.l. fino a quando le quote sociali non furono cedute a Vi.Ta.. A tal proposito, rappresentava che le quote sociali vennero acquistate dall'odierno imputato da H.R.A., la quale, a sua volta, le aveva ereditate in seguito al decesso del marito, H.M., e che dopo tale operazione commerciale consegnò tutta la documentazione contabile al V. (cfr. pag. 74 e 75 della produzione documentale del P.M. del 9.12.2022). Ta.Ro., escusso all'udienza del 15.3.2023, dichiarava di aver ceduto in locazione all'odierno imputato, nel marzo 2017, un capannone di sua proprietà, sito a P. nei pressi del campeggio San Nicola, precisando di non aver mai ricevuto il pagamento del relativo canone. Aggiungeva di essere stato assunto dalla società del V., sempre nell'anno 2017, ma che non gli era mai stato corrisposto, per l'intero, il compenso per la sua attività professionale, consistente nell'effettuare le consegne a domicilio dei generi alimentari. Su domanda del P.M., il teste dichiarava che l'attività della Qu. era gestita dall'odierno imputato e da un altro soggetto, di cui non ricordava il nome ma che presumeva fosse il nipote del V., in quanto lo chiamava "zio". Il teste De.An., nel corso della sua escussione, confermava di aver svolto l'attività di magazziniere nell'anno 2017 per la Qu. s.r.l. e di aver preso gli ordini da Vi.Ta. o, in sua assenza, da tale N.R.. Ke.Su., escussa all'udienza del 20.12.2023, riferiva di essere stata legale rappresentante della B.M. s.r.l. dall'anno 2017 all'anno 2019. Precisava, tuttavia, che, nonostante la sua qualifica, i rapporti commerciali della sua società erano gestiti interamente dall'ex marito, Gi.Fa., e che lei si occupava principalmente delle operazioni bancarie. La teste, su contestazione del Pubblico Ministero, confermava, quanto esposto in sede di sommarie informazioni rese dinanzi alla Guardia di Finanza di Campobasso in data 20.1.2020, ossia che la sua società vantava un credito nei confronti della Qu. s.r.l. pari a 18.300,00 euro, derivante dalla commercializzazione di alcuni prodotti di sartoria che erano stati acquistati dall'odierno imputato. Puntualizzava, tuttavia, di essere a conoscenza di tali informazioni poiché gliele aveva riferite l'ex marito. Per tale ragione, su richiesta del P.M., il Tribunale, ai sensi dell'art. 195 c.p.p., disponeva che il teste diretto, Gi.Fa., deponesse in dibattimento. Questi, escusso all'udienza del 20.12.2023, dichiarava di aver curato i rapporti commerciali della B.M. s.r.l. con una pluralità di clienti. In particolare, quanto alla Qu. s.r.l., esponeva che: "Io conosco oltre duecento Società con cui abbiamo avuto rapporti commerciali, abbiamo avuto duecento clienti in tutta Italia e questa è sicuramente una di quelle, però credo che abbiamo avuto solo un rapporto con questa Società, proprio perché noi avevamo un portafoglio clienti molto esteso anche geograficamente, ci servivamo di una Società di A.C., per cui noi facevamo una ricerca attraverso questo portale, attraverso il codice fiscale e la Partita I.V.A. dell'azienda e se erano assicurabili, noi mandavamo la merce. Se non fossero stati assicurabili, oltre un certo importo, avremmo chiesto l'assegno e non il bonifico a scadenza, pertanto questa Società sicuramente sarà ricaduta tra quelle, per cui abbiamo dovuto chiedere l'assegno, per poter consegnare la merce. Credo che questo assegno non sia stato pagato e la Società di A.C. ci ha pagato dopo un anno e successivamente si saranno inseriti nel passivo, ma non noi PUBBLICO MINISTERO: Come si chiama la Società che vi coadiuvava nel Recupero Crediti? TESTE - Gi.Fa.: Non era una Società di Recupero Credito, ma una Società di A.C. Commerciale. PUBBLICO MINISTERO: Come si chiama? TESTE - Gi.Fa.: E.H., (v. pag. 15 e 16 del verbale stenotipico dell'udienza del 20.12.2023). Il teste, poi, riconosceva l'assegno e le fatture di cui all'allegato n. 7 della produzione documentale del P.M. del 20.12.2023 e rappresentava che tale documentazione riguardava degli ordini effettuati dalla Qu. s.r.l. per l'ammontare pari a quello indicato nell'assegno, pur precisando di non aver mai visto Vi.Ta. e di non ricordarsi da chi venne materialmente ritirata la merce compravenduta. Riassunta in questi termini la vicenda di cui ci si occupa, giova evidenziare che il delitto di bancarotta, inteso quale condotta che, commessa dall'imprenditore o da altri soggetti che vantino con lo stesso una relazione particolarmente qualificata, determina, in via diversificata e attraverso un'incidenza su oggetti materiali differenti, un pregiudizio - attuale o potenziale - degli interessi propri dei creditori dell'impresa, si pone a presidio della par condicio creditorum, tutelata su un triplice versante: contro gli atti di illecita disposizione dei propri beni da parte del fallito; contro la violazione degli obblighi di corretta gestione documentale imposti agli imprenditori commerciali; contro il favoreggiamento di alcuni creditori a danno di altri. Alla luce di tali considerazioni, la bancarotta si qualifica come reato di pericolo concreto (ex plurimis, Cass. Pen., Sez. I, 20.4.2022, n. 19887). Solo ove le condotte realizzate siano effettivamente idonee a recare, secondo una valutazione in concreto di prognosi postuma, un rischio di lesione a carico del bene protetto, esse, in omaggio al principio di offensività, assurgeranno a fatti penalmente rilevanti. Inoltre, come noto, la bancarotta propria, in cui il soggetto attivo del reato è lo stesso a carico del quale viene resa la dichiarazione di fallimento, può distinguersi in bancarotta semplice ex art. 217 L.F. e fraudolenta ex art. 216 L.F. In ambedue le ipotesi, l'autore del fatto possiede la qualità di imprenditore commerciale e per questo motivo il reato di bancarotta propria, semplice e fraudolenta, è considerato reato proprio. L'art. 216 contempla, al suo interno, molteplici fattispecie delittuose, e, segnatamente, la bancarotta fraudolenta patrimoniale, la bancarotta fraudolenta documentale, la bancarotta post-fallimentare. Costituisce bancarotta fraudolenta patrimoniale (prefallimentare) la condotta dell'imprenditore - se dichiarato fallito - che "ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato, in tutto o in parte, i suoi beni ovvero, allo scopo di arrecare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti" (art. 216, comma 1, n. 1 L.F.). La condotta distrattiva, in generale, consiste nel sottrarre il bene alla funzione di garanzia assegnatagli ex lege dall'art. 2740 Codice civile: i creditori ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima, che è a tal fine vincolato. Siffatta condotta comprende qualunque fatto - diverso dall'occultamento, dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passività inesistenti - mediante il quale l'imprenditore coscientemente faccia uscire dal proprio patrimonio qualcuno dei beni che lo compongono per impedirne l'acquisizione da parte degli organi del fallimento. È richiesta una valutazione relativa al carattere patrimonialmente consistente dell'atto compiuto in pregiudizio dell'impresa. Come afferma la giurisprudenza di legittimità, l'atto di depauperamento deve risultare idoneo a esporre a pericolo l'entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all'epoca che precede l'apertura della procedura fallimentare (Cass. Pen., 24.3.2017, n. 17819). Quanto alle concrete modalità con le quali la distrazione può realizzarsi, la giurisprudenza (cfr. ex plurimis, Cass. Pen., Sez. V, 14.3.2016, n. 29219; Cass. Pen., Sez. V, 5.6.2014 n. 30830) ritiene che il distacco dei beni dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori) possa realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità; segnatamente, non assume "alcuna rilevanza la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si verifica, né la possibilità di recuperare il bene con l'esperimento delle azioni a favore della curatela". Pertanto, anche l'esercizio di facoltà astrattamente legittime -in quanto ricomprese nel contenuto di diritti riconosciuti dall'ordinamento- si concretizzi o meno nell'adozione di strumenti negoziali tipizzati, può costituire uno strumento in frode ai creditori, poiché la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio dell'imprenditore dichiarato fallito è un valore che va accertato in concreto, in relazione alle conseguenze che essa produce sulle ragioni del ceto creditorio. Non va comunque sottaciuto che "è esclusa la configurabilità di una distrazione in difetto di un effettivo distacco del bene dal patrimonio del fallito. Distacco che non necessariamente deve concretizzarsi in atti formali o risolversi nella giuridica estromissione del bene dal patrimonio, essendo sufficiente la sua destinazione ad uno scopo diverso da quello doveroso, ma che deve comunque risultare effettivo. Quanto alla condotta di occultamento, la stessa ricomprende qualsiasi condotta che comporti anche solo la temporanea indisponibilità di un bene attraverso il suo materiale nascondimento in grado di frapporre un ostacolo alla sua acquisizione da parte degli organi fallimentari, attentando così all'integrità della garanzia patrimoniale dei creditori, fermo restando che la mera omessa segnalazione della sua esistenza cui, ai sensi dell'art. 87, comma 3, L.Fall., il fallito è tenuto, integra il diverso reato di cui all'art. 220 della stessa legge" (Cass. Pen., Sez. V, 12.5.2021, n. 21712). Sul versante della prova della distrazione o dell'occultamento di beni della società dichiarata fallita, questa può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Cass. Pen., Sez. V, 7.3.2014, n. 19896). Quanto all'elemento psicologico integrante il reato, la giurisprudenza prevalente sostiene che il dolo necessario per le condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione e dissimulazione si presenti come generico, evidenziando la circostanza per cui lo scopo di pregiudizio verso i creditori è richiesto dal testo della disposizione con riguardo alle sole ipotesi commesse mediante illecito incremento delle passività. Sul punto, in particolare, si segnala recente Cassazione, secondo cui: "Il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato a dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria non solo la volontà di cagionare il fallimento, ma neanche la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, con la rappresentazione della pericolosità della condotta distruttiva, da intendersi come probabilità dell'effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice" (Cass. Pen., Sez. V, 17.2.2022, n. 12198; Cass. Pen., 13.2.2014, n. 11095). Ancora, a conferma del fatto che trattasi di dolo generico, consistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, non va sottaciuto che il delitto in esame "è configurato anche in assenza di nesso causale tra i fatti distrattivi e il successivo fallimento giacché la nozione di distrazione non è declinata teleologicamente" (Cass. Pen., Sez. V, 10.9.2020, n. 34979). Orbene, rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda in esame, appare evidente come, dal compendio probatorio raccolto nel corso dell'istruttoria dibattimentale, emerga la colpevolezza dell'odierno imputato in ordine al delitto di cui al capo A). Preliminarmente, occorre, però, prendere atto dell'attendibilità delle dichiarazioni del teste di P.G., poiché espressive di attività d'ufficio espletata in conformità ai doveri istituzionali su di esso gravanti, con la precisazione che tanto, ovviamente, si estende ai dati obiettivi d'immediata percezione da parte dell'operatore, ma che, altrettanto ovviamente, non può attagliarsi alla veridicità degli elementi meramente riferiti da terze persone e alla condivisibilità di ipotesi valutative. Altrettanto credibili e attendibili sono le dichiarazioni rese da tutti gli ulteriori testimoni addotti dall'accusa escussi a dibattimento, atteso che non sono emersi motivi dai quali supporre l'esistenza, in capo a essi, di intenti traditori dell'impegno assunto all'atto del deporre, né fattori di contraddittorietà, intrinseca o estrinseca, delle loro deposizioni. Ciò posto, l'istruttoria dibattimentale ha, in primo luogo, eliso ogni dubbio circa la qualifica in concreto rivestita dal V. all'interno della Qu. s.r.l. Sul punto, va sottolineato che sia il curatore fallimentare sia la depositaria delle scritture contabili, Mo.An., hanno chiarito che, nell'anno 2016, l'odierno imputato aveva acquistato da H.R.A. l'intera quota di partecipazione sociale della Qu. s.r.l. A tal proposito, giova richiamare la produzione documentale della Pubblica Accusa del 9.11.2022, da cui si evince non solo che, in data 8.8.2016, le quote della predetta società venivano cedute mediante scrittura privata a Vi.Ta. a fronte di un corrispettivo pari ad Euro 950,00, ma anche che, il 9.8.2016, a seguito di assemblea ordinaria dei soci, tenutasi presso la sede della Qu., l'odierno imputato decideva di assumere la qualifica di amministratore unico (cfr. da pag. 31 a 36 del fascicolo delle indagini preliminari). Ulteriori conferme in ordine alla qualifica rivestita dall'odierno imputato si rinvengono nelle dichiarazioni rese dal teste Ta.Ro., il quale, oltre a confermare di essere stato alle dipendenze del V. nell'anno 2017, ha rappresentato di aver ceduto in locazione alla Qu. un capannone di sua proprietà, sito a P.. Sul punto, va rimarcato che, all'udienza del 15.3.2023, il P.M. ha depositato il predetto contratto di locazione, registrato presso l'Agenzia delle Entrate il 5.4.2017 e siglato, per conto della Qu. s.r.l., da Vi.Ta.. Infine, il teste De.An. ha affermato che, nell'anno 2017, allorquando era alle dipendenze della Qu. come magazziniere, prendeva ordini dall'odierno imputato. Ebbene, la sommatoria di tali elementi di prova fuga ogni dubbio circa la qualifica di amministratore unico assunta dal Vi.Ta. dall'agosto del 2016 sino al 3.12.2018, data della sentenza dichiarativa del fallimento della Qu. s.r.l. Ciò chiarito, passando all'esame delle condotte distrattive contestate in imputazione, la documentazione contabile acquisita agli atti del dibattimento, in uno alle prove dichiarative sopra esaminate, avvalora con certezza la commissione da parte dell'imputato del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e, di conseguenza, la versione dei fatti posta a base dell'accusa. Sono emerse, invero, le condotte distrattive del patrimonio della Qu. s.r.l., ascrivibili, ogni oltre ragionevole dubbio, all'imputato, il quale ha occultato le merci da lui acquistate negli anni 2016 e 2017 - o il corrispondente valore economico - impedendone, così, l'acquisizione all'attivo fallimentare. In particolare, le dichiarazioni dei testi Ca.An. e Gi.Fa., i quali hanno confermato di avere avuto, negli anni in contestazione, dei rapporti commerciali con la Qu. s.r.l., trovano riscontro nella documentazione contabile prodotta dalla Pubblica Accusa. Ci si riferisce, invero, alle fatture indicate a pag. 87 e 88, nonché all'assegno bancario e alle fatture riportate da pag. 247 a pag. 257 del fascicolo delle indagini preliminari, tutte risalenti all'anno 2017, per un ammontare complessivo pari a circa 28.000,00 euro. A ciò si aggiungano le fatture emesse dalla S. s.r.l. e dalla B. s.r.l., sempre nell'anno 2017, per l'acquisto di merce da parte della Qu. s.r.l., per un valore pari a circa 27.000,00 euro (cfr. da pag. 89 a pag. 112 del fascicolo delle indagini preliminari, acquisite all'udienza del 9.11.2022). Tutti questi beni acquisitati dalla Qu. s.r.l., o il loro corrispettivo in denaro, tuttavia, come riferito dalla curatrice fallimentare e confermato dal teste di P.G., S.M., non sono stati rinvenuti nella disponibilità della società, così causando un evidente pregiudizio nei confronti dei creditori insinuatisi al passivo fallimentare. Su tali fatti, poi, l'odierno imputato - assente per tutta la durata del processo e resosi, di fatto, irreperibile con la curatrice fallimentare - non ha mai fornito una versione alternativa, circostanza questa che rafforza la tesi della sottrazione di tali beni - o del loro corrispettivo in denaro - dà destinare al fallimento della Qu. s.r.l. Del resto, la Corte di Cassazione ha statuito che "in materia di bancarotta fraudolenta la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione ad opera dell'amministratore della destinazione dei beni suddetti" (Cass. Sez. V, sent. n. 19896 del 2014). Sussiste, allora, per le ragioni suesposte, la prova che Vi.Ta. abbia realizzato le condotte distrattive contestategli in imputazione, violando, in tal modo, l'interesse dei creditori alla salvaguardia della garanzia sul patrimonio del debitore. Deve, pertanto, affermarsi la responsabilità penale dello stesso in ordine al reato ascrittogli al capo A). Ciò posto, venendo all'esame del capo B) dell'imputazione, lo scrivente Collegio ritiene raggiunta la prova della responsabilità penale dell'odierno prevenuto anche con riferimento a tale fattispecie delittuosa. In particolare, come detto in premessa, all'imputato si contesta di aver, nella qualità di socio, amministratore unico e gestore di fatto della Qu. s.r.l., distrutto e/o sottratto le scritture contabili obbligatorie per legge e, in ogni caso, di averle tenute in modo tale da non rendere più possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della predetta società. Tanto premesso, richiamate le considerazioni sopra esposte in ordine alla veste assunta dal V. all'interno della Qu. s.r.l., giova, in primo luogo, ricordare che, secondo quanto sostenuto dalla giurisprudenza, il bene giuridico protetto dall'art. 216 comma 1 n. 2 L.F. attiene alla ostensibilità della situazione patrimoniale del debitore: in sostanza la norma non si limita a tutelare l'informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell'impresa sic et simpliciter; essa concerne piuttosto una conoscenza di tali vicende, documentata e giuridicamente utile, in relazione all'interesse dei creditori ad apprendere nei loro termini reali le vicende e la consistenza del patrimonio della società (sul punto, cfr. Cass. Pen., SS.UU., 27.1.2011, n. 21039). Inoltre, occorre puntualizzare che "l'elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale riguarda tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori" (Cass. Pen, 14.11.2016, n. 55065), con ciò distinguendosi dall'ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (cfr. Cass. pen. sez. V, 9.11.2015, n. 44886). Ancora, si rammenta che "ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, le condotte di mancata consegna ovvero sottrazione, di distruzione o di omessa tenuta dall'inizio della documentazione contabile, sono tra loro equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque certa la sussistenza di una di esse ed è inoltre acquisita la prova in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari" (cfr. Cass. pen. Sez. V, 19.11.2014, n. 47923). Per quanto attiene all'analisi del crinale soggettivo, la norma richiede un dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture o dei libri contabili; è sufficiente il dolo generico per la fattispecie consistente nella tenuta della contabilità tale da rendere impossibile la ricostruzione della situazione dell'impresa (Cass. Pen., Sez. V, 5.2.2021, n. 11420; conf. Cass. Pen., 19.2.2019, n. 10647; conf. Cass. Pen., Sez. V, 13.10.2015, n. 3558). La prova del dolo specifico costituito dall'animus nocendi di recare pregiudizio ai creditori e dall'animus lucrandi, consistente nel procurare a sé o altri un ingiusto profitto, deve inferirsi dal reale atteggiamento psichico dell'agente, che deve trarsi da circostanze ed elementi esteriori, anche facendo ricorso a massime di esperienza (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 5.10.2022, n. 47762). Orbene, rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda in esame, va evidenziato che, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, la curatrice fallimentare ha rappresentato che la mancata consegna da parte del V. delle scritture contabili, nonostante le ripetute sollecitazioni, ha di fatto reso impossibile la ricostruzione patrimoniale della Qu. s.r.l. Siffatta circostanza trova conferma tanto nella relazione ex art. 33 L.F., acquisita agli atti del dibattimento, quanto nella deposizione resa dal teste di P.G., Sa.Mi., il quale ha chiarito che, anche accedendo alle banche dati in possesso alla Guardia di Finanza, non era stato possibile ricostruire il volume di affari della società, eccetto quello risultante dai creditori che si erano insinuati al passivo fallimentare. A ciò si aggiunga che l'imputato non ha consegnato la documentazione contabile risalente agli anni 2015 e 2016, la quale, come riferito dalla teste Mo.An. e come si ricava dalle pag. 74 e 75 del fascicolo delle indagini preliminari, gli era stata consegnata, in data 29.8.2016, dalla depositaria delle scritture contabili. I documenti appena menzionati e le prove orali su esaminate mettono, dunque, in luce l'operazione, posta in essere dall'imputato, di sottrazione ed occultamento dei libri e delle scritture contabili, in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della società e tanto nell'evidente scopo di procurarsi un ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori. Non vi è dubbio anche in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico. L'odierno imputato, difatti, ha consapevolmente impedito la ricostruzione patrimoniale della Qu. s.r.l., all'evidente fine di recare pregiudizio ai creditori, in quanto lo stesso ha più volte ignorato i solleciti di consegna da parte del curatore, nonostante le ripetute lettere di convocazione speditegli, mancando di qualsivoglia comportamento collaborativo. Cosicché il sottrarsi ad ogni contatto con il curatore, unitamente alla omessa consegna delle scritture contabili e alla elevata esposizione debitoria (accertata per effetto delle sole domande di insinuazione al passivo), rappresentano indici univocamente sintomatici dell'elemento psicologico richiesto dalla norma. Dirimenti sono le già menzionate dichiarazioni del curatore che, a più riprese, ha ribadito di non aver trovato alcuna documentazione contabile e di non aver ottenuto alcuna collaborazione da parte dell'amministratore, Vi.Ta., per ottenere i libri e le scritture aziendali. In conclusione, le complessive risultanze istruttorie permettono di ritenere ampiamente provati i fatti contestati al capo B) dell'imputazione, emergendo in maniera univoca l'esistenza di operazioni imponibili non registrate nella contabilità e l'occultamento delle fatture e delle scritture contabili ad opera dell'amministratore e legale rappresentante della società fallita. Ciò, evidentemente, al fine di ostacolare la ricostruzione del patrimonio societario e dunque pregiudicare i creditori sociali. Deve, pertanto, essere affermata la penale responsabilità dell'imputato in ordine ai reati ascrittigli in rubrica, giacché, ai sensi dell'art. 223 L.F., si applicano le pene stabilite dall'art. 216 L.F. (nel caso di specie dall'art. 216 comma 1 L.F., ricorrendo le ipotesi di cui ai numeri 1 e 2 di tale comma) anche agli amministratori, come il V., di società dichiarate fallite, come la Qu. s.r.l., i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. Tanto chiarito, corretta è la contestazione della circostanza aggravante di cui all'art. 219 co.2 n.1. L.F. Al riguardo, come ha precisato la Cass. SS. UU., con la Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 Cc. (dep. 26/05/2011) Rv. 249665 - 01: "In tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 cod. pen.". Nello stesso senso, più di recente, si è espressa Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 44097 del 05/07/2019 Ud. - dep. 29/10/2019 - Rv. 277407 - 01. Nello stesso senso si era già espressa Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 50349/2014 che, però, richiamandosi non solo al principio enunciato in massima da S.U. cit., ma anche agli ulteriori principi illustrati in motivazione delle stesse SS.UU., precisa che, sotto il profilo formale, detta speciale ipotesi di continuazione integra una circostanza aggravante con la conseguenza della assoggettabilità della stessa al giudizio di bilanciamento: "La configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare di cui all'art. 219, comma secondo, n. 1 l.fall., quale circostanza aggravante, ne comporta l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti". Spiega la Corte in motivazione: "Le Sezioni Unite hanno di recente affermato che, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dalla L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, disposizione che pertanto non prevede, sotto il prof lo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p. (Sez. Un., n. 21039 del 27 gennaio 2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249665). Nell'occasione, però, il Supremo Collegio ha avuto altresì modo di precisare che la disposizione menzionata "postula l'unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri indici qualificanti; a) il nomen iuris, circostanze, adottato nella rubrica; b) la generica formula utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento (le pene ... sono aumentate) implica il necessario richiamo all'art. 64 c.p., che è l'unica disposizione che consente di modulare la detta variazione sanzionandola" aggiungendo altresì come sia "indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante". Circostanza che la sentenza Loy riconosce non corrispondere però sotto il profilo strutturale al paradigma tipico della categoria di formale appartenenza, dovendosi dunque concludere che "la L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, disciplina, nella sostanza, un'ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatolo nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante". In definitiva, nella lettura fornita dalle Sezioni Unite, la speciale regolamentazione del concorso di reati fallimentari contenuta nella disposizione menzionata è stata, per esplicita volontà del legislatore, formalmente qualificata come circostanza aggravante. Qualificazione che, se non è certo sufficiente per imprimere alla fattispecie descritta nella L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, il profilo sostanziale proprio delle circostanze, ciò non di meno è funzionale al suo assoggettamento alla disciplina generale dettata per queste ultime, contrariamente a quanto sostenuto dal P.G. ricorrente. Ed in tal senso decisivo appare soprattutto il meccanismo di calcolo dell'aumento di pena prescelto, il quale, nel discostarsi vistosamente da quello previsto dall'art. 81 c.p., per la continuazione "ordinaria", non si ispira solo al lessico proprio delle norme che configurano circostanze aggravanti, ma, come per l'appunto osservato nella sentenza citata, sostanzialmente rinvia all'art. 64 c.p., unica disposizione idonea a rivelarne l'effettiva misura. Va dunque ribadito che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione fallimentare debba applicarsi tra l'altro anche l'art. 69 c.p., e che pertanto, nell'ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l'aumento di pena previsto dall'art. 219, qualora all'esito del giudizio di bilanciamento la "circostanza" in questione venga ritenuta minusvalente (in questo senso di recente Sez. 5, n. 21036 del 17 aprile 2013, P.G. in proc. B., Rv. 255146; Sez. 5, n. 51194 del 12 novembre 2013, P.G. in proc. C., Rv. 258675)". Nello stesso senso sul punto, si è pronunciata da ultimo Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 48361 del 17/09/2018: "La configurazione formale della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall'art. 219, comma secondo, n.1, legge fall., come circostanza aggravante, ne comporta l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le eventuali attenuanti" Non vi è dubbio, pertanto, alla luce delle esposte considerazioni, che sussista tra i reati di cui ai capi A) e B) della rubrica, accertati a carico dell'imputato Vi.Ta., la speciale ipotesi di "continuazione fallimentare" di cui all'art. 219 comma 2 n. 1) L.F. che però, come detto, si atteggia in termini di concreta operatività quale circostanza aggravante. Ciò posto, venendo al trattamento sanzionatorio, ritiene il Collegio che non possano essere riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche data l'assenza di qualsivoglia comportamento collaborativo né di resipiscenza del medesimo e considerato il grado di disvalore delle condotte di reato, affatto moderato. Pertanto, alla luce di tutti i parametri indicati nell'art. 133 c.p., si stima equa la complessiva pena di anni quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena così determinata: pena base per la violazione più grave (individuata nel reato di cui all'art. 216 comma 1 n. 1 L.F., a parità di gravità con quella di cui all'art. 216 comma 1 n.2 L.F.) anni tre e mesi sei di reclusione (la gravità della condotta e l'ammontare del danno causato alla par condicio creditorum consentono infatti di discostarsi dal minimo edittale), aumentata per l'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 219 comma 2 n.1 L.F. (dell'aver commesso più fatti di bancarotta) nella misura di mesi sei di reclusione; p.f.: anni quattro di reclusione. A tale condanna consegue la pena accessoria di cui all'art. 29 comma 1 seconda parte c.p. Dunque, l'imputato deve essere dichiarato interdetto dai pubblici uffici per anni cinque. Alla condanna conseguono, altresì, le pene accessorie di cui all'art. 216 L.F. ex art. 223 L.F. Con riguardo alla determinazione della durata di tali ultime pene accessorie, come insegna la giurisprudenza di legittimità: "In tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dall'art. 216, ult. comma, legge fall., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell'art. 37 cod. pen., in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio" (cfr. Cass. Pen. Sez. V, Sentenza n. 5882 del 2019). In applicazione del principio, la Corte, riconoscendo d'ufficio l'illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 216, ult. comma, legge fall., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità. Spiega in motivazione la Corte che: "Occorre dunque adottare una soluzione capace di garantire quella elasticità necessaria a consentire al giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle pene accessorie previste dalla disposizione censurata, sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen.". Ciò posto, si ritiene equo determinare la durata di dette pene accessorie, in relazione alla sentenza di condanna pronunciata con la presente sentenza, in misura pari a quella della pena principale, come sopra determinata. Dunque, l'imputato deve essere dichiarato inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale per la durata di anni quattro e incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Ai sensi dell'art. 544, co. 3, c.p.p., in virtù della complessità della stesura della motivazione, si indica il termine di giorni 60 per il deposito della motivazione. P.Q.M. visti gli art. 533 e 535 c.p.p., dichiara Vi.Ta. colpevole dei reati ascrittigli e lo condanna alla pena di anni quattro di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali; visto l'art. 216 L.F., dichiara Vi.Ta. inabilitato per la durata di anni quattro all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa; visto l'art. 29 c.p. dichiara Vi.Ta. interdetta dai pubblici uffici per la durata di anni cinque; visto l'art. 544 comma 3 c.p.p., indica in giorni sessanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Campobasso il 13 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE di CAMPOBASSO SEZIONE PENALE Dott. Tommaso Barbara con la presenza del P.M., v.p.o. avv. Ni.CH. e con l'assistenza del Cancelliere, dott.ssa As.MO. ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro Bo.Ma., nato a B. (G.) il (...) e residente a V. (C.) in Via G. R. L. n. 44/a, elettivamente domiciliato presso l'Associazione "V.F." di C. (C.), sita in via T. n. 67; libero, assente; assistito e difeso, di fiducia, dall'avv. Ma.Be., del foro di Vasto, presente; IMPUTATO per il reato previsto e punito dall'art. 81, 337 del codice penale, poiché, nella sua qualità di detenuto presso la casa circondariale di Campobasso, dopo essersi introdotto all'interno dell'infermeria senza autorizzazione, usava violenza nei confronti dell'Ass. C.C. P.G., nel frattempo intervenuto al fine di placare la sua aggressività, tentando di colpirlo alla gola con una penna e minacciava altresì il Sov te C., sopraggiunto successivamente in soccorso del collega, con frasi del tipo "mi inculo a tutti voi sbirri, l'infermiera mi deve dare il suboxone, il direttore del carcere mi deve pagare tutti i danni causati in questi anni in cui sono stato, ed anche lo psichiatra la deve pagare" Commesso in Campobasso, il 25/05/2022 Con recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e per fatto commesso durante l'esecuzione della pena di cui all'art. 99 co. 4 seconda parte, in relazione all'art. 99 co. 2 n. 1), 2) e 3) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 22.2.2023 il PM in sede citava a giudizio Bo.Ma. dinanzi all'intestato Tribunale, ih composizione monocratica, affinché rispondesse del reato indicato in epigrafe. All'udienza predibattimentale del 29.9.2023, preliminarmente, la difesa eccepiva il difetto di notifica del decreto di citazione a giudizio nei confronti dell'imputato; indi, il Giudice, sentite le parti, rilevato che la notifica dell'atto introduttivo risultava eseguita a mani dell'imputato, il quale aveva rifiutato di firmare il verbale di avvenuta ricezione dello stesso, rigettava l'eccezione difensiva, disponeva procedersi in assenza dell'imputato e concedeva alla difesa un breve termine al fine di munirsi di procura speciale per definire il giudizio mediante rito alternativo, rinviando la trattazione del processo all'udienza del 12.1.2024. In tale data, il difensore dell'imputato, munito di procura speciale, formulava istanza di definizione del giudizio nelle forme del rito abbreviato; indi, il Giudice, ammessa la richiesta, rinviava il processo, per la discussione, all'udienza del 15.3.2024. All'odierna udienza, acquisita, previo consenso del P.M., la documentazione sanitaria prodotta dalla difesa, le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e, all'esito, il Giudice decideva come da dispositivo. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze probatorie consentono di pervenire ad un giudizio di responsabilità dell'imputato in ordine al delitto continuato contestatogli in rubrica. Gli elementi a carico dell'odierno prevenuto si evincono plasticamente dagli atti confluiti nel fascicolo delle indagini preliminari, tutti utilizzabili in ragione del rito prescelto dal procuratore speciale di Bo.Ma., e, segnatamente, dalla C.N.R. redatta dal personale della Polizia Penitenziaria del Comando di Reparto di Campobasso, nonché dalle relazioni di servizio a firma degli agenti di Polizia Penitenziaria intervenuti nell'immediatezza dei fatti. In particolar modo, dalla C.N.R. appena citata, si evince che, in data 25.5.2022, l'odierno imputato, approfittando dell'apertura delle porte di accesso della sezione IV della Casa Circondariale di Campobasso e dell'infermeria, riusciva ad introdursi all'interno di quest'ultima senza autorizzazione. Per tale ragione, la Sala Regia allertava l'assistente Capo Coordinatore, P.G., il quale raggiungeva immediatamente l'imputato presso l'astanteria. In quel frangente, il B. domandava all'infermiera, M.G., una fiala di toradol e, mentre la sanitaria preparava del placebo per il detenuto, quest'ultimo si impossessava di una siringa poggiata su un carrello. Il P., quindi, provvedeva a fermare il B., il quale, tuttavia, per sfuggire all'intervento dell'agente della Polizia Penitenziaria, dapprima si divincolava e, successivamente, cercava di colpirlo alla gola con una penna bic che aveva nella sua disponibilità. Successivamente, il B. dichiarava di aver ingerito parte della penna, ragion per cui lo stesso veniva trasferito presso il Pronto Soccorso per degli accertamenti. Tanto premesso, l'assistente capo, V.E., in servizio al momento dei fatti presso la Sala Regia Centrale della Casa Circondariale di Campobasso, nell'annotazione di servizio a sua firma (pag. 5 del fascicolo delle indagini preliminari) esponeva di aver visto il detenuto B. recarsi presso l'infermeria dopo aver cercato di parlare invano con il medico di turno. Per tale ragione, richiedeva l'intervento dell'agente P. per verificare cosa stesse accadendo e, in seguito, contattata telefonicamente l'area sanitaria, le rispondeva l'infermiera M.G., la quale, in stato di agitazione, le chiedeva di inviare la sorveglianza poiché il B. stava aggredendo il predetto agente di polizia penitenziaria. P.G., nella propria annotazione del 25.5.2022, rappresentava che, in quella serata, mentre si trovava nei pressi dell'ingresso principale della Casa Circondariale per far uscire il medico turno, notava che il B. si stava recando in infermeria senza alcuna autorizzazione. In quello stesso frangente, ricevuta la segnalazione della Sala Regia, raggiungeva l'odierno imputato, il quale "immediatamente chiedeva all'infermiera presente una terapia tramite iniezione ma, poco dopo, rifiutava la stessa terapia e, all'improvviso, si alzava dalla sedia prelevando una siringa che l'infermiera aveva lasciato sul carrello. Prontamente provvedevo a bloccare il detenuto e a prelevare la siringa, ma lo stesso detenuto - opponendo resistenza riusciva a divincolarsi e, con una penna bic che probabilmente aveva al seguito, si scagliava verso la mia persona cercando di colpirmi all'altezza della gola, ma senza riuscirci in quanto mi allontanavo" (v. annotazione a pag. 6 fascicolo del P.M.). C.A., intervenuto nell'immediatezza dei fatti, nella propria relazione di servizio del 25.5.2022, esponeva quanto segue:" ...Recatomi in infermeria notavo l'Ass.te P.G. che cercava di calmare il detenuto B.M. e l'infermiera di turno M.G. nel corridoio spaventata. Cercavo di portare alla calma il detenuto oggettivato e chiedevo allo stesso cosa fosse accaduto. Con voce alta e agitato mi rispondeva che voleva andare all'Ospedale perché aveva ingerito la punta di una penna e parte dell'inchiostro. Successivamente l'infermiera mi mostrava una penna rotta. Più colte tentavo di calmare il detenuto B., ma questi rispondeva: "mi inculo a tutti voi sbirri, l'infermiera mi deve dare il suboxone, il Direttore del carcere mi deve pagare tutti i danni causati in questi anni che sono stato e anche lo psichiatra la deve pagare." Faccio presente che l'infermiere ha ritenuto chiamare la guardia medica per le cure del caso che giungeva in Istituto alle ore 21:10 e che, a sua volta, disponeva l'invio al Pronto Soccorso del detenuto B. per prevenire danni alla persona." (cfr. relazione di servizio a pag. 8 fascicolo delle indagini preliminari). Quanto innanzi veniva, altresì, riscontrato nella relazione a firma dell'infermiera, M.G., nonché dai verbali di pronto soccorso del P.O. di C., da cui si evince sia lo stato di agitazione del detenuto sia la presenza di un corpo estraneo, dotato di punta di circa 1 cm di diametro, localizzato a livello gastrico alla TC addome. Gli elementi oggettivi sin qui rappresentati consentono di affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale dell'imputato in ordine alla commissione del reato continuato ascrittogli in imputazione. Preliminarmente, va evidenziato che gli atti della Polizia Giudiziaria sopra illustrati sono chiari, logici e precisi, nonché privi di contraddizioni interne o esterne, sicché possono essere posti a fondamento della decisione. Ciò posto, giova preliminarmente ricordare che l'art. 337 c.p. sanziona chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza. Gli elementi essenziali del reato risultano, dunque, essere alternativamente la violenza o la minaccia, utilizzati quali strumenti per coartare la volontà del soggetto pubblico nel compimento delle sue funzioni; tali elementi devono tuttavia essere idonei ad impedire il compimento dell'atto non potendosi configurare l'ipotesi delittuosa con mere condotte di resistenza passiva. Sul punto, va precisato che la giurisprudenza di legittimità, con un orientamento granitico, ha chiarito che "ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 336 cod. pen., l'idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri deve essere valutata con un giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato" (cfr. Cass., sez. VI, sent. n. 32705 del 2014); contrariamente, se la minaccia o la violenza vengono poste in essere durante il compimento dell'atto d'ufficio, il soggetto attuatore risponderà dell'ipotesi delittuosa ex art. 337 c.p. (cfr. Cass. Sez. VI, Sent. n.16949 del 2019). Ciò posto, per la configurabilità del delitto in esame è sufficiente che la condotta rappresenti un impedimento concreto per l'esercizio del pubblico ufficio, senza che occorra una limitazione della libertà di azione del pubblico ufficiale; la violenza - come la minaccia - è considerata solo sotto il profilo della idoneità ad impedire o turbare l'attività del funzionario, senza che sia necessario che lo stesso riporti delle lesioni o delle conseguenze dannose a seguito della condotta delittuosa subita. Quanto all'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 337 c.p., lo stesso va individuato nel dolo specifico che si concreta nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di opporsi al compimento di un atto dell'ufficio, mentre del tutto estranei sono lo scopo mediato ed i motivi di fatto avuti di mira dall'agente (v. Cass. Sez. VI, Sent. n. 38786 del 2014). L'obiettivo perseguito dall'agente è quello di influenzare la sfera operativa del pubblico ufficiale, al fine di impedire l'esercizio delle proprie funzioni, essendo sufficiente che sia usata violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento dell'atto (off. Cass. Sez. VI, Sent. n. 46743 del 2013); come pure, non è necessario che si conosca lo specifico atto d'ufficio che il pubblico agente debba eseguire, quando sia comunque percepibile che si tratta di attività lato sensu di controllo della persona (Cass., Sez. VI, Sent. n. 24247 del 2022). Orbene, rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda in esame, la condotta del B., il quale si è opposto all'attività di controllo da parte della polizia penitenziaria, mediante resistenza estrinsecatasi sia in atteggiamenti violenti, consisti nel tentativo di colpire alla gola l'agente P.G. mediante una penna bic, sia in minacce, prospettando un male ingiusto a C.A. con le seguenti espressioni "mi inculo a tutti voi sbirri, l'infermiera mi deve dare il suboxone, il Direttore del carcere mi deve pagare tutti i danni causati in questi anni che sono stato e anche lo psichiatra la deve pagare", integra, in entrambi i casi, il delitto di cui all'art. 337 c.p. Difatti, è indubbio che, al momento dei fatti per cui è giudizio, il personale della polizia penitenziaria sopra citato stesse compiendo una normale attività di controllo all'interno dell'infermeria della Casa Circondariale di Campobasso, attesa la presenza non giustificata dell'odierno imputato nell'astanteria. Allo stesso modo, è indubbia l'idoneità della condotta appena stigmatizzata ad ostacolare l'attività degli agenti P. e C.. Non può, pertanto, essere condivisa la tesi prospettata dal procuratore speciale dell'imputato, secondo cui il contegno serbato dal B. nei confronti del sovrintendente C. integrerebbe gli estremi della resistenza passiva non punibile, dal momento che il tenore certamente minaccioso delle sue espressioni era sicuramente idoneo a turbare l'operato del pubblico ufficiale, intervenuto per prestare, assistenza a P.G.. Corretta deve ritenersi la contestazione del concorso formale, di reati. A tal proposito, va rimarcato il principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pienamente trasponibile nella vicenda in esame, secondo cui: "in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell'art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio" (così, Cass. Sez. U., Sent. n. 40981 del 2018). Corretta risulta, altresì, la contestazione della recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e vera. Il prevenuto risulta, infatti, gravato da una condanna ex art. 628 c.p. divenuta irrevocabile il 15.01.2019, nonché da molteplici ulteriori condanne per reati di furto, evasione e lesioni. A ciò si aggiunga che il B. ha commesso i delitti per cui si procede, allorquando si trovava ristretto, in esecuzione pena, nella Casa Circondariale di Campobasso. Quanto alla natura specifica della recidiva, va premesso che la nozione di tale particolare tipologia di aggravante soggettiva è modellata sulla base di quanto disciplinato dall'art. 101 cod. pen. in virtù del quale si considerano "reati della stessa indole" non soltanto quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli c.d. "omogenei" che, pur disciplinati da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, desunti - anche a prescindere dall'identità del bene protetto - dalle modalità di esecuzione o dai moventi del reo, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni. Ne discende che più reati possono considerarsi appartenenti alla medesima categoria o per la rilevata comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali essi sono stati posti in essere ovvero quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l'inclinazione verso un'identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, gli espedienti adottati o le modalità di aggressione dell'altrui diritti rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa (in tali termini, si veda Cass. Pen. Sez. III, Sent. n. 11954/2010). Rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda in esame, lo scrivente Giudice ritiene che la condotta posta in essere dal B., connotantesi per la sua spiccata violenza, presenti caratteri comuni con il delitto di rapina per cui lo stesso è stato condannato nel 2019, tipico reato predatorio caratterizzato dalla violenza sulla persona. Sussiste, pertanto, la contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e vera. Venendo al trattamento sanzionatorio, non si ritiene che l'odierno imputato sia meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, attesa la gravità della condotta dallo stesso posta in essere, profondamente antigiuridica e irrispettosa di qualsiasi norma e, soprattutto, in spregio degli organi di polizia deputati al suo controllo. A ciò si aggiunga che le modalità con le quali si sono consumati i reati sono sintomatiche di una personalità violenta e pericolosa dell'imputato. Del resto, la dipendenza del B. da oppiacei, cocaina e eroina, come attestata nella documentazione sanitaria prodotta dalla difesa, potrebbe, al più, essere valutata in senso sfavorevole all'imputato, così come previsto dall'ultimo comma dell'art. 94 c.p., non potendo lo stato di salute del prevenuto, da sé solo, giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche Tanto premesso, è da ritenere che il prevenuto abbia posto in essere tutte le condotte sin qui descritte nell'ambito di un medesimo disegno criminoso - finalizzato ad opporsi all'attività degli agenti della polizia penitenziaria, intervenuti per garantire la sicurezza all'interno della Casa Circondariale di Campobasso- devono pertanto ritenersi avvinte dal vincolo della continuazione criminosa "interna", ex art. 81 c.p., tutti i reati commessi (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, n. 13611/2011, alla cui stregua l'accertamento circa l'esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento dell'ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio arco di tempo). Delitto più grave in astratto rimane deve ritenersi quello commesso in danno di P.G., in quanto segnante l'exordium criminis da parte dell'odierno imputato. Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p., l'imputato deve essere condannato alla pena di giustizia di anni uno di reclusione. Detta pena deve intendersi così calcolata: pena base per il reato più grave in astratto ex 337 c.p. commesso in danno di P.G.: mesi nove di reclusione (l'intensità del dolo che ha sorretto la condotta e le sue modalità consentono infatti di discostarsi dal minimo edittale); aumentata la pena di mesi sei di reclusione in virtù della riconosciuta recidiva reiterata specifica, infraquinquennale e vera: anni uno e mesi tre di reclusione; aumentata la pena ex art. 81 c.p.v., per l'intensità del dolo che ha sorretto l'azione, di ulteriori mesi tre di reclusione per il delitto ex art. 337 c.p. commesso in danno di C.A., in ragione di quanto disposto dall'art. 81 co. 4 c.p.: anni uno e mesi sei di reclusione; ridotta la pena di un terzo in ragione del rito prescelto: anni uno di reclusione; p.f.: anni uno di reclusione. L'imputato non versa nelle condizioni soggettive per beneficiare della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. In considerazione delle precedenti esperienze giudiziarie dell'imputato, nel corso delle quali lo stesso ha riportato plurime sentenze di condanna dal 2007 al 2019, nonché tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., e, segnatamente, l'intensità del dolo che ha sorretto la condotta del prevenuto, nonché la personalità del reo, connotata in senso spiccatamente criminogeno, le pene sostitutive di cui all'art. 53 L. n. 689 del 1981 non possono ritenersi, alla luce dell'art. 58 della medesima disposizione normativa, più idonee alla rieducazione di Bo.Ma.. A norma dell'art. 535 c.p.p., l'imputato deve essere, altresì, condannato al pagamento delle spese processuali. Motivazione riservata nel termine ordinario di legge. P.Q.M. Visti gli artt. 438 e ss. c.p.p., 533 e ss. c.p.p.; dichiara Bo.Ma. colpevole del reato continuato ascrittogli in rubrica e, per l'effetto, ritenuto più grave quello commesso in danno di P.G., riconosciuta la contestata recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale, vera lo condanna, previa applicazione della diminuente di rito, alla pena di giustizia di anni uno di reclusione. Visto l'art. 535 c.p.p., condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali. Motivazione riservata nel termine ordinario di legge. Così deciso in Campobasso il 15 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO DEL TRIBUNALE di CAMPOBASSO SEZIONE PENALE Dott. Tommaso Barbara con la presenza del P.M., V.P.O. avv. Nicola CHICA e con l'assistenza del Cancelliere, dott.ssa Assunta MORELLI ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro: Ca.An., nato a Ca. il (...), ivi residente e con domicilio eletto alla via Ca. n.221; libero, già presente, non comparso; assistito e difeso, d'ufficio, dall'avv. Fa.De., del foro di Campobasso- presente. IMPUTATO dei r. p. e p. dagli artt. 81, 495, 489 c. p. perché, al fine di ottenere l'assunzione a tempo determinato come cuoco presso il Convitto Nazionale Ma. di Campobasso, attestava contrariamente al vero di essere in possesso del titolo di studio di scuola alberghiera, servizio ristorazione e cucina, mai conseguito, esibendo poi e dunque facendone uso, un certificato, falso, di diploma di per addetto ai servizi alberghieri di cucina In Campobasso, 17.01.2022 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto dell'1.2.2023, il G.u.p. in sede disponeva il rinvio a giudizio innanzi al Tribunale di Campobasso, in composizione monocratica, nei confronti di Ca.An., perché lo stesso rispondesse dei reati ascrittigli in rubrica. All'udienza del 5.5.2023, il Giudice, verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, dichiarava aperto il dibattimento e ammetteva le prove così come richieste dalle parti, rinviando il processo per l'inizio dell'attività istruttoria all'udienza del 29.9.2023. L'udienza del 29.9.2023 veniva differita, attesa l'assenza del teste della Pubblica Accusa, al 19.1.2024, allorquando le parti, procedevano, all'escussione di Gi.Ro.; all'esito, dato atto che non si procedeva all'esame dell'imputato perché assente e preso atto della rinuncia della difesa all'esame del teste Ma.An., nulla opponendo il P.M., il giudizio veniva aggiornato all'8.3.2024, per il completamento dell'attività istruttoria e la discussione. All'odierna udienza, acquisita, nulla opponendo la difesa, la documentazione prodotta dal P.M. e dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti rassegnavano le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e il Giudice decideva come da dispositivo, indicando, ex art. 544 co. 3 c.p.p., il termine di giorni 30 per il deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Le risultanze probatorie consentono di pervenire ad un giudizio di responsabilità dell'imputato in ordine ai delitti ascrittigli in imputazione. Invero, l'odierna vicenda processuale trae origine dall'istanza di inserimento nelle graduatorie di circolo e istituto del personale tecnico amministrativo e ausiliario, presentata dall'odierno imputato telematicamente in data 26.4.2021, in cui il Ca. ha indicato, quale titolo di accesso alla graduatoria, il diploma triennale di operatore di servizi ristorazione - settore cucina, conseguito nell'anno 1993 presso l'istituto tecnico alberghiero di Termoli. Ciò chiarito, ai fini di una migliore ricostruzione della vicenda di cui ci si occupa, giova partire dall'esame delle dichiarazioni rese dalla teste, Gi.Ro. all'udienza del 19.1.2024. La stessa, in qualità di Dirigente Scolastico del Convitto Nazionale. "Ma.", ha dichiarato che, a seguito della domanda del Ca. e prima della sua nomina come supplente, ha accertato la sussistenza dei requisiti dichiarati dall'odierno imputato in sede di istanza, constatando che lo stesso non risultava titolare del titolo di studio di scuola alberghiera. A tal proposito, ha esposto che: "Facendo l'accertamento del titoli, perché c 'era la dichiarazione del diploma Alberghiero, noi abbiamo chiamato le varie, scuole, abbiamo scritto alle varie scuole, così come si fa la procedura di accertamento, e non risultava né all'Alberghiero di Termoli, che poi aveva detto che dipendeva allora dal Pilla, è stata contattata anche l'altra scuola. Quindi è stato fatto un passaggio tra le varie scuole, l'ultimo è stato l'Alberghiero di Roccaraso che ci ha risposto che non risultava da nessuna parte come studente o diplomato e quindi non avevamo il titolo da lui dichiarato" (cfr. pag. 4 del verbale stenotipico di udienza del 19.1.2024). La G. ha, poi, aggiunto che, a seguito di tale accertamento, veniva comunicato al Ca. il licenziamento. Così riassunte le prove dichiarative raccolte nel corso dell'istruttoria dibattimentale, va, in primo luogo, evidenziato che le dichiarazioni del teste, sopra illustrate; sono chiare, logiche e precise, nonché prive di contraddizioni interne o esterne, sicché possono essere poste a fondamento della decisione. Le stesse, poi, hanno trovato pieno riscontro nella documentazione acquisita agli atti del dibattimento. In particolare, oltre agli allegati alla domanda presentata dal Ca., tra cui si rinviene la copia di un cerificato di diploma conseguito presso l'Istituto Alberghiero di R., ci si riferisce alle comunicazioni pervenute al Convitto Nazionale Ma. dalla Scuola "D.P. - D.R." di R., in cui si attesta che l'imputato non è mai stato alunno del predetto istituto, e dall'Istituto "S. Pertini - L. Montini - V. Cuoco", attestante che il Ca. non ha mai conseguito il diploma di addetto ai servizi alberghieri di cucina (cfr. pagg. da 18 a 27 del fascicolo del P.M., acquisite all'udienza dell'8.3.2024). Tanto premesso, passando all'esame dei reati contestati in imputazione, va in primo luogo ricordato che il delitto di cui all'art. 495 c.p. punisce la condotta di chi dichiara o attesta al pubblico ufficiale falsamente l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona. Nella formulazione vigente della norma non è più necessario che la falsa dichiarazione relativa alla propria identità o qualità divenga parte integrante di un atto pubblico, essendo sufficiente la mera falsa dichiarazione, resa a titolo di dolo generico. Nella nozione di qualità personali cui fa riferimento l'art. 495 c.p., rientrano, oltre all'identità e allo stato civile, anche altre qualità che pure contribuiscono ad identificare le persone, quali, ad es., il luogo di residenza, la professione, l'ufficio pubblico ricoperto, i precedenti penali, la certificazione antimafia (così, Cass., Sez. V, Sent. n. 26440 del 2022). Orbene, rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda di cui ci si occupa, gli elementi di prova sopra riportati consentono di affermare la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 495 c.p. Il Ca., infatti, come emerge dalla documentazione acquisita nel corso dell'istruttoria dibattimentale e esposto dalla teste G., ha falsamente indicato in istanza di essere titolare del diploma di scuola alberghiero, conseguito nell'anno 1993, presso l'istituto tecnico alberghiero di Termoli. Tale circostanza, tuttavia, è stata smentita a seguito degli accertamenti espletati dal Convitto Nazionale "Ma.", i quali, come già detto, hanno consentito di appurare che l'imputato non ha mai conseguito il predetto titolo di studio. Circa la corretta qualificazione giuridica del reato di cui innanzi, occorre richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui: "Le mendaci dichiarazioni sulle qualità proprie configurano l'ipotesi prevista dall'art. 496 cod. pen. ogni qual volta il mendacio non abbia alcuna attinenza, ne' diretta ne' indiretta, con la formazione di un pubblico atto. Se le dichiarazioni siano invece destinate ad essere riprodotte in un atto pubblico o vengano ad integrarne il contenuto o siano comunque rilevanti ai fini della formazione di esso, si realizza allora l'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 495 cod. pen. (fattispecie relativa ad una mendace dichiarazione sul possesso del titolo di studio contenuta in una domanda rivolta dall'imputato al provveditore agli studi per l'inclusione nelle graduatorie provinciali dei bidelli; la Cassazione, nell'affermare il principio di cui in massima ha ritenuto esatto l'assunto dei giudici di appello che avevano ritenuto che il fatto integrava il reato di cui all'art. 495 c.p. sul rilievo che la dichiarazione mendace aveva influito sulla formazione della graduatoria con conseguente assunzione dell'imputato come bidello" (Cfr. Cass. Sent. n. 11488 del 1990). Nessun dubbio si pone in merito alla qualifica di atto pubblico delle graduatorie di circolo. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che le graduatorie di circolo didattico sono atti pubblici formati dal direttore didattico sulla scorta delle domande degli aspiranti all'impiego, della cui posizione rispetto al circolo egli fa nuova e specifica attestazione (cfr. Cass. Sent. n. 6437 del 1996). Allo stesso modo, nessun dubbio residua circa la sussistenza dell'elemento psicologico in capo al Ca., essendo stato il mendacio strumentale al suo inserimento nella graduatoria di circolo e istituto del personale tecnico amministrativo e ausiliario. Ciò posto, quanto al delitto di cui all'art. 489 c.p., lo stesso si configura allorquando taluno, senza essere concorso nella falsità, si serve di un atto falso. Trattasi di reato istantaneo e non permanente, in quanto la sua consumazione si esaurisce con l'uso, mentre la protrazione nel tempo degli effetti da questo prodotti rappresenta il risultato dell'azione criminosa (Cfr. Cass. Sent. n. 38740 del 2023). Orbene, rapportate tali coordinate ermeneutiche alla vicenda in esame, dalla documentazione acquisita agli atti del dibattimento, appare ictu oculi evidente che l'odierno imputato si sia servito di un falso diploma di addetto ai servizi alberghieri di cucina conseguito nell'anno 1993 presso l'Istituto Alberghiero di Roccaraso. La prova della falsità di tale documento si rinviene agevolmente nella su citata comunicazione pervenuta al Convitto Nazionale "Ma." dall'Istituto "D.P. - D.R." di R., in cui si attesta che l'odierno imputato non è mai stato alunno di tale scuola. Nessun dubbio, poi, residua in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico in capo all'imputato, essendo l'utilizzo dell'atto falso strumentale al suo inserimento nella graduatoria di istituto e all'assunzione. L'assenza di elementi da cui desumere che il Ca. abbia concorso materialmente alla realizzazione del falso, circostanza che se provata avrebbe integrato un delitto ben più grave di quello per cui è giudizio, consentono, anche in un'ottica di favor rei, di ritenere corretta la qualificazione giuridica operata dalla Pubblica Accusa. Si ritiene, pertanto, provata la responsabilità penale dell'imputato anche con riferimento al delitto di cui all'art. 489 c.p. Venendo al trattamento sanzionatorio, l'esigenza di adeguare la pena in concreto irroganda all'effettivo disvalore dei fatti, lo stato di incensuratezza dell'imputato e la sua leale condotta processuale consentono di ritenere il Ca. meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. E' da ritenere che il Ca. abbia posto in essere tutte le condotte sin qui descritte nell'ambito di un medesimo disegno criminoso - finalizzato all'ottenimento dell'indebita assunzione presso il Convitto Ma. - dovendosi, quindi, reputare avvinti dal vincolo della continuazione criminosa "interna", ex art. 81 c.p., tutti i reati commessi (cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, n. 13611/2011, alla cui stregua l'accertamento circa l'esistenza di un medesimo disegno criminoso tra più reati, tra i quali si asserisca il vincolo di continuazione, deve essere riferito al momento dell'ideazione e deliberazione del primo dei reati in senso cronologico, a nulla rilevando che questo abbia avuto una reiterazione in più episodi nel corso di un ampio arco di tempo). Delitto più grave in astratto rimane, sul piano sanzionatorio, quello di cui all'art. 495 c.p. Pertanto, valutati tutti gli elementi di cui all'art. 133 c.p. Ca.An. deve essere condannato alla pena di giustizia di mesi nove di reclusione. La pena deve intendersi così determinata: p.b., da individuarsi nel minimo edittale del delitto più grave di cui all'art. 495 c.p.: anni uno di reclusione; ridotta di 1/3 per la concessione delle circostanze attenuanti generiche: mesi otto di reclusione; aumentata la pena, ex art. 81 cpv c.p., per l'intensità del dolo che ha sorretto l'azione dell'imputato, di mesi uno di reclusione; p.f. mesi nove di reclusione. A norma dell'art. 535 c.p.p., l'imputato deve essere, altresì, condannato al pagamento delle spese processuali. L'assenza di pregiudizi penali induce a ritenere, anche in ragione dell'auspicabile effetto deterrente discendente dalla presente sentenza, che l'imputato si asterrà, per il futuro, dal commettere ulteriori reati; sicché, in permanenza degli altri requisiti di legge, può concedersi la sospensione condizionale della pena. Ai sensi dell'art. 544, co. 3, c.p.p., si indica il termine di giorni trenta per il deposito della motivazione. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ca.An. colpevole dei delitti ascrittigli in imputazione, unificati dal vincolo della continuazione criminosa, e, ritenuto più grave quello di cui all'art. 495 c.p., concesse all'imputato le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di giustizia mesi nove di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 163 c.p., ordina che la pena come sopra inflitta resti sospesa per anni cinque alle condizioni di legge. Visto l'art. 544 co. 3 c.p.p., indica il termine di giorni 30 per il deposito della motivazione. Così deciso in Campobasso l'8 marzo 2024. Depositata in Cancelleria il 12 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE MONOCRATICO del TRIBUNALE di CAMPOBASSO Sezione Penale Dott. Tommaso Barbara con la presenza del P.M., dott. Paolo POMPA e con l'assistenza del Cancelliere, dott.ssa Tiziana TOMACIELLO ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa penale di primo grado contro Fr.En. nato a C. il (...), residente in C. del B. alla via O. del C. n. 5 - libero, assente; assistito e difeso, di fiducia, dall'Avv. Fa.Al. del foro di Campobasso, presente; IMPUTATO Capo A) del reato p. e p. dall'art. 589 c.p. per aver cagionato, per colpa, la morte di Ma.Lu.. In particolare, quale Sindaco p. t. del Comune di Castellino del Biferno (CB) e responsabile p.t. dell'Ufficio Tecnico dello stesso comune, per negligenza, ometteva di collocare i ripari prescritti dalla legge per impedire pericoli alle persone in luogo di pubblico transito, relativamente al pozzetto raccogli-acque, a forma quadrata, delle dimensioni di cm. 170 x 170 laterali e cm. 95 di altezza, localizzata in C. del B., frazione Nuovo Abitato (coordinate G.B.: est (...) nord (...)). Così facendo, cagionava la morte di Ma.Lu. a causa delle gravi lesioni traumatiche riportate a seguito della caduta nel pozzetto, in data 22.03.2019, sopravvenuta in data 19.08.2019 nonostante la dovuta assistenza sanitaria ricevuta. In Isernia, il 19.08.2019, luogo del decesso. Capo B) del reato p. e p. dall'art. 673 c.p. perché, nelle qualifiche indicate al capo a) che precede, ometteva di collocare i segnali o i ripari prescritti dalla legge per impedire pericoli alle persone in un luogo di pubblico transito. In Castellino del Biferno, in epoca antecedente e prossima al 02.12.2019. PARTI CIVILI: Ma.Ma. nato a R. l'(...), residente in S. G. in C. alla via R. V. 6 snc, elettivamente domiciliato presso lo studio del proprio, difensore di fiducia; assente; Assistito e difeso di fiducia dall'avv. Bruno Corsi, del foro di Campobasso, presente Bo.Am. nata a I. il (...) residente in C. alla via L. n. 20, elettivamente domiciliata presso lo studio del proprio difensore di fiducia, assente; Assistita e difesa di fiducia dall'avv. Ro.Di., del foro di Campobasso, presente; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto del 26.11.2020 il G.u.p del Tribunale di Campobasso disponeva il rinvio a giudizio nei confronti Fr.En. dinanzi all'intestato Tribunale, in composizione monocratica, affinché lo stesso rispondesse dei reati indicati in epigrafe. All'udienza del 9.2.2021, il Giudice, rilevato che la notifica del decreto che dispone il giudizio non risultava perfezionata nei confronti dell'imputato, ne disponeva il rinnovo e aggiornava il processo all'udienza del 23.3.2021. All'udienza del 23.3.2021, l'avv. Albino preliminarmente depositava la rinuncia al mandato difensivo da parte dell'avv. Pe. con la sua contestuale nomina quale difensore di fiducia dell'imputato; successivamente il Giudice, verificata la regolare instaurazione del contraddittorio, dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale e ammetteva le richieste di prova avanzate dalle parti, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione; indi, acquisita la documentazione prodotta dalla difesa tecnica dell'imputato, rinviava il processo all'udienza del 29.6.2021. In data 29.6.2021, le parti procedevano all'escussione dei testi P.M. e S.D. e, previo consenso delle parti, venivano acquisiti i verbali di sommarie informazioni rese da F.A. e C.N.N., con contestuale rinuncia alla loro escussione; all'esito il processo veniva rinviato al 30.11.2021. All'udienza del 30.11.2021 venivano escussi i testi C.A., D.N.A.G. e V.V., consulente tecnico del P.M.; indi, acquisita la relazione del consulente tecnico di parte, il processo veniva aggiornato all'udienza dell'1.3.2022. In tale data venivano escussi i testi di parte civile Bo.Am., L.S.G. e D.L.A. e, all'esito, il Giudice rinviava il processo al 5.7.2022 per il prosieguo dell'attività istruttoria. All'udienza del 5.7.2022 le parti procedevano all'escussione, del teste I.M.; indi, previo consenso delle altre parti, l'avv. Corsi rinunciava alle testi S.A.P. e F.G. e il Giudice rinviava il processo al 6.12.2022, In tale data, il Giudice, preliminarmente, disponeva la rinnovazione degli atti del dibattimento, essendo intervenuto il mutamento della composizione soggettiva dell'organo giudicante; a tal proposito, su richiesta di termine da parte della difesa tecnica dell'imputato, il Giudice concedeva un breve rinvio per il rinnovo delle richieste istruttorie, aggiornando così il processo al 3.1.2023. All'udienza del 3.1.2023, il Giudice, preso atto dell'assenza di richieste istruttorie da parte della difesa tecnica dell'imputato, confermava i provvedimenti adottati dal precedente magistrato e disponeva procedersi oltre; successivamente, preso atto della rinuncia da parte dell'avvocato Albino ai testi C.D. e P.M., nulla opponendo le parti, il processo veniva aggiornato all'udienza del 7.4.2023, attesa l'assenza giustificata dei testi della parte civile. Il 7.4.2023 le parti procedevano all'escussione dei testi L.S. e Ma.Ma.; dopodiché, il processo veniva rinviato al 19.5.2023. All'udienza del 19.5.2023, le parti concordemente rinunciavano all'escussione dei testi E.R., P.O., M.V. e I.E., nonché all'esame dell'imputato; pertanto, il Giudice, preso atto di quanto innanzi, rinviava il processo all'udienza del 3.11.2023 per chiusura istruttoria e discussione. L'udienza del 3.11.2023 veniva differita d'ufficio, con decreto del 26.10.2023, all'11.1.2024, allorquando, acquisita la documentazione prodotta dalla parte civile e dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, il Giudice invitava le parti a rassegnare le proprie conclusioni, come descritte in epigrafe, e, all'esito, rinviava il processo, per eventuali repliche, all'udienza del 2.2.2024. All'udienza odierna, il P.M. e il difensore dell'imputato rinunciavano alle repliche, mentre le parti civili si riportavano alla memoria in atti; il giudice, quindi, all'esito della camera di consiglio, decideva come da dispositivo, indicando, ex art. 544 co. 3 c.p.p., il termine di giorni 90 per il deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Si impone una sentenza di condanna nei confronti di Fr.En. in ordine ai reati ascrittigli in imputazione, per le ragioni che verranno di seguito esposte. L'odierno procedimento discende dalla morte di Ma.Lu. occorsa il 19.8.2019, alle ore 00.08, allorquando lo stesso si trovava ricoverato presso il P.O. di Isernia. Nella consulenza medico-legale redatta, per il P.M., dal dott. V.V. - acquisita agli atti dopo la sua escussione e previo consenso delle parti, ai fini della piena utilizzabilità processuale - dopo ampia e compiuta premessa in ordine alla disamina scientifica e metodologica (astratta e concreta) applicata nell'esecuzione dell'accertamento di cui trattasi, sono state rassegnate le seguenti conclusioni: "Orbene l'analisi delle attività sanitarie svolte nei vari reparti della N., presso la Gea medica e presso l'ospedale di Isernia non hanno evidenziato profili di imprudenza imperizia e negligenza ma è invece possibile affermare che vi è stata una meticolosa assistenza ai bisogni diagnostici e terapeutici del Ma. con interventi congrui e tempestivi. Purtroppo la gravità della lesione traumatica - inevitabilmente interferente anche sulla capacità ventilatoria del paziente e le preesistenze patologiche del paziente sono la causa dell'evoluzione sfavorevole. E' possibile quindi affermare che il Ma. è deceduto per arresto cardiocircolatorio secondario a shock settico conseguente alla lesione vertebro-midollare traumatica cui è conseguita una tetraplegia. Le cure prestate nei vari nosocomi che si sono succeduti sono state congrue, tempestive ed appropriate alle gravi condizioni del M.. L'evoluzione sfavorevole della vicenda del Ma. non trova elementi di censura o di addebito nei confronti dei sanitari intervenuti che hanno offerto tutte le necessarie attenzioni diagnostiche e terapeutiche con monitoraggio costante e preciso delle condizioni cliniche. Gli interventi terapeutici sono stati adeguati e consoni alle necessità del paziente. ... La causa della morte di Ma.Lu. è stata: "insufficienza cardiorespiratoria secondaria a shock settico ed insufficienza multiorgano conseguente al trauma vertebre-midollare con grave tetraplegia". Dunque, può, fin da ora, affermarsi la totale condivisione delle determinazioni cui è pervenuto l'ausiliario tecnico del pubblico ministero in ambito medico-legale e in ordine alla catena eziologica fisiopatologica che determinò, alle ore 00.08 del 19.8.2019, la morte di Ma.Lu.. A tanto si perviene sia sulla scorta dell'incontestabile e incontestata rigorosità scientifica delle leggi e delle metodologie applicate nell'indagine clinica da parte del consulente, nonché nell'assoluta mancata emersione, in dibattimento, di critiche atte a instillare un ragionevole dubbio in ordine alle conclusioni da esso tratte, Ciò posto, P.M., nel corso della sua escussione del 29.6.2021, ha riferito che il 22.3.2019, mentre si trovava .all'interno della sua abitazione, fu allertata da delle grida che provenivano dalla strada. Dopo l'iniziale spavento, si fece coraggio e, uscita dal proprio appartamento, vide che Ma.Lu. era caduto all'interno di un tombino e si trovava con la schiena rivolta verso il terreno. Su domanda del giudice, la teste ha ricordato che il Ma. era dolorante, perdeva sangue e che, interrogato su cosa fosse accaduto, non riusciva a comprendere la sua risposta. Fortunatamente, in quel frangente, la donna vide transitare una pattuglia dei Carabinieri, che, su segnalazione della P., si fermò per constatare cosa fosse successo. La teste ha ricordato che il tombino era scoperto e privo di qualsivoglia barriera di protezione e che, vista la tarda ora e l'assenza di illuminazione pubblica, era costretta a muoversi con accortezza. In sede di controesame della difesa, la P. ha dichiarato che, una volta arrivati i carabinieri, raccolse il telefonino del Ma., che si trovava all'interno della vasca dove era caduto, e lo poggiò sul cordolo in cemento. In seguito - su contestazione della difesa tecnica dell'imputato - la donna ha confermato di aver chiuso a chiave l'autovettura del Ma., la quale era aperta e collocata in prossimità della vasca - e di aver portato le chiavi unitamente al telefono cellulare della p.o. presso l'abitazione di quest'ultimo, su sollecitazione dei Carabinieri. S.D., all'epoca dei fatti vigile urbano in servizio presso il Comune di Castellino del Biferno, ha dichiarato che la vasca per il deflusso delle acque meteoriche dove è caduto il Ma. è sempre esistita e che, pur essendo sprovvista di segnalazione, nessuno si era mai lamentato dalla sua presenza. Ha, poi, precisato che la stessa è ubicata in prossimità della zona residenziale che, da quello che ricorda, è servita da pubblica illuminazione e, su domanda del giudice, ha affermato che lo stato dei luoghi è rimasto inalterato anche dopo l'incidente occorso al M.. C.A., comandante della Stazione dei Carabinieri di Petrella Tifernina, ha dichiarato che: "Le dinamiche sono state così da me ricostruite: parliamo del 22 marzo del 2019, avevo una pattuglia in servizio perlustrativo e la pattuglia fu informata da alcuni passanti che, all'interno di un pozzetto per là raccolta delle acque meteoriche, ubicato nella frazione Nuovo Abitato di Castellino del Biferno, vi era una persona caduta all 'interno. Subito i colleghi attivarono i primi soccorsi, chiamarono il 118, e la persona; identificata in Ma.Lu., fu trasportata in ospedale. Successivamente, non avendo informazioni sulla prognosi, mi sono attivato per fare tutti gli accertamenti necessari. Inviai la pattuglia sul posto per andare a eseguire dei rilievi planimetrici; rilievi planimetrici che successivamente ho eseguito anche io, localizzando precisamente il pozzetto. Successivamente ho eseguito degli accertamenti presso l'ufficio tecnico al fine di verificare di chi fosse la competenza di quella strada. Catastalmente la strada ricadeva nelle competenze del comune di Castellino sul Biferno. Poi successivamente l'attività di indagine si è sviluppata nell 'acquisizione di sommarie informazioni, sempre su attività delegata da parte della Procura. Queste sono le attività eseguite. E stato eseguito anche un fascicolo fotografico, sia con delle orto panoramiche e successivamente con dei rilievi che ho allegato all'informativa" (v. pag 4 del verbale stenotipico dell'udienza del 30.11.2021). Ha, inoltre, aggiunto che il pozzetto non era protetto, era sprovvisto di segnali che ne indicassero la presenza e che la strada ove insisteva non era sufficientemente illuminata. Sul tale ultimo aspetto, a domanda della parte civile, ha precisato che: "Le spiego meglio. Intendevo dire l'area... Parliamo di un'isola amministrativa in cui sono dislocate delle abitazioni di proprietà del Comune. Il pozzetto è collocato in mezzo tra due strutture, entrambe di proprietà comunale. Diciamo nell'area ci sono i pali della pubblica illuminazione, però in corrispondenza del pozzetto no. Quindi la luce che arriva, artificiale intendo, arriva per riflesso, non arriva una luce sufficientemente adeguata a illuminare il pozzetto" (v. pag. 5 del verbale stenotipico).. Il teste, poi, ha dichiarato che intorno al pozzetto era presente un cordolo di circa 10 cm., in parte rotto, e che, in una circostanza, di sua iniziativa inoltrò una nota al Comune di Castellino del Biferno in cui suggerì al sindaco pro tempore, nonché responsabile dell'ufficio tecnico, odierno imputato, di mettere in sicurezza il pozzetto al fine di evitare eventi simili a quelli occorsi al Ma., ma che le sue sollecitazioni non ebbero alcun seguito da parte della P.A. interessata. Sempre su domanda di parte civile, il teste ha dichiarato che il pozzo ha una profondità di 95 cm., le sue dimensioni sono di 170 x 170 cm. e che si trova lungo la pubblica via frequentata, principalmente, dai cittadini che risiedono nella frazione' Nuovo Abitato del Comune di Castellino del Biferno. D.N.A.G., all'epoca dei fatti in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Petrella Tifernina, ha rappresentato quanto segue: "Il 22 marzo del 2019, verso le 11:15, le 11:10 eravamo di servizio perlustrativo, la signora P.M., mentre transitavamo nella frazione Nuovo Abitato di Castellino, una frazione di Castellino del Biferno, ci ha fermato tutta agitata perché c 'era Ma.Lu. che era caduto, all 'interno di un pozzetto raccolta di acque reflue. Alché subito siamo andati sul posto. Io sono sceso giù nel pozzetto, effettivamente lui stava con la schiena sul pavimento di questo pozzetto, con le gambe appoggiate al muretto del pozzetto, circa 90 gradi, e che si lamentava perché gli faceva male il braccio, la schiena. Ho notato che le gambe non le muoveva. Alché gli ho detto: "Ma muovi le gambe ", e lui ha detto: "No, non le riesco a muovere, non le sento Quindi lui avvertiva che le gambe non le sentiva e gli facevano male le braccia. Poi aveva una lesione alla testa, era uscito un po ' di sangue. Subito abbiamo allertato il 118 che dopo venti minuti, una mezzoretta è arrivato e l'abbiamo tirato fuori dal pozzetto con difficoltà" (v. pag. 14 e 15 del verbale stenotipico dell'udienza del 30.11.2021). Ha, inoltre, aggiunto che l'intervento si è svolto di sera e che, unitamente ai suoi colleghi, ha dovuto ricorrere alla torcia del telefonino per rendersi conto di quanto accaduto, considerata la scarsa illuminazione, dovuta all'orario e alla lontananza dei lampioni pubblici da pozzo. Il teste ha dichiarato che, una volta giunti sul posto, hanno chiesto al Ma. la dinamica dell'accaduto e quest'ultimo, nell'immediatezza, ha risposto di essere caduto nel pozzo mentre parlava al telefono. Ha, inoltre, riferito di aver constatato che la p.o. aveva sbattuto la testa contro il fondo della vasca, poiché ha rinvenuto tanto il sangue sul pavimento quanto la lacerazione sul capo del M.. In sede di controesame, poi, ha escluso che la p.o. potesse essere stata aggredita da qualcuno, dal momento che, oltre quanto, dichiarato dallo stesso Ma. nell'immediatezza, la lesione si trovava nella parte posteriore del cranio, che era appoggiato sul fondo del pozzo. Quanto poi al telefono cellullare della vittima, il teste ha chiarito che lo stesso è stato consegnato a P.M., la quale aveva una relazione sentimentale con il M.. Il consulente del P.M., V.V., nel riportarsi alle conclusioni rassegnate nel suo elaborato, già evidenziate e condivise in premessa, ha ribadito che: "Praticamente, in virtù dell'episodio, dell'evento infortunistico del 22 marzo, e in conseguenza di tutte quelle che sono state le lunghe cure e l'exitus del paziente, il Procuratore mi ha formulato un incarico affinché accertassi quale sia stata... Ovviamente un incarico agli atti perché non è stata una indagine autoptica, ma un esame solamente degli atti medici, quale fosse stata la causa della morte, se si rilevavano eventuali comportamenti omissivi o commissivi da parte dei sanitari che avessero potuto cagionare l'exitus del paziente. Sebbene ci sia stata una storia clinica di cinque mesi, le conclusioni sono abbastanza agevoli. Il paziente ha subito un grave trauma vertebromidollare, cosiddetto, nel senso che ha interessato la parte cervicale bassa e la parte dorsale alta, con una lesione fratturativa delle vertebre che però purtroppo ha avuto anche una azione lesiva sul midollo contenuto all'interno, il che ha prodotto un grave danno neurologico che si è estrinsecato fin dall'inizio e poi è rimasto tale di una paraplegia agli arti inferiori, quindi una completa perdita dei movimenti agli arti inferiori, e una paresi dell 'arto superiore destro e dell 'arto superiore sinistro, tutto questo in un soggetto che, ricordiamo, è un soggetto obeso, è un soggetto dislipidemico, è un soggetto con una sindrome cosiddetta dismetabolica. Chiaramente questa condizione di immobilità, associata al suo status anteriore, ha prodotto questo lungo percorso clinico, lungo percorso clinico che, sebbene alternato da fasi di apparente remissione e poi di peggioramenti che l'hanno portato anche a periodi in rianimazione, poi è tornato in reparto, poi è tornato in rianimazione, comunque hanno debilitato questo organismo, che oltre tutto si era complicato da piaghe da decubito anche di rilevanza notevole in regione sacrale; in regione tibiale, fino ad avere poi una complicanza settica definitiva che ha determinato uno choc irreversibile per insufficienza multiorgano portandolo all 'exitus. Questo è in buona sostanza quanto è accaduto. Dall 'esame di tutti gli atti documentali che mi sono stati posti a disposizione, posso affermare che le cure sono state assolutamente idonee, congrue e non è stata rilevata alcuna omissione o azione commissiva che possa aver pregiudicato l'evoluzione di quella che è stato l'iniziale, danno traumatico" (v. pag. 27 e 28 del verbale stenotipico del 30.11.2021). In seguito, in sede di controesame, ha dichiarato che la ferita lacerocontusa riportata al capo dal Ma. poteva dipendere tanto dall'azione di un corpo contundente, quanto dall'impatto del capo contro un mezzo contundente o tagliente. Per ciò che concerne, invece, la lesione vertebromidollare, trattasi di trauma tipico da precipitazione o da colpo di frusta. Da ultimo, ha affermato di non poter escludere, a priori, che la caduta del Ma. potesse esser stata originata da una lesione inferta all'esterno del pozzo. L.S.G., nel corso della sua deposizione, ha confermato quanto dichiarato dal collega D.N.A.G., essendo intervenuti insieme al momento del sinistro occorso al M.. D.L.A. ha dichiarato che, in seguito agli accertamenti espletati assieme a C.A., ha constatato come il pozzo di cui trattasi sia di pertinenza al Comune di Castellino del Biferno e come lo stesso si trovi lungo la pubblica via, non interdetta al transito dei pedoni, pur essendo sprovvista di marciapiede. Bo.Am., parte civile nonché moglie legalmente separata del Ma., ha dichiarato di aver incontrato il suo ex coniuge allorquando lo stesso si trovava ricoverato presso il N. di Pozzilli. Ha raccontato di averlo visto in pessime condizioni di salute e che la p.o., in occasione del primo incontro, gli chiese di perdonarlo per la separazione, considerati anche i precedenti trentasette anni di matrimonio ("Stava immobilizzato in un letto e aveva tutti dei cerotti sul dorso. Non poteva muoversi, era completamente paralizzato, però con la testa c 'era, anche se aveva un taglio sulla testa, però sembrava che stava abbastanza bene con la testa. Lui, piangendo, mi ha chiesto di perdonarlo. Io infatti sono stata con lui un bel po ' di tempo e gli ho detto: "Non ci sono problemi. Il passato è passato" v. pag. 4 e 5 del verbale stenotipico dell'udienza dell'1,3.2022). Ha concluso dicendo di aver incontrato il marito in due occasioni nel corso della sua degenza ospedaliera e che in entrambe le occasioni non gli ha mai descritto le dinamiche del sinistro. Il consulente della parte civile, I.M., nel Corso della sua deposizione, ha dichiarato quanto segue: "Il paziente venne in ospedale al pronto soccorso al C., a seguito di un trauma da caduta. Fui chiamato subito in consulenza io perché dagli accertamenti fatti in urgenza appena è entrato in PS, e in particolare una Tac, fu rilevata una frattura della prima vertebra cervicale, e cioè l'Atlante, una frattura composta all'arco anteriore. E quindi, di competenza neurochirurgica ero io reperibile quella sera, fui chiamato. Il paziente si può dire era già tetraplegico perché aveva una paralesi completa all'arto superiore destro e agli arti inferiori e una paralisi grave all'arto superiore sinistro, quindi praticamente non muoveva quasi nulla. Era necessario ospedalizzarlo. Da noi al C. non c 'è più il reparto di Neurochirurgia, andava approfondito il caso anche con altri accertamenti, in particolar modo una risonanza magnetica e al C., quando si verificò questo episodio, la risonanza magnetica aveva il gantry per il tratto cervicale rotto già da diversi anni e poiché l'apparecchio ancora non era stato sostituito con l'attuale, era un apparecchio vecchio, non si trovavano pezzi di ricambio, insomma il tratto cervicale non è stato possibile esplorarlo con la risonanza magnetica, per cui, anche per questo motivo, necessitava dì un trasferimento urgente. E fu trasferito al N. che diede la disponibilità di posto letto. Arrivato al N., il paziente non fu sottoposto subito a risonanza magnetica perché le dimensioni del paziente ne impedivano l'ingresso nel gantry della risonanza. Cioè la risonanza ha un tubo di dimensioni ridotte, questo tutte le risonanze in pratica e il paziente era talmente grande che non riusciva a entrare nel tubo. Per cui non fu possibile fargli questa risonanza. Il paziente fu tenuto lì diversi giorni, in Neurochirurgia, in condizioni cliniche tutto sommato stabilì, poi si sono aggravate, è stato trasferito in rianimazione, poi di nuovo in rianimazione in Neurochirurgia. Insomma ci sono state diverse... un andamento clinico altalenante, condizioni generali stazionarie, poi di nuovo peggiorato soprattutto dal punto di vista respiratorio, un paziente grosso costretto all 'immobilità, quindi in posizioni declive, un addome enorme, respirava male, per cui andava spesso e volentieri in insufficienza respiratoria e veniva richiesto l'intervento dei rianimatori. Dal punto di vista dello stato di veglia, dello stato di coscienza, è sempre stato vigile e cosciente. Lui era perfettamente consapevole delle sue condizioni, insomma. Solamente che, dal punto di vista motorio e sensitivo, era completamente compromesso perché, come ho detto, aveva una tetraplegia, muoveva minimamente, in maniera spontanea solamente l'arto superiore sinistro e aveva un livello di anestesia TI, T2, cioè significa che praticamente, poco al di sopra della mammillare trasversa; il paziente non sentiva nessuno stimolo sensitivo doloroso. In queste condizioni, il paziente è stato per diversi mesi. Poi, altra cosa, si era procurato nel cadere una ferita al cuoio capelluto in regione temporale sinistra, suturata al pronto soccorso di Campobasso dal pontrosoccorsista; questa ferita si è poi infettata, per cui è stato necessario fare un intervento di svuotamento di questo ascesso sotto cutaneo al cuoio capelluto. Poi è andato in riabilitazione, sempre al N., e qui è peggiorato nuovamente, fino a che è stato necessario un trasferimento all'ospedale di Isernia, questo perché era iniziata a verificarsi una compromissione multiorgano, cioè non era più gestibile in un centro specialistico come il N. dove, oltre alla Neurochirurgia, alla Neurologia, alla Rianimazione, non ci sono reparti idonei a gestire un paziente con compromissione multiorgano, cioè cardiologica, cardiaca, respiratoria, polmonare, renale, perché il paziente è andato anche in insufficienza renale. Si sono verificate una serie di complicanze che poi hanno portato al decesso il paziente " (v. da pag 4 a pag 6 del verbale stenotipico dell'udienza del 5.7.2022). Quanto alla riconducibilità del decesso del Ma. alla caduta del marzo 2019, lo stesso ha riferito che: "... il tipo di lesione che ha avuto il paziente, è una lesione grave, è una lesione che riguarda il midollo alto, il midollo cervicale alto e a livello del midollo cervicale alto, oltre alle vie neurologiche motorie che riguardano gli arti superiori e gli arti inferiori, ci sono anche i centri del respiro e i centri che controllano il circolo e l'attività cardiaca, tanto è che il paziente ha avuto problematiche sia di tempo respiratorio che di tipo cardiocircolatorio, era fortemente bradicardico. Si è riuscito a scongiurare l'innesco di un pacemaker, però comunque il paziente, durante tutto il corso del ricovero, viaggiava su frequenze intorno ai 50, quindi una frequenza molto bassa. Aveva necessità di essere supportato dal punto di vista respiratorio, con ossigeno fluente, ha messo anche la CPAP che è una maschera che insuffla ossigeno a pressione positiva per evitare l'intubazione, cosa che poi è stata necessaria. Ha avuto poi una insufficienza renale, è stata necessaria la dialisi, insufficienza renale che è scaturita da uno shock settico che il paziente ha avuto a seguito di una infezione polmonare perché questa stasi respiratoria, cioè questa insufficienza respiratoria ha comportato una stasi di secrezione, o di quanto altro che, per quanto credo gestite bene dal N., comunque poi sono sfociate in una polmonite, in una infezione polmonare grave. Da qui si è sviluppato uno stato settico, un collasso, una insufficienza di pompa; i reni non hanno più funzionato, è stato necessario dializzarlo. Tutto questo all'ospedale di Isernia dove fu necessario trasferirlo perché la situazione era diventata ingestibile per il N.; uno stato di acidosi sia respiratoria che metabolica, insomma alla fine il cuore si è fermato. PUBBLICO MINISTERO: Giusto per sgombrare il campo, se non ci fosse stato quel tipo di evento lesivo non ci sarebbe stato quel decesso? Questa è una affermazione corretta? TESTE - I.: Penso di sì perché è vero che il paziente era un soggetto obeso, non ricordo se era anche diabetico, adesso questo non lo ricordo. PUBBLICO MINISTERO: Arricchisco la domanda e chiudo. Da quello che ha potuto visionare lei, ci sono stati altri fattori causali non dipendenti dall'evento lesivo che possano aver cagionato questo decorso e questo exitus? TESTE -I.: Io penso di no, penso di no. " (v. pag. 7 e 8 del verbale stenotipico). Il teste L.S., all'epoca dei fatti neurochirurgo in servizio presso l'Istituto N. di Pozzilli, ha dichiarato che Ma.Lu. aveva subito un trauma al midollo che gli aveva cagionato la paralisi degli arti inferiori e una perdita di sensibilità al livello del collo. Quanto alle sue condizioni psicologiche nel corso della degenza, ha affermato che il paziente era vigile in quanto non aveva riportato danni cerebrali. Ma.Ma., parte civile nonché figlio della p.o., ha affermato che, durante la degenza, il padre è rimasto sempre vigilie, pur essendo stato più volte in rianimazione per dei collassi polmonari. Ha aggiunto di essersi recato sul luogo del sinistro il giorno successivo alla caduta del padre, precisando di esserci andato di notte e di aver avuto difficoltà a vedere il pozzo e l'ambiente circostante. In sede di controesame, poi, ha dichiarato che il telefono del padre era stato preso da P.M., la quale glielo restituì quando si recò sul luogo del sinistro. Infine, F.A. e C.N.N., escussi a sommarie informazioni rispettivamente il 24.6.2019 e il 25.6.2019, hanno dichiarato che la vasca dove si è verificato il sinistro era priva di protezioni e barriere e non segnalata (cfr. verbali di sommarie informazioni acquisiti su consenso delle parti, e quindi utilizzabili ai fini del decidere, all'udienza del 29.6.2021). Così riassunta, sulla base delle risultanze istruttorie e nella diversa prospettazione delle parti, la vicenda che ha determinato la morte di Ma.Lu., l'ipotesi accusatoria può ritenersi verificata in fatto, nei limiti che a breve si evidenzieranno, oltre ogni ragionevole dubbio. Prima di procedere innanzi, occorre però prendere atto dell'attendibilità delle dichiarazioni degli appartenenti all'arma dei carabinieri, poiché espressive di attività d'ufficio espletata in conformità ai doveri istituzionali su di essi gravanti, con la precisazione che tanto, ovviamente, si estende ai dati obiettivi d'immediata percezione da parte degli operatori, ma che, altrettanto ovviamente, non può attagliarsi alla veridicità degli elementi meramente riferiti da terze persone e alla condivisibilità di ipotesi valutative. Altrettanto credibili e attendibili sono le dichiarazioni rese da tutti gli ulteriori testimoni addotti dall'accusa e dalla parte civile ed escussi a dibattimento, atteso che non sono emersi motivi dai quali supporre l'esistenza, in capo a essi, di intenti traditori dell'impegno assunto all'atto del deporre, né fattori di contraddittorietà, intrinseca o estrinseca, delle loro deposizioni. A tal riguardo, un approfondimento meritano unicamente le dichiarazioni rese da P.M., in ordine all'apprensione del telefono cellulare di Ma.Lu. nelle more dell'intervento dei Carabinieri della Stazione di Petrella Tifernina. Invero, in disparte la totale irrilevanza di tale circostanza fattuale ai fini del decidere, la teste, seppur con le consuete difficoltà di chi è chiamato a deporre su fatti accaduti a distanza di anni, ha confermato, a seguito delle contestazioni mosse dalla difesa tecnica dell'imputato, di aver preso il cellulare della p.o. su sollecitazione dei militari e di averlo, in seguito, restituito al figlio del M.. Ebbene, tale circostanza è stata confermata, in primo luogo, dai testi di P.G., i quali hanno dichiarato di aver consegnato il telefono del Ma. alla P., dal momento che, oltre al legame sentimentale che gli univa, la disponibilità dello stesso era stata ritenuta irrilevante ai fini investigativi, poiché la vittima, durante le operazioni di soccorso, aveva dichiarato di essere caduto accidentalmente nel pozzo mentre era al telefono con degli amici. A ciò si aggiunga che il figlio della p.o., Ma.Ma., ha confermato di aver ricevuto il telefonino del padre dalla P. pochi giorni dopo il sinistro. Tanto basta, dunque, per ritenere credibile il racconto della P.. Del resto, non sono emersi motivi dai quali supporre l'esistenza, in capo alla stessa, di intenti traditori dell'impegno assunto all'atto del deporre. Ciò premesso, l'istruttoria dibattimentale ha restituito un quadro certo in ordine alla dinamica del fatto per cui è giudizio. Ma.Lu., invero, la sera del 22.3.2019, allorquando si trovava, a piedi, lungo la pubblica via che attraversa la frazione Nuovo Abitato del Comune di Castellino del Biferno, è caduto all'interno del pozzetto raccogli-acque, di forma quadrata e delle dimensioni di cm. 170x170 e 95 cm. di altezza, riportando un grave trauma vertebromidollare che l'ha portato, a distanza di circa 5 mesi, al decesso. Deve, pertanto, ritenersi priva di fondamento la tesi perorata dalla difesa tecnica dell'imputato, secondo cui non si potrebbe escludere che il Ma. sia caduto per via di un colpo alla testa subito prima di rovinare all'interno del pozzetto raccogli-acque. A tal proposito, va evidenziato come l'argomentazione difensiva si fondi su quanto affermato dalla stessa vittima in sede di sommarie informazioni il 10.6.2019 dinanzi ai Carabinieri della Legione Abruzzo e Molise, allorquando Ma.Lu. ha dichiarato: "Non ricordo bene il giorno, verso le ore 19.30 ero seduto in macchina davanti alla ma abitazione sita in C. del B. via N. A. nr. 04, scendevo dalla macchina lasciando il cellulare nella stessa e mi avviavo sulla via N. A. per fare due passi, non ricordo la direzione che ho preso, non ricordo il tempo che ho camminato, ricordo solo che all'improvviso ho sentito una forte botta in testa, non ricordo altro". Orbene, in primo luogo va evidenziato che dagli atti emerge che tale verbale sia stato acquisto al fascicolo del dibattimento all'udienza del 23.3.2021, quale allegato della produzione documentale della difesa tecnica dell'imputato. Tuttavia, trattandosi di verbale contenente dichiarazioni testimoniali, siffatta documentazione è confluita all'interno del fascicolo dibattimentale in maniera irrituale, dovendo la stessa, al più, essere acquisita nelle forme del 512 c.p.p., ragion per cui tali dichiarazioni, in assenza del consenso delle altre parti (di cui non c'è traccia nel verbale di udienza), non sarebbero di per sé utilizzabili ai fini del decidere. Ciononostante, appare in ogni caso evidente come il tenore di tali dichiarazioni, non solo, non si pone in contrasto con la ricostruzione della dinamica operata dagli organi inquirenti, ma, allo stesso modo, non avvalori la tesi perorata dalla difesa tecnica dell'imputato. La persona offesa, infatti, ha ricordato esclusivamente di aver sentito una "forte botta in testa", circostanza, questa, che appare logicamente riconducibile con l'impatto sul fondo del pozzetto. Del resto, a riprova dell'infondatezza dell'assunto difensivo, non va sottaciuto che lo stesso Ma., nell'immediatezza del sinistro, ha dichiarato ai carabinieri di essere caduto nel pozzo mentre si era al telefono, né tantomeno sono emersi, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, elementi da cui desumere che lo stesso abbia mentito alla P.G. per sviare le indagini o assicurare l'impunità di soggetti terzi. Appare, dunque, evidente la natura congetturale della, tesi alternativa prospettata dalla difesa, come tale inidonea a fondare un dubbio ragionevole in ordine alla dinamica del sinistro. Tanto premesso, occorre adesso scrutinare la presenza di eventuali profili di colpa nella stigmatizzata condotta del F.. Occorre, al riguardo, prendere certamente spunto dal capo di imputazione, il quale addebita all'odierno prevenuto una condotta squisitamente omissiva, consistente nella mancata predisposizione di ripari idonei a evitare pericoli alle persone in luogo di pubblico transito, avuto riguardo al pozzetto raccogli-acque sopra descritto. In tale ottica, però, il primo elemento da valutare, seppur in assenza di specifica contestazione da parte della difesa del F., è la sussistenza, in capo all'odierno imputato, nella sua qualità di sindaco e responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Castellino del Biferno, di una posizione di garanzia nei confronti del Ma., rispondente ai canoni propri della clausola di equivalenza dettata dall'art. 40, cpv., c.p. Posizione di garanzia la cui esistenza e consistenza trova, senz'altro, fonte legale nell'art. 54 del TUEL. Ebbene, secondo tale disposizione il Sindaco, quale ufficiale del Governo, oltre a sovraintendere ad alcune materie che il Comune tratta per conto dello Stato, "adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana; I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione". Il Sindaco si limita, dunque, a "sovrintendere" al lavoro dei dipendenti, ed in generale a tutte le attività che sono fondamentalmente assegnate alla struttura comunale e ai responsabili dei servizi; adotta invece (prendendosene in carico tutta la responsabilità civile e penale senza possibilità -se non parziale- di trasferirla su altri soggetti), i provvedimenti contingibili e urgenti necessari a tutelare l'incolumità dei cittadini. Quanto alla portata delle ordinanze contingibili e urgenti, le stesse rientrano nella tipologia di provvedimenti amministrativi aventi un contenuto non previamente determinabile e quindi di atti del tutto atipici ed eccezionali che presuppongono una situazione di estrema gravità dipendente dai fattori più disparati i quali non possono ricondursi solo a fenomeni di dimensioni bibliche (quali terremoti, frane, valanghe, inondazioni, etc), bensì anche ad eventi più modesti, ma comunque idonei a porre in pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone. Quanto alla nozione di sicurezza pubblica, la stessa non coincide con l'incolumità pubblica, anche se sovente i due termini sono utilizzati impropriamente in via cumulativa. La prima ha una portata più vasta e attiene ad ogni possibile attentato a qualsiasi bene giuridico o materiale facente capo ai cittadini, mentre la seconda si riferisce esclusivamente alla preservazione delle condizioni fisiche degli stessi. Sicché sotto tale profilo è innegabile che il Sindaco, quale massimo rappresentante. dell'Ente Comunale e della collettività cittadina, debba attivarsi non solo e non necessariamente con l'adozione di un'ordinanza ad hoc, bensi con qualsiasi altro atto amministrativo o comportamentale ( es. allettamento delle Forze dell'ordine, dei Vigili del Fuoco o della stessa Polizia municipale che da lui dipende, imposizione alla ditta delle opportune e palesemente omesse cautele) idoneo a prevenire il pericolo per la pubblica incolumità, con adozione di ogni mezzo appropriato (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. IV, Sent. n. 58243 del 2018) In virtù di quanto innanzi, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che il sindaco e il responsabile dell'ufficio tecnico del comune sono titolari, in virtù di una generale norma di diligenza che impone agli organi (rappresentativi o tecnici) dell'amministrazione comunale di vigilare, nell'ambito delle rispettive competenze, sull'incolumità dei cittadini, della posizione di garanzia avente ad oggetto l'adeguata manutenzione ed il controllo dello stato delle strade comunali (cfr. Cass. Sez. IV, Sent. n. 13775 del 2011). I principi appena enucleati sono pienamente applicabili alla vicenda di cui ci si occupa, ragion per cui deve ritenersi sussistente in capo al F., nella sua qualità di sindaco e responsabile dell'Ufficio tecnico del comune di Castellino del Biferno, una posizione di garanzia nei confronti di Ma.Lu.. Tanto assodato, occorre adesso individuare la regola cautelare del caso concreto che l'odierno imputato era tenuto a ossequiare. A tal proposito, va ricordato che la colpa si identifica con la trasgressione della condotta di una o più norme cautelari, siano esse scritte in una disposizione di legge, di regolamento, in ordini o discipline (secondo l'elencazione dell'art. 43 c.p., ed. colpa specifica,); siano esse corrispondenti ad una regola cautelare non scritta, che viene rinvenuta dal giudice sulla scorta dei parametri della prevedibilità e della evitabilità dell'evento pregiudizievole (ed. colpa generica). Nel campo della colpa generica, il punto di avvio del procedimento intellettivo è il principio del neminem laedere, che conduce ad interrogarsi in ordine alle regole di condotta che, tenuto conto della specifica attività o situazione di cui trattasi, possono valere ad eliminare o ridurre nella misura massima possibile il pericolo per i terzi in esse insito (cfr. Cass. Sez. IV, Sent. n. 15229 del 2008). L'identificazione del pericolo prevedibile e evitabile permette di risalire alle regole prudenziali che valgono a depotenziarlo. Il grado di indeterminatezza della colpa generica deriva dalla impossibilità di positivizzare tutte le regole prudenziali' astrattamente convergenti verso una determinata attività pericolosa. Ma in tale inevitabile grado di indeterminatezza sta anche il pericolo che il processo di identificazione della regola violata risulti troppo simile ad un processo creativo, laddove esso non può che essere ricognitivo, pena la violazione dei principi di legalità e di colpevolezza. Per non incorrere in simili violazioni è necessario evitare di muovere a ritroso dalla situazione così come si è verificata, chiedendosi cosa avrebbe impedito il suo dipanarsi. In tal modo quella che risulterebbe individuata sarebbe la regola cautelare dell'evento singolare e non una regola astratta, preesistente all'evento ed idonea a prevenire eventi del genere di quello effettivamente occorso. Il giudice è invece chiamato ad individuare i tratti tipici caratterizzanti l'evento, per poi procedere formulando l'interrogativo se tale evento era prevedibile ed evitabile ex ante, alla luce delle conoscenze tecnico - scientifiche e delle massime di esperienza, da intendersi come generalizzazioni empiriche indipendenti dal caso concreto, fondate su ripetute esperienze ma autonome da quello, tratte con procedimento induttivo dall'esperienza comune, conformemente ad orientamenti diffusi nella cultura e nel contesto spaziotemporale in cui matura la decisione (così, Cass. Sez. IV, Sent. n. 9390 del 2016). Orbene, nel caso di specie, appare opportuno evidenziare come, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, sia emerso, in modo incontrastato, che il pozzetto in questione ricadesse su un tratto di strada urbana di competenza del comune di Castellino del Biferno, che lo stesso fosse privo di barriere e segnalazioni e che l'illuminazione pubblica, benché presente, non rendeva luminosa la zona in cui si è verificato il sinistro, tanto che gli stessi militari di P.G. furono costretti a ricorrere al flash dei loro cellulari per rendersi conto di quanto fosse accaduto al M.. Allo stesso modo, è emerso che il pozzo fosse adiacente a una zona residenziale e che la pubblica via fosse priva di marciapiede ma non interdetta al transito dei pedoni. Alla luce di quanto innanzi, risulta di palmare evidenza la negligenza, da parte dell'amministrazione comunale (e, quindi, del sindaco), derivante dalla violazione della regola cautelare che imponeva di vigilare sull'incolumità dei cittadini, predisponendo solide coperture o parapetti, atti a impedire il pericolo di cadute di persone o, in ogni caso, di munire il su citato pozzo di apposite segnalazioni di pericolo. Chiarita, in questi termini, la valutazione del profilo attinente all'elemento oggettivo della colpa, è possibile passare ad esaminarne gli elementi soggettivi, ossia della prevedibilità ed evitabilità dell'evento che la norma cautelare mirava a neutralizzare. In quest'ottica ricostruttiva, occorre poi chiedersi se una condotta appropriata (il c.d. comportamento alternativo lecito) avrebbe o meno evitato l'evento dannoso, dal momento che è possibile formalizzare l'addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l'esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili probabilità di scongiurare il danno. Quanto al primo profilo, va ricordato che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, la verifica in ordine alla "prevedibilità" dell'evento impone il vaglio delle possibili conseguenze di una determinata condotta. commissiva od omissiva, avendo presente il cosiddetto "modello d'agente", ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l'assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto si ispiri a quel modellò e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta (cfr. Cass. Sez. IV, Sent. n. 20270 del 2019). Rapportando tale principio alla vicenda in esame, appare evidente come le dimensioni del pozzo, la sua collocazione in prossimità di una zona residenziale e la scarsa illuminazione che serviva la pubblica via erano tutti elementi che avrebbero potuto prevedibilmente determinare l'evento di cui ci si occupa, ragion per cui il compito cautelare che era lecito aspettarsi da parte del F. era quello di attivarsi per far rimuovere quelle situazioni di irregolarità da cui potevano originare pericoli per la sicurezza urbana. Quanto al profilo dell'evitabilità, non si ritiene condivisibile la tesi prospettata dalla Pubblica Accusa, che ha dubitato della possibilità di affermare la sussistenza, in concreto, della prevenibilità dell'evento, dal momento che il pericolo non era mai stato formalmente segnalato all'amministrazione comunale. Ciò posto, tuttavia, la tesi perorata dalla Pubblica Accusa non persuade in quanto non considera che, ai fini del giudizio sulla prevedibilità, occorre valutare se le regole cautelari non siano state osservate, non in quanto il rischio non sia stato percepito, ma nonostante il rischio sia percepibile con un grado di diligenza proprio dell'agente modello (cfr. Cass. Sez.TV, Sent. n. 14550 del 2018). Ed allora, sulla scorta di siffatto principio, la circostanza che la presenza del pozzetto raccogli - acque fosse nota a tutta la collettività (e quindi, a maggior ragione ai vertici dell'amministrazione comunale) è già sufficiente ritenere che l'agente modello, in siffatta situazione, avrebbe dovuto ipotizzare l'esistenza di una situazione di pericolo che era altamente prevedibile alla luce delle caratteristiche strutturali del pozzo, della sua collocazione in prossimità di una zona residenziale e lungo una pubblica via non interdetta ai pedoni e scarsamente illuminata nelle ore notturne. Né tantomeno, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, è emerso che il F. abbia predisposto dei servizi di ricognizione del territorio, che certamente rientrano tra i poteri del sindaco, finalizzati al monitoraggio e alla prevenzione di situazioni di pericolo a presidio della sicurezza urbana e che, ciononostante, nessuno abbia segnalato qualsivoglia situazione di pericolo alla massima autorità comunale. Così assodata, dunque, la sussistenza e l'addebitabilità oggettiva della condotta omissiva imputata al F., nonché la colpa - perfino nella sua più squisita accezione psicologica della prevedibilità, prevenibilità ed evitabilità - che tale condotta ha connotato, resta da volgere lo sguardo alla causalità della condotta e a quella della colpa. Orbene, sulla scorta delle considerazioni innanzi sviluppate, appare del tutto evidente che la regola cautelare del caso concreto imponeva quantomeno l'adozione di un sistema di segnalazione del pericolo o la predisposizione di barriere o coperture idonee a neutralizzare il rischio di caduta delle persone. Peraltro, tale regola cautelare generica - la cui violazione, da parte del F., ha integrato ipotesi di colpa per negligenza - è evidentemente posta a presidio dei beni della vita e dell'incolumità fisica degli utenti della strada; sicché, il decesso di Ma.Lu. fu senz'altro concretizzazione del rischio tipico che quella norma tutelante è volta a sterilizzare. Con la conseguenza, sul piano della causalità e nella prospettiva della verifica controfattuale, che la predisposizione di un apparato conforme alle "leges artis" da parte di Fr.En., che vi era tenuto in quanto sindaco e responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune del Castellino del Biferno, avrebbe evitato con certezza la caduta del Ma. e il suo conseguente decesso, con effetti dunque salvifici per la sua vita con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. Nessun dubbio residua, inoltre, in ordine all'insussistenza di cause sopravvenute esterne idonee, a mente dell'art. 41 co. 2 c.p., a recidere il nesso causale tra i danni riportati dal Ma. a seguito della caduta e l'evento morte. A tal proposito, occorre ribadire che, come affermato dal consulente del P.M., dott. V.V., "il Ma. è deceduto per arresto cardiocircolatorio secondario a shock settico conseguente alla lesione vertebro-midollare traumatica cui è conseguita una tetraplegia. Le cure prestate nei vari nosocomi che si sono succeduti sono state congrue, tempestive ed appropriate alle gravi condizioni del M.. L'evoluzione sfavorevole della vicenda del Ma. non trova elementi di censura o di addebito nei confronti dei sanitari intervenuti che hanno offerto tutte le necessarie attenzioni diagnostiche e terapeutiche con monitoraggio costante ed preciso delle condizioni cliniche. Gli interventi terapeutici sono stati adeguati e consoni alle necessità del paziente. ... La causa della morte di Ma.Lu. è stata: "insufficienza cardiorespiratoria secondaria a shock settico ed insufficienza multiorgano conseguente al trauma vertebro-midollare con grave tetraplegia". A tali conclusioni si è, poi, uniformato anche il consulente della parte civile, I.M., il quale, nel corso della sua escussione, ha escluso la sussistenza di fattori esterni, indipendenti dalla caduta del Ma., idonei a scatenare autonomamente l'exitus della persona offesa. Non si ritiene, pertanto, meritevole di accoglimento la tesi perorata dalla difesa, secondo cui il decesso del Ma. sia. dipeso da fattori esterni, correlati allo stato di salute della p.o. preesistente alla sua caduta, idonei a recidere il nesso causale tra l'evento lesivo e la morte. Siffatta impostazione, invero, appare in evidente contrasto con il . consolidato orientamento giurisprudenziale, tracciato nel solco della logica della causalità umana, per cui, ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento si riferisce non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall'antecedente, e però caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed. eccezionale, ossia di un evento che non si verifica-se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta (cfr. Cass. Sez. 2, Sent. n. 17804 del 2015). Né a esito diverso e ben che. meno opposto conduce pure argomentare nella logica, di recente elaborazione, dell'eccentricità del rischio, siccome, come insegnato dal Supremo Consesso, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare (v. Cass. Sez. 4, Sent. n. 22691 del 2020). È di tutta evidenza, allora, che se l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare, questo è ciò che non si è verificato nel caso di specie, dal momento che, appurata l'adeguatezza delle cure cliniche espletate dai sanitari che si sono avvicendati nel corso della degenza della p.o. (cfr. consulenza tecnica del P.M.e della parte civile), lo stato di salute del Ma. - peraltro preesistente all'evento lesivo - non può costituire causa sopravvenuta da sola sufficiente ad interrompere il rapporto condizionalistico tra la caduta e il decesso. Può dunque concludersi con tranquillante certezza nel senso di ritenere che nell'incedere causale degli eventi - dipanatasi dalla caduta del Ma. nel pozzo al suo decesso - non si sia innestato alcun fattore eziologicamente eccentrico rispetto al rischio tipico afferente l'omessa copertura del pozzo, tale da assorbire su di sé in via esclusiva il determinismo dell'evento esiziale per cui è giudizio e comunque imprevedibile, nella prospettiva di giudizio ex ante propria della colpa, in capo al F.. Quanto innanzi è più che sufficiente a ritenere provata e sussistente la penale responsabilità del F. per il reato di cui all'art. 589 c.p. Ciò posto, venendo all'esame del capo B) dell'imputazione, va in primo luogo disattesa l'argomentazione difensiva secondo cui debba ritenersi prescritto il reato ivi contestato. Trattasi, invero, di contravvenzione, il cui termine prescrizionale Ma., in presenza di eventi interruttivi (come nel caso di specie), è pari a cinque anni. Ne discende che, essendo il reato stato accertato in epoca antecedente e prossima al 2.12.2019, lo stesso non può ritenersi, allo stato, estinto. Alle stesse conclusioni si perviene anche retrodatando il momento consumativo. della contravvenzione al giorno del sinistro che ha coinvolto il Ma. (ossia al 22.3.2019). Tanto premesso, va evidenziato che il reato di cui all'art. 673 c.p. deve ritenersi sussistente ogniqualvolta il soggetto destinatario delle prescrizioni dettate dall'Autorità non esegua le opere necessarie al fine di impedire pericoli alle persone in luoghi di pubblico transito. Ebbene, le considerazioni innanzi svolte in ordine all'inerzia dell'amministrazione comunale retta dal F., in uno a quanto espressamente previsto dall'art. 14 del Nuovo. Codice della Strada, che impone al proprietario della strada (nel caso di specie, il Comune di Castellino del Biferno), al fine di garantire la sicurezza della circolazione, di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi, al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze e all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta, appaiono sufficienti per ritenere integrato il reato di cui all'art. 673 c.p. in tutti i suoi elementi costitutivi;. Venendo al trattamento sanzionatorio, lo stato di sostanziale incensuratezza dell'imputato, la sua leale condotta processuale e l'esigenza di adeguare la pena in concreto irroganda al disvalore del fatto inducono il giudicante- a ritenere il F. meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p. Di contro, tuttavia, quanto al capo A) dell'imputazione, la circostanza che l'inerzia del F. nel porre adeguati ripari al pozzo raccogli-acque, per come riferito da tutti i testi escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, si sia protratta anche dopo il sinistro occorso al Ma., giustifica, alla luce dei criteri di cui all'art. 133 c.p., l'irrogazione di una pena base superiore al minimo edittale. Pertanto, con riferimento al delitto di cui all'art. 589 c.p., Fr.En. deve essere condannato alla pena di giustizia di mesi sei di reclusione, da intendersi così calcolata: pena base pari a mesi nove di reclusione; riduzione di 1/3 per la concessione delle circostanze attenuanti generiche; p.f.: mesi sei di reclusione. Quanto alla contravvenzione di cui al capo B), tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 c.p., si ritiene equo irrogare, nei confronti del F., la pena pecuniaria dell'ammenda pari ad Euro 200,00, così calcolata: pena base: Euro 300,00 di ammenda; riduzione di 1/3 per la concessione delle circostanze attenuanti generiche; p.f. Euro 200,00 di ammenda. Al che fa seguito la condanna al pagamento delle spese processuali. L'assenza di pregiudizi penali induce a ritenere, anche in ragione dell'auspicabile effetto deterrente discendente dalla presente sentenza, che l'imputato si asterrà, per il futuro, dal commettere ulteriori reati; sicché, in permanenza degli altri requisiti di legge, può concedersi la sospensione condizionale della pena. Dal riconoscimento della, penale responsabilità in capo a Fr.En. consegue, inoltre, l'accoglimento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da perdita parentale, in tutte le sue componenti, subito, in proprio da. Ma.Ma., figlio di Ma.Lu., e da Bo.Am., moglie legalmente separata. La prova della sussistenza di tale danno/conseguenza è fornita dal rapporto parentale esistente fra Ma.Lu., il figlio e la moglie,:seppur legalmente separata. A tal proposito, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il risarcimento del danno morale può essere accordato anche al coniuge separato, per la morte dell'altro coniuge, in quanto lo stato di separazione personale non è incompatibile, di per sé, con tale ristoro, dovendo aversi riguardo, oltre che alla sua tendenziale temporaneità e alla possibilità di una riconciliazione, anche alle ragioni che hanno determinato la separazione e ad ogni altra utile circostanza idonea a chiarire se e in quale misura l'evento luttuoso, dovuto all'altrui fatto illecito, abbia procurato al coniuge superstite quelle sofferenze morali che di solito si accompagnano alla morte di una persona cara (cfr. Cass. civ., Sez. 3, Sent. n. 10393 del 2002). Il risarcimento del danno non patrimoniale può, dunque, essere accordato al coniuge, ancorché, separato legalmente, in considerazione della pregressa esistenza di un rapporto di coniugio, della sussistenza di figli, della non definitività dello status connesso alla separazione legale e della possibile ripresa della comunione familiare (v. Cass. civ., Sent. n. 25415 del 2013). Nel caso di specie, quanto alla posizione di Ma.Ma., va rimarcato lo strettissimo legame affettivo padre-figlio, certamente foriero di incommensurabile dolore e di stravolgimento esistenziale. Quanto alla B., vanno sottolineati i trentasette anni di coniugio, oltre alla presenza di figli e alla non definitività della separazione legale, a riprova della sussistenza di un legame particolarmente intenso tra i coniugi che, del resto, ha spinto Ma.Lu. ad esprimere il desiderio di voler incontrare l'ex moglie nel corso della degenza. Ciò posto, gli elementi appena evidenziati consentono di ritenere almeno in parte provato il danno patito dalle parti civili costituite. Ne discende, in mancanza di ulteriori riscontri che ne consentano la liquidazione integrale, la condanna per il F. di una provvisionale in favore di Ma.Ma., che si stima equo liquidare in Euro 30.000,00, e di Euro 5.000,00 in favore di Bo.Am., entrambe provvisoriamente esecutive per legge e da imputarsi a liquidazione definitiva dei danni. L'imputato va, inoltre, condannato al pagamento delle spese processuali sostenute dalle parti civili, che si liquidano in Euro 2.500,00 ciascuna, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Il concomitante carico di lavoro e la complessità delle questioni trattate non consente la redazione contestuale della motivazione della sentenza, occorrendo il termine di giorni novanta. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Fr.En. colpevole dei reati ascrittigli in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna, per il capo A), alla pena di giustizia di mesi sei di reclusione e, per il capo B), alla pena di Euro 200,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali; Visti gli artt. 163 e ss. c.p., ordina, in favore di Fr.En., che la pena resti sospesa nei termini e alle condizioni di legge; Visti gli artt. 538 e ss. c.p.p.; condanna l'imputato al risarcimento dei danni cagionati alle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede; condanna, tuttavia, l'imputato al versamento in favore di Ma.Ma. di una provvisionale di Euro 30.000,00, provvisoriamente esecutiva per legge, da imputarsi alla liquidazione definitiva dei danni, nonché in favore di Bo.Am. di una provvisionale di Euro 5.000,00, provvisoriamente esecutiva per legge, da imputarsi alla liquidazione definitiva dei danni; condanna l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalle medesime parti civili, che si liquidano in Euro 2.500,00 ciascuna, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge; Visto l'art. 544 co. 3 c.p.p., indica il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Così deciso in Campobasso il 2 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CAMPOBASSO RITO MONOCRATICO L'anno 2024 il giorno 6 febbraio il giudice dott.ssa Federica Adele dei Santi con l'intervento del P.M. 'in persona del V.P.O. dr.ssa Antonella Cirelli ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: Am.De., nato a C. il (...) e ivi residente alla via Q. n. 7 - detenuto per altra causa, assente per rinuncia - assistito dal difensore di fiducia Avv. Si.To. del Foro di Campobasso, presente; IMPUTATO del r. p. e p. dall'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002, perché, nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale n. 3104/18 RGNR, dichiarava circostanze false in ordine al requisito reddituale, sostenendo contrariamente al vero di aver percepito redditi inferiori all'accertamento nell'anno 2020. Con recidiva In Campobasso, istanza del 28.03.2022 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio ex art. 429 c.p.p., emesso dal G.u.p. del Tribunale di Campobasso in data 23.03.2023, l'imputato era tratto a giudizio per rispondere del reato indicato nell'epigrafe del presente provvedimento. All'udienza del 13.06.2023 accertata la regolare instaurazione del rapporto processuale (presente l'imputato mediante collegamento in videoconferenza, in quanto detenuto per altra causa) il giudice dichiarava aperto il dibattimento invitando le parti a formulare le richieste di prova che ammetteva, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, facendo rinvio al 5.12.2023 per lo svolgimento dell'attività istruttoria. In detta udienza si procedeva all'esame dei testi D.G. (citato dal Pubblico ministero) e M.G. (citata dalla difesa), e all'esito il Pubblico Ministero effettuava produzione documentale, che veniva acquisita agli atti, mentre l'imputato rinunciava a sottoporsi ad esame e il processo era differito al 6.02.2024 per la discussione. All'udienza citata il giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento invitando le parti a rassegnare le conclusioni, così come riportate in epigrafe, e pronunciava la presente sentenza mediante lettura del dispositivo, allegato al verbale di udienza, riservando per il deposito della motivazione il termine di giorni trenta. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Ritiene questo giudice che, sulla base delle risultanze dell'istruttoria dibattimentale, non risulti provata oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dell'imputato per il reato ascrittogli in rubrica. Dalle dichiarazioni rese in aula dal teste qualificato D.G.G., in forze alla Guardia di Finanza di Campobasso, nonché dalla documentazione versata in atti, è emerso che in data 9 novembre 2021 Am.De. presentava presso il Tribunale di Campobasso istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in quanto imputato nel procedimento penale n. 3104/2018 R.G.N.R. - n. 201/20 R.G.T., dichiarando che il reddito percepito dal relativo nucleo familiare, nell'anno 2020 (quale anno d'imposta di interesse ai fini della sussistenza dei requisiti reddituali per l'accesso al beneficio), era parti ad Euro 5.875,15 (cfr. istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato del 9.11.2021, acquisita all'udienza del 5.12.2023 ). Dagli accertamenti espletati dal personale della Guardi di Finanza di Campobasso in merito all'istanza di accesso al patrocinio a spese dello Stato a firma dell'odierno imputato emergeva che nell'anno d'imposta 2020 il nucleo familiare dell'A., composto oltre che dal medesimo da M.G., A.V., A.I., M.C. e C.S. (in conformità alla dichiarazione sul punto resa dall'imputato nell'istanza incriminata), aveva percepito redditi per complessivi Euro 14.486,33 (cfr. dichiarazioni rese dal teste D.G.G., pagg. 4 e ss. del verbale stenotipico, udienza del 5.12.2023, nonché documentazione reddituale acquisita alla medesima udienza). Dunque, gli accertamenti reddituali in parola dimostravano una discordanza tra quanto dichiarato dall'imputato in sede di istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (del 9.11.2021) e la effettiva situazione reddituale del relativo nucleo familiare per l'anno d'imposta di interesse, costituito dall'anno 2020. Come pure riferito dal teste D., i redditi complessivi percepiti dal nucleo familiare dell'imputato nell'anno d'imposta 2020 (pari ad Euro 14.486,33) e non integralmente indicati dal prevenuto nell'istanza incriminata (ove, si rammenta, l'A. ha dichiarato redditi per complessivi Euro 5.875,15) non risultavano comunque ostativi per l'ammissione al beneficio in parola in quanto inferiori alla soglia reddituale determinata allo scopo dalla legge e fissata nella misura di Euro 11.746,68, al netto degli innalzamenti relativi alla presenza di altri componenti all'interno del nucleo familiare dell'imputato (in virtù di quanto disposto dall'art. 92 del D.P.R. n. 115 del 2002) e perciò determinata in concreto nella misura di 16.911,23 (cfr. deposizione del teste D., pagg. 4 e ss. del verbale stenotipico del 5.12.2023). Così ricostruito il fatto, ritiene questo giudice non raggiunta la prova certa oltre ogni ragionevole dubbio della colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli. Invero, il compendio probatorio evidenziato, pur avendo fatto emergere sotto il profilo oggettivo gli elementi costitutivi del reato contestato che, per costante giurisprudenza di legittimità, si perfeziona per il semplice fatto di aver reso false indicazioni od omissioni in merito ai dati riportati nella dichiarazione sostitutiva o in qualunque altra dichiarazione prevista per l'ammissione al beneficio in parola (cfr. Cass. Pen., Sezioni Unite, 16 febbraio 2009, n. 6591, secondo cui "integrano il delitto di cui all'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al benefìcio"), non ha in maniera univoca restituito la prova della partecipazione psichica alla commissione del fatto di reato da parte dell'imputato. Le circostanze emerse dall'istruttoria dibattimentale inducono, infatti, quantomeno a dubitare che Am.De. abbia deliberatamente omesso di indicare in maniera integrale, nell'istanza di ammissione oggetto di contestazione, i redditi familiari relativi all'anno 2020 (quale anno di interesse ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti per l'accesso al beneficio), così come emersi dagli accertamenti compiuti dal personale della Guardia di Finanza e pari a complessivi Euro 14.486,33. Trattasi, infatti, di redditi contenuti entro la soglia legale prevista per l'accesso al beneficio in parola e determinata (per l'anno d'imposta 2020), al lordo degli innalzamenti correlati alla presenza di ulteriori familiari all'interno del nucleo familiare dell'istante (in ossequio al disposto dell'art. 92 D.P.R. n. 115 del 2002), nella misura di Euro 16.911,23. Ebbene, la circostanza che i redditi complessivi accertati in capo al nucleo familiare dell'imputato e dal medesimo non integralmente indicati in sede di istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato consentano ugualmente l'accesso al beneficio in parola induce quantomeno a dubitare del fatto che lo stesso abbia agito con coscienza e volontà nel rendere la dichiarazione mendace, attesa la mancanza di elementi ulteriori ed univoci in tal senso, e pertanto porta a dubitare che la condotta posta in essere dall'odierno imputato fosse sorretta dell'elemento psicologico del reato, costituito pacificamente dal dolo. Come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità, "Ze false indicazioni od omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di cui all'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per 1'ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico rigorosamente provato che esclude la responsabilità per un difetto di controllo da considerarsi condotta colposa, e salva l'ipotesi del dolo eventuale" (cfr. Cass. pen. sez. IV, n. 7192/2018). Trattasi, infatti, di reato a dolo generico, da accertare in considerazione delle circostanze del singolo caso, ben potendosi lo stesso atteggiare anche nelle forme del dolo eventuale. Ed invero, come chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione, "ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002, è necessaria la sussistenza del dolo, che richiede, oltre alla previsione dell'evento la prova, anche nella forma eventuale, di un atteggiamento psichico che manifesti adesione all'evento previsto" (così, Cass. pen. sez. IV, n. 21577/2016). Ancor più rigoroso, poi, è l'accertamento richiesto dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, qualora la falsità o l'omissione riguardi redditi in concreto rientranti nei limiti massimi stabiliti dalla legge per ottenere il beneficio del patrocinio per non abbienti a spese dello Stato, occorrendo in tali casi "verificare con particolare attenzione se, alla stregua delle risultanze processuali, la falsità o l'omissione fosse realmente espressiva di deliberato mendacio o reticenza sulle effettive condizioni reddituali o non fosse piuttosto frutto di disattenzione, come tale non qualificabile come dolo" (si veda sul punto, Cass. Pen., n. 49572/2019). Orbene, facendo applicazione in concreto delle coordinate ermeneutiche dettate dalla Suprema Corte di legittimità, come testé richiamate, nel caso di specie, in difetto di univoche e convergenti risultanze processuali, non può dirsi provata oltre ogni ragionevole dubbio nella condotta posta in essere dall'imputato, né la previsione dell'evento né alcuna forma di adesione al medesimo, risultando del tutto illogico ed inverosimile che il prevenuto abbia agito accettando il rischio di rendere una falsa dichiarazione e dunque di commettere reato tacendo dei redditi che gli avrebbero ugualmente consentito di accedere al beneficio richiesto, non potendosi escludere che l'A. abbia agito con leggerezza e disattenzione, assumendo perciò una condotta colposa, come tale non punibile in questa sede. Difettando, perciò, la prova certa della coscienza e volontà in capo al prevenuto, anche in termini di accettazione del rischio, di fornire false indicazioni od omissioni in ordine alla consistenza dei redditi familiari attraverso l'istanza de qua, l'imputato va mandato assolto - quantomeno con la formula dubitativa - dal reato a lui ascritto perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Letto l'art. 530 comma 2 c.p.p. assolve Am.De. dal reato a lui ascritto in rubrica perché il fatto non costituisce reato. Letto l'art. 544, comma 3, c.p.p. indica per il deposito della motivazione il termine di giorni trenta. Così deciso in Campobasso il 6 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT.SSA VERONICA D'AGNONE Alla pubblica udienza del 21/02/2024 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. Ci.Cl., nato a P. il (...), residente in C., alla Via R. n. 1; Posizione giuridica: detenuto rinunciante a comparire Per il reato di cui all'allegato capo di imputazione IMPUTATO Del reato p. e p. dagli artt. 624 e 625, comma 1 n. 7, c.p., perché, al fine di trarne profitto, all'interno del supermercato "Fa.", ubicato in C. alla Via S. G. dei G. n. 37, dopo aver eliminato le etichette antitaccheggio, si impossessava di merce esposta in vendita con sistema self service, per un totale di Euro 123,30, occultandola all'interno della felpa. Con l'aggravante di avere commesso il fatto su cose esposte per consuetudine alla pubblica fede. In Campobasso il 03.01.2020. Con l'intervento del V.P.O. Dott.ssa Sa.Sa. e dell'Avv. Al.Gi. del foro di Campobasso di fiducia per l'imputato. Con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale. ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO 1.- Si dà preliminarmente atto che la motivazione della presente sentenza si conforma ai dettami di cui all'art. 546 c.p.p., quale risultante dall'intervento di riforma della L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, anche in considerazione del nuovo regime dell'ammissibilità dell'atto di appello, il quale postula l'agile individuazione del paradigma devolutivo sul quale commisurare la facoltà di impugnazione delle parti. 2.- Con decreto ritualmente notificato, Ci.Cl. veniva citato davanti al Tribunale per rispondere del reato ascrittogli ex artt. 624 e 625, comma 1 n. 7, c.p. "perché, al fine di trarne profitto, all'interno del supermercato "F.", ubicato in C. alla Via S. G. dei G. n. 37, dopo aver eliminato le etichette antitaccheggio, si impossessava di merce esposta in vendita con sistema self-service, per un totale di Euro 123,30, occultandola all'interno della felpa. Con l'aggravante di avere commesso il fatto su cose esposte per consuetudine alla pubblica fede. In Campobasso il 03.01.2020". All'udienza del 7.04.2021 veniva accertata la regolare costituzione delle parti e veniva aperto il dibattimento; le parti illustravano le rispettive richieste di prova ed il Giudice ammetteva quelle rilevanti ai fini della decisione. All'udienza del 22.09.2021 si dava corso all'istruttoria dibattimentale, terminata la quale, all'udienza del 21.02.2024, le parti venivano invitate alla discussione e, sulle conclusioni rassegnate, il Giudice si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale pronunciava sentenza di condanna, per le ragioni di seguito esposte. 3.- Espletata istruttoria dibattimentale All'udienza del 22.09.2021 si procedeva all'audizione del teste P.S., all'epoca dei fatti maresciallo ordinario effettivo presso la stazione dei Carabinieri di Campobasso, il quale, in merito agli atti di indagine compiuti con riferimento ai fatti d'accusa, ha dichiarato: "La querela è stata raccolta da un mio collega, il Carabiniere D.R., però lui mi ha mostrato le immagini. Siccome sto alla stazione di Campobasso da quasi venti anni, conosco un po' tutti, ho riconosciuto l'autore del furto in Ci.Cl. (...) Si vede Ci.Cl. che prende questi prodotti, li tiene in quei carrellini a mano; a un certo punto prende i prodotti, li inserisce nella felpa, nelle tasche anteriori. Una volta che ha svuotato il tutto il cestino, esce dal supermercato senza pagare nulla. Si vede che lui utilizzava una stampella canadese, tanto è vero che l'aveva lasciata fuori dall'esercizio commerciale. Riprende questa stampella e va via. Tanto è che lo stesso giorno di quando ho visto le indagini, l'abbiamo invitato in caserma, aveva in uso la stessa stampella, l'abbiamo anche fotografato, previo consenso da parte sua, e quindi abbiamo realizzato questo fascicolo fotografico con le foto, alcune frame del video, comunque parliamo di immagini anche abbastanza chiare (...) L'ho riconosciuto subito perché l'ho denunciato tante altre volte" (cfr verbale del 22.09.2021). A questo punto, il teste ha riconosciuto l'autore dei fatti descritti, Ci.Cl., nel soggetto individuato nelle foto n. 5 e 6 del fascicolo del PM ("Sì, è questo. Le foto numero 5 e numero 6 sono quelle che abbiamo fatto in caserma; quelle precedenti sono dei frame estrapolati dalle immagini" cfr verbale del 22.09.2021). Su domanda del Pubblico Ministero, ha dichiarato di aver visionato, dai filmati mostratigli, che l'odierno imputato aveva prelevato della merce dagli scaffali del supermercato, l'aveva, poi, riposta in un carrellino e, infine, l'aveva occultata nella felpa indossata. Ha precisato che i prodotti prelevati erano di genere alimentare ("comunque ricordo che, come è stato detto, erano salumi e formaggi" cfr verbale del 22.09.2021). Si procedeva all'audizione del teste V.C., il quale, premesso di essere direttore del supermercato F. sito in C. alla Via S. G. dei G. n. 37, in merito ai fatti descritti nel capo di imputazione, ha dichiarato: "In pratica, nel periodo in cui ho sporto la denuncia, antecedentemente alla denuncia, notavo che in alcune corsie, noi abbiamo anche il servizio di videosorveglianza, trovavo delle etichette dove noi apponiamo il prezzo dei prodotti, prettamente prodotti freschi, e etichetta antitaccheggio, quella che poi suona alle casse quando varcano la barriera, le trovavo stivate negli scaffali, ovviamente non dei banchi frigoriferi ma negli scaffali dei prodotti secchi. Sicché ho interpellato il mio ufficio tutela patrimonio dove hanno ripreso con le telecamere un individuo che solitamente entrava, prelevava dai banchi frigoriferi questi prodotti che erano formaggi, salumi pre incartati, li privava del taccheggio e dell'etichetta di prezzo e li occultava addosso e poi usciva per le casse senza pagare (...) Noi abbiamo una etichetta adesiva, magnetica, viene attaccata al prodotto (...) quando poi passa in cassa, la cassa in automatico la disattiva e non suona all'uscita (...) Abbiamo recuperato i dati dove si vedeva che questa persona toglieva tutte le etichette e occultava i prodotti all'interno di giubbini, pantaloni, e ho sporto denuncia ai Carabinieri. Ovviamente dei prodotti che ho recuperato dagli scaffali, ma precedentemente non so" (cfr verbale del 22.09.2021). Su domanda del Giudice, ha precisato che il danno legato al patito furto poteva essere quantificato in circa 200 euro; ha aggiunto che i beni prelevati consistevano in formaggi e salumi. Su domanda del Pubblico Ministero, ha affermato di aver personalmente osservato dalle telecamere di videosorveglianza che l'odierno imputato "Sconfezionava i prodotti che prelevava dai frigoriferi, occultava l'etichetta ....antitaccheggio negli scaffali e li occultava addosso"; precisamente, li riponeva "nei pantaloni, portava di solito delle felpe con delle tasche laterali". All'udienza del 30.03.2022 si procedeva all'audizione del teste D.R., all'epoca dei fatti in servizio presso la stazione dei Carabinieri di Campobasso, il quale, in merito ai fatti descritti nel capo di imputazione, ha dichiarato: "A seguito della denuncia verbalizzata, il denunciante forniva anche tre file video dell'impianto di videosorveglianza. Appunto erano tre file riguardanti precisamente la zona delle casse, la zona immediatamente esterna all'uscita dell'esercizio commerciale... e ...la zona del presunto furto. Come agenti operanti abbiamo appunto visionato queste tre riprese, in particolar modo quella della corsia, dove appunto notavamo la presenza di questa persona - successivamente identificata appunto in Ci.Cl., già conosciuto agli uffici - che appunto staccava delle etichette... Sembrava staccare comunque delle etichette antitaccheggio, così come denotato dal denunciante, e le riponeva sugli scaffali immediatamente di fronte a lui (...) diciamo che manovrava gli oggetti che aveva preso un attimo dal carrello, e poneva appunto queste etichette al di sopra degli scaffali (...) Li occultava riferendosi agli oggetti prelevati prima nella parte superiore dell'indumento, quindi della giacca, e successivamente anche all'interno della felpa, nella tasca interna della felpa sul ventre diciamo" (cfr verbale del 30.03.2022). Su domanda del Giudice, ha dichiarato di aver riconosciuto il C. direttamente dalle immagini di videosorveglianza visionate in quanto si trattava di un soggetto già noto alla PG; ha precisato di averlo riconosciuto dal viso e dal modo di camminare, poiché l'uomo deambulava mediante l'utilizzo di una stampella canadese. Sempre su domanda del Giudice, ha dichiarato di conoscere l'odierno imputato in quanto, prima dei fatti occorsi il 3.01.2020, l'uomo si era recato in più occasioni in Caserma. Ha dichiarato che il valore della merce prelevata dal C. aveva un valore economico pari a circa 120 o 150 euro; ha precisato che si trattava di beni deperibili del tipo prosciutti e salami. Su domanda della Difesa, ha affermato che, dopo il verificarsi del furto denunciato, il C. era stato chiamato dagli agenti di PG e si era spontaneamente recato in Caserma. Ha precisato che il direttore del supermercato, V.C., aveva portato con sé in Caserma le etichette antitaccheggio che erano state staccate dai prodotti prelevati dagli scaffali del supermercato, per cui il valore della merce rubata era stato quantificato in circa 120 euro ("Ha proceduto ad una somma matematica di queste etichette... Non poteva però quantificare il resto della merce perché lui, da quello che diceva il denunciante chiaramente, aveva staccato ... Lì aveva rinvenuto solamente le etichette antitaccheggio che sono presenti sui prodotti di salumeria che vengono lì confezionati al momento" cfr verbale del 30.03.2022). Ha affermato che, al momento del passaggio del C. alla cassa del supermercato, il metaldetector non si era attivato poiché le etichette antitaccheggio staccate dalla merce rubata erano state occultate dall'odierno imputato tra gli scaffali del F.. 4.- Configurabilità del reato contestato. Alla stregua dell'espletata istruttoria dibattimentale va affermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di Ci.Cl.. P.S. e D.R. (appartenenti all'Arma dei Carabinieri) hanno riconosciuto senza ombra di dubbio C. nell'uomo la cui immagine è stata ripresa dalle telecamere di videosorveglianza poste all'interno del supermercato F.. Del pari, il direttore del supermercato lo ha riconosciuto nell'uomo ripreso nella corsia del supermercato dall'apposito sistema di videoriprese. Sussistono le contestate aggravanti. Costante è, invero, il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'esistenza di telecamere di videosprveglianza non esclude la configurabilità della circostanza aggravante dell'esposizione del bene alla pubblica fede; su cfr Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 1509 del 26/10/2020 Ud. dep. 14/01/2021 Rv. 280157 - 01, secondo cui: "in tema di furto, la circostanza aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall'esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato non idoneo a garantire l'interruzione immediata dell'azione criminosa, mentre solo una sorveglianza specificamente efficace nell'impedire la sottrazione del bene consente di escludere l'aggravante di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen."). Precisa, ancora, la Suprema Corte che per "pubblica fede" deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui in cui confida chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente incustodita. Detta nozione si desume dalla ratio dell'aggravamento previsto dall'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, ovvero dalla volontà del legislatore di apprestare una più energica tutela penale alle cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per necessità o per consuetudine e che possono essere più facilmente sottratte (cfr. Cass. pen., Sez., V, sent. 14 giugno 2019, n. 38900). La Cassazione ha statuito come, in tema di furto aggravato di cose esposte alla pubblica fede, il requisito della esposizione per "necessità" richiede che sia puntualmente accertata, in concreto, la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la "res" furtiva (Sez. 5, n. 15395 del 28/01/2020, n. 51255 del 2019; n. 33863 del 2018; n. 33557 del 2016), mentre il requisito dell'esposizione "per consuetudine", intendendosi per tale una pratica di fatto, generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini generali di vita associata o di relazione, ancorché non imposta da un'esigenza dalla quale non si possa prescindere, sussiste anche nel caso in cui la cosa si trovi in luoghi privati ma aperti al pubblico ed è soggetta a sorveglianza saltuaria, posto che la ragione dell'aggravamento consiste nella volontà di apprestare una più elevata tutela alle cose mobili lasciate dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua (Sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014; n. 12880 del 2015). Con specifico riferimento alla sottrazione di prodotti dotati di placca antitaccheggio presenti in un esercizio commerciale, poi, la giurisprudenza di legittimità sostiene che "integra il reato di furto aggravato dall'esposizione della cosa alla pubblica fede la sottrazione, all'interno di un esercizio commerciale, di prodotti dotati di placca antitaccheggio, in quanto tale dispositivo, consistendo nella mera rilevazione acustica delle merce occultata al passaggio alle casse, non consente il controllo del percorso della merce dal banco di esposizione alla cassa e, quindi, non comporta il controllo a distanza che esclude l'esposizione della merce alla pubblica fede" (cfr Cass. penale, sent. n. 24862 del 25.02.2011). Riconosciuta l'aggravante in parola e riconosciuta sussistente, altresì, la circostanza aggravante della recidiva, in ragione della natura delle precedenti condanne, le quali lasciano ragionevolmente inferire che l'odierna ricaduta nel reato sia espressione di una acquisita maggiore capacità a delinquere, osserva il Tribunale che il valore, invero modesto, del danno patrimoniale arrecato alla persona offesa, pari a poco più di Euro 120 (Euro 123,30), consenta di riconoscere all'imputato l'attenuante del danno di speciale tenuità. 5.- Trattamento sanzionatorio All'imputato è stata correttamente contestata la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. Il giudice di legittimità ha statuito che "ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatico di un'accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell'esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell'imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull' arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato "sub iudice" (Cass. pen. Sez. 3, Sentenza n. 33299 del 16/11/2016). Nel caso in esame, la molteplicità di furti consumati e tentati in passato compiuti dall' imputato non può non porsi in relazione con il delitto in esame, evidenziando una più intensa pericolosità del soggetto da giudicare. Passando alla dosimetria della pena, si osserva che le complessive modalità della condotta ed il danno, invero modesto, arrecato alla persona offesa consente di ritenere le aggravanti contestate equivalenti alla riconosciuta circostanza attenuante, sì da individuare l'intervallo edittale in quello ex art. 624 c.p. Ciò posto, valutati gli elementi di cui all'art. 133 c.p. ed in particolare il modesto valore del bene sottratto, può contenersi la pena base sul minimo edittale, sicché si stima equo irrogare la pena finale di mesi 6 di reclusione ed Euro 154 di multa. L'imputato va altresì condannato al pagamento delle spese processuali. C. non può beneficiare della sospensione condizionale della pena, essendo ostativi i numerosi precedenti penali ed avendo beneficiato l'imputato di due precedenti sospensioni condizionali. 6.- Il termine per il deposito della sentenza è stato indicato in ragione della compiuta ed efficiente gestione del ruolo complessivamente in carico alla Scrivente, designata in via principale alle funzioni GIP/GUP e di Giudice con carico del Tribunale del Riesame e delle Misure di Prevenzione personali e patrimoniali. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara Ci.Cl. colpevole del reato ascrittogli e, ritenuta la circostanza attenuante ex art. 62 n. 4 c.p. equivalente alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 154,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali. Fissa in giorni 60 il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in Campobasso il 21 febbraio 2024. Depositata in Cancelleria il 22 febbraio 2024.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CAMPOBASSO RITO MONOGRATICO L'anno 2024 il giorno 16 gennaio il Giudice dott.ssa Federica Adele dei Santi con l'intervento del P.M. in persona del dr. Francesco Santosuosso ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: Va.Ca. nato il (...) a C. e ivi residente al R. S. Va. n.3, elettivamente domiciliato presso lo Studio del difensore Avv. Pi.Lo. - libero già presente - assistito dal difensore di fiducia Avv. Pi.Lo. del Foro di Roma, presente, sostituito alla sola lettura del dispositivo dall'Avv. Sa.Mi., ai sensi dell'art. 97,co.4, c.p.p.; IMPUTATO Per i reati di cui al foglio allegato; Parte civile: Ra.Se., assistito dal difensore Avv. Fr.Pa., del Foro di Campobasso, presente; IMPUTATO del reato p. e p. dagli artt. 81 cpv e 368 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, a mezzo di reiterate denunce/querele presentate alla Autorità Giudiziaria (o ad organi di P.G. che ad essa avevano obbligo di riferire) incolpava, sapendolo innocente, Ra.Se. di aver realizzato varie condotte costituenti reato i cui relativi procedimenti sono stati archiviati per l'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi. In particolare: 1. con istanza presentata (tra gli altri) al Giudice del registro del Tribunale di Campobasso, in data 30.11.2015, falsamente accusava Ra.Se. (ed altri) di aver - mediante la realizzazione di atti falsi - bloccato l'attività di amministrazione della ditta Va. s.a.s. di Va.Ca.; 2. con istanza presentata (tra gli altri) al Giudice del registro del Tribunale di Campobasso in data 15.2.2016, falsamente accusava Ra.Se. (ed altri) di aver illegittimamente richiesto ed ottenuto la modifica societaria della ditta Va. s.a.s.; 3. con istanza/esposto presentata in data 27.9.2016 al Giudice delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Campobasso (ed indirizzata anche al Consiglio Superiore della Magistratura), accusava Ra.Se. (ed altri, tra cui anche Giudici del Tribunale di Campobasso, rispetto ai quali procede altra A.G. ex art. 11 c.p.p.) di essere stato avvantaggiato nel conferimento di incarichi professionali da parte del Tribunale di Campobasso, tanto il R. da divenire asseritamente "esclusivista di incarichi da parte del dott. M.R. nella Sezione fallimentare del medesimo Ufficio..."; 4. con denuncia querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 20.9.2016 ed indirizzata all'A.G. di Bari, presentata ad integrazione della querela del 18.7.2016, falsamente accusava vari soggetti, fra cui Ra.Se. di aver, in concorso con vari altri, operato l'illegittima trasformazione della società Va. s.a.s. in Va. s.n.c. accusandoli di aver realizzato ed utilizzato falsi atti e consentito l'apprensione ad altri soggetti dei beni della società cosi modificata; 5. con denuncia querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso, in data 23.12.2017, falsamente accusava vari soggetti, tra cui Ra.Se. - ritenendolo ispiratore e istigatore delle condotte - di avergli causato il danno ingiusto della modifica societaria della ditta Va. s.a.s. (legalmente rappresentata dallo stesso Va.Ca.) nonché di averlo sottoposto a minacce verbali e, mediante violenza psicologica e fisica, impedito gli accessi alla proprietà della ditta ed impedito l'esercizio dell'attività di impresa; 6. con denuncia querela presentata presso il Comando di Polizia Municipale di Campobasso in data 22.1.2018 falsamente accusava vari soggetti, tra cui Ra.Se. - ritenendolo ispiratore e istigatore delle condotte - di averlo sottoposto a "violenza psicologica, verbale e fisica" impedendogli di entrare liberamente in immobili di proprietà; 7. con denuncia querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 18.6.2018, accusava Ra.Se. di aver intrapreso native varie ed illegittime, cosi offendendo l'onore ed il decoro dello stesso Va.Ca.; 8. con denuncia querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 18.7.2018, accusava vari soggetti, tra cui Ra.Se. - di avergli causato il danno ingiusto della modifica societaria della ditta Va. s.a.s., modifica asseritamente operata illegittimamente e sostituendosi alla sua persona. Tanto faceva presentando i vari atti sopra descritti, tutti riguardanti la menzionata vicenda societaria, anche dopo la valutazione dell'insussistenza degli elementi contenuti nelle varie denunce da parte dell'AG. e nell'ulteriore consapevolezza che le sue iniziative, cosi valutate nel tempo dall'A.G., erano state definite ed archiviate. In Campobasso, dal 30.11.2015 al 18.7.2018. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto ex art. 429 c.p.p. reso in data 28.09.2021 il G.u.p. in sede, su richiesta del P.M., disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato per rispondere dei reati indicati in epigrafe, fissando per la celebrazione del dibattimento dinanzi a questo Tribunale, in composizione monocratica, l'udienza del 21.01.2022. All'udienza in parola il Giudice, verificata la regolare instaurazione del rapporto processuale, anche con la già costituita parte civile Ra.Se., dichiarava aperta l'istruttoria dibattimentale invitando le parti a formulare le rispettive richieste di prova che ammetteva - nei termini di cui al verbale di udienza - valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, disponendo rinvio al 20.5.2022 per l'inizio dell'attività istruttoria. Nella predetta udienza si procedeva all'escussione dei testi Ra.Se. e S.G. e veniva acquisita in atti la documentazione prodotta dal Pubblico Ministero. Alla successiva udienza del 18.11.2022 il Giudice, preso atto della intervenuta rinuncia da parte dell'Avv. M.G. al mandato difensivo conferitogli dell'imputato, nominava l'Avv. T.D. difensore di ufficio dell'imputato, ai sensi dell'art. 97 co. 1 c.p.p., e concedeva alla medesima un termine a difesa ex art. 108 c.p.p. in accoglimento dell'istanza in tal senso formulata, con rinvio del processo al 17.2.2023. All'udienza del 17.2.2023 preliminarmente l'imputato, presente in aula, dichiarava di nominare quale suo unico difensore di fiducia P Avv. A.S., presente e immediatamente edotto; quindi, si procedeva all'escussione dei testi V.G. e Z.F. nonché all'acquisizione della ulteriore documentazione prodotta dalle parti, con rinvio al 20.6.2023. Nella predetta udienza venivano sentiti i testi (citati dalla difesa dell'imputato) R.M.C., P.L. e V.G. e all'esito la difesa rinunciava ai testi residui della propria lista, nulla osservando le altre parti; inoltre, le parti effettuavano ulteriore produzione documentale che veniva acquisita in atti. Quindi, il Giudice dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili ai fini della decisione tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo d'ufficio e disponeva rinvio al 21.11.2023 per la discussione. L'udienza in parola veniva rinviata al 16.01.2024 per l'assenza del magistrato titolare del fascicolo; al contempo, il Giudice delegato per provvedere al rinvio dava atto della nuova nomina quale difensore di fiducia conferita dall'imputato all'Avv. Piero Lorusso, come da atto trasmesso in cancelleria in data 20.11.2023 (con contestuale istanza di rinvio per impedimento legittimo a comparire nonché di concessione di un termine a difesa ex art. 108 c.p.p.). All'udienza del 16.01.2024 l'imputato, presente in aula, rendeva spontanee dichiarazioni; altresì, il giudice, sentite le parti, rigettava l'eccezione di incompetenza per materia sollevata dalla difesa, come da ordinanza pronunciata oralmente e confluita nel verbale di udienza, e invitava le parti a formulare le conclusioni, come riportate in epigrafe, e all'esito della camera di consiglio pronunciava la presente sentenza mediante lettura del dispositivo, allegato al verbale di udienza, riservando per il deposito della motivazione il termine di giorni sessanta. MOTIVI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE All'imputato si contestano una pluralità di condotte integrative del delitto di calunnia di cui gli artt. 81 comma 2 e 368 c.p. perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, a mezzo di reiterate denunce-querele presentate alla Autorità giudiziaria (o ad organi di P.G. che ad essa avevano obbligo di riferire) - come nel dettaglio descritte in rubrica - incolpava, sapendolo innocente, Ra.Se. di aver realizzato molteplici condotte costituenti reato e così dando luogo a diversi procedimenti penali a suo carico archiviati per l'insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi. All'esito dell'istruttoria dibattimentale ritiene questo Giudice raggiunta la prova certa oltre ogni ragionevole dubbio della penale responsabilità dell'imputato per il reato continuato a lui ascritto in rubrica, limitatamente alle condotte descritte ai punti numero 4, numero 6 e numero 7 dell'imputazione. Si impone, invece, una declaratoria di improcedibilità nei confronti del prevenuto con riferimento alle condotte descritte ai punti numero 1 e numero 2 dell'imputazione perché estinte per intervenuta prescrizione, mentre deve essere mandato assolto l'imputato dalle ulteriori contestazioni relative alle condotte descritte ai punti numero 3, numero 5 e numero 8 dell'imputazione, perché il fatto non sussiste. Giova ripercorrere brevemente le dichiarazioni testimoniali raccolte nel corso dell'istruttoria. Sentito all'udienza del 20.5.2022, il teste Ra.Se., parte civile nel presente procedimento, ha confermato di aver sporto denuncia nei confronti dell'odierno imputato dopo aver appreso che il Va.Ca., nel tempo, aveva spiegato numerose denunce-querele a suo carico oltre che varie segnalazioni, anche al Consiglio dell'Ordine dei Commercialisti, che avevano dato luogo a procedimenti penali nonché ad un procedimento disciplinare in seno al citato Ordine professionale, attribuendogli condotte di reato del tutto insussistenti e mettendo in discussione il suo operato in maniera strumentale: "...il signor Va. ha riferito, almeno nelle denunce, situazioni assolutamente inesistenti, non vere, assumendo tra l'altro anche degli atteggiamenti calunniosi perché sinceramente non vedevo...Cioè tutte le circostanze che sono state contestate poi sono state oggetto di approfondimenti e anche di indagini e si sono dimostrate infondate, del tutto infondate. Chiaramente questo lo ha fatto anche creandomi non pochi disagi anche nel contesto dell'attività lavorativa perché, lavorando all 'interno del Tribunale come consulente tecnico del Giudice, ho rischiato anche di dover giustificare situazioni inesistenti, quindi mettendomi anche in cattiva luce o, meglio, cercando di mettermi in cattiva luce all'interno della struttura giudiziaria" (cfr. pag. 8 del verbale stenotipico del 20.05.2022). Il teste R. ha poi rammentato di aver conosciuto l'odierno imputato diversi anni addietro perché si era occupato, nel lontano 1997, della cessione delle quote di partecipazione della società "Va." da parte dei soci, familiari dell'imputato, in favore di Va.Ca.: "...questa situazione del '97 la proposi io proprio per aiutare Va.Ca. perché, cercando di trovare una soluzione anche lavorativa per lo stesso Va.Ca. - allora non avrei potuto mai immaginare che la situazione degenerasse in questo modo - convinsi gli altri soci a cedere le quote a lui ...perché gli altri fratelli di fatto esercitavano già attività commerciali o imprenditoriali... mi ricordo che fui contattato anche dal genitore, il signor V.V., il padre, per trovare una situazione condivisa all 'interno della famiglia... " (cfr. pag. 14 del verbale di stenotipia del 20.5.2022). In epoca successiva era venuto a conoscenza del fatto che il Tribunale di Campobasso, con sentenza di primo grado n. 531/2007, aveva dichiarato l'invalidità della predetta cessione perché, in sostanza, non era stato corrisposto il prezzo delle quote sociali da parte del Va.Ca.. Proprio in relazione alla citata sentenza di primo grado, si era poi occupato, su delega di V.G. e in qualità di intermediario, della pratica relativa alla iscrizione nel Registro delle Imprese del nuovo assetto societario derivante dalla pronuncia in parola. Quindi, trasmetteva alla C.C. il "Modello S2" di variazione dei dati della società "Va. s.a.s. di Va.Ca.", unitamente alla copia della sentenza del 2007. Così, i funzionari della C.C., previa autorizzazione del Giudice del Registro, provvedevano ad iscrivere la predetta modifica dell'assetto societario: "...Chiaramente il mio compito è stato quello di un intermediario. Avendo, ovviamente, la possibilità di trasmettere gli atti presso la C.C., mi è stato richiesto di fare questo. È chiaro che la valutazione sulla iscrivibilità non passa... io sono come intermediario, ma poi deve essere la C.C. a valutare la sussistenza dei presupposti, non posso decidere io. Tant'è che quando feci questa trasmissione, mi limitai esclusivamente a produrla inserendo la copia della sentenza.. .In questo caso c 'era una sentenza, mi si chiese di trasmetterla, io la trasmisi, la C.C. chiese al Giudice del Registro se fosse possibile iscriverla, il Giudice del Registro con un proprio provvedimento stabilì la possibilità di iscrizione e fu iscritta. Le vicende successive non mi riguardavano..." (cfr. pagg. 9 e ss. del verbale stenotipico cit). Dunque, nonostante egli avesse svolto esclusivamente il ruolo di intermediario per la trasmissione della suddetta iscrizione nel Registro delle Imprese, proprio alla luce di suddetta vicenda societaria diveniva destinatario delle condotte di cui alla contestazione, espressive di un vero accanimento nei propri confronti, da parte del Va.Ca.: "...Sono trenta anni, io dal '90 esercito la professione, quindi era la prima volta che mi succedeva una cosa del genere. Ma la situazione che più mi ha ferito è questa insistenza sistematica, cioè denunce... Ad un certo punto ho scoperto che contro di me erano state fatte sette denunce ed io non lo sapevo neanche perché, ovviamente, le archiviazioni non le conoscevo, non sapevo che ci fossero dei procedimenti penali... qui si andavano a mettere in dubbio i miei rapporti, il mio ruolo all'interno delle procedure, quindi coinvolgendo anche i Magistrati, l'operato dei Magistrati, ed infatti si sono aperti dei fascicoli anche presso la Procura della Repubblica di Bari perché coinvolgono altri Magistrati... E' questo ad un certo punto: fermare questa spirale assurda diffamatoria" (cfr. pagg. 16 e ss. del verbale stenotipico cit). Invero, le azioni intraprese dell'odierno imputato, il quale era giunto persino a coinvolgere indebitamente i familiari del dichiarante, mettendo in dubbio l'integrità dei rapporti che lo stesso intratteneva con la categoria dei magistrati, gli avevano provocato non pochi problemi, ingenerandogli imbarazzo, ansia e turbamento e compromettendo la sua professionalità e la reputazione, quale professionista, incaricato anche come consulente tecnico del Tribunale: " ...leggendo i fascicoli, ho visto tutto quello che c'era stato, quindi ho visto le indagini che erano state fatte, le contestazioni che mi erano state mosse sullo svolgimento delle attività nelle procedure fallimentari, su presunte irregolarità che avrei fatto, sui rapporti che avevo con i Giudici perché mia cognata era Giudice presso il Tribunale di Roma. Insomma, veramente delle situazioni grottesche che meritavano un chiarimento definitivo... nel 2018, quando poi sono venuto a sapere informalmente che comunque vedeva tutto quello che facevo e che interferiva sulla mia attività professionale, soprattutto coinvolgendo anche dei familiari, a quel punto ho ritenuto che fosse necessario intervenire" (cfr. pagg. 19 e ss. del verbale stenotipico cit.). Ugualmente infondata, ha ribadito la parte civile, era l'accusa di violenza fisica e psicologica pure mossagli dal Va.Ca. attraverso le condotte descritte nell'imputazione. A tal proposito il dichiarante ha precisato che aveva sempre cercato di evitare gli incontri con il prevenuto, atteso il temperamento di costui. Il teste qualificato S.G., all'epoca dei fatti in servizio presso la Sezione Polizia Giudiziaria dei Carabinieri di Campobasso, sentito all'udienza del 20.5.2022, ha riferito di essersi occupato, nel corso delle indagini svolte a carico dell'odierno imputato, di individuare i diversi procedimenti penali scaturiti dalle denunce-querele e dalle istanze formulate da Va.Ca. con riferimento alla vicenda concernente la modifica della denominazione della società "Va. S.a.s.". Si trattava di procedimenti terminati con decreto di archiviazione, notificato anche alla persona offesa ai sensi dell'art. 408 c.p.p.; in alcuni casi, ha precisato il teste, Va.Ca. ha spiegato anche opposizione all'archiviazione che però è stata respinta dal G.i.p.: "Le denunce in pratica girono intorno alle esecuzioni immobiliari dove il C. lamentava che alla sua S.a.s. era stata indebitamente cambiata la denominazione. Il Va. ha continuato ad insistere, nonostante le ripetute archiviazioni, a denunciare fatti comunque sempre connessi a questa vicenda" (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico del 20.05.2022). Ancora, dagli ulteriori accertamenti espletati, ha riscontrato l'esistenza di due istanze di accesso agli atti a firma di Va.Ca. presso la C.C. di C. nonché di un procedimento disciplinare a carico di Ra.Se., incardinato presso il relativo Ordine professionale, che venne poi archiviato. Il teste V.G., fratello dell'odierno prevenuto, sentito all'udienza del 17.02.2023, ha riferito che tutte le quote della società "Va. s.n.c.", della quale era socio unitamente a V.G., I.E. e V.V., erano state cedute in favore di Va.Ca.. A fronte dell'inadempimento da parte del medesimo al pagamento del corrispettivo per la predetta cessione, i soci, con l'assistenza del legale di fiducia Avv. F.Z., richiedevano la risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali. Si instaurava, pertanto, un procedimento civile presso il Tribunale di Campobasso conclusosi, nel 2007, con sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, passata in giudicato nel 2014: "È passata in giudicato, è andata in Appello e in Cassazione, nel 2014" (cfr. pagg. .6 e ss. del verbale stenotipico del 17.2.2023). In seguito alla risoluzione contrattuale, gli stessi soci hanno incaricato un commercialista, nella persona del dottor Ra.Se., per procedere alla iscrizione presso il Registro delle Imprese del rispristino dell'assetto societario conseguente alla predetta risoluzione. Quindi, il professionista incaricato ha provveduto a richiedere l'iscrizione di tale evento nel Registro e la C.C., con l'approvazione del Giudice del Registro, ha effettuato la rettifica richiesta. Il teste V.G. ha inoltre riferito che, a fronte della suddetta vicenda societaria, l'imputato aveva più volte denunciato sia i soci cedenti che i professionisti Ra.Se. e Z.F.. Addirittura, in una occasione, il Va.Ca. aveva denunciato l'odierna parte civile asserendo la sussistenza di una sorta di collusione con il Giudice dott. R., che in veste di giudice dell'esecuzione immobiliare, secondo la sua prospettazione, tendeva ad affidare al commercialista diversi incarichi nell'ambito dei procedimenti a lui devoluti. Nonostante i procedimenti penali iscritti in seguito alle querele sporte dal Va.Ca. venissero archiviati e pur essendo consapevole che il ripristino del precedente assetto societario era stato disposto su autorizzazione del giudice, l'odierno prevenuto aveva perseverato con l'atteggiamento persecutorio e calunnioso: " ...Lui dopo, non avendo più a pretendere qualcosa da noi perché ovviamente... lui stava in difficoltà, nel senso che non ha pagato le quote della società, gli è stato risolto il contratto e quindi si è in particolar modo accanito verso il nostro legale dell'epoca...Z.F.. ...e il commercialista Ra.Se....A me personalmente, giusto per fare un esempio, ne ha fatte tredici nel corso di ventitré... E poi invece mi risultano tre querele, se non ricordo male, che ha fatto ai due professionisti" (cfr. pagg. 10 e ss. del verbale stenotipico del 17.2.2023). Ancora, il dichiarante ha riferito che era stato lo stesso imputato a confidargli che intendeva rovinare la carriera dei professionisti che si erano occupati della vicenda societaria in questione: "Voleva professionalmente annullarli" (cfr. pag. 16 del verbale stenotipico cit). Il teste Z.F., escusso all'udienza del 17.2.2023, ha riferito di conoscere l'odierno imputato in quanto aveva prestato il proprio patrocinio legale ad alcuni familiari del medesimo in molteplici vicende giudiziarie in cui il Va. era coinvolto come controparte: "Per quanto riguarda le cause civili, io ho assistito spesso i suoi parenti in svariate azioni civili nei suoi confronti, nei confronti di Va.Ca. "(cfr. pag. 20 del verbale di stenotipia del 17.2.2023). Egli stesso aveva seguito i familiari del Va. nella vicenda relativa alla cessione delle quote sociali. I soci cedenti le quote, vale a dire V.V. (padre dell'imputato), V.G. (fratello dell'imputato), V.G. (fratello dell'imputato) e I.E. (madre dell'imputato), decisero di chiedere la risoluzione del contratto di cessione per inadempimento, atteso che il Va.Ca. non aveva pagato il corrispettivo delle quote cedutegli. Così, in qualità di difensore di fiducia dei predetti soci, provvedeva a formulare apposita domanda giudiziale di risoluzione, la quale veniva accolta nel 2007 dal Tribunale di Campobasso in composizione monocratica: "...sentenza che era già provvisoriamente esecutiva, poi è stata appellata e la Corte d'Appello ha confermato la sentenza di primo grado. È stato proposto ricorso in Cassazione e anche la Cassazione ha rigettato il ricorso, per cui la sentenza è passata in giudicato " (cfr. pag. 21 del verbale stenotipico del 17.2.2023). Ancora, il teste Z. ha rammentato che a seguito della pronuncia giudiziale in parola V.G. desiderava che l'annullamento della cessione delle quote venisse annotato presso la C.C. affinché l'ente procedesse al ripristino del precedente assetto societario. Sulla scorta di tale esigenza V.G. si rivolgeva al dottor R. affinché, in qualità di professionista abilitato ad interloquire con la C.C. attraverso un apposito software, comunicasse al Registro delle Imprese la intervenuta risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali. Il dichiarante ha inoltre raccontato che nonostante non fosse coinvolto come parte nella menzionata vicenda societaria era stato attenzionato dal Va.Ca., il quale, a partire dal 2009, si determinava a formulare nei suoi confronti circa dieci esposti disciplinari, diverse denunce-querele e molteplici istanze di ricusazione: "Ho avuto una decina di esposti disciplinari come avvocato, ho avuto un esposto disciplinare quando facevo il Giudice di Pace a Riccia ed ho avuto tante istanze di ricusazione che mi hanno coinvolto anche se non c'entravo nulla... Io presentai nel 2011 anche una querela per stalking giudiziario nei confronti del Va. e stavamo solo all 'inizio. Pensi adesso dove siamo arrivati" (cfr. pagg. 22 e ss. del verbale stenotipico del 17.2.2023). Da ultimo il teste Z. ha riferito di essere a conoscenza della molteplicità di denunce e di esposti disciplinari formulate dal Va.Ca. contro Ra.Se.: "Io so che ha avuto una serie infinita anche lui di esposti disciplinari... è soltanto una notizia che ho saputo direttamente da lui. So che è stato anche lui vittima di questo tipo di azioni, so che ne ha avuti tanti di provvedimenti e disposti disciplinari; che io sappia, tutti quanti conclusisi con un nulla di fatto" (cfr. pag. 24 del verbale stenotipico cit.). La teste R.M.C., all'epoca dei fatti componente della Commissione di Disciplina presso l'Ordine dei Commercialisti di Campobasso, escussa all'udienza del 20.06.2023, ha riferito di essersi occupata di vari ricorsi presentati da Va.Ca. contro Ra.Se.. Tra questi, uno in particolare aveva determinato l'avvio di un procedimento disciplinare conclusosi con l'archiviazione per decorrenza dei termini di prescrizione: "... ricordo solo che noi abbiamo fatto sicuramente l'istruttoria della pratica e della verifica degli atti, abbiamo visto che era prescritto "(cfr. pag. 5 del verbale stenotipico del 20.6.2023). La dichiarante ha precisato che alla base dei suddetti esposti vi era una questione legata ad una modifica societaria di cui però non era in grado di ricordare i dettagli. La teste P.L., all'epoca dei fatti Conservatore del Registro delle Imprese presso la C.C. di Campobasso, escussa all'udienza del 20.6.2023, nulla è stata in grado di riferire in merito ai fatti in contestazione. Il teste V.G., fratello dell'odierno imputato, parimenti escusso all'udienza del 20.6.2023, ha riferito che la società "Va. di Va.Ca." era nata in seguito alla cessione delle quote della società "Va.", della quale egli era socio unitamente ai suoi genitori e agli altri fratelli, in favore di Va.Ca.. A fronte, poi, del mancato pagamento del prezzo per la cessione da parte del prevenuto, con sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Campobasso, veniva disposto il ripristino del precedente assetto societario. La vicenda relativa alla cessione delle quote societarie, in merito alla quale hanno riferito i testi escussi in dibattimento, risulta altresì compendiata dalla documentazione acquisita in atti e può essere ricostruita nei termini che seguono: - con la sentenza n. 531/07, emessa dal Tribunale di Campobasso in data 13.07.2007, viene pronunciata la risoluzione, per inadempimento di Va.Ca. e V.A., del contratto di cessione delle quote sociali della "Va. di V.V. & C. S.n.c." stipulato tra V.V., I.E., V.G. e V.G. - quali venditori - e Va.Ca. e V.A. - quali acquirenti - con atto pubblico rogato dal Notaio P. il (...); nell'ambito del contratto di cessione oggetto di risoluzione, i cessionari, che divenivano per effetto della cessione gli unici soci della "Va.", decidevano di modificare la ragione sociale nel senso della trasformazione della società in una S.a.s. denominata "Va. s.a.s. di Va.Ca.", ove quest'ultimo diveniva socio accomandatario con responsabilità illimitata e V.A. socio accomandante (cfr. la sentenza n. 531/07, pagg. 10-21 ); - sulla scorta di detta sentenza, nel novembre 2007 il dottor Ra.Se., quale professionista incaricato (ai sensi dell'art. 2, comma 54, L. n. 350 del 2003) da uno dei soci della società "Va.", chiede all'Ufficio del Registro delle Imprese di Campobasso di procedere alla variazione dei dati societari nel senso che venga ripristinata la "Va. s.n.c." per effetto della intervenuta risoluzione del contratto di cessione di quote, accertata con sentenza di primo grado, di cui chiede l'annotazione nel Registro (cfr. doc. pagg. 77-80); - l'Ufficio del Registro interpellato preliminarmente il Giudice del Registro in ordine alla richiesta in parola e, acquisitone il parere (in data 2.01.2008), procede con l'iscrizione della modifica (cfr. doc. pagg. 37-39); - della predetta iscrizione viene poi interessato nuovamente il Giudice del Registro (cfr. il Provv. del 17 ottobre 2016) nonché il Tribunale in composizione collegiale, in sede di reclamo (cfr. l'ordinanza del 25.07.2017), il quale accerta che l'iscrizione nel registro delle imprese (della modifica della denominazione sociale della Va. Sas di Va.Ca. in Va. di V.V. & C. snc) disposta dalla C.C. di Campobasso in data 7.02.2008 è avvenuta in assenza delle condizioni di legge, ordinandone la cancellazione; - su incarico di un diverso intermediario (nella persona della dott.ssa T.M.), viene proposta una nuova istanza di iscrizione presso il Registro delle Imprese della variazione della ragione sociale, della forma giuridica e delle cariche sociali della "Va. s.a.s." in data 26.10.2017, allorquando è ormai divenuta definitiva la sentenza di risoluzione del contrato di cessione delle quote sociali (in data 29.01.2014, con il rigetto del ricorso per Cassazione promosso da Va.Ca. avverso la sentenza di secondo grado n. 97/11 resa dalla Corte di Appello di Campobasso il 14.6.11) ed è stata anche disposta la cancellazione della precedente iscrizione; in tal caso, il Conservatore rifiuta l'iscrizione perché priva dell'atto di modifica dei patti sociali (cfr. il provvedimento a firma del Conservatore del 6.11.2017, prodotto dalla difesa all'udienza del 20.5.2022); - da ultimo, con Provv. del Conservatore in data 7 aprile 2022, viene disposta l'iscrizione della sentenza n. 531/07, resa dal Tribunale di Campobasso in data 13.07.2007 e divenuta irrevocabile, che pronuncia la risoluzione del citato contratto di cessione delle quote della società "Va. s.a.s." determinando la retrocessione delle quote societarie ai cedenti (cfr. il Provv. del 7 aprile 2022, acquisito all'udienza del 20.06.2023); - su detto provvedimento si sono poi pronunciati dapprima il Giudice del Registro (cfr. il Provv. del 28 novembre 2022), il quale ha respinto la richiesta di cancellazione dell'iscrizione ultima e, successivamente, il Tribunale in composizione collegiale, in sede di reclamo (cfr. il Provv. del 15 marzo 2023), che ha confermato il provvedimento di rigetto del primo Giudice ribadendo la correttezza dell'iscrizione in questione (cfr. i documenti prodotti dalla difesa di parte civile, acquisiti all'udienza del 20.6.2023). Dal compendio probatorio in atti è inoltre emerso che Va.Ca., attraverso reiterate denunce/querele, esposti e istanze, rivolte direttamente all' Autorità Giudiziaria o agli organi di P.G. tenuti a riferire a questa, ha attribuito a carico di Ra.Se. (e non solo) condotte penalmente rilevanti dando peraltro luogo alla instaurazione di diversi procedimenti penali, poi conclusisi con l'archiviazione. In particolare, come ricostruito in aula dal teste qualificato S.G. nonché acclarato dalla documentazione acquisita in atti, con denuncia/querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 20.9.2016 ed indirizzata all'Autorità Giudiziaria di Bari, ad integrazione della querela già proposta il 18.7.2016 (sempre presso la medesima Stazione Carabinieri), l'odierno imputato ha accusato Ra.Se. di avere, in concorso con altri, operato l'illegittima trasformazione della società "Va. s.a.s." in "Va. s.n.c.", di aver realizzato ed utilizzato atti falsi e consentito l'apprensione ad altri soggetti dei beni della società cosi modificata (cfr. denuncia/querela del 20.09.2016, in atti, correlata al fatto descritto al punto numero 4 dell'imputazione). Con successiva denuncia/querela presentata presso il Comando di Polizia Municipale di Campobasso in data 22.1.2018, Va.Ca. ha rappresentato di essere vittima di condotte di "violenza psicologica, verbale ' e fisica" consistite nell'impedirgli di accedere a determinati immobili appartenenti al compendio aziendale da lui rivendicato, poste in essere da V.G., V.G., V.F., V.A. e I.E. su istigazione o comunque dietro consiglio di Ra.Se. (cfr. la denuncia/querela del 22.01.2018, in atti, correlata al fatto descritto al punto numero 6 dell'imputazione). Altresì, con l'ulteriore "esposto-querela" presentato presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 18.6.2018, Va.Ca. ha accusato Ra.Se. di aver offeso l'onore ed il decoro del medesimo attraverso scritti depositati nell'ambito del procedimento disciplinare, incardinato presso il Consiglio dell'Ordine dei Commercialisti di Campobasso proprio per effetto di un suo esposto (cfr. l'atto di "esposto-querela" del 18.06.2018, in atti, correlato al fatto descritto al punto numero 7 dell ' imputazione). Ancora, risultano versate in atti due istanze presentate da Va.Ca. (tra gli altri) al Giudice del Registro presso il Tribunale di Campobasso con cui, rispettivamente, in data 15.11.2015 ha accusato Ra.Se. (ed altri) di aver - mediante la realizzazione di atti falsi - bloccato l'attività di amministrazione della ditta "Va. s.a.s. di Va.Ca." e in data 15.2.2016 ha accusato il medesimo professionista (ed altre persone) di aver illegittimamente richiesto ed ottenuto la modifica societaria della ditta "Va. s.a.s." (cfr. le istanze del 15.11.2015 e del 15.2.2016, in atti, correlate ai fatti descritti ai punti numero 1 e numero 2 dell'imputazione). Il compendio documentale in atti consta, poi, dell'atto di "esposto-denuncia" presentato da Va.Ca. presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 23.12.2017 attraverso cui il prevenuto ha accusato nuovamente, tra gli altri, Ra.Se. di avergli provocato il danno ingiusto della modifica societaria della ditta "Va. s.a.s.", legalmente rappresentata dallo stesso Va.Ca. (cfr. l'atto di esposto-denuncia del 23.12.2017, in atti, correlato al fatto descritto al punto numero 5 dell'imputazione). Ciò premesso in punto di fatto, occorre ribadire preliminarmente l'infondatezza della eccezione di incompetenza per materia formulata dalla difesa all'udienza del 16.01.2024 richiamandosi sul punto l'ordinanza pronunciata oralmente da questo giudice e confluita nel verbale di udienza (cfr. pagg. 10 e ss. del verbale stenotipico del 16.01.2024). Nel meritò, deve ritenersi accertata oltre ogni ragionevole dubbio la penale responsabilità dell'imputato Va.Ca. per i delitti di calunnia descritti ai punti numero 4, numero 6 e numero 7 dell'imputazione, attraverso le condotte innanzi richiamate. Senza alcun dubbio, infatti, alla luce delle analizzate risultanze istruttorie, ricorre nelle condotte dell'imputato la materialità del delitto di calunnia di cui all'art. 368 c.p., integrata da un'accusa tale da dare adito ad un procedimento penale. Come sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione la calunnia rappresenta "un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di un 'indagine sia che essa venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato" (cfr. Cassa. Pen. n.21632/2022). Invero, Part. 368 c.p. punisce chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'Autorità giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato. Trattasi di un reato comune, procedibile d'ufficio, la Cui condotta si realizza quando in modo diretto o indiretto si accusa taluno che si sa innocente della commissione di un reato e che secondo la recente giurisprudenza di legittimità costituisce fattispecie plurioffensiva (così Cass pen. VI, n.49740/2017), volta a tutelare in primis l'interesse dell'Amministrazione della giustizia a non essere fuorviata con reati inesistenti o diversamente realizzati e posta, altresì, a preservare l'interesse del soggetto falsamente accusato a non essere anche solo esposto ad indagini per un fatto da lui non commesso. Caratteristiche fondamentali della fattispecie in esame sono? .dunque, la prospettazione di un reato con autore determinato e l'idoneità di detta prospettazione a far iniziare un'indagine. Trattasi, perciò, di un reato di pericolo. Affinché possa dirsi integrato l'elemento materiale del reato di calunnia, occorre che venga falsamente attribuito a carico di un determinato soggetto un fatto penalmente rilevante e che detta attribuzione sia idonea a determinare l'astratta possibilità di inizio delle indagini a carico dell'accusato. Come, infatti, affermato in giurisprudenza, la calunnia, in quanto reato di pericolo, sussiste indipendentemente dall'essere effettivamente avviata una indagine. Quindi il reato sussiste anche quando l'indagine non abbia alcun inizio e anche se in contemporanea giunga la notizia della infondatezza dell'accusa. È dunque irrilevante che a seguito dell'accusa non vi sia stata iscrizione nel registro degli indagati (così, Cass. Pen. n. 34738/2011 e n. 7837/2012). Il limite individuato dalla giurisprudenza stessa, in termini di serietà dell'ipotesi di reato, è invero interpretato in senso restrittivo affermandosi che soltanto in caso di addebito di circostanze assurde, inverosimili o grottesche, in contrasto con logica e buon senso, tali da escludere che sia ragionevole ipotizzare l'effettiva verificazione del reato, può escludersi che sussista l'elemento materiale del delitto in esame (cfr. Cass. Pen. n. 14761/2018) e tale carattere dell'accusa deve risultare prima facie ed intrinsecamente (così, Cass. Pen. n. 34532/2013). Quanto agli atti idonei ad estrinsecare l'ipotesi di calunnia diretta, che propriamente qui interessa, la disposizione è pacificamente letta nel senso del raggiungimento dello scopo. Pertanto, ai fini del perfezionamento del reato, non occorre ima denuncia in senso formale, bensì è sufficiente l'esposizione in qualsiasi forma di fatti concretanti gli estremi di reato (così, Cass. Pen. 463/2011), quindi anche quella che avvenga nel corso di dichiarazioni rese quale testimone o indagato/imputato all'Autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria. Anche il contenuto si intende in senso sostanzialmente libero, ritenendosi sufficiente che l'autorità possa individuare il reato commesso dalla esposizione dei fatti (cfr. Cass. pen. n. 34521/2013). La calunnia è, inoltre, un reato istantaneo la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'Autorità della falsa accusa a carico di una persona innocente. Nel caso di specie il Va.Ca., attraverso gli esposti e le denunce sopra richiamati, ha accusato (tra gli altri) Ra.Se. di aver assunto condotte di rilevanza penale. Le specifiche accuse formulate dall'odierno imputato a carico di Ra.Se. sono risultate inoltre idonee a dare avvio a dei procedimenti penali nei confronti dell'accusato, ancorché conclusisi con l'archiviazione. Si rammenta, ancora, a tal proposito, che secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità è sufficiente ad integrare l'elemento oggettivo del reato di calunnia una falsa accusa idonea all'apertura delle indagini preliminari, risultando del tutto irrilevante il fatto che le stesse si siano concluse con l'archiviazione (cfr. Cass. Pen. n. 48525/2003). Quanto, poi, all'elemento soggettivo del reato in parola va preliminarmente osservato che "per l'integrazione del reato di calunnia, è necessaria la concorrenza di due distinti elementi, ed in particolare intenzionalità dell 'incolpazione e la certezza dell 'innocenza dell 'imputato ... ragion per la quale l'elemento soggettivo non può esprimersi nella forma del dolo eventuale " (cfr. Cassazione penale, n. 10972/2009). Ne deriva che, ai fini della configurazione del dolo, è necessario che colui che falsamente accusa un'altra persona di un reato abbia la certezza dell'innocenza dell'incolpato, in quanto l'erronea convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude l'elemento soggettivo (cfr. Cassazione penale, n. 3179/2012). In particolare, il dolo di calunnia, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l'accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l'azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto (cfr. Cass. Pen., Sez. 6, n. 21204 del 03/04/2013). Ciò posto, la consapevolezza del denunciante in merito all'innocenza dell'accusato è esclusa nel caso - non ricorrente nella fattispecie in esame - in cui la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (cfr. Cass. Pen., Sez. 6, n. 12209 del 18/02/2020). Nel caso di specie, le concrete modalità della condotta e le circostanze del fatto depongono univocamente nel senso della piena consapevolezza da parte dell'imputato, al momento della formalizzazione delle richiamate denunce a carico di Ra.Se., della relativa innocenza e dunque della sussistenza in capo al Va. del dolo di calunnia. Invero quanto sostenuto dal Va.Ca. con le istanze e con le denunce incriminate, sporte a carico di Ra.Se. (nonché di altre persone, occupatesi a vario titolo della vicenda relativa alla modifica della ragione sociale della società "Va." dopo che è stata la pronunciata la risoluzione del contratto di cessione delle quote societarie) in ordine alle presunte condotte delittuose di cui sarebbe stato egli stesso vittima, non ha trovato alcun concreto riscontro ed anzi i procedimenti penali che ne sono scaturiti si sono conclusi con provvedimenti di archiviazione. Inoltre, le denunce e le istanze in questione sono state proposte, in maniera reiterata ed insistente, allorquando era già divenuta irrevocabile la sentenza che ha pronunciato la risoluzione del contratto di cessione delle quote sociali per l'inadempimento del Va.Ca. all'obbligazione di pagamento del corrispettivo (sentenza irrevocabile dal 29.01.2014). La consapevolezza in capo al Va. dell'innocenza dell'accusato è facilmente desumibile, poi, dal tenore delle accuse mosse a carico del R. che appaiono del tutto sganciate dalla realtà. Infatti, l'imputato attribuisce in capo a Ra.Se. le più disparate condotte di reato, che spaziano dall'aver realizzato e utilizzato atti falsi per paralizzare l'operatività della società Va. s.a.s., all'aver compiuto operazioni illegittime per favorire l'apprensione dei beni della predetta società da parte di soggetti terzi, fino alla minaccia e alla violenza, quale istigatore, e alla diffamazione, in assenza di qualsiasi elemento oggettivo e serio tale da poter ingenerare in capo al comune quisque de populo dubbi ragionevoli sulla liceità della condotta dell'accusato. D'altronde, come emerso dal compendio probatorio acquisito in dibattimento, nella vicenda relativa alla cessione delle quote della società Va. e alla successiva risoluzione del contratto per inadempimento, Ra.Se. ha fatto solo da intermediario - quale professionista abilitato - per trasmettere al Registro delle Imprese di Campobasso la richiesta di annotazione della risoluzione del citato contratto, in virtù della sentenza pronunciata dal Tribunale di Campobasso. Le circostanze appena evidenziate depongono univocamente nel senso della consapevolezza in capo all'imputato dell'innocenza dell'accusato. Del tutto inconferente rispetto ai fatti qui in esame è il richiamo, operato dalla difesa, alla causa di non punibilità dell'esercizio del diritto di difesa contemplata dall'art. 598 c.p. Giova rammentare anzitutto che la invocata esimente è espressamente contemplata dal codice penale con riguardo al diverso reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p.; l'art. 598 comma 1 c.p. dispone infatti che: "Non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all'Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi a un'Autorità amministrativa, quando le offese concernono l'oggetto della causa o del ricorso amministrativo". È, dunque, evidente come il campo operativo di tale causa di non punibilità sia diverso e circoscritto, richiedendo che le "offese" - contenute in scritti o discorsi rivolti all'Autorità giudiziaria o amministrativa - riguardino l'oggetto di una causa o di un ricorso; tanto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, per la configurabilità della predetta esimente è necessario che le espressioni ingiuriose concernano in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia e abbiano rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della tesi prospettata o per l'accoglimento della domanda proposta, quand'anche non necessarie o decisive (Cfr. Cass. Pen., n. 842/2019; Cass. Pen., n. 21749/2019; Cass. Pen., n. 2507/2016; Cass. Pen., n. 38235/2016; Cass. Pen., n. 12418/2013). Peraltro, la stessa giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'esimente in parola non è idonea a coprire la portata calunniosa delle espressioni contenute in scritti o discorsi pronunciati dinanzi all'autorità giudiziaria o amministrativa: "L'esimente di cui all'art. 598 c.p. - per il quale non sono punibili le offese contenute negli scritti e nei discorsi pronunciati dinanzi alle autorità giudiziarie e amministrative - annovera tra i suoi presupposti esclusivamente quello della pertinenzialità di quanto esposto all'oggetto della causa e non certo della sua veridicità, requisito ritenuto dal legislatore incompatibile con l'esercizio del diritto di difesa. Tuttavia, tale causa di non punibilità non può trovare applicazione anche nel caso in cui la falsità di quanto esposto integri il reato di calunnia " (cfr. Cassazione penale sez. V, 24/06/2014, n.32053). Nel caso di specie, le accuse mosse dall'imputato a carico di Ra.Se. non sono contenute in scritti difensivi bensì in esposti, denunce e richieste del tutto sganciate da qualsiasi procedimento giudiziario e come tali non possono ritenersi affatto espressive del diritto di difesa, così come inteso dalla citata giurisprudenza di legittimità a scopo esimente. Del pari inconferente è il richiamo all'esercizio del diritto di difesa, quale declinazione della scriminante dell'esercizio del diritto di cui all'art. 51 c.p., atteso che le dichiarazioni accusatorie contenute negli atti di denuncia oggetto di contestazione non sono state rese dal Va.Ca. in veste di indagato o di imputato, esulando perciò la relativa condotta dalla sfera di operatività della citata norma. Per tutto fin qua detto l'imputato va dichiarato colpevole del reato continuato ascrittogli in rubrica, limitatamente alle condotte descritte ai punti numero 4, numero 6 e numero 7 dell'imputazione che integrano autonome violazioni dell'art. 368 c.p. Come innanzi evidenziato, infatti, la calunnia è reato istantaneo la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'autorità della falsa accusa a carico di una persona innocente; sicché le successive dichiarazioni del soggetto attivo di conferma, senza alcuna sostanziale variazione o aggiunta che muti la gravità del fatto denunziato, non possono considerarsi né come nuove violazioni della stessa disposizione di legge (cfr. Cass. VI, n. 32513/2015) né come fatto di permanenza del reato perché l'ipotesi delittuosa si è già esaurita con il verificarsi della lesione giuridica e di essa persistono solo gli effetti consequenziali (cfr. Cass. II, n. 17705/2022 nonché Cass. VI, n. 43104/2011). Se, invece, le successive denunzie vadano ad ampliare - come nel caso di specie - l'accusa originaria, saranno integrati ulteriori reati di calunnia (cfr. Cass. VI, n. 3368/2018). Ebbene, nelle condotte poste in essere dall'imputato, come emerse dall'istruttoria dibattimentale, sono ravvisabili tre autonome violazioni della fattispecie di cui all'art. 368 c.p., ciascuna integrata attraverso un separato atto di denuncia presentato al personale dei Carabinieri o della Polizia Municipale di Campobasso, con cui il Va. ha prospettato, a carico di Ra.Se., distinte condotte penalmente rilevanti. I fatti accertati a carico dell'imputato, nei limiti anzidetti, possono ritenersi indubbiamente avvinti dal vincolo della continuazione ex art. 81 comma 2 c.p. stante la medesimezza del disegno criminoso, come già ipotizzato in sede di formulazione del capo d'imputazione da parte della Pubblica Accusa, desumibile dalla omogeneità delle condotte e dalla contiguità temporale, in vista del perseguimento di un unico fine specifico. Quanto alle condotte di reato descritte ai punti numero 1 e numero 2 dell'imputazione, correlate alle istanze presentate da Va.Ca. (tra gli altri) al giudice del Registro presso il Tribunale di Campobasso, rispettivamente in 15.11.2015 e in data 15.2.2016, deve essere dichiarato non doversi procedere per essersi i reati estinti per intervenuta prescrizione. All'imputato è, infatti, contestato il reato di calunnia di cui agli artt. 81 comma 2 e 368 c.p. configurante ima fattispecie delittuosa punita con pena detentiva pari nel massimo a sei anni di reclusione. Il termine di prescrizione previsto per tale reato è, allora, a norma dell'art. 157 c.p., di sei anni e può estendersi, ai sensi dell'art. 161 co. 2 c.p., ad un massimo di sette anni e sei mesi per l'operare di cause interruttive. Nel caso di specie, dunque, in cui i reati descritti ai punti numero 1 e numero 2 dell'imputazione sono stati commessi in data 30.11.2015 e successivamente in data 15.02.2016, vale a dire nelle date di presentazione delle istanze dal contenuto calunnioso al Giudice del Registro del Tribunale di Campobasso, tale termine massimo di prescrizione è da ritenersi, con tutta evidenza, alla data odierna ormai decorso, essendo maturato rispettivamente in data 30.05.2023 e in data 15.08.2023 in difetto di cause di sospensione del relativo corso delle quali tener conto in conformità al disposto dell'art. 159 c.p. Ergo, in difetto di elementi che possano comportare in modo assolutamente non contestabile, ex art. 129, comma 2, c.p.p. ,alla luce del compendio probatorio in atti, come innanzi esaminato, e delle considerazioni esposte, il proscioglimento nel merito dell'imputato, va rilevato il decorso del termine di prescrizione del reato continuato in contestazione ai punti numero 1 e numero 2 della rubrica. Tanto comporta, ai sensi dell'art. 531 c.p.p., l'emissione di una declaratoria di improcedibilità nei confronti del Va.Ca. in ordine ai predetti fatti, per essersi estinto il reato continuato a lui ascritto per intervenuta prescrizione. Quanto, invece, ai fatti di reato descritti ai punti numero 3 e numero 8 dell'imputazione si impone la pronuncia di una sentenza di assoluzione nei confronti dell'imputato perché il fatto non sussiste. Invero, l'istruttoria dibattimentale non ha offerto elementi di riscontro alle condotte delittuose ivi descritte non essendo stati depositati in atti nemmeno gli scritti incriminati (dati dall'istanza/esposto presentata in data 27.9.2016 al Giudice delle esecuzioni immobiliari del Tribunale di Campobasso e dalla denuncia-querela presentata presso la Stazione Carabinieri di Campobasso in data 18.07.2018) costituenti corpo del reato, la cui mancanza ha impedito di apprezzarne la ipotizzata portata calunniosa. L'imputato va inoltre mandato assolto dal reato di calunnia descritto al punto numero 5 dell'imputazione, correlato alla denuncia-querela presentata in data 23.12.2017 presso la Stazione Carabinieri di Campobasso. Dalla disamina dell'atto incriminato si evince che le accuse mosse a carico di Ra.Se. in parte sono sovrapponibili a quelle già contenute nei precedenti atti di denuncia-querela, parimenti oggetto di contestazione, e perciò non integrano un'autonoma condotta di reato, in ossequio al costante e pacifico insegnamento della Suprema Corte di legittimità, sopra richiamato; per il resto, non si ritiene ravvisabile la materialità del reato contestato atteso che dal tenore dello scritto in questione non emerge l'attribuzione in capo a Ra.Se. delle condotte di minaccia e di violenza, fisica e psicologica, come ipotizzato al capo d'imputazione, che risultano riferite a soggetti diversi (vale a dire ai familiari del Va.Ca.). Per tutto quanto fin qui detto, l'imputato va ritenuto colpevole per i soli fatti di reato al medesimo ascritti ai punti numero 4, numero 6 e numero 7 dell'imputazione, in ordine ai quali si impone la pronuncia di una sentenza di condanna. Quanto al trattamento sanzionatorio, valutati i criteri tutti di cui all'art. 133 c.p., in particolare l'intensità del dolo quale si desume dalle modalità di commissione del fatto, stimasi pena equa e congrua da irrogare quella di anni due e mesi quattro di reclusione. Pena così determinata: pena base per la violazione di cui all'art. 368 c.p. (descritta al punto numero 4 dell'imputazione e omogenea all'ulteriore violazione dell'alt. 368 c.p. accertate) anni due di reclusione, aumentata per la continuazione con le due ulteriori violazioni dell'art. 368 c.p. (descritte ai punti numero 6 e numero 7 dell'imputazione) nella misura di mesi due di reclusione ciascuna e così determinata nella misura complessiva di anni due e mesi quattro di reclusione. Non si ritiene possibile riconoscere in favore del prevenuto le circostanze attenuanti generiche, stante l'assenza di qualsivoglia comportamento collaborativo o di resipiscenza del medesimo, tenuto conto del concreto e rilevante disvalore giuridico-penale delle condotte delittuose, plurime e reiterate in un circoscritto arco temporale, e considerate le risultanze del relativo certificato penale che attestano la non occasionalità della condotta criminosa. La misura della pena irrogata impedisce la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena in favore del prevenuto. Alla condanna segue, ai sensi dell'art. 535 c.p.p., il pagamento a carico dell'imputato delle spese processuali. L'imputato deve inoltre essere condannato al risarcimento del danno a favore della costituita parte civile Ra.Se., da determinarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese di costituzione di parte civile che si liquidano complessivamente come da dispositivo. Va invece rigettata la richiesta di condanna al pagamento di una provvisionale avanzata dalla parte civile non essendo emersi elementi sufficienti per operare una pur minima quantificazione del danno cagionatole e per la liquidazione del quale si rimanda in toto alla deputata sede civile. Da ultimo, l'assenza del prevenuto alla lettura del dispositivo nonché del suo difensore di fiducia hanno impedito l'attivazione, dopo la lettura del dispositivo, della procedura prevista dall'art. 545 bis c.p.p. (introdotto dalla recente riforma "Cartabia" di cui al D.Lgs. n. 150 del 2022) per l'accesso alle pene sostitutive. P.Q.M. Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara Va.Ca. colpevole del reato continuato di cui agli artt. 81 comma 2 e 368 c.p. a lui ascritto in rubrica, limitatamente alle condotte descritte ai punti numero 4, numero 6 e numero 7 dell'imputazione, e lo condanna alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 e ss. c.p.p. condanna l'imputato al risarcimento dei danni cagionati alla costituita parte civile Ra.Se. da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla medesima parte civile che si liquidano in complessivi Euro 1.800,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge. Rigetta la richiesta di provvisionale formulata dalla parte civile. Letto l'art. 530 c.p.p. assolve Va.Ca. dal reato a lui ascritto in rubrica con riferimento alle condotte descritte ai punti numero 3, numero 5 e numero 8 dell'imputazione, perché il fatto non sussiste. Letto l'art. 531 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di Va.Ca. in ordine al reato a lui ascritto in rubrica, con riferimento alle condotte descritte ai punti numero 1 e numero 2 dell'imputazione, perché estinto per intervenuta prescrizione. Letto l'art. 544 comma 3 c.p.p. indica per il deposito della motivazione il termine di giorni sessanta. Così deciso in Campobasso il 16 gennaio 2024. Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2024.

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