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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Veronica D'AGNONE Alla pubblica udienza del 25 GENNAIO 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a R. (C.) il (...), ivi residente in Via (...) n. 6 elettivamente domiciliato c/o il difensore. Posizione giuridica: libero assente Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM Dr.ssa Sa.Sa., dei difensori avv. Fa.De. del foro di Campobasso per la costituita parte civile e della Dr.ssa (...) in sostituzione per delega orale dell'avv. Si.To. difensore di fiducia dell'imputato. ESPOSIZIONE DEI MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO 1.- Si dà preliminarmente atto che la motivazione della presente sentenza si conforma ai dettami di cui all'art. 546 c.p.p., quale risultante dall'intervento di riforma della L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, anche in considerazione del nuovo regime dell'ammissibilità dell'atto di appello, il quale postula l'agile individuazione del paradigma devolutivo sul quale commisurare la facoltà di impugnazione delle parti. 2.- Con decreto ritualmente notificato l'odierno imputato veniva citato a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere dei reati a lui ascritti ex art. 337 c.p. e 582, 61 comma 1 n. 10 c.p. All'udienza indicata il Giudice, accertata la regolare costituzione delle parti, invitava le stesse a voler esaminare la possibilità di definire il giudizio in via alternativa al dibattimento; verificata infruttuosamente tale possibilità, dichiarava aperto il dibattimento ed ammetteva le prove rilevanti ai fini della decisione. Al dibattimento, svoltosi in absentja dell'imputato (giusta ordinanza ex art. 420 bis c.p.p. in data 16.12.2020) e con la partecipazione della parte civile (giusta costituzione depositata all'udienza del 16.12.2020), venivano escussi come testi la costituita parte civile, (...), (...) (guardia giurata), (...) (vice brigadiere dei Carabinieri, all'epoca in servizio presso la stazione di Montagano), (...), (...) e (...) (all'epoca dei fatti (...) del fuoco). All'udienza del 20 ottobre 2021 il PM produceva referto medico del 30.07.2019 relativo alla posizione di (...), nel quale si legge che (...) "è stato riscontrato affetto da lesioni cutanee da graffio di zona decorso muscolo sternocleidomastoideo", con prognosi di giorni tre. Si legge ancora nel referto che (...) dichiara al sanitario che le lesioni "riportate alle ore 20.30 del giorno 30.07.2019 sono state determinate ad opera di terzi". In ordine alle "cause e circostanze dichiarate dall'infortunato", si legge: "il paziente veniva aggredito da persona conosciuta". All'udienza del 23 marzo 2022 la parte civile ha depositato lo statuto dell'Associazione (...) del 112 e la nota con la quale il Sindaco del Comune di Ripalimosani, in data 29.07.2019, ha chiesto all'associazione (...) del 112 "supporto all'ufficio di Polizia Municipale del Comune di Ripalimosani", (...) in ragione dell'"evento Borgo in Jazz" previsto per martedì 30 luglio dalle ore 18.00". Si legge nella nota che la richiesta di supporto alla Polizia Municipale del Comune di Ripalimosani riguardava "il servizio di viabilità e ordine pubblico (...) relativamente al giorno 30 luglio dalle ore 18.00". 3.- Espletata istruttoria orale Esaminato come testimone all'udienza del 20 ottobre 2021, (...), premesso che assieme a (...) svolgeva, in qualità di appartenente all'associazione (...) del 112, attività di supporto alla polizia municipale, come richiesta all'associazione (...) del 112 dal Sindaco del Comune di Ripalimosani, ha dichiarato che sin dall'inizio "del servizio", alle ore 18.00, vi erano diverse auto parcheggiate in divieto di sosta e che gran parte delle persone presenti, alla vista di esso odierno dichiarante e del collega (...), entrambi in divisa, hanno "spostato le macchine"; ha precisato che "quella sera tutti hanno spostato le macchine ad eccezione del signor (...), con una FIAT Panda nera parcheggiata in divieto di sosta e contro mano, in piazza"; che si erano accorti che il (...) stava giocando a carte "fuori al bar", sicché, assieme al collega, lo invitarono ad andare a spostare l'autovettura, l'unica rimasta in piazza; che a distanza di circa un'ora e mezza quell'autovettura lì continuava a sostare ("la macchina stava ancora là, anche dopo l'invito"); "alchè", dichiara il teste, "mi sono dovuto avvicinare alla macchina per prendere il numero di targa e allertare i carabinieri perché c'era questo problema che andava risolto (...) al che, come ci ha visto vicino alla macchina, il signor (...) si è alzato dal bar, è sceso, si è avvicinato e ha cominciato ad aggredirmi verbalmente" (...) ha detto: "che vuoi da me? la macchina sta là! tu ce l'hai con me; alche non rispondevo gli ho detto: "la macchina si deve spostare. Vi abbiamo avvisato dalle 18:00; la macchina sono due ore ancora ed è rimasta qui. Se gentilmente la sposta, perché sto chiamando i Carabinieri (...) al che mi ha detto: "lei ce l'ha con me. Ti faccio vedere quando ti trovo senza sta divisa addosso ti faccio nuovo nuovo di mazzate (...) io non rispondevo mi sono astenuto da qualunque risposta"; precisa il teste che l'odierno imputato lo ha afferrato per il collo ("mi ha afferrato al collo (...) lui mi ha tirato, si è slacciato il bottone della divisa e mi ha graffiato in questa zona qua, proprio sotto il collo"). Su domanda della difesa, il teste precisa che il graffio al collo gli è stato procurato dalla mano del (...) "perché lui aveva le unghie". Le dichiarazioni di (...) sono puntualmente confermate da (...), sia in ordine al posto in cui era parcheggiata l'autovettura del L.; sia in ordine al posto in cui si trovava il (...) (al bar, a giocare a carte); sia in ordine all'invito inoltrato al (...) di provvedere a spostare l'auto, in conformità con quanto previsto dall'ordinanza sindacale; sia in ordine al permanere dell'auto lì posteggiata nonostante l'invito a spostarla; sia, più nel dettaglio, in ordine al momento dell'aggressione patita dal G.. Chiaro è il ricordo del testimone, laddove narra: "è passata un'oretta e la macchina era ancora lì. Ci siamo riavvicinati vicino alla macchina e praticamente questo signore si alza e viene verso di noi, in modo particolare verso il collega G., dicendo: "Tu ce l'hai con me. Quando ti trovo da solo ti faccio nuovo nuovo di mazzate"; del pari, chiaro è il ricordo del testimone, laddove narra le ulteriori parole e gesti compiuti dal (...) nei confronti di (...): "e poi mettendogli la mano vicino alla gola e graffiandola" ... ha posto la mano al collo e ha detto: "quando ti trovo da solo ti faccio nuovo nuovo di mazzate...poi ha tolto la mano e si è allontanato". Su contestazione della difesa, che dà lettura sul punto del verbale di sommarie informazioni rese dal (...) ai Carabinieri il 2 agosto 2019, il teste precisa che, oltre ad aver invitato una prima volta il (...) a spostare l'auto "per interposta persona", esso stesso assieme a (...), visto che l'auto lì permaneva parcheggiata, si era successivamente recato al bar ove (...) stava giocando a carte per invitarlo, ancora una volta, a spostare l'auto in divieto di sosta ("individuato il proprietario che era al bar seduto con (...) al tavolo, intento a giocare a carte, lo avvicinavamo e con cortesia e garbo gli facevamo notare che vigeva l'ordinanza del Sindaco di Ripalimosani"; cfr verbale udienza 20.10.2021). Le dichiarazioni di (...), quanto all'occasione dell'incontro scontro con (...), sono, altresì, confermate dal vicebrigadiere (...), il quale, giunto sul posto su richiesta di (...), constatò che l'autovettura Fiat Panda di colore nero era posteggiata "in divieto di sosta", sicché invitò il proprietario, identificato in (...), a spostarla, previa contestazione della relativa infrazione (cfr verbale udienza 23.03.2022). Si tratta di dichiarazioni confermate, altresì, da (...). Narra il teste: "Ho visto che discutevano tra di loro. Però io stavo da lontano, ho potuto vedere che discutevano. Ho visto che all'improvviso (...) ha alzato le mani", per poi precisare, su contestazione della difesa, di averlo visto, come dichiarato ai Carabinieri nell'immediatezza dei fatti ed in occasione dell'escussione a sit, avventarsi al collo di (...) (cfr verbale udienza 23.03.2022). Si tratta di dichiarazioni, le quali trovano conferma nella deposizione di (...), il titolare del bar "tre Archi", quanto alla circostanza di fatto secondo cui (...) era a giocare a carte al bar e che trovano conferma nella deposizione di (...), quanto alla circostanza di fatto secondo cui (...) venne chiamato perché doveva spostare l'auto (cfr verbale udienza 19.10.2022). 4.- configurabilità dei reati contestati. Nell'apprezzare la portata probatoria dell'espletata istruttoria dibattimentale, va preliminarmente rammentato che: "la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi" (cfr per tutte, Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 12920 del 13/02/2020 Ud., dep. 24/04/2020 Rv. 279070 - 01). Nella specie, le dichiarazioni di (...), nel dettaglio riportato nel paragrafo che precede, oltre a caratterizzarsi per un notevole grado di dettaglio, in ordine alle fasi antecedenti (così, ut supra, cfr. l'esatta collocazione dell'auto posteggiata in divieto di sosta; l'esatta collocazione del (...), al bar a giocare a carte; il primo invito, per interposta persona, al (...) per fargli spostare l'auto; il tempo, pari a circa un'ora e mezza decorso inutilmente da quell'invito) concomitanti e successive alla patita aggressione, verbale (su cui cfr il dettaglio nel ricordo delle parole minacciose pronunciate al suo indirizzo, ut supra) e fisica (su cui cfr altresì la descrizione della zona del corpo attinta dalla lesione ed il particolare del bottone della divisa "slacciato"), si qualifica per una serie di puntuali conferme, che valgono a rendere quel racconto veridico e prova del fatto descritto. Deve ritenersi, dunque, provato che l'imputato abbia pronunciato le frasi descritte nel capo A e che si sia "avventato" (così il teste (...)) al collo di (...), procurandogli le lesioni refertate. Deve ritenersi, altresì, provato che le frasi pronunciate abbiano avuto una reale efficacia intimidatoria; ed invero, il giudizio di attendibilità che assiste le dichiarazioni del G., in ragione del grado di dettaglio del ricordo oltre che delle puntuali conferme estrinseche allo stesso, si estende a tutte le parti del narrato, ivi compresa quella relativa alla "paura" e all'"ansia" che parole e gesti hanno cagionato a (...) (cfr verbale ud. 20.10.2021). Si tratta, sulla base di un giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, come descritte nel precedente paragrafo, di minaccia idonea ad ottenere l'interruzione dell'attività di ufficio che si veniva svolgendo: si è trattato, invero, di minaccia e lesioni perpetrate in una giornata di festa, in pubblica piazza, sicché l'indifferenza mostrata dal (...) al rischio di essere scoperti e denunciati per quanto stava accadendo, all'aperto e senza riparo dall'occhio altrui - tanto ciò è vero che F., posto a significativa distanza dai tre a quelli si avvicina, benché fuori servizio - ha dato maggior forza intimidatoria alle sue parole ed al suo gesto, evidenziando capacità a delinquere ed instillando nel destinatario timore per la propria incolumità. Tutti gli elementi gli elementi di fatto offerti dall'istruttoria, dunque, letti unitariamente rendono chiara la volontà di (...) di minacciare (...) per impedirgli di proseguire l'attività sua propria, vale a dire l'attività di supporto alla Polizia Municipale nello specifico settore del servizio di viabilità ed ordine pubblico in occasione dell'evento "Borgo Jazz" organizzato il 30 luglio 2019. Tutti gli elementi di fatto offerti dall'istruttoria, dunque, rendono chiara la volontà di (...) di ostacolare l'attività di G., volta ad ottenere lo spostamento di autovettura parcheggiata in divieto di sosta, nel rispetto dell'ordinanza sindacale emessa in occasione dell'evento del 30.07.2019, resa ostensibile alla cittadinanza anche mediante affissione di copia in bar e pubblici esercizi o sulle stesse transenne atte a delimitare gli spazi (cfr testimonianze in atti). Le condotte sopra descritte costituiscono violenza rivolta a incaricati di pubblico servizio per costringerli a omettere atti del loro ufficio e integrano reato ex art. 337 cod. pen., per il compimento del quale non si richiede che sia stata effettivamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, bastando la opposizione al compimento della sua attività, indipendentemente dall'esito della condotta (Sez. 6, n. 46743 del 6/11/2013, Rv. 257512; Sez. 6, n. 45868 del 15/05/2012, Rv. 253983; Rv. 245855). La protervia mostrata dal (...) nel rimanere seduto al bar a giocare a carte, mentre tutt'intorno le auto venivano spostate, alla vista di (...) e (...) (cfr sul punto deposizione testimoniale in atti) ed in ossequio alle disposizioni del Sindaco, evidenzia coscienza e volontà di ostacolare l'attività pertinente al pubblico servizio in atto, con ciò integrando il dolo tipico del reato per cui si procede. Non v'è spazio per la causa di giustificazione ex art. 393 bis c.p., evocata dalle parole del (...), il quale a più riprese si rivolge a (...) dicendo: "ce l'hai con me". Se è vero, infatti, che "l'art. 393-bis cod. pen. prevede una causa di giustificazione fondata sul diritto soggettivo, costituzionalmente garantito, del privato di reagire all'atto arbitrario del pubblico agente, sicché è configurabile anche nella forma putativa di cui all'art. 59, comma quarto, cod. pen., quando il soggetto versi nel ragionevole convincimento di essersi trovato, a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto ingiustamente persecutorio del pubblico ufficiale, non potendo rilevare, invece, l'errore di diritto" (Cass. pen. Sez. 6 -, Sentenza n. 25314 del 20/05/2021 Ud. (dep. 01/07/2021 ) Rv. 281687 - 01), è altrettanto vero che nella specie alcuna arbitrarietà è ravvisabile in capo a (...), né alcun ragionevole errore di fatto può essere ravvisato in capo a L.. L'atto dell'ufficio che (...) stava svolgendo era pienamente corrispondente al "mandato" ricevuto, di supporto alla polizia municipale, nei termini più volte ricordati. Si trattava, inoltre, di un mandato relativo a condotte (divieto di sosta in talune aree della città) della cui irregolarità i terzi erano stati resi edotti; ed invero il divieto di sosta in talune aree del Comune era incorporato nella copia dell'ordinanza sindacale attaccata alle transenne che delimitavano gli spazi oltre che affissa ai bar. Peraltro, che l'atto che (...) stava svolgendo fosse pienamente legittimo è reso evidente dal fatto che tutti gli altri cittadini, in corrispondenza con l'orario stabilito dal Sindaco (le ore 18.00), hanno provveduto a rimuovere le auto, sicché solo l'autovettura del (...) è rimasta lì dov'era, per almeno un'ora e mezza dall'invito ricevuto a rimuovere l'autovettura. La circostanza di fatto secondo cui l'autovettura del (...) era rimasta l'unica in divieto di sosta evidenzia che alcuna errata percezione della realtà di fatto può essere ragionevolmente ritenuta in favore di (...). Non v'è dubbio, in ordine alla qualifica soggettiva essenziale al reato proprio ex art. 337 c.p., che (...), al momento del servizio, rivestisse la qualifica di incaricato di pubblico servizio, in considerazione della connotazione prettamente pubblicistica dell'attività svolta (supporto all'ufficio di polizia municipale in ordine al servizio di viabilità e ordine pubblico). Va, dunque, affermata la penale responsabilità di (...) in ordine al reato ascrittogli al capo a. Non v'è spazio per la più lieve ipotesi della violenza o minaccia ex art. 336 c.p., attese le circostanze spazio-temporali della minaccia e della violenza, intervenute nei confronti dell'incaricato di pubblico servizio durante il compimento dell'atto dell'ufficio e non anteriormente all'inizio dell'esecuzione dell'atto. Ed invero, lo svolgimento dell'incarico è iniziato alle ore 18.00; nel corso dello svolgimento dell'incarico suo proprio (...) ha invitato il (...) a spostare l'auto; nel corso dello svolgimento dell'incarico (...) ha ottenuto che tutti gli altri spostassero le auto, sicché è solo in corso di svolgimento dell'incarico che (...) è stato ostacolato nel portare a compimento il suo servizio, tanto da dover allertare i Carabinieri (in tema di rapporti tra le fattispecie previste dagli artt. 336 e 337 cod. pen. cfr, per tutte, Cass. pen. sez. 6, sent. n. 51961 del 2018, secondo cui: "in tema di rapporti tra le fattispecie previste dagli artt. 336 e 337 cod. pen., quando la violenza o la minaccia dell'agente nei confronti del pubblico ufficiale è posta in essere durante il compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'art. 337 cod. pen., mentre si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 cod. pen. se la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo a omettere un atto del suo ufficio anteriormente all'inizio dell'esecuzione"). Va, del pari, affermata, in ragione dell'espletata istruttoria dibattimentale e del referto medico in atti, la penale responsabilità di (...), in ordine al reato di cui al capo b. Ciò posto, l'intenzione di vulnerare il fisico o l'integrità morale di (...), vale a dire il fisico o l'integrità morale della persona che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, attraverso le frasi di portata intimidatoria di cui al capo a e le lesioni di cui al capo b, integra la contestata aggravante ex art. 61 n. 10 c.p. (in ordine alla configurabilità della detta aggravante, cfr Cass. pen. Sez. 5, Sentenza n. 1178 del 20/11/2020 Ud. dep. 13/01/2021, Rv. 280490 - 01). 4.- Trattamento sanzionatorio Passando alla c.d. dosimetria della pena ed in ordine alla richiesta concessione delle circostanze attenuanti generiche, valga preliminarmente osservare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (Cass. Sez. 2° sent. n. 4790 del 16.1.1996 dep. 10.5.1996 rv 204768, come da ultimo richiamata nella motivazione di Cass. pen. sez. 2, sent. n. 17318/2019). Nella specie, la protervia mostrata dal (...), il quale, giova ribadirlo, ha disatteso l'invito a rimuovere l'autovettura per circa un'ora e mezza, mentre tutt'intorno gli altri destinatari dell'ordinanza sindacale provvedevano puntualmente ad osservare il precetto - posto a tutela, oltre che della regolare viabilità, dell'ordine pubblico e dunque a tutela della sicurezza dell'intera collettività, in occasioni di maggior rischio, quali, secondo l'id quod plerumque accidit, debbono considerarsi gli eventi di festa, con i consequenziali assembramenti di persone - esprime primo significativo indice di indifferenza al precetto posto dall'Autorità a tutela di beni superindividuali. Al contempo, lo scatto d'ira, espresso a parole e gesti, che direttamente hanno espresso l'intenzione di vulnerare il fisico e l'integrità morale di (...), vale a dire proprio di colui il quale era chiamato a far rispettare il precetto dell'autorità a tutela di beni superindividuali, esprime sia l'incontrollabilità degli impulsi dell'imputato sia la sua sostanziale indifferenza ai beni interessi protetti dall'ordinamento. Si tratta di indici che, in spregio alla formale incensuratezza dell'imputato, la quale, per espresso divieto normativo non può comunque valere a riconoscere sic et simpliciter le circostanze attenuanti generiche, esprimono significativa capacità a delinquere e, per tale via, rendono l'imputato immeritevole del beneficio attenuatore ex art. 62 bis c.p. Ciò posto, la pluralità dei reati accertati, per il contesto spazio temporale in cui sono stati commessi, possono dirsi espressione del medesimo disegno criminoso e sono tali, dunque, da beneficiare del più benevolo trattamento sanzionatorio che l'ordinamento riconosce alle ipotesi in cui plura delieta ad eundemfìnem tendunt, sul presupposto che unico è stato l'atteggiamento antidoveroso inziale del soggetto. La formale incensuratezza dell'imputato lascia ragionevolmente inferire che lo stesso, raggiunto dal dictum giudiziale, si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati, sicché possono essere concessi al (...) sia il beneficio della sospensione condizionale della pena sia il beneficio della non menzione della sentenza di condanna nel certificato del casellario giudiziale. Valga solo osservare che, come a più riprese chiarito dalla Suprema Corte, "non sussiste incompatibilità tra il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la concessione della sospensione condizionale della pena, o viceversa, avendo i due istituti diversi presupposti e finalità, in quanto il riconoscimento delle prime risponde alla logica di un'adeguata commisurazione della pena, mentre la concessione della seconda si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti generiche" (Cass. pen. Sez. 4 - , Sentenza n. 27107 del 15/09/2020 Ud. dep. 29/09/2020 Rv. 280047 - 02). Così, valutati gli indici ex art. 133 c.p., si stima equa la pena finale mesi 6 e giorni 10 di reclusione (così calcolata: pena base per il reato ex art. 337 c.p. = mesi 6 di reclusione, aumentata di giorni 10 ex art. 81 cpv per il reato di cui al capo b, come aggravato), cui consegue il pagamento delle spese processuali. La prognosi favorevole in ordine all'astensione dalla commissione di ulteriori reati giustifica il riconoscimento del doppio beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. 5.- risarcimento del danno Quanto alla domanda di risarcimento proposta dalla Parte civile, la stessa deve essere accolta, sussistendo tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano, vale a dire la condotta antigiuridica dolosa, l'evento lesivo, i cd. danni conseguenza ed il nesso di causalità tra il fatto illecito dannoso ed i danni conseguenza. L'illecito civile, difatti, risulta integrato da qualsiasi condotta umana volontaria (dolosa o colposa) che produca la lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione, dalla quale discendano, a loro volta, una serie di conseguenze negative economicamente valutabili riassumibili nel danno patrimoniale (complessiva sofferenza patrimoniale che l'evento lesivo produce a carico del danneggiato) e non patrimoniale (pregiudizio sofferto in conseguenza della lesione di un interesse inerente alla persona socialmente rilevante). Non v'è dubbio che la condotta posta in essere dall'odierno imputato abbia causato un danno ingiusto a (...); non può, in assenza di evidenze procedimentali del patito danno, essere riconosciuta alcuna somma a titolo di provvisionale. Consegue, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile che si liquidano come in dispositivo. 6.- Il termine per il deposito della sentenza è stato indicato in ragione della compiuta ed efficiente gestione del ruolo complessivamente in carico alla Scrivente, designata in via principale alle funzioni GIP/GUP (anche distrettuale) e di Giudice con carico del Tribunale del Riesame e delle Misure di Prevenzione personali e patrimoniali. P.Q.M. visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti, unificati con il vincolo della continuazione sotto il più grave reato di cui alla lettera a) del capo di imputazione, e, riconosciuto l'aumento per la continuazione, lo condanna alla pena di mesi 6 e giorni 10 di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa e non menzione. Visti gli artt. 538 e 541 c.p.p. condanna (...) al risarcimento del danno morale nei confronti della costituita parte civile, per la cui liquidazione si manda alla competente sede civile; condanna (...) al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile e, per essa, in favore dell'Erario, ai sensi dell'art. 110 co. 3 D.P.R. n. 115 del 2002, che si liquidano in complessivi Euro 1.575,00 per compensi, oltre spese ex art. 2 D.M. n. 55 del 2014, nella misura del 15% dei compensi, oltre IVA e CPA come per legge. Fissa in giorni 90 il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in Campobasso il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA SENTENZA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Veronica D'Agnone Alla pubblica udienza del 15 FEBBRAIO 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a R. il (...) domiciliatoa C. alla Via U. n. 41/A; Posizione giuridica: libero comparso 2. (...), nato a Napoli il (...), residente a C. alla Via U. n. 41; Posizione giuridica: libero non comparso 3. (...), nato a N. l'(...) ivi residente alla Via (...) Posizione giuridica: libero assente Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM Dr. Ni.CH., dei difensori Avv. Da.Pa., Avv. Ro.Po. e Avv. De.Ri., tutti del foro di Campobasso per gli imputati. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE 1.- Si dà preliminarmente atto che la motivazione della presente sentenza si conforma ai dettami di cui all'art. 546 c.p.p., quale risultante dall'intervento di riforma della L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, anche in considerazione del nuovo regime dell'ammissibilità dell'atto di appello, il quale postula l'agile individuazione del paradigma devolutivo sul quale commisurare la facoltà di impugnazione delle parti. 2.- Con decreto del 7 marzo 2017 (...), (...) e (...) venivano citati a giudizio davanti al Tribunale per rispondere "(...) a) del reato p. e p. dall'art. 629 c.p. perché, con minaccia consistita nel contattare telefonicamente la "(...) S.p.a. " - agenzia di Termoli e nel profferire all'indirizzo di (...) le seguenti espressioni "tu pensa a darle machina, pensa a tua moglie ed ai tuoi figli, non farmi arrabbiare e dammi la macchina perché mi serve", costringeva (...) a consegnargli in noleggio il veicolo Volkswagen Golf tg. (...), così procurandosi l'ingiusto profitto della disponibilità - a titolo di noleggio - del suddetto veicolo nonostante il mancato invio della documentazione necessaria al perfezionamento del contratto. In Campobasso (luogo di consegna della vettura) il 12/08/2015; b) del reato p. e p. dagli artt. 61 n. 2) e 367 c.p. perché, alfine di occultare il reato di cui al capo precedente e quello di appropriazione indebita in danno della "(...) S.p.a." (per il quale si è proceduto separatamente) e comunque di assicurare l'impunità per i suddetti reati con denuncia presentata alla Questura di Campobasso, dichiarando che il veicolo Volkswagen Golf tg (...) gli era stato sottratto da due persone travisate, di cui una munita di pistola, affermava falsamente essere avvenuto il reato di rapina a mano armata ai propri danni. In Campobasso il 31/08/2015. (...) E (...) c) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 648 c.p. perché, in concorso e previo accordo tra loro, per procurare a sé un profitto, acquistavano o comunque ricevevano il veicolo Volkswagen Golf tg (...), di illecita provenienza a loro nota, in quanto provento del delitto di appropriazione indebita come da denuncia presentata in data 04.09.2015 da (...) presso il Commissariato di PS di Termoli. In luogo sconosciuto, in epoca antecedente e prossima al 18/08/2015 (competenza ex art. 9 co. 3 c.p.p.). Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale a carico di (...). Con la recidiva a carico di (...)". All'udienza dell'11.01.2018 veniva accertata la regolare costituzione delle parti e veniva aperto il dibattimento; le parti illustravano le rispettive richieste di prova ed il Giudice ammetteva quelle rilevanti ai fini della decisione. All'udienza del 14.11.2019 si dava corso all'istruttoria dibattimentale, proseguita dinanzi alla Scrivente, nelle more subentrata nella titolarità del ruolo, giusta variazione tabellare urgente dell'anno 2020; esaurita l'istruzione del processo, all'udienza del 15 febbraio 2023 il Giudice invitava le Parti alla discussione e sulle conclusioni rassegnate si ritirava in camera di consiglio, all'esito della quale pronunciava sentenza, per le ragioni di seguito illustrate. III.- Configurabilità del reato contestato. La persona offesa (...), esaminata all'udienza dibattimentale del 23/11/22, ha dichiarato di essere titolare di una ditta di autonoleggio, denominata (...), con sede a T.. Noleggiò all'imputato (...) una autovettura, modello VW Golf. (...) chiese che l'autovettura gli venisse consegnata nel comune di Campobasso, essendo impossibilitato a raggiungere la sede della (...). (...) acconsentì, spiegando al cliente che il veicolo sarebbe stato condotto a Campobasso da un suo collaboratore, tale (...), il quale gli avrebbe sottoposto il contratto da firmare. Giunto sul luogo convenuto, il collaboratore della ditta di noleggio sottopose il contratto a (...) e gli chiese di esibire la sua patente per annotare i relativi dati nel contratto di noleggio. L'imputato dichiarò di non essere in possesso della patente di guida, in quanto dimenticata all'interno della sua auto, precedentemente affidata ad un carro attrezzi. Dapprima l'imputato tentò di convincere (...), evidentemente contattato dal suo collaboratore, a noleggiargli ugualmente il veicolo, spiegando che serviva per accompagnare la moglie in ospedale. Poi il tono delle sue richieste mutò, divenendo aggressivo e di contenuto minaccioso. Dopo essere stato sollecitato dal P.M., ai sensi dell'art. 500 c.p.p., (...) ha chiarito che (...) lo minacciò con la seguente frase: "tu pensa a darmi la macchina, pensa a tua moglie e ai tuoi figli, non farmi arrabbiare e dammi la macchina perché mi serve". La vittima si spaventò e si convinse a consegnargli l'auto. Nel contratto venne annotata la patente di guida della moglie dell'imputato. Malgrado il noleggio avesse una durata di soli tre giorni, (...) continuò ad utilizzare l'auto ben oltre la data pattuita per la restituzione, nonostante le continue richieste del titolare della ditta. L'imputato, infatti, accampò svariati pretesti, fino poi a comunicare a (...) che la Golf gli fu sottratta in seguito ad una asserita rapina avvenuta a Campobasso, proprio il giorno in cui si stava recando a Termoli per restituire l'auto. Il veicolo gli fu poi consegnato dalla polizia, quando ormai (...) era certo di averlo definitivamente perduto. Le dichiarazioni della vittima risultano sufficientemente circostanziate, logicamente coerenti e prive di salti logici. Deve tenersi in debita considerazione il lungo lasso di tempo (circa sette anni) intercorso tra la consumazione del reato di estorsione e la deposizione resa da (...) in udienza. Ciò giustifica ampiamente alcune incertezze nel racconto proposto, che hanno reso necessario far ricorso alla lettura delle dichiarazioni precedentemente rese dal teste nel corso delle indagini preliminari. Del resto, la sua testimonianza, con particolare riferimento alle minacce estorsive ricevute, è corroborata da significativi riscontri esterni. Il teste (...), dirigente della Squadra mobile di Campobasso, ha dichiarato che l'auto fu affidata dalla ditta di noleggio a (...) con "un po' di leggerezza", "in assenza di garanzie". Non fu registrata nel documento contrattuale neanche la carta di credito del cliente. Addirittura, il pagamento "sarebbe stato fatto successivamente" da una terza persona, di cui (...) indicò semplicemente l'utenza telefonica. Contattata telefonicamente dalla p.g., il titolare dell'utenza negò decisamente di avere assunto un impegno di tale natura. È quindi alquanto strano che un soggetto, professionalmente qualificato, in quanto titolare di una ditta di autonoleggio (peraltro contrattualmente legata ad una società operante su tutto il territorio nazionale; cfr. testimonianza di (...)), avesse noleggiato con tanta superficialità un veicolo di significativo valore commerciale ad un perfetto sconosciuto. (...) non aveva mai noleggiato in passato auto presso la (...) e perciò necessariamente avrebbe dovuto offrire idonee garanzie alla ditta di autonoleggio. La moglie dell'imputato, pure esaminata in dibattimento, ha ammesso di non essere stata informata dal marito del noleggio dell'autovettura. Lo apprese solo in un momento successivo, dopo che fu contattata da (...). Ciò dimostra la condotta insincera di (...) e delinea una personalità proclive al crimine. Tutto ciò avvalora le accuse rivolte da (...). Questi si determinò ad affidare il veicolo all'imputato soltanto a seguito delle minacce ricevute, temendo evidentemente per l'incolumità dei suoi familiari. Sussiste, dunque, il delitto di estorsione. La persona offesa fu costretta a consegnare la VW Golf in seguito alle minacce ricevute da P.. Alla costrizione, determinata dalle minacce, seguì l'ingiusto profitto rappresentato dalla consegna dell'autovettura, senza le necessarie garanzie contrattuali. Sussiste, altresì, il delitto di cui al capo B. L'imputato denunciò la sottrazione dell'auto in seguito ad una rapina, a suo dire perpetrata nel comune di Campobasso il giorno 31 agosto 2015. L'uomo denunciò l'accaduto lo stesso giorno negli uffici della Squadra mobile di Campobasso (cfr. denuncia in atti). Riferì che, mentre era diretto a Termoli (ove avrebbe riconsegnato il veicolo alla (...)), fu fermato a bordo della VW Golf da due uomini, che viaggiavano a bordo di un motociclo. Il passeggero della moto gli puntò contro una pistola e lo costrinse ad allontanarsi dall'auto. Salì poi a bordo del veicolo e ripartì. L'episodio è inverosimile. Già in sede di denuncia emersero chiaramente due incongruenze nel racconto. Il percorso stradale descritto minuziosamente da (...) evidenzia come questi non stesse affatto viaggiando in direzione di Termoli ("Per raggiungere Termoli, non so per quale ragione ho percorso tutte le vie che vi ho indicato di questa città, sebbene potessi raggiungere la tangenziale per Termoli, per via più breve"). Inoltre, nonostante fosse in possesso di un telefono cellulare, subito dopo la presunta rapina, lungi dal richiedere telefonicamente l'intervento della polizia, decide di recarsi tranquillamente a piedi in questura per denunciare l'accaduto, di fatto pregiudicando irrimediabilmente qualsiasi tentativo da parte degli organi di polizia di precludere ogni via di fuga ai presunti malfattori. La simulazione di reato è stata poi definitivamente dimostrata dagli eventi successivi. Il teste (...) (le cui sit sono state acquisite con il consenso delle parti) ha affermato di collaborare saltuariamente con la società (...) s.r.l. di (...) (...). Il proprietario della concessionaria (...) gli affidò l'incarico di prendere in consegna una VW Golf (che si accertò in seguito essere proprio l'auto noleggiata da (...)). Giunsero infatti due uomini, i quali consegnarono il veicolo ed andarono via. Si trattava di (...) e (...). Dunque, l'imputato, lungi dal subire la denunciata rapina, era ancora in possesso del veicolo, che fu affidato ad una concessionaria per la successiva vendita. L'auto non fu poi mai venduta, in quanto priva di documenti. È quanto emerge dalle ulteriori testimonianze. Sussiste, quindi, il delitto di cui all'art. 367 c.p. Quanto agli imputati (...) e (...), sebbene sia stato dimostrato che vennero in possesso del veicolo, manca qualsiasi elemento di prova in ordine al dolo. Non può escludersi la loro buona fede nel momento in cui ricevettero l'auto. Ben potevano ignorare del tutto la pregressa vicenda legata al noleggio del veicolo. Essi vanno, quindi, prosciolti perché il fatto non costituisce reato. 4.- Trattamento sanzionatorio Passando alla dosimetria della pena, l'esigenza di adeguare la pena al disvalore concreto del fatto consente di riconoscere all'imputato le circostanze attenuanti generiche, da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante. Ciò nondimeno, i precedenti penali che gravano la posizione dell'odierno imputato sono espressione di una capacità a delinquere sì sviluppata da rendere l'imputato immeritevole del riconoscimento del (...) effetto attenuatore ex art. 62 bis c.p. attraverso la prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante della recidiva, sussistente nella specie. Quanto alla sussistenza della recidiva, come contestata, valga solo osservare che alla stregua del certificato del casellario giudiziale (...) risulta condannato per truffa con sentenza del 31.01.2014, irrevocabile il 3.05.2014 (cfr punto 4 certificato casellario giudiziale aggiornato al 15.11.2022) e, dunque, con sentenza passata in giudicato in tempo vieppiù prossimo al fatto reato per cui vi è processo (12 agosto e 31 agosto 2015), sicché ben può ritenersi la "ricaduta nel reato" espressione della maggiore pericolosità sociale e capacità a delinquere che l'ordinamento stigmatizza con la circostanza aggravante della recidiva. Ciò posto, i diversi episodi criminosi, per il contesto spazio temporale in cui sono stati commessi, possono considerarsi espressione di un medesimo disegno criminoso e sono tali, dunque, da beneficiare del più benevolo trattamento sanzionatorio che l'ordinamento riconosce alle ipotesi in cui plura delieta ad eundem finem tendunt, sul presupposto che unico è stato l'atteggiamento antidoveroso inziale del soggetto. Quanto alla piena compatibilità tra gli istituti della recidiva e della continuazione valga richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "Non sussiste incompatibilità tra l'istituto della recidiva e quello della continuazione, con conseguente applicazione, sussistendone i presupposti normativi, di entrambi, in quanto il secondo non comporta l'ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma è fondata su una mera "fictio iuris" a fini di temperamento del trattamento penale" (Cass. pen. Sez. 3-, Sentenza n. 54182 del 12/09/2018 Ud. (dep. 04/12/2018 ) Rv. 275296 - 01). Valutati, dunque, gli elementi di cui all'art. 133 c.p., si stima equo irrogare nei confronti dell'imputato la pena di anni 6 e giorni 15 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa (secondo il seguente calcolo: p.b. anni 6 di reclusione ed Euro 1800,00 di multa, con discostamento dal minimo edittale in considerazione dei precedenti penali a carico dell'imputato e con riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata e sussistente aggravante della recidiva; aumentata per la continuazione ad anni 6 e giorni 15 di reclusione ed Euro 2000,00 di multa). Alla condanna consegue per legge il pagamento delle spese processuali. Alla sentenza di condanna conseguono, altresì, in ragione della durata della pena comminata, l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e l'interdizione legale durante la pena, secondo il chiaro disposto degli articoli 29 e 32 del codice penale. Si tratta di pene accessorie, predeterminate nella specie e nella durata, le quali, dunque, conseguono obbligatoriamente alla condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a quello indicato da dette norme. 5.- Il termine per il deposito della sentenza è stato indicato in ragione della compiuta ed efficiente gestione del ruolo complessivamente in carico alla Scrivente, designata in via principale alle funzioni GIP/GUP e di Giudice con carico del Tribunale del Riesame e delle Misure di Prevenzione personali e patrimoniali. P.Q.M. Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara (...) colpevole dei reati a lui ascritti, unificati con il vincolo della continuazione, sotto il più grave reato di cui al capo a) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, applicato l'aumento per la continuazione, lo condanna alla pena di anni 6 e giorni 15 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 29 c.p., dichiara (...) interdetto in perpetuo dai pubblici uffici; Visto l'art. 32 c.p., dichiara (...) in stato di interdizione legale durante la pena. Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE (...) e (...) dal reato di concorso loro ascritto, perché il fatto non costituisce reato. Fissa in giorni 90 il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in Campobasso il 15 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 13 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Veronica D'AGNONE Alla pubblica udienza del 22 FEBBRAIO 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a C. (R.) il (...) elettivamente domiciliato c/o il difensore; Posizione giuridica: libero comparso Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM Dr.ssa Sa.SA., del difensore Avv. En. in sostituzione dell'avv. Gi.Si. del foro di Napoli di fiducia per l'imputato. IMPUTATO del reato p. e p. dagli artt. 570 co. 1 e co. 2 n. 2) c.p. perché, abbandonando il domicilio domestico e serbando una condotta contraria all'ordine ed alla morale delle famiglie consistita nel sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale e alla qualità di coniuge, disinteressandosi alla moglie (...) ed al figlio minorenne (...) (nato a C. il (...)), avendo con gli stessi sporadici contatti ed omettendo di versare qualsiasi somma a titolo di mantenimento, faceva mancare ai predetti i mezzi di sussistenza. MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO 1.- Si dà preliminarmente atto che la motivazione della presente sentenza si conforma ai dettami di cui all'art. 546 c.p.p., quale risultante dall'intervento di riforma della L. n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, anche in considerazione del nuovo regime dell'ammissibilità dell'atto di appello, il quale postula l'agile individuazione del paradigma devolutivo sul quale commisurare la facoltà di impugnazione delle parti. 2.- Con decreto del 21 settembre 2020 (...) veniva citato a giudizio davanti a questo Tribunale per rispondere del reato a lui ascritto in epigrafe. All'indicata udienza del 27 gennaio 2021, il Giudice, accertata la regolare costituzione delle parti, con la partecipazione della parte civile che a quell'udienza si costituiva, invitava le parti a voler esaminare la possibilità di definire il giudizio in via alternativa al dibattimento; verificata infruttuosamente tale possibilità, dichiarava aperto il dibattimento, ammetteva le prove rilevanti e non superflue ai fini del decidere e procedeva all'istruzione del processo, esaurita la quale fissava udienza per la discussione. A quell'udienza la parte civile revocava la precedente sua costituzione ed il Giudice, dato atto della dichiarazione di volontà in tal senso espressa personalmente dalla parte comparsa in udienza, invitava le restanti parti alla discussione. Sulle conclusioni rassegnate, il Giudice si ritirava in camera di consiglio ed all'esito pronunciava sentenza, per le ragioni di seguito esposte. 3.- La formulazione dell'imputazione ai sensi dell'art. 570 c.p. impone di chiarire i rapporti che corrono tra detta disposizione e quella dell'art. 570 bis c.p., previa esatta delimitazione della portata incriminatrice dell'art. 570 bis c.p. a. Delimitazione della portata incriminatrice dell'art. 570 bis c.p. Il D.Lgs. n. 21 del 2018 e la continuità normativa con l'art. 12 sexies 1. div. e l'art. 3 L. n. 54 del 2016 In tale ambito, va preliminarmente rammentato che il D.Lgs. n. 21 del 2018, in attuazione di una delle deleghe contenute nella Legge Orlando, ha introdotto l'art. 570 bis, rubricato "Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione e di scioglimento del matrimonio". In particolare, il D.Lgs. n. 21 del 2018 ha dato attuazione alla riserva di codice in materia penale. Ciò ha fatto introducendo l'art. 3 bis c.p., secondo cui le nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo attraverso modifiche al codice penale ovvero attraverso leggi che disciplinino in modo organico la materia. L'obiettivo del legislatore, si è detto, è quello di assicurare la migliore e più estesa conoscenza di precetti e sanzioni che involgono beni fondamentali della persona di rilevanza costituzionale (si pensi al principio di uguaglianza, di non discriminazione o ancora al divieto di sfruttamento della persona), al fine di assicurare la funzione rieducativa della pena. Così, è stato introdotto un apposito capo dedicato ai delitti contro la maternità, ai delitti contro l'uguaglianza ed è stato inserito all'interno del codice penale l'art. 240 bis c.p., in ordine all'istituto della confisca allargata. E' stato, altresì, inserito all'interno del codice penale l'art. 570 bis, con contestuale abrogazione dell'art. 12 sexies 1. div e dell'art. 3 L. n. 54 del 2016. L'introduzione di una nuova disposizione all'interno del codice penale e la contestuale abrogazione di distinte disposizioni pone un problema di successione di leggi penali nel tempo, dovendo verificare se la nuova disposizione si ponga in un rapporto di continuità normativa con le precedenti o se, viceversa, restringa l'area del penalmente rilevante o la estenda. Il problema si è già posto con riferimento all'aggravante della mafiosità, attraverso l'introduzione della circostanza in parola sub art. 416 bis. Punto1 c.p., con contestuale abrogazione dell'art. 7 L. n. 152 del 1991 e, in quell'occasione, si è avuta una prima pronuncia della Corte di Cassazione, in ordine alla continuità normativa tra le dette ipotesi. Per quanto concerne l'art. 570 bis c.p. occorre verificare se vi sia continuità normativa o meno con le precedenti disposizioni della legge divorzile e della legge in materia di separazione e affido condiviso. Essenziale è l'analisi del dato testuale. Ebbene, l'art. 570 bis c.p. sanziona, con le pene di cui all'art. 570 c.p., la condotta del coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento del matrimonio, cessazione degli effetti civili e nullità, come pure sanziona, con le medesime pene, la condotta del coniuge che viola gli obblighi di natura economica stabiliti in materia di separazione e di affido condiviso dei minori. Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso dal coniuge, di carattere omissivo, di struttura formale e di natura permanente, in cui l'elemento materiale della condotta consiste nel mero inadempimento degli obblighi nascenti da statuizioni dell'Autorità Giudiziaria, senza che occorra dimostrare l'efficienza dell'inadempimento, senza, ad esempio, che occorra dimostrare che dal mancato adempimento dell'obbligo di versare l'assegno al coniuge sia stato cagionato, nel soggetto passivo del reato, uno stato di bisogno. Si tratta di omissione di carattere formale: ad essere sanzionato è il mero inadempimento, con conseguente rilevanza penale dell'inadempimento parziale, atteso che al soggetto obbligato non è consentita una sorta di autonoma revisione del quantum stabilito dal Giudice. La natura omissiva del detto reato comporta, per piana applicazione dei principi generali, che la condotta doverosa ed omessa sia esigibile, con onere di allegazione e prova a carico dell'imputato, il quale andrà esente da responsabilità nell'ipotesi in cui dimostri che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile. La natura permanente del reato comporta che lo stesso si consuma con l'atto di integrale adempimento o, in difetto, con la sentenza di condanna; la procedibilità è d'ufficio e le pene sono quelle previste dall'art. 570 comma 1 c.p., cioè le pene alternative della reclusione sino ad un anno o della multa sino a poco più di mille euro. Così ricostruiti i caratteri strutturali essenziali della fattispecie incriminatrice il giudizio circa la continuità normativa o meno passa attraverso il raffronto con le precedenti disposizioni dell'art. 12 sexies e 3 L. n. 54 del 2016. Ebbene, con riferimento all'art. 12 sexies non vi sono problemi di sorta: la dizione è la medesima, quindi nulla cambia rispetto al precedente quadro normativo. Continua, dunque, ad essere sanzionato con le pene di cui al primo comma dell'art. 570 c.p. l'ex coniuge che ometta di versare l'assegno mensile periodico, in favore dell'ex coniuge o in favore dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, per il solo fatto dell'inadempimento. Maggiori perplessità pone il raffronto tra l'art. 570 bis e l'art. 3 L. n. 54 del 2016. Ed invero, l'art. 3 prevede che in caso di violazioni relative agli obblighi economici stabiliti in materia di separazione e di affido condiviso si applica l'art. 12 sexies 1. div., il quale rimanda all'art. 570 comma 1 c.p. In tale ambito, il primo problema che si pone è quello di verificare se il nuovo art. 570 bis c.p. sanzioni altresì l'inadempimento che abbia ad oggetto l'assegno posto a carico di un coniuge in favore dell'altro coniuge. Qui la tesi positiva è stata sostenuta facendo riferimento alla dizione onnicomprensiva dell'art. 570 bis c.p., laddove fa riferimento ad ogni tipologia di assegno dovuto; ciò nondimeno, una siffatta interpretazione esporrebbe l'art. 570 bis al rischio di una pronuncia di incostituzionalità, giacché andrebbe ad estendere l'area del penalmente rilevante a fattispecie non prevista dal vecchio art. 3. Secondo giurisprudenza consolidata, infatti, l'art. 3 L. n. 54 del 2016, attraverso il richiamo all'art. 12 sexies 1. div., andrebbe ad incriminare solo l'inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento posto a carico del coniuge nei confronti dei figli, ma non già dell'altro coniuge. Ed invero, la L. n. 54 del 2016, argomenta la Suprema Corte, ha inciso solo sul contenuto degli obblighi economici nei rapporti tra genitori e figli non anche sul contenuto degli obblighi economici sussistenti tra i coniugi, con la conseguenza che l'inadempimento dell'obbligo di versare l'assegno di mantenimento previsto in favore del coniuge non integra il vecchio art. 3 e l'odierno art. 570 bis c.p., ma o rileva quale mero illecito civile o, al ricorrere dei presupposti di cui all'art. 570 comma 2 n. 2 c.p., integra la più grave fattispecie ora rammentata. Si tratta di soluzione che può essere mantenuta ferma, giacché altrimenti opinando l'art. 570 bis violerebbe i limiti della delega, incriminando una nuova condotta e non attenendosi ai principi del mero riordino e della mera trasposizione all'interno del codice penale di fattispecie criminose presenti aliunde; peraltro, ed in positivo, tale soluzione si confà al costante insegnamento della giurisprudenza della Corte Costituzionale, la quale ha reputato non irragionevole il trattamento differenziato previsto per coniugi separati ed ex coniugi, permanendo per i primi l'unione sì incisa dalla frattura, ma ancora esistente, con possibilità per il coniuge creditore di rimeditare le sue scelte e determinazioni, secondo un incedere precluso all'ex coniuge, attesa la irrimediabile rottura dell'unione materiale e spirituale tra coniugi. Nessun dubbio si pone per le violazioni relative a statuizioni poste a carico del genitore nei confronti del figlio, nella quale, alla stregua dei principi sopra richiamati può dirsi piana l'applicazione dell'art. 570 bis c.p., quale fattispecie che si pone in stretta continuità normativa con l'art. 3 L. n. 54 del 2006 e art. 12 sexies L. n. 898 del 1970. b.- Rapporto tra l'art. 570 bis c.p. e l'art. 570 comma 2 c.p. Posta, dunque, la continuità normativa tra l'art. 570 bis c.p.c.on l'art. 3 L. n. 54 del 2006 e art. 12 sexies L. n. 898 del 1970, vanno ora chiariti i rapporti che intercorrono tra l'art. 570 bis c.p. e l'art. 570 comma 2 c.p. In tale ambito, va dato atto dell'esistenza di due distinti indirizzi interpretativi coltivati dalla Suprema Corte. Secondo un primo indirizzo (sul quale cfr Cass. pen. Sez. 6, sent. n. 3491 del 2019, dep. 2020 e precedenti conformi), la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l'assegno di mantenimento, integra esclusivamente il reato di cui all'art. 570 comma 2 n. 2 c.p., nel quale è assorbita la violazione meno grave prevista dall'art. 12-sexies L. n. 898 del 1970 e art. 3 L. n. 54 del 2006 (confluito nell'art. 570 bis c.p.). Secondo altra impostazione (su cui cfr Cass. pen. Sez. 6, sent. n. 43560 del 2021) sussiste concorso formale eterogeneo e non rapporto di consunzione, tra il delitto previsto dall'attuale art. 570 bis c.p. e quello previsto dall'art. 570 comma 2 n. 2 c.p., in quanto l'art. 12 sexies 1. div. e l'art. 3 L. n. 54 del 2006 forniscono tutela penale all'inadempimento dell'obbligo di natura economica imposto dal giudice civile, mentre l'art. 570 comma 2 n. 2 c.p. preserva l'interesse a garantire al minore i mezzi di sussistenza, ove la loro mancanza determini lo stato di bisogno. 4.- Configurabilità del reato contestato ex art. 570 comma 1 e comma 2 n. 2 c.p. Sussistenza. Esclusione. Posta, dunque, la permanente vigenza della norma incriminatrice ex art. 570 comma 2 c.p., il cui bene interesse protetto, come sopra richiamato, ha sottratto detta ultima norma al fenomeno della continuità normativa analizzata sub a, si osserva che nella specie non si è raggiunta la prova né dell'elemento oggettivo dell'abbandono del domicilio domestico né quella relativa all'elemento oggettivo dell'aver fatto mancare a coniuge e figli i figli i mezzi di sussistenza. Esaminato all'udienza del 28 settembre 2022, l'imputato, premesso il rapporto di coniugio con (...), ha raccontato che per i primi due anni dal trasferimento in Italia essi coniugi lavoravano entrambi, l'uomo come muratore e la donna presso il forno, a Gildone; che, successivamente, il lavoro come muratore iniziò a scarseggiare, sicché mentre la donna continuava a lavorare al forno, sulla base di un contratto regolare, con regolare busta paga, l'uomo lavorava solo occasionalmente, a chiamata, trascorrendo la maggior parte del tempo in casa, prendendosi cura del figlio (...), nel frattempo generato dalla coppia. Precisa che, lavorando a chiamata, riusciva a racimolare circa cinquanta euro o quaranta euro a giornata; che tutto quello che guadagnava lo utilizzava per far fronte alle spese di casa; che la casa che il padre gli aveva comprato in Romania, in occasione del matrimonio, era stata intestata ad entrambi i coniugi, affinché la donna non si trovasse in difficoltà alcuna. Narra di essere andato via di casa all'inizio del 2019, in buona sostanza per evitare di litigare dinanzi al bambino. La moglie intratteneva una relazione con un altro uomo, dalla quale era nato un figlio che, al giorno dell'esame, aveva "dieci mesi". Su specifica domanda della difesa, in relazione alle ragioni dell'allontanamento dal domicilio domestico, l'uomo spiega: "un po' costretto, perché le cose non andavano più bene; quindi, invece di litigare in casa davanti al bambino, magari uno se ne va". Precisa, anzi, su domanda dell'avvocato, di essere stato "cacciato" dalla moglie: "mi ha detto non rientrare non venire più a casa". "Ma è successo anche fisicamente? cioè lei si è imposta anche fisicamente per non farla rientrare in casa?" chiede l'avvocato; "certo ha cambiato pure la serratura", risponde l'odierno imputato; "e quando è successo questo?" "sempre all'inizio del 2019 anzi tra fine anno 2018 e inizio anno 2019" /" ma quando lei è andato via di casa poi ha continuato a lavoricchiare cioè ha lavorato sempre occasionalmente?"; "sì sempre così quando mi chiamavano per qualche giornata andavo a lavorare"; ''ma lei dava comunque dei soldi alla sua famiglia?" / "certo a mio figlio sì" (cfr verb. stenotipico udienza del 28.09.2022). Le dichiarazioni dell'imputato trovano pieno riscontro, quanto alla titolarità dell'abitazione in capo ad entrambi i coniugi, nella visura e negli estratti dei pubblici registri depositati dalla difesa dell'imputato; trovano pieno riscontro, quanto al costante interesse mostrato dall'uomo sia nei confronti del figlio, anche successivamente all'allontanamento dal domicilio domestico, dai buoni mensa sempre prodotti dalla difesa dell'imputato (per gli anni 2018, 2019 e 2020), sia, per lo stesso periodo, nei confronti della moglie (cfr sul punto documentazione prodotta dalla difesa all'udienza del 28.09.2022). A conferma dell'interesse da sempre mostrato dall'uomo nei confronti di coniuge e figli vi è la documentazione pure prodotta all'udienza indicata e relativa all'adempimento dell'assegno di mantenimento posto a carico dell'odierno imputato con ordinanza del Giudice Civile in sede di separazione, pure versata in atti (cfr sul punto documentazione prodotta dalla difesa all'udienza del 28.09.2022). Le dichiarazioni dell'uomo, inoltre, quanto all'interesse "non patrimoniale" mostrato nei confronti del figlio, trovano puntuali conferme nelle foto che ritraggono il padre assieme al figlio e, soprattutto, nella partecipazione ad un corso di sostegno alla genitorialità, curato da una neuropsichiatra infantile, come pure trovano ulteriore conferma nella manifestata disponibilità ad una riconciliazione con la moglie, non andata a buon fine per il rifiuto opposto dalla donna. La documentazione prodotta dalla difesa costituisce puntuale riscontro alle dichiarazioni dell'imputato, il cui narrato, al di là dei singoli riscontri, non è significativamente contraddetto dalle contrarie dichiarazioni a suo carico rese dalla costituita parte civile. Ed invero, la testimonianza resa da (...), in qualità di persona offesa costituita parte civile, non ha trovato sufficienti e rigorose conferme in punto di attendibilità intrinseca del narrato e credibilità esterna del dichiarante, ed anzi, in punto di credibilità, si tratta di dichiarazioni che debbono dirsi negativamente incise dalle circostanze spazio temporali della querela, avvenuta il giorno immediatamente successivo a quello in cui moglie e marito, con i rispettivi avvocati, si erano incontrati per concordare le condizioni di una separazione consensuale. La circostanza di fatto secondo cui proprio il giorno immediatamente successivo all'incontro, all'esito del quale le parti non avevano raggiunto l'accordo, la donna ha formulato denuncia querela, costituisce indice di interesse patrimoniale sotteso alla dichiarazione di volontà di punizione del colpevole e instilla significativo dubbio sulla credibilità della parte civile, le cui dichiarazioni, dunque, non consentono di ritenere provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto narrato. Escluso, dunque, che l'odierno imputato abbia fatto mancare i mezzi di sussistenza a coniuge e figli, va escluso che l'allontanamento dal domicilio domestico integri abbandono essenziale alla fattispecie legale astratta ex art. 570 c.p.. Ed invero, costante è l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l'abbandono del domicilio domestico è punibile solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge, con la conseguenza che il giudice non può limitarsi ad accertare il fatto storico dell'abbandono, ma deve ricostruire la situazione in cui esso si inscrive per verificare 1'esistenza di eventuali cause di impossibilità, intollerabilità o estrema penosità della convivenza" (Cass. pen. Sez. 6, Sentenza n. 22912 del 19/02/2013 Ud. dep. 27/05/2013, Rv. 256622 - 01). Nella specie, accertata l'intollerabilità della convivenza, in ragione della relazione extraconiugale della donna ed accertato, altresì, che l'allontanamento dell'uomo dal domicilio non ha avuto come risultato la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge né di genitore, per le motivazione sopra illustrate, deve, dunque, ritenersi che l'allontanamento dell'uomo dal domicilio domestico non integri l'elemento oggettivo del reato per cui è processo. (...) va, dunque, mandato assolto dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste. 4.- Il termine per il deposito della sentenza è stato indicato in ragione della compiuta ed efficiente gestione del ruolo complessivamente in carico alla Scrivente, designata in via principale alle funzioni GIP/GUP e di Giudice con carico del Tribunale del Riesame e delle Misure di Prevenzione personali e patrimoniali. P.Q.M. Visto l'art. 530 c.p.p. ASSOLVE (...) dal reato ascrittogli, perché il fatto non sussiste. Fissa in giorni 60 il termine per il deposito della sentenza. Così deciso in Campobasso il 22 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 31 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO ART. 544, 3 co. c.p.p. Il Tribunale di CAMPOBASSO - SEZ. PENALE - composta da: Dr. Salvatore CASIELLO - PRESIDENTE est. Dr. Federica Adele DEI SANTI - GIUDICE Dr.ssa Tommaso BARBARA - GIUDICE alla pubblica udienza dell'8 marzo 2023 ha pronunziato la seguente: SENTENZA nei confronti di: (...), nato il (...) a N. ed ivi residente, con domicilio dichiarato in Viale (...), L. M I. B1, P. I I.. 25 - quartiere (...) - domicilio dichiarato - difeso di fiducia dall'avv. avv. St.Sa. del Foro di Campobasso. LIBERO - ASSENTE IMPUTATO del reato p. e p. dagli artt. 223 co. I, 216 co. I n. 2) R.D. n. 267 del 1942 perché, in qualità di liquidatore della società (...) s.r.l., avente ad oggetto l'espletamento di tutti i servizi inerenti la protezione del patrimonio e delle persone, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Campobasso del 29.9.2014, allo scopo di procurarsi ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori effettuava la distrazione dei seguenti veicoli aventi le seguenti targhe: (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...). In Campobasso il 10.12.2019 Con la recidiva reiterata Con l'intervento del P.M. dott. Fa.Pa. e del difensore di fiducia dell'imputato avv. St.Sa. del Foro di Campobasso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con decreto del 21.6.2022, il G.I.P. presso questo Tribunale, all'esito dell'udienza preliminare, su richiesta del P.M., disponeva il rinvio a giudizio dell'imputato indicato in epigrafe per il reato del pari indicato in epigrafe, fissando per la celebrazione del dibattimento dinanzi a questo Tribunale l'udienza del 9.11.2022. All'udienza del 9.11.2022, il Tribunale, composto dai dott.ri Sa.Ca., Fe.Ad. e (...), ritenuta valida la notifica degli atti introduttivi del giudizio all'imputato, sentite le parti, disponeva procedersi in assenza dello stesso e, dichiarato aperto il dibattimento, provvedeva come da ordinanza riportata a verbale sulle richieste istruttorie delle parti, disponendo l'ammissione dell'escussione dei due testi di lista del P.M. e dell'esame dell'imputato. Alla successiva udienza dell'8.3.2022 poiché, nel frattempo, con decorrenza dal 30.11.2022 il dott. To.Ba. aveva fatto ingresso in Tribunale e tabellarmente doveva comporre tutti i collegi relativi ai procedimenti collegiali, come il presente, non già fissati per la discussione, si disponeva la rinnovazione del dibattimento dinanzi al diverso collegio, composto dai dott.ri Sa.Ca., Fe.Ad.De. e To.Ba.. In pari data, poiché le parti non avanzavano istanze diverse da quelle rispetto alle quali aveva provveduto il precedente collegio, il Tribunale ne prendeva atto, confermava tutti i provvedimenti già emessi dal diverso collegio e disponeva procedersi oltre all'espletamento dell'istruttoria già programmata. Alla stessa udienza, pertanto, venivano escussi i testi (...), curatrice fallimentare della (...) s.r.l. (foll. 4 e ss.) e (...), in servizio al momento dei fatti presso la Guardia di Finanza, di Campobasso (...) - Sezione Tutela Economica (foll. 14 e ss.), ed acquisiti i documenti prodotti dal P.M.. In pari data, il Tribunale dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale ed utilizzabili ai fini della decisione gli atti acquisiti al fascicolo per il dibattimento, quindi le parti concludevano come premesso e come da verbale, infine il Tribunale decideva come da dispositivo letto in udienza e di seguito riportato. MOTIVI DELLA DECISIONE 2. Non vi sono dubbi sulla sussistenza della penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli, qualificato, però, come violazione degli artt. artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 R.D. n. 267 del 1942, e non come violazione degli artt. artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 2 R.D. n. 267 del 1942, essendo palesemente erroneo il solo riferimento all'ipotesi di cui al n. 2 del comma 1 dell'art. 216 L.F., giacché all'imputato si contesta in fatto la distrazione di cui al capo di imputazione e dunque il reato p. e p. dagli artt. artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 R.D. n. 267 del 1942. All'imputato si contesta, infatti di avere, in qualità di liquidatore della società (...) s.r.l., avente ad oggetto l'espletamento di tutti i servizi inerenti la protezione del patrimonio e delle persone, dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Campobasso del 29.9.2014, allo scopo di procurarsi ingiusto profitto e recare pregiudizio ai creditori, effettuato la distrazione dei seguenti veicoli aventi le seguenti targhe: (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e dunque un reato commesso entro la data della dichiarazione di fallimento, il 29.9.2014, che determinò la cessazione delle sue funzioni di liquidatore. Come risulta dalla documentazione prodotta dal P.M. all'udienza dell'8.3.2023, nonché dall'escussione in dibattimento dei testi (...), curatrice fallimentare della (...) s.r.l., e (...), in servizio al momento dei fatti presso la Guardia di Finanza, di Campobasso (...) - Sezione Tutela Economica, (...), l'attuale imputato è stato liquidatore dall' 11.1.2011 al 29.9.2014 della società "(...) s.r.l." dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Campobasso n. 12/2014 del 29.9.2014. Il curatore, sulla base delle ricerche al PRA, ebbe ad accertare che i numerosi beni mobili registrati indicati in epigrafe (li elenca a fol. 13 del verbale della sua deposizione, in realtà aggiungendone uno, ma per il resto gli stessi di cui all'imputazione ed alla documentazione acquisita) erano di proprietà della società dichiarata fallita, ma non aveva avuto modo di rinvenirli, né aveva ricevuto indicazioni in ordine alla loro destinazione da parte del liquidatore (come precisa a fol. 14 dello stesso verbale) della società e attuale imputato, sicché chiese ed ottenne dal G.D. al Fallimento un Provv. del 7 gennaio 2020 (acquisito agli atti) con il quale si ordinava al Conservatore del PRA di Campobasso di annotare la perdita di possesso di tali beni da parte della società in quanto non erano stati acquisiti al Fallimento. In particolare, il Curatore espone di avere appurato che la sede della società era fittizia e che, all'esito degli accertamenti al PRA, aveva proceduto alla trascrizione della sentenza su tali beni mobili registrati indicati in epigrafe, che tuttavia non ebbe a rinvenire: "TESTE - (...): La società (...) è una società che è stata costituita nell'anno 1995, praticamente ha iniziato l'attività nel 2002 ed è stata dichiarata fallita nel 2014. Quando è stata dichiarata fallita, la sede della società, che si occupava principalmente di... cioè aveva servizi alle persone e trasporto in autoambulanza, qualcosa del genere, però alla Camera di Commercio l'attività prevalente era quella di autoparcheggio, gestione dei parcheggi. Quando è fallita, aveva la sede a V. in contrada (...), ma quando mi sono recata lì, non c'era questa contrada. Quindi sono andata al Comune e ho richiesto informazioni e lì il funzionario mi ha detto che arrivavano lì anche parecchie notifiche per questa società, ma la contrada (...) non esisteva, non esiste a Vinchiaturo. PUBBLICO MINISTERO: Quindi è un indirizzo fittizio? TESTE - (...): Sì, è un indirizzo fittizio. Subito dopo la dichiarazione di fallimento, ho trascritto la sentenza dichiarativa di fallimento sui beni mobili intestati alla fallita. Erano diversi beni mobili, cioè diversi autoveicoli" Alcuni di questi beni erano anche sicuramente circolanti e nella disponibilità di persone non aventi titolo, perché di proprietà della società dichiarata fallita, come si appurò con le indagini espletate dalla P.G., in seguito alla segnalazione della curatrice, alla quale erano state recapitate sanzioni amministrative contestate in occasione della circolazione degli stessi. Ne riferisce la Curatrice: "TESTE - (...): ... successivamente, visto che mi arrivavano verbali da parte dei vigili urbani e anche un verbale di rimozione di una certa... della Smart, praticamente ho fatto la perdita di possesso al PRA". "DIFESA - AVVOCATO SA.: E quante contravvenzioni ha ricevuto la società? Una, due, tre. TESTE - (...): Penso tre, di cui una mi dicevano pure di andare a riprendere questa Smart i vigili urbani di Acerra. DIFESA - AVVOCATO SA. Quindi tre contravvenzioni su diciannove autoveicoli. Ho capito bene? TESTE - (...): Sì". Ne riferisce il teste C., che si occupò delle indagini: "TESTE - (...): ... Alla dottoressa M., curatrice, erano stati notificati due verbali di violazione al Codice della Strada, pertanto la dottoressa si era subito mossa e quindi aveva poi chiesto la perdita di possesso di questi veicoli al PRA, perché erano venuti fuori, se non vado errato, oltre ai due veicoli che poi erano stati oggetto del verbale da parte della Polizia Municipale, non ricordo di quale posto... La dottoressa quindi si era mossa per chiedere la perdita di possesso di questi veicoli, cosa che è avvenuta. Quindi, chiedendo poi al PRA una certificazione di questi veicoli, tutti al 2020 - mi sembra - si fermano come perdita di possesso. Tra l'altro questi veicoli non erano stati acquisiti nella procedura fallimentare... Sono venuti fuori due veicoli, una BMV serie 5 e una Smart, che risultavano in circolazione sul territorio italiano... sono affiorati solo questi due veicoli che sono risultati fermati da colleghi e quindi le uniche due risultanze sulla totalità dei veicoli era proprio focalizzata su questi due, la Smart e la BMW". Dei beni, invece, non fu chiesto il sequestro perché ritenuto nella sostanza infruttuoso per il Fallimento: "DIFESA - AVVOCATO Sa.: ... Lei non ha pensato di chiedere il sequestro di questi autoveicoli in modo da poterli acquisire alla massa attiva fallimentare? TESTE - (...): Noi avevamo questo fallimento senza le scritture contabili, senza un rapporto con il liquidatore che comunque era stato avvisato anche del fallimento da parte della Cancelleria quando la notifica era arrivata, per cui il sequestro... Si metteva in moto tutta una macchina per poi ricavarne nulla, nel senso che il sequestro richiedeva varie operazioni e non sapevamo che attivo poi sarebbe arrivato al fallimento. Diciamo che il curatore fallimentare deve circoscrivere i beni e arrecare attività alla massa dei creditori. Ci sono delle azioni però, che se le metti in opera senza un reale beneficio, sono solo - fra virgolette - perdite di tempo". Al di là dell'accertamento di cui si è scritto in ordine al fatto che due dei veicoli indicati in imputazione erano sicuramente circolanti e in possesso di persone diverse dalla società, dunque distratti così come contestato, è evidente che anche gli altri autoveicoli indicati in imputazione erano stati oggetto di distrazione - giacché non sono stati rinvenuti, né risultavano ceduti formalmente a terzi prima della dichiarazione di fallimento - all'evidente fine di recare pregiudizio ai creditori dal liquidatore della società, cioè dall'attuale imputato. All'imputato, infatti, in quanto liquidatore della società dall'11 gennaio 2011 al 29 settembre 2014 (la sentenza dichiarativa di fallimento, come si dà atto nella sentenza n. 315/19 del 5.6.2019 del Tribunale di Campobasso - Sez. Penale, è datata 29.9.2014 e depositata il 30.9.2014 per la precisione, la decorrenza dell'incarico risulta dalla documentazione acquisita ed è confermata dal Curatore), si contesta di avere distratto detti beni al fine indicato. 3. Deve, pertanto, essere affermata la penale responsabilità dell'imputato per il reato ascrittogli, qualificato, però, come violazione degli artt. artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 R.D. n. 267 del 1942, giacché ai sensi dell'art. 223 L.F. si applicano le pene stabilite dall'art. 216 L.F. (nel caso di specie dall'art. 216 co. 1 L.F., ricorrendo l'ipotesi di cui al n. 1 di tale comma 1) anche ai liquidatori, come il (...), di società dichiarate fallite, come la (...) s.r.l., i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo. Come ha ritenuto condivisibilmente Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 7888 del 03/12/2018 Ud. (dep. 21/02/2019) Rv. 275345 - 01: "In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall'art. 219, comma terzo, legge fall., deve essere valutata in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all'incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori". Il principio è affermato in relazione a fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, ma è evidentemente applicabile anche al caso di distrazione. Nel caso di specie, trattandosi di una società di capitali con l'oggetto sociale molto ampio di cui riferisce il curatore fallimentare in dibattimento, non può essere riconosciuta la attenuante di cui all'art. 219, comma terzo, L.F., giacché i beni distratti sono numerosi. All'imputato possono essere, invece, concesse le attenuanti generiche, ma solo equivalenti alla contestata recidiva, in considerazione dei numerosi precedenti penali risultanti dal suo certificato penale che la giustificano, e della oggettiva gravità del fatto, derivante dalla distrazione di numerosi autoveicoli. Il Tribunale ritiene, tuttavia, che, nonostante la oggettiva elevata gravità del fatto commesso, la pena base ex art. 216 co. 1 L.F. debba essere individuata nel minimo edittale di anni 3 di reclusione, giacché: a) i numerosi precedenti penali dell'imputato concernono, in assoluta prevalenza, la violazione della disciplina degli stupefacenti e degli artt. 624 e 625 c.p. e giacché, per quanto segue, l'imputato ha già riportato condanna per altro reato p. e p. dall'art. 216 L.F., commesso come liquidatore della medesima società indicata in epigrafe. L'imputato deve, pertanto, essere condannato alla pena di anni 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. A tale condanna consegue la pena accessoria di cui all'art. 29 comma 1 seconda parte c.p., dunque l'imputato deve essere dichiarato interdetto dai pubblici uffici per anni cinque. Alla condanna conseguono, altresì, le pene accessorie di cui all'art. 216 u.c. L.F. ex art. 223 u.c. L.F.. Con riguardo alla determinazione della durata di tali ultime pene accessorie, come insegna Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 5882 del 29/01/2019 Ud. (dep. 06/02/2019) Rv. 274413 - 01: "In tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dall'art. 216, ult. comma, legge fall., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell'art. 37 cod. pen., in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio". In applicazione del principio, la Corte, riconoscendo d'ufficio l'illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 216, ult. comma, legge fall., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità (conf. Cass. Pen. Sez. 5, n. 6115/2019 del 14/12/2018, dep.07/02/2019; Cass. Pen. Sez. 5, n. 4780/2019 del 20/12/2018, dep. 30/01/2019). Spiega in motivazione la Corte che "Occorre dunque adottare una soluzione capace di garantire quella elasticità necessaria a consentire al giudice, nel rispetto del principio di proporzionalità, di determinare, con valutazione caso per caso e disgiunta da quella che presiede alla commisurazione della pena detentiva, la durata delle pene accessorie previste dalla disposizione censurata, sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen.". Ciò posto, poiché, come già sottolineato e per quanto segue, l'imputato ha già riportato condanna per altro reato p.e p. dall'art. 216 L.F., commesso come liquidatore della medesima società indicata in epigrafe, con irrogazione delle medesime pene accessorie per anni dieci, si ritiene di determinare la durata di dette pene accessorie, in relazione alla sentenza di condanna pronunciata con la presente sentenza, in anni tre. Dunque, l'imputato deve essere dichiarato inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale per la durata di anni tre ed incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. 4. (...), attuale imputato, è stato sottoposto ad altro procedimento penale, il n. 152/18 RG Trib e n. 3355/15 RGNR, avente ad oggetto il reato "p. e p. dall'art. 216, comma 1 n. 2) R.D. n. 267 del 1942 perché quale liquidatore dall'11.1.2011 al 29.9.2014 della società "(...) s.r.l." - con sede legale a V. (C.) alla contrada (...) frazione località (...) avente ad oggetto l'espletamento di servizi inerenti la preservazione e la protezione del patrimonio e delle persone, trasporto sanitario con ambulanze e la custodia degli immobili, delle cose e dei beni, gestione di parcheggi e attività di call center e reception - dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Campobasso n. 12/2014 del 29.9.2014, sottraeva o comunque distruggeva le scritture contabili della società, con lo scopo di cagionare ai creditori un pregiudizio consistito nel non consentire, mediante il mancato deposito della suddetta documentazione presso la curatela, la ricostruzione sia del patrimonio che del movimento d'affari della precitata società commerciale - In Campobasso, in data antecedente al 29 settembre 2014 (data della sentenza di fallimento) - Con la recidiva ex art. 99 comma IV c.p.". Tale procedimento è stato definito in primo grado con sentenza n. 315/19 del 5.6.2019, con la quale il Tribunale di Campobasso, per tale reato, ha: a) condannato (...) alla pena di anni cinque di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali; b) dichiarato l'imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed in stato di interdizione legale durante la pena; c) dichiarato (...) inabilitato all'esercizio di un'impresa commerciale per la durata di anni dieci ed incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa. Con sentenza n. 118/21 del 18.2.2021, la Corte di Appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, ribadito il giudizio di penale responsabilità dell'imputato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, ha ridotto e rideterminato in anni 3 di reclusione la pena inflitta al B. dal Tribunale, dichiarato interdetto dai pubblici uffici l'imputato stesso per anni 5, anziché in perpetuo, revocato la interdizione legale durante l'esecuzione della pena a lui applicata dal Tribunale, e confermato nel resto la sentenza impugnata. La Corte di Cassazione, con ordinanza dell'11.4.2022, infine, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'imputato avverso detta sentenza di appello, che pertanto è passata in giudicato. Nelle sue conclusioni, come premesso, la Difesa dell'imputato ha chiesto, in linea subordinata, che il Tribunale, stante l'evidenza di una connessione oggettiva e soggettiva, in caso di condanna, dichiari la continuazione dei fatti di cui al presente procedimento con quelli di cui alla predetta sentenza n. 315/19 del 5.6.2019 del Tribunale di Campobasso - Sez. Penale, evidentemente come sopra in parte riformata dalla Corte di Appello. Tali conclusioni non possono essere accolte per le ragioni di cui appresso. 4.1. Come emerge dall'imputazione oggetto del citato procedimento definito separatamente e dalla imputazione oggetto del presente procedimento, a (...) sono state contestate in due distinti procedimenti, in relazione allo stesso fallimento, due distinte imputazioni per due fatti distinti: a) il reato p. e p. dagli artt. 223 co. I, 216 co. I n. 2) R.D. n. 267 del 1942 nel citato altro procedimento; b) il reato p. e p. dagli artt. 110 c.p., e 223 co. I, 216 co. I n. 1) R.D. n. 267 del 1942 (così correttamente qualificato con la presente sentenza) in questo procedimento. In entrambe le contestazioni, manca, ovviamente, perché si è proceduto separatamente, il riferimento all'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942 (articolo rubricato circostanze aggravanti e circostanze attenuanti), a norma del quale, per quanto rileva in questa sede, le pene stabilite nell'art. 216 sono aumentate se il colpevole ha commesso, come nei casi di specie, più fatti tra quelli previsti in detto articolo; pertanto, se si fosse proceduto unitariamente, entrambi i reati sarebbero caduti sotto la previsione di cui all'art. 219 co. 2 n. 1 L.F. Ciò posto, anzitutto va chiarito: a) quale sia la natura sostanziale e quale sia la natura formale del disposto di cui all'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942, con i relativi risvolti in ordine alle modalità di calcolo della pena complessiva nel caso detta ipotesi ricorra; b) che le due fattispecie sono comunque autonome e dunque ben poteva procedersi per il reato oggetto del presente procedimento dopo la definizione di quello sopra indicato. Al riguardo, come ha precisato Cass. Sez. U., Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 c.c. (dep. 26/05/2011) Rv. 249665 - 01: "In tema di reati fallimentari, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte tipiche di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 cod. pen.". Ancora, per la stessa Cass. Sez. U, Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 c.c. (dep. 26/05/2011) Rv. 249668 - 01: "La condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale". Tanto perché, spiegano le SS.UU. in motivazione, "Nella realtà contemporanea, con l'abbandono definitivo della concezione del fallimento come evento e in considerazione del fatto che i comportamenti dell'imprenditore insolvente possono essere estremamente eterogenei per tipologia e per offensività, deve ritenersi che i plurimi fatti di bancarotta nell'ambito del medesimo dissesto fallimentare, pur unificati normativamente nella previsione dell'art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., rimangono naturalisticamente apprezzabili, se riconducibili a distinte azioni criminose, e sono da considerare e da trattare come fatti autonomi, ciascuno dei quali costituisce un autonomo illecito penale. È in rapporto, quindi, alla natura e alla eterogeneità delle fattispecie previste dalle norme incriminatrici che deve essere valutata e colta la reale portata dell'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall.. Tale norma postula l'unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri indici qualificanti: a) il nomen iuris, "circostanze", adottato nella rubrica; b) la generica formula utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento ("le pene ... sono aumentate") implica il necessario richiamo all'art. 64 cod. pen., che è l'unica disposizione che consente di modulare la detta variazione sanzionatoria. È indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante. In realtà, però, il riferimento formale e anche quello funzionale a tale categoria giuridica non sono coerenti con la connotazione strutturale della stessa ... L'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disciplina, nella sostanza, un'ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante. Tale scelta appare chiaramente ispirata dall'esigenza, avvertita dal legislatore, di mitigare le conseguenze sanzionatorie e di non pervenire a forme di repressione draconiana dei reati di bancarotta, la cui pluralità in un fallimento è evenienza fisiologica". Ne deriva per le S.U. che ''- più condotte tipiche di bancarotta poste in essere nell'ambito di uno stesso fallimento mantengono la propria autonomia ontologica e danno luogo a un concorso di reati, che vengono unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico; - la disposizione di cui all'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall. non integra, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta una peculiare disciplina della continuazione, in deroga a quella ordinaria di cui all'art. 81 cod. pen., in tema di reati fallimentari"; - deve escludersi, con riferimento a condotte di bancarotta ancora sub iudice, la preclusione dell'eventuale giudicato intervenuto su altre e distinte condotte di bancarotta relative alla stessa procedura concorsuale". Per le S.U.: "La diversità ontologica dei singoli fatti, unificati fittiziamente dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., si riflette sul giudicato e sul connesso problema dell'operatività dell'art. 671 cod. proc. pen. in materia di applicazione in executivis della disciplina del reato continuato". Nello stesso senso, più di recente, si è espressa Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 44097 del 05/07/2019 Ud. - dep. 29/10/2019 - Rv. 277407 - 01. Nello stesso senso si era già espressa Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 50349 del 22/10/2014 Ud. (dep. 02/12/2014) Rv. 261346 - 01, che, richiamandosi non solo ai principi enunciati in massima da S.U. cit., ma anche agli ulteriori principi illustrati in motivazione delle stesse SS.UU., precisa che, sotto il profilo formale, detta speciale ipotesi di continuazione integra una circostanza aggravante con la conseguenza della assoggettabilità della stessa al giudizio di bilanciamento: "La configurazione, sotto il profilo formale, della c.d. continuazione fallimentare di cui all'art. 219, comma secondo, n. 1 l. fall., quale circostanza aggravante, ne comporta l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti". In applicazione del principio di cui in massima, coerentemente la S.C., con la sentenza da ultimo citata, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito, affermando la responsabilità dell'imputato in ordine ad un autonomo fatto di reato di bancarotta per distrazione, in continuazione con altri fatti della stessa specie per cui lo stesso imputato era stato condannato in precedenza, e confermando la già decisa equivalenza tra l'aggravante di cui all'art. 219, comma secondo n. 1 l. fall. e l'attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., non ha applicato un aumento di pena per il nuovo fatto di reato. Per Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 50349 del 22/10/2014, nella lettura fornita dalle Sezioni Unite, la speciale regolamentazione del concorso di reati fallimentari contenuta nella disposizione menzionata è stata, per esplicita volontà del legislatore, formalmente qualificata come circostanza aggravante. Qualificazione che, se non è certo sufficiente per imprimere alla fattispecie descritta nella L. Fall., art. 219, comma 2, n. 1, il profilo sostanziale proprio delle circostanze, ciò non di meno è funzionale al suo assoggettamento alla disciplina generale dettata per queste ultime. Ed in tal senso decisivo appare soprattutto il meccanismo di calcolo dell'aumento di pena prescelto, il quale, nel discostarsi vistosamente da quello previsto dall'art. 81 c.p., per la continuazione "ordinaria", non si ispira solo al lessico proprio delle norma che configurano circostanze aggravanti, ma, come per l'appunto osservato nella sentenza citata, sostanzialmente rinvia all'art. 64 c.p., unica disposizione idonea a rivelarne l'effettiva misura. Va dunque ribadito che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione fallimentare debba applicarsi tra l'altro anche l'art. 69 c.p., e che pertanto, nell'ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l'aumento di pena previsto dall'art. 219, qualora all'esito del giudizio di bilanciamento la "circostanza" in questione venga ritenuta minusvalente (in questo senso di recente Sez. 5, n. 21036 del 17 aprile 2013, P.G. in proc. (...), Rv. 255146; Sez. 5, n. 51194 del 12 novembre 2013, P.G. in proc. C., Rv. 258675). Nello stesso senso sul punto, si è pronunciata più di recente Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 48361 del 17/09/2018 c.c. (dep. 23/10/2018) Rv. 274182 - 01: "La configurazione formale della cosiddetta continuazione fallimentare, prevista dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., come circostanza aggravante, ne comporta l'assoggettabilità al giudizio di bilanciamento con le eventuali attenuanti". Nello stesso senso da ultimo si è espressa Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 26412 del 26/04/2022 Ud. (dep. 08/07/2022 ) Rv. 283526 - 02: "In caso di pluralità di delitti di bancarotta, è illegale la pena determinata facendo applicazione dell'istituto della continuazione in luogo dell'aggravante della cd. continuazione fallimentare". Fattispecie in cui la Corte ha affermato l'illegalità della pena in quanto l'applicazione della continuazione aveva comportato la sottrazione delle attenuanti generiche, pur riconosciute, al giudizio di comparazione con l'aggravante della continuazione fallimentare. 4.2. Richiamato quanto precisato nei paragrafi precedenti in ordine alla natura della "circostanza-continuazione fallimentare" disciplinata dall'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942, tra i corollari di quanto ritenuto da Cass. Sez. U, Sentenza n. 21039 del 27/01/2011 c.c. (dep. 26/05/2011) sopra citata, vi è quello della possibilità di applicare la disciplina speciale prevista dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall. in sede esecutiva, secondo i principi previsti dall'art. 671 c.p.p., come esplicitato nella seguente massima (Rv. 249669 - 01) dalla stessa estratta: "Il giudice dell'esecuzione è tenuto ad applicare la disciplina speciale sul concorso di reati prevista dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., nel caso in cui nei confronti di uno stesso soggetto siano state emesse, in procedimenti distinti, ma relativi alla stessa procedura concorsuale, più sentenze irrevocabili per fatti diversi di bancarotta, sempre che il giudice della cognizione non abbia già escluso la unificazione "quoad poenam" dei suddetti reati". Sulla possibilità di applicare la disciplina della continuazione in senso proprio, di cui all'art. 81 c.p., tra un reato oggetto di sentenza passata in giudicato e un reato oggetto di procedimento penale ancora in corso da parte del giudice che per tale reato procede, cfr., per tutte Cass. Sez. 3 - Sentenza n. 41063 del 25/06/2019 Ud. (dep. 07/10/2019 )Rv. 277977 - 01. Sull'analogo potere concesso al giudice che procede in dibattimento per un reato previsto dall'art. 216 L.F., con riguardo ad altro reato previsto dallo stesso art. 216 L.F. oggetto di separato giudizio definito con sentenza irrevocabile, nell'ipotesi disciplinata dall'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942, si è pronunciata, come anticipato, Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 50349 del 22/10/2014 Ud. (dep. 02/12/2014) cit., che, in applicazione del principio indicato in massima (Rv. 261346 - 01), ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito, affermando la responsabilità dell'imputato in ordine ad un autonomo fatto di reato di bancarotta per distrazione, in continuazione con altri fatti della stessa specie per cui lo stesso imputato era stato condannato in precedenza, e confermando la già decisa equivalenza tra l'aggravante di cui all'art. 219, comma secondo n. 1 l. fall. e l'attenuante di cui all'art. 62, comma primo, n. 6 cod. pen., non ha applicato un aumento di pena per il nuovo fatto di reato. Ciò posto, non di meno, nel caso di specie, non può farsi applicazione in concreto dei principi di cui innanzi quanto alla riconoscibilità della c.d. continuazione fallimentare tra il reato per il quale si è proceduto separatamente e il reato oggetto del presente procedimento, in applicazione del principio generale di cui all'art. 81 co. 3 c.p., in forza del quale nei casi preveduti da tale articolo (e in quelli analoghi come il presente), la pena non può essere superiore a quella complessiva che sarebbe applicabile mediante cumulo materiale, principio espressamente riprodotto dall'art. 671 co. 2 c.p.p. ("il giudice dell'esecuzione provvede determinando la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto"). Nei casi di specie ogni riferimento ai limiti di cui innanzi sarebbe stato improprio qualora si fosse proceduto nel corso dello stesso processo per entrambi i reati di cui si discute, giacché in tal caso si sarebbe dovuto fare applicazione puramente e semplicemente della speciale disciplina di cui all'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942, a nulla rilevando quella dell'art. 81 c.p.. Poiché, invece, a questo giudice si chiede di applicare detta disciplina in relazione al reato per cui procede e ad un reato già oggetto di giudicato, quei limiti operano e, nel rispetto degli stessi, non si può rideterminare la pena inflitta dal primo giudice in modo diverso da quella comminata dal primo giudice per poi aumentarla ex dall'art. 219 co. 2 n. 1) R.D. n. 267 del 1942 per il reato oggetto di questo procedimento, perché ne deriverebbe un trattamento sanzionatorio sfavorevole all'imputato per le seguenti considerazioni. Infatti, in ipotesi, considerato come reato più grave quello già giudicato separatamente e confermata la sussistenza delle attenuanti generiche, il giudizio di bilanciamento tra attenuanti generiche e recidiva operato dalla Corte di Appello di Campobasso con la sentenza divenuta irrevocabile sopra citata non potrebbe essere confermato, in quanto occorrerebbe, a tal fine, tenere conto oltre che della recidiva contestata in quel procedimento della aggravante derivante dalla commissione del reato per cui si procede in questa sede. Si è scritto che, nel precedente procedimento cui è stato sottoposto il (...), la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado aveva concesso le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, così determinando la pena concreta in anni tre di reclusione. Qualora si applicasse in questa sede la disciplina di cui si è discusso ai casi di specie, occorrerebbe rivedere in peius il giudizio di equivalenza tra attenuanti generiche e recidiva espresso dalla Corte di Appello con riferimento alla sola imputazione oggetto del separato procedimento, tenuto conto del reato oggetto del presente procedimento, costituente formalmente altra aggravante, giacché esso concerne la distrazione di numerosi beni mobili registrati; per cui, anche a prendere come base la pena minima prevista per il reato più grave e a concedere le attenuanti generiche, le stesse dovrebbero ritenersi subvalenti rispetto alla recidiva e alla circostanza di cui all'art. 219 co. 2 n. 1 L.F. integrata dalla commissione del reato per il quale ora si procede. Ne deriverebbe che, per il reato già oggetto di precedente giudicato, la pena dovrebbe essere rideterminata in anni 5 di reclusione (p.b. ex art. 216 L.F., anni 3 di reclusione; aumentata ex art. 99 co. 4 seconda ipotesi c.p., ad anni 5 di reclusione, così come aveva fatto il giudice di primo grado). Tale pena di anni 5 di reclusione dovrebbe poi essere aumentata di 1/3 ex artt. 219 L.F. e 64 c.p. (nella misura massima, giacché in questo procedimento si contestano numerose distrazioni all'imputato) e dunque portata per entrambi i reati ad anni 6 e mesi 8 di reclusione, cioè complessivamente ad una pena superiore a quella derivante dal cumulo materiale (anni 6) della pena comminata in appello con la prima sentenza (anni 3) con quella comminata in concreto con la presente sentenza (anni 3). Alla complessiva pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione conseguirebbero altresì l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e l'interdizione legale durante la pena ex art. 29 e 32 c.p. 5. Dunque, per le considerazioni esposte al 4 e ai relativi sotto-paragrafi, e in particolare al 4.2, non può applicarsi in questa sede la c.d. continuazione fallimentare, e, limitando la presente pronuncia al solo reato per cui si procede in questa sede, per quanto esposto ai 2 e 3, (...): a) deve essere dichiarato colpevole del reato ascrittogli in questo procedimento, qualificato come violazione degli artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 R.D. n. 267 del 1942 e, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, deve essere condannato alla pena di anni tre di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali; b) ai sensi degli artt. 216 ultimo comma L.F. e 29 c.p., (...) deve essere dichiarato inabilitato per la durata di anni tre all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, nonché interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. 5.1. In considerazione della particolarità dell'ultima questione esaminata, ai sensi dell'art. 544 comma 3 c.p.p., deve essere indicato in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. P.Q.M. Il Tribunale - visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara (...) colpevole del reato ascrittogli qualificato come violazione degli artt. 223 comma 1 e 216 comma 1 n. 1 R.D. n. 267 del 1942 e con la concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva lo condanna alla pena di anni tre di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali; - visti gli artt. 216 ultimo comma L.F. e 29 c.p., dichiara (...) inabilitato per la durata di anni tre all'esercizio di un'impresa commerciale ed incapace per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, nonché interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque; - visto l'art. 544 comma 3 c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. Così deciso in Campobasso l'8 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Incoronata Padula Alla pubblica udienza del 20/03/23 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...) nato a B. il (...) elettivamente domiciliato presso difensore di fiducia Posizione giuridica: detenuto assente; Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM dott Ma.Fa. Dell'avvocato Si.To. in sostituzione dell'avvocato d'ufficio Al.Sa. IMPUTATO del reato previsto e punito dall'art. 341 bis c.p., perché offendeva l'onore e il prestigio dell'Assistente Capo Coordinatore della Polizia Penitenziaria (...) in servizio presso la Casa Circondariale e di Reclusione di Campobasso, proferendo nei suoi riguardi le seguenti parole "Avete capito Assistente? Ho preso un rapporto per colpa di uno scemo bugiardo che ha detto di aver costretto Corvasce a fare lo sciopero della fame... e per mezzo di uno scemo ho avuto questo". MOTIVAZIONI CONTESTUALI Con decreto di citazione a giudizio regolarmente notificato (...) veniva chiamato in giudizio per rispondere del reato a lui ascritto di cui in epigrafe. All'udienza fissata per il dibattimento, svoltasi alla presenza in videoconferenza dell'imputato, detenuto per altra causa, dopo l'ammissione delle prove orali e documentali richieste, venivano escussi in qualità di testi Ass. C.C. (...), Ass. (...) e l'Ass. (...) (...) tutti in servizio presso la Polizia Penitenziaria Casa Circondariale e di Reclusione di Campobasso e, l'imputato rendeva spontanee dichiarazioni, quindi le parti formulavano, dopo la discussione, le conclusioni sopra riportate. Quanto al reato di oltraggio contestato in accusa al prevenuto, in danno all'Assistente Capo (...), l'imputato va assolto per insufficienza della prova sulla sussistenza del fatto. La giurisprudenza ha precisato che: La fattispecie incriminatrice di cui all'art. 341 bis c.p., richiede, affinchè l'offesa al prestigio ed all'onore del pubblico ufficiale sia punibile a tale titolo, non solo che essa sia stata profferita in luogo pubblico, ma anche che sia stata percepita da più persone. In relazione a tale ultima condizione di punibilità deve, in particolare, rilevarsi che l'ingiuria deve essere sentita da estranei, ovvero soggetti rispetto ai pubblici ufficiali coinvolti, ed in numero sufficiente e tale da ingenerare un effettivo danno di immagine" (cfr. vedi Cass. Pen. Sez VI, 30.01.2017, n.16527, Trib. Napoli, Sez I, 26.03.2015, Trib. Padova, 24.10.2014). E' evidente quale sia la ratio incriminatrice consistente nel disegnare la nuova fattispecie di reato come, sostanzialmente, una ipotesi speciale di "diffamazione" che si consuma nel momento in cui l'offesa all'onore ed al prestigio di un Pubblico Ufficiale che stia agendo nell'esercizio od a causa delle sue funzioni venga percepito da una pluralità di "persone". Dalle risultanze processuali ed in particolare, dalle sostanzialmente conformi deposizioni dei testi qualificati dell'accusa - tutti presenti al momento del fatto - emergeva che le parole offensive di cui al capo di imputazione furono profferite dall'imputato nei confronti dell'Assistente Capo Coordinatore della Polizia Penitenziaria, (...) in servizio, presso la Casa Circondariale di Campobasso, il giorno 7.06.2021, alla presenza degli altri due agenti penitenziari, (...) e (...). Il teste (...) riferiva che, mentre svolgeva il suo lavoro, all'interno della Casa Circondariale di Campobasso, giunto nell'Ufficio Agenti, ove si trovavano i due colleghi, incontrava il prevenuto, che uscendo dalla stanza, gli rivolgeva le frasi in imputazione, mentre gesticolava con dei fogli in mano; precisava che, allo stesso gli era appena stata notificata una sanzione disciplinare, pertanto, palesemente nervoso, serbò tale condotta nei suoi confronti, ritenendolo responsabile della comminata sanzione, a causa di un precedente episodio, verificatosi con un altro detenuto (Corvasce), al quale il (...) aveva assistito e, redatto "rapporto" nei suoi confronti (cfr. dep. test, resa da (...), (...) e (...)). Ciò avvenne alla sola presenza dei tre assistenti di Polizia Penitenziaria, tra cui la persona offesa, (...). Siffatto elemento porta a dubitare in ordine alla stessa sussistenza del fatto, commesso non alla presenza di più persone. Infatti, il requisito della necessaria presenza di più persone, richiesto dalla novella del 2009 che ha reintrodotto la fattispecie criminosa dell'oltraggio a Pubblico Ufficiale lascia intendere che, oltre alle persone offese, dovesse essere necessariamente presente al fatto, per integrarlo, almeno un'altra persona estranea rispetto ai p.u. coinvolti. Ciò in quanto la ratio della norma è quella di incriminare un fatto ingiurioso indirizzato a Pubblici Ufficiali a causa o nell'esercizio delle funzioni, purché commesso alla presenza quantomeno di una persona che non sia l'Ufficiale oltraggiato. A tal proposito, da ultimo la Corte di Cassazione ha ritenuto che: "affinché possa configurarsi l'offesa al prestigio di un pubblico ufficiale richiesta dall'art. 341 bis c.p., le "più persone" in presenza delle quali deve svolgersi la condotta oltraggiosa debbono essere diverse dai pubblici funzionari interessati o coinvolti nel compimento dell'atto dell'ufficio, anche se ciò non vuol dire che, a tal fine, debbano considerarsi esclusivamente i soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione, potendo anche rilevare la presenza di altri pubblici ufficiali, a condizione, però, che questi non siano presenti per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa è stata posta in essere dall'agente" (cfr. Cass. Pen, Sez VI, 9.03.2022 n. 13153). Ebbene, anche in riferimento a tale ultimo indirizzo, si rileva che la condotta oltraggiosa si è svolta alla presenza di altri due pubblici ufficiali (non persone offese) indi non estranei alla P.A., la cui presenza era finalizzata al compimento dell'atto di ufficio ovvero " per lo stesso motivo d'ufficio in relazione al quale la condotta oltraggiosa era stata posta in essere dal prevenuto". Difatti, il prevenuto profferiva testualmente: "...ho preso un rapporto per colpa di uno scemo bugiardo...." intendendo tale espressione di uno sfogo di sentimenti di disprezzo nei confronti del (...) dopo la comminata sanzione disciplinare da parte degli altri due agenti. Pertanto, nella fattispecie concreta in esame, difettando la presenza al fatto anche di una sola persona che non fosse l'assistente di polizia oltraggiato, difetta la stessa materialità del reato che, per essere consumato, necessita della presenza di "più persone" delle quali, si intende, almeno una diversa dalle medesime persone offese il che solo integra l'offesa "pubblica" all'onore od al prestigio del Pubblico Ufficio. Si impone, dunque, l'assoluzione del (...) dal reato a lui ascritto, quantomeno per insufficienza della prova in ordine alla sussistenza del fatto. P.Q.M. visto l'art. 530 2 c. c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Così deciso in Campobasso il 20 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 20 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CAMPOBASSO RITO MONOCRATICO L'anno 2023 il giorno 13 gennaio il Giudice dott.ssa Federica Adele dei Santi con l'intervento del P.M. in persona del V.P.O. dr. Nicola Chica ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA Nei confronti di: (...) nato a (...) il (...) e residente in B. (C.) alla S. P. n.12, - libero presente - assistito dal difensore avv. Ni.Bo. del Foro di Campobasso - presente; IMPUTATO A) Artt. 81 cpv, 640 bis c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, quale titolare di un assegno temporaneo privilegiato tabellare con iscrizione n. (...), cui non è applicabile il principio di cedibilità di quote di pensioni (cfr. Circolare MEF n. 769/2007), con artifici e raggiri consistiti: - nel simulare di essere titolare di un trattamento pensionistico, utilizzabile come requisito per la concessione di prestiti da estinguere con cessione del quinto degli emolumenti, amministrati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze; - nello stipulare un contratto di finanziamento con la (...); - nel falsificare la documentazione da porre a corredo della domanda di finanziamento (cosiddetto benestare e certificato di quota cedibile); induceva in errore i competenti organi del (...) (ragioneria territoriale dello Stato di Campobasso - Isernia), nonché il predetto istituto di credito, cosi determinando l'erogazione indebita in suo favore di un finanziamento della somma di Euro 20,441,37, con pari danno per le predette persone offese. In Campobasso dal 23/03/2018 al 05/02/2019. Con la recidiva reiterata e specifica SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Campobasso in data 4 novembre 2020 l'imputato era tratta a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 81 cpv. e 640 bis c.p., indicato nell'epigrafe del presente provvedimento. All'udienza del 10 settembre 2021 (proveniente da un precedente rinvio per perfezionare il procedimento di notificazione degli atti all'imputato e da due ulteriori rinvii per impedimento del difensore), accertata la regolare instaurazione del rapporto processuale (comparso l'imputato personalmente alle precedenti udienze) e rigettata la nuova istanza di rinvio del processo formulata dalla difesa (in quanto non documentato l'assoluto impedimento a comparire del difensore) il Giudice dava la parola alle parti per formulare le richieste di prova che all'esito ammetteva, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, facendo rinvio all'udienza del 7 gennaio 2022 per l'inizio dell'istruttoria. All'udienza del 29 aprile 2022 (proveniente dal rinvio d'ufficio di quella del 7.01.2022 per l'assenza del magistrato titolare) venivano escussi i testi (...) e (...) e acquisita agli atti la documentazione prodotta dal P.M. il processo era differito al 16 settembre 2022 per la chiusura dell'istruttoria e la discussione. All'udienza in parola il Giudice, ritenuto assolutamente necessario ai fini della decisione, autorizzava l'acquisizione presso la (...) S.c.p.a. di (...) della documentazione relativa alla pratica di finanziamento oggetto di contestazione mandando alla Cancelleria per la materiale acquisizione e disponendo rinvio al 13 gennaio 2023 anche per la discussione. Quindi, nella predetta udienza, preliminarmente il Giudice dava atto della intervenuta trasmissione della documentazione richiesta da parte dell'istituto di credito di (...) e ne disponeva la formale acquisizione agli atti; poi dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e utilizzabili tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del dibattimento invitando le parti a rassegnare le rispettive conclusioni, come riportate in epigrafe. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti il Giudice decideva come da dispositivo, del quale dava lettura all'esito della camera di consiglio, con riserva di motivazione nel termine di giorni sessanta. MOTIVI DELLA DECISIONE Nei confronti dell'imputato (...) va emessa una declaratoria di improcedibilità, previa riqualificazione dei fatti al medesimo ascritti in rubrica nel reato di cui all'art. 640 c.p., perché l'azione penale non doveva essere iniziata per difetto della condizione di procedibilità. All'imputato è contestato il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 640 bis c.p. per avere, mediante artifici e raggiri consistiti nel simulare di essere titolare di un trattamento pensionistico utilizzabile come requisito per la concessione di prestiti da estinguere con cessione del quinto degli emolumenti, amministrati dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, nel falsificare la documentazione da porre a corredo della domanda di finanziamento e nello stipulare un contratto di finanziamento con la (...) S.c.p.a., indotto in errore il predetto istituto di credito nonché gli organi del (...) (Ragioneria Territoriale di Campobasso - Isemia), così determinando la erogazione indebita in proprio favore di un finanziamento della somma di Euro 20.441,37, con pari danno per le predette persone offese. Ritiene questo Giudice che non possa ritenersi corretta la qualificazione giuridica della condotta oggetto di contestazione, come sopra descritta, in termini di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, prevista dall'art. 640 bis c.p.; dalla stessa lettura del capo d'imputazione, infatti, è possibile rilevare che manca il presupposto specializzante ai fini della integrazione della predetta ipotesi di reato. Detta fattispecie, ritenuta dalla consolidata giurisprudenza di legittimità quale circostanza aggravante del delitto di truffa di cui all'art. 640 c.p. (cfr. Cass. S.U. n. 26351/2002), si caratterizza in termini di specialità per l'oggetto materiale sul quale deve cadere l'azione truffaldina rappresentato da contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee. Pertanto, l'elemento di specialità rispetto alla truffa semplice è dato dalla natura pubblicistica delle erogazioni di vario tipo, elencate nella norma, e per la finalità pubblicistica sottesa a tali erogazioni. Tale specifica caratteristica non ricorre nel caso di specie atteso che già dalla semplice lettura della contestazione si evince che la condotta truffaldina ricade su di un contratto di finanziamento stipulato con un privato istituto di credito, vale a dire con la (...) (con sede in N., alla via G. F. n. 183), e che l'erogazione prevista è priva di qualsivoglia finalità vincolante in termini pubblicistici. Detto assunto risulta confermato all'esito della disamina del contratto di finanziamento oggetto di contestazione (acquisito agli atti ai sensi dell'art. 507 c.p.p.). Trattasi, in particolare, di un contratto di prestito con cessione del quinto della pensione (n. (...)) per Euro 20.441,37 da restituire mediante 120 rate mensili attraverso il meccanismo delle trattenute dirette sulla pensione, stipulato dal (...) con la (...) in data 6.03.2018. Difetta, pertanto, l'elemento di specialità tipico dell'ipotesi aggravata di truffa di cui all'art. 640 bis c.p., atteso che non vi è alcuna componente pubblicistica nel rapporto contrattuale che intercorre tra due soggetti privati, né ricorre qualsivoglia finalità pubblicistica che vincoli la destinazione delle somme oggetto di finanziamento che invero vengono erogate da un privato istituto di credito. Al contempo nemmeno si ritiene ravvisabile, nella specie, la circostanza aggravante prevista dall'art. 640 comma 2 n. 1 c.p. dell'aver commesso il fatto a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, atteso che gli artifici e raggiri oggetto della condotta contestata, costituiti dal simulare - attraverso la falsificazione di documenti - di essere titolare di un trattamento pensionistico (erogatogli dalla ragioneria territoriale di Campobasso-Isernia) utile ad accedere al prestito mediante cessione del quinto, si rivolgono al solo istituto di credito ed inducono lo stesso in errore nella stipula del contratto incriminato. Diversamente, la Ragioneria Territoriale dello Stato - ente deputato alla gestione degli stipendi e delle pensioni dei pubblici dipendenti, non risulta destinataria della condotta truffaldina e nemmeno danneggiata dalla stessa posto che non esistendo una pensione effettivamente erogata all'imputato da parte dell'ente pubblico, come emerso dall'istruttoria, nemmeno in astratto può ravvisarsi un danno per detto ente che mai avrebbe potuto effettuare la trattenuta sulla pensione non essendovi alcuna pensione erogata al (...). Ciò è risultato chiaro fin dal principio in quanto, come riferito in aula dal teste (...) (Direttore della Ragioneria Territoriale dello Stato di Campobasso e Isernia), l'istituto di credito contraente si rivolgeva al predetto ente per sollecitare l'applicazione delle trattenute sulla pensione del (...) in forza del contratto di prestito incriminato e in quella sede la (...) disconosceva immediatamente la paternità dei documenti utilizzati dal (...) al fine di simulare la titolarità del trattamento pensionistico e chiariva che l'imputato non era titolare di alcuna pensione e dunque che mancava il presupposto per applicare la trattenuta (cfr. pagg. 3 e ss. del verbale stenotipico, udienza del 29.4.2022). La condotta oggetto di contestazione deve pertanto essere qualificata come truffa semplice ai sensi dell'art. 640 c.p., così trovando applicazione il diverso regime di procedibilità a querela di parte (cfr. art. 640 comma 3 c.p.), in difetto della quale, si impone nei confronti dell'imputato la pronuncia di una declaratoria di non doversi procedere, ai sensi dell'art. 529 c.p.p., perché l'azione penale non doveva essere iniziata per mancanza della condizione di procedibilità. P.Q.M. Letti gli artt. 521 e 529 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) per il reato di cui all'art. 640 c.p., così riqualificati i fatti a lui ascritti in rubrica, perché l'azione penale non doveva essere iniziata per mancanza della condizione di procedibilità. Motivi in giorni sessanta. Così deciso in Campobasso il 13 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Giulia PETTI Alla pubblica udienza del 21 FEBBRAIO 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a P. il (...) residente in C. V.re (B.) alla Via F. n. 8; Posizione giuridica: libero assente Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM Dr. Ni.CH., del difensore Avv. Al.Ve. in sostituzione per delega orale dell'Avv. Ma.Ve. del foro di Campobasso di fiducia per l'imputato. IMPUTATO del reato di cui all'art. 73 co.5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perché, senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 D.P.R. cit., a bordo dell'autovettura modello Volkswagen Golf serie 7, targata (...), occultato all'interno del deretano, trasportava un bussolotto avvolto da nastro isolante con all'interno gr.4,80 di sostanza stupefacente di tipo eroina (inizialmente sostanza risultata positiva al Narcotics Analysis Reagent Kit n.3) che da analisi tecnica effettuato risultava: Omissis Sostanza stessa che, in considerazione del quantitativo complessivo di dosi ricavabili, non appariva destinata ad uso esclusivamente personale. In Campobasso in data 31.1.2021 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO In seguito a decreto di citazione a giudizio emesso dal competente P.M. in data 02.12.2021, si procedeva a giudizio nei confronti di (...), chiamato a rispondere del reato di cui in rubrica. All'udienza del 22 giugno 2022, veniva dichiarata l'assenza dell'imputato e, in mancanza di questioni preliminari, veniva aperto il dibattimento e richiesti ed ammessi i mezzi istruttori. All'esito dell'istruttoria, quindi, le parti concludevano come riportato in epigrafe e il processo veniva definito con sentenza di cui si dava lettura. MOTIVI della DECISIONE A parere di questo giudicante gli elementi emersi nel coso dell'istruttoria non sono idonei per affermare la responsabilità dell'odierno imputato in ordine al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente, tipo eroina, a lui ascritto in rubrica: come riferito dai testi (...) e (...), all'epoca dei fatti in servizio presso il Norm dei Carabinieri di questo capoluogo, nel corso di un turno di servizio, mentre effettuavano un controllo su strada teso alla repressione del traffico di stupefacenti, fermavano un'autovettura WV Golf guidata dall'odierno imputato e su cui viaggiavano due cittadini extracomunitari. Sottoposti a controllo gli occupanti dell'autovettura, si accorgevano che il (...), soggetto noto alle forze dell'ordine, si innervosiva tanto che gli chiedevano se detenesse sostanza stupefacente: avuta risposta negativa, constatato che si innervosiva sempre di più, li portavano in caserma dove sottoponevano a perquisizione il veicolo e dove il (...) confessava che deteneva, occultata nell'ano, della sostanza stupefacente. Recuperata tale sostanza procedevano alla prova drug-test della stessa e alla sua pesatura, riscontrando che si trattava di eroina pari a gr. 4,80, per un totale di n. 22 dosi. L'analisi chimica effettuata presso il LASS di Foggia confermava che la sostanza detenuta dall'odierno imputato risultava essere eroina (cfr. Relazione tecnica a firma del luogotenente (...)). Specificavano i testi, inoltre, che nel corso della perquisizione non erano stati rinvenuti né attrezzi deputati alla pesatura della sostanza, né sostanze idonee alla porzionatura. Tali risultanze istruttorie non appaiono sufficienti per affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la sostanza in possesso dell'odierno imputato fosse destinata alla cessione o allo spaccio e non piuttosto, destinata ad un uso personale: il superamento dei limiti tabellari previsti dall'art. 73, comma 1 bis, lett. a) del D.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla L. n. 45 del 2005, non costituisce una presunzione sulla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale. La condizione di tossicodipendenza in cui versa il prevenuto, come dimostrato dalla documentazione prodotta dalla difesa, la circostanza che egli percorresse una strada che porta a Foggia, con direzione Foggia-Campobasso e che non fosse in possesso di strumenti atti alla pesatura della sostanza fanno propendere per la conclusione che la detenzione della sostanza sottoposta a sequestro fosse per uso personale: di conseguenza l'imputato deve essere assolto dal reato contestatogli con la pertinente formula. Ai sensi dell'art. 240, comma 2 n. 2, c.p. deve disporsi la confisca della sostanza sequestrata atteso che la sua alienazione costituisce reato. P.Q.M. il Tribunale, visto l'art. 530, comma 2 c.p.p., assolve (...) dal reato a lui ascritto in rubrica perché il fatto non sussiste. Dispone la confisca e la distruzione di quanto in giudiziale sequestro. Motivazione contestuale. Così deciso in Campobasso il 21 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CAMPOBASSO RITO MONOCRATICO L'anno 2023 il giorno 27 gennaio il Giudice dott.ssa Federica Adele dei Santi con l'intervento del (...) in persona del V.P.O. dr. Nicola Chica ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA nei confronti di: (...) nata a I. il (...) e residente in V. alla via G. D. n. 23 - libera assente - assistita dal difensore di fiducia avv. Ma.Pr., del Foro di Campobasso - assente, sostituito dall'avv. Mi.De.; IMPUTATA Per il reato di cui al foglio allegato; SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con decreto che dispone il giudizio emesso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Campobasso in data 10 novembre 2020 l'imputata era tratta a giudizio per rispondere del reato di cui agli artt. 56-610, 61 n. 2 c.p., indicato nell'epigrafe del presente provvedimento (al capo n. 3 della rubrica). All'udienza dell' 1 ottobre 2021, accertata la regolare instaurazione del rapporto processuale e dichiarata l'assenza dell'imputata, il processo era differito in accoglimento dell'istanza all'uopo formulata dalla difesa in ragione dell'impedimento a comparire per motivi di salute del difensore avv. Ma.Pr.. Alla successiva udienza del 26 novembre 2021 il Giudice dava la parola alle parti per formulare le richieste di prova che all'esito ammetteva, valutatane la pertinenza e rilevanza ai fini della decisione, facendo rinvio all'udienza del 25 marzo 2022 per l'inizio dell'istruttoria. All'udienza in parola venivano escussi i testi (...), (...) e (...) e all'esito il processo era differito al 30 settembre 2022 per la prosecuzione dell'istruttoria. All'udienza del 27 gennaio 2023 (proveniente dal precedente rinvio di quella del 30.9.2022) preliminarmente la difesa evidenziava l'intervenuto mutamento del regime di procedibilità del reato oggetto di contestazione, per effetto delle novità introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022 - c.d. Riforma Cartabia - dando atto, poi, che nel caso di specie, pur essendo stata sporta formale querela dalla persona offesa, era successivamente intervenuta la remissione di querela nonché l'accettazione da parte dell'imputata; quindi, la persona offesa, presente in aula, confermava le predette circostanze e il (...) depositava in atti il verbale di ricezione della denuncia-querela sporta in data 25.08.2016 da (...) per i fatti oggetto di contestazione, il verbale di remissione di querela del 21.11.2019 nonché il verbale di accettazione della remissione di querela da parte dell'imputata (...), del 4.12.2019. Pertanto, il Giudice, preso atto di quanto emerso, invitava le parti a rassegnare le rispettive conclusioni, come riportate in epigrafe. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti il Giudice decideva come da dispositivo, del quale dava lettura all'esito della camera di consiglio, con riserva di motivazione nel termine di giorni trenta. MOTIVI DELLA DECISIONE Nei confronti dell'imputata (...) va emessa una declaratoria di improcedibilità, attesa la estinzione del reato alla stessa ascritto per intervenuta remissione di querela. All'imputata è, infatti, contestato il reato di tentata violenza privata aggravata, di cui agli artt. 56-610, 61 n. 2 c.p., come descritto al capo n. 3) della rubrica, che in virtù delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 150 del 2022 al codice penale (a partire dalla entrata in vigore del decreto, individuata da ultimo, in virtù del disposto dell'art. 99-bis, aggiunto dal D.L. n. 162 del 2022, nel 30.12.2022) è divenuto procedibile a querela (cfr. nuovo art. 610 commi 1 e 3 c.p.). Infatti, in aderenza agli obiettivi generali di deflazione processuale e sostanziale perseguiti dalla c.d. Riforma Cartabia, il legislatore della delega ha disposto, agli artt. 2 e 3 del D.Lgs. n. 150 del 2022, l'ampliamento delle ipotesi di reato procedibili a querela ricompresi nel Libro II e III del codice penale, incidendo, per quanto qui di interesse, anche sulla procedibilità del reato di violenza privata contemplato all'art. 610 c.p. che al comma terzo testualmente recita: "Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma". Pertanto, per effetto della modifica in parola, il delitto di violenza privata, nell'ipotesi non aggravata ai sensi del comma 2 dell'art. 610 c.p. e qualora non ricorrono le condizioni soggettive della vittima descritte al comma 3 della norma in parola, risulta procedibile a querela. Detto nuovo regime di procedibilità del reato, inoltre, risulta applicabile, in quanto modifica di favore per l'imputato, anche ai reati commessi fino al 29.12.2022, cioè prima della entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2022. L'art. 85 del D.Lgs. n. 150 del 2022 - modificato dall'art. 5-bis del D.L. n. 162 del 2022, convertito con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, reca, invero, una espressa disciplina transitoria in materia di modifica del regime di procedibilità regolando positivamente la retroattività di tale nuovo regime di favore (coerentemente al disposto dell'art. 2, comma quarto, cod. pen.), prevedendo al comma 1 testualmente: "Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato". Soltanto, poi, per le ipotesi in cui sia in corso una misura cautelare alla data di entrata in vigore della Riforma Cartabia, il successivo comma 2 dell'art. 85 cit. (come modificato dall'art. 5-bis del D.L. n. 162 del 2022, convertito con modificazioni, nella L. n. 199 del 2022) prevede la relativa perdita di efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela (così conservando, rispetto alla originaria versione del comma 2 dell'art. 85 cit., in capo all'autorità giudiziaria che procede l'onere di cercare la persona offesa per verificare se intenda coltivare l 'animus puniendi soltanto nel caso in cui siano in corso di esecuzione misure cautelari personali). Pertanto, per effetto del nuovo regime di procedibilità del reato di cui all'art. 610 comma 1 c.p. e tenuto conto che lo stesso, in quanto modifica di favore (che riguarda un istituto da assimilare a quelli che entrano a comporre il quadro per la determinazione dell'aw e del quomodo di applicazione del precetto, cfr. Cass. pen. sez. 5, n. 44390/2015 in tema di procedibilità d'ufficio per i reati sessuali), trova applicazione anche con riferimento ai reati commessi anteriormente al 30.12.2022, il reato oggetto di contestazione deve certamente ritenersi divenuto improcedibile. Infatti, come emerso all'udienza del 27 gennaio 2023, nel caso di specie la persona offesa dal reato di cui agli artt. 56-610, 61 n. 2 c.p. (oggetto di contestazione, cfr. capo n.3 dell'imputazione) (...) (la quale aveva sporto querela in data 25.08.2016 nei confronti, tra gli altri, della odierna imputata (...)) ha rimesso la querela in data 21.11.2019, come espressamente confermato dalla stessa, presente personalmente in aula. Al contempo, l'imputata ha formalmente accettato l'intervenuta remissione di querela, come documentato dal relativo verbale del 4.12.2019, versato in atti dal (...) unitamente a quello di remissione (del 21.11.2019). La rituale remissione di querela e la relativa accettazione comportano, dunque, alla luce del nuovo regime di procedibilità (introdotto dalla Riforma Cartabia con riferimento al reato d cui all'art. 610, comma 1, c.p.) l'estinzione del reato in contestazione ai sensi dell'art. 152 c.p., sicché nei confronti dell'imputata va emessa sentenza di non doversi procedere per il venir meno della necessaria condizione di procedibilità e data la mancanza di elementi che possano comportare in modo assolutamente non contestabile, ex art. 129, comma 2, c.p.p., il proscioglimento nel merito. A norma dell'art. 340 u.c., c.p.p., in mancanza di diversi accordi tra le parti, l'imputata va condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Letto l'art. 129 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputata per il reato ascrittole in rubrica perché estinto per intervenuta remissione di querela. Letto l'art. 340, comma 4, c.p.p., condanna l'imputata al pagamento delle spese processuali. Motivi in giorni trenta. Così deciso in Campobasso il 27 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA ART. 544 c.p.p. IL TRIBUNALE in persona del GIUDICE On. d.ssa Anna CANDIGLIOTA, alla pubblica udienza del 26 gennaio 2023, ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...) nato a (...) il (...) residente a (...) in Corso D. n. 20 Libero già assente IMPUTATO A) Del reato p. e p. dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380 del 2001 perché, su terreno ubicato in agro di (...) in c.da (...), identificato in catasto nella particella n. (...) del fol n. 30, di cui aveva il possesso, in assenza di permesso di costruire, realizzava le seguenti opere: - Manufatto ad un solo piano in muratura di circa 20 mq di altezza media pari a 1,91 m. - Tettoia in struttura metallica con base in calcestruzzo In Sepino in data anteriore e prossima al 23.7.2020 B) Del reato p. e p. dall'art. 181 L. n. 42 del 2004 perché realizzava le opere di cui al capo a) su terreno ubicato in agro di (...) in c.da (...), identificato in catasto nella particella n. (...) del fol n. 30, di cui aveva il possesso, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta autorizzazione Con l'intervento del P.M.O., Dr Ni.CH. e del difensore di fiducia avv. Do.Ma. MOTIVAZIONE A seguito di decreto di citazione diretta, (...) è stato tratto a giudizio per rispondere dei rubricati reati di violazione dell'art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380 del 2001 perché, su terreno ubicato in agro di (...) in c.da (...), identificato in catasto nella particella n. (...) del foglio n. (...), di cui aveva il possesso, in assenza di permesso di costruire, realizzava le seguenti opere: manufatto ad un solo piano in muratura di circa 20 mq. Di altezza media pari a 1,91 m.; tettoia in struttura metallica con base in calcestruzzo, di cui al capo A) dell'imputazione e del reato p. e p. dall'art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004 -contestato al capo B) dell'imputazione perché realizzava le opere di cui al capo A) su terreno ubicato in agro di (...) in c.da (...), identificato in catasto nella particella n. (...) del foglio n. (...), di cui aveva il possesso in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza della prescritta autorizzazione. All'esito del dibattimento, raccolte le prove ammesse, all'udienza del 26 gennaio 2023, il P.M. ed il difensore dell'imputato concludevano come da verbale. Ritiene il giudice che la prova acquisita in giudizio sia idonea a dimostrare la colpevolezza di (...) in ordine ai reati di cui ai capi A e B dell'imputazione. Nell'udienza dell'11/10/2021, il teste dell'Accusa, Arch. (...), Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Sepino conferma che (...) ha realizzato un manufatto ad un solo piano in muratura e una tettoia con base in calcestruzzo senza il permesso di costruire e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, quindi in assenza della prescritta autorizzazione, quindi sia in assenza del titolo abilitativo edilizio che in assenza dell'autorizzazione paesaggistica e riferisce, altresì: "...Si tratta di un manufatto in muratura ad un piano, diviso mi sembra in due locali, realizzato in prossimità dell'abitazione del signor (...), con un tetto a falda a altezza limitata, e un altro manufatto che era composto da un piccolo basamento in calcestruzzo e una struttura metallica sempre con un tetto a un'unica falda...Il manufatto era stato realizzato per un lato sopraelevando la recinzione, il muretto di recinzione esistente. La tettoia, invece, che era a parte, era realizzata su un basamento di calcestruzzo, un piccolo muretto di calcestruzzo e poi era stata poggiata questa tettoia...". Nella stessa udienza, il Maresciallo Arcari A. in servizio presso il Comando Polizia Municipale del Comune di Sepino conferma di aver fatto un sopralluogo in riferimento alle opere realizzate da (...) di cui ai capi d'imputazione e, precisamente, di un manufatto in muratura, di una tettoia e di una struttura metallica, insieme all'architetto (...):"...C'era un manufatto a faccia vista in pietra coperto in legno, con la copertura in legno, chiuso su tre lati, di cui uno era appoggiato a un muro di cinta. Questo era imo. L'altro invece era una struttura metallica, in quel momento era adibita a ricovero degli animali, c'erano alcuni cani....i due manufatti, uno che era aperto nella parte anteriore e la struttura coperta in metallo con dei box in laterizio...Quando noi ci siamo recati presso questa struttura era in assenza di permesso di costruire.. La qualificazione giuridica dei fatti è corretta. La condotta tenuta dall'imputato (...) integra il reato urbanistico-edilizio p.e p. dall'art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380 del 2001. Infatti, la lett. c) dell'art. 44 sanziona la lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio e chiunque esegua interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso di costruire; la ratio consiste nell'attribuire una maggior tutela alle aree ed ai beni aventi un principale significato culturale e, più in generale, ambientale. La fattispecie risulta integrata non soltanto dalle difformità totali vere e proprie, ma anche a seguito di variazioni essenziali; in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell'individuazione della sanzione penale applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale. La condotta tenuta dall'imputato (...) integra anche il reato ambientale di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004. La contravvenzione paesaggistica è un reato formale e di pericolo, è integrata indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio e sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione amministrativa, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo (Cass. Sez. 3, n. 37472 del 06/05/2014, C.; Sez. 3, n. 14746 del 28/03/2012, M.; Sez. 3, n 40265 del 26/05/2015, A.). E' in questi termini anche la costante giurisprudenza di legittimità la quale afferma che "Ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario. Ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e.5) D.P.R. n. 380 del 2001 le roulotte e le case mobili rientrano tra i manufatti leggeri, prefabbricati, per la cui installazione è necessario il preventivo ottenimento del permesso di costruire se utilizzati come abitazioni, e non dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee" ( cfr. Cassazione penale sez. III 07/11/2013 Numero:9268) e "Il posizionamento stabile di case mobili o di roulotte non può essere considerato circostanza neutra ai fini della disciplina urbanistica: la necessità o meno di titolo autorizzativo trova ragion d'essere nelle concrete modalità e caratteristiche della condotta tenuta, essendo il titolo necessario nell'insediamento che ha carattere di sostanziale stabilità e si concreta in una effettiva incidenza sull'assetto del territorio" (cfr Cassazione penale sez. III 14/05/2013Numero:37572). Nessun dubbio dunque, che il complessivo intervento, dotato del carattere della stabilità, rientri nell'ambito applicativo della disciplina prevista a tutela dell'ordinato assetto del territorio e dell'ambiente. Né vi sono dubbi che l'intervento sia stato realizzato dall'imputato nella disponibilità materiale dell'area ed artefice della realizzazione delle opere di cui in accusa. Valutato il turbamento che i reati di cui ai capi A) e B) dell'imputazione hanno cagionato all'ordinamento, esaminati tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p. va ritenuta equa la pena dell'arresto pari a mesi 6 (sei) ed all'ammenda pari ad Euro 20.000,00 (ventimila 00). Consegue a tanto il pagamento delle spese processuali. Visto l'art. 164 c.p., presumendo che il prevenuto si asterrà dal futuro delinquere, può essergli concesso il beneficio della sospensione condizionale della esecuzione della pena odiernamente inflitta. Ordina la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. P.Q.M. Il Tribunale, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., dichiara l'imputato colpevole di entrambi i reati a lui ascritti e di cui ai capi A) e B) dell'imputazione e, per l'effetto, lo condanna alla pena di mesi 6 (sei) di arresto e Euro 20.000,00 (ventimila/00) di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa. Ordina la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Manda alla cancelleria per la trasmissione di copia della presente sentenza alla Regione Molise e al Comune di Sepino nel cui territorio è stata commessa la violazione. Motivazione entro 30 giorni. Così deciso in Campobasso il 26 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO DI CAMPOBASSO IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA IL TRIBUNALE DI CAMPOBASSO NELLA PERSONA DEL GIUDICE DOTT. Giulia PETTI Alla pubblica udienza del 7 FEBBRAIO 2023 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente: SENTENZA nei confronti di: 1. (...), nato a C. il (...) ivi residente alla Via P. n. 63 Posizione giuridica: libero assente Per i reati di cui all'allegato capo di imputazione Con l'intervento del PM Dr.ssa Le.Fa., del difensore Avv. An.Pi. di fiducia per l'imputato. IMPUTATO Indagato dei reati p. e P, dagli artt. 110 e 646 c.p poiché, rispettivamente in qualità di: (...) titolare della concessionaria auto (...) e (...) quale dipendente addetto alle vendite, avendo la materiale disponibilità dell'autovettura modello FIAT Punto targata (...), cedutagli dalla p.o., in forza di quanto stabilito nel contratto di acquisto di un altro veicolo modello RAV 4 targato (...), in luogo di provvederne alla rottamazione, per procurarsi l'ingiusto profitto, consistito nella futura vendita del veicolo, si appropriava del predetto senza adempiere a quanto concordato con (...), cedendolo a tale (...). In Campobasso in data di poco successiva al 5.9.2015 Per (...) con la contestazione della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. MOTIVAZIONE A seguito di decreto emesso dal competente PM in data 15.05.2018, (...) e (...) venivano citato a giudizio per rispondere, in concorso tra loro, del reato di cui all'art. 646 c.p., perché, nelle rispettive qualità di titolare e addetto alle vendite della concessionaria "(...)" si appropriavano, al fine di trarne profitto, dell'autovettura Fiat Punto targata (...) ceduta loro da (...) per la rottamazione ma che, invece, veniva rivenduta. All'udienza del 21.09.2018 veniva dichiarata l'assenza degli imputati e, in mancanza di questioni preliminari, veniva aperto il dibattimento e richiesti ed ammessi i mezzi istruttori; dopo numerosi rinvii per malattia dell'imputato (...), all'udienza del 20.05.2022 si procedeva allo stralcio della posizione di (...) e si disponeva perizia psichiatrica per accertare la capacità di intendere e di volere del prevenuto e la sua capacità di stare in giudizio: nonostante la nomina di un perito che invitava per ben due volte il (...) a recarsi presso il suo studio per essere sottoposto a perizia, questi non vi s recava, rendendo di fatto impossibile al perito di effettuare la sua valutazione. All'odierna udienza, pertanto, preso atto che l'imputato si è sottratto volontariamente alla perizia e che in una precedente perizia per fatti commessi nello stesso periodo il perito aveva concluso per la capacità del prevenuto di stare coscientemente nel processo e solo una scemata capacità di intendere e volere del (...) all'epoca della commissione del reato, si disponeva procedersi oltre nel processo: La difesa dell'imputato, pertanto, chiedeva emettersi sentenza di non doversi procedere per tardività della querela sporta il 24 dicembre 2015, atteso che, come si evince dall'atto di querela stesso, l'appropriazione dell'autovettura oggetto del presente procedimento è avvenuta il 04.09.2015, allorquando il (...) consegnava la sua Fiat Punto targata (...) alla concessionaria del (...) affinché questa provvedesse a demolirla. Alla luce di quanto riportato nell'atto di querela, e della giurisprudenza della Suprema Corte che, in tema di appropriazione indebita, sancisce "Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l'agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione" (per tutte Cass. Sez. 2, n. 15735 del 14/02/202) ritiene questo giudicante che la richiesta della difesa debba essere accolta: appare evidente, infatti, che, nel caso di specie il delitto contestato si sia consumato in data 04.09.2015 ed è da quella data che decorre il termine di cui all'art. 124 c.p. per la proposizione della querela, a nulla rilevando il momento in cui la persona offesa è venuta a conoscenza della circostanza che l'autovettura, invece che rottamata, era stata rivenduta E' da quel momento che la odierna persona offesa è stata spogliata del possesso del bene e il prevenuto si è comportato "uti dominus", evidenziando in maniera incontrovertibile l'elemento soggettivo del reato (cfr. Cass., Sez. 2, n. 25288 del 31/05/2016). Da tale data, al momento della proposizione della querela, sono trascorsi 3 mesi e 20 giorni e, quindi, più dei termini previsti dall'art. 124 c.p. P.Q.M. Visti gli artt. 124 e 529 c.p.p. dichiara non doversi procedere nei confronti di (...) per tardività della querela. Motivazione contestuale Così deciso in Campobasso il 7 febbraio 2023. Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 357 del 2021, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Società Mi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Ma. Ro., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata, nonché il Ministero dell'Economia e Finanze, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti della sig.ra Pi. Ma. Ci., non costituita in giudizio; per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - del provvedimento dell'Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata del 13 settembre 2021, recante il rigetto dell'istanza presentata dalla Società Mi. s.r.l. per l'istituzione di un patentino per la vendita di generi di monopolio; - di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o comunque connessi; - del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241/1990 del 24 maggio 2021; per quanto riguarda i motivi aggiunti: - della proposta di rigetto assunta dal responsabile del procedimento, unitamente al prospetto del calcolo relativo alla quantificazione degli scontrini di cui in atti. Visti il ricorso, i motivi aggiunti, le memorie e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio e le memorie dell'Agenzia delle Accise Dogane e Monopoli - DT VIII - Puglia, Molise e Basilicata e del Ministero dell'Economia e Finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Col ricorso introduttivo del presente giudizio la Società Mi. s.r.l. ha impugnato il provvedimento dell'Ufficio territorialmente competente dell'Amministrazione delle Accise, Dogane e dei Monopoli n. 54192 del 13 settembre 2021, recante il rigetto della sua istanza per l'istituzione di un patentino per la vendita di generi di monopolio nel locale bar tavola calda di Ca. "Gr. Ca. Cr.". 2 - La ricorrente ha esposto che: - a fronte dell'istanza da essa presentata il 21 gennaio 2021, completa della relativa documentazione, l'Amministrazione ha richiesto per due volte integrazioni documentali; - è seguita la comunicazione recante il preavviso di rigetto, in cui sono stati individuati elementi ostativi all'istituzione del patentino; - in relazione a tale comunicazione la ricorrente ha formulato delle controdeduzioni, che però sono state ritenute nel provvedimento di rigetto finale inidonee a determinare un diverso esito procedimentale. 3 - Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi: violazione ed errata applicazione dell'art. 23 della l. n. n. 1293/1957 e dell'art. 54 del d.P.R. n. 1074/1958; violazione ed errata applicazione degli artt. 2, 7 e 8 del d. m. n. 38/2013; violazione e falsa applicazione delle circolari dell'AAMS nn. 04/63406 del 25 settembre 2001, 04/64713 del 28 novembre 2001 e 375/udg del 1° agosto 2005; violazione e falsa applicazione del decreto direttoriale DAC/CRV/4126/2013 del 27 marzo 2013 dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli; violazione ed errata applicazione dell'art. 24, comma 42, del d.l. n. 98/2011, conv. in l. n. 111/2011; violazione e falsa applicazione dell'art. 190, comma 1, del d.lgs n. 285/1992; violazione ed errata applicazione dell'art. 3 della l. 241/1990: carenza assoluta di istruttoria e di motivazione; violazione del principio di motivazione per relationem; violazione ed errata applicazione degli artt. 1, 7, 10, 10-bis della l. n. 241/1990; violazione dei diritti partecipativi; violazione ed errata applicazione degli artt. 3 e 97 Cost.; violazione dei principi di buon andamento e imparzialità, proporzionalità, adeguatezza e legittimo affidamento; eccesso di potere: travisamento ed erronea valutazione dei presupposti di fatto e diritto; illogicità e ingiustizia manifesta; disparità di trattamento; sviamento. 4 - All'udienza camerale del 15 dicembre 2021, fissata per la trattazione dell'istanza cautelare formulata a corredo del ricorso, il Tribunale, in accoglimento dell'apposita istanza istruttoria della soc. Mi. s.r.l., ha disposto il deposito in giudizio della documentazione menzionata nel provvedimento gravato ma non ancora messa a sua disposizione, e precisamente: i) degli accertamenti istruttori compiuti e della relazione del RUP n. 35367 del 30 aprile 2019; ii) delle Linee di indirizzo, aventi ad oggetto "Regime transitorio in materia di distribuzione e vendita dei prodotti da fumo" (di seguito "LIUA"); iii) di una relazione di chiarimenti esplicativa. 5 - Sono seguiti il deposito in giudizio dei predetti documenti a opera dell'Amministrazione e la proposizione da parte della ricorrente di un atto di motivi aggiunti, indotto dalle nuove produzioni. I motivi aggiunti sono stati affidati alle seguenti censure: violazione dell'art. 21-septies della l. 241/1990: nullità per mancanza degli elementi essenziali dell'atto; violazione ed errata applicazione del d.m. n. 38/2013; violazione ed errata applicazione delle LIUA; violazione ed errata applicazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990: difetto di istruttoria e di motivazione; violazione ed errata applicazione dell'art. 1 della l. n. 241/1990, dell'art. 97 cost. e dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità : eccesso di potere: difetto dei presupposti di fatto e di diritto; contraddittorietà ; illogicità manifesta; sviamento; illegittimità derivata. 6 - All'udienza camerale del 23 marzo 2022, fissata per la trattazione dell'istanza cautelare riproposta con i motivi aggiunti, il Tribunale ha ritenuto che la fissazione di un'udienza pubblica di discussione ravvicinata fosse idonea ad assicurare un'adeguata tutela delle esigenze cautelari della ricorrente. La trattazione del merito è stata quindi stabilita per la data del 15 novembre 2022. 7 - In vista di tale udienza di discussione, la ricorrente con memoria ha ulteriormente puntualizzato e argomentato le proprie tesi. 8 - All'udienza pubblica, uditi gli avvocati come da verbale, il ricorso è stato assunto in decisione. 9 - Il ricorso e i motivi aggiunti, che possono essere oggetto di trattazione congiunta in quanto presentano una struttura coerente e integrata, vanno respinti in quanto sono infondati. 9.1 - La ricorrente ha dedotto l'illegittimità del provvedimento impugnato in quanto quest'ultimo, in sintesi: - sarebbe afflitto da carenze motivazionali e non spiegherebbe il motivo del mancato accoglimento delle controdeduzioni formulate nel procedimento a seguito del preavviso di rigetto comunicato dall'Amministrazione; - non avrebbe adeguatamente valutato le distanze fra il "Gr. Ca. Cr." e gli altri esercizi già autorizzati, tutte ampiamente superiori alla distanza minima prevista dall'art. 7, comma 4, del d.m. n. 38/2013 (minore o uguale a 100 metri); - avrebbe illegittimamente annesso valore prevalente al difetto, in capo all'istante, del parametro valutativo previsto dall'art. 7, comma 3, lett. e) del d.m. n. 38/2013, che fa riferimento alla "frequentazione dell'esercizio sulla base del numero medio giornaliero di scontrini fiscali o di biglietti di accesso emessi ovvero in ogni caso sulla base delle cessioni e prestazioni effettuate negli ultimi due periodi di imposta"; e, per converso, non avrebbe adeguatamente valutato la posizione strategica del "Gr. Ca. Cr." rispetto a una serie di uffici pubblici e privati ad esso adiacenti, in ragione della quale il locale registrerebbe un notevolissimo afflusso di utenti nelle ore diurne; - avrebbe compiuto l'accertamento del succitato parametro previsto dall'art. 7, comma 3, lett. e) del d.m. n. 38/2013 in modo arbitrario e illogico, in quanto l'Amministrazione: i) si sarebbe basata su un prospetto di calcolo nullo, che rinvierebbe a una perizia giurata non ostesa; ii) avrebbe considerato, per gli altri esercizi posti a confronto col "Gr. Ca. Cr.", dei dati relativi a periodi di imposta disomogenei; iii) avrebbe individuato, per il confronto, esercizi ubicati in contesti geografici e commerciali diversi, senza nessun vaglio degli ulteriori elementi indicati nel d.m. 38/2013 e nelle LIUA; iv) infine, non avrebbe adeguatamente considerato che la differenza fra il volume di affari del Gr. Ca. Cr. e quella degli altri esercizi posti a confronto sarebbe trascurabile. Queste censure non colgono nel segno. 9.2 - Innanzitutto, il Collegio non ravvisa nel provvedimento gravato alcuna lacuna motivazionale, né omissioni valutative in ordine alle controdeduzioni formulate dalla ricorrente nel corso del procedimento. Quanto al dedotto difetto di motivazione, va osservato che il testo del diniego, in cui si ravvisa un'equilibrata combinazione fra il rinvio per relationem alle risultanze dei documenti istruttori e le dirette considerazioni valutative testuali sugli aspetti giuridici e fattuali del procedimento, denota con sufficiente chiarezza l'iter logico che ha condotto alla determinazione oggetto d'impugnativa. Con più specifico riguardo, poi, all'esame delle controdeduzioni della ricorrente, la ricognizione testuale del provvedimento impugnato evidenzia che queste, espressamente considerate dall'Amministrazione (cfr. "VISTO" a pag. 3 e 4), sono state da essa valutate in modo congruo, come fatto palese dal tenore argomentativo della sua motivazione. La lettura complessiva di quest'ultima permette, infatti, di individuare un iter logico dell'Amministrazione, chiaramente scandito nei suoi passaggi e nelle sue componenti, che si è basato su premesse diverse, e incompatibili, rispetto a quelle che erano state esposte in sede procedimentale dal privato: iter che consente quindi di comprendere sotto ogni aspetto le ragioni della determinazione finale in contestazione. Senza dire che il Collegio non può che far proprio il pacifico orientamento giurisprudenziale secondo il quale "l'Amministrazione non è tenuta ad una analitica confutazione delle singole argomentazioni svolte dall'interessato, essendo sufficiente una motivazione che consenta di complessivamente comprendere le ragioni della decisione assunta o di verificare una loro ontologica incompatibilità con la determinazione finale assunta dall'Amministrazione" (ex multis cfr. Cons. St., II, n. 1306/2020; id., V, n. 6173/2018; id., IV, n. 4967/2014; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, I, n. 175/2021; T.A.R. Lombardia, Milano, II, n. 1040/2021; T.A.R. Umbria, n. 131/2020). 9.3 - Venendo all'esame delle doglianze volte a lamentare la violazione da parte dell'Amministrazione del d.m. n. 38/2013, è opportuno compiere preliminarmente un sintetico inquadramento di tale normativa secondo l'interpretazione fornitane in giurisprudenza. 9.3.1 - Sulla base della disciplina di settore, e alla luce dell'orientamento giurisprudenziale consolidato, il rilascio del patentino di vendita di tabacchi lavorati, in considerazione del suo carattere di complementarietà, non deve costituire una duplicazione delle rivendite (ordinarie o speciali), ma solo un'espansione della preesistente struttura di vendita giustificata dalla necessità del servizio al pubblico nei luoghi e nei tempi in cui tale servizio non possa essere svolto dalle tabaccherie. L'art. 7 del d.m. 38/2013, recante i criteri di rilascio del patentino in attuazione del d. l. n. 98/2011, convertito in l.n. 111/2011, prevede difatti che: - "1. Ai fini del rilascio di patentini l'Ufficio competente prende in considerazione il carattere di complementarietà del servizio di vendita dei tabacchi lavorati che costituisce mera espansione di una preesistente struttura di vendita, non sovrapponibile alla stessa e giustificata dalla necessità di erogazione del predetto servizio in luoghi e tempi in cui tale servizio non può essere svolto dalle rivendite ordinarie...."; - "3. Ai fini dell'adozione del provvedimento, gli Uffici competenti in relazione all'esercizio del richiedente, valutano: a) l'orario prolungato dell'esercizio rispetto a quello delle rivendite circostanti; b) il giorno di riposo settimanale praticato dall'esercizio in un giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine; c) la distanza dell'esercizio dalla rivendita più vicina, comunque non inferiore a 100 metri; d) l'ubicazione e la dimensione dell'esercizio; e) la redditività dell'esercizio prodotta negli ultimi ventiquattro mesi, valutata anche mediante verifica del numero di scontrini fiscali ovvero di biglietti di accesso emessi quotidianamente, nonché dalle dichiarazioni dei redditi ed IVA; f) l'eventuale presenza di distributori automatici nella rivendita ordinaria più vicina; g) l'assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l'Erario o verso l'Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili". - "4. In ogni caso il patentino non può essere concesso quando presso la rivendita più vicina risulti installato un distributore automatico di tabacchi lavorati e la stessa rivendita sia a distanza inferiore a quelle di cui all'articolo 2, comma 2". 9.3.2 - All'Amministrazione, sulla base del citato e chiaro disposto normativo, non è quindi demandata una mera verifica meccanica della sussistenza di specifici requisiti, bensì una più ampia valutazione, connotata anche da margini di apprezzamento discrezionale, in ordine all'adeguatezza della rete distributiva dei tabacchi lavorati nell'area di rilevanza, valutazione finalizzata a realizzare il bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco: la garanzia di un agevole approvvigionamento di prodotti da fumo da parte degli utenti entro limiti di distanza facilmente raggiungibili; la tutela delle prerogative delle rivendite ordinarie o speciali, che riguardano anche il non subire una indebita concorrenza da parte dei patentini, stante la loro natura suppletiva stabilita ex lege; l'interesse della collettività a non vedere pregiudicato il diritto costituzionalmente tutelato alla salute da un eccesso di immissione nel mercato di prodotti da fumo (cfr. sul punto Cons. St., IV, n. 2761/2016; id., n. 1428/2015; T.A.R. Campania, Salerno, I, n. 151/2021). E il fatto che il regime regolatorio sia ispirato all'esigenza di bilanciare una pluralità di interessi, non solo di natura imprenditoriale, è reso evidente dallo stesso art. 24, comma 42, lett. a) del d.l. n. 98/2011 (di cui il d.m. 38/2013 è attuazione), secondo cui la disciplina in materia è orientata alla "ottimizzazione e razionalizzazione della rete di vendita, anche attraverso l'individuazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, al fine di contemperare, nel rispetto della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi". Ne consegue che la discrezionalità dell'Amministrazione "deve ritenersi correttamente esercitata in tutti i casi in cui la P.A. -come nella fattispecie all'esame n. d.r. - evidenzi aspetti tali da far ritenere la concessione di patentino come una sorta di duplicazione del servizio ordinario, non idonea a soddisfare una più vasta platea di utenti", specie con riguardo a parametri quali, ad esempio "la sufficiente copertura del servizio di distribuzione,....la presenza di distributori automatici, etc." (T.A.R. Calabria, Catanzaro, 25 luglio n. 1263/2015; T.A.R. Puglia, Lecce, I, n. 1737/2013). 9.4 - Il Collegio ritiene che con il provvedimento impugnato sia stato fatto buon governo dei principi appena ricordati. Difatti, l'Amministrazione ha analizzato la capillarità e la diffusione dell'offerta di tabacchi nel raggio di operatività dell'esercizio della società richiedente, facendo al riguardo rigorosa applicazione dei vari criteri enunciati dall'art. 7, comma 3 del d.m. n. 38/2013, e assumendo quale termine di paragone le rivendite viciniori già munite di abilitazione. Più precisamente, nel provvedimento in disamina il diniego di rilascio del patentino è stato giustificato in quanto: - il valore medio degli scontrini della ditta ricorrente, "confrontato con le cessioni/prestazioni dei tre patentini più vicini, rilasciati all'interno di analoghe strutture, similari quanto ad attività e servizi resi, è risultato più basso, rientrando in uno degli elementi, atti alla valutazione, che non consentono l'istituzione del patentino di vendita di generi di monopolio richiesto" (cfr. "CONSIDERATO" a pag. 2): rilievo con il quale l'Amministrazione ha fatto specifica applicazione del criterio enunciato dall'art. 7, comma 3, lett e) del d.m. n. 38/2013, e delle modalità di accertamento ivi richiamate; - "non sono state riscontrate... particolari ed eccezionali esigenze di servizio da soddisfare tramite il rilascio di un ulteriore punto vendita che costituirebbe una mera sovrapposizione alla rete di vendita in essere, prendendo anche in considerazione che sia l'orario di apertura e chiusura, sia il giorno di riposo non offrono una valida alternativa alla constatata presenza di tre rivendite ordinarie, di cui due munite di distributore automatico e di una rivendita speciale presso la Stazione Ferroviaria, tutte poste ad una distanza inferiore ai 400 metri e di un patentino presso Coffee Time (distante mt. 410), cosi come indicato nella perizia giurata all'istanza, in grado di coprire le esigenze di distribuzione del prodotto nella zona in esame nell'arco dell'intera giornata e nei giorni festivi" (cfr. "CONSIDERATA" a pag. 3): con il che l'Amministrazione ha fatto rigorosa applicazione dei criteri enunciati dall'art. 7, comma 3, lett. a), b), c) d) e f) del d. m. 38/2013. E tali parametri sono stati considerati alla luce della "necessità di contemperare l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita adeguatamente dislocata sul territorio con l'interesse pubblico della tutela della salute attraverso la prevenzione ed il controllo di ogni ipotesi di offerta di tabacco che non sia giustificata da una effettiva domanda, razionalizzando e disciplinando l'ubicazione dei punti vendita al fine di prevenire un possibile sovradimensionamento della rete di vendita ed un'alterazione dell'offerta del prodotto in misura non corrispondente all'entità della stessa" (cfr. sempre "CONSIDERATA" a pag. 3): tanto in applicazione di quanto previsto dall'art. 7, comma 1 del d.m. n. 38/2013. 9.5.1 - Il risultato cui l'Amministrazione è giunta in applicazione dei criteri indicati si rivela altresì immune da profili di illogicità ed erroneità . A tale stregua, non colgono innanzitutto nel segno le censure appuntatesi sulla distanza fra l'esercizio della richiedente e le altre rivendite, che, secondo quanto rimarcato dalla ricorrente, risultava superiore a quella minima prevista dal citato decreto e non avrebbe potuto pregiudicare il rilascio del patentino. Sul punto, va subito evidenziato che detta distanza non ha assunto alcun valore determinante ai fini della determinazione di diniego assunta. L'Amministrazione si è limitata a individuare le rivendite più vicine al Gr. Ca. Cr., da prendere quale riferimento per valutare le caratteristiche dell'offerta di tabacchi della zona e la conseguente opportunità -o meno- di rilasciare un ulteriore patentino. 9.5.1a - Né convincono le censure relative alla asserita diversità dei contesti geografici e commerciali delle altre rivendite prese a riferimento nell'atto censurato, atteso che l'Amministrazione ha proceduto alla loro individuazione in coerenza con le previsioni delle LIUA (cfr. par. II, pag. 4, 1°, 2° e 3° capoverso), sul punto pienamente coerenti con l'art. 7 del d.m. n. 38/2013. Tali previsioni, infatti, danno concretezza al dettato della norma testé citata, prevedendo che vadano individuate e prese a riferimento, per la valutazione del volume di affari dell'esercizio istante, le altre rivendite già autorizzate più vicine allo stesso. E ciò ben si spiega, tenuto conto che l'Amministrazione è chiamata a valutare le caratteristiche dell'offerta di tabacchi anche sotto l'aspetto della sua distribuzione territoriale e della prossimità dei rivenditori, i quali vanno quindi individuati per la loro ubicazione, pur nella diversità delle loro caratteristiche. 9.5.1b - In relazione a dette rivendite, poi, l'Amministrazione ha proceduto a valutare il volume di affari misurato sulla base del numero e del valore degli scontrini emessi nei due anni precedenti di attività di ciascuna di esse. Al proposito, la legittimità del provvedimento gravato non è inficiata dalla circostanza relativa alla diversità degli anni di riferimento dei documenti fiscali considerati per il patentino n. 203069 (il biennio 2018-2019, e non già il biennio 2017-2018 considerato invece per gli altri operatori oggetto del confronto). Difatti, tale diversità da un lato può plausibilmente spiegarsi considerando che l'Amministrazione abbia utilizzato gli unici dati disponibili in relazione a tale operatore, e d'altro lato non è comunque idonea a inficiare l'esattezza delle conclusioni recepite nel provvedimento. 9.5.1c - Né la sussistenza di una distanza, fra il Gr. Ca. Cr. e le rivendite autorizzate, superiore a quella minima prevista dall'art. 7, comma 4 del d.m. n. 38/2013, avrebbe potuto di per sé comportare l'automatico accoglimento dell'istanza. Difatti, mentre una distanza minore di quella prevista dalla citata norma è tale da precludere l'accoglimento dell'istanza, in tutti gli altri casi il testo del d.m. n. 38/2013 impone all'Amministrazione di ponderare anche gli ulteriori elementi previsti dall'art. 7, comma 3, del citato decreto, al fine di valutare se l'offerta complessiva di prodotti da fumo sia già, o meno, sufficiente e adeguata a soddisfare le esigenze della clientela nell'area territoriale considerata (cfr. in tal senso T.A.R. Molise, I, n. 467/2016). 9.5.2 - Inoltre, lo stesso tenore del provvedimento impugnato smentisce l'assunto ricorsuale che l'Amministrazione avrebbe annesso valore prevalente al criterio previsto dall'art. 7, comma 3, lett. e) del d.m. n. 38/2013, avuto riguardo alla frequentazione del Gr. Ca. Cr.. La motivazione provvedimentale mostra difatti ampia evidenza dell'applicazione di tutti gli altri criteri previsti dall'art. 7 citato e dalle LIUA, primi fra tutti quelli incentrati sulla ricognizione degli orari di apertura e chiusura e dei giorni di riposo, e sulla presenza di un distributore automatico nella zona. Tali elementi, sulla cui corretta applicazione nulla nel ricorso è stato eccepito, sono stati unitariamente e complessivamente considerati, accanto a quello concernente il grado di frequentazione dell'esercizio della ricorrente, ricavandone la conclusione che le caratteristiche dell'offerta di tabacchi nella zona considerata non erano tali da giustificare il rilascio di un ulteriore patentino. L'Amministrazione, invero, discrezionalmente valutata l'offerta di tabacchi già esistente nell'area, l'ha considerata proporzionata alla domanda, e questo sia in termini di capillarità della distribuzione, sia in relazione all'agevole reperibilità dei prodotti. Dall'esame della motivazione del diniego censurato emerge dunque che il riferimento alla frequentazione del Gr. Ca. Cr. ha semplicemente concorso, insieme ai surrichiamati elementi (non contestati nel ricorso), a giustificare la valutazione amministrativa di sufficienza della rete distributiva esistente. Le valutazioni sottese al provvedimento gravato si sottraggono, pertanto, anche alle censure di irrazionalità, illogicità ed erroneità formulate dalla ricorrente, attesa la corretta enucleazione, nella motivazione dell'Amministrazione, di univoci e convergenti elementi atti a far ritenere la richiesta concessione di patentino come una mera duplicazione del servizio ordinario, non idonea quindi a soddisfare una più vasta platea di utenti, e in conflitto con la natura necessariamente complementare e sussidiaria che il patentino dovrebbe invece rivestire. Il Collegio aderisce difatti al pacifico orientamento giurisprudenziale per cui il rilascio del patentino deve ritenersi subordinato "al ricorrere, concomitante, di due condizioni (entrambe insussistenti nella specie n. d.r.): che non sia sovrapponibile all'attività della rivendita (condizione negativa); che sia giustificato dalla necessità di erogare il servizio pubblico offerto dalla rivendita laddove tale servizio non possa essere erogato dal titolare della rivendita (condizione positiva)" (cfr. in tal senso ex multis T.A.R. Lazio, Roma, II, n. 7264/2020). 9.5.3 - Parimenti prive di pregio risultano le censure appuntate, in dettaglio, sulla corretta applicazione del criterio della frequentazione dell'esercizio di cui all'art. 7, comma 3, lett. e) del d.m. n. 38/2013. L'applicazione del criterio è avvenuta nella rigorosa osservanza delle modalità e dei metodi previsti dal citato d.m. 38, come pure dal par. II delle LIUA (cfr. pag. 3 e 4), con particolare riferimento: i) al parametro da utilizzare per misurare il volume della clientela (numero di documenti fiscali); ii) ai termini di raffronto da utilizzare (gli altri esercizi già autorizzati più vicini); iii) al metodo di calcolo (effettuazione della media del numero di scontrini per ciascun esercizio). Il citato criterio, poi, è stato applicato in modo legittimo e del tutto logico. 9.5.3a - In questo senso, nessun rilievo può assumere la mancanza di data e firma dei prospetti di calcolo del volume degli scontrini: essi forniscono evidenza di una mera operazione materiale (quella di calcolo, appunto), e le relative risultanze sono state recepite in documenti formali, quali la relazione del RUP e il provvedimento impugnato, senza che vi sia stata alcuna specifica contestazione ricorsuale sulla loro intrinseca esattezza. 9.5.3b - Altrettanto privo di rilievo risulta il riferimento, contenuto solo in calce al foglio utilizzato per i prospetti di calcolo, a una non meglio individuabile "perizia giurata": quest'ultima, menzionata incidentalmente solo nei citati prospetti, non si trova difatti richiamata in alcun atto ufficiale e formale del procedimento, né tanto meno nell'atto gravato. Né sono state richiamate le sue risultanze, che non hanno, pertanto, in alcun modo influito sul contenuto delle determinazioni finali. E del resto la ricorrente non ha svolto contestazioni specifiche sul punto, essendosi limitata, anche in sede di discussione all'udienza pubblica, a lamentare soltanto la mancata ostensione del relativo documento. Il Collegio è pertanto dell'avviso che il richiamo alla citata "perizia", operato nel contesto di appunti di lavoro meramente provvisori e preparatori, possa essere plausibilmente qualificato come un refuso, o, al più, come un'approssimativa formula espressiva intesa a richiamare null'altro che la perizia giurata allegata all'istanza della stessa ricorrente. In tal senso può interpretarsi la formulazione "come da perizia giurata che si allega alla presente", inserita in calce a un documento, per espressa ammissione della stessa ricorrente, non datato, firmato né indirizzato a nessuno, all'interno di un periodo carente, per giunta, anche di un senso compiuto. 9.5.3c - Ma soprattutto il rilievo annesso dal provvedimento gravato alle risultanze del confronto fra il volume dei documenti fiscali (cfr. "CONSIDERATO" a pag. 2) ben si comprende, tenuto conto che esse hanno integrato il principale elemento oggettivo idoneo a confutare per tabulas la fondatezza dell'argomento volto a valorizzare la posizione, in tesi, strategica del Gr. Ca. Cr.. Difatti dette risultanze, basate su un metodo matematico e non confutate dalla ricorrente, hanno dimostrato in modo obiettivo e incontrovertibile, che: i) l'esercizio della società ricorrente, a dispetto della sua posizione indubbiamente centrale, ha fatto registrare nel periodo considerato un numero di clienti minore rispetto a quello degli altri operatori contigui; ii) conseguentemente, l'espansione dell'offerta di tabacchi non è risultata, neppure sotto l'aspetto del volume della potenziale clientela, giustificata. Tale tassello valutativo ha quindi contribuito insieme agli altri a comporre un quadro univoco e unitario di assenza degli elementi richiesti dall'art. 7, comma 3 d. m. 38/2013 per l'istituzione del patentino. 10 - In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti sulla base di quanto fin qui illustrato. Sussistono, tuttavia, giuste ed eccezionali ragioni, connesse alla peculiarità della controversia e al carattere discrezionale del provvedimento in discussione, tali da giustificare la compensazione delle spese legali fra le parti nella misura della metà e la liquidazione solo della metà residua secondo la regola della soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, integrato da motivi aggiunti, lo respinge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell'Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata, nonché del Ministero dell'Economia e Finanze, di metà delle spese di lite, liquidata nella misura complessiva di euro 1.200,00, oltre ad oneri come per legge; compensa le spese tra le parti per la metà residua. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Francesco Avino - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 80 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Ve. 3 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato An. St. Da., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Regione Molise, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale; Ministero della Transizione Ecologica, in persona del Ministro pro tempore; Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del Ministro pro tempore; tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Campobasso, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del Molise, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; nei confronti So. En. Se. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: -della nota del Direttore del Servizio Programmazione Politiche Energetiche della Regione Molise, assunta al prot. n. 9642/2022 del 19.1.2022, con la quale è stata comunicata alla ricorrente l'impossibilità di avviare il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica da essa richiesta ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003; -di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, ivi compresa: --la Delibera di Giunta Regionale n. 621/2011, recante "Linee Guida per lo svolgimento del procedimento unico di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 per l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio della Regione Molise"; e per la condanna dell'Amministrazione competente ad avviare e successivamente concludere il procedimento avviato sull'istanza della ricorrente; per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati il 13/6/2022: -della nota della Regione Molise assunta al prot. n. 80612 del 5.5.2022, con la quale è stata ribadita l'improcedibilità dell'istanza di rilascio dell'autorizzazione unica presentata dalla società ricorrente; -del Piano Energetico Regionale approvato con d.C.R. n. 133/2017. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2022 il dott. Francesco Avino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la società Ve. 3 s.r.l. (di seguito anche "Ve."), società attiva nel settore degli impianti fotovoltaici, è insorta contro gli atti e i comportamenti con cui la Regione Molise non le ha consentito la realizzazione e l'esercizio di un impianto agro-voltaico di potenza pari a circa 12 MW nei Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis). In sostanza, la società Ve. ha agito in giudizio per conseguire: - l'annullamento della nota del 19 gennaio 2022, con cui la Regione Molise ha comunicato, in riscontro all'istanza di autorizzazione unica da essa presentata ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, l'impossibilità di avviare il procedimento ai sensi dell'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009; - la condanna della Regione ad avviare e successivamente concludere il procedimento medesimo. 2. Ve. ha illustrato le vicende già intercorse rappresentando, in sintesi, che: - con domanda del 28 dicembre 2021 essa ha presentato, presso il Ministero della Transizione Ecologica, l'istanza di valutazione di impatto ambientale del progetto di costruzione ed esercizio di un impianto agro-voltaico; -successivamente, con istanza del 10 gennaio 2022, essa ricorrente ha chiesto altresì il rilascio dell'autorizzazione unica ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003; - a seguito del deposito di questa seconda istanza la Regione Molise ha adottato il provvedimento del 19 gennaio 2022 con cui ha comunicato che "allo stato non è possibile dare esecuzione all'avvio del procedimento atteso che la domanda di installazione di impianti fotovoltaici a terra è superiore alla soglia dei 500 MW": secondo l'Amministrazione, infatti, le istanze pervenute nella sola annata 2020 riguarderebbero richieste d'installazione di impianti per un totale di 525,704 MW, come tali superiori alla potenza nominale complessiva di 500 MW fissata dall'art. 3, comma 2°, della L.R. n. 22/2009 quale limite massimo per l'installazione di impianti fotovoltaici direttamente ancorati al terreno (ossia non "integrati"). 3. Con il proprio ricorso Ve., in sintesi, ha quindi dedotto: - con il primo motivo, l'inapplicabilità della normativa richiamata dalla Regione, venendo in rilievo un impianto agro-voltaico; - con il secondo mezzo, l'illegittimità del provvedimento impugnato in ragione dell'inapplicabilità della norma regionale che avrebbe dovuto fondarlo, stante il mancato raggiungimento della soglia di 500 MW mediante impianti effettivamente installati; - con il terzo motivo, la violazione dei principi, generali e speciali, in materia di semplificazione del procedimento amministrativo; - con il quarto, l'illegittimità costituzionale della norma regionale presupposta e in tesi applicata dal provvedimento (l'art. 3, comma 2°, della legge reg. Molise n. 22/2009), incompatibile anche con il diritto eurounitario; - con il quinto e ultimo motivo, l'illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui ha rilevato una presunta carenza documentale addebitabile alla società Ve.. 4. La Regione Molise, i Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico si sono costituiti in giudizio in resistenza al ricorso contestandone la fondatezza. 5. All'esito della camera di consiglio del 20 aprile 2022 il Tribunale, in accoglimento dell'istanza di parte ricorrente, ha disposto l'abbinamento dell'istanza cautelare al merito, contestualmente fissato per l'udienza pubblica del 19 ottobre 2022. 6. Successivamente la Regione Molise, con nota del 5 maggio 2022, ha reiterato la declaratoria dell'impossibilità di avvio e prosecuzione/improcedibilità del procedimento, ribadendo i medesimi dati dell'attuale potenza impegnata per effetto degli impianti fotovoltaici già installati (pari a 111,131 MW), nonché di quella virtualmente concedibile in relazione alle domande di autorizzazione via via presentate (per una potenza di 525,704 MW). La nota ha richiamato anche la pianificazione energetica ambientale regionale. In pari tempo, la ricorrente è stata invitata a manifestare il proprio eventuale interesse a mantenere la posizione della propria istanza secondo l'ordine cronologico di presentazione delle domande pervenute nel tempo. 7. Con comunicazione del 23 maggio 2022 la Ve., riservandosi di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, ha ribadito di avere ancora interesse al procedimento autorizzativo. 8. È seguita la proposizione di un atto di motivi aggiunti con il quale la società ha impugnato anche la nuova nota della Regione, deducendo motivi di illegittimità tanto in via autonoma quanto in via derivata (attraverso il richiamo dei motivi a base del ricorso originario). 9. Nell'approssimarsi dell'udienza pubblica del 19.10.2022 le parti hanno dimesso ulteriori scritti difensivi a miglior evidenza delle rispettive conclusioni. La Regione, in particolare, ha formulato anche un'eccezione di improcedibilità dell'impugnativa proprio in conseguenza dell'avvenuta adozione della nota del 5 maggio 2022. 10. Alla detta udienza pubblica l'Avvocatura dello Stato ha poi chiesto un rinvio della trattazione della controversia, adducendo che in vicende similari l'Amministrazione regionale avrebbe spontaneamente riattivato l'istruttoria prodromica alla valutazione dei progetti di impianti da fonte rinnovabile, quali quello della ricorrente, e questo farebbe pensare ad un trattamento ana anche per il procedimento oggetto della controversia in esame. Indi la causa è stata trattenuta in decisione. 11. Preliminarmente il Tribunale ritiene di dover disattendere la richiesta di rinvio formulata all'odierna udienza dal patrocinio dell'Amministrazione. Quest'ultima non ha offerto elementi concreti, né documentati riscontri, della (solo) riferita intenzione della Regione di procedere alla riapertura dell'istruttoria relativa al progetto della ricorrente, nel più ampio contesto di una riattivazione generalizzata dei procedimenti di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabile. Il riferito proposito regionale è rimasto, in altre parole, allo stato di una mera allegazione generica quanto astratta. Sicché, stante il tenore dell'art. 73, comma 1 bis, del cod.proc.amm. (di recente introdotto in fase di attuazione del c.d. "P.N.R.R."), che consente di concedere il rinvio d'udienza nella sola sussistenza di eventi eccezionali, e poiché nel caso di specie questi non sono sussistenti, il Collegio non può che ribadire la regola della decisione della causa all'udienza all'uopo fissata, regola che deve prevalere sull'eccezione costituita dal suo rinvio. 12. Sempre in via preliminare, il Collegio deve disporre d'ufficio l'estromissione dal giudizio dei Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico, nonché dell'A.R.P.A. Molise, soggetti tutti carenti di legittimazione passiva in quanto l'impugnativa che li ha evocati in giudizio si rivolge esclusivamente avverso atti e/o comportamenti a loro estranei. 13. Ancora in via preliminare il Collegio deve rilevare l'inammissibilità dei motivi aggiunti, tesi a censurare il provvedimento del 5 maggio 2022 con cui la Regione ha ribadito l'improcedibilità dell'istanza della soc. Ve. di rilascio dell'autorizzazione unica. La stessa ricorrente ha affermato di nutrire dei dubbi sulla effettiva impugnabilità del nuovo atto regionale, a suo dire assunto unicamente in un'ottica di aggravio degli oneri processuali del privato, nel caso di specie dalla società assolti per mero scrupolo difensivo. Anche a prescindere dalle intenzioni perseguite in concreto dall'Amministrazione, il Collegio osserva comunque che il confronto tra la nota impugnata mediante i motivi aggiunti e quella contestata con il gravame introduttivo non fa emergere nell'atto sopravvenuto elementi di novità tali da configurare una sua autonoma potenzialità lesiva. La nuova nota regionale, infatti, si fonda sui medesimi presupposti del provvedimento precedente già ritenuti ostativi alla procedibilità dell'istanza del privato, vale a dire la già attuale installazione di impianti per una potenza di 111,131 MW e la pendenza di istanze con ulteriori richieste di installazione complessivamente pari a 525,704MW. Sicché, in applicazione della stessa norma di legge già in precedenza richiamata in senso preclusivo alla realizzazione dell'impianto (ossia l'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009), l'Amministrazione regionale ha ribadito -sia pure nella forma semplificata dei provvedimenti consentita dall'art. 2, comma 1°, della l. n. 241/1990- che "allo stato attuale... non è possibile l'avvio e la prosecuzione del procedimento di cui all'oggetto". La nota da ultimo impugnata, non immutando l'oggetto del giudizio, ma assumendo connotati meramente confermativi del provvedimento di improcedibilità in precedenza adottato, non determinava quindi l'onere di una sua impugnativa. In senso contrario non rileva il formale elemento addizionale costituito dal richiamo, solo del tutto astratto e generico, al "Piano Energetico Ambientale Regionale, approvato con D.C.R. n. 133/ 2017, ("che" n. d.R.) nelle "Proposte di Linee Guida per il corretto inserimento degli impianti fotovoltaici in Molise" prevede, tra i vari punti, l'esclusione totale dell'installazione a terra di impianti fotovoltaici, salvo casi specifici quali aree abbandonate o dismesse (cave, discariche, ecc....)". Siffatto richiamo non ha difatti prodotto, nell'economia dell'atto, alcuna conseguenza concreta. E la Regione con la propria nota altro non ha fatto che confermare l'arresto procedimentale già disposto, precisando che allo stato la domanda di installazione di impianti già risulterebbe eccedente la c.d. "soglia di saturazione" di 500 MW. Ma chiarendo, al contempo, l'insussistenza di alcuna preclusione assoluta al riavvio del procedimento allorquando venga "liberata potenza di installazione alla soglia dei 500 MW per l'eventuale effetto del rigetto delle istanze": non a caso, a conferma del carattere temporaneo e relativo della preclusione, è stato richiesto al proponente di confermare il proprio interesse a mantenere la posizione dell'istanza in base all'ordine cronologico di presentazione. Anche sotto questo aspetto il provvedimento sopravvenuto non assume perciò caratteri di novità e lesività tali da far sorge l'onere della sua impugnativa. Non può dunque condividersi l'assunto della resistente che la nota del 5 maggio 2022 da ultimo intervenuta avrebbe comportato la improcedibilità sopravvenuta del gravame. Questa interpretazione si scontra, invero, con l'effettivo contenuto sostanziale dei due atti oggetto di impugnativa. Entrambi, come s'è detto, non hanno affatto definito il procedimento promosso dalla ricorrente, limitandosi a disporre una sorta di "moratoria" nell'esame della domanda del privato, ritenendo che non fosse possibile l'avvio e la conclusione del relativo procedimento. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti sotto il profilo della carenza d'interesse all'annullamento dell'atto che ne forma oggetto, che, in quanto meramente confermativo dell'arresto procedimentale già in precedenza disposto con il provvedimento contestato in fase introduttiva, integra un atto privo di attuale lesività per la società ricorrente. 14. Venendo all'esame di merito dei motivi del ricorso introduttivo, tale impugnativa va senz'altro accolta nei sensi delle considerazioni appresso illustrate. 15. Con il primo motivo di ricorso la soc. Ve. ha dedotto che la soglia di potenza complessiva contenuta nell'art. 3 della L.R. n. 22/2009 (500 MW) non si applicherebbe agli impianti agro-voltaici. Secondo la ricorrente, l'esigenza sottesa alla previsione regionale posta a fondamento del provvedimento (il fine di evitare il consumo di suolo agricolo per effetto dell'installazione di impianti fotovoltaici) nel caso di specie non ricorrerebbe, essendo soddisfatta in partenza dal carattere particolarmente innovativo della tipologia progettuale predisposta dalla società . La tesi non può essere condivisa. L'art. 3 della L.R. Molise n. 22/2009, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva infatti che dal rispetto del limite di potenza complessiva (500 MW) autorizzabile nel territorio della Regione Molise fossero esclusi unicamente: - "gli impianti di piccola generazione e di microgenerazione" (comma 4° ); - "gli impianti fotovoltaici integrati o sovrapposti agli organismi architettonici esistenti o da realizzare" (comma 5° ); - "gli impianti cosiddetti "minieolico" con potenza massima di 35 Kw e pali aventi un'altezza massima di 20 metri installati da aziende agricole singole o associate e da aziende produttive ricadenti in aree artigianali o industriali" (comma 6° ). Orbene, la ricorrente non ha dimostrato che l'impianto che si prefigge di installare nei Comuni di (omissis), (omissis) e (omissis) rientri in una di queste fattispecie normative, che, costituendo delle deroghe al limite di potenza fissato dal comma 2°, sono come tali di stretta interpretazione. Dalla lettura dell'art. 3 della L.R. Molise n. 22/2009, appena citato, emerge, d'altra parte, che alcuna deroga all'applicazione della soglia di potenza in discorso è prevista per la realizzazione degli impianti agro-voltaici. Vale poi aggiungere che la soc. Ve. argomenta l'asserita inapplicabilità del limite di cui all'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009 avvalendosi di un'esegesi (a suo dire) "teleologica" della normativa al tempo vigente, presupponendo, cioè, che la sua ratio risieda nell'intento di limitare la sottrazione del suolo all'attività agricola, e sostenendo che la relativa esigenza non sarebbe ravvisabile nella fattispecie concreta (impianto agro-voltaico), per avere il proprio progetto l'obiettivo di garantire un'integrazione tra l'attività di produzione di energia green e l'attività agricola. Tale affermazione, però, oltre a contrastare con il testo del citato 6° comma dell'art. 3 della L.R. n. 22/2009, sembra risolversi nella tipica fallacia ad ignorantiam, assumendo per vero il fatto, tuttavia indimostrato, che la realizzazione di impianti fotovoltaici in zona agricola non comporterebbe comunque un consumo di suolo. Il Collegio non ignora poi che, per effetto della sopraggiunta L.R. Molise 24 maggio 2022 n. 8, e a decorrere dal 26 maggio 2022, l'art. 3 della L.R. n. 22/2009 è stato novellato con particolare riferimento al suo 4° comma, che così oggi dispone: "Al fine della sostenibilità sociale ed economica degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, missione M2C "Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile" (M2C2M1) sono esclusi dalle limitazioni di cui al comma 2 gli impianti di piccola generazione e di microgenerazione, gli impianti destinati ad autoconsumo e a comunità energetiche rinnovabili, gli impianti flottanti, gli impianti realizzati a terra in aree abbandonate o dismesse, nelle aree industriali, nelle aree idonee all'installazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, gli impianti agrovoltaici". Questa modifica normativa, nella parte in cui ha introdotto una nuova deroga alla soglia limite dei 500 MW per tutti gli impianti agro-voltaici, lungi dal confermare la tesi della ricorrente, ne costituisce una logica smentita, alla luce del canone esegetico espresso dal brocardo "ubi lex noluit tacuit": l'avere il Legislatore introdotto tale ulteriore espressa eccezione alla soglia complessiva di potenza più volte citata è, invero, segno inequivoco del fatto che la normativa precedente (e qui applicabile ratione temporis) non consentiva ex se di derogare alla soglia di saturazione dei 500 MW in ragione del carattere agro-voltaico dell'impianto. Il primo motivo di ricorso è dunque infondato. 16. Meritevole di positiva considerazione risulta invece il secondo mezzo, con cui la Ve. ha lamentato l'illegittimità della "moratoria" disposta dalla Regione sulla sua domanda di installazione dell'impianto fotovoltaico, deducendo che il Servizio Energia aveva erroneamente interpretato la legislazione regionale vigente, e segnatamente l'art. 3 della L.R. Molise n. 22/2009. Secondo la tesi della ricorrente la più volte citata soglia dei 500 MW potrebbe dirsi raggiunta non già dal momento della semplice presentazione delle istanze da parte dei diversi operatori del settore, ma soltanto una volta che, nel territorio regionale, siano effettivamente autorizzati e installati impianti fotovoltaici a terra per una potenza pari al suddetto limite di 500 MW. Da qui, allora, la necessità di avviare e concludere il procedimento in esame con un provvedimento espresso, atteso che, come emerge dallo stesso provvedimento contestato in giudizio, in Molise, allo stato, risultano installati impianti del tipo considerato per una potenza complessiva di soli 111,131 MW. La censura, come già anticipato, merita adesione. 16.1. Innanzitutto va però disattesa l'eccezione dell'Amministrazione regionale di inammissibilità del motivo in discorso per la mancata evocazione in giudizio, quali controinteressati, di tutte le società proponenti domande di installazione di impianti collocantisi in posizione poziore rispetto a quella dell'odierna ricorrente. L'eccezione muove da presupposti erronei. L'Amministrazione regionale sembra infatti configurare l'esistenza di una sorta di graduatoria dei progetti in attesa di esame, a fronte della quale si staglierebbe l'interesse oppositivo dei primi proponenti a conservare la propria posizione pur di mera attesa, contrastando l'azione di coloro che, in posizione deteriore (come la ricorrente), con la loro impugnativa potrebbero in ipotesi scalfirne l'utilità . Nel caso all'attenzione del Collegio, tuttavia, come ricordato dalla stessa Regione, le iniziative delle altre proponenti non sono state ancora esaminate nel merito, e la disciplina di settore che governa lo svolgimento del procedimento amministrativo di autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti de quibus non consente ancora di individuare graduatorie dei progetti delle ditte proponenti. Depone chiaramente in tal senso l'art. 14.3. delle "Linee guida regionali per lo svolgimento del procedimento unico di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 per l'autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili sul territorio della Regione Molise", approvate con DGR n. 621/2011, che si limita a disporre che "il procedimento viene avviato sulla base dell'ordine cronologico di presentazione delle istanze di autorizzazione, tenendo conto della data in cui queste sono considerate procedibili ai sensi delle leggi nazionali e regionali in materia di energia". La previsione normativa dianzi citata, dunque, nel disciplinare unicamente le modalità di avvio del procedimento, afferma semplicemente che l'esame delle domande via via pervenute deve avvenire secondo l'ordine cronologico della loro presentazione, senza porre tuttavia espresse limitazioni all'avvio e/o, comunque, alla procedibilità di alcuna istanza in base alla sua "anzianità " di protocollo. È dunque erroneo il presupposto da cui muove l'Amministrazione, atteso che in fase di avvio del procedimento ad iniziativa di parte non è consentita alcuna distinzione tra progetti già collocabili in posizione utile e quelli privi di tali caratteri. Una volta ricordato che il provvedimento regionale investito dal ricorso introduttivo si è limitato a dar conto dell'elenco delle iniziative secondo l'ordine di rispettiva presentazione, quel che va rimarcato ai fini in discorso è soprattutto il punto che la presente impugnativa non mira certo a disconoscere, né tantomeno capovolgere, il criterio cronologico di processamento delle domande fissato dal citato art. 14.3. delle Linee Guida regionali. Il ricorso è piuttosto teso a compulsare l'Amministrazione al fattivo esercizio del potere di avvio e trattazione del procedimento, alla ricorrente aprioristicamente negato, restando impregiudicate le sorti sostanziali dei rispettivi progetti (da valutarsi in base ad elementi eterogenei, anche al di là di quello meramente temporale). In conclusione, il Collegio ritiene che, nell'insussistenza di posizioni di controinteresse -tanto formale quanto sostanziale- all'accoglimento del ricorso, quest'ultimo sia stato correttamente notificato ai suoi legittimi contraddittori. Donde il rigetto dell'eccezione. 16.2. Il secondo motivo, oltre che ammissibile, è meritevole di accoglimento. Nessuna disposizione del vigente ordinamento (tanto nazionale quanto regionale) prevede la possibilità di dichiarare improcedibili le istanze di rilascio dell'autorizzazione unica di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 e/o, comunque, di sospendere il corso del procedimento così attivato dal privato, quando non sia ancora raggiunta la quota di potenza massima installabile nell'intero territorio regionale. 16.3. Occorre in proposito muovere dal dato normativo, e, segnatamente, dal tenore dell'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009, invocato dall'Amministrazione a sostegno della propria declaratoria di improcedibilità della domanda della soc. Ve.. La norma citata dispone: "È consentita l'installazione di impianti fotovoltaici a terra fino al raggiungimento della potenza complessiva, sull'intero territorio regionale, di 500 MW". La previsione ha un chiaro contenuto permissivo ("è consentita"), che appare del tutto in linea con la natura di "pubblica utilità " delle opere (comprese le relative infrastrutture) necessarie per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili (art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003). L'articolo in esame, se letto "in positivo", conferma dunque in capo all'Amministrazione la titolarità di un potere tipico, espressione della funzione autorizzatoria, in grado di tradursi nell'adozione di un atto "nominato" (l'autorizzazione unica) che, in tanto assume connotati di piena legittimità alla stregua della norma in esame, in quanto sia rispettato il limite quantitativo di potenza corrispondente alla fatidica soglia dei 500 MW. Il punto è, però, che tale valore-limite di potenza complessivamente consentita sull'intero territorio regionale va rapportato, come risulta dal testo della norma, agli impianti effettivamente "installati", ossia alla potenza sino ad allora effettivamente impegnata a seguito della messa in esercizio dei progetti già favorevolmente esaminati. In questo senso il paradigma normativo non offre elementi di ambiguità, essendo del tutto chiaro il fatto che è consentita l'installazione di impianti fotovoltaici fintanto che non sia "raggiunta" la potenza nominale complessivamente indicata dal Legislatore regionale. Questa premessa interpretativa rende subito evidente che l'Amministrazione ha mal governato l'esercizio del potere autorizzatorio, in violazione della normativa regionale di riferimento. La declaratoria d'improcedibilità dell'istanza del privato è infatti intervenuta nonostante il fatto che la suddetta soglia di 500 MW non fosse stata affatto raggiunta. Il provvedimento impugnato pone in evidenza le circostanze che "alla data del 31/12/2018 risultavano regolarmente installati e in esercizio impianti fotovoltaici a terra per una potenza complessiva di 109,059 MW, dal 31/12/2018 sono stati autorizzati e con regolare comunicazione di inizio e fine lavori, impianti fotovoltaici per una potenza complessiva di 2,07206 MW Allo stato pertanto risultano installati impianti fotovoltaici a terra per una potenza complessiva di 111,131 MW". Coglie dunque nel segno la seconda censura del ricorso in esame, nella parte in cui ha dedotto l'inoperatività del limite contenuto nel comma 2° dell'art. 3 della L.R. Molise n. 22/2009 facendo notare come, nella fattispecie in esame, prima del "raggiungimento della soglia di saturazione restano autorizzabili ulteriori 388,869 MW" (cfr. in tal senso lo stesso provvedimento oggetto di gravame). E d'altra parte è la stessa Amministrazione regionale ad attestare, nel corpo del provvedimento appena citato, che dal 31 dicembre 2018 sono stati autorizzati impianti fotovoltaici per una potenza complessiva di poco più di 2 MW; dunque anche il dato storico non consentiva di arrestare la procedura nemmeno nell'ottica previsionale di un possibile, imminente, raggiungimento della soglia. Ma soprattutto assume rilevanza la considerazione che anche a distanza di alcuni anni tale dato è poi rimasto invariato, come evidenzia la nota del 5 maggio 2022 avversata con i motivi aggiunti, in cui si continua a rappresentare che "dal 31/12/2018 sono stati autorizzati e con regolare comunicazione di inizio e fine lavori, impianti fotovoltaici per una potenza complessiva di 2,07206 MW". Ciò significa che nell'arco di circa quattro anni (dal dicembre 2018 al maggio 2022) non si è registrato alcun sostanziale progresso nei MW effettivamente autorizzati. 16.4. Le ragioni di impedimento alla procedibilità dell'istanza della soc. Ve. rappresentate dalla Regione non possono, pertanto, essere condivise. 16.4a. L'Amministrazione ha allegato di aver agito nel rispetto del già citato art. 14.3. delle Linee Guida regionali approvate con DGR n. 621/2011, norma che a suo dire non avrebbe reso possibile dare avvio al procedimento autorizzatorio, "atteso che la domanda di installazione di impianti fotovoltaici a terra è superiore alla soglia dei 500 MW, prevista dalla norma regionale". Il Collegio ha tuttavia poco sopra già osservato (paragr. 16.1), sia pure ad altri fini, che la previsione delle Linee Guida si limita a stabilire le modalità di avvio dei procedimenti sulla base delle domande presentate dai privati fissando il criterio "dell'ordine cronologico di presentazione delle istanze di autorizzazione", senza quindi spingersi affatto a legittimare il mancato esercizio del potere amministrativo (ossia un arresto procedimentale a priori) a detrimento dell'istanza cronologicamente successiva, fino al definitivo esame di quelle protocollate in precedenza. In questo senso depongono, del resto, tanto le già citate Linee Guida regionali quanto quelle nazionali (cfr. d.m. 10 settembre 2010), che, sempre in relazione al procedimento di autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, hanno dato corpo al dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso (cfr. art. 2 della l. n. 241/1990; art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003), sancendo, tra l'altro, il preciso principio per cui (art. 14.5.): "Il superamento di eventuali limitazioni di tipo programmatico contenute nel Piano Energetico regionale o delle quote minime di incremento dell'energia elettrica da fonti rinnovabili ripartite ai sensi dell'articolo 8-bis del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13 non preclude l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento ai sensi del paragrafo 1". A differenza di quanto assume la difesa della Regione, dunque, la previsione di cui al citato art. 14.3. delle Linee Guida Regionali, da sola e/o unitamente all'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009, non autorizza a considerare "impegnata", né tantomeno "prenotata" e/o "astrattamente assorbita", la potenza che abbia costituito mero oggetto della relativa domanda di installazione, ma unicamente consente (rectius impone) l'avvio dei procedimenti in questione seguendo l'ordine di presentazione della relativa istanza. 16.4b. A giustificazione della moratoria disposta dalla Regione non è utilmente invocabile nemmeno l'art. 14.8-bis delle citate Linee Guida Regionali, che secondo la tesi dell'Amministrazione imporrebbe di ritenere la verifica della procedibilità pregiudiziale rispetto all'avvio delle procedure di valutazione ambientale. La norma non riguarda direttamente il procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica all'installazione ed esercizio dell'impianto, ma rileva al più per le istanze successive e/o comunque ulteriori (di screening VIA e/o di valutazione di incidenza). Essa, inoltre, prevede semplicemente che: "La procedura di verifica ambientale sarà effettuata in ordine cronologico dal Servizio competente a seguito della verifica di procedibilità di cui ai commi precedenti", e pertanto ribadisce che anche ai fini dei procedimenti ambientali rileva il già illustrato criterio cronologico. E il riferimento alla "procedibilità ", correttamente contestualizzato in relazione "ai commi precedenti", rimanda alla verifica della sussistenza dei requisiti formali della domanda, quale (uno su tutti) l'utilizzazione della documentazione imposta dalla normativa di settore (cfr. art. 14.2 delle citate Linee Guida regionali). Anche sotto quest'aspetto le tesi dell'Amministrazione non risultano dunque conducenti. 16.5. Per le considerazioni sin qui complessivamente esposte il secondo motivo del ricorso va pertanto accolto con riferimento alla dedotta violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 2°, della L.R. n. 22/2009. 17. È fondato e va accolto anche il terzo mezzo d'impugnazione, teso a contestare l'arresto procedimentale sotto il profilo della violazione e falsa applicazione tanto della normativa generale (art. 2 della L. n. 241/1990) quanto di quella speciale (art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003), convergenti nel delineare l'obbligo della pubblica Amministrazione di concludere il procedimento con un provvedimento espresso nei termini all'uopo previsti. 17.1. Dall'analisi del contenuto del provvedimento in contestazione emerge, infatti, che la Regione Molise: - ha ritenuto che "allo stato non è possibile dare esecuzione all'avvio del procedimento atteso che la domanda di installazione di impianti fotovoltaici a terra è superiore alla soglia dei 500 MW"; - si è comunque riservata "di comunicare l'avvio del procedimento... alla conclusione dei precedenti procedimenti nella misura in cui viene liberata potenza di installazione alla soglia dei 500 MW per effetto del rigetto delle istanze". 17.2. Così facendo l'Amministrazione ha nei fatti posto in quiescenza il procedimento attivato dalla ricorrente, senza tuttavia essere a ciò legittimata da alcuna previsione normativa, e -cosa ancor peggiore- rendendo del tutto incerto e indefinito il "tempo" dell'azione amministrativa. 17.3. È stato in proposito già chiarito che né l'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009, né tantomeno le Linee Guida nazionali e/o regionali, autorizzano l'arresto (rectius il mancato avvio) del procedimento nella mera previsione di un futuro (e, peraltro, solo del tutto teorico ed eventuale) raggiungimento della soglia di potenza prefissata dalla norma regionale. Sicché il provvedimento impugnato ha in sostanza imposto al procedimento amministrativo un esito (l'arresto e/o archiviazione a tempo indeterminato) confliggente con il principio di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi. 17.4. Nel senso della fondatezza delle censure mosse dalla ricorrente depone però, a livello generale, anche l'art. 2 della L. n. 241/1990. 17.4a. La norma, nel porre in capo alla pubblica Amministrazione il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, logicamente esclude che l'Amministrazione possa sottrarsi all'adempimento di tale obbligo utilizzando, a monte, l'espediente del mancato avvio del procedimento attivato dal privato. Ciò infatti configurerebbe -e integra nel caso di specie- un mancato esercizio dei poteri espressamente previsti dalla legge (ossia dall'art. 3, comma 2°, della L.R. Molise n. 22/2009 e dall'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003) per il perseguimento dell'interesse pubblico. E configura, altresì, una violazione della legittima aspettativa del privato a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni assunte dall'Amministrazione: secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, il dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso si attualizza, infatti, anche ogniqualvolta ragioni di giustizia ed equità impongano l'adozione di un provvedimento espresso e diretto -in tempi certi e predeterminati- a indicare in modo trasparente la decisione assunta (cfr. ex plurimis Cons. St. n. 5347/2012; id., n. 3487/2010; T.A.R. Campania, n. 828/2022; T.A.R. Lazio, n. 12585/2018; T.A.R. Molise, n. 285/2012). A conferma di tanto può pure essere richiamata anche la recente novella legislativa apportata all'art. 2 della L. n. 241/1990, che, imponendo il fattivo riscontro dell'istanza del privato anche qualora essa (in ipotesi) non fosse accoglibile, o apparisse manifestamente infondata, conferma che l'Amministrazione non può sottrarsi all'enunciare il risultato finale dell'esercizio della funzione amministrativa. La Regione Molise ha dunque operato in senso contrario ai principi sin qui delineati, adottando un provvedimento di natura meramente interlocutoria che risulta -già per definizione- inidoneo a concludere il procedimento, e tuttavia, per il fatto di rinviare l'esame dell'istanza del privato a un accadimento futuro ed incerto, illegittimamente procrastina sine die la conclusione dell'iter di definizione della domanda autorizzatoria (sull'arresto procedimentale ingenerato dagli atti che rinviano sine die la conclusione del procedimento amministrativo cfr., ex multis, Cons. St. n. 6564/2018; id., n. 5983/2014; id., n. 4071/2013). 17.4b. Sotto una connessa angolatura, il provvedimento impugnato vì ola l'art. 2 della L. n. 241/1990 anche nella misura in cui determina effetti sospensivi sine die del procedimento in assenza di cause di sospensione e/o di interruzione del procedimento contemplate dalla normativa vigente. Si rammenta che l'art. 2, comma 2, della L. n. 241/1990 precostituisce un termine generale per la conclusione del procedimento amministrativo, fissato in 30 giorni. Nella sistematica dell'articolo, la fissazione di tale termine di durata massima del procedimento, ancorché non perentorio, assume finalità acceleratorie. E ciò porta a ritenere "tipiche" e di stretta interpretazione le cause di interruzione o sospensione del termine di conclusione del procedimento (cfr. in questo senso Cons. St., n. 6105/2013; T.A.R. Liguria, n. 91/2017). Il Collegio rileva pertanto l'assenza, nel caso di specie, di alcuna tipica ipotesi di sospensione dei termini del procedimento amministrativo, come pure la carenza, al contempo, nel provvedimento impugnato, dell'indicazione della specifica esigenza che in ipotesi avrebbe determinato la stasi procedimentale imposta dalla Regione. Al riguardo è del tutto inadeguato, invero, il riferimento alla prognosi di futuro superamento della soglia di potenza, atteso che l'Amministrazione, riferendosi alle "istanze" presentate dalle varie società, risulta(va) per tabulas non avere ancora esaminato nemmeno le richieste pervenute anteriormente a quella della ricorrente. 17.5. La legislazione speciale di settore conferma l'illegittimità della determinazione di mancato avvio del procedimento promosso dalla ricorrente. 17.5a. L'art. 12 del D.Lgs n. 387/2003, in tema di promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, prevede che: - "le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti, autorizzate (...), sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti"; - l'autorizzazione alla realizzazione degli impianti viene rilasciata (per intuibili ragioni di celerità e concentrazione delle fasi procedimentali) "a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni"; - "fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare, il termine massimo per la conclusione del procedimento unico non può essere superiore a novanta giorni". 17.5b. Dal testo della norma appena riportata emergono allora chiaramente i connotati di celerità, concentrazione, certezza dei tempi e delle forme che avrebbero dovuto caratterizzare anche lo svolgimento del procedimento in esame, e che, per converso, risultano contraddetti dalla decisione di rinviare sine die il corso del procedimento amministrativo. In proposito la giurisprudenza amministrativa non nutre dubbi sul fatto che: "l'Amministrazione, ai sensi dell'art. 2, L. 7 agosto 1990 n. 241 e dell'art. 12, D.Lgs. 23 dicembre 2003 n. 387, ha il dovere di concludere il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione unica per la realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte eolica con un provvedimento espresso e motivato nel termine prescritto dalla legge. L'adozione del provvedimento finale è l'oggetto di un preciso obbligo di provvedere gravante sull'Amministrazione" (cfr. Cons. St., n. 4566/2014). E la giurisprudenza costituzionale concorda nel ritenere che l'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 costituisca un principio fondamentale della legislazione dello Stato, in attuazione delle direttive euro-unitarie che manifestano un favor per le fonti energetiche rinnovabili, ponendo le condizioni per una adeguata diffusione dei relativi impianti (cfr., ex plurimis, Corte Cost., n. 106/2020). Detta giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto che il sistema delineato nel suddetto art. 12 è espressivo di una norma fondamentale di principio nella materia "energia", vincolante anche per le Regioni a statuto speciale, che costituisce un punto di equilibrio rispettoso di tutte le competenze, statali e regionali (cfr., Corte Cost., n. 275/2011 e n. 224/2012). 17.5c. Alla luce delle coordinate esegetiche sin qui rappresentate, il Collegio può dunque senz'altro concludere nel senso che il provvedimento impugnato si pone in contrasto anche con l'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, nella parte in cui questo, proprio per le ridette finalità semplificatorie e acceleratorie, non prevede sospensioni e/o dilazioni dei termini del procedimento se non nei casi previsti dalla legge, nella fattispecie insussistenti. Il contrasto con i contenuti dell'articolo sussiste altresì sotto l'aspetto della tempistica relativa all'intera scansione procedimentale dettata dal citato art. 12, atteso che l'arresto imposto al procedimento si è tradotto, nei fatti, nel mancato rispetto dei termini massimi di conclusione della procedura ivi stabiliti, dei quali la giurisprudenza ha da subito chiarito la valenza essenziale (cfr. ex multis C. Cost. n. 228/2009; id., n. 364/2006; Cons St., n. 4473/2013; id., n. 2634/2013; id., nn. 5413 e 5895/2012; T.A.R. Molise, n. 294/2021; id., n. 20/2007). Anche il terzo mezzo merita quindi adesione. 18. L'accoglimento del secondo e del terzo motivo di gravame, già satisfattivo della pretesa annullatoria della ricorrente, esime il Collegio dall'esaminare la quarta censura, dedotta del resto solo in via subordinata al mancato accoglimento delle prime due, e con la quale è stata prospettata una questione di compatibilità della norma regionale (cit. art. 3 della L.R. n. 22/2009) sia rispetto alle previsioni costituzionali, e sia con riguardo a quelle euro-unitarie. Può altresì rimanere assorbito il quinto mezzo, con il quale la ricorrente, invero per mero scrupolo difensivo, ha contestato il provvedimento in epigrafe anche nella parte in cui questo ha ravvisato, senza tuttavia addurre in proposito ulteriori ragioni di improcedibilità dell'istanza, delle presunte carenze documentali di quest'ultima (peraltro, in ogni caso subito sanate da Verde 3, secondo quanto si desume dalle pagg. 19 e 20 del ricorso). L'Amministrazione, infatti, dovrà immancabilmente avviare il procedimento e concluderlo con un provvedimento espresso all'esito dell'esame dell'istanza della ricorrente a suo tempo presentata, concedendo eventualmente al privato un termine per integrare la documentazione ritenuta effettivamente mancante: la stessa difesa erariale ha richiamato in proposito (cfr. pag. 8, memoria del 15.4.2022) le Linee Guida di cui alla d.G.R. n. 621/2011, il cui art. 14.10. fissa un termine di 30 gg. per le eventuali integrazioni documentali. 19. In conclusione, il ricorso introduttivo va accolto nei sensi e limiti di cui in motivazione. Per l'effetto dev'essere annullato il provvedimento regionale prot. n. 9642 del 19 gennaio 2022, con la conseguenza che la Regione Molise dovrà procedere senza indugio a convocare la conferenza dei servizi ai sensi dell'art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 per l'esame della domanda della ricorrente. I motivi aggiunti vanno, invece, dichiarati inammissibili per difetto di interesse ad agire, in quanto avversativi di un atto, la nota regionale prot. 80612 del 5 maggio 2022, qualificabile come meramente confermativo del provvedimento del 19 gennaio 2022. 20. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei rapporti con la Regione Molise; esse vengono invece compensate sia nei confronti dell'A.R.P.A. Molise che dei Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così provvede: 1) estromette dal giudizio per difetto di legittimazione passiva i Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico, nonché l'A.R.P.A. Molise; 2) accoglie il ricorso introduttivo nei sensi e limiti di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla il provvedimento regionale prot. n. 9642 del 19 gennaio 2022; 3) dichiara l'inammissibilità dell'atto di motivi aggiunti; 4) condanna la Regione Molise al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge qualora dovuti e oltre al rimborso del contributo unificato; compensa le spese legali nei confronti dei Ministeri della Transizione Ecologica e dello Sviluppo Economico e dell'ARPA Molise. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario Francesco Avino - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex artt. 60 e 120, comma 6 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 277 del 2022, proposto dalla Co. soc. coop., in proprio e quale capogruppo mandataria del costituendo RTI con la EM. It. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Vi. Ag., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gi. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Gi. Pi. in Roma, via (…); per l'annullamento - della D.G.C. del Comune di (omissis) n. 193 del 21 luglio 2022, nonché di ogni atto ad essa presupposto o antecedente tra cui, ove occorra, la nota del RUP n. 38407 del 17 giugno 2022 e l'allegato report di aggiornamento del 9 giugno 2022; - della comunicazione di avvio del procedimento del Comune di (omissis) n. 52911 del 23 agosto 2022; - della determinazione dirigenziale comunale n.1879 dell'8 settembre 2022, avente a oggetto la "Determinazione Dirigenziale n. 1505 del 21.08.2018 e relativi atti connessi e consequenziali - Provvedimenti" e relativa nota PEC di trasmissione; ed altresì per l'accoglimento - della domanda di risarcimento in forma specifica volta a conseguire la conclusione della procedura di project financing per l'ampliamento del cimitero comunale di (omissis), nonché la sottoscrizione della relativa convenzione; - in via subordinata, per la condanna del Comune di (omissis) al risarcimento, anche a titolo di responsabilità precontrattuale, per danni patiti dalla ricorrente in conseguenza della D.G.C. n. 193 del 21 luglio 2022 e della determinazione dirigenziale del Settore LL. PP. n.1879 dell'8 settembre 2022, e, più in generale, dalla condotta tenuta dal Comune; - nonché, in ulteriore subordine, per la condanna del Comune stesso alla corresponsione dell'indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2022 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Il RTI formato dalla Co. e dalla EM. It. s.r.l. è risultato aggiudicatario della gara per l'affidamento della concessione per la realizzazione dell'ampliamento del cimitero comunale di (omissis) e per la gestione dei servizi cimiteriali, bandita dal Comune interessato nell'ambito della relativa procedura di project financing. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio la Co., soc. coop., agendo in proprio e quale capogruppo mandataria del costituendo RTI con la EM. It. s.r.l., ha impugnato i provvedimenti con cui il Comune ha revocato la procedura di project financing, nonché la gara aggiudicata in favore del citato RTI e l'aggiudicazione definitiva. 2 - La ricorrente ha esposto in sintesi che: - la Giunta comunale, a suo tempo, con deliberazione n. 306 dell'11 dicembre 2017 ha dichiarato la fattibilità e il pubblico interesse della proposta, in finanza privata di progetto, per l'affidamento in concessione della "gestione dei servizi cimiteriali, della progettazione e realizzazione dell'ampliamento dell'esistente cimitero", proposta fatta pervenire a seguito del relativo avviso esplorativo dal succitato RTI; - con determinazione a contrarre n. 83 del 23 gennaio 2018 è stata quindi avviata la gara per "l'affidamento in concessione dei servizi cimiteriali, della progettazione e realizzazione dell'ampliamento dell'esistente cimitero comunale di (omissis)"; - alla scadenza dei termini di presentazione delle offerte per la suddetta procedura è pervenuta la sola offerta del RTI promotore, valutata favorevolmente dalla Commissione preposta; - con determina dirigenziale n. 1505 del 21 agosto 2018 sono stati approvati i verbali di gara ed è stata deliberata l'aggiudicazione in favore del RTI Co., soc. coop. - EM. It. s.r.l., con efficacia subordinata all'esito dell'approvazione del progetto definitivo sottoposto alla conferenza di servizi decisoria; - tale conferenza si è conclusa favorevolmente con l'adozione della determina dirigenziale n. 808 del 9 aprile 2019; - di lì a poco, con la delibera del Consiglio Comunale n. 19 del 3 maggio 2019 è stato ratificato l'operato del RUP, è stato approvato il progetto definitivo ed è stata adottata la variante al P.R.G. necessaria per la realizzazione di quest'ultimo; contestualmente la delibera ha dato atto che dalla data della sua pubblicazione avrebbe cominciato a decorrere il termine di trenta giorni per le osservazioni sulla variante; - conclusa la fase delle osservazioni, e compiuta la procedura di valutazione di impatto strategico, con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 36 del 17 settembre 2021 è stata approvata definitivamente la variante urbanistica per l'ampliamento del cimitero comunale; - con la determinazione dirigenziale n. 348 del 13 ottobre 2021 è dato atto dell'efficacia del provvedimento n. 1505 del 21 agosto 2018 di aggiudicazione dell'appalto:  erano difatti intervenute, nel frattempo, l'approvazione del progetto definitivo e quella della variante urbanistica; - quando tra le parti rimaneva ormai solo da sottoscrivere la convenzione correlata all'aggiudicazione definitiva, sono tuttavia seguiti un periodo di stasi e un sopralluogo comunale al cimitero svoltosi l'11 aprile 2022; - dal sopralluogo sono emersi, ad avviso del Comune, profili tali da incidere sulla fattibilità tecnica ed economica del progetto, e atti a integrare delle sue variazioni sostanziali non risolvibili con un'attività di riequilibrio delle sue componenti; il tecnico comunale ha concluso quindi la relazione ravvisando l'insussistenza delle condizioni per la sottoscrizione da parte del Comune della convenzione; - sulla base delle risultanze del citato sopralluogo e di un report di aggiornamento del medesimo RUP del 9 giugno 2022, e senza il previo inoltro di alcuna comunicazione di avvio del procedimento al RTI aggiudicatario, è stata allora adottata la deliberazione della Giunta Comunale n. 193 del 21 luglio 2022, provvedimento con il quale tale organo: i) ha revocato la pregressa dichiarazione di pubblico interesse del progetto presentato dal promotore; ii) ha dato atto della sussistenza del presupposto per applicare l'istituto della revoca in autotutela, per il dedotto intervento di circostanza sopravvenute e imprevedibili, tali da influire sulla fattibilità tecnico ed economica del progetto; iii) ha rappresentato che l'Amministrazione non riteneva più idoneo lo strumento del project financing per dare soluzione alle problematiche del cimitero comunale di (omissis); iv) ha incaricato infine il RUP degli adempimenti conseguenti alla delibera; - soltanto dopo la deliberazione giuntale di revoca della dichiarazione di fattibilità e di pubblico interesse del progetto è sopraggiunta la comunicazione di avvio del procedimento n. 52911 del 23 agosto 2022, con la quale il Comune ha preannunciato all'aggiudicatario la revoca del bando, di tutti gli atti di gara e dell'aggiudicazione definitiva; - la Co., una volta appresa l'esistenza della deliberazione giuntale e delle connesse problematiche ostative alla firma della convenzione, ha proposto istanza di accesso e inviato puntuali e articolate osservazioni procedimentali scritte, ricevute dal Comune il 2 settembre 2022; - è seguita la determinazione dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022, con la quale l'Ente, sulla scia della deliberazione n. 193 del 21 luglio 2022, ha revocato in autotutela, ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, il bando, tutti gli atti di gara e l'aggiudicazione definitiva. 3 - Il ricorso avverso i menzionati atti dell'Ente locale è stato affidato ai seguenti motivi: - violazione dell'art. 42, comma 2, lett. b), e) ed f) del d.lgs n. 267/2000; violazione dell'art. 183, commi 1 e 15 del d.lgs. n. 50/2016; violazione del principio del contrarius actus; incompetenza; violazione degli artt. 7, 10 e 3 della l. n. 241/1990; omesso avviso di avvio del procedimento, difetto di istruttoria, difetto di motivazione; sviamento; - violazione di legge: art. 1, commi 1 e 2-bis della l. n. 241/1990; violazione dell'art. 30, c. 1, del d.lgs n. 50/2016 e dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza dell'azione amministrativa; violazione dell'art. 21-quinquies l. n. 241/1990; violazione dell'art. 183 del d.lgs n. 50/2016; eccesso di potere per illogicità e irrazionalità manifeste; falsa rappresentazione dei presupposti in fatto, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento; violazione dell'art. 42, comma 2, lett. b), e) ed f), d.lgs n. 267/2000; violazione dell'art. 183, commi 1 e 15 del d.lgs n. 50/2016; violazione del principio del contrarius actus; incompetenza; - invalidità derivata. Con il ricorso sono stati chiesti l'annullamento degli atti impugnati e il risarcimento in forma specifica, attraverso la sottoscrizione della convenzione, o, in subordine, il risarcimento per equivalente, nonché, in ulteriore subordine, la corresponsione dell'indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990. 4 - Si è costituito in resistenza al ricorso il Comune, che ha controdedotto alle censure ivi formulate. 5 - All'udienza camerale fissata per la trattazione dell'istanza cautelare proposta dalla ricorrente, all'esito della discussione, dato avviso alle parti della possibilità di una definizione della controversia nel merito ai sensi dell'art. 60 cod.proc.amm., la causa è stata trattenuta in decisione. 6 - Preliminarmente, il Collegio osserva che sussistono i presupposti per definire la controversia nel merito facendo applicazione della norma processuale appena citata. 7 - Sempre in via preliminare, occorre disattendere l'eccezione, sollevata dalla difesa comunale, di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse. Il ricorrente, si oppone, aveva a suo tempo accettato incondizionatamente il par. VI.2 del bando e l'art. 27 del disciplinare di gara, nei quali era prevista la facoltà del Comune di non procedere alla stipula del contratto, ancorché fosse intervenuta l'aggiudicazione definitiva, senza che l'aggiudicatario potesse vantare alcun tipo di pretesa. L'eccezione è però smentita dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale "l'accettazione delle regole di partecipazione non comporta l'inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura di gara che siano, in ipotesi, illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un'acquiescenza alle clausole del procedimento, che per un verso si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., e, per altro verso, condurrebbe all'inaccettabile conclusione che, per poter partecipare alla gara, l'operatore economico dovrebbe necessariamente prestare acquiescenza a tutte le clausole, con conseguente esclusione della relativa possibilità di tutela giurisdizionale" (cfr. ex plurimis Cons. St., Ad. Plen. n. 4/2018; Cons. St., V, n. 5438/2017; id., n. 2359/2016; id., III, n. 2507/2016). Il Collegio deve poi soggiungere che la clausola in discorso non può essere intesa, sulla base di una sua interpretazione logico-letterale e di buona fede, nel senso di esentare l'Amministrazione dall'osservanza delle regole pubblicistiche e privatistiche a presidio del corretto esercizio dei poteri di riesame e revisione dell'originaria decisione di procedere alla stipula della convenzione. Detta clausola, quindi, non può essere interpretata nel senso di precludere all'aggiudicatario di contestare in giudizio eventuali profili di illegittimità inerenti ai predetti aspetti. 8 - Il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 8.1 - Merita innanzitutto condivisione la seconda parte del primo motivo di ricorso (cfr. parr. 4.1.b e 4.1.c a pag. 18 e 19), con cui la ricorrente ha fatto valere il vizio del suo mancato coinvolgimento nella fase procedimentale sfociata nella D.G.C. n. 193 del 21 luglio 2022 di revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto di ampliamento cimiteriale. Sul punto, il Collegio ritiene che l'invio della comunicazione di avvio del procedimento al RTI aggiudicatario fosse nella specie indispensabile per più ragioni. 8.1.1 - Innanzitutto, la posizione giuridica del citato RTI ha assunto, con l'aggiudicazione definitiva della gara per l'affidamento della concessione per la realizzazione dell'ampliamento del cimitero e la gestione dei relativi servizi, una qualificazione e consistenza tanto marcate da ergerlo a interlocutore naturale e contraddittore necessario di ogni determinazione amministrativa suscettibile di incidere sul suo status. Sul punto è appena il caso di richiamare l'orientamento giurisprudenziale per cui "l'aggiudicazione della gara conseguente al project financing trasforma, di suo, l'aspettativa di mero fatto, fino a quel punto vantata dal promotore, in aspettativa giuridicamente tutelata alla consequenziale stipula del contratto aggiudicato" (cfr. da ultimo Cons. St., V, n. 368/2021). Nel caso concreto non risulta quindi utilmente invocabile l'indirizzo giurisprudenziale, citato nella D.G.C. impugnata e ripreso nella memoria del Comune, che riconosce ampia libertà all'Amministrazione di rivalutare in autotutela la dichiarazione di interesse pubblico resa nell'ambito della c. d. prima fase del project financing. Difatti, tale riconoscimento è stato affermato in fattispecie in cui, a differenza di quella oggi all'esame, la gara per l'affidamento della concessione non era ancora sfociata nell'aggiudicazione definitiva (cfr. in tal senso, diffusamente il par. 2.1.1 della sentenza n. 368/2021 appena citata). Ove tale evenienza si sia concretizzata, beninteso, non può dirsi esclusa la possibilità per l'Amministrazione di rivalutare la scelta a suo tempo fatta. Tuttavia tale attività di rivalutazione necessita di essere svolta, secondo le regole stabilite negli artt. 7 e ss. della l. n. 241/1990, nel contraddittorio con l'aggiudicatario; ciò allo scopo di acquisire e di valutare i suoi contributi e di orientare l'esercizio dei poteri discrezionali verso una soluzione che componga nel modo più equilibrato e proporzionato i vari interessi contrastanti emergenti alla luce dell'interesse pubblico prevalente. Non possono essere, quindi, condivise le argomentazioni del Comune volte a giustificare l'omissione del contraddittorio procedimentale richiamando il carattere latamente discrezionale della rivalutazione della manifestazione di interesse pubblico. Le caratteristiche dell'attività amministrativa non incidono, nel sistema delineato dal Capo III della l. n. 241/1990, sull'applicabilità delle norme che prescrivono la partecipazione al procedimento dei soggetti, come l'aggiudicatario, nei cui confronti il provvedimento finale è "destinato a produrre effetti diretti". 8.1.2 - La necessità per il Comune di coinvolgere il RTI aggiudicatario nel procedimento che avrebbe portato alla revoca della dichiarazione di pubblico interesse emerge poi con ulteriore evidenza se si considerano le implicazioni che tale revoca avrebbe dispiegato, a valle, sugli atti della precedente gara (presupponente la suddetta dichiarazione di pubblico interesse), che era culminata nell'aggiudicazione alla ricorrente. Non a caso la determina dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022, parimenti qui impugnata, ha motivato la revoca degli atti di gara e dell'aggiudicazione definitiva proprio con l'avvenuta assunzione, da parte della Giunta Comunale, della delibera n. 193 del 21 luglio 2022, che aveva revocato la dichiarazione di pubblico interesse del progetto (cfr. primo capoverso di pag. 4 del provvedimento). Del resto, era stata la stessa delibera n. 193/2022, nella sua chiusa, a incaricare il "RUP degli adempimenti consequenziali al presente provvedimento", con ciò esprimendo piena consapevolezza del fatto che adempimento conseguenziale sarebbe stata la revoca dell'aggiudicazione. La mancata partecipazione del RTI aggiudicatario al procedimento "a monte" sfociato nella detta delibera giuntale ha finito quindi anche per privarlo della possibilità di esercitare in modo effettivo e utile il contraddittorio nel procedimento "a valle", avente ad oggetto il ritiro degli atti di gara e dell'aggiudicazione. 8.1.3. - Emerge allora con evidenza l'inidoneità della comunicazione di avvio del procedimento - inviata dal Comune per la sola revoca del procedimento "a valle", a revoca della manifestazione d'interesse ormai adottata senza contraddittorio - ad assolvere alle finalità partecipative sostanziali stabilite dall'art. 7 l. n. 241/1990. 8.2 - Da tanto consegue anche che la carenza della partecipazione lamentata dalla ricorrente non potrebbe in alcun modo considerarsi sanata, come erroneamente affermato dal Comune, con il postumo avviso di avvio del procedimento di revoca dell'aggiudicazione. La partecipazione consentita al RTI aggiudicatario rispetto al solo procedimento "a valle" si risolveva, infatti, in un adempimento di mera forma, sostanzialmente ininfluente. Il che traspare in modo eloquente anche dall'esame della stessa determina dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022, nella quale (cfr. il "VERIFICATO" di pag. 3) si è fatto solo un lapidario e fugace accenno alle osservazioni fatte pervenire dal medesimo RTI, definite sic et simpliciter "non rilevanti ai fini della conclusione del presente procedimento di revoca". Tale motivazione, come meglio si vedrà nel prossimo paragrafo, palesa innanzitutto l'omessa considerazione delle pur specifiche e documentate deduzioni formulate dal RTI aggiudicatario, in contrasto con la ratio delle norme in tema di partecipazione e di contraddittorio procedimentale. Nella motivazione in esame risulta poi del tutto assente l'illustrazione delle ragioni della ritenuta "irrilevanza" delle dette deduzioni procedimentali. Sul punto, l'art. 10, comma 1, lett b) della legge n. 241/1990 introduce a carico dell'Amministrazione un puntuale obbligo di valutare le memorie scritte e i documenti versati nel procedimento dall'interessato, ove (come nella specie) siano pertinenti all'oggetto del procedimento, obbligo certamente violato nella fattispecie. Il Collegio condivide, invero, il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui "l'obbligo previsto dall'art. 10 citato, anche se non impone all'Amministrazione una formale, specifica ed analitica confutazione di tutti le singole avverse argomentazioni esposte, nondimeno impone, anche in relazione all'obbligo previsto dall'art. 3 della stessa l. n. 241/1990, l'esame del materiale istruttorio introdotto nel procedimento da parte dei privati e la necessità di poter comprendere le ragioni poste a fondamento del giudizio di irrilevanza eventualmente formulato al riguardo dall'amministrazione attraverso una motivazione dell'atto conclusivo tale da rendere percepibili le ragioni del mancato adeguamento dell'azione amministrativa alle deduzioni partecipative" (cfr. ex plurimis Cons. St., V, n. 6173/2018; T.A.R. Puglia, Lecce, III, n.942/2022; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, I, n.56/2020; T.A.R. Campania, Napoli, V, n.494/2020; T.A.R. Campania, Salerno, II, n. 1898/2019; T.A.R. Campania, Napoli, II, n. 448/2018). Orientamento ulteriormente precisato dalla giurisprudenza che ha puntualizzato che "La mancata indicazione nella motivazione del provvedimento finale delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni rese dalla parte interessata, in quanto posta a tutela di un contenuto necessario della stessa motivazione, dà luogo ad un vizio non sanabile in via postuma neppure in sede processuale, mediante la sua integrazione negli atti difensivi; in particolare, malgrado nell'attuale assetto normativo, le conseguenze della violazione del divieto di integrazione postuma siano attenuate, la dequotazione del relativo vizio non può tuttavia avere luogo, qualora l'omissione della motivazione, successivamente esternata, abbia leso il diritto di difesa dell'interessato, come avviene, in fase infraprocedimentale, allorché non risultano in alcun modo percepibili le ragioni sottese al mancato accoglimento delle osservazioni" (cfr. ex multis T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 2399/2019; Cons. St., VI, n. 2596/2007; T.A.R. Abruzzo, L'Aquila, I, n.116/2019; TAR Valle d'Aosta, n. 39/2018; T.A.R. Campania, IV, 22 maggio n. 2704/2017; T.A.R. Sicilia, Catania, IV, n. 900/2012). A tale stregua, il Collegio non può neppure tener in alcun modo conto, al fine di una ipotetica sanatoria della violazione commessa dal Comune, delle argomentazioni formulate in giudizio dalla difesa del Comune a sostegno della legittimità della revoca impugnata. 8.3 - Il Tribunale ritiene però di dover meglio lumeggiare, specialmente con riferimento alla determinazione dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022, la sua ampia carenza motivazionale. La revoca degli atti di gara e dell'aggiudicazione definitiva è stata difatti giustificata in maniera aprioristica, attraverso la recezione acritica della deliberazione giuntale di revoca della manifestazione di pubblico interesse del progetto. In tal modo, nessuno spazio ha avuto la considerazione dei puntuali e argomentati elementi, tecnici ed economici, offerti dal RTI aggiudicatario nel procedimento a seguito del proprio solo tardivo coinvolgimento. Tali elementi erano intesi a dimostrare: i) l'inidoneità delle singole causali addotte dall'Amministrazione a fondare la revoca in autotutela; ii) la permanente fattibilità sotto il profilo tecnico ed economico del progetto ove sottoposto a un'azione di riequilibrio, asseritamente possibile senza impatti sostanziali su quanto originariamente pianificato. Orbene, tali argomentazioni, impregiudicata ogni valutazione conclusiva sulla loro fondatezza, sono connotate da uno spessore tecnico che sarebbe stato abbisognevole di adeguata considerazione e valutazione, che non trova però in alcun modo riscontro nella superficialità delle motivazioni poste dal Comune a base delle sue decisioni nella vicenda. Dall'Amministrazione è stata omessa la valutazione dell'idoneità delle predette argomentazioni del privato a giustificare un eventuale esito procedimentale diverso da quello concretizzatosi:  non l'abbandono del progetto, ma un suo riassetto conservativo, secondo le condizioni prospettate dal RTI aggiudicatario in ambito endoprocedimentale, in coerenza con il principio di proporzionalità (richiamato in materia dall'art. 30, comma 1 d. lgs n. 50/2016). Da qui il difetto di motivazione che affligge, in particolare, la determinazione dirigenziale impugnata, atteso che essa si presenta del tutto lacunosa e generica sugli aspetti problematici, di evidente importanza nella vicenda, che erano stati introdotti dalle deduzioni endoprocedimentali del RTI aggiudicatario. 8.4 - In definitiva, la D.G.C. n. 193 del 21 luglio 2022 risulta illegittima già per l'assorbente considerazione di essere stata adottata in piena violazione dei diritti di partecipazione del RTI aggiudicatario previsti dagli art. 7 e 10 l. n. 241/1990. La nota di illegittimità che affligge detta delibera rende anche illegittima in via derivata la determina dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022, che sulla prima si basa. La determina, infine, è afflitta anche da vizi di legittimità propri, risiedenti nel difetto di motivazione in precedenza illustrato. 9 - Il ricorso va dunque accolto per quanto di ragione, con l'assorbimento di tutte le restanti censure suggerito dal principio c.d. della ragione più liquida (cfr. par. 9.3.4.3 e 5.2 Ad. Plen. n. 5/2015). Per l'effetto, tanto la D.G.C. del Comune di (omissis) n. 193 del 21 luglio 2022 quanto la determina dirigenziale n. 1879 dell'8 settembre 2022 devono essere annullate. Il Tribunale deve invece dichiarare il non luogo a provvedere sulla richiesta di risarcimento del danno in forma specifica e in forma generica, in quanto la presente sentenza non reca alcun pronunciamento sulla spettanza al privato del diritto all'assegnazione della commessa (né il Collegio potrebbe sostituirsi all'Amministrazione nell'assumere le successive determinazioni nella vicenda, che dovranno tuttavia essere prese nell'osservanza delle norme della l. n. 241/1990 e dell'obbligo di adeguata motivazione). La stessa conclusione vale per la richiesta di indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990, e questo già per l'assorbente ragione dell'intervenuto annullamento della revoca in autotutela adottata dal Comune. Le tematiche vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al T.A.R., essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. Civ., II, n. 3260/1995; per quelle più recenti, Cass. Civ., V, n. 7663/2012; Cons. St., VI, n. 3176/2016). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Le spese legali seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede: - lo accoglie per le ragioni e nei limiti indicati in motivazione; - per l'effetto, annulla la D.G.C. del Comune di (omissis) n.193 del 21 luglio 2022 e la determina dirigenziale comunale n. 1879 dell'8 settembre 2022; - dichiara il non luogo a provvedere sulla richiesta di risarcimento dei danni e sulla richiesta di indennizzo ex art. 21-quinquies l. n. 241/1990 proposte; - condanna il Comune di (omissis) al pagamento delle spese di lite in favore della ricorrente, liquidandole nella misura di euro 2.000,00, oltre ad oneri come per legge e alla rifusione del contributo unificato versato. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Francesco Avino - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 270 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla U.B. Im. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Sa. Di Pa. e An. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Gi. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Campobasso, corso (...); per l'annullamento: - del provvedimento n. 44122 del 26 agosto 2020, con il quale il SUAP del Comune di (omissis) ha inibito l'esecuzione dei lavori oggetto della SCIA presentata dalla ricorrente per la demolizione e ricostruzione di un complesso turistico ricettivo ai sensi dell'art. 3 della l. r. Molise n. 30/2009; - del parere non favorevole espresso dal Comune di (omissis); - di ogni ulteriore atto preordinato, conseguenziale o comunque connesso; per quanto riguarda i motivi aggiunti per l'annullamento: del provvedimento n. 66366 del 26 ottobre 2021, con il quale il Comune di (omissis) ha disposto l'annullamento in autotutela della SCIA del 14 febbraio 2020. Visti il ricorso, i motivi aggiunti, le memorie e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio e le memorie del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2022 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - La UB Im. s.r.l. (di seguito "UB Im."), nelle vesti di proprietaria di un terreno nel Comune di (omissis) su cui erano stati edificati due edifici rurali, costruiti prima del 1967 e successivamente trovatisi ricadenti nella fascia di rispetto dell'autostrada A14, si è attivata per sfruttare le opzioni offerte dal piano casa regionale per il rinnovo del patrimonio edilizio. 2 - Detta società ha inteso avvalersi della possibilità prevista dall'art. 3, comma 3, della l. r. Molise n. 30/2009, a lume del quale, "qualora l'edificio da demolire ricada su di un'area assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta come definito dal precedente articolo 2, comma 4, imposto successivamente alla sua legittima costruzione, la sua ricostruzione, con gli ampliamenti di cui al presente articolo, potrà avvenire anche su area con diversa destinazione di zona purché non distante oltre 250 metri dal confine del lotto dove è ubicato l'edificio da demolire, con la sola esclusione delle zone agricole e di quelle assoggettate ad un vincolo di inedificabilità assoluta, da intendersi come tali quelli previsti dalla legge e quelli assoggettati ad un vincolo espropriativo non ancora decaduto". Così, il 14 febbraio 2020 la UB Im. ha presentato al Comune di (omissis) una SCIA volta alla demolizione dei propri edifici ricadenti nella fascia di rispetto dell'autostrada A14 e alla loro ricostruzione, con gli incrementi volumetrici e il mutamento di destinazione d'uso previsti dalla norma regionale. I progettati edifici sarebbero stati destinati ad attività turistico-ricettiva. Alla presentazione della SCIA sono seguiti il parere favorevole della Soprintendenza l'8 luglio del 2020 e l'autorizzazione paesaggistica da parte del Comune di (omissis) il 14 luglio 2020. 3 - Tuttavia, oltre il termine di 30 giorni dall'ottenimento dell'autorizzazione paesaggistica, il SUAP del Comune di (omissis) ha inoltrato alla UB Im. il provvedimento n. 44122 del 26 agosto 2020, con cui ha inibito l'esecuzione dei lavori. L'inibizione è stata giustificata in quanto l'intervento sarebbe ricaduto in una zona soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta. 4 - Avverso tale provvedimento la UB Im. è insorta in giudizio dinanzi a questo Tribunale, chiedendone l'annullamento. Con ordinanza n. 215 del 3 dicembre 2020 il T.A.R. ha accolto l'istanza cautelare, riconoscendo la sussistenza non solo del periculum in mora ma anche del relativo fumus boni juris, con riferimento al difetto di motivazione sulla sussistenza di un vincolo di inedificabilità ostativo all'intervento e alla violazione delle garanzie procedimentali previste dalla legge n. 241/1990. E' infatti apparso dirimente che il provvedimento inibitorio fosse sopravvenuto alla valida formazione della SCIA. Ne è conseguita la sospensione degli effetti dell'atto impugnato ai fini del suo riesame da parte del Comune. 5 - Il 4 dicembre 2020 è intervenuta una comunicazione di avvio del procedimento volto all'annullamento in autotutela della SCIA, cui il 26 ottobre 2021 ha fatto effettivo seguito il relativo provvedimento n. 66366 di annullamento. La struttura logica del provvedimento, assai articolato, si snoda essenzialmente attraverso i seguenti passaggi logici: - sull'area interessata dall'intervento vige un vincolo di inedificabilità avente natura conformativa, e come tale non suscettibile di decadenza; - detta area, infatti, ricade interamente nella fascia di rispetto stradale e autostradale, con conseguente applicazione inderogabile del vincolo assoluto di inedificabilità, a tutela della sicurezza del traffico e dell'incolumità delle persone; - l'intervento prospettato dalla UB Im. sorgerebbe su aree che si pongono al di fuori del centro abitato, quale perimetrato dalla delibera comunale n. 131/1991; - conseguentemente, in applicazione sia del combinato disposto degli artt. 3 e 4 del d.m. n. 1404/1968, sia delle conferenti norme del Codice della strada e del relativo regolamento attuativo, le nuove costruzioni in questione dovrebbero posizionarsi a una distanza dalla predetta fascia di rispetto di almeno mt. 60 dall'autostrada e mt. 40 dalla strada statale n. 709; - dette distanze, tuttavia, non risultano rispettate, dal momento che le predette costruzioni si collocherebbero a una distanza di soli mt. 30 dall'autostrada e appena mt. 20 dalla strada statale n. 709; - in ogni caso, inoltre, per l'intervento prospettato dalla UB Im., concernente una ristrutturazione ricostruttiva, non sarebbe sufficiente una SCIA, ma indispensabile la previa acquisizione di un permesso di costruire, nel concreto, però, non richiesto né rilasciato; - l'interesse pubblico all'annullamento in autotutela della SCIA si spiegherebbe, infine, in considerazione della persistenza e della prevalenza delle esigenze di sicurezza e incolumità pubblica poste a base dell'istituzione della fascia di rispetto dell'autostrada e della strada statale. 6 - Al provvedimento annullatorio così motivato è seguita la notifica di un atto di motivi aggiunti, con cui la ricorrente ha formulato articolate censure sia in relazione ai presupposti per il legittimo esercizio dell'autotutela, sia con riguardo ai contenuti del provvedimento. 7 - In vista dell'udienza pubblica le parti con memorie hanno ulteriormente articolato e puntualizzato le rispettive tesi. 8 - All'udienza del 18 maggio 2022, uditi gli avvocati come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione. 9 - Il Tribunale rileva introduttivamente che occorre dichiarare l'improcedibilità dell'originario ricorso introduttivo per sopravvenuta carenza d'interesse, atteso che l'interesse del privato all'impugnativa si è ormai spostato sul sopraggiunto provvedimento di annullamento in autotutela della SCIA n. 66366 del 26 ottobre 2021 (impugnato con motivi aggiunti), il quale, a seguito di una rinnovata istruttoria, ha assorbito e sostituito gli atti impugnati con il primitivo ricorso (in questo senso v. già T.A.R. Molise nn. 454 e 400/2021 e i riferimenti giurisprudenziali ivi citati). 10 - In limine litis occorre anche disattendere l'eccezione di inammissibilità dell'atto di motivi aggiunti formulata dal Comune di (omissis) sul rilievo che lo stesso non sarebbe stato notificato a nessuno dei controinteressati, che nella specie andrebbero individuati nell'AN. s.p.a. e nella società Au. s.p.a., nelle vesti di titolari di diritti reali sulle strade interessate dalla fascia di rispetto in discussione. L'eccezione non può essere condivisa. Nel processo amministrativo, è noto, "la figura del controinteressato, proiezione processuale della titolarità di interessi sostanziali antagonistici rispetto a quello fatto valere in giudizio dal ricorrente, presuppone il positivo riscontro di due concomitanti caratteri: 1) un elemento formale, dato dall'indicazione nominativa dell'interessato nel provvedimento o, comunque, dalla chiara, univoca e agevole identificabilità "aliunde" dello stesso; 2) un elemento sostanziale, rappresentato dalla coagulazione, prodotta in via diretta e immediata dal provvedimento, di un interesse sostanziale ana e contrario a quello che informa la posizione del ricorrente, di contro specularmente interessato all'abbattimento dell'atto" (ex multis cfr. Cons. Stato IV, 12.4.2017 n. 1701)" (vd. T.A.R. Molise, I, n. 141/2022). L'Ente comunale ritiene di poter individuare dei controinteressati nelle società p.a. AN. e Au., "nella qualità di titolari di diritti reali sulle strade" in relazione alle quali sono state apposte le fasce di rispetto (cfr. pag. 6 della memoria del Comune di (omissis) depositata il 6 aprile 2022). Orbene, nel caso di specie difetta l'elemento "formale" richiesto per l'individuazione dei controinteressati, atteso che questi ultimi non sono stati espressamente e univocamente identificati nel corpo del provvedimento, né risultano facilmente desumibili aliunde. Sotto tale ultimo profilo risulta neutro il riferimento alle fasce di rispetto relative all'autostrada e alla strada statale n. 709, atteso che tali dati sono stati espressi nel provvedimento di annullamento unicamente per identificare la natura e l'estensione del vincolo di inedificabilità sull'area imposto dal Comune. E, del resto, anche le richieste della ricorrente, volte a conoscere l'originario tracciato dell'autostrada e della strada statale, erano funzionalizzate esclusivamente a compiere le necessarie verifiche sulla corretta applicazione, da parte del Comune stesso, del vincolo pubblicistico in virtù del quale le era stata inibita la realizzazione dell'intervento prospettato con la SCIA. Ancor più chiara si presenta poi l'inesistenza di soggetti controinteressati sotto l'aspetto sostanziale. Dirimente risulta la considerazione degli interessi obiettivi e generali posti a base del provvedimento e del suo contenuto, aspetti, questi ultimi, dai quali non può che essere alieno ogni profilo di tutela dominicale. Il provvedimento, infatti, muove da esigenze di salvaguardia delle destinazioni recate dalla pianificazione comunale, ed è inteso a presidiare l'effettività di un vincolo pubblicistico di inedificabilità che persegue valori che nulla hanno a che vedere con la tutela dei proprietari delle strade, in quanto sono diretta espressione di esigenze di sicurezza e incolumità pubblica (come evidenziato dal Comune a pag. 11 dell'atto di annullamento in autotutela della SCIA impugnato). Tali evidenze risultano, poi, confermate dalle prospettazioni della ricorrente, che non mirano in alcun modo a pregiudicare, neppure indirettamente, le ragioni dei proprietari delle strade, né tanto meno a mettere in discussione la necessità di osservare le fasce di rispetto. E ciò è tanto vero che l'intervento ricostruttivo inibito si articola nella demolizione di manufatti collocati nella fascia di rispetto per poi ricostruirli in una posizione più coerente con le relative distanze. Pertanto nel caso di specie non vi è alcun elemento dal quale inferire la titolarità, in capo a ben determinati soggetti terzi, di un interesse sostanziale eguale e contrario rispetto a quello che informa la posizione della ricorrente. Né è dato comprendere, sulla base della documentazione agli atti, quale vantaggio qualificato, diretto e immediato potrebbero ritrarre l'AN. s.p.a. e la Società Au. s.p.a. dalla conferma del provvedimento oggetto di gravame. Con la reiezione del ricorso proposto da UB Im. potrebbe, anzi, addirittura profilarsi un pregiudizio per detti enti: a tale esito, infatti, seguirebbe la permanenza dei due manufatti agricoli preesistenti, siti praticamente a ridosso dell'autostrada e quindi, senza dubbio, in piena fascia di rispetto. Sul punto il Collegio richiama l'indirizzo giurisprudenziale consolidato nel ritenere che la qualità di controinteressato vada riconosciuta solo a chi, dal provvedimento stesso, riceva un vantaggio diretto e immediato, e non già a chi dallo stesso ritragga effetti positivi in modo soltanto indiretto o riflesso (cfr. ex multis Cons. St., V, n. 256/2022). Con particolare riferimento all'impugnazione del diniego di costruire, anche in sanatoria (ipotesi analoga a quella qui rilevante), in giurisprudenza si è affermato che "non sono configurabili controinteressati, atteso che la qualifica di controinteressato va riconosciuta non già a chi abbia un interesse anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato (e tanto meno a che ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse), ma solo a chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto ed immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica" (cfr. ex multis Cons. St., II, n. 6318/2020; id., n. 5472//2020; id., VI, n. 168/2016; id., n. 3889/2017; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 4399/2020). In definitiva, dunque, la controversia, che verte sulla mera legittimità dell'annullamento della SCIA, non consente di individuare la sicura esistenza di un soggetto portatore di una qualificata posizione di controinteresse a fronte della posizione della ricorrente, con la conseguenza che l'eccezione comunale sollevata sul punto deve essere respinta. 11 - Nel merito il ricorso va accolto, in quanto è fondato per quanto di ragione. 11.1 - Risulta, innanzitutto, condivisibile il mezzo di ricorso volto a far valere l'illegittimità dell'annullamento della SCIA edilizia per violazione dell'art. 21-nonies l. n. 241/1990, richiamato in subiecta materia dall'art. 19, commi 4 e 6-bis, l. n. 241/1990. Difatti l'annullamento è indiscutibilmente intervenuto in data 26 ottobre 2021, quando era ormai abbondantemente decorso il termine di 12 mesi a far tempo dal 14 agosto 2020, data di consolidamento degli effetti della SCIA ai sensi dell'art. 23, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001. Secondo tale norma, nel caso di zone soggette a vincolo, il termine di trenta giorni, decorso il quale può essere legittimamente iniziata l'attività oggetto di segnalazione, decorre dal rilascio della correlativa autorizzazione, che nel concreto è stata adottata dal Comune di (omissis) il 14 luglio 2020, su parere conforme della soprintendenza. Sul punto primaria rilevanza assume il contenuto dell'art. 19, commi 3,4 e 6-bis l. n. 241/1990: nei casi di SCIA edilizia, l'Amministrazione può motivatamente inibire l'attività oggetto di segnalazione, e disporre la rimozione degli effetti, o nel termine di 30 giorni dalla data di effetto della segnalazione stessa (termine ritenuto perentorio), oppure in via successiva, ma unicamente nell'osservanza "delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies". Come condivisibilmente evidenziato in giurisprudenza, "a norma dell'articolo 19, comma 4, l. n. 241/1990 l'Amministrazione ben può esercitare il proprio potere conformativo su una segnalazione certificata di inizio attività ormai consolidata per il decorso del termine decadenziale concessole a tal scopo, ma tanto può fare solo in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21- nonies della stessa legge n. 241/1990, ovvero quando sussistano i presupposti per procedere all'annullamento d'ufficio di provvedimenti illegittimamente emanati" (ex multis cfr. T.A.R. Toscana, II, n. 1086/2021). Fra tali condizioni assume rilievo, nel concreto, quella per cui i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati (fra cui certamente quello in esame) possono essere annullati d'ufficio, sussistendo ragioni di pubblico interesse, "entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi". Il citato termine, ridotto da diciotto a dodici mesi dalla novella recata dall'art. 63 del d.l. 31 maggio 2021, risulta senz'altro applicabile alla fattispecie concreta in aderenza al principio del tempus regit actum, come conferma l'assenza di contestazione sul punto da parte della stessa difesa del Comune di (omissis) (ex multis cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 12413/2021; in riferimento all'analoga questione del regime di applicazione della novella introdotta dalla l. n. 124/2015, recante l'introduzione del termine di diciotto mesi, cfr. ex plurimis T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 65/2017; T.A.R. Puglia, Bari, III, n. 351/2016 n. 351; T.A.R. Campania, Napoli, III, 22 n. 4373/2016, decisioni che hanno tutte sancito l'applicazione della nuova disciplina ai provvedimenti di autotutela adottati successivamente alla sua entrata in vigore). Come la giurisprudenza ha altresì evidenziato, la prefissione di un termine puntuale per l'esercizio dell'autotutela da parte dell'Amministrazione ha inteso realizzare un rafforzamento della tutela dell'affidamento dei destinatari degli atti ampliativi in ordine alla stabilità dei loro titoli e alla certezza degli effetti giuridici da essi prodotti, e questo mediante una riconfigurazione del potere di autotutela secondo canoni di legalità più stringenti e maggiormente garantisti per le posizioni private (ex multis cfr. Cons. St., VI, n. 341/2017). Su tali basi, in coerenza con l'orientamento giurisprudenziale consolidato, il predetto termine è da ritenersi senz'altro perentorio, alla stregua di un termine sostanziale di decadenza del potere di autotutela. Conseguentemente, l'intervento in autotutela tardivo sulla SCIA, in quanto adottato oltre i termini indicati dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990, è da ritenersi per ciò stesso illegittimo (ex multis cfr. Cons. St., V, n. 1922/2020; T.A.R. Veneto, III, n. 1226/2021; T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1971/2020, n. 1971; T.A.R. Veneto, II, n. 1254/2020). Né nel concreto ricorre una delle evenienze in cui la giurisprudenza ammette in via eccezionale la legittimità dell'esercizio dell'autotutela oltre il ridetto termine, atteso che nella vicenda non vengono in rilievo né false attestazioni né erronee attestazioni dolose ascrivibili alla UB Im. (ex plurimis cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, I, n. 2072/2019). A tale stregua, l'illegittimità dell'operato del Comune di (omissis) emerge non soltanto in relazione allo sforamento -peraltro neppure lieve- del termine di 12 mesi previsto dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990, ma anche con riferimento alle modalità di conduzione del relativo procedimento annullatorio. Difatti, a fronte della comunicazione del 4 dicembre 2020 di avvio del procedimento di annullamento della SCIA, e della presentazione delle osservazioni della UB Im. di lì a un mese (il 31 dicembre 2020 - cfr. all. 3 delle produzioni depositate da UB Im. il 20 ottobre 2021), il Comune ha poi atteso circa un anno prima di formalizzare la conclusione del procedimento con il proprio atto di annullamento, senza che risulti che esso abbia svolto ulteriori attività istruttorie o acquisitive. Ed è privo di pregio l'assunto che il Comune sarebbe stato indotto a sospendere il procedimento da una specifica richiesta formulata dalla UB Im. in sede di osservazioni: nessuna richiesta di sospensione risulta, invero, essere stata formulata dalla citata società, e neppure vi è prova dell'adozione di alcun atto di sospensione o interruzione del procedimento per i casi e nei modi previsti dall'art. 2, comma 7 della l. n. 241/1990. Alcuna valenza può infatti assumere, in questo senso, la generica riserva di integrazione successiva delle osservazioni formulata dalla UB Im. (cfr. sempre all. 3 delle produzioni depositate da UB Im. il 20 ottobre 2021), atteso che la sua formulazione è da ascriversi in primis all'operato del Comune, che non ha messo a disposizione della società tutta la documentazione richiesta. 11.2 - Condivisibili sono anche le censure volte a lamentare l'inadeguata valutazione, da parte del Comune, dell'interesse pubblico all'annullamento della SCIA, in contrasto con il combinato disposto degli artt. 21-nonies l. n. 241/1990 e 19, comma 4, l. n. 241/1990. Secondo il tenore di tali norme, infatti, l'atto di annullamento in autotutela della SCIA edilizia ormai consolidatasi deve fondarsi su di una compiuta esplicitazione delle ragioni di interesse pubblico militanti a favore del ritiro della segnalazione. Sul punto il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui dette ragioni devono essere specificamente calibrate sulla fattispecie concreta, e non possono pertanto limitarsi né alla considerazione dell'interesse astratto al mero ripristino della legalità violata, né tanto meno alla tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa, la cui violazione integra l'illegittimità dell'atto oggetto del procedimento di autotutela (ex plurimis, con riferimento alla materia edilizia: Cons. St., VI, n. 8641/2021; id., n. 5600/2021; T.A.R. Lazio, Roma, II-quater, n. 629/2021; T.A.R. Toscana, II, n. 1086/2021; T.A.R. Lombardia, Milano, II, n. 1690/2021; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, n. 3924/2021, id., III, n. 4992/2020; id., VIII, n. 65/2017). Tanto premesso, il Collegio osserva che la valutazione dell'interesse pubblico effettuata alla pag. 11 del provvedimento impugnato non può che ritenersi: i) disancorata dalla vicenda concreta, essendosi limitata ad un automatico recepimento delle esigenze generali poste a base dell'individuazione delle fasce di rispetto; ii) generica e tautologica; iii) frutto di una visione comunque parziale della stessa vicenda, atteso che la valutazione del Comune di (omissis) si è formalmente focalizzata tutta sul rispetto delle fasce di sicurezza dell'immobile da edificare, senza però tenere in alcun conto il fatto che la ricostruzione proposta avrebbe comportato l'abbattimento di due fabbricati che insistevano, appunto, praticamente a ridosso dell'autostrada. Infatti, il Comune di (omissis) non ha apprezzato il significato unitario dell'intervento prospettato dalla ricorrente nella CILA, che, in coerenza con le finalità di recupero del patrimonio edilizio perseguite dalla l. r. Molise n. 30/2009, era preordinato a demolire due fabbricati posti a ridosso dell'autostrada (e quindi versanti in flagrante contrasto con la fascia di rispetto), per ricostruirli fuori da detta fascia di rispetto proprio allo scopo di "garantire la sicurezza del traffico e l'incolumità delle persone sottese all'apposizione della fascia di rispetto". A tale stregua emerge allora la sostanziale irragionevolezza del provvedimento impugnato, nella misura in cui esso ha ritenuto conforme all'interesse pubblico l'annullamento del titolo edilizio che era proprio inteso a perseguire, in coerenza con la cornice legislativa regionale, quegli stessi obiettivi di sicurezza che il medesimo Comune ha pur asserito di voler garantire. Così operando, il Comune non ha in alcun modo ponderato sulla valenza complessivamente positiva della demolizione dei pregressi fabbricati e della loro ricostruzione in siti più distanziati dai tracciati stradali in questione, e non più coincidenti -come si vedrà più avanti- con le relative fasce di rispetto. La motivazione del provvedimento impugnato, tutta protesa al presidio delle esigenze a base delle fasce di rispetto, sarebbe risultata adeguata al caso in cui si fosse trattato di valutare l'edificazione di un nuovo fabbricato all'interno di dette fasce. La stessa, però, non può ritenersi coerente con la diversa ipotesi in rilievo, in cui l'intervento del privato in discussione è preordinato, invece, alla sostituzione di manufatti ubicati in piena fascia di rispetto con dei nuovi fabbricati posti a distanza maggiore dalle arterie stradali. Ebbene, la specificità e complessità di questa seconda operazione avrebbero richiesto una motivazione diversamente calibrata e consapevole, in quanto meglio polarizzata sulla peculiarità della fattispecie. Altrettanto generica ed erronea risulta la valutazione, compiuta nel provvedimento impugnato, dell'interesse della società, illegittimamente sacrificato, nelle sue varie componenti pretensive, una prima volta col provvedimento inibitorio n. 44122 del 26 agosto 2020, e una seconda volta con il provvedimento di annullamento del 26 ottobre 2021, intervenuto a più di un anno di distanza dal consolidamento degli effetti della SCIA. Ne conseguono l'illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione del provvedimento impugnato in relazione all'enucleazione dell'interesse pubblico all'annullamento della segnalazione. 11.3 - Convincono, poi, le censure di difetto di istruttoria e carenza di motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui questo ha ritenuto che anche il nuovo immobile da edificare dalla UB Im. ricadesse comunque all'interno della fascia di rispetto dell'autostrada A14 e della strada statale 709. 11.3.1 - Il provvedimento ha classificato la zona oggetto dell'intervento come esterna al centro abitato del Comune di (omissis), assumendo quale riferimento la delibera comunale n. 131/2019, approvativa della delimitazione del centro abitato. Sennonché, la ricorrente ha comprovato il mancato completamento della procedura approvativa di tale delibera, giusta quanto previsto dall'art. 3 comma 7 del d.P.R. n. 495/1992: e il mancato perfezionamento di tale procedimento non è stato disconosciuto neppure da parte resistente. La citata delibera è dunque da ritenersi inefficace, e, comunque, inidonea a fungere da valido parametro per la delimitazione del centro abitato del Comune. Ne deriva che il provvedimento di annullamento erroneamente ha posto a presupposto dell'illegittimità della SCIA la premessa che l'area di intervento fosse ubicata al di fuori del centro abitato delimitato con la delibera comunale n. 131/2019. Né può essere annesso alcun rilievo ai riferimenti, compiuti dal Comune soltanto nella memoria depositata il 6 aprile 2022, a precedenti deliberazioni di delimitazione del centro abitato, delle quali non sono state comprovate le perduranti vigenza ed efficacia. Del resto, l'atto impugnato di esse non fa menzione: e, in difetto di tale menzione, una loro ipotetica presa in considerazione, allo scopo di valutare la legittimità di quest'ultimo, contrasterebbe con il divieto di motivazione postuma, in sede giudiziale, dei provvedimenti (ex multis cfr. T.A.R. Lazio, Roma, III, n. 13500/2021; id., II, n. 10469/2021; T.A.R. Trentino-Alto Adige, Trento, I, n. 196/2021). 11.3.2 - Parimenti illegittima risulta la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui questo non ha considerato l'applicabilità al caso concreto, in luogo del previgente art. 4 del d.m. n. 1404/1968 (da ritenersi oggetto di abrogazione implicita per incompatibilità ), delle norme previste dal Codice della Strada e dal relativo Regolamento Attuativo. L'Amministrazione non ha adeguatamente motivato neppure in merito all'impossibilità - da essa ritenuta- di applicare, per determinare l'estensione delle fasce di rispetto, l'art. 26, comma 3, del d.P.R. n. 495/1992. Ai sensi di tale norma, "Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A; b) 20 m per le strade di tipo B; c) 10 m per le strade di tipo C". L'Amministrazione ha ritenuto non applicabile tale articolo al caso concreto: ma si è limitata, nel motivare tale proprio giudizio, all'apodittica affermazione che l'area interessata dall'intervento sarebbe stata assoggettata dal PRG a un vincolo di inedificabilità . Tuttavia, tale generica affermazione non ha adeguatamente considerato la disciplina dettata dall'art. 3, comma 3, l. r. Molise n. 30/2009, che presenta una portata temporaneamente integratrice delle previsioni degli strumenti urbanistici. Secondo tale norma, "Qualora l'edificio da demolire ricada su di un'area assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta..., imposto successivamente alla sua legittima costruzione, la sua ricostruzione, con gli ampliamenti di cui al presente articolo, potrà avvenire anche su area con diversa destinazione di zona purché non distante oltre 250 metri dal confine del lotto dove è ubicato l'edificio da demolire, con la sola esclusione delle zone agricole e di quelle assoggettate ad un vincolo di inedificabilità assoluta, da intendersi come tali quelli previsti dalla legge e quelli assoggettati ad un vincolo espropriativo non ancora decaduto". A tale stregua, e anche accedendo alla ricostruzione del Comune in merito alla natura conformativa del vincolo di inedificabilità impresso alle aree oggetto dell'intervento, può ritenersi vietata la ricostruzione dei fabbricati solo sulle aree la cui inedificabilità sia disposta direttamente dalla legge, o su quelle soggette a vincolo espropriativo non decaduto. Ma nel concreto non ricorre alcuna delle due ipotesi testé richiamate. Non la seconda, in quanto lo stesso provvedimento impugnato assume la natura solo conformativa del vincolo. Non la prima, perché il citato vincolo di inedificabilità è indiscutibilmente stato imposto dal PRG di (omissis) (cfr. provvedimento inibitorio n. 44122 del 26 agosto 2020). Erroneamente, quindi, l'Amministrazione ha escluso l'applicabilità dell'art. 26, comma 3, del d.P.R. n. 495/1992 sul rilievo che l'area su cui ricadrebbe il fabbricato da edificare sarebbe soggetta al vincolo di inedificabilità . L'art. 26 comma 3, d'altra parte, come si evince da una sua interpretazione logico-letterale, per la sua applicazione richiede che a risultare edificabile e trasformabile sia l'intera zona urbanistica nel suo complesso, condizione che non è compromessa dall'inedificabilità di singole aree della zona stessa, come invece erroneamente ritenuto nel provvedimento impugnato. Orbene, la zona urbanistica in cui ricade l'area della ricorrente risulta (come già in precedenza evidenziato) edificabile, con la conseguenza che ben possono trovare applicazione il comma 3 dell'art. 26 citato e le regole sull'estensione delle fasce di rispetto ivi previste. Del resto, a fronte delle puntuali censure dedotte nell'atto di motivi aggiunti, il Comune nulla è stato in grado di controdedurre, nelle proprie successive difese, per supportare la legittimità del laconico riferimento in discorso del provvedimento impugnato. Ed è essenziale notare che, determinando l'estensione delle fasce di rispetto in aderenza alla previsione dell'art. 26, comma 3 del d.P.R. n. 495/1992, gli interventi oggetto della SCIA verrebbero a collocarsi al di fuori di queste ultime, in quanto previsti a distanza di metri 30 dall'autostrada e di mt. 20 dalla strada statale n. 709, proprio come riportato nei progetti allegati alla segnalazione. 11.4 - Fondate, infine, risultano le censure con cui la ricorrente ha dedotto l'illegittimità della chiusa del provvedimento impugnato (cfr. pag. 10 in fondo e 11), lì dove quest'ultimo ha riproposto, pur dichiarandolo assorbito, uno dei motivi di annullamento indicati, a suo tempo, nell'avvio del relativo procedimento. Secondo tale motivo l'intervento edilizio in discorso non potrebbe essere realizzato mediante SCIA, ma necessiterebbe del rilascio del permesso di costruire: ciò in virtù dell'interpretazione data dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 70/2020, all'art. 2-bis, comma 1-ter, del d.P.R. n. 380/2001. Sul punto, importanza centrale riveste il fatto che dopo la sentenza della Corte Costituzionale il legislatore, col d.l. n. 76/2020, ha modificato sia l'art. 2-bis comma 1-ter che l'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, ampliando la nozione di ristrutturazione sì da ricomprendere al suo interno anche la c. d. ristrutturazione ricostruttiva, rilevante nel caso di specie. In particolare, risulta significativo il nuovo tenore dell'art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, che ricomprende fra gli interventi di ristrutturazione edilizia, realizzabili con SCIA, fra l'altro, "gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche...L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione..". Altrettanto significativo risulta il nuovo tenore dell'art. 2-bis, comma 1-ter, del d.P.R. n. 380/2001, a lume del quale, "In ogni caso di intervento che preveda la demolizione e ricostruzione di edifici, anche qualora le dimensioni del lotto di pertinenza non consentano la modifica dell'area di sedime ai fini del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, la ricostruzione è comunque consentita nei limiti delle distanze legittimamente preesistenti...." Tali norme, come fatto palese dal loro contenuto, hanno quindi esteso la portata della cd. ristrutturazione ricostruttiva realizzabile con SCIA, così superando l'interpretazione resa dalla Corte Costituzionale, la quale era stata espressa sul previgente art. 2-bis comma 1-ter del d.P.R. n. 380/2001. E le nuove disposizioni esposte sono applicabili al caso di specie in forza del principio del tempus regit actum, atteso che la SCIA si è consolidata il 14 agosto 2020 (30 giorni dopo l'adozione dell'autorizzazione paesaggistica), vale a dire solo dopo l'entrata in vigore delle citate modifiche normative (d.l. del 16 luglio 2020 n. 76) (cfr. con riferimento al citato principio: Cons. St., V, n. 34/2012; id., IV, n. 5854/2011; T.A.R. Lazio, Roma, I, n. 9585/2021; T.A.R. Campania, Napoli, I, n. 4959/2021, T.A.R. Sicilia, Palermo, III, n. 1143/2020) A conferma delle precedenti considerazioni milita anche il combinato disposto dell'art. 23 d.P.R. n. 380/2001 e dell'art. 8 l. r. Molise n. 30/2009. Infatti l'art. 23 d.P.R. cit. prevede, al comma 1, che: i) in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività, fra l'altro, gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, con modifiche della volumetria complessiva, mutamenti della destinazione d'uso e modificazioni della sagoma; ii) le regioni possono individuare con legge gli altri interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività, diversi da quelli di cui alle lettere precedenti, assoggettati al contributo di costruzione, definendo criteri e parametri per la relativa determinazione. Tale ultima previsione, introdotta da una novella nel 2016, consente quindi di ritenere pienamente legittime, e coerenti col vigente quadro normativo, disposizioni preesistenti, come l'art. 8 della l. r. Molise n. 30/2009, che avevano espressamente sancito la realizzabilità degli interventi previsti, fra l'altro, ai sensi degli artt. 3 e 3-bis della medesima legge mediante SCIA, a prescindere dalla loro qualificazione giuridica come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione. 12 - In definitiva, mentre il ricorso originario va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse, i motivi aggiunti vanno accolti in quanto fondati nei termini di cui in motivazione. Per l'effetto il provvedimento n. 66366 del 26 ottobre 2021, con il quale il Comune di (omissis) ha disposto l'annullamento in autotutela della SCIA presentata dalla UB Im. il 14 febbraio 2020, va a sua volta annullato per le ragioni fin qui illustrate. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato principio della ragione più liquida, corollario del principio di economia processuale, con l'assorbimento dei restanti motivi di ricorso (cfr. cfr. par. 9.3.4.3 e 5.2 Ad. Plen. n. 5/2015 nonché Cass., SS. UU., n. 26242/2014). Le tematiche vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al T.A.R., essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. Civ., II, n. 3260/1995; per quelle più recenti, Cass. Civ., V, n. 7663/2012; Cons. St., VI, n. 3176/2016). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. 13 - Giusti motivi, connessi alla peculiarità della controversia, inducono infine il Collegio a disporre la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, integrato da motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, dichiara l'improcedibilità del ricorso originario e accoglie i motivi aggiunti nei termini di cui in motivazione, per l'effetto annullando il provvedimento del Comune di (omissis) n. 66366 del 26 ottobre 2021. Dispone la compensazione delle spese di lite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2022 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Francesco Avino - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 120 del 2021, proposto dalla società Ba. Pa. di Ra. Fe. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. To. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti della St. An. Go s.r.l.s., non costituita in giudizio; sul ricorso numero di registro generale 263 del 2021, proposto dalla società Ba. Pa. di Ra. Fe. s.n. c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. To. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Campobasso, via (...); nei confronti della St. An. Go s.r.l.s., non costituita in giudizio; per l'annullamento - quanto al ricorso n. 120 del 2021: del provvedimento n. 29 dell'11 marzo 2021 con cui l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata ha rigettato l'istanza presentata dalla società Ba. Pa. di Ra. Fe. s.n. c. per l'istituzione di una rivendita di tabacchi all'interno della stazione di servizio distribuzione automobilistica sita nel Comune di (omissis) (CB), S.S. (omissis), Km (omissis), s.n. c.; - quanto al ricorso n. 263 del 2021: del provvedimento n. 98 del 16 luglio 2021 con cui la stessa Agenzia ha reiterato il rigetto dell'istanza predetta; - di tutti gli atti istruttori, preordinati, conseguenti e/o comunque connessi a quello impugnato, ivi comprese: i) la nota del 15 luglio 2021, recante il verbale di sopralluogo per l'istituzione di una rivendita speciale di tabacchi presso l'impianto di distribuzione carburanti sito in (omissis) (CB), S.S. 647 (omissis) al km (omissis) s.n. c.; ii) la nota del 16 luglio 2021 a firma del responsabile del procedimento; Visti i ricorsi, le memorie e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio e le memorie dell'Amministrazione intimata; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2022 il dott. Massimiliano Scalise e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1 - Col ricorso n. R.G. 120/2021 la società Ba. Pa. di Ra. Fe. s.n. c. (di seguito, "la Ba. Pa.") ha impugnato il provvedimento dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la Puglia, il Molise e la Basilicata n. 29 dell'11 marzo 2021, reiettivo della sua istanza per l'istituzione di una rivendita speciale di tabacchi, nel Comune di (omissis), all'interno dell'area distribuzione carburanti sita alla S.S. (omissis), KM (omissis) snc.. 2 - La società ha lamentato con il proprio gravame la violazione, da parte del provvedimento impugnato, dell'art. 2, commi 3 e 7, del d. m. n. 38/2013 (nella versione vigente all'epoca dei fatti, ante modifiche del d. m. n. 51/2021), espressamente richiamato in materia di valutazione delle istanze di istituzione delle rivendite speciali dall'art. 6, comma 2, del medesimo decreto ministeriale. Ai sensi di tale norma, ove "la sede della rivendita da istituire" disti più di 600 metri dalla "rivendita ordinaria più vicina" (art. 2, comma 3, d. m. n. 38/2013) o "dalle tre rivendite più vicine" (art. 2, comma 7, d. m. n. 38/2013), l'Amministrazione, anche ove sia stato già "raggiunto il rapporto di una rivendita ogni 1.500 abitanti", non può negare il rilascio del provvedimento autorizzativo, ma deve esclusivamente "verificare la sussistenza dell'esigenza di servizio desumibile dalla valutazione della popolazione residente ovvero dalla presenza di uffici e strutture produttive di particolari rilevanza e frequentazione". A fronte di tale norma, il provvedimento impugnato avrebbe illegittimamente rigettato l'istanza opponendo che nella zona di (omissis) (CB) era stato già raggiunto il rapporto di una rivendita per 1.500 abitanti, e che nella medesima località ne erano già attive cinque. Tale diniego sarebbe stato adottato senza tenere in alcun conto né la distanza, di diversi chilometri, fra l'area di distribuzione carburanti e le rivendite più vicine, né le esigenze di servizio correlate all'effettiva ubicazione degli altri punti vendita. 3 - Si è costituita in giudizio in resistenza al ricorso l'Agenzia del Demanio, che ha controdedotto con articolata memoria alle censure ex adverso introdotte concludendo per la piena legittimità dell'atto impugnato. 4 - Con ulteriore memoria la ricorrente ha replicato alla memoria dell'Agenzia. 5 - Alla camera di consiglio del 12 maggio 2021, fissata per la trattazione dell'istanza cautelare presentata dalla società ricorrente, questo T.A.R., con ordinanza n. 103/2021, ha accolto l'istanza ai fini del riesame dell'atto impugnato da parte dell'Amministrazione, ravvisando la sussistenza del fumus boni juris sotto i profili della carenza di istruttoria e del difetto di motivazione del provvedimento impugnato. 6 - E' seguito il provvedimento n. 98 del 16 luglio 2021, con cui l'Agenzia del Demanio, in esito alla rivalutazione dell'istanza per l'istituzione della nuova rivendita speciale, l'ha nuovamente rigettata, esplicitando meglio, nella relativa motivazione, l'efficacia diretta dell'art. 24, comma 42, del d. l. n. 98/2011, come aggiornato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 37/2019. In particolare detta norma, anche in relazione all'istituzione delle rivendite speciali, ha stabilito la centralità e la preponderanza del c. d. criterio della popolazione, cioè del rapporto di una rivendita per 1.500 abitanti, senza più contemplare alcuna deroga legata alla distanza fra la rivendita istituenda e altre site nello stesso comune. Lettura, secondo la motivazione del medesimo provvedimento, confermata dal tenore del d.m. n. 51/2021, modificativo dell'art. 2, commi 3 e 7 del d. m. n. 38/2013, invocato dalla società ricorrente. 7 - Avverso tale nuovo provvedimento è insorta la Ba. Pa. proponendo il ricorso n. R. G. 261/2021, recante in primis un'azione per l'ottemperanza dell'ordinanza cautelare n. 103/2021. Con il medesimo ricorso la società ha contestato l'applicabilità della sopravvenienza normativa costituita dal d. m. n. 51/2021 (nella parte modificativa dell'art. 2, commi 3 e 7, del d.m. n. 38/2013), che avrebbe avuto l'effetto di svuotare di utilità il riesame dell'atto impugnato disposto con l'ordinanza n. 103/2021. 8 - L'Agenzia del Demanio si è costituita anche in resistenza al nuovo ricorso. Essa ha contestato la ritualità della spiegata azione di ottemperanza, puntualizzando, inoltre, che il nuovo provvedimento si era fondato sull'applicazione diretta dell'art. 24, comma 42, del d. l. n. 98/2011, come aggiornato dall'art. 4, comma 1, della l. n. 37/2019, piuttosto che su quella del d. m. n. 51/2021 (utilizzato solo quale elemento interpretativo corroborante la correttezza della lettura della norma primaria compiuta nel provvedimento). 9- Dopo il rigetto della nuova istanza cautelare proposta dalla Ba. Pa. con ordinanza n. 190/2021, alla camera di consiglio del 15 dicembre 2021 il secondo ricorso è stato assunto in decisione. 10 - Questo T.A.R. con la sentenza n. 446/2021 ha allora rigettato l'azione di ottemperanza recata dal ricorso n. 263/2021, ritenendo che la lamentata difformità del riesercizio del potere rispetto a quanto disposto con l'ordinanza n. 103/2021 non valesse ad integrare il vizio di nullità lamentato dalla ricorrente. Contestualmente il Tribunale ha disposto che l'esame delle domande di annullamento del nuovo provvedimento n. 98/2021 avvenisse con il rito ordinario, fissando quindi per il 23 marzo 2022 l'udienza pubblica per la trattazione anche della parte residua del ricorso n. 263/2021. 11 - Le parti con successive memorie e repliche hanno meglio articolato e puntualizzato le rispettive tesi. 12 - All'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2022, udite le parti come da verbale, i due ricorsi sono quindi passati in decisione. 13 - Il Collegio deve preliminarmente disporre la riunione dei relativi giudizi ai sensi dell'articolo 70 cod.proc.amm., sussistendone indubbi presupposti di connessione soggettiva e oggettiva, e stante anche l'unicità della vicenda in cui i due ricorsi s'inquadrano. 14. Sempre in via preliminare, il Collegio osserva che il nuovo provvedimento n. 98 del 16 luglio 2021, essendo stato adottato "in mero adempimento" dell'ordinanza cautelare n. 103/2021, non è idoneo a determinare l'improcedibilità per carenza d'interesse del ricorso avversativo dell'originario provvedimento n. 29 dell'11 marzo 2021. Tanto sia in considerazione del contenuto del nuovo provvedimento di diniego, non satisfattivo della pretesa del ricorrente, sia in ragione del suo essere espressamente inteso all'esecuzione dell'ordinanza n. 103/2021, la cui natura ontologicamente provvisoria la subordinava al successivo esito del primitivo giudizio di merito (cfr. Cons. St., III, n. 1534/2013). 15. Entrambi i ricorsi vanno respinti in quanto infondati. 15.1 - Il nucleo fondante delle censure di parte ricorrente si appunta sul rilievo che il criterio c.d. "demografico", basato sull'esistenza di uno specifico rapporto fra rivendite e numero degli abitanti, sarebbe destinato a cedere il passo alla disciplina derogatoria dettata dall'art. 2, commi 3 e 7, del d. m. n. 38/2013 (escludente l'applicazione del criterio "demografico" nei casi, come quello in rilievo, di distanza superiore ai 600 metri delle tre rivendite più vicine), disciplina che sarebbe ancora applicabile nella versione vigente all'epoca dei fatti (ante modifica ex d. m. n. 51/2021). Tanto in virtù dell'espresso richiamo al citato art. 2 compiuto dall'art. 6, comma 2, del medesimo d. m. n. 38/2013 in tema d'istituzione delle rivendite speciali. Il ricorrente ha poi lamentato la mancanza, nei provvedimenti impugnati, della valutazione delle esigenze di servizio parametrate sull'effettiva ubicazione degli altri punti vendita, valutazione prescritta, oltre che dall'art. 2 d. m. n. 38/2013, anche dall'art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011 per l'autorizzazione delle rivendite speciali. Le censure proposte non possono però essere condivise. 15.2 - E' ben vero che l'originario diniego impugnato, il provvedimento n. 29/2021, faceva espresso richiamo alle norme del d. m. n. 38/2013, e che effettivamente i commi 3 e 7 dell'art. 2 di tale decreto prevedevano una deroga al criterio "demografico" nei termini prospettati nel ricorso. Tuttavia il Collegio non può ignorare la valenza ostativa all'accoglimento dell'istanza della ricorrente -correttamente evidenziata dal nuovo provvedimento di diniego del 16 luglio 2021- che deriva dall'operatività immediata dell'art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011, nella versione aggiornata dall'art. 4, comma 1, della l. n. 37/2019. Secondo tale tassativa norma primaria, invero, l'istituzione di rivendite speciali è autorizzata "solo in presenza di determinati requisiti di distanza, non inferiore a 200 metri, e di popolazione, nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1.500 abitanti" (cfr. lett. b, espressamente richiamata dalla lettera e) dell'articolo di legge). 15.3 - Quanto al rapporto fra tale disposizione legislativa e l'invocato art. 2, commi 3 e 7, del d. m. n. 38/2013, il Collegio ritiene che, quale conseguenza immediata della diretta applicabilità e della priorità gerarchica del dettato della norma primaria (24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011 nella versione aggiornata dall'art. 4, comma 1, della l. n. 37/2019), la prevalenza del criterio "demografico" debba essere affermata anche prima dell'avvento della modifica regolamentare operata dal d. m. n. 51/2021. A tale conclusione non è di ostacolo la formulazione della citata legge, lì dove, enunciando una serie di regole e criteri, rimanda alla fonte regolamentare la relativa disciplina attuativa e integrativa. In proposito giova richiamare, su tema ana, la giurisprudenza costituzionale che ha da tempo riconosciuto anche alle leggi delega, recanti norme regolatrici della materia sufficientemente dettagliate e di immediata applicazione, efficacia sostanziale e concreta valenza operativa, con effetto di abrogazione delle disposizioni incompatibili (cfr. C. Cost. n. 224/1990, punto 2 del "Considerato in diritto"; id. nn. 359/1993 e 503/2000). D'altra parte, un diffuso orientamento giurisprudenziale si è già formato nel senso dell'immediata applicabilità dei nuovi parametri di distanza e popolazione innestati dalla l. n. 37/2019 nell'art. 24, comma 42, della l. n. 98/2011 per l'istituzione e il trasferimento delle rivendite di tabacchi, stante il tenore puntuale, preciso e autosufficiente delle relative disposizioni (ex plurimis, Cons. St., IV, n. 571/2020; T.A.R. Emilia Romagna, I, n. 791/2020; T.A.R. Lombardia, Brescia, II, n. 125/2020; TAR Lazio, Roma, II, n. 3451/2020). Ed è stato quindi ritenuto che il criterio della proporzione legale tra popolazione e numero di rivendite fosse immediatamente vigente anche prima della modifica del regolamento di attuazione operata con il d. m. n. 51/2021, e che lo stesso criterio non potesse essere superato dalla lettera dell'art. 2, comma 7, DM n. 38/2013 vigente in data anteriore alle modifiche apportate nel 2021 (T.A.R. Campania, Salerno, I, nn. 388/2022 e 386/2022). La diretta e immediata rilevanza del criterio "demografico" è imposta anche dal particolare oggetto e dai connotati della legge n. 37/2019 che lo ha introdotto. La legge, infatti, come evidenzia la formulazione della sua rubrica, che fa riferimento alle "disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018", ha quale obiettivo l'adeguamento dell'ordinamento interno al diritto dell'Unione. Donde la prevalente esigenza di favorire un'interpretazione delle disposizioni di tale legge volta a garantirne l'effetto utile immediato, così da realizzare, ove possibile, l'immediato adeguamento dell'ordinamento interno a quello sovranazionale. 15.4 - La ricorrente, per parte sua, non ha addotto alcun elemento idoneo a superare il contrasto che si appalesa fra il criterio "demografico" introdotto dall'art. 24, comma 42, della l. n. 98/2011, e l'art. 2, commi 3 e 7, del d. m. 38/2013 da essa pur invocato. La norma regolamentare appena detta, nella misura in cui reca una deroga al citato criterio, fa invero emergere l'ineludibile problematica del proprio conflitto reale e concreto con la sopravvenuta norma primaria di matrice eurounitaria. E il Collegio ritiene che detto conflitto vada risolto proprio escludendo l'applicazione della disciplina regolamentare che sta alla base delle deduzioni di parte ricorrente. La diversa ricostruzione fornita da parte ricorrente produrrebbe difatti l'inammissibile effetto di negare l'applicabilità del criterio della proporzione tra numero di rivendite e popolazione residente, a tutto vantaggio del criterio della distanza fra rivendite: il che concretizzerebbe un'ipotesi di contrasto palese, diretto e frontale con quanto previsto art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011, immediatamente operativo anche prima dell'adozione del suo apposito regolamento di attuazione. Una conferma ex post, in chiave puramente ermeneutica, della sussistenza del conflitto richiamato si trae, come ben evidenziato dal nuovo diniego del 16 luglio 2021, dalla modifica apportata dal d. m. n. 51/2021 all'art. 2, commi 3 e 7, d. m. n. 38/2013. Il regolamento del 2021, in sede di attuazione dell'art. 4 della l. 37/2019, ha infatti abrogato l'intero comma 7 e riscritto in senso restrittivo il comma 3, rendendo così possibile una deroga al criterio "demografico" unicamente nell'eccezionale caso, qui non sussistente, dell'assenza di rivendite di tabacchi nell'ambito del comune interessato, e della distanza della rivendita di altro comune superiore ai 600 metri. 15.5 - Il Collegio può pervenire alla diretta applicazione dell'art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011 nella versione aggiornata dall'art. 4, comma 1, della l. n. 37/2019 facendo uso del potere officioso di disapplicazione dell'art. 2, commi 3 e 7, d.m. n. 38/2013 vigente al tempo dei fatti, atteso il suo contrasto evidente e diretto con la citata norma di legge. Tale modus procedendi, coerente con il principio di gerarchia delle fonti e col principio jura novit curia, risulta correttamente attuabile in fattispecie, come quella qui in rilievo, in cui il ricorso (anche in sede di giurisdizione di legittimità ) debba essere respinto perché l'atto impugnato, pur ponendosi in contrasto con un'invocata norma regolamentare, risulta nondimeno conforme alla legge (ex multis cfr. Cons. St., V, n. 4009/2016; id., IV, n. 475/2016; id., n. 309/2016; id., V, 3 febbraio n. 515/2015; T.A.R. Lombardia, Brescia, II, n. 806/2021). 15.6 - Le medesime considerazioni, in punto di prevalenza del criterio legislativo della proporzione tra numero di rivendite e popolazione, possono essere infine richiamate per apprezzare l'infondatezza anche delle censure ricorsuali appuntate sulla mancata valutazione, nei provvedimenti impugnati, delle esigenze di servizio parametrate sull'effettiva ubicazione degli altri punti vendita. Difatti l'interpretazione logica e funzionale dell'art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011, anche alla luce della ratio delle modifiche introdotte dall'art. 4 della l. n. 37/2019, induce a ritenere che la valutazione pretesa dalla ricorrente sia possibile e necessaria solo nei casi, evidentemente diversi da quello qui in rilievo, in cui risulti soddisfatto il criterio della proporzione fra rivendite e popolazione (requisito nel concreto mancante). In altri termini, anche per la concessione delle autorizzazioni per le rivendite speciali di tabacchi il requisito della distanza e quello "demografico", per il fatto di essere connotati da una rilevanza obiettiva e prevalente, in forza del richiamo ad essi operato dall'art. 24, comma 42, lett. e) della l. n. 98/2011, hanno l'effetto di inibire in sede autorizzativa ogni ulteriore valutazione. 15.7 - In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti, in quanto risultano infondati per i profili illustrati in motivazione. Sussistono, tuttavia, giuste ragioni per l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio, tenuto conto, oltre che dell'articolata peculiarità della controversia, del disallineamento tra disciplina legislativa e regolamentare sussistente al tempo della proposizione dell'istanza della ricorrente. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima, riuniti i ricorsi in epigrafe, definitivamente pronunciando su di essi respinge integralmente il n. 120 del 2021, e, limitatamente a quanto residuava da decidere, il n. 263 del 2021. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2022 con l'intervento dei magistrati: Nicola Gaviano - Presidente Massimiliano Scalise - Referendario, Estensore Francesco Avino - Referendario

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