Sentenze recenti Tribunale Castrovillari

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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Vanessa Avolio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 1337 del R.G. 2017 (avente ad oggetto richiesta risarcimento danni), promossa da: (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) e nel cui studio in Castrovillari al (...), elettivamente domicilia; -attrice- contro COMUNE DI CASTROVILLARI (C.F.: 83000330783), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (...) e nella sede legale dell'ente in Castrovillari alla (...), elettivamente domicilia; -convenuto - Conclusioni: come da verbale d'udienza del 21.11.2022, da intendersi qui integralmente riportate e trascritte. FATTO E DIRITTO Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo viene omessa alla luce del nuovo testo dell'art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. (come riformulato dall'art. 45, comma 17 della L. 69 del 2009) nel quale non è più indicata, fra il contenuto della sentenza, la "esposizione dello svolgimento del processo", bensì "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione", dovendosi dare, altresì, applicazione al novellato art. 118, 1° comma, disp. attuaz. c.p.c., ai sensi del quale "la motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha evocato in giudizio l'Ente convenuto assumendo che in data 05.04.2015, alle ore 08.00 circa in Castrovillari - mentre percorreva a piedi Via (...) inciampava in una buca cadendo rovinosamente a terra, a causa di "una profonda buca, in alcun modo segnalata né visibile in quanto completamente ricoperta di fogliame", così procurandosi lesioni consistenti in "lussazione spalla dx ridotta in narcosi". Ritenendo che la causazione del sinistro de quo fosse da ascrivere a responsabilità esclusiva dell'Ente convenuto in ragione dell'asserito difetto di manutenzione del tratto stradale in questione e della mancanza di ogni opportuna segnalazione della situazione di pericolo, concludeva invocando l'integrale ristoro dei danni patiti, oltre interessi e rivalutazione, con vittoria di spese e competenze di causa. Con comparsa di costituzione e risposta datata 02.02.2018 si costituiva l'ente comunale contestando in fatto ed in diritto quanto avanzato dall'attore chiedendone l'integrale rigetto con vittoria di spese e competenze di lite. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale, espletamento di prova testimoniale e consulenza medica sulla persona dell'attore; all'udienza del 21.11.2022 la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di memorie conclusionali e note di replica. La domanda va accolta nei limiti e per le motivazioni di seguito riportate. 1. Va premesso che, nel risarcimento danni ex art. 2051 c.c., grava sul custode l'onere di dimostrare l'inidoneità in concreto della situazione a provocare l'incidente o la colpa del danneggiato, ovvero l'esistenza di altri fatti idonei ad interrompere il nesso causale fra le condizioni del bene ed il danno (cfr., expluribus, Cass. n. 26751/2009). Tale responsabilità per danni di cui all'art. 2051 c.c. ha natura oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha l'effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode. A tal fine, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno. Pertanto, l'attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (cfr. Cass. n. 25243/2006). 2. Nel caso di specie, deve ritenersi compiutamente raggiunta la prova in ordine al sinistro occorso a (...) il 05.04.2015 verificatosi in Via (...) di Castrovillari all'altezza dell'intersezione con Via (...) per come confermato dal teste. In particolare, è stata escussa la teste (...), della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, peraltro indifferente rispetto alle parti, ed a conoscenza dei fatti di causa per aver assistito al sinistro. La (...) escussa all'udienza del 27.01.2020 riferisce testualmente: "...è vero che in data 05.04.2020 verso le ore 08.0 del mattino (...), che conosco di vista percorreva Via (...) di Castrovillari....giunto all'altezza dell'incrocio tra la suddetta via (...) e Via (...) cadeva a terra a causa di una profonda buca che non era né segnalata né visibile perché ricoperta di foglie ed acqua piovana.....mi trovavo a piedi sul suddetto incrocio....mi stavo recando presso la pasticceria "(...)" quando ho visto una persona di sesso maschile cadere violentemente a terra. Mi sono avvicinata e mi sono accorta che era il dott. (...) e mi sono subito preoccupata di soccorrerlo.....accusava forte dolore alla spalla.....". Il teste descrive la buca come completamente ricoperta d'acqua e di fogliame e si trovava sul tratto di strada di percorrenza e priva di segnalazioni (buca rappresentata anche dalle fotografie agli atti del fascicolo di parte attrice). La non prevedibilità risiede proprio nel fatto che l'acqua celava un'insidia non facilmente percepibile. Non sono stati forniti dal Comune elementi sufficienti per ritenere che la caduta sia dipesa da una condotta negligente dell'attore, sessantacinquenne all'epoca dei fatti, atti ad escludere e/o far emergere una responsabilità concorsuale dell'agente. 3. Quanto alle modalità di liquidazione dei postumi, il nominato C.T.U. dott. (...), ha accertato che il sig. (...) nella circostanza ha riportato "Esiti di lussazione scapolo-omerale destra con residua lussazione recidivante ", ritenuti compatibili con l'incidente di che trattasi, da cui sono derivati gg. 35 di inabilità temporanea totale, gg. 60 di invalidità parziale al 50 %, necessari al trattamento riabilitativo e ai controlli clinici. Trascorso tale periodo i postumi si sono stabilizzati e consolidati in una percentuale valutata in misura pari al 4%. Seppur si evidenzia una discrasia tra la valutazione del 10% nella bozza da parte del CTU e del 4% nella relazione finale il CTU dott. (...) ha esaustivamente dato risposta alla predetta riduzione affermando che: "....le conclusioni della mia perizia avevano bay-passato alcuni aspetti della vicenda, dando spazio ad una valutazione più consistente in quanto la presenza di una lussazione abituale di spalla rappresenta un evento realmente grave nella funzionalità dell'arto interessato. Ora, alla luce delle osservazioni, mi rendo conto che la persistenza di uno stato di lussabilità non è stato documentato per niente dopo l'evento acuto. Né è stato possibile evocarla alla visita durante le operazioni peritali. In quella sede ho potuto accertare solo la limitazione funzionale della spalla residuata al trauma, così come lo stesso ctp, dr Tarsia aveva fatto nella sua relazione, nella quale non ha parlato di lussazione abituale ma solo di limitazioni funzionali. Anche la irrituale certificazione del dr (...), redatta in data 1/12/2021, consegnatami in sede di operazioni peritali, parla di "episodi di lussazione, verificatisi da Settembre 2020", come soltanto "riferiti" dal dr (...), ma a cui il collega non ha assistito. A questo proposito, il sottoscritto rileva come una lussazione abituale iniziata nel Settembre del 2020, cioè a distanza di 5 anni dall'infortunio, mette in dubbio anche il rapporto causale con esso. Per dirimere ulteriori dubbi interpretativi, ho deciso di sottoporre il periziando ad un esame RMN che rivelasse i segni della lussazione. Questo esame chiedo al magistrato che venga accluso agli atti, pur nella sua irritualità, in quanto descrive meglio il caso. Ma nel caso il giudice non accettasse questo inserimento agli atti, dichiaro che la mia valutazione non si discosta dalla conclusione di queste risposte. Purtroppo, però, anche questo esame strumentale specifico, ha fatto emergere dubbi sulla reale esistenza della lussazione abituale in quanto il referto definisce la Lesione di Hill-sachs, patognomonica della lussazione, come possibile e non certa, potendo trattarsi anche di Entesopatia calcifica. Per le considerazioni fatte, attualmente mi oriento, nel definire il caso, sull'utilizzo delle voci tabellate nel DM 03/07/2003, che allego in copia, nel quale esiste menzionata una precisa voce della seguente sindrome: "Esiti documentati di lussazione di spalla con sfumate ripercussioni funzionali" valutata, per l'arto dominante, fino al 4%. Ritengo, pertanto, che per (...) si addica proprio questa valutazione al massimo tabellare della sindrome di cui è interessato. La conclusione valutativa della mia Consulenza Tecnica è, dunque, la seguente. Il signor (...), in conseguenza dell'infortunio, occorsogli in data 05/04/15, durante il quale ha riportato la "Lussazione della spalla destra", ha osservato un periodo di invalidità temporanea totale al 100%, di giorni 35, seguiti da altri 60 in inabilità temporanea parziale al 50%. Sono residuati postumi invalidanti permanenti, considerati come danno biologico e insieme perdita della propria integrità psicofisica, consistenti in "Esiti di lussazione documentata di spalla con sfumate ripercussioni funzionali", da valutare secondo il DM 03/07/03, nella misura del 4%....". Dovrà essere espunto dal fascicolo l'esame RMN richiesto dal CTU atteso che l'ausiliario del giudice deve attenersi a quanto indicato nell'ordinanza di giuramento dove è specificatamente prescritto che non è possibile utilizzare o comunque far entrare nel procedimento, neanche con il consenso di tutte le parti, documenti diversi da quelli ritualmente prodotti in giudizio. Passando al quantum secondo le Tabelle del Tribunale di Milano, aggiornate al 2022/23, per i danni di lieve entità, tali danni non patrimoniali vengono quantificati come segue: Età del danneggiato al momento del sinistro: 65 anni; Percentuale di invalidità permanente 4%. Ne deriva, dunque, che deve essere determinato il danno nella complessiva misura di Euro 4.840,00 a titolo di danno biologico permanente. A tale somma deve essere aggiunta quella di Euro 6.435 per danno da invalidità temporanea di cui Euro 3.465 a titolo di I.T.T. (gg 35) ed Euro 2.970 a titolo di I.T.P. al 50% (gg. 60). Pertanto parte convenuta va condannata al pagamento in favore dell'attore della somma complessiva di Euro 11.275,00. Trattandosi di danno stimato all'attualità, su esso non dovrà computarsi rivalutazione monetaria dalla data dell'illecito, ma andranno riconosciuti gli interessi legali sulla somma alla data dell'illecito devalutata e annualmente rivalutata fino al momento della presente decisione (cfr. Cass. 24.10.2008, n. 25734; Cass. S.U. 17.02.1995, n. 1712), oltre interessi ulteriori dalla data della presente decisione fino al soddisfo. Quanto alla personalizzazione del danno in relazione al caso concreto, va detto che non sono emersi, in fase istruttoria, elementi di personalizzazione valutabili, diversi dall'età del danneggiato e dalle lesioni obiettive riportate, avendo il teste riferito di conseguenze normalmente rapportabili all'infortunio oggetto di causa. Stando ai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, va affermata l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, atteso che il sintagma danno morale, da un lato, non è suscettibile di accertamento medico-legale, dall'altro, si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto (pur potendole influenzare) dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato (cfr. Cass., Sez. Lav., 25614/2020; Cass. civ, 25164/2020). Nel caso di specie, l'attore non ha allegato né provato, uno stato di sofferenza precipuo conseguente alla caduta sicché alcuna somma può riconoscersi a tale titolo non potendosi liquidare automaticamente il danno morale in termini di frazione del danno biologico riconosciuto. 4. Quanto al regolamento delle spese le stesse seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale. Le spese relative alla consulenza tecnica espletata, già liquidata con separato decreto, viene posta definitivamente a carico del convenuto. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (...) nei confronti del Comune di Castrovillari, in persona del sindaco e l.r.p.t., disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1. Accoglie, per quanto di ragione, la domanda e, per l'effetto, condanna il Comune di Castrovillari, in persona del sindaco e l.r.p.t., al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 11.275,00 a titolo di risarcimento danni, oltre interessi come in parte motiva; 2. Condanna il Comune di Castrovillari, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento, in favore di parte attrice, delle spese e competenze di lite che si liquidano in Euro 264,00 per esborsi ed Euro 2.540,00 per compensi professionali oltre accessori come per legge e se dovuti; 3. Pone le spese di CTU, liquidate con separato decreto, a carico del Comune di Castrovillari, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore. Così deciso in Castrovillari, 2 maggio 2023. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile, in composizione monocratica, nella persona della dott.ssa Vanessa Avolio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 835 del R.G.A.C. 2014, promossa da: (...) ((...): (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Co.Fo. e nel cui studio sito in Castrovillari alla Piazza (...), elettivamente domicilia; - attrice - contro (...) ((...): (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Ga.Bl. e nel con studio in Castrovillari alla Via (...), elettivamente domicilia; - convenuta - FATTO E DIRITTO Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo viene omessa alla luce del nuovo testo dell'art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. (come riformulato dall'art. 45, comma 17 della L. n. 69 del 2009, peraltro applicabile anche ai processi pendenti in forza della norma transitoria di cui all'art. 58, comma 2 legge cit.) nel quale non è più indicata, fra il contenuto della sentenza, la "esposizione dello svolgimento del processo", bensì "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione", dovendosi dare, altresì, applicazione al novellato art. 118, 1 comma, disp. attuaz. c.p.c., ai sensi del quale "la motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". Con atto di citazione ritualmente notificato (...), nella qualità di erede della genitrice (...), deceduta in San Donato di Ninea il 24.06.1988 e di (...) deceduto in San Donato di Ninea il 19.11.2007, citava in giudizio la convenuta indicata in epigrafe, quale sorella coerede, chiedendo, previa dichiarazione di apertura della successione del de cuius e formazione della massa ereditaria, lo scioglimento della comunione e l'assegnazione delle quote, con vittoria di spese e competenze di giudizio. Si costituiva in giudizio con comparsa di costituzione e risposta (...) che evidenziava l'esistenza di una scrittura privata formata tra le due parti in giudizio nel 2005 relativa alla divisione dei beni per volontà del padre (...). Rilevava altresì la presenza di una liberatoria a firma dell'attrice per aver ricevuto, dalla (...), la somma di Euro 70.000, evidenziando, altresì, la volontà di voler provvedere alla divisione. Concludeva, dunque, per il rigetto della domanda attorea e chiedeva di voler procedere alla divisione di quei beni non presenti nella scrittura privata per la divisione bonaria dei beni ereditari sottoscritta tra (...) e (...) e (...) del 01.06.2005. Il tutto con vittoria di spese e competenze del presente giudizio. La causa veniva istruita a mezzo produzione documentale ed espletamento di CTU e all'udienza del 24.10.2022 veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni dei procuratori delle parti, come in atti rassegnate, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti difensivi conclusionali. 1. Va accolta la domanda di scioglimento della comunione avanzata dall'attrice nei limiti di seguito indicati. Per poter procedere alla divisione ereditaria è stato conferito incarico, all'ing. (...), al fine di redigere progetto di divisione. L'incarico prevedeva, previa verifica della divisibilità dei beni in natura, la predisposizione di progetto divisionale con formazione delle quote e previsione di eventuali conguagli. Il consulente, nel ritenere i beni comodamente divisibili, provvedeva a predisporre un progetto di divisione di cui all'elaborato in atti. L'art. 789 c.p.c. prevede che il giudice predisponga un progetto di divisione, sottoponendolo alle parti. Se non sorgono contestazioni, il progetto viene reso esecutivo con ordinanza, altrimenti la causa va decisa con sentenza. Nel caso di specie, la presenza di contestazioni rende necessaria la statuizione con sentenza. Il progetto non ha trovato l'approvazione della convenuta (...), che sollevava contestazioni in ordine al mancato inserimento nel progetto divisionale della scrittura firmata dall'attrice relativa alla somma di Euro 70.000,00 versata alla stessa da parte della germana E.. A tal uopo si rileva che il principio di non contestazione tragga fondamento dal nuovo testo dell'art. 115 comma 1 c.p.c., come modificato dalla L. n. 69 del 2009, secondo cui nei processi relativi a diritti disponibili se una parte non contesta specificamente i fatti specifici e precisi allegati dall'altra parte, il giudice deve porli a fondamento della decisione dovendoli ritenere provati. Il principio di non contestazione comporta, in capo alle parti processuali, un onere di attivazione al fine di contestare i fatti posti a fondamento della domanda giudiziale. Laddove ciò non avvenga, la non contestazione assume la veste di comportamento processuale rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, trattandosi di principio che assume rilievo determinante anche al fine di non rendere impossibile o comunque eccessivamente difficile l'adempimento dell'onere probatorio incombente su ei qui dicit ed evitare così il compimento di attività inutili in un'ottica di semplificazione ed economia processuale. Detto altrimenti, il principio di non contestazione comporta che nei processi relativi a diritti disponibili i fatti non contestati siano posti fuori dal thema probandum, per cui - non necessitando di essere provati - devono essere considerati come esistenti dal giudice. Il deficit di contestazione rende inutile provare il fatto, poiché non controverso, vincolando il giudice a tenerne conto senza alcuna necessità di convincersi della sua esistenza. Orbene, nel caso che ci occupa, la lamentela posta in essere dalla convenuta trova piena giustificazione laddove il documento, agli atti del fascicolo di parte convenuta, firmato dalla (...) non è giammai stato dalla stessa contestato né vi è stata proposta querela di falso o altro che potesse valere a contestare quanto in essa contenuto. Non può essere accolta la doglianza di parte attrice relativamente alla considerazione che la somma indicata in scrittura e versata dalla (...) di Euro 70.000 era la parte spettante alla germana (...) della maggiore somma di Euro 140.000 atteso che nulla ha provato parte attrice in tal senso. Infatti, dinnanzi a quanto sostenuto da parte convenuta era preciso onere di parte attrice dare prova dei propri assunti e quindi dell'esistenza nel patrimonio ereditario della somma di Euro 140.000. In conseguenza la somma indicata in scrittura affidata dalla convenuta alla germana (...) e ricavata dalla riscossione di (...) "di proprietà di papà e mamma" deve essere divisa per due, con la conseguenza che (...) è debitrice di Euro. 35.000 nei confronti della germana e si dovrà, quindi, procedere al conguaglio delle somme per come effettuato dal CTU Ing. (...). Circa il progetto divisionale questo giudicante ritiene logico e congruo quanto indicato nell'atto di transazione di cui alla tabella A, allegata alla perizia del CTU Ing. (...), concordato tra le parti ed a cui le stesse hanno ribadito, nei propri scritti conclusivi, di voler aderire, e che qui s'intende integralmente riportato e trascritto. Il CTU precisava nelle conclusioni che "... poiché il valore della quota attribuita alla germana (...) è superiore alla quota effettiva di diritto, pari ad Euro 16.175,53, l'assegnataria dovrà corrispondere alla germana (...) la somma di Euro. 1.709,47 (= Euro 17.885,00 - 16.175,53)...". Pertanto nell'effettuare il conguaglio relativo alla somma di Euro 70.000 versato alla (...) dovrà statuirsi che la stessa sarà tenuta a restituire alla (...) la somma di Euro 33.290,53 (=35.000,00 - 1.709,47). In conclusone questo giudice ritiene logico e congruo recepire il progetto redatto dall'ing. G., in base al quale sono stati elencati e divisi i beni della massa ereditaria per come specificati nella tabella A dell'allegata perizia di cui in atti che qui s'intende integralmente riportata con la suddivisione delle rispettive quote ereditarie di seguito descritte. Il CTU conclude affermando "...qui significando e riassumendo che il valore complessivo della massa ereditaria dei coniugi T.-C. è pari ad Euro. 32.351,06 (euro trentaduemilatrecentocinquantuno/06). Con la conseguenza che il valore della quota ereditaria di ciascuna di esse comproprietarie è pari ad Euro. 16.175,53 (eurosedicimilacentosettantacinque/53) ...Altresì, venivano definite due (n. 2) lotti, ovvero: - QUOTA n. 01 costituita da: - un fabbricato per abitazione sito in S. D. di N. alla via C. n. 7, in piena proprietà, indicato nell'Allegato "A" con il numero 1 di ordine, del valore di Euro. 17.885,00 (euro diciassettemilaottocentoottantacinque/00); - la metà dell'importo che sarà maturato alla data della riscossione dei buoni postali cointestati con il padre (...) (specificati al punto n. 3 dell'atto di transizione). - QUOTA n. 02 costituita: - dai diritti in capo a tutti gli altri cespiti (terreni e fabbricati rurali), pro quota pervenuta ai genitori, indicati nell'Allegato "A" a partire dal numero 2 fino al numero 66 di ordine, del valore di Euro. 14.466,06 (euro quattordicimilaquattrocentoses-santasei/06); - la metà dell'importo che sarà maturato alla data della riscossione dei buoni postali cointestati con il padre (...) (specificati al punto n. 3 dell'atto di transizione). Si conveniva anche l'assegnazione delle due quote per tener conto dello stato di salute della convenuta (...) affetta "sin dalla primissima infanzia da poliomelite" tanto da "risulta(re) beneficiaria di relativa indennità". Così che: - alla germana (...) si attribuiva la quota n. 02; -- e, alla germana (...) si attribuiva la quota n. 01 ....E, poiché il valore della quota attribuita alla germana (...) è superiore alla quota effettiva di diritto, pari ad Euro. 16.175,53, l'assegnataria dovrà corrispondere alla germana (...) la somma di Euro. 1.709,47 (= Euro 17.885,00 - 16.175,53) ...". Ed inoltre, a titolo di conguaglio (...) deve essere condannata al pagamento, in favore di (...) della somma di Euro 33.290,53, costituente la metà dell'importo versato alla (...) (Euro 70.000) detratta la somma per la maggior quota per come indicata dal consulente d'ufficio, da cui non vi sono ragioni per discostarsi; trattandosi di valori da ritenersi attuali, non appare necessario procedere ad alcuna rivalutazione (cfr. da ultimo, Cass. civ., ord. 3 luglio 2014, n. 15288). Ogni altra questione deve ritenersi superata ed assorbita dalla decisione. 2. La soccombenza reciproca su alcune delle pretese avanzate nel giudizio, l'andamento dello stesso e la particolarità della vicenda giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite. Le spese della CTU, già liquidate con separato decreto, vanno poste in solido a carico delle parti. La presente sentenza va dichiarata provvisoriamente esecutiva ex art. 282 c.p.c.. P.Q.M. Il giudice, definitivamente pronunciando sulla causa in oggetto, ogni contraria istanza, deduzione, difesa ed eccezione disattesa così provvede: 1. Attribuisce a (...) la quota 2 individuata nel progetto di divisione di cui in atti alla tabella A della perizia dell'ing. (...); 2. Attribuisce a (...) la quota 1 individuata nel progetto di divisione di cui in atti alla tabella A della perizia dell'ing. (...); 3. Condanna (...) al pagamento, in favore di (...) al pagamento della somma di Euro 33.290,53; 4. Pone le spese di consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto, a carico delle parti in solido; 5. Compensa tra le parti le ulteriori spese di lite. Così deciso in Castrovillari il 20 aprile 2023. Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale di Castrovillari, sezione civile, in persona della dott.ssa Vanessa Avolio ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 2786 del RGC dell'anno 2016, avente ad oggetto impugnazione di delibera condominiale e vertente TRA (...) (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) e nel cui studio in Cassano allo Jonio - frazione Lauropoli - al (...), elettivamente domicilia. - attore - CONTRO (...), in persona dell'amministratore p.t., (C.F.: (...)), rappresentato e difeso dall'avv. (...) e nel cui studio in Castrovillari alla (...), elettivamente domicilia; - convenuto - NONCHE' (...) (C.F.: (...)) rappresentato e difeso dall'avv. (...) e nel cui studio in Castrovillari al Corso (...), elettivamente domicilia; - terzo chiamato - CONCLUSIONI: come da verbale del 12.10.2022 che qui s'intende integralmente trascritto e riportato FATTO E DIRITTO Si premette che la parte relativa allo svolgimento del processo viene omessa alla luce del nuovo testo dell'art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c.. (come riformulato dall'art. 45, comma 17 della L. 69 del 2009, peraltro applicabile anche ai processi pendenti in forza della norma transitoria di cui all'art. 58, comma 2 legge cit.) nel quale non è più indicata, fra il contenuto della sentenza, la "esposizione dello svolgimento del processo", bensì "la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione", dovendosi dare, altresì, applicazione al novellato art. 118, 1° comma, disp. attuaz. c.p.c., ai sensi del quale "la motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma, n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi". Con atto di citazione ritualmente notificato, l'odierno attore impugnava la delibera assembleare del 22.06.2022 (II convocazione), inerente al punto 5 "regolamentazione area parcheggio" per i seguenti motivi: a) il parcheggio all'interno della corte è stato costruito da oltre 50 anni e tutti i condomini ne usufruiscono; b) le auto non hanno mai creato e non creano ostacoli alla circolazione; c) all'esterno dell'area condominiale non è possibile parcheggiare perché non ci sono parcheggi; d) la delibera non è stata motivata da alcuna necessità; e) la corte è ampia abbastanza da consentire il parcheggio di svariate auto; f) i parcheggi coperti non sono assegnati e vengono occupati da tutti secondo disponibilità. Concludeva dunque nell'accertare e dichiarare la nullità e/o annullabilità, della delibera opposta relativamente al punto della regolamentazione area parcheggio. Il tutto con vittoria delle spese e competenze di lite. Con comparsa di costituzione e risposta depositata telematicamente in data 30.06.2017 si costituiva il Condominio convenuto il quale preliminarmente evocava in giudizio il terzo (...). Nel merito evocava la regolarità delle tabelle millesimali approvate nella delibera opposta. Il tutto con vittoria delle spese e competenze di lite del presente giudizio. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria in data 16.12.2017 si costituiva il terzo chiamato il quale preliminarmente rilevava la carenza di legittimazione passiva avendo il professionista redatto le sole tabelle millesimali e pertanto completamente estraneo al punto impugnato della delibera assembleare. Il tutto con vittoria delle spese e competenze di legge da distrarre ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. La causa veniva istruita mediante produzione documentale e prova documentale e all'udienza del 12.10.2022 il giudice invitava le parti a precisare le conclusioni e tratteneva la causa in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e note di replica. 1. Preliminarmente andrà accolta l'eccezione del terzo chiamato relativamente alla propria carenza di legittimazione passiva. Orbene, nel caso di specie, il convenuto, basando erroneamente le proprie difese e il proprio atto costitutivo sull'impugnativa delle tabelle millesimali, ha chiamato in giudizio il terzo Ing. (...) redattore delle medesime. Di contro da un'attenta disamina dell'atto introduttivo appare evidente che l'impugnativa della delibera del 22.06.2016, contenente altresì l'approvazione delle tabelle millesimali, concerne solo il punto 5) relativo alla regolamentazione dell'area parcheggio. Da ciò, appare ovvia conseguenza che dovrà essere dichiarata la carenza di legittimazione passiva del terzo chiamato con ogni conseguenza di legge. 2. Ad avviso di questo Giudice, la domanda attorea non può trovare accoglimento, sulla base delle considerazioni che seguono. 2.1 La disamina deve avere anzitutto riguardo alla delibera del 22.10.2016, rispetto alla quale l'attore denuncia la nullità per violazione dei diritti dei singoli condomini sulle parti comuni. Sul punto, deve anzitutto rilevarsi che la disposizione invocata dall'attore concerne non già la nullità, bensì l'annullamento, come è dato evincere dal suo chiaro tenore letterale. L'attore non invoca, a fondamento della dedotta nullità, specifiche disposizioni di legge che la prevedano o la implichino, limitandosi a richiamare la violazione dei diritti del condomino. Né d'altra parte può ritenersi che, in tutte le ipotesi in cui il condomino contesti la violazione di un proprio diritto individuale sulla cosa comune, il vizio dedotto debba qualificarsi alla stregua di nullità. A tale vizio infatti sono riconducibili le ipotesi di invalidità particolarmente gravi, espressamente ricondotte dal legislatore alla categoria della nullità o comunque implicitamente riconducibili ad essa in virtù della loro particolare rilevanza. Nel caso di specie il vizio dedotto deve dunque ricondursi alla più appropriata dimensione della annullabilità, con conseguente applicazione dei requisiti di legittimazione attiva previsti dall'art. 1137 c.c.; a disposizione circoscrive la legittimazione ai condomini assenti o dissenzienti. Orbene, dal verbale di approvazione della delibera assembleare, con particolare riferimento al punto "regolamentazione area parcheggio" che è stato impugnato in questa sede, si evince che la delibera è stata approvata con la maggioranza, e l'odierno attore, presente tramite l'avv. (...), non prendeva alcuna posizione (pertanto né assente né dissenziente). 2.2. In ogni caso, il motivo di impugnazione risulta infondato anche nel merito, posto che la delibera in questione non incide né sui diritti di proprietà esclusiva, né sulle quote individuali della proprietà comune. Infatti, deve rilevarsi che - come è dato evincere dal tenore complessivo della deliberazione - la medesima non prevede in via definitiva ed irreversibile l'assegnazione in via esclusiva di aree di proprietà comune a singoli condomini, e pertanto non incide sulle quote individuali di godimento della cosa comune, limitandosi a regolare il disciplinato godimento della cosa comune. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è consolidata nell'affermare che le delibere di approvazione del parcheggio sulle aree cortilizie comuni non violino né le prerogative dei singoli condomini (Sez. 2, Sentenza n. 12485 del 19/07/2012, Rv. 623462 - 01), né l'art. 1120 c.c. (Sez. 2, Sentenza n. 5997 del 05/03/2008, Rv. 602685 - 01). Pertanto, non si ravvisano i profili di illegittimità lamentati dall'attore. 3. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo (studio Euro 131); (introduttiva Euro 131); (istruttoria Euro 200); (decisionale Euro 200) P.Q.M. il Tribunale di Castrovillari nella persona della dott.ssa Vanessa Avolio, definitivamente pronunciando per quanto di ragione, ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così decide: - Dichiara ii difetto di legittimazione passiva del terzo chiamato (...); - Rigetta la domanda svolta da (...) nei confronti di (...), volta alla declaratoria di nullità della delibera condominiale del 12 ottobre 2016 inerente al punto 5 "regolamentazione area parcheggio; - Condanna (...) al pagamento in favore del (...) - in persona del l.r.p.t. - delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 662,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e se dovuti; - condanna il (...) al pagamento in favore del terzo chiamato (...) delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 662,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e se dovuti, da distrarre ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Castrovillari 6 marzo 2023. Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI ex Tribunale di Rossano - SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica e nella persona del dott. Alessandro Caronia ha pronunziato la seguente SENTENZA Nelle controversie civili riunite iscritte al n. 1616/2011 del Ruolo Generale Affari Contenziosi Tribunale Rossano, avente ad oggetto "Mutuo", e al n. 1617/2011 del Ruolo Generale Affari Contenziosi Tribunale Rossano, avente ad oggetto "Mutuo" e vertente Per il giudizio con r.g. n. 1616 del 2011, instaurato dinanzi al Tribunale di Rossano TRA (...), C.F. (...), parte nata a C. C. in data (...), in proprio e nella qualità di erede di (...), rappresentata e difesa dall'avv. MA.GI., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti - ATTORE - E (...), C.F. (...), parte identificata come in atti, rappresentata e difesa dall'avv. AG.ST., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti; - CONVENUTO - (...), parte identificata come in atti, residente alla C.da L. (...) n. 99 R. C.; - CONVENUTO contumace - Per il giudizio con r.g. n. 1617 del 2011, instaurato dinanzi al Tribunale di Rossano TRA (...), C.F. (...), parte nata a (...) in data (...), in proprio e nella qualità di erede di (...), rappresentata e difesa dall'avv. MA.GI., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti - ATTORE - E (...), C.F. (...), parte nata in R. in data (...), rappresentata e difesa dall'avv. LE.TR., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti; (...), C.F. (...), parte nata a V. in data (...), rappresentata e difesa dall'avv. LE.TR., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti - CONVENUTI - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I fatti di causa, le posizioni delle parti e le loro conclusioni 1.1. Nel giudizio 1616 del 2011 Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...). La difesa del primo ha allegato: - In data 13.5.03 i signori (...) e (...), padre dell'odierno istante deceduto, hanno concesso in prestito ai signori (...) e (...) una somma pari ad Euro 15.500,00 tramite assegni circolari; - Per tali prestiti i signori (...) si sono assunti l'obbligo del rimborso nel volgere di pochi anni e la corresponsione degli interessi pattuiti nella misura dell'8% annuo sulla sorte capitale; - È stata restituita la sola somma di Euro 2.500,00; - Pertanto, nonostante i reiterati solleciti, non risultano dazioni di denaro imputabili aa rimborso della somma iniziale data in prestito, che ammonta, quindi, ad Euro 13.000,00, oltre interessi legali e maggior danno da svalutazione dalla maturazione del diritto e fino all'effettivo soddisfo. - È evidente, pertanto, che nel caso de quo sia applicabile l'art. 1813 c.c., che disciplina il contratto di mutuo. Tanto premesso, (...) ha chiesto a questo Tribunale di: a. Condannare i convenuti (...) e (...), in solido, alla restituzione della somma ricevuta dall'odierno istante pari ad Euro 13.000,00, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti, con gli interessi legali e il maggior danno da svalutazione monetaria, da dì della maturazione e fino al soddisfo; b. Con vittoria di spese e compensi per il giudizio, con distrazione in favore del difensore per dichiarato anticipo ex art. 93 c.p.c.. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 6.3.13, si è costituito (...). La sua difesa ha dedotto che: - L'attore mai ebbe a prestare al signor (...) le somme di denaro e, in particolare, tra gli stessi non è intercorso alcun rapporto; - L'odierno convenuto nell'anno 2003 ebbe rapporti con il (...), in quanto effettuò per conto dello stesso dei lavori di muratura e pulitura dei terreni, lavori per cui (...) è stato regolarmente pagato. Invece, alcuna somma il convenuto ha ricevuto a titolo di prestito da (...) e, tantomeno, quella riportata in citazione. - Il (...), invece, non ha intrattenuto alcun rapporto con l'istante, che è assolutamente sconosciuto e verso il quale non ha alcun obbligo; né tantomeno ha sottoscritto alcuna dichiarazione nei suoi confronti e, pertanto, se ne eccepisce il difetto di legittimazione attiva. - Inoltre, atteso che il convenuto nulla deve all'attore, si contesta e disconosce espressamente ex art. 214 c.p.c. e 2712 c.c., nonché si eccepisce la intervenuta prescrizione ex art. 2948 c.c. Ciò posto, (...), ha chiesto a questo Tribunale: 1. Dichiarare il difetto di legittimazione attiva; 2. Il rigetto delle domande attoree perché infondate e, in ogni caso, prescritta; 3. Con vittoria di spese e compensi per il giudizio, con distrazione in favore del difensore per dichiarato anticipo. 1.2. Nel giudizio 1167 del 2011. Con atto di citazione ritualmente notificato, (...) ha convenuto in giudizio (...) e (...). La difesa del primo ha allegato: - In data 13.5.03 i signori (...) e (...), padre dell'odierno istante deceduto, hanno concesso in prestito ai signori (...) e (...) una somma pari ad Euro 20.658,28 tramite assegni circolari; - Successivamente, gli stessi hanno erogato l'ulteriore somma di Euro 5.000,00. - Per tali prestiti i signori (...) si sono assunti l'obbligo del rimborso nel volgere di pochi anni e la corresponsione degli interessi pattuiti nella misura dell'8% annuo sulla sorte capitale; - In data 12.4.04 è stata restituita la sola somma di Euro 1.500,00; - Pertanto, nonostante i reiterati solleciti, non risultano dazioni di denaro imputabili aa rimborso della somma iniziale data in prestito, che ammonta, quindi, ad Euro 24.158,28, oltre interessi legali e maggior danno da svalutazione dalla maturazione del diritto e fino all'effettivo soddisfo. - È evidente, pertanto, che nel caso de quo sia applicabile l'art. 1813 c.c., che disciplina il contratto di mutuo. Tanto premesso, (...) ha chiesto a questo Tribunale di: c. Condannare i convenuti (...) e (...), in solido, alla restituzione della somma ricevuta dall'odierno istante pari ad Euro 24.158,28, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti, con gli interessi legali e il maggior danno da svalutazione monetaria, da dì della maturazione e fino al soddisfo; d. Con vittoria di spese e compensi per il giudizio, con distrazione in favore del difensore per dichiarato anticipo ex art. 93 c.p.c.. Con comparsa di costituzione e risposta, depositata in data 1.6.12, si sono costituiti (...) e (...). La loro difesa ha dedotto che: - In via preliminare, si contesta e si disconosce espressamente tutto quanto dedotto, richiesto e prodotto ex art. 214 c.p.c. e 2712 c.c. - Nessun rapporto è intercorso tra i comparenti e l'istante, che mai ha prestato loro alcuna somma di denaro. - Vero è, invece, che il (...) nell'anno 2003 ebbe ad effettuare lavori di muratura e pulitura di terreni per conto del defunto (...), lavori per i quali è stato regolarmente retribuito mediante corresponsione di somme di denaro. Nessuna somma, invece, (...) e (...) hanno ricevuto dall'istante a titolo di prestito, men che mai quella indicata in domanda. - I convenuti, invece, non hanno intrattenuto alcun rapporto con l'istante, che è assolutamente sconosciuto e verso il quale non hanno alcun obbligo; né tantomeno essi hanno sottoscritto alcuna dichiarazione nei suoi confronti e, pertanto, se ne eccepisce il difetto di legittimazione attiva. - Inoltre, atteso che i convenuti nulla devono all'attore, si eccepisce la intervenuta prescrizione ex art. 2948 c.c. Ciò posto, (...), ha chiesto a questo Tribunale: a. Dichiarare il difetto di legittimazione attiva; b. Il rigetto delle domande attoree perché infondate e, in ogni caso, prescritta; c. Con vittoria di spese e compensi per il giudizio. 2. Il corso del giudizio. Alla udienza del 6.3.13 è stata dichiarata la contumacia di (...), non costituita e non comparsa, nonostante la rituale notifica dell'atto introduttivo. Successivamente, con ordinanza resa alla udienza del 17.4.13 i due giudizi sono stati riuniti. Concessi, quindi, i termini 183 c. 6 c.p.c., depositate le relative memorie, la causa è stata istruita attraverso la documentazione prodotta nonché attraverso gli interrogatori formali delle parti. Riassegnato il fascicolo allo Scrivente, all'udienza del giorno 20.09.22, le parti hanno precisato le conclusioni come in atti. Vale subito rilevare che, in quella sede, le istanze istruttorie formulate e rigettate dal giudice istruttore non sono state reiterate in modo specifico; per l'effetto, devono ritenersi abbandonate (cfr. Cass. Civ. 19352 del 3.8.17 e, in maniera ancora più precisa, Cass. Civ. 10748 del 27.6.12). 3. In rito. 3.1.Al fine di meglio delimitare il thema decidendum, deve essere disattesa l'eccezione di prescrizione formulata dalla parte convenuta costituita S., in quanto tardiva. Infatti, trattandosi di eccezione in senso stretto di merito, la stessa avrebbe dovuto essere proposta, ai sensi degli art. 166 e 167 c.p.c., con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata venti giorni prima dell'udienza indicata in citazione o di quella fissata a norma dell'art. 168 bis quinto comma c.p.c.. Nel caso di specie, la prima udienza indicata in citazione è stata differita ex art. 168 bis quinto comma al 28.6.12 (poi ulteriormente differita al 6.3.13). Tuttavia, la comparsa di costituzione e risposta, con la quale il S. si è costituito, è stata depositata in cancelleria solo in data 6.3.13. Pertanto, la parte convenuta, non avendo rispettato il termine dei 20 giorni prima dell'udienza, è incorsa nella decadenza ex art. 167 c. 2 c.p.c.. Alla luce della consolidata e stratificata giurisprudenza, non vale neppure soffermarsi sulla natura di eccezione in senso stretto della prescrizione né sul rilievo officioso delle violazioni delle preclusioni e decadenze che caratterizzano il novellato rito ordinario, indipendentemente dall'atteggiamento processuale della controparte. 3.2. In ordine al difetto di legittimazione attiva, vale osservare che la legittimazione ad agire è una condizione dell'azione, la cui sussistenza va accertata sulla base della prospettazione operata dall'attore nell'atto introduttivo e sussiste ogni qualvolta l'attore, come nel caso di specie, si proclami titolare del diritto azionato e agisca nei confronti dei soggetti che indica come i titolari passivi della sua pretesa; la titolarità del rapporto giuridico controverso attiene, invece, al merito della lite per cui chi agisce in giudizio deve provare i fatti costitutivi del suo diritto e deve, quindi, dimostrare che il convenuto sia effettivamente titolare della posizione di debito (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 2951 del 2016). Infondato, pertanto, l'eccepito difetto di legittimazione attiva, concernendo le questioni evocate, al più, al merito della pretesa. Peraltro, l'attore, agendo anche nella qualità di erede del padre (...), quale partecipante ad eventuale comunione può esercitare singolarmente le azioni a vantaggio dei beni comuni, senza che sussista litisconsorzio con gli altri coeredi. Infatti i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, ma entrano a far parte della comunione ereditaria (cfr. 752, 754, 727 e 757 c.c.). 3.3. In ordine alla scrittura privata prodotta, la stessa si ha per riconosciuta nei confronti del contumace, ex art. 215 c. 1 n. 1 c.p.c., essendo la scrittura espressamente indicata nell'atto di citazione (cfr. Cass. Civ. n. 6980 del 1997). La stessa spiega efficacia di piena prova nei confronti di (...). 3.4. La medesima scrittura, inoltre, non è stata disconosciuta in maniera precisa e specifica e, quindi, idonea allo scopo neppure dal (...). Egli, infatti, costituendosi non ha negato formalmente la propria scrittura né la propria sottoscrizione, attraverso una espressa e non equivoca negazione della genuinità della propria sottoscrizione in calce alla scrittura privata prodotta da controparte. Si rammenta, infatti, che il disconoscimento di una scrittura privata, pur non richiedendo una forma vincolata, deve avere i caratteri della specificità e della determinatezza e non può costituire una mera formula di stile. Pertanto a tale scopo va considerata inidonea una contestazione generica oppure implicita perché frammista ad altre difese o sottintesa in una diversa versione dei fatti; inoltre la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento al documento e al profilo di esso che viene contestato. (v. Cass. civ. n. 17313 del 2021; Cass. civ. n. 1537 del 2018). 3.5.Le medesime considerazioni possono essere svolte in relazione alla scrittura privata prodotta in giudizio dall'attore nei confronti di (...) e (...). Infatti, come agevolmente di desume dalla comparsa di costituzione e risposta, le dichiarazioni di disconoscimento si rivelano generiche e omnicomprensive e, come tali, inidonee allo scopo, nulla accennando né rispetto al testo della scrittura né in ordine alla non genuinità della propria sottoscrizione. Il disconoscimento generico è privo di effetto e, pertanto, ex art. 214 c.p.c. le scritture private in atti acquistano l'efficacia di prova legale ex art. 2702 c.c. 4. Nel merito. La domanda dell'attore nei confronti di (...) e (...) è fondata e deve essere accolta. 4.1.Il tenore inequivoco della scrittura in atti - che, per le ragioni sopra esposte deve aversi per riconosciuta dalla convenuta contumace e non disconosciuta dalla parte costituita - conferma l'esistenza del titolo, da sussumere in un contratto di mutuo, dal quale sorge, per il mutuatario, l'obbligo di restituire le somme ricevute. Orbene, secondo i consolidati principi in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento (Cass. civ., Sez. Un. n. 13533 del 2001). Peraltro, ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., il debitore è responsabile per l'inadempimento dell'obbligazione fino al limite della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l'impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa. La giurisprudenza della Suprema Corte è costante, infatti, nel ritenere che l'impossibilità sopravvenuta che libera dall'obbligazione deve essere obiettiva, assoluta e riferibile al contratto e alla prestazione ivi contemplata, e deve consistere non in una mera difficoltà, ma in un impedimento, del pari obiettivo e assoluto, tale da non poter essere rimosso, a nulla rilevando comportamenti di soggetti terzi rispetto al rapporto (cfr. e pluribus, Cass. Civ. n. 15073 del 2009, Cass. Civ. n. 9645 del 2004, Cass. Civ. n. 8294 del 1990 e Cass. Civ. 252 del 1953). Di conseguenza l'impossibilità sopravvenuta della prestazione produce gli effetti estintivi o dilatori se deriva da una causa avente natura esterna e carattere imprevedibile secondo la diligenza media. (cfr. Cass. Civ. n. 2691 del 1987, n. 3844 del 1980, n. 2555 del 1968). 4.2. Tanto premesso è evidente che il creditore della obbligazione relativa alla restituzione del tantundem - odierno attore - ha agito per l'esatto adempimento della obbligazione nascente dal contratto di mutuo (non avendo richiesto, invece, né la risoluzione né il risarcimento del danno; cfr. sulla diversità delle azioni Cass. Civ. 6886 del 2014; Cass. Civ. 15641 del 2017). Avendo allegato il titolo - da ritenersi provato per le ragioni sopra esposte - e dedotto l'altrui inadempimento, il creditore ha assolto il proprio onere relativo alla azione di adempimento ex art. 2697 c.c.. Di contro, il debitore, che ne era onerato, non ha documentato fatti estintivi o modificativi della pretesa azionata, idonei ad estinguere l'obbligazione del pagamento del prezzo, nascente dal titolo azionato. In assenza di termine, sussiste il diritto del creditore a esigere immediatamente l'adempimento restitutorio da parte del mutuatario, laddove quest'ultimo sia divenuto insolvente, risultando invece superflua la preventiva fissazione giudiziale del termine per l'adempimento (cfr. Cass. Civ. n. 11437 del 2022, ove precisa che "Nella specie, la Corte di appello di Milano, nel rigettare il secondo motivo di appello concernente l'inesigibilità del credito per mancata apposizione del termine da parte del giudice a norma dell'art. 1817 c.c., ha affermato che lo stesso rifiuto di adempimento opposto nel giudizio vale quale prova dell'incapacità ad adempiere (v. pag. 14 della sentenza impugnata), facendo buon governo dei principi sopra richiamati"). Tenuto conto che il fatto della restituzione della sola somma di Euro 2.500,00 non è stato contestato dal S. e che, pertanto, in seguito alla diffida ad adempiere sussiste un rifiuto alla corresponsione del saldo, (...) e (...) devono essere condannati a restituire la somma di Euro 13.000,00 oltre interessi, al tasso legale, dalla domanda al soddisfo, dal momento che solo con la instaurazione del giudizio si è consolidato il rifiuto dell'adempimento della parte ai fini sopra evocati. La condanna è solidale attesa la presunzione di cui all'art. 1294 c.c. 4.3. Rispetto alla domanda proposta di corresponsione della rivalutazione monetaria, la stessa va rigettata. Sul punto questo Giudice condivide in pieno quanto statuito da Cass. civ. Sez. Un. n. 5743 del 2015 a proposito della proposizione in forma generica della domanda di corresponsione della rivalutazione monetaria anche tenuto conto che il debito oggetto del presente giudizio ha natura di debito di valuta. 4.4. La domanda di risarcimento del danno è, sotto il profilo assertivo, di genericità tale da non poter essere accolta; sotto il profilo probatorio, poi, è sfornita di qualsiasi sostegno a fondamento della stessa. 4.5. Tutte le medesime considerazioni possono essere traslate anche in relazione alla domanda dell'attore nei confronti dei convenuti (...) e (...). Anche in tal caso l'inequivoco tenore della scrittura privata allegata, la quale, per le ragioni esposte, deve ritenersi non disconosciuta dalle parti costituite conferma l'esistenza del titolo, da sussumere in un contratto di mutuo, dal quale sorge, per il mutuatario, l'obbligo di restituire le somme ricevute. Avendo allegato il titolo - da ritenersi provato per le ragioni sopra esposte - e dedotto l'altrui inadempimento, il creditore ha assolto il proprio onere relativo alla azione di adempimento ex art. 2697 c.c.. Di contro, il debitore, che ne era onerato, non ha documentato fatti estintivi o modificativi della pretesa azionata, idonei ad estinguere l'obbligazione del pagamento del prezzo, nascente dal titolo azionato. L'eccezione relativa alla prescrizione è, invece, infondata, concernendo l'art. 2948 c.c. solo gli interessi non anche la restituzione del capitale, per il quale vige, giusta contratto di mutuo, la prescrizione decennale (v. anche Cass. Civ. 12707 del 2002). Anche in tal caso, peraltro, il fatto della restituzione della sola somma di Euro 1.500,00 non è stato contestato dai convenuti e che, pertanto, in seguito alla diffida ad adempiere sussiste un rifiuto alla corresponsione del saldo. Per l'effetto, (...) e (...) devono essere condannati a restituire la somma di Euro 24.158,28, oltre interessi, al tasso legale, dalla domanda al soddisfo, dal momento che solo con la instaurazione del giudizio si è consolidato il rifiuto dell'adempimento della parte ai fini sopra evocati. La condanna è solidale attesa la presunzione di cui all'art. 1294 c.c. 4.6.Considerazioni identiche a quelle sopra espresse possono essere formulate in relazione alla richiesta rivalutazione monetaria nonché in riferimento alla domanda di risarcimento del danno. 5. Il regime delle spese L'accoglimento solo parziale delle domande attoree determina una reciproca soccombenza, che giustifica la compensazione per la metà delle spese di lite. Per la restante parte le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano d'ufficio come in dispositivo, tenuto conto: a) che va disposta la condanna in solido dei convenuti, in quanto la condanna solidale al pagamento delle spese processuali nei confronti di più parti soccombenti può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui vi sia, come nel caso di specie, una comunanza di interessi (Cass. civ., Sez. II, 12 agosto 2011, n. 17281),. b) che tali spese vanno liquidate in base ai parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, (pubblicato in G.U. il 2.4.2014 ed entrato in vigore il 3.4.2014) in quanto tali nuovi parametri in base all'art. 28 di tale decreto "... si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore"; c) che, in effetti, ciò è in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a proposito dei parametri introdotti con D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2012, n. 17405); d) che i parametri devono essere aggiornati sulla base del nuovo D.M. n. 147 del 13 agosto 2022 pubblicato sulla G.U. n. 236 del 08/10/2022; e) del valore delle controversie; f) del numero scarno delle questioni giuridiche e di fatto trattate; g) della semplicità dell'affare in considerazione del carattere consolidato della giurisprudenza in materia; h) del fatto che i valori medi di cui alle tabelle allegate al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 4, comma 1 del medesimo decreto possono essere aumentati e diminuiti nella misura prevista dalla legge; P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari ex Tribunale di Rossano - Sezione Civile -, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: A. ACCOGLIE parzialmente la domanda proposta da parte attrice (...) e, per l'effetto, condanna le parti convenute (...) e (...), in solido, al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 13.000,00, oltre interessi, al tasso legale, dalla domanda fino al soddisfo; B. COMPENSA per metà le spese di lite e, per l'effetto, CONDANNA le parti convenute (...) e (...), in solido, al pagamento in favore di parte attrice (...) della restante parte delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 115,99 per esborsi vivi ed in complessivi Euro 1.500,00 per compensi professionali forensi, oltre I.V.A. e C.P.A. se dovute nelle misure di legge, e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso, con distrazione in favore dell'avv. (...) per dichiarato anticipo; C. ACCOGLIE parzialmente la domande proposte da parte attrice (...) e, per l'effetto, condanna le parti convenute (...) e (...), in solido, al pagamento in favore di parte attrice della somma di Euro 24.158,28, oltre interessi, al tasso legale, dalla domanda fino al soddisfo; D. COMPENSA per metà le spese di lite e, per l'effetto, CONDANNA le parti convenute (...) e (...), in solido, al pagamento in favore dell'attore (...) delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 125,98 per esborsi vivi ed in complessivi Euro 1.500,00 per compensi professionali forensi, oltre I.V.A. e C.P.A. se dovute nelle misure di legge, e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso, con distrazione in favore dell'avv. (...) per dichiarato anticipo; E. MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Castrovillari il 25 gennaio 2023. Depositata in Cancelleria il 26 gennaio 2023.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI CASTROVILLARI Il Giudice del Lavoro, dott.ssa Anna Caputo, celebrata l'udienza in forma cartolare, in conformità a quanto previsto dall'art. 221, comma 4 D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 77/2020, nella parte in cui è disposto: "Il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. ... (omissis)..."; Lette le note conclusionali depositate, ha pronunciato la seguente SENTENZA Ex art. 429, co. 1, c.p.c. nella causa di lavoro promossa da: (...), con l'Avv., (...) (...) VIA (...) 87036 RENDE; parte ricorrente CONTRO (...) S.r.l. L. V. L. , con l'Avv. GR.ST., FA.MA. (...) VIA (...) COSENZA; Parte resistente OGGETTO: retribuzione FATTO E DIRITTO Con ricorso ex art. 414 c.p.c., l'odierno ricorrente conveniva in giudizio la (...) S.r.l. per la rideterminazione e la quantificazione dell'effettiva entità delle prestazioni lavorative rese nel periodo dal 17.10.2012 al 27.07.2013 oltre il TFR, basandosi su una pregressa ricostruzione del rapporto lavorativo intrattenuto avvenuta a mezzo di Accertamento Tecnico Preventivo RG 1110/2013, per il periodo 18 gennaio 2013/22 luglio 2013. Esponeva: - di avere lavorato dal 17.10.2012 al 17.11.2012, con contratto a tempo determinato-full time, prorogato fino al 17.5.2013 e trasformato in contratto a tempo indeterminato da tale ultima data; - di avere rassegnato le dimissioni per giusta causa il 27.7.2013; - di avere lavorato 19 ore al giorno; - di non avere mai percepito gli acconti indicati nelle buste paga. Concludeva chiedendo la condanna del datore di lavoro al pagamento delle somme spettanti a titolo di contingenza, 13ma e 14 mensilità, indennità per lavoro notturno, ferie, festività non godute, scatti di anzianità, per un totale di Euro 17.201,16 oltre alla regolarizzazione della posizione previdenziale. Si costituiva in giudizio la società (...) Srl, eccependo in via preliminare l'incompetenza del Giudice adito e la nullità e improcedibilità del ricorso, nonché l'insussistenza dei requisiti per il procedimento ex art. 696 bis c.p.c.. Espletata l'istruttoria, all'odierna udienza si decide. SULLA COMPETENZA TERRITORIALE. Preliminarmente deve essere respinta l'eccezione di incompetenza per territorio, superata attraverso l'attento esame della documentazione depositata dalla difesa attorea (v. all in atti), dalla quale risulta la sede secondaria di Castrovillari (eccezione peraltro giù superata nel procedimento ex art. 696 bic cpc), la cui consulenza tecnica è stata acquisita nel presente giudizio. AMMISSIBILITA' DEL PROCEDIMENTO PER ATP. Giova precisare che ogni doglianza, circa il modus operandi del ctu nel procedimento per ATP già conclusosi, non può trovare ingresso nel presente giudizio. Con riferimento alle eccezioni sollevate in merito alla utilizzabilità nel presente giudizio della consulenza tecnica espletata in via preventiva, invece, si osserva quanto segue. A mente dell'art. 696 bis, rubricato "Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite": "L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'art. 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo art. 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale. Il processo verbale è esente dall'imposta di registro. Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. Si applicano gli artt. da 191 a 197, in quanto compatibili". Pertanto, ove la domanda venga accolta ed il giudice disponga la consulenza, è previsto che all'esperto sia affidato il potere di conciliare le parti e - nel caso di buon esito - il relativo accordo contenuto nel verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale; inoltre il verbale di conciliazione gode dell'esenzione dall'imposta di registro. All'istituto è attribuita dalla giurisprudenza e dalla dottrina una funzione conciliativa, quale strumento volto a favorire la soluzione transattiva della controversia insorta tra le parti e per altro verso, si ritiene che il legislatore abbia inteso consentire l'anticipazione di tale perizia prima dell'inizio del giudizio di merito, proprio per mettere le parti in lite nella condizione di svolgere un giudizio prognostico in ordine all'esito della causa, così da stimolare la dissuasione all'esito giudiziale e processuale della controversia insorta (cfr. Mu., Resp. civ. e prev. 2010, 11, 2326). Pertanto in dottrina si è rilevato come alla base dell'istituto vi sia una "doppia anima": la prima è quella che permette di utilizzarlo quale strumento di conciliazione della controversia tra le parti; la seconda è quella che riconosce alle parti il diritto di precostituire una prova prima e al di fuori del processo di merito, "a prescindere" dalla ricorrenza dei presupposti del fumus e del periculum (cfr. Na., La nuova funzione conciliativa dell'accertamento tecnico preventivo alla luce della recente legge n. 80/2005, in (...)). Come rilevato da quest'ultimo autore, la scelta in tal senso è stata dunque quella di riconoscere all'istituto una funzione di conciliazione della controversia; pertanto, esperita la relazione peritale, nel contraddittorio di tutte le parti interessate, la stessa relazione cui è pervenuto il c.t.u. può costituire "la base per una conciliazione della controversia fra le parti e ciò non più partendo dalle proprie valutazioni tecniche, eseguite dai propri periti di fiducia, ma per effetto di un accertamento tecnico svolto da un perito, terzo, nominato dal giudice, il quale, verificati lo stato dei luoghi, l'origine dei danni e le cause che le hanno determinate, individua finanche le possibili soluzioni e i rimedi per ovviare a tanto, offrendo quindi anche alle parti alcune ipotesi di soluzione della loro controversia". Secondo tale impostazione le parti, avendo potuto accertare la esistenza o meno di determinati crediti in favore di una parte; quantificare esattamente le somme eventualmente dovute e legittimamente spettanti ad una 0 più parti; verificare in che misura andrebbero suddivise le responsabilità dirette e/o indirette delle parti e le specifiche obbligazioni a carico delle stesse; individuare le possibili soluzioni per superare i diversi contrasti tra le parti; accertare i costi e la loro suddivisione tra le pari eventualmente responsabili, si rendono conto della opportunità pratica di conciliare la loro controversia (cfr. Nardo, op. ult. cit.). Anche il Tribunale di Varese, ha colto tale opzione interpretativa1, affermando espressamente che "l'istituto non ha natura cautelare" e che "la prevalente giurisprudenza di merito (...) aderisce vuoi implicitamente vuoi esplicitamente alla tesi dottrinaria che inscrive l'istituto nell'alveo delle alternative dispute resolution, valorizzando la tensione della norma verso la composizione della lite, l'intervento di un terzo neutrale e le agevolazioni fiscali". Pertanto, secondo la pronuncia in commento, l'istituto in esame si pone come strumento alternativo di risoluzione delle controversie, non già come strumento cautelare di costituzione preventiva di un mezzo di prova. La soluzione adottata, oltre che rispondente all'opinione della prevalente dottrina, è già stata seguita dalla giurisprudenza di merito. Infatti così è stato ripetutamente affermato dal Tribunale di Busto Arsizio, 25 maggio 2010, con nota di (...) in Resp. civ. e prev. 2010, 11, 2322): "la consulenza tecnica preventiva di cui all'art. 696 bis c.p.c. è nella sostanza uno strumento alternativo di risoluzione della controversia a scopo deflattivo del contenzioso civile e con fini, dunque, espressamente e primariamente conciliativi più che di cautela, di talché l'espletamento di tale consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al comma 1 dell'art. 696 c.p.c., ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Stante la citata funzione deflattivo-conciliativa dell'istituto non sono consentite interpretazioni eccessivamente restrittive e valutazioni formalistiche, salvo il caso in cui la possibilità conciliativa sia totalmente da escludersi come quando vi sia una contestazione radicale non già della responsabilità ma del rapporto da cui trarrebbe origine il credito da accertare; in tali casi, infatti, mancherebbe qualsivoglia punto di partenza per l'ipotesi di conciliazione e la consulenza preventiva rischierebbe di essere meramente esplorativa, volta alla precostituzione di un mezzo di prova al di fuori del requisito del periculum e non già ad evitare il giudizio di merito". Secondo la giurisprudenza la finalità del procedimento ex art. 696 bis c.p.c. (quale si desume dalla complessiva disciplina dell'istituto e dalla stessa rubrica "consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite") impone alle parti uno speciale impegno nell'individuazione di una soluzione transattiva e, pertanto, il rifiuto di valutare la possibilità di una definizione bonaria della controversia deve essere considerato ai fini della disciplina delle spese di lite all'esito dell'eventuale giudizio di merito (così Tribunale di Arezzo, 9 marzo 2010). Una volta tentata la conciliazione, qualora le parti siano addivenute ad un accordo conciliativo, "si forma il processo verbale della conciliazione" (articolo 696 bis, comma 2, c.p.c.). In tal caso, il giudice attribuisce, con decreto, efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale (articolo 696 bis, comma 3, c.p.c.). Il processo verbale è esente dall'imposta di registro (comma 4). In ogni caso, se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente tecnico sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito (comma 5). L'elaborato peritale ha trovato, dunque ingresso nel presente giudizio. Dall'elaborato peritale predetto si evince il numero delle ore di straordinario espletato dal ricorrente con riferimento al limitato periodo dal 18 gennaio al 22 luglio 2013. Sulla scorta delle ore di lavoro straordinario espletate secondo l'elaborato del primo CTU, è stata disposta consulenza che accertasse le differenze retributive spettanti, detratto quanto già percepito secondo buste paga depositate. Quanto alle altre voci retributive richieste e quanto al lavoro straordinario eventualmente svolto nel periodo fino al 17 gennaio 2013, giova precisare che vi è un difetto di prova, ex art. 2697 cod. civ. Per il periodo dal 17.10.2012 al 17 gennaio 2013, infatti non vi sono dati che dimostrano documentalmente l'espletamento di lavoro straordinario. Non vi è prova, inoltre, per l'intero periodo lavorativo, dello svolgimento di lavoro notturno e festivo: né prova documentale, né prova per testi, atteso che neppure i testi escussi hanno fornito la prova dello svolgimento di lavoro straordinario nel periodo fino al 17 gennaio, né della mancata fruizione delle ferie, né dello svolgimento di lavoro notturno e festivo. Pertanto, queste ulteriori voci non sono state prese in considerazione: lavoro notturno, lavoro festivo, lavoro straordinario nel periodo fino al 17 gennaio. - delle somme spettanti per il lavoro straordinario documentato ed attestato nel procedimento per ATP, dal 18 gennaio al 22 luglio 2013; - delle somme non corrisposte a titolo di 13ma e 14ma mensilità, sulla scorta di quanto risulta per tabulas dalle buste paga prodotte; - di eventuali differenze dovute a titolo di TFR, sulla scorta di quanto risulta per tabulas dalle buste paga prodotte. CONCLUSIONI La domanda può essere accolta solo con riferimento al periodo dal 18 gennaio al 22 luglio dell'anno 2013 e solo con riferimento alla voce "lavoro straordinario", secondo il numero di ore documentato e accertato nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c.. Può essere accolta anche relativamente alle voci "TFR" e "13ma/14ma mensilità", solo per la parte eccedente quanto già corrisposto secondo buste paga in atti. Ciò in quanto, con riferimento alle buste paga quietanzate, con l'ordinanza n. 27749 del 03.12.2020, la Cassazione ha ritenuto che, in caso di sottoscrizione della busta paga per ricevuta e quietanza, grava sul lavoratore l'onere di provare la non corrispondenza tra quanto riportato nel cedolino e la retribuzione effettivamente ricevuta. Orbene, nel caso di specie, non è stato assolto tale onere probatorio e non è stata fornita prova che siano state corrisposte somme inferiori a quelle risultanti dalle buste paga. Il teste (...) ha dichiarato che gli era stato riferito dal ricorrente che percepiva somme inferiori a quelle risultanti dalle buste paga, ma si tratta pur sempre di dichiarazioni vaghe e comunque de relato ex parte actoris, peraltro prive di ulteriori riscontri. Non può ritenersi raggiunta, dunque, la prova del pagamento di somme inferiori a quelle risultanti dalle buste paga, né la prova che gli acconti indicati in busta paga non siano mai stati corrisposti. Ciò spiega anche perché nel presente giudizio non si è tenuto conto delle somme quantificate nel procedimento per ATP, in quanto non risulta ivi detratto quanto già percepito dal ricorrente secondo buste paga. Poiché nel presente giudizio non è stata fornita prova che il ricorrente avesse percepito somme inferiori a quelle risultanti dalle buste paga quietanzate (onere sullo stesso gravante come sopra si è detto), queste somme dovevano necessariamente essere detratte dal calcolo. In conclusione, tenendo conto di quanto già percepito dal lavoratore in busta paga, sulla scorta delle ore di straordinario quantificate dal CTU (...), alla luce dei conteggi elaborati nel presente giudizio dal CTU (...) (tenendo conto anche dei periodi di vigenza dell'accordo aziendale), spettano al lavoratore le seguenti somme: - per lavoro straordinario, Euro 1052,63 + Euro 346,82 (totale 1.399,45) - per TFR Euro 1.219,03 - per 13ma e 14ma mensilità, Euro 349,41; - per un totale di Euro 2.967,89, al lordo dalle ritenute fiscali e previdenziali, cui si devono aggiungere interessi e rivalutazione. Così correttamente ha quantificato il CTU, sulla scorta dei dati disponibili, provvedendo accuratamente a riformulare i calcoli, su richiesta di codesto Giudicante, in base alle osservazioni che di volta in volta sono state sollevate dalle parti (peraltro a verbale di udienza e non nei termini per le osservazioni al CTU). In conclusione, la resistente deve essere condannata al pagamento della somma di Euro 2.967,89, oltre interessi e rivalutazione dal di del dovuto, fino al soddisfo. Le spese del giudizio sono compensate, stante la soccombenza reciproca, mentre quelle della CTU sono poste a carico della resistente, come da separato decreto. P.Q.M. Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede: - condanna la resistente al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 2.967,89, oltre interessi e rivalutazione dal di del dovuto, fino al soddisfo; - compensa le spese del giudizio tra le parti; - condanna la resistente al pagamento delle spese di CTU, liquidate con separato decreto. Così deciso in Castrovillari il 3 novembre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE - Il Tribunale, nelle persone dei seguenti magistrati riuniti in camera di consiglio: dott. Vincenzo Di Pede - Presidente dott. Alessandro Caronia - Giudice rel. ed est. dott. Simona Graziuso - Giudice ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 308 del 2017 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto "Altri istituti relativi alle successioni" e vertente TRA (...), C.F. (...), parte nata a S. (A.) in data (...), rappresentata e difesa dall'avv. FR.LO., giusta procura in calce all'atto introduttivo del presente giudizio, elettivamente domiciliata come in atti - ATTRICE - E (...), C.F. (...), parte nata a C. in data (...), rappresentata e difesa dall'avv. DO.LO., giusta procura in calce alla memoria di costituzione e risposta, elettivamente domiciliati come in atti; ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE - INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso come in atti, elettivamente domiciliato come in atti; - CONVENUTI - (...), C.F. (...), parte nata a T. in data (...), rappresentato e difeso dall'avv. NI.PI., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliati come in atti; (...), C.F. (...), parte nata a C., in data (...), rappresentato e difeso dall'avv. NI.PI., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliato come in atti; - TERZI CHIAMATI - (...), residente in C., alla Via T. M. n. 6; - TERZO CHIAMATO CONTUMACE - NONCHÉ PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Castrovillari RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I fatti di causa, le posizioni delle parti e le loro conclusioni. Con ricorso depositato in cancelleria in data 20.05.2015, (...) ha convenuto in giudizio l'INPS e (...). La difesa dell'attrice ha allegato che: - (...) ha contratto matrimonio concordatario il 13.04.1980 in Cosenza con il sig. (...) nato a C. (...) I. il (...). - In seguito a separazione consensuale omologata alle condizioni concordate con decreto del 28.12.1990, in data 21.11.2002 i coniugi hanno adito il Tribunale di Castrovillari al fine di ottenere pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. - Tra le condizioni concordate è stato stabilito l'obbligo per il sig. (...) di corrispondere in favore della (...) la somma mensile di Euro 258,23 quale contributo per il suo mantenimento. - Successivamente, il sig. (...) nel mese di ottobre 2008 contraeva nuovo matrimonio con la sig.ra (...) e, in data 11.03.2012, è improvvisamente deceduto allorquando prestava servizio alle dipendenze dell'INPDAP. - L'INPDAP liquidava in favore della sig.ra (...) ogni emolumento normativamente prescritto, nonostante vi fossero i presupposti per la liquidazione anche in favore della (...). - La ricorrente, infatti, non ha contratto nuovo matrimonio dopo il divorzio ed ha, pertanto, diritto ad ottenere una quota del trattamento di fine rapporto e della pensione di reversibilità traenti origine dal rapporto di lavoro del (...), ai sensi dell'art. 12 L. n. 890 del 1970. - Inoltre, anche in presenza di coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, l'ex coniuge ne ha diritto ai sensi dell'art. 9 co. 3 L. n. 898 del 1970, novellato dall'art. 13 L. n. 74 del 1987, costituendo il diritto al trattamento di reversibilità un diritto autonomo e concorrente di pari grado che si qualifica per l'appunto come diritto ad una quota della pensione di reversibilità. - Il coniuge superstite non è più l'unico naturale destinatario della pensione di reversibilità che spetta al coniuge sopravvissuto (Cass. Sez. Un. n. 159 del 1998). - Il diritto al trattamento di reversibilità del coniuge divorziato in concorso con il coniuge superstite nasce per entrambi nei confronti dell'Ente erogatore ed è a carico di quest'ultimo e non anche del coniuge superstite - che nel frattempo abbia percepito per intero ovvero per quota superiore a quella realmente spettante il trattamento di reversibilità corrisposto dall'Ente medesimo-, salvo il diritto dell'Ente a ripetere le somme indebitamente pagate in eccesso sulla quota effettivamente spettante alla sig.ra (...), coniuge superstite. - Sul trattamento di reversibilità v'è anche il diritto agli arretrati spettanti al coniuge divorziato. - Lo stesso art. 9, L. n. 898 del 1970, novellato dalla L. n. 74 del 1987 attribuisce sia al coniuge superstite sia all'ex coniuge un diritto iure proprio alla pensione di reversibilità, nel caso in cui il Tribunale ravvisi l'esistenza di determinate circostanze in fatto e in diritto. - Si tratta di sentenza costitutiva con efficacia ex tunc che fa sorgere un diritto di natura previdenziale, al quale deve intendersi applicabile la relativa normativa previdenziale che espressamente prevede il sorgere del diritto dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il decesso. Tanto premesso, (...) ha chiesto a questo Tribunale di: a. Accertare e dichiarare che all'attrice spetta una quota pari al 40% del trattamento di fine rapporto; b. Condannare l'INPS alla liquidazione in suo favore del corrispondente importo; c. Accertare e dichiarare la percentuale della quota della pensione di reversibilità che compete alla ricorrente e condannare l'INPS al pagamento del suddetto importo a far data dalla maturazione di detto emolumento. d. In ogni caso e per l'effetto, adottare ogni consequenziale e dovuto provvedimento anche con riferimento alla rideterminazione della quota mensile spettante alla (...). La causa veniva iscritta al n. 1750/2015 R.G., Sezione Lavoro e Previdenza e, in seguito alla notifica del decreto di fissazione d'udienza del 29.05.2015 unitamente al ricorso introduttivo, con memoria di costituzione e risposta depositata il 27.05.2016 si è costituita in giudizio (...). La difesa della resistente ha allegato che: - Preliminarmente, eccezione di incompetenza per materia del giudice adito, non trattandosi di materia previdenziale ma di determinazione di quota di pensione di reversibilità e TFR spettante al coniuge divorziato, di natura non previdenziale ma legato al rapporto familiare precedente dal quale scaturisce un diritto ad una quota. - Una quota del TFR è stata corrisposta anche ai figli della sig.ra (...), ossia a (...) e (...), nonché a (...), figlia della ricorrente e del de cuius, i quali assumono tutti la qualità di contraddittori necessari nei cui confronti disporre l'integrazione del contraddittorio. - L'importo netto liquidato è di Euro 73.332,44, suddiviso tra i 4 eredi (coniuge e figli). - La sig.ra (...) non ha mai disatteso o disconosciuto i diritti della ricorrente, né in relazione al TFR né in relazione al pensione di reversibilità, avendo la stessa comunicato con dichiarazione del 17.04.2012 all'Ente previdenziale la presenza di altro coniuge titolare di assegno divorzile, giusta sentenza n. 240 del 24.03.2003. - Con missiva del 29.05.2012, inoltre, la (...) ha comunicato al conservatorio di musica, datore di lavoro del (...), di trattenere in favore della ricorrente l'importo del 20% e con la stessa comunicazione si riservava l'eventuale conguaglio, che ora richiede in restituzione. - Con riguardo alla determinazione dell'importo spettante, occorre considerare il criterio temporale, da valutarsi unitamente ai parametri dell'entità dell'assegno divorzile nonché dell'eventuale convivenza prematrimoniale. - In ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilità e alla luce dei precetti costituzionali di uguaglianza sostanziale e solidarietà sociale, la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata sulla base della durata del rapporto matrimoniale e su ulteriori elementi da individuare nell'ambito dell'art. 5 L. n. 898 del 1970. - A questo proposito assumono specifico rilievo l'ammontare dell'assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell'ex coniuge, le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda e anche l'esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge. - Il sig. (...) e la ricorrente hanno vissuto insieme durante la loro vita coniugale dal 1980 al 1990, data della separazione. - Dal 1991 (...) era già convivente con (...), presso l'abitazione sita in C., c.da (...) n. 1. - Del resto il primo figlio tra i coniugi (...) e (...) è nato nel (...). - Tale rapporto di convivenza è stato formalizzato successivamente con il matrimonio del 16.12.2004. - Nella determinazione della quota di pensione di reversibilità, quindi, occorre tenere presente dei 21 anni tra convivenza e matrimonio con (...) a fronte dei 10 anni di matrimonio con la ricorrente. - Deve, altresì, essere ridotto l'assegno divorzile rispetto agli originari Euro 258,00 tenendo presente i parametri sopra indicati nonché il fatto che lo stipendio mensile del (...) era pari ad Euro 2.000,00. - La quota di pensione mensile oggi corrisposta in favore della signora (...) è di Euro 690,99 netti, essendo l'importo gravato della cessione del quinto. - Infine, nulla compete alla ricorrente a titolo di TFR essendo chiaramente indicati nell'art. 2122 c.c. i beneficiari in ipotesi di morte del lavoratore in costanza di rapporto. Ciò posto, la resistente (...), ha chiesto a Questo Tribunale di: a. Dichiarare l'incompetenza per materia in favore del giudice civile; b. Determinare il diritto alla pensione di reversibilità in favore della ricorrente in misura inferiore rispetto all'assegno divorzile, tenendo presente l'entità della pensione in favore del coniuge superstite e della rispettiva durata della convivenza del matrimonio; c. Dichiarare non dovuta alcuna somma a titolo di TFR e in subordine, in caso di non accoglimento, disporre l'integrazione del contraddittorio in favore dei tre figli (...), (...) e (...). d. Con il favore delle spese da distrarsi in favore del procuratore ex art. 93 c.p.c. Con memoria difensiva, depositata in data 20.05.2016, si è costituita in giudizio l'INPS, allegando che: - La domanda è infondata e va rigettata, in quanto non sussiste il presupposto per l'applicazione delle norme citate, dal momento che la ricorrente non gode dell'assegno divorzile, ma era solo di fatto mantenuta dall'ex coniuge, in quanto priva dei mezzi necessari per vivere. - Inoltre, la domanda di pensione di reversibilità non è stata rigettata dall'Istituto ma concessa dal 1.04.2012 alla vedova sig.ra (...) in compartecipazione con i figli. - Dalla suddetta pensione è stata accantonata in via cautelativa la somma di Euro 5.999,57 annua lorda, in quanto la vedova divorziata era in godimento di assegno divorzile. - Per effettuare la liquidazione della quota di T.F.R. l'Istituto è in attesa del provvedimento giudiziario che attribuisca la percentuale da attribuire alla vedova. - Ai sensi dell'art. 12 bis L. n. 898 del 1970, il diritto al TFR può essere fatto valere dal coniuge divorziato solo nei confronti dell'altro coniuge che ha percepito la prestazione e non nei confronti dell'Istituto che ha correttamente liquidato l'importo agli eredi. L'INPS ha, dunque, concluso chiedendo all'adito Tribunale di rigettare la domanda proposta perché infondata in fatto e in diritto. Attesa "l'incompetenza" per materia del Giudice del Lavoro, con Provv. del 2 febbraio 2017 è stata disposta la reiscrizione del fascicolo nel ruolo civile ordinario e, con decreto del 24.11.2017, è stata fissata per il prosieguo della causa l'udienza del 26.02.2018. All'udienza del 26.02.2018 è stata disposta la chiamata in causa dei terzi, (...) E (...), figli della sig.ra (...) e di (...), nonché di (...), figlia di (...) e (...), la quale, pur ritualmente citata in giudizio, non si è costituita. Con comparsa di costituzione e risposta del 2.11.2018 si sono costituiti in giudizio (...) e (...), aderendo alle difese della convenuta (...) ed evidenziando come nulla sia dovuto a titolo di TFR alla parte attrice, poiché l'art. 2122 c.c. indica chiaramente chi sono i beneficiari in caso di morte del lavoratore in costanza di rapporto. Ciò posto i convenuti hanno chiesto a questo Tribunale di: a. Dichiarare non dovuta alcuna somma a titolo di TFR in favore della parte attrice; b. Stabilire la quota percentuale sulla pensione di reversibilità in favore della sig.ra (...) in misura corrispondente all'entità dell'assegno divorzile tenuto presente il tempo di durata effettiva del primo matrimonio; c. Con vittoria di spese e competenze di giudizio. Concessi i termini ex art. 183, VI co. c.p.c. e depositate le relative memorie, ammessi i mezzi istruttori, la causa è stata istruita attraverso l'escussione di due testimoni. All'udienza del 7.06.22 le parti hanno precisato le conclusioni come da atti e la causa è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. Vale subito rilevare che, in quella sede, le istanze istruttorie formulate e rigettate dal giudice istruttore non sono state reiterate in modo specifico; per l'effetto, devono ritenersi a bbandonate (cfr. Cass. Civ. 19352 del 3.8.17 e, in maniera ancora più precisa, Cass. Civ. 10748 del 27.6.12). 2. La domanda ex art. 9 c. 3 L. n. 898 del 1970. 2.1. La domanda è fondata e merita accoglimento. Va premesso che il presente provvedimento è reso in forma di sentenza, giusta il disposto dell'art. 9, 5 comma, L. n. 898 del 1970, come sostituito ex art. 13 L. n. 74 del 1987, avendo ad oggetto la domanda proposta l'attribuzione di quota della pensione di reversibilità. Ferma la competenza del Tribunale Ordinario, nonostante la norma nulla dica in ordine al rito, vertendo la controversia in materia di diritti soggettivi e prevedendo il predetto art. 9 la forma della sentenza per il provvedimento conclusivo, l'applicazione del rito ordinario è idoneo a garantire la tutela degli interessi in gioco (cfr. Cass. Civ. n. 3384 del 2003). In ogni caso, si ritiene che l'adozione del rito ordinario non possa costituire motivo di nullità, sia perché questa non è sancita da nessuna norma, sia perché tale rito consente di conseguire il medesimo risultato di quello camerale, con maggiori garanzie per la difesa e per il contraddittorio (cfr. Cass. Civ. 6272 del 2004). 2.2. Ciò premesso, va osservato, in via preliminare, che a norma dell'art. 9, commi 2 e 3, L. n. 898 del 1970, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. n. 13041 del 1992), sia il coniuge superstite sia quello divorziato sono titolari di un proprio diritto all'unico trattamento di reversibilità, diritto autonomo e concorrente che si qualifica come diritto ad una quota della pensione di reversibilità. I presupposti normativi per l'ottenimento della quota della pensione di reversibilità dell'ex coniuge deceduto si identificano, a norma dell' art. 13 L. n. 74 del 1987, nella libertà di stato del coniuge divorziato beneficiario richiedente, il quale non deve, infatti, aver contratto nuove nozze; nella titolarità in capo a costui di assegno divorzile ex art. 5 L. n. 898 del 1970 (da intendersi, a norma dell'art. 5 L. n. 263 del 2005, come intervenuto riconoscimento dell'assegno da parte del Tribunale); infine, nell'anteriorità del rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico rispetto alla sentenza di divorzio. Sotto tale profilo, i fatti costitutivi del diritto della ricorrente non risultano neppure contestati dalle altre parti del presente giudizio. Sussiste, pertanto, il diritto della (...) alla percezione di una quota della pensione di reversibilità dell'ex coniuge deceduto, in concorso con la (...), coniuge superstite convenuto. 2.3. La questione più complessa attiene, invero, alla individuazione dei criteri di ripartizione del trattamento pensionistico tra gli aventi diritto, in ipotesi di concorso tra ex e attuale coniuge, posto che, in merito, il legislatore ha fatto riferimento, unicamente, alla durata del vincolo matrimoniale. Secondo l'indirizzo interpretativo estensivo fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità, la durata del vincolo ricomprende per l'ex coniuge il periodo tra la celebrazione del matrimonio e lo scioglimento dello stesso (incluso, pertanto, il periodo di separazione personale, cfr. Cass. Civ. n. 15164 del 2003, che, però deve essere considerato tra gli altri criteri equitativi) e, per l'attuale coniuge, deve intendersi anticipato all'eventuale convivenza more uxorio precedente alla celebrazione delle nuove nozze (cfr. Cass. Civ. 15148 del 2003), con la precisazione che tale convivenza deve essere caratterizzata dalla coabitazione, da una relazione di comunione materiale e morale e da una certa stabilità e continuità temporale (cfr. Cass. Civ. 26358 del 2011). In conformità alla pronuncia 419/99 della Corte Costituzionale, nonché alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ. n.6272 del 2004 nonché da ultimo Cass. S.U. 18287 del 2018), l'art. 9, comma 3, L. n. 898 del 1970 va interpretato nel senso che l'elemento temporale della durata dei matrimoni, pur costituendo momento imprescindibile dell'apprezzamento del giudice, deve essere affiancato da ulteriori elementi correttivi della proporzione matematica, in ottica di maggiore equità economica e sociale. Esso, pertanto, è criterio preminente ma non esclusivo per il calcolo delle quote della pensione di reversibilità spettanti agli eventi diritto e deve essere ponderato anche attraverso ulteriori elementi, quali le condizioni economiche delle parti e l'ammontare dell'assegno goduto dal divorziato prima del decesso dell'ex coniuge. In sostanza la ripartizione deve essere effettuata considerando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità corrisposto, allo scopo di porre il superstite al riparo dell'eventualità di uno stato di bisogno che potrebbe derivargli dalla scomparsa del coniuge (cfr. ex multis Cass. Civ. 23379 del 2004; Cass. Civ. n. 6272 del 2004; Cass. Civ. n. 1057 del 2002). Possono, pertanto, essere valutati anche altri criteri da utilizzare quali correttivi del risultato che conseguirebbe all'applicazione del mero criterio temporale, onde evitare, da un lato, che l'ex coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio, dall'altro, che l'attuale coniuge sia, a sua volta, privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato. 2.4. Quanto, invece, alla decorrenza del diritto della ricorrente alla percezione della pensione nella quota stabilita in suo favore, l'obbligo dell'INPS di erogare il trattamento pensionistico deve essere fatto decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello della morte del coniuge deceduto. Il soggetto obbligato alla corresponsione della pensione, anche con riferimento agli arretrati, è l'Ente erogatore e non il coniuge superstite che abbia già riscosso la pensione di reversibilità per intero, soggetto che, con riferimento alla eventuale domanda volta ad ottenere la condanna alla corresponsione degli arretrati, difetta di legittimazione passiva. Sul punto la Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. n. 2092 del 2007) ha affermato, infatti, che "Nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell'ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest'ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non "pro quota" il trattamento di reversibilità corrisposto dall'ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (in proporzio ne alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell'ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l'ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso". Si tratta, inoltre, di una sentenza costitutiva con efficacia ex tunc, perché fa sorgere un diritto di natura previdenziale, al quale deve intendersi applicabile la relativa normativa previdenziale che espressamente prevede che il diritto alla pensione di reversibilità in favore dei superstiti abbia decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il decesso dell'assicurato o del pensionato (cfr. Cass. Civ. 2092 del 2007, nonché Cass. Civ. n. 23862 del 2008). Ciò premesso in via generale, è ovvio, pertanto, che l'attuale pronuncia vada semplicemente a ripartire la quota spettante al coniuge, a norma di legge, tra il coniuge superstite e quello divorziato. In applicazione, pertanto, del criterio prioritario dettato dall'art. 9 co. 3 L. n. 898 del 1970, deve essere, in primo luogo, considerato che la ricorrente (...) e (...) hanno contratto matrimonio nel 1980. Con procedimento di separazione consensuale omologato in data 21.12.1990 è stato poi disposto il versamento da parte del (...) in favore della ricorrente e della figlia minorenne (...), la somma di L. 800.000. Infine, è stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio con sentenza n. 240/2003 del 24.03.2003, emessa dal Tribunale di Castrovillari (cfr. sentenza allegata agli atti del giudizio), con la quale è stata altresì stabilita la somma mensile di Euro 258,23 da corrispondersi in favore dell'odierna attrice quale contributo di mantenimento. Il rapporto matrimoniale tra la coniuge superstite, odierna convenuta, (...) e il (...) è intercorso tra il 16.12.2004 (data del matrimonio), sino al decesso del (...) avvenuto nell'anno 2012. Tuttavia, al fine di dosare gli altri criteri incidenti nella corretta determinazione delle rispettive quote, onde evitare una pura operazione matematica proporzionale alla mera durata dei rispettivi vincoli matrimoniali, devono essere presi in considerazione i seguenti elementi. Da un lato, deve essere considerato che, alla durata legale del matrimonio con la (...), si contrappone una situazione di separazione di fatto che è perdurata sin dalla omologa della separazione (cfr. Cass. Civ. n. 23379 del 2004). Dall'altro lato, non può essere tralasciata la circostanza in base alla quale il (...) ha intrapreso con la (...) una convivenza prematrimoniale sin dal 1991. Si tratta, infatti, di circostanza mai contestata in maniera specifica - e, quindi, idonea allo scopo - tra le parti nonché provata, alla luce delle dichiarazioni testimoniali rese nel corso del giudizio. Le deposizioni testimoniali acquisite, infatti, sono chiare, sufficientemente circostanziate e non contraddittorie tra loro e idonee a suffragare la deduzione che il (...) e la (...) convivessero già dall'anno 1991. Che, poi, la relazione prematrimoniale tra il (...) e la (...) sia stata una relazione di carattere stabile, volta al disegno di un percorso di vita condiviso, è ampiamente documentato dal fatto che il primo figlio della coppia sia nato nell'anno 1993. Non sono emersi ulteriori elementi concernenti le condizioni reddituali e patrimoniali delle parti. Pertanto, valutata l'istruttoria espletata e la documentazione probatoria allegata dalle parti, anche alla luce dei criteri correttivi, appare equo determinare la percentuale di spettanza della pensione di reversibilità del de cuius, nella misura del 40% in favore della ricorrente (...) e del 60% in favore della resistente (...) per la quota spettante al coniuge superstite. 2.5. Non sono stati espressamente indicati né hanno azionato pretese gli ulteriori aventi diritto ai sensi dell'art. 9 c. 4 e 5 L. n. 898 del 1970, alla luce delle domande proposte dalle parti originarie nonché dalle terze chiamate. Si osserva, anzitutto, che la mancata allegazione dell'atto notorio non è causa di inammissibilità o improcedibilità della domanda né tanto meno di rigetto della medesima. Né tanto meno la domanda può essere rigettata nel caso in cui non siano stati individuati tutti gli aventi diritto ma solo alcuni di essi (cfr. Cass. Civ. n. 2471 del 2003). Del resto gli altri aventi diritto assumono la qualifica di litisconsorti solo facoltativi e, per l'effetto, come agevolmente desumibile dalla norma, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la loro tutela né può dirsi inutiliter data. Oggetto della controversia dinanzi al Tribunale ordinario, infatti, è solo la ripartizione tra coniuge superstite e coniuge divorziato della reversibilità in astratto destinata al coniuge del pensionato defunto, esulando dalla cognizione del Tribunale adito ogni conflitto inerente al trattamento pensionistico di cui si discute. 2.6.Quanto alla esatta determinazione del trattamento Inps, vale osservare che l'oggetto del presente giudizio concerne esclusivamente la determinazione - di portata costitutiva necessaria - delle quote rispettivamente spettanti all'ex coniuge ed al coniuge superstite. Resta, invece, escluso dal presente giudizio ogni accertamento relativo alla sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi e alla misura concretamente determinata della obbligazione pensionistica, la cui esistenza, peraltro, non risulta contestata dall'Inps. 3. La domanda ex art. 12 bis L. n. 898 del 1970. Anche la domanda avente ad oggetto il riconoscimento del diritto dell'istante alla quota di T.F.R. spettante all'ex coniuge (...), è fondata e merita accoglimento. 3.1.Ai sensi del combinato disposto dell'art. 2122 c.c. e dell'art. 12 bis L. n. 898 del 1970 (come successivamente modificata), il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, qualora risulti titolare di assegno ex art. 5 L. n. 898 del 1970 e non sia convolato a nuove nozze, ha diritto al riconoscimento, per quota, del T.F.R. percepito dall'ex coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. Come già precedentemente espresso, che la (...) sia titolare di assegno divorzile e non sia convolata a nuove nozze sono circostanze neppure contestate dalle altre parti. Pertanto, ella ha diritto alla percentuale della indennità di fine rapporto del (...). Ciò vale anche qualora l'indennità di fine rapporto sia maturata successivamente alla sentenza di divorzio. Lo stesso art. 12 bis, 1 co. dispone che la percentuale di T.F.R. da attribuirsi al coniuge divorziato ammonti al 40% dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, cui vanno computati anche gli anni di separazione, essendo la norma specificatamente riferita, nel caso del T.F.R. spettante, agli anni di matrimonio sino alla sentenza di divorzio che ne ha determinato la cessazione. Il diritto de quo, peraltro, si riferisce al trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2120 c.c. e costituisce un diritto di credito non verso il datore di lavoro, ma verso l'ex coniuge o, se questi muore dopo l'estinzione del rapporto di lavoro, verso i suoi eredi. Infatti, il diritto sorge anche se il rapporto di lavoro viene a cessare per morte dell'ex coniuge; in tal caso, infatti, il diritto si riferisce alla indennità di cui all'art. 2122 c.c. e costituisce un diritto di credito verso i soggetti ivi indicati. L'esatta quantificazione della somma ad egli spettante va calcolata tenendo conto del concorso con gli altri superstiti aventi diritto ex art. 2122, 1 co. c.c., avuto riguardo all'eventuale accordo o, in assenza, allo stato di bisogno di ciascuno. Nel caso di specie, tali elementi non sono stati allegati dalle parti né sono emersi dagli atti del giudizio. Tuttavia, risulta depositato il prospetto generale di liquidazione del T.F.R. rilasciato dall'INPS, recante il numero di conto presso il quale sarebbero stati effettuati i bonifici del T.F.R. spettanti pro quota, sulla base del calcolo effettuato in coerenza con quanto comunicato dagli stessi eredi (Cfr. allegazione comunicazioni all'INPS da parte di (...), allegate al fascicolo di parte convenuta). Ciò consente, pertanto, di accertare che, benché l'ordine di deposito documentazione ex art. 213 c.c. sia stato disatteso dall'INPS, è stato liquidato integralmente il T.F.R. del sig. (...) agli eredi (...), (...), (...) e (...). Dall'esame di detta documentazione, non contestata dalle parti, si evince che la somma netta complessiva di T.F.R. spettante al de cuius (...) e, conseguentemente, ai suoi eredi, ammonta ad Euro 73.332,44 netti, per i 31 anni, 5 mesi e 21 giorni di lavoro prestati dal de cuius, dal 10.07.1979 all'11.03.2012, giorno della cessazione del rapporto di lavoro per decesso del lavoratore (prospetto contributivo allegato al fascicolo di parte convenuta). In base alla ripartizione prospettata, si evince che a (...) è stata attribuita la somma di Euro 29.332,98; mentre a tutti gli altri figli, ivi compresa (...), la somma di Euro 14.666,49. Orbene, che tale ripartizione non sia stata mai messa in discussione dalle parti, emerge chiaramente dal fatto che, integrato il contraddittorio nei confronti dei figli del (...), nessuna contestazione sia stata mossa sul punto. Pertanto, se ne arguisce, dal punto di vista logico prima ancora che giuridico, la sussistenza di un accordo in ordine alla ripartizione delle somme, evidentemente corrispondente e proporzionata al bisogno di tutte le parti. 3.2.Ora, il meccanismo di computo della quota di indennità cui ha diritto il coniuge divorziato, alla luce della più condivisibile giurisprudenza, prevede, la previa ripartizione della indennità tra il coniuge superstite e i figli (e/o altri superstiti) del lavoratore deceduto e, successivamente, la sub-ripartizione della quota spettante al coniuge superstite con il coniuge divorziato, senza prescindere dal criterio legale della durata del matrimonio. Solo dopo la determinazione delle singole quote spettanti ad ogni avente diritto, ai sensi di quanto disposto dall'art. 9, co. 3 e 12 bis L. n. 898 del 1970, sulla quota spettante al coniuge superstite va calcolato il 40% da attribuire al coniuge divorziato, in ragione del criterio legale della durata del matrimonio per gli anni lavorativi con esso coincisi, insistendo, la quota spettante all'ex coniuge, unicamente su quella spettante al coniuge superstite, senza affiancare il primo agli altri aventi diritto ex art. 2122 c.c. (in maniera precisa Cass. Civ. Ord. n. 21247 del 2021). Pertanto, alla luce dell'orientamento preferibile occorre: - determinare dapprima la quota di spettanza del coniuge superstite (...), tenendo conto del concorso degli altri superstiti aventi diritto ex art. 2122 c.c., comma 1, (con applicazione, dell' accordo o del criterio della ripartizione secondo la regola aurea del bisogno di ciascuno); - sulla quota, come sopra determinata, spettante al coniuge superstite (...), poi, calcolare la quota spettante al coniuge divorziato (...), in ragione del criterio legale della durata del matrimonio previsto specificamente dalla L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3) e degli altri criteri, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di fine rapporto, individuati dalla giurisprudenza e, tra questi, anche quello della convivenza, purché stabile ed effettiva. Così facendo il coniuge divorziato non viene erroneamente affiancato agli altri aventi diritto ex art. 2122 c.c., poiché, in applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, la quota di spettanza del coniuge divorziato viene ad insistere solo sulla quota del coniuge superstite. Per calcolare, poi, la quota da versare all'ex coniuge occorre, poi, procedere alle seguenti operazioni: 1. dividere l'ammontare della quota del TFR spettante al coniuge per il numero di anni lavorativi; 2. moltiplicare il risultato ottenuto per il numero di anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, inclusi gli anni della separazione legale, fino alla sentenza del divorzio; 3. calcolare sul valore ottenuto il 40%. Ciò posto siccome il rapporto di lavoro è durato 31 anni e 5 mesi, mentre il vincolo matrimoniale in costanza di lavoro 23 anni, in applicazione della regola matematica sopra indicata, la somma spettante alla parte ricorrente corrisponde ad Euro 8.567,09. Si tratta di somma determinata correttamente anche alla luce degli "altri criteri" evocati dalla Suprema Corte, tenuto conto, da un lato, della base di calcolo presa in considerazione, e, dall'altro, della incidenza delle convivenze. 3.3.Va a questo punto precisato che obbligato alla corresponsione dell'indennità di fine rapporto all'ex coniuge è il lavoratore e non il suo datore di lavoro. In caso di morte del lavoratore, il diritto di credito sorge, quindi, verso i suoi eredi. Da ciò ne deriva che soggetto obbligato alla corresponsione della somma dovuta a titolo di trattamento di fine rapporto è necessariamente il coniuge superstite e non l'Istituto erogatore del trattamento di fine rapporto, il quale, al momento del sorgere del diritto ha già adempiuto alla propria prestazione. Ed infatti risultano allegati del presente giudizio i prospetti di liquidazione del 9.12.2014 e del 19.07.2012 agli atti del presente giudizio, che specificano finanche le modalità di pagamento del trattamento di fine rapporto in favore degli eredi indicati dalla convenuta (...) in sede di istanza all'INPS. 3.4. Da ultimo la domanda riconvenzionale riduzione dell'assegno ex art. 5 L. n. 898 del 1970 percepito dall'attrice, formulata dalla convenuta (...) è inammissibile, alla luce della intrasmissibilità mortis causa dell'assegno divorzile e l'assenza di qualsiasi statuizione in ordine all'art. 9 bis L. n. 898 del 1970. 4. Le spese di lite. La natura di accertamento costitutivo necessario, con diritto che può essere ripartito per quote solo giudizialmente, nonché le conclusioni delle parti convenute e terze chiamate, le quali si sono sostanzialmente rimesse alle determinazioni del Tribunale, giustificano la compensazione integrale delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari - sezione civile - in composizione collegiale, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: A. Dichiara la contumacia di (...); B. ACCERTA il diritto di (...), quale coniuge divorziato, a percepire una quota della pensione di reversibilità del sig. (...), nato a C. (...) I. (C.) e deceduto in data 11.03.2012, pari al 40% della pensione di reversibilità ed accerta il diritto di (...), quale coniuge superstite, a percepire la quota del 60% della pensione di reversibilità derivante dalla prestazione pensionistica del coniuge deceduto (...), oltre ai successivi futuri incrementi nella medesima proporzione, sulla quota dovuta al coniuge, con decorrenza dal mese successivo a quello della morte dell'ex coniuge; C. ORDINA all'ente previdenziale - ove sussistente l'obbligazione pensionistica - la corresponsione di detta quota nonché degli eventuali arretrati a costei spettanti a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell'ex coniuge. D. ACCERTA il diritto di (...), quale coniuge divorziato, alla quota di trattamento di fine rapporto del de cuius (...) ai sensi dell'art. 12 bis L. n. 898 del 1970, che si determina in Euro 8.567,09 e, per l'effetto, CONDANNA (...) al pagamento in favore dell'attrice della detta somma, oltre interessi al tasso legale ex art. 1284 c.c. dalla domanda sino al soddisfo; E. DICHIARA inammissibile la domanda di condanna ex art. 12 bis L. n. 898 del 1970 nei confronti dell'Inps; F. DICHIARA inammissibile la domanda riconvenzionale formulata; G. DICHIARA integralmente compensate tra le parti le spese di lite. Così deciso in Castrovillari il 28 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Matteo Prato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 356 del R.G. 2020, promossa da: (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)), (...) (C.F. (...)) e (...) (C.F. (...)), rappresentati e difesi dall'avv. Gi.Co.; - opponenti - contro (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore (P.I. (...) e C.F. (...)), nella qualità di procuratrice con rappresentanza di (...) - SOCIETÀ COOP. (olim (...) - Società Cooperativa in L.C.A.), in persona del legale rappresentante p.t., e per essa rappresentata e difesa dall'avv. Vi.Az.; - società opposta - e (...) (C.F. (...) - P.I. (...)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti St.Mo. e St.Ro.; - altra convenuta - FATTI DI CAUSA Con l'atto introduttivo del presente giudizio gli attori in epigrafe hanno proposto opposizione avverso l'atto di precetto datato 13.1.2020 con cui la società odierna opposta aveva loro intimato il pagamento della complessiva somma di Euro 59.514,07, oltre interessi, all'uopo deducendo che: a) in data 10.05.2018 era deceduto (...), comune dante causa; b) in data 12.10.2006 questi aveva stipulato con (...) un contratto di mutuo ipotecario (rep. n. (...) - racc. n. (...)) con atto per Notar (...), per un importo di Euro 125.000,00 e contestuale atto di erogazione e quietanza munito di piano di ammortamento, assistito da garanzia ipotecaria prestata da (...) per la quota indivisa di 6/9, (...), (...) e (...) per la quota indivisa di 1/9 ciascuno, per la somma complessiva di Euro 164.000,00 sull'immobile di loro esclusiva proprietà sito in (...) (C.) alla Via N., in atti meglio identificato; c) con il medesimo contratto, ad ulteriore garanzia del credito, (...), (...) e (...) avevano prestato fideiussione solidale ed indivisibile fino alla concorrenza di Euro 187.500,00; d) in data 26.06.2008 (...) aveva stipulato con (...) un contratto di mutuo ipotecario (rep. n. (...) - racc. n. (...)) con atto per Notar (...), per un importo di Euro 80.000,00 e contestuale atto di erogazione e quietanza munito di piano di ammortamento, assistito da garanzia ipotecaria prestata da (...) per la somma complessiva di Euro 120.000,00 sull'immobile di sua esclusiva proprietà sito in (...) (C.) alla Via dell'A. n. 13, in atti meglio identificato; e) con il medesimo contratto, ad ulteriore garanzia del credito, (...), (...) e (...) avevano prestato fideiussione solidale ed indivisibile fino alla concorrenza di Euro 120.000,00; f) invero, era stato accertato che fra il de cuius (...) e la predetta banca ricevente erano intercorsi rapporti bancari di c/c con affidamento su scoperto di conto, i cui saldi debitori - venutisi a formare per effetto dell'applicazione di interessi illegittimi ed usurai - erano stati estinti proprio con i contratti di mutuo ipotecario sopra richiamati, da ritenersi simulati e privi di effettiva "traditio", essendo le relative erogazioni state direttamente utilizzate per l'estinzione dei saldi debitori maturati sul conto corrente. Hanno così lamentato: I) la nullità dell'atto di precetto per omessa notifica del titolo esecutivo contrattuale ai terzi datori di ipoteca; II) la natura illecita e simulata - e, dunque, la nullità - degli atti di mutuo giacché, si legge a pag. 9 dell'atto di citazione, "le somme mutuate, anziché essere destinate alla funzione tipica e lo scopo di tale categoria di istituto (che è quella di favorire, grazie alla concessione del prestito, la conservazione e la ripresa di attività produttive dei mutuatari) non sono state poste nella disponibilità dei beneficiari, ma sono servite, assorbentemente, salvo la parte residuale che, in ogni caso non è stata utilizzata per alcun fine specifico imprenditoriale, e, che, conseguiva proprio l'intento dissimulatorio a contrastare e distrarre eventuali contestazioni, ad estinguere la pregressa esposizione debitoria in c.c. dei terzi estranei ai contratti suddetti"; III) l'anomalia delle operazioni che la Banca "con la propria posizione dominante e di coazione psicologica e finanziaria ha causato in relazione alla violazione della disciplina antiriciclaggio"; IV) l'illegittima applicazione di interessi usurari, oltre alla illegittima capitalizzazione ed all'esercizio altrettanto illegittimo dello ius variandi; V) l'errata indicazione ISC/TAEG; VI) la nullità delle garanzie fideiussorie sopra richiamate per violazione della disciplina antitrust; Hanno, dunque, concluso invocando la nullità dell'atto di precetto in esame, dei sottesi contratti di mutuo e delle annesse garanzie fideiussorie, con declaratoria di non debenza di alcuna somma in favore della Banca e diritto alla restituzione di quanto da quest'ultima indebitamente percepito, oltre risarcimento danni, con il favore degli onorari di lite. Instaurato il contraddittorio, con comparsa di risposta depositata per via telematica il 31.7.2020 si è costituita in giudizio (...) S.p.A. (d'ora innanzi, anche solo "la Banca"), nella qualità in epigrafe specificata, la quale ha ribadito la totale fondatezza della pretesa creditoria e la piena legittimità e correttezza del proprio operato, contestando in fatto ed in diritto - punto per punto - le avverse deduzioni e conclusioni, di cui ha invocato l'integrale rigetto, con il favore degli onorari di lite. Con comparsa depositata telematicamente il 27.8.2020 si è costituita in giudizio anche (...), la quale ha rilevato la propria estraneità ai fatti di causa lamentati dagli opponenti nel libello introduttivo e la piena legittimità e correttezza del proprio operato, così concludendo per il rigetto dell'opposizione, con vittoria delle spese di lite. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale e all'udienza del 7.7.2022, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di scritti difensivi conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Muovendo dall'esame della censura con cui è stata dedotta la nullità dell'atto di precetto in ragione della lamentata omessa notifica del titolo esecutivo contrattuale ai terzi datori di ipoteca, la stessa è infondata per le ragioni di seguito illustrate. Ed infatti - integrando i negozi de quibus fattispecie di contratti di mutuo con garanzia ipotecaria disciplinati dagli articoli 38 e ss. del D.Lgs. n. 385 del 1993, ed essendo, pertanto, ad essi applicabile il disposto di cui all'art. 41, comma 1, a tenore del quale "nel procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari è escluso l'obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo" - va da sé che "ai sensi dell'eccezionale norma testé trascritta, il creditore fondiario sia esonerato dall'obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo, sia quando l'espropriazione è rivolta nei confronti del debitore, sia in caso di esecuzione intrapresa nei confronti del terzo proprietario e, cioè, di un soggetto diverso dal debitore contrattuale" (in tal senso, ex multis, Cassazione civile sez. III, 22/09/2022, n. 27848). 2. Privo di pregio è anche il rilievo con cui parte opponente ha lamentato la natura simulata e l'assenza di valida giustificazione causale nei contratti di mutuo in esame giacché asseritamente stipulati al fine precipuo di ripianare una pregressa esposizione debitoria maturata dal mutuatario in relazione ad un rapporto di conto corrente intercorso con la Banca mutuante. Al riguardo, va registrato come il mutuo fondiario non sia mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall'istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l'istituto mutuante deve controllare l'utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria. Ed invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili (arg. ex art. 38 cit.), lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall'immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l'impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell'attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell'economia del contratto (in tal senso, ex multis, Cassazione civile sez. III, 12/09/2014, n. 19282). Detto altrimenti, essendo documentata per tabulas l'effettiva erogazione delle somme mutuate (in entrambi i negozi il mutuatario ha dato quietanza con la sottoscrizione degli stessi), appare evidente la liceità dei contratti di mutuo fondiario stipulati dal mutuatario non solo perché ad inficiarne la piena validità ed efficacia non varrebbe la circostanza che gli stessi sarebbero stati contratti per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante, ma anche perché - per stessa ammissione di parte opponente - una parte della relativa liquidità è stata destinata ad altre non meglio specificate finalità. 3. Del pari non meritevole di accoglimento in quanto manifestamente generico già in punto di mera allegazione, oltre che sfornita di riscontro probatorio, è l'assunto con cui gli opponenti hanno ascritto alla Banca presunte condotte di abuso di "posizione dominante e di coazione psicologica e finanziaria in relazione alla violazione della disciplina antiriciclaggio". 4. Quanto all'asserita applicazione di interessi usurari va evidenziato - in via assorbente - come parte attrice non abbia provveduto alla produzione in giudizio dei decreti ministeriali rilevanti per la determinazione del TEGM, necessario per la determinazione del tasso soglia. In assenza di tale necessaria produzione è inibito al giudicante l'accertamento (mediante consulenza tecnica contabile) della fondatezza o meno dell'eccezione di usurarietà: va, infatti, richiamato in questa sede l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità e già condiviso da questo Tribunale, cui si intende dare continuità, circa la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali con i quali trimestralmente viene stabilito il tasso medio ai fini del calcolo del tasso soglia oltre il quale l'interesse assume natura usuraria, e la conseguente impossibilità di applicare ad essi il principio "iura novit curia" di cui all'articolo 113 del codice di procedura civile. In particolare, infatti, la Corte di Cassazione, a sezioni semplici e poi a sezioni unite, ha chiarito che trattandosi di atti amministrativi, non può riguardo ad essi trovare applicazione il principio jura novit curia (art. 113 primo comma c.p.c.), dovendo tale norma essere letta ed applicata con riferimento all'art. 1 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale contiene l'indicazione delle fonti del diritto, le quali, non comprendono gli atti suddetti (vedansi al riguardo Cass. nn. 5483/98 e 6933/99), con la conseguente inammissibilità delle censure basate sulla asserita violazione di tali decreti (ex multis, Trib. Mantova, sez. II, 4 febbraio 2016, n. 160; cfr. anche Trib. Napoli, 17 giugno 2014 e Trib. Latina, 28 agosto 2013, n. 19154; Cassazione civile, sez. III, 26 giugno 2001, n. 8742). In tal senso, da ultimo, si segnala Cassazione civile, sez. III, 30/01/2019, n. 2543, che ha condivisibilmente stabilito che "il principio jura novit curia va coordinato con l'art. 1 preleggi, il quale indica le fonti del diritto, onde, laddove il primo eleva a dovere del Giudice la ricerca del "diritto", non può non fare esclusivo riferimento alle vere e proprie fonti del diritto oggettivo, id est ai precetti che sono caratterizzati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, sicché vanno esclusi dall'ambito d'operatività del richiamato principio sia i precetti aventi carattere normativo ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico ma non normativo (come gli atti di autonomia privata o gli atti amministrativi) estranei alla previsione del menzionato art. 1 preleggi, sia quelli aventi forza normativa puramente interna, come gli statuti degli enti e i regolamenti interni. Né la mancata produzione della copia dei decreti ministeriali che stabilivano, all'epoca della stipula del contratto, la soglia antiusura può essere superata, come correttamente ha ritenuto la sentenza impugnata, con la produzione di equipollenti. Con la produzione in giudizio dei comunicati stampa della (...) non può, dunque, ritenersi soddisfatto l'onere probatorio gravante sulla ricorrente. La copia dei suddetti decreti ministeriali costituisce, infatti, elemento di prova essenziale della fattispecie, non altrimenti surrogabile". Fermo restando quanto sopra, la doglianza in disamina risulta comunque del tutto generica e carente in punto di allegazione in quanto parte eccipiente non ha nemmeno dedotto - com'era di sua spettanza in base alle regole sul riparto dell'onere probatorio - il tasso in concreto applicato, il tasso soglia di riferimento e gli importi addebitati che in parte qua ritiene non dovuti. Per tale ragione, la correlata domanda finalizzata all'accertamento dell'asserita usurarietà degli interessi applicati ai rapporti negoziali sopra richiamati non può che essere rigettata. 5. Rilevato che i contratti di mutuo in oggetto risultano caratterizzati da un piano di ammortamento c.d. "alla francese", giova segnalare che la specificità di detto sistema consiste nel prevedere che la rata di mutuo da corrispondere nella periodicità convenuta sia sempre costante, con il progressivo decrescere della quota interessi (la quale si presenta all'inizio assai alta perché calcolata sul totale del debito, salvo poi progressivamente decrescere perché calcolata su un debito residuo via via inferiore) e, viceversa, il progressivo crescere della quota capitale (che, di converso, si presenta all'inizio assai bassa e poi cresce, quale effetto matematico dell'importo costante della rata), peraltro in linea con la regola prevista dall'art. 1194 c.c.. Per approdo giurisprudenziale ormai pacifico, "il meccanismo di strutturazione del piano di restituzione rateale con il metodo francese non determina alcun effetto anatocistico, giacché degli interessi via via maturati viene previsto il pagamento al momento della scadenza di ciascuna rata, senza che gli stessi formino oggetto di capitalizzazione di modo che neppure è dato riscontrare alcuna violazione delle previsioni degli artt. 1283 c.c., in tema di anatocismo" (Trib. Palermo Sez. Specializzata in materia di imprese, 16 gennaio 2015). Detto altrimenti, tale metodo non implica alcun fenomeno di capitalizzazione degli interessi, comportando che gli interessi vengano comunque calcolati unicamente sulla quota capitale via via rimanente e per il periodo corrispondente a quello di ciascuna rata e non anche sugli interessi pregressi; in altri termini, nel sistema progressivo ciascuna rata comporta la liquidazione e il pagamento di tutti gli interessi dovuti per il periodo cui la rata stessa si riferisce. Tale importo viene quindi integralmente pagato con la rata, laddove la residua quota di essa va già ad estinguere il capitale; ciò non comporta capitalizzazione degli interessi, atteso che quelli conglobati nella rata successiva sono a loro volta calcolati unicamente sulla residua quota di capitale (cioè sul capitale originario, detratto l'importo già pagato con la rata o le rate precedenti). 5.1 Anche, poi, a voler ritenere che l'applicazione di una illegittima capitalizzazione degli interessi possa essere riferita ad una pratica anatocistica che potrebbe venire a determinarsi per effetto dell'applicazione degli interessi moratori sulle rate rimaste inevase (e, dunque, anche sugli interessi corrispettivi in esse inclusi), giova precisare che, in base al chiaro disposto di cui all'art. 3 della Del.CICR 9 febbraio 2000, "1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica". "2. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l'importo complessivamente dovuto può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica". Ebbene, avendo le parti espressamente pattuito (vedasi art. 1 di ambo i contratti di mutuo de quibus) che, in caso d'inadempimento nel pagamento da parte del mutuatario, su ogni importo a qualsiasi titolo dovuto decorreranno interessi di mora, deve ragionevolmente concludersi che la contestazione di indebito anatocismo, anche sotto tale ambito di scrutinio, non possa trovare accoglimento giacché è il sopra trascritto dettato normativo a rendere legittimo il prodursi di interessi di mora sull'intero importo delle rate non pagate (in tal senso, ex multis, Tribunale Roma sez. XVII, 30/07/2018, n.15884, secondo cui "la pattuizione in base alla quale si prevede che il tasso di mora sarà applicato sull'intera rata scaduta e non pagata, comprensiva, quindi, sia della quota capitale che della quota interessi corrispettivi, non determina un'indebita sommatoria dei tassi di interessi, trattandosi di una capitalizzazione espressamente consentita dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000"; Tribunale Roma sez. IX, 19/05/2016, n.10250, "l'applicazione degli interessi moratori sull'importo delle rate di mutuo scadute è conforme all'art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000, legittimata dall'art. 120 T.U.B., e pertanto non può per sé stessa essere reputata illegittima"). Solo per completezza d'analisi, si segnala che appare comunque discutibile parlare effettivamente di interesse composto (alias anatocistico), in quanto, in caso di inadempimento del mutuatario, dovrà tenersi conto del dettato dell'art. 1224 c.c. che, nel disciplinare l'inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, si interpreta nel senso che - al momento della scadenza - capitale ed interessi perdono la loro identità per diventare un'unica obbligazione, sulla quale poi vanno applicati gli interessi moratori, senza che possa parlarsi di alcuna forma di capitalizzazione. 6. Del tutto priva di pregio, poi, risulta l'ulteriore doglianza relativa alle modalità e alle forme di esercizio del cosiddetto ius variandi da parte della Banca, assumendo rilievo evidentemente assorbente la genericità ed approssimazione dei rilievi attorei in parte qua, non essendo dato financo sapere quali sarebbero state le specifiche variazioni sfavorevoli al mutuatario che in concreto sarebbero intervenute nel corso del rapporto. Del pari connotata da manifesta genericità è la doglianza afferente alla dedotta indeterminatezza delle condizioni contrattuali, dovendosi - di contro - registrare che i regolamenti negoziali in esame disciplinano compiutamente i rapporti con essi sorti. 7. Quanto, poi, al profilo - anch'esso comunque generico in quanto non ancorato agli specifici rapporti contrattuali intercorsi tra gli odierni contendenti - con cui è stata dedotta "l'errata indicazione del TAEG/ISC" e richiamato l'art. 117 TUB, ritiene questo Tribunale che tale censura non colga nel segno per le ragioni di seguito illustrate. Ed infatti, l'ISC (indicatore sintetico di costo) non rientra nella nozione di prezzo che - ai sensi dell'art. 117, comma 6, T.U.B. - deve essere correttamente indicato nel contratto o nel separato documento di sintesi, giacché non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, assolvendo - di contro - unicamente ad una funzione informativa di trasparenza, consentendo al cliente di conoscere preventivamente il costo complessivo del finanziamento. Conseguentemente, anche a voler - per ipotesi - accedere alla prospettazione attorea secondo cui la Banca avrebbe reso una erronea indicazione dell'ISC/TAEG, detta circostanza non sarebbe idonea a determinare una maggiore onerosità del finanziamento o un'incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, ma solo un'erronea interpretazione del suo costo complessivo, la cui errata previsione non comporta la sanzione della nullità di cui al citato art. 117, comma 6, TUB. Né risulta applicabile il successivo comma 7, che individua un tasso sostitutivo o l'applicazione del minor prezzo pubblicizzato per l'ipotesi, diversa da quella in esame, in cui difetti o siano nulle le clausole relative ad interessi, prezzi o condizioni. Nel caso in cui il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG lo avrebbe espressamente previsto, analogamente a quanto avvenuto con l'art. 125-bis, comma VI, TUB (disposizione, quest'ultima, che non trova applicazione nell'odierna controversia ai sensi dell'art. 122, comma 1 lett. a e f TUB). Detto, dunque, che non è sanzionata con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell'ambito di operazioni diverse dal credito al consumo (nei limiti dell'ambito di applicazione circoscritto dall'art. 122 cit.), la violazione del predetto obbligo pubblicitario potrebbe eventualmente configurarsi unicamente come illecito e, in quanto tale, essere fonte di responsabilità della Banca sotto il versante risarcitorio; nel caso in esame, tuttavia, parte attrice ha evidentemente omesso di dedurre, ancor prima di provare, in cosa si sarebbe sostanziato il danno patito in virtù della dedotta presunta (e, comunque, indimostrata) difformità, motivo per cui alcun risarcimento può essere riconosciuto in proprio favore. 8. Quanto alla lamentata nullità del contratto di fideiussione, va ricordato come le Sezioni Unite della Cassazione - nel dirimere alcuni dubbi sorti sulla validità delle fideiussioni omnibus a garanzia di operazioni bancarie, emesse sulla base dello schema standard predisposto nel 2003 dall'A., che contiene alcune clausole la cui contrarietà al diritto della concorrenza è stata accertata nel 2005 da B. come Garante, prima del passaggio dei poteri all'Agcom - abbiano di recente affermato il principio di diritto secondo cui "i contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti" (Cassazione civile, sez. un., 30.12.2021, n. 41994). Ed infatti, con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 la (...) ha disposto che "gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall'A. per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l'articolo 2, comma 2, lettera a) della L. n. 287 del 1990", puntualizzando - altresì - che "le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza". Nello specifico, nel predetto schema A., gli articoli censurati dalla (...) giacché ritenuti in contrasto con la normativa posta a tutela della concorrenza e del mercato, così disponevano: - Art. 2: "Il fideiussore s'impegna, altresì, a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo". - Art. 6: "I diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1957 cod. civ., che si intende derogato". - Art. 8: "Qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate". Detto che un'intesa di tal fatta è da ritenersi nulla "a ogni effetto" secondo quanto disposto dal comma 3 dell'art. 2 della L. n. 287 del 1990, e che il c.d. contratto a valle costituisce lo sbocco dell'intesa vietata (essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti, sicché la nullità dell'intesa a monte prevista "a ogni effetto" non può che comportare la nullità delle clausole oggetto dell'accordo illecito e trasposte nel negozio fideiussorio, così consentendo una immediata difesa del soggetto vittima della condotta anticoncorrenziale e della pretesa abusiva), ritiene questo Tribunale che - alla stregua di quanto previsto dall'art. 1419 c.c., interpretato in conformità al principio generale di conservazione dei negozi giuridici - la loro invalidità non determina anche quella dell'intera fideiussione, non essendo stato financo allegato (e, tanto meno, provato) che le parti non avrebbero concluso il negozio de quo senza quella parte del suo contenuto affetta da nullità. D'altra parte, la nullità parziale non si estende all'intero contenuto della disciplina negoziale se - come nel caso di specie - permane l'utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti. L'estensione all'intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce un'eccezione che deve essere provata dalla parte interessata e si verifica quando la nullità è relativa a un elemento essenziale del negozio o a una pattuizione legata alle altre da un rapporto di interdipendenza e inscindibilità. Siffatta prova evidentemente difetta nella fattispecie in esame, motivo per cui deve concludersi che il dedotto profilo di nullità parziale non vale ad inficiare l'intero negozio e, dunque, a porre in discussione l'esistenza e la validità delle obbligazioni di garanzia assunte con le sopra richiamate fideiussioni. 9. L'acclarata infondatezza delle doglianze esaminate ai punti che precedono non può, poi, che condurre al rigetto della domanda risarcitoria avanzata dagli istanti e, dunque, dell'intera spiegata opposizione. 10. Con riferimento, poi, alla domanda con cui gli opponenti hanno invocato la condanna di (...) "a procedere nell'annullamento di ogni segnalazione e/o appostazione in C.R. (...) e presso le altre banche dati finanziarie, sinora effettuate dalla convenuta in merito ai rapporti intercorsi", la stessa è infondata difettando in capo a (...) il potere di valutare il merito delle segnalazioni ricevute. Costituisce, infatti, appannaggio esclusivo dell'intermediario segnalante valutare l'esistenza dei presupposti per l'appostazione dei crediti a sofferenza o nelle altre categorie di censimento previste dalla normativa di settore e determinare conseguentemente il contenuto delle relative segnalazioni, mentre alcun potere di valutazione o alcuna facoltà discrezionale esercitabile in relazione al contenuto dei dati alla stessa pervenuti può essere riconosciuta alla (...), la quale registra ed aggrega tutti i dati inviati mensilmente dagli aderenti al sistema al fine di renderli organicamente fruibili agli stessi. 11. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite, le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo secondo le disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa, dell'attività effettivamente prestata e del complessivo livello di complessità delle questioni affrontate (nello specifico, Euro 2.000,00 per la fase di studio; Euro 1.200,00 per la fase introduttiva; Euro 2.000,00 per la fase istruttoria/trattazione ed Euro 2.300,00 per la fase decisionale). P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento rubricato al n. 356/20 R.G. - ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa ed assorbita - così provvede: 1. Rigetta l'opposizione proposta dagli opponenti. 2. Condanna gli opponenti, in solido tra loro, a rifondere - in favore di ciascuna delle parti convenute, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore - le spese di lite del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 7.500,00, oltre accessori come per legge. Così deciso in Castrovillari il 27 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Matteo Prato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 2517 del R.G.A.C. 2019, promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentata e difesa dagli avv.ti St.Ma. e Pa.Ca.; - opponente - contro (...) e per essa (...) S.p.A. (P. Iva (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Al.Vi.; - società opposta - FATTI DI CAUSA Con l'atto introduttivo del presente procedimento l'opponente in epigrafe ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 478/2019, reso dall'intestato Tribunale in data 24.06.2019 e notificato il 03.07.2019, con cui la società odierna opposta le aveva intimato il pagamento della complessiva somma di Euro 130.000,00, oltre interessi e spese della fase monitoria, in ragione della fideiussione omnibus dalla medesima prestata (fino all'importo di Euro 130.000,00) a garanzia dei debiti contratti nei confronti di (...) S.p.A. dalla Residenza P. "(...)" di (...) M. S., poi dichiarata fallita. Al riguardo ha lamentato: il difetto di legittimazione attiva e la carenza di titolo ad agire in capo alla società opposta; la nullità della fideiussione omnibus giacché redatta secondo lo schema (...), ritenuto illegittimo; il maturarsi della decadenza ex art. 1957 c.c.; l'intervenuta prescrizione dell'avverso credito e, infine, la non debenza delle somme eccedenti l'importo massimo garantito pari ad Euro 130.000,00, così insistendo per l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "Voglia il Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza: - Dichiarare la nullità totale o parziale del contratto di fideiussione per cui è causa e, per l'effetto, annullare il decreto ingiuntivo opposto e dichiarare che nessuna somma è dovuta dalla sig.ra (...). - In alternativa, dichiarare la decadenza dall'azione ex art. 1957 c.c. da parte della banca creditrice e, per l'effetto, annullare il decreto ingiuntivo opposto e dichiarare che nessuna somma è dovuta dalla sig.ra (...). - In subordine, dichiarare la prescrizione del credito vantato da parte opposta e, per l'effetto, annullare il decreto ingiuntivo opposto. - In ogni caso, accertare e dichiarare che la sig.ra (...) nulla deve in relazione al contratto di fideiussione sottoscritto. - In ulteriore subordine, dichiarare non dovuti gli interessi nell'ammontare calcolato dalla parte opposta. - In ogni caso, condannare parte resistente al pagamento delle spese, onorari e diritti del giudizio, da distrarre in favore dei procuratori antistatari". Instaurato il contraddittorio, con comparsa di risposta depositata telematicamente in data 21.1.2020 si è costituita in giudizio (...) S.p.A. (e per essa (...) S.p.A.), la quale ha contestato in fatto ed in diritto - punto per punto - le avverse deduzioni e conclusioni, rilevando la totale fondatezza della pretesa creditoria e la piena legittimità e correttezza del proprio operato, e contestando in fatto ed in diritto le avverse deduzioni e conclusioni, di cui ha invocato l'integrale rigetto, con conseguente conferma del decreto opposto e condanna dell'opponente al pagamento delle competenze di lite. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale e all'udienza del 7.7.2022, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di scritti difensivi conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE L'opposizione proposta da parte opponente è infondata e va, quindi, rigettata per le ragioni di seguito analiticamente illustrate. 1. È noto come, per unanime giurisprudenza, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere probatorio resti ripartito secondo le regole generali di cui all'art. 2697 c.c., incombendo in capo al creditore opposto la prova piena del credito azionato, con la conseguenza che il mancato rispetto della regola dell'onere probatorio determina l'accoglimento dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo. L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo, infatti, ad un ordinario giudizio di cognizione in cui il giudice non deve limitarsi a stabilire se l'ingiunzione fu emessa legittimamente in relazione alle condizioni previste dalla legge per l'emanazione del provvedimento monitorio, dovendo accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l'ingiunzione fu emessa. La pronuncia del decreto, infatti, inverte solo l'onere di instaurazione dell'effettivo contraddittorio senza ulteriormente influire sulla posizione delle parti davanti al giudice, ed in particolare senza invertire l'onere della prova gravante sull'opposto ovvero su colui che nel giudizio ordinario sarebbe stato attore. Il creditore (al quale compete la posizione sostanziale di attore, per aver richiesto l'emissione del decreto) ha, nella presente fase, l'onere di provare tutti i fatti costitutivi del diritto vantato e, in particolare, l'esistenza e la misura del credito azionato nelle forme della tutela monitoria. 2. Secondo il costante e granitico insegnamento della Corte di Cassazione, inaugurato dalla celebre pronuncia a Sezioni Unite n. 13533 del 30.10.2001, "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento". D'altra parte, tale arresto appare coerente tanto con il principio di presunzione della persistenza del diritto, in virtù del quale - una volta provata dal creditore l'esistenza di un diritto destinato ad essere soddisfatto entro un certo termine - grava, poi, sul debitore l'onere di dimostrare l'esistenza del fatto estintivo costituito dal suo (esatto) adempimento, quanto con il principio di riferibilità o vicinanza della prova. 3. Detto che la società creditrice ha dimostrato per tabulas che in data 30.3.2004 (...) ebbe a prestare fideiussione omnibus, fino alla concorrenza dell'importo di Euro 130.000,00, a garanzia dei debiti contratti da "Residenza P. (...) di (...) M. S." nei confronti di (...) S.p.A., muovendo dalla doglianza con cui parte opponente ha lamentato "l'assoluta mancanza di chiarezza in ordine alle varie cessioni di credito presuntivamente avvenute e per mancanza di documentazione idonea a comprovare le suddette cessioni" (così testualmente si legge a pag. 3 dell'atto di opposizione introduttivo del presente giudizio), ritiene questo Tribunale che parte opposta abbia offerto analitica descrizione - corredata da robusta prova documentale, peraltro rimasta priva della benché minima specifica contestazione da parte della (...) - di tutti i passaggi negoziali (nella specie, atti di fusione e atti di cessione del credito) che consentono di concludere che l'odierna creditrice sia effettivamente titolare del credito per cui è causa. 4. Quanto alla lamentata nullità del contratto di fideiussione, va ricordato come le Sezioni Unite della Cassazione - nel dirimere alcuni dubbi sorti sulla validità delle fideiussioni omnibus a garanzia di operazioni bancarie, emesse sulla base dello schema standard predisposto nel 2003 dall'(...), che contiene alcune clausole la cui contrarietà al diritto della concorrenza è stata accertata nel 2005 da (...) come Garante, prima del passaggio dei poteri all'Agcom - abbiano di recente affermato il principio di diritto secondo cui "i contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata - perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti" (Cassazione civile, sez. un., 30.12.2021, n. 41994). Ed infatti, con Provv. n. 55 del 2 maggio 2005 la (...) ha disposto che "gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall'(...) per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l'articolo 2, comma 2, lettera a) della L. n. 287 del 1990", puntualizzando - altresì - che "le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza". Nello specifico, nel predetto schema (...), gli articoli censurati dalla (...) giacché ritenuti in contrasto con la normativa posta a tutela della concorrenza e del mercato, così disponevano: - Art. 2: "Il fideiussore s'impegna, altresì, a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo". - Art. 6: "I diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall'art. 1957 cod. civ., che si intende derogato". - Art. 8: "Qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l'obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate". Detto che un'intesa di tal fatta è da ritenersi nulla "a ogni effetto" secondo quanto disposto dal comma 3 dell'art. 2 della L. n. 287 del 1990, e che il c.d. contratto a valle costituisce lo sbocco dell'intesa vietata (essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti, sicché la nullità dell'intesa a monte prevista "a ogni effetto" non può che comportare la nullità delle clausole oggetto dell'accordo illecito e trasposte nel negozio fideiussorio, così consentendo una immediata difesa del soggetto vittima della condotta anticoncorrenziale e della pretesa abusiva), ritiene questo Tribunale che le omologhe pattuizioni convenute dalle odierne parti in causa nel regolamento negoziale versato in atti - che, nella sostanza, riproduce le sopra trascritte clausole (...) censurate dalla (...) - debbano essere dichiarate nulle. Tuttavia, alla stregua di quanto previsto dall'art. 1419 c.c., interpretato in conformità al principio generale di conservazione dei negozi giuridici, la loro invalidità non determina anche quella dell'intera fideiussione, non essendo stato financo allegato (e, tanto meno, provato) che le parti non avrebbero concluso il negozio de quo senza quella parte del suo contenuto affetta da nullità. D'altra parte, la nullità parziale non si estende all'intero contenuto della disciplina negoziale se - come nel caso di specie - permane l'utilità del contratto in relazione agli interessi con esso perseguiti. L'estensione all'intero negozio degli effetti della nullità parziale costituisce un'eccezione che deve essere provata dalla parte interessata e si verifica quando la nullità è relativa a un elemento essenziale del negozio o a una pattuizione legata alle altre da un rapporto di interdipendenza e inscindibilità. Siffatta prova, evidentemente, difetta nella fattispecie in esame, motivo per cui deve concludersi che la pur accertata nullità delle clausole numero 2, 6 e 8 non vale ad inficiare l'intero negozio e, dunque, a porre in discussione l'esistenza e la validità delle obbligazioni di garanzia assunte da (...) a beneficio di (...) nei rapporti da quest'ultima intrattenuti con "Residenza P. (...) di (...) M. S.". 5. Infondato risulta, altresì, il motivo di opposizione inerente alla asserita decadenza della società creditrice ex art. 1957 c.c. Infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, "nell'ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c." (Cass. civ., Sez. I, 13 agosto 2015, n. 16836). Inoltre, "la fideiussione prestata senza limiti di tempo resta convenzionalmente sottratta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c. venendo meno solo in virtù dell'estinzione dell'obbligazione principale" (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 1989, n. 786; cfr. anche Corte app. Milano, 31 dicembre 1999, secondo cui "non può ritenersi applicabile alla fideiussione rilasciata senza limiti di tempo il disposto di cui all'art. 1957 c.c., in quanto la previsione di tale norma non è logicamente compatibile con l'intenzione delle parti di non porre un limite temporale all'efficacia della garanzia e di far durare la stessa per un periodo illimitato di tempo", nonché nello stesso senso Tribunale Arezzo, 13 giugno 2018, n. 647 e Tribunale Siena, sez. I, 18 gennaio 2020, n. 66). Pertanto, considerato che nel caso di specie la fideiussione è stata prestata senza limite di durata (del resto non poteva essere altrimenti considerato che il conto corrente, cui detta garanzia accedeva, è un contratto normalmente a tempo indeterminato) ed è stata correlata all'adempimento dell'obbligazione e non alla scadenza (nell'atto di fideiussione si fa riferimento all'adempimento delle obbligazioni e non alla scadenza, peraltro inapplicabile, trattandosi di obbligazioni derivanti da conto corrente), deve escludersi l'applicabilità dell'art. 1957 c.c. D'altra parte, trattandosi di una fideiussione omnibus - con la quale il fideiussore garantisce tutte le obbligazioni, anche future, del garantito entro un importo massimo - è del tutto ovvio che nella lettera di fideiussione non siano indicati i rapporti garantiti, essendo oggetto di garanzia, come specificamente indicato nell'atto medesimo, tutte le obbligazioni inerenti a rapporti già esistenti o futuri con il limite espressamente indicato di Euro 130.000,00. 6. Anche l'eccezione di prescrizione del credito non coglie nel segno. Detto che con racc.ta a.r. ricevuta il 21.9.2005 la (...) è stata messa in mora per il pagamento delle somme de quibus e che, stante l'intervenuto fallimento della debitrice principale, in data 28.5.2012 la creditrice depositava istanza di ammissione sicché il credito veniva regolarmente ammesso nel passivo fallimentare, va considerato che l'insinuazione al passivo della creditrice interrompe i termini prescrizionali anche nei confronti dei coobbligati ex art. 1310 c.c. ("la presentazione dell'istanza di insinuazione al passivo fallimentare, equiparabile all'atto con cui si inizia un giudizio, determina, ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., l'interruzione della prescrizione del credito, con effetti permanenti fino alla chiusura della procedura concorsuale, anche nei confronti del condebitore solidale del fallito, ai sensi dell'art. 1310, comma 1 c.c.", in tal senso Cass. Civ., sentenza 19.4.2018 n. 9638). Non essendo stata in alcun modo dedotta e documentata l'intervenuta definizione della procedura fallimentare appena richiamata, va da sé che il credito de quo non può certamente dirsi prescritto. 7. Quanto, poi, al lamentato superamento del limite previsto nel contratto di fideiussione (pari ad Euro 130.000,00) in virtù di asserite somme ulteriormente dovute "a titolo di interessi o altro", va osservato che anche tale eccezione è infondata avendo la Cassazione chiarito che "in caso di recesso della banca dal contratto di conto corrente bancario, il fideiussore resta tenuto al soddisfacimento del debito quale esistente alla data dello scioglimento del rapporto e in tale misura cristallizzato, dovendo ad esso essere raffrontato il limite di massimale della garanzia; gli interessi moratori maturati dopo quel momento a causa del mancato tempestivo adempimento imputabile (anche) allo stesso fideiussore restano, invece, a suo carico oltre il limite del massimale della fideiussione, in applicazione della regola generale della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 cod. civ. per i fatti a lui riferibili, nonché dei principi di divieto dell'abuso del diritto e della correttezza nei rapporti interprivati" (ex multis, Cass. civ. Sez. I, 12/06/2015, n. 12263). Nel caso di specie, infatti, nella già richiamata racc.ta a.r. di revoca e messa in mora, datata 14.9.2005 e ricevuta il 21.9.2005, alla (...) è stato richiesto il pagamento della somma di Euro 118.689,86, importo - questo - inferiore a quello per il quale è stata prestata garanzia, con il conseguente corollario che gli interessi moratori maturati dopo quel momento a causa del mancato tempestivo adempimento imputabile (anche) allo stesso fideiussore restano a suo carico anche oltre il limite del massimale della fideiussione. In conclusione, non avendo l'opponente fornito la prova di aver integralmente adempiuto alla propria obbligazione di pagamento, né allegato e provato la sussistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi dell'altrui pretesa, limitandosi a sollevare doglianze prive di pregio per le ragioni illustrate ai punti che precedono, l'odierna opposizione non può che essere rigettata, con conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto, che va dichiarato definitivamente esecutivo. 8. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite, le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo secondo le disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa, dell'attività effettivamente prestata e del complessivo livello di complessità delle questioni affrontate (nello specifico, Euro 1.500,00 per la fase di studio; Euro 1.000,00 per la fase introduttiva; Euro 1.700,00 per la fase istruttoria/trattazione ed Euro 2.100,00 per la fase decisionale). P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 2517/2019 R.G., ogni diversa istanza ed eccezione disattesa ed assorbita, così provvede: 1) Rigetta l'opposizione proposta da (...) e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto, che dichiara definitivamente esecutivo. 2) Condanna l'opponente a rifondere - ed in favore di parte creditrice, in persona del legale rappresentante pro tempore - le spese di lite del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.300,00, oltre accessori come per legge. Così deciso in Castrovillari il 27 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 27 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI SEZIONE CIVILE in persona del giudice monocratico Dott. Gaetano Laviola ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 378 del RGAC dell'anno 2017, avente ad oggetto risarcimento del danno e vertente TRA (...) (C.F. (...) ) e (...) (C.F. (...) ), rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Madeo ATTORI E (...) (C.F. (...) ), rappresentata e difesa dall'avv. Gi.Gi. CONVENUTA E (...) (C.F. (...) ), in qualità di erede di (...), rappresentato e difeso dall'avv. Ma.De. CONVENUTO E Eredi di (...), deceduta in corso di giudizio CONVENUTI FATTO E DIRITTO 1.1. Gli attori hanno convenuto (...) e (...) e (...), chiedendone la condanna al risarcimento per i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalle mendaci dichiarazioni rese in sede di stipula di due contratti di vendita rogati dal notar (...) l'11 aprile 2014 ed aventi ad oggetto un'abitazione, un magazzino e un terreno. In particolare, lamenta parte attrice il carattere non veritiero delle dichiarazioni rese in sede contrattuale, secondo cui l'abitazione e il magazzino erano stati costruiti in epoca antecedente all'1 settembre 1967 nel rispetto delle leggi vigenti, in quanto, a seguito della vendita, è emerso che gli immobili in esame erano stati costruiti in epoca successiva a detta data ed erano oggetto di un procedimento finalizzato al rilascio del permesso in sanatoria per sanarne le abusività, in relazione al quale si è reso necessario sostenere costi per Euro 6.179,38 per sanzioni ed Euro 1.244,40 per prestazioni professionali. 1.2. Si sono costituite (...) e (...), chiedendo il rigetto della domanda, in quanto le dichiarazioni citate sarebbero frutto del legittimo affidamento riposto nei tecnici a cui le medesime si erano rivolte per conoscere la situazione degli immobili loro pervenuti per successione e donazione e atteso che, in considerazione del loro titolo di acquisto (donazione e eredità), sulle stesse non sarebbe gravato alcun obbligo di conoscenza dello stato degli immobili. Nella comparsa di risposta, inoltre, le convenute hanno evidenziato il decesso di (...), senza, tuttavia, indicarne la data e senza produrre documentazione. 1.3. All'udienza del 18 febbraio 2019 il giudizio è stato dichiarato interrotto per il decesso di (...). 1.4. Con ricorso depositato il 25 febbraio 2019 gli attori hanno riassunto il giudizio, provvedendo a notificare l'atto e il decreto di fissazione dell'udienza anche a (...). 1.5. Considerato che tale notifica non è andata a buon fine, con Provv. del 17 maggio 2021 il Giudice ne ha disposto la rinnovazione. 1.6. A questo punto, parte attrice ha depositato il certificato di morte di (...), da cui risulta che il decesso dello stesso è avvenuto il 15 agosto 2016, vale a dire in epoca antecedente alla notifica della citazione, intervenuta il 19 gennaio 2017. 1.7. E' stata anche prodotta la sentenza penale n. 1022/19 con cui il Tribunale di Castrovillari ha prosciolto (...) per i fatti oggetto del presente giudizio per intervenuto decesso, condannando, invece, (...) anche al risarcimento da liquidarsi in sede civile. 1.8. Si è costituito anche (...), dichiarando di aver rinunciato all'eredità di (...). 2. In via preliminare, deve essere dichiarata l'inesistenza della citazione nei confronti di (...), in quanto al momento della notifica dell'atto introduttivo, detto convenuto era già deceduto (cfr. Cass. civ., Sez. II, 6 giugno 2013, n. 14360, secondo cui "la notificazione della citazione introduttiva del giudizio di primo grado effettuata ad una persona già deceduta è giuridicamente inesistente, posto che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita e si estingue con la morte; ne consegue l'insanabile nullità, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, delle sentenzepronunciate nel corso del processo nei confronti del soggetto deceduto prima dell'inizio dello stesso". Di conseguenza, alcuna domanda deve ritenersi validamente articolata nei confronti di (...) o dei suoi eredi. 2.1. Sempre in via preliminare, merita evidenziare che, a seguito dell'introduzione del presente giudizio e precisamente il 19 giugno 2017 (cfr. la citata sentenza penale), gli attori si sono costituiti parte civile in sede penale. Tale costituzione, tuttavia, non determina l'estinzione del presente giudizio, in quanto, al momento della decisione, il processo penale risulta già concluso. Infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, "il trasferimento dell'azione civile nel processo penale, regolato dall'art. 75 c.p.p., determina una vicenda estintiva del processo civile riconducibile al fenomeno della litispendenza e non a quello disciplinato dall'art. 306 c.p.c., in quanto previsto al fine di evitare contrasti di giudicati, sicché tale estinzione è rilevabile anche d'ufficio, ma può essere dichiarata solo se, nel momento in cui il giudice civile provvede in tal senso, persista la situazione di litispendenza e non vi sia stata pronuncia sull'azione civile in sede penale" (Cass. civ., Sez. II, 22 novembre 2021, n. 35951). Pertanto, essendo già intervenuta una pronuncia sull'azione civile esercitata in sede penale, con cui, limitatamente alla posizione di (...) (su (...) nulla è stato disposto stante il proscioglimento conseguente al decesso della stessa), è stata disposta una condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali da quantificarsi in sede civile, la domanda risarcitoria articolata in questa sede può e deve essere esaminata e decisa. 3. Nel merito si osserva quanto segue. In primo luogo, è bene evidenziare che, dei due contratti invocati da parte attrice, quello avente ad oggetto l'abitazione è stato stipulato con (...) (e con (...)), mentre quello riguardante il magazzino è stato concluso con (...). Ciò chiarito, la domanda attorea va sussunta negli schemi della responsabilità contrattuale, atteso che la condotta addebitata alla controparte è consistita in una inveritiera dichiarazione circa l'anno di costruzione degli immobili venduti e nell'omissione della pendenza di un procedimento di concessione in sanatoria in relazione alle abusività da cui risultavano afflitti gli immobili medesimi. Va anche precisato che i citati contratti non sono affetti da nullità, in quanto, a prescindere dalla dichiarazione sulla data di costruzione, al momento della stipula era pendente la procedura finalizzata al rilascio del permesso in sanatoria. Infatti, l'art. 30, comma III, L. n. 47 del 1985 prevede che " se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi non sia dipesa dalla insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1 settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente". Per tale ragione, considerato che, come detto, il procedimento per la concessione in sanatoria, pur non menzionato in contratto, era esistente sin dal 23 settembre 1986 (cfr. permesso in sanatoria prodotto da parte attrice) e peraltro è stato positivamente concluso il 5 maggio 2015, i contratti in esame devono ritenersi validi. 3.1. A questo punto, merita rilevare che la condotta della parte venditrice è chiaramente inadempiente, atteso che dall'esame di entrambi i contratti è emerso che i venditori hanno dichiarato che gli immobili ceduti sono stati edificati in epoca antecedente all'1 settembre 1967, circostanza risultata del tutto falsa tant'è che era pendente una procedura per il rilascio del permesso in sanatoria per eliminare i caratteri abusivi degli immobili medesimi. Inoltre, la stessa esistenza di tale procedura è stata sottaciuta dalla parte venditrice, con la conseguenza che, acquisitane conoscenza, gli acquirenti si sono visti costretti a sostenerne i costi per portarla a definizione. Del tutto infondata, poi, è la giustificazione addotta dalle venditrici in merito all'affidamento riposto nei tecnici incaricati di verificare la situazione edilizia degli immobili in esame, in quanto è noto che, ai sensi dell'art. 1228 c.c., colui che si avvale dell'opera di terzi per l'adempimento dell'obbligazione risponde dell'operato dei propri collaboratori. Né è possibile esonerare le venditrici dall'obbligo di conoscere e dichiarare lo stato edilizio dei beni per il fatto di averli ricevuti per donazione e in eredità, non esistendo alcuna norma che escluda la responsabilità contrattuale del venditore donatario o erede e il suo obbligo di conoscere il bene venduto e di dichiarare al compratore eventuali vizi o difetti di qualità. Per tali ragioni, (...) deve essere condannata al risarcimento dei danni subiti dagli attori per la vendita della citata abitazione, mentre (...) e per lei i suoi eredi devono essere condannati al risarcimento dei danni subiti dagli attori per la vendita del citato magazzino. 3.2. Passando, quindi, alla quantificazione dei danni, per quel che riguarda gli oneri comunali sostenuti, dall'esame della tabella allegata da parte attrice si desume che Euro 2.745,48 sono stati corrisposti per la sanatoria dell'abitazione (nella tabella vi è il riferimento "no 1 casa"), mentre Euro 3.173,36 per la sanatoria del magazzino ed Euro 260,00 per diritti di segreteria. Inoltre, quanto alle spese per prestazioni professionali, le fatture da Euro 622,20 non recano alcuna specificazione dell'immobile a cui si riferiscono. Per tali ragioni, ritenendo opportuno ripartire a metà tra le venditrici le spese per i diritti di segreteria e quelle per la prestazione professionale, (...) deve essere condannata al pagamento di Euro 3.497,68 (2.745,48+130,00,00+622,20) in favore d i parte attrice, oltre interessi al tasso legale dal 25 gennaio 2017, data di introduzione del giudizio, in assenza di atti di messa in mora, al saldo, mentre gli eredi di (...) devono essere condannati al pagamento di Euro 3.925,56 (3.173,36+130,00,00+622,20) in favore di parte attrice, oltre interessi al tasso legale dal 25 gennaio 2017, data di introduzione del giudizio, in assenza di atti di messa in mora, al saldo. 3.3. Non meritevole di accoglimento, invece, è la domanda relativa ai danni non patrimoniali. Al riguardo, è opportuno chiarire in primo luogo che " la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato l'accertamento, riservato al giudice civile, in ordine all'"an" - in concreto - ed al "quantum" del danno da risarcire. Entro tali limiti, detta condanna, una volta divenuta definitiva, ha effetti di giudicato sulla azione civile e portata onnicomprensiva, riferendosi ad ogni profilo di pregiudizio scaturito dal reato, ancorché non espressamente individuato nell'atto di costituzione di parte civile o non fatto oggetto di pronunce provvisionali, che il giudice non abbia formalmente dichiarato di escludere nel proprio "dictum" (Cass. civ., Sez. III, 14 febbraio 2019, n. 4318). Per tale ragione, la condanna generica in sede penale non implica alcun accertamento automatico dell'an del risarcimento in sede civile. Ciò premesso, la domanda in esame deve essere respinta in quanto articolata in termini del tutto generici e senza alcun supporto probatorio. Al riguardo, si evidenzia che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, "il danno morale, per poter essere risarcito, richiede la deduzione e la prova, sia nell'an che nel quantum, del pregiudizio subito e ciò in quanto la categoria onnicomprensiva del danno non patrimoniale di cui all'art. 2059c.c. - peraltro risarcibile nei soli casi previsti dalla legge (e, cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, quando a) il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, b) quando ricorre una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale e c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale - costituisce pur sempre un'ipotesi di danno conseguenza, il cui ristoro è possibile solo a seguito dell'integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza materiale ed alla sua riferibilità sul piano eziologico alla condotta del soggetto asseritamente danneggiante. Tale pregiudizio, ove intrinse camente connesso alla situazione data, deve comunque essere allegato e provato nei suoi elementi costitutivi, cosa che non è avvenuta nel caso di specie" (Corte appello Palermo sez. II, 15 marzo 2016, n. 469; cfr. anche Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2020, n. 7964, secondo cui "ogni sub-specie (o tipo) di danno alla persona non può sfuggire al principio di allegazione e di prova che regola il processo civile. Nella materia de qua il principio è riflesso nei precedenti di questa Corte secondo i quali possono essere risarcite plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità, e purché si pervenga ad una ragionevole mediazione tra l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni all'integrità psico-fisica della persona con tratti unitari suscettibili di essere globalmente considerati, e quella di valutare l'incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari che attengono alla personalità del danneggiato (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 13992 del 31/05/2018; Sez. L, Sentenza n. 583 del 15/01/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013)"). In altri termini, anche il danno morale deve necessariamente essere oggetto di allegazione e prova da parte di colui che ne chiede il riconoscimento. Nel caso di specie, tuttavia, nulla è stato dedotto al riguardo nell'atto di citazione, essendosi parte attrice limitata a richiedere apoditticamente il risarcimento dei danni non patrimoniali, senza allegare e provare alcuna circostanza al fine d i consentire al giudice, anche attraverso elementi presuntivi, di accertarne l'esistenza. 3. Le spese di lite sostenute da parte attrice vengono poste a carico di (...) e degli eredi di (...), in solido tra loro, mentre le spese sostenute da (...) vengono poste a carico degli attori, in solido tra loro. Le spese di lite sostenute da parte attrice vengono, quindi, liquidate in Euro in Euro 268,60 per esborsi 1.800,00 (di cui Euro 500,00 per la fase di studio, Euro 400,00 per l a fase introduttiva ed Euro 900,00 per la fase istruttoria) per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, CPA e IVA come per legge. Le spese di lite sostenute da (...) vengono, invece, liquidate in Euro in Euro 1.650,00 (di cui Euro 450,00 per la fase di studio, Euro 370,00 per la fase introduttiva ed Euro 830,00 per la fase istruttoria) per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, CPA e IVA come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in persona d el giudice monocratico dott. Gaetano Laviola, definitivamente pronunciando sulla presente controversia, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1. Dichiara l'inesistenza della citazione nei confronti di (...); 2. Condanna (...) deve al pagamento di Euro 3.497,68 in favore di parte attrice, oltre interessi al tasso legale dal 25 gennaio 2017 al saldo; 3. Condanna gli eredi di (...) al pagamento di Euro 3.925,56 in favore di parte attrice, oltre interessi al tasso legale dal 25 gennaio 2017 al saldo; 4. Rigetta la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali articolata da parte attrice; 5. Condanna (...) e degli eredi di (...), in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite sostenute da parte attrice, che liquida in Euro 268,60 per esborsi 1.800,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, CPA e IVA come per legge; 6. Condanna gli attori, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite sostenute da (...), che liquida in Euro 1.650,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15%, CPA e IVA come per legge. Così deciso in Castrovillari il 3 ottobre 2022. Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE in composizione monocratica e nella persona del dott. Alessandro Caronia ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 2635 del 2015 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto "Promessa di pagamento e ricognizione di debito" e vertente TRA (...), C.F. (...), parte nata a Reggio Calabria in data 21.07.1965, rappresentata e difesa dall'avv. VE.PU., giusta procura in calce all'atto introduttivo del presente giudizio, elettivamente domiciliati come in atti - ATTORE - E (...) S.P.A., P I. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, Via (...), rappresentata e difesa dall'avv. MA.MI., giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta, elettivamente domiciliati come in atti - CONVENUTO - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I fatti di causa, le posizioni delle parti e le loro conclusioni. Con l'atto introduttivo del presente giudizio ritualmente notificato e depositato in Cancelleria in data 29.10.15, (...) ha convenuto in giudizio la (...) S.P.A.. La difesa dell'attore ha allegato che: - In data 8.03.2015, l'attore, dirigente veterinario presso l'ASP di Ruvo di Puglia (BA), si recava presso l'outlet district di Molfetta, sito in Via Pescatori. - All'uscita del centro commerciale constatava che la propria autovettura modello AUDI A4 SW tg. (...) assicurata presso la (...) S P A. con numero di polizza 12453TH, era stata rubata. - L'attore si recava, dunque, presso la vicina stazione dei Carabinieri di Molfetta per denunciarne il furto. - Il (...) chiedeva, quindi, che fosse aperto il sinistro presso la compagnia assicuratrice convenuta per chiedere il relativo indennizzo, previsto dalla propria polizza assicurativa di incendio e furto, per un premio di Euro 18.000,00. - La (...) S.p.A. dunque, apriva il sinistro n. S0315161500043 senza tuttavia formalizzare alcuna proposta di bonario componimento nel termine previsto di 60 giorni dall'istruzione della pratica. - In data 6.10.2015 (...) esperiva tentativo di mediazione, ma la compagnia assicuratrice decideva di non partecipare all'incontro. - Le condotte descritte sono da ricondursi ad una ipotesi di inadempimento contrattuale da parte della (...) S.p.A. la quale, nonostante la sottoscrizione di polizza furto ed incendio e la presenza di antifurto satellitare, nega all'assicurato l'indennizzo previsto, in violazione dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto assicurativo. - Il colpevole ritardo nella corresponsione del quantum debeatur all'assicurato ha provocato disagi e anche pregiudizi economici all'attore, in quanto, quale dirigente medico dell'ASP di Ruvo di Puglia, è stato costretto a raggiungere il posto di lavoro con autovettura di fortuna e, spesso, a pernottare in Puglia, con ulteriore aggravio di spese. - Il ritardo nella liquidazione dell'indennizzo è ingiustificato. - Nonostante il comportamento collaborativo dell'attore, che ha fornito con solerzia ogni documento e informazione richiesti, la (...) non ha mai fornito spiegazioni in ordine alla mancata erogazione della somma richiesta. Tanto premesso, (...) ha chiesto a questo Tribunale: a. Accertamento dell'inadempimento contrattuale della convenuta (...) SPA.; b. Condannare la convenuta al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 20.400,00, comprensiva di indennizzo per il furto dell'autovettura di proprietà dell'attore e delle spese sostenute per far fronte al disagio dovuto al ritardato pagamento dello stesso, ovvero la minore o maggiore somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali a decorrere dall'8.03.2015. c. Con vittoria di spese e competenze di causa, oltre accessori come per legge. Con comparsa di costituzione e risposta depositata all'udienza del 28.01.2016 si è costituita (...) S P A. La sua difesa ha dedotto che: - La domanda è infondata, non provata e, in ogni caso, eccessiva nel quantum. - Non appena ricevuta la richiesta di risarcimento danni, all'esito degli accertamenti tecnico-peritali effettuati dalla Compagnia, sono emersi dubbi circa l'effettivo verificarsi del furto d'auto denunciato. Per tali motivi è stata sospesa la procedura di liquidazione del danno. - Il veicolo risultava essere stato immatricolato in Germania nel 2010 con numero di targa RE-MP80, intestato alla società (...) e, dopo aver subito ingenti danni sulla fiancata destra, è stato venduto in data 27.1.11, non riparato, alla Concessionaria (...) KG, la quale provvedeva a stilare preventivo per riparazioni per la somma complessiva di Euro 11.244,62, considerato altresì che l'auto aveva una percorrenza di soli 1.373 km. - In seguito, l'auto è stata acquistata da (...)di Corigliano Calabro (CS) per la somma di Euro 23.800,00, IVA inclusa. - L'auto è stata, poi, rivenduta asseritamente riparata, benché non vi sia documentazione attestante le riparazioni, alla sig.ra (...) per la somma di Euro 25.000,00. - Infine, l'odierno attore acquistò l'auto per la modica cifra di Euro 1.000,00 dalla signora (...) e la assicurò per il furto per un valore di Euro 18.000,00. - Inoltre, la casa madre rilascia n. 3 chiavi, ma l'attore ne ha riconsegnate soltanto 2. La chiave n. 1 risulta essere stata utilizzata il giorno 10.03.2015, ossia 2 giorni dopo il presunto furto. A ciò si aggiunga la testimonianza dell'addetto alla vigilanza dell'outlet, il quale ha dichiarato di non ricordare il verificarsi di un furto d'auto il giorno 8.03.2015. Lo stesso attore dichiarava altresì di non ricordare in quale punto del parcheggio aveva posteggiato la propria auto. Tali elementi hanno determinato un quadro non convincente, che ha indotto la convenuta a dubitare della veridicità del furto denunciato e a negare l'indennizzo, secondo quanto documentato anche dalla relazione di accertamento investigativo del 14.12.15. - In ordine al quantum, poi, la somma richiesta a titolo di risarcimento danni non è provata dall'attore ed è, in ogni caso, eccessiva ed ingiustificata. La pretesa risulta, peraltro, fondata su documentazione di parte che, sin d'ora, si impugna e si contesta. - Il danno indennizzabile, sulla base della polizza assicurativa stipulata, ammonta, comunque, "al valore commerciale del veicolo al momento del sinistro, ridotto dell'eventuale scoperto e del valore di ciò che eventualmente resta dopo il sinistro" (copia condizioni generali assicurazione "(...)", allegato al fascicolo di parte convenuta). - La polizza stipulata dall'attore prevede, inoltre, una franchigia del 10% con un minimo di Euro 400,00, che dovrà essere scomputato dall'eventuale indennizzo. - Non risarcibili sono inoltre le somme richieste a titolo di risarcimento dei danni per i disagi patiti a causa della mancanza dell'autovettura. Gli stessi non risultano indennizzabili in base a quanto previsto dalla polizza e, in ogni caso, non risultano provati allo stato degli atti. Tanto premesso, la Compagnia Assicuratrice ha concluso chiedendo a questo Tribunale: a. Il rigetto della domanda proposta, in quanto infondata. b. In via subordinata, limitare il risarcimento dei danni entro e non oltre i limiti di cui alla polizza n. (...), previa detrazione della franchigia del 10%. c. Con spese e competenze di lite da imputarsi a carico dell'attore. Concessi i termini 183 c. 6 c.p.c., depositate le relative memorie, con ordinanza del 6.06.2017 il precedente giudice istruttore disponeva, ai sensi dell'art. 5 comma 2 d. lgs. n. 28/2010, l'esperimento del tentativo di mediazione e, conseguentemente, assegnava alle parti 15 giorni per l'avvio dello stesso, fissando la successiva udienza per la verifica della presentazione della domanda di mediazione e avvisando le parti che l'esperimento del procedimento di mediazione assurgesse condizione di procedibilità della domanda. Alla successiva udienza del 15.12.17 le parti hanno insistito nelle rispettive richieste e per l'ammissione dei mezzi istruttori formulati. Con ordinanza del 22.12.2017, a scioglimento della riserva assunta alla udienza del 15.12.17, non sono stati ammessi i mezzi istruttori richiesti dalle parti e, dunque, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del giorno 01.03.2022, le parti hanno precisato le conclusioni come in atti e la causa è stata assegnata in decisione con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. In rito. Improcedibilità della domanda. 2.1. Come precedentemente accennato, nelle more del giudizio, con ordinanza del 6.06.2017 il precedente giudice istruttore disponeva, ai sensi dell'art. 5 comma 2 D.Lgs. n. 28/2010, l'esperimento del tentativo di mediazione demandata e, conseguentemente, assegnava alle parti il termine di 15 giorni per l'avvio dello stesso, fissando la successiva udienza per la verifica della presentazione della domanda di mediazione e avvisando le parti che l'esperirne nto del procedimento di mediazione assurgesse a condizione di procedibilità della domanda. Né alla udienza fissata per il prosieguo né in quelle successive è stata depositata dalle parti e, in particolare da parte attrice, la prova dell'intervenuto esperimento del procedimento di mediazione demandato dal giudice. Si rileva che il 2 comma della norma in commento, prevede che "il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione". Sul punto si rileva che la mediazione disposta dal giudice istruttore ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010, al fine di propiziare una conciliazione delle parti in quella sede, deve ritenersi obbligatoria in quanto la legge espressamente la considera condizione di procedibilità della domanda. Di talché il procedimento di mediazione di cui alla richiamata norma è facoltativo per il giudice, nel senso che è rimesso alla discrezionalità dello stesso disporlo o meno, ma, una volta disposto d'ufficio, in quanto condizione di procedibilità stabilita dalla legge, diventa obbligatorio per le parti. Come correttamente sottolineato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. n. 40035 del 2021), la novella del 2013 ha attribuito al giudice il potere di invitare le parti ad attivare la mediazione anche nelle materie per le quali il Decreto n. 28 del 2010, art. 5, esclude l'obbligatorietà, indipendentemente dalla loro adesione, originariamente richiesta. Il provvedimento, poi, può essere adottato, anche in appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni o, se non prevista, fino alla discussione della causa anche nei casi in cui l'attore prima dell'introduzione del giudizio abbia già (inutilmente) esperito il tentativo obbligatorio. Per l'effetto, a nulla rileva che la parte attrice abbia nel caso di specie esperito la procedura di mediazione prima della introduzione del giudizio. Il rilievo consente di superare qualsiasi valutazione in ordine alla correttezza del tentativo esperito prima della introduzione del giudizio, anche alla luce della clausola contenuta nel contratto assicurativo, che individua gli organismi pattiziamente competenti. 2.2. L'esperimento del procedimento di mediazione, quando sia stato disposto dal giudice ex art. 5 comma 2 del D. Lgs. 28/2010, è "condizione di procedibilità della domanda giudiziale". Questo giudice ritiene di condividere integralmente e fare proprio quanto affermato dal Tribunale di Firenze nella sentenza n. 1178/2016, della quale si riporta stralcio rilevante. "L'invio delle parti in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce potere discrezionale dell'ufficio che può essere esercitato "valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione ed il comportamento delle parti" sempreché non sia stata tenuta l'udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento "è condizione di procedibilità della domanda giudiziale" (art. 5, II co. D.Lgs. n. 28 del 2010 citato). Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l'emanazione di sentenza di merito. Tale disciplina, finalizzata a favorire la conciliazione della lite con l'intervento di soggetto terzo imparziale, non pone problemi di natura costituzionale né appare lesiva dei precetti di cui alla normativa sovranazionale sul diritto di azione e di accesso alla giustizia (Carta di Nizza, CEDU). Non vi è dubbio infatti che l'intento perseguito - deflazionamento del contenzioso con positivi effetti sotto il profilo della ragionevole durata del processo - giustifichi sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato, il potenziamento degli istituti di definizione delle controversie alternativi al processo, e, dall'altro, la sanzione prevista in caso di inottemperanza all'ordine giudiziale". Una volta disposta la mediazione delegata, occorre, pertanto, verificare l'effettivo esperimento della stessa demandata dalle parti in corso di causa, giusta ordinanza del precedente istruttore. Dalle parti non è stata fornita prova né alla udienza all'uopo fissata né nel corso del giudizio che il procedimento di mediazione sia stato avviato dalle parti. Il mancato ottemperamento all'invito del giudice impone, inevitabilmente, una declaratoria di improcedibilità della vertenza giudiziaria. Sotto un ulteriore profilo va osservato che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all'ordine del giudice. 2.3.Con maggiore precisione, infatti, una volta disposto con ordinanza il procedimento di mediazione demandata in corso di causa ex art. 5 c. 2 D.Lgs. 28 del 2010, occorre operare la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione. Pertanto, all'udienza fissata con il provvedimento con cui è stato disposto l'invio delle parti in mediazione, al giudice non si apriranno che due alternative: - O risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2 bis); in tal caso il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio. - Oppure, risulta che la mediazione non è stata esperita ovvero - ipotesi più complessa - che, ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge. Pertanto, poiché non vi è prova che alcuna delle parti abbia avviato tale procedimento, non resta a questo giudice che dichiarare l'improcedibilità della domanda esperita dall'attore. Neppure è possibile la concessione di ulteriore termine per l'esperimento della mediazione, considerato che il mancato ottemperamento all'invito del giudice deve intendersi come mancanza di interesse della parte a coltivare diligentemente le proprie istanze di giustizia e giustifica, pertanto, una declaratoria di improcedibilità della vertenza giudiziaria. Del resto, la concessione di un nuovo termine si porrebbe in aperto contrasto con il dettato legislativo - come interpretato dalla Suprema Corte - poiché non sarebbe rispettato il termine di durata del procedimento di mediazione di cui all'art. 6 D.Lgs. 28 del 2010. Assurgendo, poi, a condizione di procedibilità della domanda, il rilievo della stessa non può che essere officioso e certamente formulato in sentenza (cfr. in motivazione sul punto Cass. civ. n. 2775 del 2020). Per l'effetto, le domande attoree devono essere dichiarate improcedibili. 4. Il regime delle spese. Le spese del giudizio vanno integralmente compensate tra le parti alla luce del rilievo officioso della improcedibilità della domanda attorea e della sussistenza di interventi della Suprema Corte in ordine alla mediazione delegata solo successivi alla notifica della citazione del presente giudizio, che costituiscono, complessivamente considerati, gravi ed eccezionali ragioni idonee a giustificare l'integrale compensazione delle spese di lite tra tutte le parti del giudizio, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 92, comma 2, c.p.c., secondo la disposizione ratione temporis applicabile al giudizio in esame. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile -, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: A. DICHIARA improcedibili le domande proposte; B. COMPENSA integralmente le spese di giudizio. C. MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Castrovillari il 16 agosto 2022. Depositata in Cancelleria il 24 agosto 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica e nella persona del dott. Alessandro Caronia ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 1461 del 2012 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto "opposizione al decreto ingiuntivo n. 274 del 2012 pronunziato da questo Tribunale e depositato in Cancelleria in data 19.7.12 " e vertente TRA (...), (...) (...), parte nata a (...) G. in data (...), (...), (...) (...), parte nata a (...) G. in data (...); (...), (...) (...), parte nata a (...) G. in data (...); (...), (...) (...), parte nata a (...) G. in data (...); (...), (...) (...), parte nata a V. in data (...), tutte rappresentate e difese dall'avv. ZA.MA., giusta procura a margine dell'atto di citazione introduttivo del presente giudizio, elettivamente domiciliati come in atti - OPPONENTI- E FONDO DI (...), (...) (...), già (...) SCARL, (...) (...), e, per essa, la (...)- Società Finanziaria per la (...) s.p.a., (...) e P.IVA. (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. FR.EM., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti - OPPOSTO - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I fatti di causa, le posizioni delle parti e le loro conclusioni. Con ricorso depositato in data 14.6.12, la (...) s.p.a. ha chiesto ed ottenuto contro (...), (...), (...), (...), (...) - nella qualità di eredi di (...) - decreto ingiuntivo n. 274 del 2012, depositato in data 19.7.12 e notificato in data 20.09.12, per la somma di Euro 106.474,35 e di Euro 75.000,00 nei confronti di (...), anche in proprio, quale fideiussore, oltre interessi legali dal 4.11.07 e sino all'effettivo soddisfo. Con atto di citazione del 20.10.12, notificato in data 30.10.12 e depositato in cancelleria in data 2.11.12, gli odierni attori hanno proposto opposizione avverso questo decreto ingiuntivo ed hanno convenuto in giudizio la parte ricorrente in monitorio allegando che: - La (...) s.p.a. ha chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo sull'erroneo assunto di essere creditrice insoddisfatta dell'importo sopra indicato in forza di conto corrente bancario affidato n. 02.328133, oltre interessi legali dal 4.11.07 e sino all'effettivo soddisfo; - Preliminarmente, si eccepisce l'incompetenza territoriale del Tribunale di Castrovillari, per essere competente il Tribunale di Rossano, quale foro del consumatore, che è esclusivo e speciale, sicché ogni diversa clausola che stabilisca un foro diverso deve considerarsi vessatoria e, quindi, nulla. Nel caso di specie, i congiunti (...) sono tutti residenti a (...) G. A. e, inoltre, l'obbligazione è sorta in Corigliano Calabro. Per l'effetto, competente è il solo Tribunale di Rossano. - Sempre in via preliminare, assoluta ed insanabile nullità della ingiunzione per mancata trascrizione, nelle copie notificate ai comparenti, della procura rilasciata dalla (...) alla società convenuta, solo richiamata e non riprodotta né allegata. La mancata riproduzione della procura nella copia notificata non rende invalido l'atto, perché la procura risulti sull'originale dell'atto stesso. Nel caso in esame, la mera enunciazione della esistenza della procura conferita dalla (...) non costituisce elemento sufficiente a fondare una presunzione di esistenza della procura e, pertanto, la mancata produzione della stessa determina la giuridica inesistenza dell'atto. - Sempre in via preliminare, si rileva, comunque, l'intervenuta decadenza dell'Istituto Bancario nel procedere la recupero del credito nei confronti della comparente (...) per mancata o comunque tardiva attivazione ex art. 1957 c.c., nel termine di 6 mesi dalla scadenza della obbligazione, atteso che nessuna richiesta è stata inoltrata a seguito della richiesta di chiusura del conto intestato al sig. (...) in data 31.5.05. - Nel merito, poi, si contesta l'ingiunzione di pagamento tanto nell'an tanto nel quantum, non essendo dovuta la somma pretesa né in virtù del conto corrente aperto né in virtù degli affidamenti. Infatti, il rapporto nasce in data 08.01.80 con la (...) ed assume originariamente il n. 3281/3 e poi il n. 32813/3; successivamente l'istituto nel 1994 diviene (...) dei D.M.T. e, poi, nel 2003 (...) (...). - Si è in presenza di apertura di credito per elasticità di cassa, con la quale la Banca in questione concede un affidamento, le cui condizioni economiche sono state pattuite dalle parti, facendo rinvio a quelle praticate usualmente dalle banche sulla piazza. - In maniera strumentale, l'Istituto di credito ha depositato in giudizio - in sede monitoria - solo le copie degli estratti conto e dei riassunti scalari del periodo che va dal 30.09.91 al 04.11.05, non allegando anche tutta la documentazione intercorrente il periodo precedente, a partire dall'8.1.1980, periodo in cui sono a sua volta maturati ulteriori interessi anatocistici. - Nella vicenda in esame, poi, dalla parziale documentazione prodotta emerge che il finanziamento concesso mediante apertura di credito da utilizzare in conto corrente, con capitalizzazione trimestrale protratta per tutto il periodo in esame con 58 capitalizzazioni trimestrali, ha determinato un alto costo di finanziamento, dovuto soprattutto agli interessi che, nella maggior parte dei casi, violano la legge anti usura; - Inoltre, l'istituto bancario ha calcolato le competenze nei periodi di consistenza e non di scopertura, che, per tali periodi, sono relative ad anatocismo. - Inoltre, benché sia stata richiesta dagli odierni comparenti la cessazione del rapporto di conto corrente, con la consegna del certificato di morte dello (...) allo sportellista in data 31.05.05, l'Ente di prodigava a girare a sofferenza il debito in data 4.11.05 direttamente in capo agli eredi ben oltre 5 mesi dopo, pretendendo per tale periodo la somma di Euro 6.737,20 per interessi e competenze non spettanti agli eredi. - Infine, nulla è dovuto dalla odierna asserita creditrice per intervenuta prescrizione del diritto ex art. 2948 c.c., essendo spirato il termine previsto per poter agire ed ottenere il versamento delle somme asseritamente vantate a titolo di credito. Tanto premesso, gli odierni opponenti hanno chiesto a questo Tribunale di: a) Revocare il decreto ingiuntivo opposto in accoglimento dell'opposizione; b) Dichiarare l'incompetenza territoriale del Tribunale di Castrovillari, per essere competente il Tribunale di Rossano; c) Dichiarare la nullità o inefficacia dell'ingiunzione di pagamento, per mancata produzione o trascrizione della procura rilasciata dalla (...); d) Dichiarare la intervenuta decadenza ex art. 1957 c.c. del diritto della convenuta al recupero delle somme ingiunte in favore degli attori; e) Dichiarare la estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c. prestata dalla (...); f) Dichiarare nulla e, dunque, inefficace la somma ingiunta per la non dovutezza delle somme e/o inesistenza del credito e/o per intervenuta prescrizione del diritto; g) Condannare l'opposto al pagamento delle spese e dei compensi per il giudizio, con distrazione ex art. 93 c.p.c. in favore del procuratore anticipatario. Con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 06.03.13, si è costituita la (...) SCARL e, per essa, la (...) s.p.a. ed ha dedotto che: - L'eccezione di incompetenza territoriale è infondata, dal momento che non è stata formulata con riferimento a tutti i possibili fori alternativi; - Inoltre, la stessa non merita accoglimento, poiché, in relazione alle obbligazioni di pagamento delle somme di denaro, competente è il foro della sede del creditore, dunque il Tribunale di Castrovillari, nel cui circondario ha sede la banca opposta. L'eccezione è, altresì, infondata anche sotto il profilo della compatibilità con il Codice del Consumo. Invero, la linea di credito, il cui saldo è oggetto della pretesa azionata, è stata richiesta da M.S., titolare di impresa edile, per l'esercizio della propria attività professionale e, in tale qualità, gli veniva concessa. Pertanto, lo (...), di cui gli odierni opponenti sono eredi, ha agito nella sua qualità di imprenditore e non di semplice consumatore. - L'eccezione, relativa alla nullità per mancata trascrizione nelle copie del d.i. notificato della procura rilasciata dalla Banca, è infondata. Controparte, infatti, eccepisce la mancata comunicazione, nelle copie notificate, non già della procura ad litem, ma della procura notarile, con la quale il titolare del diritto ha nominato la propria procuratrice con rappresentanza. Invero, allegati al monitorio sono stati prodotti: l'atto notarile della (...) quale procuratrice con rappresentanza; l'atto notarile con cui la (...) conferisce poteri di rappresentanza e conferimento dei mandati ad litem al proprio direttore generale. In tal modo controparte è stata posta in grado di verificare agevolmente i poteri di coloro che hanno agito. - L'opponente (...) si riconosce garante, nel procedimento monitorio, per l'ammontare di Euro 75.000,00. Tuttavia, non si è in presenza di una fideiussione, ma di un contratto autonomo di garanzia. Infatti, la clausola "a semplice richiesta" caratterizza la garanzia come autonoma, facendo perdere il carattere di accessorietà della fideiussione. In ogni caso, ad essa è affiancata l'ulteriore clausola, che prevede l'operatività della garanzia, anche "nelle ipotesi in cui le obbligazioni garantite sono dichiarate invalide" ovvero "obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo", facendo venir meno qualsiasi rapporto di accessorietà tra la garanzia - autonoma - e il rapporto principale. Ma, pur volendo interpretare il contratto come costitutivo di una semplice clausola solve et repete, in ogni caso il beneficiario dovrà limitarsi alla richiesta di escussione al garante, senza neppure fornire la prova della sussistenza del diritto; quest'ultimo sarà tenuto a pagare, salvo procedere, in un secondo momento, alla ripetizione dell'indebito. Per l'effetto, la (...) deve, senza dubbio, pagare la somma di Euro 75.000,00, oltre accessori, quale garante degli eredi (...). - L'eccezione secondo cui l'istituto di credito sarebbe decaduto dal procedere al recupero nei confronti del garante, in applicazione dell'art. 1957 c.c., è infondata e deve essere rigettata. In primo luogo, si tratta di norma non applicabile al contratto autonomo di garanzia. In secondo luogo, il contratto sottoscritto dalla (...) prevede espressamente la deroga all'art. 1957 c.c. - Nel merito, tutte le eccezioni addotte a sostegno dell'opposizione sono infondate e non possono essere accolte. 1.In ordine al contratto, lo stesso è stato prodotto sin dalla fase monitoria. Lo stesso prevede un tasso ultralegale ben determinato, mentre manca la clausola uso piazza. 2.in relazione al discorso sulle valute, la Banca ha sempre ritenuto il giorno dell'incasso identico a quello della valuta; secondo le modalità pattuite, veniva differito di un giorno l'incasso/valuta se all'incasso andavano assegni emessi su conti correnti di altri istituti di credito. L'incasso titoli è un servizio supplementare che la Banca rende al cliente e che non ha nulla a che vedere con il contratto di conto corrente, come già previsto dall'art. 18 delle clausole dell'originario contratto. 3.Nè può ritenersi applicato l'illegittimo anatocismo. Con l'entrata in vigore della modifica dell'art. 120 TUB, la capitalizzazione degli interessi è effettuata con la medesima periodicità, secondo le modalità stabilite dal CIRC. Per l'effetto, il calcolo degli interessi è stato parametrato con periodicità paritaria, sia per il tasso creditorio sia per il tasso debitorio. 4.Si contesta anche la fondatezza della eccezione del superamento della soglia usura. Eccezione apodittica, resa in base ad una tabella che non è allegata. - Gli opponenti sostengono di aver semplicemente portato allo sportello il certificato di morte del proprio dante causa, chiedendo, così, la chiusura del conto. Ma la chiusura del conto corrente, involgendo una risoluzione contrattuale, deve essere posta in essere non con le asserite modalità descritte, bensì attraverso la forma scritta. Inoltre, la chiusura del conto corrente avrebbe determinato l'immediato sorgere dell'obbligo di immediato versamento della somma dovuta alla banca. Gli eredi, invece, non hanno chiesto alcuna chiusura del conto, procrastinando il più possibile il giorno del pagamento. - In ordine alla prescrizione, non si applica al credito azionato l'art. 2948 c.c., ma il più lungo termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2946 c.c.. Inoltre, il decreto ingiuntivo è stato richiesto in data 30.5.12, emesso in data 19.7.12, notificato in data 30.09.12, per interessi al tasso legale a partire dal 4.11.07, cioè ampiamente nel termine prescrizionale di 5 anni, stabilito questo e solo per questo per gli interessi. Tanto premesso, parte opposta ha concluso chiedendo al Tribunale adito: a. Rigettare l'opposizione proposta e, per l'effetto, integralmente confermare il decreto ingiuntivo opposto; b. In subordine, condannare tutti gli opponenti eredi di (...) e (...), quale garante obbligata in solido fino alla concorrenza di Euro 75.000,00, in favore della (...), al pagamento della somma complessiva di Euro 106.474,35, oltre interessi legali maturati e maturandi dal 4.11.07 e sino al soddisfo. c. Con vittoria di spese, diritti ed onorari come per legge. Concessi i termini 183 c. 6 c.p.c., depositate le relative memorie, il giudizio è stato interrotto alla udienza del 3.3.15, dal momento che, con atto del 15.10.14, è stata revocata l'autorizzazione alla attività bancaria all'Istituto di Credito originario opposto e lo stesso è stato posto in liquidazione coatta amministrativa. Tempestivamente riassunto il giudizio, si è costituito il Fondo G.D., quale successore nel credito, senza che sia sorta alcuna tempestiva contestazione al riguardo. La causa è stata istruita attraverso una consulenza tecnica d'ufficio. Depositata la relazione peritale, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza del giorno 08.02.22, le parti hanno precisato le conclusioni come in atti. Vale subito rilevare che, in quella sede, le istanze istruttorie formulate e rigettate dal giudice istruttore non sono state reiterate in modo specifico; per l'effetto, devono ritenersi abbandonate (cfr. Cass. Civ. 19352 del 3.8.17 e, in maniera ancora più precisa, Cass. Civ. 10748 del 27.6.12). 2. In rito. 2.1.L'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dagli opponenti è infondata e non può essere accolta. È assorbente il rilievo per cui, alla luce della soppressione del Tribunale di Rossano e del trasferimento delle competenze al Tribunale di Castrovillari, l'eccezione è priva di rilievo. La sopravvenuta competenza, per effetto di ius superveniens, del Tribunale di Castrovillari svolge effetti sananti in ordine alla sua originaria incompetenza, la quale non è più idonea ad inficiare la pronuncia emessa da detto tribunale (v. con ragionamento che può essere esteso anche al caso in esame, Cass. civ. n. 19136 del 2005). 2.2. Altresì infondata la sollevata eccezione relativa alla nullità della ingiunzione per mancata trascrizione, nelle copie notificate ai comparenti, della procura rilasciata dalla (...) alla società convenuta, solo richiamata e non riprodotta ed allegata. Invero, si nota agevolmente che, oltre ad essere dettagliatamente elencati nel ricorso introduttivo, sono stati prodotti - sin dal deposito del ricorso in sede monitoria - la procura alle liti, la procura speciale del 7.4.05 con cui la (...) ha conferito mandato con rappresentanza alla (...) relativamente al credito oggetto del presente giudizio nonché la procura generale del 14.3.11, con cui (...) è stato designato procuratore generale della (...). Per l'effetto è stato assolto l'onere prescritto dall'art. 77 c.p.c., che richiede esclusivamente la forma scritta per il conferimento del potere di rappresentanza (anche) processuale, non anche la trascrizione nella copia notificata agli odierni opponenti. Del resto, per pacifica giurisprudenza, prima o in assenza di contestazione, il rappresentante non ha neppure l'onere di produrre l'atto di conferimento del potere (cfr. Cass. Civ. n. 3867 del 2001); inoltre, colui che abbia ricevuto un mandato con rappresentanza, al fine di riscuotere un credito vantato dal mandante verso terzi, è legittimato a richiedere un decreto ingiuntivo, senza che possa rilevare neppure che non abbia speso il nome del mandante, quando non possa esistere alcun ragionevole dubbio - come nel caso di specie - circa l'identità tra il credito azionato e quello la cui riscossione forma oggetto del mandato (cfr. Cass. Civ. n. 19344 del 2017). Prive di rilievo le pronunce citate a sostegno dalle parti opponenti, dal momento che entrambe concernono la procura alle liti e la seconda fa esplicito riferimento all'atto di precetto. Nel caso di specie, invece, la questione della procura alle liti neppure viene in discussione, dal momento che la stessa, nel pieno rispetto dell'art. 83 c.p.c., è stata posta a margine del ricorso monitorio ritualmente notificato insieme al decreto. 3. Eccezioni preliminari. 3.1. Infondata l'eccezione preliminare relativa decadenza dell'istituto bancario nel procedere al recupero della pretesa creditoria nei confronti di (...) per mancata o tardiva attivazione dell'Istituto Bancario ex art. 1957 c.c. nel termine di 6 mesi dalla scadenza della obbligazione. Infatti, indipendentemente dalla qualifica della garanzia prestata dalla (...) come fideiussione o contratto autonomo di garanzia, nell'atto del 17.7.03 (ma le medesime condizioni già risultavano previste dall'originario contratto) è espressamente previsto che il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla Banca, a semplice richiesta scritta, quanto dovuto per capitale, interessi, spese, tasse e altri accessori. Ma, soprattutto, che il fideiussore rinuncia ai termini di cui all'art. 1957 c.c. La decadenza del creditore dal diritto di pretendere l'adempimento dell'obbligazione fideiussoria, sancita dall'art. 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti, che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l'assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore (Cass. Civ. n. 28943 del 2017; Cass. Civ. n. 21867 del 2013). 3.2. Altresì infondata la eccezione di prescrizione sollevata dalle parti opponenti. La pretesa creditoria azionata concerne, infatti, un contratto di conto corrente; per l'effetto, la prescrizione da applicarsi è esclusivamente l'ordinaria prescrizione decennale in materia contrattuale. Non può ritenersi applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., alla luce della natura del conto corrente bancario, il quale rappresenta un unico contratto di durata, in cui l'obbligazione - anche quella concernente gli interessi - non riveste il connotato della periodicità, non comportando il saldo a chiusura di ogni trimestre il frazionamento del debito in distinti rapporti obbligatori, trattandosi di obbligazioni unitarie. 4. Premessa sull'onere della prova nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura come giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario nel quale incombe, secondo i principi generali in tema di onere della prova, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa (v. tra le tante Cass. civ., n. 17371 del 2003). Quanto all'estratto di saldaconto ex art. 50 T.U. bancario essa è titolo idoneo per l'emissione di un decreto ingiuntivo in favore dell'istituto di credito, ma nell'eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova dell'esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall'opposto, assumendo in tale giudizio valore solo indiziario (v. Cass. civ., n. 14357 del 2019). Pertanto, la banca, assumendo la veste di attore in senso sostanziale, deve fornire la prova del credito, con la produzione del contratto e degli estratti conto, che espongono movimenti, interessi applicati, commissioni e spese addebitate. La approvazione delle operazioni annotate negli estratti conto - che può determinarsi anche in sede giudiziale, giacché la produzione costituisce essa stessa trasmissione (cfr. Cass. Civ. n. 17242 del 2006) - riguarda gli accrediti ed addebiti considerati nella loro realtà fattuale, rappresentando la verità contabile, storica e fattuale delle operazioni annotate. In assenza di contestazioni specifiche dirette alla contestazione delle singole operazioni, deve ritenersi che il conto abbia avuto lo svolgimento indicato nei predetti documenti. Sul punto non vi è dubbio che l'onere è stato in parte assolto dall'istituto di credito originario opposto, producendo in giudizio sia il contratto di apertura di credito, sia la garanzia, sia la serie continua degli estratti conto, non già dall'apertura del conto corrente, ma dal 30.09.98 al 04.11.05, data in cui è stato chiuso il rapporto contrattuale. 5. Nel merito. L'opposizione è parzialmente fondata e deve essere accolta nei limiti di seguito indicati. 5.1.Gli oneri probatori e le allegazioni delle parti. Come anticipato, è stata proposta opposizione al decreto ingiuntivo emesso in sede monitoria dagli eredi del correntista, nonché dal garante comunque coobbligato. Si pone il problema della prova del credito a fronte dell'eventuale contestazione in ordine alle singole partite scritturate. La giurisprudenza di legittimità pare ormai definitivamente consolidata nel ritenere che, essendo la banca attrice sostanziale, a fronte delle contestazioni di nullità di talune clausole negoziali da parte dell'opponente, è la medesima opposta a dover dimostrare il credito vantato in sede monitoria. Non essendo stata prodotta tutta la serie continua e completa di estratti conto a partire dall'inizio del rapporto sino alla sua chiusura, occorre interrogarsi in ordine alle conseguenze, in tema di corretto assolvimento dell'onere della prova, nella eventualità in cui sia stata prodotta una serie di estratti non completa, ma continua in relazione all'arco temporale di riferimento (nel caso di specie 1998-2005). Secondo l'interpretazione che pare preferibile nel caso di specie, ove sia la banca ad agire per il pagamento, si deve partire dal saldo del primo estratto conto disponibile, se a credito per il cliente; nel caso, invece, il primo estratto conto disponibile sia a debito per il cliente, occorrere ripartire dal saldo zero. Questa tesi risulta recepita dalla Suprema Corte nella sentenza n. 1842 del 2011, la quale, in un caso in cui mancavano i primi estratti conto e non era stata ammessa CTU, rileva che l'assenza dei detti documenti "non è astrattamente preclusiva rispetto alla possibilità di un'indagine concernente il periodo successivo, potendo questa attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante (quale, a titolo esemplificativo, quella di un calcolo che preveda l'inesistenza di un saldo debitore alla data dell'estratto conto iniziale". In particolare, la pronuncia in esame afferma che se ad agire è la banca, essa ha l'onere di produrre tutti gli estratti conto del rapporto dall'origine alla conclusione e, se effettua una produzione parziale, il primo saldo documentato deve essere azzerato, non avendo la banca adempiuto al proprio onere di documentare i rapporti precedenti. Sicché, seguendo il suindicato orientamento, la produzione degli estratti conto solo in misura parziale non condurrebbe tout court al rigetto della domanda, ma ad un ricalcolo da effettuarsi solo sulla base della sequenza di movimentazioni documentate (orientamento che risulta confermato anche in Cass. Civ. n. 13528 del 2017 e in Cass. Civ. n. 4567 del 2017). L'orientamento pare quello preferibile da applicare al caso di specie, alla luce della condotta anche processuale delle parti opponenti, convenute in senso sostanziale. Le stesse, infatti, si dolgono della mancata produzione di tutte le movimentazioni sin dall'inizio del rapporto, ma non spiegano alcuna domanda riconvenzionale; in secondo luogo, non specificano, neppure in maniera evocativa, le ragioni che avrebbero determinato l'insorgere di un credito in favore del correntista; in terzo luogo, non indicano in maniera precisa né l'esatto ammontare dell'asserito credito né le operazioni o le clausole contrattuali che avrebbero determinato un indebito in favore dell'istituto di credito. Inoltre, neppure dal documento contrattuale depositato relativo all'apertura di credito emergono elementi idonei a supportare le tesi degli opponenti, dal momento che gli interessi sono specificamente pattuiti e la pari periodicità nella capitalizzazione degli interessi non determina automaticamente (e alla luce delle carenze assertive e probatorie delle parti opponenti) un credito in favore del correntista. Infine, non può non rilevarsi come, al fine di sostenere le proprie deduzioni assertive, le parti opponenti non si siano tempestivamente attivate per ottenere dall'istituto di credito tutta la documentazione necessaria per gli accertamenti richiesti e di non aver ottenuto fattivo riscontro ex art. 119 c. 4 T.U.B. (cfr. in maniera precisa Cass. Civ. n. 2464 del 2021, secondo cui se il cliente non ha effettuato la preventiva richiesta, inadempiuta, non vi sono margini per l'ordine di esibizione di cui all'articolo 210 c.p.c. e che una diversa soluzione, importerebbe che sarebbe sempre "la banca a dover offrire, in giudizio, il supporto probatorio della domanda attrice, il che scardina le regole del riparto degli oneri probatori siccome definite dalla fondamentale disposizione dettata dall'articolo 2697 c.c. "). Tanto premesso, parte creditrice ha depositato, unitamente alla comparsa di costituzione e risposta, i documenti contrattuali relativi sia all'apertura di credito in conto corrente e ai fidi sia la serie di estratti conto continua dal 30.09.08 al 4.11.05, data di chiusura del rapporto. Per le ragioni esposte, dal momento che il primo saldo disponibile reca un debito del cliente ed attrice in senso sostanziale è l'istituto di credito, è opportuno procedere alla analisi delle operazioni e al ricalcolo del saldo, partendo dal c.d. saldo zero. 5.2. Le deduzioni e le contestazioni delle parti. È opportuno premettere che il correntista (o, nel caso di specie, i suoi eredi) che formuli opposizione al decreto ingiuntivo deducendo l'invalidità delle clausole e chiedendo la ripetizione delle somme indebitamente versate dalla banca a titolo di interessi anatocistici e/o ultralegali ovvero per contestare il superamento dei tassi soglia o, ancora, per contestare la distorta applicazione della commissione di massimo scoperto deve allegare - oltre che provare - in modo specifico le contestazioni sollevate. Le contestazioni che sostengono l'eccezione, infatti, sotto il profilo assertivo, devono vertere su specifiche poste passive del conto corrente, individuando quali siano i periodi e quali siano gli importi rispetto ai quali vi sia stata l'applicazione di interessi anatocistici, usurari, ultrale gali o di poste ritenute indebite. In sostanza, il correntista ha l'onere di specificare le clausola contrattuali di cui si invoca la nullità (quali e in che termini le stesse possano essere considerate illegittime), deve indicare in modo specifico le voci contestate (per quali ragioni e in riferimento a quali periodi), non potendosi limitare ad apodittiche obiezioni sulla illegittimità dei tassi applicati o sugli indebiti versamenti, ma muovendo censure mirate e circostanziate sulle dinamiche regolatorie del rapporto, individuando i patti e le clausole lesive di norme imperative, specificando le voci passive falsate e le ricadute differenziali che simili meccanismi avrebbero sortito anche sul saldo esigibile. 5.3. Le censure relative alla usurarietà del tasso applicato. Alla luce delle considerazioni espresse, deve essere disattesa l'eccezione formulata dalle parti opponenti in ordine alla usurarietà dei tassi di interesse applicati. È principio pacifico - idoneo a coordinare il rilievo officioso della nullità di talune clausole negoziali ex art. 1421 c.c. con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c. - che la parte che deduce la violazione di tale divieto e l'applicazione di tassi superiori a quelli previsti dalla L. n. 108 del 1996 ha l'onere di dedurre in modo specifico l'avvenuto superamento del tasso soglia rilevante per quelle determinate operazioni, che si desume dai decreti ministeriali e dalle rilevazioni della (...), perché la verifica deve essere condotta nei limiti della contestazione sollevata dalla parte, che deve essere fondata su criteri corretti in diritto e deve essere specifica. La contestazione non può essere generica o fondata su criteri errati in diritto. Proprio in relazione alla doglianza relativa all' applicazione di interessi usurari, si ritiene che occorre indicare espressamente la clausola negoziale che si assume invalida, il tasso concordato, nonché quello che si ritiene sia stato effettivamente praticato, unitamente ai criteri di determinazione dello stesso, la misura del t.e.g.m., l'esatto periodo di superamento del tasso soglia e nonché la specifica contestazione relativa alla dedotta usura. Infine, occorre indicare con conteggi chiari e verificabili le somme che si assumono illegittimamente percepite dalla banca in applicazione degli interessi ritenuti usurari (cfr. sulla ripartizione dell'onere probatorio, da ultimo, le S.U. n. 19597 del 2020). Sotto tale profilo, l'eccezione proposta è carente già sotto il profilo assertivo, dal momento che le parti opponenti né indicano la clausola negoziale asseritamente usuraria, né individuano il contratto - tra i vari rapporti dedotti - all'interno della quale è contenuta la clausola usuraria né precisano il tasso concordato e quello soglia relativo ai trimestri di riferimento. Sotto tale profilo, allora, non potranno essere presi in considerazione i rilievi del Consulente nella perizia depositata, dal momento che la stessa, in tale parte, si presenta meramente esplorativa. Infatti, la CTU non è un mezzo istruttorio in senso proprio ed è, quindi, legittimamente negata dal giudice, qualora la parte tenda a supplire alla inadeguatezza delle proprie allegazioni ovvero sia diretta a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. "La consulenza tecnica d'ufficio presuppone che siano stati addotti dalla parte interessata concreti e specifici elementi a fondamento della propria domanda per cui non può essere utilizzata per compiere indagini esplorative dirette all'accertamento di circostanze e fatti la cui dimostrazione rientri, invece, nell'onere probatorio della parte stessa e per supplire alla carenza delle proprie allegazioni" (cfr., ex plurimis, Cass. Civ. n. 3343 del 2001; Cass. Civ. n. 17555 del 2002; Cass. Civ. n. 21412 del 2006; Cass. Civ. n. 10182 del 2007). Il principio è confermato, peraltro, dalla recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. 3086 del 2022) che ribadisce il divieto della cd. "consulenza meramente esplorativa", non potendo disporsi la consulenza tecnica, al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume o, più esattamente, quando la parte tenda per suo tramite a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o a compiere un'indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati. Né potendo, infatti, il Consulente estendere il raggio delle proprie investigazioni ai cd. "fatti avventizi" ovvero ai fatti costitutivi della domanda e, di contro, ai fatti modificativi o estintivi di essa che non abbiano formato oggetto dell'attività deduttiva delle parti. Il limite della domanda, in ossequio al principio dispositivo che alla base dell'ordinamento processuale vigente, costituisce, infatti, un vincolo insormontabile anche per il giudice che non può infrangere il principio ne procedat iudex ex officio e deve attenersi al comando secondo cui iudex iudicare debet iuxta alligata partium; e di, riflesso, anche per il consulente dal medesimo nominato. Nel caso di specie, trattandosi di fatti estintivi impeditivi o modificativi a sostegno delle eccezioni delle parti opponenti, gli stessi avrebbero dovuto essere dedotti, sotto il profilo assertivo, ed allegati, sotto il profilo probatorio, dalla parte in maniera specifica. Le considerazioni esposte consentono di ritenere assorbito il profilo probatorio, relativo alla mancata produzione dei decreti ministeriali previsti dalla L. n. 108 del 1996 da parte degli opponenti, che non consentirebbero di verificare il tasso soglia alla data di sottoscrizione dell'atto. Invero, le parti opponenti non hanno prodotto i decreti ministeriali ricognitivi dei tassi soglia applicabili ratione temporis al momento genetico del rapporto. E si rammenta che "la rilevazione del tasso viene stabilita, periodicamente, con un decreto del Ministero del Tesoro che, evidentemente, ha natura di provvedimento amministrativo e per questo non può rispetto ad esso trovare applicazione il principio iura novit curia, stabilito dall'art. 113 del codice di procedura civile, poiché tale norma deve essere letta e applicata con riferimento all'art. 1 delle disposizioni preliminari del codice civile, che contiene l'indicazione delle fonti del diritto, non comprendenti gli atti amministrativi" (cfr. Cass. Civ. 8742 del 2001). È, quindi, principio ampiamente acquisito nella giurisprudenza anche di legittimità quello per il quale la parte che contesti il superamento dei tassi soglia ha l'onere non solo di indicare in modo specifico in che termini sarebbe avvenuto tale superamento ma anche e comunque di produrre i decreti e aventi per oggetto i tassi soglia. E la produzione dei decreti ministeriali, di cui è onerata l'odierna parte opponente, "non è suscettibile di equipollenti" (cfr. Cass. Civ. 15065 del 2014). Ma, come detto, il profilo è assorbito dal precedente rilievo. Pertanto, l'infondatezza della eccezione relativa all'usurarietà dei tassi debitori, relativamente al rapporto negoziale oggetto del giudizio, importa l'applicazione dei tassi debitori contrattualmente previsti per tutto l'arco temporale di riferimento, secondo l'accertamento compiuto dal Consulente, che, quindi, non deve essere depurato della somma di Euro 173,93. Né rilevano le considerazioni espresse erroneamente dal Consulente in ordine alla usura sopravvenuta. Infatti, non è neppure ipotizzabile la c.d. usura sopravvenuta (sforamento dei tassi in un momento successivo alla stipula) e ciò perché per la valutazione del carattere usurario degli interessi, la legge stessa impone di guardare al momento genetico dell'atto, in cui gli stessi sono stati "promessi o comunque convenuti". In altri termini, la valutazione del carattere usurario degli interessi deve essere compiuta con esclusivo riferimento al momento della conclusione del contratto, senza riconoscere alcun rilievo alle modifiche normative successivamente intervenute o ai successivi d.m. (cfr. Cass. civ. 27 settembre 2013, n. 22204; Cass. civ. 19 gennaio 2016, n. 801) Il tema, ovviamente, è stato oggetto di esame da parte delle Sezioni Unite, le quali si sono pronunciate nel senso della non configurabilità, nel nostro ordinamento, dell'usura sopravvenuta (v. Cass. S.U. 19 ottobre 2017, n. 24675). Orbene, non vi è dubbio che l'usura sopravvenuta non sia configurabile nel nostro ordinamento anche in relazione a contratti bancari diversi da quello di mutuo. Si tratta di un raffronto (tasso contrattualmente stabilito - tasso soglia) che prende in considerazione l'atto, come in ogni ipotesi di nullità, non il rapporto. Ciò non osta a che, nel corso del rapporto, venga modificato il tasso di interesse ex art. 118 T.U.B. ovvero sia statuita una nuova pattuizione; in tal caso il raffronto con il tasso soglia vigente al momento della modifica contrattuale sarà determinata ancora una volta in relazione al tempo del "nuovo" accordo, ma rivisto sempre sub specie acti. Quanto, poi, alla commissione di massimo scoperto, si rileva, in primo luogo, che alcuna censura specifica è stata formulata dalle parti opponenti. In ogni caso, il Consulente ha accertato la precisa corrispondenza, nella applicazione della commissione, dei tassi soglia espressamente previsti per tale clausola, conformemente all'orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. n. 16303 del 2018) secondo cui -per il periodo compreso tra l'entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 ed il 31.12.2009- la base di calcolo da confrontare con il tasso soglia va determinata effettuando la separata comparazione del tasso effettivo globale d'interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata rispettivamente con il tasso soglia e con "la CMS soglia", calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della L. n. 108 del 1996, compensandosi, poi, l'importo dell'eventuale eccedenza della CMS rientrante nella soglia, con il "margine" degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Sicché, correttamente, il Consulente, al fine della verifica della usurarietà dei tassi applicati, non ha previsto la sommatoria tout court della commissione di massimo scoperto con tutti i restanti interessi praticati dalla Banca, bensì una separata comparazione del tasso effettivo globale con il tasso soglia e della cms effettiva con la "cms soglia". Nulla sotto tale profilo è emerso in ordine alla illegittimità neppure invero dedotta dalle parti opponenti. 5.4. Le censure relative alla violazione dell'art. 1284 c.c. Non può essere accolta l'opposizione relativamente alla asserita violazione dell'art. 1284 c.c., dal momento che, conformemente al predetto articolo, trattandosi di contratto stipulato prima della entrata in vigore dell'art. 117 T.u.b., i tassi di interesse sono specificamente individuati e determinati per iscritto nel documento contrattuale del 1985, senza alcun riferimento al c.d. uso piazza. 5.5. L'anatocismo. a. Quanto al lamentato anatocismo, si osserva, in linea generale, che punto di partenza è l'art. 1283 c.c., in base al quale, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi. Il problema si pone nell'ambito dei rapporti di conto corrente bancario, nei quali (come previsto già dalle Norme bancarie uniformi) i rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto, oltre agli interessi ed alle commissioni, anche le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento. Gli interessi debitori, quindi, vengono scritti in conto e diventano una delle componenti della voce competenze. In questo modo essi concorrono a formare il primo saldo per valuta del trimestre successivo, sul quale si calcolano nuovi interessi. Ne deriva che, in questo modo, si calcolano interessi su interessi scaduti, realizzandosi così l'anatocismo. Nel caso di specie, il contratto in lite è stato stipulato in epoca antecedente alla Del.CICR del 9 febbraio 2000. Sul punto è sufficiente ricordare che la richiamata delibera, nel regolare la capitalizzazione degli interessi maturati (attivi o passivi) sui saldi di c/c bancario, ne sancisce la legittimità a condizione che sia prevista la stessa periodicità ai fini dei regolamenti di conto e del passaggio a capitale degli interessi maturati, quale principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto. Per lungo tempo, la giurisprudenza ha ritenuto legittima la pratica degli Istituti di credito di capitalizzare gli interessi, equiparandola ad un uso normativo. Tuttavia, tale orientamento è stato modificato a partire dal 1999, quando la Corte di cassazione ha ritenuto nulle le clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, bensì su un mero uso negoziale. Il contratto di apertura di credito in conto corrente in esame contiene, all'art. 7 delle condizioni generali di contratto, una clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi ed attivi. Tale clausola è nulla in quanto si basa su di un uso negoziale (art. 1340 c.c.) e non su di un uso normativo favorevole, così ponendosi in contrasto con le limitazioni fissate in materia di anatocismo dall'art. 1283 c.c., secondo l'interpretazione ormai consolidata, alla luce della disciplina ratione temporis applicabile (cfr. Cass. Civ. sent, n. 2374del 1999; Cass. Civ. sent. n. 3096 del 1999; Cass. Civ. sent. n. 12507 del 1999). L'art. 1283 c.c., come sopra precisato, ammette l'anatocismo a determinate condizioni ed in particolare in presenza di veri e propri usi normativi (artt. 1 e 8 disp. sulla legge in generale) e non di semplici usi negoziali (art. 1340 c.c) o interpretativi (art. 1368 c.c.). Non hanno natura normativa, ma negoziale, le norme bancarie uniformi predisposte dall'associazione di categoria, trattandosi di condizioni generali di contratto; esse, infatti, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, difettano dei presupposti della consuetudine, intesa quale fonte del diritto, in particolare laddove prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a carico del cliente nei suoi rapporti con la banca. E', quindi, intervenuto il legislatore con l'art. 120 t.u.b., al 2 co., aggiunto dal D.Lgs. n. 342 del 1999, così disponendo: "Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". Il 2 co. dell'art. 2 della cit. delib. CICR, a sua volta, dispone: "Nell'ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori". Inoltre, la sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, che aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza. Di conseguenza, tali clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283 c.c., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo. Per l'effetto, la clausola la clausola anatocistica si ha per non apposta senza che venga privato di efficacia l'intero contratto. Inoltre, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrali di interessi passivi, gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 c.c. osterebbe anche ad una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza (cfr. Cass. Civ. S.U. n. 24418 del 02.12.10). Invece, nel periodo successivo al 2000 - alla luce delle espresse disposizioni della delibera Circ - non può ritenersi che la capitalizzazione degli interessi passivi sia illegittima tout court, ma è legittima se applicata con la medesima periodicità. Orbene, come accennato, il contratto è antecedente alla delibera, ma il rapporto negoziale è perdurato in epoca successiva, continuando ad operare, nei limiti dell'accertamento di questo Tribunale, anche per il periodo successivo e, in particolare, almeno fino al 4.11.05. b. Ritenuta l'invalidità delle clausole anatocistiche pregresse (ante 30.6.2000, che è la data fissata a fare da spartiacque nella Del.CICR del 9 febbraio 2000), si pone il problema se possa ritenersi sufficiente, per la legittimità dell'anatocismo successivamente applicato dalla banca, che quest'ultima si sia concretamente adeguata con la pubblicazione nella gazzetta ufficiale dell'avviso e con l'indicazione del nuovo meccanismo di computo negli estratti conto o se, invece, sia necessaria una specifica nuova pattuizione fra la banca e il cliente in termini di pari periodicità. Sotto tale profilo, si evidenzia, in primo luogo, che le eccezioni in ordine alla capitalizzazione post 2000 degli interessi sono state formulate dagli opponenti in maniera specifica solo tardivamente. Dapprima in sede di osservazioni alla Consulenza tecnica d'ufficio e, successivamente, con le memorie ex art. 190 c.p.c.. In secondo luogo, si osserva che il legislatore ha reso legittimo l'anatocismo bancario attraverso la modifica dell'art. 120 del T.U.B., attuata con l'entrata in vigore del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, il cui art. 25, comma 2 ha previsto, a cura del CICR, l'attuazione delle modalità e dei criteri per l'anatocismo bancario disponendo che, nelle operazioni in conto corrente, fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori. Per i contratti in corso, il medesimo art. 25, comma 3, ha previsto la validità delle clausole anteriori e l'adeguamento secondo le modalità e i tempi dell'emananda delibera CICR. Una volta emanata, la Del.CICR del 9 febbraio 2000 ha previsto l'obbligo, per i nuovi contratti, della "stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori" (art. 2, comma secondo) con onere di forma scritta a pena di nullità. Per i contratti anteriori, ha previsto un duplice criterio di adeguamento, statuendo che: - (art. 7 comma 2): "qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000". - (art. 7 comma 3): "nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela". Ad avviso del Tribunale, pur a conoscenza dei diversi orientamenti emersi in giurisprudenza, l'istituto di credito si è correttamente adeguato alla Delibera Circ, attraverso la pubblicazione in Gazzetta delle modifiche contrattuali nonché attraverso l'invio in calce agli estratti conto di tutte le condizioni contrattuali del rapporto contrattuale vigenti. Infatti, la pronunzia dichiarativa della illegittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 25 non ha inciso sul potere di regolamentare l'adeguamento dei vecchi contratti con la nuova disciplina, con la conseguenza che la disciplina transitoria di cui all'art. 7 non è direttamente travolta da quella pronunzia. In assenza di una corrispondenza biunivoca tra sanatoria delle disposizioni precedenti e potere regolamentare concernente l'adeguamento di quelle disposizioni, deve ritenersi che il riferimento, contenuto nel più volte menzionato art. 7, alle "condizioni precedentemente applicate" vada compiuto, indipendentemente dalla validità ed efficacia delle medesime condizioni (intese come pattuizioni), alla sola concreta applicazione che esse hanno avuto nell'ambito del rapporto negoziale esistente tra le parti. Sotto questo profilo, infatti, la proposizione normativa che conferisce al CICR il potere regolamentare risulta autonoma rispetto alla (diversa) proposizione che sanava la validità delle clausole contenute nei contratti precedenti. La dichiarazione di illegittimità costituzionale di quest'ultima non può, in assenza di chiare indicazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale, giungere fino a rendere completamente inapplicabile la prima. Dovendo il giudizio comparativo essere operato tra il precedente regime di fatto applicato costituito da una capitalizzazione (tendenzialmente solo annuale) degli interessi a credito e, invece, una capitalizzazione (in linea generale trimestrale) per quelli a debito e quello successivo costituito da un regime di pari periodicità trimestrale per entrambe le parti, la situazione successiva non è affatto peggiorativa rispetto alle condizioni precedentemente applicate. Ne deriva che ben poteva l'istituto di credito adeguarsi alla nuova normativa mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e mediante informazione per iscritto alla clientela alla prima occasione utile. Le ragioni sopra esposte, in generale, trovano applicazione nel caso di specie a maggior ragione, dal momento che l'Istituto di credito, sin dal momento della conclusione del contratto, ha adottato una pari periodicità nella capitalizzazione di interessi attivi e passivi. Non vi è, allora, ragione di ritenere che l'adeguamento sia stato più sfavorevole per il cliente. Secondo l'orientamento del Tribunale, dunque, deve concludersi che la Banca convenuta si sia correttamente adeguata alle prescrizioni di cui all'art. 7, secondo comma, della Del.CICR 9 febbraio 2000. Per l'effetto, in sede di esatta determinazione dei rapporti credito - debito, epurati dalla applicazione indebita di pattuizioni illegittime, è stata espunta dal calcolo qualsiasi capitalizzazione degli interessi in relazione al periodo di tempo anteriore alla delibera Circ ed è stata, invece, calcolata con pari periodicità in relazione agli interessi diversi. 5.6. Ulteriori censure sollevate dagli opponenti. Le contestazioni sulla applicazione asseritamente ingiustificata di addebiti per spese e valute sono talmente generiche che la parte non indica neppure a titolo esemplificativo in quali momenti e per quali operazioni la parte avrebbe lucrato con l'antergazione e/o la postergazione delle valute o con l'addebito si spese non pattuite. Si tratta, peraltro, di fatti che non sono emersi all'esito dell'espletamento della Consulenza Tecnica d'ufficio. Nella rideterminazione del dare e avere tra le parti il CTU ha, infatti, utilizzato quale data valuta sia per l'accredito che per l'addebito, come richiesto dai quesiti, la data in cui le operazioni sono state effettuate risultante dall'estratto conto. Allo stesso modo, del tutto infondata l'eccezione proposta relativa al fatto che il certificato di morte sia stato consegnato all'Istituto di Credito in data 31.5.05, ma il debito sarebbe stato girato a sofferenza solo in data 4.11.05, con ulteriore aggravio di interessi e competenze. Assorbente il rilievo per cui non vi è alcuna prova né della consegna del certificato di morte, né che gli eredi avrebbero inteso provvedere ad estinguere l'obbligazione e ciò sia stato impedito da un comportamento ostativo della Banca. 6. Gli esiti della Consulenza. In applicazione di tutto quanto sopra esposto in diritto, si può notare come il Consulente ha esattamente determinato l'ammontare del saldo inerente ai rapporti bancari oggetto del presente giudizio. In applicazione di quanto sopra esposto in relazione agli oneri di allegazione e prova delle parti, è stato azzerato il saldo iniziale dell'estratto conto del IV trimestre del 1998 (primo disponibile) in quanto saldo a debito per il correntista per L. 25.873.290. Inoltre, attuando quanto sopra espresso in maniera di anatocismo, correttamente il Consulente ha proceduto a ricalcolare il dare - avere tra le parti senza capitalizzazione alcuna degli interessi e della CMS fino al 30/06/2000 e, successivamente, con capitalizzazione trimestrale e semestrale, alla luce delle pubblicazioni sulla Gazzetta ufficiale in atti e, quindi, semestralmente dall'1.7.2000 al 31.12.2001 e, successivamente, trimestralmente. Ovviamente, come emerge dall'esame dell'elaborato peritale, gli interessi e la c.s.m., unitamente alle spese, pur non capitalizzati per il periodo anteriore al 30.06.2000, sono stati, comunque, opportunamente calcolati, concorrendo a formare il saldo debitorio. Il c.t.u. con la perizia depositata ha sterilizzato l'anatocismo illegittimo, quantificando le singole poste indebite (si richiama l'analisi condotta nell'elaborato peritale, unitamente alle tabelle allegate, che appaiono complete ed immuni da vizi tecnico-valutativi) e stornando altresì i maggiori costi riconducibili a clausole nulle inosservanti le prescrizioni di legge. Si impone la rimodulazione del rapporto previo storno delle poste indebite. Effettuato il ricalcolo, la somma che gli opponenti sono tenuti a pagare alla banca è risultata essere pari ad Euro 71.841,80 (saldo finale al 4.11.05). Per l'estrema irrilevanza dell'ammontare della somma, che non merita approfondimento giuridico, da tale importo dovrà essere detratta la ritenuta fiscale già operata sugli interessi attivi, pari ad Euro 46,71. In considerazione, invece, della inconsistenza della eccezione di usurarietà (nonché della erroneità del quesito posto al Consulente), alla somma sopra risultante deve essere aggiunto l'importo pari a Euro 173,93, erroneamente epurato, in quanto asseritamente usurario. Salve le precisazioni opportune, il Tribunale condivide in appieno le considerazioni svolte e le conclusioni raggiunte dal C.T.U. in quanto motivate in modo logico, scientifico ed analitico e fondate sulle indagini espletate e sulla documentazione allegata. Del resto alcuna contestazione di carattere tecnico è stata sollevata dalle parti. Non pare inopportuno ricordare che il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia - come nel caso di specie - tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte che, seppur non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le conclusioni tratte. In tal caso, le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall'art. 360, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. civ. n. 1815 del 2015; Cass. civ. n. 282 del 2009; Cass. civ. n. 8355 del 2007). In ogni caso, le osservazioni dell'avv. Zagarese attengono a profili di merito, già analizzati in parte motiva, in cui è emerso l'orientamento del Tribunale sia in ordine alla prova del credito, sia in ordine all'anatocismo e alla usura. Quanto alle osservazioni del consulente tecnico della Banca, allo stesso modo, si rileva che le stesse sono state recepite dal Tribunale. In conclusione, gli odierni opponenti devono essere condannati - ciascuno in proporzione alle proprie quote ereditarie ex art. 754 c.c., alla luce della domanda originaria formulata con il ricorso monitorio e in virtù del principio nomina et debita hereditaria ipso iure dividuntur - a pagare l'importo di Euro 71.969,02, oltre interessi, al tasso contrattualmente previsto, dal 4.11.07 (come richiesto con domanda monitoria) sino all'effettivo soddisfo. 7. Il limite della fideiussione. Come sopra esposto, è documentato in atti che la (...) ha prestato una garanzia omnibus, garantendo l'inadempimento del correntista per tutto quanto dovuto dal debitore per capitale, interessi ed ogni altro accessorio (cfr. lettera fideiussione in atti), per un importo massimo di Euro 75.000,00. Secondo l'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione (v. Cass. Civ. n. 3805 del 2004), cui il Tribunale intende aderire, è opportuno un collegamento sistematico tra l'art. 1938 c.c., che impone la previsione di un importo massimo ai fini della determinatezza dell'oggetto, e l'art. 1942 c.c.. Deve, pertanto, escludersi che l'assenza di un limite per i soli accessori del debito principale comporti l'effetto della caducazione della garanzia, poiché la sua estensione agli accessori del debito è appunto stabilita dalla legge e la funzione di tutela del fideiussore sottesa all'art. 1938 c.c. è pienamente realizzata dalla fissazione del limite della garanzia, costituente il tetto massimo della possibile esposizione del fideiussore. Per cui tutte le volte che la garanzia fideiussoria per obbligazioni condizionali o future (come la cosiddetta fideiussione omnibus) sia prestata con l'indicazione dell'importo massimo garantito riferito al solo capitale, "oltre accessori e spese", l'importo predetto va inteso come limite della fideiussione per capitale, interessi ed ogni altro accessorio del debito principale. Pertanto, la fideiussione si estende a tutti gli accessori del debito principale ex art. 1942 c.c., e deve essere riferita anche agli interessi ed alle spese, ma ovviamente fino al limite contrattualmente fissato di Euro 75.000. A tale somma devono essere aggiunti gli interessi maturati successivamente al recesso della banca - e quindi a causa di un mancato tempestivo adempimento imputabile (anche) allo stesso fideiussore - che sono, invece, a carico del fideiussore anche oltre il limite del massimale della fideiussione, in applicazione della regola generale della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c. per i fatti a lui riferibili (cfr. Cass. Civ. n. 12263 del 2015). 8. Il regime delle spese. Alla luce della valutazione globale e unitaria con riguardo all'esito finale del giudizio (cfr. Cass. Civ. 7892 del 1994), considerato che la domanda proposta da parte ricorrente è stata accolta solo in parte si ha soccombenza reciproca che giustifica la compensazione integrale delle spese di lite tra gli opponenti e la parte opposta (v. tra le tante Cass. civ., n. 21684 del 2013). Inoltre, i contrasti tuttora sussistenti in giurisprudenza, sia in relazione all'onere probatorio in casi di estratti continui ma incompleti, nonché in ordine all'anatocismo pre 2000, rappresentano gravi ed eccezionali ragioni che giustificano la compensazione delle spese del giudizio ex art. 92 c.p.c.. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile -, in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: A. ACCOGLIE PARZIALMENTE l'OPPOSIZIONE proposta avverso il DECRETO INGIUNTIVO n. 274/12 e, per l'effetto, REVOCA il predetto PROVVEDIMENTO MONITORIO; B. CONDANNA gli opponenti, ciascuno nei limiti delle rispettive quote ereditarie, al pagamento in favore di parte opposta e, per essa, a (...) (...)A. della somma di Euro71.969,02, oltre interessi, al tasso contrattualmente previsto, dal 4.11.07 e sino all'effettivo soddisfo, come richiesti in monitorio; C. CONDANNA in solido con gli altri opponenti (...), anche in proprio, al pagamento della somma sopra indicata in favore di parte opposta e, per essa, a (...) (...)A., questa ultima fino alla concorrenza della somma di complessivi Euro 75.000,00, oltre interessi, al tasso contrattualmente previsto, dal 4.11.07 e sino all'effettivo soddisfo, come richiesti in monitorio; D. DICHIARA integralmente compensate le spese di lite tra le parti, per le ragioni esposte in parte motiva; E. PONE definitivamente a carico di tutti gli opponenti, nella misura della metà, e di parte opposta, nella misura dell'altra metà le spese della consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio, così come liquidate con decreto del 22.7.22, depositato contestualmente alla presente sentenza. F. MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Castrovillari il 22 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI (ex Rossano) - SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica e nella persona del dott. Gianluca Di Giovanni ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n.° 1451/2010 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto "opposizione tardiva al decreto ingiuntivo n. 397/09 emesso dal Tribunale di Rossano in data 25.11.2009" e vertente TRA (...), rappresentato e difeso - giusta procura in atti - dall'avv. Va.Pu., elettivamente domiciliati come in atti; - ATTORE - E (...), rappresentata e difesa - giusta procura in atti - dall'avv. Vi.Lo., elettivamente domiciliate come in atti; - CONVENUTO - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE Con atto di citazione notificato in data 29.07.2010, (...) spiegava opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. al decreto ingiuntivo n. 397/09 emesso in data 25.11.2009 dal Tribunale di Rossano in favore di (...), assumendo di non averne mai ricevuto la notifica e di essere venuto a conoscenza della sua esistenza solo successivamente allo spirare del termine per l'opposizione, in occasione di una diffida di pagamento inviatagli in data 16.05.2010 dall'avv. (...). Esponeva, infatti, che, l'irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo, eseguita erroneamente ai sensi dell'art. 143 c.p.c., gli avesse impedito la conoscenza dell'atto e la tempestiva proposizione dell'opposizione, ragion per cui riteneva sussistessero le condizioni per poter esperire il rimedio straordinario di cui all'art. 650 c.p.c.. Sulla scorta della dedotta irregolarità della notifica, inoltre, eccepiva l'intervenuta perdita di efficacia del decreto ingiuntivo, secondo il disposto dell'art. 644 c.p.c., atteso che la notifica eseguita ai sensi dell'art. 143 c.p.c., doveva ritenersi essersi perfezionata solo in data 03.02.2010 quindi oltre il termine di 60 giorni dalla sua emissione, avvenuta il 25.11.2009. Nel merito, infine, contestava la debenza della somma ingiunta in favore di (...) a titolo di saldo della quota a lei spettante in ragione della vendita di un immobile in comproprietà tra le parti in causa; a tal proposito allegava di aver sostenuto una serie di spese di cui avrebbe dovuto farsi carico anche parte opposta e di aver acceso un conto corrente presso un istituto di credito francese, di avervi depositato la somma di Euro 10.000,00 e che essa fosse stata indebitamente prelevata da (...), per il tramite del di lei figlio, a cui il conto era stato cointestato. In ragione delle suddette deduzioni, chiedeva, quindi, l'accertamento negativo della pretesa azionata da (...) e, per l'effetto, la revoca o annullamento o la declaratoria di nullità o inefficacia del decreto ingiuntivo opposto nonché la condanna di parte opposta al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. quantificata in Euro 10.000,00; con vittoria di spese di giudizio. Instaurato il contraddittorio, si costituiva in giudizio (...), con comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria in data 08.11.2010, la quale avversava l'eccepita irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo opposto assumendo che esso fosse stato correttamente notificato in M.A.V.M., luogo di residenza di (...); in particolare, adombrando un rifiuto di quest'ultimo di ritirare il plico raccomandato, deduceva che l'Ufficiale Giudiziario, seppur fosse incorso in errore nella menzione dell'art. 143 c.p.c., avesse di fatto provveduto ad affiggere alla porta dell'abitazione di (...) l'avviso di avvenuto deposito dell'atto presso la Casa Comunale, ragion per cui, la mancata conoscenza del decreto fosse imputabile esclusivamente al suo destinatario che non ne aveva curato il ritiro. Ciò posto, sulla scorta della regolarità della notifica nei termini anzidetti, perfezionatasi, secondo parte opposta, in data 14.01.2010, (...) riteneva che il decreto non avesse, di conseguenza, perso la sua efficacia. Nel merito, infine, confermava la fondatezza della pretesa azionata con il decreto ingiuntivo negando di aver incassato le somme depositate dall'opponente sul conto corrente acceso in Francia, per esserne egli solo il titolare. Contestava, inoltre, che le spese poste indebitamente in compensazione da (...) per lo sgombero dell'immobile venduto, per il pagamento della tassa rifiuti e per il sigillo del televisore, dovessero rimanere a suo esclusivo carico avendo egli ivi abitato nei dieci anni precedenti la vendita; proprio in ragione di tale circostanza, spiegava, altresì, domanda riconvenzionale volta ad ottenere il pagamento di un'indennità di occupazione per gli anni in cui l'opponente aveva usufruito in via esclusiva dell'immobile. All'udienza del 16.06.2011, il Tribunale concedeva i termini di cui all'art. 183, co. 6, c.p.c., a cui seguiva il deposito delle relative memorie da parte del solo opponente. A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 29.11.2012, il Tribunale, ritenuta la causa matura per la decisione, ne disponeva il rinvio per la precisazione delle conclusioni. Dopo plurimi differimenti di udienza dovuti all'accorpamento del Tribunale di Rossano a quello di Castrovillari, alla successione dei magistrati nel procedimento nonché al carico del ruolo, all'udienza dell'1/03/2022, celebratasi in modalità cd. cartolare, provvedeva al deposito delle note di trattazione scritta la sola parte opponente che così precisava le proprie conclusioni: "Voglia l'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis: A) Accertare che la sig.ra (...) non vanta nessun credito nei confronti dell'opponente e, per l'effetto, revocare, annullare, dichiarare nullo e/o inefficace il decreto opposto; B) Condannare la sig.ra (...) al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 96 c.p.c., per le motivazioni illustrate nell'atto introduttivo e in tutti gli scritti difensivi, pari ad Euro 10.000,00 o in quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia; C) Condannare la sig.ra (...) al pagamento degli onorari legali oltre accessori di legge, da distrarsi alla sottoscritta avvocata antistataria, ex art. 93 c.p.c. La sottoscritta avvocata rinuncia espressamente ai termini di cui all'art. 190 c.p.c. e chiede che la causa venga trattenuta in decisione.". Il Tribunale, quindi, assegnava la causa in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c., a cui seguiva il solo deposito di comparsa conclusionale di parte opponente. L'opposizione è inammissibile e, pertanto, deve essere rigettata. Preliminarmente rileva il Tribunale che l'eccezione sollevata dall'opponente in ordine all'irregolarità della notificazione del decreto ingiuntivo n. 397/2009 è fondata. In tema di notificazioni, infatti, l'art. 143 c.p.c., disciplinante il rito da seguire nel caso di irreperibilità del destinatario, può trovare corretta applicazione solo nell'ipotesi di irreperibilità cd. "assoluta" occorrendo, invece, provvedere, nel caso di assenza solo momentanea dal luogo di residenza, dimora o domicilio, ai sensi dell'art. 140 c.p.c.. A tal proposito è utile ricordare come, la condizione di irreperibilità assoluta, ricorre allorché il notificante ignori del tutto la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario, nonostante lo svolgimento di ricerche e di indagini suggerite dall'ordinaria diligenza, valutata, questa, in relazione a parametri di normalità e buona fede, secondo la regola generale dell'art. 1147 c.c.. Da ciò discende che, l'ufficiale giudiziario, nel caso in cui non abbia rinvenuto il destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico è tenuto a svolgere ogni ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della notificazione (Cass. n. 8638/2017). Ed infatti, secondo l'insegnamento della Suprema Corte, in tema di notificazione agli irreperibili, può procedersi alla notifica ex art. 143 c.p.c. solo quando, sul piano soggettivo, l'ignoranza di chi la chiede all'ufficiale giudiziario circa la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell'atto sia incolpevole e, sul piano oggettivo, se siano provate le indagini compiute da chi ha domandato la notificazione, non fondate solo sulle risultanze anagrafiche, ma estese ad accertamenti ed informazioni sul reale avvenuto trasferimento di detto destinatario in luogo sconosciuto ovvero su quale sia questo, dopo l'inutile tentativo dell'ufficiale giudiziario di eseguire la notifica all'indirizzo indicato (Cass. n. 7964/2008). In caso contrario la notifica è da reputarsi irregolare (cfr Cass. n. 19986/2010). Traslando quanto appena esposto alla fattispecie concreta, risulta pacifico - poiché allegato dall'opponente e non contestato da parte opposta - che la residenza di (...), al tempo della notifica del decreto ingiuntivo, fosse effettivamente in M. alla via M. e che la stessa fosse nota ad (...). Infatti, in ordine a tale circostanza, l'opponente, nell'allegare di non essere mai stato irreperibile, ha prodotto certificato attestante la propria residenza in detto luogo a far data dal 26.03.2008, nonché, ad ulteriore conferma, l'atto pubblico di acquisto della propria abitazione del 13.03.2008. Conformemente, parte opposta, ha dichiarato di aver richiesto la notifica del decreto ingiuntivo nel medesimo indirizzo poiché trattavasi di quello risultante dal certificato di residenza che, per giunta, aveva provveduto ad allegare al decreto ingiuntivo all'atto di richiederne la notifica. Parte opposta, pertanto, non ha mai messo in discussione che (...) ivi vivesse, ma solo che avesse, dapprima, scientemente rifiutato di ricevere la notifica dell'atto e, successivamente al suo deposito presso la casa comunale, omesso di curarne il ritiro. Dunque, proprio perché nota la residenza di (...) e risultando acclarato che egli ivi vivesse, l'iter notificatorio del decreto ingiuntivo deve necessariamente ritenersi irregolare atteso che, per come emerge dall'esame dei documenti prodotti dalla stessa parte opposta, l'atto de quo non veniva consegnato sul presupposto - errato - dell'irreperibilità del destinatario in tale luogo (cfr annotazione apposta sull'avviso di ricevimento dell'atto giudiziario). Dopodiché, senza che ne ricorressero i presupposti, l'Ufficiale Giudiziario provvedeva a depositare l'atto presso il Comune di Mandatoriccio ai sensi dell'art. 143 c.p.c. (cfr. relata di notificazione del 14.01.2010), tra l'altro, senza far menzione nella relata delle indagini e ricerche compiute prima dell'adozione del cd. rito degli irreperibili. Riguardo al suddetto deposito, non è condivisibile l'argomentazione difensiva di parte opposta secondo la quale l'Ufficiale Giudiziario, seppur sbagliando articolo, avrebbe comunque affisso all'abitazione di (...) l'avviso di deposito dell'atto presso il Comune di Mandatoriccio, eseguendo, quindi, sostanzialmente, la notifica secondo le modalità di cui all'art. 140 c.p.c., poiché tale assunto avrebbe potuto essere unicamente corroborato dalla produzione dell'avviso di ricevimento della raccomandata informativa del deposito (cd. CAD), invero, non rinvenibile negli atti del giudizio. Alla luce di quanto appena argomentato, questo Tribunale, ritenuti non sussistenti i presupposti per l'adozione del procedimento notificatorio previsto dall'art. 143 c.p.c., ritiene che la notifica del decreto ingiuntivo sia viziata da nullità. Ciò posto, allorché il decreto ingiuntivo venga notificato ai sensi dell'art. 143 c.p.c. senza che ne ricorrano i presupposti, secondo gli insegnamenti della Suprema Corte, la notifica è nulla e, pertanto, consente al suo destinatario la proposizione dell'opposizione tardiva (Cass. n. 11498/2000) la quale, tra l'altro, sanando con efficacia ex tunc il vizio della notificazione, esclude la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo stesso (Cass. n. 1038/1995) per essere, anche ove nulla, pur sempre indice della volontà del creditore di azionare il credito (Cass. n. 18791/2009). Acclarata l'irregolarità della notifica del decreto ingiuntivo n. 397/09 e, ammessa, in via di principio, l'opposizione tardiva del decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c., la stessa deve comunque ritenersi inammissibile per le ragioni che seguono. L'art. 650, co. 1, c.p.c., testualmente stabilisce: "L'intimato può fare opposizione anche dopo scaduto il termine fissato nel decreto, se prova di non averne avuta tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore"; l'ultimo comma, invece: "L'opposizione non è più ammessa decorsi dieci giorni dal primo atto di esecuzione". Dunque, dalla lettura coordinata dei due commi è evidente che, ricorrendone i relativi presupposti (i.e. irregolarità della notificazione e mancata conoscenza del decreto da parte dell'ingiunto) il primo comma attribuisca all'ingiunto una sorta di remissione in termini "mobile" e, l'ultimo comma, invece, fissi il termine ultimo, anch'esso "mobile", entro il quale ciò può avvenire (non oltre i dieci giorni dal primo atto di esecuzione), sempre che l'ingiunto non abbia avuto in precedenza conoscenza dell'atto. Ebbene, secondo giurisprudenza mai smentita dalla Suprema Corte, in caso di irregolare notificazione del decreto ingiuntivo, il termine per proporre opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c. è di quaranta giorni dalla conoscenza dell'ingiunto, comunque avuta, dell'atto da opporre poiché è evidente che, diversamente opinando, l'irregolarità della notificazione, in mancanza dell'inizio dell'esecuzione, renderebbe l'opposizione proponibile sine die, in difformità del congegno che sta alla base del procedimento monitorio, che sottopone l'introduzione del giudizio di opposizione ad un termine perentorio (Ord. Cass. 7560 dell'8.03.2022; Ord. Cass. n. 2608 del 02.02.2018; Sent. n. 17759/2011). Più precisamente, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza (Cass. lav., n. 17759/2011; Cass. S.U., n. 14527/2007; Cass. S.U., n. 9938/2005), l'art. 650 prevede per l'opposizione tardiva due termini: - quello di cui al primo comma (desumibile dalla necessità della prova della tempestiva conoscenza), che è il termine ordinario di cui all'art. 641, comma 1, con la sola particolarità che esso decorre non dalla notifica del decreto, bensì dalla conoscenza del decreto, irregolarmente notificato; - quello del comma 3, che è un termine di chiusura il quale non esclude l'operatività del termine del comma 1 (Cass. VI, n. 7560/2022). Ciò posto, dalle dichiarazioni dello stesso opponente è possibile individuare il suddetto momento conoscitivo, avendo questi dichiarato, a pag. 2 dell'atto di opposizione, di averne appreso dell'esistenza del decreto ingiuntivo in occasione della raccomandata inviatagli, in data 16.05.2010, dall'avv. (...). A conferma di tale assunto, soccorrono i documenti versati dall'opponente al proprio fascicolo di parte, dai quali emerge che, in effetti, alla predetta missiva, veniva allegata una copia del decreto ingiuntivo (v. all. n. 3), tanto è vero che, nel messaggio di posta elettronica inviato in data 25.05.2010 dal difensore di parte opponente, questi precisava di riscontare la missiva del 16.05.2010 "al solo fine di conoscere le modalità di notificazione", ossia di quell'unico elemento ancora disconosciuto. Infine, avuto riguardo del fatto che, nella successiva nota mail del 16.06.2010, l'opponente, nel contestare dettagliatamente l'an della somma ingiunta, ha attestato incontrovertibilmente la piena ed indiscussa conoscenza del decreto ingiuntivo, non può residuare alcun dubbio che, al più tardi in quella data, possa fissarsi il giorno da cui computare il termine di 40 giorni per proporre opposizione tardiva. Da ciò discende che, avendo (...) spiegato opposizione mediante messa in notifica dell'atto di citazione in data 28.07.2010, risultava già decorso il termine di 40 giorni per l'opposizione che, pertanto, deve ritenersi inammissibile. Quanto alla domanda riconvenzionale spiegata da (...), volta ad ottenere la condanna dell'opponente al pagamento di una indennità per aver occupato, per dieci anni, l'immobile di proprietà comune sito in B. (M.) alla via V. V. n. 92/B, essa non può trovare accoglimento, non avendo parte opposta nemmeno chiesto di provare la suddetta circostanza, formulando richieste istruttorie. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. altresì formulata da (...) sul presupposto dell'infondatezza dell'opposizione ex adverso spiegata, del pari deve essere rigettata, perché non provata. Le spese del giudizio, alla luce del rilievo officioso del profilo di inammissibilità dell'opposizione e del rigetto della domanda riconvenzionale, vanno integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in persona del Giudice monocratico dott. Gianluca Di Giovanni, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede: 1) Dichiara inammissibile l'opposizione e, per l'effetto, conferma il decreto ingiuntivo n. 397/09 emesso dal Tribunale di Rossano in data 15.11.2009, depositato il 27.11.2009, e lo dichiara esecutivo; 2) Rigetta la domanda riconvenzionale spiegata da (...); 3) Rigetta la domanda ex art. 96, co. 3, c.p.c., spiegata da (...); 4) Compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Castrovillari il 21 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE - in composizione monocratica e nella persona del dott. Alessandro Caronia ha pronunziato la seguente SENTENZA nella controversia civile iscritta al n. 182 del 2011 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, avente ad oggetto "Vendita cose mobili" e vertente TRA (...), C.F. (...), parte nata a P. (C.), il (...); (...), C.F. (...), parte nata a C., il (...); (...), C.F. (...), parte nata a C., il (...), nella qualità di eredi del sig. (...), C.F. (...), nato a R.G. (C.), in data (...) e deceduto il 13.11.2020, tutti rappresentati e difesi dall'avv. DOMENICO LO POLITO, giusta procura in atti ed elettivamente domiciliati come in atti - ATTORI- E (...), C.F. (...) , parte nata a C., in data (...), già socio accomandatario e liquidatore della (...) Sas, impresa cancellata dal Registro delle Imprese il 10.12.2018, rappresentato e difeso dall'avv. MA.GA., giusta procura in atti, elettivamente domiciliati come in atti - CONVENUTO - (...) S.R.L., P. IVA (...), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in A. I. (A.), via G. n. 3, rappresentata e difesa dall'avv. SI.DO., giusta procura in atti ed elettivamente domiciliato come in atti - TERZO CHIAMATO IN CAUSA - RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE 1. I fatti di causa, le posizioni delle parti e le loro conclusioni. Con atto di citazione ritualmente notificato e depositato in cancelleria in data 11.02.11, il sig. (...) ha convenuto in giudizio (...) SNC. La difesa di parte attrice ha dedotto che: - Il giorno 28.08.2006, l'attore acquistava presso la (...) SNC, un termocamino modello (...), prodotto dalla (...) S.R.L. con duplice garanzia: - garanzia legale e di conformità secondo la direttiva 1999/447 CE; - garanzia convenzionale o commerciale di 5 anni sul corpo della caldaia, valida solo nei casi di perdite d'acqua nei primi 5 anni di utilizzo, con in tal caso un diritto dell'acquirente ad un nuovo termocamino; - garanzia totale sulle prestazioni, qualora anche una sola delle prestazioni di cui alle condizioni generali di vendita non dovesse rispondere al vero, con diritto dell'acquirente alla restituzione del termocamino e rimborso del prezzo d'acquisto. - Il termocamino veniva correttamente installato nell'abitazione dell'attore, secondo quanto stabilito dal manuale d'uso. - Alla fine del mese di gennaio 2010 si verificavano perdite d'acqua della caldaia, accertati dai tecnici della (...) SRL e della (...) SNC. - L'attore con lettera del 26.01.2010 chiedeva ad entrambe le ditte l'attivazione della garanzia, con relativa sostituzione. - Con lettera del 4.02.2010, la (...) SNC, rispondeva che la garanzia dovuta era quella legale, decorrente dal momento della consegna avvenuta il 28.08.2006; la (...) SRL, inoltre, dapprima provvedeva ad inviare 2 tecnici per procedere alla riparazione sul posto, che non è andata a buon fine. Successivamente, con lettera del 10.02.2010 offriva di: a) riparare gratuitamente il termocamino nella sede della ditta; b) vendere all'attore un nuovo termocamino a prezzo agevolato; c) la sostituzione del termocamino qualora in garanzia. - Con l'atto introduttivo del 17.02.2010 l'attore proponeva ricorso per accertamento tecnico preventivo, iscritto al n. 243/2010 RG, dinanzi al Tribunale di Castrovillari - il cui fascicolo è stato acquisito agli atti del presente giudizio -nel corso del quale, costituite si in giudizio entrambe le società, veniva espletata CTU tecnica a firma dell'ing. (...), il quale concludeva che "il difetto riscontrato delle perdite di acqua è da imputarsi a vizio originario o difetto costruttivo o all'imperfetta esecuzione delle saldature; l'utilizzo del termocamino non ha potuto causare l'inconveniente lamentato". - Con lettera del 20.10.2010 l'attore invitava le società a provvedere alla sostituzione del termocamino, ritenendo tali vizi rientranti nella garanzia. - (...) SRL, con comunicazione del 20.10.2010 rifiutava la sostituzione, ritenendo nulla la CTU espletata e invitava l'attore a non modificare lo stato dei luoghi in pendenza di lite. - La (...) SNC, con lettera del 25.10.2010 rifiutava la sostituzione evidenziando che la CTU, nello stabilire che vi fosse un vizio originario o difetto costruttivo, avesse escluso la responsabilità della ditta. - Successivamente l'attore acquistava un nuovo termocamino dello stesso tipo presso la Ditta (...), sostenendo un costo di Euro 2.475,00 (fattura n. (...) del 25.11.2010) ed un ulteriore costo di Euro 600,00 per lo smontaggio e montaggio del nuovo termocamino (fattura n. (...) del 25.11.2010). - L'attore ha, inoltre, dovuto sostenere i costi per il rifacimento del mobile e pareti in cartongesso, contenenti il termocamino per la somma di Euro 2.200,00 (fattura n. (...) del 30.11.2010, Ditta (...)), Euro 900,00 per la sostituzione dei marmi danneggiati del rivestimento murario effettuato dalla Ditta (...) ed Euro 1.387,02 per le spese di perizia tecnica preventiva provvisoriamente poste a carico dell'attore (fattura n. (...) del 29.11.2010). - La garanzia consegnata all'attore al momento dell'acquisto indica che "l'acquirente ha diritto ad un nuovo termocamino in sostituzione se il corpo della caldaia dovesse presentare delle perdite d'acqua nei primi cinque anni di vita", pertanto, il prodotto acquistato non si presenta con le qualità promesse e non funziona a causa di difetto originario, per come accertato dal CTU ing. (...). - Le spese sostenute dall'attore, oltre che il risarcimento dei danni, devono gravare sul venditore che ha fornito la garanzia, riguardando, tale materia, la tutela dei diritti del consumatore. - Nella fattispecie sussiste, inoltre, obbligazione solidale in quanto il venditore è obbligato a garantire che il bene venduto funzioni perfettamente per un determinato periodo di tempo. - Il compratore ha, per tale ragione, azione contrattuale esclusivamente nei confronti del venditore, mentre il venditore potrà esperire l'azione (di regresso) nei confronti del produttore. Tanto premesso, l'attore (...) ha chiesto a questo Tribunale di: a. Dichiarare la responsabilità contrattuale della convenuta (...) SNC per inadempimento. b. Accogliere la domanda; c. Condannare la convenuta al pagamento di Euro 7.562,02 in favore dell'attore, pari alle spese sostenute per l'acquisto ed installazione del nuovo termocamino, in sostituzione del termocamino dello stesso tipo venduto; d. Riconoscere il risarcimento dei danni da quantificarsi secondo equità; e. Con condanna al pagamento degli interessi secondo legge e rivalutazione ISTAT. f. Condannare la convenuta al pagamento delle spese di lite, diritti e onorari di causa. Con comparsa di costituzione e risposta - con richiesta di chiamata del terzo - depositata in data 20.4.2011, si è costituita in giudizio la (...) S.A.S., deducendo che: - Il termocamino acquistato il 28.08.2006 da (...), è di tipo (...), prodotto dalla (...) S.R.L.. Quest'ultima società offre la garanzia convenzionale di ulteriori 5 anni sul corpo della caldaia, alle condizioni dettagliatamente previste; - L'installazione del prodotto è avvenuto ad opera di soggetti terzi, su scelta dell'attore; pertanto, l'installa zione non è stata posta in essere né ad opera della (...) né ad opera della V.. - Non risponde al vero la circostanza secondo la quale i tecnici della (...) avrebbero accertato la perdita lamentata dall'attore. - In risposta alla lettera dell'attore del 26.01.2010, con comunicazione del 4.02.2010, la (...) S.A.S. affermava che la garanzia convenzionale ulteriore era formulata dalla (...) s.r.l. e contestava i presunti vizi, oltre che l'intervento del personale della (...) S.A.S., per l'accertamento della presunta perdita. - In data 12.02.2010, l'attore proponeva azione di accertamento tecnico preventivo e, nell'ambito di tale procedimento, veniva espletata CTU a firma dell'ing. (...). La perizia è stara depositata in data 16.09.10. - Con lettera del 20.10.2010 l'attore invitava le due società all'attivazione della garanzia convenzionale ulteriore quinquennale e la sostituzione del termocamino, ponendo, in mancanza, l'addebito dei costi sostenuti in capo alle società convenute. - Con lettera del 25.10.2010, la (...) S.A.S. si riteneva sollevata da qualsiasi responsabilità e rifiutava la sostituzione del termocamino, in ragione della ritenuta assenza di chiarezza della CTU espletata. - In diritto, preliminarmente la convenuta eccepisce la nullità dell'atto di citazione, per non aver indicato il corretto nome della società convenuta, nonché la nullità della notific a dell'atto di citazione, per aver provveduto alla notifica nei confronti di soggetto diverso dal convenuto. - Inoltre, carenza di legittimazione passiva della (...) S.A.S., perché il camino è stato venduto dalla società (...) S.N.C., cui è, peraltro, stato notificato anche l'atto introduttivo; e, inoltre, la (...) S.R.L. è il soggetto che ha riconosciuto la garanzia ulteriore convenzionale quinquennale, ai sensi e per gli effetti dell'art. 133 d.lgs. Codice del Consumo. - L'attore è incorso in decadenza dall'azione e prescrizione dell'azione risarcitoria, ai sensi dell'art. 132 Codice del Consumo e art. 1495 c.c., dato che il prodotto è stato venduto il 28.08.2006 e i vizi sono stati denunciati dall'attore solo il 26.1.2010. - Nel merito, i vizi lamentati dall'attore si contestano né, alla luce della corrispondenza intercorsa, sussiste un riconoscimento del vizio da parte della (...) o della convenuta; - Il bene è stato messo in vendita in virtù delle certificazioni CE della (...) S.R.L. su tutti i suoi prodotti. - Insussistenti, inoltre, le condizioni richieste dalla garanzia commerciale quinquennale, alla quale, in ogni caso, il venditore non è vincolato ai sensi dell'art. 133 Codice del Consumo. Infatti, la garanzia quinquenna le richiede espressamente: a) che il termocamino debba essere scelto dall'acquirente in base alla grandezza della abitazione, secondo le tabelle riportate nella voce modelli; b) che il termocamino deve essere installato, regolato ed adoperato secondo quanto riportato nel manuale d'uso; c) il circolatore ed eventuali valvole elettriche devono essere comandata da una centralina (...) oppure da centralina similare. Condizioni non sussistenti nel caso di specie. - La mancata attivazione della garanzia mediante invio del relativo certificato alla società. - La mancata o non diligente manutenzione ordinaria del prodotto, il corretto uso e la corretta installazione da parte dell'attore. - Nullità della CTU, espletata nell'ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, per violazione degli artt. 195 e 696 u.c. c.p.c., dal momento che non è stata fatta comunicazione alle parti della bozza della Consulenza, contenente osservazioni ed una sintetica valutazione delle stesse. - Contesta la sussistenza e la quantificazione dei danni per come indicata da (...); si nega, infatti, l'istallazione di un nuovo termocamino (V. 35S), avente costo anche maggiore; si nega avvenuto rifacimento dell'intonaco e delle pareti in cartongesso, così come si nega il danno dei marmi. Le spese della CTU tecnica, svolta in sede di ATP, non rientrano nella voce di risarcimento danni, ma in quella delle spese giudiziali (per l'effetto, la voce non è suscettibile di rivalutazione monetaria). - Destituita di fondamento è la domanda relativa al risarcimento dei danni da stabilirsi secondo equità, avendo già le altre voci di danno natura risarcitoria e non potendo l'attore chiedere una doppia liquidazione risarcitoria. Ciò posto, parte convenuta (...) S.A.S. ha chiesto a questo Tribunale: a) In via preliminare, di autorizzare la chiamata in causa in garanzia ex artt. 106 e 269 c.p.c. della (...) S.R.L., società produttrice del termocamino. b) Dichiarare il difetto di legittimazione passiva della (...) S.A.S.. c) La prescrizione e decadenza delle domande formulate. d) La nullità dell'atto di citazione e della notifica dell'atto di citazione. e) Il rigetto della domanda. f) In subordine, in caso di accoglimento della domanda attorea, condannare la (...) S.R.L., in p.l.r.p.t., tenendo indenne la (...) S.A.S. g) La condanna dell'attore al pagamento delle spese di lite, diritti e onorari di causa - ivi compresi quelli relativi all'accertamento tecnico preventivo - con distrazione in favore dell'avvocato antistatario ex art. 93 c.p.c. h) La condanna dell'attore per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Autorizzato alla chiamata in causa del terzo, la (...) S.A.S., con atto di citazione in chiamata in causa del terzo del 5.05.2011, ha convenuto in giudizio la (...) S.R.L., la quale, con comparsa di costituzione e risposta depositata il 7.10.2011, ha dedotto che: - Dopo la lettera del 26.01.2010 dell'attore, il giorno 27.01.2010, i tecnici della (...) S.R.L. si sono recati presso l'abitazione dell'attore a titolo di cortesia per accertare la fondatezza delle contestazioni mosse. - Giunti sul posto e constatata l'impossibilità di verificare in loco le ragioni del cattivo funzionamento del termocamino, proponevano all'attore di smontarlo e trasportarlo in azienda per le opportune verifiche. - L'attore rifiutava l'intervento e invitava i tecnici ad abbandonare la propria abitazione. - La società a questo punto, con lettera del 10.02.2010, ricevuta il 20.02.2010, informava il procuratore dell'attore dell'accaduto e ribadiva la propria disponibilità a risolvere i problemi connessi all'uso della caldaia. - Il 12.02.2010 (...) proponeva azione per accertamento tecnico preventivo e, dunque, ivi veniva espletata la CTU. La disponibilità del (...) non si è tradotta certo in un riconoscimento della propria responsabilità in termini giuridici. - La società (...) s.r.l. eccepisce la carenza di legittimazione attiva da parte della (...) S.A.S., essendo il termocamino, ceduto poi a (...), stato venduto ad altra società, ossia a lla (...) s.n.c., come da fattura in atti; al contempo c'è carenza di legittimazione attiva di questa convenuta alla chiamata in causa del terzo (...) S.R.L. - Ancora in via preliminare, eccepisce la decadenza dell'attore dal beneficio della garanzia commerciale; è vero che la (...) offriva una garanzia convenzionale quinquennale, ma l'attore era tenuto all'invio dell'apposito coupon allegato al manuale d'uso ai fini dell'attivazione della garanzia quinquennale. Come confermato dalla giurisprudenza, il consumatore ha l'onere di dimostrare di aver spedito il certificato di garanzia al produttore. - La CTU, inoltre, è nulla perché il CTU ing. (...), nella sua stesura, non si è attenuto a criteri scientifici né ha provveduto al preventivo invio della relazione alle parti. In particolare, alla luce della indagine espletata (in assenza dello smontaggio della caldaia) le parti hanno constatato che fuoriuscisse acqua dalla bocca del termoca mino, ma né le parti né il CTU possono riferire in ordine al percorso dell'acqua né, sotto il profilo causale, che il gocciolamento fosse diretta conseguenza di una perdita dei tubi del corpo caldaia. - In sede di sopralluogo il CTU si è limitato ad osservare l'interno della caldaia, senza effettuare alcuna ulteriore verifica, né è stato verificato la qualità del fluido vettore usato dal consumatore né la qualità della legna utilizzata né se la canna fumaria avesse le caratteristiche tecniche richieste. - Il produttore ha effettuato il collaudo del prodotto prima di metterlo sul mercato. - Deve essere eccepita anche la carenza di prova a sostegno, dal momento che il consumatore, che agisce in giudizio per far valere la garanzia commerciale, è comunque tenuto ad adempiere all'onere probatorio ex art. 2697 c.c., provando l'esistenza dei vizi, l'avvenuto e tempestivo invio del certificato di garanzia e la tempestività della denuncia dei vizi. - La somma richiesta è eccessiva e, in caso di condanna, la (...) S.R.L. non potrà essere condannata al pagamento di una somma superiore al valore del termocamino e, in ogni caso, neanche al pagamento delle somme richieste a titolo di montaggio e rivestimenti, dal momento che, con la promessa unitalerale atipica, la (...) si è assunta l'obbligazione di sostituire soltanto la caldaia e non anche il rivestimento ed il montaggio. (...) S.R.L., dunque, ha concluso chiedendo all'adito Tribunale: a) Il rigetto della domanda; b) L'accoglimento delle eccezioni preliminari; c) La condanna delle parti al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.; d) In caso di accoglimento della domanda attorea, il contenimento della condanna entro i limiti della garanzia prestata. C. i termini ex art. 183 c. 6 c.p.c. e depositate le relative memorie, ammessi i mezzi istruttori, la causa è stata istruita attraverso l'escussione dei testi e l'acquisizione dell'elaborato peritale depositato nell'ambito del procedimento di ATP. All'udienza del 18.01.2019 è stata dichiarata l'interruzione del processo, in conseguenza della cessazione volontaria della società (...) S.A.S., avvenuta in data 10.12.2018. Successivamente, la causa è stata riassunta con ricorso tempestivamente depositato in data 2.04.2019 dalla parte attrice. Infine, in seguito al decesso dell'attore (...), si è costituto in giudizio in prosecuzione ex art. 302 c.p.c. l'erede (...), con comparsa di costituzione depositata il 12.03.2021. All'udienza del 22.03.2021 è stata ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri eredi dell'attore originario (...) e, dunque, in seguito a notifica di atto di citazione in integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., avvenuta in data 23.04.2021, si sono costituiti in giudizio gli altri eredi del decuius, (...) e (...). A questo punto, stante la rinuncia degli attori all'escussione dei testi rimanenti, la causa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni. All'udienza dell'1.02.2022 le parti hanno precisato le conclusioni come da atti; la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.. 2. In rito. 2.1. Destituita di ogni fondamento l'eccezione sollevata nella comparsa di costituzione e risposta dalla originaria convenuta relativa alla nullità della citazione e della notifica. Emerge pacificamente dalla mera lettura delle norme che la costituzione del convenuto sani tutti i vizi della vocatio in ius ex art. 164 c. 3 c.p.c. Allo stesso modo, del tutto infondata la eccezione relativa alla nullità della notifica ex art. 160 c.p.c., dal momento che, anche in tal caso, la costituzione del convenuto sana la eventuale nullità ex art. 156 c. 3 c.p.c.. 2.2. Altresì infondate l'eccezione di carenza di legittimazione passiva della (...) di (...) e C. s.a.s. Per come risulta dalle allegazioni delle parti (cfr. visure camera commercio), la società ha subito nel tempo delle modifiche inerenti la forma societaria e variazioni concernenti la denominazione sociale. Tecnicamente si è in presenza di trasformazioni (nel caso di specie da società in nome collettivo in società in accomandita semplice) che, ai sensi dell'art. 2498 c.c., non si traducono nella estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di un altro, ma configura no una vicenda meramente evolutiva del medesimo soggetto che, di conseguenza, non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo (cfr. Cass. Civ. 10598 del 2013; nonché Cass. Civ. S.U. 23019 del 2007). Pertanto, come risulta dall'atto pubblico a firma del Notaio dott. (...), rep. N. (...) del 5.03.2010, correttamente l'originario attore ha citato in giudizio la società (...) S.A.S. in luogo della trasformata T. a del (...) s.n.c. Dalla perfetta identità soggettiva tra società trasformata e società risultante - agevolmente ricavabile nel caso di specie anche dalla precisa identità del numero di partita Iva - discende la perfetta continuità di diritti e rapporti, che è del tutto automatica ed indipendente da una precisa indicazione. In altre parole, la trasformazione non dà luogo alla creazione di un nuovo centro di imputazione per i rapporti giuridici pendenti, sopravvivendo l'ente alla vicenda modificativa, senza perdere la propria identità soggettiva. Per tali ragioni, coerentemente col disposto normativo di cui sopra, la citazione in giudizio della società originariamente convenuta è conforme alle norme citate, essendovi identità soggettiva tra la società che ha venduto il prodotto e la società che è stata citata in giudizio nella presente controversia. La totale infondatezza di quanto dedotto dalla parte convenuta è, poi, icasticamente evidenziata dal mutamento delle proprie difese, laddove, nel corso del giudizio, afferma essa stessa la precisa identità soggettiva e la propria legittimazione passiva. 2.3. Conseguentemente, alla luce delle considerazioni esposte, infondata risulta anche la eccezione proposta dalla (...) s.r.l., concernente la carenza di legittimazione attiva della convenuta (...) S.A.S. alla chiamata in causa del terzo, avendo la società conservato, ai sensi dell'art. 2498 c.c., tutti i diritti e gli obblighi, anche processuali, della precedente società recante la differente denominazio ne (...) s.n.c.. 2.4. Le eccezioni formulate in udienza dalla parte convenuta e dalla parte terza chiamata neppure possono essere accolte, operando pacificamente, in caso di morte di una parte, l'istituto della prosecuzione ex art. 302 c.p.c., come chiarito in maniera precisa con ordinanza resa al verbale della udienza del 23.3.21. Gli eredi di (...), poi, si sono tutti costituiti in giudizio, documentando la loro qualità attraverso il certificato di morte del decuius e lo stato di famiglia, come richiesto dalla pacifica giurisprudenza in materia (cfr. Cass. Civ. 10022 del 1997 nonché Cass. Civ. n. 4527 del 1992 in ordine a tale prova, che può essere offerta anche successivamente, non incontrando le preclusioni relative alla istruttoria). Destituite di qualsiasi fondamento le deduzioni della parte convenuta in ordine alla ipotetica esistenza di altri litisconsorti necessari, dal momento che - a tacer d'altro - è la parte che rileva il vizio di integrità del contraddittorio a dover provare i fatti dai quali emerge la sussistenza del litisconsorzio necessario ed indicare i soggetti da chiamare nel processo (cfr., tra le altre, Cass. Civ. n. 14820 del 2007). 2.5. Si rammenta, infine, che, in seguito alla estinzione della società (...), correttamente il giudizio è stato instaurato nei confronti di (...), ex socio accomandatario nonché liquidatore della s.a.s. cancellata dal registro delle imprese. Infatti, quando l'estinzione della società cancellata dal registro delle imprese interviene in pendenza di un processo nel quale la società era parte, si determina un fenomeno successorio ex art. 110 c.p.c., con conseguente interruzione del processo. E ove - come nel caso di specie - oggetto del giudizio è un debito della società nel giudizio nel processo pendente subentra l'ex socio illimitatamente responsabile (con riassunzione nei suoi confronti del processo interrotto), che assume la veste di successore a titolo universale della società. 2.6. Infondata l'eccezione di parte convenuta in relazione alla procura in riassunzione degli eredi del (...), dal momento che la stessa risulta ritualmente depositata telematicamente. 2.7. Neppure può essere accolta l'eccezione di estinzione ex art. 305 c.p.c., dal momento che, per unanime giurisprudenza, al fine di evitare l'estinzione del giudizio è sufficiente il deposito, entro il citato termine di tre mesi, del ricorso in riassunzione contenente la richiesta di fissazione della udienza, mentre la successiva notifica del ricorso e del decreto può avvenire anche una volta spirato il suddetto termine (cfr., tra le altre, Cass. Civ. 13683 del 2012). Inoltre, in caso di riassunzione, quand'anche il processo fosse riattivato con citazione (e non, come nel caso di specie, con ricorso in riassunzione), non sussiste alcuna necessità di osservanza dei termini minimi di comparizione ex art. 163 bis c.p.c. (tra le molte, Cass. Civ. n. 14353 del 2009). Infine - e in via assorbente rispetto a quanto eccepito dalla parte convenuta - si osserva che il mancato rispetto dei requisiti di cui all'art. 125 disp. att. c.p.c. non è causa di nullità dell'atto, non comminata da alcuna disposizione di legge, essendo elementi essenziali al raggiungimento dello scopo il riferimento alla precedente fase processuale e la volontà di riattivare il giudizio (cfr. Cass. Civ. n. 7055 del 2002). 3. La disciplina prevista dal codice del consumo e il quadro normativo di riferimento. 3.1. Come agevolmente evincibile dall'atto introduttivo del presente giudizio, l'originar io attore (...) ha agito in giudizio per far valere il vizio, emerso e riscontrato nel gennaio del 2010, del proprio termocamino, acquistato in data 28.8.06 dalla (...), la quale, a propria volta, lo aveva acquistato dal produttore (...) s.r.l., società chiamata in giudizio a titolo di garanzia impropria dalla convenuta. Si è in presenza, dunque, di una c.d. vendita a catena e, trattandosi di bene di consumo oggetto di un contratto di vendita, la disciplina applicabile al caso di specie è quella prevista dagli artt. 128 e ss. del D.Lgs. n. 206 del 2005 ratione temporis applicabile. Nei casi di vendita di beni di consumo, si applica, infatti, in via prioritaria la disciplina prevista dagli artt. 128 e ss. del codice del consumo, che si aggiunge alle tutele di cui agli artt. 1490 c.c. e ss. e, per quanto non espressamente previsto dalla normativa speciale, la disciplina di cui al codice civile , nell'ottica della più ampia tutela del consumatore. Vi è, infatti, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo "sussidiario" assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (artt. 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dalla normativa speciale (cfr. Cass. Civ. n. 14775 del 2019). L'art. 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce, infatti, che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano "per quanto non previsto dal presente titolo". Ai fini dell'applicazione delle norme indicate, è necessario, poi, che vengano rispettati i presupposti di cui all'art. 128, il quale prevede che si intende per bene di consumo, qualsiasi bene mobile e per venditore "qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1" (Cass. Civ. n. 13148 del 2020). Per effetto di quanto sopra esposto, non residua alcun dubbio, alla luce delle rispettive qualità del (...) e della convenuta e delle pacifiche vicende contrattuali intercorse tra le parti, in ordine all'applicazione della normativa sopracitata. 3.2 Occorre a questo punto evidenziare, sempre in linea generale, con riguardo alla disciplina codicistica che, ai sensi dell'art. 1476 n. 3 c.c., il venditore deve garantire il compratore dall'evizio ne e dai vizi della cosa. Nel disegno del codice civile, l'obbligo di garanzia per i vizi della cosa pone il venditore in una situazione di soggezione e non di obbligazione, che lo espone all'iniziativa del compratore con riguardo alla modificazione del contratto di vendita o alla sua caducazione attraverso l'esperimento dell'azione di riduzione del prezzo o dell'azione redibitoria. Sul punto si rileva come le Sezioni Unite, a risoluzione del contrasto giurisprudenziale in materia, con la sentenza n. 11784 del 2019, hanno correttamente stabilito che il venditore soggiace ad una responsabilità che prescinde da qualsiasi valutazione di colpa ed è fondata sulla prova dell'esistenza dei vizi sul bene; essa non può essere qualificata come inadempimento del venditore. Non si è in presenza di un inadempimento della obbligazione nascente dal contratto di vendita, ma di un rimedio che concerne la mancata corretta attuazione del meccanismo traslativo proprio dei contratti ad effetti reali ex art. 1372 c.c., con riferimento al consenso traslativo. Infatti "la garanzia per vizi non va, dunque, collocata nella prospettiva obbligatoria e la responsabilità che essa pone in capo al venditore va qualificata come una responsabilità contrattuale speciale, interamente disciplinata dalle norme dettate sulla vendita. Il presupposto di tale responsabilità è, come già accennato, l'imperfetta attuazione del risultato traslativo (e quindi la violazione della lex contractus) per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell'esistenza dei vizi; essa si traduce nella soggezione del venditore all'esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi il compratore, al quale è anche riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi" (cfr. Cass. S.U. n. 11784 del 2019). 3.3.È d'uopo, poi, rammentare, d'altro canto, che, secondo la disciplina schiettamente consumeristica, alle disposizioni civilistiche dettate agli artt. 1490 c.c. e segg., in tema di garanzia per i vizi dei beni oggetto di vendita si aggiungono, in una prospettiva di maggior tutela, gli strumenti predisposti dal codice del consumo. Dal combinato disposto degli art. 129 - 130 e 131 del D.Lgs. n. 209 del 2005 si desume una responsabilità del venditore nei riguardi del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene, allorché tale difetto si palesi entro il termine di due anni dalla predetta consegna. Il difetto di conformità consente al consumatore di esperire i vari rimedi contemplati all'art. 130 cit., i quali sono graduati, per volontà dello stesso legislatore, secondo un ben preciso ordine: costui potrà, in primo luogo, proporre al proprio dante causa la riparazione ovvero la sostituzione del bene e, solo in secondo luogo, nonché alle condizioni contemplate dal comma 7, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto. Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l'onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi, decorrente dalla data della scoperta di quest'ultimo. Il Codice del Consumo prevede una presunzione a favore del consumatore, inserita nell'art. 132, comma 3, a norma del quale si presume che i difetti di conformità, che si manifestino entro sei mesi dalla consegna del bene, siano sussistenti già a tale data, salvo che l'ipotesi in questione sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Si tratta di presunzione iuris tantum, superabile attraverso una prova contraria, finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: ne deriva che ove il difetto si manifesti entro tale termine, il consumatore gode di un'agevolazione probatoria, dovendo semplicemente allegare la sussistenza del vizio, gravando, conseguentemente, sulla controparte l'onere di provare la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita. 3.4. Orbene il quadro normativo citato - utile ai fini di una ricostruzione sistematica della vendita dei beni mobili - non è esaustivo, in quanto non consente una precisa risoluzione del caso di specie, dal momento che, ai fini del corretto riparto dell'onere probatorio e della tempestività della azione proposta, non prende in considerazione la garanzia convenzionale pattuita. 4. Sulla garanzia legale e garanzia convenzionale commerciale. 4.1 Attesa la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione alla fattispecie in esame della normativa speciale di cui al codice del consumo, si osserva che la garanzia convenziona le ulteriore di cui all'art. 128 D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ratione temporis applicabile, nella versione previgente rispetto alle modifiche normative recentemente introdotte, è definita come "qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore, senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità". Essa può essere inserita come clausola nel contratto di compravendita o può essere successiva e comporta l'obbligo per il venditore di intervenire in caso di accertati difetti o vizi della cosa venduta; essa è integrativa e mai sostitutiva della garanzia legale per vizi prevista dall'art. 1490 c.c. 4.2 La garanzia convenzionale, disciplinata originariamente dall'art. 1519 septies c.c. e successivamente dall'art. 133 c. 2 lett. C D.Lgs. n. 206 del 2005 - riportato oggi nel novellato art. 135 quinquies - vincola chi la offre, secondo le modalità indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicità. Essa, volontaria ed eventuale, si concreta in un impegno assunto in modo spontaneo da parte dell'offerente con il fine di rendere più appetibile la conclusione del contratto di vendita, rafforzando - e mai limitando - i diritti del consumatore. 4.3 Va da sé che la garanzia commerciale, dunque, si estrinseca in clausole, accordi o patti che possono qualificarsi come addizionali, accessori e opzionali garantendo al consumatore vantaggi ulteriori rispetto alla sola garanzia legale. 4.4. Con riferimento ai soggetti interessati dagli obblighi di cui alla normativa citata, sia nella precedente formulazione, anteriore al D.Lgs. n. 170 del 4 novembre 2021, sia nella nuova formulazione applicabile ai soli contratti stipulati dopo il 01.01.2022 - questi consistono nelle figure del venditore e del produttore del bene, includendo nell'ambito dei produttori, il fabbricante del bene, il fornitore del servizio, l'importatore del bene o del servizio o qualunque altro soggetto che si presenta come tale identificando il bene o il servizio con il proprio nome. 4.5. Dal tenore testuale delle norme, nonché dalla struttura delle vendite a catena, è evidente che non può essere accolta l'eccezione della convenuta, relativa al fatto che la garanzia sarebbe stata offerta dalla sola (...) s.r.l. In primo luogo, è pacifico che il (...) abbia acquistato il termocamino in questione dalla odierna convenuta, sulla base dell'opuscolo della (...) allegato in atti. L'opuscolo illustrativo, oltre alle condizioni economiche, prevede dettagliatamente la struttura della garanzia convenzionale. Trattasi di una vera e propria offerta al pubblico, recepita dal venditore, che vale come proposta contrattuale, successivamente accettata dal (...) e confluita, dunque, nel contratto di vendita. Del resto, l'esistenza o meno della garanzia è elemento che, da un lato, è volto a soddisfare l'interesse del cliente; dall'altro lato tutela un interesse patrimoniale del proponente, diretto a rendere più appetibile il prodotto. In secondo luogo, ai sensi dell'art. 133 del Codice del Consumo, la garanzia convenzionale, con le modalità che possono essere indicate anche nella relativa pubblicità, vincola chi la offre; e colui che la offre, nelle vendite a catena, non può che essere il venditore, unico che stipula il contratto con il consumatore finale. In terzo luogo, l'art. 129 del Codice del Consumo obbliga il venditore alla consegna di un bene conforme al contratto di vendita. Tra le altre caratteristiche, ai sensi dell'art. 129 c. 2 lett. b), il bene deve essere conforme alle descrizioni e dichiarazioni pubbliche fatte dal venditore, dal produttore o dal suo agente nella pubblicità o nella etichettatura; e il venditore può esonerarsi dalla relativa responsabilità solo in presenza delle ipotesi tassativamente indicate dall'art. 129 c. 4 della medesima norma. Infine, tale interpretazione è conforme all'indirizzo della Suprema Corte, secondo cui la disposizione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 133, disciplinando la garanzia convenzionale, fa riferimento a quei casi in cui venditore o produttore forniscano in modo volontario una garanzia convenzionale (diversa e aggiuntiva da quella già riconosciuta dalla legge) e prevede, al fine di assicurare la tutela del consumatore, che la garanzia in oggetto vincoli tali soggetti a quanto indica to nella medesima dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicità. Tuttavia - precisa la Suprema Corte, "l'art. 133, non deroga ai principi di cui al precedente art. 131, per i quali il cliente finale (il consumatore)non può agire direttamente verso uno(qualsiasi) dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgesi al suo immediato venditore (il venditore finale), ultimo anello della catena distributiva e suo dante causa e che è, appunto, il soggetto con il quale ha contrattato" (cfr. Cass. Civ. n.18610 del 2017). 4.6. Del resto, la forma attraverso la quale il garante si obbliga, per quanto sopra esposto, è libera, in quanto, pur essendo indicati specifici requisiti per la sua validità, è stabilito dalla normativa che la garanzia convenzionale possa essere efficace anche qualora sia offerta a mezzo di volantino pubblicitario e, addirittura, anche qualora manchino taluni degli elementi indicati dalla legge, essendo esplicitamente prevista dall'art. 133 codice del consumo la validità anche in caso di inosservanza dei criteri di legge per la sua redazione. 4.7. Da ultimo, deve essere sottolineata l'intrinseca connessione tra l'art. 133 codice del consumo - e successivamente oggi 135 septies - e l'art. 1512 c.c. concernente la garanzia di buon funzionamento, con riferimento agli effetti modificativi della responsabilità del venditore. Orbene, secondo l'interpretazione che pare preferibile, l'art. 135 del Codice del Consumo - ove prevede che le disposizioni della normativa speciale non escludono né limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore dall'ordina mento giuridico e che, in ogni caso, per quanto non previsto si applicano le disposizioni del codice civile in materia di contratto di vendita - consente di ritenere applicabile anche ai beni di consumo l'art. 1512 c.c., dal momento che la norma, ove prevede il rimedio risarcitorio e il mero onere di denunzia al venditore del difetto di funzionamento, indipendentemente dagli ordinari termini di prescrizione e decadenza, struttura diritti ulteriori a tutela del consumatore. 4.8. Come già rilevato, la garanzia di buon funzionamento, enuclea un impegno dell'alienante risultante in modo esplicito, anche se non necessariamente formale, come si verifica nel caso in cui la garanzia sia contenuta in un foglio pubblicitario che accompagni o la consegna della merce o l'invio della conferma d'ordine o la fattura: nel caso di specie l'opuscolo pubblicitario della (...) in atti, che ha accompagnato la proposta contrattuale e l'ordine. La clausola di buon funzionamento, di norma, è inserita direttamente dal fabbricante tra le condizioni generali di vendita dei propri prodotti ma è recepita dal venditore, che, allegando l'opuscolo, propone una offerta al pubblico. La garanzia di buon funzionamento mira a rafforzare la tutela assicurata al compratore dalla garanzia per vizi e mancanza di qualità, ma opera in modo autonomo e indipendente rispetto alle regole proprie di quest'ultima. Secondo la giurisprudenza che il Tribunale condivide, il venditore si rende ad essa inadempiente per il solo fatto del cattivo o mancato funzionamento della cosa, che si sia verificato nel termine contrattualmente stabilito. Pertanto, il compratore è agevolato sotto il profilo probatorio giacché, per far valere la garanzia, deve soltanto provare il cattivo o il mancato funzionamento della cosa - nonché il fatto che esso si sia verificato nel termine di durata della garanzia (Cass. Civ. n. 3755 del 1979) - e non anche la colpa del venditore, né, in generale, la causa specifica da cui esso sia stato determinato (Cass. Civ. n. 23060 del 2009), mentre è a carico del venditore l'onere di fornire la prova contraria, liberandosi dalla responsabilità solo dimostrando che la mancanza di buon funzionamento sia dipesa da una causa insorta successivamente alla conclusione del contratto ed alla consegna della cosa non imputabile a sé, o addirittura da fatto proprio del compratore (Cass. Civ. n. 3813 del 1980; Cass. Civ. 5039 del 1978; Cass. Civ. 208 del 1975; Cass. Civ. n. 2328 del 1972). Ne consegue che il venditore garante ne risponde senza colpa dei danni da cattivo funzionamento (Cass. Civ. 5428 del 1977). La garanzia in esame dà diritto alla riparazione o alla sostituzione della cosa, concedendo comunque al venditore, contro cui sia stata proposta domanda per la risoluzione del contratto per inadempimento, di ottenere dal giudice un termine per la riparazione o la sostituzione del bene, decorso il quale, l'acquirente potrà insistere per la risoluzione senza la necessità di una nuova denuncia (Cass. Civ. n. 2634 del 1966). Ovviamente, se il venditore non provvede tempestivamente alla sostituzione o riparazione della cosa oppure se il funzionamento della stessa rimane insufficiente, resta al compratore l'esercizio dei normali mezzi di tutela predisposti contro l'inadempimento, tra cui il risarcimento del danno derivante dall'inadempimento della obbligazione che, come ricordato dalla Corte Costituzionale, rappresenta sempre la tutela minima ed indefettibile esistente all'interno del nostro ordinamento. I presupposti fondamentali della garanzia di buon funzionamento prevedono che il venditore debba aver garantito il bene per un determinato periodo di tempo, che il difetto di funzionamento debba essere denunciato al venditore entro 30 giorni dalla scoperta, a pena di decadenza - e l'azione deve essere esperita entro 6 mesi a pena di prescrizione. 5. Nel merito. 5.1 Premesso quanto sopra, la domanda proposta dall'originario attore è fondata e merita accoglimento. Le parti attrici, infatti, anche alla luce della distribuzione dell'onere probatorio sopra ricordato, hanno provato il cattivo funzionamento del termocamino e, in ordine alla tempestiva denunzia, non sussiste neppure contestazione da parte delle altre parti. Inoltre, hanno allegato la garanzia convenzionale offerta dalla (...) ma, per le ragioni sopra esposte, confluita nell'oggetto del contratto di vendita stipulato dal (...) con la società originariamente convenuta; per l'effetto, la società venditrice si era obbligata nei confronti del consumatore per la durata di cinque anni, a fornire un nuovo termocamino in sostituzione, qualora il corpo caldaia avesse presentato perdite d'acqua. L'opuscolo della (...) allegato dalle parti (pag. 13) recita, infatti, che viene offerta "una garanzia di cinque anni sul corpo caldaia alle presenti condizioni: se il corpo caldaia dovesse presentare delle perdite d'acqua nei primi cinque anni di vita, l'acquirente ha diritto ad un nuovo termocamino in sostituzione". Del resto, lo stesso teste di parte convenuta (...) ha affermato "che il signor (...) ha effettuato la scelta del Termocamino sulla base del catalogo tecnico, informativo e pubblicitario redatto dalla (...) srl ed intestato alla stessa ", aggiungendo, inoltre, che "abbiamo consegnato il termocamino modello 35 con tutta la documentazione che c'era dentro il camino, ossia la garanzia, la documentazione tecnica, pubblicitaria ed informativa, il manuale d'uso e di installazione. Ho visto visivamente che vi era tutta la documentazione citata all'interno del camino e ho visto anche il numero di matricola del termocamino perché effettuo i controlli prima della consegna del termocamino. Ho consegnato personalmente io con il mio furgoncino Scudo intestato a me (...) il termocamino". Sussistono, poi, tutte le condizioni previste per poter usufruire della garanzia, dal momento che non vi è dubbio (anche alla luce di quanto si dirà in prosieguo), in primo luogo, che il bene sia stato installato in conformità a quanto riportato nel manuale d'uso. Nessuna prova in senso contrario è stata fornita dalle parti convenuta e terza chiamata. Assorbente, poi, il rilievo per cui il difetto di conformità si sia manifestato solo a distanza di 4 anni dalla installazione; per cui, trattandosi di problema inerente la caldaia, nessun vizio di installazione è ragionevolmente sussistente. Il medesimo discorso può essere effettuato in relazione alla centralina, dal momento che non era indispensabile il collegamento ad una centralina (...), ma semplicemente sufficiente quello ad una centralina similare. Del resto, lo stesso opuscolo evidenzia in maniera lapalissiana l'estrema facilità del montaggio nonché il livello elementare dell'utilizzo dello stesso nonché del collegamento alla centralina. Alla luce delle risultanze istruttorie e probatorie emerse in corso di giudizio, appaiono rispettate le condizioni richieste dalla società. 5.2. Infondata è l'eccezione di prescrizione e decadenza sollevata dalle convenute, in quanto non sono applicabili le preclusioni previste dall'art. 1495 c.c.. nè i termini previsti dall'art. 132 Codice Consumo. Nel caso di specie, infatti, accanto alla garanzia legale obbligatoria è stata fornita al consumatore una garanzia convenzionale commerciale ulteriore della durata di cinque anni dalla consegna del bene. Invero, gli attori hanno agito in virtù di una garanzia convenzionale di estensione maggiore rispetto a quanto previsto ordinariamente dal codice civile o dal Codice del Consumo e, conseguentemente, non si può ipotizzare - sul piano logico prima ancora che giuridico - che il venditore prometta la qualità di un prodotto durevole per cinque anni e che, dall'altro, l'azione sia soggetta al termine di prescrizione annuale o di ventisei mesi dalla consegna. Del resto, conforta l'assunto logico il dato normativo, dal momento che l'art. 1512 c.c. àncora la decadenza alla denunzia del vizio entro 30 giorni dalla scoperta - nel caso di specie neppure specificamente contestato - e la prescrizione della azione entro 6 mesi dalla scoperta. Vale rammentare, nel caso di specie, che il procedimento per accertamento tecnico preventivo è stato esperito con ricorso del 17.2.10. 5.3. Tenuto conto quanto sopra espresso in relazione al riparto dell'onere della prova in materia di garanzia convenzionale di buon funzionamento, gli attori hanno dedotto e provato il cattivo funzionamento del termocamino. In particolare, la perdita dell'acqua proveniente dalla caldaia del termocamino, pur prescindendo del tutto dall'ATP svolto, risulta provata dalla testimonia nza dell'Aversa, il quale ha verificato personalmente la perdita, nonché dalla documentazioni in atti, posto che, come si evince dalla corrispondenza intercorsa, i tecnici della (...) si sono tempestivamente attivati e, riscontrato il vizio, hanno concluso per l'impossibilità di ripararlo in loco. Del resto, anche dalle fotografie prodotte in sede di accertamento tecnico preventivo, è agevolmente evincibile la perdita di acqua che dal corpo della caldaia confluiva nella bocca del termocamino; né sussiste, in relazione alla esistenza del vizio (aspetto diverso rispetto alla causale riconducibilità dello stesso ad una azione o omissione delle parti), una specifica - e, quindi, idonea allo scopo - contestazione delle parti. In presenza, pertanto, dell'operare della garanzia e provata l'esistenza del vizio del bene, il compratore, per le ragioni sopra esposte, ha assolto al proprio onere probatorio; grava, invece, su coloro che hanno concesso la garanzia l'onere di individuare e provare la causa del cattivo funzionamento, il tempo della sua insorgenza, la non imputabilità del cattivo funzionamento ad un fatto proprio. Tale onere della prova non è stato per nulla assolto né dal convenuto né dal terzo chiamato, traducendosi le contestazioni delle parti in mere asserzioni prive di alcun riscontro probatorio. 5.4 Con riguardo alle caratteristiche del prodotto acquistato in relazione alla superficie dell'abitazione, risulta dalla fattura n. (...) del 28.08.2006 che l'originario attore ha acquistato il termocamino modello (...), il quale, sulla base di quanto contenuto nel manuale d'uso allegato al fascicolo di parte, è idoneo al riscaldamento di un'abitazione della superficie compresa tra i 170 e i 250 mq - circostanza confermata anche dal teste (...). In senso contrario nulla è emerso dalla prova espletata, circa l'inadeguatezza del termocamino in relazione alle dimensioni della abitazione. Del resto, è palese che la estensione dell'immobile può incidere sulle prestazioni del termocamino (quindi sulla garanzia indicata alla lettera b. di pagina 13), ma non sulle perdite d'acqua del corpo caldaia. Irrilevanti risultano anche le dichiarazioni dei testi concernenti la preesistenza dell'impianto, posto che non si può evincere dalla garanzia offerta dalla (...) S.R.L. ulteriore condizione o diversa articolazione della stessa relativa alla preesistenza o meno di un impianto. Secondo le dichiarazioni pubblicitarie evincibili dall'opuscolo, il termocamino è compatibile ed idoneo a supportare qualsiasi tipo di impianto. 5.5. Altresì infondato il rilievo della convenuta e dalla terza chiamata con riferimento alla presunta carenza di manutenzione ordinaria del bene, anche alla luce del fatto che, alla pagina 4 del manuale d'uso, viene richiesta la pulizia del termocamino "solo una volta all'anno". Nulla è emerso dai documenti in atti e dalle prove testimoniali espletate in ordine alla carente manutenzione del termocanimo, pur gravando sulle stesse l'onere probatorio. In senso contrario depone il fatto che il termocamino ha correttamente funzionato per un periodo di tre anni, laddove una cattiva manutenzione ordinaria avrebbe potuto ragionevolmente causare inefficienza del prodotto e/o danni riconducibili alla condotta dell'attore, ben prima del periodo di tempo indicato. 5.6. Le medesime considerazioni possono essere svolte anche in relazione alla installazione del termocamino, poiché nessun elemento è emerso dalle prove espletate, in ordine a vizi riconducibili al montaggio del prodotto nella abitazione del (...). In particolare, si evidenzia sul punto che l'opuscolo pubblicitario esplicita chiaramente che il prodotto si installa con estrema facilità e può alimentare tutti i tipi di impianti sia da solo sia abbinato a qualsiasi tipo di caldaia. Inoltre, il teste (...), che ha personalmente provveduto all'installazione del prodotto, afferma chiaramente di aver seguito pedissequamente il procedimento di installazione indicato nel manuale istruttivo offerto dalla (...), collegando il termocamino alla centralina preesistente. Mere asserzioni prive di supporto probatorio sono anche le deduzioni del terzo chiamato, secondo cui l'acqua che cadeva nel termocamino ben avrebbe potuto essere ricondotta ad una pompa esterna al meccanismo della caldaia ovvero che il vizio fosse riconducibile alla qualità del fluido utilizzato dal consumatore ovvero dalla qualità della legna utilizzata ovvero dalle caratteristiche richieste della canna fumaria. Si rileva, a prescindere dall'assorbente rilievo in ordine all'onere della prova mai fornita (né in ordine alla individuazione della causa del vizio, riscontrandosi solo confusionarie ipotesi prive di qualsiasi sostegno e, peraltro, in chiara contraddizione logica tra loro, né in ordine alla non imputabilità dello stesso alla convenuta o ai terzi chiamati), la semplicità nell'utilizzo del termocamino "senza che serva alcuna esperienza", nonché l'idoneità dello stesso ad alimentare qualsiasi tipo di impianto termico, sia da solo sia abbinato alla caldaia a gas o ad altri generatori di calore, essendo previsti abbinamenti di facile realizzazione e dal funzionamento automatico, secondo quanto emerge delle dichiarazioni pubblicitarie nell'opuscolo in atti. Anche in tal caso, il funzionamento del termocamino per un arco temporale di circa 4 anni, consente di affermare con ragionevole probabilità che lo stesso fosse stato correttamente installato. 5.7. Da ultimo si rileva che, privo di pregio giuridico è il rilievo concernente il presunto mancato invio da parte dell'attore del coupon ritenuto necessario per l'attivazione della garanzia, posto che tale condizione non è evincibile da alcuna delle allegazioni delle parti, né emerge dal patto di garanzia né dalle dichiarazioni pubblicitarie. E, anzi, si legge dalla garanzia prestata che la caldaia è garantita per le perdite d'acqua che si dovessero presentare "nei primi cinque anni di vita", locuzione agevolmente interpretabile nel senso che il termine iniziale di garanzia coincide con il primo giorno di funzionamento e che ha durata di cinque anni, senza altra ulteriore condizione. Né rileva un asserito comportamento ostativo del (...), dal momento che il tenore letterale della garanzia prevede la sostituzione automatica del camino in caso di perdite d'acqua, non già la riparazione dello stesso. 5.8. Confortano - esclusivamente ad adiuvandum - le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale, gli esiti dell'accertamento tecnico preventivo espletato prima di introdurre il giudizio di cognizione ordinario. Deve, in primo luogo, rilevarsi che non può essere accolta la eccezione di nullità della Consulenza tecnica di ufficio sollevata soprattutto dalla parte convenuta, in relazione al mancato invio della bozza da parte del Consulente alle parti per le osservazioni. Ad avviso del Tribunale, si tratta di nullità sanata ex art. 157 c. 3 c.p.c.. Infatti, il Consulente non ha provveduto all'invio della bozza dal momento che, alla udienza del 17.6.10, il giudice istruttore ha conferito l'incarico fissando semplicemente la data di inizio delle operazioni peritali nonché quella per il deposito dell'elaborato peritale. A quella udienza di conferimento dell'incarico, le parti nulla hanno osservato in re lazione al provvedimento del giudice della fase dell'A.t.p.; né alcuna richiesta è stata formulata all'inizio delle operazioni peritali, cui hanno partecipato tutte le parti in causa, non ravvisando, dunque alcuna violazione dei principi del contraddittorio. Per l'effetto, non curandosi di provocare tempestivamente la rinnovazione o la regolarizzazione dell'atto, in una ottica di buona fede processuale e inutile dispendio di attività processuale, la parte convenuta e la terza chiamata hanno contribuito con il loro comportamento a dar causa alla nullità ex art. 157 c. 3 c.p.c.. Nell'ambito, poi, del procedimento per accertamento tecnico preventivo, iscritto al n. 243/2010 RG, dinanzi all'intestato Tribunale, l'ing. (...), in risposta ai quesiti formula ti, ha accertato l'esistenza del danno specificando che l'importante perdita di acqua impedisse il corretto funzionamento del camino ed ha escluso che lo stesso potesse essersi verificato a causa dell'uso comune da parte dell'attore originario. Con riferimento, poi, alla causa del danno e all'uso del bene da parte dell'attore, in perizia il CTU ha affermato che: "il semplice utilizzo del termocamino da parte del ricorrente non avrebbe in alcun modo e in nessun caso potuto causare l'inconveniente lamentato. Il difetto riscontrato è da imputarsi esclusivamente ad un vizio originario o difetto costruttivo dovuto ai lamierati utilizzati, oppure all'imperfetta esecuzione delle saldature". Va, inoltre, precisato che il CTU ha escluso che la perdita potesse derivare da un difetto di installazione, posto che, in caso contrario, "sarebbe venuto fuori nei primi giorni di utilizzo dell'apparecchio" e non certamente dopo tre anni. Ulteriormente in fatto, si segnala che la (...) SRL ha offerto al consumatore una garanzia convenzionale ulteriore della durata di 5 anni "... sul corpo della caldaia alle seguenti condizioni: a) se il corpo caldaia dovesse presentare delle perdite d'acqua nei primi cinque anni di vita, l'acquirente ha diritto ad un nuovo termocamino in sostituzione". Riguardo ai fatti posti a fondamento della domanda si segnala che, sulla base di quanto emerso nel corso del giudizio, le importanti perdite riscontrate dall'attore ed emerse dal supporto probatorio emerso rientrano tra quelle previste dalla garanzia. 5.9. Come precedentemente solo accennato, le parti attrici hanno proposto un'azione di risarcimento del danno; l'azione, in generale, è cumulabile sia con la domanda di risoluzione sia con quella di riduzione del prezzo, ma, essendo autonoma rispetto ad entrambe, può essere esercitata anche da sola (cfr. Cass. Civ. 26852 del 2013). È orientamento consolidato della Suprema Corte quello per cui, in materia di garanzia per vizi nella vendita, il compratore può esercitare l'azione di danni da sola, cioè senza chiedere né la risoluzione, né una riduzione del prezzo. Analoga facoltà non può essere negata al consumatore. Del resto, pur avendo sollecitato l'intervento sostitutivo espressamente oggetto della garanzia convenzionale, né il venditore né il produttore hanno provveduto alla sostituzione del bene senza spese da parte del (...). Secondo i pacifici principi in tema di prova dell'inadempimento di un'obbligazione, il creditore, come già sopra espresso, ha assolto il proprio onere probatorio; di contro, la parte venditrice convenuta non ha fornito alcuna prova del proprio adempimento o di fatti modificativi/estintivi della obbligazione dedotta. Pertanto, ai sensi degli artt. 1218 e 1256 c.c., il debitore è responsabile per l'inadempimento dell'obbligazione fino al limite della possibilità della prestazione, presumendosi, fino a prova contraria, che l'impossibilità sopravvenuta, temporanea o definitiva, della prestazione stessa gli sia imputabile per colpa. L'inadempimento della obbligazione determina, pertanto, il sorgere della obbligazione risarcitoria, in base ai generali principi in tema di inadempimento della obbligazione. Né rileva la tipicità dei rimedi previsti dall'art. 130 codice del consumo: riparazione del bene, sostituzione dello stesso, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto. Tra i diritti che competono al consumatore, "nel caso di difetto di conformità", l'art. 130 cod. consumo, comma 2 non annovera il diritto al risarcimento del danno cagionato dall'inadempimento. Ciò non significa peraltro che il consumatore che abbia ricevuto un bene non conforme al contratto non possa esercitare, nei confronti del professionista, delle pretese risarcitorie: il diritto al risarcimento del danno rientra senz'altro fra i "diritti" attribuiti al consumatore da "altre norme dell'ordinamento giuridico" italiano, secondo la previsione dell'art. 135 cod. consumo (cfr. Cass. civ. n. 1082 del 2020). Per l'effetto, la parte convenuta deve essere chiamata a risarcire il danno sofferto dagli attori, che sia conseguenza dell'inadempimento dedotto. 6. Il risarcimento del danno e la quantificazione della pretesa. Posta la fondatezza della domanda, atteso quanto finora rilevato in fatto e motivato in diritto, si evidenzia quanto segue. 6.1. Come già sopra accennato, correttamente l'azione risarcitoria è stata esperita originariamente nei confronti della (...), soggetto che ha venduto il bene al (...). È, infatti, principio consolidato quello secondo il quale "nella vendita a catena di beni di consumo, all'acquirente spettano, ai sensi dell'art. 131 del D.Lgs. n. 206 del 2005, l'azione contrattuale, esperibile esclusivamente nei confronti del diretto venditore, per l'ipotesi di difetto di conformità del bene, nonché quella extracontrattuale contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa; né l'eventuale prestazione volontaria, da parte del produttore, di una garanzia convenzionale, ai sensi dell'art. 133 del citato d.lgs., determina una deroga a tali principi, sicché il cliente finale (consumatore) non può agire diretta mente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (venditore finale), ultimo anello della detta catena e suo dante causa." (Cass. civ. n. 18610 del 2017). In altre parole, in virtù del combinato disposto degli art. 128 e 131 D.Lgs. n. 206 del 2005, si desume chiaramente che l'obbligato nei confronti del consumatore è il venditore e non il produttore, il quale è semplicemente esposto all'azione di regresso nei confronti dei soggetti ivi indicati. Il cliente finale (il consumatore) non può agire direttamente verso uno qualsiasi dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (il venditore finale), ultimo anello della catena distributiva e suo dante causa e che è, appunto, il soggetto con il quale ha contrattato. L'art. 133, che disciplina la garanzia convenzionale offerta dal produttore o dal venditore, non deroga ai principi di cui al precedente art. 131, per i quali il cliente finale (il consumatore) non può agire direttamente verso uno (qualsiasi) dei soggetti della catena distributiva, ma deve necessariamente rivolgersi al suo immediato venditore (il venditore finale), ultimo anello della catena distributiva e suo dante causa e che è, appunto, il soggetto con il quale ha contrattato. Si tratta, peraltro, di principi consolidati in dottrina, che esclude la possibilità per il consumatore di agire per vizi con azione contrattuale direttamente nei confronti del produttore, non essendo concepibile che il produttore, per il solo fatto di mettere in commercio beni di consumo operi una promessa al pubblico generalizzata a tutti i futuri subacquirenti. Fuori dal contratto, l'azione diretta richiede una espressa previsione normativa. Del tutto inconferente la norma citata dalla parte convenuta, dal momento che il Codice del Consumo - ratione temporis applicabile al caso di specie - distingue nettamente tra il prodotto pericoloso e il prodotto che presenta vizi. 6.2. La domanda risarcitoria esperita dalla parte attrice nei confronti della parte convenuta è, allora, fondata e deve essere accolta. In relazione alla esatta quantificazione del danno, si osserva quanto segue. Il principio di causalità impone che il debitore è tenuto al risarcimento del danno che sia conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento. D'altro canto, l'obbligo del risarcimento deve adeguarsi al danno effettivamente subito dal creditore, il quale non deve ricevere né più né meno di quanto necessario a rimuovere gli effetti economici negativi dell'inadempime nto o dell'illecito (in maniera puntuale, v. Cass. Civ. 15814 del 2008, ove si precisa, sistematicamente, che il risarcimento misurato sull'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto importa che lo stesso non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive, ma al solo fine di compensare il pregiudizio subito dal titolare). Sotto il profilo processuale, coerentemente, la prova del danno spetta al danneggiato, il quale deve dimostrare gli elementi costitutivi dello stesso, sia per quanto attiene agli eventi lesivi, sia per quanto attiene agli effetti economici negativi, quale perdita economica di cui si chiede il risarcimento (v. Cass. Civ. 25895 del 2016; in maniera precisa anche Cass. Civ. n. 608 del 1973). Secondo condivisa giurisprudenza, infatti, in tema di responsabilità contrattuale spetta al danneggiato fornire la prova dell'esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore; l'art. 1218 cod. civ., che pone una presunzione di colpevolezza dell'inadempimento, infatti, non modifica l'onere della prova che incombe sulla parte che abbia agito per l'accertamento di tale inadempimento, allorché si tratti di accertare l'esistenza del danno. (v. Cass. Civ. n. 21140 del 2007). Orbene, la mancata sostituzione del bene non è neppure oggetto di specifica contestazione. 6.3 Ciò premesso, con riguardo al quantum di cui alla domanda, va, in primo luogo, osservato che alcuna somma può essere riconosciuta agli attori a titolo di risarcimento, con riferimento alle somme richieste per la espletata CTU in sede di accertamento tecnico preventivo, poiché, come correttamente osservato dalle altre parti, tali importi rientrano tra le spese di giustizia e non rappresentano una voce di danno risarcibile. 6.4 In secondo luogo, in relazione al danno emergente subito per effetto dell'altrui inadempimento, certamente deve essere risarcita la somma per l'acquisto di un nuovo termocamino dello stesso modello di quello originariamente acquistato, per un importo, comprensivo di IVA e del trasporto, pari a Euro 2.475,00. Nessun dubbio che il modello acquistato sia il medesimo (V., laddove, invece, il numero 2 collocato accanto in fattura evidenzia semplicemente il numero di scambiatori contenuti). 6.5. Dal momento che, poi, l'oggetto della garanzia prevedeva la sostituzione del bene, devono essere ricomprese anche le spese per lo smontaggio del termocamino e la installazione del nuovo. Ma, tra le necessitate erogazioni di importi economici cui deve essere reintegrato il patrimonio dell'attore, rientra anche la spesa per il rifacimento del mobile in cartongesso e della cappa, dal momento che, come si desume dalle fotografie depositate, la sostituzione del termocamino non sarebbe stata possibile senza i necessari interventi concernenti anche il mobile e il rivestimento del camino. Il risarcimento del danno, infatti, ha lo scopo di porre il compratore in una posizione economicamente equivalente non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se l'avesse concluso a un prezzo inferiore, ma a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (cfr. Cass. civ. n. 1082 del 2020). 6.6. Per l'esatta quantificazione del danno subito, una ulteriore Consulenza tecnica d'ufficio non sarebbe stata utile allo scopo, dal momento che il tempo trascorso non avrebbe consentito una corretta valutazione delle conseguenze dannose né dello stato dei luoghi, alla luce degli interventi nelle more effettuati. Osta, inoltre, alla stessa l'esiguo importo degli importi accessori risarcibili. Il danno, peraltro, una volta provato l'evento lesivo e le conseguenze materiali dannose dello stesso, può essere liquidato dal giudice in via equitativa ex art. 2056 e 1226 c.c., attesa la difficoltà sopra esposta di provare l'ammontare preciso del danno e ritenuto che, sulla base della documentazione acquisita e della intera istruttoria espletata, sia possibile pervenire ad una quantificazione che non si discosti in misura notevole dalla reale entità del pregiudizio subito. Sotto tale profilo, è opportuno ricordare che la giurisprudenza, in relazione al preventivo, rammenta che lo stesso di per sé considerato non possa costituire prova del danno; ma è anche vero che tale documento può fungere da base per la liquidazione equitativa del danno subito ex art. 1226 c.c., laddove vi sia indicazione analitica delle voci di spesa e corrispondenza tra le parti danneggiate indicate in tale documento e i danni raffigurati nella documentazione fotografica prodotta (cfr. Cass. Civ. n. 591 del 1995). Tali considerazioni possono essere valorizzate anche in relazione alle fatture in atti, dal momento che, nella loro quantificazione economica, non sono state oggetto di specifiche contestazioni. Inoltre, nel caso in esame, è possibile evidenziare la precisa corrispondenza tra la documentazione fotografica in atti, le voci di danno lamentate nell'atto introduttivo e le riparazioni necessarie utili ad eliminare proprio le conseguenze pregiudizievoli subite dalla parte attrice. Inoltre, la compatibilità e corrispondenza del danno subito e quello oggetto dei lavori di sostituzione è altresì suffragato dalla estensione della garanzia, comprensiva di tutte le spese idonee alla sostituzione del bene (cfr. in tal senso anche l'art. 130 c. 6 Codice Consumo). Per l'effetto, congrue possono essere ritenute le somme di cui alla fattura n. (...) del 30.11.2010 emessa da (...)S. A. per Euro 2.200,00 per il rifacimento del rivestimento in cartongesso, nonché le somme di cui alla fattura n. (...) del 25.11.2010 per Euro 660,00 per lo smontaggio e rimontaggio del termocamino emessa da (...), per un totale complessivo di Euro 2.860,00, già comprensivo di IVA. 6.7. Non può, invece, essere riconosciuta alcuna somma a titolo di spese per la sistemazione del marmo, dal momento che non si evince da alcun elemento che lo stesso sia stato irrimediabilmente danneggiato per effetto della sostituzione. Per le ragioni sopra spiegate, dunque, la parte convenuta venditrice deve essere condannata, a titolo di risarcimento danni per responsabilità contrattuale nei confronti degli attori, per un complessivo importo di Euro 2.860,00 + Euro 2.475,00. 6.8 Per l'effetto, il danno emergente subito dalla parte attrice può essere quantificato in Euro 5.335,00, somma idonea a collocare il danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi o fosse stata tempestivamente riparata ed espressa in valori monetari coevi alla data dell'esborso sostenuto. La somma liquidata ha ad oggetto un debito di valore che, non essendo soggetto al principio nominalistico, deve essere rivalutato in considerazione del diminuito potere di acquisto della moneta intervenuto fino al momento della decisione. Il giudice, infatti, nella relativa quantificazione deve tenere conto anche d'ufficio della svalutazione monetaria verificatasi sino alla data della liquidazione (cfr. Cass. Civ. n. 3529 del 1983; Cass. Civ. n. 5740 del 1986, con specifico riferimento al caso in esame). Tale importo deve essere rivalutato all'attualità, per una somma pari ad euro Euro 6.289,97, operata in base all'indice ISTAT delle variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai (cosiddetto indice FOI). 6.9.Nella liquidazione del danno cagionato da illecito/inadempimento contrattuale, in caso di ritardo nell'adempimento, tuttavia, deve altresì tenersi conto del nocumento finanziario (lucro cessante) subito dal soggetto danneggiato a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro, dovuta a titolo di risarcimento, la quale, se tempestivamente corrisposta, avrebbe potuto essere investita per ricavarne un lucro finanziario; tale danno, invero, ben può essere liquidato con la tecnica degli interessi, con la precisazione, tuttavia, che detti interessi non debbono essere calcolati né sulla somma originaria, né su quella rivalutata al momento della liquidazione, dovendo gli stessi computarsi, piuttosto, o sulla somma originaria progressivamente rivalutata, anno per anno, e cioè, in base ad un indice di rivalutazione medio (in questo senso tra le tante Cass., SS. UU. n. 1712 del 1995, nonché Cass. Civ. n. 2796 del 2000). Può farsi ricorso, quindi, al tasso legale degli interessi per risarcire, in termini di lucro cessante, il danno imputabile al ritardo con cui la parte danneggiata ottiene la disponibilità dell'equivalente pecuniario del debito di valore dedotto in lite. Tali interessi al tasso legale ex art. 1284 c.c. dovranno calcolarsi con riferimento all'arco temporale intercorso tra la data della domanda giudiziale (notifica dell'atto di citazione del presente giudizio) e la presente pronuncia, sulla somma dapprima originariamente devalutata alla data della domanda e successivamente incrementata anno per anno nominalmente fino all'importo liquidato in base ai coefficienti ISTAT, con divieto di anatocismo (si veda per l'adottato metodo di liquidazione la già citata Cass. civ., Sez. Un. n. 1712 del 1995). Dalla data di pubblicazione della sentenza sulla somma complessivamente determinata decorreranno gli interessi al saggio legale e fino all'effettivo soddisfo, in quanto dalla pronuncia della sentenza, con la trasformazione dell'obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti gli ulteriori interessi al saggio legale (cfr. Cass. civ. n. 10884 del 2007; Cass. civ. n. 13463 del 1999). Infatti, quanto al calcolo degli interessi sulle somme dovute a titolo di risarcimento per inadempimento di una obbligazione non avente sin dall'inizio per oggetto una somma di denaro, la stessa costituisce pur sempre una obbligazione di valore (Cass. Civ. n. 10600 del 2010; Cass. Civ. n. 492 del 2001); e il momento al quale occorre riferirsi, al fine di calcolare la somma spettante al creditore in aggiunta a quella che rappresenta la prestazione non conseguita, è quello della domanda giudiziale, mediante la quale il debitore deve comunque ritenersi costituito in mora, anche se in quel momento la somma era illiquida (v. Cass. Civ. 25402 del 2009; Cass. Civ. 9415 del 1997; Cass. Civ. 6614 del 2015). Per effetto di tutto quanto esposto, parte convenuta deve essere condannata a risarcire la somma indicata nei confronti di parte attrice. 7. La domanda di garanzia impropria proposta dalla convenuta nei confronti della terza chiamata. Con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata, l'originaria convenuta ha richiesto la chiamata in causa della (...) s.r.l., produttore del bene in questione, al fine di essere manlevata da ogni pronuncia pregiudizievole nei propri confronti. La domanda deve essere qualificata come domanda di garanzia impropria, tipica nelle ipotesi di vendita a catena, in cui il venditore finale, chiamato a risarcire i danni al compratore per vizi o difetti della cosa venduta, ha diritto di rivalersi nei confronti del produttore, per le difformità denunciate dal consumatore e posti a fondamento della sua domanda. Nella vendita a catena, il principio dell'autonomia di ciascuna vendita non impedisce al rivenditore di proporre, nei confronti del proprio venditore, domanda di rivalsa di quanto versato a titolo di risarcimento del danno all'acquirente, quando l'inadempimento del rivenditore sia direttamente connesso e consequenziale alla violazione degli obblighi contrattuali verso di lui assunti dal primo venditore (v. Cass. Civ. n. 1631 del 2020; Cass. Civ. n. 2115 del 2015). Sussiste, peraltro, la specifica disposizione dell'art. 131 del Codice del Consumo, che attribuisce al venditore azione di regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della catena distributiva. Essendosi limitata la (...) al semplice trasferimento del bene dal produttore al consumatore finale, non vi è dubbio, anche alla luce di tutto quanto sopra espresso, che il difetto di conformità sia imputabile ad una azione o omissione del produttore e che l'inadempimento della originaria convenuta sia causalmente riconducibile al comportamento del produttore. Inoltre, l'esercizio del diritto di regresso del venditore finale, di cui alla detta norma, nei confronti del produttore (o degli altri soggetti ivi indicati), non può essere subordinato all'avvenuto adempimento di quanto preteso dal consumatore verso il venditore, nel caso in cui quest'ultimo ritenga che il danno subito dal consumatore sia conseguenza di un difetto di conformità imputabile ad una azione o omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario. E, invero, non può sostenersi che la norma in parola abbia introdotto un onere a carico del venditore e una situazione privilegiata del produttore, senza che sia al riguardo ravvisabile una ragionevole e plausibile ratio (cfr. sul punto Cass. civ. n.8164 del 2021). Per effetto di tutto quanto esposto, in accoglimento della domanda di regresso di parte convenuta, la (...) s.r.l. deve essere condannata a tenere indenne la parte convenuta di tutto quanto prestato nei confronti del compratore e di quanto condannata a pagare in esecuzione della presente sentenza, ivi comprese le spese di lite che la convenuta dovrà corrispondere all'attore, in virtù della fondatezza della chiamata in causa per l'accertata responsabilità del produttore nella causazione del danno e dell'accoglimento dell'azione di regresso (cfr. Corte appello Roma n.5218 del 2020). 8. Il regime delle spese Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano d'ufficio come in dispositivo, tenuto conto: a) che tali spese vanno liquidate in base ai parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, (pubblicato in G.U. il 2.4.2014 ed entrato in vigore il 3.4.2014) in quanto tali nuovi parametri in base all'art. 28 di tale decreto "... si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore"; b) che, in effetti, ciò è in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a proposito dei parametri introdotti con D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2012, n. 17405); c) che il valore della presente controversia fa sì che rientri nello scaglione da Euro 5.201,00 ad Euro 26.000,00; d) del medio valore della stessa; e) del numero medio delle questioni giuridiche e di fatto trattate; f) del fatto che i valori medi di cui alle tabelle allegate al D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 4, comma 1 del medesimo decreto possono essere aumentati, di regola, fino all'80%, o diminuiti fino al 50% e che con specifico riferimento alla fase istruttoria l'aumento può essere di regola fino al (...)% e la diminuzione di regola fino al 70 per cento; g) dell'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione del processo in tempi ragionevoli da parte del difensore di parte convenuta, consistite nella proposizione di una pluralità di eccezioni in rito destituite di ogni fondamento, anche in seguito alla riassunzione disposta, nonché nella richiesta di revoca (fuori udienza) della ordinanza istruttoria resa a verbale in ordine alla prova, pacifica, della qualità di eredi degli attori in riassunzione; tali condotte, meramente dilatorie, giustificano una riduzione del compenso astrattamente spettante nella misura del 30%; h) del fatto che, se è accolta la domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti di un terzo, il giudice non può limitarsi a condannare questi al pagamento di quanto dal primo dovuto all'attore anche per spese processuali, dovendo invece liquidare anche le spese occorse per la chiamata in causa (cfr. Cass. Civ. Sent. n. 8166 del 1997). i) Del fatto che, atteso lo svolgimento dell'a.t.p. prima della introduzione del giudizio di merito, una volta che il mezzo di prova sia stato acquisito nel giudizio di merito, le somme erogate assumono carattere di spese giudiziali e, come tali, vanno poste a carico del soccombente (cfr. Cass. Civ. n. 15672 del 2005; Cass. Civ. n. 1690 del 2000). P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari - Sezione Civile - in composizione monocratica, definitivamente pronunziando sulla controversia civile promossa come in epigrafe, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede: A. Accertato l'inadempimento della parte convenuta, ACCOGLIE la domanda risarcitoria proposta dagli attori e, per l'effetto, CONDANNA il convenuto (...) al pagamento in favore degli attori (...), (...), (...), eredi di (...), della somma di Euro 6.289,97, oltre interessi decorrenti dal momento della domanda al tasso annuo legale ex art. 1284 c.c. e calcolati sul valore delle somme devalutate (come precisate in parte motiva) alla data della domanda e via via rivalutate secondo gli indici ISTAT con riferimento a ciascuna annualità fino al raggiungimento dell'importo liquidato, nonché interessi legali sulla complessiva somma così determinata dalla presente pronuncia fino al soddisfo, secondo il procedimento descritto in parte motiva; B. In accoglimento della domanda di regresso di parte convenuta, CONDANNA la terza chiamata (...) S.R.L. a tenere indenne (...) di tutto quanto condannato a pagare in favore degli attori per effetto della presente sentenza, ivi comprese le spese di lite; C. CONDANNA, altresì, parte convenuta (...) al pagamento in favore degli attori (...), (...) e (...) delle spese di lite che si liquidano in Euro 269,14 per esborsi vivi ed in Euro 4.835,00 per compensi professionali forensi, oltre I.V.A. e C.P.A., se dovute, nelle misure di legge e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso; D. CONDANNA la parte terza chiamata (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore della convenuta (...) delle spese di lite, che si liquidano in Euro (...),28 per esborsi vivi ed in Euro 3.384,50 per compensi professionali forensi, oltre I.V.A. e C.P.A., se dovute, nelle misure di legge e rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso, con distrazione in favore dell'avv. (...) per dichiarato anticipo; E. PONE definitivamente a carico del convenuto (...) e della terza chiamata (...) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, in pari misura tra loro, le spese anticipate dall'attore per l'espletamento della CTU nel giudizio di accertamento tecnico preventivo iscritto al n. 243/2010 RG, come liquidate con decreto del 29.10.10. F. MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di rito. Così deciso in Castrovillari l'11 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Matteo Prato, ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 899 del R.G. 2017, promossa da: (...) (C.F. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Lu.La.; - attore - contro (...) S.R.L. (P.I. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Pi.De.; - società convenuta - FATTI DI CAUSA Con atto di citazione ritualmente notificato (...) ha evocato in giudizio (...) s.r.l., assumendo che in data 9.8.2008 ebbe ad acquistare dall'odierna convenuta un impianto fotovoltaico per la propria abitazione che veniva installato sulla falda est della copertura del fabbricato e che entrava in funzione il 17.2.2009. Ha dedotto, poi, che - pur a fronte di una prospettata produzione annua di energia pari a 7.500,00 kwh - l'impianto aveva fin da subito palesato "numerosi malfunzionamenti" e la produzione di energia era stata molto al di sotto delle promesse fatte dalla società venditrice. Ha lamentato, quindi, che vane erano rimaste le numerose segnalazioni fatte alla società convenuta, la quale non ha inteso intervenire per porre rimedio a quanto lamentato. In ragione dell'inadempimento ascritto a controparte ha così invocato l'integrale ristoro del pregiudizio economico asseritamente patito non solo in termini di mancata produzione di energia da parte dell'impianto, ma anche in termini di spese sostenute per la messa in sicurezza dell'impianto, con vittoria di spese e competenze di lite. Con comparsa tempestivamente depositata per via telematica il 6.6.2017 si è costituita in giudizio (...) s.r.l., la quale ha impugnato in fatto ed in diritto le avverse deduzioni e conclusioni - di cui ha invocato l'integrale rigetto, con il favore degli onorari di lite e condanna di controparte ex art. 96 c.p.c. - negando l'esistenza di qualsivoglia profilo di responsabilità alla medesima riconducibile e contestando l'an ed il quantum della pretesa risarcitoria ex parteadversa azionata. Ha, poi, eccepito la decadenza di controparte dalla garanzia e l'intervenuta prescrizione della relativa azione ai sensi dell'art. 1667 c.c. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale ed espletamento dell'interrogatorio formale del legale rappresentante della società convenuta; all'udienza del 7.4.2022 la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni dei procuratori delle parti, come in atti rassegnate, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di scritti difensivi conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE La domanda proposta dall'attore è infondata e va, quindi, rigettata per le ragioni di seguito analiticamente illustrate. 1. Preliminarmente, ritiene opportuno questo Tribunale procedere al corretto inquadramento dogmatico del contratto oggetto dell'odierna res controversa e, dunque, chiarire se esso debba essere qualificato come contratto di appalto ovvero come contratto di compravendita. Al riguardo va osservato come costituisca ius receptum il principio secondo cui l'elemento che consente di distinguere il contratto di appalto da quello di compravendita nel caso in cui alla prestazione di facere (che caratterizza l'appalto) si affianchi quella di dare (tipica della vendita) vada individuato - ai fini della identificazione della disciplina applicabile al caso concreto - nella prevalenza del lavoro sulla materia, tenendo conto della volontà dei contraenti che emerge dalle clausole contrattuali e del rapporto fra valore della materia (prestazione di dare) e valore della prestazione d'opera (prestazione di facere). In particolare, il contratto misto avente ad oggetto la fornitura e la posa in opera deve essere qualificato come contratto di appalto se la somministrazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro integra lo scopo del negozio nel senso che l'oggetto prevalente dell'obbligazione assunta dal produttore/venditore è la realizzazione di un opus unicum o di un opus derivato dalla serie, ma oggetto di adattamenti o modifiche a richiesta del destinatario, mentre la fornitura della materia è un elemento concorrente. Il negozio, invece, va qualificato come contratto di compravendita se il lavoro rappresenta il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della res rappresenta l'effettiva finalità del contratto nel senso che l'attività per produrre il bene si inserisce nell'ordinario ciclo produttivo e la consegna della res costituisce oggetto dell'obbligazione assunta dal produttore-venditore. 2. Operato tale preliminare inquadramento, ritiene questo Tribunale che - sulla scorta del chiaro tenore testuale del contratto concluso dagli odierni contendenti in data 09/08/2008 (significativamente denominato "contratto di appalto di opera privata") - appaia prevalente la prestazione avente ad oggetto il facere rispetto alla prestazione di consegna del bene (con prevalenza del lavoro sulla materia), con la conseguenza che il contratto in questione deve essere inquadrato nello schema del contratto di appalto ai fini della individuazione della disciplina applicabile. Con esso, infatti, il L. ebbe a commissionare alla (...) s.n.c. la fornitura e posa in opera di un impianto fotovoltaico di potenza nominale di 5KWp connesso alla rete elettrica del GRTN da realizzarsi presso la villa di proprietà dell'attore sita in R. alla via I. S. s.n.c.. Nello specifico, la società convenuta all'art. 1 del predetto regolamento contrattuale assunse i seguenti obblighi: "a) Realizzazione del progetto preliminare dell'impianto fotovoltaico da presentare al gestore di rete per l'accesso alle "tariffe incentivanti" del "conto energia" previste dal D.M. 19 febbraio 2007 e s.m.i. e richiesta, per conto del Committente, allo stesso gestore della connessione alla rete ai sensi dell'art. 9 comma 1 del D.Lgs. n. 79 del 1999"; b) Trasmissione per conto del Committente, al gestore di rete della comunicazione di ultimazione dei lavori; c) Richiesta per conto del Committente al soggetto attuatore entro 60 gg. dall'entrata in esercizio dell'impianto della connessione della tariffa incentivante; d) Fornitura e Posa in opera di tutte le apparecchiature necessarie come da allegato "A", che è parte integrante e sostanziale del presente contratto, di un impianto fotovoltaico di 5 KWp connesso alla rete elettrica da realizzarsi presso la sede dell villa in Via I. S., snc in R. (C.) - cap 87067; e) Disbrigo pratiche richieste dal Comune dove insiste l'opera". 3. Ciò premesso, venendo all'esame del merito della questione per cui pende l'odierno procedimento, ritiene questo Tribunale che - ai fini della decisione del presente giudizio nel senso della reiezione della domanda di risarcimento danni azionata dall'attore - rilievo evidentemente dirimente ed assorbente assuma l'intervenuta decadenza dell'odierno attore dalla garanzia offerta dagli articoli 1667 e 1668 c.c., oltre al maturarsi della prescrizione della relativa azione. Posto che con l'atto introduttivo del presente giudizio il L. ha proposto domanda risarcitoria volta al conseguimento del ristoro dell'ingiusto pregiudizio asseritamente patito in virtù dell'altrui condotta inadempiente in relazione al contratto di appalto richiamato al punto che precede, va considerato come la Suprema Corte sia ampiamente consolidata nell'affermare che "l'articolo 1668 del c.c. nell'enunciare il contenuto della garanzia prevista dall'articolo 1667 del c.c., attribuisce al committente, oltre all'azione per l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risarcimento dei danni derivanti dalle difformità o dai vizi nel caso di colpa dell'appaltatore; sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell'opera e destinate a integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato articolo 1667 del c.c. si applicano anche all'azione risarcitoria, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della tutela del committente a conseguire un'opera immune da difformità e vizi con l'interesse dell'appaltatore a un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine ad un suo inadempimento nell'esecuzione della prestazione" (in tal senso, ex multis, Cassazione civile sez. II, 06/09/2017, n. 20839). Nel caso di specie, costituisce circostanza pacifica che l'opera appaltata fu accettata senza riserve dal L. ed entrò regolarmente in funzione già il 17.2.2009, mentre solo a distanza di oltre 4 anni (ovvero con la missiva datata 27.5.2013 e recapitata il 14.6.2013) il L. medesimo lamentò non meglio specificati "numerosi malfunzionamenti ed inefficienze" e "gravi problemi di produzione", richiedendo l'intervento in garanzia della convenuta. Appare dunque di tutta evidenza come - avendo lo stesso attore ammesso a pag. 2 dell'atto di citazione che "fin da subito l'impianto ha avuto numerosi malfunzionamenti e la produzione di energia è stata molto al di sotto delle promesse" - questi sia evidentemente incorso nella decadenza di cui all'art. 1667, comma 2 c.c. non avendo provato di aver proceduto alla relativa denuncia nel termine di 60 giorni dalla scoperta; l'onere della prova circa la tempestività della denuncia dei vizi o delle difformità dell'opera incombe, infatti, in capo al committente in quanto detta denunzia costituisce una condizione necessaria dell'azione. Ad ogni buon conto, l'azione proposta dall'attore è da ritenersi anche irrimediabilmente prescritta essendo stata avanzata dopo circa 8 anni dalla consegna dell'opera e, dunque, in violazione del chiaro disposto di cui all'art. 1667, comma 3 c.c.. Sotto tale ultimo aspetto la Cassazione ha efficacemente chiarito che "il committente che, ai sensi dell'art. 1667 c.c., agisca nei confronti dell'appaltatore per le difformità ed i vizi dell'opera, ha l'onere di provare i fatti posti a fondamento della sua domanda e quelli necessari per contrastare le eventuali eccezioni della controparte. Ne consegue che qualora l'appaltatore eccepisca ex art. 1667, comma 3 c.c. la prescrizione biennale del diritto di garanzia (termine il cui rispetto costituisce una condizione dell'azione e che decorre dalla data di consegna dell'opera, la quale consiste in un mero atto materiale e differisce dall'accettazione di essa, quale atto giuridico che contiene una valutazione dell'opera stessa e produce effetti diversi, fra cui quello previsto dal comma 1 del medesimo art. 1667 c.c.), la prova di quest'ultima incombe sul committente" (Cassazione civile sez. II, 13/12/2021, n. 39599). Pertanto, sulla scorta di tale complessivo ordine di ragioni la domanda attorea non può che essere rigettata, restando così assorbito lo scrutinio di ogni ulteriore profilo dedotto dalle parti. 4. Non meritevole di accoglimento, poi, risulta la richiesta di condanna ex art. 96 c.p.c. avanzata da parte convenuta, costituendo approdo condiviso e consolidato della Corte di Cassazione il principio secondo cui in tema di responsabilità aggravata per lite temeraria - avente, come noto, natura extracontrattuale - la domanda di cui all'art. 96, comma 1 c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'an, sia del quantum debeatur, o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa. Ebbene, non essendo emersa prova né della mala fede o colpa grave con cui avrebbe agito l'attore né del danno patito dalla richiedente, la domanda di condanna per lite temeraria proposta dalla convenuta va rigettata. 5. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite, le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo secondo le disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa, dell'attività effettivamente prestata e del complessivo livello di complessità delle questioni affrontate (nello specifico, Euro 800,00 per la fase di studio; Euro 700,00 per la fase introduttiva; Euro 1.000,00 per la fase istruttoria/trattazione ed Euro 900,00 per la fase decisionale). P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento rubricato al n. 899/17 R.G. - ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa ed assorbita - così provvede: 1. Rigetta la domanda di risarcimento danni formulata da (...). 2. Rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. formulata da parte convenuta. 3. Condanna parte attrice a rifondere - in favore della società convenuta, in persona del legale rappresentante pro tempore - le spese di lite del presente giudizio che vengono liquidate in complessivi Euro 3.400,00, oltre accessori come per legge. Così deciso in Castrovillari il 12 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI CASTROVILLARI - SEZIONE CIVILE in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Matteo Prato ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile, in primo grado, iscritta al n. 2637 del R.G. 2017, promossa da: (...) (c.f. (...) ), in qualità di titolare dell'impresa artigiana individuale "V. di (...)" (p.iva (...)), rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Santarcangelo; - attrice - contro (...) S.p.A. (c.f. e p.i. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. An.Te.; - convenuta - e (...) - SOCIETÀ COOPERATIVA (c.f. (...), p.i. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. An.Te.; - intervenuta - FATTI DI CAUSA Con l'atto introduttivo del presente giudizio (...) - nella qualità di titolare dell'impresa artigiana individuale "V. di (...)" - ha dedotto che in data 26.1.2004, nella qualità di parte mutuataria, ebbe a stipulare con l'allora (...) un contratto di "mutuo artigiano" a rogito del Notaio A.P. (rep. n. (...), racc. n. (...)) per un importo capitale pari ad Euro 150.000,00 da restituire in dieci anni a mezzo rate semestrali costanti e posticipate (le prime due di preammortamento) secondo le condizioni ivi pattiziamente convenute ovvero a tasso fisso (4,950%), con prestazione di ipoteca sulla proprietà superficiaria dell'immobile in atti descritto e concessione di fideiussione da parte di tale (...). Ha precisato, poi, che detto mutuo era stato rinegoziato il 21.2.2012, con passaggio della durata a complessivi sedici anni dalla data di stipula, restando ferme tutte le altre condizioni. Con riferimento al predetto negozio ha lamentato che, all'esito dell'indagine peritale commissionata al proprio tecnico di parte, era emersa la gratuità del mutuo in applicazione della L. n. 108 del 1996 e dell'art. 1815, comma II c.c., in quanto gli interessi di mora superavano il tasso soglia, oltre alla indeterminatezza del taeg, così concludendo per l'accoglimento delle conclusioni che di seguito si trascrivono: "Voglia l'On.le Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza: 1) accertare e dichiarare la nullità del contratto di mutuo Artigiano del (...) Rep. n. (...) Raccolta n. (...) e contestuale contratto rinegoziato del 21.02.2012 contraddistinto al n. contratto con n. di rep. (...) Raccolta n. 11.1012 per le causali di cui alla premessa del presente atto che qui devono intendersi per ripetute e trascritte; 2) Accertare e dichiarare la pattuizione usuraia del muto Artigiano del (...) Rep. n. (...) Raccolta n. (...) e contestuale contaratto rinegoziato del 21.02.2012 contraddistinto al n. contratto con n. di rep. (...) Raccolta n. (...) per le causali di cui alla premessa del presente atto che qui devono intendersi per ripetute e trascritte; 3) per l'effetto condannare (...) Spa in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in R. alla Piazza B. V. del C. 4/5 alla restituzione della somma di Euro 28.923,50 oltre interessi e rivalutazione monetaria o della maggior o minore somma che l'adito G.I. riterrà congrua; 4) condannare (...) in persona del suo legale rappresentante pro tempore con sede in R. alla Piazza B. V. del C. n. 4/5 ex art. 96 c.p.c.; 5) condannare in ogni caso la banca convenuta alle spese e competenze di causa, da distrarsi in favore del procuratore intestatario ex art. 93 c.p.c.". Instaurato il contraddittorio, con comparsa di risposta depositata per via telematica il 19.11.2018 si è costituita in giudizio (...) S.p.A., la quale ha ribadito la piena legittimità e correttezza del proprio operato, contestando in fatto ed in diritto - punto per punto - le avverse deduzioni e conclusioni, di cui ha invocato l'integrale rigetto, con il favore degli onorari di lite con distrazione ex art. 93 c.p.c. Con comparsa depositata telematicamente il 29.1.2020 si è costituita in giudizio anche (...) - Società Cooperativa, nelle more resasi cessionaria del credito in esame. Il giudizio veniva istruito a mezzo produzione documentale e all'udienza del 22.4.2022, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di scritti difensivi conclusionali. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Premesso che gli odierni contendenti hanno offerto prova documentale del contratto di mutuo artigiano tra i medesimi intercorso e supra richiamato e descritto, merita evidenziare che le deduzioni attoree in merito all'asserita applicazione di interessi moratori usurari non paiono condivisibili per le ragioni di seguito illustrate. Al riguardo, deve osservarsi che - secondo il recente e condivisibile orientamento di legittimità - "gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari, ma in prospettiva del confronto con il tasso soglia antiusura non è corretto sommare interessi corrispettivi ed interessi moratori. Alla base di tale conclusione vi è la constatazione che i due tassi sono alternativi tra loro: se il debitore è in termini deve corrispondere gli interessi corrispettivi, quando è in ritardo qualificato dalla mora, al posto degli interessi corrispettivi deve pagare quelli moratori; di qui la conclusione che i tassi non si possano sommare semplicemente perché si riferiscono a basi di calcolo diverse: il tasso corrispettivo si calcola sul capitale residuo, il tasso di mora si calcola sulla rata scaduta; ciò vale anche là dove sia stato predisposto, come in questo caso, un piano di ammortamento, a mente del quale la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell'adempimento dell'obbligazioni gravante sulla società utilizzatrice di restituire la somma capitale aumentata degli interessi; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione del costo complessivo del bene e la corresponsione degli interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni. In altre parole, preso atto della ricorrenza di un doppio tasso, uno attuale (quello corrispettivo), ed uno sospensivamente condizionato al ritardo e da esso decorrente (quello moratorio), si porrebbe in tal caso il problema della sorte della pattuizione relativa a tale secondo tasso che comporta costi solo eventuali: problema che la giurisprudenza di questa Corte risolve sanzionando la clausola relativa alla pattuizione degli interessi moratori ove determinati ad un tasso sopra soglia e non già come preteso dal ricorrente trasformando forzosamente, a vantaggio dell'inadempiente, il contratto da oneroso a gratuito. Ragionando in via ipotetica - perché si ripete, nel caso di specie, neppure si pone il problema della richiesta di pagamento di costi eventuali - la capacità in potenza moratoria degli interessi (eventuali) verrebbe risolta colpendo esclusivamente la relativa pattuizione: Cass., 15/09/2017, n. 21470" (Cass. civ. Sez. Unite, 18 settembre 2020, n. 19597; Cass. civ. Sez. III, 28 giugno 2019, n. 17447). Inoltre, "in materia di rapporti bancari, può discutersi di "cumulo" degli interessi corrispettivi con quelli moratori convenzionali in due accezioni differenti. La prima dipende dalla tecnica di redazione dei contratti bancari. Sovente, infatti, tali contratti prevedono che il tasso degli interessi moratori si ottenga sommando uno spread, ossia un incremento di percentuale, al saggio degli interessi corrispettivi. Ad esempio, se gli interessi corrispettivi sono determinati nella misura x%, il ritardato pagamento determinerà una maggiorazione di y punti percentuali e gli interessi moratori saranno dunque pari a (y+x)%. Ciò, ovviamente, non vuol dire che la banca continuerà a percepire, nonostante la chiusura del rapporto, sia gli interessi corrispettivi nella misura del x%, sia quelli moratori nella misura del y%. A prescindere dalla circostanza che la base del criterio di calcolo è costituita dal tasso dell'interesse corrispettivo, l'istituto mutuante percepirà un saggio complessivo pari a (y+x)%, ma soltanto a titolo di interessi moratori. Questa prassi contrattuale nasce da un'esigenza pratica, ossia quella di adattare il tasso degli interessi moratori alla complessità dei criteri di calcolo e all'andamento del saggio degli interessi corrispettivi, in modo da evitare che quelli di mora risultino inferiori. Infatti, se di regola lo spread connesso al passaggio del rapporto a sofferenza è rappresentato da un semplice valore numerico, la base di calcolo, ossia il saggio che era dovuto a titolo corrispettivo in costanza di rapporto, si calcola invece mediante formule matematiche, talvolta anche complesse, specialmente nei rapporti a tasso variabile. Orbene, quando il tasso degli interessi moratori contrattualmente è determinato maggiorando il saggio degli interessi corrispettivi di un certo numero di punti percentuale, solo impropriamente è possibile parlare di "cumulo". In realtà, non si tratta della contemporanea percezione di due diverse specie di interessi. La banca percepisce soltanto gli interessi moratori, il cui tasso è, però, determinato tramite la sommatoria innanzi descritta. Quindi, è al valore complessivo e non ai soli punti percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso di interesse moratorio effettivamente applicato e percepito. La seconda dimensione nella quale si pone un problema di "cumulo" di interessi corrispettivi e moratori è, in una certa misura, collegata alla prima. Nei rapporti bancari, soprattutto nei mutui con rata di ammortamento, si suole distinguere - secondo il gergo bancario - la fase dell'incaglio", in cui i pagamenti del cliente divengono problematici, ma la situazione non si è deteriorata a tal punto da dover formulare un giudizio prognostico negativo circa le sue capacità di ripianare la propria esposizione debitoria, dal "passaggio a sofferenza", che si verifica nel momento in cui la banca, esercitando il potere di recesso unilaterale attribuitole dal contratto, determina la "chiusura" del rapporto, con il conseguente obbligo per il cliente di restituire tutte le somme mutuate e non ancora corrisposte, con decadenza dal beneficio del termine (art. 1186 c.c.). Nella fase dell'incaglio" è frequente - anzi doveroso, alla stregua di un criterio di comportamento delle parti secondo correttezza e buona fede - che intervengano solleciti di pagamento non accompagnati dall'esercizio del diritto di recesso. Questi, pur non determinando la chiusura del rapporto, sono efficaci nel costituire in mora il debitore ai sensi dell'art. 1219 c.c. e, quindi, comportano il decorso degli interessi moratori. Infatti, gli effetti previsti dall'art. 1224 c.c. si producono dal giorno della mora del debitore e, trattandosi di obbligazioni pecuniarie, da quel momento il creditore ha diritto a percepire gli interessi moratori senza dover fornire la prova di aver sofferto alcun danno. Orbene, considerando la tecnica di redazione dei contratti bancari illustrata nel paragrafo precedente, ciò che accade in concreto è che il cliente, dal giorno in cui diviene moroso, è tenuto a corrispondere anche lo spread che costituisce la maggiorazione convenzionale degli interessi moratori. Ora, se il rapporto fosse definitivamente "chiuso" (id est, se la banca avesse esercitato il potere di recesso unilaterale) non vi sarebbe nessuna incertezza nel qualificare l'intero interesse percepito come avente natura moratoria. Nella misura in cui, invece, il rapporto è ancora "aperto", vi è la sensazione che il cliente continui a corrispondere l'interesse corrispettivo quale remunerazione per il godimento del denaro ed inoltre l'interesse moratorio per il ritardato adempimento. In questa prospettiva, l'interesse di mora (costituito dal solo spread) sembra cumularsi con l'interesse corrispettivo, conservando ciascuno dei due la propria individualità, funzione giuridica e autonomia causale. A chi ravvisa, in questa evenienza, un vero e proprio "cumulo" si deve però controbattere che l'art. 1224 c.c. prevede espressamente che dal giorno della mora sono dovuti gli interessi moratori nella stessa misura degli interessi previsti "prima della mora", ossia a titolo corrispettivo. Ne deriva, dunque, che pure in questa ipotesi non si determina alcun "cumulo" effettivo. Gli interessi corrisposti dal cliente moroso sono tutti di natura moratoria, sia per quel che concerne la maggiorazione prevista dal contratto nel caso di ritardato pagamento, sia per la parte corrispondente, nell'ammontare, agli interessi corrispettivi previsti "prima della mora" ma che, per effetto di quest'ultima, ha cambiato natura, così come testualmente disposto dall'art. 1224 c.c. In conclusione, quello del "cumulo" degli interessi corrispettivi e moratori nei rapporti bancari è, in realtà, un falso problema" (Cass. civ. Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26286). In buona sostanza, quindi, una apparente somma degli interessi di mora con quelli corrispettivi va effettuata soltanto nel caso in cui i primi siano determinati in contratto mediante una maggiorazione percentuale sul tasso dei secondi. In tale ipotesi, tuttavia, la somma ha la mera finalità di calcolare concretamente il tasso di mora, la cui applicazione rimane comunque alternativa agli interessi corrispettivi. Inoltre, l'usurarietà del tasso di mora determina la nullità esclusivamente degli interessi moratori, non estendendosi agli interessi corrispettivi e non rendendo, quindi, gratuito il mutuo. Per quel che riguarda, più specificamente, gli interessi moratori, si rileva che la Suprema Corte ha efficacemente chiarito che "questa Corte non ha mai dubitato dell'applicabilità del "tasso soglia" anche alla pattuizione degli interessi moratori (Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977; Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455; Sez. 3, Sentenza n. 5324 del 04/04/2003, Rv. 561894; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000, Rv. 535967) e che in senso analogo, peraltro, si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte Cost., Sentenza n. 29 del 2002). Più di recente, prendendo atto della circostanza che molti giudici di merito continuano ad opinare diversamente, la Cassazione ha sottoposto ad ampia e approfondita verifica le ragioni del proprio convincimento, pervenendo al risultato finale di confermarne la perdurante validità (Sez. 3, Ordinanza n. 27442 del 30/10/2018, Rv. 651333). Oltretutto, il principale argomento speso dall'opinione opposta, secondo cui alla configurazione dell'usura c.d. "oggettiva" o "presunta" in relazione agli interessi di mora sarebbe d'ostacolo la circostanza che degli stessi manca la rilevazione del T.E.G.M. ("tasso effettivo globale medio" praticato, nel periodo di riferimento, per la tipologia di contratto), non risulta decisivo. In termini analoghi, infatti, si poneva la questione della "commissione di massimo scoperto" (CMS), anch'essa non inclusa nella rilevazione del T.E.G.M., alla stregua delle istruzioni della (...). Nondimeno, recentemente le Sezioni unite (Sez. U, Sentenza n. 16303 del 20/06/2018, Rv. 649294) hanno ritenuto che, ai fini della verifica del superamento del "tasso soglia" dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d'interesse praticato in concreto e della CMS eventualmente applicata, rispettivamente con il tasso soglia e con la "CMS soglia", calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi della predetta L. n. 108, art. 2, comma 1, compensandosi, poi, l'importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il "margine" degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati. Il medesimo ragionamento può essere agevolmente traslato agli interessi moratori, giacché la (...), pur non includendo la media degli interessi di mora nel calcolo del T.E.G.M., ne ha fatto una rilevazione separata, individuando una maggiorazione media, in caso di mora, di 2,1 punti percentuali. Per individuare la soglia usuraria degli interessi di mora sarà dunque sufficiente sommare al "tasso soglia" degli interessi corrispettivi il valore medio degli interessi di mora, maggiorato nella misura prevista dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4" (Cass. civ. Sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26286). In altri termini, se è certamente vero che anche gli interessi moratori non possono, singolarmente considerati, superare il tasso soglia usurario (venendo colpiti in caso contrario dalla sanzione della nullità), è altresì vero che, al fine di effettuare un raffronto tra tasso di mora e tasso soglia connotato da attendibilità logica e matematica, è necessario rispettare il principio di simmetria condivisibilmente sancito dalle Sezioni Unite con riferimento al rapporto tra c.m.s. e usura e di recente anche in relazione al tema che ci occupa. Per tale ragione, i due parametri da raffrontare (Teg contrattuale includente il tasso di mora e tasso soglia usurario di mora), non costituenti grandezze monolitiche, ma frutto della sommatoria di una serie di componenti, devono essere omogenei, vale a dire determinati sulla base dei medesimi elementi. A tal fine, è necessario sommare al tasso soglia usurario il tasso medio di mora del 2,1% aumentato della metà (nella fattispecie in esame sono applicabili i criteri di determinazione del tasso soglia vigenti in epoca antecedente al D.L. n. 70 del 2011) e confrontare il risultato ottenuto con il Teg contrattuale includente il tasso di mora. Nell'effettuare il raffronto, poi, deve essere preso in considerazione soltanto il tasso di mora pattuito, non potendosi attribuire alcuna rilevanza al c.d. T.E.M.O.. Infatti, secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di merito, "parte attrice ha altresì allegato di aver calcolato, in relazione al mutuo oggetto di causa, un tasso effettivo di mora (TEMO) superiore al tasso soglia. L'operazione compiuta è consistita nell'ipotizzare un ritardo nel pagamento della prima rata di ammortamento di 29 giorni e di rapportare poi la mora così maturata alla sola quota capitale della prima rata. In tal modo è stato determinato un TEMO nella misura del 24,307%, superiore al predetto tasso soglia. Tale operazione tuttavia è priva di qualsiasi fondamento e il risultato ottenuto senza significato. In primo luogo si rileva che il c.d. TEMO è sconosciuto alla normativa, sia primaria che regolamentare; si tratta di una innovativa creazione della parte. Nel merito non si comprende perché il valore assoluto della mora sia stato rapportato alla sola quota capitale quando la mora è stata applicata, come da previsione contrattuale, sull'intera rata non pagata e quindi anche sulla quota interessi, di modo che è la rata intera a costituire il "capitale" considerato per il suo calcolo. In pratica la parte ha prima calcolato l'importo della mora dovuta per 29 giorni di ritardo in termini assoluti e subito dopo ha rapportato tale importo ad una diversa e minore base di calcolo, rappresentata dalla sola quota capitale della rata, svolgendo così un'operazione matematica palesemente scorretta. La strumentalità della scelta della prima rata è poi resa evidente dal fatto che nel piano di ammortamento a rate costanti in essa è massima la quota interessi e minima quella capitale. Inoltre è del tutto arbitrario anche ipotizzare un ritardo di 29 giorni, dato che non ha alcun riscontro con i fatti di causa. Si noti che è fuorviante anche l'utilizzo dell'aggettivo "effettivo", che in realtà si riferisce a quei tassi, come il TEG e il TAEG, che conglobano anche oneri di altra natura come le spese. Per quanto riguarda il TEMO, invece, non ricorre alcuna caratteristica di effettività. In definitiva, quindi, l'invenzione del TEMO costituisce un mero artificio contabile, costruito su dati arbitrari e privo di base normativa. Tale indice è pertanto assolutamente privo di attendibilità e non ha alcuna rilevanza in ordine al supposto superamento del tasso soglia" (Tribunale Milano sez. VI, 6 novembre 2020, n. 7026; cfr. anche Tribunale Vasto, 3 ottobre 2019, n. 29, secondo cui "la pretesa di determinare una sorta di tasso effettivo di mora (cd. TEMO) è assolutamente infondata per il dirimente motivo che la formula per il calcolo del TAEG, esprimendo su base annua l'eguaglianza fra la somma dei valori attualizzati di tutti i prelievi e la somma dei valori attualizzati dei rimborsi e dei pagamenti delle spese collegate all'erogazione del credito, esclusi oneri fiscali, è riferita al momento della pattuizione e richiede la conoscenza in via anticipata degli interessi da pagare, conoscenza che non è ovviamente possibile acquisire in relazione agli interessi di mora, dei quali non si conosce ex ante nè la base di calcolo, nè la durata"; cfr. ancora Tribunale Torino sez. I, 22 settembre 2020, n. 3225). Ebbene, premesso che anche gli esiti della perizia redatta dal tecnico di parte attrice (ed espressamente richiamati in citazione) hanno escluso l'usurarietà degli interessi corrispettivi, venendo all'esame del tasso di mora lo stesso, secondo la stessa prospettazione attorea, sarebbe pari al 7,950%, mentre il tasso soglia moratorio (ottenuto sommando al tasso soglia del 6,36% il tasso medio di mora del 2,1% aumentato della metà, pari al 3,15%), sarebbe pari al 9,51%. Di conseguenza, anche gli interessi moratori, singolarmente considerati, non superano la soglia usuraria ratione temporis vigente. Per completezza d'analisi va, poi, considerato che la determinazione del tasso effettivo non deve tenere in considerazione la commissione prevista in ipotesi di estinzione anticipata del finanziamento, posto che tale commissione - in quanto voce di costo meramente eventuale, a mera discrezione del mutuatario - non è collegata all'erogazione del credito e quindi non va aggiunta alle spese di chiusura della pratica. Laddove, infatti, si volesse sostenere che il tasso soglia ex L. n. 108 del 1996 sarebbe superato per effetto dell'inclusione nel TAEG dell'incidenza percentuale della penale per l'estinzione anticipata del mutuo, verrebbe postulata una sommatoria fra voci eterogenee per natura e funzione, quali gli interessi corrispettivi e la penale. Se gli interessi attengono alla fase fisiologica del finanziamento, remunerando la banca per il prestito richiesto dal mutuatario ed hanno un'applicazione certa e predefinita, legata all'erogazione del credito, costituendo il costo del denaro per il mutuatario, viceversa la penale per estinzione anticipata del mutuo costituisce un elemento eventuale del negozio, funzionale ad indennizzare il mutuante dei costi collegati al rimborso anticipato del credito, ossia del mancato guadagno. Detto altrimenti, la clausola di anticipata estinzione ha carattere del tutto eccezionale (chi prende una somma di denaro a mutuo non ha, nell'ordinario, interesse né possibilità di restituirla subito, intendendo avvalersi invece del piano di ammortamento) e dunque opera su un piano del tutto diverso rispetto ai costi ordinari che attengono alla fisiologia del rapporto (interessi corrispettivi, costi per assicurazione, spese amministrative etc), con il conseguente corollario che - avendo natura di clausola meramente eventuale e straordinaria, e quindi non immediatamente collegata, quale interesse o costo, alla erogazione del credito, come richiesto dall'art. 644 c.p. - non rileva ai fini del calcolo del tasso effettivo globale In tal senso, ex multis, Cassazione civile, sez. III, 07/03/2022, n. 7352 che ha stabilito che "in tema di usura bancaria, ai fini del superamento del "tasso soglia" previsto dalla disciplina antiusura, non è possibile procedere alla sommatoria degli interessi moratori con la commissione di estinzione anticipata del finanziamento, non costituendo quest'ultima una remunerazione, a favore della banca, dipendente dalla durata dell'effettiva utilizzazione del denaro da parte del cliente, bensì un corrispettivo previsto per lo scioglimento anticipato degli impegni a quella connessi". 2. Quanto, poi, al profilo, invero connotato da manifesta genericità, con cui è stata lamentata l'indeterminatezza del taeg, con conseguente richiesta di sostituzione dell'interesse contrattuale con gli interessi dei BOT e riformulazione del piano di ammortamento, ritiene questo Tribunale che tale censura non colga nel segno per le ragioni di seguito illustrate. Ed infatti, il taeg non rientra nella nozione di prezzo che - ai sensi dell'art. 117, comma 6, T.U.B. - deve essere correttamente indicato nel contratto o nel separato documento di sintesi, giacché non determina alcuna condizione economica direttamente applicabile al contratto, assolvendo - di contro - unicamente ad una funzione informativa di trasparenza, consentendo al cliente di conoscere preventivamente il costo complessivo del finanziamento. Conseguentemente, anche a voler ipotizzare che la Banca avrebbe reso una erronea indicazione dell'ISC/TAEG, detta circostanza non sarebbe idonea a determinare una maggiore onerosità del finanziamento o un'incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, ma solo un'erronea interpretazione del suo costo complessivo, la cui errata previsione non comporta la sanzione della nullità di cui al citato art. 117, comma 6, TUB. Né risulta applicabile il successivo comma 7, che individua un tasso sostitutivo o l'applicazione del minor prezzo pubblicizzato per l'ipotesi, diversa da quella in esame, in cui difetti o siano nulle le clausole relative ad interessi, prezzi o condizioni. Nel caso in cui il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG lo avrebbe espressamente previsto, analogamente a quanto avvenuto con l'art. 125-bis, comma VI, TUB (disposizione, quest'ultima, che non trova applicazione nell'odierna controversia vertendosi in ipotesi di "credito artigiano"). Detto, dunque, che non è sanzionata con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell'ambito di operazioni diverse dal credito al consumo (nei limiti dell'ambito di applicazione circoscritto dall'art. 122 cit.), la violazione del predetto obbligo pubblicitario potrebbe eventualmente configurarsi unicamente come illecito e, in quanto tale, essere fonte di responsabilità della Banca sotto il versante risarcitorio; nel caso in esame, tuttavia, parte attrice ha evidentemente omesso di dedurre, ancor prima di provare, in cosa si sarebbe sostanziato il danno patito in virtù della dedotta presunta difformità o indeterminatezza, motivo per cui alcun risarcimento può essere riconosciuto in proprio favore. Per tale complessivo ordine di motivi la domanda attorea va rigettata. 3. Quanto, infine, alla disciplina delle spese e competenze di lite, le stesse seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo secondo le disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa, dell'attività effettivamente prestata e del complessivo livello di complessità delle questioni affrontate (nello specifico, Euro 900,00 per la fase di studio; Euro 700,00 per la fase introduttiva; Euro 600,00 per la fase istruttoria ed Euro 1.400,00 per la fase decisionale). P.Q.M. Il Tribunale di Castrovillari, Sezione Civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel procedimento rubricato al n. 2637/17 R.G. - ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa ed assorbita - così provvede: 1. Rigetta le domande attoree. 2. Condanna parte attrice a rifondere - in favore di parte creditrice, in persona del legale rappresentante pro tempore - le spese di lite del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 3.600,00, oltre accessori come per legge, con distrazione in favore del procuratore dichiaratosi antistatario. Così deciso in Castrovillari il 12 luglio 2022. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2022.

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