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  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1534 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Bi. e Ma. Ca., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; contro il Comune (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ag. Se. e Gi. Ca., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; Regione Siciliana - Assessorato Famiglia, Politiche Sociali e Lavoro - Centro per l'impiego di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia; nei confronti di -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituito in giudizio; per l'annullamento - della determinazione dirigenziale n. -OMISSIS- con la quale il Comune di Comune (omissis) disponeva l'esclusione del ricorrente e lo scorrimento ed approvazione della nuova graduatoria del concorso di cui infra; - della nota prot. n. -OMISSIS- del 10.5.2019 con la quale l'Assessorato Regionale della Famiglia - Centro per l'Impiego di Catania dichiarava la non compatibilità delle condizioni del ricorrente con l'espletamento delle mansioni di giardiniere; - della successiva Deliberazione G.M. di Comune (omissis) -OMISSIS- del 28.6.2019 con la quale si disponeva l'assunzione dei vincitori; - del rigetto dell'istanza di archiviazione dei motivi ostativi all'assunzione dell'odierno deducente di cui alla nota trasmessa in data 13.6.2019 e della presupposta e sconosciuta prot. n. -OMISSIS- del 28.5.2019; - della nota comunale del 3.6.2019; - della nota comunale prot. n. -OMISSIS- del 19.7.2019; - del Contratto di assunzione se medio tempore stipulato con il soggetto subentrato in graduatoria in luogo del ricorrente; - di qualsiasi ulteriore provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale, nonché per il risarcimento del danno derivato al ricorrente dalla ritardata assunzione nel posto di lavoro. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune (omissis) e dell'amministrazione regionale intimata; Visti tutti gli atti della causa; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Comune (omissis) e dell'Assessorato regionale della famiglia delle politiche sociali e del lavoro; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore all'udienza ex art. 87, comma 4-bis c.p.a., del 4 marzo 2024 il dott. Calogero Commandatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; FATTO e DIRITTO Il ricorrente, con ricorso notificato in data 26 settembre 2019, ha impugnato i provvedimenti in epigrafe chiedendone l'annullamento. In fatto ha esposto che: - il Comune di Comune (omissis), giusta Determinazione n. 20 del 23.2.2018, indiceva il "Concorso pubblico per titoli, colloquio e prova pratica, per la copertura di n. 6 posti a tempo pieno e indeterminato di categoria A/1 di cui n. 3 afferenti il profilo professionale di giardiniere e n. 3 afferenti il profilo professionale di operai generici, esclusivamente riservato ai soggetti disabili di cui all'art. 1, L. 68/1999 e s.m.i."; - il concorso era espressamente regolato dal Capo IV del Regolamento per la disciplina dei concorsi, il quale, all'art. 8, prevedeva che la procedura si sarebbe imperniata su un colloquio e una prova pratica; - egli è laureato in Scienze e tecnologie agrarie e affetto da morbo di Parkinson determinante un'invalidità nella misura del 100% (attestata da verbale INPS del 15.02.2015) e ha partecipato per il posto di giardiniere; - con Determinazione Dirigenziale n. -OMISSIS- veniva pubblicata la graduatoria ed egli si collocava al primo posto con 103,16 punti; - a seguito di una verifica della documentazione da parte del Centro per l'Impiego di Catania (prot. n. -OMISSIS- del 10 maggio 2019), veniva dichiarato che i medici ritenevano le mansioni di giardiniere incompatibili con la diagnosi di invalidità civile; - il Comune faceva, quindi, pervenire comunicazione del 17 maggio 2019 di sussistenza di motivi ostativi all'assunzione assegnando termine per controdedurre; - in data 21 maggio 2019, presentava istanza di accesso con la quale chiedeva copia del suddetto provvedimento del Centro per l'Impiego di Catania e del presupposto verbale della seduta del Comitato di accertamento disabili dell'8 maggio 2019; - il successivo 27 maggio, trasmetteva poi proprie note di partecipazione procedimentale nelle quali contestava: a) la competenza della Commissione del Centro per l'Impiego di Catania; b) l'inidoneità della documentazione di invalidità civile a fungere da presupposto per la valutazione della capacità lavorativa, così definendo la collocabilità o non collocabilità del disabile che non spetta né dipende da valutazioni dell'INPS; c) che il giudizio di incompatibilità con le mansioni fosse in contrasto con il decorso positivo della patologia e la pressoché normalità delle sue condizioni di vita (abita in casa da solo, guida la macchina, etc.); d) l'abnormità di un accertamento effettuato solo sulla lettura dei documenti, senza procedere ad una visita medica; - con nota del 3 giugno 2019 il Comune esitava l'istanza di accesso trasmettendo la nota n. -OMISSIS-/2019 del Centro per l'Impiego di Catania, dando atto di non essere in condizione di trasmettere il verbale del Comitato contenente la valutazione medica degli interessati; - l'Amministrazione, con pec del 13 giugno 2019, disattendeva le istanze di annullamento in autotutela del procedimento, confermando l'inidoneità ; - con Determinazione Dirigenziale -OMISSIS- venivano approvati gli atti del procedimento e la graduatoria finale del concorso e con Deliberazione G.M. -OMISSIS- del 28 giugno 2019 veniva disposta l'assunzione dei vincitori di concorso; - in data 5 luglio 2019, egli inoltrava una duplice istanza di accesso e contestazione con la quale, tra l'altro, chiedeva di conoscere - anche al fine di acquisire gli estremi dei controinteressati in un eventuale giudizio - nominativi, riferimenti e documentazione concorsuale dei soggetti utilmente collocati in graduatoria; - il Comune confermava le sanzioni espulsive irrogate e, con riferimento all'accesso ai dati e documenti degli altri concorrenti, dichiarava di dover acquisire il loro consenso prima di poter riscontrare l'accesso. Non avendo ottenuto alcun riscontro, l'odierno ricorrente ha impugnato i suddetti provvedimenti, sulla base dei motivi che seguono. I. Incompetenza della Commissione di verifica dell'idoneità : - violazione e falsa applicazione Regolamento Comunale Concorsi, Capo IV, art. 55; - violazione e falsa applicazione artt. 1, comma 4, L. n. 68/1999, 4, comma 1, L. n. 104/1992 e 1, commi 1-4, L. n. 285/1990. Il ricorrente lamenta che il Comitato di accertamento disabili sedente presso il Centro per l'Impiego di Catania sarebbe privo di competenza e non legittimato ad intervenire all'interno della selezione indetta dal Comune. Quest'ultima, infatti, risulterebbe espressamente regolata dal Regolamento del Comune di Comune (omissis) approvato con Deliberazione G.M. n. 32/2017, il quale all'art. 55, con riferimento alle assunzioni obbligatorie di lavoratori appartenenti alle categorie protette e disabili, prevede che l'ente possa richiedere alla competente Commissione medica dell'Azienda U.S.L. di sottoporli a visita medica al fine di verificare che la causa invalidante non sia incompatibile con le mansioni da svolgere. Ciò, peraltro, in coerenza con quanto previsto dall'art. 1, comma 4, L. n. 68/1999 (in forza della quale veniva bandito il concorso) il quale rinvia alle medesime Commissioni istituite presso le AUSL di cui all'art. 4 della L. n. 104/1992. A sua volta, il suddetto art. 4 richiama l'art. 1 della L. 295/1990, il quale indica la composizione e le modalità operative della Commissione in parola: "esse sono composte da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. (...) In sede di accertamento sanitario, la persona interessata può farsi assistere dal proprio medico di fiducia". Sulla base del vigente quadro legislativo, dunque, i soli organi legittimati a pronunciarsi sulla residua capacità lavorativa dei disabili ex art. 1, L. n. 68/1999, sono le Commissioni costituite presso l'AUSL territorialmente competente, operanti con una composizione qualificata e specializzata, che, dietro accertamento sanitario diretto sul soggetto interessato si pronunceranno sulla idoneità a ricoprire il posto di lavoro messo a concorso. II. Illegittimità della verifica documentale effettuata in danno del ricorrente: - violazione e falsa applicazione Regolamento Comunale Concorsi, Capo IV, art. 55, comma 5, sotto altro profilo; - violazione e falsa applicazione artt. 1, comma 4, L. n. 68/1999, 4, comma 1, L. n. 104/1992 e 1, commi 1-4, L. n. 285/1990, sotto altro profilo; - eccesso di potere per irrazionalità evidente e manifesta, sviamento di potere e difetto di istruttoria. Il quadro normativo suddetto evidenzierebbe, altresì, l'inadeguatezza di un'attività di verifica documentale per l'accertamento della compatibilità del candidato con l'espletamento delle mansioni del posto messo a concorso, esigendosi, invece, un accertamento sanitario sul soggetto valutato. Nel caso del Comune di Comune (omissis), peraltro, quest'obbligo emergerebbe in maniera ancor più netta derivando dal citato art. 55 del regolamento comunale concorsi che imporrebbe che i concorrenti siano "sottoposti a visita medica". Nel caso in esame, al contrario, si è proceduto ad un accertamento cartolare, esaminando un documento risalente, peraltro, a più di quattro anni prima, che, per di più, è il verbale INPS di accertamento dell'invalidità civile, atto che non ha la finalità di verificare l'idoneità lavorativa residua del concorrente (che non compete all'INPS), ma solo di comprovare, ai fini dell'ammissione, il grado di invalidità civile riconosciuto per come previsto dall'art. 4, comma 1, lettera q), del Bando di concorso. III. Eccesso di potere sotto vari profili: - illogicità ed irrazionalità delle modalità di accertamento e difetto di istruttoria; - contraddittorietà con certificazioni in data odierna provenienti da strutture pubbliche. Sebbene le valutazioni discrezionali degli organi tecnici dell'Amministrazione non possano essere sindacate dagli organi giurisdizionali in quanto riguardanti il merito delle scelte amministrative, questo limite può essere superato allorché si dimostri che l'Ente pubblico ha agito in manifesta assenza di criteri di razionalità operative e/o in difetto di istruttoria o travisamento dei fatti, circostanza che, secondo la prospettazione di parte ricorrente, si sarebbe verificata nella fattispecie in esame, essendo basato il giudizio su dati e circostanze non più attuali, omettendo di verificare direttamente le condizioni dell'interessato, le quali, peraltro, potevano presumersi congrue col posto messo a concorso, avendo egli superato brillantemente la prova pratica. Parte ricorrente evidenzia, infatti, come dal certificato del 25.5.2019 di visita neurologica effettuata presso l'IRCCS - Ce. Ne. Bo. Pu. di Me. allegato, emerga che: "...la malattia è ben controllata dalla terapia farmacologica. Il compenso motorio e cognitivo è ottimale e non vi sono in atto elementi che possano controindicare o inficiare in alcun modo lo svolgimento delle varie attività della vita quotidiana in ambito privato e/o sociale né le attività lavorative". IV. Violazione art. 3, L. n. 241/1990: - difetto di motivazione. L'accertamento effettuato dal Comitato di accertamento disabili nella seduta dell'8.5.2019 con cui si stabiliva l'estromissione dalla selezione dell'odierno ricorrente non è neanche stato comunicato a quest'ultimo. Gli è stata trasmessa soltanto la nota prot. n. -OMISSIS-/2019 del Centro per l'Impiego di Catania riportante la genericissima dicitura: "... in relazione alla diagnosi del verbale di invalidità civile ed alla scheda della diagnosi funzionale le mansioni di giardiniere non sono compatibili...", in violazione dell'obbligo motivazionale di cui all'art. 3 L. 241/90. Parte ricorrente chiede, altresì, il risarcimento per equivalente del danno che dovesse patire a causa della ritardata assunzione causata dall'illegittimità degli atti comunali gravati secondo le quantificazioni economiche che si articoleranno in corso di giudizio. Il Comune si è costituito in giudizio in data 28 ottobre 2019 al fine di resistere al ricorso. Nonostante la regolarità della notifica del ricorso introduttivo, i controinteressati non si sono costituiti in giudizio. In data 28 novembre 2019, le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, eccependo, in sintesi: la legittimità della valutazione compiuta dal Comitato di accertamento disabili, presieduto dal Direttore dell'UPLMO o da un suo delegato e composto da due medici specializzati in medicina legale e del lavoro designati dall'ASP, due componenti designati dalle Associazioni maggiormente rappresentative dei disabili, un rappresentante delle OO.SS. dei lavoratori ed uno delle associazioni dei datori di lavoro; proprio l'alta qualifica dei componenti, la tipologia del parere che rende il comitato e la funzione che esso svolge in sede di inserimento lavorativo del disabile renderebbero le sue determinazioni espressione di discrezionalità tecnica, sindacabili solo ove controparte dimostri un travisamento dei fatti o una macroscopica illogicità del suddetto parere, cosa non avvenuta nel caso di specie; se il candidato avesse ritenuto che quanto risultante dalla documentazione non fosse più aggiornato, avrebbe dovuto sottoporsi ad una nuova visita medica dinnanzi alla ASP o all'INPS. In data 4 maggio 2022, il Comune ha depositato una memoria nella quale ha eccepito l'infondatezza dei motivi di ricorso. All'udienza ex art. 87, comma 4-bis, c.p.a., tenutasi il 4 marzo 2024, la causa è stata posta in decisione. Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e nei limiti infraprecisati. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento poiché l'art. 8, comma 1-bis del d.lgs. n. 68/1999 prevede espressamente la competenza per la valutazione della capacità lavorative, nell'ambito del collocamento mirato, sicché la norma - in ragione del criterio di gerarchia delle fonti e di specialità - deve ritenersi prevalente sulle disposizioni regolamentari difformi che, peraltro, si riferiscono chiaramente al sistema antecedente alla novella portata dal d.lgs. n. 151/2015. Meritano accoglimento, invece, gli altri motivi di ricorso. E invero, se è indubbia l'ampia discrezionalità tecnica riservata al comitato tecnico ex art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 68/1999, sindacabile dal giudice amministrativo solo con riguardo al controllo formale ed estrinseco del percorso logico seguito dall'Amministrazione e avente a oggetto la sola attendibilità delle operazioni tecniche sul piano della loro correttezza quanto a criterio tecnico e a procedimento applicativo, deve evidenziarsi come l'evidente assenza o la grave insufficienza della motivazione del parere può, ancorché sotto il solo profilo sintomatico, evidenziare un distorto esercizio della facoltà attribuito per eccesso di potere. Orbene, con riguardo a quanto sopra riportato, ad avviso del Collegio, anche avuto riguardo alla particolare delicatezza della questione, le valutazioni espresse nella fattispecie dal Comitato sulla base degli elementi esaminati non appaiono convincenti e, nella sostanza, risultano prive di un'adeguata motivazione in relazione alle circostanze evidenziate dal ricorrente. E invero, seppure astrattamente può affermarsi che la valutazione del Comitato può basarsi solo sulla documentazione prodotta, senza che sia sempre necessaria e obbligatoriamente la visita medica, occorre sottolineare come, in concreto, tale facoltà debba necessariamente conciliarsi con il necessario approfondimento istruttorio necessariamente emergente dalla motivazione. Nel caso che ci occupa, il giudizio del Comitato si è fondato unicamente su un solo documento - il verbale d'invalidità civile del 5 febbraio 2015 - senza in alcun modo motivare in ordine alla persistente validità di diagnosi effettuate in epoca risalente (più di quattro anni prima) e limitandosi laconicamente ad affermare che "... in relazione alla diagnosi del verbale di invalidità civile ed alla scheda della diagnosi funzionale le mansioni di giardiniere non sono compatibili...". Insufficienza di tale motivazione che costituisce sintomo di un difetto istruttorio anche in ragione della certificazione medica del 25.5.2019 - emessa all'esito di visita neurologica del ricorrente effettuata presso l'IRCCS - Ce. Ne. Bo. Pu. di Me. - ove è emerso che: "...la malattia è ben controllata dalla terapia farmacologica. Il compenso motorio e cognitivo è ottimale e non vi sono in atto elementi che possano controindicare o inficiare in alcun modo lo svolgimento delle varie attività della vita quotidiana in ambito privato e/o sociale né le attività lavorative". In tale contesto l'accertamento svolto dal Comitato, successivamente recepito dal Comune intimato, non è esaustivo, dal che consegue l'annullamento degli atti impugnati con la precisazione che, all'esito della presente pronuncia, l'Amministrazione resistente dovrà nuovamente pronunciarsi sull'istanza dell'interessato, attenendosi a tutti i canoni motivazionali sopra enunciati. L'Amministrazione dovrà quindi riesaminare l'affare nella sua interezza entro 120 (centoventi) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, o dalla notificazione della stessa, se anteriormente effettuata. L'assenza di un giudizio sull'effettiva spettanza del bene della vita preclude - allo stato - la possibilità di accogliere la domanda risarcitoria. Stante l'assenza di una valutazione sulla spettanza del bene della vita e il rigetto della domanda risarcitoria sussistono i presupposti per compensare per metà le spese di lite che, per la restante meta, seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in motivazione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti indicati in motivazione; rigetta la domanda risarcitoria. Compensa per metà le spese di lite e condanna le amministrazioni resistenti, in solido fra loro, al pagamento della restante metà che si liquidano, in tale frazione, in euro 2.000,00 (duemila/00) oltre al rimborso delle spese forfettarie ex art., 2, comma 2, del d.m. n. 55/2014, oltre alla C.P.A. e all'IVA. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Catania nelle camere di consiglio dei giorni 4 marzo 2024, 22 maggio 2024, tenutosi tramite collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Calogero Commandatore - Primo Referendario, Estensore Arturo Levato - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 846 del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ga. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, Regione Siciliana Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento, previa sospensione: 1) dell'informazione interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina - Antimafia - prot. Interno n. -OMISSIS-del 08/02/2024 unitamente a tutti gli altri atti connessi, presupposti e/o conseguenziali, ivi compreso, il parere reso dal Gruppo Interforze; 2) delle richieste di informazione antimafia non conosciute perché non citate; 3) delle "informazioni rese dagli Organi di Polizia", non meglio specificate per data e numero di protocollo, come genericamente richiamate nella citata interdittiva; 4) del provvedimento - non conosciuto - di sospensione dall'erogazione dei contributi comunitari mediante apposizione di anomalia D12 di sospensione nel procedimento amministrativo telematico di AGEA; 5) di ogni altro atto presupposto, connesso o, comunque, conseguenziale. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell'Ufficio Territoriale del Governo Messina, dell'A.G.E.A. e dell'Assessorato Regionale Agricoltura Sviluppo Rurale e Pesca Mediterranea; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO La ditta ricorrente è un'impresa agricola individuale con sede a -OMISSIS-il cui titolare è il sig. -OMISSIS-. Con comunicazione del 28 agosto 2023 la Prefettura di Messina comunicava che dall'istruttoria svolta era emerso il pericolo di infiltrazione della criminalità sulla base di diversi elementi riconducibili: a) alle vicende giudiziarie del titolare; b) alle vicende giudiziarie della coniuge convivente; c) ai rapporti di parentela con 4 diversi soggetti (fratello e 3 nipoti) a vario e diverso titolo coinvolti in procedimenti penali per criminalità organizzata; d) alle frequentazioni con soggetti controindicati; e) a specifiche cointeressenze economiche nell'ambito della famiglia. Con nota del 18 settembre 2024, l'interessato presentava le proprie osservazioni precisando che: - le segnalazioni a carico del titolare risalenti ad oltre 30 anni fa, analogamente a quelle più recenti per reati di truffa, non sono mai sfociate in procedimenti penali; - le condanne per il reato di favoreggiamento personale risalgono al 1993 e al 1997; - i rapporti parentali sarebbero insufficienti a supportare il rischio di infiltrazione e comunque l'amministrazione non avrebbe considerato che uno dei nipoti citati nel provvedimento (arrestato nell'ambito dell'operazione -OMISSIS-) sarebbe stato successivamente assolto; - le cointeressenze familiari sarebbero state determinate dal fatto che i terreni sono il cespite dell'eredità del padre defunto. Con provvedimento dell'8 febbraio 2024 il Prefetto di Messina riteneva le osservazioni inidonee ad incidere sui numerosi e convergenti elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria che valutati complessivamente evidenziavano l'esistenza di possibili tentativi di infiltrazione mafiosa ai sensi dell'art 91 del Codice Antimafia. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, l'interessato ha chiesto l'annullamento della citata misura interdittiva per i seguenti motivi: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 92 comma 2 bis del D.lgs. n. 159/2011 sotto il duplice profilo: a) della violazione del termine di sessanta giorni ivi indicato; b) dell'omesso riscontro delle osservazioni difensive della parte ricorrente. 2) Violazione e falsa applicazione dell'art. 94 bis del D.lgs. 159/2011, difetto di istruttoria e di motivazione in ordine alla mancata valutazione dell'esistenza dei presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione collaborativa. 3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 97 Cost con riferimento alla libertà economica e alla imparzialità della P.A.; violazione dell'art. 84 del D.lgs. n. 159/2011; irragionevolezza; ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e difetto di motivazione con riferimento alle seguenti circostanze: - le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto il titolare dell'impresa sono tutte collegate a reati di pascolo abusivo e non costituiscono "reati spia", né fattispecie di "maggiore allarme sociale"; - le condanne per favoreggiamento del titolare risalgono a 30 anni fa. 4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 84, 85 e 91 del D.lgs. n. 159/2011 e degli artt. 3 e 6 della legge n. 241/1990; difetto di motivazione e carenza di istruttoria in relazione alla mancata esternazioni delle modalità con le quali i parenti indicati nel provvedimento sarebbero in grado di condizionare la gestione dell'impresa. L'amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso e ha puntualmente controdedotto ai motivi di ricorso; ha, inoltre, depositato gli atti dell'istruttoria tra cui le informazioni rese dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Messina Alla camera di consiglio del 28 maggio 2024, il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Partendo dalle contestazioni di ordine procedimentale va osservato che: - il termine di sessanta giorni di cui all'art. 92 comma 2 bis invocato dalla parte ricorrente si riferisce espressamente alla durata complessiva della fase (infra)procedimentale del contraddittorio e non al termine di definizione del procedimento che rimane regolato dalle disposizione dell'art. 92, comma 2° del D.lgs. n. 159/2011 (e che, peraltro, rimane sospeso durante la fase del contraddittorio tra le parti, cfr. in termini: Cons. Stato, Sez. III, 8 marzo 2024, n. 2260; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 10 maggio 2024, n. 1749); - in ogni caso, in mancanza di una espressa qualificazione dei termini come "perentori", essi vanno intesi come termini sollecitatorio o ordinatori, sicché il loro eventuale superamento non determina l'illegittimità dell'atto (cfr. in termini, C.G.A. 5 giugno 2023, n. 388); - non è ravvisabile, inoltre, alcuna violazione dell'art. 92, comma 2bis per la ritenuta omessa valutazione delle memorie di parte ricorrente atteso che alle pag. 6 e segg. del provvedimento sono esternate le ragioni della ritenuta inidoneità delle osservazioni a modificare la valenza del quadro fattuale e indiziario. Ne consegue il rigetto del primo motivo di ricorso. 3. Quanto alle censure mosse dal ricorrente circa la presunta insussistenza a carico dello stesso delle condizioni per l'adozione di un provvedimento interdittivo, il Collegio rileva come la misura sia stata adottata ai sensi degli artt. 84, 91 e 94 del Codice Antimafia, i quali non richiedono né la sussistenza di condanne, né la necessità di altri provvedimenti del giudice penale (rinvio a giudizio, misure cautelari, misure di prevenzione) ai fini della complessiva valutazione sul grado di permeabilità della criminalità organizzata. Invero, il sistema della prevenzione - per come disciplinato dal Codice Antimafia - si presenta come "binario", inducendo in via automatica da alcune categorie di reati il rischio di infiltrazione mafiosa e lasciando, invece, negli altri casi, al prudente apprezzamento dell'autorità prefettizia la valutazione "atipica" di una serie di elementi sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. I presupposti per l'emanazione di un provvedimento interdittivo costituiscono, quindi, un cata aperto da cui l'Autorità può desumere gli indizi corroboranti il giudizio prognostico sotteso all'apprezzamento del rischio infiltrativo; quindi, la sussistenza di un provvedimento di condanna, ancorché non definitivo non è presupposto tassativo, potendo essere doppiato e traguardato dalle altre situazioni sintomatico-presuntive di cui all'art. 84, comma 4° del D.lgs. n. 159/2011 o dalla clausola aperta compendiata nei "concreti elementi" di cui all'art. 91, 6° comma, D.lgs. n. 159/2011. 3.1 Al riguardo, la giurisprudenza è da tempo consolidata nel ritenere che i provvedimenti prefettizi interdittivi possano essere adeguatamente motivati con riferimento a riscontri che danno vita a valutazioni che sono espressione di ampia discrezionalità e che non devono necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazioni malavitose (e, quindi, del condizionamento in atto dell'attività di impresa), ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergono sufficienti elementi di pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata (cfr. tra le tante: C.G.A. 14 maggio 2021, n. 431; Cons. Stato, sez. III 4 giugno 2021, n. 4293; 27 aprile 2021, n. 3379; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. I, 19 gennaio 2018, n. 148 e 29 settembre 2017 n. 2258). Il "tentativo di infiltrazione" deve essere, quindi, valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere raggiungere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell'accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere "più probabile che non", appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (Cons. Stato, Ad. Plen. 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 7890; 30 gennaio 2019, n. 758; 18 aprile 2018, n. 2343). Lo stesso legislatore, del resto, laddove fa riferimento (art. 84, comma 3°, D.lgs. n. 159 del 2011) agli "eventuali tentativi" di infiltrazione mafiosa "tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate" richiama nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l'evento secondo una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso (cfr. in termini, tra le più recenti, Cons. Stato Sez. III, 6 settembre 2021, n. 6225 e 3 agosto 2021, n. 5734 con ampi richiami giurisprudenziali). 3.2 Venendo alla fattispecie oggetto di giudizio, gli elementi su cui il provvedimento interdittivo ha fondato la sua prognosi indiziaria sono costituiti: - da varie vicende giudiziarie del ricorrente e della coniuge convivente; - dalle frequentazioni, tutte recenti (v. pag. 5 del provvedimento), con soggetti pregiudicati; - dai rapporti di parentela con soggetti coinvolti a vario titolo in procedimenti penali per associazione di tipo mafioso (pagg. 2 e segg. del provvedimento) e dalle cointeressenze economiche con i membri della famiglia derivanti dai numerosi contratti di affitto indicati alle pagg. 5-6 del provvedimento. In particolare, il ricorrente è : 1) fratello di -OMISSIS-(attualmente detenuto, come riferito dallo stesso ricorrente), rimasto coinvolto nell'ambito nelle operazioni di polizia denominate -OMISSIS- (per il reato di associazione di tipo mafioso, riqualificato, con apposita Ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Palermo, nel reato di favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso) e -OMISSIS- (in ordine ai reati di concorso esterno in associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori aggravato; 2) zio di -OMISSIS- (figlio del fratello sopra indicato) socio amministratore insieme ad altro soggetto di impresa agricola operante nel medesimo territorio e già destinataria, nel 2018, di provvedimento interdittivo; 3) zio di -OMISSIS-, titolare di altra impresa destinataria, nel 2021, di interdittiva; 4) zio di -OMISSIS- (anch'egli figlio del fratello indicato sub 1) arrestato nel 2019 nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- per i reati di concorso in associazione di tipo mafioso, concorso in truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori; 5) zio di -OMISSIS- (figlio di altro fratello del ricorrente): a) segnalato, tra l'altro, nel 2016 per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso in concorso con esponenti del mandamento mafioso di -OMISSIS- e condannato, per tali reati, nel 2019 (sentenza del 2019 indicata nel provvedimento) alla pena di anni 6 di reclusione e 4.000,00 euro di multa; b) coinvolto, sempre nel 2016, nel procedimento penale convenzionalmente denominato -OMISSIS-per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis commi 1,3, 4, 5 e 6 c.p.), quale appartenente alla famiglia mafiosa inserita nel mandamento di -OMISSIS-, successivamente arrestato, nel 2018, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare e, infine, assolto nel 2019 "per non avere commesso il fatto"; di tale assoluzione da espressamente atto il provvedimento impugnato precisando che la circostanza non elide la contiguità ai contesti malavitosi comunque ritraibili dalle dinamiche relazioni emerse dall'ordinanza di custodia cautelare (pag. 7 del provvedimento); c) segnalato, nel 2018, e successivamente sottoposto, unitamente ad altri 3 familiari (-OMISSIS-), a misure cautelari nell'ambito dell'operazione -OMISSIS- poiché responsabili, a vario titolo, dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori con l'aggravante di aver commesso il fatto per agevolare l'organizzazione mafiosa e concorso in truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche; - citato nell'ordinanza di custodia cautelare emessa nell'ambito dell'operazione denominata -OMISSIS-da cui emerge l'inserimento in un contesto criminale dedito principalmente alla commissione di estorsioni in danno di imprese edili. Risultano, infine, indicati 5 contratti di affitto di fondi rustici (uno risalente al 2015, gli altri molto più recenti) tra il ricorrente e altri fratelli in qualità di dante causa con controparti appartenenti alla medesima famiglia; tra questi soggetti figurano, tra gli altri, i soggetti indicati sub 1), 2), 3) e 4.c). 3.3 Ciò premesso il Collegio ritiene che i riferiti elementi, complessivamente valutati, danno vita ad un quadro indiziario sufficiente per ritenere correttamente formulato il giudizio del Prefetto circa l'attualità del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività economica ed imprenditoriale riconducibile alla ditta del ricorrente, ove si consideri la funzione di tutela sociale significativamente anticipatoria assegnata dal legislatore alle misure previste dalla normativa antimafia. Non si può disconoscere che un ruolo centrale nell'impianto motivazionale è costituito dai rapporti parentali che - come più volte affermato anche da questo TAR - da soli e astrattamente considerati non avrebbero potuto sostenere un'informazione interdittiva, dato che la pericolosità sociale non si trasferisce automaticamente da un parente all'altro essendo comunque necessario un concreto rischio che dalla parentela possa scaturire un pericolo di condizionamento. Invero, il solo legame parentale, nella sua mera esistenza, non si presta - in mancanza di ulteriori elementi idonei ad attribuirgli concreta rilevanza indiziaria nella prospettiva della valutazione antimafia - a fondare il pericolo di condizionamento, ciò in quanto il rapporto familiare, genericamente inteso, in quanto ontologicamente esistente in una dimensione non solo extra-criminale, ma anche extra-imprenditoriale, può alternativamente costituire, dal punto di vista della valutazione interdittiva, un elemento "inerte" o neutrale, in quanto privo di concreto significato ai fini preventivi e confinato esclusivamente nella sfera personale, ovvero un elemento "dinamico" e rilevante, in quanto idoneo ad innescare il flusso inferenziale che fa da sfondo alla ricostruzione indiziaria del pericolo di condizionamento. A determinare il passaggio "qualitativo" del vincolo parentale dall'una all'altra dimensione valutativa è la specifica caratterizzazione dello stesso, soprattutto in determinati contesti socio economici nella doverosa constatazione che l'organizzazione mafiosa tende a strutturarsi secondo un modello "clanico" che si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, con la conseguenza che il vincolo parentale unitamente al contesto ambientale e sociale nel quale opera l'impresa attinta da informativa possono rilevare quali elementi sintomatici accessori tanto il contesto ambientale e parentale nel quale opera l'impresa attinta da informativa, quanto la sua struttura organizzativa o societaria, possono rilevare quali elementi sintomatici accessori (cfr. in termini, C.G.A. 6 novembre 2023, n. 762; 6 marzo 2023, n. 200; Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2022, n. 2167; 17 marzo 2022, n. 1935; 7 marzo 2022, n. 1622). Orbene, nel caso di specie, ciò che assume profonda valenza in chiave prognostica, non è solo il coinvolgimento dei familiari del ricorrente in vari procedimenti penali anche per reati associativi, risultando determinanti anche le cointeressenze economiche comprovate dall'affitto dei fondi rustici (alcuni dei quali con familiari già destinatari di interdittive) in uno specifico contesto socio economico e in un limitato ambito territoriale (caratterizzato da una pervasiva presenza del fenomeno mafioso espressione della regia clanico-familiare delle attività in agricoltura) ove il pericolo di contaminazione mafiosa assume connotazioni più pregnanti. 3.4 A ciò si aggiunga il fatto che altro elemento indiziario è costituito da una serie di recenti frequentazioni con soggetti fortemente controindicati con pregiudizi, tra gli altri, per sequestro di persona a scopo di estorsione, concorso in associazione di tipo mafioso, rapina e truffa aggravata. Anche i predetti elementi, esaminati nelle loro specifica consistenza e valutati nel contesto territoriale e sociale in cui opera l'impresa agricola sono idonei a sorreggere, in una logica di prevenzione, l'impianto dei due provvedimenti in termini di indici sintomatici dell'infiltrazione mafiosa. 3.5 Quindi, il Collegio - tenuto anche conto dei limiti di sindacato su un provvedimento assistito dalla lata discrezionalità amministrativa, censurabile soltanto per parametri quali l'irragionevolezza, l'arbitrarietà, il travisamento del fatto, elementi questi che non connotano la fattispecie - ritiene che risultino persuasivamente ricostruiti i rapporti familiari connotati da cointeressenze economiche e gli ulteriori rapporti tra il ricorrente e soggetti pregiudicati per reati gravi che consentono appieno di ritenere soddisfatto il requisito del "più probabile che non" dato che non vi è stata un'automatica ed apodittica valutazione del solo dato del rapporto parentale, bensì l'apprezzamento di un insieme di indici considerati nel loro insieme, che hanno condotto ad un giudizio di verosimile e probabile condizionamento delle scelte e degli indirizzi dell'impresa. 4. Gli elementi sopra richiamati, per le loro oggettive caratteristiche, la continuità nel tempo e per il loro significato in termini prognostici esprimono, inoltre, un pericolo di infiltrazione avente una natura e dimensione tale, anche in relazione alle caratteristiche del soggetto economico in questione, da non potere essere adeguatamente fronteggiate da strumenti diversi da quello interdittivo, sicché la scelta della Prefettura di ricorrere all'informativa interdittiva (in luogo delle misure di collaborazione preventiva) risulta formalmente coerente all'impianto motivazionale posto a fondamento dell'atto. 5. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 6. Le spese seguono la soccombenza, nei rapporti tra la parte ricorrente e il Ministero dell'Interno - UTG di Enna, secondo la liquidazione operata in dispositivo tenendo anche conto dell'immediata definizione del giudizio in sede cautelare. Le spese sono, invece, compensate con le altre parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell'Interno - UTG di Enna che liquida nella somma complessiva di Euro 1500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge. Compensa le spese con le altre parti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente e delle generalità delle altre persone fisiche citate del provvedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2024 con l'intervento dei magistrati: Agnese Anna Barone - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 911 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Fr. e Al. Pa., con domicilio fisico eletto presso lo studio dell'avvocato Lu. Fr. in Giarre, viale (...) e con domicilio digitale ex lege come da PEC da Registri di Giustizia; contro Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana e Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, presso i cui uffici domiciliano in Catania, via (...); Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio; e con l'intervento di ad opponendum: -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Gi. Mi., con domicilio fisico eletto presso il suo studio in Catania, Via (...); per l'annullamento - quanto al ricorso introduttivo del giudizio: 1) della nota prot. n. -OMISSIS- del 10/12/2013, notificata alla ricorrente il 17/01/2013, per mezzo della quale la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS- ha rigettato la domanda prot. -OMISSIS- del 10/12/2004 di accertamento di compatibilità paesaggistica e definizione degli illeciti edilizi presentata dalla ricorrente ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003 convertito in L. n. 326/2003; 2) di ogni ulteriore atto, anche sconosciuto, precedente o successivo, propedeutico, connesso e/o consequenziale a quello impugnato; - quanto al ricorso per motivi aggiunti depositato in data 1 marzo 2022, per l'annullamento previa sospensione: a) dell'ordinanza dirigenziale -OMISSIS- del 16/12/2021 del Responsabile Area Urbanistica del Comune di -OMISSIS- avente ad oggetto "demolizione e ripristino stato dei luoghi dell'immobile adibito a civile abitazione sito in via -OMISSIS-" a mezzo della quale è stata ordinata alla odierna ricorrente "la demolizione delle opere realizzate nell'immobile sito in -OMISSIS- via -OMISSIS- riportato in catasto al foglio di mappa 3 part. lla -OMISSIS- ricadente nel prg vigente in zona B7 - alto interesse ambientale come stabilito nelle sentenze penali -OMISSIS-57/2013 e n. 3697/2017 che qui si intendono riportate e trascritte con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, antecedente gli interventi abusivi oggetto delle sentenze, entro e non oltre 90 giorni dalla notifica della presente", b) della nota prot. -OMISSIS- del 25/1/2022 del Responsabile Area Urbanistica del Comune di -OMISSIS- il quale, nel riscontrare la motivata istanza di annullamento in autotutela di -OMISSIS-, rappresentava che l'ordine di demolizione è stato emesso "in applicazione della sentenza del giudice monocrativo -OMISSIS-57/2013 del 5/12/2013 depositata in cancelleria il 23/1/2014 e sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS- n. 3697/17 del 16/11/2017 depositata in cancelleria il 13/2/2018" e, quindi, implicitamente rigettava l'anzidetta istanza di annullamento in autotutela. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana e della Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di -OMISSIS-; Visto l'atto di intervento ad opponendum di -OMISSIS-; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.; Relatore nell'udienza straordinaria dedicata allo smaltimento dell'arretrato del giorno 25 settembre 2023, svoltasi con le modalità di cui all'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm. (novellato dall'art. 17, comma 7, lett. a), n. 6, del decreto legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113), il dott. Giovanni Giuseppe Antonio Dato e uditi per le parti i difensori presenti come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con ricorso introduttivo del giudizio notificato in data 20 marzo 2013 e depositato in data 12 aprile 2013 la deducente ha osservato quanto segue. Con istanza prot. -OMISSIS- presentata al Comune di -OMISSIS- in data 10 dicembre 2004, la deducente ha chiesto il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 32 del D.L. n. 269/2003 convertito in L. n. 326/2003 per alcuni interventi abusivi realizzati presso il proprio immobile sito in -OMISSIS-, via -OMISSIS-, indicato in catasto fabbricati al foglio 3 part. lla -OMISSIS-. Poiché l'area di interesse è stata sottoposta a vincolo di notevole interesse pubblico con D.P.R.S. n. 6561 dell'11 novembre 1967, pubblicato in G.U.R.S. n. 51 del 18 novembre 1967, il Comune di -OMISSIS- ha trasmesso l'istanza di sanatoria de qua alla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS- (ove è giunta il 23 dicembre 2009) affinché quest'ultima si pronunciasse in merito alla compatibilità paesaggistica delle opere realizzate in assenza di titolo edilizio. Tuttavia, con l'impugnata nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2013 (emanata a distanza di oltre 3 anni dalla ricezione dell'istanza trasmessa dal Comune di -OMISSIS-), la Soprintendenza ha rigettato detta richiesta di sanatoria e, senza compiere alcuna valutazione in ordine alla compatibilità paesaggistica degli interventi edilizi realizzati dalla ricorrente, ha affermato che le opere abusive non sarebbero suscettibili di sanatoria "in quanto risultano realizzate dopo l'istituzione del vincolo paesistico e non sono conformi allo strumento urbanistico vigente". L'esponente ha dunque proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio. 1.1. Si sono costituiti in giudizio l'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di -OMISSIS- al fine di resistere e di sostenere la legittimità degli atti impugnati. 1.2. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 9 febbraio 2022 e depositato in data 1 marzo 2022 la deducente ha rappresentato quanto segue. Il Giudice monocratico del Tribunale di -OMISSIS-, sezione di -OMISSIS-, con sentenza del 5 dicembre 2013 ha condannato la deducente per abusivismo edilizio evidenziando che - pur essendo pendente una domanda di condono edilizio ai sensi della L. n. 326/2003 - l'anzidetto procedimento non avrebbe potuto avere effetti in sede penale (né ai fini della sospensione del processo né dell'assoluzione) poiché la detta sanatoria riguardava immobili sottoposti a vincolo paesaggistico (pur di inedificabilità solo relativa) cosicché i detti abusi sarebbero stati insanabili. La Corte d'Appello di -OMISSIS- con sentenza n. 3697/17 del 16 novembre 2017 ha riformato la sentenza del Giudice di prime cure statuendo la prescrizione del reato; nel corpo della detta sentenza, la Corte d'Appello ha riconosciuto (pag. 4) l'esistenza di un contrasto tra le pronunce del C.G.A.R.S. (favorevole al condono in zona sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa) e quelle della Cassazione penale (contraria) ma si è appellata al carattere non vincolante (delle sentenze amministrative) per il Giudice ordinario. La prescrizione del reato ha impedito (e, infatti, la Corte d'Appello non l'ha disposta) che fosse disposta la demolizione in sede penale. Negli anni, la deducente - pur confidando sull'avvenuta maturazione del silenzio assenso sulla propria prima domanda di nulla osta paesaggistico del 2009 - si è fatta parte diligente al fine di evidenziare e superare il conflitto che si è creato tra il provvedimento di diniego prot. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012 della Soprintendenza per i BB.CC.AA. (impugnato con il ricorso introduttivo), da una parte, e le pronunce del C.G.A.R.S. e le istruzioni impartite dall'ARTA, dall'altra; invero, a fronte del disposto di cui all'anzidetto provvedimento prot. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012 della Soprintendenza, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana a Sezioni Riunite ha emesso il parere n. 291/10 e poi svariati ulteriori pareri e sentenze, concludendo che, in Sicilia, il divieto di sanatoria recato dal c.d. terzo condono deve considerarsi riferito unicamente ai vincoli assoluti e non anche a quelli c.d. relativi. Anche l'A.R.T.A. Sicilia, con la circolare n. 2 del 31 gennaio 2014 n. 2 e poi con la n. 4/2015, ha preso atto delle anzidette pronunce del C.G.A.R.S. in subiecta materia nonché della sentenza della Corte Costituzionale n. 196/2004 (sul c.d. terzo condono) evidenziante l'autonomia degli effetti penali e degli effetti amministrativi in materia di sanatoria e ha invitato le Soprintendenze a rilasciare i condoni edilizi in presenza di vincoli di inedificabilità meramente relativi. In particolare, la ricorrente, fermo restando i contenuti del ricorso introduttivo del giudizio e preso atto degli arresti della giurisprudenza amministrativa, ha presentato nuova richiesta del 20 febbraio 2014 di "rilascio del provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica relativa all'istanza di condono edilizio prot. -OMISSIS- del 10/12/2004" specificando che la detta nuova richiesta era depositata "in virtù di quanto statuito dal parere del C.G.A. in sezioni riunite n. 291/10 del 31 gennaio 2012 e della successiva circolare dell'A.R.T.A. n. 2/2014", che è stata introitata e posta in istruttoria dalla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS-. Peraltro, a seguito della emanazione dell'art. 25 bis della L. R. Sicilia 10 agosto 2016, n. 16, introdotto dall'art. 1, comma 1, della L. R. Sicilia n. 19/2021 (norma di "interpretazione autentica" in materia di efficacia del condono in aree sottoposte a vincolo di mera inedificabilità relativa), l'esponente ha depositato alla Soprintendenza istanza di sollecito della propria richiesta del 2014 ricevendo, in riscontro, la nota prot. n. 129 del 25 gennaio 2022 recante conferma della pendenza della istanza di nulla osta paesaggistico del 2014 ed evidenziante la sospensione dell'iter a seguito della emanazione della nota Assessoriale prot. n. 48333 dell'11 ottobre 2021 attesa la pendenza di ricorso davanti alla Corte Costituzionale per impugnativa dell'anzidetto art. 1, comma 1, della L. R. Sicilia n. 19/2021 (introduttivo del cit. art. 25 bis L. R. Sicilia 10 agosto 2016, n. 16). Nell'ambito del sopra evidenziato quadro e, quindi nella pendenza della domanda del 2014 di nulla osta paesaggistico, è pervenuta l'impugnata ordinanza dirigenziale -OMISSIS- del 16 dicembre 2021 del responsabile Area Urbanistica del Comune di -OMISSIS- a mezzo della quale è stata ordinata alla ricorrente la demolizione delle opere realizzate nell'immobile sito in -OMISSIS- via -OMISSIS- riportato in catasto al foglio di mappa 3 part. lla -OMISSIS-, con il conseguente ripristino dello stato dei luoghi, entro il termine ivi stabilito. Con messaggio PEC, in data 13 gennaio 2022, del difensore della deducente, è stata formulata motivata richiesta di annullamento in autotutela dell'ordinanza dirigenziale -OMISSIS- del 16 dicembre 2021; il dirigente dell'UTC ha tuttavia risposto con l'impugnata nota prot. -OMISSIS- del 25 gennaio 2022, confermando l'ordinanza dirigenziale -OMISSIS-/2021. L'esponente ha dunque proposto il ricorso per motivi aggiunti. 1.3. Con ordinanza 24 marzo 2022, n. 167 è stata respinta la domanda cautelare avanzata dalla parte ricorrente con ricorso per motivi aggiunti. Proposto dalla parte ricorrente appello (r.g. n. 474/2022) avverso la predetta ordinanza, il Giudice di seconde cure ha respinto il gravame (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., ord. 16 giugno 2022, n. 246). 1.4. All'esito dell'udienza straordinaria dedicata allo smaltimento dell'arretrato del giorno 24 ottobre 2022, con ordinanza 27 ottobre 2022, n. 2848 è stata disposta la sospensione c.d. impropria del giudizio fino alla definizione del giudizio pregiudiziale, pendente dinanzi alla Corte costituzionale, in merito alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 25 bis (norma di interpretazione autentica) della legge reg. Sic. 10 agosto 2016, n. 16, così come introdotto con legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19. 1.5. Ha proposto atto di intervento ad opponendum, notificato e depositato in data 15 novembre 2022, -OMISSIS-, rilevando l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. 1.6. Con decreto 7 marzo 2023, n. 397 è stato rappresentato alle parti che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 252 in data 19 dicembre 2022, si era pronunciata sulla questione che aveva giustificato la sospensione del giudizio, con conseguente venir meno della causa di sospensione del processo. 1.7. Con istanza depositata in data 20 marzo 2023 la parte ricorrente ha chiesto la fissazione dell'udienza di discussione della causa in epigrafe. 1.8. All'udienza straordinaria dedicata allo smaltimento dell'arretrato del giorno 25 settembre 2023, presente il difensore della parte ricorrente, come da verbale, difensore che ha dichiarato di rinunciare alle censure incompatibili con la sentenza n. 252 del 19 dicembre 2022 della Corte Costituzionale, dopo la discussione la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1. Con il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241/1990 come recepita in Sicilia dalla L.R. n. 10/1991 - Mancato invio del preavviso di rigetto. La parte ricorrente, in sintesi, ha lamentato che il provvedimento di diniego impugnato non è stato preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza di sanatoria a suo tempo avanzata. Infatti, ha osservato la deducente, l'invio del c.d. preavviso di rigetto avrebbe consentito di partecipare al relativo procedimento fornendo motivate osservazioni in fatto e in diritto (concernenti, in particolare, sia l'avvenuta formazione del silenzio-assenso, sia la natura del vincolo paesaggistico gravante sull'immobile che ha una portata relativa e non comporta l'inedificabilità assoluta dell'area) che avrebbero potuto determinare la Soprintendenza ad accogliere detta istanza di sanatoria edilizia. In definitiva, ha rilevato l'esponente, il contraddittorio procedimentale avrebbe potuto condurre all'emanazione di un provvedimento finale diverso (ad es. una declaratoria di compatibilità paesaggistica condizionata) da quello oggi impugnato. 1.1. Il motivo è infondato. 1.1.1. In sintesi, l'avversato provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012 della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS-, in ordine alla domanda presentata dalla deducente in data 10 dicembre 2004, prot. -OMISSIS-, ha evidenziato la non sanabilità - ex art. 32, comma 27, lett. d), della legge 24 novembre 2003, n. 326 - dell'abuso realizzato in quanto: a) gli interventi abusivi sono stati realizzati (dal 1987 al 2003) dopo l'apposizione del vincolo di notevole interesse pubblico riguardante il territorio comunale di -OMISSIS- (risalente al 1967); b) gli interventi abusivi non sono conformi allo strumento urbanistico. 1.1.2. Per costante indirizzo interpretativo, il diniego di condono (nel caso in esame la dichiarazione della Soprintendenza di insanabilità per le opere eseguite, in ragione del difetto dei presupposti normativamente stabiliti) ha natura essenzialmente vincolata per cui è da escludere un annullamento per meri vizi procedimentali, a meno che l'interessato non adempia all'onere di dimostrare che il contraddittorio procedimentale, qualora un preavviso di rigetto fosse stato comunicato, avrebbe condotto ad un esito conclusivo diverso. È invero contrario ai principi di economicità, speditezza ed efficienza proclamati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, la valorizzazione di irregolarità meramente formali allorché emerga che comunque il contenuto dispositivo della determinazione impugnata non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, giusta quanto previsto dall'art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. II, 6 marzo 2020, n. 1643; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 19 giug-OMISSIS-23, -OMISSIS-38; T.A.R. Campania, Salerno, sez. III, 24 novembre 2022, n. 3160). 1.1.3. Nel caso in esame, anche dopo il dispiegarsi dell'attività difensiva in sede processuale, non sono emersi elementi che avrebbero potuto indurre l'Amministrazione resistente a non adottare il provvedimento avversato, in forza di decisivi dati di fatto o argomentazioni in diritto offerti dalla parte interessata (cfr. infra). 2. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione dell'art. 17, comma 6, della L.R. n. 4/2003 - Contraddittorietà rispetto al provvedimento favorevole già tacitamente assentito. Per la ricorrente, in sintesi, sull'istanza di sanatoria edilizia avanzata è maturato il silenzio-assenso di cui all'art. 17, comma 6, della L.R. n. 4/2003: invero, dalla lettura dello stesso provvedimento impugnato si ricava che l'istanza di sanatoria edilizia con i relativi elaborati grafici è pervenuta alla Soprintendenza di -OMISSIS- in data 23 dicembre 2009 e, quindi, alla data di emissione del provvedimento avversato (10 dicembre 2012) erano ampiamente decorsi i termini previsti dalla citata norma regionale per la formazione del provvedimento tacito di assenso. Peraltro, ha osservato la deducente, alla maturazione dell'anzidetto silenzio-assenso non osta il rinvio che l'art. 32, comma 27, della Legge n. 326/2003 opera alle norme di cui agli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985 in quanto i commi 2, 3 e 4 del medesimo art. 32 della predetta legge nazionale sulla sanatoria (D.L. n. 269/2003 convertito in Legge n. 326/2003) fanno espressamente salve le competenze legislative esclusive delle Regioni a statuto speciale, con la conseguenza che detto rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985 va inteso nel senso che il legislatore nazionale ha voluto confermare e fare salvo l'impianto normativo precedente nel quale il condono edilizio del 2003 si è inserito. Dunque, ha evidenziato la deducente, le istanze di sanatoria edilizia presentate ai sensi dell'art. 32 della predetta L. n. 326/2003 vanno definite applicando, anziché gli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985, le disposizioni regionali dettate dall'art. 23 della L.R. n. 37/1985 ivi compresa la norma, finalizzata alla semplificazione amministrativa, che prevede e disciplina il formarsi del silenzio-assenso ai sensi del sopracitato art. 17, comma 6, della L.R. n. 4/2003. Ne consegue che la Soprintendenza avrebbe solo potuto tentare l'avvio di un (improbabile) procedimento amministrativo avente i caratteri dell'autotutela; gli anzidetti caratteri non sono contenuti nel provvedimento oggi impugnato il quale difetta dei requisiti sia di forma che di sostanza per essere definito "provvedimento di secondo grado" o "in autotutela". 2.1. Il motivo è infondato. 2.1.1. Come di recente chiarito da condiviso orientamento interpretativo, l'art. 17 della legge reg. Sic. 16 aprile 2003, n. 4 è una norma speciale (volta alla definizione delle pratiche di condono giacenti a partire dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47) che ha introdotto un apposito procedimento di definizione per le pratiche non ancora esitate alla data di entrata in vigore della stessa legge (termine poi prorogato). La norma introduce un istituto che dipende da un'iniziativa del richiedente la concessione in sanatoria a quella data pendente, essendo necessaria la presentazione al Comune competente (da parte del richiedente il condono ancora pendente in istruttoria) di un'apposita perizia giurata asseverante la ricorrenza di tutte le condizioni di legge per la sanatoria ed attestante l'avvenuta presentazione della prescritta richiesta di parere agli enti di tutela, dovendosi escludere ogni altra interpretazione volta ad attribuire alla disciplina de qua il valore di norma generale operante al di fuori dello speciale procedimento introdotto e disciplinato dalla norma in esame (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 15 ottobre 2021, n. 2807; cfr. anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 10 ottobre 2022, n. 2652). Orbene, parte ricorrente non ha documentato, né soltanto riferito, di avere depositato alcuna perizia giurata e, pertanto, non risulta avere mai attivato la speciale procedura in esame, con conseguente assoluta estraneità, rispetto alla vicenda de qua dello specifico procedimento delineato dall'art. 17 legge reg. Sic. 16 aprile 2003, n. 4, e la non configurabilità dell'invocato silenzio assenso ivi contemplato. 2.1.2. Non essendo maturato il silenzio-assenso è privo di base il richiamo all'istituto dell'autotutela. 3. Con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione per falsa applicazione dell'art. 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003 convertito in L. n. 326/2003 - Difetto assoluto di motivazione - Travisamento dei fatti - Incompetenza ed eccesso di potere. In sintesi, ha osservato la deducente che con il provvedimento avversato la Soprintendenza di -OMISSIS- ha rigettato l'istanza di sanatoria edilizia avanzata con apparente e insufficiente motivazione, essendosi limitata a riprodurre la disposizione di cui all'art. 32, comma 27, lett. d), della L. n. 326/2003 senza rappresentare e spiegare come, in che misura e per quali concrete ragioni dette opere siano state ritenute incompatibili con il vincolo paesaggistico di natura relativa (non comportante inedificabilità assoluta) che grava sull'immobile e difformi dallo strumento urbanistico comunale vigente. In realtà, a fronte di istanze di sanatoria edilizia aventi ad oggetto opere ricadenti in zona già sottoposte a vincoli che, come nella fattispecie in esame, non comportano un divieto di inedificabilità assoluta, le Amministrazione preposte alla loro tutela sono ex lege tenute ad esprimere, previa specifica valutazione circa la natura del vincolo (assoluta o relativa), il loro competente parere in ordine alla compatibilità o meno dell'intervento edilizio abusivamente realizzato provvedendo all'eventuale rilascio del nulla-osta in sanatoria; in tal senso è sufficiente richiamare il disposto dell'art. 23 della L.R. n. 37/1985 (analoga previsione è dettata anche dal combinato disposto degli artt. 32 e 33 della L. n. 47/1985). Peraltro, ha rilevato la ricorrente, quanto sopra esposto trova espressa conferma in diversi pareri resi dall'Ufficio Legislativo e Legale della Regione (in particolare, parere -OMISSIS-/2004, reso con nota prot. -OMISSIS-04/14307, e parere n. 313/2006, reso con nota prot. -OMISSIS-07/1321). Contrariamente a quanto affermato dalla Soprintendenza di -OMISSIS-, secondo l'esponente, la circostanza che l'area in cui sono stati realizzati gli abusi risulti sottoposta a vincolo paesaggistico (di natura non assoluta) non può comportare di per sé il rigetto automatico della sanatoria edilizia richiesta ai sensi dell'art. 32 della L. n. 326/2003 e il provvedimento di diniego impugnato deve ritenersi illegittimo e va annullato in quanto sorretto esclusivamente da una motivazione generale, aprioristica e comunque insufficiente atteso che non si riesce a desumere quali siano le ragioni sostanziali che hanno condotto la Soprintendenza di -OMISSIS- ad escludere la compatibilità paesaggistica delle opere realizzate dalla ricorrente e ad affermare - senza essere ex lege competente - la non conformità degli interventi con lo strumento urbanistico comunale. Sotto altro profilo, inoltre, la deducente ha rilevato che il provvedimento impugnato risulta affetto anche da incompetenza ed eccesso di potere per sviamento, non essendo dato comprendere in forza di quale disposizione normativa alla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS-, preposta ex lege alla tutela del vincolo paesaggistico gravante sull'area, sia stato attribuito anche il potere di sindacare e valutare la conformità delle opere oggetto di sanatoria con le norme urbanistiche e con le vigenti prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico comunale, essendo solo il Comune di -OMISSIS- competente a valutare la conformità urbanistica degli interventi edilizi oggetto di sanatoria. 3.1. Premesso che il difensore di parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare alle censure incompatibili con la sentenza n. 252 del 19 dicembre 2022 della Corte Costituzionale (cfr. verbale d'udienza; cfr. anche pag. 3 della memoria depositata in data 25 luglio 2023 e pag. 1 della replica depositata in data 4 settembre 2023), il Collegio, quanto alla parte restante, osserva quanto segue. 3.1.1. Il cit. art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 stabilisce che fermo restando quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora "siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (si ricordi che in base all'art. 24, comma 1, della legge reg. Sic. 5 novembre 2004, n. 15, "Dalla data di entrata in vigore della presente legge è consentita la presentazione dell'istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni. Sono fatte salve le istanze di sanatoria già presentate e le anticipazioni versate ai sensi della predetta legge alle quali si applicano le disposizioni di cui al presente articolo"). Orbene, per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2023, n. 1036; Cons. Stato, sez. I, 18 gennaio 2023, n. 90; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781), ai sensi del cit. art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, sono sanabili le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello idrogeologico, ambientale e paesistico), purché ricorrano "congiuntamente" determinate condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell'imposizione del vincolo (e non necessariamente che comporti l'inedificabilità assoluta); b) che pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illeciti di cui ai nn. 4, 5, e 6 dell'allegato 1 al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria); d) che ci sia il parere favorevole dell'autorità preposta al vincolo. Premesso quanto sopra, come si ricava dall'impugnato provvedimento della Soprintendenza: - gli interventi abusivi sono stati realizzati dopo l'apposizione del vincolo di notevole interesse pubblico del territorio comunale di -OMISSIS-; - gli interventi abusivi non sono conformi allo strumento urbanistico. Ne consegue che, in presenza dei detti profili, nessun ulteriore corredo motivazionale era dovuto dalla Soprintendenza resistente al fine di giustificare la conclusione della dichiarazione di insanabilità . 3.1.2. Il Collegio rinvia all'esame del ricorso per motivi aggiunti l'analisi della sentenza della Corte cost., 19 dicembre 2022, n. 252 e delle sue conseguenze sulla fattispecie in esame, evidenziando sin d'ora che già in precedenza il Tribunale adito aveva abbracciato l'orientamento secondo cui "(...) mentre con i precedenti condoni era possibile la sanatoria dell'immobile relativamente vincolato anche se contrastante con le norme urbanistiche, con la normativa del 2003 ciò non è più possibile, ostando alla regolarizzazione la compresenza del vincolo non assoluto (in linea di principio rimuovibile con il parere dell'Autorità competente) e della non conformità alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 27 luglio 2021, n. 2485 ed ivi precedenti giurisprudenziali). 3.1.3. Quanto al rilievo che la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS-, preposta ex lege alla tutela del vincolo paesaggistico, sia pervenuta a sindacare e valutare la conformità delle opere oggetto di sanatoria con le norme urbanistiche e con le vigenti prescrizioni dettate dallo strumento urbanistico comunale (di competenza, invece, del Comune di -OMISSIS-), si deve evidenziare che nessun autonomo giudizio è stato espresso dalla Soprintendenza: ed invero, è stata la stesa parte ricorrente ad indicare nella domanda di condono edilizio che l'intervento realizzato - e per il quale si chiedeva il rilascio del provvedimento di sanatoria straordinaria - rientrava nella tipologia di abuso 01 (id est "opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici"). 4. Con il quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha dedotto i vizi di (in subordine) Illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 27, lett. d) del D.L. n. 269/2003 convertito in L. n. 326/2003 e recepito in Sicilia dall'art. 24 della L.R. n. 15/2004 per violazione dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 e 97 Cost. e per violazione degli artt. 9 e 42, comma 2 della Cost.. In via meramente subordinata, la parte ricorrente, nell'ipotesi in cui il Tribunale adito dovesse ritenere che l'art. 32 del D.L. n. 269/2003, convertito in L. n. 326/2003 e recepito in Sicilia dalla norma regionale sopra rubricata, risulti ostativo al rilascio della sanatoria edilizia di opere abusive non conformi che siano state eseguite in zone sottoposte a qualsivoglia tipologia di vincolo paesaggistico (anche quello che non comporti inedificabilità assoluta), ne ha eccepito l'illegittimità costituzionale, per le ragioni specificate (cfr. pagg. 12 e ss.) nell'atto introduttivo del giudizio, chiedendo che la questione di illegittimità costituzionale - non manifestamente infondata e rilevante per la decisione del ricorso - venga rimessa al giudizio della Corte Costituzionale. 4.1. Il motivo deve intendersi rinunciato (cfr. verbale d'udienza; cfr. anche pag. 3 della memoria depositata in data 25 luglio 2023 e pag. 1 della replica depositata in data 4 settembre 2023). In ogni caso, il Collegio, nel ribadire il rinvio all'esame del ricorso per motivi aggiunti in ordine all'analisi della sentenza della Corte cost., 19 dicembre 2022, n. 252 e delle sue conseguenze sulla fattispecie in esame, evidenzia che la sentenza Corte cost., 19 dicembre 2022, n. 252, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19, nonché, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, degli artt. 1, comma 2, e 2 della medesima legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19, ha chiarito che: - assurgono a norme di grande riforma economico-sociale le previsioni statali relative alla determinazione massima dei fenomeni condonabili, cui devono senz'altro ricondursi quelle che individuano le tipologie di opere insuscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, incluso il limite di cui alla lett. d); - deve escludersi che l'applicabilità del condono edilizio in presenza di vincoli relativi possa rientrare "tra le possibili varianti di senso del testo originario" dell'art. 24 della legge reg. Sic. 5 novembre 2004, n. 15. 5. Con il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti la parte ricorrente ha dedotto il vizio di Illegittimità derivata. Per l'esponente, gli atti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti sono affetti da illegittimità derivata dai vizi del provvedimento soprintendentizio prot. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012 impugnato con il ricorso introduttivo. 5.1. Il motivo va disatteso, non essendo state ritenute fondate le censure articolate con l'atto introduttivo del giudizio. 6. Con il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Mancanza di valido preavviso di rigetto in relazione alla domanda di condono edilizio - Violazione dell'art. 10 bis L. n. 241/90 in relazione alle osservazioni richieste e depositate. Per la deducente, in sintesi, nel caso di specie sussistevano fatti e circostanze idonei ad apportare utili contributi alla decisione finale (ad esempio la pendenza di procedimenti paesaggistici ben noti al Comune, l'avvenuta emanazione di legislazione del tutto innovativa sull'argomento, giurisprudenza d'appello obiettivamente idonea a supportare tesi giuridiche favorevoli alla ditta, eccetera). Ha aggiunto la deducente che, nel caso di specie, un risalente avvio del procedimento (nota comunale prot. -OMISSIS- del 16 gennaio 2013 menzionata nell'atto impugnato) già esisteva e, oltreché datato, esso era stato puntualmente controdedotto con le osservazioni prot. -OMISSIS- del 31 gennaio 2013 (anch'esse menzionate in seno all'atto impugnato), rimaste prive di critica viziando così il provvedimento finale. In conclusione, per la deducente, l'Amministrazione avrebbe dovuto quantomeno essere coerente con la sua (già effettuata) scelta di preavvisare la ditta circa il possibile rigetto e conseguentemente: - dare conto delle ragioni per le quali ha ritenuto di rigettare le osservazioni del cittadino (che essa stessa Amministrazione aveva chiesto di depositare); - integrare il preavviso di rigetto con riguardo alle circostanze (tutte nuove rispetto all'emissione dell'"antico" preavviso di rigetto del 2013) verificatesi dopo l'emanazione del preavviso (ad esempio, l'attuale pendenza dell'istanza del 2014 di nulla osta paesaggistico oppure l'entrata in vigore del nuovo art. 25 bis della L. R. Sicilia 10 agosto 2016 n. 16). 6.1. Il motivo è infondato. 6.1.1. La parte ricorrente, a fronte di un diniego di diniego di condono avente natura essenzialmente vincolata, non ha in concreto dimostrato che il contraddittorio procedimentale avrebbe condotto ad un esito conclusivo diverso (arg. ex Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2372). Ed invero, nel caso in esame, anche dopo il dispiegarsi dell'attività difensiva in sede processuale, non sono emersi elementi che avrebbero potuto indurre l'Amministrazione resistente a non adottare il provvedimento avversato, in forza di decisivi dati di fatto o argomentazioni in diritto offerti dalla parte interessata, dovendosi ribadire che in presenza di interventi abusivi realizzati dopo l'apposizione del vincolo di notevole interesse pubblico del territorio comunale di -OMISSIS- e non conformi allo strumento urbanistico, il cit. art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326 preclude il rilascio dell'anelato titolo in sanatoria. Invero, il combinato disposto dell'art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e dell'art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, comporta che un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non possa essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente le seguenti condizioni (come nel caso in esame): - l'imposizione del vincolo di inedificabilità è avvenuta prima della esecuzione delle opere; - le opere sono realizzate in assenza o difformità dal titolo edilizio e non sono conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è cioè consentita la sanatoria dei soli abusi formali): cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 11 agosto 2023, n. 7733 ed ivi precedenti giurisprudenziali. 6.1.2. Va peraltro evidenziato, fermo quanto si osserverà infra, che: a) in concreto, l'istanza avanzata dalla parte ricorrente nel 2014 di nulla osta paesaggistico non ha mai "superato" il diniego (dichiarazione di insanabilità ) opposto con nota prot. n. -OMISSIS- del 10/12/2013 della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di -OMISSIS-; b) la norma di cui all'art. 1, comma 1, della legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19 è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (cfr. cit. Corte cost., 19 dicembre 2022, n. 252). Ne consegue che sebbene la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, il principio di valenza generale tempus regit actum non trova applicazione nel caso in cui la successione di leggi nel tempo dipenda dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge: le pronunce della Corte costituzionale, infatti, determinano il venir meno in via retroattiva della norma censurata, poiché operano la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583). 7. Con il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Mancanza di un effettivo provvedimento di rigetto della domanda di condono edilizio - Difetto di presupposti (sotto un primo profilo) per l'emanazione dell'ordine di demolizione. In sintesi, per la deducente l'ordinanza dirigenziale impugnata appare emessa senza previa emanazione del formale provvedimento di diniego di condono: ed invero, anche se l'Amministrazione resistente descrive le ragioni (illegittime) per le quali ritiene che il condono edilizio meriterebbe repulsione, di fatto non dispone formalmente il rigetto di quest'ultimo bensì procede alla diretta emanazione di un ordine di demolizione, "orfano" del provvedimento presupposto costituito dall'atto amministrativo di rigetto della domanda di sanatoria edilizia. 7.1. Il motivo infondato. 7.1.1. L'ordinanza dirigenziale impugnata -OMISSIS-/2021 precisa quanto segue: "(...) CONSIDERATO CHE L'istanza di sanatoria prot. -OMISSIS- del 10.12.2004 ai sensi della L. 326/04 inerente l'ampliamento del piano terra, a piano primo e sopraelevazione del piano secondo nell'immobile esistente sito in -OMISSIS- Via -OMISSIS-, con allegati elaborati grafici e relazione tecnica a firma dell'Ing. Os. Ay., per i motivi esposti nelle sentenze penali n° 2057/2013 e n° 3697/2017, nonché nel parere della Soprintendenza ai BB.CC.AA. prot. n° -OMISSIS- del 10.12.2012, non può trovare accoglimento. ORDINA Alla Sig.ra -OMISSIS-,, nata a -OMISSIS- il 22.12.1963 ed ivi residente in Via -OMISSIS-, C.F.: -OMISSIS-J, la demolizione delle opere realizzate nell'immobile (...)". Appare evidente, a giudizio del Collegio, che l'ordinanza dirigenziale avversata rechi sia il motivato (per relationem) rigetto della domanda di condono sia l'ingiunzione di demolizione delle opere realizzate. Del resto, è stato condivisibilmente osservato che per ragioni di economia dei mezzi giuridici il Comune ben può compendiare in un unico atto, recante plurime statuizioni, tanto il diniego di sanatoria che il consequenziale ordine di demolizione e ciò sia per l'evidente condivisione, da parte di questi atti, dei medesimi presupposti fattuali e giuridici, sia per la stretta e doverosa consequenzialità che indissolubilmente li lega (cfr. T.A.R. Lazio, Latina, sez. I, 8 aprile 2019, n. 260). 7.1.2. Come ha chiarito la giurisprudenza, invero, l'interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dall'art. 1362 cod. civ. e ss. per l'interpretazione dei contratti, tra le quali assume carattere preminente quella collegata alla interpretazione letterale in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, dovendo in ogni caso il giudice ricostruire l'intento dell'amministrazione, ed il potere che essa ha inteso esercitare, in base al contenuto complessivo dell'atto (cd. interpretazione sistematica): cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 19 giugno 2023, n. 5992. 8. Con il quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Difetto di presupposti (sotto altro profilo) - Travisamento dei fatti - Difetto di istruttoria - Intervenuta maturazione del silenzio assenso sulla nuova domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica del 2014 e in subordine esistenza di una pendente domanda di compatibilità paesaggistica in corso di effettiva e certificata istruttoria. La parte ricorrente, in sintesi, ha osservato che in seno al provvedimento di demolizione impugnato (pag. 2), è stata espressamente richiamata l'esistenza di un procedimento (definito) di "riesame" del provvedimento soprintendentizio n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012; la deducente ha rilevato che, in realtà, con istanza prot. -OMISSIS- febbraio 2014 è stata depositata domanda di "rilascio del provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica relativa alla istanza di condono edilizio prot. -OMISSIS- del 10/12/2004" espressamente "in virtù di quanto statuito dal parere del CGA in Sezioni Riunite n. 291/10 del 31 gennaio 2012 e della successiva circolare dell'ARTA n. 2/2014" e sulla detta domanda di accertamento è già maturato il silenzio assenso previsto dalle norme siciliane o, a tutto concedere, detta domanda di nulla osta paesaggistico è attualmente in istruttoria avendo la Soprintendenza di -OMISSIS- - con nota -OMISSIS- del 25 gennaio 2022, in riscontro a specifico sollecito formulato prima dell'ordinanza di demolizione - evidenziato che, in effetti: - risulta attualmente pendente (ed in istruttoria) l'istanza del 20 febbraio 2014 -OMISSIS- tendente ad ottenere nulla osta paesaggistico relativamente alla domanda di condono edilizio prot. -OMISSIS- del 10 dicembre 2004; - la deducente aveva (anche) presentato una istanza di sollecito ai sensi dell'art. 25-bis della L. R. 10 agosto 2016 n. 16; - l'anzidetta pratica paesaggistica, pur pendente ed in istruttoria, non è stata esaminata in quanto, successivamente all'emanazione dell'art. 25 bis della L.R. Sicilia 10 agosto 2016 n. 16, una nota assessoriale ha prescritto di ritardare la definizione dei relativi procedimenti in attesa della "pronuncia della Corte Costituzionale" (in ragione dell'impugnazione dell'anzidetto art. 25 bis, comunque in vigore). Pertanto, ha osservato l'esponente, il provvedimento comunale che dispone la demolizione (e che asserisce che la sanatoria sarebbe inammissibile pur non disponendo formalmente per il suo rigetto) è illegittimo perché (anche) sulla nuova domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica del 20 febbraio 2014 -OMISSIS- è maturato il silenzio assenso di cui all'art. 17, comma 6, della L. R. n. 4/2003 oppure, in ogni caso, sarebbe comunque pendente e non ancora esitata una domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica regolarmente in istruttoria cosicché, all'evidenza, in ogni caso difettavano i presupposti per l'emanazione dell'ordine di demolizione impugnato il quale è fondato sulla (presunta) esistenza di un definitivo diniego di nulla osta paesaggistico relativamente alla domanda di condono edilizio prot. -OMISSIS- del 10 dicembre 2004. I provvedimenti impugnati, secondo la deducente, altresì, sono illegittimi per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria atteso che il Comune di -OMISSIS- ha omesso di verificare e/o dare atto dell'esistenza della detta domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica che, in effetti - ove già non fosse maturato il silenzio assenso - è comunque pendente ed oggetto di esplicita istruttoria presso la Soprintendenza di -OMISSIS-. 8.1. Il motivo è infondato. 8.1.1. La formazione del silenzio assenso ai sensi dell'art. 17 della legge reg. Sic. 16 aprile 2003, n. 4 nella fattispecie in esame deve escludersi per una pluralità di ragioni. In primo luogo, la Soprintendenza si era già espressa con nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012, avversata con il ricorso introduttivo del giudizio e ritenuta esente dai vizi denunciati (cfr. supra). Detta nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012, occorre ribadirlo, non risulta "superata" (id est, venuta meno nella sua esistenza ed efficacia) per effetto delle iniziative successivamente intraprese dall'esponente. Inoltre, anche in relazione al segmento in esame, parte ricorrente non ha documentato, né soltanto riferito, di avere depositato alcuna perizia giurata e, pertanto, non risulta avere mai attivato la speciale procedura in questione, con conseguente assoluta estraneità, rispetto alla vicenda de qua dello specifico procedimento delineato dall'art. 17 legge reg. Sic. 16 aprile 2003, n. 4, e la non configurabilità dell'invocato silenzio assenso ivi contemplato (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 15 ottobre 2021, n. 2807; cfr. anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 10 ottobre 2022, n. 2652). 8.1.2. L'istanza 20 aprile 2014 -OMISSIS- rivolta dall'esponente alla Soprintendenza di -OMISSIS- non ha avuto alcuna incidenza sull'esistenza e sulla efficacia della precedente nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012. Appare evidente, infatti, che una nuova domanda di rilascio di un titolo in precedenza negato non può determinare la caducazione del pregresso provvedimento sfavorevole, posto che diversamente opinando sarebbe agevolata una spirale teoricamente infinita di nuovi dinieghi e nuove istanze di rilascio del titolo. Ciò premesso, il Collegio ritiene che in merito alla predetta istanza 20 aprile 2014 -OMISSIS- la Soprintendenza di -OMISSIS- non ha avviato alcuna attività istruttoria, posto che con nota prot. -OMISSIS- del 25 gennaio 2022, dopo aver richiamato (nell'oggetto) la predetta istanza nonché il successivo sollecito, la Soprintendenza di -OMISSIS- ha chiaramente concluso nei seguenti termini: "(...) la ditta in oggetto, ha proposto ricorso al TARS di Catania annotato al n. 911/2013, pertanto questa Soprintendenza rimane in attesa dell'esito della sentenza". Detta espressione rende palese l'intenzione dell'Amministrazione resistente di non voler pronunciarsi sulle nuove istanze avanzate dalla deducente (istanza 20 aprile 2014 -OMISSIS- e successivo sollecito), id est di non voler compiere alcuna nuova istruttoria ovvero rinnovata valutazione e ponderazione degli interessi o apprezzamento dei fatti, volendo invece attendere l'esito del giudizio instaurato dalla parte ricorrente (proprio sulla nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012). 9. Con l'ultimo motivo del ricorso per motivi aggiunti la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Travisamento dei fatti - Difetto di motivazione - Eccesso di potere - Violazione dell'art. 25-bis L.R. Sicilia 10/8/2016 n. 16, dell'art. 32 comma 27 lett. d del D.L. 269/2003 e degli artt. 32 e 33 della L. n. 47/85 nella versione "regionale" introdotta dall'ar. 23 della L.R. Sicilia n. 37/85. Ha osservato la deducente, in sintesi, che i provvedimenti comunali impugnati si caratterizzano anche per l'erronea convinzione del Comune di -OMISSIS- di essere tenuto ad emettere un ordine di demolizione come diretta, automatica e vincolata conseguenza ("in applicazione") delle sentenze penali -OMISSIS-57/2013 del Tribunale di -OMISSIS- e n. 3697/2017 della Corte d'Appello di -OMISSIS-. Il Comune, aggiunge la ricorrente, evidenzia inveridicamente che il giudizio penale si sarebbe concluso con la condanna degli imputati; inoltre, la ricorrente contesta la convinzione circa il carattere vincolante, in sede amministrativa, dell'interpretazione della norma da parte del giudice penale. Per la deducente, innanzitutto è erronea la prima delle due affermazioni contenute nel provvedimento e, cioè, quella secondo cui la stessa ricorrente sarebbe stata condannata dal Giudice Penale. E' altresì errata, secondo la ricorrente, anche l'altra esplicita affermazione secondo cui la demolizione scaturirebbe quale effetto "dovuto" in conseguenza delle anzidette sentenze penali (erronea convinzione che alimenta l'agere amministrativo comunale: ordinanza dirigenziale impugnata e nota comunale prot. -OMISSIS- del 25 gennaio 2022, anch'essa impugnata). Per la ricorrente, l'accertamento del giudice penale è vincolante solo relativamente al "fatto materiale" accertato e anche ammesso che fosse maturato un giudicato penale di condanna (che, invece, neppure esiste) e quindi anche ammesso (sempre per assurdo) che il "fatto materiale" descritto in sentenza penale dovesse ritenersi vincolante per il giudice amministrativo, l'accertamento penale sarebbe comunque caduto solo "sul fatto", senza che, però, la valutazione giuridica del detto fatto possa assumere carattere vincolante in sede amministrativa. Il Comune di -OMISSIS-, invece, ha attribuito carattere vincolante (non solo al "fatto materiale" ma) anche alla valutazione giuridica espressa dal Giudice Penale e, cioè, alla valutazione di giuridica aprioristica insanabilità delle opere, valutazione che la parte ricorrente contesta. Per la deducente, innanzitutto, il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa Siciliana, in merito all'art. 32, comma 27, lett. d), del D.L. 269/2003, ha osservato che in Sicilia va contenuto, secondo un'esegesi necessariamente sistematica, entro quegli stessi limiti che la legislazione regionale esclusiva, fatta espressamente salva dall'incipit del comma stesso, prevede e continua a prevedere all'art. 32-33 della versione regionale della legge n. 47/1985, per quale recepita in Sicilia dall'art. 23 della L.R. n. 37/1985, ciò che equivale ad affermare che in Sicilia il divieto di cui alla cit. lett. d) deve considerarsi riferito unicamente ai vincoli "assoluti", e non anche a quelli c.d. relativi, per i quali ultimi può, invece, ottenersi la concessione in sanatoria, ove si realizzino tutte le altre condizioni stabilite dal predetto art. 32-33, ancora vigente nella Regione. Pertanto, ha osservato la parte ricorrente, il Comune di -OMISSIS- (al corrente della pendenza di una nuova istanza di compatibilità paesaggistica) non avrebbe potuto ritenere che le sentenze penali costituissero vincolante "presupposto" per l'emanazione di un ordine di demolizione (e a monte di un diniego di sanatoria ove mai emesso). Inoltre, ha aggiunto la deducente, dall'emanazione (mesi prima dell'adozione dei provvedimenti comunali impugnati) dell'art. 25 bis della L.R. Sicilia 10 agosto 2016, n. 16 introdotto dall'art. 1, comma 1, della L. R. Sicilia n. 19/2021, il quale ha espressamente disciplinato l'obbligo delle Soprintendenze siciliane di esaminare ed esitare, sulla base del principio di sanabilità degli abusi in zone sottoposte a vincoli di inedificabilità (solo) relativa, non solo le istanze pendenti di compatibilità paesaggistica relative al "terzo condono" ma, altresì, anche le istanze di riesame dei provvedimenti di diniego di compatibilità paesaggistica eventualmente già emessi e motivati con riferimento all'esistenza di vincoli di inedificabilità "relativa", consegue l'erroneità (anche sotto questo profilo) dell'affermazione del Comune intimato secondo cui l'avvenuta emanazione di una sentenza penale (del 2018, non di condanna bensì di "non doversi procedere") sarebbe ostativa dell'accoglimento di un'istanza (di nulla osta paesaggistico o di riesame), tutt'oggi pendente nella vigenza di una norma (l'art. 25 bis della L. R. Sicilia 10 agosto 2016, n. 16) che espressamente consente (nel rispetto di tutte le altre condizioni di legge) il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica e del provvedimento di condono per gli abusi commessi in area sottoposta al vincolo di inedificabilità (solo) relativa. 9.1. Il motivo è infondato. 9.1.1. In primo luogo va ribadito (cfr. supra) che con nota prot. -OMISSIS- del 25 gennaio 2022 la Soprintendenza di -OMISSIS- ha reso palese l'intenzione di non voler pronunciarsi sulle nuove istanze avanzate dalla deducente (istanza 20 aprile 2014 -OMISSIS- e successivo sollecito), id est di non voler compiere alcuna nuova istruttoria ovvero rinnovata valutazione e ponderazione degli interessi o apprezzamento dei fatti, volendo invece attendere l'esito del giudizio instaurato dalla parte ricorrente (proprio in merito all'impugnazione della nota prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012). 9.1.2. L'ordinanza dirigenziale -OMISSIS-/2021 avversata, nell'illustrare le ragioni poste a fondamento del disposto diniego di condono (effettivamente racchiuso nell'ordinanza avversata: cfr. supra, punto 7.1. e ss. in Diritto), ha fatto leva: - sia sui motivi esposti nelle sentenze penali -OMISSIS-57/2013 e n. 3697/2017; - sia sulle ragioni espresse nel parere della Soprintendenza ai BB.CC.AA. prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012. Il citato parere della Soprintendenza ai BB.CC.AA. prot. n. -OMISSIS- del 10 dicembre 2012 è stato ritenuto esente dai vizi denunciati dalla parte ricorrente e le motivazioni in esso racchiuse sono ex se idonee a sorreggere le determinazioni sfavorevoli avversate (cfr. supra, in particolare punti 3.1 e ss. in Diritto). Orbene, per costante orientamento giurisprudenziale nell'ambito del giudizio amministrativo, in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente il riscontro della legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell'intero ricorso in considerazione del fatto che anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 2023, n. 1177). Orbene, dall'acclarato carattere abusivo delle opere (stante il rigetto della domanda di condono edilizio) consegue l'adozione dell'ordine demolitorio, che è doveroso ed espressione di attività vincolata (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 26 aprile 2023, n. 1400). 9.1.3. Peraltro, il Collegio rileva che ben poteva il Comune condividere le ragioni della non sanabilità delle opere abusive in questione, ragioni espresse nelle sentenze sopra richiamate, facendo rinvio per relationem alle stesse pronunce del Giudice penale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 17 gennaio 2011, n. 89). 9.1.4. Infine, la già citata giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost., 19 dicembre 2022, n. 252), nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19, nonché, in via conseguenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, degli artt. 1, comma 2, e 2 della medesima legge reg. Sic. 29 luglio 2021, n. 19, ha chiarito quanto segue: - il cit. art. 24 della legge reg. Sic. 5 novembre 2004, n. 15 richiama espressamente l'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, come convertito, nella sua integralità ; di conseguenza, tale rinvio riguarda non solo i termini e le forme della richiesta di concessione in sanatoria, ma anche i limiti entro i quali questa deve essere rilasciata, tra cui quello previsto dal citato comma 27, lettera d), dell'art. 32, che attribuisce "carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l'inedificabilità assoluta"; - in tal senso, si è espressa ripetutamente, tra l'altro, la Corte di cassazione penale, chiarendo che la legge reg. Sicilia 10 agosto 1985, n. 37, nel recepire il primo condono edilizio, che ammetteva la sanatoria in presenza di vincoli relativi, non può prevalere sulla normativa statale sopravvenuta che disciplina, in ogni suo aspetto, il terzo condono edilizio e che è anch'essa recepita dalla citata legge reg. Sic. 5 novembre 2004, n. 15, mentre non pare condivisibile il diverso avviso del C.G.A.R.S., Adunanza del 31 gennaio 2012, parere n. 291 del 2010, secondo cui, nell'ambito della Regione Siciliana, dovrebbe continuare ad applicarsi la disciplina attuativa del primo condono edilizio, prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, preclusiva della sanatoria solo a fronte di vincoli di inedificabilità assoluta; - deve dunque escludersi che l'applicabilità del condono edilizio in presenza di vincoli relativi possa rientrare "tra le possibili varianti di senso del testo originario" dell'art. 24 della legge reg. Sic. 5 novembre 2004, n. 15; - assurgono a norme di grande riforma economico-sociale le previsioni statali relative alla determinazione massima dei fenomeni condonabili, cui devono senz'altro ricondursi quelle che individuano le tipologie di opere insuscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, come convertito, incluso il limite di cui alla lettera d). Sul punto va ribadito (cfr. supra) che le pronunce della Corte costituzionale determinano il venir meno in via retroattiva della norma censurata, poiché operano la ricognizione di un vizio originario ed intrinseco della norma stessa (cfr. cit. Cons. Stato, sez. IV, 21 agosto 2012, n. 4583). 10. In conclusione, il ricorso introduttivo del giudizio ed il ricorso per motivi aggiunti vanno respinti in ragione dell'infondatezza delle censure. 11. La complessità e la natura interpretativa delle questioni esaminate unitamente alla non univocità del quadro giurisprudenziale pertinente giustificano l'integrale compensazione delle spese di giudizio fra le parti costituite, mentre nessuna statuizione è dovuta in ordine alle spese di lite quanto all'intimato Comune di -OMISSIS-, non costituitosi in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo del giudizio e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge. Spese compensate quanto alle parti costituite; nulla spese quanto alle parti non costituite. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e le persone menzionate. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2023, svoltasi con le modalità di cui all'art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm. (novellato dall'art. 17, comma 7, lett. a), n. 6, del decreto legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113), con l'intervento dei magistrati: Giacinta Serlenga - Presidente Giovanni Giuseppe Antonio Dato - Primo Referendario, Estensore Agata Gabriella Caudullo - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 871 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Gr. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Ragusa, viale (...); contro il Comune di -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento: - dell'ordinanza dirigenziale n. -OMISSIS-, con cui il responsabile del settore tecnico del Comune di -OMISSIS- ha ingiunto loro di demolire le opere edili abusive ivi descritte; - di ogni altro atto e/o provvedimento, ivi compreso quello prot. -OMISSIS-, anch'esso comunicato il -OMISSIS- successivo, nella parte in cui lo stesso dirigente ha negato agli stessi l'autorizzazione in sanatoria delle opere edili di cui ha ingiunto la demolizione. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 25 settembre 2023 il dott. Pierluigi Buonomo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1.- Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti, coniugi comproprietari di un immobile adibito a civile abitazione, domandano l'annullamento dell'ordinanza dirigenziale n. -OMISSIS-, con cui il responsabile del settore tecnico del Comune di -OMISSIS- ha ingiunto loro di demolire le opere edili abusive ivi descritte (a dire dei ricorrenti, di natura pertinenziale). Impugnano altresì gli atti presupposti e correlati, tra cui il provvedimento n. -OMISSIS-, nella parte in cui è stata negata l'autorizzazione in sanatoria delle suddette opere. L'immobile "principale" era stato oggetto di concessione edilizia in sanatoria n. -OMISSIS-. Espongono i ricorrenti che hanno realizzato al servizio del fabbricato principale ulteriori opere analiticamente indicate in ricorso, in tesi, pertinenziali e che solo una parte dell'intervento edilizio contestato ha ottenuto l'autorizzazione in sanatoria ai sensi dell'art. 36 d.p.R. 380/2001 mentre, per il resto, con la nota n. -OMISSIS- impugnata, è stata negata la regolarizzazione, sul presupposto che si tratterebbe di modifiche per le quali sarebbe richiesto il permesso di costruire; in particolare, il diniego ha riguardato le seguenti opere: - manufatto edilizio con struttura in c.a. e copertura a falda realizzato in appoggio al muro di confine del lato nord-est del lotto, utilizzato come deposito e legnaia di mq. 42.00; - tettoia in legno lamellare posizionata a ridosso del manufatto destinato a deposito e legnaia di mq 16.57 realizzata in appoggio allo stesso e al muro di confine lato nord; - tettoia veranda il legno lamellare di mq 19.00 circa, annessa al fabbricato principale e posizionata sul lato nord-ovest dello stesso. Il ricorso è articolato sui seguenti motivi di diritto: a) Violazione ed omessa applicazione dell'articolo 3 del DPR 380/2001 come recepito dall'articolo 5 della L.R. n. 16/2016 - Violazione ed omessa applicazione dell'articolo 3 lettera d) e punto e.6 del DPR 380/2001 - Violazione comma 4 le variazioni (essenziali) di cui alle lettere b), c) e d) del comma 1 dell'art. 32 del DPR 380/2001 così come sostituito dall'articolo 12 L.R. n. 16/2016 - Eccesso di potere per travisamento e carenza di istruttoria - Sviamento dal fine tipico - Contraddittorietà rispetto alle valutazioni operate con la concessione edilizia in sanatoria numero -OMISSIS- ed ingiustizia manifesta. Assume parte ricorrente, relativamente al deposito e legnaia di mq. 42.00, che: - il compendio edilizio sarebbe preesistente al rilascio della concessione in sanatoria n. -OMISSIS- ed avrebbe subito un semplice intervento di ristrutturazione, con un ampliamento volumetrico nettamente inferiore al 20% rispetto all'edificio principale, peraltro senza alcuna modifica della destinazione d'uso (non sarebbe qualificabile, dunque, come intervento di nuova costruzione e, conseguentemente, sarebbe estraneo al perimetro di applicazione della norma che richiede il permesso a costruire); - l'art. 31 del d.p.R. 380/2001 si applicherebbe esclusivamente a volumi edilizi con specifica autonomia e rilevanza, non a quelli di natura pertinenziale (nel caso di specie un locale tecnico/legnaia); - l'intervento edilizio non costituirebbe neanche variazione essenziale rispetto al progetto assentito con la concessione in sanatoria (non rientrando, dunque, nelle ipotesi di cui agli artt. 32 e 33 d.p.R. 380/2001), di talchè, al più, avrebbe richiesto una autorizzazione edilizia in sanatoria, in sostituzione della omessa denuncia di inizio attività (trattandosi di ristrutturazione di un corpo accessorio pertinenziale rispetto all'edificio principale). b) Violazione e falsa applicazione dell'articolo 9 della Legge Regionale numero 37/1985, come integrato dall'articolo 20 della Legge Regionale numero 4 del 2003 e dall'articolo 12 della Legge Regionale del 14 aprile 2006, numero 15 - Eccesso di potere per carenza di istruttoria e travisamento - Eccesso di potere per carenza di presupposto e sviamento- Illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione. Assume parte ricorrente che entrambe le tettoie rientrerebbero nell'alveo applicativo dell'art. 9 l.r. 37/85, dell'art. 20 della l.r. 4/2003 e dell'art. 12 l.r. 15/06, trattandosi di chiusura di terrazze per le quali non è richiesto il requisito della precarietà della struttura. Ad ogni modo, precisa che le tettoie in legno lamellare, oltre a coprire una superficie inferiore a 50 mq, sarebbero, peraltro, facilmente amovibili. In conclusione, andrebbero ammesse alla regolarizzazione, richiedendosi per la loro sanatoria la sola presentazione d'una comunicazione di inizio lavori (CILA) ed il versamento della somma di Euro 25/mq prevista per legge, sino ad un massimo di 50 mq consentiti. 2.- Il Comune intimato non si costituiva. 3.- All'udienza straordinaria del 25.09.2023, il ricorso veniva trattenuto in decisione. 4.- Il ricorso è infondato. 4.1- Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente sostiene che le opere ivi contestate (manufatto ad uso deposito e legnaia) preesistano alla concessione in sanatoria n. -OMISSIS- e, come tali, sarebbero state "di fatto" sanate. Sostiene, inoltre, che l'intervento non sarebbe, diversamente da quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, in contrasto con articolo 26 delle N.T.A. del PRG comunale, poiché non comportante una nuova costruzione, ma una semplice ristrutturazione edilizia ai sensi della lettera d) dell'art. 3 del Testo Unico DPR 380/2001, eseguito anche ai fini dell'adeguamento sismico, con ampliamento volumetrico sino ad 80 mc circa che, comunque, risulta nettamente inferiore al 20% del volume sanato dell'edificio principale (826*20% = 165 mc circa). 4.1.1- Il motivo è infondato. Va premesso che la preesistenza dei manufatti adesso in esame (peraltro dichiarata ma non provata) alla ottenuta concessione in sanatoria del 2004 non ha rilievo alcuno in quanto, da una parte, detti manufatti non risultano coperti dal detto titolo e, dall'altra, detta circostanza non dimostra la doppia conformità, all'epoca dell'abuso e al momento del rilascio del richiesto titolo in sanatoria, ai vigenti strumenti edilizi, necessaria ai fini del rilascio del titolo richiesto. Infatti, per come emerge dal provvedimento impugnato, gli interventi in questione si pongono in contrasto con l'art. 26 delle norme tecniche di attuazione del vigente p.r.g. (approvato in data 3 maggio 2002), e ciò in quanto: - il manufatto (deposito e legnaia) determina un aumento volumetrico - rispetto a quello già sanato con la concessione edilizia n. 11 del 2004 - non consentito dall'indice di densità edilizia vigente per la zona omogenea "E" su cui ricade (con un surplus di volumetria di mc. 751); - i locali deposito-legnaia e le tettoie in legno lamellare risultano posti a distanza inferiore ai prescritti mt 20,00 dai fabbricati esistenti. Da tale contrasto - non efficacemente confutato dalla parte ricorrente - deriva l'assenza della doppia conformità, con le conseguenze relative (in termini di diniego di accertamento di conformità e di demolizione) qui infondatamente censurate. Né può dirsi che il detto abuso non costituisca nuova costruzione ma ristrutturazione edilizia, in quanto detta fattispecie non è in alcun modo dimostrata nel caso di specie, venendo invece in questione un nuovo manufatto avente specifica, autonoma e duratura finalità . Assume parte ricorrente che il manufatto sarebbe comunque qualificabile quale pertinenza urbanistico - edilizia e in quanto tale consentito ed esente dalla sanzione demolitoria. Ritiene il Collegio che tale tipologia è applicabile soltanto a opere di modestissima entità e accessorie rispetto a un'opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici e simili, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all'opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, di tal che ne risulti possibile una diversa e autonoma utilizzazione economica (cfr., C.G.A.R.S., Ad. Sez. Riun., 27 settembre 2021, n. 301). La giurisprudenza ha altresì chiarito che il concetto di pertinenza implica come l'opera debba essere preordinata ad un'esigenza effettiva dell'edificio principale, al cui servizio deve essere posta in via funzionale ed oggettiva (è necessaria la compresenza di un vincolo soggettivo e uno oggettivo); l'opera non deve "aggiungere" un autonomo manufatto all'immobile principale e non deve ricadere su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio (ex multis, C.G.A.R.S., sez. giur., 26 gennaio 2021, n. 64). Il fabbricato in esame, alla luce delle sue caratteristiche strutturali e funzionali, invece, non integra gli estremi della pertinenza, ma realizza una autonoma funzione destinata a soddisfare esigenze durevoli nel tempo, oltre a risultare di dimensioni non esigue, estendendosi per un'area di circa mq. 42.67, con una volumetria complessiva di circa mc. 128,01 (cfr. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 31 maggio 2021, n. 1783). Tra l'altro, la legnaia è stato a titolo esemplificativo annoverata tra i locali non riconducibili alla nozione di "pertinenza urbanistica" (ex plurimis, Cons. di Stato, sez. VI, 22 febbraio 2021, n. 1552 e T.A.R. Roma, Lazio, 12 luglio 2021, n. 8267). Premesso quanto sopra, ne deriva che l'art. 31 del d.P.R. 380/2001 trova applicazione al caso di specie, trattandosi di una nuova costruzione (e non di un volume accessorio con funzione pertinenziale) eseguita in difetto di titolo abilitativo. Per quanto attiene, infine, alla motivazione dell'atto, occorre semplicemente ricordare come in materia di repressione degli abusi edilizi vengano in rilievo atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale in ordine all'intervento repressivo, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile del privato alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (fra le tante, Cons. di Stato, sez. II, sent. n. 3485/2020). 4.2- Con riferimento al secondo motivo di ricorso, relativo alle tettoie/verande, parte ricorrente contesta la sanzione demolitoria per opere che sarebbero precarie e facilmente rimovibili, e pertanto assentibili ai sensi dell'art. 20 l.r. n. 4 del 2003. 4.2.1.- Il motivo è infondato. Parte ricorrente fonda la censura sull'assentibilità dell'intervento ai sensi dell'art. 20 l.r. citata, senza tuttavia depositare alcuna copia della stessa istanza, evidentemente non presentata all'amministrazione. Ne consegue che anche le censure fondate su detta circostanza, risultando carente la prova della presentazione dell'istanza in questione, devono ritenersi prive di base. Peraltro, con riferimento alle tettorie, il provvedimento impugnato rappresenta (e contesta) che esse risultino poste a distanza inferiore ai prescritti mt 20,00 dai fabbricati esistenti. Pertanto, fermo restando che sotto tale aspetto non v'è censura (con inevitabili profili di inammissibilità ), la doglianza di parte ricorrente, anche per il mancato rispetto delle distanze minime, non merita condivisione. Solo per completezza, inoltre, giova osservare che, quanto al concetto di "precarietà " delle opere, è lo stesso art. 20 l.r. n. 4/2003 che, al comma 4, precisa che? "ai fini dell'applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione". La testuale lettura della norma? induce a privilegiare la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere per poterle qualificare come precarie. In tal senso, la giurisprudenza ha chiarito che la precarietà è data dalla combinazione sistemica del materiale e del metodo applicativo utilizzati; combinazione che deve consentirne, almeno virtualmente (e dunque nella previsione progettuale), lo smontaggio (o comunque l'asportazione) senza "distruzione" dei componenti mobili e senza ricorso alla "demolizione" delle parti fisse alle quali sono ancorate".? Il concetto di precarietà va, dunque, determinato privilegiando la valutazione dei metodi e dei materiali usati nella realizzazione delle opere e alla "facile rimovibilità ", poiché esula dall'art. 20 della l.r. n. 4/2003 il criterio della "funzionalità " inerente la natura duratura, o no, delle esigenze che le opere sono destinate a soddisfare (in termini, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 19 aprile 2021, n. 1239). Sotto tale profilo manca qualsivoglia prova della "precarietà " nei sensi di cui sopra, non essendo funzionali allo scopo le foto prodotte e la perizia giurata, che nulla al riguardo dimostrano. 4.3- Per le ragioni sopra esposte, il ricorso non è meritevole di accoglimento. 5.- Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Comune intimato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Nulla per le spese. Manda alla segreteria di comunicare il presente provvedimento alla parte non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità . Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pancrazio Maria Savasta - Presidente Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Pierluigi Buonomo - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 18 del 2018, proposto da -OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Do. De Lu., Ci. Bl., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Do. De Lu. in Catania, via (...); contro Regione Siciliana - Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, Regione Siciliana - Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento - del provvedimento 12.10.2017 prot. n. -OMISSIS- della Sovrintendenza per i BB.CC.AA. di Siracusa di diniego di compatibilità paesaggistica; - della circolare 06.07.2006 -OMISSIS- dell'Assessorato dei BB.CC.AA. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Siciliana - Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana e della Regione Siciliana - Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Siracusa; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 25 settembre 2023 il dott. Pancrazio Maria Savasta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO I. I ricorrenti hanno esposto di aver chiesto e ottenuto dal Comune di (omissis) la concessione edilizia n. -OMISSIS- per la costruzione di un fabbricato destinato a deposito. Nel corso dell'esecuzione dei lavori hanno realizzato alcune opere in difformità al titolo edilizio, consistenti nell'ampliamento dell'immobile, nella realizzazione di una tettoria a servizio del parcheggio e nella costruzione di una piscina. Con istanza del 2.12.2014, prot. n. -OMISSIS-, i deducenti, avendo acquistato una ulteriore area contigua a quella di pertinenza del fabbricato realizzato, nonché la relativa cubatura, hanno chiesto al Comune di (omissis) il rilascio della concessione in sanatoria ex art. 36 del T.U. n. 380/2001 per le opere realizzate abusivamente. Con istanza del 27.05.2017, la pratica è stata rimessa alla Soprintendenza di Siracusa per il parere di competenza. Con nota prot. n. -OMISSIS- del 6.06.2017, la Soprintendenza ha comunicato ai ricorrenti il preavviso di rigetto, rilevando che le opere poste in essere non rientrano tra quelle sanabili ai sensi dell'art. 167, comma 4, d.lgs. 42/2004, vale a dire solo i "piccoli abusi che non abbiano comportato aumenti di superficie utile o volume, utilizzo di materiali in difformità a quelli già autorizzati e lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria ai sensi dell'art 3 del D.P:R. n. 380 del 06.07.2006".. Nel termine assegnato, i ricorrenti hanno avanzato osservazioni. Con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 12.10.2017, diretto al Comune e ai ricorrenti, la Soprintendenza ha specificato che le opere non sono sanabili perché l'abuso è stato realizzato dopo l'apposizione del vincolo, precisando poi che il parere negativo non si estende alla parte dell'immobile già autorizzata con la C.E. n-OMISSIS- del 23.08.2004, rilasciata dal Comune di (omissis). Con l'unico motivo di gravame, i ricorrenti hanno chiesto sollevarsi questione di costituzionalità degli artt. 146 comma 4 e 167 comma 4 D. Lgs. 42/2004 per violazione degli artt. 3, 24, 42 e 97 Cost. Secondo la prospettazione di parte, gli artt. 146, comma 4 e 167, comma 4 cit. lederebbero il principio di uguaglianza, in quanto la sanatoria degli immobili abusivi dipenderebbe unicamente dalla sussumibilità degli stessi nell'alveo delle tre ipotesi contemplate dall'art. 167 cit., con esclusione di ogni ulteriore valutazione circa l'eventuale compatibilità paesaggistica, alla luce delle concrete caratteristiche strutturali delle opere. Inoltre, il combinato disposto delle cit. disposizioni violerebbe, altresì, il principio di "offensività ", quale canone del principio di proporzionalità e ragionevolezza, atteso che si configurerebbe come irragionevole e sproporzionata la sanzione della demolizione rispetto a una violazione la cui lesività non è stata oggetto di accertamento sul piano sostanziale e, pertanto, potrebbe anche non sussistere. È vero che il diritto di proprietà, costituzionalmente protetto dall'art. 42 della Cost., può subire restrizioni a tutela del paesaggio, tuttavia è necessario che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa del diritto così garantito. In altri termini, può essere riconosciuto legittimo e proporzionale il sacrificio del diritto di proprietà a condizione che sia possibile accertare in concreto una lesione al paesaggio, valutazione di fatto impedita dal disposto normativo di cui all'art. 167 cit. Inoltre, posto che le disposizioni denunciate precluderebbero alla Soprintendenza di accertare la compatibilità paesaggistica di opere ulteriori rispetto a quelle elencate, priverebbero conseguentemente il cittadino del diritto di difesa, poiché egli non sarebbe in grado di dimostrare l'inoffensività dell'attività abusiva. In data 6.09.2018 si è costituito in giudizio l'Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità siciliana. In vista dell'udienza di smaltimento, le parti hanno depositato memorie ex art. 73 c.p.a. a sostegno delle rispettive difese. All'udienza di smaltimento del 25.09.2023 la causa è stata trattenuta per la decisione. II. Il Collegio ritiene che la questione di costituzionalità sollevata dai ricorrenti sia manifestamente infondata. Va premesso, in termini generali, che l'Ordinamento deve garantire comportamenti legittimi dei cittadini, tra i quali, certamente, non rientra l'attività edilizia abusiva, che, di per sé, dovrebbe essere sanzionata con il ripristino della situazione antecedente. A ben vedere, infatti, la norma di cui si dubita la legittimità costituzionale è posta a vantaggio della proprietà, pur circoscrivendone le ipotesi di possibile sanatoria, solo che si osservi che la stessa - coerentemente con il principio della limitazione del godimento ai sensi dell'art. 42 Cost. - consente una sanatoria dell'attività abusiva, che, in linea di principio, si ribadisce, andrebbe sempre repressa. Ciò posto, questo Tribunale ha già avuto modo di chiarire (cfr. TAR Catania, I, 20.12.2022, n. 3334) che a "seguito all'intervento correttivo apportato al Codice dei Beni culturali nel 2006, il sistema repressivo degli abusi commessi in area paesaggisticamente vincolata è stato irrigidito con l'introduzione della regola della non sanabilità ex post degli stessi, sia formali che sostanziali". Il divieto generale di sanatoria rinviene la sua ragione giustificativa nell'esigenza di assicurare una tutela pregnante al bene paesaggio, in quanto costituisce un valido deterrente la consapevolezza che qualunque intervento effettuato e non autorizzato in via preventiva non può essere oggetto di una procedura di sanatoria successiva. "Riscontrata la realizzazione di opere sine titulo ovvero in difformità dallo stesso", continua la decisione 3334/22, "l'Amministrazione è, dunque, vincolata ad applicare la misura ripristinatoria, in nessun modo suscettibile di essere modulata o graduata in relazione alle caratteristiche dell'abuso".? ? A tale regola sono previste limitate e tassative eccezioni, enunciate dal comma 4 dell'art. 167 del d.lgs. n. 42/2004, a norma del quale è ammessa la sanatoria soltanto: per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Come la giurisprudenza ha chiarito, "con tale scelta, il legislatore ha inteso presidiare ulteriormente il regime delle opere incidenti su beni paesaggistici, escludendo in radice che l'esame di compatibilità paesaggistica possa essere postergato all'intervento realizzato (sine titulo o in difformità dal titolo rilasciato) e ciò al fine di escludere che possa riconnettersi al fatto compiuto qualsivoglia forma di legittimazione giuridica. (T.A.R., Napoli, sez. III, 21/07/2021, n. 5051)" (cfr. T.A.R. Catania, sez. II, 12 settembre 2022, n. 2379). La ratio legis, dunque, è quella di fissare una soglia elevata di tutela del paesaggio, che comporta la possibilità di rilascio ex post dell'autorizzazione paesaggistica soltanto per abusi di minima entità, tali da determinare già in astratto, per le loro caratteristiche tipologiche, un rischio estremamente contenuto di effettivo pregiudizio al bene tutelato (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 agosto 2014, n. 2263). La preclusione della sanatoria degli abusi di maggiore entità, avente finalità deterrente e finalizzata ad apprestare una tutela rafforzata a beni di primaria rilevanza costituzionale quali quelli paesaggistici (art. 9 Cost.), rappresenta espressione della discrezionalità del legislatore, al quale è rimessa la determinazione dei modi di acquisto, di godimento e i limiti della proprietà "allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti" (art. 42 Cost.) e che, nel caso di specie, appare esente dai censurati vizi di proporzionalità e ragionevolezza (cfr. T.A.R. Genova, sez. I, 10 agosto 2017, n. 692). Sul punto, continua la decisione n. 3334/22, "si rinvia alle argomentazioni sviluppate dal Consiglio di Stato sez. VI, sentenza del 30 maggio 2014, n. 2806, secondo cui: "La premessa, da cui occorre prendere le mosse, è che il paesaggio, come bene oggetto di tutela, non è suscettibile né di reintegrazioni, né di incrementi: ciò giustifica una disciplina particolarmente rigorosa, che (è ragionevole ritenere) è stata adottata anche per arginare esperienze pregresse, non pienamente rispettose del disposto dell'art. 9 della Costituzione. L'argomento di maggior impatto utilizzato dal ricorrente è l'affermata irragionevolezza della previsione legislativa che impone la demolizione di un'opera che potrà essere ricostruita previo rilascio dell'autorizzazione. Tale impostazione muove, verosimilmente, da numerosi interventi legislativi, che, in vari settori, hanno consentito la sanatoria di situazioni originariamente contra legem. Poiché i predetti provvedimenti legislativi esauriscono la propria efficacia nei limiti di tempo e di oggetto in essi contenuti, essi non possono costituire il fondamento di una situazione soggettiva di generalizzata aspettativa di sanatoria. La norma della cui costituzionalità si dubita impedisce la sanatoria allorquando vi sia stato un incremento di volumi: la specificità della previsione esclude qualsiasi violazione dell'art. 3 della Costituzione, applicabile solo quando si attribuisca trattamento differenziato a situazioni analoghe. Né appaiono violate le altre norme della Costituzione in quanto, così come evidenziato nella sentenza impugnata, la finalità della norma è di costituire un più solido deterrente contro gli abusi (al fine di prevenirli) dei privati (verificatisi nel recente passato in dimensioni notevoli sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo), a tutela di beni costituzionalmente protetti" (si vedano, in termini di consonanza, T.A.R. Potenza, sez. I, 15 giugno 2020, n. 377; T.A.R. Lecce, sez. III, 1 marzo 2018, n. 340)".? Del pari infondata si ritiene la questione di legittimità costituzionale prospettata con riferimento all'art. 42 Cost., a tutela del diritto di proprietà . "Non può ritenersi che l'irrigidimento del regime sanzionatorio operato con l'introduzione del Codice Urbani prima, e con il primo correttivo del 2006, dopo, comporti una restrizione "ulteriore" alla proprietà privata. "Infatti, già nel sistema delineato dalla legge Bottai (art. 15, l. 29 giugno 1939, n. 1497), la demolizione dei manufatti realizzati sine titulo rappresentava il naturale epi dell'iter sanzionatorio, salva tuttavia la possibilità per l'Amministrazione di ordinare, in alternativa alla stessa, il pagamento di una indennità equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato al paesaggio e il profitto tratto dalla trasgressione, laddove il mantenimento dell'immobile fosse ritenuto opportuno "nell'interesse della protezione delle bellezze naturali e panoramiche". "Pertanto, già nel previgente sistema - trasfuso senza mutamenti nel d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163 - la sanatoria ex post dell'opera abusiva (per mezzo del pagamento dell'indennità ) non rappresentava una conseguenza "automatica" dell'accertamento dell'infrazione bensì una mera eventualità, comunque dipendente dall'apprezzamento discrezionale dell'Amministrazione in ordine all'entità del danno cagionato ai valori paesaggistici, rimanendo la riduzione in pristino l'alternativa principale (e preferibile).? "La sistematizzazione operata nel 2006, finalizzata a delimitare le ipotesi suscettibili di sanatoria e a evitare un uso distorto del potere discrezionale da parte dell'Amministrazione a valle del procedimento repressivo, non appare dunque integrare alcuna restrizione "ulteriore" delle facoltà proprietarie, ipotesi che si sarebbe verificata laddove il legislatore, ad esempio, avesse subordinato l'iniziativa privata ad ulteriori limiti e controlli ex ante". Parimenti infondata è la questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto all'art. 24 Cost., atteso che il legislatore non ha introdotto condizioni ostative all'esercizio del diritto di difesa. Invero, ferma la possibilità per chiunque di agire a tutela delle proprie ragioni, il soddisfacimento di queste ultime passa attraverso il sistema sopra delineato, frutto di un bilanciamento tra beni costituzionalmente protetti, senza che tale scelta legislativa sia affetta da irrazionalità o violi il canone di proporzionalità, così come evocato dai ricorrenti. Conclusivamente, il ricorso si appalesa infondato e, come tale, va respinto. Le spese del giudizio, stante la questione interpretativa posta, possono essere integralmente compensate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pancrazio Maria Savasta - Presidente, Estensore Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Pierluigi Buonomo - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2467 del 2016, proposto da Om. Tr. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Gi. Ma. e Gi. Sc., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Gi. Sc. in Ca., via (…); contro Assessorato dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio fisico in Catania, via Vecchia Ognina, 149 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Comune di (Omissis), non costituito in giudizio; per l'annullamento - del provvedimento del 6 ottobre 2016, prot. n. (…), con cui l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale, Servizio 2° - Riserve Naturali, Aree Protette e Turismo Ambientale – ha espresso parere negativo di conformità al Regolamento della Riserva Naturale Orientata La Timpa e parere negativo ai fini del rilascio del della concessione edilizia in sanatoria ex legge 326/2004, per le opere in questione; - ogni altro atto e/o provvedimento, antecedente e/o successivo, comunque presupposto, connesso e/o consequenziale, anche se allo stato non meglio conosciuto, ivi compreso ove occorra della nota istruttoria dell’Ufficio Servizio per il Territorio di Catania, U. O. 3 Gestione delle Riserve Naturalistiche Ripartizione faunistico-venatoria dell’8 agosto 2016 n. 9527; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea della Regione Siciliana; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.; Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 25 settembre 2023 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. Con il ricorso in esame, ritualmente notificato e depositato, la società ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento del 6 ottobre 2016, prot. n. (…), con cui l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, Dipartimento Regionale dello Sviluppo Rurale e Territoriale, Servizio 2° - Riserve Naturali, Aree Protette e Turismo Ambientale - ha espresso parere negativo di conformità al Regolamento della Riserva Naturale Orientata La Timpa e parere negativo ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex lege n. 326/2004 con riferimento agli abusi indicati. Ha esposto la società deducente che: - in data 20 luglio 2004, il sig. Za. Sa., quale proprietario dell’immobile sito in (Omissis), individuato catastalmente al foglio (…) particelle (…) e (…) sub (…), oggi registrato catastalmente al foglio (…) particella (…), ha presentato al Comune di (Omissis) istanza di sanatoria edilizia ai sensi della legge 326/2004, prot. n. (…), per alcune variazioni eseguite sul fabbricato ad uso abitativo di antica costruzione, risalente ad epoca anteriore al 1942, nonché per la realizzazione di alcune opere pertinenziali alla medesima abitazione. In particolare, sulla base della relazione tecnica allegata alla succitata domanda di condono edilizio le variazioni realizzate senza titolo consistono in: 1) ampliamento della superficie residenziale a piano terra in continuazione fisica e topologica con il fabbricato preesistente (superficie dell’ampliamento mq. 31,30); 2) ampliamento al piano primo con struttura mista in muratura, legno e vetro con copertura a falda inclinata e coppi siciliani (superficie dell’ampliamento mq. 50,12); 3) realizzazione di un portico a piano primo in muratura e legno con copertura a falda inclinata a coppi siciliani (superficie del portico mq. 29,90); 4) cambio di destinazione d’uso del sottotetto in abitabile (il tutto per una superficie residenziale di 51,05 mq.) e creazione di un terrazzino ricavato dal taglio della copertura mq. 7,60); 5) variazione prospetti esterni con chiusura e apertura di finestre; 6) realizzazione di una tettoia su terreno antistante l’abitazione con struttura in legno e copertura con coppi siciliani (superficie tettoia mq. 58,93); 7) piscina pertinenziale e relativo locale tecnico; - a completamento della sopradetta istanza di condono, il sig. Za. ha reso la seguente dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà: “l’ultimazione dei lavori risulta essere il 9 febbraio 2003 ad esclusione di alcune realizzate e terminate prima del 5 febbraio 1999”; - l’immobile in questione è stato trasferito, tramite verbale di assemblea straordinaria del 28 settembre 2011, alla società “Po. s. r. l.”, a sua volta incorporata nella “Om. Tr. s. r. l.” (odierna ricorrente); - con provvedimento del 7 dicembre 2015 prot. (…), la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania ha rilasciato “nulla osta, previsto dall’art. 23, comma 10 della legge regionale 10 agosto 1985 m. 37 e s. m. i., ai fini dell’emissione del titolo abilitativo in sanatoria”; - in data 31 dicembre 2015, il sig. Li., in qualità di Amministratore della società ricorrente, ha presentato al Dipartimento Regionale Azienda Regionale Foreste Demaniali di Catania istanza di nulla osta per il condono edilizio delle variazioni di cui alla summenzionata domanda di sanatoria, in considerazione del fatto che l’immobile ricade in zona B di preriserva della Riserva Naturale Orientata La Timpa di Acireale, istituita con decreto assessoriale del 23 aprile 1999; - con provvedimento del 6 ottobre 2016 prot. 24373, l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea, nella qualità di ente gestore della riserva La Timpa, ha espresso “parere negativo di conformità al Regolamento della Riserva anzidetta e parere negativo ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex L. 326/2004…”. 1.1. Avverso il summenzionato provvedimento la società ricorrente ha proposto ricorso assistito dalle censure di violazione di legge (art. 24 della l. r. n. 37/1985: Violazione dell’art 10 bis e 3 della legge n. 241/1990 come recepita in Sicilia con la legge regionale n. 10/1991) ed eccesso di potere sotto molteplici profili. In via subordinata, ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 della legge regionale n. 15/2004 e dell’art. 32 del decreto legge 30 settembre n. 269, convertito con la legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 23 della legge regionale n. 37/1985 che ha sostituito limitatamente alla Regione Sicilia gli artt. 32 e 33 della legge 47/1985; eccesso di potere per contrasto con le Circolari dell’Assessorato Regionale del Territorio e dell’Ambiente del 31 gennaio 2014 n. 2 e del 10 giugno 2015 n. 4 nonché con la Circolare dell’Assessorato Regionale Risorse Agricole del 5 aprile 2011 n. 6728; eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. 2. In data 24 gennaio 2017 l’Assessorato dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea della Regione Siciliana si è costituito in giudizio, depositando memoria di mera forma con la quale ha sostenuto la legittimità degli atti impugnati. 3. In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha prodotto memoria con cui si è riportata alle conclusioni già espresse nel ricorso. 4. Alla pubblica udienza del 25 settembre 2023, svoltasi da remoto, il ricorso è stato trattenuto in decisione. DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta “Incompetenza - violazione dell’art. 24 della l. r. n. 37/1985”, ritenendo che i provvedimenti impugnati con cui si denega alla società ricorrente il nulla osta sulla domanda di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, emessi dall’Assessorato Regionale dello Sviluppo Rurale, quale ente gestore della riserva La Timpa di Acireale, sarebbero illegittimi in quante emessi da ente incompetente, essendo competente per legge l’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente, sentito il consiglio regionale per la protezione del patrimonio naturale. 2.1. La doglianza è priva di fondamento. Il gravato provvedimento richiama il D. D. G. Ambiente n. 638/44 del 7 settembre 2001 attraverso il quale vengono decentrate all’ente gestore le competenze relative al rilascio di nulla osta per la realizzazione di opere all'interno delle riserve naturali. In particolare, ai sensi dell’ art. 1), i seguenti interventi sono sottoposti al nulla osta degli enti gestori delle riserve: realizzazione di interventi di ristrutturazione, di cui alla lettera d) dell'art. 20 della legge regionale n. 71/78; attuazione di opere di miglioramento fondiario, anche di tipo strutturale; demolizione e ricostruzione di immobili esistenti; realizzazione di nuove costruzioni, limitatamente alle zone "B" di preriserva e collocazione di strutture prefabbricate anche mobili e di roulottes; realizzazione di impianti di distribuzione a rete, limitati a piccole porzioni dell'area protetta. Nel caso in esame, l’immobile in questione ricade in zona B della RNO La Timpa e, conseguentemente, la competenza relativa al rilascio del nulla osta spetta al Dipartimento regionale dell’Assessorato Regionale dello Sviluppo Rurale, quale ente gestore della riserva La Timpa di Acireale. 3. Con il secondo motivo parte ricorrente ha lamentato “Violazione dell’art 10 bis della legge n. 241/1990 come recepita in Sicilia con la legge regionale n. 10/1991”. In particolare, l’Amministrazione avrebbe dovuto comunicare preventivamente i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza. Tale omissione avrebbe precluso alla società ricorrente l’esercizio dei diritti di partecipazione al procedimento ed in particolare la possibilità di presentare memorie scritte e documenti, comprovanti la competenza in capo ad altro ente e la sussistenza delle condizioni per il rilascio del parere al condono edilizio. 3.1. Il motivo è destituito di fondamento. Per quanto attiene, all’omesso invio del preavviso di rigetto, il Tribunale ritiene che la decisione oggetto di contestazione assunta dall’Amministrazione abbia natura vincolata per la preesistenza delle opere da sanare al vincolo (non smentita in atti dal ricorrente su cui grava la prova della preesistenza dell’opera) e per quanto si dirà infra. Per quel che qui specificamente interessa, l’Amministrazione era chiamata ad accertare la conformità dell’attività abusiva con il regolamento di riserva, nel caso di specie non ritenuta sussistente in quanto “è consentito effettuare sugli immobili esistenti gli interventi di cui alla lett. d) dell’art. 20 della l.r. n. 71/78, nonché nuove costruzioni strettamente necessarie alla realizzazione delle finalità istitutive della riserva”. La violazione della previsione in questione non cagiona, pertanto, l'automatica illegittimità del provvedimento finale qualora possa trova applicazione l'art. 21-octies, comma 2, della stessa legge 7 agosto 1990, n. 241 e ss. mm. ed ii., secondo cui non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato, poiché il cit. art. 21-octies, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato. Peraltro, nel caso di specie, parte ricorrente afferma che ove interpellato avrebbe potuto dimostrare la competenza in capo ad altro ente (insussistente per quanto sopra detto) e l’esistenza delle condizioni per il rilascio del parere favorevole (qui non ritenuta per quanto appresso esposto). 4. Con il terzo motivo, parte ricorrente lamenta “Violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 - eccesso di potere per difetto dei presupposti e contraddittorietà - violazione sotto altro profilo dell’art. 3, comma 3, della legge n. 241/1990”. In particolare, deduce parte ricorrente che il gravato provvedimento, con il quale l’Amministrazione regionale ha emesso parere negativo in merito al condono edilizio richiesto, sarebbe carente di motivazione; l’Amministrazione si sarebbe limitata soltanto a “condividere pienamente le motivazioni contenute nel rapporto istruttorio di cui alla nota prot. n. (…) dell’8 agosto 2016 dell’Uff. Serv. Per il Territorio di Catania…”, senza peraltro allegare l’atto istruttorio interno richiamato; l’illegittimità deriverebbe anche dalla palese contraddittorietà dei provvedimenti impugnati rispetto al parere reso dalla Soprintendenza, che, per le medesime opere, avrebbe rilasciato il nulla osta. In punto di diritto, in via generale, va ricordato che non può considerarsi affetto da difetto di motivazione il diniego di sanatoria allorché la pubblica amministrazione, attraverso l'espresso recepimento del parere formulato dagli organi consultivi, esponga ragioni logico-giuridiche che diano sufficiente contezza del disvalore paesaggistico dei manufatti in questione, come tali pienamente giustificative del diniego (ciò per giurisprudenza più che consolidata; cfr. da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 17 novembre 2020 n. 7154). Nel caso in esame, l’Amministrazione resistente nel parere negativo riporta dettagliatamente le opere abusivamente realizzate. Successivamente, ha richiamato la nota prot. 9527 dell’Ufficio Servizio per il Territorio di Catania, dando contezza delle ragioni giustificative circa l’incompatibilità e l’insanabilità degli interventi in argomento, soffermandosi sulle disposizioni che si assumano ostative al rilascio del titolo e sulle previsioni di riferimento contenute nel regolamento della riserva (vedi il richiamo all’art. 3. 2. lett. e) comma 1). La motivazione risulta essere chiara ed esaustiva, contenendo quegli elementi che consentono all’interessato di comprendere, nel merito, la causa del diniego. 5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia che l’Amministrazione regionale avrebbe errato nel dare piena applicazione alla previsione di cui all’art. 32, comma 27, lett. d) della legge 326/2003, ritenendo sanabili soltanto le opere conformi agli strumenti urbanistici (quindi solo quelle affette dal c. d. abuso formale), in quanto nella Regione siciliana, ai sensi degli artt. 23 e 24 della legge regionale 37/1985 (che ha recepito gli artt. 32 e 33 della l. n. 47/85), il cd. terzo condono di cui alla legge 326/2003 sarebbe applicabile anche alle zone sottoposte a vincoli con la sola esclusione delle opere ricadenti nelle zone di inedificabilità assoluta. In secondo luogo, il parere negativo risulterebbe illegittimo poiché l’Amministrazione regionale avrebbe ignorato la dichiarazione sostitutiva resa dall’istante del condono edilizio sull’epoca di ultimazione delle opere: le variazioni afferenti il fabbricato abusivo in termini di ampliamento e mutamenti di destinazione d’uso, nonché le opere relative alla realizzazione della piscina sarebbero state eseguite in epoca antecedente all’istituzione della riserva naturale della Timpa di Acireale, avvenuta con decreto assessorile del 23 aprile 1999. In terzo luogo, l’Amministrazione si sarebbe astenuta dal porre in essere qualunque attività istruttoria, necessaria anche alla luce del parere reso dall’ufficio istruttore, che conteneva due diversi e opposti pareri, a seconda che le opere fossero state ultimate prima o dopo l’istituzione della riserva. Infine, l’impugnato parere sarebbe viziato da contraddittorietà, atteso che il citato parere istruttorio dell’8 agosto 2016, che l’Amministrazione regionale richiama nel parere negativo, sarebbe sfavorevole per le opere ultimate dopo l’istituzione della riserva (successive al 23 aprile 1999), ma favorevole per le opere ultimate prima dell’istituzione, sicché la condivisione integrale del rapporto istruttorio avrebbe dovuto condurre l’Amministrazione all’emanazione di un provvedimento negativo soltanto per le opere realizzate dopo l’istituzione della riserva, non per tutte le opere oggetto del condono (essendo alcune state realizzate e terminate prima del 5 febbraio 1999). 5.1. Il motivo non merita accoglimento. Va rilevato che sulla questione dell’applicabilità in Sicilia dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003 e sulla ritenuta ammissibilità della sanatoria delle opere realizzate nelle aree soggette a vincoli relativi è intervenuta la sentenza n. 252/2022 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1°, della l.r. n.19/2021 (che, nel fornire l'interpretazione autentica dell’art. 24 della l.r. n. 15/2004 di recepimento del “terzo” condono, riteneva ammissibili le istanze di condono di opere abusive “realizzate nelle aree soggette a vincoli che non comportino inedificabilità assoluta”), trattandosi di disciplina regionale lesiva della riserva allo Stato della tutela dell’ambiente in quanto in contrasto con la normativa statale di riferimento. Osserva il Collegio che il c.d. terzo condono, in Sicilia, è regolato dall’art. 24 della l.r. 5 novembre 2004, n. 15, il cui comma 1 stabilisce che dalla «data di entrata in vigore della presente legge è consentita la presentazione dell'istanza per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria ai sensi dell'art. 32 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326 e successive modificazioni e integrazioni». L’art. 32, comma 27, lett. d), del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, stabilisce che, fermo quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora “siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”. Come ricordato in diverse pronunce di questo Tribunale (cfr. T.A.R. Catania, I, 28.3.2023, n.1029; TAR Catania, I, 30.3.2023 n. 1089; TAR Catania, II, 11.4.2023, 1196), per consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. I, 18 gennaio 2023, n. 90; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2022, n. 8781), sono insanabili, ai sensi della suddetta disposizione, le opere abusive realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli (tra cui quello idrogeologico, ambientale e paesistico), a meno che non ricorrano “congiuntamente” determinate condizioni: a) che si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo; b) che, pur realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, siano conformi alle prescrizioni urbanistiche; c) che siano opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illeciti di cui ai nn. 4, 5, e 6 dell’allegato 1 al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria); d) che ci sia il parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo. 5.2. Ciò posto, nel caso di specie, la deducente non ha fornito la prova relativa all’apposizione postuma del vincolo de quo rispetto agli interventi abusivi realizzati, i quali peraltro non costituiscono affatto opera di minore rilevanza, sicché l’abuso appare insanabile alla stregua del quadro normativo e giurisprudenziale su citato. Secondo la stessa dichiarazione resa in allegato all’istanza dal deducente, “l’ultimazione dei lavori risulta essere il 9 febbraio 2003 ad esclusione di alcune realizzate e terminate prima del 5 febbraio 1999”, sicché, da una parte, è lo stesso ricorrente che dichiara che l’ultimazione è avvenuta in data 9 febbraio 2003 e, dall’altra, non v’è prova di ultimazione di “alcune” opere prima del 5 febbraio 1999. In merito alla data di ultimazione dei lavori, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la prova del richiedente il condono deve essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (cfr. Stato, Sez. VI, 21 aprile 2021, n. 3214). In particolare, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono sufficienti a fornire prova dell'epoca di realizzazione del manufatto atteso che le stesse non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi precisi e concordanti e di riscontri documentali, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 12 novembre 2021, n. 7543). 5.3. Va peraltro ritenuto che la preesistenza del vincolo paesaggistico rispetto alla costruzione dell’immobile consente all’Amministrazione procedente di prescindere dalla richiesta di parere alla Soprintendenza, data l’insanabilità tout court dell’opera. Invero, come è stato sottolineato dalla giurisprudenza, «… sono condonabili soltanto le opere realizzate su immobili assoggettati a vincolo dopo la loro realizzazione, e soltanto per esse si pone l'esigenza della verifica delle ulteriori congiunte condizioni della conformità urbanistica […]. Si tratta, come evidenziato da questo Consiglio in un caso analogo (sez. VI, 28 maggio 2015, n. 2678), "di impedimenti oggettivi che operano automaticamente senza che sia necessario acquisire il parere della Soprintendenza. Soltanto se fossero state assenti le condizioni ostative indicate nel riportato art. 32, l'amministrazione comunale, in presenza di un vincolo di inedificabilità relativa, avrebbe dovuto chiedere il parere dell'organo tenuto per valutare la possibilità di rilasciare all'interessato un provvedimento favorevole» (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 31 ottobre 2019, n. 7466; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 11 aprile 2023, n. 1196). In altri termini, il parere dell’ente preposto al vincolo è dovuto solo per gli abusi sanabili, non essendoci in caso contrario spazio per alcuna valutazione di tale Autorità; diversamente - ossia ove il parere venga reso nonostante l’assenza dei detti presupposti di legge di sanabilità, come nel caso in esame -, esso assume carattere vincolato, essendo la preclusione della sanatoria, in tali casi, assoluta (cfr. anche T.A.R. Catania, sez. I, n. 1635/2023; id., 2306/2023). 6. Conclusivamente, il ricorso è infondato e va rigettato. 7. Le spese possono essere compensate in ragione della peculiarità della fattispecie tra le parti costituite; nulla si dispone sulle spese nei confronti del Comune non costituito. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate tra le parti costituite; nulla spese nei confronti della parte non costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pancrazio Maria Savasta, Presidente Giuseppina Alessandra Sidoti, Consigliere, Estensore Pierluigi Buonomo, Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1145 del 2023, proposto da Sa. Re. ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Fr. Gi. Ma., Ca. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato Ce. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per avverso il silenzio del Comune di (omissis) in relazione all'istanza in data 10 maggio 2023, con cui è stata sollecitata la definizione del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001. Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2023 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO Con il presente gravame, notificato in data 19 giugno 2023, i ricorrenti hanno contestato il silenzio del Comune di (omissis) in relazione all'istanza in data 10 maggio 2023, con cui è stata sollecitata la definizione del procedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis del D.P.R. n. 327/2001. Il Comune intimato si è costituito in giudizio e ha depositato tardivamente una memoria difensiva in data 2 ottobre 2023. Nella camera di consiglio in data odierna il difensore del ricorrente ha eccepito la tardività della memoria depositata dal Comune in data 2 ottobre 2023. La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione. Il Collegio deve, in primo luogo, rilevare che la memoria depositata in data 2 ottobre 2023 risulta effettivamente tardiva avuto riguardo a quanto disposto dagli artt. 73, primo comma, e 87, terzo comma, c.p.a., sicché della stessa non può tenersi conto. Tanto precisato, la Sezione ritiene che il ricorso sia fondato. Al riguardo, deve osservarsi che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l'impugnazione del (presunto) silenzio-rifiuto dell'Amministrazione è inammissibile quando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo, atteso che in questo caso la tutela dell'interessato deve essere fatta valere mediante l'apposita azione di accertamento (sul punto, cfr, fra le tante, Cons. St., Sez. V, n. 210/2011; Cons. St., Sez. V, n. 6947/2010; Cons. Stato Sez. V, n. 3487/2010, Cons. St., Sez. V, n. 444/2010, Cons. St., Sez. IV, n. 7057/2009; Cons. Stato, Sez. VI n. 700/2008; T.A.R. Lazio, sede di Roma, Sez. II, n. 12003/2009; T.A.R. Lazio, sede di Roma, Sez. II-ter, n. 10447/2008), sebbene - ma la questione, per quanto si dirà, non rileva in questa sede - in alcune pronunce (cfr., ad esempio, Cons. St., Sez. V, n. 6497/2010 e Cons. St., Sez. V, n. 1146/2010) sia stato precisato che l'inammissibilità dell'impugnazione avverso il (presunto) silenzio-rifiuto sussiste nei soli casi in cui la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo sulle quali il giudice amministrativo non disponga di giurisdizione esclusiva. L'affermazione in ordine all'inammissibilità dell'impugnazione del (presunto) silenzio-rifiuto allorquando la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo si fonda sull'ineccepibile rilievo che, nell'ipotesi di rapporto di natura paritetica che riceva integrale disciplina ad opera del diritto comune, non si rende mai necessaria, ai fini dell'esperimento della tutela giurisdizionale, l'intermediazione di un provvedimento dell'Amministrazione e l'eventuale comportamento omissivo di quest'ultima non assume mai i connotati del silenzio-rifiuto (quanto, piuttosto, quelli dell'inadempimento civilistico), con la conseguenza che l'interessato è legittimato a chiedere immediata tutela in sede giurisdizionale per il pregiudizio cagionato alla propria situazione soggettiva dall'inerzia dell'Amministrazione. Nei casi contemplati dall'art. 42-bis, primo e secondo comma, del D.P.R. n. 327/2001 (utilizzazione per scopi di interesse pubblico di un bene immobile modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, ovvero in forza di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, ovvero di atto successivamente annullato in sede giurisdizionale che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera, ovvero di decreto di esproprio successivamente annullato in sede giurisdizionale, ovvero di ritiro di uno di tali atti da parte dell'Amministrazione durante la pendenza di un giudizio per il loro annullamento), in base all'attuale quadro normativo l'Amministrazione ha l'obbligo giuridico di far venir meno l'occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l'immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, trasferimento che può dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell'Amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà o da altri comportamenti, fatti o contegni (sul punto, cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 4833/2009 e Cons. St., Sez. IV, n. 676/2011, nonché numerose pronunce di questa stessa Sezione, fra cui la n. 1652/2012, la n. 1498/2012 e la n. 1273/2012). Nonostante l'irreversibile modificazione dell'area illecitamente occupata e trasformata, la proprietà della stessa rimane, quindi, in capo all'originario proprietario o a suoi aventi causa, con la conseguenza che, con riferimento al caso di specie, sussisterebbero i presupposti civilistici - qualora i ricorrenti avanzassero apposita domanda in sede giurisdizionale - per ordinare la restituzione dei beni in loro favore, previa riduzione in pristino stato, oltre la condanna dell'Amministrazione al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima. Tali considerazioni potrebbero, quindi, deporre per l'inammissibilità dell'odierno ricorso, atteso che, alla stregua delle affermazioni giurisprudenziali sopra richiamate, la tutela giurisdizionale prevista per l'ipotesi di silenzio-rifiuto dell'Amministrazione non può esperirsi nel caso in cui la posizione controversa risulti disciplinata dal diritto comune e debba, quindi, qualificarsi in termini di diritto soggettivo. Senonché l'affermazione secondo cui, nelle ipotesi contemplate dal menzionato art. 42-bis, primo e secondo comma, del D.P.R. n. 327/2001, l'Amministrazione abbia semplicemente l'obbligo "civilistico" di procedere alla restituzione dell'immobile in favore del proprietario, previa riduzione in pristino, non tiene conto della più complessa situazione normativa che disciplina tali fattispecie e, in primo luogo, delle previsioni contenute nel medesimo art. 42-bis. Se è vero, infatti, che l'Amministrazione ha l'obbligo, in base al diritto civile, di procedere alla restituzione del bene e di risarcire il danno, è anche vero che la stessa, ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, dispone del potere, in base al diritto amministrativo, di procedere all'acquisizione del bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico, previa valutazione degli interessi in conflitto. In buona sostanza, nei casi come quello in esame, si pone per l'Amministrazione un'alternativa fra l'adempimento di un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l'esercizio di una potestà autoritativa di acquisizione del bene di cui la stessa dispone in forza del regime speciale ad essa assicurato dal diritto amministrativo. La scelta che l'Amministrazione deve compiere non è, però, libera, come accade invece nel caso - che appare ana da un punto di vista meramente descrittivo e funzionale - delle obbligazioni alternative, in cui il debitore può effettuare la cosiddetta concentrazione individuando, a sua insindacabile ed arbitraria scelta, la prestazione che egli preferisce eseguire. Come è ovvio, infatti, l'art. 42-bis, primo comma, del D.P.R. n. 327/2001, nell'affermare che l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, "può " disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, non attribuisce all'autorità una semplice facoltà (il cui esercizio è per definizione libero), ma le conferisce una potestà, cioè l'esercizio obbligatorio di un potere funzionalizzato alla cura dell'interesse pubblico. Ne consegue che l'Amministrazione ha un vero e proprio obbligo di esercitare tale potere qualora il suo esercizio, all'esito della valutazione sugli interessi in conflitto, risulti meglio corrispondere all'interesse pubblico rispetto alla soluzione alternativa consistente nella restituzione dell'immobile. La valutazione discrezionale sugli interessi in conflitto risulta, quindi, sempre necessaria nei casi di cui al citato art. 42-bis, primo e secondo comma, perché, qualora essa deponga nel senso che l'interesse pubblico, nella sua composizione con gli altri interessi confliggenti, risulti meglio soddisfatto attraverso l'acquisizione del bene, all'Amministrazione non resta alcuna facoltà di optare per la restituzione dell'immobile, atteso che tale soluzione pregiudicherebbe il corretto perseguimento dell'interesse che l'autorità è deputata a soddisfare. Ciò - si ripete - dipende dal fatto che le potestà (e in primo luogo la potestà amministrativa), a differenza delle facoltà, non costituiscono un mero potere, ma si sostanziano in un potere-dovere, nel senso, cioè, che il loro titolare ha l'obbligo di esercitare il potere che l'ordinamento gli attribuisce ogniqualvolta tale esercizio risulti idoneo a soddisfare l'interesse per il quale il potere stesso è stato attribuito. Se, quindi, la restituzione dell'immobile e la corresponsione di quanto dovuto a titolo risarcitorio secondo la disciplina civilistica può intervenire, nei casi come quello in esame, solo qualora l'Amministrazione, valutati gli interessi in conflitto, abbia ritenuto che l'esercizio della potestà autoritativa di acquisizione dell'immobile ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 non costituisca uno strumento di migliore soddisfazione dell'interesse pubblico nella sua doverosa composizione con gli ulteriori interessi concorrenti, ciò significa che, nei casi di cui al citato art. 42-bis, primo e secondo comma, il primo dovere che incombe sull'Amministrazione non è quello "civilistico" relativo alla restituzione dell'immobile e al risarcimento del danno per l'occupazione illegittima, ma quello "amministrativo" relativo alla valutazione degli interessi in conflitto (valutazione dalla quale dipende il concreto esercizio della potestà di acquisizione del bene, ovvero la concreta restituzione dell'immobile ai sensi della disciplina di diritto comune). In altri termini, l'Amministrazione, nell'esercizio della sua discrezionalità, è chiamata a decidere in via preliminare se esercitare o non esercitare la potestà amministrativa di acquisizione che l'ordinamento le attribuisce e, solo nel caso in cui tale decisione abbia avuto esito negativo, essa è tenuta, come qualsiasi soggetto di diritto comune, alla restituzione dell'immobile e al risarcimento del danno. La valutazione degli interessi in conflitto di cui all'art. 42-bis, primo comma, del D.P.R. n. 327/2001 è, perciò, necessariamente prodromica rispetto alla concreta opzione fra acquisizione autoritativa e restituzione "civilistica" e deve essere obbligatoriamente compiuta dall'Amministrazione in tutti i casi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dal primo e dal secondo comma della disposizione indicata. Tale valutazione amministrativa - che potrebbe anche non essere formalizzata in uno specifico provvedimento nel caso in cui la stessa abbia esito negativo e risulti implicitamente dalla restituzione dell'immobile e dalla liquidazione del danno - deve tuttavia pur sempre intervenire, proprio in quanto l'ordinamento non attribuisce all'Amministrazione una libera facoltà di acquisizione dell'immobile, ma le impone il dovere di procedere a tale acquisizione qualora, in base alla valutazione prescritta dal citato art. 42-bis, essa costituisca una strumento più adeguato per il corretto perseguimento dell'interesse pubblico. A fronte di una situazione quale quella in esame, l'Amministrazione è, quindi, tenuta in primo luogo a valutare gli interessi in conflitto, esercitando il potere amministrativo discrezionale che l'ordinamento le riconosce (esercizio che ben può concretizzarsi nella decisione di non acquisire l'immobile in via autoritativa), e solo in seconda battuta, qualora cioè l'esito di tale valutazione discrezionale si traduca nella decisione di non acquisire il bene, essa dovrà considerarsi effettivamente tenuta alla restituzione dell'immobile secondo gli ordinari canoni civilistici. Sulla scorta di tali considerazioni deve, perciò, ritenersi che in tutti i casi in cui si verifichi la situazione contemplata dall'art. 42-bis, primo e secondo comma, del D.P.R. n. 327/2001 (utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, ovvero in forza di atto da cui da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, ovvero di atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera, ovvero di decreto di esproprio successivamente annullato in sede giurisdizionale, ovvero nel caso di ritiro di uno di tali atti da parte dell'Amministrazione durante la pendenza di un giudizio per il loro annullamento), l'autorità abbia l'obbligo di attivare e concludere il procedimento relativo alla valutazione degli interessi in conflitto al fine di stabilire se procedere all'acquisizione autoritativa dell'immobile, ovvero alla sua restituzione secondo la disciplina civilistica. Nel caso in esame sussiste, quindi, l'obbligo di provvedere che la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato quale presupposto per l'esperimento dell'azione avverso il silenzio dell'Amministrazione, in quanto il Comune, ai sensi dell'art. 42-bis, primo comma, del D.P.R. n. 327/2001, è effettivamente tenuto ad effettuare la valutazione amministrativa discrezionale che i ricorrenti hanno sollecitato e che consiste nella scelta fra l'acquisizione autoritativa degli immobili secondo la disciplina di cui alla norma indicata, da una parte, e l'opzione in favore della soluzione restitutoria e risarcitoria regolata dal diritto comune, dall'altra. Deve ulteriormente precisarsi, tuttavia, che l'alternativa provvedimentale che si pone per l'Amministrazione allorquando essa proceda alla preliminare valutazione degli interessi in conflitto non è esattamente quella fra acquisizione autoritativa e concreta restituzione degli immobili, ma piuttosto quella fra acquisizione e non acquisizione del bene. Il procedimento che l'Amministrazione è tenuta a concludere e la volontà provvedimentale che la stessa è tenuta ad esprimere nell'ipotesi in cui si verifichi una delle situazioni contemplate dai primi due commi dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 non concerne invero l'alternativa fra l'acquisizione autoritativa e la concreta restituzione del bene, ma quella fra la sua acquisizione e la non acquisizione, in quanto la concreta restituzione rappresenta un semplice obbligo civilistico - cioè una mera conseguenza legale della decisione di non acquisire l'immobile assunta dall'Amministrazione in sede procedimentale - ed essa non costituisce, né può costituire, espressione di una specifica volontà provvedimentale dell'autorità (atteso che, nell'adempiere gli obblighi di diritto comune, l'Amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro soggetto dell'ordinamento e non agisce jure auctoritatis). Tale precisazione si rende necessaria per chiarire che la presente decisione di accoglimento non potrebbe essere portata ad esecuzione al fine di ottenere la restituzione dei beni di cui si tratta nel caso in cui l'Amministrazione, adempiendo alla pronuncia di questo Tribunale, ritenesse di non acquisire in via autoritativa il bene o nel caso in cui in tal senso dovesse provvedere un eventuale commissario ad acta nominato dal giudice. I ricorrenti, in altri termini, non potrebbe mai ottenere la restituzione dell'immobile nelle forme del giudizio di ottemperanza alla presente decisione e ciò in quanto non è possibile che tramite l'esperimento del ricorso avverso il silenzio si determini un mutamento di giurisdizione (nell'ipotesi che l'occupazione si configuri come usurpativa) o del rito previsto (atteso che per l'ipotesi di domanda di restituzione a fronte di un'occupazione acquisitiva il rito previsto innanzi al giudice amministrativo è quello ordinario). E', infine, opportuno osservare che le conclusioni appena indicate risultano perfettamente coerenti con le affermazioni della giurisprudenza (cfr., ad esempio, Cons. St., Sez. IV, n. 1514/2012; T.A.R. Palermo, Sezione II, n. 428/2012, T.A.R. Napoli, Sezione V, n. 1171/2012, nonché T.A.R. Catania, Sez. II, n. 1652/2012, n. 1498/2012 e n. 1273/2012) per i casi in cui il proprietario illegittimamente spogliato del proprio bene abbia adito il giudice per ottenere la restituzione dell'immobile e il risarcimento del danno. Nelle pronunce cui si è fatto riferimento, invero, la giurisprudenza non si è limitata a condannare l'Amministrazione alla restituzione e al risarcimento del danno per l'occupazione illegittima, ma, in base ai principi derivanti dall'interpretazione sistematica della disciplina e utilizzando le possibilità implicite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna di cui all'art. 34, primo comma, lettera c, c.p.a., ha formulato le proprie decisioni in modo tale che esse non pregiudicassero la possibilità per l'Amministrazione di acquisire il bene ai sensi del citato art. 42-bis, ordinando all'autorità di provvedere ai sensi dell'art. 42-bis qualora essa non ritenesse di restituire l'immobile al legittimo proprietario previa riduzione in pristino stato. Ciò conferma la peculiarità della situazione in cui si trova l'Amministrazione nei casi di cui all'art. 42-bis, primo e secondo comma, e dimostra che tale situazione non si sostanzia in un semplice obbligo "civilistico" di restituzione e di risarcimento del danno, ma contempla la necessaria e preliminare valutazione discrezionale ed autoritativa sugli interessi in conflitto al fine di giungere ad una decisione di natura provvedimentale - che può ben avere esito negativo - in merito all'eventuale acquisizione del bene. In conclusione il presente ricorso va accolto e deve, quindi, ordinarsi al Comune intimata di provvedere sull'istanza della ricorrente entro il termine di giorni novanta - tenuto conto della complessità tecnica e amministrativa che la decisione provvedimentale, specie nel caso di acquisizione autoritativa del bene, può implicare - dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notifica su istanza di parte, se anteriore, provvedendo all'acquisizione dell'immobile ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. n.. 327/2001, ovvero manifestando l'intento di non procedere a tale acquisizione, restando così soggetto agli obblighi restitutori e risarcitori disciplinati dal diritto comune. Per l'ipotesi di perdurante inadempienza dell'Amministrazione, viene nominato commissario "ad acta" il Segretario Generale del Comune di (omissis), con facoltà di delega ad altro funzionario dell'Ufficio, il quale provvederà nel termine di giorni centoventi dalla scadenza del termine assegnato al Comune di (omissis). E' opportuno ribadire che il commissario ad acta dovrà manifestare l'intento dell'Amministrazione di procedere ovvero di non precedere all'acquisizione ai sensi del citato art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001. Nel caso in cui il commissario ritenga che l'immobile debba essere acquisito ai sensi della norma indicata, dovrà provvedere a tutti gli adempimenti consequenziali e strumentali (acquisizione, corresponsione dell'indennizzo e del risarcimento, trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari, trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei Conti, eventuali variazioni di bilancio, etc.). Nel caso in cui il commissario ritenga che l'immobile non debba essere acquisito, egli non potrà, invece, procedere alla restituzione del bene, previa riduzione in pristino stato, e al risarcimento del danno, per le ragioni sopra già indicate. E' chiaro, peraltro, che, nell'effettuare tale valutazione, il commissario dovrà necessariamente considerare, da un lato, quali siano le somme eventualmente necessarie per l'eventuale riduzione in pristino ed il risarcimento e, dall'altro, in che modo tali somme possano eventualmente reperirsi e ciò in quanto non è possibile stabilire l'opportunità di procedere all'acquisizione ai sensi del citato art. 42-bis senza considerare (anche) i costi e le modalità di reperimento delle risorse necessarie per il caso in cui siffatta acquisizione non intervenga. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto: 1) lo accoglie e, per l'effetto, ordina al Comune di (omissis) di provvedere sull'istanza dei ricorrenti entro il termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notifica su istanza di parte, se anteriore, provvedendo all'acquisizione dell'immobile ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, ovvero manifestando il proprio intento di non procedere a tale acquisizione; 2) per l'ipotesi di ulteriore inadempienza del Comune intimato, nomina quale commissario ad acta il Segretario Generale del Comune di (omissis), con facoltà di delega ad altro funzionario dell'Ufficio, che provvederà nell'ulteriore termine di giorni centoventi; 3) condanna il Comune di (omissis) alla rifusione delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti, liquidate in complessivi Euro 1.150,00, oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Daniele Burzichelli - Presidente, Estensore Gustavo Giovanni Rosario Cumin - Consigliere Cristina Consoli - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 282 del 2022, proposto da: -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ufficio Territoriale del Governo Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Catania, via (...); per l'annullamento del decreto del -OMISSIS-. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio Territoriale del Governo Catania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2023 la dott.ssa Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con istanza del -OMISSIS- rappresentando l'intervenuta riabilitazione rispetto alla condanna posta a base del citato diniego. 2. Con nota del -OMISSIS-, il Prefetto di Catania respingeva l'istanza mancando "i presupposti per redigere" il provvedimento richiesto; tale provvedimento veniva annullato con sentenza n. 1283/2021 della quarta Sezione di questo T.A.R. che - ritenuto che il provvedimento costituisse "una risposta meramente interlocutoria data al privato, priva di sostanziale motivazione ed istruttoria, come emerge dalla stessa successiva condotta dell'amministrazione, che ha ritenuto di dover espletare ulteriori accertamenti" - onerava l'amministrazione "di fornire risposta all'istanza del privato ricorrente, per mezzo di un provvedimento conclusivo adottato all'esito della compiuta istruttoria". 3. Con decreto del -OMISSIS- il Prefetto di Catania confermava il divieto di detenzione armi per insussistenza del requisito dell'affidabilità sul duplice rilievo che: a) "la riabilitazione, ancorché estingua il reato, non cancella il fatto storico, nella specie di particolare rilevanza"; b) "le frequentazioni intrattenute in periodo successivo alla condanna costituiscono elemento negativo rilevante, anche solo sul piano probabilistico nell'ambito della rinnovazione del giudizio di affidabilità ...". 4. Con istanza del -OMISSIS-, l'interessato chiedeva "di prendere visione degli atti posti a fondamento" del citato decreto e dai quali "sia possibile verificare i fatti ascritti (controlli in compagnia di persone interessate da vicende penali) e i reati eventualmente contestati ai soggetti controllati in compagnia ricorrente". 5. Con il ricorso in esame, notificato in data 11 febbraio 2022, l'interessato impugnava il provvedimento di conferma del divieto di detenzione armi e ne chiedeva l'annullamento deducendo, in un unico motivo di ricorso, censure di: errata, insufficiente generica motivazione; carenza di istruttoria; falsa rappresentazione delle circostanze poste a fondamento del provvedimento di diniego; violazione del principio di buon andamento e correttezza della pubblica amministrazione; violazione ed errata applicazione degli artt. 11 e 43 T.U.L.P.S. e della circolare del Ministero dell'Interno del 25 novembre 2020: In sintesi parte ricorrente sosteneva che: - i "presunti controlli" in compagnia dei soggetti riportati nella nota informativa del Comando dei Carabinieri (già, peraltro, depositata dall'amministrazione nell'ambito del ricorso n. r.g. 438/2019 definito con la citata sentenza n. 1283/2021 cit.) non sarebbero stati "riportati" anche nel provvedimento impugnato col presente ricorso, indicando, quest'ultimo, unicamente gli anni relativi (2013, 2014, 2017 e 2018); - tale circostanza (valorizzata dal ricorrente in termini di "frettolosa modalità di redazione del decreto") avrebbe impedito "la verifica" dei controlli poiché privi di indicazione di tempo e di luogo e avrebbe conseguentemente determinato l'illegittimità del provvedimento; - inoltre, i predetti controlli sarebbero stati inviati, per le relative valutazioni, anche al Tribunale di Sorveglianza di Catania che se avesse rinvenuto elementi idonei ad incidere negativamente sulla condotta del ricorrente non avrebbe certamente concesso la riabilitazione; quindi, ulteriore profilo di legittimità sarebbe costituito dalla circostanza che gli episodi nei quali sarebbe stato coinvolto il ricorrente non assurgono a frequentazioni stabili con soggetti gravitanti in ambiti criminali ma, tutt'al più a meri contatti occasionali. 6. L'amministrazione intimata si costituiva in giudizio per resistere al ricorso. 7. Con nota del -OMISSIS-. di Catania riscontrava l'istanza di accesso e inviava copia della nota del Comando Provinciale Carabinieri di Catania di conferma delle precedenti informazioni e copia della nota del medesimo Comando del -OMISSIS- recante l'elenco dei controlli registrati a carico del ricorrente. 8. Con istanza ex art. 116, comma 2° c.p.a., notificata il 13 marzo 2022, il ricorrente - ritenendo il riscontro non satisfattivo (in particolare in ordine alle modalità dei controlli) - chiedeva "l'accesso integrale agli atti come descritti nell'istanza di accesso notificata in data 27.1.2022". Con ordinanza n. 1473/2022 la Sezione respingeva l'istanza proposta ai sensi dell'art. 116, comma 2°, poiché l'avvenuto riscontro dell'istanza di accesso era satisfattiva della richiesta del ricorrente di conoscere gli atti istruttori posti a base del provvedimento impugnato, con la precisazione che ogni altra questione concernente la motivazione del provvedimento (e in particolare la presunta insufficienza dei dati dei controlli di Polizia rappresentata nella memoria del 6 maggio 2022) e la completezza del corredo istruttorio attenevano alla legittimità del provvedimento impugnato e, pertanto, ove ritualmente introdotte, sarebbero state valutate in sede di esame del merito del ricorso. 9. Il 24 agosto 2023 parte ricorrente ha proposto istanza cautelare poiché "stante i fisiologici tempi di definizione del merito, l'eventuale accoglimento del ricorso (traducendosi, al più, nell'obbligo di motivato riesame e non, intuitivamente e ipso iure, nell'autorizzazione a detenere le armi e le munizioni) non esclude la (verosimile) riconferma del provvedimento con conseguente necessità di ulteriore impugnazione che potrebbe, in teoria, incentrarsi, ancora una volta, nel difetto di motivazione". 10. Con memoria depositata il 7 settembre 2023, l'amministrazione resistente ha chiesto il rigetto della misura cautelare evidenziando l'assoluta mancanza di mutati elementi fattuali rispetto alla situazione sussistente al momento della presentazione del ricorso. 11. Con memoria depositata il 7 settembre 2023 parte ricorrente ha insistito, ancora una volta, sulla ritenuta impossibilità di "verifica" dei contestati episodi "non foss'altro per valutare se le riferite vicende fossero preesistenti o successive ai controlli", richiamando al riguardo una precedente ordinanza resa da questa Sezione e ritenendo tale circostanza decisiva "quanto meno per il controllo del 17.3.2018" giorno in cui il ricorrente sarebbe stato in Sicilia per un limitato arco temporale (v. memoria depositata il 6 maggio 2022 e relativa documentazione depositata il 29 aprile 2022). 12. All'udienza camerale del 4 ottobre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione, ai sensi dell'art. 60 c.p.a., previo avviso alle parti. 13. Il ricorso è infondato. 13.1 In via generale, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che tutta la materia del rilascio delle autorizzazioni di polizia, tra cui quelle per la detenzione di armi è improntata al principio dell'assenza di mende per specifici reati, sia al momento del rilascio del titolo che in costanza di esso (Cons. Stato, Sez. III, 19 aprile 2023, n. 3975; 13 febbraio 2023, n. 1528; 3 agosto 2015, n. 3791; C.G.A. 17 ottobre 2022, n. 1052) poiché la ratio alla base della normativa che disciplina le autorizzazioni di polizia - per come risulta dal combinato disposto degli artt. 11 e 43 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (T.U.L.P.S.) - risiede nell'opportunità di evitare che le autorizzazioni al porto d'armi vengano rilasciate a soggetti che, per i loro comportamenti pregressi, denotino scarsa affidabilità circa il loro corretto uso, potendo in astratto costituire un pericolo per l'incolumità e per l'ordine pubblico. Tale scarsa affidabilità può essere desunta dall'Autorità amministrativa valutando la personalità complessiva del soggetto, la sua storia di vita pregressa e le presumibili evoluzioni del suo percorso di vita. Nel compiere tale valutazione, l'Amministrazione può - nell'esercizio del suo potere ampiamente discrezionale - valorizzare anche il verificarsi di situazioni non penalmente rilevanti, ma ciononostante indicative di una condotta non specchiata, richiedendosi, in pratica, ai fini del rilascio dell'autorizzazione di polizia richiesta, che il soggetto interessato al titolo richiesto osservi una condotta di vita improntata alla piena osservanza delle norme penali e di quelle poste a tutela dell'ordine pubblico, nonché delle regole di civile convivenza (cfr. anche: Cons. Stati., sez. III, 2 aprile 2021, n. 2739; C.G.A. 4 ottobre 2022, n. 997; 12 aprile 2022, n. 462; 30 dicembre 2022, n. 1109; TAR Sicilia - Catania, sez. I, 17 luglio 2023, n. 2224 e giurisprudenza ivi richiamata; 9 dicembre 2022, n. 3222). 14. Ciò premesso e passando all'esame del caso specifico, va preliminarmente evidenziato che il provvedimento di conferma del divieto di detenzione armi si fonda sul duplice rilievo costituito: - dall'inidoneità dell'intervenuta riabilitazione a cancellare il fatto storico (detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso); - da una serie di frequentazioni con soggetti controindicati. Si tratta, quindi, di un provvedimento con motivazione plurima, rispetto al quale solo l'accertata illegittimità di tutti i singoli profili su cui esso risulta fondato può comportare l'illegittimità e il conseguente annullamento del provvedimento (giurisprudenza consolidata, cfr. tra le tante: Cons. Stato, Sez. VII, 29 settembre 2023, n. 8593 e giurisprudenza ivi richiamata; Sez. III, 15 settembre 2023, n. 8367; Sez. IV, 11 settembre 2023, n. 8251; Sez. II, 25 agosto 2023, n. 7979; 16 giugno 2022, n. 4939; C.G.A. 14 aprile 2023, n. 270; 26 gennaio 2023, n. 102; T.A.R. Sicilia - Catania, Sez. V, 18 luglio 2023, n. 2245; Sez. I, 10 luglio 2023, n. 2126; 12 maggio 2023, n. 1576; 11 aprile 2023, n. 1194). 14.1 Ora, con riferimento al primo elemento della motivazione, il Collegio ritiene che la valutazione operata dall'amministrazione circa l'inidoneità dell'intervenuta riabilitazione a far venire meno il fatto storico (in ordine al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso) e quindi, a rappresentare una sostanziale inaffidabilità del richiedente sia immune dai denunziati vizi in quanto: a) la riabilitazione prevista dall'art. 178 c.p. ("La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti") non è causa di estinzione del reato bensì una causa di estinzione della pena che mantiene ferma la rilevanza giuridica della sentenza di condanna; il suo ambito di operatività è circoscritto alle pene accessorie e agli altri effetti penali che conseguono di diritto e automaticamente ad una sentenza di condanna e non impedisce che l'Amministrazione eserciti le sue valutazioni discrezionali considerando negativamente i fatti accertati nella condanna riportata, quali sintomi di non affidamento del richiedente l'autorizzazione di polizia; b) pertanto, anche a fronte dell'intervenuta riabilitazione, l'Autorità di pubblica sicurezza conserva il potere discrezionale di valutare il fatto-reato, nella sua dimensione storica tenendo conto della situazione complessiva del richiedente (cfr. tra le tante: Cons. Stato, Sez. III, 28 marzo 2023, n. 3190; v. anche Cons. Stato, Sez. III, 22 marzo 2023, n. 2919; 25 gennaio 2023, n. 809; 29 dicembre 2022, n. 11540; C.G.A. 12 aprile 2022, n. 466; 24 gennaio 2022, n. 118), mentre né la dichiarazione di estinzione del reato, né quella di riabilitazione, sono da sole sufficienti per poter sostenere che il richiedente offra assoluta garanzia di non abusare dell'autorizzazione all'uso dell'arma, in mancanza di ulteriori ed apprezzabili elementi tali da far venir meno i profili di inaffidabilità che, nel caso in esame, non sono stati nemmeno allegati dal ricorrente; c) non può inoltre, assumere alcuna rilevanza quanto affermato dal ricorrente circa il fatto che i medesimi controlli sarebbero stati valutati in modo diverso dal Tribunale di Sorveglianza di Catania poiché - a prescindere dalla totale mancanza di riscontro in ordine alle citate deduzioni - in ogni caso, le valutazioni finalizzate all'accertamento di una responsabilità penale, così come le valutazioni operate ai fini dell'accertamento delle condizioni per la riabilitazione, si pongono su un piano diverso ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, potendo le risultanze penali essere valutate negativamente sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali, e dunque anche ad avvenuta estinzione del reato rispetto alla quale l'autorità amministrativa, come già precisato al punto b), può comunque valorizzare nella loro oggettività i fatti di reato concretamente avvenuti per desumerne la pericolosità o, comunque, la non completa affidabilità di colui che li ha commessi (cfr. tra le tante: Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057; T.A.R. Sicilia - Catania, sez. IV, 4 agosto 2022, n. 2184; 22 luglio 2022, n. 2020; T.A.R. Sicilia - Palermo, Sez. I, 24 aprile 2019, n. 1137; d) ne consegue che la prognosi compiuta dall'Amministrazione rispetto ai fatti di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti in concorso risulta immune dai vizi dedotti in quanto ragionevolmente ritenuta dall'Amministrazione indicativa dell'attitudine del soggetto a non conformarsi alle norme finalizzate alla tutela dell'ordine pubblico. 15. Sebbene tale profilo sia già sufficiente, per le considerazioni formulate al punto 14 a far ravvisare la legittimità della conferma del divieto di detenzione armi, il Collegio ritiene che nemmeno le censure riguardanti la presunta errata e carente istruttoria concernente le frequentazioni con soggetti controindicati risultano fondate e osserva al riguardo quanto segue: a) la nota informativa del Comando Provinciale dei Carabinieri di Catania del -OMISSIS- indica sia la data dei 5 controlli (tutti successivi alla condanna del 2011), sia le generalità complete dei sette soggetti interessati a vario titolo da vicende penali, anch'esse dettagliatamente indicate nelle rispettive note; due di questi soggetti, peraltro, ricorrono in più controlli (v. soggetti indicati nei i controlli del 27 febbraio 2014, del 14 ottobre 2013 e del 7 luglio 2013); b) a fronte del citato contenuto della nota informativa, parte ricorrente non contesta i fatti ivi riportati (cioè l'essere stato controllato con i predetti soggetti ovvero la circostanza di intrattenere frequentazioni con essi), né risulta avere mai agito, nelle rispettive sedi, per far valere la falsità o l'erroneità dei dati forniti dai Carabinieri e chiederne eventualmente la rettifica, ma si limita ad affermare che l'omessa indicazione del luogo del controllo e dell'ora esatta non consentirebbe di verificare se si tratta di episodici contatti ovvero di frequentazioni con soggetti gravitanti in ambiti criminali. Orbene, anche a voler accedere alla suggestiva tesi difensiva di parte ricorrente circa, l'asserita impossibilità di distinguere un "contatto isolato" da "costanti frequentazioni" avrebbe potuto, tutt'al più, rilevare se si fosse di un singolo episodio ma, nel caso in esame, contraddistinto da numerosi controlli con soggetti controindicati (alcuni dei quali ricorrenti in più di un controllo) e dall'oggettivo "spessore" delle rispettive denunzie e segnalazioni, non sussistono concreti elementi per ritenere che il giudizio di non affidabilità sia stato reso sulla base di una carente istruttoria; c) quanto, infine, alla circostanza rappresentata per la prima volta nella memoria del 6 maggio 2022 e ribadita, da ultimo, nella memoria del 7 settembre 2023 circa "l'inspiegabile discrasia fra il "controllo (che sarebbe avvenuto in data 17.3.2018) con F.A. e la circostanza, oggettiva e incontrovertibile, che il ricorrente dalle ore 5,30 del 17.3.2018 alle ore 20,35 del 20.3.2018 non si trovava in Sicilia", il Collegio - in disparte ogni questione sull'irrituale introduzione della censura tardivamente proposta con memoria non notificata - osserva che anche in questo caso parte ricorrente, piuttosto che contestare il fatto storico di essere stato controllato in compagnia del sopracitato F.A., formula delle generiche "perplessità " che, tuttavia, non evidenziano alcuna discrasia posto che è lo stesso interessato a rilevare come il controllo possa risalire "all'arco temporale fra le 00,00 e le 5,30" (cosi, memoria del 6 maggio 2022) ovvero possa trattarsi di un incongruenza "frutto di un mero errore" (così, memoria del 7 settembre 2023). 16. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto il ricorso è infondato e va respinto. 17. Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata in dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell'amministrazione resistente che liquida in complessivi Euro1500,00 (millecinquecento/00). Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati: Pancrazio Maria Savasta - Presidente Agnese Anna Barone - Consigliere, Estensore Giovanni Giuseppe Antonio Dato - Primo Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 85 del 2023, proposto da Ac. Su. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gi. Ma., An. Sc. e Va. Ma. Sa. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato An. Sc. in Catania, via (...); contro Assemblea Territoriale Idrica Ambito Territoriale 2 Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato An. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Si. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Al. D'U. e Cl. Mi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; Ac. S.p.A. e Comune di (omissis), non costituiti in giudizio; per l'annullamento 1) della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania dell'11.11.2022 n. 26 e tutta la documentazione istruttoria presupposta, compresa l'annessa "Relazione di accompagnamento", recante l'"aggiornamento tariffario 2022 della proposta tariffaria 2016-2019" per Ac. Su. S.r.l. relativa al secondo periodo regolatorio 2016-2019 (MTI-2), per il Gestore Ac. Su. S.r.l., col contestuale e formale annullamento della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'ATI n. 31 del 05.11.2021, relativa al medesimo Gestore ACQUE SUD ed al medesimo periodo regolatorio 2016-2019 (MTI-2) e con la ri-approvazione dei relativi nuovi moltiplicatori tariffari applicabili per detto gestore e per tale periodo; 2) della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania dell'11.11.2022 n. 27 e tutta la documentazione istruttoria presupposta, compresa in particolare l'annessa "Relazione di accompagnamento", recante l'"aggiornamento tariffario 2022 della proposta tariffaria 2020-2023" per Ac. Su. S.r.l. relativa al terzo periodo regolatorio 2020-2023 (MTI-3), per il Gestore Ac. Su. S.r.l., col contestuale e formale annullamento della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'ATI n. 32 del 05.11.2021, relativa al medesimo Gestore Ac. Su. S.r.l. ed al medesimo periodo regolatorio 2020-2023 (MTI-3) e con la ri-approvazione dei relativi nuovi moltiplicatori tariffari applicabili per detto gestore e per tale periodo; 3) della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania del 24.11.2022 n. 37 e tutta la documentazione istruttoria presupposta, compresa in particolare l'annessa "Relazione d'accompagnamento" recante la "predisposizione aggiornamento tariffario 2022-2023" per Ac. Su. S.r.l. con cui è stata approvata la proposta di aggiornamento tariffario c.d. infraperiodo, relativo al biennio 2022-2023 del terzo periodo regolatorio MTI-3, per il Gestore ACQUE SUD, con la contestuale approvazione dei relativi nuovi moltiplicatori tariffari applicabili per detto gestore e per tale periodo; 4) nei limiti d'interesse, della deliberazione del Consiglio Direttivo dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania del 27.10.2022 n. 23, e tutta la documentazione istruttoria presupposta, compresa in particolare l'annessa "Relazione di accompagnamento", recante la "predisposizione aggiornamento tariffario 2022-2023" per Si. S.p.A., come rettificata in data 10.11.2022 - pubblicate sul sito web istituzionale di ATI dal 08.11.2022 (quanto alla prima) e dal 10.11.2022 (quanto alla rettifica), mai comunicate alla ricorrente e successivamente conosciute - con cui è stata approvata la proposta di competenza di ATI quanto all'aggiornamento tariffario c.d. infraperiodo per il biennio 2022-2023 del terzo periodo regolatorio MTI-3, per il gestore Si. S.P.A., con l'approvazione dei relativi nuovi moltiplicatori tariffari applicabili per detto gestore; 5) di qualsiasi ulteriore atto o provvedimento, anche istruttorio o endoprocedimentale, comunque connesso, presupposto e/o consequenziale alle deliberazioni sin qui indicate ed impugnate, ivi comprese ove occorra e nei limiti dell'interesse appresso specificato: 5.1) la nota ATI prot.n. 1874 del 13.12.2022, trasmessa a mezzo pec in data 13.12.2022, di accompagnamento alle delibere nn. 26, 27 e 37 del 2022; 5.2) la delibera del Consiglio Direttivo dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania del 05.11.2021 n. 33 e l'annessa "relazione d'accompagnamento" e ogni correlato documento istruttorio; 5.3) la deliberazione ATI n. 21/2021 afferente alla penultima predisposizione tariffaria adottata da ATI per Si., ove affetta dal medesimo errore di classificazione ed imputazione contestato con l'odierno ricorso. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assemblea Territoriale Idrica Ambito Territoriale 2 Catania e della Si. S.p.A.; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2023 la dott.ssa Valeria Ventura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. Con gravame ritualmente notificato e depositato, la società Ac. Su. S.r.l., grossista idrico operante nel settore acquedottistico della provincia di Catania, ha impugnato le delibere n. 26 e 27 dell'11.11.2022, la n. 37 del 24.11.2022 e, nei limiti di interesse, la n. 23 del 27.10.2022 dell'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania con cui sono stati approvati gli aggiornamenti delle tariffe per il gestore-grossista Ac. Su. s.r.l (riferite al secondo periodo regolatorio, 2016-2019 MTI-2; al terzo periodo regolatorio, 2020-2023 MTI-3; al c.d. infraperiodo relativo al biennio 2022-2023 del terzo periodo regolatorio MTI-3), nonché l'aggiornamento tariffario c.d. infraperiodo per il biennio 2022-2023 del terzo periodo regolatorio MTI-3, per il gestore Si. S.p.A. Avverso gli atti in epigrafe indicati, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di gravame: -SULLE IMPUGNATE DELIBERE ATI NN.26/2022, 27/2022 E 37/2022: violazione e/o falsa applicazionedell'art. 10, commi 11 e ss., del DL 70/2011, convertito con legge 106/2011; dell'art. 21, comma 19, DL 201/2011, convertito con legge 214/2011; del DPCM del 20.07.2012 (ed in particolare dei suoi artt. 1 e 3), dell'art. 154 del decreto legislativo 152/2006, nonché delle delibere AEEGSI/ARERA nn. 585/2012, 643/2013, 664/2015 e 580/2019 (ed in particolare dell'art. 1 dei rispettivi allegati A), oltrecchè degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990,97 e 41 della Costituzione -Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria e della motivazione, motivazione perplessa, travisamento, sviamento, contraddittorietà irragionevolezza manifesta. -SULLA DELIBERA ATI N. 23/2022E OVE OCCORRA SULLE DELIBERE ATI N. 33/2021 e 21/2021: illegittimità in via autonoma e/o diretta per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 10, commi 11 e ss., del DL 70/2011, convertito con legge 106/2011; dell'art. 21, comma 19, DL 201/2011, convertito con legge 214/2011; del DPCM del 20.07.2012 (ed in particolare dei suoi artt. 1 e 3), dell'art. 154 del decreto legislativo 152/2006, nonché delle delibere AEEGSI/ARERA nn. 585/2012, 643/2013, 664/2015 e 580/2019 (ed in particolare dell'art. 1 dei rispettivi allegati A), oltrecchè degli artt. 1 e 3 della legge 241/1990, 97 e 41 della Costituzione -Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, di istruttoria e della motivazione, motivazione perplessa, travisamento, sviamento, contraddittorietà irragionevolezza manifesta. In estrema sintesi, la ricorrente ha chiesto l'annullamento degli atti impugnati nella parte in cui, per ciascuno dei periodi ivi considerati, sarebbero stati erroneamente ricondotti i dati relativi alla fornitura idrica industriale, con reti dedicate, erogata dalla ricorrente in favore della Si. S.p.A., nel perimetro del servizio idrico integrato (SII), anche ai fini tariffari, con conseguente illegittimo spostamento del rapporto negoziale in essere da "altra attività idrica (AAI)" ad "attività idrica rientrante nel SII", come tale ingiustamente assoggettato alle potestà e determinazioni tariffarie dell'ATI e dell'ARERA, con decorrenza dall'anno 2020. In particolare, secondo la ricorrente, sarebbe dirimente la circostanza che la fornitura in questione, avente ha ad oggetto la "vendita con reti dedicate di acqua a solo uso industriale", si caratterizza per l'utilizzo di una infrastruttura dedicata in via esclusiva agli usi industriali, e non anche misti, come dimostrerebbe il fatto che essa presenta caratteristiche impiantistiche e gestionali di derivazione, regolazione della portata e telemisura che confermerebbero tale natura, giustificandone la sottrazione al regime tariffario imposto. 2. Si è costituita in giudizio la Si. S.p.A., la quale ha contestato il presupposto giuridico-fattuale da cui muove la ricorrente, in quanto sarebbe principio pacifico, e noto a tutti gli operatori del settore, che il concetto di "infrastruttura dedicata" - a più riprese richiamato da parte ricorrente al fine di dimostrare l'estraneità della fornitura al Sistema Idrico Integrato - si riferisca all'intera infrastruttura acquedottistica (condotta, pozzi, infrastruttura di sollevamento) e non, come pretenderebbe la società ricorrente, unicamente alla condotta. 3. Si è costituita anche l'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 - Catania (ATI), la quale in via preliminare ha eccepito l'inammissibilità del ricorso in quanto volto all'impugnazione di atti di natura endoprocedimentale, costituendo le delibere dell'ATI semplici "proposte tariffarie" soggette alla successiva approvazione da parte dell'ARERA, come tali non suscettibili di autonoma impugnazione. Nel merito, ha chiesto il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto. 4. Le parti hanno integrato la propria documentazione e depositato memorie conclusive e di replica in prossimità dell'udienza pubblica del 7 giugno 2023, in cui la causa è stata discussa dai difensori delle parti e, all'esito, trattenuta dal Collegio per la decisione. 5. Ad avviso del Collegio è fondata ed assorbente l'eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall'ATI dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 di Catania. Giova premettere che per effetto dell'articolo 21, commi 13 e 19, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono state attribuite all'A.e.e.g. (oggi A.r.e.r.a.) le funzioni di regolazione e di controllo, di cui all'articolo 2 della legge 14 novembre 1995, n. 481, anche per il settore del servizio idrico integrato. L'articolo 3, comma 1, del d.P.C.M. 20 luglio 2012, di attuazione dell'articolo 21, comma 19, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, dispone, per quanto di interesse, che "l'Autorità per l'energia elettrica ed il gas esercita, secondo i principi indicati, le seguenti funzioni di regolazione e controllo del servizio idrico integrato (...): c) definisce le componenti di costo - inclusi i costi finanziari degli investimenti della gestione - per la determinazione della tariffa del servizio..; d) predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato...sulla base del riconoscimento dei costi efficienti di esercizio sostenuti dai gestori...e fissa, altresì, le relative modalità di revisione periodica, vigilando sull'applicazione delle tariffe; f) approva le tariffe del servizio idrico integrato...proposte dal soggetto competente sulla base del piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, impartendo, a pena d'inefficacia prescrizioni. In caso di inadempienza...intima l'osservanza degli obblighi entro trenta giorni decorsi i quali, fatto salvo l'eventuale esercizio del potere sanzionatorio, provvede in ogni caso alla determinazione in via provvisoria delle tariffe sulla base delle informazioni disponibili, comunque in un'ottica di tutela degli utenti...". Con gli articoli 7 e 8 della deliberazione del 28 dicembre 2015, n. 664/2013/R/idr, l'A.r.e.r.a. ha, quindi, definito la procedura di approvazione della tariffa del servizio idrico integrato, e di aggiornamento della medesima, individuando due fasi: a) in prima battuta, la fase della predisposizione della tariffa, riservata agli enti di governo dell'ambito, secondo il metodo tariffario predisposto dall'A.r.e.r.a.; b) la successiva fase di approvazione della tariffa, riservata all'A.r.e.r.a., la quale, ove non ravvisi la necessità di richiedere ulteriori integrazioni, entro novanta giorni dal ricevimento dello schema regolatorio e dei relativi allegati, approva le proposte tariffarie trasmesse dagli enti di governo dell'ambito. Alla luce della normativa sopra riportata, la giurisprudenza, alla quale il Collegio intende dare continuità, ha in più occasioni affermato che i provvedimenti adottati dagli enti territoriali, pur essendo dotati di una loro autonomia e di efficacia provvisoria immediata, si pongono con il provvedimento di approvazione della tariffa da parte dell'A.r.e.r.a. in rapporto di pregiudizialità e dipendenza. Pertanto gli effetti dei primi divengono definitivi soltanto con la deliberazione di approvazione da parte dell'A.r.e.r.a., e di conseguenza solo in tale momento sorge l'interesse alla contestazione da parte del gestore del servizio, sicchè il termine decadenziale per proporre l'impugnazione decorre dalla approvazione definitiva della tariffa. Soltanto la statuizione del regolatore rappresenta, infatti, il provvedimento definitivo dell'intero iter procedimentale (ex multis Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2019 n. 1958; T.A.R. Brescia, sez. I, 29 dicembre 2022, n. 1388; TAR Milano, sez. I, 23 novembre 2020, n. 2230 confermata dal Consiglio di Stato 6 giugno 2023, n. 5565). In tal senso, si è pronunciato di recente anche il C.G.A.R.S. con la sentenza n. 354 del 22 aprile 2021, nella quale, dopo un'ampia e dettagliata ricostruzione del procedimento di approvazione delle tariffe del servizio, è stato affermato che "La legislazione primaria, quindi, intesta il potere di approvazione delle tariffe idriche all'Autorità indipendente", secondo un modello regolatorio in base al quale "l'Ente d'ambito ha il compito di predisporre e trasmettere all'Autorità la proposta tariffaria (...) e l'Arera ha il compito di approvarle (così come prevede la fonte normativa primaria)". In particolare, la sentenza in esame ha chiarito che, nell'esercizio di detti poteri, l'A.r.e.r.a. non si limita a certificare la correttezza o meno della proposta tariffaria trasmessale dall'Ente d'Ambito, ma dispone di penetranti poteri istruttori che possono condurre anche alla modifica della proposta tariffaria, nei sensi di volta in volta precisati dall'Autorità, giungendo ad affermare che "l'ordinamento attribuisce all'Arera il ruolo di protagonista nell'ambito del procedimento tariffario e, nel caso specifico, di approvazione dell'aggiornamento tariffario, intestandole le seguenti prerogative: - il potere di chiedere integrazioni istruttorie (...) attraverso un'attività delineata dalla giurisprudenza come non obbligatoria e avente come destinatari diretti i gestori del servizio (Cons. St., sez. VI, 27 novembre 2017, n. 5529); - il potere di svolgere istruttorie specifiche al ricorrere di alcune condizioni (...); - il potere di ricevere, da parte degli enti d'ambito, le comunicazioni circa il mancato adempimento dei gestori agli obblighi di comunicazione dei dati che gravano sui medesimi (...) così da poter esercitare i poteri (anche inibitori e sanzionatori) alla medesima intestati; - il potere di determinare la tariffa d'ufficio (in una serie di casi espressamente elencati, n. d.r.); - i poteri inibitori e sanzionatori in caso di inosservanza dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio alle richieste di informazioni ai sensi dell'art. 2, comma 20, lett.e c) e d) della legge n. 481 del 1995.". Ne consegue che il ruolo di A.r.e.r.a. in sede di approvazione delle tariffe predisposte dall'ente d'ambito non è meramente ricognitivo, bensì propriamente decisorio e si giustifica con la necessità di assicurare un alto livello di competenza settoriale nello svolgimento di una funzione direttamente correlata al raggiungimento delle finalità pubbliche riconosciute dalla normativa di settore. Nell'ambito di tale procedimento bifasico, il sistema tariffario individua poi una fase transitoria, prevedendosi, nelle more dell'approvazione da parte dell'A.r.e.r.a., l'applicazione in via provvisoria delle tariffe predisposte dall'ente di governo d'ambito e l'adozione di meccanismi di conguaglio una volta intervenuta l'approvazione definitiva della tariffa da parte dell'Autorità . Alla luce di una tale ricostruzione, la sentenza conclude affermando che "Un eventuale sindacato del giudice che si frapponga fra la proposta tariffaria e l'approvazione dell'Arera avrebbe ad oggetto un potere non esercitato da quest'ultima, così impattando su un interesse a ricorrere non ancora attuale, in ragione del fatto che l'Arera ha il potere di modificare la proposta dell'Ente d'ambito. Se si considera che la valutazione nel merito delle censure richiede l'apporto di periti dottati di competenza tecnica scientifica (quella stessa competenza di cui l'Arera è istituzionalmente dotata) diviene evidente il corto circuito istituzionale che si determinerebbe in termini di tempo, costi e duplicazione di attività dal procedere allo scrutinio nel merito delle doglianze relative alle modalità di determinazione delle tariffe (prima che l'Autorità di settore abbia provveduto a farlo, magari soddisfando le esigenze del gestore)". Va aggiunto, infine, che l'eventuale ritardo di A.r.e.r.a. nel procedere all'approvazione definitiva della proposta tariffaria non determina alcun meccanismo di silenzio-assenso, come chiarito dalla giurisprudenza, come ampiamente argomentato sempre nella citata sentenza del C.G.A.R.S. n. 354 del 22 aprile 2021, paragrafo 10.1 (in senso conforme, cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 marzo 2019 n. 1958, paragrafo 5.1.3). 6. In definitiva, applicando le superiori coordinate ermeneutiche alla fattispecie esaminata, in cui oggetto di contestazione sono gli atti con cui l'Assemblea Territoriale Idrica dell'Ambito Territoriale Ottimale 2 di Catania ha predisposto gli aggiornamenti delle proposte tariffarie riguardanti diversi periodi regolatori per il gestore Ac. Su. S.r.l., nonché per Si. S.p.a.. ma non ancora approvati da A.r.e.r.a., deve concludersi per l'inammissibilità del ricorso in quanto proposto avverso atti a carattere meramente endoprocedimentale, come tali non immediatamente lesivi. 7. Le spese di lite possono essere compensate per la complessità e la relativa novità delle questioni esaminate. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Daniele Profili - Referendario Valeria Ventura - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 175 del 2023, proposto da Si. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Bo. Lo Du., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Ca., piazza (…); contro A.r.p.a. - Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Sicilia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; nei confronti Regione Siciliana - Assessorato Territorio e Ambiente; Regione Siciliana - Assessorato Energia e Servizi di Pubblica Utilità, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149; per l'annullamento della nota prot. n. (…) del 22 novembre 2022 dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Sicilia, per quanto d'interesse; nonché, ove occorra e per quanto d’interesse: della nota prot. n. (…) del 7 settembre 2022 dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Sicilia; della nota prot. n. (…) del 7 luglio 2022 dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Sicilia. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di Arpa Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Sicilia e di Regione Siciliana, Assessorato Territorio e Ambiente e Assessorato Energia e Servizi di Pubblica Utilità; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 settembre 2023 la dott.ssa Cristina Consoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La ricorrente ha impugnato: a) la nota n. (…) in data 22 novembre 2022 dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Sicilia, per quanto di interesse; b) ove occorra e per quanto di interesse, le note n. (…) in data 7 settembre 2022 e n. 36336 in data 7 luglio 2022 dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Sicilia. Nel ricorso, per quanto in questa sede rileva, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) la ricorrente gestisce un impianto di compostaggio autorizzato con provvedimento AIA n. 990 in data 1 settembre 2015, con cui è stato anche approvato, con prescrizioni, il Piano di monitoraggio e controllo ed è stato sancito l’obbligo di osservare il parere favorevole dell’A.R.P.A. espresso con nota n. (…) del 29 gennaio 2015, nonché di verificare in fase di esercizio, tramite una campagna di monitoraggio le cui modalità esecutive dovevano essere concordate con l’A.R.P.A., il rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente; b) in data 14 novembre 2019 l’Amministrazione ha approvato modifiche non sostanziali dell’impianto e con successivo decreto n. 96 in data 8 marzo 2019 si è preso atto, anche sotto il profilo ambientale, di tali modifiche; c) in data 24 gennaio 2020 la ricorrente ha presentato richiesta ai sensi dell’art. 29-nonies del decreto legislativo n. 152/2006 in relazione ad ulteriori modifiche relative alle modalità di gestione e convogliamento delle acque meteoriche; d) nell’ambito del procedimento di verifica di ottemperanza alle prescrizioni dell’AIA, ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo n. 152/2006, l’A.R.P.A., con nota n. (…) in data 7 luglio 2022, ha richiesto l’integrazione del Piano di monitoraggio e controllo; e) con nota n. (…) in data 7 settembre 2022, relativa sia al procedimento ai sensi del citato art. 29-nonies sia alla verifica di ottemperanza ex art. 28 del decreto legislativo n. 152/2006, l’A.R.P.A. ha rappresentato di condividere i contenuti dell’elaborato integrativo, precisando che prima dell’avvio dell’AIA occorreva presentare la revisione definitiva del Piano; f) con decreto n. 1040 in data 28 settembre 2022 è stato attestato, ai sensi del citato art. 28, l’esito positivo della verifica di ottemperanza e in data 2 novembre 2022 la ricorrente ha trasmesso la revisione definitiva del Piano; g) con nota n. (…) del 22 novembre 2022 l’A.R.P.A. ha comunicato l’approvazione del Piano di monitoraggio e controllo con precisazioni, indicando, in particolare, il metodo di riferimento per la determinazione dell’indice respirometrico dinamico potenziale (IRDP); h) in data 22 dicembre 2022 la ricorrente ha trasmesso un’ulteriore versione del Piano, recependo l’indicazione relativa all’indice in questione, con salvezza di far valere sul punto i propri diritti. Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) l’IRDP è un parametro non previsto da alcuna norma di legge e, invero, l’AIA di cui la ricorrente beneficia richiede esclusivamente caratteristiche merceologiche conformi a quanto previsto dal decreto ministeriale in data 5 febbraio 1998 in materia di rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero e dal decreto legislativo n. 75/2010 in materia di fertilizzanti; b) la competenza esclusiva a provvedere sul punto è, inoltre, dello Stato ai sensi dell’art. 195, secondo comma, lettera o, del decreto legislativo n. 152/2006; c) la modifica dell’autorizzazione, ad ogni buon conto, doveva seguire la stessa procedura (in particolare, la conferenza dei servizi) che ha condotto all’adozione del titolo modificato e osservare quanto prescritto dall’art. 208, comma 12, del decreto legislativo n. 152/2006; d) sussiste anche contraddizione con precedenti atti della stessa A.R.P.A., con particolare riferimento alla nota n. (…) del 7 settembre 2022, dovendo aggiungersi che l’IRDP non è stato menzionato nella fase istruttoria del procedimento e che nella specie non sussistono le condizioni per fare applicazione dell’art. 28, settimo comma, del decreto legislativo n. 152/2006, anche perché la nota dell’A.R.P.A. impugnata è successiva alla conclusione del relativo procedimento; e) la ricorrente ha osservato quanto previsto dal Regolamento UE 2019/1009, il quale non contempla l’IRDP; f) la regola tecnica di cui si tratta non è stata preventivamente notificata alla Commissione europea, come prescritto dalla direttiva 98/34/CE, integrata e sostituita dalle direttive 98/48/CE e UE 2015/1535; g) tale regola tecnica determina un’illegittima discriminazione a carico dell’interessata rispetto agli altri operatori del settore; h) può aggiungersi che nel caso in esame neppure sono rinvenibili giustificazioni dettate da interessi sanitari. Le amministrazioni pubbliche intimate hanno svolto, in sintesi, le seguenti difese: a) sussiste il difetto di legittimazione passiva degli Assessorati regionali; b) il ricorso è irricevibile perché notificato in data 23 gennaio 2023, mentre devono considerarsi lesive le note dell’A.R.P.A n. (…) del 7 settembre 2022 e n. (…) in data 7 luglio 2022; c) la verifica dell’IRDP è prevista nel Piano Regionale dei Rifiuti in Sicilia (adottato con ordinanza commissariale n. 1166 del 18 dicembre 2002) e nelle Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio (adottate con ordinanza commissariale n. 426 del 29 maggio 2002); d) l’A.R.P.A. non ha introdotto una nuova prescrizione ma ha chiesto di aggiornare il Piano di monitoraggio e controllo recependo una prescrizione presente nell’autorizzazione n. 990/2015, la quale imponeva il rispetto delle menzionate Linee Guida; e) nel corso della successiva conferenza di servizi del 7 settembre 2022, con nota n. (…)/2022 l’A.R.P.A. ha ribadito il contenuto della precedente nota n. (…), evidenziando che la versione definitiva del Piano di monitoraggio e controllo doveva recepire le prescrizioni del decreto autorizzativo; f) con nota in data 2 novembre 2022 la società ha presentato la revisione del Piano di monitoraggio e controllo ove non è stata recepita la prescrizione e l’A.R.P.A. ha, quindi, imposto il suo rispetto; g) la nota n. (…) del 22 novembre 2022, pertanto, non si pone in contraddizione con precedenti atti e la nota n. 36366 non è successiva rispetto alla conclusione del procedimento di cui al menzionato art. 28 decreto legislativo n. 152/2006; h) il Regolamento UE 2019/1009 è obbligatorio e vincolante solo se si intendano immettere i prodotti sul mercato comunitario ma la sua applicazione è attualmente facoltativa per chi intenda commercializzare il prodotto sul territorio nazionale; i) in tal caso il riferimento normativo è ancora costituito dal decreto legislativo n. 75/2010; l) qualora la ricorrente intenda destinare il compost al mercato europeo, sarebbe necessario un riesame dell’autorizzazione; m) la prescrizione di cui si tratta è prevista - oltre che nelle Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio di cui all’ordinanza commissariale n. 426 in data 29 maggio 2002 e nel decreto autorizzatorio - nel Piano Regionale dei Rifiuti dell’anno 2002, regolarmente notificato alla Commissione europea con nota del 4 marzo 2003; n) non sussiste alcuna disparità di trattamento, in quanto l’Agenzia ha richiamato la norma regionale in procedimenti analoghi; o) non si ha notizia di alcun conflitto di attribuzioni sollevato dall’autorità statale. Con memoria in data 12 luglio 2023 la ricorrente ha rimarcato ed ulteriormente precisato le proprie tesi difensive, rilevando quanto segue: a) solo con la nota n. (…) in data 22 novembre 2022 l’Agenzia ha introdotto la prescrizione di cui si discute; b) il Piano Regionale cui la difesa erariale fa riferimento (che non ha valore di legge, come pure le Linee Guida) contempla l’indice respirometrico statico o dinamico e non l’indice respirometrico dinamico potenziale; c) l’indice potenziale non è contemplato dall’art. 5, punto 11, dell’autorizzazione ed esso indica il risultato del test respirometrico dinamico che esprime il valore di stabilità biologica del campione previa normalizzazione dei principali parametri chimico-fisici; d) l’indice di respirazione dinamico reale esprime, invece, il risultato del test respirometrico dinamico che misura il valore di stabilità biologica del campione tal quale; e) la determinazione di applicare uno dei due criteri incide radicalmente sulla portata e sulla rilevanza dei limiti cui attenersi; f) come risulta dalla relazione tecnica versata in atti, nel caso di produzione di ammendante compostato misto il materiale è di natura chimico-fisica omogenea e stoccato al coperto, sicché, ove prevista la sottoposizione in uscita a prova respirometrica, dovrebbe farsi ricorso all’indice respirometrico dinamico reale, rappresentativo della biodegradabilità potenziale di matrici fermentescibili omogenee in cui è strutturato l’ammendante compostato misto; g) l’utilizzo dell’indice potenziale comporterebbe uno stravolgimento delle valutazioni ed un insostenibile aggravio di difficoltà nella gestione del prodotto; h) sono, in ogni caso, inapplicabili all’impianto già autorizzato le “Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio”, in quanto adottate dal Commissario straordinario in un periodo emergenziale, ormai cessato; i) i Regolamenti europei sono vincolanti in tutti i loro elementi e direttamente applicabili negli Stati membri e le norme relative alla messa a disposizione sul mercato di prodotti fertilizzanti dell’Unione europea trovano applicazione diretta ed immediata, inclusa quella di cui all’Allegato II, paragrafo “CMC 3: Compost”, che contempla il rispetto di parametri specifici per il compost, tra i quali non è menzionato l’indice respirometrico dinamico potenziale. Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione. Va richiamata - per connessione con l’oggetto della presente controversia - la sentenza n. 2598/2023 in data 31 agosto 2023, con la quale questa Sezione, pur dichiarando inammissibile il ricorso, ha incidentalmente osservato che, nel merito, il gravame appariva fondato quanto alla contestazione relativa all’introduzione della prescrizione concernente l’indice respirometrico dinamico potenziale. Nella pronuncia in esame il Collegio ha, in particolare, rilevato che “L’art. 208, comma 12, del decreto legislativo n. 152/2006 stabilisce che le prescrizioni dell'autorizzazione possono essere modificate, prima del termine di scadenza e dopo almeno cinque anni dal rilascio, nel caso di condizioni di criticità ambientale, tenendo conto dell'evoluzione delle migliori tecnologie disponibili e nel rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla legge n. 241 del 1990. Nel caso in esame è incontroverso che l’Amministrazione non abbia introdotto la prescrizione di cui si discute sul rilievo della sussistenza di condizioni di criticità ambientale, sicché la disciplina appena indicata non può trovare applicazione. Ciò precisato, occorre osservare che per il rilascio di un titolo autorizzatorio di contenuto diverso rispetto a quanto già assentito, deve reputarsi indispensabile l’utilizzo del modulo procedimentale contemplato per il rilascio dell’autorizzazione originaria (cioè, nel caso di specie, della conferenza dei servizi di cui al citato art. 208, terzo comma, del decreto legislativo n. 152/2006). L’art. 272-bis, primo comma, del decreto legislativo n. 152/2006 stabilisce, inoltre, che: a) “la normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti”; b) tali misure possono anche includere, ove opportuno, alla luce delle caratteristiche degli impianti e delle attività presenti nello stabilimento e delle caratteristiche della zona interessata e fermo restando, in caso di disciplina regionale, il potere delle autorizzazioni di stabilire valori più severi con le modalità previste all'articolo 271, valori limite, prescrizioni, procedure, criteri e le specifiche contemplate nella disposizione indicata. Nel caso in esame la prescrizione, però, non è stata imposta attraverso il rilascio di un nuovo titolo autorizzatorio. Essa neppure può desumersi in base alla disciplina regionale, in quanto, come osservato dalla parte ricorrente, il parametro è stato imposto sul rilievo della perdurante efficacia delle Linee Guida approvate dal commissario delegato per l’emergenza, senza tener conto della disciplina statale (con particolare riferimento al decreto ministeriale in data 5 febbraio 1998). Lo stato di emergenza ambientale è, però, cessato da tempo, sicché sono venuti meno, non solo i poteri del commissario delegato, ma anche la disciplina da questi introdotta in deroga all’ordinamento vigente. Ne consegue che non può (più) tenersi conto del contenuto delle Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio adottate dal commissario delegato. Le considerazioni che precedono consentono di prescindere dall’esame del rilievo secondo cui, in applicazione della disciplina superprimaria e di quanto disposto dall’art. 195, secondo comma, lettera o), del decreto legislativo n. 152/2006, sarebbe riservata interamente allo Stato la normativa in materia di emissioni odorigene (affermazione che appare, invero, confutata dal citato art. 272-bis, primo comma, il quale fa espresso riferimento - anche - alla normativa regionale, dovendo anche aggiungersi che appare opinabile la tesi secondo cui nella specie verrebbe in rilievo una caratteristica del prodotto, anziché del processo produttivo, sicché potrebbe non risultare conducente il richiamo di parte ricorrente alla decisione del Consiglio di Stato, IV, 17 maggio 2022, n. 3870)”. Venendo al caso di specie, il Collegio osserva, anzitutto, che l’indice respirometrico dinamico potenziale (IRDP) non viene menzionato, neppure implicitamente, nelle note n. 36336 in data 7 luglio 2022 e n. 46101 in data 7 settembre 2022 dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Sicilia. Con le menzionate note, infatti, l’A.R.P.A. si è limitata a richiedere alla ricorrente di produrre il Piano definitivo di Monitoraggio e Controllo dell’installazione in conformità a quanto richiesto nelle prescrizioni relative ai controlli e monitoraggi in fase di esercizio di cui al provvedimento di autorizzazione integrata ambientale (D.D.G. 990 dell’1 luglio 2015), senza alcuno specifico riferimento all’IRDP. Solo con la nota n. (…) in data 22 novembre 2022 (impugnata in via principale) l’A.R.P.A. è pervenuta all’approvazione del Piano di monitoraggio e controllo, con la precisazione contestata, ossia indicando specificamente il metodo di riferimento per la determinazione dell’indice respirometrico dinamico potenziale (“Il metodo di riferimento per la determinazione di IRDP, quando prevista, è UNI 11184:2016 Met A (cfr. tab. 6 del PMC). Con la frequenza indicata nel piano, si dovrà assicurare il rispetto del limite 1000 mgO2/kg SV* h-1 e di 500 mgO2/kg SV* h-1 rispettivamente al termine della fase ACT e sul prodotto finito”). Non sussisteva, dunque, un onere di immediata impugnazione delle sopra indicate note dell’A.R.P.A. n. (…) in data 7 luglio 2022 e n. (…) in data 7 settembre 2022, in quanto provvedimenti interlocutori (rispetto alla determinazione finale di approvazione del PMC), privi di immediata lesività. Peraltro, le citate note si limitano a richiamare genericamente le prescrizioni relative ai controlli e monitoraggi in fase di esercizio di cui al provvedimento di AIA, senza alcun riferimento all’indice respirometrico dinamico potenziale, sicché non sussiste l’irricevibilità del ricorso (come dedotto dall’Amministrazione resistente) per essere stata impugnata tardivamente una richiesta già contenuta nelle precedenti note Arpa sopra indicate. L’AIA n. 990 in data 1° settembre 2015, all’art. 5 (prescrizioni), punto 11, prevede che la ditta è obbligata a rispettare le raccomandazioni e prescrizioni del parere favorevole della Provincia regionale di Siracusa giusta nota prot. n. 15/VECA/15 del 27 gennaio 2015, che, per quanto attiene alla “gestione dell’impianto”, stabilisce che “le varie fasi di esercizio dell’impianto devono essere conformi alle “Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di Compostaggio” Ordinanza n. 426 del 29/05/2002, richiamandone pertanto prescrizioni e raccomandazioni operative, con particolare riferimento alla gestione delle matrici ad elevata fermentescibilità, alla gestione dei fanghi derivanti da impianti di depurazione delle acque reflue civili e dagli impianti agroindustriali e alle tecnologie per il controllo e abbattimento delle emissioni odorigene”. Le Linee guida richiamate dall’AIA fanno riferimento a due parametri alternativi, l’indice respirometrico statico e l’indice respirometrico dinamico, quest’ultimo genericamente indicato (senza ulteriori specificazioni, nel senso di “reale” o “potenziale”). Al punto “3.4.2 Elementi prescrittivi (dotazioni ed allestimenti di base)”, le Linee guida stabiliscono, nello specifico, quanto segue: “Durata del processo: La fase attiva presidiata, se distinta da quella di maturazione, deve avere una durata tale da garantire un prodotto in uscita con una sufficiente stabilità biologica, ovvero rispettare in alternativa uno dei due valori seguenti: Indice respirometrico (I.R.) statico < 500 mg O2 / kg s.v. * h [2] Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 1.000 mg O2 / kg s.v. * h [3] Tali obiettivi sono conseguibili con tempi di ritenzione indicativamente attorno ai 14 gg. in biocella/biocontainer con ricircolo d’aria e 21/28 gg. in sistemi a trincea/cumulo; La fase di maturazione (curing) deve avere durata tale da garantire un tempo di processo totale non inferiore a 90 giorni e garantire il rispetto in alternativa di uno dei due valori seguenti: Indice respirometrico (I.R.) statico < 250 mg O2 / kg s.v. * h 1 Indice respirometrico (I.R.) dinamico < 500 mg O2 / kg s.v. * h 2”. Nella propria memoria difensiva l’Amministrazione intimata ha sostenuto che il necessario rispetto dei valori sopra indicati dell’IRDP è prescrizione già contenuta nell’AIA per relationem, ossia in virtù del richiamo espresso alle Linee guida sopra citate. Nondimeno, per quanto già osservato, le Linee guida si riferiscono, alternativamente, all’indice respirometrico statico e all’indice respirometrico dinamico, senza ulteriori specificazioni. Pertanto, deve ritenersi che la precisazione contenuta nel provvedimento dell’A.R.P.A. impugnato in via principale abbia portata innovativa rispetto all’autorizzazione integrata ambientale (il cui contenuto è integrato dalle richiamate Linee guida); ciò tenuto conto della particolarità del parametro in questione (IRDP), che, nell’ambito delle metodiche per definire la stabilità biologica della matrice organica sottoposta a compostaggio attraverso la misura del consumo di ossigeno della biomassa (indice respirometrico), si distingue, quanto a condizioni operative di rilevazione, non soltanto dall’indice di respirazione statico ma anche dall’indice di respirazione dinamico cosiddetto “reale” (IRDR). In particolare, mentre l’IRDR è il risultato del test respirometrico dinamico che esprime il valore di stabilità biologica del campione tal quale, muovendo, quindi, dalle sue caratteristiche chimico-fisiche reali, l’IRDP è il risultato del test respirometrico dinamico che esprime il valore di stabilità biologica del campione previa standardizzazione dei principali parametri chimico-fisici. Il ricorso è, quindi, fondato e va accolto - con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi proposti - in relazione al dedotto vizio di incompetenza del provvedimento impugnato nella parte in cui l’A.R.P.A. introduce prescrizioni relative all’IRDP in sede di approvazione del piano di monitoraggio e controllo sull’esercizio dell’impianto, secondo quanto già ritenuto da questo Tribunale nella citata sentenza n. 2598/2023 in data 31 agosto 2023, con la quale si è evidenziato che “per il rilascio di un titolo autorizzatorio di contenuto diverso rispetto a quanto già assentito, deve reputarsi indispensabile l’utilizzo del modulo procedimentale contemplato per il rilascio dell’autorizzazione originaria (cioè, nel caso di specie, della conferenza dei servizi di cui al citato art. 208, terzo comma, del decreto legislativo n. 152/2006)”. L’art. 29-sexies stabilisce, infatti, che “L’autorizzazione integrata ambientale contiene gli opportuni requisiti di controllo delle emissioni, che specificano, in conformità a quanto disposto dalla vigente normativa in materia ambientale e basandosi sulle conclusioni sulle BAT applicabili, la metodologia e la frequenza di misurazione, le condizioni per valutare la conformità, la relativa procedura di valutazione”. Ai sensi dell’art. 208, comma 11, d.lgs. n. 152/2006, inoltre, “L’autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell’impianto al progetto approvato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; d) la localizzazione dell'impianto autorizzato; e) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione…”. Nella memoria difensiva in data 12 luglio 2023, la ricorrente ritiene, comunque, inapplicabili all’impianto già autorizzato le “Linee Guida per la progettazione, la costruzione e la gestione degli impianti di compostaggio” in quanto adottate in periodo emergenziale, cessato nel 2006. Tuttavia, tali censure non possono essere esaminate in mancanza di tempestiva impugnazione del provvedimento di autorizzazione integrata ambientale che alle predette Linee guida si richiama espressamente (e le cui prescrizioni sono confermate dall’atto di voltura in favore della ricorrente, adottato con D.D.S 1955 del 22 dicembre 2017); né possono ritenersi ammissibili motivi nuovi proposti con atto non notificato alle controparti. Tenuto conto della particolarità della vicenda, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese di lite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto: 1) annulla il provvedimento impugnato in via principale, nei termini di cui in motivazione; 2) compensa le spese processuali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 14 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati: Daniele Burzichelli, Presidente Emanuele Caminiti, Referendario Cristina Consoli, Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1626 del 2022, proposto da Di.Fr., rappresentata e difesa dall'avvocato Ag.Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro il Comune di Catania, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sa.An.Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, delle deliberazioni del Consiglio Comunale di Catania n. 21 del 31 agosto 2022, n. 22 del 31 agosto 2022, n. 23 del 14 settembre 2022; e di tutti gli atti presupposti e/o connessi, in particolare - ed ove occorra - della richiesta di trattazione d’urgenza prot. n. 32110 del 18 agosto 2022, della richiesta del Vicesindaco n. q. di Sindaco di procedere allo svolgimento della seduta del Consiglio comunale in video-conferenza; della richiesta dell’Ass. Ba. di trattare in via d’urgenza l’approvazione del Piano Economico Finanziario del Servizio di Gestione dei Rifiuti, 19 luglio 2022, n. 287203; della richiesta dell’Ass. Bo. di trattare in via d’urgenza l’approvazione delle tariffe TARI, 20 luglio 2022, n. 289282; tutte non conosciute, ma citate nel testo delle convocazioni del Consiglio comunale 19 agosto 2022, prot. n. 324144, e 29 agosto 2022, prot. n. 332043; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Catania; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2023 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La sig.ra Di.Fr. espone e documenta di essere soggetto passivo della TARI dovuta al Comune di Catania. In tale veste, ha proposto il ricorso in epigrafe per chiedere l’annullamento: a) delle deliberazioni del Consiglio Comunale di Catania nn. 21 e 22 del 31 agosto 2022, con le quali è stato adottato il Piano economico-finanziario del servizio di gestione dei rifiuti ed è stato approvato l’aumento del 18% delle tariffe TARI; b) della delibera consiliare n. 23 del 14 settembre 2022 con la quale è stato disposto il rinvio del pagamento della terza rata TARI; c) dei non conosciuti atti presupposti a tali delibere, e segnatamente: della richiesta di trattazione d’urgenza prot. n. 32110 del 18 agosto 2022, della richiesta del Vicesindaco n. q. di Sindaco di procedere allo svolgimento della seduta del Consiglio comunale in video-conferenza; della richiesta dell’Ass. Ba. di trattare in via d’urgenza l’approvazione del Piano economico finanziario del servizio di gestione dei rifiuti, 19 luglio 2022, n. 287203; della richiesta dell’Ass. Bo. di trattare in via d’urgenza l’approvazione delle tariffe TARI, 20 luglio 2022, n. 289282. A sostegno della propria impugnativa, la ricorrente pone i seguenti motivi di diritto: 1.- illegittimità delle deliberazioni avversate per ingiustizia manifesta, vizi istruttori e di motivazione, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 639, della legge n. 147/2013. Illegittimità conseguenziale della più recente Deliberazione n. 23/2022; Premettendo che, per legge, la determinazione della TARI deve avvenire in modo tale da coprire i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti effettivamente affrontati, la ricorrente ritiene illegittimo l’aumento del 18% della tariffa deliberato dal Consiglio comunale evidenziando che: (i) il Consiglio non si è posto il problema di contrastare la notevole evasione della tassa in esame, ma ha preferito incrementarne l’entità, facendola ricadere sui (pochi) contribuenti che assolvono i loro doveri di versamento; infatti, le proposte di deliberazione non indicano concretamente i risultati conseguiti nella lotta all’evasione, ma si limitano a citare l’aumento dei costi di conferimento in discarica, per giustificare l’incremento deliberato; (ii) in ogni caso, l’aumento del 18% non è commisurato (ma è superiore) all’aumento dei costi di conferimento in discarica; 2.- illegittimità delle deliberazioni avversate per l’illegittimità del procedimento seguito in violazione degli artt. 10 e 13 del Regolamento interno adottato con Deliberazione n. 11/2022; nonché per l’impossibilità di ricostruire la seduta consiliare del 31 agosto 2022 ed accertare l’identità dei partecipanti. Vizi istruttori e di motivazione. Contraddittorietà. Illegittimità conseguenziale della più recente Deliberazione n. 23/2022; Nel motivo in esame la ricorrente premette che le due deliberazioni consiliari nn. 21 e 22 sono state adottate nella seduta del 31 agosto 2022, che le proposte di deliberazione erano state formalizzate dagli uffici comunali competenti in data 7 luglio, che gli assessori ai rispettivi rami avevano chiesto nelle date 19 e 20 luglio al Consiglio comunale di trattare le questioni in via d’urgenza. In considerazione di tale cronologia, la ricorrente denuncia che la procedura accelerata scelta a fronte di richieste di deliberazione avanzate già nella prima decade di luglio appare ingiustificata, oltre che illegittima perché comprime "i diritti di informazione e di partecipazione dei consiglieri" ed "il diritto politico dei cittadini ad interloquire con i loro rappresentanti". In più, viene denunciata la violazione dell’art. 10 del regolamento comunale n. 11/2022 laddove richiede che le ragioni di urgenza della trattazione siano espressamente motivate, mentre nel caso a mani non sarebbe stata esternata alcuna motivazione al riguardo. Aggiunge, poi, che nel corso dei lavori consiliari non sarebbe stato preso in esame e confutato il parere contrario alla proposta di deliberazione reso dalla VI Commissione. Infine, contesta la validità della seduta consiliare - tenutasi con videoconferenza "da remoto" - poiché in tal modo non è stato possibile accertare in modo sicuro l’identità dei componenti partecipanti da remoto; 3.- Nullità/illegittimità degli atti impugnati a causa dell’avvenuta decadenza il 18 agosto 2022 del Vice sindaco e degli assessori del Comune di Catania, nonché dell’intero Consiglio comunale; La ricorrente evidenza che in data 18 agosto 2022 sono divenute efficaci le dimissioni del Sindaco di Catania, con conseguente decadenza degli Assessori e dell’intera Giunta, organi che sono stati sostituiti solo a decorrere dal 13 settembre con la nomina del Commissario straordinario e del suo vice. Di conseguenza, secondo la ricorrente, sarebbero illegittimi gli atti adottati dal vice sindaco senza alcuna motivazione sulle ragioni di indifferibilità che avrebbero potuto giustificare una sua prorogatio, e sarebbe illegittima (o addirittura nulla) la richiesta avanzata dal Vice Sindaco-assessore al bilancio di trattare i punti all’ordine del giorno del 31 agosto con modalità telematica, e sarebbe di conseguenza nulla la deliberazione stessa. La ricorrente poi - richiamando la disposizione dell’art. 53, co. 3, del TUEL, vigente nel resto del territorio nazionale, che prevede l’automatico scioglimento del Consiglio comunale in caso di dimissioni del Sindaco - contesta la legittimità costituzionale (per intrinseca irragionevolezza) dell’opposta regola vigente in Sicilia, laddove l’art. 11 della L.R. 35/1997 dispone in casi del genere la sopravvivenza del Consiglio fino a nuove elezioni, trattandosi di norma che spezza il rapporto di necessaria e costante contestualità che deve sussistere fra l’esercizio delle funzioni del Sindaco e quelle del Consiglio. La denunciata incostituzionalità sussisterebbe anche per violazione dell’art. 53, co. 3, del TUEL, ove questa legge fosse qualificata come fondamentale riforma economico-sociale, e vincolasse quindi anche il legislatore regionale, nonché per violazione degli artt. 126 Cost. e 10 dello Statuto autonomistico nella parte in cui pongono - con riferimento ai rapporti tra Presidente della Regione e Consiglio regionale, ma estensibile anche ai governi locali - la regola simul stabunt, simul cadent. In via istruttoria, la ricorrente postula che venga chiesta al Comune di Catania una relazione sullo stato della riscossione della TARI e sul recupero dell’evasione nel periodo 2019-2022. Il Comune di Catania si è costituito in giudizio ed ha preliminarmente sottolineato la circostanza che l’aumento della tariffa TARI è dipeso dall’incremento del costo annuo complessivo di conferimento in discarica, stimato in circa 22 milioni di euro. Nel merito, (i) ha rilevato che gli eventuali problemi di evasione o mancata riscossione del tributo in esame non hanno determinato il contestato aumento della tassa; (ii) ha precisato che la trattazione urgente della seduta consiliare è stata determinata dal fatto che si approssimava il termine di scadenza per l’approvazione del bilancio di previsione (fissato al 31 luglio 2022, ma poi prorogato al 31 agosto 2022); (iii) ha rilevato che "la complessità e rigorosità dei criteri nello sviluppo dei calcoli necessari alla determinazione della tariffa non lascia spazio alcuno a possibilità di modifiche o discussioni di carattere prettamente politico, o di ingiustificati pareri contrari dettati da motivazioni di carattere sociale o di disagio (...)"; (iv) ha precisato che le proposte sono state avanzate dall’Assessore prima che cessasse dalla carica; che il Consiglio comunale non decade a seguito di dimissioni del Sindaco dettate da ragioni di ordine politico; che, fino all’insediamento del Commissario straordinario, il Vicesindaco e la Giunta esercitano per legge le attribuzioni indifferibili del Sindaco e della Giunta. All’udienza camerale del 7 dicembre 2022 la ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare. Con memoria presentata in vista dell’udienza la ricorrente ha insistito nelle proprie domande con particolare riferimento alla prospettata questione di legittimità costituzionale della Legge Regionale Sicilia n. 35/1997. All’udienza del 5 aprile 2023 il difensore di parte ricorrente ha rinunciato alla memoria di replica depositata il 15.03.2023 in vista dell’udienza, ed ha richiamato a sostegno della propria tesi la sentenza Corte cost. 168/2018, nonché il giudizio pendente innanzi alla stessa Corte, avviato ad iniziativa del Governo avverso la L.R. Sardegna n. 9/2022. La causa è stata poi posta in decisione. Il ricorso risulta nel suo complesso infondato e va, quindi, respinto. 1.- L’argomento contenuto nel primo motivo di ricorso è suggestivo, ma infondato. Nella pianificazione delle risorse necessarie per la gestione di un servizio pubblico - nella fattispecie, quello di raccolta dei rifiuti - e nell’ottica di assicurare la necessaria copertura dei costi da esso implicati, l’amministrazione deve compiere una operazione di tipo matematico che tenga conto, da una parte, dei costi materiali affrontati per l’espletamento del servizio, e dall’altra, del numero di potenziali contribuenti chiamati, a regime, a sopportarli. In tale valutazione astratta non può avere ingresso il dato occasionale, e patologico, derivante dall’evasione (in misura più o meno vasta) degli obblighi di versamento, in quanto l’equilibrio tra costi ed entrate viene pianificato ab origine sulla base di dati predeterminati e (si ripete) sganciati dal risultato concreto ottenuto in sede di riscossione del tributo. Sulla base di tale premessa, l’incremento dei costi di gestione del servizio riscontrato dall’amministrazione (che nella fattispecie non viene messo in discussione dalla ricorrente) non avrebbe potuto avere esito diverso dall’innalzamento della tariffa gravante sugli utenti, tenuto conto del fatto che il numero dei soggetti contribuenti (si ripete) va conteggiato in modo assoluto, e non in base alla loro più o meno estesa solvibilità fiscale. In altri termini, si vuol dire che se prima della deliberazione oggi impugnata la tariffa era stata quantificata in modo da realizzare l’equilibrio del sistema in base al numero teorico di contribuenti chiamati a versarla (a prescindere dal fatto che tutti, o solo parte, di costoro fossero adempienti), l’aumento dei costi verificatosi in un momento successivo non può essere fronteggiato col recupero dell’evasione, poiché (anche se questa venisse, in ipotesi, azzerata in toto) si avrebbe solo l’effetto di riportare a piena copertura il costo precedente, non quello incrementato che si è accertato più avanti. In conclusione, il motivo è infondato, essendo l’incremento della tariffa ontologicamente sganciato dal fenomeno "evasione". 2.- Il secondo motivo di ricorso contiene diverse censure, che vanno partitamente esaminate. 2.1- La circostanza che le deliberazioni consiliari siano state adottate con procedura d’urgenza, nonostante il fatto che le relative proposte fossero state formalizzate diverso tempo prima, non appare lesiva delle ragioni della ricorrente. In ogni caso, comunque, le dedotte censure non risultano fondate. Il fatto che sia intercorso un lungo lasso temporale tra la proposta di deliberazione e la discussione in aula non può di per sé costituire motivo di illegittimità della deliberazione (incidendo, eventualmente, solo sulla valutazione - meramente politica - circa l’efficienza dell’Ente locale). L’adozione della procedura d’urgenza risulta poi giustificata - come ben evidenziato dalla difesa del Comune resistente - dalla necessità di portare a compimento le deliberazioni entro il termine per l’approvazione del bilancio di previsione. 2.2- Con riguardo alla denunciata pretermissione, nella discussione consiliare, del parere contrario alla proposta di deliberazione espresso dalla VI Commissione consiliare, va detto in primo luogo che non risulta agli atti di causa l’esistenza di tale manifestazione contraria. In ogni caso, la circostanza sarebbe comunque irrilevante, atteso che l’assemblea cittadina ha deciso a larghissima maggioranza di approvare la proposta, e - a fronte di tale determinazione - non sussiste alcun obbligo giuridico di motivare le ragioni per le quali un determinato parere (non vincolante) non sia stato condiviso dall’organo deliberante. È opportuno solo sottolineare che le deliberazioni impugnate risultano corredate dei pareri di regolarità tecnica e contabile - questi, sì, obbligatori per legge - indicati in calce alle stesse. 2.3- In relazione ai soggetti votanti partecipanti alla seduta, va rilevato che i verbali delle due deliberazioni consiliari - che sono atti pubblici, e fanno prova fino a querela di falso - attestano in apertura l’identità dei consiglieri partecipanti, affermando che alcuni sono presenti fisicamente, ed altri con collegamento "da remoto". Ciò appare sufficiente a rendere immune da vizi la seduta sotto il profilo della individuazione degli aventi diritto a partecipare, non essendo stati sconfessati tramite querela di falso, sul punto, i citati verbali. 3.- Col terzo motivo di ricorso si deduce la nullità delle deliberazioni impugnate, poiché a seguito delle dimissioni del Sindaco - divenute efficaci il 18 agosto 2022 - sarebbero dovuti decadere gli Assessori e la Giunta, nonché anche i Consiglieri comunali come previsto dall’art. 53, co. 3, del TUEL. Di conseguenza anche il Vice Sindaco-Assessore, in assenza di una prorogatio, non avrebbe avuto il potere di adottare tutti gli atti relativi alla vicenda in esame. In altre parole, secondo la ricorrente le deliberazioni impugnate sarebbero affette da duplice invalidità: a) per essere state proposte da un Vice Sindaco-Assessore ormai decaduto; b) per essere state votate da un Consiglio comunale da ritenere decaduto. 3.1- In primo luogo, per quanto riguarda l’attività del Vice Sindaco e dall’Assessore, va detto che gli atti posti in essere da costoro prima del 18 agosto 2022 (ed esattamente il 19 e 20 luglio) risultano pienamente legittimi, giacchè i componenti della Giunta erano all’epoca ancora in carica; quelli successivi alla citata data - nella quale si è verificata ex art. 11, co. 1, L.R. 35/1997 la decadenza della Giunta - (e cioè, in estrema sintesi, la richiesta di trattazione della seduta del Consiglio comunale in video-conferenza) sono invece legittimati dall’art. 12, ult. co., della L.R. 7/1992 secondo il quale "La cessazione dalla carica del Sindaco, per qualsiasi motivo, comporta la cessazione dalla carica dell'intera Giunta. Sino all'insediamento del commissario straordinario, il vice Sindaco e la Giunta esercitano le attribuzioni indifferibili di competenza del Sindaco e della Giunta". Che le deliberazioni relative al Piano economico-finanziario del servizio di gestione dei rifiuti ed alla determinazione della TARI fossero urgenti - e rientrassero quindi nella previsione finale del citato art. 12 - è comprovato dallo stesso Comune resistente, laddove evidenzia che doveva rispettarsi il termine di scadenza per l’approvazione del bilancio di previsione (fissato al 31 luglio 2022, ma poi prorogato al 31 agosto 2022). 3.2- In relazione al secondo aspetto, riguardante la tesi secondo cui la legge dovrebbe prevedere l’automatica decadenza anche del Consiglio comunale, a seguito delle dimissioni del Sindaco, la ricorrente evidenzia che l’art. 11 della L.R. 35/1997 prevede in Sicilia una regola - diversa rispetto a quella valevole nel resto del Paese - secondo la quale "La cessazione dalla carica di sindaco per decadenza, dimissioni, rimozione, morte o impedimento permanente comporta la cessazione dalla carica della rispettiva giunta ma non del rispettivo consiglio, che rimane in carica fino a nuove elezioni da effettuare nel primo turno elettorale utile."; tuttavia, ritiene che la riportata disposizione regionale sia incostituzionale: per intrinseca irragionevolezza; per contrasto con l’art. 53, co. 3, del TUEL, ove tale testo sia qualificato come fondamentale riforma economico-sociale del Paese; con gli artt. 126 Cost. e 10 dello Statuto Siciliano. L’architettura istituzionale disegnata nel Testo unico degli enti locali prevede (agli artt. 37 e 46) che il Consiglio comunale sia formato dai consiglieri comunali e dal Sindaco, che ne è membro di diritto. Diversamente, in Sicilia, il Sindaco non fa parte del Consiglio comunale, e ciò per scelta del legislatore regionale adottata in applicazione dello Statuto autonomistico approvato con R.D.L. n. 455/1946. Tale diversità di struttura fra gli enti locali siciliani e quelli aventi sede nel resto del territorio giustifica l’esistenza della disposizione di legge oggetto di censura (l’art. 11 della L.R. 35/1997), nella parte in cui, in deroga al regime nazionale, stabilisce che "la cessazione dalla carica di sindaco per decadenza, dimissioni, rimozione, morte o impedimento permanente comporta la cessazione dalla carica della rispettiva giunta ma non del rispettivo consiglio, che rimane in carica fino a nuove elezioni da effettuare nel primo turno elettorale utile.". In altri termini, la deroga rispetto al principio simul stabunt, simul cadent vigente in ambito nazionale trova giustificazione nel fatto che il Sindaco non è componente del Consiglio comunale, e che di conseguenza le sue dimissioni non determinano automaticamente la decadenza dell’intera assemblea cittadina. L’illustrata diversità di struttura, dunque, non consente di individuare una irrazionalità intrinseca del sistema, tale da far sorgere dubbi di costituzionalità della norma siciliana. La denunciata illegittimità della norma regionale non può nemmeno discendere dalla sentenza della Corte costituzionale n. 168/2018 citata dalla ricorrente. Infatti, detta sentenza - nel dichiarare l’incostituzionalità di alcuni articoli della L.R. Sicilia n 17/2017, contenente Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano - non ha mai affermato la doverosità di una regola come quella invocata nel ricorso in esame, ma si è sostanzialmente concentrata solo sulla: a) illegittimità del procedimento di elezione del Presidente del libero Consorzio comunale, del Sindaco metropolitano, e dei rispettivi Consigli; b) illegittimità del numero di componenti del Consiglio del libero Consorzio comunale e del Consiglio metropolitano; c) natura di fondamentale riforma economico-sociale da riconoscere alla L. 56/2014 (ma non al T.U. enti locali n. 267/2000, come preteso in ricorso); d) illegittimità dell’indennità di carica prevista per i titolari deli organi negli enti di area vasta. Anche la recente pronuncia della Corte costituzionale n. 60/2023 - con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità della L.R. Sardegna n. 9/2022 - non offre argomenti a favore della tesi di parte ricorrente. Invero, detta sentenza si è pronunciata sul numero dei mandati elettorali riconosciuti ai Sindaci dalla legge sarda, dichiarandone l’illegittimità stante la necessità di garantire uniformità di regime in ambito nazionale in ordine all’accesso alle cariche elettive locali, avuto riguardo alle cause di ineleggibilità ed incompatibilità. Come si vede, la Consulta non ha nemmeno sfiorato la questione della decadenza del Consiglio a seguito delle dimissioni del Sindaco. 3.3- A ben vedere, poi, il Collegio ritiene che non possano rilevare - al fine di sollevare questione di costituzionalità della normativa regionale siciliana - i referenti statutari e costituzionali invocati dalla ricorrente, e segnatamente: - l’art. 10 dello Statuto siciliano, laddove, con riferimento ai rapporti fra Presidente della Regione Siciliana ed Assemblea Regionale Siciliana, pone la regola (analoga a quella dell’art. 53, co. 3, del TUEL) secondo cui "In caso di dimissioni, di rimozione, di impedimento permanente o di morte del Presidente della Regione, si procede alla nuova e contestuale elezione dell'Assemblea regionale e del Presidente della Regione entro i successivi tre mesi"; - l’art. 126 Cost. laddove prevede che "L'approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l'impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio.". Le richiamate disposizioni di rango superiore riguardano infatti organi della Regione, e non dei Comuni, e quindi non si prestano a costituire parametro di riferimento diretto per un sindacato di costituzionalità della legge regionale ordinaria. 4.- L’infondatezza della tesi della illegittimità delle deliberazioni consiliari nn. 21 e 22 del 31 agosto 2022, che discende dal rigetto dei motivi esaminati fin qui, fa salva anche la deliberazione consiliare n. 23 del 14 settembre 2022 (recante il rinvio del pagamento della terza rata TARI), che era stata denunciata affetta da invalidità derivata. In definitiva, il ricorso va respinto. Le spese processuali possono essere compensate tra le parti in ragione della estrema complessità della questione trattata. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: Aurora Lento - Presidente Francesco Bruno - Consigliere, Estensore Gustavo Giovanni Rosario Cumin - Consigliere

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 45 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Ma Ai., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ro. Da. Cu. in Catania, via (...); contro Comune -OMISSIS-, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vi. Gu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; per l'annullamento per quanto riguarda il ricorso introduttivo: - della determina n° -OMISSIS-, notificata in data 11/10/2018, con cui il Dirigente del Servizio Controllo del Territorio e Servizi urbanistici dell'Area III - Settore Territorio del Comune -OMISSIS-, preso atto dell'acquisizione gratuita al patrimonio del Comune -OMISSIS- delle opere abusive e del sedime, nonché dell'ulteriore area, per l'intera superficie, della particella -OMISSIS- in testa ai sigg. -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, ha disposto la trasmissione della medesima determina all'Ufficio Patrimonio per la trascrizione nei registri immobiliari e per la relativa voltura catastale di proprietà nonché l'immissione in possesso del bene. Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati dal medesimo ricorrente il 18/10/2019: per l'annullamento - dell'ordinanza n° -OMISSIS-, notificata in data 19/6/2019, con cui il Dirigente del Servizio Controllo del Territorio dell'Area III - Settore Territorio - del Comune -OMISSIS-, in relazione alla inottemperanza del ricorrente all'ordinanza-ingiunzione di demolizione dell'immobile sito in -OMISSIS-, -OMISSIS-, Via -OMISSIS-, ha ingiunto allo stesso ricorrente ed ai figli, Sigg. -OMISSIS- e -OMISSIS-, il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 20.000,00 entro il termine di trenta giorni. Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune -OMISSIS-; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 il dott. Salvatore Accolla e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Nel ricorso, presentato avverso la determina di acquisizione gratuita e immissione in possesso delle opere abusive e del sedime, nonché dell'ulteriore area per l'intera superficie, della particella -OMISSIS- intestate allo stesso ricorrente e ai figli -OMISSIS- e -OMISSIS-, si premetteva che: - lo stesso ricorrente, con riferimento alla costruzione in assenza di autorizzazione edilizia di una villa bifamiliare, in data 27/3/1986 aveva presentato al Comune -OMISSIS- istanza di autorizzazione in sanatoria ex l. 47/85, versando la correlativa oblazione e provvedendo agli adempimenti e alle integrazioni documentali richieste dall'Ente ai fini del positivo completamento della pratica; - con la comunicazione del 20 giugno 2013 era pervenuto l'avviso dell'avvio del procedimento di diniego del rilascio della concessione edilizia in sanatoria, basato sul rilievo che il bene sarebbe ricaduto all'interno della fascia di inedificabilità assoluta dei 150 mt. dalla battigia; - era seguita, in data 3 settembre 2013, l'adozione, da parte del Comune -OMISSIS-, dell'atto di ripulsa della domanda di sanatoria, con contestuale ordinanza di demolizione n° -OMISSIS-; - il ricorso con cui erano stati impugnati i predetti atti di fronte al Presidente della Regione era stato rigettato con decreto del Presidente della Regione n° -OMISSIS-; - in data 4 maggio 2017 era stato redatto dalla Polizia municipale verbale attestante l'omessa demolizione del fabbricato; - in data 30 maggio 2017 era stata emessa, dal Dirigente dei Servizi Urbanistici dell'Ente, ordinanza -OMISSIS- con cui era stata nuovamente ingiunta la demolizione della porzione di villa bifamiliare di proprietà del ricorrente; - avviato dall'Ingegnere Capo dell'Ufficio del Genio Civile -OMISSIS- il procedimento per l'applicazione delle disposizioni di cui al capo IV, Sezione III, D.P.R. 380/01 in danno dell'odierno ricorrente, lo stesso aveva presentato scritti difensivi in cui aveva evidenziato che l'immobile, pacificamente rappresentato da una porzione di villa bifamiliare, non avrebbe potuto essere assoggettato a demolizione in quanto tale intervento, in conseguenza dell'unicità del solaio, avrebbe certamente arrecato danno alla restante parte del corpo di fabbrica, intestata al Sig. -OMISSIS-; - il Genio civile non avrebbe, tuttavia, dato alcun riscontro alle predette osservazioni; - infine, era pervenuta la determina impugnata, con cui il Comune -OMISSIS-, preso atto dell'acquisizione gratuita dell'immobile ed area di sedime, aveva disposto la trascrizione dell'acquisizione nei pubblici registri e la relativa immissione in possesso. Ciò premesso, ad opinione del ricorrente, l'atto avrebbe dovuto considerarsi illegittimo per le seguenti ragioni. L'Amministrazione avrebbe, anzitutto, trascurato di considerare che il termine di 90 giorni per l'esecuzione dell'ordinanza di demolizione decorre solo allorché la demolizione dell'immobile sia effettivamente possibile e non quando l'adempimento sia, in realtà, non esigibile. Nel caso di specie, costituendo l'immobile di proprietà del ricorrente solo una porzione della villa bifamiliare, con solaio comune ad altra unità di proprietà altrui, non sarebbe stato possibile procedere alla demolizione dell'immobile senza arrecare inevitabilmente nocumento a detto immobile limitrofo. Per tale ragione la demolizione sarebbe stata impossibile. Non essendo state prese in effettiva considerazione l'ascrivibilità dell'omessa demolizione all'inerzia del privato o, come effettivamente accaduto, alla concreta impossibilità di procedervi, sarebbero mancati i presupposti da cui far legittimamente derivare la disposta acquisizione gratuita del bene al patrimonio dell'Ente. Affermava, in secondo luogo, che il provvedimento sarebbe stato "illogico" in quanto il manufatto avrebbe rappresentato l'unico immobile in proprietà e disponibilità del ricorrente abitante in esso da oltre quarant'anni e rappresentante, dunque, l'unica sua possibile dimora. Considerato il lunghissimo lasso di tempo intercorso tra la commissione dell'abuso e l'adozione del provvedimento, sarebbe stata necessaria una puntuale e congrua motivazione in ordine all'interesse alla demolizione, essendo insufficiente il richiamo all'esigenza del mero ripristino della legalità . Alla luce di tutte le superiori circostanze, attesi gli interessi in gioco, l'Amministrazione avrebbe dovuto dunque convertire la sanzione demolitoria in sanzione di natura pecuniaria. Per tali ragioni chiedeva, in conclusione, l'annullamento del provvedimento impugnato. Con ricorso per motivi aggiunti il medesimo il medesimo ricorrente impugnava, per illegittimità derivata, il provvedimento con cui era stata successivamente irrogata, nei suoi confronti, la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 20.000,00. Si costituiva in giudizio il Comune -OMISSIS- che eccepiva, preliminarmente, l'inammissibilità tanto del ricorso principale quanto di quello per motivi aggiunti per la mancata preventiva impugnazione dell'ordinanza di demolizione ai cui vizi si sarebbe fatto in essi esclusivo richiamo. Senza recesso da tale preventiva eccezione, il Comune evidenziava soprattutto, nel merito, che il provvedimento sarebbe stato conseguenza automatica della mancata demolizione dell'immobile e pertanto sarebbe stato irrilevante il tempo trascorso e l'assenza di una motivazione specifica. Per tali ragioni veniva chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorrente depositava memorie conclusive e di replica. All'udienza del 6 giugno 2023, udite le difese delle parti, come da verbale, il ricorso veniva posto in decisione. DIRITTO I provvedimenti impugnati sono stati emessi in conseguenza dell'inottemperanza dell'ordinanza di demolizione dell'immobile abusivo di proprietà ricorrente n. -OMISSIS-, adottata in data 3 settembre 2013, e di quella, di cui al provvedimento --OMISSIS-, con cui l'ingiunzione è stata reiterata. Come riportato in atti, il ricorso amministrativo al Presidente della Regione siciliana presentato avverso la prima ordinanza di demolizione è stato rigettato. La seconda ingiunzione, per quanto consta in atti, non è stata impugnata nei termini di decadenza previsti dalla legge. Non risulta sia stato impugnato neanche il verbale di inottemperanza alle predette ordinanze di demolizione. Le censure articolate tanto nel ricorso principale che in quello per motivi aggiunti fanno, tuttavia, esclusivo riferimento a vizi afferenti alle ordinanze di demolizione che si riverbererebbero sulla legittimità della gravata dichiarazione di acquisizione dell'immobile al patrimonio del Comune, senza l'individuazione di alcun vizio proprio del provvedimento impugnato in via diretta. E' dunque evidente che, in tali termini, i ricorsi devono ritenersi inammissibili in quanto basati su motivi che avrebbero dovuto rivolgersi avverso atti che sono rimasti, invece, inoppugnati o, con riferimento alla prima delle ordinanze di demolizione, fatti oggetto di ricorso amministrativo che è stato rigettato nel merito. Volendo tuttavia prescindere, per mera completezza di esame, da tali assorbenti profili di inammissibilità, emerge, comunque, l'evidente infondatezza delle censure formulate. Come riportato in premessa, il ricorrente afferma che sarebbe stato impossibilitato a procedere alla demolizione ingiunta dal Comune -OMISSIS- in quanto la porzione di immobile di sua proprietà interessata dalla predetta ordinanza avrebbe avuto il solaio in comune con la restante parte dell'edificio, di proprietà di altri soggetti. Rileva, in proposito, il Collegio che dagli atti risulta, anzitutto, che anche questa seconda parte dell'edificio sia stata attinta da analoga ordinanza di demolizione, sicché nei fatti, non può essere evocata una tale esigenza di tutela di tale porzione dell'edificio. In ogni caso, nella stessa perizia tecnica di parte depositata in giudizio risulta solamente che le due parti dell'immobile sono state costruite in aderenza, ma non vi è evidenza della dedotta condivisione del solaio che, secondo la tesi del ricorrente, renderebbe impossibile la demolizione della sola porzione di sua proprietà . In definitiva, non risulta, in realtà, dalla perizia, un'interconnessione strutturale tra le opere assentite, tale da comportare il rischio che la demolizione della parte di proprietà del ricorrente possa produrre un pregiudizio statico alla parte di proprietà dei vicini e giustificare quella conversione della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria che, a parere del ricorrente, l'Amministrazione avrebbe dovuto porre in essere. L'adombrata fiscalizzazione degli abusi ai sensi dell'art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 non trova giustificazione nell'ipotetica impossibilità di eseguire la demolizione senza pregiudizio delle ulteriori porzioni - peraltro, sembrerebbe, non legittime - del fabbricato: nessuna prova concreta è, infatti, fornita dal ricorrente, ai sensi e per gli effetti dell'art. 64, comma 1, cod. proc. amm., circa il pregiudizio derivante a detto edificio dalla eliminazione delle opere contestate con le predette ordinanze di demolizione. E' onere della parte, infatti, dimostrare l'impossibilità di procedere alla demolizione dell'opera e tale onere non è stato certamente soddisfatto, nel caso di specie, mediante le labiali affermazioni dello stesso ricorrente. Si rileva, incidentalmente, che la pretestuosità del ricorso emerge chiaramente al confronto con la circostanza che non risulta essere stato fatto oggetto di demolizione neanche il corpo staccato a confine, adibito a forno, anch'esso indicato quale opera abusiva negli atti adottati dall'Amministrazione. In conclusione, deve ritenersi insussistente l'esimente rappresentata dal ricorrente a giustificazione dell'inerzia nel dare esecuzione alle ordinanze di demolizione reiteratamente emesse dall'Amministrazione. In relazione alle censure articolate nel secondo motivo di ricorso, deve preliminarmente evidenziarsi che dall'ordinanza di demolizione si ricava che l'immobile è stato costruito in violazione dell'art. 15, lett. a) della legge regionale 78/1976, che stabilisce la distanza minima delle costruzioni dalla battigia. A fronte della violazione di tale divieto di inedificabilità assoluta non può, evidentemente, assumere alcun rilievo né il tempo trascorso né la precedente inerzia dell'Amministrazione nel provvedere. Il limite minimo di costruzione a 150 metri dalla battigia è, in effetti, da considerarsi, come sottolineato da costante giurisprudenza amministrativa, inderogabile per tutte le costruzioni le cui strutture essenziali non fossero state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976. Non ha alcun fondamento, dunque, l'invocata tutela del presunto affidamento sulla regolarità delle opere derivante dal lungo lasso di tempo trascorso tra il momento della loro realizzazione e l'adozione del provvedimento impugnato, essendo la giurisprudenza generalmente orientata a ritenere - come di recente affermato dalla stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria n. 9/2017) - che in presenza di un abuso edilizio, data la natura vincolata del provvedimento repressivo, non è necessaria alcuna motivazione in merito alle ragioni di pubblico interesse ed il trascorrere del tempo è irrilevante a fronte di quella che deve considerarsi la commissione di un illecito di natura permanente. L'orientamento è stato ribadito dal Consiglio di Stato, secondo cui "il provvedimento con cui viene ingiunta, anche se tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, perché realizzato senza titolo, ha natura vincolata e come tale non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso nemmeno nel caso in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dal momento in cui l'abuso stesso è stato realizzato" (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 1000 del 11/2/2019). Anche il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (sentenza n. 10 del 7/1/2019) ha statuito che "il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessita di motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette eccezioni neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino". A fronte, dunque, della violazione del predetto divieto di inedificabilità assoluta, e del carattere permanente dell'illecito commesso con la realizzazione del manufatto abusivo, il mero decorso del tempo non può considerarsi di per sé idoneo a ad ingenerare un legittimo affidamento del privato. Tali conclusioni riprendono, d'altra parte, le motivazioni del rigetto, con D.P. n. -OMISSIS-), del ricorso amministrativo presentato avverso la prima delle due ordinanze di demolizione, da parte del Presidente della Regione adito, di cui ha dato conto lo stesso ricorrente in seno al ricorso. Né può assumere rilievo, ai fini della valutazione dell'illecito edilizio commesso, la circostanza, allegata (ma, in realtà, non dimostrata) secondo cui l'immobile costituirebbe l'unica proprietà del ricorrente, dal momento che, per un verso, il provvedimento di acquisizione non incide di per sé sulla detenzione dell'immobile da parte dello stesso ricorrente e, per altro verso (e soprattutto), lo stesso ricorrente non ha dichiarato di essere residente nel medesimo immobile. Tanto meno rilevante deve ritenersi la circostanza che la zona in cui è presente il manufatto, risulti urbanizzata e che l'immobile abbia ottenuto l'allacciamento alle utenze idriche ed elettriche, trattandosi di circostanze di fatto che non possono incidere di per sé sulla regolarità urbanistica dell'immobile. D'altra parte, anche a questo proposito va ribadito che l'acquisizione è provvedimento che consegue, in via automatica, alla mancata esecuzione dell'ordinanza di demolizione da parte del soggetto ingiunto, sicché è esclusa ogni valutazione discrezionale in merito all'opportunità della sua adozione o meno; così come l'accertamento dell'inottemperanza è titolo in sé sufficiente per l'immissione in possesso e la trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell'art. 31 comma 4 del D.P.R. 380/2001. La circostanza che il ricorso per motivi aggiunti sia stato presentato esclusivamente per vizi di illegittimità derivata ne comporta il rigetto per le medesime ragioni, appena esposte, per le quali è stata affermata l'infondatezza del ricorso principale. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza in giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune -OMISSIS- che liquida in Euro 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre accessori di legge, se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti coinvolte nel presente procedimento. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Buonauro - Presidente Giuseppina Alessandra Sidoti - Consigliere Salvatore Accolla - Referendario, Estensore

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 125 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da Ma. De. Pi. He., rappresentata e difesa dall'avvocato An. Ga., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (omissis), in persona Sindaco del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Al. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti Gi. Ca., non costituito in giudizio; per l'annullamento con il ricorso principale: dell'Ordinanza Sindacale contingibile ed urgente 5.1.2022 n. 1 del Comune di (omissis), che ha individuato sul terreno della ricorrente e dei suoi figli (in agro di (omissis), fg. (omissis), part. (omissis)) un "percorso alternativo" in favore del controinteressato; nonché degli atti presupposti, connessi e conseguenti, ivi compreso, ove necessario, la nota 3.1.2022 n. 21 dell'U.T.C. e con il ricorso per motivi aggiunti, degli stessi atti impugnati con il ricorso principale; Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis); Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La Sig.ra He. Ma. del Pi. ha impugnato l'ordinanza n. 1 del 05/01/2022 del Comune di (omissis), mai comunicata, che ha individuato sul terreno della ricorrente e dei suoi figli (in agro di (omissis), fg. (omissis), part. (omissis)) un "percorso alternativo" in favore del controinteressato Sig. Gi. Ca., ordinando alle stesse entro 3 giorni "la rimozione di ogni manufatto e/o istallazione che ostacoli il passaggio nella pista indicata" ed autorizzando il controinteressato, "a proprie cure e spese di costruire una pista carrabile" e, "nel caso di inattività degli occupanti, a rimuovere tutti i manufatti che eventualmente impediscono il passaggio". Si è costituito in giudizio l'intimato Comune di (omissis). Con ricorso per motivi aggiunti depositato in segreteria il 21 febbraio 2022, ferma la limitazione degli atti impugnati al novero di quelli già contestati con il ricorso principale, sono state svolte ulteriori argomentazioni a supporto delle tesi attoree a seguito della sopravvenuta conoscenza, frutto di un esperito accesso agli atti, della nota della Protezione Civile acquisita al prot. com.le 23.12.2021 n. 21770 e della nota 29.12.2021 n. 22089 del Comune di (omissis). La richiesta di concessione di misure cautelari in via monocratica è stata rigettata con Decreto Presidenziale n. 100/2022. Nella camera di consiglio fissata con tale decreto per il giorno 10 marzo 2022, la ricorrente ha poi rinunciato alla proposta domanda cautelare. Le parti depositavano ulteriori scritti defensionali. In data 8 giugno 2023 si svolgeva l'udienza pubblica per l'esame del ricorso in epigrafe, che veniva trattenuto in decisione. Preliminarmente si rappresenta che il ricorso principale e quello per motivi aggiunti verranno scrutinati unitariamente con riguardo alle censure secondo le quali è articolato il ricorso principale, con riferimento specifico alle argomentazioni di cui al ricorso per motivi aggiunti soltanto se ed allorquando esse si aggiungano, piuttosto che reiterarle, a quelle di cui già all'originario atto di gravame (e prescindendo invece totalmente dallo scrutinio della censura di cui al secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti, dato che nell'ordinanza impugnata non c'è alcun espresso richiamo ai poteri esercitabili dal Comune intimato a norma dell'art. 6 del D.Lgs. n. 1/2018, la cui possibilità di utilizzazione il difensore di parte ricorrente ha non di meno inteso contestare). Per comprendere esattamente i termini della presente controversia, occorre tenere in debito conto il fatto che, rispetto alle iniziative assunte dal Comune di (omissis) con il provvedimento impugnato, altre in precedenza erano state assunte dall'attuale controinteressato Sig. Gi. Ca. nella propria qualità di proprietario del fondo di cui alla particella n. (omissis) del foglio (omissis) del Catasto Terreni del Comune di (omissis). Quest'ultimo aveva beneficiato sino al 1998 di una passerella gettata sopra il corso del torrente An. cui tale fondo affacciava, ed attraverso l'uso della quale egli ne aveva visto garantito il collegamento alla viabilità pubblica. Sopravvenuta la rimozione di quella passerella ad opera del Comune di (omissis), dopo il 1998 il collegamento della particella n. (omissis) del Foglio (omissis) alla viabilità pubblica era stata assicurata da due varchi appositamente lasciati lungo gli argini del torrente An., e dalla stradella a fondo naturale che li congiungeva, attraversandolo. La precarietà di quella soluzione aveva però indotto il Sig. Gi. Ca. a tentare di ottenere la costituzione di una servitù di passaggio sul fondo contiguo di cui alla particella n. (omissis) del Foglio (omissis) del Catasto Terreni del Comune di (omissis). Il relativo giudizio si era però concluso negativamente per il Sig. Gi. Ca., in quanto il Tribunale di Catania, con sentenza n. 3173 del 20/29.10.2003, aveva rilevato che: a) (esistendo) una situazione di fatto caratterizzata da un fabbricato adibito ad attività di allevamento, il sito suggerito dal CTU, proprio nell'area a cielo aperto recintata di esclusiva pertinenza dell'immobile, verrebbe ad incidere gravemente sull'esercizio delle attività di governo del bestiame. Ebbene tale circostanza preclude la pretesa costituzione della servitù di passaggio a carico dell'immobile di Epifanio Caruso, e ciò a norma dell'ultimo comma del già richiamato art. 1051 c.c., statuente che sono esenti dalla questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti (per l'affermazione del principio secondo il quale la citata esenzione dalla servitù coattiva di passaggio riguarda anche gli edifici adibiti ad attività produttiva con le !oro pertinenze, cfr. la convincente sentenza della Corte di Cassazione 31 marzo 1987 n. 3097); b) residuava comunque la possibilità di costituire una servitù passaggio attraverso altro fondo di proprietà del Sig. Sa. Ca.. A fronte di una tale preesistente situazione, l'adozione del provvedimento impugnato muove dagli eventi alluvionali che hanno interessato nell'anno 2021 il territorio del Comune di (omissis). Più in particolare, con nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile- Ufficio IV - attività di supporto all'emergenza, agli atti del Comune intimato con il numero di protocollo 21770 del 23.12.2021 - in oggetto rubricata come: "Segnalazione di situazione di pericolo per la tutela e la salvaguardia della pubblica e privata incolumità " -, si invitava il Sindaco del Comune di (omissis), quale autorità comunale di Protezione Civile, ad adottare ogni necessaria misura di prevenzione, strutturale e non, a tutela della pubblica e privata incolumità, essendo stata riscontrata la presenza di "un varco nel muro di argine di un torrente, che attraversa la locale via (omissis), che si ritiene possa aver concorso ai danneggiamenti occorsi nell'area nel corso degli eventi meteorologici intensivi degli scorsi mesi". Il Sindaco del Comune di (omissis), a sua volta, riteneva di poter e dover rimediare a quella situazione di pericolo per la pubblica incolumità mediante l'adozione della ordinanza impugnata, con la quale: c) impediva di continuare ad usare della stradella a fondo naturale che congiungeva i due varchi lungo gli argini del torrente An. per muovere da e verso la particella n. (omissis) del Foglio (omissis); d) costituiva a favore del proprietario di quest'ultimo e dei suoi familiari, in via amministrativa, una "passaggio alternativo" sul fondo di cui alla particella n. (omissis) del Foglio (omissis), onde evitare che dal divieto di cui alla precedente lettera c) - seppur idoneo a salvaguardare la incolumità del Sig. Gi. Ca. e dei familiari di quello che sul fondo appresso indicato abitavano - conseguisse una situazione di totale interclusione del fondo di cui alla particella n. (omissis) del Foglio (omissis); e) disponeva lo sgombero di una porzione specificatamente indicata ed illegittimamente occupata della Re. Tr. (omissis) - (omissis), la cui natura demaniale era stata riconosciuta con D.M. del 04/05/1942. I - Con il primo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto vizi di violazione dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, di violazione dell'art. 1051 c.c., di violazione della sentenza n. 3173 del 20/29.10.2003 del Tribunale di Catania, nonché di eccesso di potere per difetto di istruttoria, insufficienza della motivazione ed illogicità manifesta. La ricorrente ha innanzitutto censurato il provvedimento impugnato perché esso avrebbe individuato in ordinanza il "percorso alternativo" per il raggiungimento della particella n. (omissis) del Foglio (omissis) attraverso la particella n. (omissis) del Foglio (omissis) senza tenere "in alcun conto che questa via attraversa l'aia della proprietà della ricorrente e che c'è già un giudicato (Sent. n. 3173/2003 Tribunale di Catania) tra le stesse parti (Comune compreso) che statuisce che un eventuale passaggio (per Legge) non possa essere fatto da quel percorso, bensì da un altro - ovvero attraverso il fondo di proprietà del Sig. Sa. Ca.". L'argomentazione, a parere del Collegio, non ha pregio. Infatti l'intervento realizzato dal Comune di (omissis) non era (meramente) finalizzato a comporre, in via amministrativa, gli interessi - equiordinati - di più proprietari di terreni contigui quanto alla possibilità di libero accesso alla viabilità pubblica per ciascuno di essi: bensì a porre rimedio ad una "Segnalazione di situazione di pericolo per la tutela e la salvaguardia della pubblica e privata incolumità ", secondo l'input dato con nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile- Ufficio IV - attività di supporto all'emergenza, agli atti del Comune intimato con il numero di protocollo 21770 del 23.12.2021: id est ad esercitare poteri pubblicistici rispetto ai quali persino le istanze di migliore utilizzazione dei beni di proprietà privata debbono recedere, se è vero - così come lo è indubitabilmente ex art. (omissis) Cost - che "l'inziativa privata... non può svolgersi... in modo da recar danno alla sicurezza... umana". Di conseguenza nessuno dei vincoli discendenti dal quarto comma dell'art. 1051 c.c. (alla cui stregua "sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti") può condizionare la legittimità del provvedimento impugnato; ed analogamente, neppure quelli discendenti dalla Sent. n. 3173/2003 Tribunale di Catania - la quale invece si muove nell'ottica, eminentemente paritaria, della minimizzazione del sacrificio imposto a chi debba subire il peso di una costituita servitù a vantaggio d'altri, in base al parametro di cui al comma 2 all'art. 1051 c.c. (alla cui stregua "il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l'accesso alla via pubblica è più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito"). Non altrettanto irrilevanti - seppur non decisivi, secondo quanto si preciserà a seguire - sono invece i profili critici denunciati dalla ricorrente con riguardo alla istruttoria condotta dal Comune di (omissis) ed ai vizi di illogicità della decisione assunta dal predetto ente locale con il provvedimento impugnato. Il Caposettore del Settore V - Lavori Pubblici - Urbanistica del Comune di (omissis), nella nota prot. n. 21 del 03/01/2022 espressamente richiamata nella motivazione dell'ordinanza impugnata, ha individuato il "percorso alternativo" che figura all'interno di quest'ultima come "la via di accesso più breve e sicura per accedere dalla via (omissis) agli immobili individuati in catasto al Fg (omissis) - p.lla (omissis)". Ora, in base al tipo di potere di ordinanza esercitato con l'adozione del provvedimento impugnato - agevolmente individuabile anche in mancanza, al suo interno, del richiamo alla norma appresso menzionata -, ciò di cui il Sindaco del Comune intimato doveva innanzitutto occuparsi era "di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica", secondo quanto previsto dal quarto comma dell'art. 54 del D. Lhgs. N. 267/2000. Costituisce quindi una (mera) imprecisione, piuttosto che un errore viziante, il non avere il Comune intimato specificato, all'interno del provvedimento impugnato, di essersi preoccupato in modo soltanto residuale e subordinato della "brev(ità )" del "percorso alternativo", dopo averlo (già ) individuato in base invece al primario criterio della "sicur(ezza)" dello stesso. Infatti ciò che l'Autorità Giudiziaria può e deve fare a fronte di azioni esperite per la costituzione di una servitù prediale, secondo l'argomentare di cui già in precedenza, è muoversi nella logica della composizione, il meno traumatica possibile, di un conflitto fra interessi privati equiordinati. Quando ad agire sia invece una Autorità Amministrativa, ed in particolar modo nell'esercizio dei poteri di cui al quarto comma dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, è la causa del potere esercitato a guidare - e segnatamente, la necessità di salvaguardare valori sovra individuali quali quelli alla privata e pubblica incolumità . Nel caso di specie, il "percorso alternativo" individuato dal Comune intimato costeggia gli argini del torrente An., piuttosto che dipartirsi perpendicolarmente dalla linea dell'argine - così come invece sarebbe stato ove, così come già ritenuto possibile dal Tribunale di Catania nella Sent. n. 3173/2003, (lì una servitù coattiva, piuttosto che) un "percorso alternativo" fosse stato costituito sul fondo (o su più fondi) di proprietà del Sig. Sa. Ca.. Tuttavia è all'interno della stessa ordinanza impugnata che il Comune intimato ha precisato come "i varchi esistenti sui muri di argine del Torrente An. dovranno essere chiusi per evitare che future inondazioni possano causare ulteriori straripamenti del torrente sulla adiacente via (omissis)". Ov'anche l'individuato "percorso alternativo" sulla particella (omissis) del Foglio (omissis) del Catasto Terreni del Comune di (omissis) fosse quindi da ritener pericoloso perchè disegnato in parallelo all'alveo del torrente An. (piuttosto che perpendicolarmente ad esso) - così come la ricorrente ha evidenziato con particolare forza all'interno del primo motivo del ricorso per motivi aggiunti -, è pur vero che quella condizione non era destinata a protrarsi a tempo indefinito, risultando piuttosto momentanea a contingente, sino a che, come da intendimento del Comune intimato, non si fosse proceduto alla chiusura dei "varchi esistenti sui muri di argine del Torrente An.... per evitare che future inondazioni possano causare ulteriori straripamenti del torrente sulla adiacente via (omissis)". In base alle predette considerazioni il Collegio ritiene quindi di dover escludere che le valutazioni effettuate dal Comune intimato pecchino in punto di motivazione e di loro intrinseca logicità, e che gli accertamenti ad esse prodromici siano tanto deficitari da determinare la sussistenza del (quindi soltanto postulato) vizio di difetto d'istruttoria. II - Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto vizi di violazione e falsa applicazione dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, nonché di eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto di istruttoria e motivazione insufficiente. Tutte le censure proposte con il secondo motivo di ricorso vertono sulle condizioni che (a parere del ricorrente) condizionano l'esercizio dei poteri di cui dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000. Secondo quest'ultimo, più in particolare: a) non c'è nessuno stato di pericolo imminente, poichè la via attraverso il torrente è attualmente transitabile (come lo è stata da 30 anni a questa parte) e l'alluvione (richiamata dall'Ordinanza) era avvenuta oltre 2 mesi prima; b) l'attuale situazione esiste da oltre 30 anni ed è dovuta proprio al Comune, che tolse il preesistente passaggio/passerella e poi ha lasciato aperto il varco tra gli argini da dove da allora è sempre passato il controinteressato; c) il "percorso alternativo" individuato dal Comune non è affatto l'unica via possibile, e non v'è per nulla "idonea istruttoria e congrua motivazione" circa l'esistenza di uno stato di effettivo ed imminente pericolo, circa il carattere indispensabile ed indilazionabile degli interventi e circa la scelta operata ed il contenuto del provvedimento adottato; d) manca il requisito dell'adeguatezza della misura a far fronte alla situazione determinata dall'evento straordinario; e) l'Ordinanza impugnata è chiaramente volta a regolare in via definitiva e non già in via provvisoria e temporanea lo stato dei luoghi: creando un passaggio (rectius: una servitù di passaggio) permanente in favore del controinteressato; e comunque all'Ord. n. 1/2022 non è stato apposto alcun termine (nè determinato, nè indeterminato), come invece era dovuto per renderla provvisoria e temporanea; f) il Comune avrebbe potuto usare agevolmente e senza danno i normali mezzi apprestati dall'ordinamento (in materia espropriativa) per far fronte alla situazione e quindi non poteva utilizzare quello dell'Ordinanza ex art. 54 TUEL. Ma per quanto attiene alla censura sub a), la affermata mancanza di uno "stato di pericolo imminente, poichè la via attraverso il torrente è attualmente transitabile" non persuade il Collegio: perché la costante esposizione al rischio di eventi metereologici dell'originario percorso fra i due varchi negli argini del torrente An. - la cui praticabilità era oltretutto destinata a cessare a breve, non appena la competente Autorità di Bacino, interpellata con nota protocollo n. 22089 del 29.12.2021, avesse dato risposta alla manifestata volontà del Comune di (omissis) di "voler intervenire sull'alveo del Torrente An. al fine di individuare i lavori da effettuare per prevenire il pericolo di future inondazioni" (che sarebbero inevitabilmente coincisi con la chiusura dei due varchi sugli argini che consentivano l'accesso a quella via, come già rilevato nella nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione Civile- Ufficio IV - attività di supporto all'emergenza, agli atti del Comune intimato con il numero di protocollo 21770 del 23.12.2021) - costituiva comunque, a giudizio del giudice adito, una situazione che giustificava l'esercizio dei poteri di cui al quarto comma dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 da parte del Comune di (omissis). Per quanto riguarda la censura sub b), il fatto che la eliminazione della preesistente passerella che consentiva il collegamento della particella n. (omissis) del foglio (omissis) alla viabilità pubblica fosse la conseguenza di un pregresso intervento del Comune di (omissis) è del tutto irrilevante, in base ad una costante giurisprudenza secondo la quale "rileva non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero a un evento nuovo e imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell'urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall'imputabilità se del caso perfino all'Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere" (ex multis e più di recente, T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, sentenza 27 febbraio 2023, n. 180; T.A.R. Campania, Napoli sez. V, 11 luglio 2022, n. 4653). Il vizio sub c), in realtà, altro non è che una riformulazione di quello di cui al primo motivo di ricorso, risolvendosi nella prospettazione di un vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria che il Collegio ha già ritenuto non sussistere; e così anche con riguardo al vizio sub d) circa la mancanza del requisito dell'adeguatezza - ingenerata proprio dal sussistente difetto d'istruttoria - nella misura adottata dal Comune. Con le censure sub e) ed f) è poi lamentata la inidoneità del provvedimento impugnato a norma dell'art. 54 del D. Lgs. N. 267/2000 ad arrecare un vulnus definitivo alle ragioni proprietarie del titolare del fondo di cui alla particella n. (omissis) del Foglio (omissis); ma con ciò prospettando doglianze che possono meglio essere scrutinato in uno con il successivo motivo di ricorso. III - Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto vizi di falsa applicazione dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000, di violazione dell'art. (omissis) Cost e del D.P.R. n. 327/2001, di incompetenza, nonché di eccesso di potere per sviamento di potere ed illogicità ed ingiustizia manifeste. Secondo la ricorrente "si osserva che l'effetto dell'Ord. n. 1/2022 impugnata è quello di trasferire una parte del terreno della ricorrente per realizzare una strada a favore del contronteressato (oppure -se si vuole- realizzare una strada e creare una servitù di passaggio). Si tratta cioè di degradare il diritto di proprietà ed espropriarlo a favore del controinteressato: finalità per la quale l'ordinamento ha approntato gli ordinari mezzi espropriativi di cui al DPR n. 327/2001, che possono essere utilizzati anche per affrontare le urgenze". In realtà, nessun atto di trasferimento del dominium in danno del proprietario della particella n. (omissis) del foglio (omissis) è stato operato pel tramite dell'ordinanza impugnata. Il potere extra ordinem di cui all'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 è necessariamente ed intrinsecamente atipico; e ciò consente allo stesso di sganciarsi - anche se soltanto in via temporanea - dal principio di legalità formale, modellando il proprio contenuto unicamente in base alla possibilità di concretamente soddisfare le esigenze "di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica", le quali a loro volta costituiscono il presupposto della sua attribuzione al Sindaco (nella sua qualità "anfibia" di organo dello Stato e degli enti locali). Ciò significa che un vincolo ana al contenuto di una servitù di passaggio può essere costituito sull'altrui fondo "con atto dell'Autorità amministrativa", a norma del primo comma dell'art. 1032 c.c., non soltanto "nei casi specificamente determinati dalla legge", ma altresì in via d'urgenza nell'esercizio dei poteri di cui al quarto comma dell'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000. In questa considerazione, però, sta un limite indefettibile all'esercizio del relativo potere ove esso impatti su quello di godimento garantito (anche) al dominus soli dall'art. 832 c.c. Lo svuotamento del potere di godimento di una determinata res nullifica infatti il contenuto del diritto di chi pur ne rimanga formalmente proprietario. Affinchè ciò possa avvenire nel rispetto dell'art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000, occorre allora che "con atto dell'Autorità amministrativa" ex primo comma dell'art. 1032 c.c. un vincolo ana al contenuto di una servitù di passaggio possa essere costituito sull'altrui fondo soltanto ad tempus. Ma nel caso di specie ciò non è mai accaduto. Infatti il Comune di (omissis) non ha mai posto un espresso termine finale di durata all'ordinanza n. 1 del 05/01/2022; né inserito al suo interno una condicio che rendesse, anche in mancanza di un termine espressamente fissato, comunque certa la possibilità di piena riespansione in futuro dei poteri di godimento da essa compressi in danno del proprietario della particella n. (omissis) del Foglio (omissis). In particolare il Comune di (omissis) non ha correlato la durata degli effetti dell'ordinanza impugnata né al tempo occorrente per il ripristino della passerella sul torrente An. demolita nel 1998 - il cui ripristino sarebbe stato idoneo a garantire nuovamente l'accesso alla viabilità pubblica dal fondo di cui alla particella n. (omissis) del Foglio (omissis) -, né al risultato utile dell'azione che il controinteressato Sig. Gi. Ca. avrebbe potuto esperire per ottenere la costituzione di una servitù coattiva di passaggio su fondi di proprietà del Sig. Sa. Ca., così come lo stesso Tribunale di Catania aveva ritenuto (anche se soltanto astrattamente) possibile nella propria sentenza n. n. 3173 del 20/29.10.2003 Il punto allora è che la incidenza sui poteri di godimento del dominus della particella n. (omissis) del Foglio (omissis), seppure non determina la privazione in capo allo stesso del diritto reale eminente - né, quindi, alcuna violazione del D.P.R. n. 327/2001 -, oltre che attentare allo standard minimo di garanzia della proprietà privata ex art. (omissis) Cost., si risolve invece in una (ulteriore) violazione dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000. Come infatti da condivisa giurisprudenza, "le ordinanze contingibili, proprio in ragione dell'eccezionalità che le caratterizza, richiedono la previsione di un termine finale di durata, non potendo viceversa essere utilizzate per realizzare un assetto definitivo (o comunque indefinito) degli interessi sottesi (cfr., quam multis, Tar Napoli, 18.3.2020, n. 1188; Tar Venezia, 24.7.2019, n. 872; Tar Napoli, 17.2.2016, n. 860; Tar Bari, 19.3.2014, n. 359)"[T.A.R. Lazio - Roma, Sez. II Stralcio, sentenza 10 marzo 2023, n. 4190]. In conclusione, la mancata apposizioni di termini espressi di durata massima o di condizioni automaticamente risolutive degli effetti dell'ordinanza impugnata determina una causa di illegittimità della stessa, così come dalle postulazioni attoree di cui alle lettere e) ed f) del secondo motivo di ricorso ed al terzo motivo di ricorso. IV - Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto vizi di incompetenza, violazione dell'art. 107 del D. Lgs. n. 267/2000 e dell'art. 3 della L.R. n. 7/2019, per l'ipotesi che il provvedimento impugnato dovesse esser qualificato diversamente da come atto di esercizio dei poteri di cui al quarto comma dell'art. 54 del D. Lgs. n. 2672000. Ma poiché è una tale fisionomia che il Collegio intende ad esso riconoscere, mancano i presupposti per poterlo ritenere viziato per l'invasione, da parte del Sindaco, di competenze che invece dell'art. 107 del D. Lgs. n. 267/2000 riserva ai Dirigenti degli enti locali. V - Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto vizi violazione dell'art. 54 del D. Lgs. n. 267/2000 e incompetenza, perché con l'ordinanza impugnata sarebbe stato altresì ordinato lo sgombero di un'area illegittimamente occupata da terzi, e segnatamente di una porzione dalla Re. Tr. n. 68 (omissis) - (omissis), la cui natura di area demaniale è stata riconosciuta con D.M. del 04/05/1942. Il vizio di incompetenza in questo caso sussiste, perché il potere di ingiungere lo sgombero di aree illegittimamente occupate da terzi, ov'anche esse dovessero far parte del demanio comunale - così come oltretutto nemmeno è sicuro per le Regie Trazzere... -, si intesta esclusivamente in capo agli organi burocratici dell'ente locale ex art. 107 del D. Lgs. n. 267/2000, e non certo al suo Sindaco, dato che, come da condivisa giurisprudenza, "l'attività di sgombero di proprietà comunali spetta al dirigente anche se esercitata in applicazione dell'art. 378 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, il cui riferimento al Sindaco è da intendersi non più attuale a seguito della riforma della L. 8 giugno 1990, n. 142 e al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, che ha comportato l'affermazione di un principio generale in ordine alla separazione delle funzioni, tra quelle d'indirizzo politico e quelle di gestione dell'amministrazione pubblica, riservate queste ultime alle figure amministrativo-dirigenziali. Pertanto, l'ordinanza ex art. 378 cit. rientra nella competenza del Dirigente, ed è sottratta a quella del Sindaco"(T.A.R. Lombardia - Milano, Sez. II, sentenza 24 giugno 2020, n. 1184). VI - Il Collegio, conclusivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe, e per gli effetti annulla l'ordinanza con esso impugnata. Sulla refusione delle spese di lite fra le parti il Collegio pronuncia come da soccombenza, con rinvio al dispositivo per la loro liquidazione. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Seconda accoglie il ricorso in epigrafe, e per gli effetti annulla l'ordinanza con esso impugnato. Condanna il Comune intimato alla refusione delle spese di lite nei confronti della ricorrente, che liquida nell'importo di 1.500,00 (millecinquecento/00) euro, più accessori così come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Daniele Burzichelli - Presidente Gustavo Giovanni Rosario Cumin - Consigliere, Estensore Emanuele Caminiti - Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania Sezione Quinta ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 233 del 2019, proposto da Sa. s.a.s. di Ra. Im. Tr. Ve. Gmbh, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Bo. Lo. Du., ed altri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Comune di (Omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio; per l'annullamento - della nota prot. n. 21615 del 16 novembre 2018, notificata a Sa. s.a.s. di Ra. Im. Tr. Ve. GmbH con nota prot. 2322 il 26 novembre 2018 e di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, anche se non conosciuto dalla ricorrente; nonché per la declaratoria di nullità - della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 48 del 28 settembre 2010, con cui è stato approvato il “Regolamento Comunale per l'installazione di impianti fotovoltaici nel territorio del Comune di (Omissis)” e del relativo “Schema di Convenzione”; - della Dichiarazione Sostitutiva di Atto di Notorietà del 13 novembre 2011 prodotta dalla Ditta individuale Incognito Daniele in esecuzione della nota prot. 29286 del 10 novembre 2010 adottata dal Comune di (Omissis); ovvero, in subordine, per l'annullamento - della Deliberazione del Consiglio Comunale n. 48 del 28 settembre 2010, con cui è stato approvato il “Regolamento Comunale per l'installazione di impianti fotovoltaici nel territorio del Comune di (Omissis)” e del relativo “Schema di Convenzione”, così come di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, anche se non conosciuto dalla ricorrente; e in ogni caso, per l'accertamento - dell'insussistenza di qualunque obbligo a carattere pecuniario/patrimoniale/compensativo della ricorrente nei confronti del Comune di (Omissis) con riferimento alla costruzione e all'esercizio dell'impianto fotovoltaico sito nel Comune di (Omissis) in c.da “(Omissis)”- F 18, p.lla 290, autorizzato con D.R.S. dell'Assessorato dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità della Regione Sicilia n. 159 del 9 maggio 2011.   Visti il ricorso e i relativi allegati; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2023 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.   FATTO Con ricorso notificato il 17 gennaio 2019 e depositato l’11 febbraio 2019, parte ricorrente ha impugnato la nota prot. n. 21615 di intimazione e messa in mora del 16 novembre 2018 del Comune di (Omissis), che, in relazione all’avvenuta autorizzazione a costruire e a gestire, ai sensi dell’art. 12 d. lgs. n. 387 del 2003, un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica nel territorio del Comune, ha diffidato la deducente al pagamento della complessiva somma di € 50.000 e ad eseguire la fornitura e posa in opera di pannelli fotovoltaici su immobile di proprietà comunale, fermo restando il risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento; ha, inoltre, impugnato, chiedendone la declaratoria di nullità (o in subordine l’annullamento), la deliberazione del Consiglio Comunale n. 48 del 28 settembre 2010, con cui è stato approvato il “Regolamento Comunale per l’installazione di impianti fotovoltaici nel territorio del Comune di (Omissis)” (di seguito “Regolamento”), il relativo “Schema di Convenzione” e la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 13 novembre 2011 prodotta dalla Ditta individuale Incognito Daniele in esecuzione della nota prot. 29286 del 10 novembre 2010 del Comune di (Omissis); ha chiesto, in ogni caso, in relazione alla vicenda, l’accertamento dell’insussistenza di qualunque obbligo a carattere pecuniario/patrimoniale/compensativo della ricorrente nei confronti del Comune di (Omissis). Parte ricorrente ha esposto, in fatto, che: - la società Sa. sas. di Ra. Im. Tr. Ve. GmbH (di seguito, “Sa.”) è proprietaria di un impianto fotovoltaico nel Comune di (Omissis), in contrada “(Omissis)” (f. 18, particella 290), acquistato dalla ditta individuale “Da. In.” con contratto di conferimento di ramo d’azienda del 19 marzo 2012; - l’impianto è stato autorizzato dalla Regione Siciliana Assessorato dell’Energia e dei Servizi di pubblica utilità con D.R.S. n. 159 del 9 maggio 2011, senza alcuna opposizione alla costruzione e all’esercizio dell’impianto in fase autorizzativa da parte del Comune di (Omissis), regolarmente convocato alla Conferenza di Servizi; - con nota prot. 29286 del 10 novembre 2010, il Comune ha avvisato la ditta Incognito che avrebbe dovuto stipulare con l’amministrazione la Convenzione al fine di “garantire la corretta ottemperanza” delle previsioni del relativo Regolamento, che imponeva a tutti i titolari di impianti fotovoltaici con potenza compresa tra 201 Kw e 1 Mwp, realizzati in zone classificate come agricole o industriali in base agli strumenti urbanistici, le “Misure di compensazione”, consistenti in pagamenti di denaro compresi tra € 50.000,00 e 600.000,00 (in base alla potenza installata) oltre alla cessione al Comune, a titolo gratuito, di altri impianti fotovoltaici; – in data 15 novembre 2010 la ditta Incognito ha prodotto una dichiarazione di ottemperanza, resa nel “prendere atto di quanto richiesto dal Comune con nota prot. 29286 del 10 novembre 2010” e comunque con riferimento “agli artt. 8 e 9 del Regolamento”; – con nota prot. 17278 del 27 giugno 2011, reiterata in data 8 novembre 2011 (prot. 294447), il Comune ha invitato la ditta Incognito Daniele a presentarsi presso l’ufficio tecnico al fine di ottemperare alle prescrizioni del regolamento e alla sottoscrizione della detta convenzione; – con nota prot. n. 21615, notificata il 26 novembre 2018, la ricorrente, nelle more subentrata alla ditta Incognito, ha ricevuto una diffida del Comune a versare, nel termine perentorio di 15 giorni, “la somma di € 50.000,00 …nonché ad eseguire la fornitura e posa in opera di pannelli fotovoltaici su immobile di proprietà comunale con potenza complessiva di 3 kW, fermo restando il risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione che sarà calcolato in separata sede”; - in data 4 dicembre 2018 la società ricorrente e la ditta Incognito, a cui parimenti era stata notificato analogo atto, hanno formulato al Comune un’istanza di autotutela, chiedendo il ritiro della “diffida ad adempiere” in quanto palesemente illegittima, secondo univoca normativa e giurisprudenza; – il successivo 11 dicembre 2018 il Comune ha riscontrato l’istanza, replicando che la diffida in questione non avrebbe valore di provvedimento, ma solo la funzione di assegnare un “termine dilatorio” entro cui provvedere all’adempimento dell’obbligazione. Assumendo l’illegittimità/nullità degli atti impugnati e la natura non endoprocedimentale della nota del 16 novembre 2018 prot. n. 21615, parte ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: I) Violazione e falsa applicazione di legge (Direttiva 1996/92/CE, attuata con D.lgs 79/1999; Direttiva 2003/54/CE, attuata con l. 65/2005; dell’art. 12 del D.lgs. 387/2003, 10 attuativo della Direttiva 2011/77/CE; del D.M. 10 settembre 2010 in materia di “Linee Guida”; dell’art. 41 della Costituzione); II) Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare per carenza di motivazione, travisamento dei fatti, ingiustizia manifesta; III) Nullità del Regolamento per carenza di potere; nullità derivata della diffida ad adempiere; nullità derivata dello schema di Convenzione; - in subordine, illegittimità del Regolamento per gli stessi motivi per cui sarebbe illegittima la diffida (sub. I); IV) Nullità della “dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà’” del 13 novembre 2010. Il Comune di (Omissis) non si è costituito in giudizio. Alla pubblica udienza del 6 giugno 2023 il ricorso è stato posto in decisione. DIRITTO In via preliminare, va ritenuto che la nota-diffida impugnata non riveste carattere endoprocedimentale, bensì è atto autonomamente lesivo, posto che la stessa contiene, a seguito di rinnovata istruttoria (giusta parere legale acquisito dal Comune intimato il 2 novembre 2018, prot. n. 20556), le definitive statuizioni in ordine alla questione de qua e intima e mette in mora la società a eseguire, in attuazione di norme regolamentari, nel termine perentorio di 15 gg., le misure compensative ivi previste, “fermo restando il risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione che sarà calcolato in separata sede” (cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sent. n. 1737 del 2016). 1.2. Non si rinviene, inoltre, tardività dell’impugnazione del Regolamento comunale, gravato contestualmente all’atto applicativo effettivamente lesivo; ciò avuto riguardo al pacifico orientamento giurisprudenziale secondo cui: “I regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili in via diretta solo ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari; negli altri casi, divengono impugnabili solo quando sorge l'interesse a ricorrere, ovvero assieme all'atto applicativo che produca una lesione effettiva, e non solo ipotetica o futura; l'identificazione dei destinatari di un regolamento non comporta peraltro ancora che a loro carico sussistano conseguenze sfavorevoli che ne legittimano l'immediata impugnazione (Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 maggio 2021, n. 3953; id. 18 novembre 2013 n. 5451; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 13 febbraio 2014, n. 442). Nel merito, il ricorso è fondato, nei sensi e limiti di seguito precisati. Con il primo motivo di ricorso, la Società ricorrente deduce che la nota-diffida e il regolamento siano stati adottati in violazione dell’art. 12 del D. Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (recante “Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”) e, in particolare, del comma 6 (“L'autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province”), nonché del D.M. 10 settembre 2010 (“Linee Guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”). Rileva parte ricorrente, in sintesi, che la costruzione e l’esercizio di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili costituiscono libere attività di impresa soggette alla sola autorizzazione amministrativa della Regione (id est, l’autorizzazione unica regionale) e che la previsione di compensazioni meramente patrimoniali da parte del Comune (come nel caso di specie) a carico degli operatori, giustificate dalla (sola) localizzazione di impianti sul territorio, risulterebbe priva di causa giustificatrice e in contrasto con norme imperative di legge; parimenti illegittima sarebbe la pretesa di consegna gratuita di impianti in favore di immobili del Comune in assenza di motivazione e di ponderazione. 3.1. Il motivo è fondato e assorbente. 3.2. L'art. 12 del D. Lgs. n. 387 del 2003 individua le regole fondamentali per la concessione dell'autorizzazione unica per l'esercizio di impianti di produzione di energie rinnovabili, demandandone la specificazione alle linee guida del Ministro dello sviluppo economico. Tale previsione è funzionale al raggiungimento degli obiettivi di massima diffusione delle fonti energetiche rinnovabili sancito dalla normativa europea. Questa, da un lato, esige che la procedura amministrativa si ispiri a canoni di semplificazione e rapidità - esigenza cui risponde il procedimento di autorizzazione unica - e, dall'altro, richiede che in tale contesto confluiscano, per essere ponderati, gli interessi correlati alla tipologia di impianto, quale, nel caso di impianti energetici da fonte eolica, quello, potenzialmente confliggente, della tutela del territorio nella dimensione paesaggistica (sentenza della Corte cost. n. 177 del 2018). Il provvedimento di autorizzazione è adottato dalla Regione (o dalla Provincia delegata) e, secondo quanto previsto dal comma 6 del predetto art. 12, non può essere subordinato alle misure compensative a favore della Regione o della Provincia. Con il D.M. 10 settembre 2010 (Allegato 2), sono stati indicati i criteri per la fissazione delle misure di compensazione. Sul piano procedimentale, le Linee guida di tale decreto hanno stabilito che eventuali misure di compensazione devono essere definite nell'ambito della conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, i quali, pertanto, non possono concordarle autonomamente con gli operatori economici, ma devono farlo nel contesto procedimentale finalizzato all'emanazione del provvedimento di autorizzazione unica. Inoltre, quanto ai presupposti e al contenuto delle misure di compensazione, le stesse Linee guida hanno previsto - per quel che rileva maggiormente in questa sede – che: a) non dà luogo a misure compensative, in modo automatico, la semplice circostanza che venga realizzato un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili, a prescindere da ogni considerazione sulle sue caratteristiche e dimensioni e dal suo impatto sull'ambiente; b) le "misure di compensazione e di riequilibrio ambientale e territoriale" sono determinate in riferimento a "concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale", con specifico riguardo alle opere in questione; c) le misure compensative devono essere concrete e realistiche, cioè determinate tenendo conto delle specifiche caratteristiche dell'impianto e del suo specifico impatto ambientale e territoriale; d) le misure compensative sono solo "eventuali" e correlate alla circostanza che esigenze connesse agli indirizzi strategici nazionali richiedano concentrazioni territoriali di attività, impianti e infrastrutture ad elevato impatto territoriale; e) possono essere imposte misure compensative di carattere ambientale e territoriale e non meramente patrimoniali o economiche solo se ricorrono tutti i presupposti indicati. Inoltre, soggiunge la lettera h), "le eventuali misure di compensazione ambientale e territoriale definite nel rispetto dei criteri di cui alle lettere precedenti non possono comunque essere superiore al 3 per cento dei proventi, comprensivi degli incentivi vigenti, derivanti dalla valorizzazione dell'energia elettrica prodotta annualmente dall'impianto". Va poi evidenziato che la legge di bilancio per l’anno 2019 (l. 30 dicembre 2018, n. 145 art. 1, comma 953) ha stabilito che, ferma restando la natura giuridica di libera attività d’impresa dell’attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica, i proventi economici liberamente pattuiti dagli operatori del settore con gli enti locali sul cui territorio insistono gli impianti alimentati da fonti rinnovabili, sulla base di accordi sottoscritti prima del 10 settembre 2010 (data di entrata in vigore delle predette Linee Guida), “restano acquisiti nei bilanci degli enti locali, mantenendo tali accordi piena efficacia”; per contro, dalla data di entrata in vigore della disposizione introdotta, ossia dal 1° gennaio 2019, sempre fatta salva la libertà negoziale delle parti, detti accordi “sono rivisti alla luce delle predette linee guida (approvate con d.m. 10 settembre 2010) e segnatamente dei criteri contenuti nell’allegato 2”, con un preciso onere procedimentale a carico delle parti. Tale ultima normativa ha superato il vaglio della Corte costituzionale, con la sentenza del 23 marzo 2021, n. 46. Quanto all’applicabilità della normativa de qua nella Regione Siciliana, va affermata l’operatività in ambito regionale sia del d. lgs. n. 387 del 2003, sia del d. lgs. n. 28 del 2011 sia – in parte qua – delle Linee guida statali del 10 settembre 2010: con l’art. 105 l.r. sic. n. 11 del 2010 la Regione Siciliana ha previsto l’adozione di apposito decreto attuativo del Presidente della Regione, il quale è poi intervenuto (n. 48 del 2012), operando, per quanto qui di interesse, un rinvio al d.m. statale sopracitato anche con riferimento agli impianti fotovoltaici, salve le ulteriori disposizioni dettate dal medesimo regolamento, qui irrilevanti (cfr. sent. T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 3 febbraio 2023, 299). 3.3. Riassunta la normativa e la giurisprudenza costituzionale rilevante in materia, va ritenuta l’illegittimità degli atti impugnati in quanto essi prevedono misure compensative in contrasto con il complessivo assetto normativo della materia. In particolare, i provvedimenti comunali qui impugnati risultano adottati in violazione de D.M. del 2011 poiché: a) dispongono unilateralmente e al di fuori della conferenza dei servizi le misure compensative; b) prevedono una pretesa pecuniaria (€ 50.000), vietata per legge per quanto sopra esposto; c) non supportano tale pretesa - così come quella di installare impianti fotovoltaici in immobili di proprietà del Comune – con adeguata motivazione, invero del tutto carente; d) non contengono una specifica valutazione delle caratteristiche dell’impianto autorizzato, del suo specifico impatto ambientale e territoriale né del rapporto tra gli obblighi imposti e l’impatto dell’impianto; né in ogni caso contengono valutazioni effettuate in seno alla conferenza di servizi o rilevabili nell’ambito del provvedimento autorizzatorio (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. II, n. 733/2018; T.A.R. Puglia, Lecce, sent. n. 1737 del 2016; T.A.R. Veneto, Venezia, sez. III, n. 1052 del 2014). Ne consegue l’illegittimità della nota/diffida e del regolamento presupposto in parte qua, per contrasto con i su citati criteri ministeriali. 3.4. Di nessun rilievo, ai fini che qui interessano, è la “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà” sottoscritta dal precedente titolare in esecuzione di specifica richiesta del Comune e delle dette disposizioni regolamentari, attesa l’illegittimità di queste ultime per quanto sopra esposto. Peraltro, si osserva che detto atto non può sostituire, in termini di impegni volontariamente assunti, la sottoscrizione della convenzione prevista specificamente dal regolamento, sollecitata dall’amministrazione anche successivamente a tale dichiarazione e invero mai intervenuta. Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto per le ragioni di cui sopra, con annullamento degli atti impugnati per quanto di interesse e nei sensi e limiti innanzi precisati, assorbendo quant’altro. 4.1. Non può, ad avviso del Collegio, invece, ritenersi la nullità del regolamento per difetto assoluto di attribuzione - dedotta in via principale dalla parte ricorrente -, posto che quest’ultimo “è configurabile nei casi – per lo più “di scuola” - in cui un atto non può essere radicalmente emanato da una autorità amministrativa, che non ha alcun potere nel settore, neppure condividendone la titolarità con un’altra amministrazione (risultando altrimenti un vizio di incompetenza)” (Consiglio di Stato, VI, 31 ottobre 2013, n. 5266; Cons. Stato, sez. II, 14 gennaio 2022, n. 272), il che non è nel caso di specie ove “le misure compensative sono definite in sede di conferenza di servizi, sentiti i Comuni interessati, anche sulla base di quanto stabilito da eventuali provvedimenti regionali”, anche se “non possono unilateralmente essere fissate da un singolo Comune” (cfr. All. 2 del D.M. 10 settembre 2010). Sussistono, tuttavia, eccezionali motivi per dichiarare le spese irripetibili nei confronti del Comune non costituito, in ragione della peculiarità della controversia. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e limiti di cui in parte motiva e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati per quanto di interesse. Spese irripetibili. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2023 con l'intervento dei magistrati: Michele Buonauro, Presidente Giuseppina Alessandra Sidoti, Consigliere, Estensore Salvatore Accolla, Referendario

  • REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per La Si. sezione staccata di Catania Sezione Terza ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 791 del 2022, proposto da A.I. - Associazione It. pe. l'A. ag. Sp. - Se. di Ac., rappresentata e difesa dagli avvocati Ca. Fl. e An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro IP. Ca. di Ri. "Le. Ma.", non costituita in giudizio; Assessorato Regionale della Famiglia delle Politiche Sociali e del Lavoro, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via (...); per l'annullamento a) degli atti della procedura ad evidenza pubblica indetta dall'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." per l'affitto quindicennale della quasi totalità del compendio immobiliare sito in (omissis), Via (omissis); b) in particolare, del bando di gara, di tutti gli atti di gara, ivi compresi il provvedimento di nomina della Commissione, dei verbali di gara e dell'eventuale provvedimento di aggiudicazione; c) dell'atto costitutivo e/o dello Statuto e/o del regolamento e/o di qualsiasi atto e/o provvedimento dell'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." in cui sia stata prevista la possibilità, per l'ente resistente, di pubblicare avvisi pubblici e/o bandi sull'Albo pretorio del Comune di (omissis). Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2022 il dott. Daniele Burzichelli; Viste le difese scritte e orali delle parti come risultanti in atti o da verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: FATTO e DIRITTO L'associazione ricorrente, chiedendo anche il risarcimento del danno, ha impugnato: a) gli atti della procedura ad evidenza pubblica indetta dall'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." per l'affitto quindicennale della quasi totalità del compendio immobiliare sito in (omissis), Via (omissis); b) in particolare, il bando di gara, tutti gli atti di gara, ivi compresi il provvedimento di nomina della Commissione, i verbali di gara e l'eventuale provvedimento di aggiudicazione; c) l'atto costitutivo e/o lo Statuto e/o il regolamento e/o qualsiasi atto e/o provvedimento dell'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." in cui sia stata prevista la possibilità, per l'ente resistente, di pubblicare avvisi pubblici e/o bandi sull'Albo pretorio del Comune di (omissis). La ricorrente ha anche chiesto la dichiarazione di inefficacia o l'annullamento del contratto eventualmente stipulato "medio tempore". Nel ricorso, per quanto in questa sede interessa, si rappresenta in punto di fatto quanto segue: a) l'associazione ricorrente, in data 12 febbraio 2022, ha espresso al commissario straordinario dell'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." l'intenzione di presentare un'offerta per l'acquisto dell'immobile sito nella Via (omissis), al prezzo di mercato; b) in data 5 marzo 2022 l'I. ha rappresentato che era stato adottato un bando di gara per l'affitto quindicennale della quasi totalità dello stabile e che tale avviso era stato pubblicato all'albo pretorio del Comune di (omissis); c) nel corso di ulteriori interlocuzioni la ricorrente ha rappresentato all'I., al Comune e al competente Assessorato Regionale che, poiché l'I. non presentava collegamenti con il Comune di (omissis), sarebbe stato indispensabile la pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale, sul sito Internet dell'Ente o in qualsiasi altra forma idonea ad assicurare la pubblicità della procedura; d) la ricorrente ha anche invitato l'I. sospendere in autotutela la procedura onde consentire la verifica dei requisiti di correttezza e trasparenza del relativo procedimento; e) il Comune di (omissis) ha affermato di non avere alcuna competenza su quanto segnalato dall'associazione, mentre l'Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro, con nota in data 15 febbraio 2022, ha precisato che l'interesse alla corretta gestione del patrimonio immobiliare dell'Opera Pia risultava primario e che attraverso la gestione dello stesso l'I. doveva trarre entrate economiche da destinare al conseguimento dei propri scopi pubblicistici, invitando l'I. a ricorrere a tipologie contrattuali a titolo oneroso in grado di garantire la massima valorizzazione di tale patrimonio; f) con nota in data 24 marzo 2022 l'I. ha affermato che il sito Internet dell'Ente era inattivo e che non risultava obbligatoria la pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale, evidenziando, altresì, che la notizia del procedimento era stata riportata anche dal quotidiano "La Si." in data 5 febbraio 2021; g) dopo aver vanamente cercato di assumere informazioni tramite l'albo pretorio del Comune di (omissis) - ove non è stato possibile reperire il bando di gara, il provvedimento di aggiudicazione ed ogni altra notizia utile in merito alla procedura in esame - con nota in data 4 aprile 2022 l'associazione ricorrente ha formulato richiesta di accesso agli atti, ma nessuna risposta è pervenuta dall'I.. Il contenuto dei motivi di gravame può sintetizzarsi come segue: a) risultano violati gli artt. 4 e 17 del decreto legislativo n. 50/2016 e i principi di trasparenza, pubblicità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, essa l'amministrazione deve conformarsi anche nel caso di appalto non soggetto alla pedissequa applicazione delle singole disposizioni contenute nel decreto; b) l'I. ha avviato una procedura priva della necessaria trasparenza e pubblicità, violando anche l'art. 1, primo comma, della legge n. 241/1990; c) appare irrilevante l'intervenuta pubblicazione del bando sull'albo pretorio del Comune di (omissis), posto che tale ente non presenta alcun collegamento strutturale od organico con l'Amministrazione resistente, come affermato anche dal Comune, il quale ha evidenziato che l'I. possiede una propria autonomia giuridica e gestionale; d) non si comprende l'affermazione secondo cui il sito Internet dell'I. risulta inattivo, venendo in rilievo un adempimento obbligatorio e, comunque, agevole e poco dispendioso, dovendo al riguardo farsi menzione della disciplina di cui al decreto legislativo n. 97/2016; e) l'I., inoltre,, ha attivato una procedura di gara per la locazione del compendio immobiliare senza aver prima valutato soluzioni alternative che potessero meglio soddisfare gli scopi dell'ente; f) al riguardo occorre nuovamente richiamare il contenuto della già menzionata nota n. 5496 in data 15 febbraio 2022 dell'Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro. Con memoria in data 7 luglio 2022 la ricorrente, nel ribadire e ulteriormente illustrare le proprie difese, ha precisato, in particolare, che in data 31 maggio 2022 era stata trasmessa all'associazione parte della documentazione richiesta, essendo così emerso che il contratto non era stato stipulato in quanto il soggetto vincitore della gara aveva manifestato espresso disinteresse a concludere l'iter procedimentale. L'Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva. Con memoria in data 16 settembre 2022 la ricorrente, nel ribadire e precisare le proprie difese, ha osservato, in particolare, che non era stato adottato alcun provvedimento in ordine all'intervenuta decadenza del soggetto aggiudicatario della procedura. Nella pubblica udienza in data odierna la causa è stata trattenuta in decisione. Va, in primo luogo, dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell'Amministrazione Regionale, poiché non sono stati impugnati atti da essa adottati. Deve premettersi che, con ordinanza n. 376/2022 in data 13 luglio 2022, il Tribunale ha, tra l'altro, osservato e disposto quanto segue: "Tenuto conto, inoltre, che la procedura per la concessione in affitto del compendio immobiliare sembra essersi conclusa senza l'individuazione di un effettivo contraente - posto che l'unico soggetto che ha partecipato alla selezione risulterebbe aver manifestato la propria intenzione di non addivenire alla stipula dell'accordo - il Collegio dispone che le parti in causa rappresentino con la massima tempestività se tale circostanza possa determinare l'improcedibilità del gravame per sopravvenuta carenza di interesse (ciò che potrebbe consentire la definizione del giudizio con provvedimento monocratico e consentire di portare in udienza per la decisione altro ricorso in sostituzione di quello presente)". Non è pervenuta, tuttavia, alcuna notizia in ordine ad eventuali provvedimenti adottati dall'Amministrazione a seguito del rifiuto dell'aggiudicatario di stipulare il contratto, sicché il ricorso deve essere deciso nel merito, poiché la declaratoria di improcedibilità del gravame presupporrebbe l'acquisizione di dati certi in relazione all'esito definitivamente negativo della procedura, mentre, in difetto di atti con cui l'Amministrazione abbia formalmente pronunciato la revoca o la decadenza dall'aggiudicazione, tale esito negativo non può ritenersi conclamato, potendo pur sempre l'aggiudicataria recedere dal proprio intento di non addivenire alla stipula del negozio. Ciò precisato, a giudizio del Collegio il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate. Nel caso di specie non può reputarsi idonea la forma di pubblicità utilizzata dall'Amministrazione (pubblicazione dell'avviso all'albo pretorio del Comune di (omissis)), in quanto l'I. non è legato al Comune da alcun rapporto funzionale o strutturale. Ne consegue che i soggetti eventualmente interessati non sono stati posti in condizione di conoscere effettivamente la procedura, non potendo affermarsi il loro obbligo di ricercare notizie al riguardo consultando l'albo pretorio di una diversa Amministrazione, la quale, si ripete, non risulta collegata con l'I. in forza di alcun rapporto di natura funzionale o strutturale. Risulta, quindi, violato il principio di pubblicità di cui all'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016, il quale, come è noto, trova applicazione anche per i contratti attivi della Pubblica Amministrazione. Al riguardo, può essere opportuno osservare che, come affermato dalla giurisprudenza (T.A.R. Campania, Salerno, I, 22 marzo 2021, n. 727), l'art. 4 del codice dei contratti pubblici esclude dall'ambito di applicazione delle procedure di evidenza pubblica di cui al medesimo codice i contratti attivi della Pubblica Amministrazione, ma nondimeno il loro affidamento deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica, sicché l'Amministrazione che intenda affidare a terzi un proprio bene deve rispettare un nucleo minimo di regole di evidenza pubblica, a tutela dell'interesse pubblico al miglior utilizzo del bene, della concorrenza e del mercato. E' stato anche precisato (Consiglio di Stato, V, 29 gennaio 2020, n. 720) che, in seguito alla modifica operata dal decreto legislativo n. 56/2017, i contratti attivi rientrano, per espressa indicazione normativa, tra i contratti esclusi dall'applicazione del codice dei contratti pubblici ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo n. 50/2016, ma per essi devono comunque essere rispettati i principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità (oltre che tutela dell'ambiente ed efficienza energetica) nella scelta del contraente. Il ricorso va, quindi, accolto in relazione alla domanda impugnatoria, con conseguente annullamento degli atti della procedura ad evidenza pubblica indetta dall'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." per l'affitto quindicennale della quasi totalità del compendio immobiliare sito in (omissis), Via (omissis), mentre non occorre disporre l'annullamento dell'atto costitutivo, dello Statuto, del regolamento o di qualsiasi atto o provvedimento dell'I. in cui fosse prevista la possibilità, per l'Ente intimata, di pubblicare avvisi pubblici o bandi sull'Albo pretorio del Comune di (omissis), non solo in quanto non vi è alcuna prova dell'esistenza di atti di questo tenore, ma anche perché la relativa domanda è stata chiaramente formulata per finalità tuzioristiche. Deve, invece, essere rigettata la domanda risarcitoria, in quanto sprovvista di allegazioni e, a maggior ragione, di prove. Tenuto conto della peculiarità della questione e anche della parziale soccombenza della parte ricorrente (quanto al profilo relativo alla legittimazione passiva dell'Amministrazione Regionale e alla domanda di risarcimento del danno), le spese di giudizio possono essere compensate fra tutte le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per La Si., Sezione Staccata di Catania Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto: 1) lo accoglie in parte e, per l'effetto, annulla gli atti della procedura ad evidenza pubblica indetta dall'I. Ca. di Ri. "Le. Ma." per l'affitto quindicennale della quasi totalità del compendio immobiliare sito in (omissis), Via (omissis); 2) rigetta la domanda risarcitoria; 3) compensa fra le parti le spese di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati: Daniele Burzichelli - Presidente, Estensore Francesco Bruno - Consigliere Gustavo Giovanni Rosario Cumin - Consigliere

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